Come nasce la Costituzione

MARTEDÌ 2 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cccxv.

SEDUTA DI MARTEDÌ 2 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Per un incidente al Congresso del Partito liberale:

Minio

Presidente

Corbino

Inversione dell’ordine del giorno:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Targetti

Laconi

Mastino Pietro

Dominedò

Macrelli

Canevari

Lussu

Martino Gaetano

Moro

Cevolotto

Persico

Perassi

Nobile

Ambrosini

Fabbri

Uberti

Candela

Bubbio

D’Aragona

Gullo Fausto

Mortati

Codacci Pisanelli

Mastino Gesumino

Rossi Paolo

Moro

Arata

Corbino

Condorelli

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Presentazione di una relazione:

Mastino Gesumino

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alla 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Per un incidente al Congresso del Partito liberale.

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. Ho chiesto di parlare, perché ritengo necessario elevare una parola di protesta in quest’Aula contro l’insulto che ieri sera è stato fatto, nel corso della seduta pomeridiana del Congresso del Partito liberale, alla persona del Presidente della nostra Assemblea Costituente. Ritengo che nessun congresso sia obbligato ad invitare il nostro Presidente; ma, una volta che si vuole invitarlo, è dovere che sia fatto rispettare, perché egli rappresenta la nostra Assemblea, la prima Assemblea liberamente eletta dal popolo italiano.

Mi rammarico che un incidente così increscioso sia potuto avvenire e ritengo giusto esprimere qui il nostro sdegno per il fatto deplorevole, che dimostra, fra l’altro, la cattiva educazione di certe persone.

Non conosco il nome del delegato che si è permesso di ingiuriare un ospite nel suo Congresso; so soltanto che si è qualificato rappresentante dei liberali siciliani.

Egli ha detto che non era giusto usare cortesia «verso delle persone che adoperano il coltello». Io ritengo che il coltello lo adoperino soltanto i mafiosi siciliani, i soli che costui rappresentava al congresso liberale.

Prendo atto della protesta sollevata dall’onorevole Lucifero nella stessa sede del Congresso. Ma ho l’impressione che le sue parole siano state la difesa di un avvocato di ufficio.

Non mi interessa sapere se la carica che ricopre l’onorevole Terracini sia o non sia un’alta carica dello Stato: è una cosa che mi preoccupa ben poco. Quello che so, è che alto è il nome di Umberto Terracini, che per la libertà ha sacrificato tutta la sua vita. (L’Assemblea sorge in piedi e applaude lungamente).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, se mi permette, vorrei, prima di darle la parola – e dopo le dichiarazioni dell’onorevole Minio – render noto che ieri sera stessa, in amichevoli e cordialissimi incontri, quella che credo di poter ritenere un’uscita verbale non ponderata di una persona che, nella sua individualità, non può certo pretendere di rappresentare un pensiero collettivo, è stata ridotta ad episodio senza importanza e rilievo.

Penso, d’altra parte, che l’unico elemento che avrebbe potuto eventualmente farlo prendere in considerazione e cioè una mancanza di rispetto all’Assemblea, sia del tutto mancato in questo episodio banalissimo. Ripeto che in ogni congresso, non può intendersi coinvolta la responsabilità collettiva nel gesto e nella parola di una persona sola. (Vivissime approvazioni).

Ha facoltà di parlare l’onorevole Corbino.

CORBINO. Io ringrazio il Presidente di aver voluto informare l’Assemblea delle parole che, a nome del Gruppo parlamentare liberale, io ho voluto recargli nel suo Gabinetto ieri sera, quando ho saputo dell’incidente. Incidente di cui non credo sia il caso di drammatizzare la portata perché, da parte nostra, non è mai mancato il senso di rispetto, non alla carica soltanto del Presidente dell’Assemblea Costituente, ma alla persona di Umberto Terracini, a cui tutti riconosciamo che svolge l’opera inerente alla sua carica con quel senso di dirittura morale e di superiorità personale che occorre in un Presidente di una Assemblea, come quella della quale noi tutti facciamo parte.

Con queste parole io intendo che, se pure qualche minima traccia di quello che il Presidente ha voluto chiamare un banale incidente fosse ancora rimasta nell’animo di qualcuno, questa traccia sia completamente eliminata, perché ad Umberto Terracini ed al Presidente dell’Assemblea confermiamo intiera la nostra stima e la nostra devozione. (Vivissimi applausi).

Inversione dell’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, propongo di invertire l’ordine del giorno, e di passare quindi, senz’altro, al seguito della discussione del progetto di Costituzione, rinviando a più tardi la votazione segreta sui disegni di legge che sono stati discussi ieri

(Così rimane stabilito).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati svolti tutti gli emendamenti agli articoli 127 e 128.

Mi perviene ora un emendamento, sostitutivo del quarto comma dell’articolo 127, presentato dagli onorevoli Ambrosini, Cappi, Tosato, Moro, Uberti, Codacci Pisanelli.

Poiché l’altra sera eravamo rimasti d’intesa che sarebbero stati accolti ancora emendamenti all’articolo 128, se fosse stato reso necessario dalle conclusioni che si sarebbero prese relativamente all’articolo 127, accetto questo emendamento, senza tuttavia dare ai presentatori la facoltà di svolgerlo.

L’emendamento è del seguente tenore:

«I giudici durano in carica dodici (o nove) anni e sono rinnovabili per un terzo ogni quattro (o tre) anni.

«La rinnovazione avverrà per estrazione a sorte nell’ambito di ognuno dei tre gruppi di membri della Corte rispettivamente nominati dal Presidente della Repubblica, dal Parlamento riunito in seduta comune e dal Consiglio superiore della Magistratura.

«Alla sostituzione dei giudici cessati dall’ufficio si procede con lo stesso sistema di nomina di cui al primo comma del presente articolo».

Pregherei l’onorevole Ruini di esprimere il parere del Comitato su questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho potuto riunire il Comitato e promuovere il suo parere, perché l’emendamento è stato presentato proprio ora.

Come opinione personale mia, dopo qualche scambio di idee che ho avuto, osservo che lo scopo di dare una certa continuità e durata alla Corte costituzionale era raggiunta nel senso che nel testo da noi accettato non si stabiliva un periodo molto lungo per la carica (sette anni), ma non si vietava la rieleggibilità, così che chi avesse fatto buona prova poteva essere confermato senza limite di tempo.

Ora si vuole prendere la via di una maggior durata (si parla di dodici anni), ma con rinnovazione periodica per estrazione a sorte. Non so se lo scopo sia raggiunto meglio in questo modo, più complicato e meccanico dell’altro.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Desidererei dalla Commissione un chiarimento su questo punto. Nella formula proposta dalla Commissione, a proposito delle categorie entro le quali devono essere scelti i componenti della Corte delle garanzie, non è specificato se quest’obbligo di stare entro i limiti delle categorie si estenda anche al Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a dare il chiarimento richiesto dall’onorevole Targetti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Posso dichiarare all’onorevole Targetti che il senso dell’emendamento accettato dal Comitato è questo: che le categorie sono stabilite per tutti, da qualunque fonte venga l’elezione. E ciò per assicurare in tutti le condizioni di competenza.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Devo confessare che io ed altri colleghi avevamo dato un’altra interpretazione; ma se questa è l’interpretazione – diciamo così – autentica della Commissione, allora noi vorremmo avere la possibilità, nonostante quello che ha dichiarato il nostro Presidente, di dare modo all’Assemblea di entrare in un ordine di idee diverso, vorremmo cioè presentare un emendamento che dica: «eletti dal Parlamento». Alle parole: «I membri della Corte costituzionale» aggiungere: «eletti dal Parlamento», e poi «debbono appartenere alle categorie, ecc.», in modo che l’Assemblea possa decidere se il Presidente della Repubblica deve avere una così limitata libertà di scelta. Dico subito che questa limitazione mi sembra inopportuna, perché (senza fare esempi, ma la possibilità di farne è manifesta) possono darsi casi in cui personalità della politica, od uomini eminenti in altri campi, siano indicati, per molte e molte qualità, a ricoprire quest’alto ufficio e non siano avvocati né professori di diritto.

È tanto vero che ciò può accadere, che può bastare guardarsi intorno per averne la conferma. Vedete, egregi colleghi, in questo momento passa davanti al mio banco l’onorevole Micheli. Chi potrebbe negargli le qualità per essere eletto alla Corte delle garanzie: eppure non sarebbe eleggibile! (Commenti).

PRESIDENTE. Sta bene. In analogia a quanto si è fatto per l’emendamento presentato dall’onorevole Ambrosini, ritengo che possiamo accogliere anche quello presentato in questo momento dall’onorevole Targetti. Allora, passiamo alla votazione dell’articolo 127 sul testo base presentato dagli onorevoli Conti, Monticelli, Leone Giovanni, Bettiol, Cassiani, Rossi Paolo, Avanzini, accettato dalla Commissione:

«Sostituirlo col seguente:

«La Corte costituzionale è composta di 15 membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dalle supreme Magistrature dell’ordine giudiziario e amministrativo.

«I membri della Corte costituzionale debbono appartenere alle seguenti categorie: magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori dell’ordine giudiziario e amministrativo; professori universitari di ruolo in materie giuridiche; avvocati dopo venti anni di esercizio, che con la loro nomina cessano di essere iscritti nell’albo professionale.

«La Corte elegge il presidente fra i suoi componenti.

«Il Presidente e i giudici durano in carica sette anni.

«L’ufficio di presidente o giudice della Corte costituzionale è incompatibile con quello di membro del Parlamento e dei Consigli regionali e con ogni carica od ufficio indicati dalla legge».

Al primo comma di questo articolo vi sono i seguenti emendamenti, già svolti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«I giudici della Corte sono nominati per un terzo dalla Camera dei deputati, per un terzo dal Senato e per un terzo dalle Assemblee regionali.

«Laconi, Molinelli, Landi, Nobile, Mattei Teresa, Montalbano, Barontini Ilio, Platone, Musolino, Boldrini, Noce Teresa, Rossi Maria Maddalena, Ricci Giuseppe, Togliatti, Bosi, Magnani».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica nomina un terzo dei componenti della Corte. Gli altri due terzi sono nominati per metà dalla Camera dei deputati e per metà dal Senato della Repubblica.

«Targetti».

È chiaro che ha precedenza nella votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Laconi. Su questa votazione è stato chiesto l’appello nominale dall’onorevole Laconi e da altri.

Faccio presente ai presentatori che questa richiesta può ritardare i nostri lavori.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei precisare, non c’è nessuna intenzione di ritardare i lavori dell’Assemblea; però la questione è di un interesse politico tale che non è possibile rinunziare alla richiesta di appello nominale.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Mentre in un primo momento ritenevo opportuno dare voto favorevole alla proposta, in base alla quale le Assemblee regionali dovrebbero contribuire alla nomina dei componenti la Corte costituzionale, in un secondo momento ho deciso di non votare questa proposta, in quanto mi sembra più opportuna quella contenuta nell’emendamento Perassi, che consente meglio alle Regioni di avere una propria voce nel seno della Corte costituzionale.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, in conformità di quanto è stato osservato nella precedente discussione, dichiaro, anche a nome dei miei colleghi di Gruppo, che noi voteremo per l’emendamento Conti, fatto proprio dalla Commissione, come quello che ci sembra rappresentare più equilibratamente ed armonicamente l’afflusso proporzionale dei vari poteri dello Stato nella composizione della sovrastante Corte costituzionale, contemperando così l’esigenza politica con quella tecnica per la formazione del Supremo organo giurisdizionale.

Voteremo contro, di conseguenza, gli emendamenti Targetti e Laconi, oggi proposti.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. L’altra sera ebbi occasione di richiamare l’attenzione, soprattutto dell’onorevole Laconi, sull’emendamento presentato dall’onorevole Perassi. Volevo chiedere all’onorevole Laconi se conosce l’emendamento presentato dall’onorevole Perassi, che concilierebbe il nostro pensiero ed il suo per tutelare i diritti e gli interessi delle Regioni, ed invito, pertanto, l’onorevole Laconi a ritirare il suo emendamento per ripiegare su quello dell’onorevole Perassi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il mio emendamento tende a sodisfare due esigenze: una è certamente quella di dare voce alle regioni; l’altra esigenza è che la composizione della Corte sia una composizione democratica. Ora, l’emendamento dell’onorevole Perassi aggiunge soltanto certe appendici regionali, ma non muta la composizione della Corte. Quindi, credo di non poter accedere alla proposta Perassi e mantengo pertanto il mio emendamento.

CANEVARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEVARI. A nome del mio Gruppo dichiaro che voteremo contro l’emendamento Laconi, perché voteremo a favore dell’emendamento Targetti. E vorrei cogliere l’occasione per pregare l’onorevole Laconi di non insistere sulla votazione per appello nominale, visto che dopo le dichiarazioni di voto espresse dai diversi gruppi, il suo emendamento presumibilmente non è destinato ad essere approvato.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io vedo nell’emendamento Laconi la buona volontà di creare un istituto democratico, ed in questo senso, esso merita tutta la nostra deferenza ed attenzione. D’altro canto, esaminando l’ultima parte del suo emendamento, è chiaro che i rappresentanti delle Regioni meno numerose, come gran parte del Mezzogiorno e del centro d’Italia, si troverebbero menomati, perché verrebbero a perdere quella rappresentanza che invece in altri emendamenti essi hanno. Pertanto, essendo la questione così importante, è chiaro che non possiamo vedere in questo emendamento lo stesso spirito democratico degli altri emendamenti. Noi voteremo pertanto contro e, quindi, l’onorevole Laconi e gli altri compagni farebbero opera serena se ritirassero la richiesta di appello nominale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Per fare piacere all’onorevole Lussu ritiro la richiesta di appello nominale.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Desidero dichiarare che anche i deputati liberali voteranno contro l’emendamento Laconi. Il voler ravvisare nella Corte costituzionale un contenuto politico tale per cui essa, per la sua formazione, per la sua composizione e per il suo funzionamento, debba essere un organo politico, è a parere nostro estremamente pericoloso.

Nella Corte costituzionale occorre piuttosto ravvisare un organo prevalentemente giurisdizionale. È chiaro che avrà un contenuto politico l’attività di questo organo giurisdizionale, poiché esso dovrà interpretare e le leggi e la Costituzione, però questo contenuto politico dovrà essere limitato quanto più è possibile. Tale limitazione (limitazione indispensabile perché la Corte costituzionale sia una effettiva garanzia) possiamo raggiungerla solo circondando e la formazione e la composizione e il funzionamento della Corte di determinate cautele. Per ciò che riguarda la formazione della Corte noi ravvisiamo queste cautele in quanto è disposto nel primo comma dell’emendamento Conti, Monticelli, Leone Giovanni ed altri, fatto proprio dalla Commissione, che per altro esattamente coincide con un mio emendamento, al quale noi restiamo fedeli.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Laconi:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«I giudici della Corte sono nominati per un terzo dalla Camera dei deputati, per un terzo dal Senato e per un terzo dalle Assemblee regionali».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento Targetti, del seguente tenore:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica nomina un terzo dei componenti della Corte. Gli altri due terzi sono nominati per metà dalla Camera dei deputati e per metà dal Senato della Repubblica».

Su questo emendamento è stata chiesta la votazione per appello nominale dall’onorevole Moro e altri. È stata anche chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Targetti, Bettinelli, Nobili Tito Oro, Zappelli, Mancini, Tega, Nobile, Laconi, Pastore Raffaele, Landi, Saccenti, Musolino, Tonello, Silipo e altri.

Procediamo, pertanto, alla votazione segreta.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     305

Maggioranza           153

Voti favorevoli        144

Voti contrari                        161

(L’Assemblea non approva)

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Azzi.

Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Barontini Anelito – Bartalini – Bazoli – Bei Adele – Beilato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bucci – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Fiorentino – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Magnani – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Marinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montemartini – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Pollastrini Elettra – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini.

Saccenti – Salerno – Sampietro – Sansone – Sardiello – Scalfaro – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spataro – Stella.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Veroni – Vicentini – Vigo – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Cavallari.

De Vita – Dugoni.

Ghidini – Gui.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan – Rubilli.

Vanoni – Varvaro – Viale.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 127 nel testo della Commissione:

«La Corte costituzionale è composta di quindici membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dalle supreme Magistrature dell’ordine giudiziario e amministrativo».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo al secondo comma:

«I membri della Corte costituzionale debbono appartenere alle seguenti categorie: magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori dell’ordine giudiziario e amministrativo; professori universitari di ruolo in materie giuridiche; avvocati dopo venti anni di esercizio, che con la loro nomina cessano di essere iscritti nell’albo professionale».

L’onorevole Targetti ha proposto di aggiungere, dopo le parole: «della Corte costituzionale» le altre: «eletti dal Parlamento».

A tenore di questo emendamento la scelta in queste categorie è obbligatoria soltanto per quella parte della Corte costituzionale che deve essere eletta dal Parlamento, e non rappresenta, invece, un vincolo per quella parte che deve essere nominata dal Presidente della Repubblica e, evidentemente, neppure per quella nominata dalla Magistratura.

Pertanto il testo nella formulazione proposta dall’onorevole Targetti sarebbe il seguente:

«I membri della Corte costituzionale eletti dal Parlamento debbono appartenere alle seguenti categorie:».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Pongo un quesito: coloro che desiderano votare contro le categorie in senso assoluto, ma che voterebbero subordinatamente la proposta dell’onorevole Targetti, come possono regolarsi?

PRESIDENTE. Mi pare intanto che ci sia un mezzo molto semplice, per quanto un po’ noioso, perché impegna a numerose votazioni: chiedere che si voti per divisione e votare contro in tutte le votazioni.

LACONI. La mia domanda, signor Presidente, conteneva implicitamente una richiesta: non potrebbe, cioè, mettere in votazione l’emendamento soppressivo prima di quello Targetti?

PRESIDENTE. Non è possibile, onorevole Laconi, anzitutto perché sappiamo, dagli emendamenti presentati, che fra coloro i quali votano per le categorie c’è diversità, perché alcuni vogliono che le categorie valgano per tutti i tre terzi, dei membri della Corte costituzionale, altri che valgano soltanto per un terzo. E, questi ultimi colleghi, che hanno presentato un emendamento apposito, hanno diritto di farlo valere.

Presenti un emendamento, onorevole Laconi, che dica esplicitamente:

«I membri della Corte costituzionale non sono vincolati all’appartenenza ad alcuna categoria».

È un emendamento positivo che si può mettere in votazione; mentre non si può mettere in votazione un emendamento soppressivo del comma.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto di parlare per questa ragione: il mio emendamento tendeva a lasciare libertà di scelta al solo Presidente della Repubblica. Ma, dato il risultato della votazione testé avvenuta, l’emendamento resterebbe collocato in modo da dare libertà di scelta anche al Consiglio Superiore della Magistratura; e di questo non vi sarebbe proprio ragione.

Quindi, se c’è modo di limitare questa libertà di scelta al Presidente della Repubblica, insisto nel mio emendamento: se, invece, l’articolo venisse ormai congegnato in modo da estendere questa facoltà anche al Consiglio Superiore della Magistratura, dovrei ritirarlo, giacché l’Assemblea deve convenire che questa libertà di scelta al Consiglio Superiore della Magistratura non avrebbe quelle giustificazioni che valgono per il Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Non è difficile presentare una formula che esprima questa sua opinione: che questo vincolo non valga per il Presidente della Repubblica. Rediga un emendamento in tal senso.

TARGETTI. Basta che mi dia facoltà di presentare una nuova formula.

PRESIDENTE. Siamo sempre pronti ad accettare emendamenti.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei ancora proporre, se è possibile, che si proceda alla votazione di questo comma secondo un criterio di divisione logica; cioè si votino le categorie singolarmente per ciascuno dei tre gruppi, in modo che sia possibile votare pro o contro le categorie, in riferimento ai diversi gruppi.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la. Costituzione. Mi pare che potremmo ottenere chiarezza di votazione con questo sistema. La proposta del Presidente dell’Assemblea mi pare giusta. Si può partire dalla formula più radicale e generale dell’onorevole Laconi, che per nessuno dei tre gruppi di eletti (dal Presidente della Repubblica, dal Parlamento, dai magistrati) è richiesto nessun requisito, nessuna appartenenza a date categorie. Viene poi la posizione dell’onorevole Targetti, per la quale soltanto il Presidente della Repubblica può, nella sua nomina, prescindere da ogni categoria; cioè «tranne per i membri eletti dal Presidente della Repubblica, gli altri membri devono appartenere alle seguenti categorie». Tali sono le configurazioni logiche dei due concetti, salvo la loro più opportuna formulazione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Proporrei di dire: «i membri della Corte costituzionale nominati dal Parlamento e dal Consiglio Superiore della Magistratura devono appartenere alle seguenti categorie».

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, mi precisi meglio la sua ultima richiesta. Lei ha chiesto la votazione per divisione. Questa richiesta si riferisce solo alle tre categorie qui indicate, oppure lei chiede che per ognuno dei terzi che costituiscono la Corte costituzionale si debba votare sulle tre categorie dalle quali dovrebbero essere scelti?

LACONI. Penso che l’essenziale sia stabilito sul primo punto se si fa una condizione diversa per gli appartenenti a ciascuno dei tre gruppi o se si fa la stessa condizione a tutti i giudici della Corte costituzionale. Risolto questo, si può passare alle tre categorie.

PRESIDENTE. Successivamente c’è la proposta dell’onorevole Targetti, così riassunta attraverso le parole dell’onorevole Ruini: «tranne che per i membri nominati dal Presidente della Repubblica, i membri della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie».

Date le tendenze manifestatesi nell’Assemblea penso che non sia necessario seguire la successione logica alla quale l’onorevole Laconi si richiama. Pertanto, propongo di procedere soltanto a queste tre votazioni:

1°) Esclusione generale di categorie per tutti i membri;

2°) Esclusione dei membri nominati dal Presidente della Repubblica;

3°) Categorie per tutti i membri che devono essere nominati.

Attraverso queste tre votazioni si possono manifestare le singole opinioni.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Chiedo che si ponga in votazione distintamente l’appartenenza alle categorie anche per i membri designati dalle Camere, non soltanto per i membri nominati dal Presidente della Repubblica.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi sembra che il Presidente abbia posto chiaramente la questione.

Dobbiamo prima votare il principio che non c’è categoria per nessuno dei tre gruppi. Nella logica si deve votare prima la proposta dell’onorevole Laconi.

TARGETTI. Propongo la seguente formulazione:

«Tranne che per quelli eletti dal Presidente della Repubblica, i membri debbono appartenere, ecc.».

PRESIDENTE. Credo che si possa votare sui seguenti punti:

1°) Scelta dei membri della Corte costituzionale non vincolata alla loro appartenenza ad alcune categorie;

2°) (formula Targetti): Tranne che per quelli nominati dal Presidente della Repubblica, i membri della Corte costituzionale devono appartenere a certe categorie;

3°) Categorie cui debbono appartenere tutti i membri della Corte.

Porrò in votazione il principio a tenore del quale nessuno dei membri della Corte costituzionale deve obbligatoriamente appartenere ad una determinata categoria.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro a nome del mio Gruppo che voteremo contro le proposte che lasciano libera scelta per quanto riguarda la qualità dei giudici della Corte costituzionale, perché pensiamo che la limitazione ad alcune categorie serva per dare all’Alta Corte prestigio, serietà ed imparzialità.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente formulazione che, come ha già detto l’onorevole Ruini, sarà destinata ad essere inserita nel testo dell’articolo o ad esserne esclusa a seconda della formulazione finale dell’articolo, salvo il merito della votazione stessa:

«La scelta dei membri della Corte costituzionale non è vincolata all’appartenenza ad alcuna categoria».

(Dopo prova e controprova non è approvata).

Passiamo alla seconda formula:

«Tranne che per i membri nominati dal Presidente della Repubblica, i membri della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie».

Questa formulazione significa che per i membri della Corte costituzionale che devono essere eletti dal Parlamento o nominati dalle supreme Magistrature v’è l’obbligo dell’appartenenza a determinate categorie. Quindi, resterebbe un terzo libero, quello nominato dal Presidente della Repubblica.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi sembra che si potrebbero mettere in votazione separatamente le eccezioni al principio dell’appartenenza a determinate categorie.

PRESIDENTE. Ritengo che col sistema di votazioni adottato non si pregiudichi alcuna tesi.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Dichiaro che voterò contro questo emendamento, in quanto ritengo che tutti i membri dell’Alta Corte costituzionale devono essere scelti tra le categorie che hanno una sicura competenza tecnica oltreché politica. Si tratta della più alta Magistratura della Repubblica. Nemmeno la scelta del Presidente della Repubblica può essere del tutto libera in questa materia. È essenziale, perché l’Alta Corte possa agire rispondendo alle ragioni per le quali fu creata, che sia costituita da elementi tecnicamente competenti. Dalle categorie indicate dalla legge costituzionale potranno essere tratti elementi che alla competenza tecnica uniscano la necessaria esperienza politica.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente formulazione:

«Tranne che per i membri nominati dal Presidente della Repubblica, i membri della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie».

(Non è approvata).

Passiamo alla formulazione successiva:

«I membri della Corte costituzionale eletti dal Parlamento devono appartenere alle seguenti categorie».

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Abbiamo votato adesso negativamente sulla proposta che la scelta del Presidente della Repubblica possa avvenire fuori delle categorie.

Perciò abbiamo votato che anche i membri eletti dal Presidente della Repubblica devono appartenere a determinate categorie.

Votando adesso la formula proposta dal Presidente, cioè che solo i membri eletti dal Parlamento appartengano a determinate categorie, verremo ad escludere quello che abbiamo già votato, cioè che i membri eletti dal Presidente devano anche essi appartenere a determinate categorie. Credo che la votazione non possa farsi in questo modo.

PRESIDENTE. La sua osservazione è giusta. Pongo in votazione la formulazione seguente:

«Tranne che i membri eletti dal Parlamento, i componenti della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie».

(Non è approvata).

Pongo ora in votazione la formula proposta dalla Commissione:

«I membri della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie».

Se nessuno chiede che sulle categorie si voti per divisione, potremo votare tutto il comma, indicando anche le categorie.

PERSICO. Chiedo di parlare.

RESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Se non si vota per divisione, propongo che alle parole «professori di ruolo» siano sostituite le parole «professori universitari ordinari» perché professori di ruolo sono anche gli incaricati.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato aveva in un primo tempo, nell’accettare l’emendamento Conti, posto che il professore doveva essere ordinario. Presentata una nuova proposta io ed alcuni colleghi non saremmo personalmente contrari ad ammettere tutti i professori che danno sufficiente garanzia di competenza.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Ricordo che su questo emendamento io ebbi già a parlare come relatore di turno; nel testo allora letto si era adottata la stessa formula usata anche per il Consiglio Superiore della Magistratura, cioè «professori ordinari di materie giuridiche». Dicendosi «professori di ruolo» si introduce una modifica, che, a mio avviso, non sembra conveniente.

La categoria dei professori di ruolo comprende, infatti, gli straordinari e gli ordinari. Ora, il professore straordinario, secondo la legge attuale, è nominato in prova; dopo tre anni è sottoposto ad un giudizio, in seguito al quale, se favorevole, egli diventa professore titolare definitivo.

A me pare non sia opportuno che in una Corte Suprema segga un membro, il quale si trovi nella situazione giuridica di un professore in prova che deve sottostare ad un giudizio di conferma.

Aggiungo un’altra considerazione: nel testo definitivo dell’emendamento viene limitata la scelta dei magistrati a quelli delle giurisdizioni superiori, il che significa dire, per lo meno, da Consigliere di Corte d’appello in su, e per gli avvocati si esigono venti anni di esercizio. Ora mi pare che per ragioni di coerenza e di eguaglianza di trattamento non sia il caso di concedere ai professori universitari un trattamento così diverso dagli altri, includendovi anche i professori straordinari, che possono essere valorosi, ma anche giovanissimi. Per questo è meglio attenersi al testo che la Commissione aveva originariamente proposto: «professori ordinari».

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del secondo comma:

«I membri della Corte costituzionale devono appartenere alle seguenti categorie: magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori dell’ordine giudiziario o amministrativo».

(È approvata).

Passiamo alla votazione della seconda categoria con l’emendamento dell’onorevole Persico:

«Professori universitari ordinari di materie giuridiche».

NOBILE. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Voterò l’emendamento dell’onorevole Persico per questa considerazione: che mentre nel testo della Commissione vi sono limitazioni per i magistrati e per gli avvocati, non ve ne è nessuna per i professori di ruolo, sicché anche un professore straordinario, appena nominato, potrebbe essere eletto membro dell’Alta Corte. Dato che non vedo il perché di una tale eccezione, dichiaro che voterò a favore dell’emendamento Persico, il quale, almeno in parte, vale ad eliminarla.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il testo con l’emendamento dell’onorevole Persico.

«Professori universitari ordinari in materie giuridiche».

(È approvato).

Pongo in votazione l’altra categoria:

«Avvocati dopo venti anni di esercizio che con la loro nomina cessano di essere iscritti nell’albo professionale».

(È approvata).

Pongo in votazione il terzo comma:

«La Corte elegge il presidente fra i suoi componenti».

(È approvato).

Il quarto comma nel testo formulato dalla Commissione dice:

«Il Presidente e i giudici durano in carica sette anni».

L’onorevole Gullo Fausto propone di sostituire alla parola: «giudici», la parola: «componenti».

Quale è il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho difficoltà che si voti ora su questa espressione, salvo poi riesaminare e scegliere il termine migliore in sede di coordinamento.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Secondo l’emendamento accettato dalla Commissione i giudici durano in carica sette anni, mentre faccio osservare che con il nostro emendamento tale durata è portata a 12 anni.

PRESIDENTE. Per adesso, onorevole Ambrosini, voteremo sull’emendamento Gullo Fausto, inteso a sostituire al termine «giudici» il termine «componenti».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Propongo di aggiungere dopo le parole «i componenti», le parole «della Corte».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Si potrebbe voltare prima il Presidente e poi i membri, perché nella formulazione attuale pare che il Presidente duri in carica per nove anni in quanto tale, cioè in quanto Presidente.

PRESIDENTE. Non so quale risultato si raggiunge, se non si propone un emendamento che indichi un rinnovamento dei membri ad epoche diverse di quello del Presidente.

LACONI. Io desidero votare perché il Presidente duri in carica nove anni in quanto membro, non in quanto Presidente.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si potrebbe votare sopprimendo «Presidente» e dicendo «i componenti della Corte» oppure «i membri della Corte».

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Secondo me è preferibile usare la parola «giudici», che sottolinea il carattere giurisdizionale della Corte.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente formulazione:

«I membri (salvo a decidere poi se si dovrà dire, invece «componenti» o «giudici») della Corte durano in carica…» senza citazione specifica del Presidente, dato che l’onorevole Laconi ha posto in evidenza che il Presidente, da questo punto di vista, non è che un semplice membro dell’Alta Corte, e, quindi, non è necessario fare distinzioni.

(È approvata).

Pongo in votazione la proposta Gullo di sostituire alla parola: «membri», l’altra: «componenti».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione la proposta di sostituire alla parola: «membri», l’altra: «giudici».

(È approvata).

Ed ora passiamo al termine di durata che la Commissione propone di sette anni.

L’onorevole Martino Gaetano ha proposto nove anni, ma è assente.

CANDELA. Faccio mia questa proposta.

PRESIDENTE. Vi è anche l’emendamento dell’onorevole Ambrosini, del seguente tenore:

«I giudici durano in carica dodici (o nove) anni e sono rinnovabili per un terzo ogni quattro (o tre) anni.

«La rinnovazione avverrà per estrazione a sorte nell’ambito di ognuno dei tre gruppi di membri della Corte, rispettivamente nominati dal Presidente della Repubblica e dal Parlamento riunito in seduta comune e dal Consiglio Superiore della Magistratura.

«Alla sostituzione dei giudici cessati dall’ufficio si procede con lo stesso sistema di nomina, di cui al primo comma del presente articolo».

Chiedo all’onorevole Ambrosini se intenda di lasciare tuttora indeterminata la durata della carica o se creda invece di determinarla.

AMBROSINI. Mi permetto di rilevare l’opportunità di scegliere il termine di dodici anni, specialmente ove si tenga presente la prima parte del mio emendamento in relazione con la seconda. Noi crediamo, infatti, che si debba assicurare una stabilità ed una continuità nel lavoro di questa Corte, la quale deve affrontare le questioni fondamentali per la vita delle istituzioni.

D’altra parte, ci rendiamo conto che è opportuno che la Corte sia periodicamente rinnovata, perché eventuali nuove correnti della coscienza nazionale possano recare ad essa ed avere in essa il loro peso. È per questa ragione che noi proponiamo il rinnovamento parziale dopo tre o quattro anni, a seconda della prevalenza del termine di nove o di dodici anni; termine di dodici anni che raccomando all’Assemblea.

Si otterranno in tal modo due scopi: in primo luogo la continuità del lavoro della Corte e conseguentemente, quindi, la stabilità della giurisprudenza; in secondo luogo, si otterrà quell’avvicinamento della Corte stessa alle correnti della coscienza pubblica che nel frattempo siano mutate nel Paese, cui poco anzi accennavo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a pronunciarsi al riguardo a nome della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sulla durata in carica dei membri della Corte costituzionale furono affacciate, nei nostri lavori, diverse idee. Si parlò anche di una nomina vitalizia, secondo l’esempio che vi è in vari Stati, ad esempio negli Stati Uniti d’America. La Commissione si pronunciò originariamente per la durata di nove anni. Qui in Assemblea si propone sette anni.

Penso, comunque, che la proposta dell’onorevole Ambrosini sia subordinata alla deliberazione che noi prenderemo circa il sistema del rinnovamento parziale. Sarebbe pur logico votare prima su tale punto.

PRESIDENTE. Onorevole Ambrosini, accede al criterio che si ponga in votazione il suo emendamento dopo che si sarà votato intorno alla questione del rinnovamento parziale?

AMBROSINI. Vi accedo, onorevole Presidente.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Vorrei sapere se nel rinnovamento parziale è compreso anche il Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, è evidente: anche egli è compreso nel numero dei membri.

BUBBIO. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Desidererei sapere se, dato che la scelta dei membri di questa Corte è fatta da tre fonti, la rinnovazione avverrà nel coacervo, oppure in rapporto a ciascuna fonte distinta?

PRESIDENTE. Mi sembra che ciò risulti ben chiaro dal testo dell’emendamento dell’onorevole Ambrosini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dovremo decidere prima il principio del rinnovamento parziale e periodico, e del sorteggio, che avrà luogo una prima volta, e poi per un certo tempo non occorrerà più, finché non sia compiuto il ciclo di rinnovamento per quelli rimasti in carica. La forma dell’articolo dovrà essere modificata in tal senso.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Il Presidente ha messo in rilievo che anche il Presidente della Corte costituzionale è fra i membri che possono essere sorteggiati.

In questo caso dovremmo preoccuparci di un’altra questione: cioè, se sono rieleggibili o no. Perché, se non fossero rieleggibili, sarebbe molto curioso che il Presidente dovesse decadere dopo soli tre o quattro anni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’è niente di male. Viene colpito come gli altri.

CEVOLOTTO. Mi pare che la questione della rieleggibilità dovrebbe essere posta prima.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuole esprimere il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La questione della rieleggibilità mi pare distinta da quella posta dall’onorevole Cevolotto. Il divieto di rieleggibilità non vi è nell’emendamento dell’onorevole Ambrosini, e sembrerebbe opportuno che non vi sia. Il sistema del rinnovamento consente di non cristallizzare la composizione della Corte; ed alle parziali scadenze si potranno far valere le nuove correnti, di cui parla l’onorevole Ambrosini; ma è meglio che nulla vieti di rieleggere chi si è mostrato degno e capace, ed ha la fiducia anche delle nuove correnti.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Se non erro, i membri dovrebbero essere quindici: cinque, per ogni categoria. Mi domando come sarà possibile procedere ad un rinnovamento parziale, dato che è impossibile dividere la cifra in parti uguali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ricordo all’Assemblea che il numero dei membri della Corte costituzionale non l’abbiamo ancora stabilito. Ci siamo riservati di stabilirlo in seguito.

PRESIDENTE. No, permetta, onorevole Ruini, abbiamo già votato il primo comma del testo della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo scusa se non avevo avvertito che abbiamo già votato il numero di quindici. In una seduta, nella quale, per un’indisposizione, non ci presiedeva l’onorevole Terracini e presiedeva invece l’onorevole Conti, quando venne la questione del numero, si decise di rinviarla a quando si fosse esaminato tutto l’insieme dell’articolo. Quindi, supponevo che nel primo comma fosse stata sospesa l’indicazione del numero. Invece si è stabilito, senza che io l’avvertissi, il numero di quindici. Sarebbe stato meglio tenere in sospeso la indicazione del numero perché, col sistema del rinnovamento periodico, d’un terzo o d’un quarto ogni tanti anni, bisogna che il numero dei giudici di ogni gruppo (eletti dal Presidente della Repubblica, dal Parlamento, dai magistrati) sia divisibile per tre o per quattro. Se il numero dei giudici in complesso è quindici, e la rinnovazione avviene per un terzo, avremo difficoltà; occorrerebbe che il numero complessivo, fosse ad esempio, diciotto.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Credo che sia molto utile la proposta che sto per fare. Riferendomi a quanto diceva testé il Presidente della Commissione, a me pare che non si possa tornare sopra alle deliberazione già prese circa il numero dei membri; ma d’altra parte si può ovviare all’inconveniente fatto presente, rinnovando per un quinto e non già per un terzo.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di dirmi a quale delle due dichiarazioni la Commissione si attiene. Quando ho dato lettura – all’inizio della seduta – dell’emendamento Ambrosini, la Commissione ha dichiarato di non accettarlo. Ora ho l’impressione, dalle ultime dichiarazioni dell’onorevole Ruini, che la Commissione abbia cambiato parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione, non essendosi potuta riunire perché la proposta è stata avanzata in principio di seduta, non può che mantenere il suo testo. Le mie osservazioni sono subordinate alla possibilità che l’emendamento dell’onorevole Ambrosini sia accolto, perché allora sorgerebbe la difficoltà che occorre far presente.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Ritengo che la difficoltà accennata dal Presidente della Commissione dei Settantacinque possa essere superata in questo senso. Noi riteniamo che sia sufficiente il numero di quindici giudici e forse non conviene eccedere nel numero per ragioni burocratiche che sono intuitive.

In rapporto all’estrazione a sorte, basterebbe rinnovare la prima volta due consiglieri su cinque, la seconda volta lo stesso, la terza uno su cinque.

PRESIDENTE. Per fare accogliere nei limiti del possibile la richiesta dell’onorevole Cevolotto e di altri colleghi, penso che l’onorevole Ambrosini non si opponga a che il primo comma del suo emendamento sia modificato. Il suo testo dice:

«I giudici durano in carica dodici (o nove) anni e sono rinnovabili per un terzo ogni quattro (o tre) anni».

Si potrebbe invece dire:

«I giudici sono rinnovabili per un terzo ogni tre (o quattro) anni e durano in carica nove (o dodici) anni».

In questa maniera viene sodisfatta la richiesta di conoscere prima il termine del rinnovamento e se questo rinnovamento è periodico, per stabilire successivamente in correlazione il termine di durata della carica.

AMBROSINI. Accetto senz’altro, perché il principio, che mi pare sia necessario ed opportuno affermare, è quello della rinnovabilità.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che la difficoltà del terzo sussista, perché se sono quindici e cioè cinque per ogni gruppo, come si fa a fare il terzo di cinque? Se non si vuol modificare la cifra di giudici, si spiega la proposta Nobile di rinnovazione del quinto.

PRESIDENTE. Rinnovabili, allora, per un quinto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le improvvisazioni non sono facili, specialmente in un Comitato di redazione, quale vorrebbe essere un’Assemblea di 500 membri. Se mettiamo rinnovazione d’un quinto, occorrerebbe uno spazio di tempo non breve per completare il ciclo di rinnovamento.

Una voce. Dieci anni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La rinnovazione ogni due anni può sembrare eccessiva, e non in armonia coi criteri di durevolezza.

CANEVARI. Rinunziamo a questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non si può improvvisare. La rinnovazione offrirebbe meno inconvenienti se avvenisse ogni tre anni. Vediamo ad ogni modo di trovare una buona via.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Se c’è questa titubanza riguardo la modalità concreta di applicazione del principio della rinnovabilità, potremmo affermare il principio: «rinnovabili secondo le norme stabilite dalla legge». Una legge sarà necessaria per il regolamento della Corte ed allora questa, che è una particolarità di applicazione, potremo demandarla al futuro legislatore.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Richiamo l’onorevole Ambrosini all’avvertimento che gli è venuto dal suo collega Fuschini e che era prima condiviso dalla sua parte, che, in principio, proponeva la nomina a vita.

Non potendo aver questo, sembra che, per prolungare il termine della durata in carica, ad esempio a dodici anni, si sia pensato al rinnovamento parziale e periodico; ma ciò presenta inconvenienti, che non si possono nascondere. La garanzia di continuità e durevolezza potrebbe meglio raggiungersi con la durata di nove anni senza rinnovamenti e sorteggi, ammettendo d’altra parte la rieleggibilità.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Sono completamente di accordo. L’interessante è affermare nella Costituzione il principio della rinnovabilità. Data la ristrettezza del tempo che ci resta per compiere i nostri lavori (che debbono assolutamente concludersi subito) possiamo rimandare alla legge il disciplinamento completo dell’applicazione del principio.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io voterò contro l’emendamento, perché il rinviare alla legge la risoluzione delle difficoltà che abbiamo constatato e riconosciuto non le attenua, anzi non fa che dissimulare queste difficoltà, che ci sono e rimarranno. Per superarle, il meglio è non votare questa formula. Anche per dare alla Corte costituzionale, dopo la prima nomina, un sufficiente periodo di tempo per organizzarsi e orientare la propria giurisprudenza.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente, formula:

«I giudici sono rinnovabili secondo le norme che saranno stabilite dalla legge».

(È approvata).

Ora si tratta di stabilire il termine di durata in carica.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Dato che l’Assemblea ha ritenuto di rinviare alla legge la rinnovabilità o meglio la disciplina per la rinnovabilità, sarebbe opportuno rinviare alla legge anche la fissazione della durata della carica, perché le due questioni sono intimamente legate. Non si può decidere su una e rinviare la decisione dell’altra. Io penso sia opportuno e prudente rinviare alla legge entrambe le questioni.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Siamo contrari alla proposta dell’onorevole Gullo, perché riteniamo che sia indispensabile fissare già nella Costituzione il termine di durata dell’ufficio dei giudici della Corte costituzionale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. A questo punto è assolutamente indispensabile che non si fissi la durata. Altrimenti cade la proposta dell’onorevole Ambrosini. È evidente che introducendo un rinnovamento parziale ci sarà un certo numero di giudici che durano di meno. Quando stabiliamo disposizioni tassative per cui i giudici devono durare dodici o nove anni, togliamo la possibilità alla legge di domani di stabilire che due terzi dei primi giudici dureranno per un periodo minore. O noi prevediamo interamente il sistema nella Costituzione, o non possiamo prevedere la durata: perché impediamo che la proposta Ambrosini venga domani attuata dalla legge.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Gullo, secondo la quale si rimette alla legge anche l’indicazione della durata in carica dei giudici della Corte costituzionale.

(Non è approvata).

Passiamo alla proposta dell’onorevole Ambrosini: «I giudici durano in carica dodici anni».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio far presente che, col sorteggio subito dopo tre anni, è minata la continuità proprio nel periodo iniziale di esperimento della Corte, in cui non occorrerebbe che intervenisse il sorteggio.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. L’onorevole Ruini ha, sia pure tardivamente, apprezzato l’osservazione nostra di poco fa. A me pare che nella sua dichiarazione sia contenuta la proposta di aggiungere: «hanno una durata massima di dodici anni». Ma se non si dice, si esclude che abbiano una durata inferiore; e quindi si esclude la proposta Ambrosini.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, mi pare che lei confonda la questione. Si potrà al massimo dire che, se la legge stabilirà che la prima o la seconda rinnovazione avvengano per estrazione, allora è certo che un dato numero di giudici nella prima tornata non resterà in carica dodici anni; ma, quando il meccanismo si sarà messo in moto, tutti i giudici resteranno in carica dodici anni.

Pongo in votazione la proposta Ambrosini: «I giudici durano in carica dodici anni».

(È approvata).

Decade così tutta la seconda parte dell’emendamento Ambrosini, che si riferiva al modo col quale avrebbe dovuto avvenire la rinnovazione.

Vi è adesso l’emendamento dell’onorevole Martino Gaetano a tenore del quale «i giudici non sono rieleggibili».

L’onorevole Mortati propone la formula:

«I giudici non sono immediatamente rieleggibili».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio osservare all’onorevole Martino che, se il suo emendamento aveva tutta la ragion di essere quando non si era stabilito il rinnovamento parziale, ora che questo rinnovamento è stato stabilito ed è stata introdotta la possibilità o di portare correnti nuove o di confermare quelle antiche, che avevano mostrato capacità in questo ufficio, il suo emendamento perde la sua ragion d’essere.

Credo sia opportuno non ammetterlo e lasciare la rieleggibilità, tenendo presente che la rinnovabilità adempie al compito di permettere che correnti nuove penetrino in questo istituto. Se no, vi sarebbe quasi un giudizio di incapacità per coloro che, pure essendo degni di rimanere, sarebbero nella impossibilità di essere confermati.

PRESIDENTE. Onorevole Candela, lei aveva fatto suo l’emendamento Martino?

CANDELA. Sì. È questione di consentire un avvicendamento nelle altissime funzioni.

Il Presidente della Repubblica non potrà essere rieletto; non per questo avrà il brevetto di indegnità.

In sostanza, posso accettare l’emendamento Mortati al nostro emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho parlato di indegnità. Ho detto che, stabilito il concetto della rinnovabilità parziale, veniva meno la necessità del divieto. Mi pare che sia un concetto molto chiaro e preciso.

CANDELA. La sostanza dell’emendamento è un’altra: è di impedire che in certi posti non avvenga l’avvicendamento.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. A me pare che la ragione che aveva ispirato la proposta dell’onorevole Martino Gaetano non fosse quella detta dall’onorevole Candela, di assicurare l’avvicendamento, bensì l’altra di assicurare l’indipendenza del giudice.

L’onorevole Martino si preoccupava cioè che la rieleggibilità non importasse nel giudice conformismo a quella autorità, da cui avrebbe dovuto desumere la nuova investitura. Questo problema non è stato toccato dall’onorevole Ruini. Siccome occorre da una parte soddisfare questa esigenza ed assicurare dall’altra che quelle competenze utilizzabili per il difficile compito di giudice della Corte, che in Italia non sono moltissime, non vengano definitivamente escluse da una ulteriore utilizzazione, mi pare che sia opportuno scegliere una via di mezzo ed ammettere la rieleggibilità ma non immediatamente, cioè con intervalli costituiti dai turni che la legge stabilirà per il rinnovamento parziale. Per queste ragioni mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula:

«I giudici non sono immediatamente rieleggibili».

(È approvata).

Vi sono ora due emendamenti aggiuntivi proposti dall’onorevole Nobile. Pongo in votazione il primo che è del seguente tenore:

«I membri della Corte costituzionale appartenenti ai ruoli della Magistratura non potranno esser promossi, durante il tempo in cui apparterranno alla Corte stessa, se non per diritto di anzianità».

(Non è approvato).

Il secondo emendamento dell’onorevole Nobile è del seguente tenore:

«I membri della Corte, che per un caso qualsiasi, tranne quello di rinnovo, cessassero di far parte di essa prima dello spirare del termine, verranno sostituiti da altri, da nominarsi dagli stessi corpi che avevano nominati i membri cessati».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei dar conto brevemente di questa proposta. In fondo intendevo con essa semplicemente eliminare una lacuna; infatti nulla si è stabilito di ciò che avverrà nei casi in cui un membro sia dimissionario, o venga malauguratamente a cessare di vivere. Si dovrà in tali casi provvedere alla sostituzione? Se si dovrà provvedervi bisognerà specificare in qual modo. A questo mira il mio emendamento. Mi sembra che il problema meriti di essere esaminato e risolto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Nobile.

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Pongo in votazione l’ultimo comma del testo della Commissione nella seguente definitiva formulazione:

«L’ufficio di giudice della Corte costituzionale è incompatibile con quello di membro del Parlamento o dei Consigli regionali e con ogni carica od ufficio indicati dalla legge».

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo  127-bis proposto dall’onorevole Perassi:

«Quando il giudizio avanti la Corte verte sulla costituzionalità di una legge regionale o su un conflitto di attribuzioni fra lo Stato ed una Regione, la Regione interessata ha la facoltà di designare una persona, scelta fra le categorie indicate nell’articolo precedente, per partecipare alla Corte come giudice».

(Non è approvato).

L’articolo 127 risulta, nel suo complesso, così approvato, salvo coordinamento:

«La Corte costituzionale è composta di 15 membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature dell’ordine giudiziario e amministrativo.

«I membri della Corte costituzionale debbono appartenere alle seguenti categorie: magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori dell’ordine giudiziario e amministrativo; professori universitari ordinari di materie giuridiche; avvocati dopo venti anni di esercizio, che con la loro nomina cessano di essere iscritti nell’albo professionale.

«La Corte elegge il presidente fra i suoi componenti.

«I giudici sono rinnovabili secondo le norme che saranno stabilite dalla legge; durano in carica dodici anni e non sono immediatamente rieleggibili.

«L’ufficio di giudice della Corte costituzionale è incompatibile con quello di membro del Parlamento e dei Consigli regionali e con ogni carica od ufficio indicati dalla legge».

Passiamo all’articolo 128. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Quando, nel corso di un giudizio, la questione d’incostituzionalità di una norma legislativa è rilevata d’ufficio o quando è eccepita dalle parti, ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, la questione è rimessa per la decisione alla Corte costituzionale.

«La dichiarazione d’incostituzionalità può essere promossa in via principale dal Governo, da cinquanta deputati, da un Consiglio regionale, da non meno di diecimila elettori o da altro ente od organo a ciò autorizzato dalla legge sulla Corte costituzionale.

«Se la Corte, nell’uno o nell’altro caso, dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata al Parlamento, perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali».

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati già svolti e mantenuti i seguenti emendamenti:

«Sopprimere i primi due commi.

«Sostituire il terzo col seguente:

«Quando la Corte dichiara l’incostituzionalità di una norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata al Parlamento perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali.

«Arata».

«Al primo comma, sostituire la prima parte con la seguente:

«Quando nel corso di un giudizio, ed entro un anno dalla data d’entrata in vigore di una legge, la questione d’incostituzionalità di una norma è rilevata d’ufficio…

«Mastino Gesumino».

«Al primo comma, sopprimere le parole: ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata.

«Bertone».

«Al secondo comma, alle parole: cinquanta deputati, sostituire: cento deputati e cinquanta senatori; alle parole: un Consiglio regionale, sostituire: cinque Consigli regionali; e alle parole: non meno di diecimila elettori, sostituire: non meno di cinquantamila elettori.

«Targetti».

«Al secondo comma, sopprimere le parole: da un Consiglio regionale.

«Bertone».

«Al secondo comma, sopprimere le parole: da non meno di diecimila elettori.

«Nobile».

«Aggiungere, subito dopo il secondo comma, il comma seguente:

«Per le leggi riguardanti le Regioni la dichiarazione di incostituzionalità deve essere promossa da almeno tre Consigli regionali se la disposizione riguarda genericamente le Regioni, o dal Consiglio regionale della Regione a cui è limitata la disposizione.

«Bertone, Bubbio».

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Il magistrato dovrà rimettere gli atti alla Corte costituzionale quando ritenga che le leggi che dovrebbe applicare siano contrarie alla Costituzione dello Stato.

«Mastino Pietro».

Si era riservato il diritto ai colleghi di presentare nuovi emendamenti in relazione al testo che sarebbe stato approvato dell’articolo 127.

L’onorevole Targetti ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo il secondo comma aggiungere il seguente:

«Ciascun Consiglio regionale può eccepire l’incostituzionalità di una legge che riguardi direttamente la regione che rappresenta».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato, a sua volta, il seguente testo sostitutivo dell’articolo 128:

«Ogni giudice potrà rilevare l’incostituzionalità degli atti aventi efficacia di legge ordinaria non applicandoli al caso deciso, senza sospenderne l’osservanza o annullarli.

«Quando lo ritenga opportuno il giudice potrà rimettere la questione di incostituzionalità alla Corte costituzionale e dovrà farlo in caso di giudicati contrastanti al riguardo.

«L’annullamento di una legge ordinaria invalida da parte della Corte costituzionale avrà efficacia oggettiva e potrà, inoltre, essere promosso in via principale dal Governo, da cinquanta deputati, da un Consiglio regionale, da non meno di diecimila elettori, o da qualsiasi cittadino che dimostri di avervi interesse per la lesione di un suo diritto o interesse costituzionalmente garantito».

C’è da rammaricarsi che l’onorevole Codacci Pisanelli non abbia presentato prima questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dichiarare, a nome del Comitato, che non ci possiamo pronunciare formalmente su emendamenti presentati alla ultimissima ora. Avremmo bensì, per regolamento, il diritto di chiedere ventiquattr’ore di tempo per esaminare gli emendamenti proposti in Assemblea; ma non è possibile ricorrere a tale rinvio, ora che siamo così stretti dal tempo. Rivolgo, quindi, un appello a voi, perché rinunciate più che è possibile ai vostri emendamenti, rimettendovi caso mai alla Commissione per il coordinamento e la revisione finale.

La Commissione non si può pronunciare. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Non posso che appoggiare le considerazioni fatte dall’onorevole Ruini.

A proposito dell’articolo 128 non è avvenuto, come per altri articoli, che la Commissione o alcuni colleghi abbiano presentato all’ultimo momento un nuovo testo. Il testo della Commissione dell’articolo 128 è stato pubblicato otto mesi fa, e pertanto tutti coloro che volevano proporre emendamenti hanno avuto a loro disposizione un’enorme quantità di tempo.

Il presentarli adesso, nel minuto immediatamente precedente alla votazione, evidentemente non trova giustificazioni; e tuttavia io li porrò ugualmente in votazione, perché vincolato da quella dichiarazione dell’altro giorno, che del resto non riguardava questi emendamenti; ma non potrò concedere ai presentatori la parola per svolgere le loro proposte.

L’onorevole Mortati presenta ora il seguente nuovo testo:

«La questione di illegittimità costituzionale di una norma o atto avente forza di legge, che sia rilevata di ufficio nel corso di un giudizio o sollevata dalle parti e non sia ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa per decisione alla Corte costituzionale.

«Il ricorso per illegittimità costituzionale può essere prodotto direttamente innanzi alla Corte costituzionale nel termine che sarà fissato dalla legge, da chi pretenda direttamente leso dalla norma un suo diritto o interesse legittimo, e, inoltre, anche senza questo interesse, dal Governo o da un decimo dei membri di ciascuna Camera.

«La sentenza della Corte costituzionale che dichiara la incostituzionalità di una norma è pubblicata nei modi prescritti per le leggi entro 15 giorni dalla sua emissione ed ha per effetto la sospensione della efficacia della norma.

«Il Parlamento provvede alla sua abrogazione, procedendo al regolamento dei rapporti che sia reso da essa necessario».

Invito l’onorevole Ruini a esporre il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta dell’onorevole Mortati coincide in alcuni punti con quello che era il testo della Commissione dei Settantacinque; in altri punti invece se ne distacca.

Il primo comma coincide con la sostanza del testo della Commissione, e potrebbe da questa essere accolto. Riguarda l’ipotesi che la questione di incostituzionalità sorga nel corso di un giudizio; essa dovrà esser rimessa alla Corte. Nell’emendamento Mortati si tratta di mere modifiche formali, che è meglio rinviare al coordinamento.

Vi sono poi nel testo Mortati punti nuovi. Uno di essi è che chiunque venga leso in un suo diritto o interesse legittimo da una norma di cui ritenga l’incostituzionalità, può direttamente adire la Corte costituzionale. Non è più il caso del primo comma, cioè delle eccezioni che possono venir presentate nel corso di un giudizio e che debbono essere rimesse alla Corte costituzionale, perché decida. Vi è una facoltà del soggetto, di un diritto o interesse leso di promuovere direttamente il giudizio della Corte costituzionale.

Sopra questo punto, io non avrei alcuna difficoltà; ritenendo però che anche qui la forma dell’emendamento debba essere riveduta.

Altro punto dell’emendamento dell’onorevole Mortati – e qui ci incominciamo a distaccare – è che verrebbe tolto quanto la Commissione dei Settantacinque aveva proposto sulla possibilità di provocare il giudizio della Corte, non solo in base ad eccezione o ricorso di un soggetto singolo di diritto o interesse legittimo concretamente ed attualmente leso, ma anche per mezzo di una specie – diciamo così – di azione popolare; svolto nell’interesse generale, anche senza che sia già avvenuta una lesione concreta, per il pericolo che ha in sé, virtualmente, la norma incostituzionale. L’azione poteva essere esercitata dal governo, da cinquanta deputati o senatori, da diecimila elettori o da un organo o ente a cui è autorizzato da legge. Il testo della Commissione dei Settantacinque è pubblicato da otto mesi. Ad un tratto l’onorevole Mortati ha proposto di sopprimere questa seconda forma di ricorso, popolare e collettiva. Ma ha poi, a poche ore di intervallo, mutate di nuovo le sue proposte.

MORTATI. Non è esatto, le ho lasciato ieri il testo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ieri lei proponeva di sopprimere la seconda via. Oggi non più; la lascerebbe pel Governo e per un numero di deputati e senatori…

MORTATI. Un decimo dei membri della Camera.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sarebbe tolta la possibilità di ricorrere nell’interesse generale ai diecimila elettori o agli altri enti che sono determinati dalla legge.

Non posso pronunciarmi a nome della Commissione; ma esprimo il mio punto di vista personale, che non sia opportuno eliminare tutto ciò che si riferisce al ricorso in via generale, al ricorso complessivo, che può basarsi non sopra una violazione concreta, diretta, attuale di un diritto o interesse particolare, ma sopra una visione più complessa e larga di incostituzionalità della legge.

Aggiungo che facendo questo, lungi dall’andare incontro a quel pericolo che è stato accennato nella discussione generale, di tenere il Paese in continuo sovvertimento, si va incontro alla legalità, perché invece di autorizzare, o per lo meno, di rendere possibili agitazioni anche violente, quando un dato numero di elettori, quando una collettività invochi una decisione della Corte costituzionale, ci si mette nella via della legalità.

Un ultimo punto di divergenza con l’onorevole Mortati è che il testo stabiliva che, quando la Corte costituzionale avesse riconosciuta l’incostituzionalità di una norma, questa cessava di avere efficacia, e poi gli atti si rimettevano al Parlamento, perché prendesse i provvedimenti di sua competenza. Il Parlamento può infatti confermare, nelle forme della revisione costituzionale, una legge ordinaria, che, come tale, contrastava con la Costituzione prima che questa fosse modificata. Può invece, se crede, sostituire con norme diverse la legge dichiarata incostituzionale. Può altresì provvedere al regolamento dei rapporti che si renda necessario per la dichiarazione d’incostituzionalità della norma, in quanto, prima della dichiarazione, la norma stessa abbia avuto vigore e sia stata applicata anche in sentenze; che portata ha l’annullamento? Ex nunc o ex tunc? Non si può stabilire un criterio a priori; sarà il Parlamento a regolare i rapporti, a secondo delle esigenze.

Così io vedo, e non può essere diversamente, le cose. L’onorevole Mortati non ammette che la norma dichiarata incostituzionale cessi senz’altro di aver efficacia. Stabilisce che la dichiarazione della Corte debba esser pubblicata; e sta bene; ma questa è disposizione, alla quale non occorre la Costituzione; basterà la legge per il funzionamento della Corte. Con la pubblicazione, dice l’onorevole Mortati, la norma o l’intera legge dichiarata incostituzionale non perde senza altro ogni efficacia, ma viene sospesa; e poi spetta al Parlamento abrogarla. È un sistema complicato e non necessario; e presenta dubbi ed inconvenienti. Se il Parlamento non abroga la legge sospesa, avremo una diuturna sospensione? E non può il Parlamento, invece che abrogare, confermare la legge nelle forme costituzionali? Come figura giuridica, non ritengo che sia necessaria la sottigliezza della distinzione fra sospensione e cessazione d’efficacia; è perfettamente logico e coerente al sistema della dichiarazione di incostituzionalità che la legge dichiarata illegittima cessi d’aver efficacia; ed è preferibile e più riguardoso pel Parlamento non chiedergli, quasi come atto obbligato, che esso abroghi la norma; è molto meglio che, di fronte alla cessazione d’efficacia della norma stessa, il Parlamento provveda nelle vie che gli sono aperte, e che ho indicato.

Riassumendo: 1°) resta fermo che la Corte sia investita di ogni eccezione di incostituzionalità che sorga in un giudizio; 2°) si può accettare che, come l’onorevole Mortati propone, l’azione possa essere direttamente promossa alla Corte da un singolo leso in un suo diritto o interesse legittimo; 3°) bisogna mantenere più in pieno l’azione popolare e collettiva nell’interesse generale; 4°) è da respingere la figura della sospensione, mantenendo quella della cessazione d’efficacia. Tale è il mio preciso pensiero. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi propone che all’ultimo comma del testo della Commissione, dopo la frase: «se la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia», si aggiunga: «a decorrere dalla pubblicazione della decisione, salvo che la Corte fissi ad altro effetto un termine che non può essere superiore a sei mesi».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Questo emendamento presentato all’ultimo momento non le darebbe il diritto alla parola. Ma dica pure, onorevole Perassi, tenendo però presente che non abbiamo più da sprecare altro tempo.

PERASSI. L’emendamento che ho proposto è stato suggerito, in parte almeno, dall’emendamento Mortati, il quale si allontanava dal testo della Commissione sostituendo, alla idea della cessazione di efficacia, il sistema della sospensione della efficacia, lasciando al Parlamento il compito di abrogare l’atto.

A questo riguardo, cominciando anzitutto dalla formulazione dell’emendamento Mortati, rilevo che non mi sembra proprio il caso di dire che il Parlamento provvede alla sua abrogazione procedendo al regolamento dei rapporti, che si sia reso necessario. E ciò anche perché l’atto che può essere oggetto del giudizio davanti alla Corte può non essere una legge in senso formale dello Stato, ma può essere atto avente valore di legge, decreto legislativo o decreto legge, e può essere una legge regionale. Quindi, non mi sembra che quest’ultima formulazione dell’onorevole Mortati corrisponda a tutte le ipotesi. Ritengo invece che convenga restare sul terreno della proposta della Commissione, secondo la quale, quando la Corte costituzionale accerta che una norma è incostituzionale, questa cessa di avere efficacia.

A questo punto vi è un’idea giusta nell’emendamento Mortati, che deve essere accolta, ed è di prescrivere che la decisione della Corte debba essere pubblicata. Quanto alle modalità della pubblicazione ritengo che possano essere oggetto della legge.

Vi è poi un altro problema che si riconnette anche alle considerazioni che hanno suggerito all’onorevole Mortati il suo emendamento, ed è questo: che, cessando l’efficacia di una norma giuridica, si possono in certi casi presentare delle situazioni delicate, in quanto può darsi che la cessazione di questa norma dia luogo a qualche inconveniente, se non si provvede. In questo ordine d’idee nell’emendamento che io ho proposto si dice: «La decisione della Corte che accerti la incostituzionalità importa la cessazione della efficacia dalla pubblicazione della decisione o dal termine, non superiore a sei mesi, fissato dalla Corte nella decisione stessa».

In linea normale, la norma dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia dalla data di pubblicazione della Corte, ma sembra opportuno che la Corte possa, nella sua stessa decisione, indicare un termine dal quale cominci ad avere effetto la cessazione di efficacia, termine al quale io ho messo, nel mio emendamento, il limite massimo di sei mesi. Il significato concreto di questo espediente è questo: che l’organo competente, cioè l’organo che ha fatto l’atto dichiarato illegittimo dalla Corte, avrà il tempo necessario per provvedere in conseguenza, adottando, eventualmente, le norme che, secondo i casi, occorrono. Una disposizione analoga si trova nella Costituzione austriaca.

Questo è il significato del mio emendamento.

Per esaurire il mio intervento rilevo che, nell’ultimo periodo del testo della Commissione, si dice: «La decisione della Corte è comunicata al Parlamento». La parola «Parlamento», quando venne elaborato quel testo, aveva un significato, oggi ne ha un altro, e quindi occorre sostituire a questa espressione le parole: «alle Camere».

Ritengo poi, personalmente, che sia inutile l’aggiunta finale: «perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali». Questo va da sé e mi pare sia inutile dirlo nella Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Martino Gaetano ed altri presentano ancora il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma: Nella ipotesi di cui al primo comma di questo articolo la legge dichiarata incostituzionale dalla Corte non si applica alla controversia».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi duole che il collega Perassi, al quale debbo tanto perché è stato veramente il più assiduo, il più forte, il più valoroso dei collaboratori in questa opera che abbiamo compiuto per il progetto, non mi abbia completamente convinto. Se avessimo potuto parlare tranquillamente, l’uno avrebbe convinto l’altro. In questo tumulto improvvisato di discussioni, dobbiamo scambiarci le idee con discorsi pubblici!

Se si stabilisse un termine, fino a sei mesi, ed intanto la norma dichiarata incostituzionale dovesse rimanere in vigore, ne verrebbe una situazione inammissibile ed assurda. I tribunali continuerebbero ad applicare una norma incostituzionale; ed i privati che vi avessero interesse si precipiterebbero a chiederne l’applicazione. Come non ho ammesso la tesi Mortati, che sia sospesa l’efficacia della norma, ed invitate le Camere ad abrogarla, non ammetto, a maggior ragione, che la norma continui provvisoriamente, per un dato termine, ad aver efficacia. Prego l’onorevole Perassi di considerare le mie osservazioni e di ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE. È stato presentato un emendamento soppressivo del primo comma dall’onorevole Gullo, al quale faccio rilevare che c’è già un emendamento del genere: quello dell’onorevole Arata.

GULLO FAUSTO. Mi associo a quello.

PRESIDENTE. Domando ai presentatori degli ultimi emendamenti se li mantengono.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, mantiene il suo emendamento?

PERASSI. Non insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, l’emendamento che ha ora presentato è subordinato all’accettazione dell’altro suo emendamento?

TARGETTI. È un completamento.

PRESIDENTE. Onorevole Martino Gaetano, conserva il suo emendamento?

MARTINO GAETANO. Lo conservo.

PRESIDENTE. Per l’emendamento Mortati, l’onorevole Ruini accetterebbe la formulazione dei due primi commi?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Mortati potrebbe acconsentire a rimanere al testo della Commissione che, in sede di coordinamento, terrebbe conto delle sue proposte di forma; e sarebbe disposta, con l’autorizzazione dell’Assemblea, ad ammettere il ricorso diretto dell’interessato, leso in concreto, alla Corte. Si potrebbe, per quanto riguarda il ricorso popolare e collettivo, nell’interesse generale, togliere la richiesta dei diecimila elettori e non accontentarsi della richiesta d’una sola Regione, ma di tre (considerando che una Regione potrà da sola ricorrere al pari d’un singolo quando si tratti di concreta lesione da essa sofferta). Ma dovrà rimanere, pel rimanente, quanto prevede il testo della Commissione. E così pure dovrà rimanere la cessazione d’efficacia, e non la sospensione.

L’Assemblea potrebbe autorizzare il Comitato ad adottare un testo definitivo, da sottoporre poi all’Assemblea stessa in sede di coordinamento.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Come membro del Comitato di redazione dissento: non posso accettare alcuno degli emendamenti Mortati. Desidererei che si rimanesse fermi al testo originario.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’ho dichiarato.

PRESIDENTE. Lei ha dichiarato che si resta al testo, salvo il consenso dell’onorevole Mortati ad accogliere alcune modificazioni formali. Ma quella che, a parer mio – non starebbe a me il sottolinearlo – è una modificazione molto importante, cioè accettare la facoltà di ricorso per incostituzionalità anche da parte del singolo, non credo possa essere accolta dall’Assemblea implicitamente: occorre votarla formalmente. È uno di quei punti essenziali sui quali l’onorevole Laconi ha dichiarato di dissentire. Desidero sapere se questo secondo comma dell’onorevole Mortati è accettato dalla maggioranza della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la. Costituzione. La Commissione non può, allo stato delle cose, che mantener fermo il suo testo. A titolo personale, ho espresso il mio avviso sull’emendamento Mortati.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

CODACCI PISANELLI. Dato che non mi è stato concesso illustrare il mio emendamento, vorrei dire le ragioni per cui lo ritiro.

PRESIDENTE. Ritengo che lei debba attribuire a se stesso la mancata illustrazione del suo emendamento. Il testo dell’articolo è pubblicato da otto mesi. Mi pare strano che un collega, così profondo conoscitore di dottrine giuridiche, abbia bisogno di attendere l’ultimo minuto per presentare non un piccolo emendamento formale, ma un emendamento sostitutivo di tutto l’articolo. È evidente che non potevo permetterle di svolgerlo in questo momento. Ad ogni modo ha facoltà di esporre le ragioni per cui lo ritira.

CODACCI PISANELLI. Chiedo scusa all’onorevole Presidente se soltanto ora ho presentato questo emendamento; ma, appunto perché mi occupo di discipline giuridiche, confesso che ancora oggi ho gravissimi dubbi per quanto riguarda la istituzione della Corte costituzionale, che pure ho invocata.

Con l’emendamento proposto io desideravo far presente anzitutto l’opportunità di fare in modo che l’incidente di incostituzionalità non desse luogo a quelle complicazioni ed a quelle gravose spese, che sarebbero necessarie, se ogni volta si dovesse finire dinanzi alla Corte costituzionale, per far risolvere l’incidente d’incostituzionalità di una legge. Per tale ragione, proponevo, secondo il sistema accolto anche in altri ordinamenti, che la questione di incostituzionalità potesse essere risolta da qualunque giudice.

In secondo luogo, avevo ritenuto opportuno di riconoscere ai giudici la facoltà di inviare essi i casi di dubbio o le questioni d’incostituzionalità alla Corte costituzionale, per una soluzione definitiva, specialmente nei casi controversi.

Finalmente avevo esaminato la possibilità del ricorso principale alla Corte costituzionale, per ottenere la dichiarazione di invalidità di una legge ordinaria, perché ci stiamo occupando della legge ordinaria, che abbiamo distinto dalla legge costituzionale.

D’altra parte, sorge qui un grave problema, quello di attribuire un valore alla sentenza che sarà pronunciata dalla Corte costituzionale. Come principio generale, la sentenza ha efficacia limitata alle sole parti in causa. Quale sarà il valore della sentenza relativa alla legge ordinaria? Evidentemente dobbiamo derogare dal principio normalmente accolto per la cosa giudicata, che ha efficacia fra le sole parti in causa, ed ammettere invece l’efficacia oggettiva, cioè per tutti, della dichiarazione di incostituzionalità della legge.

Altro problema, veramente grave, che dovrebbe essere risolto, è quello della eventuale retroattività di questa dichiarazione: cioè, la dichiarazione di incostituzionalità di una legge sarà efficace soltanto per l’avvenire o sarà retroattiva? Ritengo che la questione debba risolversi nel secondo senso: efficacia retroattiva.

Finalmente, ritenevo opportuno che si chiarisse questo concetto, scopo di praticità, per rendere più facile e più spediti i giudizi. Si pensi quello che avverrà qualora sia sollevata dinanzi a una Pretura la questione di incostituzionalità di una legge; si dovrà andare dinanzi alla Corte costituzionale; potrà essere un comodo espediente processuale, per rendere interminabili le liti.

Per queste ragioni io proponevo quell’emendamento. Dato che non abbiamo la possibilità di esaminare a fondo il problema, sono costretto a ritirarlo.

PRESIDENTE. Il primo comma dell’articolo 128, nel testo della Commissione, è il seguente:

«Quando, nel corso di un giudizio, la questione d’incostituzionalità di una norma legislativa è rilevata d’ufficio o quando è eccepita dalle parti, ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, la questione è rimessa per la decisione alla Corte costituzionale».

L’onorevole Mastino Gesumino propone che si inserisca, dopo la parola «giudizio», l’inciso: «ed entro un anno dalla data d’entrata in vigore di una legge».

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. L’onorevole Mortati ha nel suo emendamento posto la stessa questione, sia pure limitandosi all’azione di incostituzionalità promossa dal privato, in quanto deferisce alla legge la fissazione del termine. E poiché io mi proponevo l’unico scopo di richiamare l’Assemblea sulla gravità estrema del problema che un termine sia posto, affinché, l’ordinamento giuridico non resti scosso dal dubbio che le leggi non abbiano che limitato ed incerto vigore, ove l’onorevole Mortati mantenga il suo emendamento, per quanto riguarda la parte attinente all’azione del privato che chiede la dichiarazione di incostituzionalità della legge, aderisco all’emendamento dell’onorevole Mortati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per da Costituzione. Mi pare che, anche se fosse discutibile che potesse stabilirsi un termine per altri casi di azione diretta alla Corte, ciò non potrebbe ammettersi per il caso di eccezione in un altro giudizio. Se la legge è incostituzionale, è logico che chi ne è colpito possa addurre la sua incostituzionalità, e non possa rinunciare al suo diritto di difesa solo perché la legge è in vigore da qualche tempo.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di rispondere alle osservazioni dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Dovrei osservare semplicemente questo: che mai, come in questo caso, è vero l’assioma, che è anche un principio elementare di diritto, che chi eccepisce, nell’atto di eccepire, si fa attore. E questo è tanto più profondamente vero nel caso in esame, in cui con l’eccezione si tende a provocare una sentenza di incostituzionalità che riguarda la legge come tale. La legge che verrebbe dichiarata nulla attraverso questa eccezione non riguarda solo il cittadino costituito in giudizio, ma tutti i cittadini. L’eccezione ha quindi una portata formidabile, che, investendo l’essenza della legge, tocca tutto l’ordinamento giuridico. Ha quindi essenziale carattere di diritto pubblico e non di diritto privato, e deve assolutamente essere regolata. Ecco perché osservo che, anche per quanto riguarda l’eccezione, è bene porre un termine perché ne sia legittimo l’esercizio.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Se deve restar ferma la prima parte dell’articolo 128, trovo che l’emendamento dell’onorevole Mastino Gesumino è saggio e giudizioso; ma in realtà è saggio e giudizioso, appunto perché in parte corregge il sostanziale vizio della norma, che è quello di concedere al privato, al singolo, la facoltà di mettere in moto il funzionamento della Corte delle garanzie costituzionali. Senonché io ho presentato un emendamento soppressivo della prima parte dell’articolo 128, sul quale richiamo l’attenzione dell’Assemblea, che forse non ha esaminato a fondo le aberranti conseguenze alle quali può portare la norma proposta. Si dà al singolo la facoltà di adire la Corte costituzionale per ottenere la dichiarazione di incostituzionalità della legge; badate, al singolo, che è proprio il meno indicato a farlo, cioè a colui che esamina la incostituzionalità della legge attraverso l’angolo visuale di ciò che egli crede un suo diritto.

Evidentemente la giustizia ideale sarebbe questa: che la sistemazione giuridica del fatto venisse dopo il fatto; ma poiché questo non è possibile, per mille ed una ragione che non starò qui ad elencare, si fa ricorso alla legge, ossia alla sistemazione giuridica che viene prima del fatto. Da questo punto di vista la legge non è che una forma di transazione tra questa giustizia ideale, che è irraggiungibile, e quella giustizia che è possibile raggiungere nel tempo e nell’ambiente in cui viviamo. Ma è evidente che, appunto perché transazione, la legge non si attaglia a tutti i casi. La legge ha davanti a sé la maggior parte dei casi; o meglio la forma che quella data ipotesi assume nel maggior numero dei casi. Ma non c’è legge ottima, la quale in un qualche caso particolare non si dimostri addirittura iniqua, e ciò appunto perché il legislatore non riesce a prevedere tutti i casi, ed anche prevedendoli, non può contenerli tutti in una stessa disposizione di legge. Senonché è umano che il privato guardi la legge dal punto di vista del suo caso singolo; e non infrequentemente anche il giudice cede a questa necessità. Noi tante volte chiamiamo aberratiti delle massime giurisprudenziali, appunto perché le valutiamo al di fuori del caso concreto, che le ha determinate, e non consideriamo che il giudice è portato ad affermare quella illogicità giuridica, appunto perché egli vuole ad ogni costo fare aderire la legge, che resiste a ciò, al fatto così come a lui si presenta. Ora, dire al privato, che si sente leso da una norma di legge: tu hai la facoltà di adire la Corte costituzionale, perché essa esamini la incostituzionalità della legge, vuol dire innanzi tutto dargli un mezzo defaticatorio al quale ricorrerà, non foss’altro per ritardare la conclusione del giudizio, senza considerare l’enormità di lavoro che noi daremmo alla Corte, ove ogni privato avesse tale facoltà. Ma anche a non tener conto di tutte queste difficoltà pratiche, v’è che la Corte costituzionale deve giudicare della costituzionalità della legge prescindendo dal fatto singolo, cioè in astratto, senza che il suo giudizio sia fuorviato dall’esame del caso concreto. Quindi dare al singolo il diritto di adire la Corte nel momento in cui è pendente un giudizio a cui egli sia direttamente interessato, è stabilire una norma oltremodo pericolosa. Né vedo alcuna ragione che la spieghi. Allorché si demandava alla Magistratura ordinaria questa materia, si spiegava che la parte potesse proporre l’eccezione di incostituzionalità; ma quando a richiedere che si proceda a tale esame noi abilitiamo un certo numero di elettori o il Governo o un Consiglio regionale, non c’è motivo di pensare che possa essere incostituzionale una legge, contro la quale nessuno ha creduto di proporre la eccezione di incostituzionalità. Ciò nonostante si propone di dare al privato la facoltà di adire la Corte costituzionale, di mettere in movimento questo meccanismo così complicato e complesso, per far dichiarare l’incostituzionalità di una legge, che è pur stata accettata da tutti, tanto che i mezzi ordinari di opposizione non sono stati messi in moto.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, la prego di concludere.

GULLO FAUSTO. Signor Presidente, sento in coscienza di dover esprimere queste mie idee perché vedo chiaramente il pericolo enorme a cui si va incontro con questa norma.

PRESIDENTE. Non le voglio contrastare l’esercizio di un suo dovere di coscienza; ma le assicuro che queste cose sono già state dette.

GULLO FAUSTO. Vorrei aggiungere una altra cosa soltanto. La norma dispone che la proposta della parte passa alla Corte costituzionale, ove il giudice non la ritenga manifestamente infondata. È una maniera questa di andare incontro alla possibilità di mille ingiustizie. Perché cosa deve fare il giudice per dire se l’eccezione è o non è manifestamente infondata? Deve evidentemente sottoporla al suo esame, il quale può essere rigoroso o benevolo, secondo il criterio e il temperamento del giudice. Non parlo di malafede. Ed è già questo un inconveniente grave.

Ancora: la questione va alla Corte costituzionale quando un altro giudice, sia pure in seguito ad un esame non approfondito, ha già manifestato la sua opinione sulla incostituzionalità. Anche questo mi pare aberrante, perché la Corte costituzionale non è detto che sia un giudice d’appello di fronte al giudice ordinario. E in questo caso sarebbe appunto un giudice d’appello, dato, ripeto, che il giudice, dinanzi al quale si eccepisce l’incostituzionalità, deve fare un esame per accertare se l’eccezione sia manifestamente infondata.

Per tutte queste ragioni, prego l’Assemblea di accogliere l’emendamento soppressivo di questa prima parte dell’articolo 128.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Vorrei rispondere brevissimamente all’onorevole Gullo.

L’onorevole Laconi era preoccupato che fosse accettato l’emendamento Mortati e insisteva perché la Commissione non si distaccasse dal testo originario. Ora l’onorevole Gullo combatte quel testo.

Non accettiamo né l’emendamento Mortati, né l’emendamento soppressivo dell’onorevole Gullo, al quale mi permetto rivolgere una domanda: desidera egli, nel suo sistema, che le eccezioni di incostituzionalità siano per sempre vietate al singolo, al privato? Noi abbiamo creato un giudice esclusivo in materia di legittimità costituzionale. Attualmente, nel sistema finora vigente, un privato può davanti a un giudice ordinario eccepire l’incostituzionalità della legge…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Della legge no.

ROSSI PAOLO. Mi correggo, non della legge, evidentemente, ma di decreti e provvedimenti. Invece la Commissione ha concepito un sistema per cui giudice esclusivo delle questioni di questa natura sia la Corte costituzionale.

Onorevole Gullo, desidera ella togliere al privato il diritto di eccepire l’incostituzionalità di fronte a qualsiasi giudice?

GULLO FAUSTO. Sì.

ROSSI PAOLO. Badi, allora, che questo sistema è estremamente pericoloso.

Mi consenta di richiamare la sua attenzione sugli articoli 20 e 21 della Carta costituzionale, a titolo d’esempio.

Dice l’articolo 20:

«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

«Nessuno può essere punito se non in forza di una legge in vigore prima del fatto commesso.

«Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza al di fuori dei casi previsti dalla legge».

E l’articolo 21:

«La responsabilità penale è personale.

«L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

«Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.

«Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».

Supponga, per avventura, che nessun Consiglio regionale si sia mosso, che i cinquanta deputati non si siano mossi e che, per la prima volta, un imputato venga a trovarsi di fronte ad un magistrato, il quale potrebbe infliggergli anche la pena di morte, in virtù di un decreto incostituzionale. Che cosa deve fare il suo difensore?

Istituita la Corte costituzionale, non possiamo fare altro se non pregarvi di votare a favore del testo così come esso è stato concepito, perché appare estremamente pericoloso sia togliere al privato il diritto di sollevare l’eccezione d’incostituzionalità, sia lasciare che di siffatta eccezione possono decidere altri giudici.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Dichiaro che voterò a favore del comma dell’articolo 128. Ritengo che noi dobbiamo soprattutto impedire che i principî sanciti nella Costituzione vengano violati. Francamente non intendo perché il magistrato, quando si trovi dinanzi ad una legge che egli, nella propria intelligenza e nella propria coscienza, giudichi anticostituzionale, non debba manifestare questo suo convincimento.

Si intende bene che non egli potrà decidere, ma egli dovrà pure avere la facoltà di rimettere la decisione alla Corte costituzionale. Non comprendo, d’altra parte, perché il privato, cui è stata già concessa la possibilità che gli sia resa giustizia di fronte a minori disposizioni di legge, non debba invece averla di fronte a quella che sarebbe una violazione dei suoi diritti fondamentali e, cioè, alla violazione delle tavole statutarie, poste a fondamento dello Stato. Ammettendo, invece, il diritto di ricorso del privato alla Corte costituzionale faremmo in modo che l’azione del privato si fonderebbe coll’interesse di tutto il Paese.

Voterò quindi in favore della prima parte dell’articolo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Arata che aveva presentato un emendamento soppressivo dei primi due commi, mi ha fatto pervenire adesso un altro emendamento, che deve naturalmente intendersi sostitutivo dei due precedenti. Esso è del seguente tenore:

«La legge stabilirà i modi e i termini per i giudizi sull’incostituzionalità delle leggi».

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Debbo dichiarare, anche a nome dei miei colleghi di Gruppo, che noi voteremo per il testo della Commissione e quindi contro l’emendamento soppressivo, considerando che è proprio nella fase dell’applicazione del diritto che sorge l’esigenza di controllare se sia costituzionalmente valida la legge da applicare nel caso singolo.

Crediamo con ciò di affermare una più alta tutela della libertà del cittadino, in conformità di quanto già dispone in via generale l’articolo 19 della Costituzione, consacrando secondo i principî il diritto del singolo di sollevare l’incidente di incostituzionalità, che il giudice è tenuto anche d’ufficio a deferire alla decisione della Corte costituzionale. Un limite già opera, ed è notevole – se mi permette l’onorevole Gullo – attraverso la delicata facoltà del magistrato di non rimettere la questione alla Corte, qualora egli ritenga manifestamente infondata l’eccezione.

GULLO FAUSTO. Il ricco potrà sempre adire l’Alta Corte, il povero mai.

DOMINEDÒ. Mi consenta, onorevole Gullo! Proprio se noi riconosciamo a qualunque cittadino il potere di sollevare l’incidente di costituzionalità idoneo ad essere senz’altro trasferito innanzi alla Corte costituzionale, evidentemente realizziamo una finalità che serve a neutralizzare la sua obiezione. È perciò che noi sosteniamo non solo la proponibilità nel corso di giudizio della eccezione di incostituzionalità, ma altresì il conseguente diritto di ogni cittadino, titolare di un diritto o di un interesse legittimo, di adire direttamente la Corte. In tal modo, anche nell’ambito del futuro sindacato di validità della legge, come già in quello dell’atto amministrativo, la lesione del singolo aprirà la via per un accertamento efficace erga omnes nell’interesse della comunità.

Riteniamo pertanto di attenerci allo spirito della Costituzione votando per il testo proposto dalla Commissione e contro l’emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. Allora, possiamo passare alla votazione. Abbiamo, dunque, la proposta soppressiva dell’onorevole Gullo, che si riferisce al primo comma; poi abbiamo l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Arata, ancora per il primo comma; e poi vi sono emendamenti modificativi del testo del primo comma proposto dalla Commissione.

Ora, non so se nel caso concreto la proposta soppressiva possa e debba essere messa in votazione. Vorrei conoscere a questo proposito anche il parere dell’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è questione di mia competenza, perché riguarda l’ordine dei lavori. Ad ogni modo personalmente non ho difficoltà.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione per prima la proposta soppressiva del primo comma dell’articolo 128 presentata dall’onorevole Gullo.

Sulla proposta di soppressione del comma è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Uberti, Moro, Ponti, Dominedò, Fabriani, Delli Castelli Filomena, Coppi, Bubbio, Nicotra Maria, Ambrosini, Murdaca, Damiani, Alberti, Bosco Lucarelli, Ermini.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Penso che la procedura che si vorrebbe adottare adesso, votando la proposta soppressiva, non risponde alla prassi che costantemente in materia costituzionale^ da parecchio tempo abbiamo adottata.

L’altro giorno io proposi che si votasse un emendamento soppressivo. Mi fu giustamente risposto che questo non era possibile, poiché la consuetudine sempre seguita era per il contrario.

Credo quindi che non si possa ragionevolmente mettere ai voti per appello nominale questa proposta soppressiva.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, in precedenza qualche volta si è proceduto alla votazione di un emendamento soppressivo. Ad ogni modo, proprio per le considerazioni che lei ha espresso, mi sono rivolto al Presidente della Commissione per chiederne il parere e, soltanto dopo che egli si è dichiarato favorevole, ho dichiarato di porre in votazione la proposta soppressiva.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta soppressiva del primo comma dell’articolo 128.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Arcaini.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Allegato – Amadei.

Baldassari – Barbareschi – Barontini Anelito – Bartalini – Bernamonti – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bonomelli – Bordon – Bosi.

Cacciatore– Carpano Maglioli – Colombi Arturo – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Michelis Paolo – D’Onofrio.

Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giolitti – Giua – Gullo Fausto.

Imperiale.

Laconi – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Lombardi Carlo – Longo – Lozza.

Magnani – Maltagliati – Mancini – Massini – Massola – Merlin Angelina – Minella Angiola – Molinelli – Momigliano – Morandi – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Noce Teresa – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pastore Raffaele – Pellegrini – Pesenti – Pistoia – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Scarpa – Schiavetti – Sereni – Sicignano – Silipo – Simonini.

Targetti – Tega – Tomba – Tonello.

Vischioni.

Zanardi – Zappelli.

Rispondono no:

Aldisio – Ambrosini – Angelucci – Arcaini – Azzi.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellato – Belotti – Benvenuti – Bernabei – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bocconi – Bonino – Bosco Lucarelli – Braschi – Brusasca – Bubbio.

Caccuri – Cairo – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Caronia – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colonnetti – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsi – Cortese Pasquale – Cosattini – Cotellessa.

Damiani – D’Aragona – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Germano – Giacchero – Giannini – Giordani – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Rocco.

Jervolino.

Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Lettieri – Lizier – Lussu.

Macrelli – Magrini – Malvestiti – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Mentasti – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morini – Moro – Mortati – Murdaca.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Pacciardi – Pallastrelli – Paris – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perugi – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Ponti.

Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rossi Paolo – Ruini – Rumor.

Saggin – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Segni – Spallicci – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Terranova – Titomanlio Vittoria – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Veroni – Vicentini – Vigo – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Si è astenuto:

Arata.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Cavallari.

De Vita – Dugoni.

Ghidini.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan – Rubilli.

Vanoni – Varvaro – Viale.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale. Invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti                               287

Votanti                                286

Astenuto                              1

Maggioranza           144

Hanno risposto      92

Hanno risposto no    194

(L’Assemblea non approva).

Presentazione di una relazione.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Mi onoro di presentare la relazione al disegno di legge:

«Approvazione dei seguenti atti internazionali conclusi a Neuchâtel, tra l’Italia e altri Stati, l’8 febbraio 1947:

  1. a) Accordo per la conservazione e la reintegrazione dei diritti di proprietà industriale colpiti dalla seconda guerra mondiale;
  2. b) Protocollo di chiusura;
  3. c) Protocollo di chiusura addizionale».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

(La seduta sospesa alle 20.40 è ripresa alle 21.45).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Dato l’esito della votazione alla quale abbiamo proceduto prima dell’interruzione, in seguito alla quale è stata respinta la proposta soppressiva del primo comma dell’articolo 128, passiamo alla votazione della formulazione dell’onorevole Arata, il quale propone che ai due primi commi dell’articolo 128 si sostituisca il seguente:

«La legge stabilirà i modi e i termini per i giudizi di incostituzionalità delle leggi».

Con questa proposta si rimettono alla legge tutte le disposizioni particolareggiate che sono contenute nel testo della Commissione.

La pongo ai voti.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Dato il risultato di questa votazione, l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Bertone, che avrebbe dovuto trovar posto dopo il secondo comma, s’intende decaduto.

La prima parte del terzo comma, nel testo della Commissione, è la seguente:

«Se la Corte, nell’uno o nell’altro caso, dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia».

È evidente che, dato l’esito della votazione testé avvenuta, deve cadere l’inciso: «nell’uno o nell’altro caso», cosicché il testo deve essere il seguente: «Se la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia».

A questo punto ci arrestiamo perché vi sono numerosi emendamenti aggiuntivi e modificativi.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Domando la verifica del numero legale, perché argomenti così importanti noi si possono decidere con una casuale maggioranza alla presenza di poche decine di deputati. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Concordo pienamente con lei sulla motivazione; mi permetto di deplorare vivissimamente l’assenza quasi totale dei membri di tutti i Gruppi dell’Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego l’onorevole Moro di considerare la portata della sua proposta che equivale a rimandare di ventiquattro ore, cioè fino a domani sera, le decisioni. (Commenti al centro).

Vorrei osservare al collega Moro che, quel che poteva essere deprecabile, è avvenuto perché abbiamo demandato alla legge ordinaria materie che potevano essere ritenute di natura costituzionale.

Ora si tratta di stabilire un punto che è bene sia nella Costituzione e che da parte dell’onorevole Arata non è contestato. Pur rinviando le norme per le condizioni e per la procedura del giudizio di incostituzionalità, si deve stabilire il punto della cessazione d’efficacia delle leggi dichiarate incostituzionali. Su ciò non sembra vi possa essere contrasto. Approviamo dunque l’ultimo comma dell’articolo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Moro se intende insistere sulla richiesta di verifica del numero legale.

MORO. Mi sembra che sia indispensabile questo accertamento anche per la portata delle successive votazioni.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto di parlare per fare una proposta, accogliendo la quale si raggiungerebbe ugualmente lo scopo cui mira l’onorevole Moro e si eviterebbero le conseguenze, non certo utili per il corso dei lavori, di una constatazione della mancanza del numero legale.

Lo scopo che l’onorevole Moro si prefiggeva con la domanda di verifica del numero legale, dobbiamo riconoscerlo, è più che legittimo, perché questioni dell’importanza di quelle che vengono ora decise con le nostre votazioni devono essere decise da un numero di rappresentanti sufficiente a conferire autorità alle decisioni stesse. E quindi non sarà mai abbastanza lamentato e criticato l’assenteismo dei colleghi, di un Gruppo o dell’altro, che non sentono il dovere di sopportare i piccoli sacrifici richiesti dall’adempimento del loro ufficio. Sacrifici che non meritano neppure questo nome se si confrontano con l’importanza del compito che ci è affidato.

Ma, detto questo, chiedo ai colleghi se questo stesso scopo di evitare votazioni alle quali non parteciperebbe un numero sufficiente di costituenti non si può raggiungere ugualmente togliendo la seduta. In tal modo, non si va incontro all’inconveniente, che tutti i colleghi sanno, di una verifica negativa del numero legale.

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Aderisco alla proposta dell’onorevole Targetti e nel tempo stesso mi permetto di prospettare qui se non sia il caso di conformarci al criterio che abbiamo seguito lo scorso sabato, al criterio cioè di svolgere intanto gli emendamenti, riservandoci di votare poi domani. In tal modo non si perderebbe la seduta.

PRESIDENTE. Onorevole Arata, io apprezzo il suo suggerimento; sono tuttavia riluttante a seguirlo, giacché ho presente l’esperienza di oggi in cui abbiamo visto come tutti coloro i quali avevano presentato degli emendamenti, anche coloro che li hanno presentati all’ultimo momento, hanno chiesto ed insistentemente di prendere nuovamente la parola.

La proposta dell’onorevole Targetti soddisfa evidentemente all’esigenza di non far votare questi punti così importanti con una Assemblea semideserta senza imporci una sospensione di lavoro di 24 ore.

Mi permetto tuttavia di dire ciò che l’onorevole Targetti, nella sua squisita delicatezza, ha voluto evitare, e desidero che se ne prenda nota espressa nel processo verbale. Esprimo, cioè, la più viva ed amara deplorazione contro tutti gli assenti in corpo e verso ciascuno di essi individualmente, per lo spettacolo veramente spiacevole ed umiliante al quale questa sera, per fortuna, non assistono troppi spettatori.

È una colpa che non trova sufficiente deplorazione, dato specialmente che siamo verso il termine dei nostri lavori. Io voglio quanto meno augurarmi che da parte di coloro i quali, con tanta meticolosità, si astengono dal dare ai nostri lavori il contributo della loro presenza e che in generale si costituiscono in una cerchia facilmente identificabile, non debba sorgere poi un’idea peregrina la quale trovi a giustificazione dell’impossibilità di concludere i lavori della nostra Assemblea, nei termini stabiliti dalla legge, proprio quel ritardo che è causato dalla loro negligenza.

E mi rivolgo ai presenti con un appello particolare perché diano il loro contributo affinché i nostri lavori siano conclusi – come è nostro assoluto dovere – nel tempo che ci è stato fissato. (Vivissimi, generali applausi).

Detto questo, pongo in votazione la proposta dell’onorevole Targetti di rinviare la nostra seduta, interrotta non per responsabilità nostra, ma per colpa degli assenti.

(È approvata).

Il seguito di questa discussione è pertanto rinviato a domani alle 11.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei giustificare l’assenza di alcuni deputati del mio Gruppo che sono tuttora impegnati per il lavori del Congresso del Partito liberale.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, per i suoi colleghi del Gruppo liberale sappiamo bene che vi è la giustificazione valida dei lavori del Congresso.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevole Presidente, siccome domani mattina si concludono i lavori del nostro Congresso, la pregherei di evitare che domani vi siano delle votazioni.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, non glielo posso assicurare; faremo il massimo possibile. Ero rimasto d’accordo coi membri del Gruppo liberale, di ricominciare quest’oggi le votazioni, e anche ih relazione a ciò abbiamo stabilito il calendario dei nostri lavori.

Io vorrei poter venire incontro a tutte le richieste; ma occorre stabilire che più nessuna richiesta sia avanzata per sospensioni, proroghe o rinvii dei nostri lavori. Ognuno scelga, e chi si sente di partecipare ai lavori della nostra Assemblea, venga. So, onorevole Condorelli, che i lavori del Congresso tratterranno forse lei e gli altri suoi colleghi, ma, evidentemente, non possiamo più anteporre una pur giusta esigenza di partito alla più giusta esigenza dell’Assemblea.

CONDORELLI. Ella sa, signor Presidente, con quale scrupolo io abbia seguito i lavori dell’Assemblea…

PRESIDENTE. Non si tratta di questione personale.

CONDORELLI. Mi dia anche atto, onorevole Presidente, dello stato di enorme disagio in cui io ed i miei colleghi ci troveremo domani mattina, chiamati da due doveri che contrastano in questo modo. Per altri partiti s’è usato un diverso trattamento.

Noi chiediamo soltanto questo: che domani mattina non si facciano votazioni.

PRESIDENTE. Con i rappresentanti ufficiali del suo Gruppo abbiamo stabilito che si cominciasse a votare e a svolgere il nostro lavoro regolare oggi nel pomeriggio.

Adesso non mi muova dunque il rimprovero di fare un diverso trattamento al Gruppo liberale rispetto ad altri Gruppi. Con ogni Gruppo ogni volta si è concordato in precedenza; così si è fatto col Gruppo liberale.

Debbo dichiarare che non posso assolutamente impegnarmi a concedere ulteriori rinvii.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Ai Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere se non si ravvisi urgente concedere la garanzia dello Stato ai Comuni per i mutui di cassa, cui essi sono costretti a ricorrere per far fronte al pagamento degli stipendi e dei salari; e ciò segnatamente mediante intervento presso le Casse di risparmio, che, malgrado il non lieve tasso d’interesse praticato, rifiutano ulteriori aperture di credito; quale intervento si palesa anche giustificato in relazione al sistematico grave ritardo dello Stato a versare ai Comuni i contributi e concorsi cui esso è tenuto, nonché avuto riguardo al fatto che esso ha recentemente accollato ai bilanci comunali le spese degli uffici annonari, assumendo a suo carico solo una aliquota pro capite, di gran lunga inferiore all’importo delle spese.

«Bubbio».

«Al Ministro della marina mercantile, per conoscere:

1°) se non crede che ormai sia indilazionabile emettere i provvedimenti opportuni per dare all’Ente autonomo del porto di Napoli le facoltà e i diritti pari a quelli che hanno gli Enti similari dei porti di Genova, Savona e Venezia. E ciò al fine di dare al porto di Napoli la necessaria efficienza nei mezzi meccanici sussidiari che sono indispensabili per la vita effettiva di un porto;

2°) se non crede opportuno emettere provvedimenti contingenti affinché il personale dello stesso Ente autonomo del porto sia messo in condizione di riscuotere a fine mese corrente gli stipendi e gli altri emolumenti dovuti;

3°) e, infine, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per incrementare l’industria dell’armamento in Napoli e nel Mezzogiorno d’Italia.

«Sansone».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non creda opportuno emettere con urgenza gli opportuni provvedimenti per la realizzazione dell’acquedotto del Torano indispensabile per la vita di molti comuni di Terra di Lavoro e per la stessa città di Napoli.

«Sansone».

Chiederò ai Ministri interrogati quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se ritenga conforme a dignità nazionale lo scandaloso stato di deperimento e ruina, a cui sono abbandonati numerosi stabili amministrati dall’Istituto delle Tre Venezie, situati nei comuni di Tarvisio e Malborghetto, e ciò quando il problema dei senza tetto si fa più assillante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se, in accoglimento delle istanze formulate anche dall’Assemblea regionale Triveneta dei rappresentanti di tutti gli ordini e collegi professionali non ritenga opportuno promuovere, per quel che concerne i redditi professionali, la revoca del decreto 1° settembre 1947, n. 892, con particolare riguardo alla disposizione – non razionale, non giusta e non democratica – secondo cui il nuovo imponibile viene determinato mediante automatica moltiplicazione del reddito precedentemente accertato per un fattore fisso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici premesso che trai proprietari di fabbricati danneggiati per fatto bellico, i quali ricostruirono fruendo degli interventi di cui al decreto legislativo luogotenenziale 9 giugno 1945, n. 305, è sorto profondo malumore dopo che il decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261, aumentò la portata degli interventi stessi a favore delle sole successive ricostruzioni; premesso, altresì, che più forti ancora sono i lagni di quanti, avendo iniziata la ricostruzione vigente il primo decreto ed ultimata vigente il secondo, si vedono ora riconosciute indiscriminatamente soltanto le agevolazioni di cui al decreto legislativo luogotenenziale 9 giugno 1945, n. 305 – l’interrogante chiede di sapere se non si ritenga conforme ad equità e giustizia di riconoscere – e pertanto di dar luogo sollecitamente – ai conseguenti provvedimenti:

  1. a) in via principale, che a tutti i ricostruttori di fabbricati sia dato di fruire dei più favorevoli interventi contemplati nel decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261;
  2. b) in via subordinata, che dei benefici, di cui al detto decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261, possano fruire tutti quelli che le opere di ricostruzione ultimarono dopo l’entrata in vigore del citato decreto, o quanto meno ed in ogni caso che dei più favorevoli interventi debba giovarsi quella parte di lavori che fu eseguita dopo il 10 aprile 1947.

«Schiratti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se, in considerazione delle gravissime distruzioni di guerra sofferte dalla città di Treviso, e di fronte all’ingente numero di domande d’alloggio – ben 253 soltanto della categoria urgentissima – presentate su 1500 agenti ferroviari del deposito di Treviso in vista della assegnazione di dieci nuovi alloggi e di 24 in costruzione, a cura dell’Amministrazione, non intenda adottare con urgenza speciali provvidenze, avendo presente:

1°) che i molti agenti ferroviari ancora sfollati da Treviso abitavano in edifici privati prossimi alla stazione ferroviaria, come questa distrutti dai bombardamenti aerei e non ancora riedificati;

2°) che col progressivo migliorare dei trasporti ferroviari più disagevole diviene la situazione per il personale di macchina e viaggiante tuttora sfollato, costretto per le inderogabili esigenze dei turni e degli orari a raggiungere con mezzi primitivi, e in condizioni di tempo e di luogo spesso proibitive, il posto di servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri di grazia e giustizia e delle finanze, per sapere se non ritengano opportuno disporre – in accoglimento della domanda presentata sin nel marzo 1947 dal comune di Calendasco (Piacenza) – l’aggregazione di quel Comune agli uffici giudiziari e finanziari di Piacenza, con distacco, rispettivamente da quelli di Borgonovo Val Tidone e di Castel San Giovanni.

«La domanda appare fondata solo che si consideri che il comune di Calendasco dista solo dieci chilometri da Piacenza, cui è unito da mezzi diretti di comunicazione, mentre dista rispettivamente 24 e 18 chilometri da Borgonovo e da Castel San Giovanni senza servizio diretto di comunicazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per sapere se non ritengano equo provvedere con urgenza all’inquadramento dei maestri elementari dei convitti nazionali nel ruolo unico dei maestri, per risolvere una buona volta la situazione di una numerosa classe di insegnanti, i quali, pur essendo maestri elementari, non si trovano nella identica posizione giuridica ed economica di quelli delle scuole pubbliche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Silipo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere come sia attualmente regolato il diritto di caccia nei laghi di Fogliano, Monaci, Caprolace e Paola, in provincia di Latina, dopo il decreto del Capo dello Stato del 2 settembre 1946, che ha dichiarato acque pubbliche i detti laghi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 22.10.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

  1. Votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e Scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

  1. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

LUNEDÌ 1° DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 1° DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

INDICE

 

Congedo:

Presidente

 

Disegni di legge (Presentazione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

 

Disegni di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Presidente

 

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca il 2 marzo 1946. (31).

Presidente

 

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

Presidente

 

Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Presidente

 

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio il 18 aprile 1946. (40).

Presidente

 

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, tra l’Italia e la Svezia il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Presidente

Perassi

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di, Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

Presidente

 

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Costantini

Canevari

Cavalli, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio

Malvestiti, Sottosegretario di Stato per le finanze

Arata

Morini

 

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

 

Interrogazione (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Cevolotto.

(È concesso).

Presentazione di disegni di legge.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare i seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico conclusi ad Atene, fra l’Italia e la Grecia, il 31 marzo 1947.

Approvazione degli Accordi di carattere economico e finanziario conclusi a Madrid, tra l’Italia e la Spagna, il 20 giugno 1947.

Approvazione del Protocollo regolante l’emigrazione di minatori italiani in Francia e la corrispondente fornitura di carbone francese, all’Italia, con Convenzione annessa e scambio di Note, stipulati in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 15 maggio 1947.

Approvazione degli Accordi di carattere commerciale e finanziario conclusi a Montevideo, tra l’Italia e l’Uruguay, il 26 febbraio 1947, nonché dello scambio di Note effettuato il 29 maggio 1947.

Approvazione dello scambio di Note Verbali fra l’Italia e gli Stati Uniti d’America, effettuato a Roma, il 24-26 settembre 1946, relativo alla sistemazione dei cimiteri di guerra americani in Italia.

Approvazione dell’Accordo stipulato in Roma, tra il Governo italiano ed il Comitato intergovernativo per i rifugiati, il 15 maggio 1947.

Approvazione degli Accordi di carattere economico e finanziario stipulati all’Aja, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 18 dicembre 1946.

Approvazione del Protocollo addizionale provvisorio agli Accordi commerciali e di pagamento del 2 marzo 1946 e dello scambio di Note conclusi a Roma tra l’Italia e la Danimarca il 23 maggio 1947.

PRESIDENTE. Do atto al Ministro degli affari esteri della presentazione di questi disegni di legge. Saranno inviati alla Commissione competente.

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del seguente disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi a Roma, tra l’Italia e i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Dichiaro aperta la discussione generale.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro, chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi, conclusi in Roma, fra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946:

  1. a) Accordo commerciale;
  2. b) Accordo di pagamento;
  3. c) Scambio di Note relativo agli Accordi commerciale e di pagamento».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 30 agosto 1946».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).

Dichiaro aperta la discussione generale.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946:

  1. a) Accordo commerciale;
  2. b) Accordo di pagamento;
  3. c) Scambio di Note relativo agli Accordi suddetti».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 1° aprile 1946».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del seguente disegno di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946 (32).

Dichiaro aperta la discussione generale su questo disegno di legge.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi conclusi in Roma, fra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946:

  1. a) Accordo commerciale;
  2. b) Accordo per regolare i pagamenti derivanti dagli scambi commerciali;
  3. c) Scambio di Note relativo all’Accordo di pagamento».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 9 novembre 1946».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Apro la discussione generale su questo disegno di legge.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi conclusi ad Ankara, tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947:

  1. a) Accordo commerciale;
  2. b) Accordo di pagamento;
  3. c) Scambio di note».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore nei modi e nei termini di cui all’articolo 6 dell’Accordo commerciale e all’articolo 4 dell’Accordo di pagamento».

PRESIDENTE. Apro la discussione su quest’articolo.

Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia e il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).

Apro la discussione generale su questo disegno di legge.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data agli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, fra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 1° maggio 1946».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, la discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Dichiaro aperta la discussione generale su questo disegno di legge.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei approfittare della celerità con la quale si svolge l’ordine del giorno e prendere occasione dal disegno di legge relativo all’Accordo con la Svezia per fare qualche considerazione di carattere generale e prevalentemente tecnico.

Esaminando questo disegno di legge e quelli concernenti gli altri accordi internazionali all’ordine del giorno io mi sono domandato: per quale motivo il Governo ha ritenuto di presentare all’Assemblea questi atti internazionali con un disegno di legge e non seguendo altre vie? Io non credo che il Governo abbia seguito questa procedura ritenendosi obbligato a farlo in virtù dell’articolo 3 del decreto luogotenenziale 16 marzo 1946. Voi sapete che in quel decreto si dice che l’Assemblea delibera – e non il Governo – le leggi di approvazione di trattati internazionali. Io so che qualche dubbio è sorto sul modo di interpretare questa espressione contenuta in quel decreto e che da parte di qualche organo dello Stato si è pure ritenuto di interpretare quella espressione alla lettera, nel senso cioè che nessun accordo internazionale potesse essere reso esecutivo se non mediante un atto legislativo, deliberato dall’Assemblea Costituente.

Non credo che questa interpretazione sia esatta, perché la disposizione dell’articolo 3 occorre inquadrarla in tutto il sistema dell’ordinamento costituzionale provvisorio che è attualmente in vigore. Secondo il mio avviso questa disposizione vuol dire soltanto che all’Assemblea Costituente devono essere presentati quei trattati internazionali per i quali, secondo l’antico ordinamento (che al riguardo non è ancora abrogato), era richiesta l’approvazione parlamentare, cioè quelli che comportino variazioni di territorio dello Stato oppure oneri alle finanze. Quando invece un accordo internazionale esige l’adozione di nuove norme legislative o deroghe a norme legislative, ritengo che la competenza a fare l’atto interno, ossia l’ordine di esecuzione, spetti alla competenza del Governo, secondo l’articolo 3 dello stesso decreto 16 marzo 1946. Vero è che nello stesso articolo 3 vi è una disposizione generica la quale dice che il Governo potrà sottoporre all’Assemblea Costituente qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuna la deliberazione di essa. Io suppongo che molti dei disegni di legge relativi ad accordi internazionali presentati all’Assemblea, il Governo li abbia presentati valendosi di questa facoltà conferitagli dalla disposizione che ora ho citato. È una facoltà discrezionale che il Governo esercita secondo il suo prudente criterio. Vi possono essere ragioni di ordine politico, per le quali il Governo ritenga opportuno che anche un trattato, che potrebbe essere reso esecutivo mediante un decreto legislativo, sia portato innanzi all’Assemblea mediante la presentazione di un disegno di legge di approvazione. Credo, d’altra parte, che il Governo, nell’esercitare questa facoltà discrezionale, terrà conto anche della situazione attuale dell’Assemblea Costituente e, in particolare, del lavoro che grava sull’Assemblea soprattutto per il suo compito principale relativo alla Costituzione e per altre leggi complementari della Costituzione.

Venendo, in particolare, all’accordo che mi ha suggerito queste osservazioni – che riguardano anche altri accordi – si può domandare: questo accordo, per essere reso esecutivo, ha bisogno di un provvedimento legislativo, di una legge? Vi sono in esso molti articoli i quali non esigono questa procedura. Siamo, infatti, in presenza di un accordo amministrativo, che si limita a regolare il reclutamento in Italia di un certo numero di operai da impiegarsi in Svezia. Ciò spiega come gran parte degli articoli stabiliscono soltanto obblighi per la Svezia, riguardanti il trattamento dei lavoratori in Svezia.

Però vi è nell’Accordo qualche disposizione per la quale occorre che nel nostro diritto interno sia adottato un provvedimento di carattere legislativo.

La disposizione più notevole che si può rilevare – e a questo punto faccio non più una osservazione formale come le precedenti, ma un’osservazione che riguarda il contenuto dell’accordo – è quella contenuta nell’articolo 14, nel quale si disciplina la rimessa dei risparmi dei lavoratori italiani che vanno in Svezia; e vi si stabilisce in quale misura la Svezia dovrà consentire che questi risparmi siano trasferiti e, soprattutto, si regola il modo del trasferimento.

Nell’articolo 3 del protocollo addizionale si precisa poi, in che modo si effettua la rimessa agli aventi diritto. E questo è il lato notevole e nuovo in accordi relativi all’emigrazione di lavoratori italiani. Si prevede qui che la Banca italiana incaricata, rimetterà agli aventi diritto l’equivalente in lire dei dollari depositati in America, applicando un certo tasso di conversione, cioè per il 50 per cento da cedersi al cambio ufficiale maggiorato della quota di adeguamento e diminuito dello scarto d’uso e, per l’altro cinquanta per cento, da cedersi al cambio del dollaro di esportazione da parte delle banche italiane incaricate del servizio della rimessa.

Ora, sotto questa formulazione tecnica, vi è un fatto notevole ed è che, in tal modo, si viene a stabilire una cessione obbligatoria dei risparmi degli emigranti all’Istituto dei cambi italiano. È questa la novità caratteristica di questo Accordo; novità che io sottolineo perché è un caso – il primo caso – in cui si fa alle rimesse degli emigranti un trattamento analogo a quello che si fa al ricavato delle esportazioni italiane.

Lo rilevo, perché così i lavoratori italiani che vanno in Isvezia sono chiamati a contribuire con un onere loro imposto, al riassetto dell’economia nazionale.

PRESIDENTE. Non essendovi altri oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1:

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi, conclusi a Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947:

  1. a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia;
  2. b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 2.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 19 aprile 1947».

PRESIDENTE. Pongo in discussione questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia e il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 2629 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Accordi conclusi tra l’Italia ed il Belgio:

  1. a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio, del 23 giugno 1946;
  2. b) Scambio di note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto, del 26-29 ottobre 1946;
  3. c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga del 26 aprile 1947;
  4. d) Scambio di note per l’applicazione immediata, a titolo provvisorio, all’Annesso del 27-28 aprile 1947».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MAZZA, ff. Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

PRESIDENTE. Apro la discussione su questo articolo. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà votato a scrutinio segreto nella seduta di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

Poiché l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno è tuttora assente da Roma, sono rinviate ad altra seduta le seguenti interrogazioni:

Cicerone, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se il Governo non creda giunto il momento per adottare in Puglia misure eccezionali in difesa dell’ordine costituito e dell’incolumità personale dei cittadini, in considerazione che la situazione dell’ordine pubblico sta ivi diventando gravissima; il numero dei morti e dei feriti cresce giornalmente per l’indeciso atteggiamento delle forze di polizia, le quali, intervenendo sempre in ritardo, non riescono a rappresentare più l’autorità dello Stato e a farla rispettare preventivamente; gruppi sovversivi tengono ferma ogni attività produttiva, con incalcolabile danno all’economia del Paese e contro la volontà di lavoro delle popolazioni pugliesi: il perdurare di un atteggiamento di protesta puramente platonico da parte del Governo costringerà i privati a provvedere alla difesa individuale, al di fuori degli ordinamenti costituiti»;

Caccuri, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati contro i responsabili dei luttuosi incidenti di Corato, Gravina e Bitonto e quali misure intende adottare per fronteggiare l’imperversare delle violenze in terra di Bari»;

De Maria, al Ministro dell’interno, «per conoscere i particolari dell’uccisione del sacerdote Di Leo di Bitonto ed i provvedimenti che il Governo intende adottare per fronteggiare la grave situazione di disordine verificatasi in Puglia e che si va estendendo anche alla Basilicata ed alla Calabria»;

Stampacchia e Cacciatore, al Ministro dell’interno, «sui dolorosi avvenimenti accaduti in Campi Salentina (Lecce) e sui provvedimenti che intende prendere per richiamare le autorità locali ad una più una comprensione del contenuto delle agitazioni delle classi lavoratrici e per stroncare l’atteggiamento provocatorio delle classi padronali nel resistere alle richieste dei lavoratori»;

Gabrieli al Ministro dell’interno, «per conoscere i particolari sui fatti di sangue di Campi Salentina e di Trepuzzi (Lecce);

Monterisi, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali misure siano state adottate e si intendano adottare contro i responsabili dei luttuosi avvenimenti di Puglia»;

Pastore Raffaele, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intenda adottare per rimuovere le cause che hanno determinato ancora una volta lo spargimento di sangue proletario nelle Puglie»;

Codacci Pisanelli e Recca, al Ministro dell’interno, «per conoscere quale fondamento abbia e quali eventuali misure abbia provocato da parte del Governo la notizia, pubblicata dalla stampa e confermata da persone del luogo, circa la presenza e la diretta partecipazione di stranieri al comando delle squadre d’azione protagoniste delle attuali violazioni delle più fondamentali libertà in Puglia e nel Salento»;

Turco, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «sugli annunziati disordini nelle province calabresi, sulle informazioni avute, sui provvedimenti presi, e per sapere se si intende provvedere finalmente ad adeguare le necessità delle popolazioni calabre sul piano delle necessità nazionali»;

Silipo, Gullo Fausto, Musolino, Mancini e Priolo, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «sui recenti fatti di Calabria»;

Quintieri Quinto, Bonino, Perrone Capano, Condorelli, Morelli Renato, Cortese Guido, Badini Confalonieri, Colonna e Villabruna, al Ministro dell’interno, «per conoscere, in relazione anche con i recenti disordini accaduti nella città di Cosenza, a qual punto dovranno giungere le devastazioni delle sedi del Partito liberale italiano, prima che si provveda alla tutela delle sedi stesse»;

Mancini, Priolo, Gullo Fausto e Silipo, al Ministro dell’interno, «sui fatti di Bisignano in provincia di Cosenza, dove un morto e parecchi feriti sono stati vittime del terrore premeditatamente diffuso dagli agrari più arretrati e più gretti della provincia. È davvero doloroso che all’ostinata trascuranza del Governo nei rapporti di quelle popolazioni patriottiche e tranquille si aggiunga ora la violenza e lo spargimento di sangue, che crea lutti, spreme lacrime e scava solchi profondi di irritazione e di protesta»;

Condorelli, al Ministro dell’interno, «circa i fatti del 24 novembre, che condussero alla devastazione della sede dell’unione monarchica italiana di Cosenza, circa i provvedimenti preventivi e repressivi adottati, nonché, in generale, sull’esistenza di progetti riparatori, che impediscano che la violenza politica raggiunga l’effetto di eliminare od attenuare l’azione dei partiti contro la quale si dirige»;

Sansone, al Ministro dell’interno, «per conoscere in base a quale ordine e per quali motivi i carabinieri di Giugliano (Napoli) hanno perquisito senza preavviso le abitazioni di numerosi cittadini iscritti ai partiti socialisti e comunisti. Per conoscere, altresì, se tale abusiva operazione di polizia venne portata preventivamente a conoscenza del Ministero dell’interno o del comando dei carabinieri ed infine per conoscere quali energici provvedimenti intende adottare contro i responsabili»;

Bellavista, Villabruna e Crispo, al Ministro dell’interno, «sui recenti fatti di Caltanissetta ed Agrigento, nei quali vennero assaltate e devastate le sedi di partiti politici. Ed in particolare, se siano stati identificati ed arrestati gli autori del tentato omicidio in danno del vicecommissario di pubblica sicurezza Di Natale, che venne derubato dell’orologio e di altri effetti personali in occasione della grave aggressione subìta; se sia stato deferito all’autorità giudiziaria, come responsabile del reato d’istigazione a delinquere, il deputato regionale Gino Cortese; se siano stati identificati ed arrestati i lanciatori di bombe contro la sede del Partito liberale di Agrigento, attentato conclusosi col ferimento di cinque carabinieri»;

Fiorentino e Musotto, al Ministro dell’interno, «sul contegno tenuto dalla polizia durante la recente manifestazione di protesta dei minatori di Aragona, in Agrigento, e sui provvedimenti che reputa indispensabile adottare per garantire la libertà dei lavoratori nella difesa del loro diritto alla vita»;

D’Amico, Montalbano e Fiore, al Ministro dell’interno, «per conoscere il pensiero del Governo sulle gravi violenze poliziesche contro un pacifico corteo di lavoratori svoltosi in Agrigento, e quali provvedimenti intenda prendere contro i responsabili»;

Castiglia, al Ministro dell’interno, «sui fatti di violenza comunista di Caltanissetta e sulle misure adottate per prevenire la minaccia di «più gravi pericoli» che incomberebbero sulla Sicilia, formulata dall’esponente comunista, signor Gino Cortese, consigliere regionale dell’Assemblea siciliana»;

Fiore, Montalbano e D’Amico, ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, «per conoscere: 1°) per quali ragioni il Governo ha revocato o sospeso la concessione di terreno, in territorio di Mussomeli (ex feudo Polizzello), fatta regolarmente dalla Commissione per l’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate della provincia di Caltanissetta; 2°) quali provvedimenti il Governo intenda adottare per sanare la situazione creatasi col misconoscimento dei diritti dei contadini, per sottrarre la provincia di Caltanissetta al dominio della mafia, cause prime dei recenti incidenti, e per richiamare le autorità locali ad una giusta comprensione delle richieste e agitazioni dei contadini»;

Marconi e Dossetti, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili della spedizione compiuta il 19 novembre a Cola di Vetto (Reggio Emilia) da elementi che, eccitati da un discorso del segretario dell’A.N.P.I., hanno perquisito case e persone, percosso a sangue due esponenti della Democrazia cristiana ed altri giovani, minacciando altri più gravi interventi e spargendo il terrore in quel pacifico paese»;

Tumminelli, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti di urgenza abbia preso o intenda prendere, dopo il nuovo assassinio politico, verificatosi qualche giorno fa a Zeme Lomellina, di cui è stato vittima il trentatreenne profugo giuliano Silvestro Zoppini, iscritto al Fronte democratico liberale dell’Uomo Qualunque»;

Tumminelli, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti di urgenza abbia preso o intenda prendere di fronte al fatto che il Sindacato venditori ambulanti e giornalai del Biellese, riunitosi il 18 novembre 1947, nella sede della Camera del lavoro, col pretesto della minaccia della popolazione democratica di Biella che considererebbe la vendita dei giornali: L’Uomo Qualunque, La Sferza, Candido, Brancaleone, La Rivolta Ideale, come un «incitamento alla reazione popolare», ha deliberato di non più ritirare e vendere i detti giornali e gli altri che potessero essere invisi alla popolazione democratica del Biellese»;

Capua e Rodi, al Ministro dell’interno, «sui tumulti organizzati e sulle violenze che hanno culminato con la devastazione di sedi qualunquiste»;

Treves e Preti, al Ministro dell’interno, «per sapere quali misure il Governo abbia preso in seguito ai ripetuti roghi di giornali di vario colore politico avvenuti in varie città d’Italia, onde impedire che si rinnovino simili attentati alla libertà della stampa»;

Di Fausto, al Ministro dell’interno, «per sapere se, in correlazione con l’odierna distruzione di giornali avvenuta alla periferia di Roma, il Governo sia al corrente delle recentissime deliberazioni dei Sindacati giornalai di Biella, Sampierdarena e Genova, per cui non si procederà al prelievo ed alla vendita dei giornali non ritenuti graditi alla popolazione, a fine di evitare i danni conseguenti alla distruzione di pubblicazioni e di edicole. Poiché la decisione si risolve in un grave attentato alla libertà di stampa ed in un arbitrio nel quale sono coinvolti fra l’altro giornali che hanno costantemente combattuto il neofascismo, l’interrogante chiede quali provvidenze vorrà adottare il Governo per il ristabilimento della normalità nel rispetto dei patti liberamente conclusi».

L’onorevole Costantini ha presentato la seguente interrogazione:

al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se non ritenga conveniente ed utile provvedere con legge alla revoca di tutti i titoli nobiliari conferiti durante il regime fascista e, nella assoluta maggioranza, per benemerenze di carattere esclusivamente politico».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. La risposta all’interrogazione dell’onorevole Costantini è semplice.

Rientrando questa materia per la sua natura costituzionale nella competenza dell’Assemblea Costituente, le cui decisioni riguardano tutta la materia nobiliare e non soltanto i titoli concessi durante il regime fascista, si ritiene che qualsiasi norma di applicazione debba essere presa dal Governo in funzione della norma emanata dall’Assemblea Costituente, e quindi dopo l’entrata in vigore della Carta costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Costantini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

Tenga presente, onorevole Costantini, che l’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio ha fatto riferimento al progetto di Costituzione, nel quale troviamo la IV disposizione transitoria che è proprio del seguente tenore:

«Non sono riconosciuti i titoli nobiliari.

«I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.

«La legge regola la soppressione della Consulta araldica.

«L’Ordine mauriziano è mantenuto come ente ospedaliero».

COSTANTINI. Veramente, onorevole Presidente e onorevole Sottosegretario di Stato, non era mia intenzione entrare in una disamina di carattere generale per quanto riguarda l’uso dei titoli nobiliari, perché in realtà, pure dal mio punto di vista politico, uso distinguere – perché è necessario – fra quei titoli nobiliari che hanno una tradizione, diciamo così, e i titoli nobiliari che non ce l’hanno o l’hanno soltanto in quanto sono in funzione di un determinato regime, di una determinata situazione politica, della quale effettivamente noi non abbiamo a lodarci.

Ecco lo scopo della mia interrogazione: questa distinzione che io creo, nella mia qualità di cittadino italiano, come credo debba farla chiunque si senta consapevole delle proprie attitudini politiche in questo determinato momento. I vari conti di Val Cismon, baroni dell’Aterno, marchesi di Neghelli, quegli altri di Cortellazzo, via, onorevole Sottosegretario, non possono essere paragonati a quella aristocrazia tradizionale…

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Se si guardano le origini…

COSTANTINI: …che ha per lo meno un riferimento storico.

Per queste ragioni ritenevo che una norma di legge di carattere particolare dovesse colpire, revocandoli, questi titoli, i quali soprattutto sono stati conferiti solo in riconoscimento, a determinate famiglie o a determinati individui, di una specifica qualità politica, in rapporto ad un regime che effettivamente non ha giovato al nostro Paese; per non dire e ripetere la frase: che ha molto nociuto al nostro Paese.

Ecco perché, mi sembra che sia necessaria o utile una distinzione, anche e precipuamente al fine di stabilire una differenza fra quello che è, o che sarà, il trattamento che la nostra Costituzione farà ai titoli nobiliari in genere, e quello che deve rappresentare la revoca di provvedimenti di carattere eccezionale e nient’affatto lodevole, che sono stati concessi dal regime fascista.

Oserei rivolgere da questo posto, in questo momento, una preghiera all’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio, affinché in rispetto di quelle norme di etica che esistono anche nella politica, questa distinzione venisse fatta attraverso una proposta legislativa che, più che dall’Assemblea Costituente, potrebbe emanare dall’Assemblea legislativa, oppure, nelle nostre particolari condizioni, diciamo, costituzionali, proprio dal Governo.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Io ritengo che l’onorevole Costantini potrà far valere questo suo punto di vista fra pochissimi giorni, allorquando si discuteranno gli articoli delle disposizioni transitorie, anche perché, se la iniziativa fosse presa dal Governo, non si avrebbe il tempo di discuterne o se ne discuterebbe dopo l’approvazione di quegli articoli. D’altro canto l’esame della questione non mi sembra possa rientrare nella competenza del Governo, in quanto si tratta di un vero e proprio potere sovrano quale è quello di concedere titoli nobiliari.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Forse non mi sono spiegato bene. Io dico: la Costituzione potrà riconoscere i titoli nobiliari, o non riconoscerli, parlo di quelli che esistevano prima del fascismo. Ma si tratta di creare una distinzione…

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Tale distinzione potrà essere fatta in sede di discussione delle norme transitorie della Costituzione. Allora ella potrà proporre un emendamento.

COSTANTINI. Mi sembrerebbe strano che nella Costituzione uguagliassimo tutti i titoli nobiliari, quelli tradizionali e quelli concessi dal regime fascista per benemerenze politiche di pretta marca fascista. Riconosco che sarà compito della Assemblea legislativa, ma vorrei incitare il Governo a farsi lui promotore di una proposta di legge che sarà sottoposta all’Assemblea Costituente, se l’Assemblea Costituente diverrà poi Assemblea legislativa, o al futuro Parlamento; in quanto – come dicevo prima – mi sembra dovere etico-politico distinguere i titoli nobiliari che preesistevano al fascismo e che hanno una tradizione, dai titoli nobiliari dati in funzione politica sotto il regime fascista.

PRESIDENTE. Lei ha la strada aperta, onorevole Costantini. Il giorno in cui l’Assemblea discuterà le disposizioni transitorie, preparerà un emendamento.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Canevari, Bocconi, Caporali, Ruggiero Carlo, Zanardi, Morini, Merighi, Tonello, Longhena, Treves, Filippini, Cairo, Piemonte, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per sapere se il Governo intende o meno di emanare le disposizioni legislative che consentano alle cooperative, alle mutue e agli enti similari il ricupero dei beni di cui furono spogliati dal fascismo».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Come ho avuto purtroppo diverse volte occasione di dichiarare in sede di risposta a diverse interrogazioni dello stesso onorevole Canevari, dell’onorevole Macrelli e di altri, i Ministeri avevano, riguardo alla materia di cui a questa interrogazione, delle tesi diverse, tanto che più d’una volta, portato l’argomento in Consiglio dei Ministri, è sorto contrasto di opinioni fra i Ministri interessati; e l’ultima volta (se non erro, tre settimane or sono), essendo localizzata la diversità di opinioni su alcuni punti, è stato incaricato un ristretto Comitato – composto dai Ministri Scelba, Pella e Del Vecchio – di studiare questi punti controversi e vedere di trovare un criterio risolutivo coordinato in apposito testo di legge da presentare alle Commissioni legislative dell’Assemblea.

Posso assicurate l’onorevole Canevari che ricorderò ai tre Ministri l’impegno preso, onde fare in modo che essi traggano le loro conclusioni.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CANEVARI. Avrei desiderato vivamente di trovarmi nella condizione di dichiararmi sodisfatto. Devo purtroppo dichiarare che non sono sodisfatto. Avevamo appreso che il Consiglio dei Ministri, in una delle ultime riunioni presiedute dall’onorevole Einaudi, aveva preso in esame un disegno di legge a tale scopo, ma che a nessuna conclusione era giunto il Consiglio dei Ministri.

Le difficoltà di ordine giuridico e di ordine pratico che si presentano per adottare il provvedimento da noi invocato (e che d’altra parte era stato esposto in un disegno di legge che raccolse in questa Assemblea la firma di 54 deputati, senza che si riscontrasse in quella proposta qualche opposizione o qualche contrasto con proposte fatte precedentemente dallo stesso Macrelli, quando era al Governo) noi le avevamo considerate e tenute presenti.

Il 25 luglio 1946 (è bene ricordarlo), quasi un anno e mezzo fa, in occasione della discussione parlamentare sulle dichiarazioni fatte in quest’Aula dal Presidente del Consiglio dei Ministri, io ebbi l’onore di presentare e di svolgere un ordine del giorno accettato dal Governo come raccomandazione, nel quale l’Assemblea invitava il Governo a presentare con tutta urgenza un provvedimento legislativo inteso a consentire ai Comuni (non parlo soltanto a nome del movimento cooperativo mutualistico, ma di enti statali, parastatali, di Comuni, Provincie, che sono stati spogliati dei loro beni durante il regime fascista), alle opere pie, alle cooperative, agli enti mutualistici, la possibilità di ricuperare i beni di cui furono spogliati dal regime fascista.

Era un invito che si riallacciava a un ordine del giorno votato nel primo congresso della cooperazione del settembre 1945, e del quale ordine del giorno ci eravamo, a tempo debito, fatto premura di presentarlo e di esporlo allo stesso Governo.

L’onorevole De Gasperi, dunque, aveva dichiarato di accettare quell’ordine del giorno come raccomandazione. Passarono sei mesi; si giunse alla lunga crisi del febbraio. Il Governo non espose in proposito; ed allora presentammo un secondo ordine del giorno rivolgendo lo stesso invito; e il Governo ripeté le sue promesse e il suo impegno. Il 5 maggio 1947 si svolse una interrogazione da me presentata in proposito al Presidente del Consiglio dei Ministri, e la risposta datami allora mise in chiara luce che il provvedimento non faceva parte delle cure premurose del Governo.

Venne la crisi del luglio. Noi non presentammo nessuna richiesta in proposito, perché l’attuale Ministro Guardasigilli, interpellato da me, mi assicurò che questo provvedimento sarebbe stato il primo atto del nuovo Governo. Passarono tutti questi mesi; si è arrivati a questa interrogazione, per sentirci dire che, esaminato il provvedimento, quale sarebbe stato allestito, preparato, disposto dalla Presidenza del Consiglio, esso avrebbe trovato nei diversi dicasteri degli ostacoli, delle opposizioni, delle difficoltà; per cui noi siamo certi, se è vero che questa Assemblea terminerà i suoi lavori con la fine di dicembre, che il Governo, nonostante la sua promessa, vedrà chiusi i lavori dell’Assemblea Costituente senza mantenere la parola data; parola che era stata accolta come un impegno solenne da parte di tutti gli enti interessati.

Badate che è una questione importantissima che interessa tutta l’Italia, tutto il movimento cooperativo e organizzativo, e che interessa anche diversi Comuni. Per esempio, i colleghi della provincia di Udine mi hanno fatto presente il caso del Comune di Chiusaforte che aveva un patrimonio ingente boschivo. È stato spogliato nel 1936 per la somma di 400 mila lire; nel 1937 gli acquirenti (naturalmente, i favoriti del fascismo) incassarono, soltanto per il taglio di una annata, le 400 mila lire spese per l’acquisto di tutto il patrimonio. Tutta la popolazione di quel Comune è in attesa fiduciosa del vostro provvedimento. Se il provvedimento non si attuerà, sarà, non soltanto una disillusione, ma una prova che si aveva ragione di non nutrire fiducia nel vostro Governo.

Da ogni provincia, da diverse associazioni, noi riceviamo l’incitamento di muoverci, per indurre il Governo a mantenere la sua parola.

Prendo atto della risposta soltanto come impegno, ma non come una dichiarazione che possa farmi nutrire nuove e più forti speranze. Il provvedimento che attendiamo non è che un atto di giustizia riparatrice atteso dai contribuenti, dai poveri, dai mutualisti, dai cooperatori, ai quali, con la violenza e con la frode, sono stati distrutti, sperperati, carpiti, rubati i loro beni. È un atto riparatore dei peggiori delitti del fascismo, perché rivolti contro le vittime più innocenti. Signori del Governo, date almeno questa assicurazione, che per la fine di questo mese voi emanerete il provvedimento invocato, con i mezzi più idonei e pratici per la sua attuazione. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Arata, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’industria e commercio e delle finanze, «per sapere se, in relazione ai vincoli rigorosi stabiliti per le altre provincie d’Italia sulla circolazione delle automobili e sull’assegnazione del carburante, sussista per Roma un particolare regime, tale da consentire che le automobili – sia di privata proprietà, che di pubblico servizio – vengano usate anche come mezzo ordinario di accesso, specialmente nelle ore notturne, ai locali di divertimento o di ritrovo in genere, e tale anche da consentire la larga circolazione di automobili dei Ministeri ed enti pubblici senza stretta necessità di servizio. E, comunque, per sapere se l’onorevole Ministro delle finanze non ritenga conveniente disporre perché i locali uffici finanziari e fiscali provvedano ad opportune ispezioni, nei luoghi sopradetti, per l’accertamento della proprietà degli automezzi come sopra adibiti, ai fini dell’acquisizione di più completi elementi di valutazione tributaria, quale parziale rimedio, per l’imposizione di quella disciplina e solidarietà sociali alle quali sono, in parte, legate le sorti della ricostruzione nazionale».

L’onorevole Sottosegretario per l’industria e il commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. Le disposizioni emanate per la disciplina della circolazione automobilistica non prevedono alcuna eccezione per la città di Roma. Esiste già un divieto di sosta delle auto-vetture presso i locali di divertimento e di ritrovo. È però pacifico che tutte le autovetture circolanti nelle ore notturne devono essere in possesso della prescritta autorizzazione rilasciata dagli uffici U.P.I.C. presso le Camere di commercio. Si assicura inoltre che presso il Ministero dell’industria e commercio, è in corso di esame un provvedimento, diretto ad instaurare una più rigida disciplina della circolazione automobilistica nei giorni festivi e nelle ore serali. Su questo provvedimento si è già pronunciato in linea di massima il Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per le finanze ha facoltà di rispondere per la parte che riguarda il suo Ministero.

MALVESTITI, Sottosegretario di Stato per le finanze. È chiaro che gli uffici distrettuali delle imposte dirette svolgono delle indagini atte a portare, anche induttivamente, un contributo all’accertamento vero e reale delle possibilità del contribuente.

Nel caso particolare, specialmente per ciò che riguarda la imposta complementare, gli uffici distrettuali si preoccupano di venire a conoscere la condotta di vita dei singoli contribuenti; e quindi il fatto che il contribuente possiede automobili o frequenta locali di lusso è un elemento di fatto induttivo per il relativo accertamento. Per la città di Roma, in modo particolare, l’Ufficio distrettuale si è preoccupato di giungere ad accertamenti il più che possibile positivi.

PRESIDENTE. L’onorevole Arata ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ARATA. Ringrazio gli onorevoli Sottosegretari non tanto per il contenuto delle loro risposte, che data la materia e l’ambiente non potevano non intonarsi al chiaroscuro, quanto per avere riconosciuto la fondatezza della mia interrogazione e per avere quindi anche riconosciuto che da essa esula quel qualsiasi influsso agitatorio, che la dizione letteraria potrebbe indurre qualcuno a ravvisarvi. Io ho tenuto a denunziare un fatto, un fenomeno, che si verificava (e vorrei non poter dire che si verifica) a Roma, di giorno e specialmente di notte e particolarmente nel periodo estivo, epoca a cui risale la mia interrogazione.

È vero che quest’estate il Governo non aveva ancora adottati i provvedimenti resi noti o preannunziati soltanto in questi giorni, ma una disciplina legislativa esisteva già; ed esisteva pure il bisogno sentito, grave, urgente che questa disciplina venisse rispettata. Ora, io non insisterò nella descrizione delle manifestazioni di apparente inesistenza di qualsiasi disciplina della circolazione automobilistica a Roma. Mi rendo conto che nella capitale occorre avere molta comprensione, vorrei dire mondana, e molta rassegnazione; ma è questione di misura; perché credo che neppure a Roma sia già giunto il momento di consentire che tanta preziosa benzina venga consumata per andare a ballare a Villa Umberto e per recarsi comunque a divertire in pubblici ritrovi, o che si usino le macchine dei Ministeri o di altri Enti pubblici per persone e servizi, che nulla hanno a che vedere con le esigenze della pubblica amministrazione.

Può darsi – io ad ogni modo prendo atto della buona volontà espressa dal Governo – che il male, almeno in qualche parte, sia irrimediabile. Mi rendo conto dell’ambiente in cui si agisce; ma in tal caso, e se proprio è così, il Governo – come mi permetto di suggerire nella mia interrogazione e come me ne conforta la risposta dell’onorevole Sottosegretario per le finanze – cerchi almeno di rivalersi, ponendo a carico di coloro che ostentano tanta abbondanza, cioè quella abbondanza che permette loro di trascurare i buoni di assegnazione di benzina, perché hanno ogni possibilità di attingere alle fonti del mercato nero, tutti i possibili rigori di legge, se non proprio sul piano della circolazione automobilistica, almeno in quello fiscale, anche perché sia meno stridente il contrasto con la disciplina imposta nelle altre provincie italiane, dove il permesso per la circolazione automobilistica è negato sovente a persone e a ditte che pur ne avrebbero urgente bisogno per sbrigare i loro affari. Faccio dunque uno speciale affidamento sulla risposta dell’onorevole Sottosegretario alle finanze.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Morini, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «per conoscere a che punto sono le trattative fra i dipendenti e industriali delle aziende gas: e sapere cosa intenda fare per evitare alle città italiane la iattura della sospensione della erogazione del gas; sospensione che si avrà martedì 11 novembre, a seguito dello sciopero già preannunciato per detto giorno di fronte all’ingiustificato irrigidimento padronale».

Onorevole Morini, intende che sia svolta?

MORINI. Ormai è superata.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’interrogazione dell’onorevole Ciampitti, al Ministro dei trasporti, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare in ordine alla necessaria ed urgente ricostruzione della ferrovia Isernia-Vairano, reclamata da gravi ed evidenti ragioni di comunicazione e di traffico tra il Molise e l’Abruzzo coi grandi centri di Napoli e di Roma, e non più dilazionabile, specie ora che per le ricostruzioni e le riparazioni delle reti ferroviarie è stata fatta una nuova assegnazione di fondi per oltre 175 miliardi. Mentre si è provveduto e si continua a provvedere alla ricostruzione ferroviaria nell’Italia del nord e in quella centrale, anche nei tronchi di scarsa importanza, si trascura la ricostruzione del tratto Isernia-Vairano, che per la sua eccezionale importanza avrebbe dovuto avere un’assoluta precedenza. Il collegamento della rete adriatica con quella tirrenica, attraverso il Molise, non può essere effettuato se non col tronco della Isernia-Vairano. Ed enormi sono gl’interessi che vengono danneggiati, in ogni settore, dall’ingiustificato ritardo della invocata ricostruzione per le popolazioni del Molise che più delle altre la guerra ha colpito e funestato».

Poiché il Ministro dei trasporti non è presente, questa interrogazione s’intende rinviata.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Cifaldi, De Caro Raffaele e Bosco Lucarelli, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare al fine di risolvere l’intollerabile situazione per la quale, quantunque siano stati stanziati i fondi necessari ed appaltati i relativi lavori, onde venire incontro con 180 alloggi agli urgenti bisogni di una popolazione come quella della città di Benevento, distrutta per metà in conseguenza della guerra, non si ottiene ancora, dopo un anno di interruzione, che venga fornito il ferro necessario all’impresa, dopo che sono stati anche rilasciati dal competente ufficio del Genio civile i relativi buoni di assegnazione. E per conoscere, inoltre, se, in vista della tragica situazione di centinaia di famiglie che tuttora vivono in fetide baracche o in oscuri antri – situazione personalmente constatata dall’onorevole Ministro in una sua visita alla predetta città – non intenda il Governo intervenire in maniera più pronta ed efficace con lo stanziamento di adeguati fondi e la rapida costruzione di opportuni alloggi».

Poiché il Ministro dei lavori pubblici non è presente, questa interrogazione è rinviata.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Carpano Maglioli, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, «per sapere se non ritenga opportuno assumere l’integrale assistenza degli emigrati all’estero, mandando presso le nostre rappresentanze consolari funzionari dello stesso Ministero, affinché l’operaio italiano in terra straniera abbia a ricevere ogni migliore cura per l’opera di personale tecnicamente preparato e particolarmente esperto».

Poiché l’onorevole interrogante non è presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere le ragioni per cui sono rimasti sospesi i lavori stradali fra Sacco e Roscigno, fra Orria e Omignano Scalo, fra Perito ed Ostigliano, tutti paesi della provincia di Salerno, costretti, per la incompiuta opera di cui sopra, a fare lunghissimi e disagiati tragitti per raggiungere i rispettivi scali ferroviari».

Poiché il Ministro è assente, l’interrogazione s’intende rinviata.

Per lo stesso motivo è rinviata la seguente interrogazione dell’onorevole Cacciatore, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se intende provvedere allo stanziamento dei fondi occorrenti per la costruzione dell’Asilo d’infanzia in comune di Agropoli (Salerno), ove attualmente circa duecento bambini si raccolgono in locali angusti, inadatti ed insalubri. La urgenza della nuova sede è stata già fatta presente all’ufficio del Genio civile di Salerno dall’Amministrazione comunale con l’accordo di tutti i partiti».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Sansone, al Ministro dell’interno, «per conoscere in base a quale ordine e per quali motivi i carabinieri di Giugliano (Napoli) hanno perquisito senza preavviso le abitazioni di numerosi cittadini iscritti ai partiti socialista e comunista. Per conoscere, altresì, se tale abusiva operazione di polizia venne portata preventivamente a conoscenza del Ministero dell’interno o del comando dei carabinieri ed infine per conoscere quali energici provvedimenti intende adottare contro i responsabili».

Data l’assenza del Ministro, s’intende rinviata. E così pure è rinviata, per lo stesso motivo, la seguente interrogazione degli onorevoli Morini e Sampietro, al Ministro dei trasporti, «per sapere se si ha l’esatta sensazione della gravissima situazione cui si è ridotta la classe dei ferrovieri, trattenendo, sul mensile di ottobre, tutte le anticipazioni fatte nei mesi precedenti; e per chiedere che venga immediatamente corrisposta una nuova anticipazione – proporzionalmente minore al complesso di quelle rimborsate – da restituire ratealmente in quattro-cinque mesi».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Varvaro, ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, «per sapere: 1°) se è a loro conoscenza che da quattro anni la popolazione di Montelepre è posta in blocco fuori legge dalle autorità di polizia preposte alla lotta contro il banditismo, le quali si comportano – e talvolta lo dichiarano senza infingimenti – come se tutti i seimila abitanti di quella cittadina fossero dei banditi o dei loro complici; senza tener conto del fatto che la stragrande maggioranza è costituita da galantuomini e onesti agricoltori e che di essa fanno parte uomini che onorano i pubblici impieghi, la Magistratura e la scienza. Che nel corso delle indagini e dei rastrellamenti indiscriminati vengono commessi soprusi di ogni genere, senza alcun rispetto per la libertà, per il domicilio, per la proprietà e per la vita stessa dei cittadini; 2°) se questo avviene per ordini del Ministero dell’interno e in quale misura è voluto, permesso o tollerato dalla Magistratura; 3°) se e quali provvedimenti intendano adottare perché a Montelepre si ripristinino la legalità e il rispetto della legge; 4°) se non intendano provvedere all’accertamento imparziale e severo dello stato di cose denunziato, dandone mandato a funzionari non suscettibili di influenze di ufficio, solleciti soltanto della ricerca della verità e ispirati dal sentimento del dovere».

Data l’assenza dei Ministri interrogati, si intende rinviata.

È pure rinviata per lo stesso motivo l’interrogazione dell’onorevole Canevari, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere la situazione attuale del Monte pensioni dei maestri elementari e i provvedimenti adottati per adeguare le pensioni degli insegnanti elementari a quelle dei pensionati dello Stato».

Segue l’interrogazione degli onorevoli Spallicci, Chiostergi, Camangi, Azzi, Magrini, Paolucci, Zuccarini e Longhena, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere quali provvedimenti abbiano preso per evitare che la ristampa dell’Enciclopedia Treccani venga affidata ancora a quegli elementi fascisti che già ne avevano diretto la compilazione».

Data l’assenza degli interroganti, s’intende che vi abbiano rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Tumminelli, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere: 1°) se il Commissariato nazionale della G.I. (Gioventù Italiana), creato con decreto del 2 agosto 1943 con il compito di reperire il patrimonio della ex GIL e di predisporre i lavori di una Commissione interministeriale per decidere sulla destinazione di quel patrimonio, abbia espletato il suo compito e con quali conclusioni; 2°) se non si ritiene improrogabile imporre a partiti politici e ad enti l’immediata restituzione allo Stato degli immobili e delle attività tutte della ex GIL, di cui sono in illegittimo possesso o fanno arbitrario uso; 3°) se non sembra opportuno ed urgente che l’intero patrimonio della ex GIL venga conferito all’Ente dei patronati scolastici, tenendo presente che solo con questa destinazione quel cospicuo patrimonio del popolo italiano può considerarsi restituito al legittimo uso, fuori di ogni passione politica».

Data l’assenza dell’interrogante, s’intende decaduta.

Sono, invece, rinviate, per assenza dei Ministri interrogati le seguenti interrogazioni:

Nobile, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere quale ingegnere sia stato designato, ed in base a quali criteri, per i lavori relativi ai beni immobiliari di proprietà dello Stato italiano in Varsavia»;

Perugi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere: 1°) quali aiuti ed alleggerimenti fiscali intenda disporre il Governo a favore degli agricoltori del comune di Gradoli (provincia di Viterbo), i cui raccolti sono stati quasi interamente distrutti dalla grandine nel nubifragio verificatosi in quella zona il 28 giugno ultimo scorso; 2°) se in considerazione dell’attività quasi esclusivamente vinicola di quei lavoratori e del fatto che i danni subiti avranno ripercussioni negative sui raccolti ancora per circa due anni, non ritenga dare agli aiuti oltre che un carattere urgente, anche uno continuativo per alleggerire il disastro che ascende a più di cento milioni di lire»;

Perlingieri, Moro, Bettiol, Salvatore, Bosco Lucarelli, Fuschini, Ermini, Rescigno, Recca, Uberti e Gabrieli, ai Ministri dell’industria e commercio, delle finanze e dei lavori pubblici, «per conoscere se ravvisino di prorogare per un decennio le disposizioni della legge 5 dicembre 1941, n. 1572, concedente agevolazioni agli impianti industriali dell’Italia centro-meridionale, iniziati entro il termine del 31 dicembre 1946 e ciò sia in considerazione del fatto che, a causa del periodo bellico, la detta legge non ha potuto avere pratica attuazione, sia in considerazione della necessaria evoluzione industriale dell’Italia centro-meridionale, resa più urgente dalle distruzioni belliche e costituente un aspetto primario del problema meridionale»;

Cevolotto, Cianca e Lussu, al Ministro dei trasporti, «per conoscere in base a quali ragioni è stata concessa la carta gratuita di libera circolazione di prima classe sulla intera rete ferroviaria dello Stato al signor Giovanni Host-Venturi, ex Ministro del regime fascista»;

Caronia, Dominedò, Di Fausto, Angelucci, Giordani, Orlando Camillo, Corsanego, Guidi Cingolani Angela, De Palma e Bonomi Paolo, al Ministro dell’interno, «per conoscere i motivi per cui si è rifiutata all’amministrazione del Pio Istituto Santo Spirito ed Ospedali riuniti di Roma l’autorizzazione a contrarre con la Cassa depositi e prestiti un mutuo di lire 400.000.000 per completare e mettere in efficienza l’Ospedale sanatoriale di Monte Mario, ospedale di urgente necessità per sgombrare i congestionati ospedali di Roma delle molte centinaia di ammalati di tubercolosi, che limitano la disponibilità dei posti-letto per le malattie per cui si richiede più immediata assistenza, e costituiscono un pericolo per gli altri infermi»;

Lopardi, ai Ministri dell’interno, delle finanze e dell’agricoltura e foreste, «per conoscere se siano a cognizione delle furiose grandinate e conseguenti piene che hanno devastato nel mese di settembre ed in alcuni territori ripetutamente in giorni diversi le già fiorenti campagne di Lanciano (frazione Sant’Onofrio), Atessa, Casalbordino, Vasto, Ortona a Mare, Villalfonsina, Fossacesia, Rocca San Giovanni, il dorsale collinoso di Chieti, San Giovanni Teatino, Torrevecchia Teatina, Pizzoferrato, Pennapiedimonte, Tollo, Canosa Sannita, Poggiofiorito, Crecchio e di numerose altre località della provincia di Teramo, distruggendo il raccolto totalmente per migliaia di ettari ed arrecando danni per centinaia e centinaia di milioni, con la conseguente miseria di quelle laboriose popolazioni; e quali provvedimenti intendano adottare per almeno attenuare la loro iattura, avvalendosi dei decreti-legge 28 settembre 1930 e 30 marzo 1933, o adottando – di urgenza, come è suggerito dalla gravità eccezionale del caso – speciali ed adeguati provvedimenti».

È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali motivi lo abbiano indotto a ordinare all’autorità militare di assumere a Milano i poteri prefettizi, misura che l’autorità militare stessa giudicò inopportuna e pericolosa.

«Pajetta Giancarlo, Alberganti».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali siano stati i precisi motivi che lo hanno indotto ad ordinare all’autorità militare di sostituirsi al prefetto, assumendo tutti i poteri; e per quali ragioni non abbia creduto di tener in alcun conto i voti che da tutti gli enti, associazioni, organizzazioni sindacali e partiti politici, giungevano al Governo stesso, richiedendo la permanenza in carica del prefetto Troilo, unanimemente considerato elemento equilibratore della vita della città e della provincia. L’interrogante – preoccupato dello stato di agitazione che permane nella provincia di Milano – chiede, inoltre, se e in qual modo il Ministro intenda oggi prendere in considerazione i voti della intera provincia.

«Mariani Francesco»

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ne darò notizia al Ministro dell’interno perché comunichi quando intende rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge;

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere se, date le gravi condizioni economiche dei piccoli comuni rurali, il Governo voglia, come da fatta promessa dell’ex Ministro del tesoro, onorevole Campilli, autorizzare l’applicazione della tassa famiglia (focatico) ai proprietari terrieri, che attualmente ne sono esenti, perché non residenti sul luogo.

«Tonello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno, per venire incontro ai produttori e vinificatori di vino moscato, la cui produzione dell’annata passata è ancora tutta invenduta, di abolire a detto vino la qualifica di vino di lusso.

«L’interrogante fa presente come in certe città il dazio sul vino moscato raggiunge le 55 lire al litro, rendendo così impossibile, per l’alto prezzo, la vendita di un vino che dovrebbe essere di largo consumo popolare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere a quale stato di istruttoria trovasi la pratica di pensione (dall’interrogante personalmente consegnata all’ufficio competente il giorno 16 ottobre 1947) alla vedova del colonnello genio alpini Gnecchi Mario, morto in Russia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere i motivi del ritardo della emanazione dei provvedimenti atti a mettere la Commissione unica per gli affari del personale, nella possibilità di formulare le proprie decisioni sul personale esonerato dal servizio durante il periodo fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 17.5

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. Votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946. (30).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946. (31).

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946. (32).

Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note. (39).

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946. (40).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma, fra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia. (41).

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946. (42).

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

POMERIDIANA DI SABATO 29 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 29 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Leone Giovanni.

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Fabbri

Macrelli

Uberti

Laconi

Bozzi

Mastino Pietro

Mastino Gesumino

Perassi

Condorelli

Nobile

Bertone

Targetti

Benvenuti

Arata

Rossi Paolo

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Canevari

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Ieri, nel momento in cui fu presentato e votato l’ordine del giorno che concerne l’indipendenza della Magistratura, io ero momentaneamente assente dall’Aula. Se fossi stato presente avrei sottoscritto in conformità e coerenza a un emendamento che avevo presentato.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Poiché sono stati svolti tutti gli emendamenti all’articolo 127, prego la Commissione di esprimere il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Rossi Paolo ha già espresso il pensiero della Commissione questa mattina, dicendo che, per quanto riguarda gli emendamenti più importanti, che sono quelli dell’onorevole Targetti e dell’onorevole Laconi, la Commissione non ha potuto convocarsi, non è in grado di dire nulla e si rimette al suo testo, lasciando libera l’Assemblea.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Bozzi, trattandosi di una sola questione formale, ritengo che siamo autorizzati ad accettarlo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, si tratta di passare allora alla votazione. Il primo comma del testo della Commissione, tenendo conto degli emendamenti accolti, è stato modificato nel modo seguente: «La Corte costituzionale è composta di membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dalle supreme Magistrature dell’ordine giudiziario e amministrativo».

In questo nuovo testo è stato dalla Commissione inserito l’emendamento degli onorevoli Persico e Bozzi. Restano pertanto validi, in confronto al testo dalla Commissione, l’emendamento dell’onorevole Laconi e quello dell’onorevole Targetti. L’onorevole Laconi ha proposto che i giudici della Corte siano nominati per un terzo della Camera dei deputati, per un terzo dal Senato e per un terzo dalle Assemblee regionali. L’onorevole Targetti ha proposto che il Presidente della Repubblica nomini un terzo dei componenti della Corte; gli altri due terzi siano nominati per metà dalla Camera dei deputati e per metà dal Senato della Repubblica.

L’emendamento proposto dall’onorevole Laconi ha la precedenza nella votazione, essendo quello che più si discosta dal testo della Commissione.

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro l’emendamento dell’onorevole Laconi, anche per una ragione che direi quasi di carattere pratico, cioè che questa nomina di un terzo da parte dei Consigli regionali mi appare un poco anomala, nel senso che non mi rendo conto chiaramente come i Consigli regionali dovrebbero partecipare a questa nomina di un numero di giudici il quale, nella sua totalità, molto probabilmente è inferiore al numero dei Consigli regionali. Quindi occorrerebbe concepire l’insieme dei Consigli regionali come costituente un corpo di per sé ed allora la prima obiezione che viene alla mente è quella della presenza del Senato, dove appunto i Consigli regionali hanno una particolare rifrazione unitaria, tanto che si era pensato di chiamare il Senato: «Camera delle Regioni». Se eventualmente questo terzo fosse rappresentato, per ipotesi, soltanto da dieci giudici o magari da cinque, non vedo come oltre venti Regioni potrebbero fare questa nomina, se non prendendo degli accordi fra loro. Perché non è pensabile una nomina frazionaria; e allora tutto questo meccanismo di elezione mi pare contrasti appieno con la natura del Consiglio regionale, che dalla Costituzione viene considerato come un organo che limita la sua competenza nel campo della Regione, salvo a dare dei rappresentanti al Senato.

Ma allora ritorniamo a quella tale idoneità del Senato ed a quella tale obiezione che facevo prima. Mi pare che questa ragione, d’ordine prevalentemente tecnico, debba far scartare l’emendamento Laconi.

Non sono nemmeno molto entusiasta dell’emendamento Targetti (e lo dico adesso per non ripetere ancora un’altra volta sullo stesso argomento una dichiarazione di voto) in quanto mi pare che le proposte dell’onorevole Laconi e dell’onorevole Targetti diano una soverchia importanza alla pretesa esigenza di carattere politico che sarebbe inerente al funzionamento della Corte costituzionale.

Si è detto con molta insistenza che il carattere di questo giudizio è tecnico e politico, e si è preteso di vedere un pericolo in un difetto, in una scarsità dell’elemento politico. Io mi pongo da un punto di vista completamente opposto e considero che, mentre certamente in ogni giudizio da parte di qualsiasi giudice, vi è sempre, da un punto di vista generale, un lato tecnico e un lato politico, nel caso particolare di questo giudizio da parte della Corte costituzionale, il lato preminente è nettamente di carattere giurisdizionale.

Questo deve essere l’elemento caratteristico della Corte costituzionale, sia pure con il concorso di quei tali criteri d’ordine tecnico e d’ordine politico che secondo me sono subordinati all’esigenza primordiale, preminente su tutte le altre, di una pronuncia giurisdizionale. E non vi è nessun implicito pericolo di concessione di strapotere politico alla Corte costituzionale, nel senso di una menomazione del potere della Camera, in quanto, dal punto di vista politico, al Parlamento rimane sempre l’ultima parola.

Perché noi non dobbiamo dimenticare quale è il carattere peculiare della Corte costituzionale: non è già di sostituirsi al Parlamento nel senso di negare al Parlamento la facoltà di deliberare delle leggi, anche in modifica della Costituzione. La garanzia che la Corte costituzionale è tenuta a dare è che quando il Parlamento non pretende di fare una legge che innovi dei principî costituzionali, ma semplicemente di deliberare leggi ordinarie e fare l’applicazione di principî non contrastanti con altri già stabiliti nella Costituzione non incorra in violazioni di diritto, in violazioni quindi specifiche, che si devono rilevare in un esame comparativo fra la norma costituzionale e la legge nuova del Parlamento o la legge della Regione. Ora, se noi partiamo dal concetto che questo giudice debba essere una rifrazione immediata del Parlamento, un portatore di ideologie di maggioranze occasionali, evidentemente ci avvolgiamo in un giro vizioso, perché tendiamo a dare a questo organo (Corte costituzionale) un carattere di riproduzione dell’Assemblea e del Parlamento, che esso non deve avere per definizione, altrimenti cesserebbe di essere un giudice degli atti del Parlamento, mentre deve proprio essere eminentemente un giudice degli atti del Parlamento e degli atti della Regione che contengano eventualmente una violazione delle leggi costituzionali.

Se il Parlamento vorrà esso modificare la Costituzione, e vorrà esso introdurre dei principî in deroga di quelli fissati nella Costituzione, ricorrendo ai modi previsti per la sua revisione, sarà liberissimo di farlo, e nessuna Corte costituzionale glielo potrà impedire.

Compito della Corte costituzionale è dunque di emettere una dichiarazione giurisdizionale, che solo subordinatamente è politica e tecnica; dal punto di vista principale deve essere di garanzia dei diritti che provengono dal rispetto e dalla osservanza delle leggi costituzionali.

In questo senso, scarto completamente l’emendamento Laconi, per le ragioni dette, e non approvo interamente quello dell’onorevole Targetti, rimettendomi invece al testo formulato ultimamente dalla Commissione, che in definitiva sarò lieto di votare.

MACRELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Non credo che dal punto di vista pratico sia applicabile l’emendamento dell’onorevole Laconi. Abbiamo già discusso su questo tema in altra occasione; comunque, io vorrei ricordare al collega Laconi che esiste un emendamento presentato dall’onorevole Perassi, come articolo 127-bis, il quale dice: «Quando il giudizio avanti la Corte verte sulla costituzionalità di una legge regionale o su un conflitto di attribuzioni fra lo Stato ed una Regione, la Regione interessata ha la facoltà di designare una persona, scelta fra le categorie indicate nell’articolo precedente, per partecipare alla Corte come giudice». Penso che l’onorevole Laconi potrebbe accontentarsi di questo emendamento, soprattutto perché, ripeto, è di difficile applicazione pratica il criterio, da cui egli parte; vorrei quindi pregarlo di ritirare il suo emendamento.

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Poiché siamo favorevoli al testo della Commissione, rinnovo la dichiarazione di voto già fatta ieri. Respingiamo tutti gli emendamenti per votare l’articolo, come proposto dalla Commissione nella sua ultima formulazione, salvo particolari, riguardanti la durata della Corte e l’età dei componenti.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Chiedo su questa votazione la verifica del numero legale.

PRESIDENTE. È stata presentata richiesta di verifica del numero legale. Di fronte a questa richiesta non c’è che da procedervi. Faccio peraltro rilevare che ciò significa l’intenzione di non attenersi al calendario prestabilito, che tutto autorizzava finora a credere che si potesse osservare, cioè la conclusione dell’esame di questi due Titoli, sulla Magistratura e sulla Corte costituzionale, entro il mese.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non so se sia corretto, come prassi parlamentare e come Regolamento, ma penso che si potrebbe passare a discutere l’articolo successivo, poiché tecnicamente esso non offre la possibilità di grandi controversie.

BOZZI. Sono legati i due articoli.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se vi sono opposizioni, non posso insistere nella mia proposta.

PRESIDENTE. Credo si possa accedere alla proposta dell’onorevole Ruini, che è conforme al Regolamento e che ci permetterà di utilizzare ancora, la seduta di oggi per i nostri lavori.

(Così rimane stabilito).

Passiamo pertanto all’esame dell’articolo 128. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Quando, nel corso di un giudizio, la questione d’incostituzionalità di una norma legislativa è rilevata d’ufficio o quando è eccepita dalle parti, ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, la questione è rimessa per la decisione alla Corte costituzionale.

«La dichiarazione d’incostituzionalità può essere promossa in via principale dal Governo, da cinquanta deputati, da un Consiglio regionale, da non meno di diecimila elettori o da altro ente ed organo a ciò autorizzato dalla legge sulla Corte costituzionale.

«Se la Corte, nell’uno o nell’altro caso, dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata al Parlamento, perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali».

PRESIDENTE. Resta inteso, onorevoli colleghi, che rimane sempre aperta la facoltà ai membri dell’Assemblea di presentare ancora emendamenti all’articolo 128, in relazione al risultato delle votazioni che si effettueranno sull’articolo 127.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevole Presidente, io sono animato dalla intenzione di far presto, ma in pari tempo dall’intenzione di far bene. Penso che noi non possiamo discutere dei poteri di decisione di questo organo supremo, se non sappiamo come l’organo è costituito, perché, evidentemente, la composizione della Corte riverbera la sua influenza su quelli che saranno i poteri di decisione della Corte medesima. Se nella composizione avrà la prevalenza, secondo l’opinione espressa da qualche settore di questa Assemblea, l’elemento politico, i poteri di decisione potranno essere orientati in un senso; se invece avrà la prevalenza l’elemento tecnico-giurisdizionale, i poteri di decisione saranno diversi. Ho l’impressione che noi discuteremo gli emendamenti senza avere presente questo punto fondamentale, che costituisce un presupposto.

PRESIDENTE. Le faccio osservare che, se quanto lei ha detto è giusto, altrettanto giusto sarebbe il criterio opposto, e cioè che prima bisogna fissare i compiti che si vuole affidare all’organo. È certo che sono due posizioni reversibili; ma poiché per il momento non voteremo sull’articolo 128, penso che il semplice esame delle proposte presentate non venga a pregiudicare le decisioni ulteriori che l’Assemblea dovrà prendere.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Onorevole Presidente, la sua proposta che si passi senz’altro all’esame dell’articolo 128 mi sembra assolutamente giusta, ed alle ragioni da lei dette, io mi permetto di aggiungere queste altre, con riferimento alla possibilità che si passi all’esame dell’articolo 128.

Ha osservato l’onorevole Bozzi che innanzitutto occorre stabilire la fisionomia dell’istituto, cioè della Corte costituzionale. Noi votammo già l’istituzione della Corte costituzionale, e la votammo dopo averne fissato la fisionomia, la quale, in sintesi, si può definire costituita da elementi e criteri di indole giuridica, e da elementi e criteri di indole politica. Noi sappiamo quindi di già quale è la fisionomia dell’istituto del quale abbiamo stabilita la nascita. D’altra parte, l’articolo 128, quando lo si esamini nella sua sostanza, dà la riprova del modo come si possa passare se non alla votazione dello stesso articolo, per lo meno al suo esame, L’articolo 128, nella prima parte, dice che: «Quando, nel corso di un giudizio, la questione di incostituzionalità di una norma legislativa, è rilevata di ufficio o quando è eccepita dalle parti, ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, la questione è rimessa per la decisione alla Corte costituzionale». Ora, questa è questione sulla quale noi possiamo discutere, qualunque sia la fisionomia dell’istituto della Corte.

PRESIDENTE. All’articolo 128 sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo è quello dell’onorevole Mastino Gesumino, del seguente tenore:

«Al prima comma, sostituire la prima parte con la seguente:

«Quando nel corso di un giudizio, ed entro un anno dalla data d’entrata in vigore di una legge, la questione d’incostituzionalità di una norma è rilevata d’ufficio».

L’onorevole Mastino Gesumino ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO GESUMINO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, il mio emendamento è di una tale chiarezza che mi impone l’obbligo di essere brevissimo. Io parto dalla constatazione che ogni controllo giurisdizionale sulla legittimità costituzionale di una legge impone, come conseguenza necessaria, che qualunque legge nel futuro sarà sottoposta ad una condizione risolutiva: in tanto le leggi che il futuro Parlamento emanerà avranno pieno valore, in quanto la loro efficacia non sia distrutta da una eventuale pronuncia della Corte costituzionale. Quali gravi conseguenze questo dato di fatto può portare sulla sicurezza del diritto e sulla sicurezza dei rapporti giuridici, che in conseguenza di una legge si creano e si formano, non vale la pena di ricordare. In base ad ogni disposizione di legge, e si dovrebbe dire in base ad ogni norma, i cittadini creano, stabiliscono, fissano i loro rapporti contrattuali. Ed è pericolosissimo protrarre per un tempo indefinito la dichiarazione di inefficacia di questi rapporti.

È quindi necessario fissare nella Costituzione un termine, entro il quale l’azione di incostituzionalità della legge debba essere proposta. Altrimenti noi avremo delle leggi che virtualmente saranno sempre annullabili. E questo è inconcepibile in uno stato bene ordinato. Perciò il mio emendamento letteralmente dice che l’azione di disconoscimento della legalità della legge dev’essere proposta entro un anno dalla entrata in vigore della legge stessa.

Credo che un anno sia un termine sufficiente ed equo, tenuto conto di tutti i fattori in giuoco, ma io non tengo al tempo: mi rimetto alla Commissione, che potrà indicare un termine maggiore o minore. Certo si è (e su questo punto sono d’accordo con me tutti gli autori che si sono occupati della istituzione di questa Suprema Corte costituzionale) che occorre assolutamente che la facoltà suprema che noi concediamo a questo supremo organo sia limitata nel tempo.

PRESIDENTE. L’onorevole Costa, che oggi non è presente, aveva proposto il seguente emendamento:

«Al secondo comma, alle parole: da cinquanta deputati, sostituire: da cinquanta membri delle Camere legislative».

PERASSI. Lo faccio mio; soltanto che, anziché dire «da cinquanta membri delle Camere legislative» – il che potrebbe far pensare che siano presi dall’una e dall’altra Camera insieme – basterebbe dire: «cinquanta membri di una Camera;».

PRESIDENTE. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Nell’ipotesi di cui al 1° comma di questo articolo la legge dichiarata incostituzionale dalla Corte non si applica alla controversia.

«Martino Gaetano».

«Aggiungere il seguente comma:

«Il magistrato dovrà rimettere gli atti alla Corte di cassazione quando ritenga che le leggi che dovrebbe applicare siano contrarie alla Costituzione dello Stato.

«Mastino Pietro».

L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire all’ultimo comma, alle parole: al Parlamento, le altre: alle Camere».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. La ragione della sostituzione è evidente: quando in questo testo si usò la espressione «Parlamento» s’intendeva dire: «le due Camere», non le Camere in Assemblea nazionale. Questa era la terminologia corrente alla data in cui il progetto è stato redatto. Allo stato attuale, invece, il Parlamento nel nostro testo ha assunto un carattere preciso, cioè comprende quella che era stata configurata come Assemblea nazionale. Nel caso in esame è opportuno quindi che la decisione della Corte sia comunicata distintamente a ciascuna delle due Camere, perché l’esame di questa decisione può essere intrapresa da ciascuna di esse indipendentemente l’una dall’altra. Vorrei soggiungere che sarebbe opportuno di aggiungere ancora: «perché, ove ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali»; e ciò perché sarebbe importante questa comunicazione ufficiale della decisione alle singole Camere.

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Condorelli, del seguente tenore:

«Dopo le parole: la dichiarazione d’incostituzionalità, aggiungere l’inciso: ove non sia stata pronunziata di ufficio».

L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. Questo emendamento era stato presentato nella ipotesi che fosse stato accolto l’altro da me proposto all’articolo 126; poiché io mi auguravo allora che questa Corte costituzionale potesse per lo meno dichiarare la incostituzionalità degli atti incostituzionali per eccellenza, quelli inerenti all’usurpazione di potere. In questo caso era chiaro che la sentenza che venisse dopo diversi mesi, o anche dopo qualche anno, dall’usurpazione non avesse più nessuna efficacia.

Ma giacché si è ritenuto che la Corte costituzionale non debba intervenire, o per lo meno non sia competente a dichiarare la eventuale usurpazione dei poteri, cede la ragione del mio emendamento, e perciò lo ritiro e non mi resta che rammaricarmene.

Ma giacché ho la parola, onorevoli colleghi, se vale ancora la pena di indicare qualche inconveniente della nostra Costituzione, consentitemi che, per scrupolo, ve ne additi uno.

È possibile che una legge, ove non venga accettato l’emendamento dell’onorevole Mastino, sia dichiarata incostituzionale e cessi di avere efficacia dopo anche molti anni dalla sua emanazione? Ed allora, a seconda dell’importanza di questa legge – e la dichiarazione di incostituzionalità può riguardare qualsiasi legge – potremo avere delle vere e proprie assurdità nel nostro ordinamento giuridico.

Normalmente il potere che può abrogare una legge è quello che fa la legge, che ne sostituisce una nuova a quella abrogata. In questo caso, evidentemente, non è così. La Corte costituzionale può togliere efficacia ad una legge, ma non può farne un’altra. Ed allora avverrà che per un periodo di tempo, che non so quanto lungo, rapporti che possono essere anche fondamentali non saranno regolati da nessuna legge.

Io non voglio presentare nessun emendamento a questo proposito: prego la Commissione ed i colleghi di considerare quanto ho rilevato, o per lo meno, di chiarirci se se ne sia tenuto conto e come potranno essere ovviati i pericoli segnalati.

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Fausto ha presentato un emendamento tendente a sopprimere la prima parte dell’articolo. Non essendo presente si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma sopprimere le parole: da non meno di diecimila elettori».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Volevo osservare che per raccogliere diecimila firme bastano oggi anche dieci sezioni di un partito, ed allora non si sarebbe mai sicuri della validità di una legge.

Pertanto, le stesse osservazioni che testé hanno indotto l’onorevole Mastino a proporre che sia messo un termine di tempo, spingono me a proporre questa soppressione, non potendosi ammettere che appena diecimila elettori possano infirmare la costituzionalità di una legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: e il giudice non la ritiene manifestamente infondata».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Ho già avuto occasione ieri di accennare ai gravi inconvenienti cui può condurre la formula del progetto.

È detto in essa che, quando l’eccezione di incostituzionalità è sollevata dalle parti ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, il giudice senz’altro rimette le carte alla Corte costituzionale.

Ora, io mi pongo il quesito: il giudice ritiene l’eccezione manifestamente infondata e prosegue oltre nel proprio giudizio; ma la parte che ha proposto l’eccezione avrà certamente il diritto di appello e, occorrendo, anche il diritto di ricorrere in Cassazione contro la pronuncia del giudice che ha negato l’esame dell’eccezione di incostituzionalità. E non è escluso che il magistrato d’appello o la Cassazione possano ritenere fondata la eccezione di incostituzionalità che il primo giudice ha ritenuto infondata, e che investano la Corte costituzionale dell’esame negato dal primo giudice. Di modo che, per evitare che si protragga ingiustamente, con una eccezione pretestuosa, il giudizio, si va incontro al pericolo di protrarlo ancora di più con il giudizio di appello e di Cassazione cui la parte ha il diritto certamente di adire.

E pertanto io ritengo che sia opportuno non includere nell’articolo la formula «se il giudice la ritiene manifestamente infondata»; ma che senz’altro, quando l’eccezione di incostituzionalità viene rilevata d’ufficio o è proposta dalle parti, immediatamente debba venir sospeso il giudizio e dato corso all’eccezione di incostituzionalità.

Qualcosa di analogo avviene, onorevoli colleghi, quando viene sollevata dinanzi al magistrato la questione della giurisdizione, della potestà del magistrato. Gli articoli 37, 41 e 368 del Codice di procedura civile regolano perfettamente questa materia e stabiliscono che, quando l’eccezione venga sollevata d’ufficio o proposta dalle parti, senz’altro la Cassazione sia investita della questione. E viene anche stabilito un termine breve per la proposizione della eccezione al Supremo Collegio: trenta giorni.

Se anche noi pertanto, ci regoleremo in tal modo, si giungerà assai più presto alla dichiarazione di Costituzionalità o di incostituzionalità della norma. Invece con i gravami contro la pronuncia del giudice che ha ritenuto infondata la eccezione, avremo perduto non dei mesi, ma forse degli anni prima che la questione venga risolta. Parmi pertanto che sia opportuno uniformarsi a ciò che costituisce lo ius receptum nei confronti di una questione analoga come quella della potestà di giurisdizione.

Resti dunque il principio che, una volta sollevata una questione di incostituzionalità, essa venga senz’altro rimessa alla Corte costituzionale. Del resto, non è da pensare che anche le parti possano sollevare con leggerezza una simile eccezione: la serietà della toga, la serietà del patrocinio legale, ci vietano di pensare ciò.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituirea: cinquanta deputati: cento deputati, e aggiungere: cinquanta senatori; sostituire a: un Consiglio regionale: cinque Consigli regionali; sostituire a: non meno di diecimila elettori: non meno di cinquantamila elettori».

Ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. La mia proposta mi sembra non abbia bisogno di essere illustrata. Può incontrare favore o disfavore, a seconda del pensiero degli egregi colleghi, ma le argomentazioni che si possono portare per illustrarla sono facilmente intuibili.

Credo che si debba essere tutti d’accordo nel ritenere che per mettere in moto questo meccanismo tutt’altro che semplice, si debbano richiedere nell’agente delle condizioni che non attribuiscono un’azione così importante anche a chi non abbia autorità per iniziarla. Cinquanta deputati mi sembra che siano troppo pochi. Il nostro Parlamento risulterà, se non erro, di 560 deputati o anche più. Basterebbe, quindi, una piccolissima quota di deputati per investire di incostituzionalità qualsiasi legge. Si finirebbe col rendere possibile una specie di sabotaggio dell’attività legislativa. Riterrei quindi opportuno che si aumentasse il numero dei deputati, portandolo a cento, e che si aggiungesse anche il concorso di cinquanta senatori. Soltanto così mi sembra che si eviterebbero i gravi inconvenienti di un’eccessiva facilità di esercizio dell’azione.

In quanto ai Consigli regionali, nessuno mi accusi di anti-regionalismo se dico che un Consiglio regionale è un po’ poco per promuovere un’azione di questa portata. Quindi proporrei che i Consigli regionali fossero almeno cinque per poterla iniziare.

Quanto al numero degli elettori, riporterò quanto osservò – sia pure al fine di sostenere l’inopportunità di questa istituzione. – l’onorevole Nitti, quando disse che qualsiasi piccolo movimento potrebbe mettere insieme diecimila firme per provocare questo giudizio di incostituzionalità. Io porterei, quindi, il numero minimo a centomila.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Targetti, centomila o cinquantamila?

TARGETTI. Cinquantamila. Ho detto centomila, perché il mio desiderio sarebbe di andare oltre ai cinquantamila; ma ormai ho detto, anzi ho scritto cinquantamila.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Volevo osservare al collega Targetti ed ho fatto male cercando di dirlo con una interruzione – che non capisco come praticamente sia possibile ottenere che una Regione possa proporre l’azione di incostituzionalità di una legge, quando questa incostituzionalità ferisca solamente i suoi interessi; se non troverà altre Regioni le quali accomunino la propria azione con la sua non potrà agire avanti la Corte costituzionale. Potrà anche in pratica verificarsi che il diritto eventualmente violato ai danni di una Regione rappresenti un vantaggio per le altre e quindi praticamente, la proposta dell’onorevole Targetti – ove venisse accolta – si risolverebbe in una condizione di inferiorità fatta a certe Regioni. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti ha proposto il seguente articolo 128-bis:

«La dichiarazione di incostituzionalità può essere altresì promossa in via principale dal Presidente della Repubblica ogni qualvolta egli ravvisi nei provvedimenti legislativi, che gli vengono proposti per la promulgazione, disposizioni inconciliabili con gli ordinamenti costituzionali della Repubblica ovvero con le libertà e coi diritti garantiti ai cittadini dalla Costituzione.

«Il Presidente della Repubblica non può promuovere azione di incostituzionalità oltre i termini di promulgazione della legge di cui all’articolo 71.

«E facoltà del Presidente della Repubblica di sospendere la promulgazione degli atti per i quali abbia promosso dichiarazione di incostituzionalità sino a quando non sia intervenuta la decisione della Corte costituzionale.

«Gli atti del Presidente della Repubblica di cui al precedente articolo non richiedono la controfirma ministeriale.

«Subordinatamente, fermi restando i primi due commi dell’emendamento, sostituire i successivi due commi come segue:

«Ove intervenga, entro i termini di cui all’articolo 71, dichiarazione di incostituzionalità, il Presidente della Repubblica non dà corso alla promulgazione.

«Qualora il Presidente della Repubblica non possa promuovere azione di incostituzionalità per mancanza della controfirma ministeriale di cui all’articolo 95, è riconosciuta al Presidente stesso la facoltà di promuovere tale azione a titolo personale negli stessi modi e con gli stessi effetti previsti dalla legge per gli altri cittadini, organi ed enti a ciò autorizzati».

L’onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento propone un problema di carattere generale che già ebbi l’onore di proporre precedentemente in altra formulazione e che già ebbe l’onore di una breve delibazione da parte del Presidente della Commissione dei Settantacinque, onorevole Ruini: è il problema dell’atteggiamento del Capo dello Stato di fronte alle leggi incostituzionali.

Mi permetto di ricordare (e mi si consenta questa battuta, direi quasi, di polemica personale coll’egregio Presidente della Commissione dei Settantacinque, onorevole Ruini) un passo del suo interessantissimo studio Verso la Costituente, nel quale, definendo la posizione del Capo dello Stato, quale egli auspicava che fosse configurata nella nostra Carta costituzionale, specificava: «Il Capo dello Stato deve stare sopra il Governo; non può avere soltanto un compito simbolico e decorativo, riducendosi ad una finzione giuridica costituzionale. Alla posizione meramente simbolica va sostituita quella del Capo dello Stato non responsabile dei singoli atti del Governo, ma responsabile nell’esercizio dei compiti che gli spettano per promuovere gli interessi nazionali e per difendere contro ogni minaccia la Costituzione e le libertà».

Quando ebbi occasione di porre il quesito alla Commissione, in occasione del riconoscimento o meno al Capo dello Stato del diritto di sanzione, il problema venne appena sfiorato e non fu risolto. Anzi, quando, attraverso un emendamento, posi il quesito se si dovesse inserire nella Carta costituzionale una menzione espressa del Capo dello Stato come tutore della Costituzione, l’allora Relatore onorevole Tosato mi rispose che la dichiarazione era pletorica, inquanto dalla sostanza del nostro sistema costituzionale emerge che il Capo dello Stato è effettivamente tutore della Costituzione della nostra Repubblica.

Io ritengo, onorevoli colleghi, che, nonostante che non sia stato riconosciuto al Presidente della Repubblica il diritto di sanzione, il Presidente della Repubblica non possa e non debba promulgare leggi anticostituzionali. Infatti qui si ripropone il vecchio problema: il Capo dello Stato è rappresentante del popolo o agente delle Assemblee? Anzi il Presidente Ruini, con frase drastica, ha posto il problema: è il Capo dello Stato commesso delle Assemblee legislative?

Effettivamente, sotto un aspetto, il Capo dello Stato è e deve essere agente del potere legislativo, in quanto dà esecuzione agli atti di tale potere. Ma quando il potere legislativo commette un eccesso di potere, quando il potere legislativo esorbita dalle facoltà riconosciutegli dalla Costituzione, è certo che il Capo dello Stato cessa di essere agente del potere legislativo e deve opporre la propria resistenza, consecutiva all’esame di merito che egli deve compiere sotto il profilo costituzionale, degli atti esecutivi che gli sono sottoposti. Esame di merito, ripeto, sotto il profilo costituzionale, non mai per quanto attiene al contenuto politico dell’atto. Tale esame sotto il profilo della costituzionalità è implicito nell’atto della promulgazione: in quanto il Capo dello Stato, in tanto promulga l’atto legislativo, in quanto è stato approvato con quella maggioranza e attraverso quella procedura che la Costituzione prescrive. Una legge che modifichi la Costituzione richiede una maggioranza e una procedura particolare. A questi fini, e solo a questi fini, il Presidente della Repubblica deve entrare nel merito della legge ed esaminare se il contenuto della legge rientri o no fra le leggi che, integrando o modificando la Costituzione, implicano una particolare maggioranza o un particolare procedimento. Una legge che modificasse la Costituzione e che non fosse votata con quella particolare procedura e maggioranza, di cui all’articolo che successivamente esamineremo, non sarebbe una legge, come non sarebbe una legge ordinaria, se non fosse approvata in Parlamento dalla maggioranza della Camera e del Senato. Certamente il Presidente della Repubblica non dovrebbe promulgarla, e così non deve promulgare una legge che, modificando la Costituzione e richiedendo particolare maggioranza, non possa avere la figura formale di atto legislativo regolarmente approvato. E qui si pone un successivo problema: di fronte a una legge incostituzionale, non approvata colle maggioranze c colle procedure dovute e quindi non promulgabile, in quale situazione costituzionale si verrebbe a trovare il Presidente della Repubblica? Io non ritengo affatto che si debba dare al Presidente la facoltà di erigersi a giudice della costituzionalità o incostituzionalità delle leggi. Ritengo logica, esatta soluzione conferire al Presidente della Repubblica la facoltà di deferimento della legge al corpo costituzionale. E qui si pone il problema, il vecchio problema della controfirma ministeriale, onorevoli colleghi: perché contro una legge incostituzionale a nulla vale la facoltà concessa al Presidente della Repubblica di rinviare la legge alle Camere per un nuovo esame perché evidentemente quelle Camera legislativa, quel potere legislativo, quel Parlamento che intende far promulgare una legge incostituzionale, esprime dal proprio seno un Governo che certamente non controfirmerà in nessun caso la domanda di promozione dell’azione di incostituzionalità. Nessun Governo si presterà a controfirmare la richiesta di decadimento di una legge che esso stesso, attraverso la sua maggioranza, ha deliberato.

Badate, onorevoli colleghi, questa della mancanza della controfirma ministeriale non è una questione sollevata capricciosamente, a suo tempo, dall’onorevole Dominedò e da me. Questo problema si è imposto ad altri organi costituenti ogni qualvolta si è voluto, entro certi determinati limiti, conferire al Capo dello Stato un potere autonomo. Sempre in tal caso si è dovuto superare il problema della controfirma. Questo problema non riguarda affatto l’obbligo, la necessità democratica della controfirma ministeriale per tutto quanto riguarda gli atti legislativi ordinari e gli atti di Governo. Quindi avevano torto quei Presidenti della Repubblica francese, cominciando da Casimir Périer che lamentavano di nulla poter fare senza il permesso del Governo; perché erano semplicemente autorizzati ad assistere a cerimonie patriottiche, e si vedevano ridotti, secondo la frase di Gladstone, a depositari di un arsenale le cui armi erano adoperate da altri, o a semplici comparse, ultimi residui del vecchio cerimoniale dell’Antico regime. Sotto tale profilo quei Presidenti avevano sostanzialmente torto, perché in nessun caso si potrebbe ammettere che in regime democratico il Presidente della Repubblica possa sindacare il merito di atti legislativi o di atti esecutivi. Ma qui siamo in un altro campo, siamo di fronte alla necessità di svincolare dalla controfirma ministeriale quegli atti del Presidente, che tendono ad impedire a un organo dello Stato di esorbitare dai propri poteri. Quindi si impone la sospensione della promulgazione e il deferimento alla Corte costituzionale.

Sorge qui, diciamolo francamente, un problema morale. Si tratta di evitare una mostruosità giuridica e morale. Ossia, se il Presidente dovesse, obbligatoriamente, promulgare una legge incostituzionale, arriveremmo a questa conseguenza: che il Presidente della Repubblica, dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione, dovrebbe promulgare un atto incostituzionale sotto pena di esser imputato di violazione della Costituzione. Quindi, dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione, il Presidente della Repubblica rischierebbe di essere deferito all’Alta Corte di giustizia per essersi rifiutato di promulgare la legge violatrice della costituzione da lui giurata. Sarebbe ripeto, una mostruosità giuridica e morale. Non vedo come si possa ammettere che il Capo dello Stato debba essere necessariamente prescelto fra uomini capaci di piegare in tal modo la loro coscienza. A meno che si veda un rimedio nelle dimissioni del Presidente della Repubblica: ma ciò porterebbe che proprio nel momento della maggiore crisi dello Stato, quando cioè una maggioranza tende ad imporre leggi contrarie alla Costituzione e alla libertà, si arriverebbe alla decapitazione della Repubblica, in seguito alle dimissioni del suo capo.

Onorevoli colleghi, noi dobbiamo costruire un edificio repubblicano che sia saldamente difendibile, anche e soprattutto sul piano morale. Il mio emendamento svincola il Presidente dalla controfirma ministeriale per questo particolare atto: la promozione dell’azione di incostituzionalità. Io escludo che il sacro canone della controfirma obbligatoria non possa essere superato. La Costituzione austriaca, alla cui elaborazione ha partecipato un uomo come Kelsen, ha esentato dalla controfirma alcuni atti. La Costituzione finlandese esenta dalla controfirma lo scioglimento della Camera. Simili disposizioni contenevano le Costituzioni lettone ed estone. Ma se non si dovesse superare questo sacro canone, permettetemi di prospettare per lo meno, che al Presidente della Repubblica, individualmente, sia data la facoltà che abbiamo data a diecimila cittadini irresponsabili. Non si metta il Presidente della Repubblica nel tragico dilemma di coscienza di dovere o promulgare l’atto incostituzionale o mettere in crisi lo Stato colle sue dimissioni, senza che a lui sia dato rimedio alcuno. È chiaro che la posizione dei comuni cittadini è ben diversa. Se essi, raccolti in un certo numero, sono contemplati come soggetti attivi dell’azione di incostituzionalità, a maggior ragione tale facoltà deve essere riconosciuta al Presidente della Repubblica che con la sua promulgazione dà vita ed efficacia ad atti che possono ferire i principî fondamentali della democrazia e della libertà. Mettiamo il Presidente in condizioni di poter difendere costituzionalmente la sua reazione morale. È in nome di questa reazione morale, che deve accomunare il cittadino e il capo dello Stato, che mi permetto di raccomandare all’approvazione dell’Assemblea il mio emendamento. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Arata ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo e il secondo comma.

«Sostituire al terzo comma la seguente formulazione:

«Quando la Corte dichiara l’incostituzionalità di una norma questa cesserà di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata al Parlamento perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

ARATA. Voglio dire due parole soltanto, che mi sono suggerite da questa osservazione: in sostanza, i primi due commi dell’articolo 128 attengono essenzialmente alla procedura. Infatti, nel primo comma è previsto un caso – uno dei tanti – in cui può sollevarsi una questione di incostituzionalità. Il secondo comma vuol regolare la legittimazione attiva nella procedura da stabilirsi per le dichiarazioni di incostituzionalità. Siamo dunque nel campo centrale della procedura. Il terzo comma, invece, ha carattere sostanziale, in quanto riguarda e regola gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità.

È mio sommesso avviso, pertanto, che le disposizioni contenute nei primi due commi ben possono essere dettate dalla legge, mentre quella del terzo dev’essere contenuta nel testo costituzionale.

Il mio emendamento ha relazione inscindibile con quello, che ho contemporaneamente presentato, all’articolo 129, in cui chiedo che la legge, oltre che regolare i conflitti di attribuzione, regoli anche le azioni di incostituzionalità; cioè anche la procedura, ed ho presentato entrambi, perché, ripeto, penso che sia conveniente non addentrarci ora in problemi di carattere esclusivamente procedurale, ma lasciare questa parte alla legge, la quale stabilirà come potranno sorgere e come dovranno essere avviate le questioni di incostituzionalità, stabilendo chi sarà legittimato a proporle ed in quali termini potranno essere svolte.

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone ha presentato un secondo emendamento del seguente tenore:

«Sopprimere nel secondo comma le parole: da un Consiglio regionale, e far seguire il seguente alinea:

«Per le leggi riguardanti le Regioni, la dichiarazione di incostituzionalità deve essere promossa da almeno tre Consigli regionali, se la disposizione riguarda genericamente le Regioni, o dal Consiglio regionale della Regione a cui è limitata la disposizione».

Ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Penso che sia opportuno togliere dal secondo comma dell’articolo 128 la parte che riguarda il diritto di reclamo della Regione, perché questo comma, in quanto regola le opposizioni che vengono fatte o da 50 deputati o da 50 mila elettori o da altri enti ed organi autorizzati dallo Stato, vuole riferirsi evidentemente alla legge, che riguarda la intera nazione.

Ora quando si introduce in questa disposizione la frase, che l’opposizione può essere fatta anche da un Consiglio regionale, si viene a creare il dubbio che un Consiglio regionale possa fare opposizione ad una legge, che riguarda l’intera nazione.

Non per nulla poco fa c’è stato un piccolo dibattito fra l’onorevole Targetti e l’onorevole Mastino Pietro. Questi osserva giustamente che non occorre, quando si tratta di interessi che riguardano una Regione, il consenso di più Regioni per promuovere la dichiarazione di incostituzionalità; perché quelle altre Regioni potrebbero anche non aderire all’iniziativa, che non le riguarda. Appunto per questo, è necessario separare la parte che riguarda la Regione, dalla parte che riguarda la nazione in generale. E per questo il mio emendamento deve essere completato in questo senso: togliere dal secondo comma le parole «da un Consiglio regionale» e facendo seguire il comma, da un alinea, quello letto, cioè: «Quando la disposizione di legge riguarda genericamente le Regioni ecc…».

Può essere una disposizione di legge che riguarda le Regioni in generale. Ed allora non è giusto che una sola Regione possa impugnare di incostituzionalità la disposizione; sene richiedano almeno tre. Se viceversa la disposizione impugnata riguarda solo una Regione è giusto che essa possa da sola proporre il reclamo.

Mi pare che questa distinzione sia perfettamente ragionevole e possa essere accolta dalla Commissione e dalla Camera.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei osservare all’amico onorevole Bertone: l’ordinamento regionale, che voi della Democrazia cristiana avete voluto, o lo rispettate o non lo rispettate. Perché ci può essere un’unica Regione, la quale, avendo fatto per conto suo una legge che ha applicazione nell’ambito regionale in una determinata materia (mentre le altre Regioni non hanno fatto una analoga legge), quella sola Regione abbia interesse a difendere la costituzionalità della sua propria legge regionale, che vede pregiudicata da una disposizione di ordine generale successiva. O l’autonomia legislativa regionale la disconoscete, come io sarei propenso a fare (Rumori al centro), tanto che non volevo dare il potere legislativo alla Regione, o, una volta che l’avete ammesso e sanzionato, bisogna che abbiate il disagio di essere coerenti e di rispettare l’autonomia legislativa anche di una singola Regione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Se la legge viene a ferire soltanto quella Regione, rientra perfettamente nel mio emendamento che quella Regione abbia diritto di far reclamo contro la legge: ma se la legge riguarda gli interessi di tutte le Regioni, non è giusto che una sola Regione possa insorgere contro una legge di ordine generale.

PRESIDENTE. Tutti gli emendamenti all’articolo 128 sono stati svolti.

L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Posso rispondere brevissimamente.

Gli emendamenti Costa e Perassi sono di semplice chiarificazione e la Commissione li accetta subito e volentieri. Si intende che debbono essere cinquanta membri del Parlamento, deputati o senatori, e che la somma di venticinque deputati e venticinque senatori non può giungere allo stesso effetto. Ci vogliono cinquanta deputati, o cinquanta senatori.

L’eccezione dell’onorevole Condorelli, relativa al problema della vacatio legis, in caso di annullamento da parte della Corte costituzionale, ha preoccupato la Commissione, ma abbiamo superato le incertezze con questo dilemma: o la legge annullata è una legge completamente nuova, ed allo stesso modo in cui si è potuto andare avanti per lungo tempo senza la legge, si potrà proseguire ancora per qualche tempo, in attesa che il Parlamento rifaccia la legge in termini corrispondenti alla Costituzione; o la legge è semplicemente novativa di disposizioni che esistevano in precedenza e si rimarrà all’antico…

CONDORELLI. Ma ci sarà stato troppo intervallo!

ROSSI PAOLO. L’horror vacui che impressiona l’onorevole Condorelli non pare che debba sgomentare: si potrà sempre tirare innanzi per qualche tempo come si è andati avanti per tanti anni.

L’onorevole Nobile vuole sopprimere l’inciso riguardante i diecimila elettori. Questo emendamento verrà esaminato con la proposta dell’onorevole Targetti, che è della stessa portata.

L’onorevole Bertone ritiene opportuno sopprimere la disposizione relativa ad un controllo preliminare del giudice: egli teme di vedere una eventuale eccezione di incostituzionalità portata attraverso giudizi, che possono durare due o tre anni, dal giudice di primo grado fino alla Corte di Cassazione. È un’obiezione seria, tanto che abbiamo pensato se non si potesse mutare la disposizione attuale: «se il giudice non la ritiene manifestamente infondata», con quella, non ignota al nostro linguaggio giuridico e più drastica ancora: «se il giudice non la ritiene temeraria», per escludere vieppiù che il giudice possa respingere eccezioni che poi risultino non infondate.

Comunque abbiamo pensato che stabilire nella legge di attuazione tutto un complesso regolamento di competenza, sarebbe difficile e gravoso. Meglio sopportare, rara ipotesi, che, talora, una eccezione ritenuta manifestamente infondata da un primo e da un secondo giudice, sia, poi, in terzo grado, accolta. Gli inconvenienti evidentemente ci sono; il minore sembra quello di conservare il testo della Commissione. All’emendamento Targetti vorrei rispondere sullo stesso tono del suo intervento. È discutibile se la cifra di cinquanta sia sufficiente, ma anche la cifra di cento potrebbe essere insufficiente. Tanto vale l’una, sostanzialmente, come l’altra. Un gruppo di cinquanta deputati dà garanzia di serietà… o vogliamo sperarlo.

Quanto alla proposta d’attribuire il diritto d’impugnativa a cinque Consigli regionali, in luogo di un Consiglio regionale soltanto, come previsto nel progetto, valga per l’onorevole Targetti la ragione che opporrò fra un momento ad altri colleghi e che è stata svolta brillantemente dall’onorevole Mastino Pietro: può darsi che una legge turbi gli interessi legittimi di una sola Regione e che una sola Regione abbia motivo d’impugnazione.

Mi si dice – e vengo con ciò al secondo emendamento Bertone – che si potrebbe introdurre una norma, la quale distingua fra leggi che riguardino tutte le Regioni e leggi che riguardino una sola Regione. Io mi permetto di rilevare che questa distinzione è incerta e difficile. Una legge può colpire indirettamente una sola Regione, pur senza riguardare nominativamente quella Regione; può essere una legge che abbia l’apparenza d’una legge di carattere nazionale, ma, di fatto, interessare o colpire una Regione soltanto. Supponiamo che si emetta una legge relativa alle saline e che la sola Sardegna abbia delle saline; supponiamo che si faccia una legge relativa ai pascoli montani o ai laghi sopra i duemila metri. In questi casi, la sola Sardegna, o la sola Val d’Aosta, avrebbero interesse all’impugnazione. Secondo l’emendamento Bertone si risponderà alla Regione interessata: non puoi impugnare il provvedimento se non trovi altre quattro Regioni che ti fiancheggino, perché queste leggi non riguardano solo la Sardegna, o la Val d’Aosta, ma tutte le possibili saline, tutti i possibili pascoli alpini, tutti i possibili laghi a duemila metri, anche se non risulta in questo momento che vi siano pascoli o saline o laghi montani in altre regioni che non siano la Sardegna o la Val d’Aosta.

Non mi pare, quindi, che possa introdursi questa limitazione, né secondo la formula Bertone, né, meno ancora, secondo quella dell’onorevole Targetti, al quale faccio rilevare, come mi osserva in questo momento l’onorevole Perassi, che la legge impugnabile può anche essere una legge regionale.

All’onorevole Mastino Gesumino, che mi pare riproduca un emendamento già svolto sostanzialmente dall’onorevole Martino Gaetano, rispondo che il problema della certezza della legge è stato preso in esame. Tutti ci rendiamo conto che sarebbe bene che in un determinato momento si sapesse quale è la legge e non ci fosse possibilità di impugnazione. Ma ridurre la possibilità di impugnazione ad un anno può creare dei pericoli.

MASTINO GESUMINO. Per quanto riguardava il termine io mi rimettevo alla Commissione.

ROSSI PAOLO. Onorevole Mastino, non è questione di un anno, due anni o sei mesi: la questione rimane qualunque sia il limite di tempo; né un termine breve assicura la certezza del diritto, né un termine lungo garantisce da eventuali iniquità.

L’onorevole Benvenuti ha toccato un punto delicato, e molto elevatamente, quando ha sostenuto l’opportunità che al Capo dello Stato sia consentito il diritto di denunciare alla Corte costituzionale la incostituzionalità di una legge, decreto, o provvedimento, che sia presentato alla sua firma dal Capo del Governo. Ma qui cominciano a nascere dubbi gravi: il Capo dello Stato verrebbe posto nelle condizioni di litigante, dal suo altissimo soglio scenderebbe al grado di un ricorrente. Supponiamo che la Corte costituzionale gli dia torto; dove va il prestigio del Capo dello Stato? A me sembra che garanzie ci siano già nel sistema che abbiamo cercato di creare. La prima garanzia è questa: il Capo dello Stato non è, nella nostra concezione, un amanuense, non ha una mano meccanica che deve necessariamente firmare, senza un altissimo sindacato, tutti i provvedimenti che gli vengono portati nella cartella di marocchino per la sua sottoscrizione. Il Capo dello Stato esaminerà i provvedimenti che il Governo gli sottopone, compirà un’indagine di costituzionalità e ricuserà la firma ai decreti ed alle leggi incostituzionali, provocando la crisi ministeriale, se del caso.

Nel testo definitivo c’è una disposizione che non era nel progetto di Costituzione e che è stata introdotta con un articolo aggiuntivo, l’articolo 72. Per quanto riguarda i decreti e le altre disposizioni, il Capo dello Stato può anche non firmare. Per le leggi è invece un’altra questione; perché le leggi deve firmarle e promulgarle, ma, per l’articolo 72…

BENVENUTI. Questo non serve a niente.

ROSSI PAOLO. Ma è come se il ricorso fosse già stato prodotto e la Corte lo avesse già accolto. Che cosa fa la Corte costituzionale di fronte ad una impugnativa? Se dichiara che la legge è incostituzionale, la rimette al Parlamento per nuova deliberazione; quindi il Capo dello Stato fa già da solo, per l’articolo 72, quello che nel caso più favorevole potrebbe fare la Corte costituzionale, e ciò senza creare un conflitto e subire un’umiliazione nel caso che la Corte costituzionale respingesse il reclamo.

CONDORELLI. Ci vuole la maggioranza parlamentare!

BENVENUTI. Ed è necessaria la controfirma.

ROSSI PAOLO. Allora, non ci comprendiamo. Non vedo in che cosa consista l’argomento dell’onorevole Benvenuti. Può, o non può il Presidente della Repubblica rinviare la legge alle Camere per un nuovo esame?

BENVENUTI. Non può, senza il permesso del Governo, essendo il Governo, che ha una maggioranza parlamentare, che deve dare la sua controfirma. Questa è la verità: il Presidente della Repubblica deve firmare qualsiasi cosa.

CONDORELLI. Abbiamo fatto un regime di Assemblea! (Commenti).

BENVENUTI. Avremo lo stesso regime di Vittorio Emanuele III, contro il quale abbiamo combattuto per tanti anni! Il Presidente della Repubblica commetterà gli stessi sconci che ha commesso Vittorio Emanuele III: non può farne a meno!

CONDORELLI. Vittorio Emanuele III vi era obbligato! (Commenti).

ROSSI PAOLO. Abbrevio. La Commissione è gravemente preoccupata che la Corte costituzionale possa sconfessare il Capo dello Stato. Questo è il motivo preminente per cui non crede di poter aderire all’emendamento Benvenuti.

L’emendamento dell’onorevole Arata è ragionevole, senza dubbio. Ma bisogna che l’Assemblea assuma interamente la sua responsabilità. Si vuole delegare al legislatore futuro, si vuole rimettere alla legge ordinaria tutta questa delicata e complicata procedura, l’arbitrio di stabilire chi possa impugnare le leggi e i decreti, se una Regione, o tre, o cinque Regioni; diecimila o cinquantamila cittadini; cinquanta o cento deputati? Si vuole rimettere tutto ciò alla futura Assemblea? Facciamolo, se credete. Dal punto di vista sistematico la vostra Commissione non avrebbe nulla in contrario ad accogliere il criterio dell’onorevole Arata. È una questione di responsabilità dell’Assemblea. Se l’Assemblea decide di doversi spogliare di questa prerogativa, la Commissione si può anche rimettere.

Concludo: manteniamo il testo originario, respingendo tutti gli emendamenti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io non posso dolermi di non essere stato bene interpretato. Ma mi debbo dolere di non essermi saputo esprimere: se si fosse trattato di un esame, meriterei la disapprovazione in iscritto e in orale, perché questo difetto di chiarezza lo riscontro sia nel testo dell’emendamento, sia in quello che ho detto per illustrarlo.

Il mio concetto era questo: da una parte affermare un principio indiscutibile, cioè il diritto di ciascuna Regione di promuovere questa speciale azione in tutti i casi in cui una legge ledesse gli interessi specifici della Regione stessa. Al tempo stesso intendevo dire che, come si dà il diritto, secondo il progetto a cinquanta e, secondo la mia proposta, a cento deputati uniti a cinquanta senatori, come si dà il diritto a centomila elettori di agire in via principale contro l’incostituzionalità di una legge, lo stesso diritto si debba dare non ad un Consiglio regionale, ma a cinque Consigli regionali.

Sicché, secondo il mio convincimento, ogni Regione potrebbe dolersi di qualsiasi legge che ledesse i suoi interessi, mentre soltanto cinque Consigli regionali uniti potrebbero sostituirsi ai cento deputati e cinquanta senatori, ai centomila elettori, e potrebbero agire in nome di un interesse che non sia particolare di una singola Regione, ma che sia genericamente ritenuto contrario alle norme costituzionali.

Questo era il mio concetto. Io credo quindi che su ciò si possa essere d’accordo anche con l’onorevole Mastino Pietro.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO: Non c’è dubbio che ella, onorevole Targetti, abbia voluto dare al suo emendamento il significato al quale ora ha accennato, ma devo rilevare che con la sua insistenza nella tesi già svolta e che già è stata formulata, con precisione di termini, nell’emendamento dell’onorevole Bertone, non ha però ancora dato risposta al Relatore onorevole Rossi. Egli ha invitato lei e l’onorevole Bertone a considerare l’ipotesi – che è normalissima – che una legge apparentemente estranea ad una data Regione, di fatto invece, per quella specie di circolazione di sangue che si verifica fra le Regioni tutte nella vita nazionale, la riguardi e ne colpisca gli interessi. La Regione colpita non potrà, da sola, appellarsi alla Corte costituzionale.

Se c’è quindi un dubbio da chiarire, onorevole Targetti, ella avrebbe potuto farlo dando risposta all’ipotesi formulata dal collega onorevole Rossi: all’ipotesi cioè di una legge che apparentemente riguardi solo una data Regione, ma di fatto e sostanzialmente invece riguardi anche le altre.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino, non assuma il ruolo dell’onorevole Rossi: l’onorevole Rossi ha ben compreso ed ha creduto di rispondere nel modo con cui ha risposto.

MASTINO PIETRO. Onorevole Presidente, io mi riferisco a quanto ha detto l’onorevole Rossi non perché egli abbia bisogno d’un mio aiuto, ma perché, riferendomi a quanto ha detto, non ho bisogno di ripeterne gli argomenti.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Desidererei sapere se l’onorevole Targetti sarebbe disposto ad aderire all’emendamento da me presentato in relazione al numero dei Consigli regionali che possono avanzare ricorso alla Corte costituzionale, rinunziando conseguentemente alla sua formulazione.

TARGETTI. Non posso aderirvi, perché non corrisponde esattamente al mio concetto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Mastino Gesumino di dichiarare se intende conservare il proprio emendamento.

MASTINO GESUMINO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Gli emendamenti degli onorevoli Costa e Perassi sono stati accolti dalla Commissione.

Gli onorevoli Martino Gaetano e Gullo Fausto non sono presenti e pertanto i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Lo mantengo, sostituendo però, alle parole «Corte di cassazione», le parole «Corte costituzionale».

PRESIDENTE. Sta bene.

Onorevole Bertone, lei ha due emendamenti; li mantiene tutti e due?

BERTONE. Sì, tutti e due.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile?

NOBILE. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Arata?

ARATA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora resta inteso che questi sono gli emendamenti sui quali voteremo nella seduta prossima, salvo altri emendamenti in conseguenza della votazione sull’articolo 127.

Per intanto, poiché vi è un emendamento proposto dall’onorevole Perassi come articolo 127-bis, sempre connesso alla materia in esame, pregherei l’onorevole Perassi di svolgerlo senz’altro.

L’emendamento è del seguente tenore:

«Quando il giudizio avanti la Corte verte sulla costituzionalità di una legge regionale o su un conflitto di attribuzioni fra lo Stato ed una Regione, la Regione interessata ha la facoltà di designare una persona, scelta fra le categorie indicate nell’articolo precedente, per partecipare alla Corte come giudice».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Le considerazioni che hanno suggerito questo emendamento sono due: una è di ordine contingente, si può dire, ed è data dal fatto che lo Statuto della Sicilia prevede la creazione di un’Alta Corte avente funzioni analoghe a quelle della Corte costituzionale che stiamo costruendo; Alta Corte la quale sarebbe costituita, secondo un criterio paritetico, di sei giudici nominati in parti uguali dallo Stato e dalla Regione.

Io non voglio anticipare il problema delicato circa l’atteggiamento che l’Assemblea Costituente potrà assumere quando sarà chiamata ad esaminare il progetto di legge costituzionale concernente l’ordinamento della Sicilia, per inquadrare quello che è stato fatto nella Costituzione, così come risulterà. In quell’occasione l’Assemblea Costituente esaminerà tutto l’insieme del problema.

Ritengo personalmente, che sarà difficile che l’Assemblea Costituente arrivi ad ammettere che esista una Corte italo-siciliana. Quella forma di Corte è uscita nel progetto siciliano, che era l’unico in quel momento. Non ritengo che si possa adottare la stessa soluzione per tutte le Regioni, una volta che si crea la Corte costituzionale per tutto lo Stato. E infatti possiamo già dire che da parte della Consulta sarda, la quale elaborò uno schema di ordinamento per la Sardegna, non si è pensato di istituire qualche cosa di analogo anche per la Sardegna. Quindi, ho l’impressione che l’Assemblea Costituente aderirà al concetto che la Corte costituzionale debba essere unica.

E allora sorge un’altra questione, ed è di vedere se non sia il caso che per taluni giudizi le Regioni siano chiamate in un certo senso, a partecipare alla formazione della Corte costituzionale. A questo riguardo vi è l’emendamento Laconi, il quale prevede che alle elezioni di una certa quota di giudici siano chiamate a concorrere, insieme con le Camere legislative, anche le Assemblee regionali. Già la Commissione mi pare che si sia pronunciata in senso non favorevole a questa soluzione.

L’articolo aggiuntivo che io propongo parte da un’altra considerazione, che è questa: che sia opportuno, quando in un certo giudizio concreto sia in discussione una legge regionale di una certa Regione o un conflitto fra una certa Regione e lo Stato, che la Regione possa designare una persona che partecipi alla Corte in qualità di giudice. Non è che sia un rappresentante della Regione. Tutti sono giudici sullo stesso piede; anche chi è designato dalla Regione non è detto che necessariamente debba sposare la causa della Regione, perché è giudice e sarà quindi libero nel suo giudizio. Però la presenza di questa persona così designata ad hoc può essere utile.

Riguardo a quella che può essere stata l’origine di questa disposizione, io ricordo che una disposizione simile esiste per la Corte di giustizia internazionale. Secondo lo statuto di quella Corte, quando è in causa un certo Stato che non abbia un suo giudice fra i giudici ordinari della Corte, detto Stato è autorizzato – ha facoltà, quindi, non obbligo – di inviare una persona che ai fini del giudizio concreto è parificata agli altri giudici e partecipa al giudizio.

Mi sembra che questa soluzione possa essere accolta anche nel caso nostro, dando così una certa soddisfazione a quella idea che ha ispirato anche l’emendamento dell’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. Non so se l’onorevole Rossi Paolo voglia esprimere il pensiero della Commissione sull’emendamento dell’onorevole Perassi.

ROSSI PAOLO. La Commissione accetta la formulazione proposta dall’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. E allora, onorevoli colleghi, abbiamo concluso l’esame degli emendamenti anche all’articolo 128. Resta inteso che le votazioni sugli articoli 127 e 128 avverranno nella prossima seduta dedicata all’esame del progetto di Costituzione.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ritengo sia venuto il momento di fare un piccolo ragionamento sopra il periodo di tempo che ancora ci resta e sul modo di utilizzarlo. Ormai è chiaro che, considerata la brevità del tempo durante il quale l’Assemblea potrà ancora sedere e decidere, dobbiamo tenere conto non solo delle giornate ma anche delle ore. Ci siamo proposti di concludere nel mese di novembre l’esame di questi due Titoli. Ci occorrerà invece almeno un giorno di più, e cioè due sedute, per procedere alla votazione degli articoli esaminati e all’esame e alla votazione degli altri non ancora toccati; e poi, successivamente, avremo da esaminare le disposizioni transitorie e alcuni articoli relativi all’ordinamento regionale che abbiamo lasciati in sospeso. Dopo di che avremo terminato i nostri lavori in sede costituzionale.

Ma rimane ancora altro lavoro per le leggi elettorali, lavoro il quale richiederà molte sedute.

In linea generale, per la prossima settimana potremo procedere in questo modo. Poiché i nostri colleghi del Gruppo liberale hanno espresso il desiderio che almeno per la giornata di lunedì non si proceda a votazioni, alle quali non potrebbero partecipare perché impegnati al Congresso del loro partito, possiamo lunedì mattina, non tenere seduta. Nel pomeriggio terremo seduta allo scopo di esaminare una serie di disegni di legge relativi ad accordi di carattere commerciale con Paesi esteri. Procederemo poi alle votazioni relative, a scrutinio segreto, nel giorno successivo martedì, perché molto probabilmente se dovessimo procedere a questa votazione nella stessa giornata di lunedì non avremmo il numero legale.

Nella seduta pomeridiana di lunedì metteremo all’ordine del giorno anche una serie di interrogazioni.

Per martedì mattina è convocata la Commissione dei Settantacinque e quindi non terremo seduta; terremo seduta invece nel pomeriggio, seduta che eventualmente potrà protrarsi nelle ore serali e nella quale dobbiamo impegnarci a votare sia su questi due articoli i cui emendamenti sono stati già esaminati, sia sugli articoli residui del Titolo sesto e cioè 129, 130 e 131.

Mercoledì due sedute per esaminare gli articoli residui del Titolo sulle Regioni, e cioè: 117, 118, 122, 125.

Giovedì, venerdì e sabato le sedute, antimeridiane e pomeridiane, ed eventualmente serali, saranno dedicate alle disposizioni transitorie, di modo che per sabato sera prossimo sia terminato ogni lavoro in relazione al testo costituzionale. Dato che lunedì sarà festa non potremo tenere seduta. Dal 9 alle vacanze natalizie il tempo è breve e non potremmo dedicare altre sedute alla discussione del testo costituzionale; dovremo però ritornare sull’argomento per votare, in forma conclusiva, il testo che la Commissione dei Settantacinque e la Commissione di coordinamento ci presenteranno.

Come ho già detto, nella seduta di lunedì sarà posta all’ordine del giorno una serie di interrogazioni, e fra queste quelle relative a questioni di ordine pubblico.

Queste ultime interrogazioni saranno poste all’ordine del giorno con riserva e cioè salvo conferma del Ministro dell’interno o meglio, salvo, ritorno in sede del Sottosegretario Marazza che, come abbiamo appreso stamattina, si è recato a Milano.

CANEVARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEVARI. Avevo presentato una interrogazione alla Presidenza del Consiglio per chiedere informazioni sui provvedimenti legislativi intesi a porre le cooperative e le mutue nelle condizioni di recuperare i beni di cui sono state spogliate dal fascismo. La Presidenza del Consiglio si era impegnata di rispondere con urgenza; pregherei che questa interrogazione fosse posta all’ordine del giorno di lunedì.

PRESIDENTE. Sarà fatto senz’altro e farò sollecitare anche la Presidenza del Consiglio a rispondere; non posso però impegnarmi a che questa risposta sia data. Dipende dalla Presidenza del Consiglio di dichiarare se ha elementi sufficienti per poter rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non intendano apportare urgenti modifiche ai decreti 6 maggio 1947, n. 563; 13 giugno 1947, n. 670; 29 luglio 1947, n. 1689, attualmente vigenti per la riscossione dei contributi unificati da parte dei piccoli coltivatori diretti, le cui condizioni sono particolarmente gravi nelle zone danneggiate dalla guerra.

«Veroni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali ragioni si siano opposte finora alla restituzione della autonomia comunale a Paganica (Aquila), che fu sacrificata nel 1928 per realizzare il sogno di una grande Aquila con Comuni distanti dal centro fino a 18 chilometri; e per sapere se non creda opportuno, ad evitare legittime reazioni popolari, già serpeggianti, di affrettare il provvedimento che disponga la ricostituzione del Comune. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scoca».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non creda opportuno di disporre il trasferimento da Forlì a Ravenna, del comando sminatori, in considerazione:

1°) che la provincia di Forlì è ormai bonificata dalle mine;

2°) che i lavori di sminamento dipendenti da quel comando si svolgono prevalentemente nella provincia di Ravenna;

3°) che il trasferimento del comando da Forlì a Ravenna si dimostra pertanto utile e urgente, per la esecuzione più rapida e più economica dei lavori in corso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se, in considerazione che la società inglese di linee aeree B.O.A.C. dovrà presto lasciare Augusta, forse a causa del riordinamento di quella base navale, per cui si rende necessario di liberare lo specchio d’acqua antistante a Terra Vecchia ove attualmente ammarrano e decollano gli aerei della B.O.A.C., intenda intervenire, con i suoi alti uffici, presso la detta società, invitandola a trasferirsi a Siracusa, che ha ospitato in passato diverse linee aeree civili, ha visto partire dalla sua baia grandi aerei da trasporto, quali i plurimotori DO X, e ha una completa attrezzatura alberghiera e turistica; e ciò anche per alleviare la disoccupazione di quella gente dell’aria, con l’occorrente impiego di oltre quattrocento impiegati ed operai. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Finocchiaro Aprile».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e degli affari esteri, per sapere quali provvedimenti urgenti intendano prendere per rimuovere gli inconvenienti, che derivano dalla mancata regolamentazione dei rapporti tra le giurisdizioni civili italiane e quelle del territorio libero di Trieste, particolarmente in ordine all’applicazione degli articoli 3 e 4 del Codice di procedura civile, e in ispecie per sapere se siano stati promossi e con quale esito, accordi diretti a riconoscere reciprocamente autorità alle decisioni civili emesse dalle rispettive autorità giudiziarie con possibilità di scambio di rogatorie, senza l’osservanza delle vie diplomatiche e, come è ovvio, con assai maggiori agevolazioni di quanto praticato nei rapporti internazionali con molti altri Stati in ordine alla esecuzione delle sentenze. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Cosattini, Targetti, Canevari».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 1° dicembre 1947.

Alle ore 16:

  1. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946.

Approvazione degli Accordi di carattere, economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946.

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946.

Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note.

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946.

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia.

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia e il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946.

  1. – Interrogazioni.

ANTIMERIDIANA DI SABATO 29 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 29 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Bozzi

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Laconi

Targetti

Rossi Paolo

Interrogazioni urgenti (Svolgimento):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Marina

Bellavista

Clerici

Gasparotto

Mariani Francesco

Scoccimarro

Parri

Mastrojanni

 

La seduta comincia alle 11.

 

MATTEI TERESA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

 

Congedo.

 

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Cotellessa.

(È concesso).

 

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

All’articolo 127 gli onorevoli Bozzi e Persico hanno proposto il seguente emendamento al primo comma dell’articolo 127 del testo Conti, Monticelli, Leone Giovanni ed altri:

«Alle parole: dal Consiglio Superiore della Magistratura, sostituire le altre: dalle supreme Magistrature dell’ordine giudiziario ed amministrativo».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgere l’emendamento.

BOZZI. Rinuncio allo svolgimento.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta senza altro l’emendamento Bozzi e Persico.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Laconi, Togliatti, Barontini ed altri colleghi hanno presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma dell’articolo 127 sostituire il seguente:

«I giudici della Corte sono nominati per un terzo dalla Camera dei deputati, per un terzo dal Senato e per un terzo dalle Assemblee regionali».

L’onorevole Laconi ha facoltà di svolgerlo.

LACONI. Ieri ho pregato l’Assemblea di volersi concedere un po’ di tempo, per poter riconsiderare attentamente le proposte sulle quali era chiamata a votare. Mi pare, infatti, che, passando dal progetto originario alla proposta ultimamente presentata dal Comitato di redazione, sia stato snaturato il carattere fondamentale della Corte costituzionale. Si è passati infatti da un organo, che era definito e configurato come tecnico-politico, ad un organo che si vuol rendere prevalentemente od esclusivamente tecnico.

L’Assemblea ha già stabilito, nel primo articolo di questo Titolo, le funzioni che sono deferite alla Corte costituzionale: mi pare che non vi sia dubbio che queste funzioni non sono unicamente di carattere tecnico, ma sono, fatalmente, anche di carattere politico. Invito i colleghi a considerare soprattutto che noi abbiamo introdotto nella Carta costituzionale alcuni principî ed alcuni elementi programmatici entro cui dovranno muoversi le Assemblee legislative ed i Governi di domani. Vero è che vi era una parte considerevole di questa Assemblea contraria alla introduzione di questi principî nella Carta costituzionale, ma il voto della maggioranza ha stabilito questo dato di fatto: che oggi nella nostra Costituzione figurano elementi di orientamento per le Assemblee ed i Governi di domani. Io mi chiedo: quando domani le Assemblee legislative ed i Governi che succederanno alla nostra Assemblea ed all’attuale Governo, dovranno muoversi entro la sfera di discrezionalità che è loro consentita nell’ambito di quei principî, è possibile che un organo giurisdizionale, intervenendo per assicurare le costituzionalità di questi atti, possa limitarsi unicamente ad un controllo di legittimità e non debba fatalmente sconfinare anche nel merito? Questo mi chiedo. Quando si vada a stabilire se una determinata riforma di carattere sociale ed economico rientri negli orientamenti generali tracciati nella Costituzione, si potrà dare di questi atti legislativi un giudizio puramente tecnico o non anche un giudizio che, sia pure involontariamente, debba essere riferito anche all’orientamento politico e motivato politicamente? Di qui la necessità, riconosciuta dalla Commissione dei Settantacinque e confermata attraverso dibattiti che durarono oltre un anno, di dare a questo organo supremo giurisdizionale del nostro Paese una configurazione, che risponda nel contempo alle esigenze di carattere tecnico e politico. Questo era il nostro intendimento quando configurammo la Corte costituzionale sotto un duplice aspetto: le demmo sì una fonte politica, è vero, ma genuinamente democratica; ma le demmo anche una composizione tecnica, in quanto stabilimmo che i giudici della Corte costituzionale dovessero essere scelti entro determinate categorie, le quali davano un certo affidamento. È evidente che da questa composizione scaturiva per l’Alta Corte un duplice carattere, rispondente al duplice aspetto della sua funzione giurisdizionale. Ci contenevamo nei limiti della legalità democratica più schietta, ma contemporaneamente realizzavamo le garanzie di competenza che, penso, siamo tutti d’accordo nel ritenere necessarie per una buona composizione dell’organo chiamato a dare giudizi su una materia così delicata.

Ieri l’Assemblea ha respinto la soluzione che era prevista nel progetto di Costituzione. Rimaneva, ieri, soltanto dinanzi a noi il progetto ulteriormente elaborato dalla Commissione.

Onorevoli colleghi, io penso che noi dobbiamo mettere le cose nei termini più chiari. Noi possiamo, dinanzi al progetto della Commissione, nascondere o mascherare il nostro pensiero e le nostre reali intenzioni parlando di esigenze tecniche, di combinazioni di poteri, di necessità che gli organi supremi vi siano in qualche misura rappresentati, ma sta di fatto che attraverso il progetto che è stato presentato ultimamente dal Comitato di coordinamento, i due terzi della Corte costituzionale non hanno se non una indiretta e lontanissima derivazione popolare: un terzo, anzi, non ne ha affatto, è avulso completamente dalla vita del Paese e rimesso alla scelta di un organo, come il Consiglio Superiore della Magistratura, che non risente in alcun modo della volontà popolare. Per un altro terzo, i membri sono nominati dal Presidente della Repubblica, il quale ha una derivazione indubbiamente indiretta, e soltanto per un terzo sono rimessi alla scelta delle Camere.

Ora, è questa la Corte costituzionale che noi intendiamo preporre al controllo dei supremi poteri dello Stato? In sostanza, a questa Corte noi abbiamo dato la funzione di interprete della nostra volontà di costituenti. Come possiamo pensare che legittimamente interpretino la nostra volontà e giudichino in base alle norme da noi sancite, uomini che sono eletti dal Consiglio della Magistratura il quale non ha nessuna derivazione popolare? Possiamo pensare che essi possano interpretare domani quello spirito innovatore che noi abbiamo infuso nella Costituzione? Io chiedo questo agli amici della Democrazia cristiana e a tutti coloro che hanno con noi sancito questo principio. Possiamo noi pensare che questo spirito profondamente innovatore, dal punto di vista sociale ed economico, che noi abbiamo infuso nella Costituzione, possa essere inteso nel suo significato reale e nella sua reale portata da uomini che siano sottratti completamente a qualunque elezione popolare, ed anche al più lontano riflesso delle elezioni popolari? Non credo che questo possa accadere.

È per questa ragione che proposi ieri all’Assemblea, a nome del mio Gruppo, che riprendesse in esame il suo atteggiamento, ed è per questa ragione che il mio Gruppo presenta un nuovo emendamento che tende a sciogliere alcune riserve che hanno forse concorso al voto contrario che l’Assemblea ha dato ieri sulla formula originaria del progetto. Io penso che, quando ieri l’Assemblea ha votato contro la formula originaria del progetto, vi sia stata anche presente, in questa votazione, quella corrente regionalistica, che si è fatta tanto sentire in una serie di dibattiti, e che, legittimamente preoccupata di veder chiamato un organo esclusivamente unitario a decidere anche le controversie fra le Regioni e lo Stato, ha ritenuto di dover respingere la proposta Lami Starnuti per questo suo carattere. Ma io penso che questa medesima corrente di opinioni, che è stata così decisa in altre occasioni, oggi si risveglierà dinanzi al nostro emendamento il quale rimette, in unione alle Camere, l’elezione dei giudici della Corte costituzionale alle Assemblee regionali. Attraverso il mio emendamento vengono assicurate, io penso, tre garanzie: innanzitutto una garanzia di ordine politico generale sulla natura schiettamente democratica dell’organo, e, quindi, anche una garanzia, direi, di struttura, in quanto vengono pure sodisfatte le esigenze delle diverse regioni. Infine è anche garantita l’esigenza tecnica, in quanto il mio emendamento non preclude in nessun modo la possibilità che i giudici dell’Alta Corte vengano scelti entro determinate categorie.

Io posso assicurare la Camera che, qualora il nostro emendamento venga approvato, noi non abbiamo niente in contrario a prendere in considerazione una formulazione sodisfacente, attraverso la quale, venga stabilito che i giudici della Corte costituzionale debbano essere scelti entro categorie qualificate dal punto di vista tecnico.

Invito, quindi, la Camera a rendersi conto del fatto che, se noi aderissimo al testo presentato dalla Commissione, noi compiremmo invece un grave atto di lesa democrazia e creeremmo un organo che non darebbe alcun affidamento alle forze democratiche di interpretare quell’indirizzo progressivo che noi abbiamo voluto imprimere al nuovo Stato repubblicano. (Applausi all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ed altri hanno presentato il seguente emendamento al testo accettato dalla Commissione:

«Al primo comma, sostituire il seguente:

«Il Presidente della Repubblica nomina un terzo dei componenti della Corte, gli altri due terzi sono nominati per metà dalla Camera dei deputati e per metà dal Senato della Repubblica».

«Al secondo comma, dopo la parola: giudiziario, aggiungere le parole: di grado non inferiore a consigliere di Corte d’appello».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TARGETTI. L’emendamento di cui ha dato lettura il Presidente l’ho presentato a nome mio, e quindi non so se interpreto anche il pensiero dei miei colleghi di Gruppo che non ho potuto interpellare. Il mio emendamento non ha bisogno di una larga illustrazione. La votazione che ieri ebbe luogo sull’emendamento Lami Starnuti dimostra che la Camera è tutt’altro che proclive a demandare la nomina di tutti i componenti la Corte ai due rami del Parlamento; ma questa manifestazione di volontà, contraria all’elezione totale della Corte da parte del Parlamento, non credo che debba essere interpretata come una contrarietà anche ad una larga partecipazione del Parlamento stesso a tale nomina. È per questo che io ho presentato la proposta di attribuire la facoltà alla Camera dei deputati e al Senato di nominare la metà dei componenti la Corte costituzionale.

La nomina dell’altra metà è demandata al Capo dello Stato. Mi sembra inutile confutare quelle obiezioni che da qualche parte si sentono muovere contro la nomina da parte delle Assemblee legislative di un corpo giudicante, o di parte di esso.

Queste obiezioni, a parer mio, partono da una errata concezione di quella che deve essere e non può non essere la Corte costituzionale. Non si tratta di decidere le modalità della nomina di una magistratura che stia al di sopra della Corte di cassazione; ma quella della nomina dei componenti un organo che giudica dal lato giuridico, ma giudicherà anche e, forse molto spesso, dal lato politico, la conformità delle leggi alla Costituzione.

Noi abbiamo una Carta costituzionale, che, oltre a stabilire delle direttive nel campo giuridico, stabilisce anche delle direttive in un campo squisitamente e prettamente politico. Se questo non fosse, non sarebbe sorta a nessuno l’idea di creare un organo, non dico al di sopra, ma diverso dalla Cassazione. Si fosse trattato soltanto di una Carta costituzionale che avesse prescritto delle norme la cui violazione non potesse rappresentare altro che la violazione di norme giuridiche, evidentemente sarebbe venuta a mancare ogni ragion d’essere della creazione di questo ente diverso dalla Cassazione.

Perché, onorevoli colleghi, la grande maggioranza di noi, cioè tutti quelli che hanno votato contro l’emendamento soppressivo dell’onorevole Nitti, ha ritenuto necessaria la creazione di questa Corte Costituzionale? Senza dubbio perché è stata persuasa dalle ragioni addotte contro la competenza in questa materia della Corte di cassazione. E non è, onorevoli colleghi, che questo atteggiamento, questo modo di apprezzare la questione sia stato influenzato da una maggiore o minore fiducia che si possa avere nella Corte Suprema. Non lo è stato né doveva esserlo, giacché sarebbe stato un grave errore se nello statuire su quest’argomento, come su tutto quello che si riferisce al potere giudiziario, ci si fosse fatti guidare da considerazioni, da impressioni relative all’attuale funzionamento dell’amministrazione della giustizia. La Magistratura, con tutti i suoi difetti – ma anche con tutti i suoi pregi – la Magistratura è perfettibile e dovrà migliorarsi e l’opera della giustizia sarà all’altezza del compito, quando lo Stato ne avrà riconosciuto sotto tutti i riguardi l’importanza e le esigenze.

Io dico, così per incidenza, che se non ho messo la mia firma all’ordine del giorno presentato dall’onorevole Mastino e da altri colleghi, è stato perché quell’ordine del giorno limitava i voti dell’Assemblea alla questione del trattamento economico dei magistrati. (Interruzione del deputato Mastino Pietro).

Veda, onorevole Mastino, forse qui sono ben pochi i colleghi che possano aver dato, anche nel passato, prove più chiare di quelle che posso aver dato io del convincimento che la Magistratura è stata sempre trattata, non soltanto nel periodo fascista, ma anche nel periodo antifascista, da tutti i Governi che si sono succeduti in Italia, ed anche dal lato economico, in modo che c’è da meravigliarsi che abbia dato, nel suo complesso, quello che ha dato, e non molto di meno, ed abbia presentato soltanto le manchevolezze che le si possono rimproverare.

L’onestà del magistrato è stata messa a prove così dure, da richiedere la virtù non dell’uomo comune, ma dell’asceta. E la grande maggioranza dei magistrati queste virtù le ha avute.

Bisogna riconoscerlo, anche se si è costretti a deplorare ogni giorno di più l’atteggiamento, il comportamento di molti magistrati, specialmente dei gradi superiori, nelle cause di carattere politico. Ma se deve essere approvato da tutti il voto che la nuova Camera assicuri al magistrato il trattamento economico che gli è dovuto, occorre anche che tutto quanto concerne l’amministrazione della giustizia, dalla condizione dei cancellieri a quella degli ufficiali giudiziari e degli uscieri; dai locali all’arredamento degli uffici, e via dicendo; tutto deve essere oggetto di solleciti provvedimenti da parte dello Stato se veramente si vuole assicurare al Paese una giustizia degna della sua nuova vita. (Applausi).

Chiudendo la parentesi di cui chiedo scusa all’Assemblea, è dunque per la natura del compito che a questa Corte Costituzionale è commesso, che l’Assemblea ha ritenuto che i giudizi di sua competenza non possano essere logicamente demandati alla Corte di cassazione e che legittimino, anzi impongano, la costituzione di questo nuovo organo.

Se noi dunque riconosciamo che la ragion d’essere di questa Corte Costituzionale sta nella necessità che, dato il carattere della nostra Costituzione, si eserciti un controllo sullo stesso potere legislativo affinché non vengano emanate norme che vadano contro i principî giuridici, morali, politici, fondamentali della Carta costituzionale, bisogna anche riconoscere la necessità che l’organo a cui questo controllo è affidato sia, almeno in parte, in gran parte, emanazione, sia pure indiretta, della volontà popolare.

Per l’altro mio emendamento, mi limiterò a dire che tende ad escludere la possibilità, sia pure lontana, che venga nominato a far parte della Corte anche un magistrato all’inizio della sua carriera.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Rossi Paolo a pronunciarsi, a nome della Commissione, sugli emendamenti presentati dagli onorevoli Laconi, Togliatti, Barontini ed altri, e Targetti.

ROSSI PAOLO. Non intendo affermare che gli emendamenti or ora menzionati dall’onorevole Presidente siano poco chiari, ché anzi sono limpidissimi; ma, per la verità, si tratta di emendamenti presentati all’ultimo momento. Noi non abbiamo pertanto avuto agio di esaminarli, perché la Commissione non si è riunita.

Poiché quindi non siamo preparati a pronunciarci in merito, dobbiamo insistere sul nostro testo, tranne che per l’emendamento Bozzi e Persico, di natura formale, che viene accolto.

Svolgimento di interrogazioni urgenti.

PRESIDENTE. Il Ministro dell’interno risponderà ora alle interrogazioni presentate ieri sui fatti di Milano, e alle seguenti interrogazioni, successivamente pervenute.

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti ha adottato per reprimere gli incresciosi fatti di Milano tendenti ad esautorare lo Stato nei fondamentali suoi diritti e doveri.

«Mastrojanni, Capua, Perugi».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti il Governo intenda adottare per superare la situazione creatasi a Milano.

«Parri».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere:

1°) quali ragioni lo abbiano indotto a decidere la sostituzione del prefetto di Milano dottor Troilo, in un momento e in forme tali per cui si sapeva che il provvedimento avrebbe significato atto di ostilità per la grande maggioranza della popolazione milanese;

2°) per quali ragioni, nella presunta carenza del prefetto, sia stato invitato ad assumere i poteri prefettizi il Comandante militare e non un funzionario civile, suscitando il grave sospetto di una dichiarazione di stato di assedio;

3°) quali provvedimenti intenda prendere per riportare alla normalità la grave situazione determinatasi, anche per quanto riguarda le dimissioni della Giunta comunale di Milano e di altre numerose Amministrazioni locali della provincia».

«Scoccimarro»

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, il prefetto Troilo da parecchio tempo aveva chiesto al Governo di essere sostituito nell’incarico di prefetto di Milano, sollecitando contemporaneamente di essere destinato ad altro incarico di suo gradimento, e cioè di passare nei quadri della diplomazia.

Queste sollecitazioni fatte dal prefetto Troilo furono rinnovate anche di recente con una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio, in data 18 ottobre. In questa lettera il prefetto Troilo metteva formalmente a disposizione il posto di prefetto di Milano e chiedeva di essere sostituito, sollecitando appunto il nuovo incarico.

Nella lettera del 18 ottobre, diretta al Presidente del Consiglio, dopo averlo ringraziato dell’accoglienza fattagli, l’avvocato Troilo diceva testualmente: «La prego di voler considerare a sua disposizione da oggi, 18 ottobre 1947, il posto che occupo, anche perché il massacrante lavoro e le gravissime responsabilità che ho dovuto quotidianamente sopportare e fronteggiare, mi hanno letteralmente esaurito. Non ho difficoltà, signor Presidente, di assicurarle che questa mia dolorosa, ma necessaria decisione sarà resa nota solo quando ella avrà avuto la possibilità di provvedere alla mia sostituzione. Grato fin d’ora della sua benevola intenzione di affidarmi altro incarico, e ben lieto se dalla sua fiducia mi sarà ancora concesso di servire il Paese in patria e fuori, con la dedizione e devozione di sempre, ecc.».

Ci preoccupammo subito di sodisfare nel modo più confacente alle attitudini del prefetto Troilo, anche in considerazione dei suoi meriti passati, la sua aspirazione.

Soltanto verso il 20 di questo mese il ministro Sforza poté trovare una soluzione adeguata.

Chiamato a Roma il prefetto Troilo, gli fu comunicato il nuovo incarico ed egli accolse con gratitudine la sistemazione che gli veniva fatta e il Governo si riservò di provvedere al più presto.

Nella seduta del Consiglio dei Ministri del 27 scorso, due giorni fa, mentre io mi trovavo in Consiglio, venivo informato che il prefetto Troilo aveva telefonato al Sottosegretario Brusasca, pregando che la sua posizione venisse definita, e che mi si comunicasse questo suo divisamento.

Quel giorno stesso il Consiglio dei Ministri, benché ancora non fosse preparata la sua sostituzione, perché io desideravo personalmente chiedere al successore – che sarebbe arrivato nel pomeriggio – se gradiva l’incarico oneroso che gli veniva assegnato, deliberò sulla sostituzione del prefetto Troilo, dando mandato al Presidente del Consiglio ed a me di tutto definire in merito alla sostituzione. Fu soltanto nella sera tarda che poté essere definita la situazione dopo un colloquio col prefetto Ciotola, che accolse l’invito con disciplina, dichiarando di ben conoscere la gravità del compito che gli veniva affidato.

Nella tarda notte la notizia fu diramata alla stampa; e la mattina il Governo dava comunicazione dei provvedimenti adottati nei loro riguardi a tutti i prefetti interessati. Come di consueto, la sostituzione o il trasferimento di un prefetto non hanno carattere immediato, perché occorre dargli il tempo materiale per predisporre la sua situazione anche di carattere familiare.

Così il decreto, approvato dal Consiglio dei Ministri per tutti e quattro i prefetti, prevedeva che il trasferimento dei nuovi titolari sarebbe avvenuto il giorno 6 dicembre.

Ecco ad ogni modo il testo del telegramma inviato il mattino successivo al Prefetto di Milano, nello stesso tempo che a tutti gli altri prefetti: «Con decreto in corso Vostra Signoria è stata, a sua domanda, collocata a disposizione di questo Ministero per assumere altro incarico, a decorrere dal 6 dicembre prossimo venturo. La sostituisce costà il prefetto dottor Ciotola».

Questi i precedenti.

Il giorno dopo pervennero le prime notizie dell’agitazione che si era manifestata nella città di Milano, a seguito della pubblicazione fatta dai giornali; sembra anzi che i giornali non avessero riferito del nuovo incarico che veniva dato al prefetto Troilo.

Mi soffermo su questo punto perché, da notizie pervenute al Ministero, pare che il particolare abbia giocato una parte non indifferente nella situazione creatasi.

Comunque, a seguito di questa comunicazione, le maestranze alle ore 10 abbandonavano il lavoro per fare una manifestazione di solidarietà e di protesta: di protesta contro il Governo per la sostituzione, considerata come un atto offensivo verso il prefetto Troilo e di solidarietà verso il prefetto stesso.

Della situazione di Milano il prefetto non comunicò nulla al Governo per tutta la mattinata e fino alla sera.

Verso le 12,30 una telefonata dell’onorevole Pajetta Giancarlo all’onorevole Andreotti annunciava che un Comitato cittadino aveva assunto i poteri prefettizi a Milano, occupato la Prefettura di Milano insieme ai partigiani (Commenti a destra) e che tutti i funzionari erano stati allontanati.

Successivamente analoga comunicazione veniva fatta al Sottosegretario onorevole Marazza e al mio capo di gabinetto a cui avevo dato incarico di telefonare alla Prefettura di Milano per avere notizie dirette. Al telefono rispondeva l’onorevole Pajetta che confermava le dichiarazioni. E, avendo il mio Capo di Gabinetto chieste notizie del Viceprefetto, perché del prefetto Troilo non si conosceva quale fosse la situazione personale – l’onorevole Pajetta rispondeva che il Viceprefetto era dimissionario e che il Capo di gabinetto si era allontanato. E faceva al mio Capo di gabinetto formale invito di comunicare al Ministro dell’interno che questa era la situazione.

Altre notizie pervenivano al Ministero circa i fatti o il fatto particolare che interessava più direttamente, direi, il Ministero dell’interno: cioè della occupazione della Prefettura e della costituzione del comitato cittadino.

Di fronte a questa situazione, Milano rimaneva senza un’Autorità governativa: il Sindaco si era dimesso e aveva comunicato al Comandante del presidio di Milano (confermando con ciò che l’Autorità prefettizia non esisteva, perché diversamente questa comunicazione l’avrebbe dovuta fare al Prefetto, che restava incarica solo per gli affari di ordinaria amministrazione).

Di fronte a questa notizia e alla mancanza di un’Autorità prefettizia locale e di fronte al fatto che non c’era altra Autorità civile (perché, come ho detto, secondo le informazioni dell’onorevole Pajetta, il Prefetto doveva considerarsi dimissionario e quando si telefonava alla Prefettura rispondeva un’autorità che non era governativa), il Governo si vide costretto ad inviare a Milano un’autorità che lo potesse rappresentare. E, in mancanza di un’altra autorità civile adeguata e data la situazione grave che si presentava per l’ordine pubblico, d’intesa col Comando militare, decideva di affidare al generale Comandante la divisione «Legnano» l’incarico di assumere i poteri prefettizi nella città di Milano, non essendoci altra autorità che potesse sostituire il Prefetto dimissionario.

Il comandante militare veniva investito esclusivamente delle funzioni di prefetto, in attesa dell’arrivo del rappresentante del Governo centrale, Sottosegretario Marazza, che partiva immediatamente da Roma per potere assumere eventualmente l’esercizio dei poteri governativi.

Questi i compiti affidati al Comandante della divisione «Legnano».

Nel pomeriggio venivo informato da autorevole personalità, che era in rapporto col comitato cittadino, che la pretesa presa di possesso della Prefettura di Milano e la sostituzione del prefetto Troilo non corrispondevano alla realtà dei fatti e che il prefetto Troilo doveva considerarsi ancora nelle sue piene funzioni.

Benché fino a quell’ora io non avessi avuta nessuna comunicazione da parte del prefetto Troilo – anzi avevo avuto quella tale comunicazione telefonica – mandai un telegramma al prefetto Troilo riferendo le precedenti comunicazioni telefoniche, pregandolo di volermi ragguagliare sulla situazione ed alle ore 17 il Prefetto Troilo mi telegrafava in questo senso: «Sono qui in piena libertà e in attesa arrivo onorevole Marazza. Ordine pubblico normale nonostante sciopero generale in atto».

A seguito di questa comunicazione la Prefettura fu chiamata al telefono e questa volta rispose il prefetto Troilo in persona, confermando il telegramma. Immediatamente presi contatto con le autorità militari pregando di comunicare al generale che era stato investito dei poteri prefettizi che, accertata la veridicità delle comunicazioni che venivano fatte dal Prefetto di Milano, non desse corso alla sostituzione del prefetto, perché per noi il Prefetto di Milano fino al 6 dicembre prossimo, secondo la deliberazione del Consiglio dei Ministri, è il prefetto Troilo.

Presidenza del Presidente TERRACINI

SCELBA, Ministro dell’interno. Il comandante militare, informatosi della situazione ed accertato che il prefetto Troilo, sia pure assistito dal comitato cittadino e nonostante che la Prefettura fosse invasa da elementi partigiani, si riteneva libero di esercitare le sue funzioni, secondo le istruzioni impartitegli non prese possesso delle funzioni prefettizie, limitandosi soltanto a prendere quelle misure necessarie per la tutela dell’ordine pubblico.

In serata, lo stesso Comandante militare e la Questura comunicavano che la Prefettura era stata sgomberata dagli elementi partigiani che l’avevano occupata la mattina e che le forze dello Stato presidiavano la Prefettura stessa.

L’onorevole Marazza, partito, come ho detto, per Milano, alle due di ieri, stamane mi ha informato che la situazione si è presentata all’incirca come io ho riferito.

Ha avuto contatti con i vari comitati i quali hanno presentato i loro desiderata, della cittadinanza o di particolare corrente politica, in ordine alla sostituzione; da quanto risulterebbe, il problema della sostituzione del prefetto Troilo, cioè a dire della cessazione dall’incarico del prefetto Troilo, non sarebbe in discussione. L’unica questione che verrebbe posta sarebbe quella del sostituto, ritenendosi questi comitati in diritto di fare qualche osservazione in materia.

Il prefetto che noi avevamo nominato, il dottor Ciotola, occupa da oltre due anni la Prefettura di Torino con piena soddisfazione della cittadinanza e della provincia, perché mai da nessuna parte, da nessun partito, ci è pervenuta nessuna lamentela sulla sua attività. Anzi è notorio il senso di obiettività, la sua preparazione culturale e soprattutto il suo interessamento continuo per i problemi del lavoro, tanto che egli mi diceva: Io, a Torino, non faccio il prefetto, ma faccio il segretario della Camera del lavoro, perché in questo momento i problemi della classe operaia, della classe lavoratrice sono così preminenti nell’azione politica, che comprendo perfettamente come il prefetto che si trovi in una città eminentemente industriale ed operaia sia occupato da mane a sera a derimere controversie o ad occuparsi di problemi del lavoro.

Fra i vari funzionari e prefetti che noi avevamo, anche per l’importanza che assumeva Torino, parve al Governo che fosse il più adatto a sostituire il prefetto di una città come Milano, che rappresenta certamente il centro più importante della vita economica e sociale italiana.

È stato annunciato che una Commissione è partita da Milano – e credo che sia già arrivata – per esprimere al Governo suoi desiderata. Io dichiaro che il Governo ascolterà questa Commissione ed esaminerà con la più ampia comprensione le richieste che questa Commissione intende fare. Ma oso sperare che al Governo non verrà fatta nessuna proposta che possa, non dico offendere il prestigio di un Governo – che pure è cosa notevole – ma il prestigio stesso dell’esercizio dei poteri costituzionali democraticamente attribuiti, perché, se l’esercizio dei poteri statutari dovesse essere compromesso, non ne verrebbe compromesso il prestigio del Governo, ma l’autorità stessa dello Stato e questo sarebbe l’incentivo a nuovi turbamenti e a nuovi disordini, e non può essere intendimento del Governo di venir meno al suo dovere che è quello di far rispettare l’autorità dello Stato. (Vivi applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Marina ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARINA. Onorevoli colleghi. Come milanese sono veramente mortificato nel sentire che nella mia città, che considero la capitale del lavoro d’Italia, avvengono fatti che, se sono esatte le parole dette in. questo momento dal Ministro dell’interno, fanno pensare agli uomini comuni che Milano sia non una città di un grande Stato civile, ma una città di quelle repubbliche dell’America del Sud che noi ben conosciamo ove per un nonnulla avvengono delle rivoluzioni. (Rumori a sinistra).

Mi sono chiesto, vedendo questi gravi turbamenti derivati dalla sostituzione di un prefetto così come sono pubblicati sui giornali romani, che cosa ci fosse di così grave in questa sostituzione, chi fosse costui, perché io devo confessare che non ho mai avvicinato l’avvocato Troilo nelle sue funzioni di prefetto, perché non ho avuto occasione di farlo nello svolgimento del mio lavoro politico. E mi sono posto il quesito se la sostituzione di un prefetto potesse far crollare tutta una situazione di tranquillità qual è quella della provincia di Milano, e far sì che si addivenisse ad uno sciopero generale. Se volete tradurre in denaro il danno della mezza giornata di tempo perduto, vi posso dire che essa equivale a mezzo miliardo. Non so se questo sia un fatto di poca importanza e non so se l’avvocato Troilo valga più o meno di questo mezzo miliardo. (Rumori e proteste a sinistra).

Io ho detto che faccio queste mie osservazioni perché non conosco se vi siano altre ragioni (che verranno forse esposte da qualche altro oratore) per cui la sostituzione del Prefetto Troilo possa dar luogo ad agitazioni di così grave importanza.

Mi sarebbe sembrato logico eventualmente pensare che delle Commissioni rappresentanti di tutte le categorie dei cittadini milanesi si fossero presentate al Governo e avessero detto: «Guardate, voi sbagliate a sostituire il prefetto Troilo!» ma mettere in sciopero tutti gli operai della provincia di Milano non ritengo sia cosa che noi possiamo passare sotto silenzio, e si possa tacere il grave fatto che la sostituzione di una persona, per quanto essa possa valere (ripeto, non la conosco), possa dar luogo a gravi danni quali sono quelli inflitti a una città come Milano.

Premesso questo, mi sono pure domandato chi fosse eventualmente il suo sostituto perché dal punto di vista politico potesse nascere da questo fatto un risentimento così forte nella cittadinanza milanese.

Abbiamo sentito dalle parole dell’onorevole Scelba che il sostituto è un Prefetto che ha delle qualità; perché, fare il Prefetto per due anni in una città come Torino che io ben conosco, è certamente un titolo di grande merito. Abbiamo sentito dalle parole dell’onorevole Scelba che il Prefetto non si è limitato a fare il Prefetto, ma ha fatto il segretario della Camera del lavoro di Torino.

Effettivamente devo riconoscere che in città come Torino e Milano i Prefetti devono in questo momento, e certamente ancora per lungo tempo, fare prevalentemente i segretari della Camera del lavoro. E allora io mi domando: se Troilo non è così importante, per quale motivo si è arrivati ad una agitazione di questa grandiosità e gravità? Se il sostituto è persona che dovrebbe essere benvista anche alle cosiddette classi lavoratrici, per quale motivo si è arrivati a questa situazione, a questi danni e, oserei dire, a questa degradazione della città di Milano?

Fra i capintesta parrebbe ci sia oltre l’onorevole Pajetta (abbiamo visto la figura che ha assunto costui nella città di Milano) anche il sindaco Greppi. I milanesi, che qualche volta sono ironici dicono dell’amministrazione Greppi che è «la guerra che continua», nel senso che non abbiamo pace, non abbiamo un’amministrazione degna di una città grande e laboriosa come Milano. (Interruzioni e rumori all’estrema sinistra – Commenti).

Questa è la nostra impressione di milanesi: l’amministrazione Greppi è la guerra che continua, coi suoi danni relativi.

Il sindaco Greppi e la sua amministrazione, per quanta volontà abbiano, non sono all’altezza dei loro compiti. (Interruzioni all’estrema sinistra).

SCOCCIMARRO. Le vada a dire a Milano queste cose.

MARINA. Non mi sono mai mosso un minuto da Milano. Stia tranquillo che non ho affatto paura di dire quanto possa servire per il benessere e per la pace della mia città! Ho detto che fra i perturbatori di questo ordine, almeno da quanto riferiscono i giornali, è certamente anche il sindaco, che si dimette senza un motivo plausibile. (Interruzioni all’estrema sinistra).

Ora, se la sostituzione del Prefetto è avvenuta con altro Prefetto, che realmente ha dato prova di saper fare, non capisco perché questa situazione di grave disturbo debba perdurare e come, chiamiamoli così, i responsabili di questa situazione e coloro che specialmente ritengono di essere i rappresentanti del popolo milanese non debbano intervenire per far cessare immediatamente uno stato di agitazione, che è inutile.


Come mai dei cittadini scorrazzano per Milano armati? Ci sono dei nemici così pericolosi in Milano? Non c’è la forza pubblica, che può tutelare qualsiasi disordine? Parrebbe di no, perché dei semplici cittadini si sono armati e fanno il bello e il brutto tempo.

Una voce a sinistra. Sono i fascisti che scorrazzano armati.

MARINA. Ed allora mi sto domandando: questo dovrebbe essere altro forte motivo per sostituire subito l’avvocato Troilo, oltre che per la sua richiesta, se questo signore permette che in Milano al 28 novembre del 1947 girino ancora dei cittadini costituiti in bande armate. Io non so se questo sia o no un grave perturbamento dell’ordine pubblico e se questo ordine pubblico possa o no essere ristabilito.

Io sono personalmente d’avviso che la vita dei cittadini è cosa sacra e deve essere difesa contro chiunque e con qualsiasi mezzo.

Una voce a sinistra. Ci sono i fascisti.

MARINA. Lasciateli perdere i fascisti (Commenti a sinistra); non ci sono; li cercate voi; sono dei fantasmi che create per vostra comodità!

Ho detto che, per me, la vita del cittadino è sacra, talché mai devono essere usate le armi, neppure da parte della Polizia.

La Polizia deve essere organizzata in modo tale che possa, come in tanti altri paesi d’Europa, adoperare dei mezzi sufficienti per sgomberare qualsiasi assembramento di persone. Basterebbe per esempio in Milano per quelle poche centinaia di scorrazzanti adoperare in questo momento gli idranti; vi assicuro che scapperebbero come tanti conigli!! (Interruzioni, rumori a sinistra).

Basterebbero altri mezzi di poca importanza quali le bombe lagrimogene. Quello che importa è che realmente l’autorità dello Stato sia ristabilita, comunque, perché la vita di una città come Milano non venga turbata da mestatori dell’ordine pubblico, quali sono quelli che in questo momento, dirigono le così dette formazioni cittadine. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Bellavista ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BELLAVISTA. È di prammatica che l’interrogante si dichiari sodisfatto o meno, in seguito alla risposta del Ministro. Ma, se dovessi dare una qualifica psicologica allo stato misto di soddisfazione e di insoddisfazione, a seguito della vostra risposta, onorevole Ministro, dovrei ricorrere alla psicologia equina, perché io sono sodisfatto né più né meno del cavallo della carrozza di Don Ferrante, per rimanere a Milano.

Non ve ne faccio colpa, onorevole Ministro; voi lavorate in tempi veramente difficili e duri e c’è una collaborazione veramente ammirevole per rendere più duri e difficili questi tempi. Né faccio causa contro il prefetto Troilo. Secondo me l’onorevole Marina ha sbagliato: noi difendiamo Troilo, difendiamo le evoluzioni di carriera di Troilo, le ambizioni di Troilo, noi vogliamo difendere Troilo che finalmente dimostra di possedere della diplomazia, perché del diplomatico ha se non altro l’arte recisa e finale dell’ultimatum, che prelude la dichiarazione di guerra. (Si ride). Noi difendiamo Troilo, si vera sunt exposita, se cioè sono vere le lettere lette, se non sono apocrife come certi telegrammi di Padova che mi tornano in questo momento alla memoria. (Si ride). Come dubitarne, visto che egli ha concessa un’intervista alla United Press, che ora corre per il mondo, intervista in cui ha confermato i fatti ed ha detto: il Governo doveva mantenere la promessa; perché nel dare la comunicazione della mia sistemazione in modo diverso, del collocamento a riposo o del trasferimento non so dove, non comunicava che io sarei stato inviato quale rappresentante all’O.N.U.? In sostanza, se ancora ha da valere un principio (e non posso dubitare della serietà di Troilo, perché la sua diplomazia non significa che sia sleale o double face: se Troilo voleva, il posto e lo ha chiesto, non posso dubitare della sua lealtà) Troilo non voleva più rimanere a Milano. Dunque egli è fuori causa, se ancora vale la regola: volenti non fit iniuria, se vale ancora questa regola noi con Troilo da questo punto di vista non possiamo prendercela. Ma c’è un altro Troilo che di conseguenza deve rispondere, ed è quel Troilo che non ha la necessaria lealtà di fare le comunicazioni che dovrebbe fare. Perché io distinguo tra la simpatia che le masse hanno diritto di nutrire verso qualsiasi pubblico funzionario e le conseguenze aberranti cui può portare questa simpatia che respingo, perché a nessuno è lecito assaltare l’autorità del Governo e della Repubblica. (Vivi applausi al centro e a destra).

Aveva certamente il prefetto Troilo l’obbligo di fare quel che non ha fatto, perché se l’avesse fatto, certamente l’Unità ne avrebbe dato comunicazione: perché non ha comunicato la lettera che ha indirizzato al Presidente del Consiglio De Gasperi e perché non comunica l’urgente telefonata che fa uscire il Sottosegretario Brusasca da Palazzo Chigi e lo fa andare precipitosamente al Consiglio dei Ministri e dire: Troilo afferma che si vuol speculare sul suo nome. Ma egli aveva l’obbligo invece di esporre al Sindaco Greppi (sul quale non la penso come il mio collega Marina, perché forse Greppi pensava di poter salvare Milano dallo sciopero generale con le sue dimissioni) ed ai centocinquantotto sindaci la sua reale situazione e dire: Sono io che me ne voglio andare! E poteva dire: sapete chi mi sostituisce? È un prefetto che un Ministro ed un deputato socialista intelligente e capace (al quale siamo debitori del referendum) ha scelto per Torino. È un prefetto di primo ordine! Forse che il Ministro Romita avrebbe scelto per Torino un prefetto non di primo ordine?…

ROMITA. Io i prefetti non li cambiavo e non li nominavo in questo modo. (Applausi all’estrema sinistra – Rumori e commenti al centro e a destra).

BELLAVISTA. Prendo atto di questa dichiarazione dell’onorevole Romita. Allora è stata soltanto una casuale coincidenza che il Prefetto scelto dal Ministro piemontese per la capitale del Piemonte si sia rivelato sotto ogni aspetto un ottimo Prefetto! (Si ride al centro e a destra).

Ma allora diciamo francamente la verità. Si abbia il coraggio di dirla, e la lealtà e la correttezza di sopportare i tempi che sono difficili, perché superior stabat lupus, inferior agnus! (Rumori e proteste a sinistra). Questa è la verità: si va a caccia di pretesti, ed io non ignoro che questo fatto preoccupa quelle persone che non dico sono benpensanti, ma che hanno cervello, che hanno il senso della realtà, che hanno affetto ed amore per questa Repubblica.

Noi abbiamo inteso la foga giovanile dell’oratore Pajetta Giancarlo tuonare e minacciare. Era il suo legittimo diritto. Saremmo insorti in sua difesa se chicchessia avesse tentato di ostacolarlo; ma qui, nell’Assemblea, volevamo sentire l’onorevole Pajetta Giancarlo non sapere che ha telefonato al Ministro dell’interno dalla Prefettura di Milano, in nome di tutti i cittadini. Questa, in termini giuridici, è usurpazione dei pubblici poteri. (Applausi a destra e al centro).

Ma, il cavallo di Don Ferrante ha superato la calca. In sostanza, tutto è bene quel che finisce bene, ma noi vogliamo che si trovi la strada giusta senza giungere a questi estremi. Noi non possiamo tollerare ed ammettere certe cose.

Ieri l’altro dicevo, a proposito di un emendamento, che era stato dato un colpo letale alla democrazia italiana, a proposito della votazione sulla Suprema Corte costituzionale. Ma, ci sono colpi letali ben più gravi che si danno, attualmente in piena flagranza. Ma che opinione mai deve avere il mondo di noi, se a Milano accade quel che è potuto accadere, se è possibile a un rappresentante del popolo andare in Prefettura – e mi compiaccio che non vi sia stata violenza – usurpando i poteri pubblici, tentando di scavalcare l’autorità dello Stato, che si esprime attraverso il Governo?

Non voglio fare esame di merito – sarebbe superfluo – dopo che Troilo chiede di andarsene, di migliorare la sua posizione di carriera. Ma rendiamoci conto che si attenta veramente alla Repubblica, se si tollera che in una città grande ed illustre come Milano si possa scavalcare il resto d’Italia.

Troilo è un brav’uomo, ma lo Stato, il Governo, non interessa chi sia, ha ancora un dovere: quello di non sentire. Si ascoltino le rappresentanze, si parli e si collabori con loro, si convincano, ma, onorevole Ministro, non transiga sul punto: è il Governo che nomina i prefetti, non gli operai, che possono nominare i Consigli di gestione, ma non i prefetti. I prefetti della Repubblica, voi dovete nominarli. (Vivi applausi a destra e al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CLERICI. Onorevoli colleghi, debbo intervenire in questo dibattito come milanese e come deputato della provincia di Milano, ma assai più come deputato che rappresenta, insieme a tutti i colleghi, l’intera nazione. Desidero considerare un punto che è già stato toccato dall’onorevole Bellavista circa i fatti incresciosi della mia città, dei quali non sappiamo ancora tutti i particolari. Io, del resto, più che fermarmi sui particolari dei fatti, tengo a sottolineare un punto politico, che mi pare importante e che per ciò debba essere affermato da questa Assemblea, e che ritengo debba esser fatto proprio dal Governo: i lavoratori, i cittadini in genere hanno indubbiamente il diritto di esprimere le proprie opinioni, i propri voti, le proprie critiche, le proprie lagnanze, i propri reclami, al Governo, ma debbono farlo normalmente attraverso i loro rappresentanti all’Assemblea nazionale dei deputati; e così tutti o una parte dei sindaci di una provincia possono, con l’autorità morale, che loro viene data dalla carica ricoperta e dalla fiducia da cui trae origine la loro elezione, farsi interpreti in ogni maniera di codesti voti, di codeste lagnanze presso il Governo. Questo è giusto e legittimo; ma ogni cosa deve avere un limite, ed il limite si ha nell’ordinamento della Repubblica e per la garanzia stessa della libertà dei cittadini, delle pubbliche libertà, che devono essere rispettate in ogni momento e da chiunque. Perché l’ordinamento costituzionale di questa Repubblica, come di ogni democrazia, è questo: che la sovranità del popolo praticamente sta in noi che, fino a prova contraria, siamo i rappresentanti del popolo italiano intero. Quindi io ritengo inammissibile ogni forma di protesta che varchi questo limite, che cerchi, per speculazione politica o per propaganda di partito o per altri fini, di varcare o di sovvertire questi limiti; altrimenti si porta il disordine nell’ordinamento dello Stato repubblicano e quindi si attenta alla libertà dei cittadini ed alla sovranità popolare.

Bisogna distinguere la democrazia dalla demagogia: la vera democrazia sta nella sovranità del popolo, ed è questa Assemblea che esclusivamente rappresenta il popolo e la sovranità popolare, che rappresenta la nazione intera.

Noi non possiamo ammettere che Commissioni o Comitati (creati, sia pure in un momento di esuberanza, in un momento in cui agiscono gli effetti psicologici derivati da una lunga tirannia ventennale, da una eroica lotta per la liberazione, da uno stato di emergenza) possano arrogarsi il diritto di sovrapporsi alla volontà di una Assemblea come la nostra. E così dicasi per quei sindaci di una provincia, fossero molti o anche tutti, ma i quali non possono sostituire la loro volontà a quella che è la volontà del popolo e che si esprime soltanto attraverso la nostra Assemblea. È l’Assemblea che deve giudicare del Governo e della sua azione.

Ritengo quindi che il Governo debba continuare nella via che ha intrapreso, cioè tener conto di tutte le voci che giungono ma non dimenticare mai che a lui spetta giudicare e decidere, perché è soltanto esso che ha la responsabilità di nominare i prefetti, ed ha un solo dovere preciso: quello di rendere conto a noi; e soltanto in noi sta la possibilità di giudicarlo ed eventualmente di condannarlo. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Gasparotto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GASPAROTTO. Di fronte a certe notizie corse all’estero in questi giorni e che tanto danno possono portare all’economia ed al buon nome del nostro Paese, cerchiamo tutti di frenare gli impeti e di misurare le stesse parole, e cerchiamo, soprattutto, di salire dall’esame dell’episodio a più alte preoccupazioni e considerazioni.

Se è vero, dunque – ed è vero – che il prefetto Troilo non ha tardato a riprendere il suo posto, è bene. Forse sarebbe stato meglio che non l’avesse mai lasciato, nemmeno per un minuto, perché Ettore Troilo, che ha comandato una brigata alla quale, dal Garigliano al Po, ha impresso uno spirito tale di disciplina da costituire un esempio, un mirabile esempio, nella storia della guerriglia partigiana, il prefetto Troilo sa certamente meglio di noi che un funzionario, in ogni evenienza, non deve mai cedere il suo posto e, comunque, deve subito riprenderlo, anche a rischio di personale suo sacrificio. Se lo ha ripreso, bene.

Se è vero che non ci furono trapassi di poteri dall’Autorità civile all’Autorità, militare, anche questo è bene: forse meglio ancora sarebbe stato se alle funzioni prefettizie non fosse stato chiamato un generale, per quanto degnissimo.

Onorevole Ministro dell’interno, Milano, che è più rispettosa dell’Autorità di quello che non si possa credere, ha una sua particolare sensibilità e, in materia di generali chiamati a sostituire il potere politico, ricorda pur sempre, a tanta distanza di tempo, i fatti luttuosi del 1898. (Applausi a sinistra).

Non vi sono allusioni politiche (Commenti a destra e al centro), sono preoccupazioni di carattere tecnico ed altro, più alto e generale, in quanto che è buon costume che i generali siano lasciati al loro compito e non siano tuffati nel gorgo della vita politica. È bene che l’esercito sia lasciato alle sue vere funzioni e, quando mai vi sia estrema necessità di impiegarlo nella difesa dell’ordine pubblico – il che riconosco che in certi casi è inevitabile – la responsabilità del comando deve appartenere pur sempre al potere politico.

L’esercito nostro è ormai ridotto a così piccola mole che non deve essere impiegato nei servizi di ordine pubblico, se non per estreme esigenze. Ma, in ogni caso, le funzioni di comando e di responsabilità delle conseguenze degli ordini, devono essere attribuite ai rappresentanti del potere politico.

In questo momento che gli animi, per fortuna, vanno placandosi, ogni uomo in quest’Aula ed ogni partito deve assumere la propria responsabilità e rispondere delle conseguenze di questi penosi episodi, per la parte che riguarda ciascuno.

Veda quindi il Capo del Governo – che considero presente per quanto sia assente, e al patriottismo del quale non mi sono mai rivolto invano – veda se in questo momento difficile non sia il caso di accogliere le voci che sono venute in questi giorni da più parti, per poter arrivare ad una conciliazione e ad una maggiore collaborazione, nel senso di impegnare la responsabilità di tutti nel ristabilimento dell’ordine e soprattutto della libertà, perché il Paese, questo povero Paese, uscito ferito dalle rovine della guerra, ha in sé un grande tesoro: la volontà di lavorare e di lavorare sempre di più. Cerchiamo di non sciuparlo, questo tesoro. Di fronte ai nostri figli, noi dovremmo sentirne il rimorso. Sentano i partiti un maggior senso di responsabilità, perché altrimenti le responsabilità del disordine morale ed economico che minaccia il Paese finirebbero col cadere, prima di tutti, su di noi. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mariani Francesco ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARIANI FRANCESCO. Onorevoli colleghi, io non concordo con l’esposizione del Ministro Scelba e non vi nascondo che sono pervaso da un senso di mortificazione, perché, più che da un Ministro, il quale mostrasse di avere una visione ampia del problema politico che interessa il nostro Paese, mi è parso di udire il rapporto di un modesto funzionario di polizia di mentalità reazionaria. Non è questione della persona del Prefetto Troilo; se vogliamo osservare il fenomeno del Prefetto di Milano, non possiamo non riandare con il pensiero alle parole dell’onorevole De Gasperi, in un discorso pronunziato molti mesi or sono e che ripeto testualmente. Egli disse: «Sono arrivato a Milano e ho trovato il fatto compiuto di un decreto del Prefetto».

Nelle parole dell’onorevole De Gasperi vi era, onorevoli colleghi, la condanna del Prefetto di Milano. (Proteste al centro). Orbene, che cosa aveva compiuto questo Prefetto? Aveva accolto il voto unanime – dico unanime – del Consiglio comunale e, con suo decreto, non importa ora indagare se questo sia stato operante o inoperante ai fini della auspicata diminuzione dei prezzi, con squisita sensibilità politica, aveva impedito l’insurrezione popolare in un momento in cui gli operai delle fabbriche non avevano pane. Il Prefetto di Milano ha avuto questo merito grande.

Egregi colleghi, da quel momento ha avuto origine il conflitto tra Prefetto e Governo; quest’ultimo, mosso da un puntiglioso spirito burocratico di autorità, ha accusato il Prefetto di Milano di assumere troppi poteri di tendere a costituire quasi una specie di repubblica milanese, con una politica personale, scavalcando il Governo.

Questo, onorevoli colleghi, significa ridurre il problema, non intelligentemente, su un piano puramente d’autorità. In una situazione di emergenza, un Prefetto che abbia senso di responsabilità, ha il dovere di agire, in casi urgenti, anche se non abbia tempo per consultare il Governo, specie quando questa sua azione dà per risultato di pacificare una città e calmare le masse operaie, alle quali si dava pane ammuffito, mentre nei negozi vi era la più sfacciata ostentazione di ogni abbondanza.

Milano, universalmente riconosciuta come la città operosa e disciplinata, è stata offesa e colpita…

DOSSETTI. Da che cosa? (Rumori a sinistra).

MARIANI FRANCESCO. …dal fatto che il Ministro dell’interno non ha tenuto conto dei voti che da ogni parte gli giungevano da questa grande città. Li ha anzi ostentatamente ignorati. Di qui il risentimento e l’insurrezione di spiriti liberi come il Prefetto Troilo. Egregi colleghi, ci vuole poca intelligenza per capire che quando si determinano certe situazioni, un Prefetto come quello di Milano, che avrebbe la volontà di adempiere con sacrificio il proprio mandato, sia anche indotto a chiedere di essere sostituito, perché gli si rende la vita impossibile. (Interruzioni e rumori a destra e al centro).

PRESIDENTE. Non interrompano, per favore, onorevoli colleghi!

MARIANI FRANCESCO. A scongiurare l’allontanamento del Prefetto di Milano sono intervenuti a suo tempo tutti i partiti, e questo vi dica con quale considerazione era valutata l’opera del Prefetto stesso in una grande città come Milano, in un momento di tensione come questo, momento pericolosissimo; non so cosa avverrà a Milano dico oggi, in quest’ora, in questo minuto… quando gli operai dell’Isotta Fraschini, della Cemsa ed altri ancora sono letteralmente ridotti alla fame. (Commenti al centro).

Una voce al centro. Non è vero! Cosa c’entra? È una speculazione!

MARIANI FRANCESCO. Evidentemente se v’è una speculazione è quella degli industriali, che voi proteggete, perché la democrazia voi valutate solamente dalla vostra pancia piena. (Rumori al centro). Quello che dite in quest’Aula bisognerebbe anche che voi aveste il coraggio di dirlo agli operai che hanno fame… (Approvazioni a sinistra).

Senza, voler manomettere l’autorità del Governo, v’è una prassi che va rispettata e che il Governo ha invece voluto calpestare: prassi di sana democrazia… (Commenti a destra e al centro)

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio, per favore!

MARIANI FRANCESCO. …che dà a noi il diritto di esigere che il Governo ascolti il pensiero e i voti – e ne tenga conto – di una grande città come Milano.

Una voce al centro. Nessuno lo ha mai negato.

Una voce a sinistra. Lo negate coi fatti!

CAPUA. Milano è la città primogenita del fascismo!

PRESIDENTE. Onorevole Capua, non interrompa!

MARIANI FRANCESCO. Badate che le dimissioni del sindaco di Milano, seguite da quelle degli altri sindaci democratici di tutta la provincia, è un indice significativo che vi deve far seriamente riflettere.

Il sindaco di Milano si è assunto la responsabilità del proprio atto, del proprio gesto, indipendentemente dalla valutazione di quella che è stata la deliberazione delle masse.

Alla deliberazione di sciopero generale si sono associati i partigiani.

Una voce a destra. Quali? Quali? (Rumori a sinistra – Scambio di apostrofi tra la destra e l’estrema sinistra – Richiami del Presidente).

MARIANI FRANCESCO. Il sindaco di Milano aveva indirizzato una lettera la cui nobiltà è fuor di dubbio, e vogliate avere la pazienza di sentirla. La lettera, indirizzata all’onorevole De Gasperi, dice: «Signor Presidente, la Giunta, nella sua riunione di ieri, mi ha delegato, con voto unanime, ad esprimere la preoccupazione dell’amministrazione comunale per l’annunciata destituzione del prefetto Troilo dal suo incarico.

«Questa preoccupazione ha assunto presso la popolazione un aspetto e un carattere non meno insolito e significativo, dei quali ella è certamente informata. Né alcuno potrebbe meravigliarsi, conoscendo la situazione milanese e soprattutto i meriti dell’avvocato Troilo, che giustificano del tutto la grande simpatia e fiducia che lo circondano.

«È dunque naturale e doveroso che io chieda a lei e al Governo, nel supremo interesse cittadino, che una così penosa iattura sia risparmiata. Questa mattina sono venute da me le rappresentanze di quasi tutti i partiti democratici (Interruzioni) e tutti mi hanno pregato di farmi interprete presso il Governo dei loro voti che includono e riflettono le loro stesse preoccupazioni e gli stessi motivi morali già noti.

«In una parola, signor Presidente, è la città, nel suo spirito più sensibile e nella espressione della più seria responsabilità, che si rivolge a lei per essere compresa ed esaudita. Ed a questo si induce, pur riconoscendo l’importanza delle nuove mansioni che all’avvocato Troilo secondo le notizie pervenute, verrebbero affidate. La prego considerare l’estrema delicatezza della situazione di Milano, soprattutto alla vigilia di un inverno che si profila pieno di miseria e di incognite. Non si tratta di una situazione esclusivamente locale, se è vero che questo è il centro di una così complessa attività commerciale, industriale, sindacale, politica e spirituale; onde si può dire, senza orgoglio, che gli avvenimenti che qui si determinano hanno una grande influenza sulla vita di tutto il Paese.

«E non mi ritenga indiscreto se mi permetto di affermare con la cittadinanza che Milano merita, oggi più che mai, di conservare l’impegno, la saggezza, l’energia del prefetto Troilo.

«D’altronde, tanto meno sarebbe giusto e meritato il nostro sacrificio, quando si consideri che, se in questi faticosi e tribolatissimi anni di ricostruzione abbiamo dato, soprattutto per effetto di una rara unità di spiriti e di una severa concordia di sforzi, un esempio apprezzabile di disciplina e di responsabilità, questo è dovuto appunto in misura decisiva al prefetto Troilo.

«Abbiamo anche motivo di ritenere che il suo nuovo ufficio non comporterebbe la sostituzione immediata. Da ciò una ragione di più perché ci sia conservata una preziosa e – me lo lasci dire – troppo difficilmente sostituibile attività.

«Le ho parlato nel nome di Milano. Voglio credere che Milano sarà ascoltata».

Questa lettera del sindaco di Milano non ha avuto risposta.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Presidente del Consiglio gli ha mandato un telegramma la stessa notte.

MARIANI FRANCESCO. E abbiamo appreso con sbigottimento che l’unica risposta gliela davano i giornali: il trasferimento del prefetto di Milano!

Milano è una città sensibile, e reclama il diritto di essere ascoltata! (Interruzioni a destra e al centro). Milano rifiuta un governatore qualsiasi! (Interruzioni al centro e a destra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio!

MARIANI FRANCESCO. Anche in questa occasione il Governo ha applicato il sistema che applica in altri settori: fare appello alla nostra collaborazione, per poi rifiutarla, respingendo la rappresentanza delle masse popolari. (Rumori al centro e a destra).

Perciò noi, data la situazione particolarmente difficile, rivendichiamo il diritto di chiedere al Governo di essere ascoltati prima di procedere alla nomina di un nuovo prefetto! (Rumori al centro e a destra).

Questo diritto pretendiamo, questo diritto noi rivendichiamo in omaggio a sani criteri di democrazia; ma se il Governo non vuole e non intende tener conto di queste legittime aspirazioni, in modo particolare di quelle della massa dei lavoratori (Commenti a destra e al centro), è lo stesso Governo che spinge i lavoratori alla opposizione decisa ed all’azione contro il Governo stesso. (Rumori al centro e a destra – Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Vorrei richiamare certe parole dette dall’onorevole Clerici. L’onorevole Clerici ha sottolineato che, se fuori di qui si deve cercare di porre alle proprie parole e alle proprie argomentazioni un certo limite, quest’Aula è invece il posto in cui ciascuno può esprimere interamente le proprie opinioni e le proprie idee. È quindi opportuno che non lo si impedisca; perché, se non lo si potesse qui, allora vorrei sapere in quale luogo i rappresentanti del popolo potranno parlare come ritengono sia il loro dovere. (Approvazioni).

L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SCOCCIMARRO. Io avevo posto al Ministro dell’interno tre quesiti. Devo constatare che a nessuno di tali quesiti è stata data risposta.

Avevo chiesto, innanzi tutto, perché (senza entrare nel merito del provvedimento che riguarda il prefetto Troilo) quel provvedimento è stato preso in un momento, con una procedura ed in forma tale, che si sapeva a priori sarebbe stata interpretata come un atto di ostilità verso la grande maggioranza della popolazione milanese.

Chiedevo poi perché di fronte a una presunta carenza del prefetto di Milano si invita il comandante militare ad assumere tutti i poteri invece di rivolgersi a un funzionario civile. (Rumori al centro). E poi, infine, chiedevo al Ministro dell’interno come pensa di rimediare alla grave situazione determinatasi, per cui la Giunta comunale di Milano e 156 amministrazioni locali sono oggi dimissionarie.

ZERBI. Non tutta la Giunta di Milano.

SCOCCIMARRO. Questi sono i termini della questione che a me interessavano. Ora, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ministro, è rimasta una certa perplessità, perché in quelle dichiarazioni non ho trovato una spiegazione (badate, non dico la vera spiegazione, la giusta spiegazione, ma una spiegazione qualsiasi) di quanto è accaduto a Milano.

Non si comprende come mai una piccola questione (lo ha rilevato un altro collega che mi ha preceduto) possa avere portato a uno sciopero generale e possa aver determinato una situazione tale da indurre la Giunta comunale di una città come Milano a rassegnare le dimissioni in atto di protesta contro il Governo. (Rumori al centro).

Non c’è corrispondenza fra causa ed effetto. (Rumori al centro – Applausi a sinistra).

Stando alle dichiarazioni del Ministro non si comprende il perché di quanto è avvenuto. Eppure un motivo esiste ed è necessario vederlo chiaramente. (Rumori al centro).

Evidentemente a Milano non c’era sottomano un bandito Giuliano sul quale riversare la responsabilità di quello che accadeva. (Applausi all’estrema sinistra – Commenti al centro e a destra).

Ed allora, onorevoli colleghi, si è ridotto un fatto politico grave, che ha una importanza politica nazionale, ad un episodio di ordinaria amministrazione. Ma se tutto si riduce a questo che ci ha detto il Ministro, comprendereste voi quello che sta accadendo a Milano?

Evidentemente no. È la domanda che si è posto l’onorevole Bellavista ed anche l’onorevole Marina. Evidentemente tutti voi vi attendevate dal Ministro qualche cosa di più, sia di approvazione o condanna, ma qualche cosa di più. E questo qualcosa di più esiste, ma non è stato detto. (Interruzione del deputato Condorelli).

È questa reticenza, che crea le nostre preoccupazioni; è questa reticenza di fronte all’Assemblea, che solleva in noi degli interrogativi preoccupanti. Perché? (Rumori al centro). Perché, in verità, qui ci si è soffermati sulle apparenze esteriori, mentre ognuno intuisce che al di là di tali apparenze c’è una sostanza ben diversa: c’è un obiettivo a cui si tende e che non si dice. Noi chiediamo al Governo qual è questo obiettivo, qual è il motivo che lo ha condotto a provocare a Milano una situazione così grave, quando si poteva evitarla senza compromettere per nulla l’autorità del Governo. (Rumori al centro).

Permettete, qui si è parlato di lealtà del prefetto Troilo. Io non ho legami particolari col prefetto Troilo. Io lo ricordo nei giorni duri in cui certa gente non gridava tanto come fa oggi. (Applausi a sinistra). Lo ricordo, quando, come Ministro dell’Italia occupata, ricevevo il comandante Troilo che veniva dalla Majella, nella sua divisa lacera di combattente, a prendere accordi per la sua attività e gli aiuti per i suoi partigiani. Io ricordo quell’uomo, che in quei giorni era onorato da tutti, rispettato, ricevuto in Vaticano. Oggi, si pone qui in discussione persino la sua lealtà.

Vi è una lettera del prefetto Troilo a De Gasperi, Presidente del Consiglio, ma vi è pure una sua dichiarazione apparsa sui giornali di oggi, e mi permetto credere, senza fare offesa a nessuno, che egli non abbia detto il falso.

Troilo dice: il comunicato reso di pubblica ragione stamane dai giornali è alquanto impreciso e sorpassato. (Si tratta del comunicato del Ministero dell’interno). Poiché, se è esatto che circa quattro mesi or sono io ebbi a rimettere al Ministro dell’interno il mandato di rappresentante del Governo a Milano, tuttavia tale mia intenzione deve ritenersi assolutamente sorpassata dai fatti, in quanto dieci o quindici giorni fa, nel corso di numerosi colloqui avuti col Ministro dell’interno, col Presidente del Consiglio e con lo stesso Ministro degli esteri, si era convenuto che avrei lasciato la Prefettura di Milano dopo la nomina a capo della sezione stampa presso la delegazione italiana all’O.N.U. (Rumori al centro e a destra).

In uno dei Consigli dei Ministri sarebbe stato reso di pubblica ragione il nome del prefetto chiamato a sostituirmi, nomina che si era convenuto che sarebbe stata concertata di comune accordo. (Rumori al centro).

Il provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri di ieri…

SCELBA, Ministro dell’interno. È falso quello che afferma il prefetto Troilo, che il successore sarebbe stato concordato con lui.

SCOCCIMARRO. Permetta che finisca.

Il provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri di ieri non tiene conto di tali accordi e suona quindi come un provvedimento di punizione, tanto che tale provvedimento è stato da me appreso sui giornali.

Ora, il Ministro dell’interno dice che tutto ciò è falso, che non v’erano accordi di concertare la nomina del sostituto.

SCELBA, Ministro dell’interno. Con nessuno! (Rumori all’estrema sinistra).

SCOCCIMARRO. Io constato dei fatti. Constato una contraddizione: e se lei onorevole Scelba ha diritto di essere creduto, anche il prefetto Troilo ha questo diritto.

Ora, se c’è qualche cosa che non è chiara, se si è lasciata sussistere un’ombra equivoca che poteva portare a conseguenze così gravi, vuol dire che si è commesso un grave errore di cui il Ministro è responsabile.

Si è detto che è stato lo stesso prefetto Troilo a domandare di non essere più prefetto di Milano. Onorevole Scelba, può lei assicurare che non c’è stata nessuna pressione per provocare tale domanda? Può lei dire che non c’era nei criteri amministrativi e politici del prefetto Troilo qualche cosa che non piaceva al Ministro dell’interno, e che quindi si tendeva a creare l’occasione per cambiarlo?

Una voce. È naturale.

SCOCCIMARRO. È evidente; ma allora il problema che sorge è un altro. C’è poi la dichiarazione del Sottosegretario agli interni onorevole Marazza, il quale dice che «è increscioso che il collocamento a disposizione del prefetto Troilo sia stato interpretato in modo tale da determinare lo sciopero generale. Tale provvedimento si accompagna con il conferimento di un altro importantissimo incarico diplomatico, dallo stesso prefetto accettato e gradito».

Ora io mi domando: vi è stato errore di forma o negligenza da parte di qualcuno? Quando tali errori determinano situazioni come quella che si è creata a Milano, allora l’Assemblea ha il dovere di accertare le responsabilità.

Ora, io mi domando: perché il prefetto Troilo viene tolto proprio ora da Milano? Perché ha tanta fretta quando l’Italia non è ancora ammessa all’O.N.U. per cui prima che il prefetto Troilo possa assumere il nuovo incarico passerà ancora del tempo? Avevate una lettera del sindaco di Milano, che diceva: non precipitate le cose, lasciate ancora Troilo, perché ci serve a superare la difficoltà del momento. Voglio credere che Milano sarà ascoltata.

Il Governo non ha ascoltato Milano! Perché si è agito in tal modo?

UBERTI. Pajetta è il Prefetto di Milano.

SCOCCIMARRO. In questa politica c’è non solo noncuranza, ma dispregio della volontà popolare. È vero che noi rappresentiamo qui il popolo e la volontà popolare; ma non bisogna dimenticare che al di là di Montecitorio esiste pure il popolo italiano, che a un certo momento fa sentire la sua opinione. (Interruzioni – Rumori).

BELLAVISTA. No, il popolo è qui dentro! (Rumori – Interruzioni al centro e a destra – Richiami del Presidente).

MICHELI. Certe eresie non si possono ascoltare senza protestare.

Una voce. È un’offesa all’Assemblea.

PRESIDENTE. Non esageriamo; non è offesa all’Assemblea. (Commenti al centro e a destra). Ritengo sia esagerato identificare nelle parole che l’onorevole Scoccimarro ha creduto di dire, una offesa all’Assemblea.

SCOCCIMARRO. Non saremmo in questa sala divisi in diversi settori politici, se le nostre opinioni coincidessero esattamente. Noi abbiamo della democrazia una concezione diversa dalla vostra. (Rumori al centro ed a destra).

Una voce a destra. La democrazia della piazza.

SCOCCIMARRO. La differenza fondamentale consiste proprio in questo: che la democrazia, come la concepite voi, lascia la porta aperta al fascismo. (Proteste al centro e a destra). La democrazia, come la concepiamo noi, rende impossibile ogni ripresa fascista. (Interruzioni al centro e a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, la prego, resti all’argomento.

SCOCCIMARRO. Io non mi scandalizzo quando sento esprimere opinioni diverse dalla mia, non vedo perché gli altri non possano fare altrettanto.

Ritorniamo pure all’argomento: una questione da porre è questa: dopo aver deciso l’immediato trasferimento del prefetto Troilo pur senza che vi fosse motivo di urgenza, di fronte alla situazione che si è creata, perché ricorrere immediatamente ad un comandante militare? Si voleva forse con questo atto dare un esempio? Si voleva compiere uno di quei gesti di forza coi quali si crede, erroneamente, di salvare l’autorità dello Stato?

Ed allora, io vi dico: signori, badate che questa politica è estremamente pericolosa, poiché è una politica di provocazione. (Rumori vivissimi a destra). Questo giudizio non è avventato: sono i fatti che lo suggeriscono.

Ad esempio, perché in tutta la giornata di ieri il Ministero dell’interno, che doveva essere al corrente della situazione in tutti i suoi aspetti, non ha chiarito all’opinione pubblica, specialmente a Milano, come stavano le cose, se veramente esse si ponevano nei termini in cui sono state riferite qui oggi? Perché solo alle 23 di ieri è stato diramato il comunicato ufficiale del Ministero dell’interno? Si attendeva forse che il Generale comandante la piazza di Milano prendesse tutti i poteri? (Interruzioni al centro).

Ma qui affiora pure un diverso concetto dell’autorità dello Stato. L’autorità dello Stato che si affida alla forza armata ed alle baionette è un’autorità debole. (Rumori e interruzioni al centro e a destra). L’autorità dello Stato è tale solo in quanto abbia radici nel consenso popolare. (Applausi a sinistra – Interruzioni a destra).

Una voce al centro. E Tito? (Rumori all’estrema sinistra).

Una voce a sinistra. Che c’entra Tito?

SCOCCIMARRO. Verrà il giorno, onorevoli colleghi, in cui, visitando quei paesi, tutte le prevenzioni che voi oggi avete e che sono create dalla vostra fantasia, cadranno di fronte alla realtà! (Commenti al centro e a destra). Vedrete allora cose che ora non immaginate nemmeno. Comunque, quel diverso concetto dell’autorità dello Stato si riflette nella politica interna. Onorevole Scelba: un forte Ministro degli interni non è quello che dispone di molte baionette, e perciò crede di poter sfidare la collera popolare; è forte invece quel Ministro che sa conquistare il più largo consenso di popolo e su questo fonda la sua autorità.

Una voce al centro. Scelba lo ha già!

SCOCCIMARRO. Questa è la questione che è alla base delle divergenze del Ministro col prefetto Troilo, perché Troilo ha vissuto la guerra di liberazione e nella sua attività di prefetto – ve lo dicono tutte le amministrazioni e quella comunale in particolare – ha cercato di interpretare i bisogni, le esigenze, le aspirazioni delle masse popolari e di andare incontro ad esse in tutti i modi. Bisogna dire, per le notizie che mi dava ieri sera il Ministro dell’interno, che ha avuto dal Ministero dell’interno, in una certa misura, i mezzi necessari. Il prefetto Troilo non fondava la sua autorità sulle forze che poteva mettere a sua disposizione il Comando militare. Troilo rappresenta un capitale prezioso per le Autorità responsabili di Milano e per il Governo, perché una sua parola può calmare centinaia di migliaia di lavoratori, mentre voi questo non potete farlo. (Commenti al centro e a destra).

E noi dobbiamo assistere a questa stranezza: in una città come Milano, alla vigilia di un inverno che si profila particolarmente duro, vi è un prefetto che ha il consenso della grandissima maggioranza della popolazione: il Governo dovrebbe esserne lieto e fare di tutto per mantenerlo a quel posto. Invece pare che il Governo abbia gran fretta di mandarlo via e non veda l’ora di sbarazzarsi.

GIANNINI. Che le importa delle sciocchezze del Governo? È nel vostro interesse che sbagli! (Si ride).

SCOCCIMARRO. L’episodio di Milano non è isolato. Se noi dovessimo considerare soltanto questo episodio e giudicare da esso la politica interna del nostro Paese, potremmo anche dire che si tratta di un disgraziato accidente. Ma l’episodio di Milano è l’ultimo di una serie che caratterizza la politica interna dell’attuale Governo. Noi avevamo chiesto al Ministro dell’interno lo scioglimento del Movimento sociale italiano, la soppressione dei giornali apertamente fascisti e la repressione delle organizzazioni neofasciste. Cosa abbiamo avuto come risposta? Abbiamo avuto un atto di ostilità verso le masse popolari. Abbiamo chiesto altre volte che agli atti criminosi delle forze reazionarie – che in Sicilia nel volger di pochi mesi hanno assassinato ben diciannove organizzatori sindacali – venisse posto termine. Che risposta abbiamo avuto? Che si trattava di reati comuni, rifiutando il Ministro di riconoscerne il carattere politico. Una cosa analoga si fa oggi con i fatti di Milano riducendoli ad un problema di ordinaria amministrazione, svuotandoli del loro significato politico. Si è protestato contro il «Comitato cittadino», e c’è chi ha avuto parole di irrisione e di scherno. Ma quel Comitato, egregi colleghi, ha mantenuto l’ordine e la disciplina a Milano, invece di lasciare che la reazione popolare si scatenasse senza controllo. Quel Comitato ha questo potere e questa autorità. (Commenti al centro).

Quello che è avvenuto ieri desta in noi serie preoccupazioni. Quando abbiamo appreso la notizia del passaggio dei poteri al comandante militare, abbiamo pensato allo stato di assedio, e la stessa cosa ha pensato anche il popolo di Milano. Il popolo milanese, onorevole Scelba, ha visto sorgere alle vostre spalle l’ombra di Bava Beccaris. (Commenti al centro). C’è dell’incoscienza, se non capite questo. Ma c’è una differenza, egregi signori: oggi le cose sono un po’ diverse di 50 anni fa, e la conclusione oggi, dopo la guerra di liberazione, non sarebbe più quella di allora.

Solo la coscienza civica ed il senso di disciplina e responsabilità della popolazione di Milano ha impedito che la vostra politica potesse avere conseguenze funeste. Il popolo di Milano ha dimostrato di avere coscienza della propria forza ed ha saputo reagire con la calma e la disciplina dei forti: non si è turbato per la presenza di un generale, che d’altronde ha dato prova di spirito di comprensione e senso di responsabilità più di quanto non si sia fatto a Roma.

Le dimissioni di 156 amministrazioni con a capo l’amministrazione di Milano, suonano un severo monito al Governo. E lo invitano a ricordarsi che quando si nomina un prefetto, non ci si pone contro la volontà della maggioranza del popolo di una grande città, volontà manifestata in modo chiaro ed aperto. (Commenti al centro).

Taluno ha parlato di sedizione, ma il Ministro ha ricevuto comunicazione che in Prefettura i partigiani ed il Comitato dei cittadini collaborano con il Prefetto per mantenere l’ordine. (Commenti al centro). Questa è la realtà.

Io concludo, onorevoli colleghi. (Commenti al centro). Questo vocìo non vi fa onore. Quello che è accaduto a Milano è un monito grave per tutti, non bisogna prendere tanto alla leggera avvenimenti di questo genere. Noi non siamo affatto contenti della situazione che avete provocato a Milano.

Una voce al centro. Proprio lei lo dice?

SCOCCIMARRO. Sì, proprio io. Voi non potete dubitare che queste parole siano espressione di timore o di viltà; voi sapete che ciò non risponderebbe alla realtà. Noi non temiamo la lotta: di ciò abbiamo dato sufficienti prove. Noi organizziamo in tutto il Paese la opposizione alla politica del Governo, perché non crediamo che essa risponda agli interessi nazionali del nostro Paese. (Commenti – Interruzioni al centro).

Ma questa opposizione noi la organizziamo sul piano legale: se questo non comprendete e spingerete il popolo per altre vie, la colpa sarà tutta vostra. Qui si è biasimato il popolo di Milano, si sono pronunziate parole di deplorazione e di condanna. Noi, alla protesta dei milanesi, uniamo da questi banchi la nostra protesta. (Approvazioni a sinistra). In questo episodio del prefetto Troilo si è fatto il tentativo evidente di violentare la volontà popolare. Questo tentativo è fallito.

Onorevole Scelba, per gli avvenimenti di Milano lei porta una grave responsabilità. Dopo quanto è accaduto, lei ha una sola cosa da fare: dare le dimissioni e andarsene. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Parri ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PARRI. In nome del Gruppo per il quale io parlo intendo portare su questo episodio della vita politica italiana un punto di vista tanto più sereno e oggettivo, quanto più esso è apparso controverso e di difficile giudizio, come dimostra la passionalità stessa di questa discussione. Ci sembra, pertanto, ancor più necessario e doveroso per noi d’intervenire in questa discussione, nella quale interessa non tanto la vertenza sulla sostituzione del prefetto Troilo, quanto il complesso degli avvenimenti che ne sono seguiti. Io credo che si debba dare atto al Ministro della sua ricostruzione cronologica la quale chiarisce alcuni lati ch’erano rimasti oscuri. Questo fatto increscioso è intessuto, evidentemente, di equivoci tanto da una parte che dall’altra, equivoci che l’hanno oscurato e l’hanno complicato.

Per quanto riguarda l’azione del Governo, da parte nostra consideriamo esservi stato un errore di valutazione di quella che è l’effettiva situazione psicologica del popolo di Milano. E di questa occorre tener conto come elemento di fatto: il Governo governa non situazioni immaginarie ma situazioni di fatto che esso non può ignorare ricorrendo comunque per dominarle ai mezzi più appropriati. E qui debbo dire che anche a noi (e son sicuro di non poter essere tacciato di demagogia) ha fatto un’impressione preoccupante il ricorso che il Governo ha fatto, così in extremis forse sotto la pressione dell’allarme del momento, all’autorità militare. Di questa impressione vi ha detto anche l’amico Gasparotto, che rappresenta un pensiero, come voi sapete, ponderato e sereno. Su questo punto insisto perché in questo momento l’interesse e la sollecitudine del Paese vogliono che tutti intendano, così la democrazia cristiana, come i movimenti di destra, che situazioni di questo genere, l’attuale e le situazioni che si potranno produrre, non possono essere certamente affrontate, non possono essere dominate coi metodi che alcuni giornali propugnano, coi metodi militari alla Bava Beccaris; assolutamente no.

Ma devo dire che a nostro nettò giudizio la reazione della parte popolare ha passato i limiti del legittimo. Dico «limiti» perché non credo, come voi mostrate di credere, che si tratti soltanto di una agitazione a comando, montata per ordine di un partito. V’era qualche cosa di più: la lettera del sindaco Greppi dovrebbe farvene capaci. Ma la reazione popolare pur sincera e spontanea è arrivata a limiti ed ha assunto modi e forme che sono oggettivamente pericolosi per tutti i partiti, che qualunque partito si ponga come partito di Governo deve giudicar pericolosi. Anche questo noi dobbiamo fermamente deplorare.

Io credo che, in sé, la vertenza riguardante la sostituzione del prefetto Troilo – escludendo qualunque addebito si possa fare a questo valoroso compagno, come alla buona fede del Ministro Scelba – possa essere abbastanza facilmente risolta, se da entrambe le parti non ci si irrigidisca in una linea di intransigenza formale.

Ma tutta l’Assemblea sente che non è l’episodio del prefetto Troilo che in questo momento interessa; non è esso che getta gli uni contro gli altri, con una virulenza che per noi non potrebbe essere più angosciosa e più preoccupante; sotto l’urto vostro passionale, io vedo il sospetto e la paura dell’uno verso l’altro. Situazione psicologica ben pericolosa. E voi forse (Si rivolge ai banchi del centro), anzi senza forse, non interpretate esattamente i fatti di Milano se li ritenete semplicemente un pretesto di partito, un’agitazione a comando ed artefatta.

Badate, un episodio come questo è diventato più che un pretesto; io lo chiamerei «un’occasione». Un’occasione per lo sbocco, lo sfogo di un’eccitazione, di una tensione politica che agita gran parte d’Italia. Di queste occasioni possono ripresentarsene facilmente molte altre, e voi – badate – dovete intenderle come un indice, una sveglia, un campanello di allarme perché, al fondo, pongono il problema non dico solo del Governo, ma della stessa possibilità di un Governo, e della paralisi quindi della vita pubblica e privata del Paese e, più in là ancora, della scelta tra un regime bulgaro o un regime greco.

Bisogna fermarsi in tempo.

Io raccolgo l’invito che era stato già rivolto dall’amico Gasparotto: ma non può più essere un semplice e patetico invito alla concordia degli animi, che non troverebbe certamente il terreno fertile, il terreno adatto. È un invito stringente, formale, a considerare il problema fondamentale del Governo, che in questo momento così delicato, internazionalmente ed elettoralmente, è il problema stesso della possibilità di governare l’Italia. Ed è il problema, in definitiva, della possibilità stessa di una pacifica convivenza in Italia, che la discussione dell’Assemblea di questa mattina ha posto in modo così acuto, così urgente.

Ed è questo l’appello che sorge dal cuore di tutti noi che non siamo classificati in questi due settori in lotta l’uno contro l’altro; di tutti noi che vogliamo salvare, direi, noi stessi, perché dall’approfondimento, che è già arrivato al limite di questo fossato, saremmo noi stessi travolti e con noi la nostra ragion d’essere, la nostra ragione politica di operare.

L’appassionata difesa della nostra stessa posizione in questo momento può veramente coincidere con l’avvenire d’Italia. È su di esso che chiamiamo a riflettere tutti i colleghi. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Mastrojanni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MASTROJANNI. Onorevoli colleghi! La gravità dei fatti non consente alcun dubbio per presentarli con la maschera, o con il vero volto. Come è mio costume, parlerò apertamente richiamando le parole dell’onorevole Pajetta, il quale, interrompendomi reiteratamente allorché, non molti giorni or sono, intervenivo per gli stessi fatti di cui oggi si discute, si meravigliava che io potessi presumere come vero il fatto che si fosse tentato a Milano di impadronirsi di quella Questura.

Rappresentavo allora, con tutta l’energia che il caso richiedeva, al Ministro dell’interno la gravità di quel tentativo e gli domandavo, per l’ipotesi che quell’invasione fosse riuscita, che cosa sarebbe avvenuto. È strano che oggi, nonostante che l’onorevole Pajetta avesse decisamente fugato allora ogni mio sospetto, oggi, dico, è strano, che si ripeta in Milano un fatto di proporzioni ben più vaste e ben più gravi.

In proporzioni ben più vaste e ben più gravi anche per i riflessi avuti in questa Assemblea e precisamente nei settori di sinistra dove, anziché recriminare le violenze e le usurpazioni dei poteri, si sono ammannite giustificazioni che non solo sono puerili, ma sono addirittura inopportune. Ella, onorevole Scoccimarro, ha – almeno se ho ben compreso dal contesto del suo discorso – formulato addirittura accuse contro il Governo che, per la sua insensibilità politica, avrebbe provocato i fatti che oggi lamentiamo a Milano!

Mi domando se sia lecito, nel 1947, confondere ancora l’autorità e la persona dello Stato con la individuazione di questa o di quella determinata persona fisica ed in considerazione della simpatia per l’una anziché per l’altra. Mi domando se sia possibile credere che la vera, nobile, industre, civile città di Milano voglia giustificare la sua opposizione al Governo per il fatto che il prefetto di quella città si identifichi in Troilo o in altra persona fisica; se sia lecito in altri termini subordinare il riconoscimento dell’autorità statuale al gradimento della persona fisica chiamata a rappresentarla.

MOLINELLI. Non si tratta di persone; si tratta di un partigiano al quale vogliono sostituire un clericale. Questo è il fondo.

PREZIOSI. Un clericale scelto da Romita!

MASTROJANNI. A me non interessa l’una né l’altra persona; mi dolgo semplicemente che si perpetui il malvezzo di nominare prefetti persone che non provengono dalla carriera.

MOLINELLI. Non ve n’erano prefetti di carriera quando si combatteva contro i nazisti ed i fascisti; erano scappati.

PRESIDENTE. Onorevole Molinelli, la prego!

MASTROJANNI. Noi riconosciamo a chiunque i suoi meriti e gli rendiamo gli onori cui ha diritto, ma non affidiamo funzioni così complesse e così gravi a persone le quali, valorose in altri settori, nessuna prova hanno dato di saper dirigere la cosa pubblica in settori tanto gravi e tanto delicati.

Una voce a sinistra. E gli altri, che prova hanno dato?

MOLINELLI. Faremo a meno dei prefetti; sarà meglio!

MASTROJANNI. Onorevole Ministro dell’interno, l’interrogazione che ho avuto l’onore di presentarvi non si riferisce a richiesta sulle causali dei fatti, ma è diretta a conoscere i provvedimenti che avete adottati o adotterete per i gravi fatti che si sono verificati, sia nei confronti dei funzionari che non hanno interpretato con senso profondo di responsabilità i loro compiti, sia nei confronti di tutte le altre autorità, le quali hanno permesso che l’autorità dello Stato fosse disintegrata, calpestata, offesa! (Approvazioni a destra). Noi non possiamo tollerare che il tutto si accomodi come in una transazione fra privati. Il fenomeno è così grave, è di così vasta portata, è di ripercussioni così imponenti, per cui noi legittimamente pretendiamo di conoscere dal Ministro dell’interno, e di conoscere dal Governo quali provvedimenti s’intendono adottare, ad incominciare dal prefetto Troilo, il quale deve rispondere del suo comportamento e del suo atteggiamento, e deve dichiarare e dimostrare perché ha ceduto il potere della cosa pubblica a lui affidato a chi non era, né poteva essere investito di tali poteri. (Commenti a sinistra).

Noi chiediamo al Ministro della giustizia onorevole Grassi, che ci informi prontamente sulle azioni del Procuratore della Repubblica in Milano, contro coloro che hanno violato il Codice penale, nel quale si identificano i reati contro la personalità interna dello Stato. Noi chiediamo al Governo di prontamente riferire a questa Assemblea Costituente se il fenomeno grave ed offensivo per tutti i cittadini italiani sarà stroncato e se saranno perseguiti e puniti sì che il diritto leso sarà reintegrato e l’equilibrio dell’autorità statuale ripristinato.

A noi non interessano le causali che hanno determinato questi gravi fatti; in questo momento è l’autorità dello Stato che pretendiamo sia difesa e tutelata!

I lavoratori hanno diritto di scioperare quando e come credono, e scioperino pure finché vogliono, ma nessuno ha il diritto di impossessarsi violentemente della cosa pubblica e di disconoscere le autorità costituite dello Stato. Coloro che con atti perfettamente rivoluzionari hanno tentato di disintegrare la cosa pubblica e di impadronirsi del potere devono essere prontamente puniti se vogliamo riconoscere nello Stato il presidio supremo che garantisca l’interesse e il diritto dei singoli e della collettività. (Applausi a destra).

Concordo col Ministro dell’interno, per avere in queste gravissime contingenze affidato in linea provvisoria la cosa pubblica all’Autorità militare, l’unica che possa, in contingenze così gravi ed eccezionali, ripristinare l’autorità e imporsi contro le aggressioni di chiunque. L’Autorità dello Stato e la libertà dei singoli e della collettività sempre e comunque devono essere difese, mantenute e garantite. (Applausi a destra).

Agli onorevoli colleghi che ammonirono il Ministro dell’interno che maggiore prestigio e maggiore autorità ha lo Stato quanto meno si serve della forza pubblica, io domando: se questa è la serafica concezione che essi cullano per garantire l’equilibrio nella cosa pubblica, fra i diversi elementi che la compongono, perché essi fanno al contrario affidamento esclusivo nelle manifestazioni violente della forza, per il perseguimento e l’affermazione dei loro principî e delle loro ideologie politiche. (Applausi a destra – Rumori all’estrema sinistra).

Si è che la ragione e il diritto, dovunque essi siano, possono esser fatti valere solo attraverso l’usbergo della forza. Ma la forza deve risiedere solamente e unicamente nelle mani dello Stato! Nessuno deve farsi ragione da sé. Solo attraverso il presidio della legge è lecito far valere diritti ed interessi.

Onorevole Ministro, mentre io plaudo alle vostre saggie iniziative, vi esorto e vi eccito a perseverare nel vostro comportamento, a mantenere fermo e sicuro il prestigio dello Stato, a garantire sempre meglio il diritto sacrosanto dei cittadini di vivere in una società libera e ordinata, come in questa Assemblea abbiamo consacrato nel progetto di Costituzione quasi ultimato! (Vivi applausi a destra).

PRESIDENTE. Le interrogazioni sono così esaurite.

La seduta termina alle 13.50.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 28 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXI.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 28 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

 

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Persico

La Pira

Tosato

Gullo Fausto

Rossi Paolo

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Targetti

Perassi

Rodi

Dominedò

Bellavista

Costantini

Buffoni

Mastrojanni

Codacci Pisanelli

Condorelli

Bertone

Nitti

Mastino Gesumino

Caccuri

Grassi

Preti

Bettiol

Martino Gaetano

Lami Starnuti

Costa

Mortati

Ambrosini

Laconi

Uberti

Fabbri

Maffi

 

Votazione nominale:

Presidente

 

Risultato della votazione nominale:

Presidente

 

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Malagugini

Mastino Pietro

 

Annunzio di una mozione:

Presidente

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

 

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

L’onorevole Persico ha proposto il seguente articolo aggiuntivo 126-bis:

«Rimane ferma la competenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione a giudicare dei conflitti di giurisdizione a norma di legge.».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Onorevoli colleghi, nel leggere un momento fa l’emendamento presentato dai colleghi onorevoli Tosato e Mortati, nel quale si attribuisce alla Corte costituzionale, oltre agli altri poteri già fissati nel progetto di Costituzione, anche quello di risolvere i «conflitti di attribuzione», ho creduto necessario presentare un emendamento il quale chiarisca, in modo preciso e definitivo, questo punto: cioè che rimane ferma la competenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione a giudicare dei conflitti, io dirò, di «giurisdizione» e non di «attribuzione», a norma di legge.

Prescindo qui dall’opinione che i colleghi possono avere sulla necessità, o meno di una Corte costituzionale – perché anch’io, dopo le parole pronunciate questa mattina dall’onorevole Nitti, sono rimasto un po’ dubbioso – ma trovo le ragioni di una risposta affermativa nel fatto che la nostra Costituzione è rigida, nel fatto che la nostra Costituzione ha ammesso le Regioni, e quindi ha creato i presupposti per i quali diventa necessario che ci sia un organo superiore che dirima gli eventuali conflitti; e, quindi, la questione è implicitamente risolta della natura della nostra Costituzione e dagli organi che la Costituzione stessa ha creato.

Ma, prescindendo da questi elementi, che sono decisivi per risolvere il problema se ammettere o no la Corte costituzionale, io mi preoccupo ora di un altro problema. La Corte costituzionale avrà dei poteri per risolvere i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, fra lo Stato e le Regioni, fra Regione e Regione; ma non potrà confiscare all’autorità giudiziaria quello che è il suo diritto sovrano, maturato attraverso una evoluzione legislativa veramente mirabile, che è stata di modello a tutti gli altri popoli civili, cioè la giustizia amministrativa, la cui dottrina si è venuta creando attraverso il lavoro elaborativo dei nostri grandi scrittori amministrativisti: Mantellini, Mancini, Luchini, Codacci Pisanelli, e altri, i quali hanno elaborato tutta la nuova e complessa dottrina giuridica, dei rapporti tra la potestà amministrativa e quella giudiziaria. Non possiamo annullare – dicevo – quel che deriva dalla legge intitolata sui conflitti di attribuzione, che però nel testo parla molto più esattamente di conflitti di giurisdizione. È la legge 31 marzo 1877, n. 3761, che costituì una vera conquista nel campo del diritto.

D’altra parte mi rivolgo ai colleghi che non sono avvocati o, come diceva ieri l’amico onorevole Calamandrei, ai profani, benché qui non ci siano profani, perché tutti i colleghi sono egualmente competenti.

Io dirò che l’istituto dei conflitti di attribuzione della legge del 1877 è sorto per la difesa del cittadino contro la pubblica amministrazione, è sorto perché ci sia un organo il quale dirima gli eventuali conflitti fra l’autorità dello Stato e il cittadino che si difende contro gli eccessi e gli arbitrî dell’autorità dello Stato, o fra la pubblica amministrazione che richiede l’osservanza delle leggi e il cittadino, che alle leggi stesse non vuol prestare osservanza.

E che cosa ha da vedere la Corte costituzionale, che ha una funzione puramente politica, di dirimere cioè i conflitti di carattere politico, con l’organo fissato dalla legge per risolvere i conflitti di giurisdizione?

Ecco perché non ho compreso bene l’emendamento del Presidente onorevole Nitti, che dice: «Quando nel corso di un giudizio è sollevata questione di incostituzionalità di una norma legislativa, la decisione è rimessa alla Corte di cassazione a sezioni unite». Questo è perfettamente esatto, Presidente Nitti; ma questo rimane fermo perché non deve entrare nelle facoltà attribuite alla Corte costituzionale. Istituire o meno una Corte costituzionale, non toglie che le Sezioni unite della cassazione abbiano, per legge e per l’evoluzione dottrinale, la facoltà di dirimere gli eventuali conflitti fra l’autorità amministrativa e l’autorità giudiziaria, conflitti che possono sorgere fra tribunali ordinari ed autorità amministrativa. E questa legge del ’77 segna appunto il confine e il limite che divide l’autorità amministrativa dall’autorità giudiziaria.

Quindi, qualunque sia la soluzione che l’Assemblea darà al problema della Corte costituzionale (ed io ritengo che dovrà darla in senso affermativo per le ragioni che ho esposto), a me sembra necessario stabilire con l’emendamento da me proposto che, in ogni caso, il potere giudiziario continua per le sue speciali attribuzioni, a dirimere i conflitti a mezzo della Corte di cassazione a sezioni unite, come fa dal 1877 ad oggi, pur attuandosi l’istituto altissimo della Corte costituzionale per tutto quel che riguarda la decisione degli eventuali conflitti fra Stato e Regioni, fra i poteri dello Stato e fra Regione e Regione.

LA PIRA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA PIRA. Onorevoli colleghi, si tratta di esaminare i seguenti punti:

1°) se la Corte costituzionale è un elemento integrante del nostro edificio costituzionale;

2°) quale ne è la finalità;

3°) in relazione ai due primi punti, da chi questa Corte costituzionale deve essere scelta.

Onorevoli colleghi, io stamane ho ascoltato col massimo interesse quanto hanno detto gli oratori che mi hanno preceduto, e sono venuto a questa conclusione: mi sono chiesto: che senso ha la Corte costituzionale? perché deve esserci una Corte costituzionale?

A me pare che sia per questa ragione essenziale. Noi abbiamo creato una legge base, come si dice, una norma base, che è la Costituzione, la quale determina per il futuro legislatore delle condizioni, dei limiti, degli orientamenti. Allora, se c’è una legge base la quale è suscettibile di violazione da parte del legislatore futuro, la conclusione è evidente; deve esistere un organo giurisdizionale il quale accerterà, ove queste violazioni avvenissero, il verificarsi di tali violazioni. Quindi, se esiste una norma base, quale è la Costituzione, e se questa è suscettiva di violazione, deve esistere una funzione giurisdizionale e un organo appropriato che questa funzione eserciti. Per coronare l’edificio costituzionale, come si corona un edificio con un tetto o una vôlta, ci vuole per forza una Corte costituzionale. Se c’è questa giurisdizione speciale, ci deve essere un organo particolare. Né si può dire: ricorriamo alla giurisdizione ordinaria, perché si potrebbe eccepire che la giurisdizione ordinaria con i suoi organi ordinari di giurisdizione si riferisce a legge ordinaria, a quella che si chiama legge successiva, derivata, ma non alla legge base, alla norma base, la quale, appunto perché tale, ha caratteri speciali e, pertanto, caratteri speciali devono avere la giurisdizione e l’organo correlativi.

Quindi per queste ragioni, data cioè l’essenza e la finalità giuridica della Costituzione rigida, l’esistenza di una Corte costituzionale è indispensabile. Se vogliamo che il nostro edificio sia completo, è necessario mettere questa vôlta.

Ora, stamattina è stato anche osservato dal Presidente Nitti che vi è un esempio di Corte costituzionale negli Stati Uniti, ma secondo lui, questo esempio è legittimato dal fatto che lì siamo in presenza di uno Stato federale. Ora, mi si permetta di dissentire da tutto questo, vale a dire non è il fatto di essere in presenza di uno Stato federale che determina la nascita della Corte costituzionale; è il fatto che esiste una Costituzione, la quale garantisce determinati diritti subiettivi dell’uomo o delle comunità che sia come limite all’attività del legislatore. È questo fatto, l’esistenza di questa Costituzione, qualunque sia la struttura dello Stato cui si riferisce, che determina la nascita della Corte costituzionale come elemento integrante di questo principio giuridico.

Quindi, ripeto, al quesito se è necessaria giuridicamente l’esistenza di una Corte costituzionale, dato il tipo di Costituzione che abbiamo elaborato, la risposta è questa: che è necessario, per completare il fenomeno giuridico, che esista una giurisdizione e un organo giurisdizionale appropriati alla legge, che nel nostro caso è la legge base e non la legge ordinaria. A me pare che la risposta possa essere ricavata anche dalla finalità politica della nostra Costituzione, vale a dire noi con la Costituzione ci proiettiamo verso l’avvenire, cioè miriamo a una conclusione giuridica futura che risponda a un certo ordine sociale, quale che sarà questo ordine sociale. Quindi deve esistere questo organo particolare, sensibilizzato, il quale possa dire eventualmente che il futuro legislatore non è orientato secondo questa visione politica che la nostra Costituzione prevede. Quindi, non soltanto dal punto di vista strettamente giuridico, ma anche allargando la visione sotto l’aspetto politico, a me pare che quest’organo supremo costituisca veramente il coronamento del nostro edificio costituzionale.

Secondo: sorge la domanda: ma da chi deve essere – è il problema cosiddetto della causa efficiente – costruito quest’organo? E qui le risposte sono due. Si può dire, come nel progetto, che credo non risponda esattamente a quello che noi dobbiamo costruire, che sia lo stesso potere legislativo a creare l’organo giurisdizionale. Ma in tal modo dove va a finire la divisione dei poteri e la garanzia dei diritti della persona, che nella prima parte della Costituzione abbiamo voluto tutelare? Come può il potere legislativo, che deve essere controllato, essere giudice in casa propria? Per un’esigenza costitutiva dell’ordinamento giuridico non possiamo ammettere che quest’organo supremo di controllo dell’attività legislativa futura sia creato dallo stesso Parlamento, la cui attività deve essere controllata. Quindi, necessità di uscire, almeno in parte, dal mondo legislativo, per andare in altro campo. Insomma la causa efficiente di quest’organo non può essere il potere legislativo. Va cercata altrove.

E finalmente – e finisco – il problema delle attribuzioni, di cui hanno parlato l’amico Mortati ed altri. Io non entro nei punti specifici, però seguo sempre il mio ragionamento e dico: qual è la finalità di quest’organo? Evidentemente è una finalità giurisdizionale. La sentenza sarà quella che sarà. Quindi la finalità di quest’organo essenziale è una finalità giurisdizionale, tecnica, perché si fa questo confronto fra le leggi ed in base al confronto viene emessa una sentenza in cui si dichiara la costituzionalità o l’incostituzionalità di una legge.

Quindi, concludendo: al problema che ci siamo posti se è necessario che il nostro edificio costituzionale sia coronato da quest’organo, la risposta è positiva: sì, va coronato da questo organo. È una esigenza intrinseca della Costituzione, di natura e giuridica e politica. Senza quest’organo avremmo una casa senza tetto, un edificio senza vôlta.

Secondo: sempre in relazione a queste finalità, di difesa della persona e delle comunità, applicazione del principio della divisione dei poteri, quest’organo essenziale alla Costituzione non può essere generato dal potere legislativo, che esso invece è destinato a controllare. Quindi, è da ricercarne altrove la causa efficiente. Si vedrà quale e dove.

Terzo: quest’organo deve mantenersi, quanto più è possibile, entro questo ambito strettamente giurisdizionale. La sua funzione è di confrontare la norma futura con la norma base, e, in seguito a questo confronto, emettere la sentenza. Quindi, necessità che l’organo sia creato al di fuori del potere esecutivo, anche con l’intervento del potere legislativo perché sia sensibilizzato alle situazioni politiche che mutano; che non sia però snaturato il suo carattere di organo giurisdizionale e finalmente che si contenga entro questo ambito che legittima la sua esistenza. Queste erano le dichiarazioni che dovevo fare anche a nome del mio Gruppo. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha presentato insieme con l’onorevole Mortati una nuova formulazione dell’articolo 126, in sostituzione di quella svolta stamani dall’onorevole Mortati:

«La Corte costituzionale giudica della legittimità costituzionale degli atti aventi forza di legge dello Stato, delle Regioni, dei conflitti di attribuzione nonché dei conflitti fra Stato e Regioni e fra Regioni».

L’onorevole Tosato ha facoltà di svolgere questo emendamento.

TOSATO. Il nuovo testo che ho presentato porta la mia firma, ma in verità dovrebbe portare la firma di tutti gli onorevoli colleghi dell’Assemblea, perché è stato formulato tenendo presente precisamente quello che è stato il risultato della discussione svolta.

Io vorrei richiamare semplicemente a questo proposito l’attenzione degli onorevoli colleghi sul fatto che l’articolo 126, a nostro avviso, è diretto soltanto a stabilire il principio e i limiti di una giurisdizione costituzionale, riservando quindi agli articoli successivi la risoluzione delle questioni relative alla composizione, alla legittimazione ad agire e alle norme di procedura.

Pertanto, parlando della Corte costituzionale, non intendo escludere che in fatto la Corte costituzionale possa eventualmente coincidere in tutto o in parte, per esempio, con le Sezioni unite della Cassazione. È una questione che adesso non si risolve. Se le Sezioni unite della Corte di Cassazione dovessero diventare competenti anche in materia costituzionale, è evidente che in questo caso la Corte di Cassazione assume le funzioni e la natura di Corte costituzionale.

Ci si potrebbe chiedere se è proprio necessario stabilire in un articolo della Costituzione una norma che preveda esplicitamente la possibilità di una giurisdizione costituzionale di fronte alla legge e agli atti aventi forza di legge. Qualcuno infatti potrebbe osservare che una norma di questo genere non è essenziale, non è richiesta: perché, dal momento che noi stiamo per elaborare ed approvare una Costituzione rigida, è evidente che anche i giudici ordinari, nell’accertare il diritto esistente potranno e dovranno anzitutto accertare la legittimità della legge che si tratta di applicare.

Tuttavia è noto che anche in Stati retti da Costituzioni rigide, quando si è trattato di decidere se i giudici ordinari avessero o no la competenza a giudicare della costituzionalità della legge, la questione ha dato luogo a gravi controversie. È noto per esempio che durante la III Repubblica francese, nonostante la rigidità della Costituzione, i giudici si sono dichiarati incompetenti a giudicare della costituzionalità sostanziale delle leggi e ciò per ragioni varie, di carattere storico e soprattutto di carattere politico, dedotte dal principio della sovranità popolare, che escluderebbe qualsiasi possibilità di un sindacato di fronte agli organi che sono espressione della volontà popolare, volontà che nella sua immanente sovranità non ammetterebbe limiti a se stessa.

Io credo che nessuno di noi metta in dubbio la necessità che ci sia un giudice competente anche a giudicare della costituzionalità delle leggi, cioè della conformità dell’attività del legislatore alla Costituzione.

Se noi oggi siamo d’accordo su questo punto, mi pare che una norma costituzionale esplicita a questo proposito sia assolutamente necessaria, almeno al fine di troncare dannose incertezze.

Si tratta, quindi, di stabilire qual è la competenza della Corte costituzionale. È a questo proposito che sorge la difficoltà, perché si tratta di trovare formule molto chiare, semplici, precise.

Se teniamo presente quale era lo stato di diritto in Italia precedentemente e ricordiamo che i giudici italiani si erano ritenuti competenti a giudicare della validità formale della legge, non però della validità sostanziale, a me sembra sia necessario precisare e stabilire chiaramente che la Corte costituzionale ha come compito quello di giudicare della legittimità delle leggi e quindi non soltanto della legittimità formale, ma anche di quella sostanziale, e quindi del possibile contrasto di una legge, per quanto riguarda il suo contenuto, rispetto alla Costituzione.

Ritengo quindi che la formula, da me proposta, con la quale si afferma la competenza della Corte costituzionale a giudicare della legittimità costituzionale delle leggi o degli atti aventi forza di legge, sia formula abbastanza felice, in quanto, quando si parla di competenza a conoscere della legittimità costituzionale, è chiaro che si ammette un sindacato di legittimità in tutte le forme, in cui la illegittimità può manifestarsi. D’altra parte la competenza di legittimità esclude però qualsiasi sindacato di merito. Anche su questo punto credo siamo d’accordo: sindacato di costituzionalità delle leggi, sì; però inibizione assoluta ai giudici di entrare nel sindacato circa l’uso dei poteri discrezionali rilasciati agli organi costituzionali dalla Costituzione.

Ora, la precisazione che la competenza della Corte costituzionale è di legittimità costituzionale, mentre afferma un principio che è necessario stabilire esplicitamente, serve d’altra parte a segnarne esattamente anche i limiti.

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Fausto ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere l’ultimo comma dell’articolo 126».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Corte costituzionale giudica della violazione delle norme costituzionali nelle leggi e nei provvedimenti aventi valore di legge».

Il primo emendamento corrisponde a quelli presentati dall’onorevole Preti e dall’onorevole Musolino; il secondo a quello presentato dall’onorevole Perassi. Comunque, l’onorevole Gullo ha facoltà di svolgerli.

GULLO FAUSTO. In quanto all’emendamento soppressivo mi limito ad associarmi a quanto ha detto l’onorevole Musolino, il quale appunto propone la soppressione dell’ultima parte dell’articolo 126.

Per il mio primo emendamento c’è già una proposta simile se non identica. Io vorrei, ed è questo il contenuto del mio emendamento, che nella prima parte in cui si fissa la competenza della Corte costituzionale, si usasse l’espressione negativa e non quella positiva. Dicendo: «La Corte costituzionale giudica della costituzionalità di tutte le leggi», parrebbe che fosse affidato alla Corte costituzionale il potere autonomo, diciamo così, di esaminare, senza che ne fosse stimolata l’attività da nessuno, la costituzionalità delle leggi. Questo porrebbe la Corte in una posizione di preminenza tale per cui verrebbe scosso l’equilibrio dell’edificio costituzionale, quell’equilibrio di cui parlava poco fa il collega La Pira. Poiché, invece, si stabilisce che questa attività della Corte costituzionale debba essere stimolata da qualcuno (e si dirà in seguito, attraverso quali istanze si mette in moto questa attività) mi pare che la formula negativa sia più opportuna e più rispondente al testo proposto. Propongo cioè che si dica: «La Corte costituzionale giudica della violazione delle norme costituzionali nelle leggi e nei provvedimenti aventi valore di legge».

Giudica di queste violazioni sempre che le violazioni stesse siano denunziate o dal Governo o da cinquanta deputati o da un Consiglio regionale ecc. Ritengo che questa formulazione sia senz’altro meglio rispondente al contenuto stesso delle norme che disciplinano l’attività della Corte costituzionale. Poiché vi è l’emendamento dell’onorevole Preti, io ritiro il mio emendamento e mi associo ad esso.

Per quanto riguarda poi i miei emendamenti agli altri articoli del Titolo, mi riservo di illustrarli quando questi articoli verranno in discussione.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto ora la seguente deliberazione:

«L’Assemblea Costituente, riconosciute la necessità e l’importanza di sancire nella Carta costituzionale l’istituto del sindacato costituzionale sulla costituzionalità degli atti legislativi; e riconosciute d’altra parte l’insufficienza della Sezione I del Titolo VI del progetto, dovuta alle innovazioni introdotte negli articoli dei precedenti titoli già approvati, rispetto al testo originariamente proposto, e la brevità del termine entro il quale il problema dovette essere approvato e risolto dalla Commissione dei Settantacinque, dà mandato a questa di riesaminare il progetto della Sezione I del Titolo VI e di presentarlo rielaborato entro martedì 9 dicembre». (Commenti a sinistra).

Onorevole Codacci Pisanelli, osservo anzitutto che la sua proposta deve essere corredata da 15 firme, a norma del Regolamento. In secondo luogo essa si risolve in una proposta di sospensiva. Contro questa sua intenzione debbo opporre il disposto dell’articolo 92 del Regolamento, che testualmente dice:

«A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l’ordine del giorno puro e semplice».

Non è quindi possibile che la sua proposta sia presa in considerazione.

Invito l’onorevole Rossi Paolo a esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

ROSSI PAOLO. È ovvio che di fronte alle proposte di soppressione dell’intera prima Sezione, così autorevolmente introdotta dagli onorevoli Nitti e Bertone, la Commissione si debba preoccupare innanzi tutto del problema pregiudiziale, ma non senza esprimere, con tolleranza dell’Assemblea, un sentimento di profonda melanconia. Siamo al secondo anno di vita dell’Assemblea Costituente, che doveva durare otto mesi; abbiamo tenuto un centinaio di sedute della Commissione dei settantacinque; siamo alla 312a delle nostre sedute pubbliche, e non siamo ancora riusciti a metterci d’accordo, con sicurezza, sopra uno dei pilastri dell’intera struttura costituzionale, anzi sopra la cerniera del sistema che siamo venuti fin qui faticosamente elaborando!

Le norme relative alle garanzie costituzionali sono bensì, topograficamente, le ultime della Carta statutaria, ma sono in realtà, la premessa e l’esigenza fondamentale su cui poggia l’intero edificio. L’onorevole La Pira ha parlato prima del tetto, poi ha avuto un dubbio architettonico e ha soggiunto: «Non tetto, ma volta». Mi permetta che, restando il paragone, io parli di base e di fondamento della Costituzione. Sopprimete, onorevoli colleghi, come vogliono gli onorevoli Nitti e Bertone, le norme relative alle garanzie costituzionali, e il documento che la Costituente è stata chiamata a dettare, dopo tragici e rivoluzionari avvenimenti, si ridurrà ad una romantica dichiarazione dei diritti dell’uomo, a un semplice cahier dei desideri scaturiti da una sinistra esperienza, e la storia futura dirà che abbiamo perduto il nostro tempo, e, peggio, sciupato la migliore occasione politica che si sia offerta al popolo italiano per riscattarsi dalla sua immaturità costituzionale.

Per essere logici e conseguenti, infatti, gli emendamenti soppressivi della prima sezione dovrebbero estendersi alla soppressione dell’intero Titolo. Senza una Corte costituzionale, la rigidità della Costituzione, universalmente o quasi universalmente invocata, cadrebbe nel nulla e le norme degli articoli 130 e 131, che prevedono le garanzie dalle quali deve essere circondata ogni modificazione delle regole che gli italiani, usciti dal successivo crollo di due regimi, quello parlamentare e quello totalitario, si stanno dettando, per la sicurezza delle loro libertà c della loro riposata convivenza civile, sarebbero inutili, ridicole, per ripetere una parola pronunciata ieri dall’onorevole Calamandrei, o supremamente tristi, se lo preferite. Sarebbero norme senza giudice e senza sanzione, non diverse da uno sterile auspicio, o da un vano sospiro.

Le critiche rivolte all’istituto della Corte costituzionale, me lo permettano gli illustri oratori che le hanno sostenute, mi sembrano fragili, speciose, e perfino internamente contraddittorie. Ciò hanno dimostrato in modo esauriente colleghi di tutte le parti della Camera: l’onorevole La Pira, indirettamente ma efficacemente, gli onorevoli Musolino e Gullo, gli onorevoli Perassi, Mastino, Condorelli o, l’onorevole Codacci Pisanelli… il quale vorrebbe che ci pensassimo ancora un momento, a quest’ora. Se la Camera me lo consente, farei una piccola parentesi. Quando ero giovanissimo sono stato una volta ultimo collega di Vittorio Scialoja. Si domandava un termine più lungo per presentare certe memorie ad un collegio arbitrale, ed egli mi guardò severamente dicendo: «Non c’è nella nostra professione un termine o l’altro, termini brevi o termini lunghi, c’è un termine solo, sempre lo stesso: tre giorni, gli ultimi tre». Caro Codacci Pisanelli, siamo ora alla stretta del sacco, e non siamo ancora sicuri delle nostre decisioni? Martedì mattina sarebbe come oggi: qualche incertezza ci potrà essere, perché ci sono dei problemi che fanno tremare le vene e i polsi, ma qui conviene ad un certo momento chiudere e decidere concretamente.

Nel merito l’onorevole Codacci Pisanelli affermò altamente che vi sono esigenze politiche e filosofiche di una giustizia costituzionale che coroni l’ordinamento della giustizia penale, della giustizia privata, della giustizia amministrativa. Ha detto benissimo e la Commissione concorda con lui. L’onorevole Nitti ha detto con grande autorità morale e scientifica: voi avete costruito un mostro, giacché non vi sono nel mondo altre Corti similari, e questo l’ho sentito anche sussurrare e ripetere, mentre altri hanno detto, all’opposto: voi avete pedissequamente imitato le legislazioni straniere. Le due accuse evidentemente si eliminano, e tuttavia sono entrambe infondate. Non c’è nel testo elaborato con tanta fatica dalla Commissione dei Settantacinque, a grandissima maggioranza, per non dire alla unanimità, né pedissequa né servile imitazione di altri testi statutari. La Corte Suprema degli Stati Uniti, la Corte di Lipsia, la Corte federale di Losanna, quella austriaca, prevista nella Costituzione effimera del 1930, sono fonti ed esempi ai quali abbiamo attinto; le Corti americana e svizzera rappresentano anche felici esperienze e la Commissione ha tenuto sott’occhio questi modelli, pur cercando di creare un organo che fosse adatto alle particolari esigenze del nostro Paese.

Ha detto inoltre il nostro maestro onorevole Nitti: l’America e la Svizzera, come da Germania e l’Austria, sono o erano Stati federali, mentre l’Italia è, e deve rimanere, per voto comune, un paese unitario, e se possibile, uno Stato decentrato ma fortemente unitario. Benissimo, onorevole Nitti, ma l’Italia, così come risulta organizzata dalla nuova Costituzione, è qualche cosa di diverso e di particolare rispetto agli altri Stati unitari: è uno Stato regionale, con Assemblee regionali dotate di non modesti poteri legislativi. Il fatto che ella, onorevole Nitti, ed anch’io, ultimissimo dell’Assemblea, abbiamo votato contro questo tipo di organizzazione, non toglie che esso abbia prevalso e che delle conseguenze debbano necessariamente scaturirne. Uno Stato, cioè, composto di Regioni, non sovrane ma autonome, le cui libertà e facoltà debbono venire imprescindibilmente contemperate ed armonizzate da un organo adeguato, il quale non può essere, come pensano alcuni, il solo Parlamento nazionale, che annullerebbe di fatto l’autonomia regionale, né la Magistratura, ordinaria, che verrebbe ad assumere un compito trascendente i suoi limiti naturali e tradizionali, cioè i limiti in cui essa è abituata ad inserirsi.

Dice ancora l’onorevole Nitti: abbiamo in Italia delle Regioni, non degli Stati federali; vogliamo o tolleriamo a malincuore le Regioni; non vogliamo che si creino degli Stati.

Mi consenta l’illustre statista: è appunto perché le Regioni non diventino Stati, non minaccino di diventare Stati, che si presenta l’imperiosa necessità di istituire una Corte costituzionale che possa giudicarne l’attività, e frenarne eventuali impulsi a porsi come enti sovrani.

Nel discorso dell’onorevole Nitti, che ho seguito parola per parola pendendo dalle sue labbra, ho rilevato una contraddizione interna, che rivela – io temo – un preconcetto. Egli ha detto con la consueta arguzia: «questa non è l’Alta Corte federale degli Stati Uniti, non è quella Corte di giudici autorevoli, di sette o nove insigni saggi dell’America; è una piccola Corte – sono esatto, onorevole Nitti? – una piccola Corte, una corticella numerosa e non autorevole». E poco dopo egli ha soggiunto che la Corte avrà un eccessivo prestigio. Quindi, ha configurato da una parte una Corte che manca di autorità e dall’altra una Corte che ne abbia soverchiamente.

Ricordo che in sede di Commissione dei Settantacinque, quando si discuteva sul nome da dare alla nuova istituzione, qualcuno, echeggiando denominazioni straniere, parlava di una Suprema Corte, o di una Suprema Corte costituzionale. Non si volle adottare la denominazione Suprema Corte costituzionale precisamente per non creare l’impressione di un organo che fosse veramente soverchiante, che stesse al disopra di tutti, che potesse in qualche modo sminuire altri organi dello Stato. L’onorevole Nitti ha richiamato, con una interessante digressione, l’esempio storico della Corte di Lipsia, verso la quale egli sarebbe stato un procacciatore di cause.

Ebbene, mi permetta, onorevole Nitti, questo augurio al quale ella indubbiamente si assocerà con tutto l’animo suo di grande italiano: c’è una competenza che nessuno di noi vuol dare alla Corte costituzionale, alla Corte costituzionale grande o piccola, suprema o meno che si voglia chiamare; c’è una competenza che nessuno di noi vuol dare a quella Corte, ed è precisamente quella che ebbe la Corte di Lipsia, quale conseguenza della responsabilità politica e della disfatta di un popolo. Non è questa la materia sulla quale la Corte costituzionale italiana dovrà decidere!

Le altre obiezioni mi paiono tutte facilmente superabili. Giusto, molto giusto che il numero debba essere fissato. Abbiamo fatto male, nel configurare l’intero Titolo, a non prevedere il numero. È esatto quello che l’onorevole Nitti teme, che la Corte possa essere il rifugio degli ex Ministri o dei parlamentari anziani battuti alle elezioni, diventando così un organismo retorico e screditato. Ha ragione; ma il rimedio è facile: si tratterà di specificare espressamente il numero di sette, otto, nove, quindici, un numero divisibile per tre e un numero tale che non consenta l’introduzione di elementi superflui che possano far diventare la Corte oggetto di mercato da parte del Governo.

Così le obiezioni degli onorevoli Nitti e Bertone circa il modo di nomina sono tutte ancora riservate alla decisione definitiva. Ci sono opinioni discordi nell’Assemblea, ci sono correnti che vorrebbero – l’onorevole Bertone ne è sostenitore – una scelta fatta nell’ordine della Magistratura; ci sono correnti che vorrebbero le nomine riservate interamente all’Assemblea; ci sono correnti intermedie che vagheggiano una composizione mista cui partecipino e il Presidente della Repubblica e l’Assemblea e il Consiglio Superiore della Magistratura.

Sono problemi che si esamineranno nella sede opportuna e che facilmente si risolveranno.

Si è detto: chi può provocare il giudizio della Corte Suprema? I 10 mila elettori paiono pochi all’onorevole Nitti, perché egli immagina che un piccolo partito di minoranza possa tenere in perpetua agitazione il Paese, raccogliendo con facilità le diecimila firme richieste. Ma alla Corte americana non basta forse un solo cittadino, quisquis de populo? Del resto, se non parrà sufficiente la garanzia, vorrà dire che l’Assemblea esaminerà accuratamente il problema e potrà di certo superare anche questa difficoltà.

L’onorevole Nitti, nel suo desiderio di ragionevole, di illuminata conservazione, ci ha detto qualche cosa da cui dobbiamo profondamente dissentire. La Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato – egli ha affermato – hanno funzionato bene, abbastanza bene. Mi consenta l’illustre statista che io gli risponda che, in materia costituzionale, la Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato non hanno invece funzionato affatto, proprio nel momento in cui avrebbero dovuto funzionare.

Noi tutti ricordiamo l’episodio Mortara: la prima sezione accolse, nel 1922, un piccolo ricorso di un privato, affermando l’incostituzionalità di un decreto del Governo di Mussolini. La conseguenza fu che Mortara fu allontanato dalla Cassazione e nessun altro magistrato della Cassazione osò mai più, dopo di lui, esprimere un parere in tal senso: la Corte di Cassazione si conformò.

E il Consiglio di Stato? Il Consiglio di Stato mi pare incominciasse proprio con l’estromettere i suoi migliori e non mi consta che abbia una sola volta espresso il suo dissenso dai provvedimenti negativi della libertà di cui si rendeva responsabile il Governo di Mussolini. Ma si commettevano tutti i possibili soprusi, anche prima delle leggi del 1926; si applicava la vecchia legge comunale e provinciale, per esempio, per sopprimere la libertà di stampa, di parola, d’associazione, di riunione.

C’era, mi pare, l’articolo 3 per il quale, in caso di urgenza, il prefetto può prendere certi provvedimenti. È evidente che il legislatore che aveva redatto quell’articolo non aveva previsto se non l’intervento per il crollo di un tetto o qualcosa di simile; tutti sanno invece ciò che è accaduto: l’abuso assurdo che si è compiuto della legge comunale e provinciale. Mai le giurisdizioni amministrative sono utilmente intervenute, nemmeno davanti al grottesco. Mi pare chiaro che quegli organi non hanno agito in alcun modo per la tutela costituzionale.

La Commissione si trova largamente d’accordo con l’onorevole Nitti su un punto, non direi su un punto soltanto, ma su un punto principalissimo delle sue dichiarazioni: questa non è una questione di ordine politico. Ha detto l’onorevole Nitti: l’istituzione o meno della Corte Costituzionale è un problema di ordine tecnico, legislativo, un problema di ordine giuridico. Il fatto che la Camera sia così variamente divisa nell’esprimere le sue convinzioni, dimostra che l’onorevole Nitti ha detto la verità: non è un problema politico; è un problema giuridico, un problema di ordine costituzionale che dobbiamo esaminare con freddezza e tranquillità.

Io ritengo che la Corte costituzionale, o i poteri della Corte costituzionale – perché poi è una questione di nome: se diventasse, come ha detto l’onorevole Tosato, Corte costituzionale una sezione specializzata, o le sezioni unite della Corte di Cassazione, sarebbe cambiato soltanto il nome, sarebbe cambiata eventualmente la composizione, ma non sarebbe cambiata la funzionalità e non sarebbe vulnerato il principio – ci debbono essere; occorre che una Corte costituzionale, o una Corte che abbia questi poteri, sia istituita.

Ciò occorre per le ragioni che tutti hanno detto: Codacci Pisanelli, Perassi, Mastino, Condorelli, ed altri colleghi; occorre per la natura stessa della nostra Costituzione; occorre per qualche cosa di molto più vivo, premente e cogente e immediato, onorevoli colleghi, di quelle che siano le norme scritte, per ora, soltanto sulla carta; occorre per l’esigenza immediata e attuale dei fatti. Esiste in questo momento un’Assemblea deliberativa con vasti poteri in Sicilia; lo Stato fa delle leggi; l’Assemblea siciliana fa delle leggi. Mi consta che ci sono già in atto in questo momento conflitti che nessuno sa o potrebbe risolvere, tra lo Stato e la Sicilia, tra il Governo della Regione siciliana e il Governo dello Stato; bisogna che questi conflitti siano risolti. Ecco che al di sopra, al di fuori, al di là delle teorie e dei dubbi si affaccia premente la verità dei fatti, e ci obbliga a riconoscere l’immediata necessità della costituzione della Corte Costituzionale.

Vorrei rispondere brevissimamente a un dubbio, del mio amico onorevole Preti, dubbio che ho sentito affiorare nel discorso di taluni oratori, e che è il dubbio di taluni amici, che mi sono molto vicini: badate, essi mi dicono, non creiamo un organo che sia sopra l’autorità sovrana del Parlamento, che sia sopra l’autorità sovrana del popolo espressa attraverso le sue Assemblee.

Ebbene, io non vedo che l’auto-limite sia una rinunzia alla sovranità; non vedo che il Parlamento, ponendo a se stesso l’obbligo di non violare taluni principî, abdichi alla sua autorità: la afferma più che mai; la afferma questa Assemblea; per oggi e per domani.

Che cosa accadrebbe, onorevoli colleghi che avete questo dubbio, che cosa accadrebbe se si lasciasse il sindacato di costituzionalità all’autorità giudiziaria ordinaria?

Accadrebbe che un ricco, o un’associazione potente politicamente e finanziariamente, potrebbe ottenere, portando la sua azione a fondo, una dichiarazione di incostituzionalità della Corte di Cassazione o del Consiglio di Stato. Sentenza che agirebbe soltanto nei suoi confronti, mentre l’ultimo venuto, non dotato di eguale potenza economica o politica, sarebbe colpito da quella legge, che invece di essere annullata erga omnes sarebbe soltanto incapace di produrre effetti contro colui che l’avesse impugnata e continuerebbe a produrne contro l’infelice non in grado di combatterla.

Mi pare che in questo caso l’autorità sovrana del Parlamento sarebbe più appariscentemente offesa, sarebbe molto più gravemente e nell’intimo vulnerata, che non nel caso in cui una Corte costituzionale, rilevando un contrasto fra la Costituzione e la legge, richiamasse il Parlamento alla necessità di rivedere, in forma costituzionale, quel determinato provvedimento.

E infine, per tranquillizzare tutti, poiché so che c’è un certo numero di colleghi che ha questa preoccupazione, mi pare evidente che il summum ius, la extrema ratio resti sempre al Parlamento, nel propostovi sistema.

Vediamo. La Corte costituzionale annulla una legge, annulla un decreto. E va bene: la legge ritorna al Parlamento. Il Parlamento la riesamina, ed è libero di modificare la legge, o di modificare la Costituzione, per modo che la legge cessi d’essere incostituzionale. C’è nel progetto l’articolo 130 che determina i modi attraverso i quali anche la Costituzione può essere mutata, talché in definitiva, con semplici garanzie dirette contro le improvvisazioni e l’infatuamento, al vertice della sovranità e della responsabilità restano indefettibilmente il Parlamento e il Popolo.

La Commissione ha accolto gli emendamenti degli onorevoli Gullo, Musolino, Preti e degli onorevoli Mortati e Tosato (perché anch’essi mi pare proponessero la medesima cosa), accettando di rinviare l’esame dell’ultimo capoverso – «Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione» – ad un secondo momento. Vedremo, secondo la composizione della Corte Suprema, se converrà che giudichi di queste accuse o se non sia più conveniente che ne giudichi il Parlamento.

Quanto alla formulazione, fino all’ultimo istante abbiamo seguito tutti i suggerimenti e abbiamo condiviso tutti i dubbi e le preoccupazioni. La Commissione non ha amor paterno, tanto più che sarebbe una paternità plurima, e non è, quindi, attaccata al testo originale dell’articolo 126. Crede la Commissione di potere accettare la formulazione ultima dell’onorevole Tosato, ma, rispondendo anche al punto di vista espresso dall’onorevole Gullo, propone di votare la formula Tosato così ritoccata: «La Corte costituzionale giudica della legittimità costituzionale degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni e i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, nonché fra lo Stato e le Regioni e fra le Regioni». (Applausi).

PRESIDENTE. Quale emendamento la Commissione accetta?

ROSSI PAOLO. Accettiamo l’emendamento Tosato, con l’aggiunta dopo le parole «conflitti di attribuzione», delle parole: «fra i poteri dello Stato».

Un’ultima osservazione. Mi pare che sia chiarito che l’emendamento dell’onorevole Persico, di cui abbiamo tutti riconosciuto la utilità, è implicitamente accettato. Egli si preoccupava che rimanesse ferma la competenza delle sezioni unite della Cassazione per i conflitti di giurisdizione, ed il principio è qui affermato ed incluso.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Desidero chiarire che il significato del mio emendamento e dell’emendamento dell’onorevole Preti, che è simile al mio, è che la Corte costituzionale non dovrebbe giudicare della «legittimità», ma solo delle «illegittimità», cioè delle violazioni della legge costituzionale.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Targetti ha proposto di aggiungere al testo accettato dalla Commissione le seguenti parole:

«secondo le norme dell’articolo 128».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non possiamo votare un articolo 128 che non sappiamo che cosa sia. Certamente è l’articolo 128 che stabilisce chi può promuovere il giudizio davanti alla Corte costituzionale, ed allora, quando lo voteremo, risulteranno senz’altro, né vi è bisogno di dirlo qui, le condizioni per mettere in moto questo articolo 126. Non vi sarà bisogno di richiami o di citazione. Quanto a dire se la Corte giudica di costituzionalità od incostituzionalità, di legittima o illegittimità è sostanzialmente la stessa cosa. Nel testo dell’onorevole Tosato, se egli acconsente, si può parlare di «illegittimità» anziché di «legittimità».

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la questione è con l’onorevole Gullo, non con l’onorevole Tosato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sta bene; ma avendo il Comitato accettato la formulazione dell’onorevole Tosato, dovevo richiamarmi ad essa.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Io non ho bisogno di dire all’intuito giuridico dell’onorevole Ruini come non sia la stessa cosa.

La legge è costituzionale. Questo è il punto; la base è questa. Diventa incostituzionale quando ciò dichiara la Corte costituzionale. La Corte non giudica della costituzionalità della legge; la Corte costituzionale afferma la incostituzionalità. È un punto totalmente diverso. Mi consenta l’onorevole Ruini, non è la stessa cosa. Dicendo: «la Corte costituzionale giudica della costituzionalità delle leggi» noi attribuiamo, almeno con queste parole, alla Corte costituzionale un potere di sindacato costante. Invece, noi diciamo che la Corte costituzionale giudica della incostituzionalità. Cosa molto diversa. Almeno, io la sento così. E ritengo di non sbagliare.

PRESIDENTE. Infatti la formulazione dell’onorevole Gullo e la seguente:

«La Corte costituzionale giudica delle violazioni delle norme costituzionali delle leggi e dei provvedimenti aventi valore di legge».

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Il mio emendamento non posso dire che sia stato accolto con segni di molto favore né dai colleghi della Commissione né da altri colleghi che anzi hanno dato segni di disapprovazione. Ho chiesto, quindi, la parola per spiegare e possibilmente persuadere i colleghi che la mia proposta non era proprio una proposta stravagante.

Lo so che non si può citare l’articolo 128 finché non siamo arrivati all’articolo 128. So benissimo che l’articolo 128 può diventare articolo 129. Ma quando dico: «secondo le norme dell’articolo 128» non è che dica questo per una speciale simpatia verso l’articolo 128, ma perché è un modo di mettere nella disposizione in esame quanto l’onorevole Gullo sostiene e che corrisponde anche al mio convincimento.

Dire che la Corte costituzionale giudica della costituzionalità può far nascere il dubbio che questo sia un giudizio da farsi in genere sopra qualsiasi norma, indipendentemente da qualsiasi violazione avvenuta o presente nella norma stessa.

Quando io propongo di aggiungere: «secondo le norme dell’articolo 128», e l’Assemblea sa che questo articolo regola l’azione della Corte, dico che della costituzionalità della norma la Corte costituzionale decide soltanto quando si è di fronte ad una avvenuta o presunta violazione di norma denunciata nel modo stabilito dalla legge. Quindi non è che io tenga per la vita e per la morte al mio emendamento, ma non mi sembra un emendamento da ritenersi ingiustificato.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Io personalmente non condivido il dubbio dell’onorevole Gullo, perché non credo che questa formula implichi il pericolo che l’onorevole Gullo vede, e cioè che la Corte costituzionale di sua iniziativa eserciti il sindacato su qualsiasi leggo. Tuttavia, poiché questo dubbio è sollevato e per venire incontro a queste esigenze, credo che, anziché adottare il suggerimento dell’onorevole Targetti che implica un rinvio ad articoli successivi, si potrebbe adottare questa formula: «La Corte costituzionale giudica delle controversie sulla legittimità costituzionale delle leggi, ecc.».

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. L’onorevole Colitto ha presentato un emendamento tendente ad aggiungere la parola «violazione». Io penso che la formula dovrebbe risultare del seguente tenore:

«La Corte costituzionale giudica della costituzionalità di tutte le leggi e della violazione di esse». (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Fausto ha facoltà di esprimere il proprio parere sulla proposta fatta dall’onorevole Perassi.

GULLO FAUSTO. Questa dizione coglie un altro aspetto della questione, la sorprende, dirò così, lungo il cammino.

La dichiarazione della incostituzionalità della legge sarà il coronamento della controversia, onde, riferendosi alla controversia, non si coglie l’attività della Corte nel momento in cui arriva alla meta. Ora la Corte arriva alla meta, non nel momento in cui dichiara la costituzionalità, ma in quello in cui dichiara la incostituzionalità. Quindi, volendo senz’altro cogliere questo lato della questione bisogna dire che la Corte giudica delle violazioni, che appunto possono portare a questa dichiarazione di incostituzionalità. Quando la Corte costituzionale accerta che il ricorso sia infondato, perché la legge abbia vigore non c’è bisogno che la Corte la dichiari costituzionale. Il giudizio della Corte ha un valore in quanto afferma la incostituzionalità della norma. Ripeto: la Corte in tanto esplica il suo potere in quanto dichiarata la incostituzionalità della legge.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. A proposito di un tema così fondamentale come quello della competenza della futura Corte costituzionale, noi ci troviamo in presenza di diverse formule, le quali vorrebbero tutte esprimere nel miglior modo tecnico un concetto sostanziale, intorno al quale mi sembra tenda a formarsi nell’Assemblea una prevalenza di consensi.

A me pare, per rispondere anche alla preoccupazione avanzata dall’onorevole Gullo, che la formula dell’emendamento Tosato, a favore del quale voterò, con l’aggiunta dell’onorevole Perassi, cioè la formula per cui la Corte è chiamata a giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale della legge o degli altri atti aventi valore di legge, porta perfettamente al risultato ultimo, da più parti prospettato, di dar luogo alla dichiarazione di incostituzionalità nel caso in cui la legittimità venga meno.

Infatti, l’esigenza segnalata dall’onorevole Gullo è pienamente sodisfatta dalle successive norme del progetto di Costituzione, le quali circoscrivono la legittimazione ad agire innanzi la Corte costituzionale e determinano pertanto chi possa promuovere la controversia. Con ciò viene neutralizzato il pericolo di una Corte costituzionale, quasi concepita come istituto funzionante in permanenza di iniziativa propria. Nessuna controversia, infatti, senza domanda. Nessun giudice senza attore.

Per converso, la formula della «legittimità» offre il vantaggio, che mi permetto sottolineare all’Assemblea, di disciplinare con particolare precisione, quasi ictu oculi, la competenza della futura Corte, con l’eliminare ogni sindacato di merito non rientrante nel concetto di sindacato di legittimità, formale o sostanziale. La contrapposizione fra i termini di legittimità e di merito, già profondamente elaborata nell’ambito della giustizia amministrativa, sarà così fecondamente utilizzata nella sfera della futura giustizia legislativa.

Sotto questi profili, dato il vantaggio della formula difesa e data la possibilità di fronteggiare pienamente le preoccupazioni avanzate da qualche parte della Camera, ritengo che in questa maniera il problema possa essere tecnicamente e politicamente risolto in modo adeguato.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. A me sembra che il dubbio sollevato dall’onorevole Gullo non abbia ragione d’essere, perché egli si mette su posizioni totalmente diverse da quelle della legge.

Egli presuppone che la Corte costituzionale prenda in esame tutte le leggi emanate dal Parlamento e verifichi se sono costituzionali o meno.

GULLO FAUSTO. È il contrario!

PERSICO. Mi lasci dire, onorevole Gullo. Viceversa, la Corte costituzionale sarà stimolata ad agire tutte le volte che ci sarà un reclamo. Quindi, o accoglie il reclamo, e riconoscerà l’illegittimità della legge, o lo respinge e la legge rimane legittima.

Perciò, la formula migliore è quella dell’emendamento Tosato: «La Corte costituzionale giudica della legittimità costituzionale della legge». Non deve fare altro. La controversia sorge ai sensi e nei limiti dell’articolo 128. Se non c’è controversia, la Corte non si raduna perché manca la vocatio in ius. Quindi la formula esatta giuridicamente e tecnicamente perfetta è quella proposta: «giudica della legittimità costituzionale».

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. A me sembrava che la preoccupazione dell’onorevole Gullo fosse appunto questa: secondo la dizione dell’articolo del progetto, si avrebbe una spada di Damocle sospesa su ogni legge. Tutte le leggi vanno ad un sindacato, da nessuno richiesto, della Corte costituzionale: e ciò l’onorevole Gullo voleva sensatamente evitare.

Se questa era la preoccupazione che spiegava la innovazione non formale ma sostanziale del suo emendamento, questa è ovviata dall’emendamento Perassi, seppure ve ne fosse stato bisogno. Perché c’è un principio base della giurisdizione: nemo index sine actore, che rende superflua ogni obiezione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Ritengo che l’osservazione fatta dall’onorevole Gullo derivi dal fatto di non tenere esattamente presente il contenuto dall’articolo 126. Con questo articolo si tratta semplicemente di stabilire il principio della esistenza di un giudice in materia costituzionale; e di stabilire i casi, nei quali questo giudice è competente. Si tratta di un giudice, quindi vale per il giudice costituzionale quello che vale per tutti gli altri giudici: non è il giudice che va alla ricerca della controversia, ma la controversia viene portata al giudice; perché i giudici non sono organi autonomi; la loro attività è provocata da un atto e si tratta di definire se questo atto dovrà essere un’azione, una eccezione o un ricorso.

Va da sé che la legge costituzionale, fino a che la Corte costituzionale non si sia pronunciata su di essa in senso negativo, in seguito ad impugnativa, conserva una presunzione di costituzionalità e quindi svolge in pieno la sua efficacia.

Ora, si tratterà non di stabilire la competenza del giudice, materia dell’articolo 126, ma quale sarà il contenuto della pronunzia: e questa è tutt’altra materia. Vogliamo dare al giudice la possibilità di emettere una sentenza di annullamento o puramente dichiarativa, con quale efficacia, da quale momento? Queste sono tutte questioni, che si devono risolvere.

Mi pare che la formula da me proposta, secondo la quale il giudice costituzionale è competente soltanto a giudicare in tema di legittimità costituzionale, facendo quindi implicitamente una contrapposizione fra legittimità e merito, per escludere qualsiasi sindacato circa l’uso dei poteri discrezionali, sia precisamente quello che l’Assemblea ha ora in animo di deliberare.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi sembra che, sentite le opinioni dei colleghi, la formula che possa raccogliere il consenso di tutti possa essere la seguente: «La Corte costituzionale giudica sulle eccezioni». È differente la eccezione dalla controversia.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Quando poco fa dicevo di non vedere differenza sostanziale fra dire legittimità o illegittimità, costituzionalità o incostituzionalità, violazione o no di legge costituzionale dicevo una cosa esatta, che spero di chiarire.

Si ricorre alla Corte lamentando che una legge è incostituzionale; la Corte giudica se è costituzionale o incostituzionale; e suo compito è in sostanza di garantire la costituzionalità delle leggi. Possiamo dunque usare l’una e l’altra espressione; e non abbiamo difficoltà sostanziali a mettere illegittimità anziché legittimità, per quanto quest’ultima formulazione dell’onorevole Tosato sembrerebbe preferibile, perché si richiama più direttamente al concetto di garanzia: la Corte costituzionale giudica ed accerta la costituzionalità o legittimità costituzionale. Questa formulazione «legittimità costituzionale» anziché «costituzionalità», l’abbiamo indicata noi stessi, Perassi ed io, al collega Tosato, per superare la proposta che era sorta di inserire «escluso ogni giudizio di merito»; giusto concetto; la Corte non è giudice di merito; ma la Corte deve, ad esempio, poter valutale la finalità della legge per riconoscere se è costituzionale o no; e se vi è stata (scusatemi la espressione, e l’accostamento non preciso, ma desidero farmi intendere), qualcosa come un eccesso di potere nei riguardi della costituzionalità. La formula «legittimità costituzionale», mentre esclude il merito, consente una valutazione abbastanza elastica; e starà alla prassi ed alla giurisprudenza della Corte stabilire la giusta via.

Tornando alla proposta Gullo, il suo scopo non è tanto di mettere il negativo «illegittimità» invece del positivo «legittimità». La proposta si ispira alla preoccupazione che la Corte costituzionale abbia una funzione continuativa ed automatica, che non ha bisogno di essere eccitata, ma che deve essere esercitata d’ufficio; una funzione in qualche modo analoga a quella di registrazione che ha la Corte dei conti.

Apprezziamo tale preoccupazione; ma osserviamo all’onorevole Gullo che la formula da lui proposta non toglie la preoccupazione stessa. La Corte potrebbe avere ed esercitare la sua funzione di registrazione o d’ufficio, sia che le fosse attribuito di accertare l’illegittimità sia la legittimità. Il punto non è qui; è di stabilire chiaramente se occorre qualcosa di esterno alla Corte che ecciti e metta in movimento la sua macchina. Su tale punto non vi può essere il menomo dubbio. Basterebbe la stessa parola: «giudica» per indicare che, come in ogni altro giudizio, vi deve essere una parte che promuove il giudizio. Ma vi ha di più. Quando voteremo l’articolo 128, stabiliremo chiaramente quali sono le condizioni che occorrono perché la Corte sia investita dal giudizio. Né occorrerà, come propone l’onorevole Targetti, citare fin da ora, in anticipo, l’articolo 128; il collegamento risultava nel modo più indubbio dalla coesistenza dei due articoli. Né converrebbe, come suggerisce l’onorevole Costantini richiedere che la questione di illegittimità sia stata «eccepita»; oltre l’eccezione vi può essere il ricorso.

Vogliamo aggiungere qualcosa d’altro ad eliminare, per quanto non abbia ragione di sussistere, la preoccupazione dell’onorevole Gullo? Stabiliamo, come suggerisce l’onorevole Perassi, che la Corte giudica sulle «controversie» in tema di legittimità. Acconsentiamo per quanto, come ho abbondantemente dimostrato, non ve ne sia bisogno. Anche senza l’aggiunta non vi sarebbe dubbio.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Non sono convinto delle osservazioni dell’onorevole Ruini. La logica dice che la Corte costituzionale ha ragione di intervenire, quando da qualcuno è proposta eccezione di incostituzionalità. Stando così le cose diciamo chiaramente: «la Corte costituzionale giudica sulle eccezioni…».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma oltre alla eccezione v’è anche il ricorso!

MASTROJANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTROJANNI. A me sembra che tutti i dubbi sollevati circa l’interpretazione della prima parte dell’articolo 126, siano infondati, e che la dizione, così come è consacrata nel testo redatto dalla Commissione sia la più perfetta e la più felice.

Qual è lo scopo cui mira la Corte costituzionale? Garantire la costituzionalità delle leggi. Se qui si fosse detto: «la Corte costituzionale dichiara la costituzionalità di tutte le leggi», fondato sarebbe stato il dubbio sollevato dall’onorevole Gullo, in quanto si potrebbe intendere che la legge diventa costituzionale iuris tantum o iuris et de iure, soltanto quando avviene la ratifica da parte dal sovrano organo cui è demandata l’indagine sulla costituzionalità delle leggi. Ma, dal momento che qui si è inserita la parola «giudica», si è esplicitamente detto che la Corte costituzionale interviene solamente in veste di giudice. Si interviene in veste di giudice quando è sottoposta al giudice una controversia. Deve esserci, quindi, l’attore e il convenuto, diversamente non vi è giudizio. Ed allora, il parlare di «eccezione» in ordine alla violazione della Costituzione, è evidentemente un errore giuridico, perché, prima della eccezione vi è l’azione, e non possiamo mettere in evidenza l’eccezione tacendo dell’azione. L’azione è implicita nel significato di giudizio, e poiché la Corte costituzionale deve giudicare sulla costituzionalità, e implicitamente, quindi, della incostituzionalità, bene ha detto la Commissione per il progetto di Costituzione, quando insieme alla terminologia sul significato, sul valore, sulla natura del termine «giudice» ha inserito l’altro della costituzionalità delle leggi, che è il significato preminente che deve prevalere alla incostituzionalità, inquantoché si presume, iuris tantum, che le leggi siano costituzionali.

Quindi, a me sembra che non vi sia formula più felice, più stringata, più aderente nella sua terminologia al significato giuridico, di quella usata dalla Commissione.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Ho chiesto la parola unicamente perché vengano esaminati tutti i lati del problema. È stato detto da parte di un collega che la formula: «giudica della legittimità costituzionale delle leggi», ha per scopo di escludere qualunque sindacato sul merito legislativo, cioè sopra l’uso del potere discrezionale legislativo. Mi permetto richiamare l’attenzione dell’Assemblea sul problema, in quanto ritengo che non sia opportuno escludere, fin d’ora, ogni possibilità di un simile sindacato, e quindi forse la formula originaria del progetto: «la Corte costituzionale giudica della costituzionalità di tutte le leggi» è più opportuna, in quanto non preclude per l’avvenire la possibilità di ammettere in qualche caso un esame di merito. Esame di merito sull’esercizio di un potere discrezionale che, mi si consenta il parallelo perché ritengo sia utile, noi abbiamo ammesso nel campo della pubblica amministrazione.

Per quanto riguarda l’uso del potere discrezionale amministrativo, ho appena bisogno di richiamare l’attenzione dei colleghi sopra la giurisdizione di merito della Giunta provinciale amministrativa e del Consiglio di Stato, che consente anche di esaminare l’atto dal punto di vista della opportunità, della convenienza, e consente inoltre di riformare l’atto stesso. Mi permetto soltanto questo richiamo allo scopo di far esaminare tutti i lati del problema. È necessario che anche questo lato sia preso in considerazione, in quanto penso che se limitiamo il sindacato alla sola legittimità costituzionale, risolviamo solo in parte il problema, perché sarà molto facile ad un potere esecutivo, che abbia un certo appoggio in Parlamento, far passare come leggi costituzionali quelle leggi che temerebbe fossero sottoposte al sindacato di costituzionalità. In altri termini, quando si sapesse che una determinata legge ordinaria potesse essere impugnata per incostituzionalità, sarebbe molto facile, disponendo di una sufficiente maggioranza, proporre la procedura prevista per la revisione costituzionale, e far passare come legge costituzionale una legge ordinaria che vìoli i fondamentali diritti.

Mi fermo soltanto su questa necessità di pensare anche alla opportunità di non escludere un sindacato sul merito legislativo, altrimenti il problema che ci proponiamo viene risolto solo per metà. Propongo che si resti alla formula originaria e che si dica: «La Corte costituzionale giudica della costituzionalità di tutte le leggi». Con questa formula basta la parola «giudica» a risolvere i problemi che ha sollevato il collega comunista, da cui sono stato preceduto, poiché il giudizio presuppone che vi sia una controversia. Comunque, propongo che si rimanga alla formula originaria del progetto.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. lo volevo osservare che la questione, sorta circa il termine «costituzionalità», in fondo non mi pare tocchi un punto veramente controvertibile. Il criterio in base al quale si dà il giudizio è quello della costituzionalità, così come avviene per la legittimità. Perciò il giudizio è di costituzionalità, cioè si giudica de costitutionalitate, se potessimo usare la parola latinizzata. Colgo l’occasione per chiedere all’onorevole Commissione che sorte ha l’emendamento da me proposto questa mattina…

ROSSI PAOLO. La Commissione accetta l’emendamento Tosato.

CONDORELLI. Ma l’emendamento Tosato non include, non considera l’ipotesi della usurpazione di poteri, anzi, la esclude totalmente. In tal caso io chiedo che si voti anche sul mio emendamento, perché mi pare che la Corte costituzionale mancherebbe ad uno dei suoi scopi essenziali se non potesse intervenire contro le più gravi aggressioni alla Costituzione che sono appunto le usurpazioni di poteri.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori dei vari emendamenti se intendono mantenerli.

Onorevole Bertone, intende mantenere il suo emendamento?

BERTONE. Non insisto sulla proposta soppressiva di tutta la Sezione.

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, intende mantenere il suo emendamento?

NITTI. Mantengo la mia proposta sostitutiva dell’intera Sezione.

PRESIDENTE. Seguono gli emendamenti dell’onorevole Colitto, che non è presente.

RODI. A nome dell’onorevole Colitto ritiro gli emendamenti e aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Mastino Gesumino, mantiene l’emendamento?

MASTINO GESUMINO. Ritiro il mio emendamento e aderisco al testo dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi?

PERASSI. Aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Monticelli, l’emendamento s’intende decaduto.

Onorevole Caccuri, mantiene l’emendamento?

CACCURI. Vi rinuncio.

PRESIDENTE. Onorevole Grassi, intende mantenerlo?

GRASSI. Lo ritiro è aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, mantiene l’emendamento?

PRETI. Qui non si tratta del mio emendamento. Volevo piuttosto pregare gli onorevoli Ruini e Rossi di accogliere il nuovo testo, così come l’ha presentato l’onorevole Tosato, per la parte che riflette i conflitti di attribuzione. Perché aggiungere le parole «fra i poteri dello Stato»? Lo stesso onorevole Ruini pochi giorni fa diceva che nella Costituzione non parliamo e non vogliamo parlare di «poteri dello Stato».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma no!

PRETI. Sì, l’ha detto lei. Ed è logico! Dei singoli poteri dello Stato si poteva parlare nella legge del 1865. Tanto più che i famosi tre poteri dello Stato sono superati…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non occorrerebbe a «conflitti di attribuzioni» aggiungere «fra i poteri dello Stato»; ma poiché uno dei proponenti dell’omissione di queste ultime parole, l’onorevole Mortati, aveva proposto anche di affidare alla Corte costituzionale i conflitti di giurisdizione, l’onorevole Persico chiede che sia espressamente stabilito che la Corte costituzionale non sia competente per questi ultimi conflitti; ma è inutile dirlo, perché l’Assemblea si è pronunziata in tal senso nell’articolo sul ricorso in Cassazione; ad ogni modo, a togliere la minima ombra di dubbio, basta dir qui «conflitti d’attribuzione fra i poteri dello Stato»; che è del resto materia di cui la Corte costituzionale deve occuparsi, per la sua stessa ragione d’essere.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Benvenuti e Targetti, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Bettiol, mantiene il suo emendamento?

BETTIOL. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Buffoni?

BUFFONI. Rinunzio al mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene l’emendamento?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo Fausto, insiste nel suo emendamento?

GULLO FAUSTO. Ritiro il mio e mi associo all’emendamento Persico.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Condorelli?

CONDORELLI. Insisto.

PRESIDENTE. Dobbiamo porre in votazione anzitutto l’emendamento Nitti, sostitutivo dell’intera Sezione.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Osservo che la votazione sui quattro articoli della sezione sarebbe inutile, se è accettata la mia proposta di un articolo riassuntivo, che si riferisce alla competenza della Cassazione a sezioni unite per queste questioni.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Prima di mettere ai voti l’emendamento Nitti occorrerebbe votare il mio emendamento sulla denominazione del titolo, che mantengo, nonostante si tratti di una questione di forma.

PRESIDENTE. Desidero avvertire l’Assemblea che, conformemente a quanto è stato già fatto in precedenza, rimandiamo la questione dell’intitolazione alla fine.

MARTINO GAETANO. Sta bene.

MASTROJANNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTROJANNI. Dichiaro a nome del mio Gruppo che voteremo contro l’emendamento dell’onorevole Nitti. Avrei desiderato di poter brevemente esporre stamattina le nostre argomentazioni contrarie a quelle così autorevolmente esposte dall’illustre parlamentare onorevole Nitti; ma mi è stato risposto che solo in sede di dichiarazione di voto avrei potuto manifestare il mio pensiero.

La ragione principale è quella per la quale noi, secondo il nostro programma politico dello Stato amministrativo, abbiamo sostenuto essere caratteristica essenziale della nostra concezione la Corte costituzionale.

Invero, contrastare e contrastare efficacemente le ponderose argomentazioni dell’onorevole Nitti e dell’onorevole Bertone è cosa non lieve né facile, ma mi conforta che le argomentazioni avversarie non tanto siano state dirette verso la superfluità di questo massimo istituto costituzionale, quanto sulle impossibilità relative ad una composizione che risponda alla fiducia del popolo italiano e alle esigenze squisitamente e altamente giuridiche di questo organo supremo.

Ora, consentitemi, onorevoli colleghi, di rilevare brevemente le incongruenze e le incoerenze nelle quali sono fra ieri e oggi caduti i più illustri parlamentari che onorano questa Assemblea. Basterà che io vi ricordi, a questo proposito, quanto ieri si sostenne circa la pluralità della Corte Suprema di cassazione, allorquando si affermò che l’estendere le sedi della Corte Suprema di cassazione significava anche rendere più aderenti alle necessità giuridiche del popolo gli organi giudiziari che ne esprimono le esigenze e significava anche dar vita al diritto, che non è creato dai giuristi, ma dal popolo.

Oggi invece si opina di dover restringere gli organismi giudicanti sul più delicato settore della vita nazionale, in considerazione di una presunta incompetenza dell’organismo che si vuol creare, attribuendone invece la potestà e la competenza alle sezioni unite della Corte Suprema di cassazione.

PRESIDENTE. Onorevole Mastrojanni, vorrei pregarla di contenersi nei limiti di una dichiarazione di voto.

MASTROJANNI. Esaurisco in breve le mie considerazioni. Che cosa gli avversatori della Corte costituzionale hanno detto a sostegno del loro punto di vista? Nulla in concreto che dimostri la superfluità di questo organo supremo, nel momento stesso in cui l’Assemblea ha redatto la Costituzione della Repubblica italiana. La Carta costituzionale deve necessariamente essere tutelata e custodita. E non vi è invero chi possa tutelarla e custodirla se non quell’organo che da questa Assemblea e successivamente dal Parlamento possa essere designato a questo altissimo ufficio.

La Corte Suprema di cassazione non è la più adatta ad interpretare la Costituzione della Repubblica italiana, in quanto che essa Costituzione è un corpus giuridico e politico insieme. Logico quindi che l’organo che deve tutelare e custodire il contenuto, lo spirito e la lettera della Costituzione sia composto di giuristi e di politici.

Esempio recente è quello dell’Alta Corte di giustizia, che dovendo pronunziarsi in tema di violazione e di soppressione delle libertà individuali e costituzionali ai termini dell’articolo 2 del famoso decreto legislativo luogotenenziale del luglio 1944, giudicando gli ex Ministri, avrebbe dovuto rappresentare, nelle sue elaborate sentenze, una più squisita sensibilità politica, e dimostrare, nelle importanti sentenze, in che cosa fosse consistita la violazione delle leggi costituzionali.

Invece, se con pazienza, onorevoli colleghi, esaminerete tali sentenze, vi accorgerete che esse non sodisfano le supreme esigenze dimostrative sulle violazioni costituzionali. Ecco perché, onorevoli colleghi, è necessario che la Corte costituzionale venga formata secondo i criteri espressi negli articoli inseriti nel progetto di Costituzione e che questo organismo rappresenti ed esprima, insieme colle esigenze della dottrina giuridica, anche le esigenze della sensibilità politica, la quale non può derivare che da uomini che si sono sperimentati nell’esercizio delle attività politiche.

Poiché mi conforta l’impressione che la maggioranza di questa Camera è orientata decisamente verso l’istituzione della Corte costituzionale, non vi ha bisogno che più oltre dimostri che le argomentazioni contrarie non incrinano in modo alcuno le ragioni della creazione di questo massimo istituto e confido che la Corte costituzionale sarà ad esaudimento del programma politico dell’Uomo Qualunque – che nello Stato amministrativo ha sostenuto e difeso la necessità di quest’organo di suprema garanzia delle leggi costituzionali – approvata dall’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Nitti:

«Sostituire i quattro articoli della Sezione col seguente:

«Quando nel corso di un giudizio è sollevata questione di incostituzionalità di una norma legislativa, la decisione è rimessa alla Corte di cassazione a Sezioni unite.

«La legge determina le norme per il funzionamento della Corte».

(Non è approvato).

PRESIDENTE. Pongo ora in votazione il testo dell’articolo 126 proposto dall’onorevole Tosato e accettato dalla Commissione:

«La Corte costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale degli atti aventi forza di legge dello Stato o delle Regioni; dei conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, fra Stato e Regione o fra Regioni».

(È approvato).

Ora pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Condorelli:

«giudica dei conflitti di attribuzione e sulle usurpazioni di potere degli organi costituzionali dello Stato».

(Non è approvato).

Avverto che l’ultimo comma è rinviato su richiesta dell’onorevole Preti e di altri, accettata dalla Commissione.

L’onorevole Martino Gaetano ha presentato una proposta di articolo 126-bis del seguente tenore:

«La Corte non potrà pronunciarsi sulla validità degli atti legislativi e dei decreti, se non in relazione a quelle norme costituzionali, la cui interpretazione non giustifichi una pluralità di soluzioni, una delle quali sia stata adottata dal Parlamento o dal Governo. Essa si asterrà parimenti, nelle sue decisioni, dal pronunciarsi su questioni che implichino una valutazione dell’opportunità dei suddetti atti».

MARTINO GAETANO. Rinunzio alla mia proposta di articolo 126-bis, perché ritengo che i concetti in esso esposti trovino riscontro in quelli espressi dalla formulazione della Commissione.

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 127. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Corte è composta per metà di magistrati, per un quarto di avvocati e docenti di diritto, per un quarto di cittadini eleggibili ad ufficio politico, tutti aventi l’età di almeno quarant’anni.

«I giudici della Corte sono nominati dall’Assemblea Nazionale. Per le categorie dei magistrati, avvocati e docenti di diritto, la nomina ha luogo su designazione, in numero triplo di nomi, rispettivamente da parte delle magistrature ordinarie ed amministrative, del Consiglio Superiore forense, e dei professori ordinari di discipline giuridiche nelle Università.

«La Corte elegge il presidente tra i suoi componenti. Il presidente ed i giudici durano in carica nove anni. Sono ineleggibili i membri del Governo, delle Camere e dei Consigli regionali».

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati già svolti i seguenti emendamenti all’articolo 127:

«Sostituirlo col seguente:

«La Corte è composta per metà di magistrati e per metà di avvocati iscritti da almeno dieci anni nell’Albo dei patrocinanti in Cassazione e di docenti ordinari di diritto delle Università italiane, tutti aventi l’età almeno di quaranta anni.

«I giudici della Corte, scelti fra i magistrati, sono nominati con decreto del Capo dello Stato su designazione tripla del Consiglio Superiore della Magistratura; gli altri sono nominati dal Parlamento e dai Consigli regionali.

«Sono ineleggibili i membri incarica del Governo, delle Camere e dei Consigli regionali.

«La Corte è presieduta dal primo presidente della Cassazione.

«I giudici durano in carica nove anni e sono rieleggibili.

«Castiglia».

«Sostituirlo col seguente:

«La Corte costituzionale è composta di membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dal Consiglio Superiore della Magistratura.

«I membri della Corte costituzionale debbono appartenere alle seguenti categorie: magistrati dell’ordine giudiziario e amministrativo anche a riposo; docenti universitari di diritto; avvocati dopo 15 anni di esercizio, che con la loro nomina cessano di essere iscritti nell’albo professionale.

«La Corte elegge il presidente fra i suoi componenti.

«Il presidente e i giudici durano in carica nove anni.

«L’ufficio di presidente o giudice della Corte costituzionale è incompatibile con quello di membro del Parlamento e dei Consigli regionali e con ogni altra carica od ufficio pubblico.

«Conti, Monticelli, Leone Giovanni, Bettiol, Cassiani, Rossi Paolo, Avanzini».

«Sostituirlo col seguente:

«La Corte costituzionale è composta di 15 membri, nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dal Consiglio Superiore della Magistratura.

«I membri della Corte costituzionale debbono appartenere alle seguenti categorie: magistrati dell’ordine giudiziario e amministrativo anche a riposo; docenti universitari di diritto; avvocati dopo 15 anni di esercizio, che con la loro nomina cessano di essere inscritti nell’albo professionale.

«La Corte elegge il presidente fra i suoi componenti.

«Il presidente e i giudici durano in carica nove anni e non sono rieleggibili.

«L’ufficio di presidente o giudice della Corte costituzionale è incompatibile con quello di membro del Parlamento e Consigli regionali e con ogni altra carica od ufficio pubblico.

«Martino Gaetano».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Corte, presieduta dal primo presidente della Cassazione, è composta per metà, in uguali proporzioni, di magistrati ordinari ed amministrativi, per un quarto di avvocati e docenti di diritto, per un quarto di cittadini eleggibili ad ufficio politico, tutti aventi l’età di almeno 40 anni.

«Caccuri».

Non essendo presenti gli onorevoli presentatori, si intende che abbiano rinunziato allo svolgimento dei seguenti emendamenti:

«Sostituirlo col seguente:

«La Corte è composta di 21 membri, di cui:

11 magistrati, nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura;

5 avvocati e docenti di diritto, nominati dal Capo del potere esecutivo;

5 cittadini eleggibili ad uffici politici e designati dall’Assemblea Nazionale.

«Tutti debbono essere dell’età di almeno quaranta anni.

«I cinque avvocati e docenti di diritto saranno nominati su designazione, in numero quintuplo di nomi, del Consiglio Superiore forense e dei professori ordinari di discipline giuridiche nelle Università.

«Durano in carica 9 anni e non sono rieleggibili.

«La Corte elegge il Presidente tra i suoi componenti.

«Non possono far parte della Corte coloro che siano o siano stati membri del Governo, delle Camere e dei Consigli regionali.

«Adonnino».

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Corte è composta per un terzo di magistrati, per un terzo di avvocati e docenti di diritto, per un terzo di cittadini eleggibili ad ufficio politico, tutti aventi l’età di almeno 40 anni.

«Preti».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I giudici della Corte sono nominati dalle Camere riunite.

«Preti».

L’onorevole Mastino Gesumino ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Corte è composta per un terzo di magistrati, per un terzo di avvocati e docenti di diritto.

«Correlativamente, al secondo comma, dopo il primo periodo, alle parole: Per le categorie dei magistrati, avvocati e docenti di diritto la nomina ha luogo, sostituire le seguenti: La nomina dei magistrati, avvocati e docenti di diritto ha luogo».

Ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO GESUMINO. Il mio emendamento era unicamente diretto ad ottenere che i giudici della nuova Corte costituzionale avessero le qualità tecniche necessarie per espletare il loro compito, che ritengo (e credo che questo sia nello spirito della formula accettata dalla Commissione) sia di natura esclusivamente giuridica. Il mio emendamento era però a questo riguardo incompleto; è molto più completo quello del collega Martino Gaetano, già svolto, al quale do la mia piena adesione.

PRESIDENTE. L’onorevole Lami Starnuti, assieme agli onorevoli Carboni Angelo, Cartia, Gullo Rocco e Filippini, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I giudici della Corte sono nominati dal Parlamento».

L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Con l’emendamento proposto noi chiediamo di sopprimere quella parte del secondo comma dell’articolo 127 secondo la quale l’elezione dei giudici della Corte da parte del Parlamento dovrebbe avvenire su designazione in numero triplo di nomi da parte delle Magistrature ordinaria e amministrativa, del Consiglio superiore forense e dei professori ordinari di discipline giuridiche nelle Università.

Questa formula – od altre equivalenti – non ci sembra accettabile.

Se il Parlamento deve necessariamente scegliere i giudici della Corte costituzionale su una rosa di nomi offerta da organi o da corpi estranei al Parlamento medesimo, è evidente che sostanzialmente la nomina non è fatta dal Parlamento, ma dagli organi o dai corpi che propongono.

Ora, a noi pare invece che debba il Parlamento eleggere i giudici non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, debba cioè il Parlamento avere la piena libertà di scegliere esso con criteri suoi le persone che riterrà più adatte a ricoprire l’alta carica e non essere costretto puramente e semplicemente a convalidare la designazione che venga da altri corpi.

Questo è il significato del nostro emendamento sul quale insistiamo e che sottoponiamo all’attenzione e ai voti dell’Assemblea. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, alle parole: dall’Assemblea Nazionale, sostituire: dalle Camere legislative».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Merlin Umberto ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Fa parte di diritto della Corte costituzionale, e ne è il presidente, il primo presidente della Corte di cassazione. I giudici durano in carica nove anni. Sono ineleggibili i membri del Governo, delle Camere, e dei Consigli regionali».

Non essendo l’onorevole Merlin Umberto presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Caccuri, già svolto:

«All’ultimo comma, sopprimere le parole: la Corte elegge il presidente fra i suoi componenti».

L’onorevole Gullo Fausto ha presentato i seguenti emendamenti:

«Nel primo comma, sostituire alla parola: metà, la parola: quarto (di magistrati).

«Sostituire alla parola: quarto, la parola: metà (di cittadini)».

«Nel secondo comma, dopo le parole: Assemblea Nazionale, aggiungere: all’inizio di ciascuna legislatura».

«Sostituire la parola: giudici, con l’altra: componenti».

«Sostituire le parole: Assemblea Nazionale, con: Parlamento».

«Sopprimere la parte dell’articolo dalle parole: per le categorie, alla fine».

«Al terzo comma, sostituire alla parola: giudici, quella: componenti».

«Sostituire alle parole: nove anni, le altre: per il periodo di tempo stabilito per la legislatura».

Ha facoltà di svolgerli.

GULLO FAUSTO. Gli emendamenti da me proposti sono i seguenti: dove è detto: «La Corte è composta per metà di magistrati» io proporrei che si dicesse: «per un quarto di magistrati, per un quarto di avvocati e docenti di diritto». La seconda modificazione riguarda l’ultima parte e suona così: «per una metà di cittadini eleggibili ad ufficio politico, tutti aventi l’età di almeno quaranta anni».

Indubbiamente la Corte costituzionale è un organo politico. Su questo credo che siamo tutti d’accordo. E tale deve restare anche nei riguardi della sua composizione. Evidentemente componendola per metà di magistrati (qui non si fa una questione di stima o disistima verso un organo dello Stato) noi creiamo le premesse perché questo organo si intoni ad una mentalità che non è quella che noi vogliamo nel momento in cui affermiamo che la Corte costituzionale è e vuole essere un organo eminentemente politico.

L’esame della costituzionalità della legge, così come deve essere fatto dalla Corte costituzionale, indipendentemente cioè dai riflessi che la questione della costituzionalità possa avere in un rapporto privato, non può non essere un esame di natura prevalentemente politica e non solamente di natura giurisdizionale. L’ho già accennato nell’intervento che feci nella discussione generale su questa parte della Costituzione. La legge non è qualche cosa di statico e di fisso; la legge ha una vita, un dinamismo e, specialmente dal punto di vista politico, non si può né si deve prescindere da questo contenuto dinamico della legge. Ed è appunto la sensibilità politica che può cogliere questo aspetto della legge.

Diceva giustamente, l’onorevole Bozzi, nel suo intervento nella discussione generale di questa parte della Costituzione, che la Magistratura è, diremo così, congenitamente conservatrice. Questo si spiega; non c’è da fare ingiuria al corpo della Magistratura dicendo che è congenitamente conservatrice. È la natura propria della funzione della Magistratura che determina ciò.

Ora, che questa tendenza sia prevalente nella Corte costituzionale, che noi affermiamo essere un organismo politico, mi pare pericoloso.

Ecco perché io proporrei che invece che per metà, i magistrati concorressero alla formazione della Corte costituzionale per un quarto, anche perché non è escluso che qualche altro componente della Corte possa essere scelto anch’esso fra i magistrati. Io penso, del resto, che quando si tratta di organi così alti dello Stato la fissazione delle categorie sia molto discutibile dal punto di vista dell’opportunità. Ognuno vede come sarebbe strano, per esempio, che si dicesse che il Presidente della Repubblica debba essere scelto tra determinate categorie; sia per l’altezza dell’eletto, sia per l’altezza dell’organo che elegge, è bene non prefissare nessuna categoria. Anche, quindi, nei rapporti della Corte costituzionale, appunto perché eletta dal Parlamento, ritengo che sarebbe forse più opportuno non prefissare nessuna categoria. Ma poiché la maggioranza è di contrario avviso, io penso che si debba lasciare il più largo margine all’ultima categoria, a quella cioè che riguarda i cittadini eleggibili ad ufficio politico. Non è raro il caso di persone giustamente alte nella pubblica estimazione, perfettamente competenti e idonee, le quali tuttavia non rientrano in nessuna delle categorie predisposte. Ora io penso che il Parlamento, nel suo senso di responsabilità, saprà ben scegliere tutti i componenti della Corte, ed è bene, quindi, che noi allarghiamo il campo di scelta.

Proporrei pertanto di cambiare la metà in un quarto, dove si parla dei magistrati, e un quarto in metà, dove si parla di cittadini eleggibili.

Poi, preferirei che costantemente nella legge al posto della parola «giudici» si sostituisse sempre la parola «componenti», anche perché in altre parti del testo i membri della Corte costituzionale vengono chiamati così.

Proporrei ancóra la soppressione del periodo che va dalle parole: «Per le categorie» fino alla parola «università»; perché con esso non si fa se non aggravare i difetti di cui ho parlato poc’anzi. Ed anche per un’altra ragione: non è proprio il miglior regalo che prepariamo ai due che saranno esclusi, dato che necessariamente uno solo sarà il nominato. Ma, ripeto, questo circoscrivere il campo di scelta all’organo che deve eleggere, significa un po’ diminuire l’organo stesso. Fidiamo nel senso di responsabilità, nella coscienza di questo organo nel momento in cui designa i componenti della Corte costituzionale.

Con l’ultimo emendamento che riguarda l’ultima parte dell’articolo 127, propongo che la durata della Corte non sia fissata in nove anni. Non riesco a vedere il fondamento razionale di questo termine. Non vedo perché si sia detto nove e non undici o sette. Eppure è necessario che una ragione ci sia. A me parrebbe che sì farebbe meglio a stabilire una durata della Corte costituzionale pari alla durata della legislatura. Vedo anche io che qui si va incontro ad un ostacolo, ed è quello che la legislatura della Camera non ha la stessa durata della legislatura del Senato.

Poiché penso ad ogni modo che fissare la durata della Corte costituzionale ad una legislatura sia necessario, appunto perché bisogna avere come premessa la politicità di questo organo, penso pure che, se l’Assemblea non crede di ritornare sulla decisione, che mi pare degna di riesame, per stabilire la parità di durata fra la legislatura della Camera e quella del Senato, sia opportuno stabilire la durata della Corte costituzionale avendo presente quella della legislatura della Camera dei deputati.

Fissando la durata della Corte costituzionale a 9 anni potrebbe accadere che la seconda Camera, eletta dopo quella che ha nominato i componenti della Corte costituzionale, risulti politicamente intonata in modo diverso dalla Camera precedente. Noi così faciliteremmo la via all’insorgere di eventuali conflitti costituzionali che sono sempre da evitare. Che una legge predisponga i mezzi per sanare il conflitto è cosa che si spiega; ma che la legge faciliti l’insorgere dei conflitti è cosa che non si spiega più.

È bene che la Corte costituzionale ed il Parlamento che la elegge si muovano sullo stesso piano politico, appunto per prevenire l’eventuale insorgere di conflitti fra il Parlamento e la Corte costituzionale. Io penserei senz’altro che il Parlamento dovesse eleggere all’inizio di ciascuna legislatura la Corte costituzionale; e penserei che la Corte costituzionale dovesse durare appunto quanto dura la legislatura. Questo è il contenuto dei tre emendamenti che ho presentato in merito all’articolo 127.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato il seguente emendamento:

«La Corte costituzionale è costituita dalla Corte dei conti, a sezioni riunite e integrate da dodici membri eletti dal Parlamento».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Richiamo l’attenzione degli onorevoli colleghi sopra la natura dell’organo che stiamo per costituire. In altri termini, ci si domanda se la Corte costituzionale debba essere un organo giurisdizionale oppure un organo di natura diversa. Condivido il parere espresso dai due oratori che mi hanno preceduto, secondo il quale occorrerebbe che, nel formare questo organo, si tenesse conto della necessità di una particolare sensibilità politica. In altri termini, siccome dobbiamo provvedere ad istituire un controllo sulla legislazione, ad istituire quasi una Corte la quale perfezioni l’attività che finora era svolta dal Parlamento, non è male che tale organo si consideri quasi emanazione del Parlamento.,

Già è stata fatta da un oratore che mi ha preceduto l’obiezione, secondo cui in questa maniera si andrebbe contro il principio della divisione dei poteri. Non penso si possa sostenere che in tal modo si deroga al principio della divisione dei poteri; anzi, penso che, se noi facciamo in maniera che la Corte costituzionale possa ritenersi emanazione degli organi legislativi, noi rispettiamo il principio della divisione dei poteri assai più di quanto non faremmo se invece attribuissimo ad un organo giurisdizionale il potere di intervenire sulle legislazioni, fino al punto di dichiarare la inefficacia di una legge o di annullarla addirittura.

Per tale considerazione, cercando di andare incontro alle diverse esigenze secondo cui occorre da una parte che ci sia personale specializzato e dall’altra personale che abbia una specifica sensibilità politica, propongo che ci si serva da un lato della Corte dei conti e dall’altro di membri eletti dal Parlamento.

Quanto alla Corte dei conti, faccio presente, come ho già accennato stamane, che in altri ordinamenti, per esempio in quello belga, la Corte dei conti è considerata come emanazione del potere legislativo, è quasi un completamento degli organi legislativi. Ed anche da noi, in fondo, questo concetto non può ritenersi assolutamente estraneo. Pensiamo all’attività che la Corte dei conti ha svolto nel sindacare la legittimità dei vari atti di governo, compresi gli atti aventi forza di legge; alludo ai decreti legge e ai decreti legislativi. Molte volte la Corte dei conti ha rifiutato di registrare questi decreti; ed in fondo tale rifiuto di registrazione o, altrimenti, la registrazione con riserva, cos’altro era, se non un sindacato sopra la conformità dei decreti al nostro sistema legislativo?

Dobbiamo tener conto, d’altra parte, che sarebbe più economico, oltre che più conveniente, servirsi di un organo che esiste e che ha personale specializzato. Non è facile istituire un nuovo organo, soprattutto un organo che deve avere la importanza della Corte costituzionale. Sarebbe meglio servirsi anche qui di qualche istituzione già funzionante e che ha dato buoni risultati, integrandola opportunamente.

Ma, quanto alla opportunità di fare in modo che il controllo sulla costituzionalità delle leggi non venga esercitata da un organo giurisdizionale, ma da un organo che abbia natura diversa e possibilmente possa considerarsi quasi di natura legislativa, penso che molti dei colleghi possano essere d’accordo.

Il problema si è presentato in altro campo, allorché si trattava di stabilire di quale natura fosse l’attività esplicata nel controllare la legittimità degli atti amministrativi. In un primo tempo si negò che fosse attività giurisdizionale; la si chiamò amministrazione contenziosa; successivamente si giunse a concludere che doveva essere considerata di natura giurisdizionale.

Per quanto riguarda la giurisdizione legislativa, che abbiamo istituita, mi pare che dovremmo arrivare alla stessa conclusione: l’attività che viene svolta è senza dubbio giurisdizionale. Resta da stabilire a quale organo attribuirla. Quest’organo, secondo alcuni colleghi, dovrebbe avere natura giurisdizionale. Ma in questo caso finirebbe necessariamente per inserirsi nel potere giudiziario; ed allora davvero che noi saremmo arrivati a porre la Magistratura in posizione di assoluta supremazia su tutti i poteri dello Stato!

Per tali motivi, pur non sapendo quale favore possa trovare la mia proposta presso l’Assemblea, richiamo l’attenzione dei colleghi sulla opportunità di stabilire bene che non intendiamo porre un potere al di sopra di tutti i poteri, ma ci riferiamo, nel vero senso dell’espressione, alla divisione dei poteri, la quale implica anche bilancio fra i poteri. Non è soltanto divisione dei poteri quella che impedisce ad un potere di ingerirsi nell’esercizio dell’attività esercitata da un organo diverso: divisione dei poteri che impedisce, per esempio, alla giurisdizione, normalmente, di ingerirsi nella legislazione. Ma anche quella che, quando si tratta di sindacare la legislazione, non affidi ad un organo di natura giurisdizionale tale funzione; altrimenti un organo giurisdizionale finirebbe per esercitare attività legislativa; e il principio della divisione dei poteri sarebbe violato.

Come dicevo, il principio della divisione dei poteri implica anche bilancio fra i poteri ed equilibrio fra di essi. Bisogna cioè che un potere possa quasi delimitare la competenza dell’altro, senza arrivare ad una preminenza dell’uno sull’altro. Questo otterremo se noi non porremo un organo di natura giurisdizionale al disopra di tutti i poteri, ma se invece semplicemente concepiremo questa attività come una giurisdizione legislativa, attribuita ad un organo che dobbiamo considerare emanazione del potere legislativo, e siccome il potere legislativo è attribuito ad Assemblee elettive, le quali derivano dall’elezione popolare, esso ci potrà dare anche maggior garanzia di rispettare le tendenze politiche del Paese.

Quanto alla durata di quest’organo, ritengo che i nove anni stabiliti dal testo della Commissione dei Settantacinque, per quanto riguarda la durata dei membri elettivi, siano un termine giusto. È necessaria una certa continuità, per garantire la stessa stabilità della Costituzione da noi approvata. Soprattutto intendiamo che in questo modo si utilizzi un’istituzione già esistente, con personale già specializzato, che sarebbe in grado di fornire un ottimo aiuto all’attività del nuovo organo, che si troverà di fronte al problema gravissimo di affrontare l’esercizio di una giurisdizione priva di precedenti nel nostro sistema.

Mi permetto, pertanto, di sottoporre ai colleghi l’opportunità di concepire la Corte costituzionale come emanazione del potere legislativo e di attribuire le sue funzioni alle sezioni unite della Corte dei conti, costituita da undici membri più dodici membri eletti, senza alcuna specializzazione di categoria, dal Parlamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«La Corte costituzionale si compone di 18 membri ordinari e di altrettanti supplenti nominati dal Presidente della Repubblica e scelti fra le seguenti categorie: magistrati dell’ordine giudiziario e amministrativo, anche a riposo, professori ordinari di diritto, anche a riposo, avvocati con 15 anni di esercizio, aventi l’età almeno di 40 anni.

«La scelta di un terzo di tali membri avverrà su terne formate, per la categoria dei magistrati ordinari e speciali, dal Consiglio Superiore della Magistratura e rispettivamente dai magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei conti; per un altro terzo su terne predisposte dal Consiglio Superiore forense e dai professori ordinari di discipline giuridiche delle università.

«Il Presidente e i giudici durano in carica 9 anni e sono rinnovabili. L’ufficio di componente della Corte costituzionale è incompatibile con quella di membro del Parlamento e dei Consigli regionali e con l’esercizio di attività professionali.

«Per i giudizi relativi alle accuse contro il Capo dello Stato ed i Ministri, si aggiungono ai membri ordinari 16 altri cittadini eleggibili ad ufficio politico, scelti dal popolo con elezioni indirette, secondo le modalità che saranno stabilite dalla legge».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Per quanto concerne l’ultimo punto, che riguarda l’accusa dei Ministri, rinunzio a svolgerlo in questo momento, perché credo opportuno mantenere la sospensiva che si era decisa a questo proposito.

Farò una breve illustrazione della prima parte, che riguarda le funzioni ordinarie dalla Corte costituzionale. La mia proposta è in netta antitesi con quella testé illustrata dall’onorevole Fausto Gullo, ed è in antitesi, perché sono in antitesi i presupposti dai quali partiamo io e l’onorevole Gullo. Egli parte dal presupposto che questo sia un organo di natura politica e trae da ciò conseguenze molto logiche: afferma che la scelta debba essere affidata discrezionalmente al Parlamento, senza vincoli di designazione; afferma inoltre che la durata di questo organo debba coincidere con la durata della legislatura. Ma è da chiedersi se queste conseguenze logiche delle sue premesse, siano compatibili con l’articolo 126 che noi abbiamo votato poco fa. Nell’articolo 126, quale risulta approvato dall’Assemblea, si è posto un principio fondamentale che deve guidare le ulteriori nostre votazioni, si è stabilito, cioè, che questo organo ha funzioni strettamente giurisdizionali, limitate al controllo della costituzionalità delle leggi, costituzionalità anche, materiale, ma non estensibili ad apprezzamenti che implichino l’esercizio di poteri discrezionali. La formula adoperata è sufficientemente chiara e porta ad escludere ogni valutazione discrezionale da parte dell’organo del controllo di costituzionalità, restringendone il compito all’accertamento della corrispondenza della legge sottoposta a sindacato alle forme rigide, sicché adesso si deve richiedere il possesso di una preparazione e di una forma mentale idonea a tale compito.

Ed allora, se questo è il tenore dell’articolo formulato, il problema che si pone, quando si deve decidere della composizione dell’organo, è questo: quale è il modo migliore per formare un organo idoneo all’esercizio di un’attività di carattere giurisdizionale.

In base a queste premesse che, ripeto, si deducono da quanto abbiamo già approvato, sembra debba argomentarsi che l’organo più idoneo alla scelta dei membri della Corte sia il Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica, quale lo abbiamo creato, è un organo neutro, imparziale, sopra le parti, che ha la funzione di equilibratore dei poteri, di moderatore, di tutore della Costituzione. Ed è appunto questa sua posizione costituzionale che lo rende, a quanto sembra, il meglio idoneo a valutare la convenienza della scelta di un organo che deve essere appunto, per la natura delle sue funzioni, imparziale, e tale da fornire la garanzia di un’obiettiva interpretazione della legge.

Ed allora, in base a questo presupposto, proposero di affidare la scelta di tutti i membri al Presidente della Repubblica. Ciò trova un precedente nella Costituzione nordamericana, come, ricordava questa mattina l’onorevole Nitti. Invece estraneo ad ogni tradizione è la proposta dell’onorevole Gullo. O meglio, un precedente se ne può trovare nella Costituzione cecoslovacca; la quale però imposta il problema del controllo della legge su una base completamente diversa da quanto noi abbiamo fatto. È d’altra parte da rilevare come l’influenza del Parlamento si esercita indirettamente, attraverso la controfirma che al decreto presidenziale di nomina deve essere opposta da parte del primo Ministro, che nel regime parlamentare, come quello che andiamo costruendo, è espressione delle forze politiche dominanti. Quindi, con il sistema proposto si mantiene il necessario contatto con la realtà politica, senza però attribuire direttamente la nomina al Parlamento, meno idonea a compierla, e senza togliere l’intervento personale, del Capo dello Stato, il quale può esercitare nella scelta una benefica influenza facendo valere quelle doti di prestigio e esplicando quell’azione equilibratrice che è a lui propria.

A chi poi opponesse, muovendo da un punto di vista opposto a quello inspirante l’obiezione di cui ho finora parlato, che l’attribuzione al Capo dello Stato della nomina di tutti i membri della Corte, rende eccessiva, in un regime parlamentare, l’influenza del partito di maggioranza da cui è formato il Governo, che assume la responsabilità dell’atto di nomina, si potrebbe rispondere, oltre che con l’osservazione già enunciata, che fa riferimento all’influenza ed al prestigio personale del Capo dello Stato, con il rilievo che nella proposta da me formulata, la scelta debba avvenire non solo fra appartenenti a certe categorie, ma anche entro terne di nomi predisposte dai corpi dei magistrati ordinari o speciali, dai Consigli forensi, dai professori universitari. Ciò evidentemente tempera la possibilità di scelte che cadono in persone sfornite di attitudini tecniche e qualificate solo politicamente. Con queste illustrazioni, confido che il mio emendamento possa esser preso in benevola considerazione.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PERASSI. Il collega Mortati, ha esattamente impostato il problema al quale dobbiamo dare una soluzione con l’articolo che stiamo approvando. L’impostazione è questa: si tratta di una funzione giurisdizionale, cioè di accertare la conformità alla Costituzione delle norme giuridiche emanate con leggi o atti aventi valore di legge. Su questo punto tutta l’Assemblea è concorde. Il problema che si pone è precisamente quello della ricerca dell’organo meglio adatto a compiere questa specifica e particolare funzione giurisdizionale. Qui ci troviamo di fronte ad una serie di proposte e di formule. Io debbo limitarmi rapidissimamente a fare qualche cenno di queste varie formule, e credo che si possa cominciare (per dare un po’ di ordine logico a questa rassegna) dalle proposte che divergono più profondamente dal testo inizialmente proposto dalla Commissione dei Settantacinque. Quale è questa proposta più divergente? Allo stato attuale delle cose, mi pare che sia quella dell’onorevole Mortati, il quale propone che la nomina dei componenti la Corte costituzionale sia fatta dal Capo dello Stato e sia fatta sulla base di designazioni interne, le quali sarebbero formate da tre gruppi: magistrati, avvocati e professori. L’onorevole Mortati ha dato spiegazione di questo suo modo di vedere; la Commissione però non ritiene che sia il caso di allontanarsi così profondamente da quella che è stata la soluzione adottata dalla Commissione dei Settantacinque. Mi sembra che attribuire esclusivamente al Capo dello Stato questa competenza non sia conveniente; viceversa della proposta dell’onorevole Mortati riteniamo questo: che, in parte, è opportuno che anche il Capo dello Stato concorra nella formazione di questo organo giurisdizionale.

In ordine di divergenza dal punto iniziale, mi pare che come seconda si possa indicare la proposta singolare, interessante da certi punti di vista, ma un po’ personale, dell’onorevole Codacci Pisanelli, il quale, partendo un po’ dal concetto di voler utilizzare qualche organo esistente – sia pure integrandolo – ha creduto che, una volta abbandonata l’idea di attribuire questa funzione alla Corte di cassazione a sezioni unite, fosse il caso di far ricorso alle sezioni unite della Corte dei conti, integrate da altri membri eletti dal Parlamento.

È una soluzione, la quale può avere anche qualche lato interessante; ma la Commissione non ritiene di poterla accettare. L’onorevole Codacci Pisanelli, per giustificare questa proposta, ha ricordato – ed è esatto – che la Corte dei conti già attualmente compie un sindacato di legittimità su alcuni degli atti che dovrebbero andare sottoposti al sindacato della Corte costituzionale, e cioè, in particolare, i decreti legislativi.

È verissimo, senonché mi pare che questa sia appunto una ragione per escludere la soluzione da lui proposta, perché potrebbe avvenire questo caso singolare: che la Corte dei conti, in sede di riscontro preventivo su un decreto legislativo, abbia ritenuto che esso non presenti nulla di incostituzionale. Viceversa, poi, pubblicato questo decreto, sorga la contestazione e si debba ricorrere al giudizio di legittimità di questo organo che stiamo costruendo.

Anche per questa ragione, quindi, la Commissione non ritiene di poter aderire a questa proposta.

Terza soluzione, la quale si avvicina allo schema proposto dalla Commissione, ma ne diverge alquanto, è la proposta degli onorevoli Lami Starnuti e Preti, i quali vorrebbero che tutta la Corte costituzionale fosse eletta dal Parlamento. La proposta di questi colleghi si distingue in due aspetti: da un lato che tutti i membri della Corte siano eletti dal Parlamento e dall’altro, che non vi sia – come era nel progetto iniziale – la disposizione secondo la quale il Parlamento, nel fare questa elezione, debba scegliere in certe categorie e sulla base di certe designazioni.

Ora, la Commissione in parte accoglie quella che è l’idea ispiratrice delle proposte degli onorevoli Lami Starnuti e Preti, nel senso che ritiene che non sia il caso di limitare eccessivamente la libertà di scelta da parte del Parlamento. La Commissione è di avviso che convenga mantenere il criterio delle categorie; ma ritiene che non sia il caso di conservare la proposta primitiva, che vi siano cioè, anche delle designazioni, che limiterebbero eccessivamente la scelta.

Giunti a questo punto, vi è la proposta dell’onorevole Fausto Gullo che, in parte, si ricollega a quella dell’onorevole Lami Starnuti, nel senso cioè di togliere le restrizioni: e su ciò ho già risposto. L’onorevole Gullo propone poi che siano anche modificate le proporzioni delle categorie e, precisamente, egli propone di modificare questo dosaggio nel senso di stabilire che un quarto soltanto dei membri sia scelto fra i magistrati, un quarto fra gli avvocati e l’altra metà fra i cittadini eleggibili.

La Commissione, dopo avere esaminato le diverse proposte, è venuta nella conclusione che convenga adottare il sistema per cui la nomina d’un organo, investito di una funzione delicata nel meccanismo costituzionale come è quella della Corte costituzionale, non sia attribuito ad un solo ordine o ad una sola classe, ma vi partecipino ordini diversi: il Capo dello Stato, il Parlamento e il Consiglio Superiore della Magistratura.

In questo senso è formulato un emendamento che reca le firme degli onorevoli Conti, Monticelli, Leone Giovanni, Bettiol, Rossi Paolo ed Avanzini. Esso reca: «La Corte costituzionale è composta di membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dal Consiglio Superiore della Magistratura».

Tre dunque sarebbero, secondo questa proposta, gli organi che partecipano alla formazione della Corte costituzionale. Nel testo originario dei colleghi di cui ho fatto il nome non si indicava il numero dei componenti la Corte. Ma l’onorevole Nitti, questa mattina, nel suo intervento, ha messo in rilievo questa lacuna. La quale, a dir vero, poteva anche giustificarsi nel senso che si intendesse con ciò che tale numero sarebbe stato determinato dalla legge. Ma siccome egli ha temuto, in certo senso, delle sorprese, la Commissione è venuta nella determinazione di ovviare all’inconveniente, fissando il numero di quindici membri della Corte.

La Commissione ritiene che si tratti di un numero ragionevole e, pertanto, propone di inserire nel testo dell’emendamento Conti ed altri questa precisazione.

Il secondo comma di questo emendamento mantiene il principio delle categorie, ma abbandona quello delle designazioni, che condurrebbe ad una restrizione eccessiva. Secondo tale comma, dunque, i membri della Corte costituzionale, da chiunque, s’intende, siano eletti, debbono essere scelti fra le seguenti categorie: magistrati dell’ordine giudiziario ed amministrativo anche a riposo, professori ordinari di materie giuridiche delle Università, avvocati dopo venti anni di esercizio.

A questo punto si metterebbe una formula che abbiamo già adottata per il Consiglio Superiore della Magistratura, cioè a dire che chi è nominato membro della Corte, durante la carica cessa, se è iscritto, di far parte degli albi professionali forensi.

Dopo questa parte, che costituisce il punto centrale dell’articolo che stiamo esaminando, l’emendamento dice:

«La Corte elegge il Presidente fra i suoi componenti». E su questo punto non ci sono divergenze. «Il Presidente e i giudici durano in carica…» Quanto tempo? Nel progetto iniziale della Commissione si era proposto nove anni. Qui abbiamo delle suggestioni di varia natura. Da un lato ve n’è una radicale, più divergente, ed è quella dell’onorevole Gullo Fausto, il quale propone che non si fissi un termine determinato, ma si adotti come determinazione della durata della carica il criterio della legislatura. L’elezione, la nomina dei componenti la Corte, dovrebbe essere fatta all’inizio di ogni legislatura, e quindi durare per quella legislatura.

La Commissione non crede di poter aderire a questo punto di vista, in quanto fare riferimento alla legislatura marcherebbe in una forma che non mi sembra conveniente un eccessivo legame fra la Corte costituzionale e il Parlamento.

Conviene, invece, che la Corte costituzionale assuma la figura di un organo giurisdizionale, che pur essendo in parte eletto dal Parlamento, tuttavia per la sua funzione si pone come un organo indipendente. Quindi la Commissione non aderisce a questa idea.

Si è detto, d’altra parte, che nove anni sono forse un termine troppo lungo. E a questo riguardo la Commissione aderisce alla proposta di portarli a sette.

Infine vi è l’ultimo comma, che non ha grande interesse; esso dice:

«L’ufficio di Presidente o di membro – o giudice – della Corte costituzionale è incompatibile con quello di membro del Parlamento o di un Consiglio regionale, e con ogni altra carica od ufficio indicati dalla legge».

Questo è il testo che dopo matura riflessione la Commissione ha ritenuto di poter presentare al voto dell’Assemblea, e su questo testo essa spera che l’Assemblea potrà concordare.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Signor Presidente l’onorevole Perassi, pure così accurato, ha dimenticato di menzionare un mio emendamento, che io penso meritava di essere preso per lo meno in esame, se non in considerazione. Il mio emendamento, al quale ha aderito quest’oggi l’onorevole Mastino Gesumino, è analogo a quello accettato dalla Commissione, con due differenze:

1°) che è fissato il numero dei giudici.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Lo abbiamo accettato.

MARTINO GAETANO. Il numero fissato nel mio emendamento è ora introdotto nell’emendamento della Commissione, ed è lo stesso numero: 15;

2°) che c’è al quarto comma questa espressione:

«Il Presidente e i giudici durano in carica nove anni e non sono rieleggibili».

Ora, io non posso in questa sede ripetere quello che ho già detto nel mio discorso sulla Corte costituzionale, e immagino che l’onorevole Perassi sia informato delle ragioni per le quali io sostenni che la non rieleggibilità dei giudici della Corte rappresenti una garanzia, alla quale noi non possiamo in nessun modo rinunziare.

Quindi sarei grato all’onorevole Perassi se volesse a questo proposito dire una parola. Penso che sia opportuno non aderire al concetto della riduzione a sette anni, e che si sancisca il principio della non rieleggibilità per evitare il conformismo di questo organo, che deve essere giurisdizionale, rispetto al Parlamento, cioè all’organo politico di cui esso è, in pratica, l’emanazione.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Perassi di esprimere il parere della Commissione in merito.

PERASSI. Domando scusa all’onorevole Martino della mia dimenticanza involontaria. Io ho ascoltato il suo discorso durante la discussione generale e l’ho poi letto interamente con molto interesse. Rinnovo perciò, tanto più, le scuse per questa mia dimenticanza formale. Dico formale, perché sostanzialmente il testo elaborato nel seno della Commissione, in fondo, ha ripreso varie proposte contenute nell’emendamento dell’onorevole Martino.

Il numero dei membri della Corte sul quale noi ci siamo fissati è quello che lo stesso onorevole Martino ha suggerito.

La divergenza rimasta fra il suo testo e quello fatto proprio dalla Commissione si riduce a due punti il primo, riguarda la frase «e non sono rieleggibili». La Commissione l’accetta. Per quanto concerne poi la durata, i nove anni, che l’onorevole Martino ha ripreso dal testo primitivo della Commissione, noi riteniamo invece che rappresentano un termine eccessivamente lungo. Quindi la Commissione, come ho detto prima, riduce da nove a sette anni la durata della nomina e accetta che si aggiunga che i giudici non sono rieleggibili.

AMBROSINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. La mia dichiarazione di voto è questa: fra quelli proposti voterò l’emendamento che più riafferma, in modo tassativo, il carattere giurisdizionale della Corte costituzionale.

Se noi abbiamo accolto il sistema della Costituzione rigida, non possiamo ammettere nessun metodo che si allontani da questo principio fondamentale. Infatti Costituzione rigida significa avere delle norme di carattere costituzionale che non possono essere cambiate con norme della legge ordinaria. Ora, se ai membri della Corte costituzionale, comunque eletti, si attribuisse un compito politico con la possibilità di adeguarsi a quanto il Parlamento ha fatto con la votazione di norme di carattere ordinario, eventualmente contrarie a quelle di carattere costituzionale, allora si snaturerebbe l’essenza stessa dell’istituto. Sarebbe assolutamente inutile istituire una Corte costituzionale. La Corte costituzionale non deve essere politica, giacché deve giudicare, pronunziare il diritto, vedere cioè se la norma della legge ordinaria corrisponde alla norma di carattere costituzionale. Nel caso che non corrisponda, deve, con criterio giuridico, tirarne le conseguenze.

Naturalmente ciò non viola per nulla il diritto dell’organo legislativo supremo, il quale, quando ha da cambiare, adeguandosi all’evoluzione della coscienza popolare e alle esigenze dei nuovi tempi, quando ha da cambiare le norme costituzionali, deve seguire la procedura speciale stabilita dalla Costituzione.

Se questo sistema non si seguisse, si verrebbe a sabotare tutto l’ordinamento costituzionale già approvato sulla base di un sistema di Costituzione rigida.

Per questi motivi, se verrà posto in votazione l’emendamento Mortati, io voterò a favore.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori degli emendamenti se li mantengono.

L’onorevole Castiglia non è presente e pertanto il suo emendamento si intende decaduto.

L’emendamento degli onorevoli Bettiol, Cassiani e Rossi Paolo è quello accettato dalla Commissione.

L’onorevole Adonnino non è presente e per tanto il suo emendamento si intende decaduto.

L’onorevole Martino Gaetano insiste nel suo emendamento?

MARTINO GAETANO. Insisto sulla parte che concerne la durata della carica. Per il resto il mio emendamento è identico a quello della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Caccuri non è presente e pertanto i suoi emendamenti si intendono decaduti.

L’onorevole Preti non è presente e i suoi due emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Mastino Gesumino, lei ha aderito all’emendamento dell’onorevole Martino Gaetano?

MASTINO GESUMINO. Aderisco con una riserva. Insisto sui nove anni.

PRESIDENTE. Onorevole Lami Starnuti, mantiene il suo emendamento?

LAMI STARNUTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Merlin Umberto non è presente, e pertanto il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Gullo, mantiene i suoi emendamenti?

GULLO FAUSTO. Li mantengo tutti, perché costituiscono un tutto organico.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Lo mantengo per quanto riguarda il punto del principio della nomina da parte del Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

CODACCI PISANELLI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli, non accettato dalla Commissione:

«La Corte costituzionale è costituita dalla. Corte dei conti a sezioni riunite e integrata da dodici membri eletti dal Parlamento».

Comunico che è stata chiesta la verifica del numero legale dall’onorevole Laconi. ed altri colleghi.

Onorevole Laconi, insiste?

LACONI. Ritiro per il momento la richiesta.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. In ordine alla votazione, a me non pare che per una questione così complessa, in cui si articolano tante proposizioni, si possa far luogo alla votazione complessiva di tutto un emendamento. Noi abbiamo una serie di emendamenti che concorrono a formare questa disposizione, che si riferiscono ad elementi diversi. Abbiamo il numero dei membri, abbiamo la considerazione del modo di nomina, delle elezioni, della durata, della incompatibilità. A me pare sia più ragionevole mettere in votazione i singoli emendamenti, ma quando sono particolari; oppure si dovrebbe far precedere una votazione di carattere generale circa l’orientamento dei vari emendamenti e poi procedere alle votazioni conseguenti a questo orientamento.

PRESIDENTE. Sono in parte d’accordo con lei; ma le faccio osservare che l’emendamento Codacci Pisanelli si allontana in modo assoluto da tutte le altre statuizioni che sono state proposte. Io credo quindi che possiamo intanto votare questo emendamento.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Secondo il parere della Commissione l’emendamento che più si discostava dal testo era quello dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. Io mi permetto di pensare diversamente. Pongo quindi in votazione l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli così formulato:

«La Corte costituzionale è costituita dalla Corte dei conti a sezioni riunite ed integrata da dodici membri eletti dal Parlamento».

(Non è approvato).

Ora possiamo prendere in esame i concetti espressi dall’onorevole Mortati. Egli pensa che non possa esser posto in votazione un emendamento in tutti i suoi commi, nello stesso momento. Evidentemente l’onorevole Mortati ha pienamente ragione. Porremo in votazione il suo emendamento, comma per comma, in modo che vi sia la possibilità per i colleghi di esprimere il loro pensiero sui principî che sono affermati in ogni comma.

Il primo comma è:

«La Corte costituzionale si compone di quindici membri ordinari e di altrettanti supplenti».

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Chiedo che si voti prima il numero dei membri ordinari e poi quello dei supplenti.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Per evitare equivoci faccio presente che questa prima parte dell’emendamento Mortati coincide con quello che la Commissione raccomanda, relativamente al numerò dei quindici membri. L’onorevole Mortati però aggiunge:. «e altrettanti supplenti». Noi riteniamo che la nomina dei supplenti non sia necessaria. Per conseguenza preghiamo di non accogliere l’emendamento Mortati su questo punto.

PRESIDENTE. Con la prima votazione non ci occuperemo della classificazione, ma fisseremo il concetto che i membri della Corte costituzionale sono quindici, Su questo numero l’onorevole Mortati e la Commissione sono d’accordo..

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. A me pare che il numero non possa essere votato in questo momento, perché varie sono le soluzioni circa la composizione della Corte. Qualcuno dice che la metà deve essere formata da una particolare categoria. Come si farà a dividere quindici per due?

Qualcuno dice che un quarto deve essere formato da una particolare categoria. Quindici non è divisibile per quattro; invece è divisibile per tre, e coinciderebbe con la proposta della Commissione, che non è detto che sia approvata. Quindi mi pare che la fissazione del numero debba avvenire dopo e non prima.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, quale è il suo parere?

PERASSI. L’osservazione dell’onorevole Gullo mi sembra ragionevolissima: quindi, accettiamo.

PRESIDENTE. Porrò in votazione la prima parte dell’articolo senza indicazione di numero, e cioè:

«La Corte costituzionale si compone di membri nominati dal Presidente della Repubblica».

È stata chiesta la votazione per appello nominale digli onorevoli Laconi, Silipo, Gorreri, Moscatelli, Musolino, Gullo Fausto, Landi, Imperiale, Giolitti, D’Amico, Allegato, Buffoni, Pastore Raffaele, Mancini, Pieri.

Procedo alla chiama per constatare la presenza in Aula dei firmatari della richiesta.

(Sono presenti).

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Dichiaro che noi voteremo contro l’emendamento Mortati per la sua esclusività.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, insiste nel suo emendamento?

MORTATI. Lo ritiro.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Bisognerebbe che la prima votazione affermasse e contemporaneamente negasse un concetto. Se noi introducessimo il concetto di nominare in parte i membri della Corte, sapremmo, dal sì o dal no, se si ammette la pluralità delle fonti di nomina, come sembra che la gran parte dell’Assemblea voglia; o se viceversa si vuole un’eventuale unica fonte, quale è suggerita dalla proposta dell’onorevole Mortati. Quindi, se si accetta che siano nominati in parte, facciamo punto, perché si tratta di un concetto compiuto.

PRESIDENTE. Lei non ha forse avvertito che l’onorevole Mortati ha ritirato l’emendamento e che adesso, passando al testo redatto dalla Commissione, siamo in grado di porre la votazione sulla base che lei desidera.

FABBRI. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Lami Starnuti e altri: «I giudici della Corte sono nominati dal Parlamento.».

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare per un chiarimento sul mio emendamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Il mio emendamento riguardava il secondo comma dell’articolo 127 del progetto, quindi presupponeva la determinazione delle categorie, qualora la Assemblea voglia stabilire le categorie entro cui la nomina deve avvenire. Non vorrei che la Assemblea ritenesse che, con l’approvazione del mio emendamento, la scelta del Parlamento fosse assolutamente libera. Io consento con altri che il Parlamento deve scegliere i giudici della Corte costituzionale in determinate categorie: ad esempio, magistrati, avvocati, di guisa che, se l’Assemblea approvasse il mio emendamento, non riterrei preclusa la discussione e la votazione su quella che ora è la prima parte dell’articolo 127.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi duole di dissentire dall’onorevole Lami Starnuti, col quale consento nell’emendamento, ma mi pare che questo modo di votazione sia più opportuno. Io potrei dichiarare, perché non si pensi che c’è sotto questa parola qualche intenzione segreta, (Commenti al centro) che non vi è da parte mia, e forse del mio Gruppo, nessuna intenzione di non votare le categorie. Ci si può benissimo mettere d’accordo. Però, mi pare che saremmo in grado di determinare con molta maggiore coerenza le categorie fra le quali i giudici devono essere scelti, quando sapremo la fonte da cui questi giudici devono essere scelti. Se dovesse passare la proposta di diversa origine dei giudici, mi pare che da questa diversa origine scaturisca necessariamente la diversità delle categorie entro le quali i giudici dovranno essere scelti. Mi pare che possiamo seguire quest’ordine, tenendo conto del fatto che nell’Assemblea non c’è nessuna corrente importante che sia contraria all’ammissione delle categorie, e che quindi non si può prestare questa alterazione dell’ordine formale a nessuna sorpresa.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Io ricordo che allo stato attuale delle cose il punto di partenza è quello che abbiamo detto prima, cioè l’emendamento Martino e altri, nel quale vi è un primo comma che si occupa della fonte, ossia chi nomina, nel secondo comma poi vi è l’indicazione delle categorie. Per conseguenza, ritengo che ora dovrebbe mettersi ai voti l’emendamento Lami Starnuti, il quale si presenta come un emendamento sostitutivo del primo comma del nuovo testo. Naturalmente, l’emendamento Lami Starnuti lascia impregiudicata tutta la questione delle categorie previste nel secondo comma.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. La mia dichiarazione è stata interpretata dalla Presidenza in modo non del tutto esatto. Intendevo dire, e l’ho detto espressamente, che l’accettazione del mio emendamento non era preclusiva della votazione sulle categorie.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora, passiamo alla votazione dell’emendamento Lami Starnuti. Avverto che la richiesta di votazione per appello nominale fatta sull’emendamento Mortati è ora mantenuta per l’emendamento Lami Starnuti.

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Poiché noi voteremo l’emendamento proposto dalla Commissione, voteremo contro l’emendamento Lami Starnuti.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sull’emendamento Lami Starnuti, di cui do ancora lettura:

«I giudici della Corte sono nominati dal Parlamento».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Federici Maria.

Si faccia la chiama.

RICCIO, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Allegato – Amadei – Arata.

Barbareschi – Barontini Ilio – Bartalini – Bencivenga – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Buffoni Francesco.

Cianca – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – D’Aragona – De Michelis Paolo – Di Giovanni.

Faccio – Fantuzzi – Ferrari Giacomo – Fietta – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Ghidetti – Giannini – Giolitti – Gorreri – Grazi Enrico – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Longhena – Longo – Lozza.

Magnani – Malagugini – Mancini – Mariani Enrico – Massini – Mastrojanni – Mattei Teresa – Merlin Angelina – Miccolis – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Morandi – Morini – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa.

Paris – Pastore Raffaele – Pertini Sandro – Pesenti – Piemonte – Pistoia – Pressinotti – Priolo.

Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Maria Maddalena – Roveda.

Salerno – Schiavetti – Scoccimarro – Secchia – Silipo – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello.

Vischioni.

Zanardi.

Rispondono no:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Angelucci – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Benedettini – Benvenuti – Bernabei – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchini Laura – Bosco Lucarelli – Bozzi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro.

Caiati – Calamandrei – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corsi – Corsini – Cosattini – Cremaschi Carlo.

Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Franceschini – Fresa – Fuschini – Fusco.

Galati – Garlato – Gasparotto – Geuna – Giacchero – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

Labriola – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Lizier.

Magrassi – Malvestiti – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino– Mastino Pietro – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merlin Umberto – Micheli – Monterisi – Montini – Morelli Luigi – Mùrdaca.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pallastrelli – Paolucci – Pastore Giulio – Patrissi – Pecorari – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Petrilli – Piccioni – Pignatari – Ponti – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Reale Vito – Recca – Riccio Stefano – Romano – Rossi Paolo – Ruini.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sardiello – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Spallicci – Spataro – Storchi – Sullo Fiorentino.

Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vicentini – Vico – Villabruna.

Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Si sono astenuti:

Conti.

Lussu.

Nitti.

Orlando Vittorio Emanuele.

Sono in congedo:

Bergamini.

Cairo – Carboni Angelo – Carmagnola – Cavallari.

De Vita – Dugoni.

Ghidini – Gui.

Jacini.

Lizzadri.

Preziosi.

Ravagnan – Rubilli.

Vanoni – Varvaro – Viale.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale. Invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sull’emendamento Lami Starnuti:

Presenti                               290

Votanti                                286

Astenuti                  4

Maggioranza           144

Hanno risposto      92

Hanno risposto no    194

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo allora al primo comma del testo accettato dalla Commissione:

«La Corte costituzionale è composta di membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento, riunito in seduta comune, e per un terzo dal Consiglio superiore della Magistratura».

Intende la Commissione che si aggiunga anche il numero dei componenti?

PERASSI. Lasciamo in sospeso, per ora, la questione del numero.

PRESIDENTE. Sta bene.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Allo scopo di evitare il ricorso ad altre procedure formali, propongo di rinviare a domani, in modo che non possa essere votato questo emendamento, anche perché credo che l’approvazione di questo emendamento sia un atto letale per la democrazia italiana, e spero che la notte porti consiglio. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Come l’Assemblea ha udito, v’è una proposta di rinviare la votazione su questo emendamento.

La pongo ai voti.

(Non è approvata).

MAFFI. Allora chiediamo l’appello nominale. (Proteste al centro – Commenti).

PRESIDENTE. Avverto l’Assemblea che se non si raggiunge il numero legale la seduta è rinviata a domani pomeriggio e verremmo a perdere un’utile seduta antimeridiana.

GULLO FAUSTO. Faccio proposta formale che il seguito della discussione sia rinviato a domani.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Gullo di rinviare a domani il seguito della discussione.

(È approvata).

Il seguito di questa discussione è pertanto rinviato a domani alle 11.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, sui motivi del provvedimento preso nei riguardi del prefetto di Milano.

«Gasparotto».

«Al Ministro dell’interno, per sapere se le notizie pubblicate dalla stampa intorno alla occupazione della Prefettura di Milano rispondano a verità. E nell’affermativa, quali provvedimenti abbia preso ed intenda prendere.

«Bellavista».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per conoscere se e quali provvedimenti sono stati presi contro i perturbatori dell’ordine pubblico della città di Milano, che per il solo fatto amministrativo del cambio del prefetto si è vista infliggere uno sciopero generale, con gravissimo danno per la sua economia e per il normale svolgersi della vita cittadina.

«Marina, Mazza».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, sulla entità dei fatti di Milano a seguito del provvedimento governativo nei confronti del prefetto Troilo e sui provvedimenti che il Governo ha adottato ed intende adottare a tutela della legge, dell’autorità del Governo e della libertà pubblica.

«Clerici, Meda Luigi, Benvenuti, Balduzzi, Castelli Edgardo, Ferreri, Zerbi, Martinelli, Sampietro».

«Al Ministro dell’interno, perché comunichi senza indugio all’Assemblea le notizie a conoscenza del Governo circa gli avvenimenti di Milano, provocati dalla rimozione del prefetto Troilo.

«Malagugini».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Su questo gruppo di interrogazioni il Governo risponderà nella seduta di domani. Comunico intanto all’Assemblea che il Sottosegretario Marazza è partito per Milano e farà un rapporto dettagliato sulla situazione.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Prendo atto delle dichiarazioni del Ministro Guardasigilli, però mi permetto di osservare che anche prima del ritorno del Sottosegretario Marazza, il Ministro dell’interno avrà ben avuto qualche notizia e sarebbe stato, io penso, molto opportuno che l’avesse comunicata all’Assemblea, la quale non ha potuto nascondere – e del resto ha avuto occasione di rilevarlo anche il nostro Presidente quando nel corso di questa seduta ha parlato di distrazione e di allontanamento – il suo naturale, legittimo turbamento di fronte alle notizie recate dalla stampa.

Mi permetto pertanto deplorare che il Ministro dell’interno non abbia ritenuto suo dovere di portare qui una parola di tranquillità circa i fatti di Milano. (Rumori al centro).

CIMENTI. Che tranquillità vuole che dia?

Una voce al centro. Noi siamo tranquilli.

MALAGUGINI. Ho chiesto soltanto notizie. (Rumori al centro). Che venga il Ministro ad informare l’Assemblea di quanto al Governo risulta.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Per dare notizie tranquillanti di dettaglio e sullo svolgimento è bene stabilire che la risposta sarà data nella seduta antimeridiana di domani.

LAMI STARNUTI. Che cosa vuol dire tranquillanti?

MALAGUGINI. È stata diffusa la notizia che era stato chiesto il trasferimento dei poteri all’autorità militare. (Interruzioni –Rumori al centro).

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute le seguenti altre interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se sia a conoscenza del Governo la agitazione degli agricoltori della regione piemontese e segnatamente delle zone collinari a regime di piccola e media proprietà, per il gravissimo onere dei contributi sociali unificati, che quest’anno ha toccato limiti assai elevati; quale onere, mentre è di gran lunga superiore alle reali esigenze del servizio assicurativo nelle diverse forme, risulta anche assai sperequato nella pratica applicazione per il mancato aggiornamento degli elementi di base e per il mancato esatto rilievo delle formazioni familiari, ed è causa di grave contrazione nella assunzione della mano d’opera da parte dei proprietari, con conseguente pregiudizio della economia generale; e se e quali provvedimenti si intendano urgentemente assumere per rimediare agli errori della tassazione 1947 e per impostare su basi più sicure e meno vessative quella per il 1948.

«Bubbio, Baracco, Burato, Bellato, Giacchero».

«Ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e delle finanze, per sapere se, in considerazione della particolare e povera economia della Sardegna e della speciale forma che in essa assumono i rapporti di partecipazione fra pastori ed i contratti di mezzadria, non credano d’intervenire perché i criteri di applicazione, nell’Isola, dei contributi unificati, siano modificati, in modo da rendere sopportabile un’imposta oggi esiziale a quell’agricoltura che si afferma di voler incoraggiare e premiare; disponendo, intanto, la sospensione dei ruoli.

«Mastino Pietro, Lussu, Abozzi, Corsi».

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Mi permetto di sollecitare una pronta risposta del Governo a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. Informerò il Ministro interessato.

Comunico, infine, che è stata presentata anche la seguente altra interrogazione urgente:

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali misure il Governo abbia preso in seguito ai ripetuti roghi di giornali di vario colore politico avvenuti in varie città d’Italia, onde impedire che si rinnovino simili attentati alla libertà della stampa.

«Treves, Preti».

Interesserò il Ministro interrogato affinché faccia conoscere quando intende rispondere.

Annunzio di mozione.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta alla Presidenza la seguente mozione:

«L’Assemblea Costituente,

riconosciuta la necessità, di assicurare la elevazione economica e sociale del lavoro, e di venire incontro alle esigenze della produzione, realizzando il diritto dei lavoratori di partecipare alla gestione delle aziende,

e preso atto della volontà manifestata in tal senso dalle organizzazioni dei lavoratori,

constata

che la soluzione della questione non può essere rinviata attraverso ulteriori consultazioni e studi in quanto esistono già progetti elaborati da competenti uffici ministeriali; né d’altra parte è possibile prospettarsi una soluzione concordata tra le parti data la manifesta opposizione di principio degli industriali;

invita il Governo a definire il proprio atteggiamento e ad assumere le proprie responsabilità presentando il progetto di legge per l’istituzione in tutte le grandi aziende dei consigli di gestione, o dando comunque all’Assemblea Costituente – legittima rappresentante della volontà del popolo – il modo di pronunciarsi sulla questione.

«Morandi, Longo, Sereni, Pertini, Pesenti, Foa, Alberganti, Novella, Montagnana Mario, Cacciatore, Barbareschi, Vischioni, Noce Teresa, Bitossi, Roveda, Ghidetti».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando ritiene possa essere posta all’ordine del giorno per la sua discussione.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo si riserva di far conoscere il suo pensiero sulla data della discussione di questa mozione.

Interrogazioni ed interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non ritenga opportuno proporre un provvedimento legislativo, tendente a stabilire la validità delle scritture private, aventi per oggetto il trasferimento di beni immobili e di diritti immobiliari, non registrate sotto l’impero del decreto-legge 1941, n. 1015, successivamente abrogato col decreto legislativo 20 marzo 1945, n. 212.

«De Palma».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali intralci esistano o volutamente si creino per ritardare l’inizio dei lavori della strada destinata a congiungere il capoluogo del comune di Gissi (Chieti) con le frazioni di Piano Ospedale e Peschiola.

«Tale strada fu progettata, appaltata e iniziata prima della guerra. Sospesane la esecuzione a causa di questa, il progetto, aggiornato a cura dell’Amministrazione comunale attuale e per il quale è stato stanziato il finanziamento fin dall’aprile del corrente anno, trovasi e giace presso l’ufficio del Genio civile di Chieti, di dove, né le sollecitazioni delle autorità locali, né quelle del Provveditorato alle, opere pubbliche per l’Abruzzo, né – e tanto meno – quelle dell’interrogante fatte personalmente sono riuscite a smuoverlo.

«Il comune di Gissi, nonostante l’estensione del suo territorio diviso dal corso del fiume Sinello, non ha un solo metro di strada comunale, né un solo ponte che lo unisca alle sue frazioni e che unisca queste fra loro. In compenso ha una sola scuola rurale posta nella frazione oltre fiume e alla quale i fanciulli dell’altra frazione non possono accedere che a guado e quasi mai durante il periodo invernale.

«L’immediato inizio dei lavori è tanto più urgente, in quanto, oltre alla loro necessità oggettiva, essi servirebbero a risolvere il problema della disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Molinelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se non creda opportuno concedere una nuova proroga, per legge, a quel termine che era previsto nell’articolo 10 del decreto legislativo 1° aprile 1947, n. 277, e nell’articolo 3 del decreto legislativo 12 agosto 1947, n. 975, per la revisione dei canoni di affitto di fondi rustici, dato che non è stato possibile a tutti presentare in tempo la domanda alla competente Commissione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Martino Gaetano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno, in considerazione dell’enorme peso tributario che grava sul Piemonte, dare disposizioni agli Ispettorati compartimentali delle imposte dirette e indirette, perché non si aggravi con ulteriore eccessivo fiscalismo la situazione dei contribuenti piemontesi giunti ormai ai limiti estremi.

«L’interrogante richiama l’attenzione dell’onorevole Ministro sull’applicazione della imposta entrata, specie nei riguardi delle professioni sanitarie, per le quali si nota una troppo palese sperequazione con le tassazioni che si effettuano in altre regioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellato».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se non ravvisa l’opportunità, nell’interesse dell’agrumicoltura siciliana e per lenire, sia pure in lieve misura, la grave crisi agrumaria che travaglia l’Isola, di ripristinare la tariffa speciale, per spedizioni di pacchi-agrumi da 5 a 40 chilogrammi dalla Sicilia alle altre regioni di Italia, sospesa durante la guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fiore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere:

1°) i motivi per cui non si sono ancora iniziati i lavori della bonifica di Campovarigno in Sora (provincia di Frosinone), finanziati sin dall’aprile 1947, come da comunicazione del Ministero dell’agricoltura e foreste a quello dei lavori pubblici, in data 5 aprile 1947, n. 1137;

2°) se non ritenga opportuno – a sollievo della disoccupazione locale e per contribuire alla risoluzione dell’assillante problema degli alloggi – dare disposizioni perché siano ripresi i lavori di costruzione dei due lotti di casette popolari nella zona baraccata di Sora, lavori sospesi da circa due mesi;

3°) i motivi per cui, malgrado l’avvenuto finanziamento, non si è ancora provveduto alla costruzione del parapetto sul ponte del Liri in Sora (Ponte di Napoli), aperto al traffico fin dal gennaio 1947;

4°) se non ritenga opportuno, onde venire incontro alle esigenze del traffico, dare disposizioni perché sia provveduto alla sollecita ricostruzione del ponte San Lorenzo sul Liri in Sora, distrutto dai tedeschi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Palma».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri del tesoro, delle finanze e dei lavori pubblici, per sapere se, dopo due anni dalla fine delle ostilità, non ritengano urgente e necessario dare finalmente impulso alla ricostruzione edilizia, reclamata dalla penosa deficienza delle abitazioni, e porre riparo alla persistente inerzia dei proprietari:

mettendo i Comuni in condizioni di promuovere la costituzione di pubbliche o private intraprese, che assumano l’immediata ricostruzione dei fabbricati danneggiati o distrutti per fatto di guerra;

consentendo ad essi, per conseguire lo scopo, la facoltà di procedere alla espropriazione di tali fabbricati – previa congrua diffida e a cominciare da quelli già gravati da imposta superiore alle lire tremila;

disponendo che, a titolo di indennità di esproprio, possa essere riservata ai proprietari una quota di proprietà dell’immobile ricostruito, rapportata e al valore dell’area e della costruzione residuata, da determinarsi mediante stima dell’ufficio tecnico di finanza, e all’ammontare del contributo ottenibile dallo Stato, che sia impiegato nella ricostruzione.

«Cosattini».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali chiede la risposta scritta.

Così pure la interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 20,55.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 28 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cccx.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 28 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mastino Pietro

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Bertone

Nitti

Mastino Gesumino

Mastrojanni

Perassi

Preti

Codacci Pisanelli

Condorelli

Mortati

Musolino

La seduta comincia alle 11.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Carboni Angelo e Angelini.

(Sono concessi).

Seguito delia discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana,

Comunico che è pervenuto alla Presidenza un ordine del giorno presentato dagli onorevoli Mastino Pietro, Persico, Abozzi, Costa, Priolo, Lami Starnuti, Bellavista, Della Seta, Cevolotto e Scalfaro, del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente,

convinta che l’indipendenza della Magistratura non potrà essere conseguita se non si assicuri al magistrato anche l’indipendenza economica, che gli consenta completa serenità di lavoro,

ritenendo che, data la delicatezza e l’importanza sociale della funzione del magistrato, sia giusto che ciò non venga dimenticato mentre si prepara la Costituzione dello Stato,

indica alla Camera legislativa la necessità dr una concreta soluzione».

L’onorevole Mastino Pietro ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO PIETRO. Penso che bastino poche parole perché credo che quanto è detto nell’ordine del giorno trovi il consenso unanime di tutta l’Assemblea. Quindi, rinunzio a svolgerlo, rimettendomi alla formulazione indicata nello stesso ordine del giorno.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta l’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Allora lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo VI del progetto di Costituzione: «Garanzie costituzionali». La sezione prima di questo Titolo tratta della Corte costituzionale ed ha inizio con l’articolo 126. Se ne dia lettura.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«La Corte costituzionale giudica della costituzionalità di tutte le leggi.

«Risolve i conflitti d’attribuzione fra i poteri dello Stato, fra lo Stato e le Regioni, fra le Regioni.

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

PRESIDENTE. Sono stati presentati molti emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Bertone:

«Sopprimere l’intera sezione».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Onorevoli colleghi, io mi ero illuso di non dover più interloquire in proposito, perché eguale emendamento, prima di me, era stato proposto dall’onorevole Nitti, e quindi pensavo che dove avrebbe parlato il maestro, l’allievo non aveva più ragione di parlare.

Leggo sul foglio distribuito starnane che l’onorevole Nitti ha convertito il suo emendamento in un altro, inteso ad attribuire senza altro alla Corte di cassazione a sezioni unite tutte le questioni sulla costituzionalità che vengano sollevate in un giudizio.

Io ritengo che con questo egli non abbia rinunciato alla sua opposizione alle altre disposizioni della sezione, perciò io mi limito ad alcune brevi considerazioni che spero dovranno essere accolte benevolmente dall’Assemblea.

Intendo dichiarare subito, a chiarimento immediato del mio pensiero, che io non sono contrario alla istituzione ed a provvedimenti di garanzie costituzionali. Sono molto perplesso sulla forma delle garanzie costituzionali elaborate in questi articoli sottoposti al nostro esame. Onde, se verranno proposti emendamenti che a me sembrino migliori di quelli del testo proposto, io non avrò difficoltà ad accedere ad essi. Certo è una cosa singolare che un argomento di tanta importanza, che io non esiterei a dire fra i più importanti del progetto, abbia avuto così poca attenzione e svolgimento in Assemblea. Fra tutti gli oratori uno solo ha affrontato l’argomento, ed è stato l’onorevole Martino Gaetano. Non so se la discussione in sede di Commissione sia stata molto intensa e minuta; debbo però rilevare che nella stessa Commissione la perplessità è rimasta grave, perché leggo nella relazione della Commissione che «Istituto nuovo è la Corte costituzionale, e scarsi ne sono i precedenti e le prove, cosicché non è facile risolvere i suoi problemi»; ora, questa perplessità della Commissione è quella che domina anche il mio pensiero. Io dirò alcune brevi cose circa i tre aspetti di questo problema: la costituzione della Corte, il suo funzionamento, le materie che sono affidate al suo giudizio. Costituzione della Corte. Credo che l’ideale di una Corte costituzionale sarebbe la sua apoliticità, perché è soltanto nell’assoluta serenità del magistrato che si fonda la persuasione nostra che le leggi saranno ben difese.

Ora, se la Corte costituzionale è direttamente o indirettamente emanazione del Parlamento, essa ne rifletterà i vizi, le virtù, i contrasti e i difetti, onde non vorrei si creasse un doppione.

Secondo il progetto i giudici della Corte costituzionale sono designati in numero triplo dagli ordini giudiziari o forensi o professionali e sono scelti direttamente dal Parlamento. Mi immagino quale sarà la difficoltà del Parlamento di scegliere questi membri della Corte costituzionale; perché ciascun Gruppo politico vorrà avere quelli che sono aderenti alle proprie idee, e – indiscutibilmente – se la nomina è elettiva, la Corte costituzionale finirà col riflettere in qualche modo l’ambiente parlamentare da cui è nata. Questa è la legge della ereditarietà ed è ben difficile che la creatura non abbia i caratteri somatici e non rispecchi le caratteristiche dell’organismo che le ha dato vita.

Ora, se così è, io pongo ai colleghi dell’Assemblea questa domanda: non andiamo noi, per avventura, a vulnerare la sovranità parlamentare, di questo Parlamento della prima Repubblica che rappresenta il popolo? Questo è il principio che tutti abbiamo ripetutamente affermato.

Ora, suppongasi che una legge venga presentata al Parlamento e che vi sia qualcuno dei settori della Camera che sostenga che la legge è contraria alla Costituzione: discussione onesta, leale e possibile. Si discuterà del pro e del contro e la legge sarà approvata. La minoranza, cinquanta deputati, ha il diritto di chiedere alla Corte costituzionale che la legge venga annullata, perché si dice che è contraria alla Costituzione. E supponiamo che la Corte costituzionale accolga questo reclamo: avremo un organo che si è sovrapposto immediatamente al Parlamento, il quale ha espresso la sua volontà specialmente sul terreno politico e vedrà in tal modo vulnerato questo suo diritto sovrano.

Questo è uno solo degli inconvenienti che io mi permetto di accennare; ma ve ne sono altri. Si dice che quando una questione di costituzionalità venga sollevata in un giudizio civile e comune, il magistrato, se la ritenga manifestamente infondata, procede senz’altro al giudizio di merito. Se, viceversa, la ritiene fondata, la rimette alla Corte costituzionale.

Ora, io mi pongo il dubbio: se il magistrato la ritiene così manifestamente infondata da non dare alcuna importanza a questa questione e procede senz’altro all’esame del merito, questo magistrato emetterà la sua sentenza, e questa sentenza è evidentemente impugnabile con i mezzi ordinari di giurisdizione. E, quindi, chi impugnerà questa sentenza avrà il diritto di proporre al giudice di appello l’esame di quella incostituzionalità che il giudice di primo grado non ha ritenuto ammissibile. E il giudice di appello dovrà rispondere sì, o no. È di ieri la nostra deliberazione, il nostro voto, che tutti i provvedimenti emessi in materia giurisdizionale hanno diritto al gravame di appello. Potrà allora accadere che una questione di incostituzionalità la quale sia stata ritenuta infondata dal primo giudice, sia viceversa ritenuta seria dal secondo giudice o dalla Cassazione; e allora, in una delle ipotesi, la Corte costituzionale avrà delibato e avrà dichiarato che c’è incostituzionalità, mentre, nel secondo caso, sarà il giudice ordinario ad averlo dichiarato. Ma, quando si sarà pervenuti al terzo grado, io mi domando come si potrà risolvere questo patente conflitto fra il parere espresso fra il più alto organo giudiziario e quello della Corte costituzionale.

Questo è dunque un altro inconveniente. Ma poi c’è la questione delle materie deferite alla Corte costituzionale. Si dice che essa dovrà risolvere i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, come, per esempio, i conflitti fra il potere amministrativo e il potere giudiziario. Ma essi sono attualmente già regolati dalla legge comune, dal Consiglio di Stato e dalla Corte di cassazione a sezioni riunite. Bisognerà dunque demolire questi edifici che già esistono per crearne uno nuovo?

Si dice ancora che la Corte costituzionale giudicherà dei conflitti di attribuzione fra lo Stato e le Regioni. Ma anche qui gli organi ordinari dello Stato sono già investiti; perché dunque tutte queste questioni noi dobbiamo toglierle al magistrato ordinario ed al Consiglio di Stato che hanno sempre funzionato così egregiamente?

Io credo, quindi, che gli articoli di cui stiamo discutendo, così come sono stati congegnati, servano soltanto a creare perplessità e confusione. Prego, quindi, la Commissione di voler considerare l’opportunità, la esigenza che non venga del tutto dimenticato questo monumento di sapienza giuridica, che in ottanta anni di esperienza in Italia è valso a risolvere tutti i conflitti, a dissipare tutti gli attriti, tutte le frizioni.

E quando la Corte di cassazione a sezioni riunite, che per me rappresenta il più alto grado nel senso più lato della parola, quando, dicevo, la Corte di cassazione a sezioni riunite avrà pronunciato il suo alto parere, avrà emesso il suo giudizio, non si tornerà indietro, come ben difficilmente si è tornati indietro per il passato. Tutte le volte, infatti, che essa ha avuto occasione di pronunciarsi, la sua pronuncia ha costituito sempre l’inizio di un nuovo orientamento della dottrina e della legislazione.

Io dichiaro, quindi, di accostarmi all’emendamento dell’onorevole Nitti, nel senso, cioè, che tutte le questioni di incostituzionalità vengano senz’altro deferite al giudizio della Corte Suprema a sezioni riunite. Per tutte queste ragioni da me brevemente, sinteticamente esposte così da non aver arrecato – voglio almeno sperarlo – noia all’Assemblea, io ripeto che non sono affatto contrario a stabilire garanzie costituzionali; ma non credo che il metodo di garanzie elaborate in questo progetto sia da approvarsi, e in coscienza, così come proposte, non mi sentirei di approvarle.

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire i quattro articoli della Sezione col seguente:

«Quando nel corso di un giudizio è sollevata questione di incostituzionalità di una norma legislativa, la decisione è rimessa alla Corte di cassazione a Sezioni unite.

«La legge determina le norme per il funzionamento della Corte».

Ha facoltà di svolgerlo.

NITTI. Io mi trovo fondamentalmente d’accordo con l’onorevole Bertone. Vado più in là: credo inutile e dannosa la costituzione di una Corte costituzionale. Non farà alcun bene e sarà causa di confusione.

Debbo dire pregiudizialmente che, quando ho esaminato il progetto di nuova Costituzione due cose mi hanno colpito come novità assurde, che non esistono in nessun paese del mondo, e sono: l’Assemblea Nazionale e questa Corte costituzionale, che per la prima volta s’inventa in Italia e che è anche emanazione del pensiero che fu, o dell’assenza di pensiero che è, base dell’Assemblea Nazionale.

Qualche novità io però non mi aspettavo. Ho esaminato con ogni obiettività la materia, e la miglior cosa che io credo si possa fare è la soppressione di tutto questo Titolo, che non ha ragione d’essere e che era in correlazione poi con l’Assemblea Nazionale, che era venuto in mente a qualcuno di creare e che fortunatamente è scomparsa.

PERASSI. Non è esatto; è ricomparsa di nuovo.

NITTI. Dove e come è comparsa? Dovrebbe dunque il nuovo ordinamento della Corte costituzionale essere emanazione dell’Assemblea Nazionale, che nomina una parte dei membri. E l’Assemblea è scomparsa: sarebbe dunque il defunto che crea un vivo.

Tutto questo Titolo è basato su un equivoco, volontario o involontario. Non è ammissibile che un Paese serio segua i procedimenti che si pretenderebbe adottare.

La Corte costituzionale si crea anche sull’equivoco. Vi è chi tenta di far credere che vi sia qualche cosa di analogo in altri Stati. Non esiste invece in alcun altro paese nulla di simile. Non solo non esiste, ma è in contraddizione con le istituzioni di paesi che si crede imitare, come gli Stati Uniti di America, la Germania e la vicina Svizzera.

Nulla dunque di comune con ciò che esiste altrove.

Vere Corti costituzionali come quelle che si vorrebbero imporre e che non si possono, perché basate su concetti e situazioni diversi, non esistono se non in paesi non unitari.

Paesi di struttura differente, Stati Uniti di America, Germania, Svizzera non sono paesi unitari, ma, sotto diversa forma, erano Stati federali.

L’Italia è per sua fortuna un paese unitario. Ma, soprattutto dopo il fascismo accentratore, ha bisogno di decentramento, ma ha bisogno anche di rafforzare la sua unità. Voi, infatti, creando le Regioni, non avete pensato un sol momento a creare un nuovo Stato, composto di differenti Stati, ma a creare una forma decentrata che sviluppi tutte le libertà locali, ma mantenga la compagine dello Stato unitario. In Stati unitari nulla di simile è mai esistito, né può esistere ciò che si vuol fare ora nel nostro Paese.

Cominciamo da quella che pare la cosa più semplice: la Corte costituzionale, qualche cosa che vorrebbe arieggiare la Suprema Corte degli Stati Uniti di America, a qualcuna delle cui sedute io ho avuto occasione di assistere. Niente di comune, nemmeno nelle forme esteriori, con quello che si vuole fare qui. Qui, solo scorrendo gli articoli del disegno di legge, si vede che si crea addirittura come una multiforme Assemblea, una inverosimile mischianza di giudici e di politicanti, di alti personaggi e di curiali (non certo giuristi) che devono accettare o raccattare voti dai partiti per essere eletti.

Il giudice della Corte Suprema in America è un personaggio altissimo, che non è esponente di partiti politici, che non deve far politica.

Così com’è concepita la Corte costituzionale in Italia i giudici nella più gran parte non saranno che un prodotto di combinazioni, di transazioni, di intrighi. Saranno sopra tutto esponenti di partiti e quindi senza autorità.

E chi potrà essere il capo di una simile Assemblea? Non certo un grande giurista, un grande personaggio, ma un modesto individuo che dia affidamento al partito da cui deriva.

Negli Stati Uniti di America, quella Corte, che ha tanta celebrità nel mondo, nessuno pensa possa essere effetto di brighe elettorali. L’elezione non entra per nulla. Né pensa che il capo possa essere un politicante. Ogni giudice (e i giudici sono pochissimi) ha il suo curriculum vitae molto onorevole.

Essere giudice della Corte Suprema è un immenso onore, press’a poco come essere senatore, dove i senatori sono appena 96, in un paese enorme, in cui il Senato ha immensi poteri, e dove gode del più alto prestigio. Il giudice non è eletto, ma è nominato in base alla pubblica designazione, dato il prestigio di cui gode. Chi nomina i giudici è il Presidente della Repubblica, senza nessun controllo, senza alcun intervento dei partiti. Egli deve sceglierli tra gli uomini che hanno raggiunto tale una celebrità, che rappresentino tale un valore, da dare affidamento a tutti.

Io mi trovavo in America quando il Presidente si decise a nominare per la prima volta giudice un ebreo, Brandeis. Che fosse nominato un ebreo non era mai accaduto (in America si giura sui sacri testi!): il Presidente non aveva mai voluto farlo prima d’allora. Ma il Presidente Wilson osò. Si trattava di un uomo di primissimo ordine, di dottrina altissima e assai stimato. I giudici non pensano di far politica e Brandeis non interveniva mai in questioni politiche. Ma aveva gran senso politico. Era forse il gran personaggio americano che aveva meglio compreso il pericolo del fascismo italiano. Quando poteva, con tutta la discrezione che egli aveva e che il suo ufizio gl’imponeva, mi furono comunicati i suoi giudizi, che a Washington avevano gran peso.

I giudici della Suprema Corte in America sono dunque in generale uomini in onorevole situazione, non suscettibili di intrighi.

La Corte costituzionale, come è ora concepita in Italia, è la mischianza più strana di elettoralismo, di praticantismo e quasi certamente, in parte almeno, di incompetenze, e dovrebbe giudicare su tutte le cose: sui conflitti di giurisdizione, sugli interessi dello Stato e sugli interessi degli Enti locali: e tutto questo con una improvvisazione che non ha riscontro.

Non parlo di ciò che è il tribunale di Lipsia, perché si cade in errore attribuendogli funzioni identiche o della stessa natura della Corte di Washington. Esso non ha alcuna funzione politica. Si comprese che essendovi in Germania tanti Stati diversi, prima ancora che vi fosse la corte attuale, ciascuno Stato, godendo di completa sovranità, come la Baviera, la Sassonia, il Württemberg, bisognava che una Corte comune decidesse delle questioni che riguardavano tutti i paesi federati e sopra tutto i maggiori.

La Corte si occupava delle grandi questioni, sopra tutto in materia penale.

Come capo del Governo italiano io mi trovai alla applicazione del trattato di Versailles.

Era un mal connesso trattato, che doveva anche essere male applicato: conteneva nel suo seno quella Società delle nazioni che era il grande equivoco di pace.

Nel trattato di Versailles vi erano, fra le altre assurdità economiche e morali, due disposizioni che erano inspirate a odio piuttosto che a giustizia. Dopo aver stabilito che la Germania sola era responsabile della guerra, si stabiliva che il danno prodotto dalla guerra doveva essere riparato. Ma nello stesso tempo si stabiliva la responsabilità dell’imperatore Guglielmo, che doveva in conseguenza essere deportato a Parigi ed essere giudicato come un pubblico malfattore.

Disposizione contraddittoria e assurda e sopra tutto inapplicabile.

Ma siccome era nel trattato tutti si ostinavano nell’assurdo.

Io fui il solo che mi opposi decisamente e che convinsi per primo Lloyd George a rinunziare à questa assurdità.

La Santa Sede, che allora non poteva intervenire direttamente, aiutò come potette il movimento di reazione all’errore che si produsse.

La mia opposizione aumentò la resistenza dell’Olanda a negare ogni domanda di estradizione, di cui non si potette nemmeno parlare.

La probabile condanna di Guglielmo II, che non avrebbe avuto giudici, ma nemici, parve così mostruosa, che perfino il Re Giorgio V di Inghilterra volle esprimermi il suo compiacimento per avere io impedito un processo così iniquo e assurdo.

In quella occasione ci trovammo di fronte a un’assurdità ancor più grande, determinata da un’altra disposizione del Trattato.

I tedeschi erano accusati di crudeltà in guerra. Certamente ne avevano commesse e anche non poche. La crudeltà in guerra non è eccezione, ma non è mai solo da una parte.

Ma siccome si volevano aumentare le responsabilità dei tedeschi, sopra tutto, e aumentare le riparazioni, le cause di crudeltà non si limitarono a casi isolati, ma assunsero grande estensione. Si parlò per la Germania e l’Austria Ungheria di un numero enorme di condannabili e si preparavano liste di tedeschi da giudicare per crudeltà a centinaia di migliaia.

Bisognava ottenerne la estradizione e poi portarli a Parigi e giudicarli.

Era l’assurdo.

Come si poteva pretendere che i paesi vinti consegnassero ai vincitori centinaia di migliaia di ufficiali e che si mandassero a Parigi per farli giudicare? Come potevano essi piegarsi a questa assurda umiliazione? e come gli Stati vinti potevano consentire?

Erano cose nello stesso tempo assurde e inumane.

Io proposi una soluzione che da principio sollevò obiezioni e anche proteste nella conferenza: ma poi si impose. Era la logica stessa che la imponeva.

Se fossi stato uomo di Governo germanico, io non avrei mai accettato l’errore morale di consegnare al nemico vincitore centinaia di migliaia di ufficiali per farli giudicare da chi non ne poteva avere il diritto né la possibilità di giustizia.

Proposi allora che il giudizio di responsabilità degli ufficiali per atti di crudeltà loro attribuiti fosse dato alla stessa Germania e che la Corte di Lipsia ne fosse investita.

Era la soluzione più logica e che salvava la dignità dei vinti e la serietà dei vincitori.

Posso dunque dire di essere stato il maggior «fornitore» della Corte di Lipsia.

Washington e Lipsia, benché siano anche cose diversissime e hanno potuto corrispondere a situazioni speciali, non hanno dunque nulla di comune con la progettata Corte costituzionale italiana.

Accenno appena al Tribunale di Losanna, che per la Svizzera adempie funzione essenzialmente, se non esclusivamente, giudiziaria.

Che cosa dovrebbe essere la Corte costituzionale italiana? Né Washington, né Lipsia, né Losanna, ma un prodotto di fantasia senza precedenti.

L’articolo 126, l’articolo base che fissa le attribuzioni fondamentali della Corte costituzionale, è un magnifico Liebig di stravaganze che io conosca in questa materia.

«La Corte costituzionale giudica della costituzionalità di tutte le leggi».

Giudica dunque, come si vede in seguito, in permanenza di tutte le leggi.

«Risolve tutti i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, fra lo Stato e le Regioni, fra le Regioni».

Corte di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti, che in realtà compiono seriamente gran parte di queste funzioni, sono di fatto abolite.

Infine vi era una disposizione unica al mondo, io credo, in tutti i paesi civili.

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

Chi sono i componenti della Corte costituzionale?

Solo nell’articolo 127 si apprende che la Corte è composta per metà di magistrati, per un quarto di avvocati e «docenti di diritto», per un quarto di cittadini eleggibili ad ufficio politico (sic).

«I giudici della Corte sono nominati dall’Assemblea Nazionale».

L’Assemblea Nazionale era una mostruosa invenzione concepita come prodotto di elefantiasi di cose ignote in tutto il mondo. Era composta dei membri del Senato e della Camera dei deputati riuniti (circa un migliaio di persone): una superassemblea di natura nuova e imprevedibile.

L’Assemblea doveva fare la scelta dei giudici essendo quasi del tutto incompetente!

Il numero dei componenti la Corte costituzionale era illimitato: venti, cinquanta, duecento?

La disposizione più inverosimile riguarda il Capo dello Stato.

Io non so di nessuna Costituzione di paese rispettabile che stabilisca in precedenza (vorrei dire freddamente) quale magistratura giudica il presidente della repubblica per i suoi delitti!

E in tutto questo la instabilità di tutto, incertezza delle leggi che tutti possono attaccare d’incostituzionalità: il Governo, cinquanta deputati, un consiglio regionale, diecimila elettori, ecc. Data la rissosità ch’è in non pochi partiti e in tutti i gruppi in contesa, quale sicurezza nella solidità delle leggi!

Quali sono le attribuzioni dal lato politico e giuridico che si vogliono viceversa mettere in questa Corte costituzionale? Vi è un po’ di tutto e vi sono cose che non credo possibile adottare senza pericolo. L’idea di una Corte costituzionale che abbia enormi e indefiniti poteri avrebbe per solo effetto di turbare profondamente la vita dello Stato.

La disposizione relativa al Presidente della Repubblica (giudicabile in permanenza) io non ho trovato prima d’ora in nessuna altra Costituzione!

E chi nomina i giudici che hanno tanta autorità che possono giudicare anche il Presidente della Repubblica?

Quando si pensi che negli Stati Uniti l’Alta Corte risulta di poche persone che giudicano! Qui, quanti prima o dopo saranno? E quale strana mischianza di uomini più diversi, dai giudici ai professori o, come si dice «docenti» che vengono delegati dalla Corte e restano in servizio permanente. Si parla di durata così lunga per il loro ufficio! Gli individui preposti a questo importante ufficio come sono scelti? Da chi e in quale numero? È un criterio di parte? Ho cercato invano il numero di essi, perché la prima cosa che dà l’idea della serietà di un tribunale è il numero e la scelta dei giudici.

Se voi avete un tribunale molto numeroso dite a priori che non è un tribunale serio. Qui è un numero indeterminato, perché, evidentemente, con l’idea di sodisfare onesti appetiti o le spiegabili richieste degli uomini che si sentono degni di essere della Corte Suprema, si vuol avere margine sufficiente per la scelta. E questa mancanza di determinazione a quale risultato può portare? Potete fare una Corte Suprema, se volete, con attribuzioni precise, non una Corte numerosa, con compiti indeterminati.

I giudici, dice qui l’articolo 127, sono nominati dall’Assemblea Nazionale. Ora fortunatamente l’Assemblea Nazionale non esiste più…

PERASSI. Ha cambiato nome.

NITTI. No, è soppressa come organo permanente perché era troppo ridicola cosa. Si dà il nome di Assemblea Nazionale quando le due Camere si riuniscono per funzioni determinate e brevi, com’è naturalmente l’elezione del Presidente della Repubblica, la dichiarazione di guerra, come poteva essere (e fortunatamente non sarà più) la concessione dell’amnistia. Qui si tratta di funzioni di carattere permanente o che hanno una lunga durata e questo tribunale dovrebbe essere composto appunto da persone che vi si dedicano durevolmente. I giudici della Corte costituzionale sono nominati dunque dall’Assemblea Nazionale. Per la categoria dei magistrati, avvocati e «docenti di diritto» la nomina ha luogo su designazione in numero triplo di nomi. Si vuole che sia eletto come in alcune Assemblee popolari; si fa una terna e si sceglie. Vedete facilmente come questa mischianza di uomini diversi non ha né una base comune, né idea vera di selezione.

Chi designerà i nomi? Quando avremo tolto di mezzo l’Assemblea Costituente sarà il Senato, la Camera dei deputati o le Camere riunite? Non vi è nessuna indicazione o determinazione.

I giudici durano in carica nove anni, e di che mai potranno occuparsi? Si specializzeranno in permanenza della incostituzionalità delle leggi? e su proposta non solo di magistrati seri e ponderati ma su elementi e persone più diversi.

L’incostituzionalità delle leggi, dunque, non viene dal dubbio del magistrato che, nell’emettere una sentenza, si trova in imbarazzo e può quindi rivolgersi alla Corte Suprema, ma viene da chiunque lo voglia. Perfino se qualche Regione o un certo numero di cittadini vogliono darsi il lusso di far risolvere una questione, possono benissimo far perdere tempo. La Magistratura richiede semplicità, continuità, chiarezza. Basta invece che rappresentanti di Regione si riuniscano e si trovino in dissenso fra loro, per ricorrere immediatamente con un pretesto qualsiasi alla Corte Suprema.

La dichiarazione di incostituzionalità può essere, come abbiamo detto, promossa in via principale dal Governo, da 50 deputati, dai Consigli regionali, da non meno di diecimila elettori, o da altri enti ed organi a ciò autorizzati dalla legge sulla Corte costituzionale.

Ora, come vedete, noi mettiamo ogni momento tutto in discussione. Basta un certo numero di cittadini che vogliono avere la curiosità di risolvere un problema, ed ecco che la Corte costituzionale ne è investita. Come potrebbe rifiutarsi quando la legge è così esplicita? Domani 50 deputati vogliono far risolvere un quesito che piace a loro e vanno alla Corte costituzionale. Ci sono non pochi partiti che non hanno 50 deputati, ma tutti possono trovare diecimila elettori. Anche nei partiti meno numerosi questo numero è facilmente superato.

Alla Corte costituzionale non si deve andare per consultazione, ma per questioni precise e concrete e in casi concreti. Prospettare questioni litigiose per avere il piacere di risolverle in un modo o in un altro, non è cosa seria.

Di questa indeterminata Magistratura, che andiamo a costituire, non sono chiari né la funzione, né il potere, né il funzionamento. Lasciate che questo problema si risolva da sé.

Per questioni che dovrebbero essere proposte alla Corte costituzionale vi sono organi amministrativi come il Consiglio di Stato.

Ora vi sono la Cassazione e il Consiglio di Stato. Perché dobbiamo cercare altre vie se quelle già tracciate non presentano inconvenienti? Dobbiamo al contrario trovare il modo di non creare nulla di fantastico. E però, per rimanere nella realtà e nella logica, io ho proposto di ridurre a un solo articolo di legge tutta la materia di questo Titolo.

E al di fuori di questo articolo bastano le magistrature amministrative ordinarie, senza fantasticherie, ingombranti e dispendiose aggiunzioni.

La forma da me proposta è semplice:

«Quando nel corso di un giudizio è sollevata questione di incostituzionalità di una norma legislativa, la decisione è rimessa alla Corte di cassazione a sezioni unite.

«La legge determina le norme per il funzionamento della Corte».

Questa è funzione essenziale della Corte di cassazione nei paesi dove esiste.

Voi volete che la Corte di cassazione sia libera da ogni influenza e rimanga al di fuori delle controversie politiche. Ciò è necessario ed è cosa che deve esser voluta da tutti. Ma noi dobbiamo dare alla Corte di cassazione (che fortunatamente sarà unica: Dio ci scansi che fossero introdotte diverse Corti di cassazione!) un grande prestigio, che sia garanzia suprema per i cittadini.

Lasciamo dunque da parte le fantasie giuridiche e politiche e le cose vane! Mi auguro che si rinunzi alla discussione di questi articoli, dal 126 al 129.

Mi auguro ed auguro a voi di non impigliarvi in questa selva di contraddizioni, di errori e di visioni strampalate com’è la Corte costituzionale progettata.

Questa Corte costituzionale, inventata non so da chi, sarebbe destinata all’insuccesso; perché è fatua fantasia di cosa che non esiste in nessun paese e che realizzandosi non contribuirebbe al nostro prestigio.

Qui non è nessuna idea politica: si può essere comunisti, democristiani, liberali; si può appartenere a tutte le gradazioni dei partiti, sempre così numerosi e sempre disposti a suddividersi; si può appartenere ad un partito numeroso o piccolo; ma il problema rimane lo stesso. La progettata Corte costituzionale non deve esistere per la nostra serietà.

E noi tutti egualmente dovremmo tenere alla nostra serietà. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino Gesumino ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: La Corte costituzionale giudica della, aggiungere la parola: giuridica».

Ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO GESUMINO. Naturalmente, onorevoli colleghi, l’approvazione o il rigetto del mio emendamento debbono essere una conseguenza diretta della istituzione nella Costituzione della Corte costituzionale, perché, se eventualmente fosse accolta la tesi prospettata, con la sua grande autorità, dall’onorevole Nitti, e dall’onorevole Bertone, il mio emendamento non avrebbe più ragione di sussistere.

Io infatti tendo, con l’emendamento da me proposto, a far includere nella dizione dell’articolo 126 la parola: «giuridica», in modo che in sostituzione dell’attuale formulazione: «la Corte costituzionale giudica della costituzionalità di tutte le leggi», si dica: «la Corte costituzionale giudica della giuridica costituzionalità di tutte le leggi». Illustrerò molto brevemente le ragioni di questa mia proposta.

Innanzitutto, necessariamente deve essere respinta la tesi della superfluità, dell’assurdità e della dannosità dell’istituzione della Corte costituzionale. Mi permetto di fare una semplice osservazione al riguardo.

Qui si è detto che l’organo che istituiamo nella Carta costituzionale è assolutamente nuovo nel campo del diritto di tutte le nazioni del mondo. Rispondo subito che se questo è parzialmente vero, non è un’obiezione dalla quale si può derivare la negazione della necessità dell’istituzione in Italia di questa nuova formazione organica a tutela del diritto costituzionale Infatti noi in Italia abbiamo, attraverso faticosissimi studi e lunga elaborazione, formato questo istituto a garanzia delle norme fondamentali della Costituzione, che noi stessi abbiamo approvato, perché, amico Bertone, il dilemma non mi sembra affatto superato.

O noi continuiamo a credere nella necessità che la Costituzione da noi approvata debba rimanere rigida, vale a dire inviolabile dal comune Parlamento, oppure adattiamoci ad aderire al concetto che la Costituzione debba rimanere come era già lo Statuto albertino, sottoposta alle variazioni della comune legislazione. Ed allora, in questo secondo caso, sarebbe certamente più opportuna l’istituzione di una Corte la quale garantisse il giudizio della costituzionalità di tutte le leggi.

Ma poiché siamo tutti d’accordo nel riconoscere che il principio informatore di tutta la Costituzione è quello della rigidità delle sue norme, vale a dire il principio che le norme costituzionali fissate debbano essere non violabili dal futuro Parlamento, mi pare inderogabile necessità che a garanzia di questa inviolabilità sia creato un tribunale eccezionale. Perché esattamente l’onorevole Nitti ha detto che si tratta della creazione di un tribunale eccezionale.

Ma è eccezionale la funzione che noi attribuiamo a questo tribunale, perché la obiezione continuamente sollevata che la Magistratura ordinaria abbia in sé la facoltà di controllare la costituzionalità delle leggi – secondo il mio sommesso avviso – contiene un profondo errore. Infatti, finora non è esatto dire che la Magistratura abbia avuto la facoltà giuridica di controllare la costituzionalità delle leggi. La Magistratura ha avuto, perché era nell’essenza stessa della sua funzione averla, la facoltà di controllare la formale costituzionalità delle leggi. Cioè la Magistratura ha avuto quest’unico potere: esaminare se si trovava di fronte ad una legge nel senso formale, cioè una legge che fosse stata approvata dagli organi competenti, promulgata e sanzionata nelle forme costituzionali, ma non aveva nessuna autorità, e non l’ha mai avuta, e nessuna competenza di indagare nel merito della legge, se cioè la legge nel merito, cioè nel senso materiale, come dicono i giuristi, fosse una legge costituzionalmente legittima. Ora, questo enorme potere noi lo diamo o alla Magistratura ordinaria, se si segue la tesi dell’onorevole Bertone, o a questo nuovo istituto, che vogliamo formare, se si segue la tesi del progetto di Costituzione. Ed è un potere che esorbita, dirò così, ontologicamente, dai poteri normali della normale Magistratura, la quale ha il potere, per la sua stessa essenza costituzionale, di applicare la legge, di interpretare la legge, ma non di indagare se la legge è degna o no di essere applicata o se è in contrasto con la Costituzione che domina tutta la comune legislazione.

E mi spiego più semplicemente. Il potere di controllare nel merito la legge parlamentare, consiste in questo potere formidabile: il potere di controllare l’operato del Parlamento. Non mi pare che sia l’essenza della funzione della Magistratura ordinaria questa suprema funzione di controllo. Ora, se noi dessimo alla Magistratura ordinaria, sia pure organata come noi l’abbiamo organata, in autonomia e in sovranità, un potere di controllo su l’opera legislativa del supremo organo dello Stato, mi parrebbe veramente dare alla Magistratura un potere che esorbita dalle sue normali funzioni.

Quindi, in questo senso, da questa considerazione, esurge l’assoluta necessità o di creare nella Magistratura ordinaria un organo diverso, fornito di poteri diversi da quelli naturali, oppure, e mi pare più semplice, creare un organo che abbia il compito esclusivo di giudicare della costituzionalità delle leggi. Soltanto, mi sembra che nella formulazione legislativa dei poteri affidati a questo organo, si sia errato, perché certamente il giudizio sulla costituzionalità di tutte le leggi non può essere un giudizio indeterminato nei fini e nelle competenze, perché il giudizio sulla costituzionalità ha un aspetto formale, di cui ho testé parlato, ed era quel controllo che ha esercitato la Magistratura ordinaria, controllo di pura forma, controllo sulla legalità formale della legge. C’è un secondo controllo, molto più profondo e molto più grave, controllo che tocca le radici stesse della legge, ed è il controllo che riguarda l’adesione della legge alla legge fondamentale da cui deriva e che non può essere violata. In fondo, noi, creando la legge costituzionale, abbiamo creato una legge base, una legge limite per il legislatore. Il compito del controllo costituzionale del futuro organo, si deve limitare all’accertamento se questo limite costituzionale nel merito è stato osservato. Ma, compiuto questo esame, esaminato cioè se la norma della legge futura in qualche cosa contrasti o esca fuori dei limiti fissati dalla legge costituzionale, esaurito questo compito – e vi ripeto che è compito formidabile – quest’organo nuovo costituzionale non può compiere una terza indagine nella quale pure si potrebbe vedere un compito di giudizio costituzionale della legge.

Cioè l’indagine che riguardi una essenza della legge in quanto merito della disposizione, in quanto motivazione, scopo, finalità, che può essere contrastante con l’essenza e la finalità della legge costituzionale.

Concludendo, non essendo possibile ammettere questa indagine ontologica sulla natura della disposizione, l’indagine di questo nuovo ente si deve limitare alla indagine strettamente giuridica tra norma costituzionale e norma legislativa. Quindi, l’indagine sulla costituzionalità delle leggi che noi attribuiamo a questa Corte deve essere di natura giuridica, perché questo è il suo vero scopo.

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Colitto così formulato:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Corte costituzionale giudica della violazione di tutte le norme costituzionali».

L’onorevole Colitto è assente.

MASTROJANNI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Colitto.

PRESIDENTE. L’onorevole Mastrojanni ha facoltà di svolgerlo.

MASTROJANNI. Riteniamo che la dizione secondo la quale la Corte costituzionale giudica delle violazioni di tutte le norme costituzionali, meglio specifica il carattere, la natura e i compiti della Corte costituzionale stessa; nel testo si dice semplicemente che «giudica della costituzionalità della legge».

Poiché il giudizio nel nostro caso è la conseguenza di una presunta violazione alla Costituzione, sembra a noi che la nostra formulazione risponda meglio allo scopo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento, già svolto, dell’onorevole Colitto:

«Al primo comma, alle parole: di tutte le, sostituire la seguente: delle».

MASTROJANNI. Faccio mio anche questo emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Perassi così formulato:

«Al primo comma, dopo le parole: le leggi, aggiungere le parole: e dei decreti aventi valore di legge».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Il mio emendamento consiste nell’aggiungere al primo comma, dopo le parole: «le leggi», le parole: «e dei decreti aventi valore di legge».

Osservo che questo emendamento non ha se non un carattere di forma; perché già la Costituente ha adottato all’articolo 74 una disposizione nella quale si dice: «Per i decreti legislativi valgono le norme stabilite dalla legge in ordine al referendum popolare ed alla Corte costituzionale». Sotto questo aspetto l’emendamento proposto ha soltanto un carattere di redazione. In realtà all’articolo 74 quell’accenno alla Corte costituzionale appare prematuro. Quindi è meglio che dei decreti legislativi si parli qui insieme con le leggi.

C’è poi l’altra figura dei decreti-legge, che si è contemplata in un articolo della Costituzione; da qua la necessità di usare una espressione che preveda, accanto alle leggi, anche gli altri atti aventi valore di legge. Questa è la portata dell’emendamento.

PRESIDENTE. Le faccio osservare, onorevole Perassi, che nell’emendamento presentato dagli onorevoli Condorelli, Rossi Paolo e Cevolotto è stato tenuto conto anche del suo emendamento.

PERASSI. Mi risulta che il Comitato farà propria la formulazione proposta dagli onorevoli Rossi Paolo, Condorelli e Cevolotto, nella quale è incorporato il mio emendamento. Tuttavia, fino a questo momento, il Comitato non lo ha ufficialmente dichiarato. Comunque io non ho altro da aggiungere per quanto concerne il mio emendamento.

Vorrei invece permettermi di utilizzare i pochi minuti che mi sarebbero consentiti come presentatore di un emendamento, per affermare nella maniera più netta che, a mio avviso, questo problema della Corte costituzionale, e in particolare quello del sindacato sulla legittimità delle leggi, sia dello Stato che delle Regioni, è un problema essenziale per la nuova Costituzione. Stabilire la distinzioni tra leggi costituzionali e leggi ordinarie implica, necessariamente, che si preveda il modo come questa distinzione sia praticamente garantita. Ora, questo modo non può essere se non quello di organizzare un controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi. Su ciò non vi può essere dubbio una volta che si è accolto il principio di una Costituzione rigida e non flessibile, e lo si voglia rendere praticamente operante.

Resta il problema dell’organo, al quale si debba attribuire questa funzione di sindacato sulla costituzionalità delle leggi.

E su questo punto anche l’onorevole Nitti è d’accordo, perché anche egli ammette un giudizio sulla costituzionalità delle leggi, non soltanto formale, ma anche sostanziale. Proponendo di attribuire alle sezioni unite della Cassazione questa funzione, l’onorevole Nitti si dimostra meno contrario ad innovazioni di quello che potrebbe apparire dalle sue parole, perché dicendo che la Corte di cassazione giudica della costituzionalità delle leggi, fa un passo innanzi rispetto all’ordinamento preesistente, perché ammette la distinzione tra legge costituzionale e legge ordinaria, ed ammette che un organo giudiziario sindachi il contenuto – come giustamente ha osservato l’onorevole Mastino – della norma legislativa.

Il problema, così posto, in un certo senso, fino a questo punto, non trova, dunque, dissenzienti. La sola questione che rimane aperta è questa: a chi attribuire questa competenza di sindacare la legittimità costituzionale delle norme emanate dallo Stato o da una Regione? Questo è il problema, un problema di organizzazione.

Si vorrebbe, da parte di alcuni, che si attribuisse tale compito all’Autorità giudiziaria ordinaria o, in particolare, secondo la proposta dell’onorevole Nitti, alla Corte di cassazione a sezioni unite. È una tesi; ma una tesi contro la quale sta questa obiezione; che il giudizio sulla costituzionalità di norma giuridica, in particolare di norma giuridica legislativa, è un giudizio che è bensì giuridico (e in questo senso ha ragione l’onorevole Mastino, perché si tratta di confrontare la norma ad un’altra norma) ma è un giudizio che non si può proprio mettere sullo stesso piano di quello sulla validità di un contratto o su un qualsiasi rapporto di diritto civile.

È un giudizio profondamente diverso. Da ciò la necessità di deferirlo ad un organo adatto al carattere particolare della controversia, che ne costituisce l’oggetto.

E qui sorge la questione: giudice ordinario o no? A mio avviso, per le ragioni ora esposte, mi pare che sia assolutamente necessario pensare ad un organo speciale, che per la sua conformazione presenti i requisiti necessari per assolvere alla delicata funzione. E perciò, credo e sono sicuro di interpretare a questo riguardo il pensiero del Gruppo cui appartengo, che sia necessario pensare ad un organo distinto dall’autorità giudiziaria ordinaria, ossia ad una Corte costituzionale.

L’onorevole Nitti, riferendosi alle disposizioni del progetto, ha parlato di assurdità e di equivoco.

Mi permetto di dire all’onorevole Nitti che, forse, qualche equivoco c’è da parte sua, nell’interpretare sia le norme che abbiamo proposte, e sia anche qualche esempio straniero. Aggiungo un’ultima osservazione a sostegno della tesi fondamentale cui noi abbiamo aderito. L’onorevole Nitti propone che il giudizio di legittimità delle leggi sia deferito alla Corte di cassazione a sezioni riunite; però, nel suo testo, non si va oltre a questa norma di competenza e, in particolare, non si dice quale sarebbe l’effetto giuridico della decisione della Corte di cassazione che dichiara l’incostituzionalità di una legge.

Orbene, non dicendosi nulla al riguardo, la conseguenza sarebbe evidentemente che una sentenza della Corte di cassazione a sezioni riunite, secondo i principî generali, non avrebbe effetto se non per il caso concreto; essa avrebbe, al più, il valore di un qualunque precedente giurisprudenziale, ma non avrebbe alcun valore vincolante.

Viceversa, nel progetto nostro, la decisione della Corte costituzionale, in certi casi, avrebbe valore assoluto. Questa la differenza fondamentale.

Ora, a me pare che, per le ragioni dette in principio, non soltanto occorra creare un organo speciale, ma che occorra anche disporre che la dichiarazione di incostituzionalità di una norma, emanata con un atto legislativo dello Stato o di una Regione, importi la cessazione di efficacia della norma stessa.

NITTI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Onorevole Presidente, desidero chiarire che non ho parlato delle cose che mi sono state attribuite. Io non voglio, non desidero la Corte costituzionale in alcuna forma; la mia proposta dice soltanto che, quando nel corso di un giudizio viene sollevata la questione di incostituzionalità, la questione debba esser rimessa alla Corte di cassazione a sezioni riunite.

Il punto principale dunque è questo: non voglio che vi sia un organo, il quale decida genericamente della costituzionalità o meno delle leggi. Io ho detto che, quando nel corso di un giudizio sorga eccezione di incostituzionalità – solo quindi in questo caso – si possa immediatamente ricorrere alla decisione del magistrato; ma, quando vi sia nel corso di un giudizio, non quindi genericamente: non che su ogni questione si possa interrogare intorno alla presunta incostituzionalità.

Mi spieghi l’onorevole Relatore dove esiste questa disposizione per cui su ogni cosa, su qualunque pretesto, su qualunque dissidio, si invoca tale giudizio di incostituzionalità.

BERTONE. Onorevole Nitti, basta estendere all’esame della incostituzionalità gli articoli 37 e 41 del Codice di procedura civile.

NITTI. D’accordo.

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati già svolti i seguenti emendamenti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Risolve i conflitti di poteri dello Stato, tra lo Stato e le Regioni e fra le Regioni».

Monticelli.

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Risolve i conflitti di potere fra gli organi costituzionali dello Stato, fra lo Stato e le Regioni, fra le Regioni».

Caccuri.

L’onorevole Grassi ha presentato un emendamento al secondo comma inteso alla soppressione delle parole «fra i poteri dello Stato».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Preti ha presentato un emendamento soppressivo dell’ultimo comma. Ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Io ho presentato un emendamento soppressivo dell’ultimo comma, il quale dice:

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

Ora, a me sembra che noi già abbiamo cominciato a preparare in Italia il Governo dei giudici, proclamando l’indipendenza, l’autonomia, ecc., della Magistratura.

Una voce al centro. Non esageriamo!

PRETI. Speriamo che io mi sbagli! Comunque, per venire all’argomento, dirò che mi sembra veramente eccessivo, per non dire altro, attribuire ad un organo composto di magistrati il potere di giudicare il Presidente della Repubblica o i Ministri: e di giudicarli – dico – non solamente in ordine alla responsabilità penale, ma, dato il tenore di un articolo in precedenza approvato, anche in ordine alla responsabilità politica. Ora questa assurdità è già stata fatta rilevare dall’onorevole Nitti, e credo che non occorre aggiungere una parola di più. Del resto mi sembra che anche l’onorevole Mortati, che fu uno dei compilatori di questo articolo, si sia convinto che questo comma, così com’è, non può andare.

Aggiungo però un’altra cosa: che ascoltando quanto hanno esposto l’onorevole Bertone prima e poi l’onorevole Nitti, mi sono convinto che in effetto la soluzione da loro proposta è la migliore; e voterò, quindi, a favore dei loro emendamenti. Convengo con essi nel ritenere che la Corte costituzionale rappresenta un pericoloso appesantimento della nostra Costituzione.

L’onorevole Nitti ha proposto che il giudizio di costituzionalità sia deferito alla Corte di cassazione a sezioni unite. Ora, io non ci trovo nulla di strano. (Interruzioni al centro). Naturalmente l’onorevole Perassi ha fatto una giustissima osservazione, da quel grande giurista ch’egli è. Ha, cioè, osservato che la sentenza della Corte di cassazione potrà solamente avere valore per il caso concreto. Ed è logico, perché, se l’efficacia della sentenza della Corte di cassazione potesse estendersi al di là del caso concreto, noi addirittura metteremmo la Corte stessa al di sopra del Parlamento. D’altronde non mi sembra che noi dobbiamo andar oltre, sino a richiedere un giudicato avente efficacia erga omnes. Una volta che la Corte di cassazione abbia pronunciata la incostituzionalità di una legge, spetterà poi al Parlamento, nella sua responsabilità politica, trarne le conseguenze. Il Parlamento, che esprime la sovranità della Nazione, farà come meglio crederà. E se la Suprema Corte di cassazione avrà bene giudicato dell’incostituzionalità della legge, un Parlamento democratico prenderà le opportune decisioni.

PERASSI. E se non le prende?

PRETI. Se poi presupponiamo di essere di fronte ad un Parlamento non democratico, io credo che non valga più né la Corte costituzionale, né la Corte di cassazione, né niente, come dimostrano certi esempi recentissimi.

Però resterebbe da risolvere, naturalmente, un problema: chi giudica cioè dei famosi conflitti fra le leggi dello Stato e le leggi della Regione?

Orbene, sia perché non ho la pretesa di avere una preparazione giuridica tanto notevole da squadernare proposte a tambur battente in tale delicata materia, sia perché mi propongo di essere brevissimo, non voglio stare ad esporre una soluzione di questo problema. Comunque – e faccio un’osservazione che giuristi molto maggiori di me potranno sviluppare – io osservo questo: se le leggi della Regione contrastano con quelle dello Stato – e questo è ammissibile – ebbene, sarà la legge stessa dello Stato ad intervenire, proclamando la nullità delle norme emanate dalle autorità regionali.

Perché non dobbiamo dimenticare che le leggi della Regione sono sì norme legislative, ma norme subordinate nei confronti della legge formale emanata dal Parlamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Benvenuti, Bettiol, De Caro Gerardo, Rumor, Vicentini, Cremaschi Carlo, Lazzati, Carbonari, Bianchini Laura, Roselli:

«Aggiungere all’ultimo comma le parole: nonché i ricorsi dei deputati e dei senatori proposti per violazione di legge contro le decisioni di ciascuna Camera in materia di verifica dei poteri».

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. L’onorevole Benvenuti mi ha incaricato di far mio questo suo emendamento. E desidererei parlare prima contro la soppressione dell’intero titolo, e poi sull’emendamento Benvenuti.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, ha facoltà di parlare, nei limiti di tempo consentiti dal Regolamento.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi, come ho detto, mi occuperò innanzitutto della proposta di soppressione dell’intero titolo.

Al termine della nostra attività costituente affiora uno dei problemi più profondamente sentiti nel nostro tempo. Non condivido affatto l’opinione di qualche isolato collega che ha negato l’attualità della questione. Fin dall’inizio dei miei studi giuridici ho notato la preoccupazione degli animi più anelanti alla libertà di giungere a impedire gli abusi del potere legislativo.

I legislatori italiani hanno costantemente mirato a portare la nostra società in condizioni migliori di quelle in cui era nel Medio Evo. Il signore feudale era allora colui che usava ed abusava di ogni potere. Oggi il potere pubblico spetta allo Stato, e, quindi, di fronte allo Stato è necessario poter difendere tutti i cittadini.

Ma se è stato provveduto a impedire gli abusi del potere giudiziario e di quello amministrativo, non sono state ancora trovate garanzie sufficienti contro gli abusi del potere legislativo.

Pongo la mia argomentazione in questi termini: come nel secolo passato si è mirato a realizzare la giustizia amministrativa, così adesso dev’essere nostro compito e nostra fondamentale aspirazione realizzare anche la giustizia legislativa. Dopo avere provveduto a garantire il singolo contro il potere amministrativo dello Stato, dobbiamo preoccuparci di garantirlo contro gli abusi del potere legislativo.

Qui è il problema, qui la sostanza di tutto questo titolo e la ragione per cui noi sosteniamo che l’istituzione di una Corte costituzionale costituisce una garanzia per tutto il sistema, nonostante gli inconvenienti e i difetti che possa presentare il progetto di Costituzione.

Anche quando si trattò di porre un controllo sopra gli atti amministrativi sorsero lo stesso problema e le stesse difficoltà. Difficoltà che adesso esamineremo. Ma come allora si cominciò dall’istituire una quarta sezione del Consiglio di Stato, che ha portato poi allo svolgimento di quel sistema di giustizia amministrativa che oggi viene attentamente studiato da tutti i Paesi del mondo, perché costituisce realmente qualcosa di organico e di completo, così ora propongo di trovare un sistema di giustizia legislativa che possa essere modello anche per i sistemi legislativi delle altre nazioni.

È stato detto che il progetto di Costituzione si è ispirato a modelli stranieri; è stato detto che la Corte costituzionale sarebbe inutile. Respingo l’affermazione secondo cui avremmo imitato ordini costituzionali stranieri.

Noi ci siamo ispirati a quel patrimonio di giurisprudenza, a quel patrimonio di organizzazione giurisdizionale e di legislazione, a cui alludeva il primo oratore che mi ha preceduto stamani. Non vogliamo imitare organizzazioni straniere; vogliamo semplicemente completare il sistema che in Italia può trarre vantaggio dai principî già elaborati in altri rami dell’ordinamento.

Propongo di seguire, per risolvere il problema della giustizia legislativa, un procedimento simile a quello adottato in altri campi, simile a quello che i romani dicevano sistema della fictio, finzione intesa non come menzogna, ma come metodo di plasmare, di fare «come se», secondo il significato latino del verbo «fingere».

Appunto per procedere quasi per analogia mi propongo di esaminare quello che è avvenuto, allorché si è trattato di realizzare la giustizia nell’amministrazione, vedendo se quei principî non possano servirci di insegnamento nel campo legislativo.

Vorrete scusare se qui sollevo in sostanza di nuovo il problema; nella Commissione dei Settantacinque, però, siccome si era vicini al termine, entro cui occorreva completare il progetto, non fu possibile esaminare il problema con tutta la profondità e la tranquillità che l’importanza dell’argomento avrebbe richiesto. Allorché sorse il problema, di ammettere un controllo giurisdizionale sopra gli atti amministrativi, sorse la difficoltà: l’atto amministrativo è atto sovrano; se ammettiamo un controllo su di esso, trasferiamo la competenza a svolgere attività amministrativa in quegli organi che possono sindacare gli atti amministrativi. Si riuscì, tuttavia, a risolvere ugualmente il problema, e in maniera da rispettare il fondamentale principio della divisione dei poteri.

Infatti si utilizzò un organo amministrativo che già esisteva, come il Consiglio di Stato, e gli furono attribuite quelle funzioni di controllo sull’amministrazione che dettero origine alle giurisdizioni amministrative.

Ritengo che, utilizzando gli stessi principî – dei quali si è dimostrata la bontà – noi potremo in maniera analoga fare in modo che sorgano delle giurisdizioni legislative.

Ma la cosa a cui tengo in particolare è che venga affermato il principio: esiste la possibilità di controllo anche sull’esercizio della funzione legislativa.

Senza dubbio sorgono difficoltà, allorché si tratta di stabilire quale sia l’organo che deve essere investito di queste funzioni. A chi attribuire il controllo sulla legislazione?

Innanzi tutto bisogna stabilire di che natura deve esser l’organo. La Corte costituzionale, che noi stiamo per istituire, dovrà – in altri termini – essere organo giurisdizionale o legislativo?

Secondo la mia opinione, per salvare il principio della divisione dei poteri nello stesso modo in cui lo si salvò allorché si trattò di istituire le giurisdizioni amministrative, sarebbe opportuno fare in maniera che i nuovi organi abbiano anch’essi, almeno in un certo senso, natura legislativa. Da qui la necessità che della Corte costituzionale facciano parte anche membri eletti dalle Assemblee legislative.

Questa necessità si desume anche dal fatto che l’organo, a cui si affida la funzione legislativa, normalmente non esercita semplicemente funzioni legislative, ma anche, in un certo senso, un’attività politica intesa come controllo politico. E per controllare la costituzionalità delle leggi è anche necessario l’esercizio di un controllo politico.

È stato detto che non esistono principî di cui la Corte costituzionale debba garantire il rispetto. Ma è proprio su questo punto che sorge il nostro dissenso. Noi abbiamo fede nella esistenza di principî che il legislatore deve semplicemente tradurre in legge.

In altri termini, ci rifiutiamo di aderire alla opinione secondo la quale è legge tutto e soltanto ciò che il legislatore ha positivamente sancito. Abbiamo visto a quali conseguenze abbia portato l’abuso del potere legislativo; e come ogni partito sinceramente democratico si propone di realizzare gli ideali della libertà e della giustizia sociale, così questa giustizia sociale e questa libertà noi vogliamo che vengano garantite anche con un adeguato sistema di giustizia legislativa, che ci garantisca contro gli abusi del potere legislativo.

Senza dubbio gli articoli del progetto presentano alcuni difetti, i quali risentono della rapidità con cui sono stati formulati. Ma i difetti non debbono impedirci di affermare il principio della Corte costituzionale, che ci garantisca appunto contro quel pericolo di statolatria, contro quel pericolo del positivismo giuridico, che ha caratterizzato il secolo scorso, secondo il quale, in base alla concezione hegeliana, il diritto non era altro che la volontà dello Stato. Quello che lo Stato voleva era diritto, anche se in contrasto con le più fondamentali esigenze dell’animo umano. Abbiamo visto nella legislazione razzista le leggi che hanno calpestato i più elementari diritti dell’uomo.

Ho sentito ricordare dall’onorevole Presidente, che ha parlato prima di me, come, alla fine della guerra 1915-1918, si pensasse ai processi per delitti internazionali. Processi che hanno avuto effettivamente luogo dopo la recente guerra mondiale.

Sono stato come osservatore del Governo italiano ai processi che si sono svolti a Norimberga e a Dachau. Ma la mia opinione è diversa dallo scetticismo dell’oratore suddetto, in quanto ritengo che siccome vi sono alcuni fondamentali diritti dell’uomo, che non possono essere violati da abusi della legge, così è necessario che una giurisdizione per difenderli esista. Simile giurisdizione, specialmente all’inizio, avrà i suoi difetti, ma la possibilità di controllo servirà ad impedire abusi futuri e l’abuso delle nostre leggi, l’abuso riscontrabile in alcune leggi, è derivato da questo fatto: che il legislatore si sentiva tranquillo, sentiva che sopra di lui non vi era nessuno in grado di controllare quello che stabiliva essere diritto. Per tale motivo insisto sopra l’affermazione di principio, anche se sarà opportuno limitarsi a pochissime disposizioni. Lasciamo che, come si è evoluto il sistema giurisdizionale amministrativo, così si evolva e perfezioni il nostro sistema di giustizia legislativa.

Come proposta pratica per sanare l’esigenza, cioè per sodisfare l’esigenza del controllo sulla legislazione e sodisfare anche l’esigenza della divisione dei poteri, ritengo sarebbe opportuno fare in maniera che l’organo investito della giurisdizione legislativa fosse emanazione del potere legislativo. Come ottenere simile intento? È un problema che ha le sue difficoltà, ma che potremo risolvere. Mi limito ad esporre una opinione personale che potrà essere studiata, esaminata e sviluppata successivamente. Se per esempio ammettessimo, come nel Belgio, che la Corte dei conti fosse emanazione del potere legislativo, così noi, seguendo un sistema analogo a quello seguito per la giustizia Amministrativa, potremmo istituire una sezione speciale della Corte dei conti, alla quale attribuire appunto le funzioni di Corte costituzionale.

È semplicemente una idea, è un’ipotesi che espongo, una proposta che faccio, appunto perché si tenga presente l’opportunità che l’organo investito della giurisdizione legislativa, per rispettare il principio della divisione dei poteri, venga desunto dallo stesso potere legislativo.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la prego di concludere.

CODACCI PISANELLI. Va bene.

I poteri che devono essere attribuiti alla Corte costituzionale devono essere tali da assicurare effettivamente un controllo. Bisogna distinguere, secondo me, i poteri da attribuire ai giudici ordinari da quelli da attribuire all’Alta Corte. Dovrebbe essere consentito ad ogni giudice ordinario di rilevare l’incostituzionalità di una legge; e, d’altra parte, bisognerebbe anche consentire alla Corte costituzionale di annullare completamente le leggi che risultino incostituzionali. In questa maniera noi arriveremmo a sodisfare nel campo della legislazione quel problema che abbiamo sodisfatto nel campo dell’amministrazione. D’altra parte, se si seguisse il sistema stabilito dal progetto, che cioè, una volta sollevato l’incidente di incostituzionalità, si debba necessariamente andare dinanzi all’Alta Corte, sarebbe facile prevedere la impraticità e dispendiosità del sistema.

In una causa tra persone prive di mezzi finanziari sarebbe necessario rivolgersi all’Alta Corte con perdita di tempo e denaro. Riterrei quindi opportuno consentire al giudice di rilevare l’incostituzionalità, salvo all’Alta Corte di annullare completamente le disposizioni legislative.

Finalmente, fra i poteri da attribuire all’Alta Corte, converrebbe prevedere anche la eventuale competenza a giudicare delle controversie sopra la verifica delle elezioni. Se noi ammettiamo che la verifica delle elezioni sia un atto del Parlamentò – quindi, in un certo senso, un atto di organi legislativi – e se, secondo la mia opinione, si arrivasse a concludere che l’Alta Corte costituzionale deve essere un organo di emanazione del Parlamento, sarebbe essa l’organo più indicato a risolvere simili controversie.

Ma, dalla competenza a giudicare della costituzionalità delle leggi ordinarie si potrebbe poi passare a occuparsi della competenza a esaminare le leggi costituzionali, la stessa Costituzionalità delle leggi costituzionali: problema assai più grave, che dovrebbe essere previsto e bisognerebbe per lo meno consentire un sindacato formale sulle stesse leggi costituzionali alla Corte costituzionale.

In altri termini, ritengo che, per rimediare a quegli abusi che abbiamo visto in un passato molto recente, noi dobbiamo provvedere a garantire il nuovo sistema costituzionale, e, muovendo dalla giustizia dell’amministrazione, dobbiamo giungere alla logica conseguenza delle giurisdizioni legislative. Riprendo, in altri termini, un’aspirazione già sentita in Italia, appunto perché nella legislazione, nell’uso del potere legislativo sono stati frequenti gli abusi.

Molte volte abbiamo sentito uomini di Governo, i quali, a chi gli faceva osservare che il loro operato non era legittimo, rispondevano: «stasera, con un decreto legge vi farò vedere se quello che ho fatto non è legittimo». E se non era il decreto legge, era spesso una vera e propria legge approvata da benevole maggioranze, a trasformare il torto in diritto!

Appunto per impedire questi abusi del potere legislativo, appunto per introdurre nel sistema il controllo sul potere discrezionale degli organi legislativi, i quali devono limitarsi a tradurre in iscritto un diritto che pressiate alla formulazione positiva, appunto per questo ritengo che si possa fare oggi eco al grido che nel 1880 levò Silvio Spaventa; e come egli auspicò «la giustizia nell’amministrazione» così noi oggi, istituendo la Corte costituzionale, possiamo gridare in quest’Aula: «giustizia nella legislazione!». (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli ha proposto di sostituire il secondo comma col seguente:

«Giudica dei conflitti di attribuzione e sulle usurpazioni di potere degli organi costituzionali dello Stato».

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CONDORELLI. Nella discussione di oggi e nelle discussioni precedenti, che a quella di oggi si collegano, è affiorato chiaro che indubbiamente esistono delle funzioni nuove alle quali deve corrispondere un organo nuovo. Perché, indubbiamente, se noi abbiamo predeterminato una Costituzione rigida, vi deve essere il custode di questa Costituzione, cioè chi possa dichiarare che una legge è contraria alla Costituzione. Come anche esiste un istituto nuovo nella nostra legislazione ed è l’istituto della Regione. Sorgeranno quindi conflitti fra Stato e Regioni e conflitti fra Regione e Regione. Dunque, qui il problema non mi sembra sia quello di conservare e sopprimere la Corte costituzionale, ma, se mai, quello dell’organo a cui attribuire queste funzioni, per cui la questione diventa essenzialmente nominale. Certamente la Cassazione, il Consiglio di Stato, come sono oggi previsti nella nostra legge, non sono idonei a risolvere questi conflitti, ad esercitare queste funzioni. Si potrà discutere, in fondo, se queste funzioni bisogna darle ad una Corte costituita tutta da magistrati, come potrebbe essere la Corte di cassazione, ma che ci debba essere un organo che debba esplicare queste nuove funzioni, non si può certamente discutere.

Il nostro emendamento tendeva a due finalità: si voleva prima di tutto aggiungere al controllo della costituzionalità delle leggi quello che è ovvio: il controllo della costituzionalità delle norme giuridiche che hanno il valore di legge. Io non illustro questa parte dell’emendamento, perché è stata già illustrata ampiamente dall’onorevole Perassi. Il nostro emendamento però tende ancora a chiarire e a regolare un punto di una grande importanza, perché per garantire l’osservanza e il retto funzionamento di una Costituzione non basta la dichiarazione di illegittimità sostanziale o formale delle leggi, ma è necessario pure avere un organo che dichiari le usurpazioni di poteri costituzionali. Nel progetto si prevedeva soltanto il conflitto di attribuzioni, ma evidentemente questo non era sufficiente, perché i conflitti di attribuzioni sono o positivi o negativi, a seconda che due organi si ritengano tutti e due competenti a prendere un provvedimento o si ritengano entrambi incompetenti. Questo è il conflitto. Ma vi è una figura più preoccupante di conflitto fra i poteri dello Stato, che è appunto l’usurpazione di poteri, il pericolo maggiore per la stabilità e per la conservazione di una Costituzione. È dunque necessario che la Corte costituzionale, o chi per essa, possa dichiarare l’evento dell’usurpazione, giacché i mezzi pratici attraverso i quali si attaccano le Costituzioni possono essere le leggi, ma comunemente non sono le leggi comuni o costituzionali, ma sono proprio i colpi di Stato, le usurpazioni di poteri, gli straripamenti di poteri.

Dunque l’articolo proposto dal progetto è insufficiente, non provvedendo anche la repressione dell’usurpazione di poteri.

Io vedo sorridere il Presidente, e penso che in lui vi sia l’obiezione che è del resto in me. Questa Corte costituzionale avrà il potere reale di reprimere le usurpazioni di poteri?

Anch’io sono molto scettico su questa possibilità; e l’ho illustrata ampiamente nel discorso fatto in sede di discussione generale sui titoli precedenti. Ma, ad ogni modo, bisogna pure che l’apparato formale sia completo. Io, al punto debito, all’articolo 128, propongo questo: che la Corte costituzionale si possa pronunciare anche di ufficio, senza attendere un ricorso, il quale importa un giudizio che si protrarrebbe nel tempo. Bisogna, appunto, predisporre che la Corte costituzionale possa istantaneamente, con la stessa istantaneità della usurpazione di poteri o del colpo di Stato, dichiarare la illegalità, la incostituzionalità dell’operato del potere straripante o usurpante. Che effetto avrà? Si può essere scettici; ma, comunque, i cittadini avranno indicato precisamente, dall’organo competente, da quale parte sia la illegalità.

Questa io credo sia la portata politica, morale e costituzionale dell’emendamento che noi proponiamo. (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati e Tosato hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 126 col seguente:

«La Corte costituzionale giudica dei ricorsi per violazione di legge costituzionale, escluso qualsiasi sindacato di merito contro gli atti legislativi delle Camere, del Governo e delle Regioni.

«Giudica dei conflitti d’attribuzione, nonché dei conflitti fra Stato e Regioni e fra Regioni».

«Si propone di rinviare la discussione del terzo comma».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Darò brevemente ragione dell’emendamento da me presentato. Anzitutto, si è voluto determinare con esso in modo più specifico di quanto non risulti dal testo del progetto l’ambito di competenza della Corte costituzionale.

Osservo, fra parentesi, che in questo momento io prescindo completamente dai vari problemi che attengono all’organizzazione e al funzionamento di tale organo, sia della sua composizione, sia del procedimento per l’azione di incostituzionalità, sia degli effetti della pronunzia. Noto, fra parentesi, che su questi tre argomenti il progetto è, a mio avviso, gravemente deficiente. Di questo non possiamo fare addebito agli eminenti colleghi che lo hanno elaborato, perché le deficienze in gran parte sono attribuibili sia alle difficoltà della materia, sia alla brevità del tempo concesso per la elaborazione di quest’ultima parte; che, appunto perché ultima, ha subìto una elaborazione meno perfetta, in quanto svoltasi in limiti di tempo più ristretti. La ristrettezza del tempo dedicato, purtroppo, anche a questa discussione in Assemblea – ed i limiti rigidi posti ad essa, limiti che non si sono fatti valere per alcun altro argomento – non potranno certamente giovare al perfezionamento di questo istituto, che pure dovrebbe essere considerato il più importante, perché corona l’edificio ed offre quelle garanzie, in riferimento alle quali si è svolta la nostra ormai lunga attività, rivolta alla elaborazione del testo costituzionale.

Pertanto, richiamata la importanza del problema, notate le deficienze del progetto e riservato ogni parere circa questi punti della composizione del procedimento e degli effetti, il mio emendamento ha lo scopo di delimitare semplicemente la competenza di questo organo, speciale o ordinario (lo vedremo), al quale è attribuita la cognizione della costituzionalità delle leggi, che, come è stato osservato da numerosi oratori, è necessaria in un ordinamento che pone una Costituzione rigida. La Costituzione rigida importa, infatti, un controllo della costituzionalità, anche materiale, e questo potrà essere effettuato in modo diffuso attribuendolo cioè ai giudici di tutti i gradi della giurisdizione, oppure potrà essere concentrato in un solo organo, che a sua volta potrà essere ordinario o speciale. Ma, in corrispondenza alla sensibilità politica della maggioranza dell’Assemblea, la quale nell’elaborare la Costituzione ha inteso attribuire ad essa un carattere di maggiore stabilità nei confronti della legge ordinaria, occorre dar vita ad un congegno il quale assicuri l’osservanza delle norme sancite nella Costituzione. Ora l’emendamento in esame, come dicevo, vuole delimitare in modo più preciso di quanto non faccia il progetto, l’ambito di competenza della Corte, ambito di competenza che, a mio avviso, dev’essere ristretto all’accertamento della violazione di legge costituzionale. Usando quest’espressione in luogo di quella adoperata nel testo del progetto, il quale parla di: «costituzionalità delle leggi», si è voluto rifarsi alla classica distinzione fra violazione di legge ed altri vizi degli atti statali, e così precisare che la violazione sindacabile della Corte è solo quella che si riferisce a norme precise di legge, con esclusione di ogni sindacato di quelle leggi che importino un apprezzamento discrezionale.

Per esprimere con maggiore precisione questo concetto abbiamo aggiunto alle parole: «violazione di legge», l’inciso: «escluso qualsiasi sindacato di merito», sodisfacendo così un’esigenza la quale non era sodisfatta con la generica espressione del giudizio di costituzionalità, adoperata dal progetto che si sarebbe potuto interpretare nel senso di comprendere nel giudizio stesso il sindacato materiale anche delle molte norme elastiche sostenute nella Costituzione, sindacato che importa valutazioni discrezionali, le quali avrebbero trasformato la Corte costituzionale che, secondo il nostro intento, deve essere un organo giurisdizionale, composto quindi di giuristi, in un super Parlamento, vale a dire in un organo politico.

Le stesse esigenze ora fatte valere furono manifestate dall’onorevole Martino in un suo eloquente discorso, e consacrate in un emendamento da lui proposto, e sono stato ribadite in altro emendamento dell’onorevole Mastino Gesumino da lui testé svolto. Ma io penso che fra le tre proposte, quella formulata da me e dall’onorevole Tosato è la più precisa tecnicamente, perché rende meglio il concetto che si vuole esprimere, cioè di escludere dal sindacato materiale della legge quelle norme, rispetto a cui il giudizio di costituzionalità non potrebbe compiersi se non ponendo a criterio precetti e norme di convenienza politica, che non è possibile ed è sconveniente far formulare ad organi giurisdizionali. Inoltre con l’emendamento proposto si vuole precisare che il sindacato è ammesso, oltre che per gli atti legislativi delle Camere, per quelli del Governo (ed in questo ci rifacciamo alla proposta dell’onorevole Perassi, in quanto gli atti legislativi del Governo sono da equiparare alla legge formale) ed anche per le leggi delle regioni. Questa ultima estensione di cui non è traccia altrove, sia nel progetto, che negli emendamenti, è giustificata dal fatto che, secondo l’ordinamento da noi creato, le regioni hanno il potere di legislazione primaria, nei limiti delle direttive generali poste dalle leggi statali. Si sono volute distinguere, secondo il concetto che si è affermato nella Carta costituzionale, le manifestazioni del potere di legislazione primaria delle regioni, dalle altre di carattere regolamentare, e si è infatti parlato dei regolamenti delle regioni, come di atti legislativi secondari in confronto all’attività primaria costituita dalle leggi regionali.

Inoltre, a parte il sindacato di costituzionalità, nei limiti ora visti, la Corte costituzionale dovrebbe giudicare dei conflitti di attribuzione. Ci siamo limitati a riproporre, con questo inciso, la frase classica che si legge nella legge del 1877, che si intitola precisamente ai conflitti di attribuzione. E nella nostra intenzione, la ripetizione di questa dizione, vuole significare che l’esame dei conflitti in parola noi lo vogliamo mantenere nei limiti in cui esso è contenuto dalla legge del 1877. Non credo pertanto di potere aderire alle proposte, formulate or ora dall’onorevole Condorelli, il quale vorrebbe estendere il sindacato della Corte a quelle che egli chiama le usurpazioni di potere di tutti gli organi dello Stato. Questo è un punto molto delicato, sul quale vorrei intrattenere brevissimamente l’Assemblea. Lo stesso onorevole Condorelli, autore della proposta, si è dimostrato scettico sulla possibilità pratica di una effettiva efficienza dell’intervento che fosse in tale materia attribuito alla Corte. Si è dichiarato scettico, e ben a ragione, perché evidentemente, le usurpazioni di poteri, le quali non riescano a trovare, nel giuoco degli organi predisposti per contenere le attività degli organi supremi nell’ambito della loro competenza, i loro naturali freni non potranno certamente trovarli nella pronuncia di un organo giurisdizionale. E neppure può ritenersi che risponda ad una qualsiasi utilità la dichiarazione che si è verificata una frattura della Costituzione. L’onorevole Condorelli ritiene che tale dichiarazione servirebbe ad informare l’opinione pubblica, ma evidentemente, l’opinione pubblica di un paese democratico, non ha bisogno della pronuncia di un consesso di giuristi per apprendere che si è operato, o tentato un colpo di Stato. V’è la opinione pubblica, vi sono i partiti, e tutto quel complesso di istituzioni che in una democrazia devono suscitare le manifestazioni di volontà collettive che determinano le esatte valutazioni sull’attività degli organi costituzionali, e provocano le reazioni necessarie a ristabilire l’ordine. I casi sono due: o queste reazioni vi sono, ed allora non v’è bisogno di una pronuncia da parte dell’organo giurisdizionale, o non vi sono, ed allora la pronuncia rimane lettera morta. Con questa aggravante, che l’affidarsi all’intervento dell’organo giurisdizionale può recare con sé un effetto pratico contro operante, nel senso che induce a rendere meno efficiente quelle resistenze spontanee della pubblica opinione, quelle reazioni politiche che sono le sole veramente idonee a contenere i tentativi di usurpazione di poteri degli organi costituzionali. La fiducia che vi sia un organo il quale decida e tuteli la Costituzione, rende meno efficiente l’azione dei freni politici, perché può indurre nel cittadino che deve azionarli la rinunzia alla diretta osservazione di quelle iniziative ed alla messa in opera di quelle resistenze, che sono le sole, valide a debellare le usurpazioni.

A me pare che, estendere la competenza di un organo costituzionale al caso di conflitti che hanno carattere politico, e che sono espressione di un’alterazione del rapporto delle forze politiche, sia non solo non utile, ma pericoloso, e, quindi, da escludere. L’insufficienza della Corte, al compito che le si vorrebbe attribuire, finirebbe con l’ingenerare il discredito nella sua opera, discredito destinato a ripercuotersi anche sulla parte dell’attività ad essa più propria.

Il mio emendamento, nella sua ultima parte, attribuisce alla Corte anche la conoscenza dei conflitti fra Stato e Regione e fra Regioni, in concordanza, del resto, con il testo della Commissione. Anche questo punto a me pare che abbia una rilevanza costituzionale in conseguenza del carattere di autonomia costituzionale che il progetto ha voluto assicurare alle Regioni. Assumendo siffatta attribuzione di competenza un carattere costituzionale, è giusto la sua garanzia sia affidata all’organo di cui si parla. Mi pare che per questo punto non vi siano quelle ragioni di carattere politico, cui mi sono innanzi riferito.

Circa l’ultimo comma dell’articolo 126, relativo alla questione della competenza pel giudizio sulla responsabilità penale dei Ministri e del Presidente della Repubblica, io faccio osservare che il problema è di una estrema delicatezza. L’Assemblea, a suo tempo, ha rigettato un emendamento Bettiol che tendeva a limitare in un senso strettamente giuridico la responsabilità penale del Presidente della Repubblica. Si è invece approvata una formula, che consente di affermare la responsabilità penale anche per fatti che non costituiscono reati, ai sensi del Codice penale. In questo caso il giudizio cessa di essere strettamente giuridico per assumere carattere di valutazione politica. Ed allora, si rende evidente l’impossibilità di affidare tali valutazioni allo stesso organo, cui si attribuisce la competenza di interpretazione di norme rigide. Le soluzioni possibili sono due: o si integra, per i giudizî di responsabilità, la Corte costituzionale con elementi politici, oppure i giudizî stessi si devono attribuire ad un organo diverso, che garantisca del possesso di una competenza e sensibilità anche politica.

Si rende, pertanto, necessario per questo punto un ripensamento della questione e la presentazione di nuove proposte. Per ora limitiamoci a determinare la competenza ordinaria dell’organo del controllo di costituzionalità, tenendo fermo questo criterio, che quanto più esso si contenga in limiti ristretti, adeguati alle sue possibilità effettive, tanto più si accresce la sua efficienza e si assicura il suo prestigio. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Musolino, del seguente tenore:

«Sopprimere il terzo comma e rinviarlo al Titolo primo, seconda parte del progetto, nel testo seguente:

«Le due Camere, costituite in Alta Corte di giustizia, giudicano il Presidente della Repubblica e i Ministri accusati di reato di alto tradimento».

Ha facoltà di svolgerlo.

MUSOLINO. A me sembra che la Corte costituzionale non debba essere competente a giudicare il Presidente della Repubblica e i Ministri quando siano accusati di reato di altro tradimento, perché la Corte costituzionale, così come è concepita nel progetto, è più un organo tecnico e giuridico anziché politico. Per questo modo la Corte costituzionale non deve giudicare il Presidente della Repubblica che è Primo magistrato della Repubblica; anche perché esso deve essere giudicato, secondo me, dalle Camere che lo eleggono. Infatti il Presidente della Repubblica essendo eletto dalle due Camere riceve il mandato da queste, per cui il reato di alto tradimento, il più grave che possa commettere il Presidente della Repubblica, è di natura squisitamente politica. Ritengo che questa questione sia precisamente di competenza delle Camere riunite in Alta Corte di giustizia. Lo Statuto albertino, nell’articolo 48, prevedeva che i Ministri o i senatori accusati di violazione della Costituzione e di alto tradimento fossero giudicati dal Senato riunito in Alta Corte di giustizia. Noi, trovandoci in caso differente, essendo il Senato e la Camera su parità di costituzione, per essere tutte e due elette dal popolo, tanto i Ministri quanto il Presidente della Repubblica devono essere giudicati dalle due Camere riunite in Alta Corte di giustizia, perché esse, come espressione della sovranità popolare, come organi che eleggono il Presidente e che danno la fiducia ai Ministri, devono avere la competenza di giudicare il Presidente della Repubblica e i Ministri.

Penso che questo comma debba formare un articolo da rimandare al Titolo I, seconda parte del progetto di Costituzione, perché in quella sede si tratta delle due Camere.

La Commissione di coordinamento sarà incaricata di dare il posto dovuto a questo articolo, per cui io raccomando tanto alla Commissione, quanto all’Assemblea di accogliere il mio emendamento.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.15.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 27 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 27 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Costa

Gabrieli

Mortati

Crispo

Leone Giovanni

Mannironi

Grassi

Targetti

Calamandrei

Della Seta

Persico

Gasparotto

Togliatti

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Bubbio

Mastino Gesumino

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Orlando Vittorio Emanuele

Romano

Dominedò

Rossi Paolo

Colitto

Caccuri

Cortese

Murgia

Villabruna

Macrelli

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Guido

Mastino Pietro

Zotta

Cevolotto

Adonnino

Clerici

Disegni di legge (Presentazione):

Scelba, Ministro dell’interno

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Passiamo all’esame dell’articolo 102. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Contro le sentenze o le decisioni pronunciate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso per cassazione secondo le norme di legge».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. Vi è anzitutto un emendamento soppressivo dell’onorevole Costa. Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Lo ritiro, e ne do ragione: lo ritiro, tenendo conto dell’indirizzo che ha avuto la discussione sull’articolo 101, e tramuto l’emendamento in una raccomandazione alla Commissione, in questo senso: mi sembra che la dizione «contro le sentenze» si possa sostituire con la dizione «contro le decisioni». E ciò anzitutto perché ritengo che nel concetto di «decisione» sia compreso anche quello di «sentenza», in quanto la sentenza non è altro che la esteriorizzazione della decisione. Inoltre, per una ragione che non è soltanto lessicografica, ma che, secondo me, ha anche un addentellato dottrinario, in riferimento alle dispute che si sono avute nei primi tempi di applicazione della legge sulla giustizia amministrativa. Se la Commissione ha redatto il testo intendendo sentenze degli organi ordinari e decisioni delle giurisdizioni speciali, io penso che possa aver fatto questo per eliminare quella disputa che si è avuta allorché si sosteneva (e l’onorevole Orlando era tra coloro che entrarono in questa disputa) che le pronuncie dell’allora quarta sezione non fossero sentenze; e la dottrina prevaleva nel preferire la locuzione «decisione».

Ora, in riferimento a queste dispute dottrinarie, penso sia stato intendimento della Commissione di stabilire la distinzione di cui mi sto occupando.

Ritengo, comunque, che la distinzione fatta nel testo dalla Commissione possa ingenerare l’equivoco, nel senso di far risorgere la disputa; ed ecco la ragione, non soltanto dirò così, lessicografica per cui, quando si dice «decisioni» si debba intendere qualunque pronunzia di ogni autorità che risolva un caso controverso, ivi comprese le sentenze. Conseguentemente raccomanderei alla Commissione la seguente dizione: «Contro le decisioni degli organi giurisdizionali, ecc.».

È mia opinione che questo articolo si potrebbe sopprimere senza danno, ma, ripeto, l’emendamento che tendeva alla soppressione lo ritiro, nella fiducia che basti avere fatta la or accennata raccomandazione di semplificazione e chiarificazione del testo esaminato.

Presentazione di disegni di legge.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi onoro di presentare all’Assemblea i seguenti disegni di legge:

«Norme per la prima compilazione delle liste elettorali nella provincia di Gorizia».

«Norme per la limitazione temporanea del diritto di voto ai capi responsabili del regime fascista».

«Elezione del Consiglio della Valle d’Aosta».

Chiedo che, per il primo, si adotti la procedura di urgenza.

PRESIDENTE. Do atto al Ministro dell’interno della presentazione di questi disegni di legge.

Poiché egli ha chiesto che per il primo si dichiari il procedimento d’urgenza, chiedo all’Assemblea se approva questa richiesta.

(È approvata).

I disegni di legge saranno trasmessi alla Commissione competente.

Si riprende la discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati già svolti i seguenti emendamenti:

«Sostituirlo col seguente:

«Contro le sentenze e le decisioni pronunciate in secondo grado dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali o non soggette ad appello è sempre ammesso il ricorso alla Suprema Corte di cassazione per qualsiasi violazione o falsa applicazione di norme giuridiche sostanziali o procedurali».

«Monticelli».

«Sostituirlo col seguente:

«Contro le sentenze e le decisioni pronunciate dagli organi giurisdizionali in primo o in secondo grado è sempre ammesso ricorso per Cassazione per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto sostanziale o processuale».

«Romano».

«Sostituirlo col seguente:

«Contro ogni decisione di organo giurisdizionale ordinario o speciale è concesso il ricorso per violazione di legge alla Cassazione».

«Colitto».

L’onorevole Gabrieli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 102 col seguente:

«Contro le sentenze e le decisioni pronunziate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali in secondo grado o non soggette ad appello è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto sostanziale o processuale».

Ha facoltà di svolgerlo.

GABRIELI. Onorevoli colleghi, è evidente che, dopo che l’Assemblea Costituente, con l’articolo 95, ha riservato al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti la competenza in materia di giustizia amministrativa e di giustizia in materia contabile, io non posso mantenere l’emendamento nella forma in cui era stato redatto; perché è evidente che è ammesso il ricorso alla Corte di cassazione solamente in caso di difetto assoluto di giurisdizione contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

Non posso neanche mantenere l’emendamento nella forma in cui è redatto, perché l’articolo 95 ha approvato l’esistenza o la sopravvivenza di tribunali militari.

D’altra parte, non posso consentire neanche sulla forma dell’articolo 102, in cui è detto che il ricorso in Cassazione è sempre ammesso.

Vi sono dei casi in cui non è ammissibile il ricorso in Cassazione, ed è il caso, ad esempio, in cui i tribunali militari pronunciano delle sentenze che hanno bisogno di immediata esecuzione. Quando questi tribunali agiscono al seguito di unità operanti, è evidente che in quel caso la sentenza di morte, per esempio, pronunziata per dare un esempio di disciplina a tutto l’esercito che si trova davanti al nemico, ha bisogno di immediata esecuzione e non può attendere le more di un giudizio in Cassazione o di un ricorso al Tribunale Supremo militare, per ottenere quell’adempimento immediato che è nelle finalità e nelle esigenze dell’esercito che opera dinanzi al nemico. Per questa ragione, rinunzio all’emendamento così come l’ho presentato e come figura nel primo testo originario e ne propongo un altro nel quale, togliendo il «sempre», dico: «…è ammesso il ricorso in Cassazione nei limiti stabiliti dalla legge».

PRESIDENTE. L’onorevole Caccuri ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Contro le sentenze o le decisioni pronunziate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso alla Cassazione, per qualsiasi violazione di norme giuridiche, processuali o sostanziali».

Gli onorevoli Mortati e Codacci Pisanelli hanno presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Sostituirlo col seguente:

«Il ricorso in Cassazione è sempre ammesso, secondo le norme di legge, contro le sentenze emesse dagli organi giurisdizionali ordinari.

«La Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Signor Presidente, questo articolo 102 si deve esaminare sotto due punti di vista: non solo, cioè, per il contenuto consacrato nel progetto, ma anche in ordine agli emendamenti che sono stati presentati, così da me come da altri colleghi, circa l’unicità della Cassazione.

Ora, mi pare che queste due parti dovrebbero essere affrontate in due discussioni distinte. La prima infatti di queste due discussioni, quella cioè che riguarda i poteri della Cassazione, sarebbe, a mio avviso, opportuno rinviarla a quando parleremo della Corte costituzionale, perché ci sono evidenti nessi fra i due argomenti. Io, per esempio, ho proposto un emendamento per cui i conflitti di giurisdizione dovrebbero essere prodotti non di fronte alla Cassazione, ma dinanzi alla Corte per le garanzie costituzionali. D’altra parte, altri colleghi hanno proposto la soppressione della parte del progetto riguardante la Corte costituzionale, con che hanno inteso che si attribuisca alla Cassazione il giudizio di costituzionalità delle leggi.

Questo significa dunque che, come dicevo, fra i due argomenti vi sono dei nessi così intimi che il procedere ad un esame distinto potrebbe condurre a delle disarmonie o per lo meno potrebbe farci prolungare oltre l’indispensabile la discussione. La mia proposta sarebbe, pertanto, quella di limitare per ora la discussione alla sola questione relativa all’unicità della Cassazione, rinviando l’altra in sede di esame di tutto ciò che si riferisce alla Corte costituzionale.

Se, pertanto, la mia proposta dovesse venire accolta, mi limiterei, per il momento, a svolgere semplicemente la parte che si riferisce all’unicità della Cassazione.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, non so come si possa prendere in considerazione questa sua proposta. Comunque, dovrà essere l’Assemblea a decidere, giacché la sua proposta è fondata solo su determinate opinioni che ella ha, sul suo modo particolare di considerare il problema.

E pertanto ella potrebbe senz’altro svolgere il suo emendamento anche per quanto riguarda la seconda parte.

MORTATI. Il primo punto del mio emendamento, dunque, riguarda due problemi: quello della competenza della Cassazione e quello della sua unicità. Per quanto riguarda la competenza, devo fare presente che il significato originario dell’articolo, quale era stato proposto dalla Commissione, era quello di impedire che una legge potesse escludere per qualche decisione il rimedio del ricorso in Cassazione. Senonché la sua formulazione si prestava ad una interpretazione secondo cui l’estensione del sindacato della Cassazione dovesse essere la medesima sia per le decisioni dell’autorità giudiziaria ordinaria, sia per quelle delle speciali, il che verrebbe a modificare profondamente il sistema attuale, che, com’è noto, limita il ricorso alla Cassazione contro queste ultime solo al caso del difetto assoluto di giurisdizione. Ci sono infatti degli emendamenti, come quelli dell’onorevole Merlin Umberto, dell’onorevole Romano e di altri che propongono di sancire espressamente questo principio. La mia formulazione ha lo scopo di escludere, nel modo più reciso, tale possibilità, che contrasterebbe non solo con la tradizione, ma con la logica stessa che presiede alla costituzione di giurisdizioni speciali. Infatti, il criterio, la ragion d’essere, il significato della creazione di giurisdizioni speciali sta proprio in questo: nel ritenere, cioè, che il giudice ordinario non abbia quella preparazione, quella forma mentis, quelle attitudini necessarie per interpretare certe disposizioni di legge, ed applicarle a certi rapporti determinati. È questa la ragione per cui si creano, per esempio, i tribunali militari, attraverso i quali si tende a portare nell’applicazione del Codice penale militare la concezione strettamente gerarchica e disciplinare propria dei rapporti fra appartenenti alle forze armate. Questa la ragione per cui si crea il Consiglio di Stato, ritenendosi appunto che per certe controversie che vertono fra l’amministrazione e gli impiegati, il giudice ordinario sia meno idoneo ad interpretare le leggi che si riferiscono a questi rapporti.

Quindi, se questa è la ragione della creazione di giurisdizioni speciali, a me pare che non possa essere ammesso il sindacato sull’interpretazione delle leggi data da tali giurisdizioni da parte della Cassazione, che è un organo della giurisdizione ordinaria.

Insomma, mi pare che creare una giurisdizione speciale e nello stesso tempo sottoporre le decisioni di questa giurisdizione speciale al controllo di un giudice che fa parte dell’ordine giudiziario ordinario, sia pure in grado supremo, sia una contradizione; e che, pertanto, occorra porre nella Costituzione un’affermazione esplicita che escluda tale eventualità.

Non credo neppure che si possa accettare, perché in contrasto con l’ordine di idee esposte, la proposta dell’onorevole Leone che vorrebbe fare distinzione fra alcune giurisdizioni speciali ed altre. Egli ammette che per il Consiglio di Stato e per la Corte dei conti il ricorso in Cassazione sia limitato esclusivamente all’eccesso di potere, inteso come difetto di giurisdizione, ma richiede che per le altre giurisdizioni speciali il sindacato sia più ampio, sia cioè esteso alla violazione di legge.

Una siffatta distinzione non appare in nessun modo fondata, perché se la ragion d’essere – come dicevo poco fa – delle giurisdizioni speciali sta nel presupposto che ci sia un giudice più idoneo di quello ordinario ad interpretare la legge regolativa di certi rapporti, l’esigenza del rispetto di questo presupposto porta ad escludere per tutte le giurisdizioni speciali – e non solo per alcune – il sindacato da parte della Cassazione.

Ribadisco, quindi, che, a mio avviso, tutte le volte che si sia in presenza d’una giurisdizione speciale, il sindacato della Cassazione si debba limitare soltanto all’eccesso di potere giudiziario, cioè alla mancanza o difetto assoluto di giurisdizione. Questo è il primo punto su cui mi pare necessario prendere netta posizione.

Si pone ora un secondo quesito. Il sindacato sul difetto assoluto di giurisdizione, e il giudizio, al primo connesso, sui conflitti di giurisdizione (cioè sui conflitti insorgenti fra la giurisdizione ordinaria ed una giurisdizione speciale, o fra una e un’altra giurisdizione speciale). Questi conflitti, e con essi quelli detti di attribuzione (cioè sorti fra poteri diversi dello Stato), sono stati sempre, dal 1877 in poi, affidati alla Corte di cassazione a Sezioni unite. Il progetto di Costituzione innova a questa situazione per quanto riguarda i conflitti di attribuzione, assegnati dall’articolo 126 alla Corte di giustizia costituzionale.

Il problema che ora sorge è di vedere se vi siano ragioni per attribuire alla stessa Corte anche le questioni sui rapporti fra le varie giurisdizioni. Il mio emendamento propone appunto un’innovazione in questo senso. Quali sono i motivi della deroga suggerita al sistema attuale delle competenze? Questi motivi possono riassumersi in due: anzitutto uno di carattere generale e che fu prospettato largamente in passato, che muove dalla considerazione dell’anomalia di attribuire questi giudizi ad un organo della giurisdizione ordinaria, cioè ad un organo di quel potere che in certo modo è parte in causa, perché il conflitto verte fra gli organi giudiziari ordinari e gli organi di giurisdizione speciali. Quindi era stata fatta la proposta, in passato, di creare un tribunale dei conflitti, formato in modo misto, cioè affidato non solo ai giudici di Cassazione, ma anche ad elementi tratti da altre giurisdizioni.

A me pare che a questo motivo di carattere generale a favore della creazione di un organo di carattere generale se ne sia aggiunto uno nuovo, in base al disposto dell’articolo 95, che è stato già approvato. Infatti nell’articolo 95 abbiamo stabilito l’esistenza di alcuni organi di giurisdizione speciale come il Consiglio di Stato e la Corte dei conti. Ma non solo: siamo andati più in là. Abbiamo sancito nella Costituzione alcune competenze proprie di questi organi: così, abbiamo attribuito alla Corte dei conti la competenza esclusiva sui giudizi di conto; per il Consiglio di Stato abbiamo stabilito, sempre in sede costituzionale, che ad esso spetta il giudizio circa gli interessi legittimi.

L’aver disposto nella Costituzione queste competenze specifiche ad organi di giurisdizione speciale porta a questa conseguenza: che i conflitti in queste materie, per lo meno fra organi giurisdizionali diversi, assumono rilevanza costituzionale. Quindi se un tribunale ordinario giudica in materia di conti, questo eccesso di potere giurisdizionale si traduce in un’alterazione dell’ordine costituzionale dei poteri giurisdizionali, in una violazione di Costituzione.

Il fatto che questo conflitto si svolge nell’ambito dello stesso potere giurisdizionale non modifica la conclusione alla quale io voglio giungere, perché noi abbiamo stabilito una unità non organica, ma funzionale di giurisdizione, unità funzionale che non esclude, anzi implica, secondo il sistema posto, una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi, in sistemi autonomi, ognuno dei quali fa parte a sé, ognuno dei quali ha una propria organizzazione. Quindi l’avere creato i vari sistemi giurisdizionali distinti, averli garantiti costituzionalmente nella loro competenza, nella loro reciproca indipendenza, fa assumere carattere costituzionale ai conflitti che dovessero sorgere in ordine alle rispettive competenze.

Quindi, a me pare che ci sia una ragione maggiore di quella che si adduceva in passato per indurci a sottrarre alla Cassazione i giudizi sui conflitti di giurisdizione e per attribuirli a questo organo nuovo che dovrebbe essere istituito e che, essendo in questo modo al di sopra dei vari poteri, appare il più idoneo a giudicare dei conflitti che vertono fra organi che, pur appartenendo allo stesso potere, sono autonomi nella loro competenza ed autonomi nella composizione ed organizzazione.

Queste, in breve, le ragioni a giustificazione dei due emendamenti, sia di quello che dovrebbe essere inserito nell’articolo 102, sia dell’altro che dovrebbe trovare il suo posto, come aggiunta, all’articolo 126, dove sono contemplate le garanzie costituzionali.

Per quanto riguarda l’altra parte del mio primo emendamento circa la unicità della Cassazione, dirò brevissime parole, anche perché penso che vi saranno molti altri oratori dell’Assemblea che interverranno su questo punto.

Vorrei semplicemente notare che le ragioni che sono state addotte in ordine alla pluralità delle Cassazioni e che sono state desunte dal carattere decentrato che è venuto ad assumere il nostro Stato, non hanno ragione d’essere, non giustificano, non dànno alcuna nuova giustificazione maggiore di quelle tradizionalmente addotte in passato a favore della pluralità delle Cassazioni. Infatti noi abbiamo escluso che il decentramento potesse estendersi alla funzione giudiziaria, il che mi pare trovi la sua ragione d’essere nella considerazione che il decentramento attuato non è un decentramento di carattere federalistico e, quindi, non tocca e non può toccare l’esercizio della funzione giurisdizionale. D’altra parte, se si prendesse a pretesto della moltiplicazione delle giurisdizioni il principio regionalistico, la logica vorrebbe che questo principio fosse esteso a tutte le Regioni, ed ognuna di esse avesse la sua Corte di cassazione.

Ripristinare le quattro vecchie Cassazioni abolite nel 1923 non troverebbe una giustificazione dal riferimento al decentramento regionale.

Questa innovazione nella nostra Costituzione non solo non può essere invocata per giustificare la reintegrazione della pluralità delle Cassazioni ma, a mio avviso, fa sorgere nuovi motivi per rafforzare l’accentramento, divenendo più sentita l’esigenza dell’unità di interpretazione delle leggi. Allora rimangono le altre ragioni, le ragioni che si adducevano in passato contro la unicità e sono ragioni di varia natura. Qualcuno dice che la Cassazione unica accentrata in Roma, e avente il monopolio del diritto, può subire più facilmente delle pressioni da parte del Governo.

Ma queste ragioni non possono più valere dopo le garanzie di indipendenza della Magistratura che abbiamo sancito e che dovrebbero servire a garantire i magistrati da inframmettenze di carattere politico, e soprattutto da parte del potere esecutivo.

Si dice anche che il decentramento della Cassazione può essere utile ad avvicinare questi organi alla coscienza popolare, quale si manifesta nelle varie zone del territorio, e quindi può assicurare una maggiore aderenza di questi organi a quelle che sono le esigenze dello spirito popolare manifestantisi nelle varie parti del territorio. Ma anche questa non mi pare una ragione che possa fare accogliere la tesi criticata, perché questa esigenza, della quale riconosco la grande importanza, di mettere il giudice (che non è una macchina che dice il diritto nel singolo caso, ma un organismo vivente) nella condizione di interpretare le leggi in piena concordanza con lo spirito popolare e, quindi, con piena sensibilità e aderenza alle esigenze popolari, questa esigenza deve essere sodisfatta attraverso la formazione, la scelta, la selezione del giudice e non attraverso lo sparpagliamento di esso nel territorio, in quel momento della pronuncia del diritto che esige il massimo di unità, proprio del giudizio di Cassazione. La molteplicità della Cassazione non trova nessun precedente in nessun paese del mondo, e da noi era stata mantenuta per le ragioni storiche che ben conosciamo. Neppure appaiono fondate le ragioni che sono desunte dalla constatazione del non sodisfacente funzionamento della Cassazione unica di Roma, perché se può essere vero che l’unificazione della Cassazione operata nel 1923 non ha prodotto tutti quei risultati utili che se ne ripromettevano nel senso della uniformità delle pronuncie, ciò può addebitarsi ad un difetto di organizzazione cui si potrebbe facilmente ovviare.

In sostanza, a me pare che il ritorno alle Cassazioni multiple, mentre contrasta con quella che è la prassi di tutta la legislazione moderna, non trova altra vera giustificazione se non l’utilità di qualche gruppo di appartenenti al ceto forense, utilità che, per quanto degna di considerazione, non mi pare che possa ispirare una riforma come quella che si vuole introdurre.

Per questi motivi penso si debba riaffermare il principio della unicità della Cassazione.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Varvaro così formulato:

«Sopprimere le parole: ordinari o speciali».

Non essendo presente l’onorevole Varvaro, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

I seguenti emendamenti sono già stati svolti:

«Alle parole: secondo le norme di legge, sostituire: per violazione di legge».

«Cortese».

«Dopo le parole: secondo le norme di legge, aggiungere: e contro tutte le sentenze penali che infliggono pene detentive – comprese quelle della Corte d’assise – anche l’appello».

«Murgia».

«Aggiungere il seguente comma:

«La Cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica».

«Persico».

Anche il seguente emendamento è stato svolto:

«Aggiungere il seguente commi:

«La Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica, con sezioni distaccate, in materia civile e penale, a Torino, Firenze, Napoli e Palermo».

«Crispo, Badini Confalonieri, Bellavista».

Tuttavia ora l’onorevole Crispo presenta questo emendamento aggiuntivo al suo precedente emendamento:

«La legge determina le forme e gli istituti atti a garantire la uniformità della interpretazione giurisprudenziale».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. Con il mio emendamento aggiuntivo io mi sono proposto una evidente finalità. Fra la tendenza per la quale la Cassazione dovrebbe essere unica e la tendenza radicalmente opposta, che propugna la pluralità delle Corti di cassazione, con il mio emendamento mi pongo nel mezzo, stabilendo, cioè, che, se la Cassazione deve essere unica per tutto lo Stato, questo principio non vieterebbe, ai fini del decentramento della Corte di cassazione, di istituire delle sezioni distaccate. E, preoccupandomi del problema dell’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale, con l’emendamento aggiuntivo propongo di stabilire nella Costituzione che gli istituti, che saranno stabiliti per legge allo scopo di integrare il funzionamento della Corte di cassazione, dovrebbero essere destinati a regolare l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale.

Vorrei permettermi a questo punto di ricordare che questo emendamento ha precedenti innumerevoli. Mi permetto di ricordare il progetto Orlando, che sostenne radicalmente la pluralità delle Corti di cassazione. Nell’articolo 21 del suo progetto, Vittorio Emanuele Orlando, al fine di poter raggiungere l’uniformità della interpretazione giurisprudenziale, stabiliva che ogni certo numero di anni il Ministro di grazia e giustizia dovesse o potesse convocare i presidenti delle varie Corti regionali di cassazione, allo scopo di una intesa sui vari punti discordemente decisi, e ciò allo scopo di poter così raggiungere, attraverso un esame o un riesame dei punti controversi, la finalità di questo organo supremo, dettato a risolvere i contrasti delle magistrature dislocate nelle varie parti del territorio, vale a dire allo scopo di raggiungere l’unità della interpretazione giurisprudenziale. Vorrei anche ricordare il progetto Gianturco-Lessona del 1892 e quello del circolo giuridico di Palermo, e così una serie di progetti con i quali si voleva raggiungere questa finalità; cercare il modo come contemperare la esigenza del principio al quale deve essere informato l’istituto della Cassazione unica con il principio della necessità di decentramento, per evitare questo congestionamento della Cassazione unica.

Ecco perché col mio emendamento, con la modificazione odierna, soggiungo che la legge si preoccuperà di stabilire gli istituti integratori e le forme per la uniformità dell’interpretazione legislativa. Sicché con l’emendamento principale io dico che si mantiene fermo il principio della unità delle Corti di cassazione: la Corte di cassazione unica per tutto il territorio dello Stato, con sezioni distaccate in quelle regioni che erano precedentemente sedi di sezione di Corte di cassazione o di Cassazioni regionali; e propongo che si demandi alla legge il modo di potere, attraverso gli istituti complementari, provvedere alla uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale.

PRESIDENTE. D’onorevole Leone Giovanni ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 102 col seguente:

«Tutte le sentenze pronunziate da giudici ordinari o speciali sono impugnabili presso la Corte di cassazione per violazione di legge.

«La medesima garanzia vale per i provvedimenti di giudice ordinario o speciale concernenti la libertà personale dell’imputato.

«Le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti sono impugnabili in Cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione».

Ha facoltà di svolgerlo.

LEONE GIOVANNI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, il mio emendamento, per quanto concerne il primo ed il terzo comma, è un emendamento interamente sostitutivo dell’articolo 102.

Esso si incontra con l’emendamento Rossi; di tal che in sede di votazione, se l’onorevole Rossi crederà di accettare il secondo comma del mio emendamento, che potrebbe essere introdotto anche come una parte del primo comma, io potrei rinunciare al mio per aderire al suo.

A che cosa mirano i tre commi del mio emendamento?

Il primo comma stabilisce l’impugnabilità in Cassazione di tutte le sentenze pronunciate dal giudice, ordinario o speciale, per violazione di legge. In questo punto non sono d’accordo, come è stato testé rilevato, con l’orientamento di alcuni colleghi, espresso nell’emendamento dell’onorevole Mortati. L’emendamento Mortati sostiene che l’impugnabilità in Cassazione per violazione di legge debba essere consentita soltanto avverso i provvedimenti di giudici ordinari; mentre, per quanto concerne i giudici speciali, l’impugnabilità in Cassazione deve essere limitata soltanto a motivi concernenti il difetto di giurisdizione.

Penso di dover insistere, ad onta delle acute osservazioni dell’onorevole proponente dell’emendamento. Insistere perché? Innanzitutto dovrò ricordare ai colleghi e all’onorevole Mortati che, secondo l’articolo 95 da noi votato, le giurisdizioni speciali nel loro complesso sono cadute.

Il progetto stabiliva la possibilità di mantenere o di introdurre giurisdizioni speciali, con legge votata con particolare maggioranza. Senonché a quel testo del progetto fu sostituito l’emendamento Conti-Perassi, a cui aderii anche io, col quale si diceva che non sono consentite le creazioni di giudici speciali straordinari e si convogliavano tutte le giurisdizioni speciali esistenti o di cui in avvenire si potrà profilare la necessità, in sezioni specializzate, come tali, organi del giudice ordinario.

Sicché, per tutte quelle pronunzie, che saranno emesse da quelli che adesso sono organi giurisdizionali speciali, ma che, in esecuzione della Costituzione, domani saranno sezioni specializzate di un organo ordinario, è chiaro che non si presenti la questione, in quanto che, trattandosi di sezioni di un organo giurisdizionale ordinario, contro le pronunzie delle medesime deve essere ammesso ricorso per violazione di legge, con formula ampia.

Resta il problema per quelle poche giurisdizioni speciali, che abbiamo conservato: i due grossi tronchi di giurisdizioni speciali amministrative, Consiglio di Stato con derivazioni periferiche (quindi tutte quelle giurisdizioni amministrative che confluiscono al vertice nel Consiglio di Stato), Corte dei conti; e, per quanto attiene alla materia penale, i Tribunali militari.

Ora, per il Consiglio di Stato e giurisdizioni periferiche che vi sono connesse, e per la Corte dei conti, è chiaro che non si può stabilire la impugnabilità in Cassazione per violazione di legge, ma che soltanto debba mantenersi il principio vigente della impugnabilità per difetto di giurisdizione o di competenza. Perché la stessa ragion d’essere di questa giurisdizione, lo stesso motivo che ci ha indotti, deflettendo dal principio della unità della giurisdizione dal quale siamo mossi, a mantenere questa giurisdizione, deve valere per limitare il ricorso in Cassazione ai soli casi di difetto di giurisdizione.

La ragione è che queste giurisdizioni incidono con la loro attività nell’atto amministrativo, sicché c’è maggiore aderenza tra queste giurisdizioni e gli atti del potere amministrativo, donde la conseguenza che anche il motivo di violazione di legge è motivo che si radica sull’essenza, sulla finalità, sul motivo di opportunità, che ispirano l’atto amministrativo.

Per questo devo difendere il mio punto di vista nei confronti delle critiche mosse dall’onorevole Mortati, dicendo che ritengo non incoerente il fatto di richiedere che il ricorso in Cassazione per tutte le giurisdizioni ordinarie e speciali sia dato per motivi di violazione di legge e sia soltanto per le giurisdizioni amministrative – Corte dei conti e Consiglio di Stato – delimitato al difetto di giurisdizione.

Resta il terzo tronco di giurisdizioni speciali, che abbiamo mantenuto.

Allo stato di fatto, la situazione è la seguente: giurisdizioni speciali non dovranno più esisterne, tranne questi tre grossi tronchi: Consiglio di Stato, Corte dei conti, Tribunale militare.

I Tribunali militari territoriali sono rimasti. Io ho esposto in altra sede, che essi debbano, anche attraverso una norma, essere organizzati in modo da dare ai loro giudici e al pubblico ministero quelle garanzie di indipendenza dal potere esecutivo, che oggi essi non possiedono, neppure in misura minima.

Sorge il problema nei confronti del Tribunale supremo militare. Quali sono oggi le sue funzioni? Sono eguali alle funzioni della Corte di cassazione, nei confronti delle sentenze dei giudici ordinari; perché al Tribunale supremo militare non si può ricorrere che per motivi di violazione di legge, procedurali o sostanziali. Non siamo più qui, di fronte a questo Tribunale, nell’ambito di un problema particolare di applicazione della legge al caso singolo, per cui si richiede una particolare sensibilità, l’apporto di alcuni elementi estranei agli organi civili ordinari, i quali, per la loro maggiore aderenza alla vita dell’imputato militare, per la maggiore sensibilità a certi interessi, per la maggiore conoscenza dell’ambiente, possono influire nell’applicazione concreta al caso singolo della legge, con particolari vedute che la legge può rispettare.

Qui si tratta soltanto di stabilire, da parte del Tribunale supremo militare, se esistono le determinate violazioni di legge denunziate da un ricorrente.

PERSICO. E le funzioni speciali?

LEONE GIOVANNI. Risponderò più tardi anche per le funzioni speciali. Dapprima voglio confutare quello che l’onorevole Mortati portava come base per la sua critica di carattere generale alla impostazione del problema da me fatta. Il giudice speciale si giustifica, diceva il collega Mortati, per la sua particolare forma mentis, per la sua particolare preparazione, necessaria per interpretare certe norme; onde la conseguenza che se noi, per formare un organo giurisdizionale speciale chiamiamo a comporlo elementi al di fuori degli organi ordinari, perché provvisti maggiormente di questa preparazione, di questa forma mentis, anche nei giudizi di legittimità occorre che sia rispettata questa esigenza. Ma nei giudizi di legittimità, io dico, questa esigenza irrilevante, è estranea e non può presentarsi, perché l’esigenza della partecipazione dell’elemento estraneo alle sezioni specializzate è un’esigenza che si esaurisce nell’indagine concernente la ricerca delle condizioni di fatto in cui la legge va applicata, e concernente la ricerca di taluni particolari motivi e condizioni ambientali, i quali condizionano l’applicazione della legge; ma queste esigenza non possono importare un diverso profilo ed un diverso orientamento per quanto attiene all’interpretazione della legge. Infatti le norme di interpretazione della legge si impongono sia al giudice ordinario che al giudice speciale, tanto al giudice togato, quanto al giudice laico. Lo stesso giurato, che voi avete voluto, e per il quale esprimo augurio uguale a quello formulato per il Tribunale militare, potrà persino portare in maniera incontrollata ed incontrollabile la espressione della coscienza sociale; ma il giurato non si può rifiutare infatti di interpretare le norme di legge in conformità dei tradizionali principî di ermeneutica. Ma dirò di più; cioè che la stessa organizzazione della giuria, secondo il recente decreto Gullo, è impostata sulla base, peraltro molto discutibile, ma assai significativa, della distinzione fra indagine di fatto e indagine di diritto; perché il progetto Gullo e tutta la tradizione sull’organizzazione della giuria distinguono tra giudizio di fatto e giudizio di diritto, assegnando il primo al giudice laico e il secondo al giudice togato. Infatti, se nel giudizio di fatto è bene che si inserisca questo elemento estraneo alla vita del diritto, nel giudizio di diritto occorre invece rispettare rigorosamente le norme della legge e quindi anche i canoni d’interpretazione della legge stessa. Bisogna allora accogliere questa conseguenza: che i giudizi di legittimità debbono essere affidati tutti ad organi che non siano speciali, e per essere più specifico, ad un solo organo di giurisdizione ordinaria, che è la Corte di cassazione, mentre restano come unica eccezione quei soli organi speciali, come la Corte dei conti e il Consiglio di Stato, per cui ho illustrato le ragioni che ci inducono a discostarci dal criterio generale di condurre nell’alveo della Cassazione i ricorsi avverso i giudici speciali, anche per violazione di legge.

Questo soprattutto vale in tema di giurisdizione militare. Ma, mi diceva sottovoce l’amico Persico poco fa: il Tribunale supremo militare ha altre funzioni. Io dico: sono altre funzioni di carattere non giurisdizionale, ma amministrativo, le quali potranno essere domani assegnate a un altro organo. Ci dobbiamo preoccupare, per esempio, che il tribunale militare dà il parere sugli svincoli di dote o su altre pratiche poco importanti? Questi sono controlli di carattere amministrativo che possono essere demandati ad altro organo; non so, affidati, ad esempio, al Consiglio di Stato o al Supremo Consiglio della difesa, od all’Avvocatura dello Stato. Il problema in questo momento si risolve nello stabilire se convenga mantenere nel Tribunale supremo militare l’unico organo giurisdizionale supremo dei vari tribunali militari. Mi pare che, trattandosi dell’esame di motivi concernenti violazione di legge, e quindi involgenti l’interpretazione della legge, non sia necessario formare un particolare organo di legittimità misto. Detta Corte è composta oggi – perché, onorevoli colleghi, è bene ricordare come è composta – così: la Presidenza è affidata a un generale, che, se è stato un buon generale, è certamente privo di qualsiasi cognizione di cose giuridiche; poi vi è un magistrato militare, con funzioni di relatore, il quale, avendo la funzione monopolistica di redigere la sentenza, mette in un certo imbarazzo i consiglieri di Cassazione che vi partecipano, che, se vogliono affermare un principio di maggioranza, non sono idonei a farlo valere nella sentenza; poi, vi partecipano tre consiglieri di Cassazione, altri due militari, quattro tecnici e due non tecnici.

Questa composizione mista non ha ragion d’essere. Con ciò voi avete il diritto di domandarmi se voglio la distruzione del Tribunale supremo militare. No, onorevoli colleghi, non ho nessun interesse a distruggere quest’organo. Dico solo che esso può trasformarsi in un organo di secondo grado per i giudizi militari; perché a me pare che non vi sia alcuna ragione di conservarlo così, non ammettendo il giudizio di appello contro le sentenze pronunciate dal tribunale militare. Il Tribunale supremo militare si potrebbe trasformare in una seconda istanza, oppure si potrebbe conservare la procura generale militare con esigenze particolari e quindi come un organo di pubblico ministero particolare, sedente presso la Cassazione. Ma, i ricorsi avverso ai tribunali militari per motivi di legittimità, per una certa coerenza, dovrebbero essere portati alla Cassazione.

Una sola parola sul secondo comma. Il mio secondo comma esprime una esigenza non avvertita in altri emendamenti e che io ho segnalato anche in privato all’onorevole Rossi. Col mio secondo comma mi sono preoccupato di stabilire nella Carta costituzionale una garanzia, che mi sembra fondamentale, che cioè verso tutti i provvedimenti del magistrato, giudice ordinario e giudice speciale, che concernono la libertà personale dell’imputato, sia consentito il ricorso per Cassazione. Questa esigenza nasce da una conoscenza di carattere pratico e tecnico che del funzionamento della giustizia penale ha il modesto presentatore dell’emendamento. Nel Codice di procedura penale – e questa è la parte che più ha sentito l’influenza dittatoriale – esistono, sì, le norme che consentono il ricorso per Cassazione in materia di libertà provvisoria; ma vi sono altri istituti – e questo lo segnalo soprattutto ai colleghi avvocati di quel settore (Indica. la sinistra), perché sono quelli che forse, anche dal punto di vista personale, hanno più sentito il peso di questo norme che sono contrarie a qualsiasi regime democratico – vi sono altri istituti nei quali l’influenza politica del fascismo è stata così forte da sopprimere il diritto di impugnazione. Tutti i provvedimenti di emissione e di revoca del mandato di cattura sono impugnabili in appello soltanto da parte del pubblico ministero (articolo 263); tutti i provvedimenti sulla scarcerazione per mancanza di indizi (articolo 169) sono appellabili solo dal pubblico ministero e non dall’imputato.

Se noi vogliamo veramente conservare nella Carta costituzionale e potenziare quel principio, che noi abbiamo già votato, e cioè che la libertà personale è garantita anche nei confronti del potere giudiziario, il quale può privare il cittadino della libertà personale solo con provvedimento motivato, una formulazione giuridica corrispondente a questa nostra esigenza politica la potremmo trovare soltanto in questa sede. Se ammettiamo che il provvedimento motivato, che priva il cittadino della libertà personale, sia suscettivo di ricorso in Cassazione, ciò costituirà, se voi lo voterete, una delle più grandi garanzie conquistate da un regime democratico in un Codice di procedura penale che, in questa parte soprattutto, sentì l’influenza del regime dittatoriale. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi ha presentato, insieme con gli onorevoli Carboni Enrico, Trimarchi, Braschi, Fantoni, Mortati, Alberti, Marzarotto, Dominedò, Cappi, Clerici, Uberti, il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Le sentenze delle Corti di assise sono soggette ad appello, nei modi stabiliti dalla legge».

L’onorevole Mannironi ha facoltà di svolgerlo.

MANNIRONI. Nel mio emendamento si afferma il principio della appellabilità dei provvedimenti giurisdizionali.

Penso che preliminarmente ognuno di voi si prospetterà la solita questione: se questa materia abbia un contenuto di carattere costituzionale. Mi pare di poter rispondere che così come stamane, nell’approvare l’articolo 101, noi abbiamo riconosciuto che era materia costituzionale l’obbligo della motivazione dei provvedimenti e dell’esercizio dell’azione penale, così mi pare che possa ritenersi, per ragioni di coerenza, materia costituzionale anche quella che riguarda l’appellabilità degli stessi provvedimenti giurisdizionali. La mia parola oggi è rivolta soprattutto a coloro i quali hanno delle preoccupazioni circa la sorte della giuria popolare. Molti colleghi, che sono contrari alla giuria popolare, non si preoccupano della affermazione del principio della appellabilità, che ritengono, come me, doveroso e necessario nella futura legislazione penale; ma se ne preoccupano coloro che ritengono che l’obbligo della motivazione delle sentenze della Corte di assise, e così pure il principio della appellabilità, svuoti la realtà e l’efficacia della giuria popolare.

Ora, mi pare che questa preoccupazione non abbia ragione di essere. Intanto mi pare opportuno richiamare la vostra attenzione sul contenuto dell’articolo che si è approvato l’altro giorno. L’altro giorno noi non abbiamo approvato puramente e semplicemente il ripristino della giuria popolare quale esisteva in periodi anteriori; noi abbiamo solamente affermato il principio che la legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo alla amministrazione della giustizia.

Questo vuol dire che domani il legislatore ordinario potrà anche non ripristinare la giuria popolare come era nel passato e potrà trovare una forma di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia anche con altre soluzioni, che potrebbero assomigliare a questa forma mista di giuria popolare oggi in vigore.

Comunque, sia nel caso che il legislatore di domani decida di ripristinare integralmente la vecchia giuria popolare, sia nel caso che ritenga di adottare una forma mista, a me pare che nell’un caso e nell’altro sia possibile la motivazione della sentenza, e che, se è possibile tale motivazione, dovrà essere anche possibile l’appello di detta sentenza.

A me pare che quando noi stamane abbiamo approvato il principio che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati, abbiamo creato il presupposto necessario dell’appellabilità; perché altrimenti, se noi non avessimo la possibilità di un riesame del giudizio, a me pare che non avrebbe ragione di essere l’obbligo della motivazione. In tanto si motiva un provvedimento in quanto si deve dare la possibilità di controllare se il giudizio è stato dato in una forma veramente giusta e soddisfacente, dal punto di vista logico e giuridico.

Ora, io ritengo che l’aver affermato stamane l’obbligo della motivazione per tutti i provvedimenti giurisdizionali importi come conseguenza anche l’appellabilità degli stessi provvedimenti.

Io nego che il ripristino puro e semplice della giuria popolare comporti automaticamente ed ineluttabilmente l’antico verdetto popolare classico.

Non è vero che la giuria popolare debba sempre ed assolutamente concludere i propri giudizi con un «sì» o con un «no». Credo che la giuria popolare possa essere messa nella condizione e in obbligo di motivare le sue decisioni.

Ora, se questo è possibile, deve essere possibile anche il riesame di quelle decisioni.

Vi prego di non preoccuparvi del modo con cui potrà svolgersi l’appello dalle sentenze delle eventuali giurie popolari. Lo stabilire le modalità del giudizio di appello deve essere un compito riservato esclusivamente al legislatore di domani, al quale abbiamo anche riservato di decidere entro quali limiti ed in quali forme sarà regolata la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia. L’essenziale è che vi convinciate che è possibile, anche dal punto di vista tecnico, fare un giudizio di appello per le sentenze motivate dei giudici popolari. Quali siano queste forme e queste possibilità non ho bisogno di stare a spiegare. Basterà dire, per esempio, che il riesame di un giudizio popolare potrà esser fatto da un altro giudice popolare di pari grado; oppure basterà ammettere la possibilità che si istituisca un giudice popolare di secondo grado.

Comunque, poiché non siamo in sede di legislazione ordinaria, non stiamo qui a vedere come si potrà fare l’appello dalle sentenze dei giudici popolari; a noi interessa fissare il principio dell’appellabilità delle sentenze.

Qui non è in gioco il principio della sovranità popolare.

Noi abbiamo ammesso che la giustizia viene amministrata, anche dai giudici ordinari, in nome del popolo: i giudici sono degli strumenti indiretti della sovranità popolare. Ma, anche quando avessimo ammesso la possibilità di far partecipare il popolo direttamente all’amministrazione della giustizia, noi ci dobbiamo sempre preoccupare, non di salvaguardare soltanto il principio della sovranità popolare, ma anche di premunirci di fronte alla fallacia di tutti i giudizi umani, perché tutti gli umani sono soggetti ad errare, in qualunque forma e sotto qualunque veste essi diano dei giudizi. Evitiamo di porre questa questione delle giurie popolari e dell’appellabilità delle loro sentenze sul piano politico. Trattasi invece di questione tecnica e giuridica. Se è giusto preoccuparci di salvare il principio della sovranità popolare, è anche doveroso preoccuparci della libertà dei cittadini e della riparabilità di ogni possibile errore. Le due esigenze possono essere armonizzate.

A me pare assurdo, assolutamente illogico ed irrazionale che oggi si sostenga e mantenga ancora la situazione nella quale ci si trova. E la situazione, che è una stortura giuridica, politica e logica, è questa: che, mentre un cittadino condannato, con tutti i possibili benefici di legge, a soli 15 giorni di reclusione, ha diritto di far riesaminare da un altro giudice la sentenza che lo condanna, un altro, invece, che sia stato condannato alla pena capitale, questo diritto non ha. Pensate alla frequenza degli errori giudiziari anche in processi gravissimi e avrete l’idea della gravità delle conseguenze derivanti dalla inappellabilità delle sentenze capitali.

A me pare che questo sia enorme e che cozzi contro la logica, contro le esigenze popolari stesse e contro le legittime aspirazioni del popolo, il quale, attraverso la motivazione della sentenza ed attraverso la pluralità dei giudizi, ha bisogno di convincersi che giustizia sia fatta. Ora, la possibilità di formarsi tale convinzione, che è l’anima e l’alimento della vera giustizia, la toglieremmo, se negassimo il diritto di appellare le sentenze, comprese anche quelle relative a giudizi per reati più gravi. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. I seguenti emendamenti, che erano stati rinviati all’articolo 102, sono già stati svolti in sede di discussione dell’articolo 95:

Art. 95-bis.

«La Corte di cassazione è unica nello Stato ed ha sede in Roma. Essa ha il compito di assicurare la esatta osservanza e la uniforme interpretazione delle leggi da parte degli organi giurisdizionali.

«Il primo presidente ed il procuratore generale della Corte di cassazione sono nominati dall’Assemblea generale della Corte stessa».

«Romano».

Art. 95-bis.

«La Corte di cassazione è unica nello Stato ed ha sede in Roma. Essa ha il compito di assicurare la esatta osservanza e la uniforme interpretazione delle leggi da parte degli organi giurisdizionali».

«Merlin Umberto».

Anche l’onorevole Grassi aveva allora presentato due emendamenti, del seguente tenore:

Art. 95-bis.

«Al Consiglio di Stato ed agli altri organi della giustizia amministrativa è attribuita funzione giurisdizionale per la tutela degli interessi legittimi e anche, in particolari materie specialmente determinate dalla legge, per la tutela di diritti contro gli atti della pubblica amministrazione.

«Alla Corte dei conti è attribuita funzione giurisdizionale in materia di pensioni, di conti e di responsabilità per danni arredati all’erario dello Stato nei casi preveduti dalla legge.

«Le norme sulla Magistratura del Consiglio di Stato e della Corte dei conti e sulle attribuzioni giurisdizionali di questi organi sono stabilite con legge approvata nel modo indicato nell’articolo precedente».

Grassi.

Art. 95-ter.

«La Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica ed ha sede in Roma».

Grassi.

L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerli.

GRASSI. Onorevoli colleghi, io ho inteso il dovere di precisare, e ritengo che sia una di quelle cose necessarie a dirsi in una Carta costituzionale, di fronte ad eventualità di deviazione da una conquista verificatasi nel campo della giurisdizione in Italia, che la Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica ed ha sede in Roma.

Sembra a me, e credo anche a molti autorevoli colleghi, e forse in questo campo più autorevoli di me, come l’onorevole Calamandrei, il quale ha presentato un emendamento che suona più o meno nello stesso senso, che non sia possibile trascurare in una Carta costituzionale, la quale si occupi dell’organizzazione della giustizia, questo principio fondamentale che, come poc’anzi dicevo, è una grande conquista che si è raggiunta in Italia. Si potrebbe rinviare l’affermazione di questo principio ad altre disposizioni processuali; ma, dal momento che la questione è stata posta con un ordine del giorno presentato in questa Assemblea, che le regioni le quali hanno già degli statuti incominciano a profilare ed a presentare una richiesta concreta di Cassazioni regionali, io ritengo che sia dovere dell’Assemblea Costituente di affrontare il problema e di risolverlo in maniera definitiva.

Non faccio presente a voi, onorevoli deputati, che conoscete la storia della nostra giurisdizione, come il movimento verso l’unificazione, verso una Cassazione unica, tendente a superare tutte le difficoltà che hanno i caratterizzato, anche in questo campo, la unità nazionale, sia stato grave e profondo! Sino dal 1862, non appena cioè questo movimento unitario aveva incominciato a trovare la sua vera consacrazione, nell’epoca in cui – dopo il 1860 – si era incominciato finalmente a considerare che l’unità italiana non era un’espressione geografica o letteraria, ma diventava per forza di pensatori nostri e di uomini d’azione una realtà, questo movimento della Cassazione unificata andò prendendo piede ed un progetto Minghetti, del 1862, proponeva l’unificazione della Cassazione.

In seguito, nel 1863, il grande Ministro Giuseppe Pisanelli, che io ricordo sempre con grande devozione essendo figlio della mia stessa terra, di quel Salento che io sento di onorare e che qui rappresento, presentava il progetto di un nuovo Codice di procedura civile, e nella allegata relazione si legge il proposito di istituire appunto una Corte Suprema regolatrice del diritto in Italia.

Un secondo progetto fu presentato dal Ministro De Falco nel 1872. Siamo adesso alla completa unificazione italiana, al periodo in cui Roma è divenuta effettivamente la capitale d’Italia. In questo progetto, il Ministro De Falco proponeva l’istituzione della Corte di cassazione unica in Roma, salvo a mantenere transitoriamente sezioni ancora a Napoli, a Palermo, a Torino, a titolo temporaneo, per esaurire i ricorsi pendenti.

Quando si dice quindi che è stato il fascismo nel 1923 ad attuare la Cassazione unica in campo civile, si dice un’eresia, perché il movimento della Cassazione unica è stato un movimento coevo al processo dell’unificazione d’Italia.

Si giunse così sino alla ricordata legge del 1875, con la quale il Governo fu autorizzato ad istituire in Roma due sezioni di Corte di cassazione, in attesa che fosse ordinata la suprema Magistratura del nuovo Stato. Con questa legge del 1875 furono create due sezioni di Corte di cassazione, le quali avevano una competenza speciale per tutte le questioni che si riteneva indispensabile che già venissero ad affluire in un unico ordinamento legislativo e giurisdizionale.

Questo è il processo continuo della giurisdizione civile. Per la giurisdizione penale fu più grande ed intenso il bisogno della sua unificazione e, con legge 6 dicembre 1888, in correlazione con la legislazione penale, fu attribuita alla Corte di Roma la competenza a decidere di tutti i ricorsi in materia penale.

Questi sono i precedenti storici del movimento di unificazione. Tale movimento fu appoggiato da tutti i cultori del diritto processuale e principalmente da Lodovico Mortara, che fin dal 1919-20 voleva ottenere l’unificazione della Cassazione civile, che però fu raggiunta soltanto nel 1923.

Ora, come vogliamo rinunciare a tutto quello che è un processo storico che corrisponde ad una esigenza della legislazione, l’esigenza di avere l’unicità della Cassazione? Come possiamo noi pensare di tornare indietro, di tornare a situazioni storiche sorpassate, che furono appunto superate per vincere quegli organismi, quelle incrostazioni di ordine parlamentare ed elettoralistico per cui si mantenevano ancora in vita Cassazioni regionali quando le regioni erano unificate ed era unificata l’Italia?

E un’altra ragione viene a conforto della mia tesi: in nessun Paese del mondo – posso testificarlo! – neanche negli Stati federali, c’è una Cassazione o un ordinamento giudiziario, i quali non abbiano una unità, perché non è possibile che l’ultima parola nel campo del diritto non sia detta dall’ultimo magistrato, che deve essere la Corte regolatrice per tutti!

Questa unificazione si impone di fronte al nuovo volto che abbiamo dato allo Stato italiano, di fronte alla nuova forma repubblicana! Abbiamo cercato di consolidare le Regioni che sono state votate, ma, malgrado queste e con queste, non dobbiamo permettere che la giurisdizione come la legislazione del Paese possano trovare incrinature, perché ciò significherebbe mortificare il diritto e la giustizia e rendere impossibile quella unica linea che il diritto deve avere in un Paese come l’Italia!

Per queste brevi considerazioni (perché io penso che, più che diffondermi in notizie e concetti, è bene precisare questi concetti in maniera chiara e lineare), ritengo che il mio emendamento aggiuntivo debba essere compreso nella Carta costituzionale. (Applausi).

PRESIDENTE. Ricordo che è stato già svolto il seguente articolo 95-bis:

«Sono ripristinate le Cassazioni regionali di Torino, Firenze, Napoli e Palermo».

«Villabruna».

L’onorevole Targetti ha proposto, insieme con gli onorevoli Costa, Fedeli Aldo, Caldera, Faccio, Amadei, Tomba, Bernardi, Merlin Angelina e Pieri il seguente articolo 95-bis:

«La legge sull’ordinamento giudiziario regolerà l’istituto della Corte di cassazione».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TARGETTI. Anzitutto devo scusarmi con l’Assemblea se riprendo ancora una volta la parola nella stessa giornata, ma la colpa non è mia: la colpa è dell’ordine del giorno.

Il mio emendamento propone di rimandare il regolamento dell’istituto della Cassazione alla legge sull’ordinamento giudiziario. Con questo emendamento noi non facciamo altro che ripetere quello che abbiamo sostenuto, e con fortuna, dinanzi alla Sottocommissione incaricata dello studio di questo Titolo della Carta costituzionale. In quella Sottocommissione il nostro egregio collega, egregio nel significato più vero della parola, l’onorevole Calamandrei, aveva incluso nell’articolo 12 un comma che stabiliva la unicità della Corte di cassazione.

Dopo una brevissima discussione, fu lo stesso onorevole Calamandrei che si indusse a ritirare questo comma. Qualcuno potrebbe sentirsi autorizzato a dire: se oggi l’onorevole Calamandrei presenta un emendamento nel senso dell’affermazione della unicità della Cassazione, l’onorevole Calamandrei si contradice. Sarebbe questo un appunto addirittura privo di fondamento. L’onorevole Calamandrei, dinanzi alla nostra proposta di non includere nella Carta costituzionale nessuna statuizione relativa alla Corte suprema, aveva ritenuto di potere ritirare la sua proposta; ma oggi, dinanzi al proposito di molti egregi colleghi di liquidare in quattro e quattr’otto, per alzata e seduta, la Cassazione unica e con la stessa procedura, la stessa celerità, far risorgere le Corti regionali, l’onorevole Calamandrei ha presentato un emendamento che riproduce alla lettera il comma secondo dell’articolo che egli aveva presentato in sede di Sottocommissione. Cioè: «Al vertice dell’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, sta la Corte di cassazione». Noi rimaniamo sulla nostra posizione che non abbiamo mai abbandonato e diciamo: concordiamo interamente con i rilievi fatti dall’onorevole Grassi, quando ha detto che è un’eresia parlare della Cassazione unica come di un istituto di carattere fascista. La Cassazione unica è nata in regime fascista, ma non è certo una creazione fascista, nel senso cioè che la sua creazione sia stata una riforma di carattere fascista. Basta ricordare quello che ha già ricordato l’onorevole Grassi: che cioè i sostenitori della Cassazione unica furono egregi uomini politici, ben noti giureconsulti, vissuti, per loro fortuna, molto prima che il nostro disgraziato Paese conoscesse l’onta dell’invasione fascista, ed altri ai quali non si può certo rimproverare di essere stati fascisti, come Lodovico Mortara, sebbene vissuti in pieno fascismo.

Tutti sanno che la unificazione della Corte di cassazione avvenne dopo che se ne fu discusso, in un senso e nell’altro, per diecine di anni; dopo che la Cassazione penale era stata da più di trent’anni unificata. Quello che si può dire è che il regime fascista creò l’istituto, non certo per la convinzione della sua utilità ma, più che per altro, per sodisfare la sua patologica passione accentratrice. Questo però non può influire sul giudizio da darsi sull’istituto stesso.

D’altra parte, onorevoli colleghi, quando si propone all’Assemblea, prima un ordine del giorno e poi un vero e proprio emendamento, per il quale la Costituzione verrebbe, senz’altro, ad abolire la Cassazione unica ed a ripristinare le Corti di cassazione regionali così come erano, si fa una proposta, me lo permettano gli egregi proponenti, si fa cosa molto affrettata, a parte il merito della questione. Tornare alle Cassazioni regionali, regolandole diversamente? Ma in qual modo?

Vi sono vari sistemi. Vi è il sistema delle Cassazioni regionali del tutto autonome; vi è il sistema delle Cassazioni regionali integrate, alcuni dicono corrette, da un altro istituto che starebbe sopra di loro e dovrebbe avere sede in Roma. Vi sono altri che sostengono che accanto alle Cassazioni regionali vi dovrebbero essere le sezioni unite composte di membri delle varie Corti regionali. Vi sono infine quelli che proporrebbero che la Cassazione avesse delle sezioni in quelle città che furono sedi delle antiche Cassazioni od in altre; sezioni della Corte di Roma, della Cassazione unica.

È inutile far perdere tempo all’Assemblea per illustrare tutte le varietà di soluzioni che comporta questo problema per dimostrare come, prima di dichiarare l’abolizione di un istituto esistente, un istituto di tanta importanza, occorrerebbe avere già preparato un progetto di legge che determinasse con grande precisione che cosa a ciò che si vuole abolire si sostituisce. Il semplice ritorno all’antico è… troppo semplice, in materia così complessa.

Arrivato a questo punto (e mi avvicino a grandi passi alla conclusione) io mi permetto, d’altra parte, di fare qualche osservazione ai sostenitori della Cassazione unica. La Cassazione unica non è da considerarsi come un’arca santa alla quale non ci si possa avvicinare se non con religioso rispetto e della quale non si possa discutere, senza commettere un delitto di lesa maestà giuridica. Evidentemente non è così. Si possono avere pareri diversi. Si è detto per esempio da alcuni che la Cassazione unica è nata unica, ma quando si è riconosciuto la necessità di creare una seconda sezione e quando poi, con l’andare del tempo, si è riconosciuto la necessità di crearne anche una terza, la Cassazione ha seguitato a chiamarsi unica, ma il principio dell’unicità, se non è stato ferito, qualche scalfittura l’ha riportata. Si adducono inoltre degli inconvenienti, che non si possono sdegnosamente negare. Fra gli altri quello di allontanare i litiganti da questo stadio ultimo della giurisdizione, con danno dei più modesti. Quando si dice che la resurrezione delle Cassazioni regionali contribuirebbe ad elevare il livello culturale del foro delle varie città d’Italia, si dice forse cosa non inesatta, e ciò per ragioni intuitive. Basta osservare come nella maggior parte dei fori di città diverse da Roma, gli avvocati cassazionisti, come si usa chiamarli, sono delle eccezioni.

Si dice anche che, mentre si rimproverava alla Corte regionale di subire l’influenza dell’ambiente della loro circoscrizione, questo che si indicava come un difetto, ne era e tornerebbe ad esserne un pregio, giacché l’interpretazione della legge ha tutto da guadagnare se, anche in Cassazione, il giudicato non sia del tutto avulso dalla realtà, dalla vita in mezzo alle quali è sorto il rapporto che ha dato origine alla controversia.

Per concludere, le mie pretese si limitano a chiedere che si lasci impregiudicata una questione che se può avere un lato politico, ha un carattere prevalentemente tecnico-giuridico. (Interruzione del deputato Villabruna). No, onorevole Villabruna, Milano non c’entra. E come potrebbe entrarci? Caso mai Firenze, la mia città natale, da dove il fascismo mi bandì nel 1925 e che ora son tornato qui a rappresentare, potrebbe avere interesse al ripristino delle Cassazioni regionali, essendo stata sede di una delle Cassazioni soppresse; ma il nostro dovere è di esaminare le. questioni di carattere generale, di esaminarle e risolverle nell’interesse nazionale e non in quello di una città o di una regione.

È per questo che io mi rivolgo ai colleghi difensori strenui dell’unicità della Cassazione come ai fautori della pluralità, invitandoli a convenire che la risoluzione della questione non va presa oggi, dopo una discussione affrettata, con una votazione nella quale può prevalere una tesi sull’altra per una differenza di quattro o cinque voti, come altre volte è già accaduto.

È più opportuno che venga presa dopo un esame approfondito di tutti i suoi lati tecnico-giuridici in altra sede, da altre Assemblee. Dal Parlamento, in sede di approvazione della legge sull’ordinamento giudiziario. Così non si pone alcun limite alla volontà del legislatore di domani. Nulla si pregiudica, nulla si compromette, né in un senso né in un altro.

PRESIDENTE. L’onorevole Calamandrei ha proposto, con gli onorevoli Magrassi, Paolucci, Magrini, Macrelli, Schiavetti, Cianca, Mastino Pietro, Valiani e Perassi il seguente articolo 95-bis:

«Al vertice dell’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, siede in Roma la Corte di cassazione, istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale e per regolare le competenze tra i giudici».

L’onorevole Calamandrei ha facoltà di svolgerlo.

CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, ho presentato un emendamento che propone di inserire nella Costituzione un articolo riaffermante l’unicità della Corte di cassazione, solamente perché è stata presentata un’altra proposta di emendamento in senso contrario.

La mia proposta ha avuto quindi un carattere – diciamo così – di rappresaglia; e già questo carattere è stato messo in evidenza dall’onorevole Targetti, il quale è stato una specie di difensore di ufficio del mio emendamento.

Di questo vivamente lo ringrazio, anche perché ha dimostrato così, quasi volendo continuare la discussione svoltasi ieri, che anche i difensori a gratuito patrocinio (poiché io non l’avevo pagato perché mi difendesse) possono essere scelti tra gli avvocati insigni.

Ora, onorevoli colleghi, sulla questione della Cassazione, quelle poche cose che io dirò non le dirò per gli avvocati, che hanno già una loro opinione: una di quelle opinioni che difficilmente si smontano, perché più che sulla ragione sono basate sul sentimento. Molti di noi avvocati, che siamo in questa Aula, abbiamo conosciuto fino al 1924 il funzionamento delle nostre Cassazioni regionali. E quando ricordiamo il modo con cui esse funzionavano, ci sentiamo intenerire. Ricordo come funzionava la Cassazione a Firenze: c’era una udienza la settimana; in ogni udienza c’era soltanto la discussione di un ricorso. Ci si trovava in un’atmosfera tranquilla, discreta, ovattata; l’udienza durava tre ore; ed era quasi un obbligo di buona creanza che gli avvocati discutessero tre ore, perché, se no, quegli egregi magistrati erano dispiacenti di dover andare a casa prima dell’ora consueta. Ma questi ricordi nostalgici lasciamoli da parte.

Ed io, parlando, non agli avvocati, ma a quei colleghi, che, non essendo avvocati, non hanno forse una conoscenza profonda del funzionamento tecnico di questo istituto e, ciò nonostante, hanno tuttavia, alcuni di essi, firmato qualcuno degli ordini del giorno che propongono il ristabilimento delle Cassazioni regionali (è soprattutto a loro che io mi rivolgo), io vorrei fare intendere che il problema della Cassazione unica o regionale è problema che si deve risolvere secondo la ragione o, direi, secondo il senso comune; perché la Cassazione è un istituto, è un meccanismo, la cui struttura è tale che o la Cassazione è unica, ed allora serve a qualche cosa, o non lo è, ed allora non serve più a niente.

La Cassazione è stata inventata in Francia, dopo secoli di lotte tra il potere monarchico centrale e le tendenze centrifughe delle Corti di appello regionali, ognuna delle quali interpretava a suo modo le ordinanze regie; è stata inventata dalla rivoluzione francese proprio allo scopo di unificare il diritto, di difendere lo Stato nella sua unità, in quanto ordinamento giuridico unitario, scegliendo tra le interpretazioni difformi della stessa legge date da diversi magistrati quella più esatta e annullando tutte le altre. A questo serve la Cassazione; e per servire a questo scopo unificatore bisogna, naturalmente, che sia unica. Se non serve a questo, non serve a nulla.

Non so – parlo sempre ai colleghi non avvocati – se avete riflettuto alla singolarità di questo istituto, il quale fa una distinzione (che sotto l’aspetto dell’interesse del litigante non avrebbe senso) tra la questione di diritto e la questione di fatto. Si può ricorrere in Cassazione soltanto per errore di diritto, non per errore di fatto: voi capite che per il litigante che si senta colpito da una sentenza ingiusta, è perfettamente indifferente che tale ingiustizia derivi da un errore di diritto o da un errore di fatto. L’ingiustizia c’è; e per quel che riguarda il suo concreto interesse personale ci sarebbe ugualmente ragione di dare al soccombente un mezzo di ricorso. Ma la ragione per la quale il ricorso si dà soltanto quando l’ingiustizia, di cui il litigante è stato vittima, derivi da errore di diritto, è che in Cassazione non si va per difendere soltanto l’interesse del litigante, quello che gli antichi giuristi chiamavano jus litigatoris, ma altresì per difendere lo jus constitutionis, che è appunto l’interesse pubblico della difesa del diritto e della sua unità, messa in pericolo dalla pluralità delle interpretazioni disformi ed aberranti, le quali sono contagiose anche per l’avvenire. Appunto per evitare questo contagio, è bene che tutte le interpretazioni della norma giuridica, date dai giudici distribuiti sul territorio nello Stato, abbiano un apice, un vertice comune, e ad esso affluiscano per poter essere sottoposte a un controllo, attraverso il quale si possa stabilire quale è la interpretazione più plausibile, destinata a rimanere e a prevalere. In altre parole la Cassazione è un organo istituzionalmente unico, come sarebbe il re nella monarchia od il presidente della repubblica nella repubblica. Non credo che a nessun monarchico, neanche al più convinto e appassionato, all’amico Fabbri, per esempio, verrebbe in mente di sostenere che per meglio attuar la monarchia, dei re ce ne debbano essere cinque, o tanti re quante sono le regioni… Il re è uno: la Cassazione è una. Voler parlare di una Cassazione plurima è una mostruosità!

SICIGNANO. Che c’entra questo con la Cassazione? Sono due cose profondamente diverse!

CALAMANDREI. Io posso essere anche d’accordo nel senso di sopprimere la Cassazione, se si ritiene che la funzione di unificazione del diritto non abbia importanza o che non sia praticamente realizzabile; ma non posso essere d’accordo nel trasformare la Cassazione unica in Cassazione plurima, il che significherebbe dar vita all’uomo con cinque teste, una specie di fenomeno come quelli che si vedono nei baracconi, un fenomeno mostruoso, che non ha alcuna coerenza nel principio giuridico che ispira questo istituto. (Vivi applausi al centro e a destra).

Io capisco che sono logici coloro i quali hanno sostenuto che la divisione fra questioni di diritto e questioni di fatto è una divisione artificiosa, che non può essere praticamente attuata, e che hanno sostenuto per questo l’abolizione del sistema della Cassazione e la sostituzione della Cassazione unica con Corti di terza istanza regionale. Questa sarebbe una proposta coerente. Ma voler mantenere la Cassazione, che vuol dire organo unificatore appositamente costituito per servire a questo scopo di unità, e insieme moltiplicare il numero delle Cassazioni, cioè degli organi istituzionalmente unificatori, è una proposta incoerente ed assurda perché trasforma in strumento ufficiale di disformità della giurisprudenza l’organo creato per unificarla.

Si dice: ma cinque Cassazioni c’erano e sono durate fino al 1924, e funzionavano discretamente; perché non ritornare a quella situazione che c’era prima del 1924? Perché, onorevoli colleghi, le cinque Cassazioni, come già hanno spiegato autorevolmente alcuni oratori che mi hanno preceduto, erano un residuo storico, il residuo di una unificazione non ancora perfettamente compiuta. Al momento della unificazione italiana, ognuno dei piccoli Stati, dai quali venne fuori l’Italia, aveva una sua Corte Suprema, e mal sopportava di vederla abolita. In tale situazione, per procedere gradualmente, si lasciarono sussistere nelle varie ex capitali queste Corti Supreme, trasformandole in Corti di cassazione, le quali dovevano rappresentare uno stadio provvisorio per poi arrivare in un secondo tempo alla unificazione compiuta e definitiva. Tutti i progetti che si susseguirono fino al 1924, e che furono – se non erro – diciannove o venti, furono la espressione di questa provvisorietà che si avvertiva in quella situazione. Si capiva che le cose non potevano continuare così, e che questo stadio transitorio doveva sboccare prima o poi in una soluzione stabile. Tra le varie soluzioni proposte da quei progetti (tra i quali tenne un posto a sé quello presentato dall’onorevole Orlando, quando fu Guardasigilli, che risolutamente proponeva di dare alle Corti regionali esistenza autonoma senza alcun collegamento col centro) alcune ebbero carattere transattivo ed intermedio, in quanto, come ha ricordato l’onorevole Crispo, mantenevano le Cassazioni regionali, ma le coordinavano con una Corte unificatrice al centro. Ma tutti questi progetti a tendenza mediatrice però furono alla fine superati da quelli che miravano decisamente all’unificazione: e chi riuscì a compiere il primo passo deciso verso tale unificazione fu un grande parlamentare, il cui ricordo è caro a tutti gli italiani, Giuseppe Zanardelli, il quale nel 1888 procedette alla unificazione, che si sentiva specialmente urgente, della Cassazione penale. E se poi poté essere unificata nel 1924 anche la Cassazione civile, ciò fu soprattutto per l’insegnamento e per l’opera di un altro grande giurista, ugualmente caro a tutti noi, Lodovico Mortara.

Volete dunque, facendo risorgere le Cassazioni regionali, mandare indietro di cento anni la lancetta della storia, e rimettere in piedi residui, rovine di antiche divisioni di sovranità, sopravvivenze di vecchie Corti locali quali furono le Cassazioni regionali fino al 1924? Ma, si dice, ora c’è una novità, c’è la Regione, lo Stato regionale, il decentramento; e quindi bisogna decentrare anche la Cassazione unica. Orbene, colleghi, l’esistenza delle Regioni e dello Stato regionale è una ragione di più per mantenere e rafforzare la Cassazione unica; è una ragione decisiva per la quale se la Cassazione non fosse unica bisognerebbe proprio oggi unificarla. In proposito esempi istruttivi si trovano negli ordinamenti stranieri a tipo federale. È inutile entrare in particolare: tutti sanno che in Svizzera, nella Germania del secolo scorso, negli Stati Uniti d’America, c’è, al vertice, come necessario complemento e correttivo dell’autonomia che hanno gli Stati componenti la Federazione, un organo giurisdizionale centrale unico (la Corte federale, il Heichsgericht, ecc.) posto come moderatore delle forze centrifughe, e che rappresenta una specie di ingabbiatura giuridica destinata a tenere insieme gli elementi componenti e ad impedire che essi si assumano, attraverso la disformità della giurisprudenza, poteri legislativi più ampi di quelli permessi dalla Costituzione.

Ma si obietta anche che l’unificazione della giurisprudenza è un’utopia. Si dice: voi vi illudete di unificare la giurisprudenza, ma in realtà non la unificate. Ora io mi rivolgo qui anche ai colleghi avvocati: ma è proprio vero che è un’utopia? Bisogna distinguere l’unificazione nello spazio e l’unificazione nel tempo. La giurisprudenza non si unifica nel tempo, e non si deve unificare nel tempo, perché non è bene che la vita del diritto diventi immobile e statica, e si cristallizzi. Il diritto, diceva benissimo qualche giorno fa il collega Gullo, è una forza viva; l’interpretazione delle leggi è un po’ come la critica della poesia: ognuno, leggendo una poesia, ci mette dentro l’anima sua e la interpreta a modo suo e la ricrea. Ogni epoca interpreta e ricrea la stessa legge in modo diverso; per questo, le leggi, rimanendo ferme nella lettera, si evolvono nello spirito ed è appunto l’evoluzione storica delle leggi che naturalmente si rispecchia nella giurisprudenza.

Ma, quello che si deve invece difendere – ed è la Cassazione unica che l’ha difesa e la difende – è l’unicità della giurisprudenza nello spazio; non deve cioè accadere quello che accadeva fino al 1924, che, contemporaneamente, nello stesso giorno, la stessa norma giuridica potesse essere interpretata in maniera diversa in diverse Regioni: il che portava in realtà, a far sì che ogni Regione avesse una propria giurisprudenza e quindi, in sostanza, una propria legislazione, in quanto poteva avvenire, attraverso diverse interpretazioni giurisprudenziali, che lo stesso fatto fosse nello stesso giorno considerato reato in Lombardia, e non in Toscana, o che un certo tipo di contratto fosse considerato valido in Sicilia e non in Sardegna.

Ora, il compito della unificazione della giurisprudenza nello spazio, la Cassazione lo adempie egregiamente, con appositi congegni che gli avvocati conoscono; mentre non adempie, e non deve adempiere, quello della unificazione della giurisprudenza nel tempo. Devo dirvi a questo proposito, onorevoli colleghi, che molto mi meravigliai, qualche giorno fa, quando a sostegno della pluralità delle cassazioni udii parlare il collega Gullo. Non so se l’opinione che egli espresse sia una sua opinione personale o sia l’opinione del suo partito. Se fosse questo, la meraviglia sarebbe anche maggiore, perché durante tutti i lavori della Commissione per la Costituzione ho sentito i colleghi del partito comunista difendere animosamente l’unità dello Stato contro il pericolo della forza centrifuga dell’ordinamento regionale. Essi hanno cercato di limitare il più possibile l’ambito delle materie sulle quali è ammessa una legislazione regionale, e di estendere al massimo il campo della legislazione nazionale, preoccupati soprattutto di tener ferma la compagine unitaria dello Stato. E nonostante questo ho poi sentito dire dal collega Gullo che non si deve conservare la Cassazione unica, e che invece è bene che in ogni Regione ci sia un centro di unificazione giurisprudenziale, una fonte di giurisprudenza regionale, perché è desiderabile che le leggi siano interpretate in modo diverso in ogni Regione, secondo lo spirito e secondo il costume di ciascuna Regione… Ma questo, cari colleghi comunisti, vuol dire ridurre in frammenti non soltanto la giurisdizione ma anche la legislazione; vuol dire dare all’Italia in pratica una legislazione diversa per ogni Regione, cioè fare il contrario di quello che avete sostenuto allorché avete cercato di limitare la legislazione regionale nel modo che ho detto. E poi, se proprio ritenete che sia utile questa libertà di interpretazione delle leggi affidata ai gusti locali, perché volete istituire cinque Cassazioni, e in questo modo creare cinque limitazioni a questa libertà? Abbiamo allora il coraggio di abolire anche queste cinque Cassazioni e lasciamo che ogni Corte d’appello, ogni tribunale, ogni giudice conciliatore, si crei la sua giurisprudenza e che in questa giurisprudenza si espanda e si sbizzarrisca questo spirito, secondo voi benefico, che varia da provincia a provincia, da comune a comune…

Ma ammettereste voi, colleghi comunisti, che questa varietà si possa tollerare in materia penale e che lo stesso fatto possa essere considerato come reato in una regione e non in un’altra? E se non lo ammettete in materia penale (penso che voi ammetterete che almeno le leggi penali debbano essere uniche anche nello Stato regionale) perché vorreste tollerare invece questa pluralità in materia civile?

Il collega Crispo ci ha detto: c’è modo di conciliare tutto: si fanno le Cassazioni regionali e poi sopra di esse la Cassazione unica, e così siamo contenti tutti. Anche questa però è un’esperienza che abbiamo già fatto: perché fino al 1924 c’erano le Cassazioni regionali e c’era insieme anche la Cassazione unica, e le cose si svolgevano in un modo assai singolare, che io voglio descrivere ai colleghi non avvocati, perché lo considerino prima di dare il loro voto. C’era una sentenza di primo grado; contro questa sentenza si ricorreva in appello; contro la sentenza di appello si ricorreva alla Cassazione regionale; poniamo che il ricorso venisse accolto: la causa si rinviava allora ad un altro magistrato di appello. Fase cosiddetta di «rinvio»: poteva darsi che il magistrato di appello a cui la causa era stata rinviata si uniformasse all’opinione espressa dalla Cassazione regionale, e le cose finivano lì; ma poteva anche darsi che il giudice di rinvio «si ribellasse» all’opinione della Cassazione, ed allora contro la sentenza di rinvio che si era ribellata al parere della Cassazione regionale si poteva ricorrere alle Sezioni unite a Roma, le quali Sezioni unite se accoglievano il ricorso (si era già alla quinta fase) annullavano e rinviavano ad un altro giudice di appello che aveva l’obbligo di uniformarsi. Ma se eventualmente nell’uniformarsi incorreva in qualche diverso errore di diritto, di nuovo questa sentenza era soggetta a ricorso dinanzi alla Cassazione regionale, e la trafila ricominciava…

Una voce. Anche adesso avviene la stessa cosa! (Commenti).

CALAMANDREI. Voi vorreste dunque risuscitare questo sistema che da un giurista francese che studiava quaranta anni fa l’ordinamento giudiziario italiano fu definito come il più ridicolo giuoco cinese, chinoiserie, fra tutti gli ordinamenti giudiziari del mondo?

Un’ultima osservazione ed ho finito: e la spesa? Vi rendete conto che cosa vuol dire creare quattro nuove Cassazioni, o forse più, se si parla di Cassazioni regionali?

Il bilancio della giustizia deve avere a disposizione qualche cosa come due o tre miliardi all’anno. Ho calcolato che per istituire quattro nuove Cassazioni ci vorrebbero circa 300 milioni all’anno, in un momento in cui i magistrati, quelli che ci sono, si trovano in quelle condizioni di fame che voi ben conoscete. E invece di impegnarci a trarre da questo bilancio anemico tutto quanto è possibile per migliorare gli emolumenti dei magistrati oggi in servizio, dovremmo pensare a creare nuovi organi, così costosi, che verrebbero ad assorbire più di un decimo del bilancio della giustizia?

Io ho l’impressione, colleghi, che noi qui talvolta ci lasciamo prendere da una specie di residuo delirio di grandezza, in un momento difficile come quello che attraversiamo.

Guardate nelle Università: per far sì che le Università tornino ad insegnare, che si possano avere adeguati mezzi di laboratorio e che gli insegnanti siano retribuiti adeguatamente, bisognerebbe pensare a ridurre, se mai, il numero delle Università o delle facoltà, e non ad aumentarlo. Eppure non c’è Università che non reclami per sé l’istituzione di qualche nuova facoltà…

E i tribunali? Sento dire – mi voglio augurare che non sia vero – che il Ministro della giustizia prepara la ricostituzione ad uno ad uno di quei tribunali anemici di provincia, che opportunamente erano stati aboliti molti anni fa.

Ma, prima di creare questi organi nuovi e di far rivivere quelli da tempo aboliti, pensiamo a mantenere e ad alimentare meno indegnamente quelli che oggi a stento vivono!

Prima di ricostituire cinque Cassazioni, pensiamo a retribuire adeguatamente i consiglieri dell’unica Cassazione che abbiamo, e facciamo in modo che i suoi magistrati possano, senza dover lottare giorno per giorno colla miseria, dedicare con serenità tutte le loro forze alla loro funzione!

Non ricadiamo in quello che è il vizio fondamentale della vita italiana: parere e non essere. Non creiamo questi organi non necessari, che costituirebbero soltanto un lusso burocratico, un fasto apparente concesso alle condizioni locali, e dedichiamo invece tutte le nostre forze alla semplificazione e al rafforzamento degli organi esistenti!

PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, la prego di concludere.

CALAMANDREI. Ho finito. Però, onorevole signor Presidente, la prego di ricordare che da molti mesi non ho chiesto la parola (Ilarità), se mi intrattengo cinque minuti di più, non credo di essere indiscreto.

Ma voglio terminare subito con un ricordo. Quando, nel 1918, alla fine della guerra, ebbi occasione di trovarmi come ufficiale a Bolzano, vi conobbi un magistrato già appartenente all’amministrazione austriaca, e con lui ebbi occasione di parlare di problemi processuali e giudiziari. Mi ricordo che questo magistrato austriaco si divertiva a pungermi beffando la Cassazione italiana, questo mostro a cinque teste, che egli considerava come un fenomeno che faceva ridere…

Vi debbo dire, onorevoli colleghi, che io non riuscivo allora, quando c’erano ancora le Cassazioni regionali, a trovare argomenti per confutarlo; e il vedere questo straniero che rideva delle nostre leggi era una cosa che mi dava un certo disagio. Ebbene, colleghi, io vorrei che la Costituzione, questa Costituzione alla quale stiamo lavorando e a cui ci sentiamo già affezionati, non facesse ridere! (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Della Seta ha presentato il seguente emendamento:

«La Corte di cassazione in materia civile e penale esercita la sua giurisdizione nelle sedi di Torino, Firenze, Roma, Napoli e Palermo».

Ha facoltà di svolgerlo.

DELLA SETA. Parlo a titolo esclusivamente personale. Anch’io, onorevoli colleghi, condanno, con l’onorevole Calamandrei, il delirio di grandezza; anch’io sul parere ho dato sempre la debita prevalenza all’essere. Il che però non mi ha impedito di schierarmi tra i fautori del ripristino delle abolite Corti di Cassazione.

Io non sono né torinese, né fiorentino, né napoletano, né palermitano. Questo per dire che a sostegno della mia tesi non sono stato indotto da nessun personale sentimento prettamente regionalistico.

Modesto cultore anch’io della scienza del diritto non ho mai esercitato, pur potendo esercitarla, la professione dell’avvocatura. Questo per dire che a schierarmi per la pluralità delle Corti non sono stato indotto da nessun larvato interesse di carattere professionale.

E quantunque sia un fatto incontestabile che l’abolizione della Cassazione civile è stato uno dei primi atti della dittatura fascista nella sua politica coerentemente accentratrice. (Commenti).

PERSICO. È stato un caso fortuito.

DELLA SETA. Che fortuito! È stato un caso, se caso può nomarsi, che rientra nella logica della dittatura. Il fatto è il fatto; e il fatto è che fu il fascismo, nel 1923, ad abolire le Corti regionali di Cassazione civile.

PERSICO. Non è neanche vero storicamente.

DELLA SETA. I precedenti storici non cancellano la data storica che segna l’abolizione delle Corti di cassazione civile avvenuta nel clima logicamente favorevole, nell’orientamento accentratore della dittatura fascista. Ad ogni modo questo io volevo dire che a schierarmi tra i fautori del ripristino delle abolite Corti di cassazione, come non sono stato indotto da un personale sentimento regionalistico, né da un larvato interesse professionale, così non sono stato indotto, neppure, per partito preso dal fatto che è stato il fascismo ad abolirle. Quando sono convinto io accolgo le giuste ragioni da qualsiasi parte esse provengano. Le mie sono ragioni molto più serene ed obiettive. (Commenti).

Tralascio le ragioni estrinseche di ordine pratico. Non mi soffermerò perciò a rilevare come, tutto accentrando in Roma, la lontananza della giustizia – con grave dispendio di tempo e di denaro per gli avvocati, per le parti e per gli stessi magistrati – finisca per tradursi in una mancanza di giustizia, questa finendo per divenire un vero privilegio dei ricchi.

A più alte ragioni io mi appello di ordino psicologico, giuridico e storico.

In verità, se, anziché in sede di emendamenti, noi fossimo oggi in sede di discussione generale – e mi dolgo non essere allora intervenuto – allora, sì, avrei tenuto che, più che la mia modesta parola, voi aveste potuto ascoltare quella autorevolissima di un Nicola Amore, di un Emanuele Gianturco, di un Giovanni Bovio, quando il fiore della cittadinanza napoletana, il 21 novembre 1888, partecipò a quella famosa assemblea nella quale, con calda eloquenza e con forti argomentazioni, fu deplorato il provvedimento zanardelliano che, con un tratto di penna, aveva decretato l’abolizione delle Corti regionali di Cassazione penale. (Commenti).

Io dico anzitutto. Una norma è una norma, un Codice è un Codice, non vi possono essere tanti codici per quante le regioni, né tanto meno vi può essere una concezione regionale del diritto. D’accordo. Ma è altrettanto vero – per chi voglia non rimanere alla superficie, ma andare al fondo – è altrettanto vero che nell’applicazione della norma al fatto specifico, nell’applicare la legge ad un dato quesito pratico di diritto, non può, come criterio valutativo, come punto di orientamento, non subentrare un elemento psicologico – cioè una speciale valutazione soggettiva e di ambiente – onde quella che formalmente sembra essere la stessa causa nel fatto si prospetta diversamente secondo che il medio ambiente sia, ad esempio, il Piemonte o la Sicilia.

Ma, oltreché questa psicologica e sociologica, v’è una più alta ragione di ordine giuridico.

La Cassazione unica, si dice, è unità di giurisprudenza. Contesto il fatto, sia nello spazio come nel tempo. Non nello spazio perché, nella medesima sede, sezioni diverse possono dare, e hanno dato, giudicati diversi. Non nel tempo, perché nella medesima sede la stessa sezione può, successivamente, con magistrati diversi, dare diversi giudicati. In realtà, tre essendo oggi le sezioni della Cassazione civile e questa funzionando nei giorni feriali, si hanno oggi, in Roma, non una, ma diciotto Corti di Cassazione.

D’altra parte la unità della giurisprudenza solo si potrebbe conseguire quando fosse raggiunta la unità della scienza. Diverse essendo le dottrine giuridiche non può alla diversità delle scuole corrispondere la uniformità delle interpretazioni.

E sarebbe forse una tale uniformità auspicabile? Lo neghiamo recisamente. Se il diritto è sostanza e non forma semplicemente, se non è morte ma vita, una tale vita non può scaturire da una uniformità di giudicati, che segnerebbe l’inaridirsi, il cristallizzarsi del diritto, ma bensì da quella varietà di esperienze e da quella diversità di interpretazioni e di soluzioni, che segna il processo di elaborazione attraverso il quale il diritto, come pensiero e come prassi, si modifica e si evolve.

V’è poi un’ultima e più alta ragione, una ragione di ordine storico, di ordine storico morale e politico, dovrei dire più precisamente.

Certe Corti supreme di Cassazione si identificano, storicamente, con la stessa vita civile e politica di determinate regioni.

Non parlo della Sicilia per cui dovremmo risalire, forse, all’epoca dello stesso Federico II di Svevia. Parlo di Napoli nobilissima, della Napoli di Vico, di Filangieri, di Pagano e di Vincenzo Coco, di quella Napoli che, nel secolo scorso, fu, con la sua Corte di Cassazione, un faro di sapienza giuridica, che tanta luce irradiò con la mente di un Nicolini, di un Savarese, di un Raffaelli, di un Caravita e di un Cotugno.

Giovanni Bovio, in quel suo memorabile sopracitato discorso del 1888, deplorava melanconicamente come, dopo appena un trentennio di vita italiana, ad altro non si fosse pensato che a soffocare sotto la cappa di piombo di una formale e artificiosa unità quella che doveva essere la mirabile varietà nella comunità italica.

Orbene, anch’io non posso non domandarmi come, in questo primo anno della Repubblica, dopo aver tanto parlato di libertà e di democrazia, dopo aver tanto parlato di decentramento, dopo aver tanto valorizzato l’Ente regione, dopo aver statuito, nella discussione della Costituzione che si trattasse prima della Regione e poi della Magistratura, non posso, dico, anch’io non domandarmi, con quale senso logico, con quale senso storico, con quale senso etico, giuridico e politico, si possa da taluni oggi avere tanta riluttanza ad ammettere, come riconoscimento dell’invocato decentramento, la pluralità delle Corti di Cassazione.

Io non sono sospetto di essere uomo proclive al linguaggio adulatorio. Mi sia concesso perciò con piena serenità il poter dire che se ad Enrico De Nicola, onore e vanto del foro napoletano (Vivi applausi), oggi la Costituente volesse offrire un pegno della sua devozione e gratitudine, altro non dovrebbe fare che restituire alla sua Napoli quella gloriosa Corte di Cassazione, contro la di cui abolizione egli, presente alle manifestazioni del Foro, fu, con spirito antifascista, uno dei primi a protestare (Applausi).

Ho finito. Io, conservando il mio emendamento, dichiaro di votare a favore della pluralità delle Cassazioni. Se sia o non sia consacrata nella Costituzione questa esigenza dipenderà dall’esito della votazione. Ma non sarà da qualche voto di maggioranza o di minoranza che dipenderà la valutazione e la soluzione di un problema di un così alto significato civile. Per me è conforto la coscienza del dovere adempiuto. Per me è conforto aver rivendicato, per talune città nobilissime, un diritto che, consacrato nella storia, si identifica con la stessa causa della libertà e della giustizia. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato due emendamenti all’emendamento dell’onorevole Leone Giovanni:

«Sostituire alle parole: in tempo precedente, le altre: precedentemente alla sua entrata in vigore».

«Dopo il primo comma, aggiungere le parole: la Corte di cassazione formerà una sezione specializzata per i giudizi militari».

LEONE GIOVANNI. Accetto questi due emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mi pare che in questi emendamenti ha tradotto considerazioni che sono state svolte dall’onorevole Leone. Intende svolgerli?

PERSICO. No. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. Lo svolgimento degli emendamenti è così terminato. Resta un emendamento dell’onorevole Rossi Paolo il quale lo svolgerà quando parlerà a nome della Commissione

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Parlo in ordine al testo presentato dalla Commissione; poiché l’onorevole Costa ha creduto prudente ritirare la sua proposta soppressiva, dichiaro di appoggiare l’emendamento dell’onorevole Mortati, perché temo, ove questo non fosse approvato, che l’Assemblea cadrebbe in una grave contradizione. Infatti, giorni or sono, sia pure con una non cospicua maggioranza, noi abbiamo deliberato il mantenimento in vita della giurisdizione speciale militare in materia penale, con un emendamento che diceva che sarebbero mantenuti i tribunali militari, non i soli tribunali «territoriali», ma anche il tribunale supremo militare. Invece, con l’articolo proposto dalla Commissione, tutti gli organi giurisdizionali, sia ordinari, che speciali, e di conseguenza il supremo organo giurisdizionale in materia penale militare, sarebbero soggetti alla censura della Corte di cassazione. Ecco perché, giustamente, l’onorevole Mortati, avvertendo l’evidente contradizione di questo testo con una deliberazione già presa dall’Assemblea, propone che solo le decisioni dei tribunali ordinari siano soggette al supremo magistrato della Corte di cassazione.

Ecco spiegate le ragioni della mia titubanza. Ché se la Commissione potesse suggerire seduta stante una via d’uscita per impedire la grave contradizione che, a mio avviso, non farebbe onore alla nostra Assemblea, sarei lieto di appigliarmi anche a questa uscita. Mi dispiace solo che una materia di tanta delicatezza sia affrettatamente deliberata, mentre poteva essere oggetto di studio da parte di una commissione che preparasse per il futuro una legge speciale.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, sarò breve. La mia intenzione è soltanto di dare una rapida risposta all’invito che ci è stato rivolto dall’onorevole Calamandrei di spiegare come mai il nostro Gruppo abbia manifestato una opinione favorevole alla molteplicità delle Corti di cassazione. Naturalmente, sarò costretto a introdurre nella mia dichiarazione anche qualche elemento di natura personale, e prego il nostro Presidente di considerare semmai questa mia dichiarazione anche come una dichiarazione di voto, nel caso si dovesse addivenire a una votazione su questa questione.

In realtà, anche io sono partito dalle considerazioni che l’onorevole Calamandrei ha testé svolto con parola altrettanto autorevole quanto brillante. Ritenevo anch’io che la Corte di cassazione dovesse essere unica essendo questo un mezzo potente per dare unità non soltanto alla giurisprudenza, ma a tutto il diritto, attraverso la più elevata delle sue interpretazioni. Devo aggiungere che tutti i magistrati, o quasi tutti, con i quali ebbi occasione di intrattenermi su questo problema in qualità di Ministro della giustizia, manifestarono un’opinione analoga a quella dell’onorevole Calamandrei. Non ostante ciò, sono nel dovere di dichiarare che la stessa esperienza fatta da me dell’amministrazione della giustizia mi ha convinto che questa opinione non è giusta e che le argomentazioni che vengono addotte a sostegno di essa non sono esatte né accettabili, perché essendo astratte e formali, non toccano il fondo del problema. L’errore consiste nel riferirsi alla unità in modo esteriore, senza considerare per quale cammino si deve arrivare a realizzare, a che cosa deve corrispondere e a che cosa corrisponde di fatto questa unità del diritto.

Lascio quindi da parte le considerazioni sentimentali e le tradizioni, pur riconoscendo che esse sono pure qualcosa di nobile e glorioso e da non trascurarsi. La traccia lasciata dall’attività delle Corti di Torino, Firenze, Napoli, Palermo è una cosa che difficilmente si potrà cancellare e io ricordo che la facoltà di giurisprudenza di Torino, nella quale ho studiato, ritraeva un lustro particolare dal fatto di risiedere in quella città, dove era una Corte di cassazione.

Ma lasciamo da parte i riflessi e ricordi sentimentali. L’onorevole Calamandrei ha posto al centro del suo intervento questa affermazione: «Si tratta di un residuo del passato». Di quale passato e di quale sorta di residuo? Quando si fece l’unità d’Italia la situazione del nostro Paese, per ciò che si riferisce al diritto e alla sua interpretazione, era molto difettosa. Non vi era unità, poiché esistevano Codici diversi, giurisprudenze diverse, erano organi diversi di interpretazione di diverse legislazioni. Partendo da quella situazione siamo arrivati all’unità. Assieme all’unità dello Stato abbiamo creato l’unità del diritto. Ma chi ha creato questa unità del diritto? L’hanno creata le Cassazioni plurime, non la Cassazione unica, e le Cassazioni plurime hanno potuto creare l’unità del diritto appunto perché erano molteplici, cioè perché la loro attività era direttamente collegata con quelle particolari condizioni di fatto a cui erano legate la differente legislazione, la differente codificazione e la differente giurisprudenza. Lavorando nel diverso, e poiché lavoravano nel diverso, le Corti plurime fecero l’unità. Questo fu il grande merito di queste Corti di cassazione, né credo che se fosse esistita in quel periodo una Cassazione unica avremmo ottenuto nello stesso tempo un risultato così rapido non solo di unificazione, ma anche di arricchimento della scienza giuridica. Fu in quel periodo che sezioni intiere della scienza giuridica sono state sviluppate. Basti pensare agli sviluppi del diritto commerciale che, legati direttamente a quelli dell’industria e dei traffici del Nord, ricevettero notevole impulso dai giudicati delle Corti di appello e della Corte di cassazione settentrionali, mentre tale impulso difficilmente avrebbe potuto essere dato dai giudicati delle Corti di appello e di Cassazione meridionali. Assai diverso era infatti in quel tempo lo sviluppo stesso dell’economia e quindi dei rapporti fondamentali della vita civile nelle diverse parti del nostro Paese.

E qui credo si venga al fondo della questione. Le Cassazioni plurime sono soltanto un residuo del passato, oppure la situazione del nostro Paese è tale che giustifichi anche ora la molteplicità delle Corti di cassazione? Unità, sì! Ma unità non vuol dire sempre unicità, non vuol dire sempre completa uniformità. Ancora adesso, nel nostro Paese, esiste tra una parte e l’altra una grande diversità di sviluppo economico e delle condizioni della vita civile. È inevitabile, ad esempio, che lo sviluppo della giurisprudenza e quindi del diritto sia legato in una parte del Paese in particolare alla industria o al commercio ad essa legato, in altra parte d’Italia invece, sia legato in prevalenza alla elaborazione di quella parte del diritto privato che considera i rapporti di proprietà sulla terra. Questa diversità esiste ancora; non è superata, perché il nostro Paese non è così uniforme, come sono altri Paesi d’Europa, e noi dobbiamo concedere qualche cosa a questa diversità di sviluppo, se vogliamo che il diritto, e quella superiore elaborazione di esso, che è la giurisprudenza della Corte di cassazione, mantenga un legame vivo col popolo.

Si sente dire talvolta, e in senso dispregiativo, che il popolo italiano sarebbe un popolo di legulei. Non credo però si possa considerare con spregio quella qualità del nostro popolo che è l’interesse ch’esso dimostra per i problemi del diritto. Certo è che non solo nel nostro Paese, ma in generale, le questioni giuridiche non possono essere considerate separatamente dallo sviluppo di tutta la vita nazionale, della vita cioè di tutto il popolo. Questo però vuol dire che quanto più noi organizzeremo gli organi della giurisdizione, anche nella sfera suprema, in modo da rendere possibile un loro contatto più diretto con la vita immediata della Nazione, tanto più avremo fatto progredire la elaborazione stessa della scienza giuridica e del diritto in senso unitario. E questo è l’argomento fondamentale.

L’onorevole Calamandrei ci ha terrorizzati, dicendo che in questo modo si ammette che un fatto possa essere reato in una parte d’Italia e non in un’altra parte.

No! Un fatto sarà reato dappertutto dove ha vigore quel Codice, che lo qualifica come reato.

Una voce. C’è l’interpretazione.

TOGLIATTI. Interpretazione di applicazione. E a questo proposito permettetemi di ricordare un episodio della recente nostra attività giurisdizionale: l’esistenza per un periodo di sei mesi circa di una sezione staccata penale della Corte di cassazione, la quale funzionò a Milano, dopo la liberazione, con lo scopo di rivedere in sede di seconda istanza le sentenze pronunziate dalle Corti straordinarie del Nord. Il lavoro era difficile, delicatissimo. Si trattava non solo di temperare, ma di elaborare giuridicamente, sulla base di una legge d’eccezione, quella che in determinati pronunziati di Corti straordinarie era stata spesso soltanto la legittima e spontanea reazione immediata del sentimento nazionale offeso dai crimini fascisti. Opera, ripeto, delicatissima. Ebbene, quest’opera venne compiuta assai bene sino a che quella Corte risiedette a Milano, in condizioni materiali terribili, mentre mancavano i locali, ed era difficile perfino l’approvvigionamento dei magistrati. Quella Corte ad ogni modo adempì brillantemente al proprio compito fino a che risiedette e funzionò in Milano. Non posso dire che lo stesso sia avvenuto, quando quella stessa Corte incominciò a funzionare a Roma. Immediatamente si notò il contrasto fra due ambienti e due mentalità diverse. Venne proseguita l’opera iniziata, ma in uno spirito, che non era più quello di prima, sibbene l’opposto. L’animo del giudice non era più a contatto con l’animo del popolo, da cui erano sorti giudizi che si trattava di rivedere. Ma l’animo del popolo corrispondeva esattamente, invece, all’animo del legislatore, autore delle leggi che si trattava di applicare, mentre lo stesso non si può dire dello spirito che prevaleva in determinati ambienti politici romani.

Si tratta di un episodio, che però dimostra che anche nel campo penale l’esperienza del decentramento di una sezione della Corte non è stata negativa.

Si dice che con la pluralità delle Cassazioni si distruggerebbe l’unità giurisprudenziale. Ma questa unità non esiste nemmeno con la Cassazione unica, perché la giurisprudenza varia da sezione a sezione.

Una voce a destra. No, no!

TOGLIATTI. Senza dubbio.

Una voce a destra C’è il massimario.

TOGLIATTI. Quando la Cassazione non si pronunzia a sezioni unite, la giurisprudenza varia da sezione a sezione e da presidente di sezione a presidente di sezione. Questo sanno tutti coloro che conoscono qualche cosa della evoluzione del nostro diritto.

Ma io sostengo che la diversità di giurisprudenza, la quale si potrà senza dubbio creare esistendo parecchie Corti di cassazione, così come esistette quando le Corti di cassazione erano cinque, sarà qualcosa di positivo, e lo sarà perché rifletterà un’elaborazione giuridica più vicina alla realtà, alle esigenze della vita nazionale. Attraverso questa diversità la giurisprudenza dimostrerà di essere vicina al polso della nazione, dimostrerà che i problemi della terra e dello sviluppo del commercio e dell’industria, e quindi del diritto, saranno sentiti e risolti in relazione con l’ambiente in cui essi sono sorti, e il diritto si svilupperà veramente come deve svilupparsi, cioè a contatto con la vita reale del Paese.

L’argomento della spesa, secondo me, nemmeno ha valore. La spesa deve essere considerata non soltanto nel quadro del bilancio dello Stato, ma nel quadro generale delle spese della nazione. La spesa che deve sostenere un avvocato per venire da Palermo a Roma per patrocinare in Cassazione, è una spesa inutile per la nazione, è un puro passivo per il Paese; le economie che in tal senso si verranno a realizzare, compenseranno ampiamente il passivo che si avrà nel bilancio dello Stato.

C’è infine un altro argomento, che voglio portare, sulla base dell’esperienza. È mia convinzione che la esistenza della Cassazione unica a Roma disorganizza, o per lo meno contribuisce alla cattiva organizzazione della Magistratura italiana. È un fatto innegabile: tutti i magistrati guardano a Roma, tutti, indistintamente, perché vogliono arrivare, com’è legittimo, alla Cassazione. Soltanto quando sono arrivati alla Cassazione i magistrati intelligenti, bravi, valorosi, giustamente ritengono di aver raggiunto quello che è l’obiettivo della loro attività intellettuale e della loro carriera.

Questo crea uno squilibrio nell’organizzazione della Magistratura, uno squilibrio che si manifesta in tutti i campi, come potrebbe confermare, se presente, anche l’attuale Guardasigilli. Si è arrivati al punto che il Guardasigilli si trova in serie difficoltà quando deve trasferire da Roma degli alti magistrati per dirigere una Corte del Nord. Si vuol rimanere a Roma, non perché a Roma sono i Ministeri e nemmeno perché Roma sia il centro della vita politica, ma perché Roma è il centro della Magistratura, dato che qui esiste la Cassazione unica. Questo è un fattore negativo, che pesa su tutta l’organizzazione della Magistratura italiana, e che si fa sentire deteriormente data la struttura del nostro Paese, alla quale non corrisponde l’organizzazione della Magistratura. Il nostro Paese è policentrico. Abbiamo per questo creato l’organizzazione regionale…

Una voce al centro. Anche voi?

TOGLIATTI. Ma sì, anche noi, e vi abbiamo contribuito con più serietà e intelligenza di voi. Il nostro Paese, ripeto, è policentrico. Esso ha quindi bisogno di una organizzazione la quale, riflettendo questa sua struttura, permetta di far aderire alla realtà vivente della vita nazionale non solo l’attività politica e quella amministrativa, ma anche l’evoluzione del diritto attraverso la stessa giurisprudenza. Orbene, la Cassazione unica a Roma non permette di organizzare la Magistratura italiana in modo adeguato allo sviluppo di un’attività giuridica che aderisca alle necessità del Paese.

Questi sono i motivi per i quali personalmente mi sono convinto che è giusto ritornare al sistema delle cinque Corti di cassazione, essendo questo ritorno coerente con tutto l’indirizzo della nostra Costituzione, e coerente soprattutto con la concezione che noi abbiamo del diritto, della sua origine, che è nel popolo, della sua fonte, che è nella coscienza popolare e nello sviluppo delle molteplici attività nazionali.

Per tutti questi motivi il nostro Gruppo darà la sua approvazione agli emendamenti che propongono la restaurazione delle cinque Corti di cassazione. (Vivi applausi a sinistra – Congratulazioni).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Onorevoli colleghi, io debbo insistere su quella mia pregiudiziale, che concerne il retto uso dei suoi poteri da parte dell’Assemblea Costituente. Ciò che noi abbiamo fatto, e continuiamo a fare, potrebbe definirsi la confisca del potere legislativo futuro. Noi dobbiamo fare la Costituzione, che è determinazione degli organi sovrani dello Stato e questa nostra competenza, che è la sola che veramente ci spetta, procede, naturalmente, sub specie aetemitatis, perché ogni forma di regime deve augurare a se stessa una durata indefinita, e quindi tutto quello che tocca la Costituzione in questo senso come la Presidenza della Repubblica, le due Camere, i rapporti fra loro, e così via ha carattere permanente. Ma, poi, c’è tutta la zona legislativa, la quale può mutare ogni momento; mentre noi, invece, pretendiamo – per così dire – di imbalsamarla. Io non so come il futuro potere legislativo si condurrà verso questi limiti che gli sono imposti, per cui ad esso non è riservato altro compito che quello di fare il regolamento, mentre la legge la stiamo facendo noi, per conto di tutti i legislatori di là da venire. Or io non credo che essi si adatteranno; e non lo credo, perché non riconosceranno in noi questa specie di diritto divino di stabilire, per conto loro, quelle norme che hanno la pretesa di essere le linee direttive, obbligatorie, intangibili, della futura legislazione.

Il caso attuale è tipico, non solo perché la Cassazione attiene a quegli ordinamenti che hanno propriamente carattere legislativo, in quanto non derivano dalla Costituzione, di cui fa, invece, parte il potere giudiziario nel suo complesso, ma anche per un’altra ragione: e cioè, che parlare della Cassazione, prescindendo da quello che potrà essere l’ordinamento giudiziario, è un assurdo. Lo diceva molto bene l’onorevole Calamandrei or ora, da quel maestro che è: per intendere l’istituto della Cassazione, bisogna avere una conoscenza dei vari gradi dell’ordinamento giudiziario. Da quel maestro che è, si è scelto l’esempio che più gli è convenuto, naturalmente; e, dicendo che parlava a colleghi non avvocati, ci ha presentato una specie di manuale, a tiro rapidissimo, di procedura civile. Ora, qui noi siamo tutti eguali di fronte alle conoscenze che ci occorrono; dobbiamo essere tutti eguali: non ci sono dotti professionali, né – diciamo – indotti professionali. Però, in fondo, l’onorevole Calamandrei ha ragione in ciò; come si può giudicare di un istituto in cui si assomma l’ordinamento giudiziario, quando si prescinda dalla conoscenza dei vari suoi gradi? E, difatti, egli supponeva una Cassazione come la pensa lui, come la vuole lui, che è un maestro, non solo in genere della procedura civile, ma anche, e soprattutto, in questo argomento speciale, perché un volume fondamentale sulla Cassazione si deve a lui. Ma, d’altra parte, taluno potrebbe osservargli di concepire in modo diverso l’istituto della Cassazione, o addirittura di non crederci affatto. Perché ognuna di queste opinioni dovrebbe trovare un ostacolo pregiudiziale nella Costituzione?

Non sarò, certo, io a sostenere, sul tema della Cassazione alcuna tesi estrema o nichilista: non io. Tutto quello che io valgo in diritto, lo debbo alla Cassazione, e precisamente a quella di Palermo, dalla quale appresi; ma la questione, nondimeno, si pone e s’impone, e la stessa Cassazione consente maniere del tutto diverse di considerarla.

Io ho riportato la curiosa sensazione (almeno, così mi è sembrato nell’ascoltare il discorso del mio amico e collega Calamandrei) che egli vi abbia parlato della Cassazione come di una specie di sublimazione del diritto. Egli vi ha detto – ed altri l’avevano pur detto – che la unificazione della Cassazione è il presupposto della unificazione del diritto, e quindi contribuisce alla unificazione nazionale, ecc.: come se l’unità nazionale, sia pure nel campo del diritto, si potesse raggiungere solo attraverso una riforma voluta ed attuata dal fascismo.

Ora, io, nella realtà concreta, non so separare il diritto dal fatto in maniera così assoluta. Quindi, questa formulazione della Cassazione come una specie di isolamento superbo (quello che in Inghilterra si dice splendid isolation) del diritto, non è nel mio temperamento, né risponde al mio pensiero. Ad ogni modo, prescindiamone. Questo, però, dimostra soltanto come l’argomento si espanda, si irradii, si innalzi o si approfondisca, e tutto questo noi dovremmo condensare e fissare ora con un piccolo emendamento!

Ad ogni modo, a proposito di opinioni sospette o non sospette, mi sia permesso ricordare che io difesi la pluralità delle Cassazioni in una orazione – che fu poi pubblicata, e quindi c’è la data certa – da me pronunciata nell’Aula magna della Università di Palermo, nel 1889 (la maggioranza di voi, a quel tempo, non era ancora nata). Ebbene, allora come ora, io ho sempre avuto questa opinione, apertamente professata, in contrasto con la Cassazione unica.

Per me, quindi, la questione, per se stessa, si presentò da primi come tecnica, non politica. Comunque, su quelli che sono i presupposti tecnici di essa, io non vedo una distinzione di partiti politici. C’è il lato politico, naturalmente, (dove non entra la politica?) e questo fu colto acutamente dall’onorevole Togliatti; ma il problema, per sé, resta squisitamente tecnico, perché in sostanza si tratta di sapere: questo diritto dove si elabora?

Io avrei voluto dirlo, se fossi intervenuto nella discussione, a proposito della giuria: chi veramente crea questo diritto? dove e come nasce? A questo proposito, la mia idea è questa: la tendenza dei giuristi teorici è di rendere il diritto inaccessibile al profanum vulgus. Perciò vi dico: diffidate dei dotti, diffidate dei professori (sono professore anche io e non posso dire di essere con ciò ingeneroso coi miei colleghi); il diritto lo fa il popolo, perché se c’è qualche cosa di squisitamente popolare, è il diritto. Due cose vengono dal popolo immediatamente: il linguaggio ed il diritto. Credere che il diritto si faccia attraverso i cervelli dei grandi maestri, siano dei grandi giureconsulti siano magistrati, è un errore, com’è un errore il credere, che la lingua la facciano gli accademici che redigono il vocabolario della Crusca. Or quanto più vasto è lo spazio, dove si alimentano le radici di questa creazione popolare per eccellenza, e quanto più queste radici si accostano al popolo, in tutti i suoi strati, in tutte le sue forme, in tutte le sue regioni, tanto meglio!

Nel campo tecnico, si parla di unità del diritto, di immobilità o di consolidazione. L’amico Calamandrei, mettendo in giuoco i due concetti di spazio e di tempo, si è preparata sempre la possibilità di darmi torto; perché egli diceva: «Certo, non si deve immobilizzare il diritto; ma questa esigenza non si riferisce già allo spazio, bensì al tempo».

Ma il diritto – rispondo io – si muove e si muove sempre, e nello spazio e nel tempo. Spazio e tempo non sono due elementi separabili. Comunque, l’immobilizzazione o la consolidazione del diritto – che pure è l’argomento principe a favore dell’unità della Cassazione – i tecnici stessi finiscono con l’ammettere che non è poi un assoluto vantaggio, e che, ad ogni modo, non si riesce a conseguirlo. Ma è il caso di aggiungere qualche cosa di più.

È qui – scusatemi – è proprio qui che lo spazio ci giuoca dei tiri veramente birboni. Noi abbiamo a Roma la Cassazione unica: di quanti magistrati si compone? In civile, le sezioni sono tre; ma è un’apparenza; in realtà, saranno sette od otto, perché, dato il numero totale dei consiglieri, essi ragionevolmente, per sopportare il peso del lavoro, debbono fare dei turni nella sezione. Quindi, effettivamente, le sezioni civili, che siedono a Roma, sono sette od otto.

Ebbene, si potrà con piena coscienza affermare che se questi egregi magistrati si riuniscono a Roma in giorni successivi, la certezza del diritto, la giusta unità del diritto è assicurata; mentre, invece, se si riunissero, oltre che a Roma, a Napoli, a Torino, a Firenze, a Palermo, allora addio unità del diritto! Spunterebbe, allora, il mostro a cinque teste.

Certo, quei magistrati che pronunciano sentenze in sedi diverse possono dissentire dall’una all’altra sede; ma, del resto, dissentire possono anche qui a Roma; e, comunque, si possono trovare dei modi di ovviare a tali dissensi, di ricondurre immediatamente il fatto a quella che deve essere la sua giusta regola; sebbene, a tal proposito, è utile e prudente tener presente che ogni figura giuridica corrisponde ad una figura specifica di fatto.

Ora, francamente, io sono un cassazionista, perché – come or ora ho detto – io studiai in Cassazione: è, infatti, là che si apprende il diritto. Quindi, è ben lungi da me la intenzione di mancare di rispetto alla Cassazione unica; però, una constatazione obiettiva mi sia lecito farla. Allorché si determini un dissenso tra Palermo e Torino, passi: è una cosa che si comprende, quantunque contro di essa si scaglino poi gli anatemi degli unitari. Ma quando è la stessa Cassazione unica, questa a cui vi affidate, la quale nello spazio e nel tempo si contraddice, allora l’impressione – diciamo pure – di scandalo è assai maggiore. Io ricordo – e vi partecipai – la battaglia sulla questione della validità della clausola oro. Ebbene, vi fu un procuratore generale, ora morto, magnifica figura di giurista, il quale, di fronte alla manifesta disposizione d’animo dei giudicanti nel senso di modificare quella che era stata la giurisprudenza sino ad un mese prima, ad un certo punto concluse per la conferma della giurisprudenza, che era stata acquisita. E con felice volo oratorio, disse: «Ci fu qualcuno che si affidò a voi. Orbene, c’è, per l’appunto, in questione una gentildonna ungherese, la quale aveva in Italia un mutuo. Poiché v’era stata una sentenza della Cassazione, la quale aveva ritenuto la validità della clausola oro, questa gentildonna è venuta in Italia ed ha fatto grandi concessioni al debitore, perché avesse acconsentito ad inserire nel contratto la clausola. Quale sarà, ora, la sua sorte?».

Fin qui, mi sono intrattenuto sul lato tecnico: e su di esso si può discettare indefinitamente. Sono cose ormai note. Ma c’è pure il lato politico. E quale il lato politico di questa questione? Vi dirò che mi sorprendo, sotto questo riguardo, di quanto ha detto il mio caro amico Grassi: «È un’eresia l’affermare che la Cassazione unica sia di istituzione fascista». Sta bene: non nego che anche prima del fascismo essa fosse stata invocata, fosse stata proposta; ma chi fu ad attuarla? La Cassazione unica, dunque, in senso stretto – ossia, non nella discussione teorica, ma nell’attuazione pratica – è una istituzione fascista.

Ora vediamo: perché lo ha fatto? Una ragione c’è; prima se ne era tanto parlato, e non si era potuta attuare. Si dice: è venuto finalmente il fascismo, che, benemerito, l’ha attuata. Ah, no, amici! La ragione fu politica e fu fascista. Perché? Perché il fascismo fu accentratore e rimproverava di debolezza il Parlamento; quanti rimproveri al Parlamento! È incapace – così lo si accusava – di abolire una Corte d’appello, incapace di abolire un’Università, incapace di abolire una Prefettura, una Provincia, a causa delle pressioni delle clientele locali, per la paura che i deputati hanno del collegio loro, ecc. Si dovrà, dunque, dire che l’abolizione delle quattro Cassazioni fu un atto di coraggio del fascismo? Ah no! E perché? Perché la verità è che nel periodo fascista, a parte la soppressione delle Cassazioni, non fu soppressa una Corte d’appello, non fu soppressa una Prefettura, non fu soppressa un’Università: anzi, furono moltiplicate le Prefetture, le Università e le Corti d’appello. Il motivo fu esclusivamente politico; non fu già di sfrondare, di semplificare, di assicurare il diritto. E quale fu il motivo politico? l’accentramento. Or, sotto questo aspetto, bisogna riconoscere che il mezzo giovava e fu intelligentemente scelto. Però, una così fatta unificazione di pensiero giuridico è contro natura, perché ogni ambiente può foggiare a se stesso le proprie maniere di concezione giuridica, le quali poi, fondendosi, possono dar vita ad una figura nuova. Come in tutte le sue imprese, così anche in questa, e specialmente in questa, la rettorica si prestava a coprire il meditato disegno di un accentramento a fine politico: ci voleva Roma, la via imperiale; Roma, la via dei trionfi; Roma, che deteneva essa questa specie di privilegio, di monopolio rappresentativo del diritto – essa, madre e maestra del diritto. E così fu compiuta una ingiustizia, una ingiustizia assai grave, che si risolveva tutta a danno del diritto.

Il mio amico Calamandrei, con quella sensibilità che lo distingue, ha cominciato il suo dire con un’osservazione giusta: cioè, che questa è materia di sentimento, è una questione sentimentale. Anche io ne convengo: e da parte mia, non ho potuto sentire, senza protestare, che quelle vecchie Cassazioni fossero delle macerie, dei ruderi. Non fo confronti, perché sono odiosi; ma dico e riaffermo che il periodo della Cassazione unica, dal punto di vista del valore dei contributi al diritto ed alla sua scienza, non supera, certo, quello delle soppresse gloriose Cassazioni, attraverso le quali si affermò il progresso giuridico in Italia. In questo breve periodo fascistico non certamente il valore giuridico italiano si è innovato e rafforzato; ché, anzi, è indubbiamente retrocesso. Il progresso del diritto nostro, di cui possiamo essere fieri, non si deve forse – ripeto – proprio a quelle Cassazioni?

Per tutte queste ragioni, per coerenza alle mie convinzioni e per riverenza al nostro glorioso passato, io voterò tutto ciò che meno si allontanerà da questa idea, (perché qui vi è abbondanza di emendamenti e di formule); voterò – ripeto – tutto ciò che si dimostrerà di più avvicinarsi alla ricostituzione di quei centri di cultura.

Badate bene: si dice che le città tengano, e fieramente, a questi loro centri, e perché? Non certo per quella quantità di carne o di pasta, che consumi un ristretto numero di magistrati – modesta gente, ma grande, gloriosa gente – oppure per il numero dei clienti, che arrivano e che possono affollare alberghi e trattorie.

Andiamo: sono città troppo grandi, per essere sospettate di così piccole miserie; ma esse sentono con tutta intensità che là dove c’è la Cassazione, ivi esiste un fecondo, magnifico centro di cultura giuridica. E, veramente, erano centri mirabili di cultura giuridica, veramente, Napoli e Torino, Firenze e Palermo possono vantarsi di essere state, in virtù delle loro Cassazioni, delle grandi scuole di diritto!

Questa illustre tradizione si è rotta; e non è lieve il danno che ne è derivato. Or, è desiderabile ed augurabile che questa tradizione rinasca, che si ricomponga; ma, in ogni modo, è un potente bisogno dell’animo mio, è un solenne, sacro dovere per me che la commossa parola di commemorazione e di rimpianto di questo vecchio riaffermi la sua gratitudine a quei giganti, che furono i magistrati e gli avvocati dei pubblici ministeri delle Cassazioni regionali! (Vivissimi applausi – Congratulazioni).

ROMANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Romano, lei propone di offrire dei chiarimenti sull’argomento. Ma evidentemente si tratta qui non di chiarire la questione, ma di esporre eventualmente su essa la propria opinione personale. Forse, avendo parlato già sostenitori dell’una e dell’altra tesi, ove non si potesse portare qualche nuovo argomento, potremmo considerare la discussione di merito conclusa.

Comunque, ha facoltà di parlare.

ROMANO. Farò brevissime considerazioni. Innanzi tutto, come ebbi a dire in discussione generale, se si dovesse arrivare al ripristino delle Corti di cassazione, noi rivendichiamo anche le Cassazioni di Napoli e Palermo. Ma rilevo questo: che mi pare si sia esagerato, scivolando su un altro argomento molto delicato e che richiede molta ponderatezza.

Abbiamo preso in mano, in uno scorcio di seduta pomeridiana, un istituto delicatissimo, che ha formato oggetto di tanti progetti e discussioni. Quando poi ho inteso parlare di regime fascista, ho sentito il bisogno di dire che la Cassazione unica non può considerarsi istituto fascista, in quanto che la Cassazione unica fu oggetto di numerosi progetti che si riallacciano a nomi come Pisanelli, Pescatore, Martirolo, Quarta, Fadda, Ralli, Minghetti, Taiani, Mortara e di altri. Ora, questi uomini illustri sono per caso divenuti fascisti? Non credo che sia il caso di parlare di fascismo.

E poi, mi pare inesatto parlare di disfunzione della Cassazione unica, perché, prendendo in mano i volumi pubblicati dall’istituto di studi legislativi e che riportano le sentenze emesse dalla Cassazione dal 1943 al 1946, rileviamo come la Cassazione unica funzionò perfettamente. (Commenti).

Sarebbe dunque opportuno soprassedere e considerare più ponderatamente questo istituto così delicato.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io mi asterrò dall’intervenire a questa ora nella discussione, dopo che da altri è stato con tanta autorità ed ampiezza arato il campo della materia. Mi limiterò pertanto ad una sola dichiarazione di voto a nome mio e di numerosi colleghi, che come me sentono l’esigenza giuridica e sociale della Cassazione unica.

PRESIDENTE. Forse la dichiarazione di voto sarà più opportuna dopo che l’onorevole Rossi Paolo avrà espresso il parere della Commissione.

DOMINEDÒ. All’ora parlerò dopo. Sta bene.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Rossi Paolo di esprimere il pensiero della Commissione.

ROSSI PAOLO. L’Assemblea mi darà atto che, se dovessi rispondere, non dico compiutamente, ma appena decorosamente, o se volete un altro avverbio, decentemente, a tutti gli argomenti che si sono svolti, e non oggi soltanto, intorno alla materia contenuta nelle tre o quattro righe dell’articolo 102 proposto dalla Commissione, non mi basterebbe di certo questo ultimo scorcio di seduta, e forse dovrei chiedere alla vostra pazienza di sentirmi per un tempo altrettanto lungo di quello occupato dai difensori del processo di Frosinone: sei o sette sedute. Soccorrono me e soccorrono voi, onorevoli colleghi, due grandi fortune: la prima, che io non sono materialmente in grado, per difetto di preparazione specifica, di rispondere compiutamente e singolarmente a tutte le argomentazioni fatte valere dagli illustri oratori che mi hanno preceduto, su un tema squisitamente tecnico; e la seconda, onorevoli colleghi, che i vari oratori hanno provveduto benissimo e larghissimamente a confutarsi fra sé!

Abbiamo, per esempio, un emendamento dell’onorevole Costa, che domanda la soppressione dell’articolo 102; ne abbiamo diversi altri che propongono la geminazione di questo articolo. L’onorevole Costa non vuole l’articolo; altri colleghi ne domandano due o tre al posto di uno. L’onorevole Leone col suo emendamento ha confutato ampiamente l’onorevole Mortati; i sostenitori delle Cassazioni plurime hanno confutato i sostenitori della Cassazione unica e viceversa.

La Commissione si limita a dichiarare questo: non accetta e non respinge alcuno dei numerosi emendamenti. Tutti gli emendamenti sono stati accolti in parte ma, come suggerimento, come incitamento a uno studio nuovo, come invito a rimeditare questioni difficili.

Dirò a tutti i presentatori di emendamenti, agli onorevoli Costa, Gabrieli. Mortati, Monticelli, Romano, Colitto, Caccuri, Cortese, Murgia e a tutti gli altri, che non posso uno ad uno nominare, che nessuno dei loro emendamenti è stato dimenticato dal Comitato di redazione, che li ha tutti vagliati ed ha cercato, in quanto fosse possibile, di conciliarli.

Il risultato di questo lavoro, onorevoli colleghi, è stato che la Commissione ha emendato il suo medesimo testo; lo ha emendato due volte. L’emendamento che ho avuto l’onore di proporre porta soltanto la mia firma, ma, in realtà, è un emendamento concordato col Comitato di redazione. Successivamente, nella seduta di oggi, dopo aver sentito ulteriori dichiarazioni e spiegazioni da parte dei presentatori di emendamenti, abbiamo ancora introdotto qualche modificazione, e questo specialmente ad opera dell’onorevole Leone, i cui suggerimenti, sono stati in gran parte accettati. La formulazione nuova dell’articolo 102 sarebbe questa (ed è diversa notevolmente dal primo testo):

«Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. (Vedano, colleghi, di quante esigenze si è tenuto contò in questa formulazione).

«Contro le Sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione».

Quali sono stati sommariamente i principî che ci hanno guidato in questa redazione?

Anzitutto il principio fondamentale dell’unicità di giurisdizione. E qui mi dispiace non concordare con l’onorevole Mortati, che ha svolto una delicatissima, finissima questione sistematica. «Il gran desio dell’eccellenza – dirò con Dante – ove il suo cuore intese» muove sempre l’onorevole Mortati a distinzioni di carattere sottile, che mettono talora in imbarazzo i membri della Commissione.

Non abbiamo potuto accettare il suo punto di vista sistematico, per cui quando esistono organi giurisdizionali di carattere speciale, la Cassazione non può intervenire, perché tutta la materia, da capo a fondo, dev’essere demandata agli organi speciali e non può essere, in ultima istanza, controllata dalla Corte di cassazione. Abbiamo invece accettato il criterio – scaturente da molti emendamenti e ordini del giorno – dell’unicità della giurisdizione.

Ci siamo affidati, in secondo luogo, al principio della tutela contro ogni abuso, o contro ogni sopraffazione. Anche in materia amministrativa abbiamo voluto affermare la garanzia della libertà personale, accogliendo l’emendamento dell’onorevole Leone.

Abbiamo voluto stabilire il mantenimento del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

Abbiamo voluto garantire allo Stato una difesa particolare per il tempo di guerra.

E quindi abbiamo stabilito che si possa, di regola, ricorrere, anzi che si possa sempre ricorrere contro tutte le sentenze e contro tutte le decisioni pronunciate da organi giurisdizionali ordinari e speciali. Abbiamo ammesso il ricorso per Cassazione contro tutti i provvedimenti, anche diversi dalle sentenze, che incidano sulla libertà personale. Abbiamo stabilito la deroga soltanto per le sentenze emesse dai tribunali in tempo di guerra, parendo evidente che non sia dato ricorso sospensivo, perché, in guerra, o non serve il ricorso o non serve la sentenza. Se si prevede la sospensione, si frustrano le sentenze; se non si ammette la sospensione, di fronte alle possibili condanne a morte, si rende vano il ricorso.

Abbiamo voluto, poi, precisare in un capoverso dell’articolo 102 della nuova formulazione, che contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, ed eventualmente di altri organi di questo genere (e questo mi pare sia compreso nella prima parte dell’articolo 102) è ammesso ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione. Con ciò, in parte, abbiamo cercato di accogliere il criterio dell’onorevole Mortati.

Secondo la formulazione antica dell’articolo 102 era sempre ammesso il ricorso per Cassazione, secondo le nonne di legge. Quindi si poteva anche concepire un ricorso contro le decisioni del Consiglio di Stato o della Corte dei conti per violazione di legge. Invece si è voluto stabilire che contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti si può ricorrere soltanto per eccesso di potere. Questa disposizione è parsa utile in linea teorica, prevalentemente, perché in linea pratica ci siamo curati di ricercare quante siano state le impugnazioni proposte alle Sezioni unite contro le Sezioni del Consiglio di Stato, e abbiamo constatato che nel ventennio ultimo ci sono state 83 impugnazioni a Sezioni unite contro le sentenze del Consiglio di Stato. Di queste impugnazioni venti erano proposte dalla Amministrazione e sessantatre dai privati. Sedici soltanto sono state accolte. Comunque, anche questa garanzia è stata introdotta, senza che sia violata la giurisdizione speciale del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, perché è stabilito che il ricorso è ammesso soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione.

E vengo adesso alla questione più grave e scottante di cui hanno discusso, oserei dire, senza far torto a nessuno, i più illustri parlamentari italiani: quella della molteplicità o della unicità della Corte di cassazione. Il parere della Commissione, a grande maggioranza, è questo: che non convenga risolvere questa questione nella Carta costituzionale, e che sia meglio votare la proposta dell’onorevole Targetti. Questo, formalmente; sostanzialmente, il parere della maggioranza dei membri della Commissione è che, se si dovesse risolvere la questione, bisognerebbe risolverla con l’affermazione risoluta della unicità della Corte di cassazione. Io ho sentito con estrema attenzione le opinioni svolte in contro dagli onorevoli Togliatti e Orlando. L’onorevole Togliatti ha cominciato con un argomento di ordine sentimentale, dicendoci che la città di Torino, in cui egli era studente, ritraeva un gran lustro dalla presenza a Palazzo Madama (mi ricordo le sale parate di arazzi e di ritratti dei Savoia) della Corte di cassazione.

Con lo stesso argomento l’onorevole Orlando ha chiuso la sua appassionata perorazione. L’uno rimpiangeva la Corte di Torino, che dava lustro alla vecchia città Sabauda; l’altro rimpiangeva la Cassazione di Palermo che dava lustro alla vecchia città borbonica.

Ora, questo argomento – me lo consentano entrambi gli illustri oratori – è di estrema debolezza. Che cosa ha dato lustro alla città di Urbino, che sarebbe altrimenti un piccolo villaggio sperso sui monti? Il fatto che i Duchi di Montefeltro hanno speso una quantità di denaro per costruire una magnifica reggia, dove hanno chiamato i più grandi pittori. Così Lucca, così le sedi di piccoli principati, ducati, signorie da cui principi, duchi e signori hanno dovuto fare valigia e andarsene.

Questi argomenti, mi consentano gli illustri contraddittori, non sono validi per nulla. Sono argomenti che provano il contrario della tesi che vorrebbero dimostrare.

Il secondo argomento dell’onorevole Togliatti è quello della varietà orografica, della varietà economica, della varietà multiforme del nostro Paese, che si snoda così lungo dalle Alpi fino alla Sicilia.

Ora – mi si consenta di dirlo – questo argomento è contraddetto dal fatto. Noi siamo praticamente un piccolo Paese; ci sono Paesi, come l’America, la Russia e l’impero Inglese, infinitamente più grandi della nostra penisola, che si può rapidamente percorrere in qualche ora; e quei Paesi hanno interessi infinitamente diversi: essi si affacciano all’oceano glaciale da una parte, ad un mare tropicale dall’altro; hanno regioni interamente agricole, altre interamente minerarie, altre interamente mercantili; eppure quelle regioni – prego gli onorevoli contraddittori di citarmi un esempio in contrario – nonostante la enorme disparità di condizioni economiche, geografiche e demografiche, hanno tutte una unica Corte di cassazione.

Si è parlato di una maggiore aderenza della giurisprudenza della Corte di cassazione agli interessi locali.

Mi pare che questo sia lo snaturamento completo dell’istituto della Corte di cassazione. In questo delicato momento, in cui si istituiscono le Regioni, ma si vuole fermamente mantenere sovrattutto l’unità nazionale, non ci sarebbe niente di peggio che creare un corpo del diritto commerciale milanese ed un corpo del diritto commerciale napoletano.

Quello che l’onorevole Togliatti mostra di desiderare è per me quello che si deve in tutti i modi e con tutte le nostre forze evitare. Guai se ci fosse un diritto agrario della valle Padana ed un diritto agrario della Capitanata; ed una giurisprudenza diversa da una all’altra regione!

Quale enorme problema, e non soltanto di ordine giuridico, ma anche di ordine politico, potrebbe nascere da una disparità giurisprudenziale fra la Corte palermitana e quella torinese, in materia agraria, al momento di una grande riforma di carattere nazionale!

L’onorevole Orlando, con la sua squisita finezza, con quell’arte di seduttore di Assemblee che egli possiede, ha sviluppato in parte gli stessi argomenti e ne ha aggiunto un altro, veramente contrario all’istituto della Cassazione.

Vogliamo abolire la Corte di cassazione? Vogliamo arrivare al sistema del diritto libero? Vogliamo applicare il common law degli anglosassoni? Io sono personalmente d’accordo – non impegno di certo la Commissione su una questione così grave – con l’onorevole Orlando. Vogliamo che la Corte di cassazione decida prevalentemente del fatto, decida in terza istanza del fatto e della equità? Benissimo. Ma se la Corte di cassazione deve restare quella che è e non può restare altrimenti, deve restare come Cassazione unica.

E perché una Corte di cassazione a Torino, onorevoli colleghi, e non una Corte di cassazione a Milano? È una nobile città, ho sentito dire, Torino; è una nobile città Palermo; e la povera Milano, non ha un piccolo titolo di nobiltà? E la povera Genova e la vecchia Venezia dogale? Mi pare che siano anche queste città degne di essere elette a sedi delle Cassazioni regionali. E perché non anche ad Aosta, dove sono vecchi problemi della Nazione?

Un’ultima osservazione, ed è questa. L’argomento dell’onorevole collega, e – se me lo permette – amico Della Seta e dell’onorevole Orlando, soltanto accennato dall’onorevole Togliatti: l’istituzione della Cassazione unica è di marca fascista. No! La Cassazione unica, sia detto chiaramente e forte, non è di marca fascista, ma è di marca internazionale, perché in tutti i Paesi, che non sono stati disonorati dal fascismo, la Cassazione è unica. La Cassazione unica non è di marca fascista, perché risponde all’antico e costante voto di tutti i giuristi italiani (molti dei quali sono stati pure in prigione, nelle galere borboniche, come i giuristi da voi citati, onorevole Della Seta), perché è il coronamento della unità e dell’indipendenza d’Italia.

La Cassazione unica non è quindi un istituto di marca fascista.

E mi sia consentito un ricordo di Anatole France. Sapete che Bergeret aveva un amico che sistematicamente faceva il contrario di Bergeret. Il suo modo di regolarsi era semplice: cosa ha detto Bergeret? Cosa ha scritto o fatto o pensato Bergeret? Ebbene io dico, scrivo, faccio e penso tutto il contrario di Bergeret! Sapete come conclude France? Siccome Bergeret, fatalmente, non aveva sempre torto, ne conseguiva che il suo amico non avesse sempre ragione!

Questa è la verità. Non ci dobbiamo lasciar ipnotizzare dal fatto che la Corte di cassazione in linea storica sia stata unificata sotto il regime fascista; il regime fascista ha completato fatalmente e necessariamente, forse anche contro delle resistenze regionali, un processo inevitabile sotto qualunque regime.

La vostra Commissione per tutte queste ragioni crede di dovervi proporre: se vi par meglio non affrontare la questione in questa sede, votate la proposta dell’onorevole Targetti; se la discussione si vuole, e si deve, forse, affrontare, vogliate approvare l’emendamento proposto dall’onorevole Ministro Guardasigilli, con quelle sicure, chiare e serie parole con le quali egli l’ha accompagnato.

Mi pare di aver esaurito l’argomento. Se sorgerà qualche altra questione potrò eventualmente rispondere. (Applausi).

PRESIDENTE. Come l’Assemblea ha udito, il nuovo testo dell’articolo 102 proposto dalla Commissione è del seguente tenore:

«Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge.

«Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

«Contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione».

A questo testo l’onorevole Gasparotto ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, aggiungere dopo le parole: e della Corte dei conti, le parole: e del Tribunale supremo militare».

Gli onorevoli Murgia, Mastino Gesumino, Laconi ed altri, hanno proposto un emendamento per cui, nell’ipotesi che siano ripristinate le quattro Cassazioni regionali, sia istituita una Cassazione anche in Sardegna. (Commenti).

Questi due emendamenti non possono essere più svolti.

Chiedo ai presentatori degli emendamenti se li conservano.

L’onorevole Costa aveva ritirata la proposta soppressiva, ma aveva proposto un piccolo emendamento sostitutivo.

COSTA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Monticelli, Romano, Varvaro, Merlin Umberto e Grassi, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Colitto, conserva i suoi emendamenti?

COLITTO. Non ho ragione di insistere, perché i miei emendamenti sono stati accolti nel nuovo testo.

PRESIDENTE. Onorevole Gabrieli, conserva il suo emendamento?

GABRIELI. Il mio emendamento è stato accolto dalla Commissione là dove dice che il ricorso in Cassazione è ammesso, senza l’avverbio «sempre», perché si ammette che vi possano essere ricorsi in Cassazione per sentenze di Tribunali militari in tempo di guerra. Mi rimetto al testo della Commissione. Però, insieme all’onorevole Gasparotto, ho firmato un emendamento che stabilisce che contro le sentenze dei Tribunali militari è ammesso il ricorso in Cassazione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Onorevole Caccuri, mantiene il suo emendamento?

CACCURI. Aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Cortese Guido, mantiene il suo emendamento?

CORTESE GUIDO. Aderisco all’emendamento dell’onorevole Leone Giovanni.

PRESIDENTE. Onorevole Murgia, mantiene il suo emendamento?

MURGIA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, mantiene i suoi emendamenti?

CRISPO. Li mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Leone Giovanni, mantiene il suo emendamento?

LEONE GIOVANNI. Poiché è stato riversato nell’emendamento Rossi, al quale pertanto aderisco, rinuncio al mio.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene i suoi emendamenti?

MORTATI. Mantengo i miei emendamenti. Faccio osservare che il mio primo emendamento risulta dalla trasformazione di un emendamento precedente, Nel caso che la mia ultima formulazione non fosse accettata, io chiederei di far rivivere il precedente emendamento, che rappresenta un’attenuazione del principio voluto affermare nell’ultimo. Se il primo non fosse accolto, manterrei il secondo in via subordinata.

La formula della Commissione, che dice di aver adottato l’emendamento Leone Giovanni, in realtà lo ha peggiorato.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, l’onorevole Leone Giovanni, che ha dichiarato questo, è il migliore interprete di ciò che è stato fatto al suo emendamento.

MORTATI. Io farei mio l’emendamento Leone Giovanni.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, quanti emendamenti vuole proporre?

MORTATI. Volevo chiedere alla Commissione se non sia possibile modificare la formula adottata nel senso di affermare nella Costituzione il principio della sottrazione al sindacato della Cassazione, per violazione di legge, delle decisioni dei giudici speciali, e non rinviarlo alla legge, come sembra si voglia fare adoperando la formula: «potrà derogare».

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Qui è detto: «contro la sentenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione». Credo che ci sia un equivoco a questo riguardo.

MORTATI. Comunque, io conservo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, mantiene l’emendamento?

MANNIRONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Villabruna, mantiene l’emendamento?

VILLABRUNA. Lo mantengo, in linea subordinata, perché penso che deve avere la precedenza l’emendamento dell’onorevole Crispo.

PRESIDENTE: Onorevole Targetti. mantiene l’emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, mantiene l’emendamento? L’onorevole Calamandrei è assente, ma essendo l’emendamento sottoscritto da altri firmatari, chiedo loro se intendono mantenerlo.

MACRELLI. In assenza dell’onorevole Calamandrei, mantengo l’emendamento quale firmatario.

PRESIDENTE. Onorevole Della Seta, mantiene l’emendamento?

DELLA SETA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo adesso stabilire in quale modo procederemo alla votazione. Si pone questa questione: l’onorevole Rossi Paolo, ha, a proposito dell’emendamento dell’onorevole Targetti, espresso l’avviso che esso raccoglierebbe il favore di una grande maggioranza della Commissione. Bisogna però che l’onorevole Rossi precisi in maniera chiara se ciò significa che la Commissione intende far proprio questo emendamento. Preciso subito la ragione di questa richiesta: se l’emendamento dell’onorevole Targetti fosse fatto proprio dalla Commissione, è evidente che esso rappresenterebbe la formulazione base e per tanto l’ordine di votazione dovrebbe essere stabilito in relazione agli altri emendamenti.

Se, invece, la Commissione non lo fa proprio, nella valutazione della precedenza delle votazioni potrebbe avvenire che l’emendamento Targetti anziché per ultimo, fosse votato per primo.

È necessario, pertanto, che la Commissione, valutando questi argomenti, dichiari a che titolo ha espresso il suo favore nei confronti di questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è competenza del Comitato stabilire l’ordine di votazione. Il Comitato non può che confermare il suo pensiero: che se è materia costituzionale il principio che vi sia l’istituto del ricorso in Cassazione, non è necessario che la Costituzione dica come la Cassazione deve essere foggiata. L’emendamento Targetti, che rinvia alla legge per l’ordinamento della Cassazione, equivale al silenzio che vi era nel testo della Commissione, e significa la stessa cosa. Fra le proposte ora avanzate di stabilire l’unicità oppure la plurimità della Cassazione, noi concordiamo con l’emendamento Targetti, che è di rinvio; ma accettiamo tale risultato, tenendo fermo il testo del progetto.

PRESIDENTE. Desideravo sapere se la Commissione include questo emendamento nel proprio testo, in modo da considerarlo parte integrante.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Manteniamo la nostra posizione, che è di silenzio; e coincide in sostanza con l’emendamento Targetti, tanto che, se fosse approvato, potrebbe anche togliersi dalla revisione formale e nulla muterebbe nella sostanza.

PRESIDENTE. Allora, la votazione procederà in questo modo: dapprima voteremo sull’emendamento dell’onorevole Targetti; ove questo emendamento non fosse accolto, penso che occorra dare la precedenza all’emendamento il quale propone la ricostituzione delle Cassazioni regionali, perché evidentemente il termine di confronto deve allora divenire la situazione in atto oggi nel nostro Paese, e la formula che porterebbe la trasformazione più profonda deve essere presa in considerazione per prima.

Successivamente si voterebbe quella proposta che prevede la Cassazione unica, ma con sezioni regionali e, infine, la proposta per la Cassazione unica.

Comunico che sull’emendamento presentato dall’onorevole Targetti è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto, dagli onorevoli Scalfaro, Coppi, Nicotra Maria, Bianchini Laura, Calamandrei, Bertola, De Maria, Meda, Caronia, Fabbri, Caso, Bosco Lucarelli, Dominedò, Fantoni e altri.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sul seguente emendamento dell’onorevole Targetti e altri:

«La legge sull’ordinamento giudiziario regolerà l’istituto della Corte di cassazione».

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta sull’emendato dell’onorevole Targetti:

Presenti e votanti     307

Maggioranza           154

Voti favorevoli        211

Voti contrari                        96

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Ayroldi – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bennani – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Buloni Pietro – Buonocore – Burato.

Caccuri – Calamandrei – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Cannizzo – Caporali – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti– Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Amico – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Labriola – Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Malagugini –Mancini – Mannironi – Marina Mario – Marinaro – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montalbano – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Mortati – Moscatelli – Murdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Restagno – Rivera – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Toni – Treves – Turco.

Uberti.

Valenti – Veroni – Vicentini – Villabruna – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Bergamini.

Cairo – Carmagnola – Cavallari.

De Vita – Dugoni.

Ghidini – Gui.

Jacini.

Lizzadri.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan – Rubilli.

Vanoni – Viale.

Presentazione di un disegno di legge.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi onoro di presentare all’Assemblea il seguente disegno di legge:

«Proroga del termine per la presentazione e conversione in legge dei decreti legge non ancora presentati o convertibili in legge».

PRESIDENTE. Do atto della presentazione di questo disegno di legge, che sarà trasmesso alla Commissione competente.

(La seduta sospesa alle 20.40 è ripresa alle 21.45).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’Assemblea ha approvato l’emendamento Targetti, che ha rimesso alla legge futura la fissazione di questi vari organi della struttura della Cassazione. Decadono pertanto tutti gli emendamenti relativi alla Corte di cassazione.

Restano pochi emendamenti sui quali l’Assemblea si deve pronunziare.

Il testo dell’articolo 102 proposto dalla Commissione è il seguente:

«Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è ammesso sempre ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

«Contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione».

Al primo comma vi è un emendamento sostitutivo dell’onorevole Mortati, del seguente tenore:

«Il ricorso in Cassazione è sempre ammesso secondo le norme di legge contro le sentenze emesse dagli organi giurisdizionali ordinari».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per questo comma la formulazione dell’onorevole Mortati non differisce da quella della Commissione, ma se vogliamo fare una cosa organica prego di attenersi al testo che è stato presentato dagli onorevoli Conti, Rossi Paolo e Leone Giovanni. Se vi può essere in altri punti dissenso di sostanza con l’onorevole Mortati, non è il caso di insistere ove si tratta soltanto di espressioni formali.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Mortati, testé letto.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma nel testo della Commissione:

«Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulle libertà personali pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali è ammesso sempre ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale nonna soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra».

(È approvato).

Gli onorevoli Murgia e Mannironi, hanno presentato due emendamenti aggiuntivi che pongono la stessa questione, pur risolvendola in formulazioni diverse.

L’onorevole Murgia propone di aggiungere:

«Contro tutte le sentenze penali che infliggono pene detentive è ammesso l’appello secondo le norme di legge».

La formulazione del l’onorevole Mannironi è:

«Tutte le sentenze dei giudici ordinari e speciali sono appellabili, salvo le limitazioni poste dalla legge per i giudizi di lieve entità».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente dalla Commissione per la Costituzione. Oltre a quanto riguarda i ricorsi in Cassazione, viene l’altro tema che concerne i ricorsi in appello contro le sentenze. Avevo dichiarato all’onorevole Mannironi che la Commissione era disposta a creare una norma di questo genere, da mettere in ogni caso, naturalmente, prima dei ricorsi in Cassazione. Abbiamo messo tutta la buona volontà; ma non siamo riusciti a trovare una formula sodisfacente. Vi sono – l’onorevole Mannironi lo riconosce – giudizi di così lieve entità, in cui non è ammissibile il ricorso in appello. Né basta; vi sono nelle giurisdizioni speciali ed in avvenire nelle sezioni specializzate, materie tecniche, nelle quali, per varie ragioni, non si possono organizzare giudizi di merito di vari gradi. Per la questione della giuria, da cui era partito l’onorevole Mannironi, è dubbio se possa concepirsi l’appello; comunque la questione non può rientrarvi subito; e va rimandata alla legge, che conformerà l’istituto stesso della giuria in un modo o nell’altro; e ciò potrà influire nella questione dell’appello. Tutto sommato, veda, onorevole Mannironi, la formula che si potrebbe adottare è questa: si può ricorrere contro tutte le sentenze, salvo che la legge disponga altrimenti. È una formula che possa andare?

La proposta dall’onorevole Murgia è analoga, se ho inteso bene, a quella dell’onorevole Leone sul ricorso in Cassazione contro i provvedimenti giurisdizionali in tema di libertà penale. Avendo accolta la proposta Leone si tiene presente anche la sua.

MURGIA. Non la si tiene presente. Io propongo che, contro tutte le sentenze che infliggono pene detentive venga istituito il giudizio di appello.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Allora non avevo inteso bene. Se l’onorevole Murgia si riferisce all’appello, valgono per lui le risposte che ho dato all’onorevole Mannironi; né conviene ammettere espressamente l’appello per certe categorie di sentenze e provvedimenti, tacendo delle altre, che potrebbero sembrare escluse dall’appello.

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, mantiene il suo emendamento?

MANNIRONI. Sì; sarei però disposto ad unificare.

PRESIDENTE. Si tratta della stessa materia, infatti. Onorevole Murgia, mantiene l’emendamento?

MURGIA. Accetto la seconda parte dell’emendamento Mannironi.

PRESIDENTE. La formulazione sarebbe dunque la seguente:

«Contro tutte le sentenze penali, che infliggono pene detentive, è ammesso l’appello, salvo le limitazioni poste dalla legge per i giudizi di lieve entità».

Pongo in votazione l’emendamento Murgia-Mannironi nella formulazione testé letta.

(Non è approvato).

Passiamo al secondo comma del testo della Commissione:

«Contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per le sole materie inerenti alla giurisdizione».

Gli onorevoli Gasparotto e Gabrieli hanno proposto di aggiungere dopo le parole: «della Corte dei conti» le altre: «e del tribunale supremo militare».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei pregare l’onorevole Gasparotto di ritirare il suo emendamento. Il caso del tribunale militare è ben diverso di quello del Consiglio di Stato. Poiché questo è giudice in materia di interessi legittimi, e può annullare gli atti amministrativi, è naturale, ed è fermo nel sistema legislativo che contro le sue sentenze si può ricorrere in Cassazione soltanto per questioni attinenti alla giurisdizione; altrimenti la Cassazione potrebbe essa giudicare di interessi legittimi ed annullare i provvedimenti amministrativi; il che può esser consentito soltanto ad organi giurisdizionali appositamente congegnati come il Consiglio di Stato. Altro è il caso dei tribunali militari, che giudicano in materia penale; e non vi è quindi ragione alcuna di sottrarne le sentenze al ricorso, per la violazione di legge, in Cassazione.

L’onorevole Gasparotto si preoccupa che, in questo modo, venga meno la funzione del tribunale supremo militare, che dovrebbe quindi sparire. Posso assicurarlo che non è questo il pensiero del Comitato, il quale ritiene che il tribunale supremo potrà benissimo essere conservato, diventando giudice di merito in Appello; mentre vi sarà poi il ricorso in Cassazione; e così si avrà un altro grado di giudizio; ed una garanzia maggiore nell’amministrare la giustizia militare. Chiedo all’Assemblea un assenso, sia pur tacito, a questo concetto; e penso che l’onorevole Gasparotto potrà accontentarsi della mia dichiarazione.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. L’argomento è importante. Ritiro il mio emendamento aggiuntivo non per compiacenza, ma per convinzione, dopo quello che ha detto l’onorevole Ruini a nome della Commissione.

La mia preoccupazione era quella di non mettere in contrasto l’articolo 95, già volato, con l’articolo 102, che stiamo per votare, perché con l’articolo 95 si riconosceva l’esistenza del Tribunale Supremo Militare, mentre era in me il sospetto che con l’articolo 102, anche secondo il testo proposto ora dalla Commissione, si passasse sopra a questo organo già deliberato dall’Assemblea nella seduta di due giorni fa. Ma poiché il Presidente della Commissione mi assicura che il Tribunale Supremo Militare resterà, pur trasformandosi in un organo di seconda istanza che giudicherà anche nel merito, mentre alla Cassazione resterà il giudizio di legittimità, mi dichiaro soddisfatto e ritiro pertanto la mia proposta, perché il mio pensiero coincide con le dichiarazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma:

«Contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione».

(È approvato).

L’articolo 102 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali è ammesso sempre ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

«Contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

«La legge sull’ordinamento giudiziario regolerà l’istituto della Corte di Cassamene».

L’onorevole Leone Giovanni ha presentato il seguente articolo 102-bis.

«Una legge disciplinerà il ricorso in Cassazione per violazione di legge contro le sentenze inoppugnabili pronunziate in tempo precedente da Tribunali straordinari».

A questo articolo l’onorevole Persico ha proposto di sostituire alle parole: «pronunziate in tempo precedente», le altre: «pronunziate precedentemente alla sua entrata in vigore».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa norma potrà essere inserita eventualmente tra le norme transitorie. La esamineremo in tale sede.

PERSICO. Siamo d’accordo.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

LEONE GIOVANNI. Sulla proposta fatta dall’onorevole Ruini di rinviare l’esame di queste norme alle Disposizioni transitorie.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Sarò brevissimo, perché sono io il primo a sentire il morso dell’ora tarda.

Vorrei sottolineare soltanto ai colleghi la grande importanza di queste norme, ed aggiungere che queste norme si riferiscono in concreto a due soli casi, dei quali uno è stato già risolto legamente, e l’altro resta in questo momento dolorosamente insoluto. Sono due le giurisdizioni penali straordinarie precedenti alla Costituzione. Una, la quale emanava sentenze inoppugnabili, non soggette ad alcuna impugnazione, neppure per difetto di giurisdizione: l’Alta Corte di Giustizia. L’altra giurisdizione è costituita dai tribunali militari straordinari per i reati comuni di rapina giudicati in seguito ad arresto in flagranza.

Per le sentenze dell’Alta Corte, le quali costituirono nell’adunanza plenaria dei Settantacinque motivo di perplessità di fronte ad una mia analoga richiesta, non c’è più materia per discutere, perché, con una legge recente, si è istituito il ricorso per Cassazione.

Quindi, questa prima pagina è chiusa, ed è chiusa anche l’obiezione di carattere politico, che ci rese perplessi in sede di Commissione dei Settantacinque.

Resta un’altra pagina, che, per chi ha esperienza della vita penale in Italia, è dolorosissima. Oggi, in Italia, il reato di rapina, quando vi è l’arresto in flagranza, è giudicato da un Tribunale straordinario militare, composto in un modo veramente singolare: un Presidente generale, un Consigliere d’appello e un Giudice popolare. Questa giurisdizione straordinaria, neppure speciale, emana sentenze che possono importare perfino la condanna alla pena di morte, pena di morte che in questa legge, ad onta di un articolo della Costituzione già votato, resta ancora nella nostra legislazione. Avverso queste sentenze non esiste alcun ricorso, neppure per difetto di giurisdizione; sicché oggi può accadere che questi tribunali straordinari possono giudicare di reati, sui quali non hanno alcuna competenza, senza alcun diritto di reclamo all’imputato.

Ora, è bene che la Costituzione – nel momento in cui riconsacra il principio del divieto dei tribunali straordinari, nel momento in cui si vota il diritto per tutti i cittadini, come garanzia costituzionale, del ricorso di Cassazione per violazione di legge o per difetto di giurisdizione – possa stabilire anche una norma che voteremo in questa sede se sarete d’accordo, e che metteremo nelle norme transitorie, la quale stabilisca, con effetto retroattivo, il diritto di ricorso avverso le sentenze pronunciate da questi tribunali.

Ciò facendo, noi avremo fatto opera di civiltà, e avremo soprattutto consentito alla legislazione italiana di rettificare un gravissimo errore, che segna il disonore della legislazione democratica italiana. (Approvazioni).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ciò che ha detto l’onorevole Leone dovrebbe rendere titubante l’Assemblea. Egli stesso ha detto che erano aperte due pagine ed una di esse è chiusa, perché è venuta una legge. L’altra è ancora aperta, perché non è venuta un’altra legge. Ma anche questa può venire, senza che si ricorra ad una norma costituzionale. Abbiamo proprio bisogno di mettere nella Costituzione questa disposizione? Potremo in ogni modo esaminare più attentamente la questione. Se si volesse deciderla ora, la Commissione si opporrebbe alla proposta Leone.

PRESIDENTE. Vi è la proposta del Presidente della Commissione di rinviare la soluzione di questo problema in sede di disposizioni finali e transitorie.

LEONE GIOVANNI. Accetto La proposta.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Vi sono ora due proposte di articolo 102-bis che ripropongono una questione sulla quale molto si è parlato.

«Lo Stato garantisce l’indipendenza economica del magistrato e dei funzionari dell’ordine giudiziario».

«Mastino Pietro»

«Lo Stato garantisce l’indipendenza economica del magistrato».

«Gabrieli, Scalfaro, Zotta, Mastino Gesumino, Giacchero, De Palma, Adonnino, Corsanego, Bosco Lucarelli, De Maria, Castelli Avolio, De Martino, Benvenuti».

Penso che non sia più necessario aprire la discussione su questi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà..

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto quello che abbiamo già detto altre volte. Questa disposizione non può essere inserita nella Costituzione, per due ragioni: la prima, è che dire di voler garantire l’indipendenza economica non ha un contenuto costituzionale, in nessun modo.

BUBBIO. Neppure morale?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi lasci finire, onorevole collega.

La seconda ragione è che ammettere questo principio soltanto per una categoria, anche se fosse la più degna di tutte, potrebbe essere interpretato dalle altre nel senso che noi non vogliamo pensare alla loro indipendenza economica. Noi dobbiamo pensare all’indipendenza economica di tutti i dipendenti dello Stato. (Applausi).

Aggiungo che sono dispostissimo a fare un ordine del giorno (e mi pare che l’onorevole Leone lo stava stendendo) per affermare chiaramente che si deve provvedere ad un adeguato trattamento economico dei magistrati. Lo voteremo ad unanimità; e non metteremo nella Costituzione un articolo di carattere non costituzionale, e che non suonerebbe bene per gli altri funzionari dello Stato. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Gabrieli, mantiene il suo emendamento?

GABRIELI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Poiché i due emendamenti dicono in fondo la stessa cosa, basterà metterne in votazione uno.

ZOTTA. Propongo che si voti per divisione. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione la prima parte della proposta di articolo aggiuntivo nella formulazione comune ai due emendamenti presentati dagli onorevoli Mastino Pietro, Gabrieli ed altri:

«Lo Stato garantisce la indipendenza economica del magistrato».

(Non è approvata).

Pongo in votazione la seconda parte dell’emendamento proposto dall’onorevole Mastino Pietro: «e dei funzionari dell’ordine giudiziario».

(Non è approvata).

Passiamo ora all’articolo 103. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso gli atti della pubblica amministrazione è disposta in via generale dalla legge e non può essere soppressa o limitata per determinate categorie di atti».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 103 col seguente:

«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso gli atti della pubblica amministrazione è disposta dalla legge in via generale e non può essere in nessun caso soppressa o limitata a particolari mezzi di impugnativa o esclusa per determinate categorie di atti».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Lo mantengo; e rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Calamandrei ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 103 col seguente:

«Contro gli atti della pubblica amministrazione è dato ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria o agli organi della giustizia amministrativa non solo per la reintegrazione dei diritti soggettivi, ma altresì per la tutela degli interessi legittimi.

«Il giudice competente potrà, per i motivi di legittimità o di merito stabiliti dalla legge, annullare, revocare o modificare l’atto amministrativo impugnato, a meno che la pubblica amministrazione non dimostri in giudizio l’esistenza di una ragione di carattere politico che faccia apparire al giudice preferibile alla reintegrazione specifica del diritto la condanna ai danni dell’amministrazione responsabile.

«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi di fronte alla pubblica amministrazione non può essere in qualsiasi modo soppressa o limitata per determinate categorie di atti amministrativi».

L’onorevole Calamandrei ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CALAMANDREI. Non abbiate paura, onorevoli colleghi, sarò brevissimo.

L’emendamento che ho proposto ha importanza, a mio parere, non tanto per il modo con cui è formulato, e sul quale sono remissivo; ma perché, a parer mio, rivela una vera e propria grave lacuna della nostra Costituzione, la quale ha omesso di assorbire e sistemare quella materia a carattere essenzialmente costituzionale, che già fu oggetto della famosa legge 31 marzo 1865, abolitrice del contenzioso amministrativo. Quella legge introdusse nel nostro diritto, e fu per questo ritenuta una conquista liberale di grande importanza, il principio per il quale, quando un diritto civile o politico viene leso da un atto della pubblica amministrazione, questo diritto si può far valere di fronte all’Autorità giudiziaria ordinaria, in modo che la pubblica amministrazione davanti ai giudici ordinari viene a trovarsi, in questi casi, come un qualsiasi litigante privato soggetto alla giurisdizione.

Questo è il principio fondamentale stabilito da questa legge, alla quale ci si riferisce continuamente davanti ai tribunali; principio che è stato completato poi con l’istituzione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, che, accanto alla tutela dei diritti soggettivi, ha introdotto la tutela degli interessi davanti alle stesse sezioni.

Ora, di tutto questo nel progetto della nostra Costituzione non c’è altro che qualche eco assai vaga, quando si parla di tutela di diritti e di interessi; ma il principio fondamentale dell’unicità della giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione non vi si trova chiaramente enunciato.

Io pongo qui questo problema di carattere generale e mi dispiace di non veder presente l’onorevole Orlando che, in proposito, avrebbe potuto darci i suoi preziosi suggerimenti. Il problema è questo: credete che una volta che si sia votata la Costituzione possano rimanere in piedi leggi di carattere costituzionale precedenti alla Costituzione, alle quali si debba far riferimento, quasi per completare i vuoti della Costituzione; oppure ritenete – come io ritengo – che nella Costituzione tutti i principî fondamentali di carattere costituzionale debbano trovarsi riassorbiti e riassunti, sia pure in modo schematico, sicché a questa Carta presente e non al passato ci si debba riferire?

Se questa è la regola che si deve tener presente, vi prego di considerare che questo è un punto di importanza fondamentale che non può esser lasciato insoluto: perché riguarda niente meno che i rapporti tra la pubblica amministrazione e il potere giudiziario, cioè la estensione dei poteri dell’autorità giudiziaria nei confronti degli atti amministrativi; si tratta di stabilire se i giudici hanno un controllo sull’amministrazione, se possono annullare i suoi atti, se possono condannarla ai danni.

È un punto che riguarda rapporti fra i poteri dello Stato, di importanza certamente costituzionale.

Detto questo, non vi commento il modo con cui avrei proposto di colmare questa lacuna: sono remissivo sul modo, se la Commissione proporrà qualche altro modo più semplice o più idoneo.

Quello che mi pare assolutamente necessario è che questa lacuna sia colmata: e se eventualmente questo mio emendamento verrà respinto e la lacuna rimarrà, io mi riterrò pago di averla rilevata. (Applausi).

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non occorre che ricordi da quali criteri era stata dettata la disposizione. Vi è stata, durante il fascismo, l’abitudine di privare del ricorso giurisdizionale molte categorie di atti dell’autorità amministrativa lesivi degli interessi e dei diritti dei privati. Ad ogni piè sospinto veniva una legge e più spesso un decreto legge fascista che diceva: per questi atti non è ammesso alcun ricorso né davanti ai tribunali né davanti al Consiglio di Stato.

Ciò ha preoccupato la Commissione ed abbiamo di conseguenza stabilito che non si può togliere ai cittadini per segmento di materie e di atti la garanzia del ricorso giurisdizionale. Nessun dubbio che fin qui tutti noi dell’Assemblea siamo d’accordo. L’onorevole Mortati ha presentato un emendamento di forma che rispecchia la sua tendenza mentale a più minute specificazioni. Io sono per le espressioni più schematiche e sintetiche; comunque, non mi oppongo all’emendamento Mortati.

Il problema sollevato dall’onorevole Calamandrei è molto grave, e non credo che lo possiamo ora affrontare e risolvere. L’onorevole Calamandrei ha fatto appello all’autorità di Vittorio Emanuele Orlando; ma, per la verità, mi pare che l’onorevole Orlando sia di un punto di vista opposto. Noi lo abbiamo udito dire che non si debbono includere nella Costituzione norme che non sono assolutamente necessarie come norme costituzionali, e che possono rimandarsi alla legge ordinaria. Io non sono, per tutti i casi, disposto ad aderire alla tesi dell’onorevole Orlando, che si ferma troppo ad una struttura antica delle Costituzioni; ma l’onorevole Calamandrei pecca forse d’una tendenza opposta, proponendo, come ha fatto nella Commissione, di mettere nella Costituzione minute ed estese norme procedurali.

Ma veniamo al problema di cui ora particolarmente si tratta. L’onorevole Calamandrei vorrebbe che, quando un giudice ritiene che un atto amministrativo violi un diritto privato, può annullare, e notate bene, anche modificare l’atto amministrativo. Ciò significa che l’autorità giudiziaria si sostituirebbe a quella amministrativa; e che un semplice pretore potrebbe, nonché annullare, rifare esso decreti e provvedimenti di Governo d’estrema importanza. Non è troppo? Non è cancellare quel principio della distinzione dei poteri, che, se non va inteso meccanicamente e letteralmente, anima del suo spirito lo Stato moderno?

Se nel nostro ordinamento giuridico si ammette che gli atti amministrativi possano essere annullati, ciò avviene soltanto in quanto il compito è affidato ad una Magistratura speciale, che per la sua composizione offre alte e particolari garanzie di competenza amministrativa; e si noti che neppure il Consiglio di Stato può modificare, rifare l’atto amministrativo. Arrivare a ciò non sarebbe giuridicamente ammissibile.

L’onorevole Calamandrei, dando alla Magistratura ordinaria ogni facoltà di annullamento e di modificazione, aggiunge che quando l’amministrazione adduca che si tratta di atto politico, allora il magistrato può condannare soltanto ai danni. Ma cosa sono questi atti politici? Ed è il giudice che deve valutare se sono tali? L’onorevole Calamandrei sa con quale cura il Consiglio di Stato abbia cercato di definire e di eliminare più che sia possibile la categoria degli atti politici sottratti al suo sindacato. Ora tornerebbero sul proscenio con ampiezza e con forza rinnovata.

Ci perdoni l’onorevole Calamandrei; ma il sistema che egli ha abbozzato non può in nessun modo accettarsi. Egli dice bensì, con semplicità e nobiltà, di rimettersi a noi del Comitato perché troviamo una soluzione del problema che ci ha prospettato, dando modo di giungere, anche in tema di violazione di diritti, a quell’annullamento di atti amministrativi che è consentito, con determinate cautele, per violazione di interesse legittimi. In realtà, come ha ben detto l’onorevole Orlando, la soluzione dei problemi giuridici non avviene per disposti improvvisi di legge, ma gradualmente, con l’esperienza viva e concreta. Così è avvenuto per le conquiste del Consiglio di Stato in materia di interessi legittimi. Il Comitato non può impegnarsi a risolvere con un articolo di Costituzione il problema che l’onorevole Calamandrei ha sollevato.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Il problema prospettato dall’onorevole Calamandrei è senza dubbio di importanza somma; e, d’altra parte, quello che dice l’onorevole Ruini è perfettamente giusto e ragionevole; non siamo in grado in questo momento di risolverlo. Ma anche quello che dice l’onorevole Calamandrei, cioè che questo è un punto che sarebbe bene – fra i tanti che vi abbiamo messo senza che fosse necessario – che fosse compreso nella Costituzione, con una soluzione logica e giuridica che si dovrebbe studiare.

Propongo di sospendere l’esame di questo punto, pregando la Commissione di studiare una formula la quale sodisfi l’esigenza manifestata dall’onorevole Calamandrei.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini, ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Cevolotto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho difficoltà a studiare questa questione insieme con i miei colleghi di Comitato; l’onorevole Calamandrei ne fa parte; esamineremo il problema anche col concorso degli altri colleghi dell’Assemblea che crederanno di aiutarci; ma sinceramente non possiamo impegnarci di trovare senz’altro una soluzione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Calamandrei se sia d’accordo con la proposta dell’onorevole Cevolotto.

CALAMANDREI. Sono d’accordo, e basterà, credo, una conversazione di un’ora, in un momento meno stanco di quella attuale, intorno ad un tavolino, per trovare una formula sodisfacente.

PRESIDENTE. Sta bene. Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Poiché l’emendamento dell’onorevole Calamandrei può considerarsi come aggiuntivo, pongo intanto in votazione l’articolo 108, nel testo Mortati accettato dalla Commissione, di cui do ancora lettura:

«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso gli atti della pubblica amministrazione è disposta dalla legge in via generale e non può essere in nessun caso soppressa o limitata a particolari mezzi di impugnativa o esclusa per determinate categorie di atti».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 104. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le sentenze non più soggette ad impugnazione di qualsiasi specie non possono essere annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo i casi di legge penale abrogativa o di amnistia, grazia ed indulto.

«L’esecuzione di una sentenza irrevocabile non può essere sospesa se non nei casi previsti dalla legge».

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Per tutta questa Sezione v’era un emendamento soppressivo dell’onorevole Targetti. La Commissione si era riservata articolo per articolo di rispondere. Ora, per l’articolo 104 accoglierebbe l’emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti. I seguenti sono stati già svolti:

«Collocarlo dopo l’articolo 21 del testo del progetto, con la seguente aggiunta:

«L’azione penale non può essere promossa o proseguita, in alcun caso, quando sia intervenuta una causa estintiva del reato».

«Crispo».

«Sostituirlo col seguente:

«Le sentenze revocabili non possono essere annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo ì casi di revocazione in materia civile e di revisione in materia penale».

«Caccuri».

«Al primo comma, alle parole: salvo i casi di legge penale abrogativa o di amnistia, grazia ed indulto, sostituire le seguenti: salvo i casi di revocazione in materia civile e di revisione in materia penale».

«Crispo».

«Al secondo comma, dopo la parola: sospesa, aggiungere le seguenti: è fatta cessare».

«Crispo».

Segue l’emendamento dell’onorevole Costa:

«In fine del primo comma, alle parole: o di amnistia, grazia ed indulto, sostituire le parole: o di amnistia, indulto, grazia e commutazione di pena».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Colitto ha già svolto il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo la parola: indulto, aggiungere le seguenti: ed i casi di revocazione previsti dalla legge».

Poiché la Commissione ha già espresso il suo avviso, evidentemente risolutivo per tutti gli emendamenti che sono stati presentati, in quanto aderisce alla soppressione di tutto l’articolo, chiedo ai presentatori se conservano i loro emendamenti.

Onorevole Crispo, mantiene i suoi emendamenti?

CRISPO. Se l’articolo sarà soppresso, evidentemente non insisto nel mio emendamento. Ma se si dovesse votare in senso contrario alla soppressione mi permetterei in un secondo momento di dare dei chiarimenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Caccuri non è presente; il suo emendamento, pertanto si intende decaduto.

Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Crispo.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora pongo per prima in votazione la proposta dell’onorevole Targetti, ripresa e fatta propria dalla Commissione, per la soppressione dell’articolo 104.

(È approvata).

Passiamo all’articolo 105. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’Avvocatura dello Stato provvede alla consulenza legale ed alla difesa in giudizio dello Stato e degli altri enti indicati dalla legge.

«Agli avvocati e procuratori dello Stato competono garanzie adeguate per l’esercizio delle loro funzioni».

PRESIDENTE. Su questo articolo non sono state fatte proposte, all’infuori di quella soppressiva, già svolta, dagli onorevoli: Romano, Perassi, Camangi e Costa. Ha, pertanto, facoltà di parlare l’onorevole Rossi Paolo per esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Io rappresento in questo momento soltanto la maggioranza della Commissione.

Vi sono stati dei dubbi, e dirò anzi che una voce autorevolissima, forse la più autorevole della Commissione, si è espressa in senso contrario; viceversa la Commissione nella sua maggioranza ha ritenuto che questo articolo possa essere soppresso.

Nessuno contesta gli eminenti altissimi servizi dati dall’Avvocatura dello Stato e nessuno pensa che essa possa essere soppressa, perché anzi se ne attende un sempre più potente contributo alla giustizia e alla tutela degli interessi statali. Ma non pare che questa materia sia di rilevanza costituzionale. D’altra parte la legge sull’Avvocatura erariale esiste, e nessuno attenta alla sua vita. Perciò la Commissione nella sua maggioranza, con le riserve fatte poco prima, ha dato parere favorevole all’emendamento soppressivo presentato dall’onorevole Targetti.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. La Commissione ha fatto, a maggioranza, una proposta soppressiva dell’art. 105. Io mi permetterò invece di sottoporre all’Assemblea qualche rilievo sul delicato tema, considerando che l’Avvocatura dello Stato, vista nella sua duplice funzione di organo per la difesa e la rappresentanza in giudizio della pubblica amministrazione e di organo di consulenza, appare perfettamente meritevole di menzione costituzionale.

Sotto il primo profilo, quello dell’organo di difesa e di rappresentanza, a me pare che si debba tener presente la crescente importanza che tale funzione ha assunto e va assumendo nella vita contemporanea. A questo proposito, si impone la circostanza che la pubblica amministrazione, per l’estendersi dei compiti tradizionali dello Stato dal piano giuridico sul piano sociale, e quindi per l’allargarsi della stessa funzione sociale dello Stato, trovasi in sempre più largo contatto coi cittadini, onde i rapporti giuridici che vengono ad intessersi fra amministrazione e privati investono una zona sempre più vasta di attività, e importano una sempre crescente sfera di attribuzioni al fine di assicurare l’osservanza del diritto da parte dell’amministrazione.

Se poi si guardi al progressivo estendersi della giustizia nell’amministrazione, attraverso il sindacato degli atti amministrativi che domani sarà allargato a tutta la pubblica attività senza che si possano dare preclusioni per singole categorie di atti sia pur compiuti nell’esercizio del così detto potere politico, se a ciò si guardi, dicevo, anche sotto questo aspetto appare la crescente importanza delle controversie nelle quali sia in giuoco la vita di un atto amministrativo e si tratti quindi di assicurare il funzionamento dello Stato di diritto.

E allora, per questo complesso di funzioni che determina un particolare onere di difesa e di rappresentanza in giudizio da parte di un organo selezionato e munito di apposita attrezzatura tecnica, sembra giusto che sia menzionato nella Carta costituzionale il corpo dei rappresentanti dello Stato, i quali si distaccano dalla figura del consueto patrono, proprio perché al rapporto di prestazione d’opera che sta alla base del normale mandato professionale qui si sovrappone l’assunzione di un pubblico servizio (Commenti a sinistra): sì, assunzione di un pubblico servizio che pone in singolare evidenza la collaborazione alla funzione della giustizia da parte dell’avvocato dello Stato. Cosicché, sotto questo aspetto, non si tratta se non di consacrare nella legge costituzionale una realtà già esistente nella legge ordinaria, la quale, agli effetti della indipendenza, da tempo equipara gli avvocati dello Stato ai magistrati.

Secondo il secondo profilo, quello della funzione di consulenza della pubblica amministrazione, devesi tener presente che l’Avvocatura dello Stato esprime dei pareri i quali giungono ad assumere natura vincolante e per ciò stesso si pongono al di sopra di quelli pronunciati da un normale organo di consulenza, e persino di quelli del Consiglio di Stato il quale è tuttavia contemplato nella Carta costituzionale anche come organo di consulenza amministrativa, per quanto i suoi pareri non siano mai vincolanti.

Sotto questi profili, io debbo ritenere che la menzione nella Carta costituzionale dell’Avvocatura dello Stato sia non solamente atto di opportunità, ma di doverosa correttezza. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Non ho nulla da aggiungere a quanto ho già detto.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo ora alla votazione.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Come è mio costume, sarò breve. Ho chiesto di parlare per associarmi al voto espresso dall’onorevole Dominedò, inquantocché, in questo momento in cui l’Avvocatura difende lo Stato contro tutti coloro (e cioè contro i profittatori) che cercano di evadere ai loro doveri fiscali, io credo che essa vada accresciuta di dignità e di autorità.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di soppressione dell’articolo 105 fatta propria dalla Commissione.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Dobbiamo adesso risolvere alcune questioni lasciate in sospeso relativamente a questo Titolo IV della seconda parte del progetto di Costituzione.

Vi è la proposta dell’onorevole Nobili Tito Oro di sopprimere la distinzione del Titolo in due sezioni.

L’onorevole Nobili Tito Oro non è presente e pertanto la sua proposta s’intende decaduta.

Vi sono ora le proposte relative alla intitolazione.

L’onorevole Romano propone di sostituire la denominazione della Sezione prima: «Ordinamento giudiziario», con l’altra: «Funzione giurisdizionale».

Non essendo presente l’onorevole Romano, la sua proposta si intende decaduta.

Vi è anche una proposta dell’onorevole Grassi del seguente tenore:

«Sostituire la denominazione della Sezione I: Ordinamento giudiziario, con la seguente: Ordinamento giurisdizionale».

Anche l’onorevole Grassi non è presente.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Faccio mia la proposta Grassi sostituendo però: «Ordinamento della giurisdizione» a: «Ordinamento giurisdizionale».

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione preferirebbe la formulazione del progetto; tuttavia non ha difficoltà ad accettare la formula: «Ordinamento giurisdizionale», proposta dall’onorevole Grassi.

PRESIDENTE. L’onorevole Leone accetta?

LEONE GIOVANNI. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’intitolazione accettata dalla Commissione, e cioè:

«Ordinamento giurisdizionale».

(È approvata).

Onorevoli colleghi, all’articolo 99 discusso ieri la Commissione aveva accettato il principio informatore di un emendamento dell’onorevole Adonnino del seguente tenore:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei cittadini idonei che siano chiamati a far parte delle sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari».

osservando, in particolare, trattarsi di una norma di difficile formulazione, ed accettandola con l’intesa che avrebbe dovuto essere coordinata con le altre norme analoghe già stabilite per le giurisdizioni amministrative e la Magistratura militare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le parole del relatore dovevano, secondo l’intendimento del Comitato, intendersi nel senso che, se accettavamo il concetto, ci riservavamo interamente di darvi un’altra espressione, coordinatamente agli altri casi che si dovevano insieme regolare. L’Assemblea ha ritenuto che, così stando le cose, fosse meglio non approvare, neppure provvisoriamente, una formula che dovrà essere certamente modificata. L’onorevole Adonnino insiste perché si voti il suo emendamento. Accontentiamolo pure; ma stia ben fermo che approviamo soltanto un’indicazione, e lo spirito non la forma di una disposizione, che non resterà certamente nella Costituzione ma, non facendo più perno specifico dei membri estranei delle sezioni specializzate, sarà compresa in un’altra più vasta e comprensiva.

PRESIDENTE. A parte la formulazione è bene che l’Assemblea voti sul principio, e credo che l’onorevole Adonnino sarà d’accordo.

ADONNINO. Accetto che si voti sul concetto.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione il principio enunciato dall’onorevole Adonnino nel suo emendamento all’articolo 99, di cui ho dato lettura, con l’intesa che la formulazione Adonnino non è affatto impegnativa.

(È approvato).

Passiamo ora al seguente emendamento presentato dagli onorevoli Clerici, Pignedoli, Franceschini, Bovetti, Foresi, Codacci Pisanelli, Sullo, Mastino Gesumino, De Palma, Coppa e Benvenuti, del seguente tenore:

«La carriera di magistrato, di militare, di funzionario ed agente di polizia e di diplomatico comporta la rinunzia all’iscrizione ai partiti politici».

La votazione su questo emendamento era stata a suo tempo rinviata.

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non ha potuto pronunziarsi. Noi sediamo dalle 9 fino alle 11; poi vi sono due o tre sedute d’Assemblea. Pregherei di rimandare questa proposizione di qualche giorno. Si tratta di una proposizione delicata che va meditata.

PRESIDENTE. Onorevole Clerici, è di avviso che si possa ancora rinviare?

CLERICI. Aderisco al desiderio dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, sui recenti fatti di Caltanissetta ed Agrigento, nei quali vennero assaltate e devastate le sedi di partiti politici. Ed in particolare, se siano stati identificati ed arrestati gli autori del tentato omicidio in danno del vicecommissario di pubblica sicurezza Di Natale, che venne derubato dell’orologio e di altri effetti personali in occasione della grave aggressione subita; se sia stato deferito all’autorità giudiziaria, come responsabile del reato d’istigazione a delinquere, il deputato regionale Gino Cortese; se siano stati identificati ed arrestati i lanciatori di bombe contro la sede del Partito liberale di Agrigento, attentato conclusosi col ferimento di cinque carabinieri.

«Bellavista, Villabruna, Crispo».

«Al Ministro dell’interno, per sapere se, in correlazione con l’odierna distruzione di giornali avvenuta alla periferia di Roma, il Governo sia al corrente delle recentissime deliberazioni dei Sindacati giornalai di Biella, Sampierdarena e Genova, per cui non si procederà al prelievo ed alla vendita dei giornali non ritenuti graditi alla popolazione, a fine di evitare i danni conseguenti alla distruzione di pubblicazioni e di edicole.

«Poiché la decisione si risolve in un grave attentato alla libertà di stampa ed in un arbitrio, nel quale sono coinvolti fra l’altro giornali che hanno costantemente combattuto il neofascismo, l’interrogante chiede quali provvidenze vorrà adottare il Governo per il ristabilimento della normalità nel rispetto dei patti liberamente conclusi.

«Di Fausto».

«Al Ministro del tesoro, perché voglia chiarire con giustizia l’incongruenza della non cumulabilità, per gli statali e parastatali, della indennità di città sinistrata con il massimo del carovita, dei comuni compresi in una fascia di 5 chilometri intorno Napoli.

«Mazza».

«Al Ministro dell’interno, sul contegno tenuto dalla polizia durante la recente manifestazione di protesta dei minatori di Aragona, in Agrigento, e sui provvedimenti che reputa indispensabili adottare per garantire la libertà dei lavoratori nella difesa del loro diritto alla vita.

«Fiorentino, Musotto».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere il pensiero del Governo sulle gravi violenze poliziesche contro un pacifico corteo di lavoratori svoltosi in Agrigento, e quali provvedimenti intenda prendere contro i responsabili.

«D’Amico, Montalbano, Fiore».

«Al Ministro dell’interno, circa i fatti del 24 novembre, che condussero alla devastazione della sede dell’Unione monarchica italiana di Cosenza, circa i provvedimenti preventivi e repressivi adottati, nonché, in generale, sull’esistenza di progetti riparatori, che impediscano che la violenza politica raggiunga l’effetto di eliminare od attenuare l’azione dei partiti contro la quale si dirige.

«Condorelli».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se – considerato: a) che dai contributi unificati venendo umili onestamente colpiti innumerevoli coltivatori diretti che mai hanno necessità di assumere mano d’opera; b) che gli accertamenti per le tassazioni risalgono al 1940, con il risultato di gravare come conduttori in economia molti coltivatori diretti; c) che nessuna pubblicazione di matricole e di ruoli viene effettuata nei singoli Comuni; d) che con il pretesto dei lavori di punta si stabiliscono imponibili assurdi nei riguardi dei piccoli coltivatori: e) che, in seguito ai recenti enormi aumenti dei contributi, gravissima diviene l’agitazione dei coltivatori diretti con minaccia anche di sciopero fiscale – non ritenga di adottare con la massima urgenza provvedimenti atti:

1°) a ristabilire la corretta applicazione della legge ammettendo l’immediata rettifica delle tassazioni in corso nei riguardi dei coltivatori diretti che dimostrino la reale forma di conduzione in atto e l’erroneità degli accertamenti effettuati in precedenza;

2°) a esentare totalmente da contributo le piccole aziende aventi esuberanza di mano d’opera familiare;

3°) a esentare dalle contribuzioni le zone nelle quali è in uso lo scambio di mano d’opera;

4°) a rivedere d’urgenza la legge per emendare la attuale pessima distribuzione del carico contributivo:

5°) a rendere giustizia ai coltivatori diretti, tassandoli solo nei casi in cui venga accertata effettiva assunzione di mano d’opera;

6°) a rendere obbligatoria la pubblicazione, in ogni Comune e in ogni frazione, delle matricole e dei ruoli relativi ai contributi unificati.

«Bonomi Paolo».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e all’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere i motivi che hanno spinto ad elevare il prezzo alla stalla del latte alimentare da lire 28 a lire 45-50 o a lire 55, secondo le zone, aggravando così lo stato di disagio delle popolazioni in un settore alimentare di primissima necessità.

«E se non credono opportuno di mantenere i prezzi già in corso e sufficientemente rimunerativi rispetto a quelli del 1938-39.

«Pressinotti, Sansone».

Avverto che le interrogazioni sull’ordine pubblico saranno riunite alle altre alle quali il Ministro dell’interno risponderà martedì prossimo. Delle altre interrogazioni darò considerazione ai Ministri interessati affinché comunichino quando intendano rispondere.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Cinque giorni fa io ho presentato una interrogazione sui dispersi in Russia. L’onorevole Andreotti mi aveva promesso che mi avrebbe comunicato la data di discussione dell’interrogazione. Siccome non ho ricevuto alcuna comunicazione, prego la Presidenza di sollecitare.

PRESIDENTE. Informerò il Sottosegretario alla Presidenza di questa sua richiesta.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Io ho rivolto una interrogazione, con carattere di urgenza, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale sui contributi unificati. Desidererei sapere quando sarà discussa.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino, questa settimana non abbiamo dedicato alcuna seduta alle interrogazioni: probabilmente nella settimana prossima vi sarà una seduta di interrogazioni ed allora Ella potrà rinnovare la sua richiesta.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se non ritenga opportuno ed urgente fare un passo ufficiale presso il Governo dell’U.R.R.S. per ottenere:

1°) che vengano liberati e rimpatriati i seguenti ufficiali italiani prigionieri di guerra, che fino al 6 giugno 1946 si trovavano al Bunker Lager 70722: tenente colonnello Russo Nicola, da Rionero (Potenza); maggiore Massa Alberto, da Napoli; maggiore Ziggiotti, da Coldoredo (Udine); capitano Magnini Franco, da Mede (Pavia); capitano Iovino Dante, da Napoli; tenente Stagno Italo, da Cagliari; tenente Pennisi Salvatore, da Sant’Alfio (Palermo); sottotenente medico Enrico Pettinato, da Treviso; tenente cappellano Brevi Giovanni, da S. G. Chiesa Cristo Re, Roma; capitano Musitelli, da Trieste; tenente Suppa Domenico e altri soldati o quanto meno conoscere le cause che impediscono eventualmente il loro sollecito rimpatrio;

2°) come si chiamano gli ex combattenti italiani ammalati degenti in luoghi di cura e se sia possibile il loro rimpatrio tramite la nostra Croce Rossa.

«Murgia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere le ragioni per le quali si disconosce tuttora all’Unione nazionale ferroviaria, sorta nel 1943, ed ora composta di migliaia di aderenti, il diritto alla rappresentanza nel Consiglio di Amministrazione e nelle Commissioni centrali e periferiche delle ferrovie dello Stato; diritto le cui esigenze e la cui necessità sono state riaffermate nel secondo Congresso dei ferrovieri, che ha avuto luogo in Napoli, nei giorni 24, 25 e 26 novembre, col concorso dei rappresentanti di tutti i compartimenti d’Italia.

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere i provvedimenti che intendono adottare per i 5000 dipendenti dalle Sezioni provinciali dell’alimentazione per garantire ad essi un preciso stato giuridico nonché stabilità e continuità d’impiego.

«E ciò anche in vista della politica governativa orientata verso l’abolizione di vincoli e razionamenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sansone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere se non sia possibile disporre che la posta diretta ad Ausonia, in provincia di Frosinone, sia trasportata a Cassino, centro di raccolta, con i treni n. 1929 e 1922, in modo che, secondo il desiderio della popolazione, la distribuzione possa essere effettuata al mattino, anziché, come ora avviene, alla sera. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere

1°) se risponde a verità che l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica nell’indire i concorsi in tutte le provincie d’Italia per i posti di medici condotti si è attenuto al regolamento del 1935 senza alcun aggiornamento, risultando così esclusi da ogni agevolazione i combattenti e reduci della recente guerra;

2°) se non ritiene necessario, anche a seguito delle vive agitazioni verificatesi per ciò tra i medici ex combattenti e reduci, provvedere affinché, come per altri concorsi, venga riservata per medici reduci, ex combattenti e partigiani, una parte dei posti messi a concorso o, quanto meno, che gli anni trascorsi in prigionia e alle armi diano diritto a un punteggio equivalente a quello conseguito dai medici che non hanno svolta attività militare, per pari periodo di tempo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritiene opportuno disporre affinché da parte delle dogane sia usata una maggior tolleranza e comprensione verso quanti ritornano in Patria dalle colonie africane dopo aver già subito colà ogni sorta di umiliazioni e privazioni. Risulterebbe, infatti, che nei posti di sbarco essi sarebbero privati anche di oggetti di modestissimo valore e trattati, in troppi casi, con maniere prive di ogni urbanità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, se non ritenga doveroso provvedere alla emanazione di una misura legislativa, la quale assicuri alle minoranze confessionali della Repubblica italiana le stesse provvidenze che sono state da lungo tempo assicurate alla grande maggioranza cattolica in ordine alla ricostruzione delle sedi del culto, tenendo presente la oramai sancita norma costituzionale, che implica la piena eguaglianza di tutte le confessioni davanti allo Stato, ed inoltre il grande olocausto di sangue dato dalle minoranze, specie ebraica, per il riscatto nazionale e politico del nostro Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Minio»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se non creda urgente concretare le determinazioni accennate nella risposta del 13 agosto 1947 alla precedente interrogazione, in merito al prezzo di vendita del citrato di calcio pel 1946-47, fissato in misura inadeguata all’aumento dei prezzi delle materie prime sostenuto dai produttori, fissando anche il prezzo per la campagna 1947-48 che interessa tutti gli agrumicoltori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quando entreranno in servizio i due nuovi traghetti a tre binari che dovevano esser pronti per il mese di ottobre e che sono indispensabili per migliorare le comunicazioni dello stretto di Messina. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile»

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 23.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 27 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCVIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 27 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Nobili Tito Oro

Mastino Gesumino

Mannironi

Targetti

Crispo

Bettiol

Leone Giovanni

Dominedò

Nobile

Gasparotto

Rossi Paolo

Colitto

Mastino Pietro

Fabbri

Scoca

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Moro

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo l’onorevole De Vita.

(È concesso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana

Iniziamo l’esame della Sezione II del Titolo IV: Norme sulla giurisdizione. Si dia lettura dell’articolo 101.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’azione penale è pubblica. Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla e non la può mai sospendere o ritardare.

«Le udienze sono pubbliche, salvo che la legge per ragioni di ordine pubblico o di moralità disponga altrimenti.

«Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Leone Giovanni, già svolto:

«Sopprimere il primo comma».

Segue l’emendamento dell’onorevole Crispo, già svolto:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«L’azione penale è pubblica, ed è esercitata di ufficio, quando non sia necessaria la querela, la richiesta o l’istanza. L’esercizio dell’azione penale non può sospendersi, interrompersi o farsi cessare se non nei casi stabiliti dalla legge».

Seguono gli emendamenti dell’onorevole Colitto, già svolti:

«Al primo comma, sopprimere le parole: Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla e non la può mai sospendere o ritardare».

«Al secondo comma, sopprimere le parole: per ragioni di ordine pubblico o di moralità».

Segue l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro, già svolto:

«Aggiungere il seguente comma:

«Il magistrato dovrà rimettere gli atti alla Corte di cassazione quando ritenga che le leggi che dovrebbe applicare siano contrarie alla Costituzione dello Stato».

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Io avevo presentato un emendamento inteso a sopprimere la distinzione in sezioni di questo Titolo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, quando si è parlato, all’inizio dell’esame di questo Titolo, dei problemi attinenti alle intitolazioni, si era rimasti d’intesa che li si sarebbe decisi alla fine dell’esame di tutto il Titolo. Io non ho detto di porre adesso in votazione questa intitolazione. Il problema resta sospeso.

Segue l’emendamento dell’onorevole Mastino Gesumino:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«Entro otto mesi dalla data in cui venne arrestato deve essere disposto il rinvio a giudizio dell’imputato detenuto; o ne deve essere ordinatala scarcerazione».

Ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO GESUMINO. Il mio emendamento è così formulato:

«Entro otto mesi dalla data in cui venne arrestato deve essere disposto il rinvio a giudizio dell’imputato detenuto; o ne deve essere ordinata la scarcerazione».

Io ritengo che con questa norma noi porremo giuridicamente una garanzia fondamentale non solo per la libertà, ma anche per la tutela della personalità del cittadino.

L’obiezione che prima sorge è la stessa che è sorta in molteplici discussioni in questa Aula, in merito a svariate norme costituzionali, ed è questa: che la norma che io intendo inserire nella Costituzione non avrebbe carattere costituzionale.

Ora, o signori, io ritengo che sulla costituzionalità o meno di una norma ci siano idee molto vaghe, perché la costituzionalità si afferma o si nega a seconda che la norma aderisca o meno a determinate ideologie o criteri. È mia ferma convinzione che tutto ciò che attiene alle fondamentali libertà del cittadino è di ordine strettamente costituzionale. Del resto questo principio noi l’abbiamo già attuato alle soglie del nostro lavoro costituzionale: perché, quando abbiamo fissato la norma secondo la quale la polizia giudiziaria o la pubblica sicurezza devono presentare al magistrato entro 48 ore l’arrestato, abbiamo stabilito un principio che era già in tutti i codici di procedura penale: variava il termine, ma la norma c’era; il che dimostra che non basta che una norma sia contenuta nei normali codici di procedura penale perché la si debba ritenere di carattere non costituzionale.

Il problema da risolvere è quindi un problema fondamentale, essenziale; e perciò io credo di affermare che, se si bada alla essenza della norma, quando ci troviamo di fronte alla necessità di garantire il diritto fondamentale di ogni cittadino di non essere trattenuto in arresto oltre le necessità dell’amministrazione della giustizia, quando ci troviamo di fronte ad una di queste norme, noi ci troviamo di fronte ad una norma essenzialmente costituzionale.

Quindi l’obiezione che si può opporre – che cioè la norma che fissa i termini al di là dei quali non è consentita la detenzione istruttoria dell’imputato è già contenuta in leggi normali ed anche in una legge speciale – secondo il mio modesto avviso non ha valore alcuno.

Io parlo qui ad un’Assemblea alla quale partecipano molti illustri avvocati, i quali sanno che se c’è una norma che è stata sempre violata, è proprio quella che riguarda i termini della istruttoria, scaduti i quali, l’imputato dovrebbe essere rinviato a giudizio. Il che dimostra che esiste la necessità di fissare costituzionalmente la norma, in modo che sia stabilito, nella forma più definitiva ed inviolabile, l’obbligo di non tenere il cittadino in carcere se non il tempo strettamente necessario per la istruttoria. Io, nel fissare il termine, ho stabilito otto mesi, perché l’esperienza mi dice che in otto mesi non c’è istruttoria che non possa essere compiuta. Le attuali lungaggini, che tutti noi deploriamo, sono dovute al fatto che l’autorità giudiziaria, data la scarsità del personale (mi rendo perfetto conto delle difficoltà in cui si dibatte l’amministrazione della giustizia) troppe volte indulge in minute indagini che non sono essenziali, e fa girare a vuoto i fascicoli processuali.

Ho constatato in un processo recentemente definito presso una Corte di assise, – processo che è durato in istruttoria due anni e mezzo e si è concluso dopo 3 anni con l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto – che gli atti hanno girato per tre mesi attraverso l’Italia alla ricerca di un carabiniere verbalizzante, che avrebbe dovuto solamente confermare la sua denunzia.

Ora, questo stato di cose pone una situazione che io non esito a definire vergognosa, per chi abbia amore della giustizia o meglio, direi, intuito della giustizia; e, soprattutto, dimostra che noi italiani, che ci vantiamo di essere i creatori del diritto, abbiamo smarrito quel completo concetto del diritto che impone assoluto rispetto della personalità umana; rispetto che era stato la gloria dei nostri avi e che noi abbiamo completamente dimenticato attraverso le tempeste che abbiamo dovuto attraversare.

Mi pare quindi, onorevoli colleghi, che la norma, che chiedo venga posta, sia la diretta conseguenza della prima parte dell’articolo che stiamo discutendo. Perché la prima parte dell’articolo contiene la fissazione di norme che ritengo fondamentali. L’articolo 101 dice:

«L’azione penale è pubblica. Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla e non la può mai sospendere o ritardare».

Mi pare che sia consequenziale e di naturale evidenza, la necessità di porre qui la norma che l’esercizio dell’azione penale deve essere limitato al tempo strettamente indispensabile alle necessità istruttorie.

Non si può opporre che una volta che il cittadino è stato deferito al magistrato la garanzia sussiste già in questo fatto, cioè che la sua sorte sarà decisa da chi, per un concetto unanime dei cittadini, è degno, avendone la capacità morale e giuridica, di vegliare affinché la libertà non sia vincolata per un periodo di tempo superiore al necessario.

Ma io osservo – e l’osservazione mi pare decisiva – che il magistrato al quale è affidata in questa fase la libertà del cittadino non è il magistrato nella pienezza dei suoi poteri giurisdizionali: si tratta del magistrato inquirente, che ha limitati poteri e non del magistrato che, nell’esercizio della sua sovrana funzione, veramente rappresenta tutti i cittadini ed assomma la fiducia e la speranza della nazione.

Perciò, onorevoli colleghi (desidero essere brevissimo e, d’altra parte, il mio emendamento è molto chiaro) vi prego di volere accogliere questa norma; sono sicuro che così porremo un principio basilare, fondamentale, a garanzia della personalità umana, che è il centro etico e il motore di ogni giustizia e di ogni libertà.

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma aggiungere, prima della parola: Tutti, le parole: Tutte le sentenze e».

L’onorevole Mannironi ha facoltà di svolgerlo.

MANNIRONI. La mia proposta tende ad ottenere un risultato pratico e concreto tendente a chiarificare la frase: «Tutti i provvedimenti ecc.».

Mi si dice da taluno dei membri della Commissione che nella dizione «Tutti i provvedimenti» dovrebbero essere comprese anche le sentenze, come, del resto, sarebbe ovvio. Se ciò fosse, se da quello che dichiarerà il Relatore, da quello che riconoscerà la Commissione, dovrà risultare, secondo quanto figurerà nel verbale, che la parola «provvedimenti» si deve intendere comprensiva anche delle sentenze, io non insisterò nel mio emendamento. (Commenti).

VERONI. La sentenza è il provvedimento dei provvedimenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha proposto di sopprimere l’ultimo comma.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

TARGETTI. Questo ultimo comma è realmente così importante che io chiedo al nostro egregio Presidente di voler domandare a se stesso se si possa mettere in votazione questo terzo comma così com’è, o se non sia invece da riconoscersi che questo comma sarebbe, per alcune sue conseguenze, in contrasto, in contradizione, con una deliberazione già recentemente presa dalla nostra Assemblea.

È fuor di dubbio che, nell’espressione «tutti i provvedimenti», ha il suo primo posto qualsiasi sentenza. Fu adottata l’espressione «i provvedimenti giurisdizionali» per evitare, se ben ricordo, che questo obbligo della motivazione si estendesse anche ai decreti; ma la dizione «provvedimenti giurisdizionali» è proprio fatta apposta per indicare in primo luogo le sentenze e poi le ordinanze.

Le sentenze: evidentemente, se si approvasse questa norma, nessuna sentenza si potrebbe emanare che fosse priva di motivazione. Ora, noi sosteniamo che una simile deliberazione, una simile statuizione, l’Assemblea nostra si è posta nell’impossibilità di prenderla, dopo che essa ha approvato l’emendamento dell’onorevole Mastino all’articolo 96. Dice infatti l’emendamento dell’onorevole Mastino Pietro all’articolo 96: «La legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia». Mi sembra quindi che sarebbe fuori luogo voler mettere in chiaro ciò che dev’essere già chiarissimo alla mente di tutti, che cioè la portata di questa disposizione approvata dall’Assemblea Costituente è tale – io faccio anzi l’ipotesi meno favorevole a noi – da ammettere anche la resurrezione dell’istituto classico della giuria.

Ho detto che, esprimendomi così, dicendo cioè che questa formula ammette anche questa ipotesi, io ero remissivo, ero molto modesto, perché avrei anche potuto dire che, nelle forme di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, l’istituto classico della giuria non è soltanto compreso, ma vi troneggia: e questo per parere di tutti, parere che non può quindi in nessun modo venir posto in discussione.

Non è quindi neppure, necessario richiamarsi all’illustrazione che della sua proposta ci ha dato l’onorevole Mastino e neppure ai precedenti del progetto della disposizione stessa. Io ricordo all’Assemblea che il testo della Costituzione prevedeva la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia attraverso l’istituto della giuria. Proponemmo noi stessi un emendamento che toglieva l’espressione: «attraverso l’istituto della giuria» e diceva: «nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge». Ma nell’illustrazione di questa nostra nuova forma di dizione fummo chiari ed espliciti, dichiarando che noi intendevamo prevedere come prima ipotesi la resurrezione dell’istituto classico della giuria e adottavamo questa diversa forma per rendere possibile eventualmente anche qualche forma diversa di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.

Per concludere: non credo che da nessuno, sia pure di sottilissimo e sofistico ingegno, si potrebbe arrivare a sostenere che nella disposizione approvata dall’Assemblea non è anche contemplata la facoltà per il legislatore di domani di ricostituire la giuria classica.

Io non sono audace al punto di rientrare nella discussione della questione della giuria, mettendo a durissima prova la tolleranza dell’Assemblea, ma ricordo a tutti i colleghi che la mancanza di motivazione, che per alcuni è il difetto maggiore, è il difetto condannatorio dell’istituto della giuria, è al tempo stesso la caratteristica dell’istituto classico della giuria: la famosa giustizia monosillabica.

E se fosse possibile ricordare ancora una volta Francesco Carrara, ricorderei all’Assemblea che fu proprio Carrara che disse: «I giurati si vogliono o non si vogliono; i giurati si fanno o non si fanno». E noi possiamo aggiungere che qualsiasi sostanziale modificazione dell’istituto della giuria, e in special modo quella che sarebbe costituita dall’obbligo della motivazione, darebbe luogo a qualche cosa di ibrido. Parrebbe quasi che si volesse mettere sulla testa del giurato la parrucca del magistrato, col risultato di fare una caricatura al tempo stesso e del magistrato e del giudice.

La motivazione del verdetto dei giurati è la negazione del verdetto stesso. Prescrivere l’obbligo della motivazione, vuol dire rifiutarsi a quella forma di giudizio, che – ripeto – può essere osannata, esaltata o condannata, ma che è quella che la tradizione ci ha tramandato.

E allora, onorevoli colleghi, è inutile che mi appelli alla vostra onestà di discussione e di deliberazione. Potrei dirvi: mettetevi una mano sulla coscienza, e ditemi se vi può essere qualcuno fra di noi che, dinanzi alla approvazione della norma proposta dall’onorevole Mastino, non abbia ritenuto che con quella norma si intendesse lasciare ai legislatori di domani facoltà di far rivivere – con l’esultanza degli uni e la desolazione degli altri – la vecchia giuria.

Ora, onorevoli colleghi, se il Presidente mettesse in votazione questo terzo comma dell’articolo 101, che fa obbligo della motivazione per qualsiasi sentenza, esporrebbe l’Assemblea al rischio di scendere all’approvazione di un principio in pieno contrasto con un principio già approvato.

Non si tratta di evitare questo rischio; si tratta, per parte nostra, della improcedibilità, dell’improponibilità, dirò meglio, di questa questione; perché se fosse ammesso che, affermato un principio, potesse domani l’Assemblea, affermarne un altro in pieno contrasto col primo, non basterebbe il 1947, e non basterebbe neppure il 1948 per arrivare alla fine del nostro lavoro, giacché ogni giorno si potrebbe distruggere parte del lavoro già fatto.

PRESIDENTE. L’onorevole Crispo ha proposto di aggiungere all’emendamento Mastino Pietro queste parole:

«senza che possa successivamente, o con la sentenza di rinvio, emettersi altro mandato di cattura».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CRISPO. Onorevoli Colleghi, se l’Assemblea riterrà di approvare l’emendamento del collega Mastino, cioè se riterrà che il contenuto di quell’emendamento sia materia che debba essere compresa e regolata dalla Costituzione, io ritengo indispensabile integrare l’emendamento stesso con le parole che mi sono permesso di proporre, per una ragione semplicissima.

Oggi, secondo il nostro Codice di diritto penale, e secondo le speciali norme, emesse soprattutto durante il periodo della guerra, è fuori discussione che debba essere comunque limitato entro un termine determinato il periodo della detenzione preventiva dell’imputato, durante il periodo della istruttoria. C’è anzi una norma che distingue i reati di competenza del tribunale e quelli di competenza della Corte d’assise, stabilendo un termine più breve per la escarcerazione nel caso di reati di competenza del tribunale, e un termine più lungo per quelli di competenza della Corte d’assise.

Ma la questione che sorge è un’altra, non nuova, perché fu dibattuta già durante la discussione del Codice di procedura del 1913, che prevedeva un istituto ad hoc. Tale questione è sorta anche adesso, se cioè il giudice, non avendo potuto espletare l’istruttoria e avendo perciò dovuto escarcerare l’imputato, possa, dopo l’escarcerazione, emettere un nuovo mandato di cattura, soprattutto all’atto dell’emissione della sentenza di rinvio a giudizio.

Si è giustificato l’istituto della cosiddetta perenzione, in quanto si è ritenuto non potersi prolungare indefinitivamente lo stato di detenzione, soprattutto quando il giudice non fosse stato sollecito a compiere l’istruttoria del processo, onde si disse che quando il giudice avesse completato l’istruttoria da cui risultasse la presunzione della colpevolezza dell’imputato avrebbe potuto di nuovo emettere un mandato di cattura.

Io penso che questo non dovrebbe accadere, perché altrimenti la escarcerazione sarebbe una lustra, potendosi verificare che pochi giorni dopo l’escarcerazione si emetta un nuovo mandato di cattura.

Ora a me sembra che si debba consacrare il principio, che, quando si è verificata la perenzione dell’arresto, quando il giudice ha lasciato trascorrere quel termine entro il quale avrebbe dovuto completare l’istruttoria, emettendo sentenza di rinvio a giudizio, non gli sia consentito di emettere un nuovo mandato di cattura durante l’istruttoria.

PRESIDENTE. L’onorevole Bettiol ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma sopprimere le parole: e non la può mai sospendere o ritardare».

Ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Se non possiamo rinunziare, come sarebbe desiderio di molti, a tutte queste norme che hanno un carattere troppo particolare, è chiaro che almeno dobbiamo cercare di emendare le norme di tutto il superfluo. A me sembra che queste parole abbiano carattere di superfluità.

Di carattere veramente costituzionale è l’affermazione esplicita del principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, perché è un principio che si adegua ad un ordine democratico nell’ambito di uno stato di diritto in contrasto a due principî: quello di discrezionalità, da un lato, per cui il pubblico ministero è arbitro di potere esercitare o non l’azione penale, e il principio di obbligatorietà o di legalità, per cui il pubblico ministero, quando ricorrano i presupposti di fatto e di diritto, deve esercitare l’azione penale stessa.

Abbiamo assistito, nella regolamentazione di ordinamenti politici antidemocratici stranieri, all’affermazione del principio di discrezionalità. Anche da noi, nel 1930, col Codice di procedura penale, quel principio aveva fatto capolino col permettere al pubblico ministero di archiviare gli atti del processo, quando il documento che conteneva la notizia fosse manifestamente infondato.

Oggi questo potere del pubblico ministero di archiviare gli atti del processo senza ottenere il benestare del giudice istruttore è eliminato, per cui siamo tutti orientati verso l’affermazione chiara e precisa che l’esercizio dell’azione penale ha carattere obbligatorio. E pertanto mi sembra che la frase: «il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla» sia chiara, breve e precisa, mentre il resto della formulazione: «e non la può mai sospendere o ritardare» può rappresentare eccezioni che possono essere previste in leggi particolari o nel Codice di procedura penale.

PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni, ritirando il suo emendamento soppressivo del primo comma, ha proposto di sostituire quel comma con l’espressione seguente:

«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale».

L’onorevole Leone ha facoltà di svolgere l’emendamento.

LEONE GIOVANNI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, fui proprio io che nell’adunanza plenaria della Commissione dei Settantacinque, mi opposi ad una proposta di soppressione della formula, che è stata poi travasata nell’articolo 101. Ed in quella sede io tenni a riaffermare – il che è stato ripetuto oggi dall’onorevole Bettiol – il carattere costituzionale del principio della obbligatorietà dell’azione penale.

Il mio emendamento soppressivo, al quale ho poi sostituito un nuovo emendamento, tendeva soltanto ad eliminare il pericolo che era insito nella espressione «l’azione penale è pubblica».

I cultori di diritto penale sanno che il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale non è ben definito ancora.

Secondo alcuni esiste un principio di officialità da tener distinto dall’obbligatorietà dell’azione penale; secondo altri i due principî si identificano; secondo alcuni è più ampio il primo, secondo altri è più ampio il secondo principio. Basta questa esposizione sommaria dell’incertezza della dottrina nel definire il concetto di pubblicità dell’azione penale, perché si debba rinunciare, in una Carta costituzionale, ad adottare tale formula, che potrebbe creare gravissimi impacci per il legislatore comune.

Che cosa occorre stabilire, nella Carta costituzionale? Occorre che noi riaffermiamo nella Carta costituzionale questo che è un principio fondamentale dello Stato moderno: cioè, che il pubblico ministero non può esercitare un’attività discrezionale circa il proponimento dell’azione penale. Sono contento che l’onorevole Bettiol l’abbia ripetuto adesso.

Il pubblico ministero, in altri termini, quando viene a cognizione della notitia criminis, non ha un potere discrezionale, ma deve investire l’organo della giurisdizione dell’esame del contenuto dell’azione penale.

Questo lo vogliamo tutti perché corrisponde alle costituzioni attuali, ed è stato già rettificato in alcuni aspetti da una legge emanata successivamente alla caduta del fascismo; perché è noto che nell’articolo 74 del Codice di procedura penale si stabiliva un potere di archiviazione che era consegnato nelle mani del pubblico ministero e che è stato poi tolto per essere affidato all’organo della giurisdizione. Se noi vogliamo dire che il pubblico ministero non può declinare il dovere di promuovere l’azione penale, aboliamo l’espressione «l’azione penale è pubblica» e diciamo soltanto che «il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale».

Sopprimiamo così, come ha chiesto l’onorevole Bettiol, l’aggiunta «e non la può mai sospendere o ritardare», perché qui ci si introduce in alcuni congegni processuali che sono delicati e che sono suscettibili di riforme o perfezionamento.

Sopprimiamo infine la denominazione «pubblicità», anche per un altro aspetto personale, che presenterò all’Assemblea.

Quando avremo detto soltanto che il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, noi avremo sodisfatto l’ansia politica che in questa sede dobbiamo rispettare, cioè che il pubblico ministero non può non esercitare l’azione penale; ma non diciamo che il monopolio dell’azione penale è nelle mani del pubblico ministero.

Ricordo, presentando un concetto che nella scienza penale è molto discusso, che nel Congresso giuridico nazionale forense di Firenze, ho sostenuto per il legislatore futuro la necessità di introdurre accanto all’azione penale di spettanza del pubblico ministero (per la quale vige e deve vigere il principio della obbligatorietà) anche l’azione penale sussidiaria del privato. Non impediamo al legislatore di domani di poter risolvere questo problema nel quale indubbiamente vive e palpita una grande ansia democratica, cioè il non respingere del tutto dall’ambito del processo penale quelle che sono le istanze, i desideri, i legittimi interessi e diritti dei soggetti privati del rapporto giuridico penale.

Per queste ragioni, cioè per la possibilità di lasciare il varco all’azione penale sussidiaria per la imprecisione della espressione tecnica «pubblicità dell’azione penale», obbedendo alla aspirazione concreta di affermare soltanto che il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, io ritengo che, convogliandosi nel mio emendamento anche quelli di alcuni miei colleghi, come quello dell’onorevole Bettiol, si possa votare questa formula più breve e più chiara.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, debbo spendere brevi parole sull’emendamento dell’onorevole Targetti, proposto con singolare eleganza agli effetti di fare apparire l’ultimo comma dell’articolo 101 – relativo all’obbligo di motivazione di tutte le sentenze – come una norma contrastante con la precedente votazione dell’Assemblea sul giudizio popolare.

Mi permetto, anzitutto, di considerare che, se la norma in esame contempla in modo generale l’obbligo della motivazione, appare chiaro che un istituto così genericamente configurato debba essere snodato e adattato alle singole specie, a seconda delle varie ipotesi cui sia riferibile, prima che su di esso possa esprimersi un giudizio.

Di conseguenza, nessuno può preliminarmente escludere che l’istituto della motivazione si renda applicabile anche in quella ipotesi di giudizio popolare, che noi teniamo ferma in conseguenza della votazione di questa Assemblea. E vogliamo spiegarci. Pur se domani si dovesse concepire la partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia nella formula più rigida, in quella della originaria giuria precedente l’assessorato – taccio quindi delle ipotesi intermedie che potrebbero ben essere contemplate dalla legge futura, ove si consideri, quanto sia delicata la linea di demarcazione fra fatto e diritto e come il fatto interferisca nel diritto ed il diritto sia influenzato dal fatto – persino nella ipotesi estrema e più radicale di partecipazione popolare, dicevo, appare evidente che un elemento essenziale di motivazione sussisterebbe sempre. Il magistrato, infatti, dovrebbe comunque ricondurre le risultanze del verdetto di fatto ai suoi presupposti di diritto. Ed in questa opera di collegamento egli sarebbe in ogni caso tenuto a giudicare di quell’insieme di elementi che sono dalla legge a lui discrezionalmente affidati, e attengono alla valutazione stessa della personalità umana in genere e del giudicabile in specie. Senza di che inconcepibile sarebbe il potere di spaziare fra il minimo e il massimo della pena, vagliando i precedenti e il complesso degli elementi idonei a istituire il raccordo fra il giudizio di fatto e la statuizione di diritto. Come negare, pertanto, gli estremi, minimi se si vuole, ma tuttavia adeguati, del concetto di motivazione?

Sotto questi profili, io debbo ritenere che non sia sostenibile né la tesi della improponibilità formale del terzo comma dell’articolo 101, né quella della sua inopportunità sostanziale. Non la prima, perché nessuna incompatibilità preliminare sussiste fra il concetto della partecipazione popolare e l’obbligo di motivare la sentenza. Non la seconda, poiché, andando al fondo delle cose, l’istituto della motivazione rappresenta una conquista giuridica, cui non si potrebbe abdicare se non ricadendo in quei tempi oscuri di cui magistralmente ci parla Vico.

Si lasci dunque che l’adeguamento concreto del concetto sia fatto dalla legge, la quale aprirà così la via ad una più alta tutela delle libertà del cittadino, attraverso la possibilità di configurare sempre il doppio grado di giurisdizione in quanto sempre operi l’istituto della motivazione, garanzia di giustizia e segno di civiltà. (Applausi).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Non ho alcuna competenza in questo argomento, ma ho seguito la discussione avvenuta a proposito del terzo comma, e posso vedere le cose da un punto di vista che mi sembra ragionevole.

Gli argomenti addotti dall’onorevole Dominedò contro le preoccupazioni che a me sembrano molto fondate manifestate dall’onorevole Targetti non mi hanno convinto, perché ho l’impressione che se si lascia passare il comma così come è stato stilato dalla Commissione, realmente il legislatore di domani si potrebbe trovare in qualche modo imbarazzato nel proporre la istituzione della giuria. Pertanto, per venire incontro in qualche modo alle preoccupazioni dell’onorevole Targetti, e per togliere ogni ambiguità alla disposizione di questo comma, vorrei proporre che fosse emendato in questi termini: «Tutti i provvedimenti emessi dai magistrati, nell’esercizio delle loro funzioni, devono essere motivati.». In questo modo, mentre il dovere dei magistrati di motivare i loro provvedimenti giurisdizionali è sancito, non si esclude che quando fosse un giudice popolare a emettere il giudizio, questo potrebbe non essere motivato.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. In via principale, dichiaro di essere favorevole all’intera soppressione dell’articolo. In via subordinata accedo all’emendamento Targetti, al quale ho dato anche io la firma, perché si tratta di materia che non può essere che regolata dalla legge ordinaria. Se dovessimo entrare in dettagli, io dovrei proporre, per esempio, questa aggiunta: che le sentenze e i provvedimenti di magistrati debbano essere sufficientemente motivati, perché è ora di finirla con il malvezzo di trasformare le sentenze in veri trattati, allo scopo di farne costituire titoli di carriera.

Ricordo che la pratica francese, per quanto riguarda la materia commerciale, riduce la motivazione a termini brevissimi, anzi la sentenza è stesa su un foglietto azzurro che ha due facciate soltanto. Ed è rimasta celebre in Italia una sentenza della Corte d’appello di Milano che, in materia di delibazione di sentenza di divorzio, ha trasformato la motivazione in un vero trattato di storia e diritto costituzionale circa la costituzione dello Stato libero di Fiume, risalendo addirittura a Maria Teresa, sentenza che ha valso a portare l’allora direttore de La giurisprudenza italiana, il senatore Mortara, a dare una grande strigliata all’estensore, (il quale, notissimo magistrato, consigliere di Corte di appello salito poi ai più alti gradi) tutto acceso di spirito nazionalistico, ha voluto sfogare o meglio sfoggiare a spese delle parti il suo personale sentimento.

Per questi motivi, siccome è materia che deve trovare comunque in altra sede la sua definitiva regolamentazione, mi dichiaro favorevole alla soppressione dell’intero articolo e subordinatamente favorevole all’emendamento Targetti.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha proposto di sostituire il terzo comma col seguente:

«Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati salvo il disposto dell’articolo 96».

Si intende che egli rinunzia all’emendamento soppressivo dello stesso comma.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Rossi Paolo, per esprimere il pensiero della Commissione.

ROSSI PAOLO. Premetto che in linea generale la Commissione sarebbe molto favorevole allo sfrondamento di alcune disposizioni non strettamente necessarie e non strettamente attinenti alla materia costituzionale. Quindi, tutte le proposte di soppressione e di riduzione trovano la simpatia della Commissione.

Vorrei cominciare a rispondere agli onorevoli Mastino Gesumino e Mannironi che le loro preoccupazioni – preoccupazioni di libertà che sono comuni a tutti noi – mi paiono assolutamente ingiustificate di fronte alla disposizione dell’articolo 8, già inserita in capo alla Costituzione: «La legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva». È una deposizione di carattere molto ampio. Non volendo trasformare la Costituzione in Codice di procedura penale mi pare che possiamo accontentarci delle affermazioni solenni dell’articolo 8: «Nessuno può esser privato della libertà personale; la libertà personale è inviolabile; la legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva».

All’onorevole Crispo vorrei osservare che l’emendamento che egli propone non mi pare di rilevanza costituzionale. E solleverebbe anche dubbi in un penalista. Vero è che non si può, per la inerzia del giudice, tenere un prevenuto indefinitamente in prigione; ma è altresì vero che questa colpevole pigrizia del giudice non deve tornare a danno e pericolo della società in determinati casi. Quando vi è la sentenza di rinvio a giudizio che riconosce sufficienti elementi di colpevolezza a carico dell’autore di un delitto gravissimo, forse è più opportuno che sia emesso un nuovo mandato di cattura, anche se vi è stata scarcerazione per decorrenza dei termini.

Per queste semplici ragioni mi pare che gli emendamenti degli onorevoli Mannironi, Mastino Gesumino e Crispo siano da respingersi, bastando largamente l’affermazione dell’ultima parte dell’articolo 8 della Costituzione.

Per il blocco degli emendamenti degli onorevoli Bettiol e Leone, le difficoltà di ordine scientifico sono numerose. Se l’Assemblea crede di dover risolvere la questione dell’obbligatorietà dell’azione penale superando l’antica tesi della discrezionalità e affermando il principio della legalità dell’azione penale, converrà introdurre un cenno nella Costituzione: perché, qui, lo riconosco, la materia è di rilevanza costituzionale.

Giustissimo è il rilievo dell’onorevole Leone: che bisognerà, cioè, affermare soltanto l’obbligatorietà e non anche la pubblicità dell’azione penale. L’azione penale sussidiaria del privato può essere in qualche caso utile. Personalmente, per esempio, ritengo che sarebbe opportuno ritornare, nei reati di diffamazione per mezzo della stampa, al sistema della citazione diretta. Evidentemente, questa riforma sarebbe preclusa o, per lo meno, messa in dubbio, se l’articolo 101 si aprisse con un’affermazione perentoria che l’azione penale è pubblica. Bisognerebbe ricorrere a qualche scappatoia per poter giungere a questa riforma che molti ritengono utile. Così è inutile indicare che il pubblico ministero non può sospendere l’azione penale o ritardarla. Adesso non possiamo tutto prevedere. Ci sono dei casi in cui la sospensione dell’azione penale può essere opportuna. Possiamo immaginare lo stato di guerra od altro, per cui la sospensione dell’azione penale sia inevitabile. Se facciamo un divieto nella Costituzione, possiamo legare le mani al futuro legislatore in circostanze difficili.

Così mi pare che si possa rinunciare con tutta tranquillità a stabilire nella Costituzione il principio della pubblicità delle udienze.

È un principio così comune, così universalmente accettato che non sembra il caso di parlarne; come non abbiamo introdotto nella Costituzione il principio che nessuno può porre prezzo all’aria che si respira, così non si deve porre il principio che i processi penali sono pubblici. Non c’è stato mai dubbio in proposito; in tutti i Paesi del mondo i processi penali sono pubblici.

E poi si introdurrebbe immediatamente dopo l’altra dichiarazione: «salvo che la legge, per ragioni di ordine pubblico o di moralità, non disponga altrimenti». Quindi, si spalancherebbe un solenne portone e si aprirebbe una porticina, per cui si potrebbero sempre tenere udienze penali non pubbliche!

Rimane la questione più grave, sollevata dall’emendamento Targetti e dalle osservazioni degli onorevoli Nobile e Dominedò. La questione della motivazione, a mio avviso, è piuttosto questione formale, di parole, che non questione di sostanza. Noi siamo in gran parte avvocati o magistrati o professori di diritto in questa Assemblea e sappiamo che questa esigenza della motivazione molte volte è superata con mezzi di forma. Ci sono motivazioni puramente formali, apparenti. Tutti ricordiamo le motivazioni apposte col timbro, per esempio, per concedere i sequestri: il cancelliere appone il timbro, con la formula: «visti gli articoli, ecc.» e il Presidente firma. Questa è motivazione formale, non sostanziale.

MURGIA. E in materia penale?

ROSSI PAOLO. Accade lo stesso, utilmente talora, se ella mi consente; perché tutti riconosciamo l’opportunità, per sveltire il lavoro delle grandi preture urbane, soverchiate da centinaia e migliaia di piccoli processi, del procedimento per decreto penale. Ebbene, nel procedimento per decreto penale, avviene la medesima cosa: si fa la stampigliatura, in cui è detto: «visto il verbale in data tale dell’agente; visto l’articolo tale, il pretore…».

MURGIA. Questo per pene pecuniarie.

ROSSI PAOLO. Ammende e multe, talora di qualche importanza. Rimane infine la questione teorica. Non entro in discussione, accenno. Il legislatore futuro potrebbe introdurre anche in Italia il sistema della dichiarazione guilty or not guilty, per cui non c’è motivazione: si legge di fronte all’imputato, puramente e semplicemente, il capo di imputazione e gli si domanda, prima di iniziare il processo se accetti o no l’imputazione. Talora l’imputato accetta l’imputazione; ed allora questa si trasforma in sentenza, senza obbligo di motivazione. Ricordo che nella fredda e tranquilla Inghilterra avviene – ne ho osservato in pochi anni tre o quattro casi – che persino in accusa implicante la pena di morte, l’imputato accetti la contestazione. Non credo che sia possibile, col nostro costume forense e con le abitudini del nostro popolo, introdurre un sistema simile. Ma perché creare impedimenti o qualche modificazione nel nostro sistema.

E poi c’è la grave questione della giuria. L’onorevole Dominedò, ingegno sottile, dice che la motivazione si fa sempre. Perché, signori, cosa dice il Presidente dalla Corte di assise, quando estende materialmente la sentenza? Dice: visto che non si può discutere che i fatti si siano svolti il tal modo, poiché i giurati hanno in punto di fatto ammesso A, B, C; visto che devono essere applicate le pene previste dalla legge; visto che il diritto si applica in questo modo; la sentenza è questa. Una motivazione c’è, dunque, anche in questo caso.

Nel consentire all’introduzione dell’obbligo della motivazione in tutti i provvedimenti giurisdizionali, si fa questa riserva da parte della Commissione: che con ciò non si vuole impedire per nulla l’accesso alla giuria, anzi si deve ammettere che anche le sentenze della Corte di assise sono sentenze motivate in fatto ed in diritto, con il semplice riferimento all’affermazione dei giurati i quali hanno ritenuta provata o meno la veridicità dei fatti.

La Commissione è disposta a sfrondare ed a guadagnare almeno un poco di tutto quel tempo che si è perduto durante i nostri lavori, e, pertanto, propone di votare l’articolo 101 in questi brevi termini:

«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale» (quindi nulla è detto intorno alla pubblicità dell’azione penale e la strada rimane aperta all’azione penale sussidiaria).

«Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati».

Quindi nulla è detto sulla pubblicità delle udienze. Ripeto, infine, per la chiarezza, che l’accettazione del principio dell’obbligo della motivazione non vulnera in alcun modo l’acquisito diritto di partecipazione del popolo ai giudizi mediante l’istituzione della giuria.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. La Commissione si è limitata a dire che esiste l’articolo 8 delle norme costituzionali approvate, il quale rimanda al legislatore futuro i termini per la carcerazione preventiva. Orbene, il fatto che il legislatore futuro si debba occupare dei termini della carcerazione, i quali partono da un minimo e vanno fino ad un massimo, e debba dettare le disposizioni dirette a precisare le forme e le norme della carcerazione e della scarcerazione, non attiene affatto al problema puramente costituzionale da me posto. Perché, quindi, deve rimanere una simile lacuna fra le norme che garantiscono le libertà del cittadino? È possibile che si lasci indeterminato in ogni modo il massimo del termine che è concesso al futuro legislatore per la detenzione preventiva del cittadino? Questo è un problema di ordine strettamente costituzionale, in quanto attiene alle libertà fondamentali del cittadino.

Mi permetto, poi, di dissentire dall’opinione del Relatore per quanto concerne la soppressione della frase: «le udienze sono pubbliche». Egli ha detto che questo è ormai un principio unanimemente accettato ed acquisito in tutte le legislazioni. Non mi pare questa una ragione sufficiente: molti principî essenziali di libertà abbiamo visto crollare e l’esperienza deve pur servire a qualcosa. Il principio che le udienze sono pubbliche è un principio faticosamente acquisito attraverso le lotte per la libertà. Io credo che sia un po’ superficiale rinunciare senza discussione a questo principio, unicamente perché l’attuale unanime consenso di tutti i popoli lo ha affermato.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori degli emendamenti se li conservano.

Onorevole Crispo, conserva i suoi due emendamenti?

CRISPO. Mantengo l’emendamento aggiuntivo all’emendamento dell’onorevole Mastino Gesumino, come ho già affermato, nel caso che si votasse favorevolmente all’emendamento dell’onorevole Mastino, mantengo anche l’emendamento al primo comma, nel caso che non passasse il testo così come è modificato dalla Commissione.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Colitto?

COLITTO. Non insisto sul primo, ma mantengo il secondo emendamento.

PRESIDENTE. Faccio rilevare che il suo secondo emendamento è sodisfatto, direi al di là del suo desiderio, dalla nuova proposta della Commissione, la quale propone di sopprimere il secondo comma, del quale lei proponeva la soppressione parziale.

COLITTO. Non insisto; mi rimetto alle decisioni dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Gesumino, mantiene il suo emendamento?

MASTINO GESUMINO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Il mio emendamento era presentato all’articolo 101, ma l’argomento riguarda la materia contenuta nel 128. Quindi, desidererei mantenerlo per quando si discuterà dell’articolo 128.

PRESIDENTE. Sta bene. Sono molti i suoi emendamenti, che non hanno trovato la sede opportuna al momento della votazione.

Onorevole Targetti, mantiene, i suoi emendamenti?

TARGETTI. Modificando la mia precedente dichiarazione, mantengo in via principale l’emendamento soppressivo dell’ultimo comma e in via subordinata quello sostitutivo.

PRESIDENTE. Onorevole Bettiol, la sua proposta è stata accolta dalla Commissione.

BETTIOL. Io accetto l’emendamento Leone Giovanni, sebbene sia perplesso, in quanto si elimina il carattere dell’azione penale.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, mantiene il suo emendamento?

NOBILE. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, forse il suo emendamento dovrebbe essere completato con l’aggettivo «ordinari», e dire così: «tutti i provvedimenti emessi dai magistrati ordinari»; diversamente si possono intendere anche i giurati, che sono anche essi magistrati, benché non ordinari.

NOBILE. D’accordo. Penso però che i giurati non emanino un provvedimento; i giurati, per quello che so, emettono un verdetto, rispondendo se l’imputato è colpevole o no. Il provvedimento giurisdizionale lo emette il Presidente della Corte. Questo è il mio avviso.

PRESIDENTE. Ed allora, passiamo alla votazione.

Come hanno udito dalla risposta dell’onorevole Rossi Paolo a nome della Commissione, il testo proposto dalla Commissionò è il seguente:

«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale.

«Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati».

Pongo in votazione il primo comma:

«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale».

(È approvato).

Il secondo comma nel testo primitivo della Commissione suonava così:

«Le udienze sono pubbliche, salvo che la legge per ragioni di ordine pubblico o di moralità disponga altrimenti».

La Commissione propone la soppressione completa di questo comma.

L’onorevole Colitto propone, invece, la soppressione delle parole: «per ragioni d’ordine pubblico o di moralità».

MASTINO GESUMINO. Faccio mia la formulazione originaria di questo comma.

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. È chiaro che senza la eccezione sarebbe pericoloso introdurre questa dizione, in quanto ci sono processi per i quali le porte chiuse rispondono ad una evidente esigenza morale.

COLITTO. Propongo che si voti per divisione, eliminando le parole: «per ragione d’ordine pubblico o di moralità».

PRESIDENTE. Pongo, dunque, in votazione la formulazione dell’onorevole Colitto:

«Le udienze sono pubbliche salvo che la legge disponga altrimenti».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Onorevoli colleghi, penso che sia superfluo avvertire che con questa votazione non si è inteso deliberare che le udienze non devono essere pubbliche; ma che non si ritiene di inserire la norma nel testo costituzionale.

Pongo adesso in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Mastino Gesumino, che la Commissione ha dichiarato di non accettare: anche in questo caso non perché sia contraria al concetto, ma perché non ritiene che debba essere incluso nella Costituzione:

«Entro otto mesi dalla data in cui venne arrestato deve essere disposto il rinvio a giudizio dell’imputato detenuto, o ne deve essere ordinata la scarcerazione».

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Mi scusi, onorevole Mastino, perché questo termine di otto mesi? Noi siamo più solleciti della libertà dei detenuti, quando devono essere scarcerati, ed il termine di otto mesi può presentarsi soverchiamente lungo.

Credo che il principio secondo cui la legge deve determinare i limiti della carcerazione preventiva, già incluso nel testo costituzionale, costituisca una maggiore garanzia di quella rappresentata dall’emendamento Mastino. Perché, colleghi, cosa farà il legislatore? Si riferirà ai precedenti. Ora, i termini stabiliti dal codice del 1913 per la carcerazione preventiva erano molto più brevi degli otto mesi, arrivando fino ad un anno solo in alcuni casi.

Credo che, se stabiliamo il termine di otto mesi, invece di stimolare l’attività del futuro legislatore per creare un sistema ben organizzato, che distingua tra imputazioni di una certa gravità, e altre di minor gravità, i reati di competenza del pretore, del tribunale e della Corte d’assise, indulgiamo al suo ozio e alla sua inerzia, perché il legislatore si limiterà semplicemente ad accettare il termine di otto mesi, con danno degli interessi di libertà che l’onorevole Mastino intenderebbe proteggere.

Quindi, mi pare che sia meglio tutelato il desiderio legittimo e spiegabilissimo dell’onorevole Mastino col respingere il suo emendamento e col richiamare ancora una volta l’affermazione che la legge deve determinare il limite massimo della carcerazione.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino, mantiene l’emendamento?

MASTINO GESUMINO. Mantengo l’emendamento ed osservo che queste norme sono state sempre violate.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Mastino Gesumino:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«Entro otto mesi dalla data in cui venne arrestato deve essere disposto il rinvio a giudizio dell’imputato detenuto; o ne deve essere ordinata la scarcerazione».

(Non è approvato).

Passiamo al secondo comma del testo della Commissione.

«Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati».

Vi e una proposta soppressiva dell’onorevole Targetti, non accolta dalla Commissione.

La pongo in votazione.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Passano alla votazione della formula proposta dall’onorevole Nobile, sostitutiva di tutto il comma:

«Tutti i provvedimenti emessi dai magistrati nell’esercizio delle loro funzioni debbono essere motivati».

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento Nobile, il quale mi pare chiaro nel senso di fare eccezione per il verdetto dei giurati, mentre invece la formulazione proposta dall’onorevole Targetti mi pare dubbia, specialmente se reca chiaramente la sostituzione del «fermo» al «salvo». Mi pare infatti che, in tal modo, il «fermo» non costituisca più un’eccezione.

Se noi pertanto vogliamo mantenere la giuria, occorre che la manteniamo con tutte le sue caratteristiche fondamentali di giustizia, di cui la principale è certamente che il verdetto non si appelli. È veredictum perché inappellabile.

Una voce al centro. Ma questo non è stato mai detto.

FABBRI. Lo dico io come dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Avverto che dagli onorevoli Leone Giovanni, Moro, e altri è stata chiesta la votazione per appello nominale sopra l’emendamento proposto dall’onorevole Nobile al terzo comma dell’articolo 101.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Mantengo il mio emendamento; ma da taluni colleghi giuristi mi viene suggerito – e probabilmente avranno ragione – di sopprimere le parole «nell’esercizio delle loro funzioni».

Se tali parole sono superflue, non ho nessuna difficoltà che siano soppresse.

PRESIDENTE. Allora il testo sarebbe il seguente:

«Tutti i provvedimenti emessi dai magistrati devono essere motivati».

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Qui si fa riferimento alla qualità di magistrati; ora, il magistrato esercita anche funzioni che molte volte non sono giurisdizionali: ha delle funzioni amministrative, per esempio. Quindi occorre che si chiarisca questo concetto. Mi pare che una dizione così lata non sia ammissibile.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Credo ci sia qui una preoccupazione assolutamente infondata. L’onorevole Nobile, come l’onorevole Targetti, temono che, votando il testo della Commissione «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati», si venga in qualche modo a vulnerare il voto precedente dell’Assemblea circa la partecipazione diretta del popolo, attraverso l’istituzione della giuria, all’amministrazione della giustizia.

Ora, io mi permetto di dire all’onorevole Nobile che il suo emendamento non reca alcun conforto (oltre la dichiarazione formale, solenne ed esplicita della Commissione), alla sua tesi. Egli dice: «Tutti i provvedimenti emessi dai magistrati devono essere motivati». Con ciò l’onorevole Nobile vuol dire che i provvedimenti emessi dal popolo e non dai magistrati possono essere immotivati. Suppongo che questa sia l’intenzione del suo emendamento. Ma debbo dire all’onorevole Nobile che i giurati non emettono alcun provvedimento, perché il provvedimento non consiste nel verdetto dei giurati: il provvedimento consiste nella sentenza della Corte di assise redatta dal Presidente, che apporrà al verdetto le necessarie considerazioni di diritto, determinerà la pena, e quindi, in concreto, emanerà la sentenza. Si capisce che il verdetto dei giurati non è e non può essere motivato. Ma quando si dice che il provvedimento del magistrato, nell’esercizio delle sue funzioni, deve essere motivato, non si dice con ciò nulla che si riferisca ai giurati, perché i giurati – ripeto – non emettono alcun provvedimento, non emettono sentenze, fanno giustizia, ma non emettono alcun provvedimento. Quindi non credo che non possiamo derogare dal testo che risponde alle esigenze che la Commissione si propone, per tener conto di necessità che non sarebbero in alcun modo soddisfatte.

La Commissione insiste nel suo testo: «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. L’osservazione che ha fatto testé l’onorevole Rossi l’avevo già fatta io in precedenza, quando ho ricordato che la giuria emette un giudizio, un verdetto, non una sentenza. Ma, come già ho detto prima, ho proposto il mio emendamento per venire incontro alla preoccupazione dell’onorevole Targetti di avere un testo chiaro e preciso che non desse luogo ad equivoci. Per questa ragione la mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, io la pregherei di voler dare una risposta all’obiezione mossa dall’onorevole Scoca, il quale ha fatto presente che i magistrati, oltre ad emettere provvedimenti giurisdizionali, sono chiamati anche ad altre funzioni. È evidente che la motivazione deve richiedersi per i provvedimenti di carattere giurisdizionale e non per gli altri.

NOBILE. È giusto, aggiungiamo «giurisdizionali». (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma allora rimane il testo della Commissione: è la stessa cosa. Chi può emettere provvedimenti giurisdizionali se non è un magistrato? (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, mantiene l’emendamento?

NOBILE. Mantengo l’emendamento con l’aggiunta della parola «giurisdizionali». (Commenti).

PRESIDENTE. Osservo che il testo della Commissione è il seguente:

«Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati».

L’onorevole Nobile in realtà propone soltanto questa aggiunta: «emessi dai magistrati», e pertanto si può votare il testo della Commissione e, poi, la formulazione dell’onorevole Nobile come formulazione aggiuntiva.

BETTIOL. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Faccio una dichiarazione di voto a nome mio e di altri colleghi. Noi diciamo che voteremo il testo della Commissione perché ci sembra che sia un testo chiaro, preciso, lapidario, veramente in armonia con una fondamentale esigenza di libertà, perché noi ricordiamo come l’obbligo di motivare i provvedimenti giurisdizionali sia sorto all’epoca della ragione spiegata contro il ricordo di un’epoca fosca, rude e barbara. Noi ricordiamo come questo provvedimento sia sorto anche nel momento in cui il popolo veniva chiamato a partecipare all’amministrazione della giustizia. Noi ci ribelliamo all’idea che non debbano essere motivati in un modo o nell’altro anche quelle sentenze di un organo nel quale il popolo è stato chiamato, con quei modi che la legge stabilisce, ad amministrare la giustizia.

Noi votiamo per il testo della Commissione perché vogliamo che questa Carta costituzionale sia veramente una Magna Charta di libertà per tutti i cittadini, e l’obbligo della motivazione garantisce questa libertà. Non vogliamo che questo testo possa trasformarsi in un pozzo nero per ogni iniquità! (Applausi al centro).

TARGETTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Il nostro Gruppo, mentre ha votato a favore della soppressione di quest’articolo, non per la ragione che l’onorevole Bettiol sembra abbia voluto attribuirci, cioè non perché si fosse contrari ai concetti che esprime, perché a tali principî nessuno può essere contrario oggi, nel 1947, ma perché si riteneva che tanto questo articolo che i successivi contenessero dei principî che potrebbero essere anche considerati sacrosanti, ma non per questo avrebbero dovuto trovare posto nella Carta costituzionale. Questo diciamo, non solo a scanso di equivoci, ma per spiegare come e perché, non già contradicendoci, ma anzi in relazione a questo nostro convincimento, votiamo ora a favore di questa prima parte dell’articolo proposto dalla Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il comma nella formulazione della Commissione:

«Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati».

(È approvata).

Si tratta ora di votare l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Nobile, che è così formulato: «emessi dai magistrati».

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Vorrei raccomandare che si cerchi di dare un’altra formulazione.

Faccio una osservazione molto semplice: se si vuole esprimere un certo concetto lo si può esprimere. Si dia però in questo caso un’altra formulazione. Mi pare che, per la dignità dell’Assemblea, mettere in votazione un emendamento siffatto non abbia molto significato, perché non penso che ci sia un provvedimento giurisdizionale che sia emesso da chi non sia magistrato.

NOBILE. Dopo l’interpretazione data dal Relatore al testo della Commissione, non ho difficoltà a ritirare l’emendamento.

La dichiarazione fatta poco fa dall’onorevole Bettiol, dimostra la necessità di adoperare un testo più chiaro ed esplicito. L’onorevole Bettiol ha detto, infatti, che voterà la formula della Commissione, in quanto ritiene che essa implicitamente faccia obbligo anche alla giuria di mostrare il suo giudizio. Di qui la necessità di chiarire anche a costo di adoperare un’espressione pleonastica.

Ora, io avevo ritirato il mio emendamento per evitare un appello nominale, ma voterò l’emendamento Targetti, proponendo una lieve modificazione di forma per renderlo più chiaro. Io direi: «salvo nei casi di applicazione dell’articolo 96».

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento aggiuntivo delle parole: «salvo il disposto dell’articolo 96»?

TARGETTI. Lo mantengo.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Trasferiamo la richiesta di appello nominale dalla votazione sull’emendamento Nobile a quelli sull’emendamento dell’onorevole Targetti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Da alcuni colleghi mi viene riferito che a nome della Commissione l’onorevole Rossi avrebbe dato all’articolo proposto una interpretazione che renderebbe superflua la precauzione che noi intendevamo di prendere con questo emendamento aggiuntivo.

Confesso che, in quel momento (signor Presidente, ella sa meglio di noi che qualche volta l’Assemblea non è religiosamente silenziosa) io non devo aver prestato quell’attenzione che si dovrebbe sempre prestare, e quindi vorrei chiedere alla Commissione il tenore preciso della sua dichiarazione che equivale alla più autorevole interpretazione della norma. Ciò perché, se dovesse restare un dubbio che con l’approvazione di questa norma si venisse in qualche modo a restringere in qualsiasi misura il significato di un voto già emesso e che dovrebbe essere impegnativo anche per quei colleghi che hanno dissentito (se non si è disposti a rispettare la volontà della maggioranza è inutile parlare di democrazia!) se si volesse dare all’articolo, dicevo, questo significato di correzione di una deliberazione già presa da questa Assemblea, allora noi dovremmo insistere.

MURGIA. Questo è il significato. Bisogna avere il coraggio di dirlo!

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. L’opinione dell’onorevole Murgia è strettamente personale, o comunque è un opinione che sarà condivisa da una parte dell’Assemblea. L’opinione della Commissione è questa, e la Commissione non ha alcuna difficoltà a ripeterla solennemente: la formulazione dell’ultima parte dell’articolo 101 non intende in alcun modo vulnerare l’affermazione contenuta nell’articolo 97 della Costituzione. Sarebbe addirittura inconcepibile che da parte della Commissione vi fosse un tentativo quasi subdolo, qualunque fosse stata l’opinione di alcuni dei membri della Commissione, di introdurre di straforo, attraverso una interpretazione inopportuna, una norma che ne annulla una precedente.

TARGETTI. Dopo questa precisazione ritiro il mio emendamento.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Io e i miei amici di Gruppo non siamo d’accordo con la Commissione in questa valutazione, sicché ci sembra preferibile votare. Per la chiarezza necessaria io pregherei perciò il collega Targetti di mantenere il suo emendamento! (Commenti).

PRESIDENTE. È necessario che io risponda a quanto ha detto l’onorevole Moro. È abbastanza strano che da parte, non dico di numerosi, ma fosse anche di un solo membro dell’Assemblea si voglia, diciamolo esplicitamente, inficiare anche in piccolissima parte una decisione già presa suggerendo una nuova votazione. Che i nostri successori o i giuristi dell’avvenire si accapiglino fra loro per cercare di mettere in armonia due articoli della Costituzione che loro sembrino in contrasto, è una cosa che possiamo rammaricare, e che ci auguriamo non si verifichi. Ma è evidente che l’Assemblea, man mano che vota, vota pensando che il nuovo voto non infirmi una votazione precedente. (Applausi a sinistra).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Vi è un equivoco su questo punto. Non ho che da richiamarmi alla dichiarazione di voto che ebbi a fare qualche giorno fa a proposito dell’emendamento Coppi, il quale affermava il principio della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia, lasciando potere discrezionale alla legge per attuare il principio stabilendone le modalità e le forme.

In quella sede io dissi che a nostro parere era opportuno votare quella formulazione anziché l’altra presentata da altri colleghi, proprio per permettere alla legge (sono, credo, le parole precise che si possono riscontrare nel resoconto) di sganciare l’istituto della partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia da alcune formule tradizionali. E mi pare di aver fatto un cenno esplicito a proposito della motivazione e della rivedibilità della decisione del giudice popolare, affermando che l’istituto della partecipazione popolare poteva essere congegnato dalla legge in modo da ovviare agli inconvenienti lamentati e da corrispondere insieme alle esigenze democratiche, affermate da una parte, ed alle esigenze di libertà e di giustizia rivendicate da un’altra parte dell’Assemblea.

Ora, qui non si tratta, a nostro parere, di contrastare il voto già dato. Ammesso che il popolo partecipi direttamente all’amministrazione della giustizia, non vedo nessuna ragione per cui sia inammissibile il controllo – nella forma che la legge stabilirà – sulle decisioni dei giudici popolari.

Le forme possono essere molte, la legge le studierà. In ogni modo mi rifiuto di credere che, solo perché il popolo entra a partecipare all’amministrazione della giustizia, non possa assolutamente sbagliarsi; così come mi rifiuto di credere che sia una garanzia della libertà l’affermata infallibilità del giudice popolare. (Interruzione – Commenti). La democrazia è fondata sulla possibilità di discussione e di correzione dell’errore. (Commenti). Così da parte nostra non vi è alcun tentativo di infirmare il voto precedente. (Interruzioni). Ma chiediamo la possibilità di congegnare l’istituto della partecipazione del popolo in modo che sia richiesta una giustificazione razionale e permessa una revisione di questi deliberati.

PRESIDENTE. Desidero ripetere all’onorevole Moro una sua frase, cioè che, con la votazione dell’articolo 96, si è rimessa alla legge la determinazione del modo con cui il popolo potrà o dovrà direttamente partecipare all’amministrazione della giustizia. Pertanto mi pare non si possa ora affidare all’Assemblea Costituente quel compito che con l’articolo 96 è stato deferito alla legge.

Questa è una precisazione necessaria; e poiché, non dirò da parte dell’onorevole Murgia, ma da parte sua, onorevole Moro, si è appunto detto essere invece necessario votare adesso questo emendamento aggiuntivo per fare un primo passo verso la soluzione di quel problema che l’articolo 96 ha rinviato completamente alla legge, ritengo che convenga attenersi a quell’impegno che l’Assemblea ha già assunto con una precedente votazione.

UBERTI. Ma anche senza impegni di altro genere.

PRESIDENTE. Vi è un articolo al quale è stato presentato un emendamento aggiuntivo. Il proponente, udite le dichiarazioni della Commissione, lo ha ritirato.

Vi sarebbe una sola via di uscita: qualcuno riprenda l’emendamento per proprio conto e lo presenti; ed allora lo porremo in votazione.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Se io ho inteso bene le sue ultime dichiarazioni, cioè che si intende rinviare tutta la materia alla legge, allora mi pare che la Commissione non possa dare all’articolo ora votato la interpretazione che ha dato. Se la Commissione dichiara che la questione resta impregiudicata, tanto che, stabilendosi secondo l’articolo 96 la struttura dell’istituto della partecipazione popolare, si decida allora liberamente anche su questo punto, noi possiamo accedere. Ma se la Commissione dice che l’articolo così come è stato votato implica la esclusione preconcetta e pregiudiziale dell’istituto della partecipazione popolare dal principio della motivazione, noi dobbiamo far nostro l’emendamento Targetti.

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha detto questo: che la votazione di questo articolo non implica menomamente una modificazione del significato e del valore della votazione fatta sull’articolo 96. Più di questo non si può dire.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Per tranquillizzare l’onorevole Moro, vorrei precisare che la Commissione non può, e non deve, fare altro che ripetere quanto ha già detto: che cioè l’articolo 96 è articolo 96, che l’articolo 101 è articolo 101. Non spetta a noi interpretare un articolo con l’altro. I giuristi del futuro decideranno sul significato complesso della Costituzione, in tutti i suoi articoli.

Ma, quando si tratta di materia regolamentare – è una domanda che rivolgo sommessamente al Presidente – vorrei sapere se sia lecito, su una proposta ritirata dai proponenti, chiedere la votazione da parte di coloro che intendono votare contro.

MORO. È accaduto tante volte.

PRESIDENTE. Onorevole Moro, intende far suo l’emendamento Targetti?

MORO. Non insisto.

PRESIDENTE. L’articolo 101, pertanto, rimane approvato nella seguente formulazione:

«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale.

«Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati».

Il seguito di questa discussione rinviato alle 16.

La seduta termina alle 13.5.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Commemorazione:

Nobili Tito Oro

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Federici Maria

Musolino

Grassi

Bettiol

Perrone Capano

Targetti

Colitto

Manntroni

Adonnino

Fabbri

Leone Giovanni

Nobile

Romano

Rossi Paolo

Caccuri

Carboni Angelo

Mastino Pietro

Dominedò

Carpano Maglioli

Filippini

Monticelli

Persico

Uberti

La Rocca

Platone

Bubbio

Coppi

Moro

Interrogazioni con richiesta di urgenza (Annunzio):

Presidente

Di Fausto

Presentazione di una relazione:

Paratore

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Commemorazione.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, amorosamente assistito dai familiari e circondato dall’affetto religioso dei compagni, conchiudeva ieri l’altro in Assisi la sua travagliata giornata l’onorevole Giuseppe Sbaraglini, sindaco di quella città, già consigliere comunale di quel Comune e del Comune di Perugia. Presidente dell’ultimo Consiglio provinciale dell’Umbria e deputato per la circoscrizione dell’Umbria e della Sabina per le legislature del 1919 e del 1921, oratore fecondo e penalista insigne. Egli discendeva da illustre famiglia di Assisi, preclara per civiche benemerenze e soprattutto per aver dato insieme con un largo parentado, noto anche nel mondo letterario, cospicuo contributo di sostanze e di sacrifici alla causa della indipendenza e dell’unità d’Italia. Erede di questa tradizione generosa, quando il moto del popolo verso un avvenire più degno si trasferì dal settore politico e patriottico al settore economico e sociale, egli, giovinetto ancora, ne subì il fascino e lo seguì, prima da osservatore, fuori di ogni disciplina politica, goliardicamente, poi da simpatizzante e da assertore, affiancando il movimento dell’Internazionale dei lavoratori, e ne propugnò i principî e ne curò l’organizzazione.

E quando nel 1892 fu costituito il Partito socialista italiano, egli ne accettò il programma e fu fra i fondatori della Sezione socialista di Assisi e di quella di Perugia.

Appena si fu laureato in giurisprudenza, il suo professore di diritto penale, Francesco Innamorati, lo affidò alle cure dell’avvocato Bianchi, celebre assistista del tempo, il quale lo assunse nel proprio studio, prima come praticante e poi come sostituto. Le prime prove che egli dette di cultura, di preparazione, di eloquenza e di accorgimento ne fecero un avvocato degno di partecipare, come partecipò, a fianco dei maestri, ai più clamorosi processi che in quel periodo si celebrarono nell’Umbria e nelle Regioni vicine. In breve egli raggiunse quella rinomanza che lo fece considerare alla pari dei suoi maestri, inserendolo nella triade dei «miracolisti». Di questo suo magico potere di difensore egli fece generosamente e disinteressatamente sempre larga concessione al Partito e ai compagni in tutti i processi politici che si vennero svolgendo, finché poté attendere all’esercizio professionale. E al Partito dette l’autorità della sua voce, per la elevazione delle masse, per il loro miglioramento economico, nei comizi, nelle conferenze e in ogni altra manifestazione politica e sindacale.

La sua elevata parola fu sempre una propaganda di amore e di fratellanza fra i lavoratori e i cittadini di qualsiasi tendenza, da tradursi nella auspicata fratellanza dei popoli coll’abbattimento del «regno della guerra» e delle «barriere scellerate». Nei Consigli del Comune e della Provincia egli profuse sempre i tesori dalla sua saggezza e della sua fede; e quando infierì la più spaventosa delle reazioni, che doveva soffocare nel sangue e nella rovina del Paese l’anelito del popolo aspirante a un po’di giustizia sociale, la sua voce si levò potente in Parlamento, per segnalare la crescente sedizione dei poteri contro la legge, per denunziare coloro che avevano finanziato e organizzato il movimento dei nuovi lanzi, e per reclamarne il disarmo.

Membro della Commissione per le autorizzazioni a procedere, nel luglio 1921 fu relatore della richiesta contro il compagno onorevole professor Agostinone per offese al Re, per incitamento alla disobbedienza e alla guerra civile, e precisò il proprio pensiero sulle responsabilità della monarchia, proponendo alla Camera, che ne accolse le conclusioni, di rifiutare l’autorizzazione.

Ma il campo in cui più rifulsero il suo carattere e la sua fede, fu quello della metodica, eroica resistenza opposta alla ferocia del fascismo umbro, che fece spietatamente di lui, come di tutti i deputati socialisti della Regione, il bersaglio dei colpi più inumani e più audaci. Nessuna violenza gli fu risparmiata: dalle pubbliche manifestazioni di beffa, sotto l’occhio pure beffardo dei commissari di pubblica sicurezza, alle violenze personali, agli assalti alla abitazione, allo studio,… e quando gli furono rese insostenibili anche le condizioni della vita fisica, per non essere causa di ulteriore compromissione per alcuno, egli, generosamente, abbandonò la propria residenza e trasferì altrove l’attività professionale, svolta sempre nella probità più assoluta e nella più scrupolosa austerità della vita.

Giuseppe Sbaraglini ha avuto bensì l’incommensurabile conforto di vedere il tramonto dell’esecrato regime, ma quale tramonto! Già colpito dal male, egli si trovò fisicamente impossibilitato a partecipare al moto sollecitatore degli eventi; così che poté dire, come Virgilio di sé: Libertas sera tamen me respexit inertem. Oggi egli raggiunge lo stuolo dei compagni deputati dell’Umbria, caduti prima di lui: dall’indimenticabile Maestro, Pietro Farini, padre del nostro collega Carlo, a Francesco Ciccotti morto come lui in esilio, al professor Arsenio Brugnola, a Ferdinando Innamorati… Oggi è la volta di Sbaraglini; domani, in un imminente domani sarà la volta dell’ultimo sopravvissuto ormai stanco e carico del fardello delle più irreparabili sciagure…

Onorevoli colleghi, mentre i lavoratori dell’Umbria e della Sabina inchinano abbrunate le purpuree bandiere di fronte alla salma del fiero combattente caduto, il Gruppo Parlamentare Socialista porge ai familiari, all’Amministrazione Comunale di Assisi e alle sezioni di Assisi e di Perugia l’espressione di un cordoglio che non ha confine e la promessa che Giuseppe Sbaraglini sarà ricordato, finché sia santo il sacrificio sofferto per un’idea! (Applausi).

PRESIDENTE. Esprimo la sincera partecipazione dell’Assemblea Costituente al profondo cordoglio in occasione della morte dell’onorevole Giuseppe Sbaraglini.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

È stato presentato alla Presidenza il seguente ordine del giorno, firmato dagli onorevoli Federici Maria, Delli Castelli Filomena, Rossi Maria Maddalena, Mattei Teresa, Titomanlio Vittoria, Rapelli, Rivera, Storchi, Bellato, Cremaschi Carlo, Salvatore, Raimondi, Firrao:

«L’Assemblea Costituente, considerato che l’articolo 48 garantisce a tutti i cittadini di ambo i sessi il diritto di accedere alle cariche elettive e agli uffici pubblici, in condizione di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, afferma che per quanto riguarda l’accesso della donna alla Magistratura l’articolo 48 contiene le garanzie necessarie per la tutela di questo diritto».

FEDERICI MARIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FEDERICI MARIA. Onorevole Presidente, desidero fare una dichiarazione. Non intendo illustrare l’ordine del giorno, perché dovrei ripetere gli argomenti già esposti stamattina.

Desidero dichiarare, però, che le vicende della votazione di stamattina a proposito dell’articolo 98 e precisamente del comma aggiuntivo, respinto con votazione a scrutinio segreto, impongono una messa a punto circa gli orientamenti di tutti i settori sulla questione che riguarda l’accesso delle donne alla Magistratura.

Poiché ho ragione di ritenere che l’Assemblea abbia respinto l’emendamento aggiuntivo perché formulato in senso generico, propongo all’Assemblea di votare un ordine del giorno che è quello appunto da lei, onorevole Presidente, testé letto.

Non ho altro da dichiarare.

PRESIDENTE. Pongo in votazione questo ordine del giorno.

(È approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo 99. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I magistrati sono inamovibili.

«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, retrocessi, trasferiti o destinati ad altra sede o funzione se non col loro consenso o con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura, per i motivi e con le garanzie di difesa stabiliti dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«I magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di gradi.

«Il pubblico ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati numerosi emendamenti. il primo è dell’onorevole Romano, il quale lo ha già svolto:

«Sostituire l’articolo 99 col seguente:

«I magistrati sono inamovibili.

«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, trasferiti o destinati ad altra sede o funzione se non con il loro consenso o con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura per i motivi e con le garanzie stabilite dall’ordinamento giudiziario.

«Il pubblico ministero gode di tutte le garanzie stabilite per gli altri magistrati.

«I magistrati non possono essere privati della libertà personale se non previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto per il quale sia obbligatorio il mandato di cattura.

L’onorevole Rossi Paolo ha presentato il seguente emendamento, che ha già svolto:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«I magistrati, sia giudicanti che appartenenti al pubblico ministero, sono inamovibili.

Gli onorevoli Musolino e Gavina hanno presentato il seguente emendamento:

«Inserire fra il primo e il secondo comma il seguente:

«La inamovibilità dei magistrati non può durare oltre i cinque anni».

L’onorevole Musolino ha facoltà di svolgerlo.

MUSOLINO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Grilli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio o retrocessi se non con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura per i motivi e colle garanzie di difesa stabiliti dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

«Non possono essere trasferiti o destinati ad altra sede o funzione se non col loro consenso».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Grassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Le deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura concernenti la dispensa, la sospensione, il trasferimento e la destinazione ad altra funzione possono essere prese soltanto per i motivi e con le garanzie di difesa stabiliti dalle norme sull’ordinamento giudiziario».

Ha facoltà di svolgerlo.

GRASSI. L’emendamento all’articolo 99 da me proposto si riferisce esclusivamente all’ultimo comma, in quanto, in seguito ad un nuovo testo presentato dal Comitato che tiene presente le osservazioni fatte, così come mi è stato assicurato, io non ho ragione di insistere sulle altre parti dell’articolo 99. Rimane soltanto quella parte che fu rinviata in sede di discussione sull’articolo 97, perché si voleva, prima di fissare la competenza del Consiglio Superiore nei riguardi della Magistratura requirente, stabilire se la Magistratura requirente debba avere tutte le garanzie della Magistratura giudicante.

È questo il concetto espresso nell’ultimo comma del testo della Commissione. Ora, io non so quale sia al riguardo il pensiero della Commissione: mi è stato detto che qualche autorevole componente di essa avrebbe presentato un emendamento in un senso anche più largo di quello che non abbia fatto io. Ciò ad ogni modo vuol dire che la Commissione è divisa su questo punto, né potrebbe essere altrimenti, data la grande importanza che il problema riveste.

Secondo il mio emendamento, per quanto si riferisce ai magistrati del pubblico ministero, le garanzie sono stabilite dall’ordinamento giudiziario. Si tratta, in altri termini, di una disposizione che non pregiudica in modo definitivo le eventuali future modifiche che la legge ordinaria potrà apportare all’ordinamento giudiziario.

La Camera sa infatti che nel testo dell’ordinamento giudiziario originario era stabilito che il pubblico ministero fosse alle dipendenze del Ministro della giustizia; e l’onorevole Togliatti – quando fu Guardasigilli – modificò la disposizione nel senso che il pubblico ministero fosse semplicemente sotto la vigilanza del Ministero della giustizia. Si era così, in tal modo, trovata certamente la formula migliore per rendere possibile il raccordo tra potere giudiziario e potere esecutivo. Inutile infatti che io ricordi a voi che, anche se il pubblico ministero ha dei rapporti con l’autorità giudiziaria, tuttavia le sue preminenti funzioni sono di esecuzione. Il pubblico ministero è quello che promuove l’azione penale, è quello che perseguisce l’azione penale con l’istruttoria, anche con mezzi di polizia, e rappresenta sempre la difesa dello Stato, la difesa della società nel procedimento penale.

Ma non soltanto nel processo penale: anche nel processo civile il pubblico ministero interviene nell’interesse dello Stato e nell’interesse della società, in tutti quei processi in cui questo interesse può essere in gioco e può essere anche prevalente: così, per i giudizi di stato, i giudizi di patrimonio, i giudizi di interdizione, i giudizi in cui, diciamo così, tutto lo stato civile della persona può essere in gioco e in discussione. In questi giudizi è indispensabile l’intervento del pubblico ministero, il quale non interviene come magistrato giudicante, ma interviene come parte in difesa della società e della legge.

Il pubblico ministero interviene in tanti altri casi: in tutti i giudizi di delibazione; interviene in tutte le materie di processo civile in cui è prevalente questo interesse pubblico. E allora non è possibile, con questa vigilanza che il pubblico ministero esercita, anche attraverso la Direzione generale del Ministero responsabile, che esso possa essere trattato alla stessa stregua del giudicante. La legge francese espressamente dice che quelle garanzie, inamovibilità, ecc., sono date soltanto per i magistrati au siege, ossia giudicanti, ma non per quelli che rappresentano il pubblico ministero.

Ora, in conformità a questi principî, i quali sono effettivamente inderogabili – perché, oltre quello che riguarda il processo penale e il processo civile, il pubblico ministero interviene in tutte le altre attività attinenti all’esecuzione, come in tutto il sistema carcerario, come nella vigilanza su tutta l’amministrazione della giustizia nel nome dello Stato – non è possibile che il pubblico ministero non abbia rapporti con le autorità del potere esecutivo.

La formula oggi adottata dalla legge delle guarentigie, ossia che il pubblico ministero è sotto la vigilanza del Ministro della giustizia e che i trasferimenti di sede e i provvedimenti per le attribuzioni di funzioni devono essere fatti, sentito il parere del Consiglio Superiore, il cui parere non è peraltro vincolante, in modo che il Ministro è libero di disporre per i magistrati del pubblico ministero, è una disposizione ch’io ritengo fondamentale per un ordinamento, il quale non vuole staccare completamente la Magistratura dal potere esecutivo, formandone un’entità a sé, da quello completamente avulsa.

D’altra parte, se noi abbiamo stabilito il principio che l’organizzazione e il funzionamento della giustizia dipendono dal Ministro della giustizia, che ne è responsabile di fronte al Parlamento, vorrei sapere di quale responsabilità egli potrebbe essere caricato, se nessuna possibilità di controllo e di vigilanza gli verrà affidata in merito all’ordinamento della giustizia.

Per queste considerazioni, affido all’Assemblea l’importanza di questo emendamento, dal quale può dipendere il funzionamento della giustizia in Italia. Io non credo che alcuno possa preoccuparsi di questa pretesa invadenza del potere esecutivo nel campo giudiziario.

Anche recentemente qualche mio predecessore si è trovato nella necessità di dover prendere dei provvedimenti nei riguardi di funzionari del pubblico ministero; ma di fronte al parere del Consiglio Superiore, pur non essendo questo vincolante, si è fermato, per rispetto della volontà del Consiglio stesso. Questo prova che effettivamente non si abuserà mai di questo potere che il Ministro ha, in quanto che, specialmente in un regime democratico, ogni attività del potere esecutivo è controllata, non solo dalla pubblica opinione, ma anche dal Parlamento, di fronte al quale il Ministro è responsabile. (Approvazioni).

PRESIDENTE. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:

«Al secondo comma sopprimere la parola: retrocessi».

«Monticelli».

«Al secondo comma, sopprimere la parola: retrocessi».

«Colitto».

«Al secondo comma, sopprimere la parola: retrocessi».

«Persico».

«Al secondo comma, sopprimere la parola: retrocessi».

«Castiglia».

«Al secondo comma, sopprimere la parola: retrocessi, e aggiungere: Salvo il caso di flagrante delitto, per cui sia obbligatorio il mandato di cattura, non possono essere privati della libertà personale, se non previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura».

«Caccuri».

«Dopo il secondo comma, aggiungere:

«Non possono essere privati della libertà personale, se non previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto, per cui sia obbligatorio il mandato di cattura».

«Colitto».

«Aggiungere al secondo comma, il periodo seguente:

«Non possono essere privati della libertà personale, se non previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto per cui sia obbligatorio il mandato di cattura».

«Castiglia».

«Sopprimere l’ultimo comma».

«Rossi Paolo».

L’onorevole Bettiol ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere l’ultimo comma».

Ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Ho proposto la soppressione dell’ultimo comma perché non ritengo opportuno che in sede di Costituzione si adotti un principio su cui la dottrina è tanto profondamente divisa. Le funzioni del pubblico ministero non devono essere incapsulate accanto a quelle del giudice, ma devono essere tenute distinte. È proprio dei regimi totalitari il concetto di voler considerare il pubblico ministero come un organo della giustizia, mentre in tutti i regimi liberali esso è considerato come un organo del potere esecutivo.

Quindi insisto su questa proposta di soppressione dell’ultimo comma dell’articolo quale risulta nel progetto di Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Grassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere l’ultimo comma».

Ha facoltà di svolgerlo.

GRASSI. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Sono stati svolti i seguenti emendamenti:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«Il pubblico ministero è organo del potere esecutivo.

«Un particolare corpo di polizia giudiziaria è posto alla sua esclusiva dipendenza».

«Subordinatamente, sopprimere il comma».

«Leone Giovanni».

«All’ultimo comma, alle parole: dei magistrati, sostituire le parole: degli altri magistrati».

«Caccuri».

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«I magistrati non possono essere arrestati o altrimenti privati della libertà personale, se non previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto per il quale sia obbligatorio il mandato di cattura».

«Carboni Angelo, Lussu, Fietta».

L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«I magistrati addetti al pubblico ministero godono di tutte le garanzie degli altri».

Non essendo l’onorevole Costa presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Perrone Capano:

«Aggiungere il seguente comma:

«I magistrati non possono essere privati della libertà personale senza la previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto per il quale sia obbligatorio il mancato di cattura».

L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Questo emendamento mi sembra che opportunatamente integri l’affermazione di indipendenza della Magistratura, in quanto pone il magistrato sullo stesso piano dei deputati nel campo della libertà personale. Il che è apprezzabile, a mio avviso, ed è giusto, in quanto i magistrati, oltre a costituire un ordine superiore al quale abbiamo appunto riconosciuto un assai ampio prestigio con le decisioni di ieri, sono in fondo coloro che dovranno interpretare ed applicare le leggi che il Parlamento avrà deliberato.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi hanno presentato il seguente nuovo testo dell’articolo 99, accettato dal Comitato di redazione:

«I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né trasferiti ad altra sede od ufficio, se non dal Consiglio Superiore della Magistratura, in base al loro consenso od a deliberazione del Consiglio per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario.

«Il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare.

«I magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di grado.».

Vi sono ora emendamenti presentati nel corso della seduta antimeridiana o all’inizio di questa seduta. Ne do lettura.

L’onorevole Targetti propone anch’egli la soppressione dell’ultimo comma. Egli sottopone poi all’approvazione dell’Assemblea il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente ritiene che, fino a quando non sia meglio definita la natura delle funzioni e quindi la figura del pubblico ministero, debbano essere integralmente mantenute le garanzie che per il pubblico ministero stabilisce la legge 31 maggio 1946.

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere questo suo ordine del giorno.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, nella Sottocommissione che elaborò il Titolo della Magistratura, quando fu approvato l’ultimo comma dell’articolo in esame, io ebbi a dichiarare che facevo le mie riserve in considerazione del mio convincimento che la posizione del pubblico ministero si può o no equiparare, per ciò che riguarda le garanzie di cui gode di fronte al potere esecutivo, a quelle dei magistrati e dei giudici, solo quando sia stata ben definita la figura che il pubblico ministero ha nel nostro sistema procedurale.

L’Assemblea m’insegna che, in conseguenza della promiscuità delle funzioni che al pubblico ministero sono attribuite, la sua figura non ha oggi contorni precisi.

I precedenti legislativi che si possono richiamare confermano quest’incertezza della sua posizione nell’ordinamento giudiziario.

Basta ricordare che con la legge antica del 1865 i magistrati del pubblico ministero costituivano un ruolo a sé, distinto da quello degli altri magistrati. Poi venne l’unificazione del ruolo, poi venne la formula del testo unico del 1923 ricordato dall’onorevole Grassi, per la quale il pubblico ministero era alle dipendenze del Ministro; ed infine, la disposizione molto più liberale dell’onorevole Togliatti, che è consacrata nel testo vigente dell’ordinamento giudiziario, per la quale il pubblico ministero è sotto la sorveglianza del Ministro e gli viene accordata una seria garanzia di indipendenza dal potere esecutivo, se pure non identica a quella assicurata ai magistrati della giudicante.

L’Assemblea m’insegna che le funzioni del pubblico ministero, così come sono fissate nella procedura vigente, si può dire che siano di carattere misto. Se il pubblico ministero non avesse funzioni giurisdizionali, allora potremmo anche convenire che il pubblico ministero esercita una funzione che molto lo avvicina al potere esecutivo, col quale deve di conseguenza sentirsi, in qualche modo, legato.

Ma quando, come è oggi, il pubblico ministero ha anche dei veri e propri poteri di giurisdizione, quando può decidere di un arresto emettendo un ordine di cattura (si dice ordine e non mandato, ma è perfettamente identico essere arrestati con un ordine o con un mandato); quando – dicevo – si attribuisce al pubblico ministero facoltà di concedere la libertà provvisoria, facoltà di rinviare al giudizio, chiunque comprende che questo magistrato esercita molte delle funzioni che lo parificano, in questo, al magistrato della giudicante. Funzioni che devono portare ciascuno di noi a riconoscere la necessità di garantirne il più possibile l’indipendenza dal potere esecutivo. Ma al tempo stesso, anzi prima di stabilire norme tassative in questo punto, occorre definire la figura di quest’importantissimo magistrato.

In questo senso ho proposto in sede di Commissione e torno a proporre oggi l’abolizione dell’ultimo comma dell’articolo 99, il quale comma dà per risoluta una questione che è ancora da risolvere.

Quando io propongo di togliere: «Il pubblico ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati» non intendo in nessun modo auspicare – mi piace ripeterlo – che il pubblico ministero non goda il massimo possibile di garanzie, ma mi rifiuto ad una equiparazione che, stando le cose come stanno, non mi sembra giustificata.

Questa affermazione precisa ed impegnativa (perché è di carattere costituzionale) sopra l’equiparazione, ai fini delle garanzie, del pubblico ministero con i magistrati giudicanti, non tiene conto di una necessità che dovrebbe essere da tutti riconosciuta, cioè della urgenza – e se non della urgenza, della necessità – di rivedere le norme della nostra procedura. Sarà questa una funzione delle norme di procedura che definiranno la vera figura del pubblico ministero, risolvendo la questione cui alludeva con grande competenza l’onorevole Bettiol, questione che si dibatte nella dottrina; e bisogna riconoscere che nella dottrina una opinione prevalente è quella che il pubblico ministero è magistrato, nel senso di giudice, più che un esecutore di ordini del potere esecutivo. Ma finché questa questione non sarà decisa, a me sembra che non sia da pregiudicare la posizione del pubblico ministero nei riguardi delle garanzie.

E perché non si sospetti che la soppressione di questo comma voglia significare un minore amore alla indipendenza del magistrato, anche dell’inquirente, io propongo – come il Presidente ha ricordato – l’approvazione di un ordine del giorno che metta bene in chiaro che, finché questa definizione definitiva della figura del pubblico ministero non si avrà attraverso le norme di procedura e le disposizioni della legge, restino in vita integralmente (e mi piace insistere sull’avverbio integralmente) tutte le garanzie che al pubblico ministero attribuisce la vigente legge sull’ordinamento giudiziario.

Mi sono permesso di dilungarmi un po’ troppo nell’esposizione delle ragioni che spiegano il mio emendamento, per timore che gli venisse data una interpretazione che si allontani dal concetto e dal proposito a cui è inspirato.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Dichiaro di aderire al primo comma del nuovo testo presentato dagli onorevoli Conti, Perassi e Leone Giovanni, riservandomi libertà di giudizio per gli altri due commi.

PRESIDENTE. Sta bene.

Gli onorevoli Mannironi, Caccuri, Guerrieri Filippo, Quintieri Adolfo, Romano, Benvenuti, Ferreri, Carboni Enrico, Ponti e Cappi, hanno presentato i seguenti emendamenti al testo formulato dagli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi:

«Al secondo comma, alle parole: od ufficio, sostituire: né destinati ad altre funzioni».

«Nello stesso comma, alla parola: stabilite, sostituire: stabiliti».

L’onorevole Mannironi ha facoltà di svolgerli.

MANNIRONI. Vorrei che i presentatori dell’emendamento, Conti, Leone Giovanni, Perassi, aderissero alla mia proposta e mi dispensassero dall’illustrare quella che è l’evidente necessità di sostituire a quella generica frase: «dispensati o sospesi dal servizio, né trasferiti ad altra sede od ufficio» la seguente: «destinati ad altre funzioni», che precisa meglio quale sia il compito riservato al Consiglio Superiore della Magistratura nel regolare il problema.

PRESIDENTE. L’onorevole Adonnino ha proposto, insieme con gli onorevoli Mortati, Uberti, Nicotra Maria, Salvatore, Gotelli Angela, Conci Elisabetta, Dominedò, Federici Maria, Giordani e De Unterrichter Jervolino Maria, il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei cittadini idonei che siano chiamati a far parte delle sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari».

L’onorevole Adonnino ha facoltà di svolgere l’emendamento.

ADONNINO. Io mi sono preoccupato, onorevoli colleghi, di queste sezioni speciali che noi aggiungiamo alla Magistratura ordinaria.

Col passo fatto in avanti dalla Commissione, in sostanza, siamo venuti a creare la Magistratura ordinaria con le sezioni specializzate e così le giurisdizioni speciali sono eliminate; non se ne potranno creare più. Quelle che ci sono dovranno essere eliminate. Si mantengono soltanto, come sapete, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e la giurisdizione militare. Per il Consiglio di Stato e la Corte dei conti e per la giurisdizione militare ci siamo preoccupati di fare in modo che queste giurisdizioni speciali abbiano le garanzie necessarie di indipendenza. Ma allora io mi sono preoccupato anche dei cittadini esterni, esperti, che vengono a far parte dei collegi giudiziari della Magistratura ordinaria. Avremo dei collegi composti da magistrati ordinari e da cittadini esperti. Per di più: non è detto in che proporzione gli uni e gli altri saranno; perciò c’è anche da prevedere la possibilità che i cittadini esperti saranno in maggioranza rispetto ai magistrati togati. Io mi preoccupo sempre della giurisdizione tributaria, della materia fiscale e ricordo che nella materia fiscale vi sono le commissioni distrettuali che sono in ogni piccolo paese, piccolo paese in cui di magistrati non vi è altro che il pretore. Dunque volendo formare delle sezioni speciali fiscali si verrà alla conclusione che il pretore sarà in minoranza rispetto ai commissari. Ed allora è di importanza somma il problema. Questi commissari chi li designerà? Questi commissari, questi cittadini idonei, questi esperti, che garanzia di indipendenza avranno? Perché se garanzia di indipendenza non ne avessero nessuna, allora noi avremmo fatto entrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta, cioè non avremmo più la garanzia di questi collegi speciali, malgrado essi facciano parte della Magistratura ordinaria.

Mi si potrà dire che è difficile creare queste condizioni di vera indipendenza, poiché questi cittadini esperti non sono di carriera, ma saranno scelti, così, fra i cittadini comuni. Io però posso rispondere che una garanzia fondamentale, per lo meno, è possibile; cioè che il legislatore futuro potrà dare la garanzia fondamentale di farli designare non dal potere esecutivo, non dal Governo, ma di farli designare dal Consiglio Superiore della Magistratura, a mo’ di esempio, per dimostrare che qualche garanzia di indipendenza è possibile che il legislatore ordinario dia anche ad essi. Appunto perciò mi sono permesso di sottoporre a voi questo punto, che cioè, in sostanza, questi magistrati speciali siano indipendenti e che anche essi abbiano le garanzie di assoluta indipendenza.

Ho posto qui questo emendamento perché in questo articolo 99 mi pare che vi siano delle disposizioni relative alla indipendenza dei magistrati. È opportuno poi forse che questo mio emendamento sia armonizzato e conglobato con le altre disposizioni che garantiscono l’indipendenza delle altre magistrature speciali. In questo senso e per queste ragioni io ho proposto il mio emendamento.

FABBRI. Chiedo di parlare perché desidererei un chiarimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

FABBRI. L’emendamento dell’onorevole Adonnino mi pare faccia una certa confusione fra le giurisdizioni amministrative, quali per esempio appunto le commissioni fiscali cui egli si è esplicitamente riferito, e le sezioni speciali della Magistratura ordinaria. Io non penso che la Costituente abbia deliberato di sopprimere proprio tutte le infinite commissioni e giurisdizioni amministrative che non fanno parte della Magistratura ordinaria. Quindi egli prospetta una ipotesi che in gran parte non risponde alla realtà delle nostre deliberazioni.

PRESIDENTE. Forse l’onorevole Adonnino, nello svolgimento del suo emendamento, ha allargato il suo concetto. Infatti il testo dell’emendamento proposto riguarda solo «le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei cittadini idonei che sono chiamati a far parte delle sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari».

Rimane ancora da svolgere l’ultimo emendamento presentato dagli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi.

Ha facoltà di parlare, a nome della Commissione, l’onorevole Leone Giovanni per esprimere il pensiero della Commissione sugli emendamenti presentati e per illustrare il nuovo testo dell’articolo 99, accettato dal Comitato di redazione.

LEONE GIOVANNI. Onorevoli colleghi, a nome della Commissione risponderò brevemente agli emendamenti che sono stati presentati. Nella medesima sede, per non abusare del vostro tempo, mi occuperò dell’emendamento Conti-Perassi, al quale ho avuto l’onore di apporre la mia firma. Io constato che su molti dei punti disciplinati nell’articolo 99 vi è accordo in tutti i settori; e l’accordo principalmente verte sul principio di riconsacrare nelle garanzie costituzionali l’inamovibilità del giudice che noi abbiamo anche articolato nei confronti dei vari movimenti che può subire la carriera del magistrato. Preferisco pertanto, ai fini del tempo, occuparmi degli emendamenti sui quali la Commissione esprime dissenso o qualche riserva.

Il primo emendamento è quello dell’onorevole Perrone Capano per quanto concerne l’immunità, da fissare in sede costituzionale, dei magistrati. Qui io non prospetto il mio punto di vista personale, per il quale rimando al mio discorso pronunciato il 14 dinanzi a questa Assemblea. Ma, a nome della Commissione, dichiaro che essa è contraria alla consacrazione in sede costituzionale di questo principio che, così come è formulato, sembra non opportuno fissare in questo momento. Noi riteniamo d’altra parte, però, che occorre stabilire in sede propria (e vedremo da qui ad un istante la sede più idonea) le particolari garanzie circa la possibilità di arresto o fermo del giudice, garanzie tali da assicurare e potenziare la sua indipendenza. Ora, queste garanzie potrebbero essere sufficientemente disciplinate in quel settore della legislazione comune o della legislazione procedurale penale e amministrativa che stabilisce particolari condizioni di procedibilità nei confronti di taluni funzionari dello Stato durante l’esercizio delle loro funzioni. Mi riferisco in particolare agli agenti della forza pubblica per i reati commessi in servizio, o al sindaco durante l’esercizio delle proprie funzioni.

Ora, una norma di questa struttura, di tale genere, congegnata in modo da stabilire alcune garanzie per l’indipendenza del giudice – senza assurgere ad una immunità personale vera e propria, per la quale esistono solo pochissimi casi, – ci sembra che sia la soluzione migliore del problema. Sicché la Commissione si fa interprete del vostro sentimento a questo riguardo, nel segnalare al legislatore di domani questa esigenza, rispondente alla necessità di formulare una norma opportuna.

Per quanto concerne l’emendamento Grassi, l’ultimo emendamento al quale ho avuto l’onore di apporre anche la mia firma dopo quella dell’onorevole Grassi, la Commissione esprime il parere di accettare questo emendamento. Io personalmente avrei un altro punto di vista, ma ritiro quel mio emendamento, anzi mi pare che si salvi il mio punto di vista personale in perfetta coerenza con quello dell’onorevole Grassi, che è condiviso anche dalla Commissione. In altri termini io sostenevo che il pubblico ministero dovesse essere ritenuto organo del potere esecutivo; ma lo condizionavo ad una revisione totale di tutto l’ordinamento giuridico e giudiziario italiano. Nella struttura attuale del pubblico ministero, in considerazione delle funzioni attuali del pubblico ministero, stabilire nella Carta costituzionale che è un organo del potere esecutivo, significa una cosa fuori luogo. Sono d’accordo con la Commissione e con l’onorevole Targetti nella dichiarazione che fino a quando esiste questa struttura, questo sistema di diritto sostantivo e processuale civile e penale, è opportuno che restino quelle parziali garanzie che la legge Togliatti ha conquistato al pubblico ministero. Quindi, non tornare indietro nei confronti della legge 31 maggio 1946, fino a quando dura l’attuale sistema giudiziario, nel quale si inserisce il pubblico ministero oggi. Domani, in una integrale riforma di tutto il complesso giudiziario, il legislatore sarà costretto a rivedere le funzioni del pubblico ministero: se deve conservare l’attuale natura anfibia, nella quale le funzioni giurisdizionali sono prevalenti nei confronti delle amministrative, o assegnargli funzioni esclusivamente amministrative ed esecutive. Ricorderò che nel Congresso giuridico forense di Firenze, il professor Delitala accennò all’idea di organizzare il processo penale sul tipo anglosassone, nel quale il pubblico ministero appare come organo di polizia, come l’organo che raccoglie le prime prove. Ora, queste diverse prospettive, che si presentano dinanzi a noi e sulle quali non possiamo fermarci neppure per delibarle, ma che saranno oggetto di una vasta riforma, ci dicono che allo stato attuale non possiamo togliere al pubblico ministero le garanzie conquistate, perché, avendo funzioni sia amministrative che giurisdizionali, non può essere organo del potere esecutivo. Non può essere considerato organo giurisdizionale – e quindi come tale accompagnato da tutte le garanzie del giudice – perché ha punti di contatto con il potere esecutivo. Deve perciò conservare quel parziale complesso di garanzie che egli ha conquistato con la legge 31 maggio 1946; donde quindi l’esattezza della formula proposta dall’onorevole Grassi alla quale, rinunciando al mio emendamento soppressivo, ho aderito anche io e spero che così faccia pure l’onorevole Bettiol.

Mi sono permesso di suggerire all’Assemblea di rimandare alla legge sull’ordinamento giudiziario lo stabilire quali saranno le garanzie del pubblico ministero; e poiché la legge sull’ordinamento giudiziario dovrà essere congegnata in perfetta armonia con la riforma del Codice civile, con la riforma del processo penale ed eventualmente con la riforma del processo civile, quella sarà la sede più opportuna perché, premessa la determinazione delle funzioni future del pubblico ministero, si possa stabilire se aumentare le garanzie o abolirle o ricorrere ad un sistema intermedio.

Per quanto riguarda l’emendamento Mannironi, che chiede che nel fissare l’inamovibilità del giudice si preveda anche il divieto di assegnarlo ad altre funzioni, la Commissione accetta questo emendamento, perché ritiene che sia una chiarificazione di quello che era nella formula della legge abbastanza sufficientemente espresso. Cioè, inamovibilità non soltanto sotto l’aspetto, topografico ma anche sotto l’aspetto funzionale.

Per quanto concerne l’emendamento Adonnino, la Commissione è d’accordo con l’onorevole Adonnino, che occorre indubbiamente formulare una norma. Difficile è formularla, ma occorre. Occorre che si stabiliscano garanzie nei confronti dei membri estranei all’ordine giudiziario. Ora è chiaro che non possiamo chiedere, per gli elementi estranei alla Magistratura, le stesse garanzie dei magistrati, perché quando la legge sente il bisogno di affidare talune funzioni giudiziarie ad elementi estranei, vuol dire che sente la necessità di affidarsi ad elementi che portino quella duttilità e quel minor senso di attaccamento alla stretta formula giuridica che non si può chiedere ai magistrati. Donde l’impossibilità di accompagnarli con tutte le garanzie del magistrato. E, d’altra parte, bisogna mettere in condizioni la società di vedere in costoro i propri giudici, cittadini che, non tanto per l’aspetto della idoneità quanto per l’aspetto della indipendenza morale, la quale si può articolare nelle forme più diverse, possano assicurare la convinzione che questi giudici, tolti dalla società ed immessi negli ordini giudiziari, possano portare il massimo di serenità e di imparzialità.

Accettiamo il principio informatore della formula proposta dall’onorevole Adonnino, con l’intesa che dovrà essere coordinato con le altre norme analoghe, predisposte in altra sede.

Richiamo l’articolo che noi votammo a proposito del Consiglio di Stato e della Corte dei conti: la legge assicura e garantisce le condizioni per l’indipendenza di tali organi nei confronti del Governo.

Con una formula più recente, a proposito dei tribunali militari, volevamo dire lo stesso: che non si può richiedere per la giustizia militare il complesso di garanzie che si richiedono per la giustizia ordinaria; ma occorre stabilire che questo corpo della giustizia militare possa essere garantito nella sua indipendenza funzionale, nei confronti del potere esecutivo, e specificatamente nei confronti del Ministero della difesa.

Questa ulteriore formula proposta dall’onorevole Adonnino sarà congegnata insieme alle altre due, in modo che ne esca una formula unitaria, la quale esprima, sia pure con sfumature di diverse gradualità, questa esigenza che è nell’animo di tutti: affidarsi per talune particolari funzioni giurisdizionali anche ad elementi estranei, ma richiedendo garanzie di serenità e di imparzialità.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Desidero un chiarimento. L’ultimo comma del nuovo testo Conti stabilisce che i magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di grado.

Ora, ad un profano come me, sembrerebbe che questo significhi che per i magistrati non debbano esservi i gradi come per gli altri funzionari dello Stato. È esatta questa mia interpretazione?

PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di rispondere per la Commissione.

LEONE GIOVANNI. Questa formula esprime questa nostra opinione: che, essendosi creato l’ordine giudiziario, nel seno di questo ordine occorre una gerarchia di funzioni. Così la Corte di cassazione è la competenza più alta rispetto agli organi inferiori di merito; ma in questa gerarchia non devono giocare i gradi come per gli impiegati dello Stato. Non occorre per la Magistratura mantenere quella diversità di gradi che, se non erro, è dovuta al fascismo, cioè la equiparazione ai gradi militari. Occorre cominciare a sgretolare questo sistema di equiparazione, di gradi. Occorre sovrattutto esprimere questo desiderio e questa aspirazione: che in seno alla Magistratura non si discuta di gerarchia di gradi (non ci sia un grado IX; inferiore all’VIII, rispetto al quale deve mantenere un particolare contegno di obbedienza e di subordinazione), ma che ci siano diversità di funzioni, cioè di attribuzioni di organi, che possono essere maggiori o minori, ma esprimono maggiore o minore ampiezza di giurisdizione, non di grado.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori degli emendamenti se, dopo le considerazioni fatte dall’onorevole Leone Giovanni a nome della Commissione, li mantengono.

Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento.

ROMANO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi Paolo?

ROSSI PAOLO. Rinunzio ai miei emendamenti, aderendo a quelli dell’onorevole Grassi.

PRESIDENTE. Non essendo l’onorevole Grilli presente, il suo emendamento s’intende decaduto.

L’emendamento dell’onorevole Grassi è stato accettato dalla Commissione.

Gli emendamenti degli onorevoli Monticelli, Colitto, Persico e Castiglia relativi alla soppressione al secondo comma della parola «retrocessi», sono stati accettati dalla Commissione.

Onorevole Caccuri, mantiene i suoi emendamenti?

CACCURI. Per quanto riguarda la proposta di soppressione della parola: «retrocessi», essa è stata accolta dalla Commissione. Mi rimetto alla formula dell’onorevole Targetti, per quanto concerne i magistrati del pubblico ministero.

Rinunzio, poi, al mio emendamento aggiuntivo.

PRESIDENTE. Poiché gli onorevoli Colitto, Castiglia e Costa non sono presenti, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Bettiol, mantiene l’emendamento?

BETTIOL. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Carboni mantiene il suo?

CARBONI ANGELO. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Leone non vi insisto.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Perrone Capano?

PERRONE CAPANO. Non insisto.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Mannironi?

MANNIRONI. Il mio testo è stato per una parte accettato dalla Commissione; per l’altra parte lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, insiste nel suo ordine del giorno?

TARGETTI. Lo mantengo.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Tenendo conto delle osservazioni formulate in Assemblea, poiché, per quanto a mio avviso erroneamente, potrebbe dubitarsi del vero significato delle parole: «e non di gradi» e poiché intendo esprimere, come ho detto testé, che c’è una gerarchia nella Magistratura, ma si tratta di una gerarchia di funzioni giurisdizionali, senza peraltro rinnegare quel minimo d’interna gerarchia amministrativa che è indispensabile in seno a ciascun collegio, la Commissione ritiene di poter sopprimere le ultime parole: «e non di gradi». Di modo che la formulazione del comma verrebbe ad essere la seguente: «i magistrati si distinguono soltanto per diversità delle funzioni». (Approvazioni).

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Avevo presentato un emendamento relativo all’arresto dei magistrati da limitare ai casi di flagranza di delitto, ed alla possibilità di inserire questa disposizione in un articolo 100-bis ma siccome questo argomento è stato già discusso, dichiaro di ritirare il mio articolo aggiuntivo, anche perché l’onorevole Leone Giovanni ha detto che l’argomento sarà esaminato in sede legislativa.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del testo degli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi, accettato dalla Commissione.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Sarebbe meglio, a mio parere, votare sul testo originario della Commissione.

Infatti c’è una differenza, che in un primo tempo non avevo notato, fra l’uno e l’altro testo.

PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni ha detto che la Commissione accetta che si voti su questo nuovo testo.

GRASSI. Io avevo accettato il testo della Commissione ed avevo presentato un emendamento all’articolo 97, che poi fu rimandato in questa sede; ossia, in merito al trasferimento su domanda del magistrato. Il quesito è se sia sempre necessario il parere deliberante del Consiglio Superiore della Magistratura. Secondo il testo originario, non ve ne era bisogno e i trasferimenti si potevano fare, o su domanda, o senza domanda, da parte del Consiglio Superiore che assicurava le garanzie necessarie. Invece, nel nuovo testo della Commissione si dice che i magistrati «non possono essere trasferiti ad altra sede o ufficio», mentre sarebbe stato meglio dire «ad altra sede o funzione».

LEONE GIOVANNI. Ma abbiamo accettato questa formulazione.

PRESIDENTE. Onorevole Grassi, c’è un emendamento accettato dalla Commissione a tenore del quale, invece di dire «o ufficio», si dice «né destinati ad altre funzioni».

GRASSI. E questo era un punto importante. Poi ve ne è un altro sostanziale. Dice il testo: «se non dal Consiglio Superiore della Magistratura, in base al loro consenso»; sicché la Commissione ritiene che anche quando vi sia il consenso da parte del magistrato, sia sempre necessario domandare il parere del Consiglio Superiore. Questa può essere una tesi, ma può essere anche una tesi superflua, nel senso che questo non fa che creare impaccio a quelle numerose proposte di trasferimento che vengono su domanda, per cui io non capisco la necessità di sentire il parere del Consiglio Superiore.

L’onorevole Presidente della Commissione ha detto che è sempre bene che i trasferimenti siano fatti sotto la direzione del Consiglio Superiore, perché vi potrebbero essere domande di due o più magistrati per la stessa sede. Può esser vero questo, ma normalmente assicuro che una delle preoccupazioni continue, giornaliere per le necessità di servizio, è quella di poter adibire i funzionari magistrati in sedi meno ambite e meno richieste. E se specialmente in questo caso capita una domanda da parte di un magistrato non credo che vi sia la necessità di dover ricorrere al parere del Consiglio Superiore.

Io ho esposto il mio punto di vista. La Commissione dirà se mantiene o no la sua formula. PRESIDENTE. Onorevole Grassi, vi è l’emendamento Romano il quale appunto, fra l’altro, offre all’Assemblea una decisione in ordine alla questione che lei ha posto. La Commissione ha esaminato tutti gli emendamenti ed è venuta alla determinazione di proporre un’altra formula. Io la sottoporrò all’Assemblea per la decisione, ma ritengo che allo stato dei fatti sia inutile chiarire ancora un punto che è stato sufficientemente chiarito. Ma se l’onorevole Leone Giovanni lo ritiene necessario, lo autorizzo ancora a parlare.

LEONE GIOVANNI. Faccio osservare all’onorevole Grassi che stamani mi sono già occupato di questo problema e che la Commissione ha espresso quel parere che adesso rinnova mediante la mia modesta persona, che cioè non si possa accettare nessun altro emendamento di questo genere. E ciò per due ragioni: una di carattere strutturale ed una di carattere sostanziale. Di carattere strutturale: perché, avendo noi congegnato il Consiglio Superiore come l’organo di governo della carriera del magistrato (che incomincia con le assunzioni, salvo a vedere se il decreto lo firma il Ministro o il Capo dello Stato, e finisce col collocamento a riposo), costituirebbe una rottura dell’armonia di questo governo del Consiglio Superiore il volere sottrarre al Consiglio Superiore stesso la facoltà di provvedere al trasferimento su domanda.

Di carattere sostanziale: perché sembra alla Commissione che sia questa la materia in cui possano intervenire interferenze di carattere politico. Per un primo aspetto, infatti, vi può essere una pluralità di domande inerenti alla stessa sede e toccherà all’organo competente di prescegliere. Cosicché assegnare al Ministro il potere di scegliere tra le diverse domande, significa restituire al Ministro quella possibilità di discrezionalità che noi abbiamo voluto togliere al Ministro e dare ad un organo apposito. Inoltre, occorre, anche se esiste una sola domanda, un giudizio di opportunità per quella determinata sede, dato in base alla idoneità del magistrato che vi aspira; occorre cioè anche che l’organo che deve trasferire ritenga che quel magistrato per i suoi precedenti di carriera, ecc., possa ricoprire quella determinata funzione in quella determinata sede.

Ora, questo giudizio di merito che noi vogliamo dare al Consiglio Superiore, può essere un giudizio suscettibile di carattere personale, politico ecc. La questione era quindi quella di sottrarre o meno la carriera del magistrato alla influenza del potere esecutivo. E perciò, la Commissione ritiene di non accettare l’emendamento proposto e prega l’Assemblea di votare sulla formula della Commissione stessa.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 99.

Pongo in votazione il primo periodo del primo comma così formulato:

«I magistrati sono inamovibili».

(È approvato).

Passiamo al secondo periodo del primo comma:

«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né trasferiti ad altra sede, né destinati ad a tre funzioni se non dal Consiglio Superiore della Magistratura in base al loro consenso o a deliberazione del Consiglio, per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario».

L’onorevole Romano ha proposto il seguente emendamento:

«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, trasferiti o destinati ad altra sede o funzioni se non con il loro consenso o con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura».

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro che noi voteremo per il testo della Commissione, e quindi contro l’emendamento, cioè facendo capo al concetto per cui il provvedimento deve sempre promanare dal Consiglio Superiore della Magistratura.

PRESIDENTE. Pongo in votazione allora, la parte introduttiva di questo periodo, che è comune al testo della Commissione ed all’emendamento dell’onorevole Romano. La formulazione è la seguente:

«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né trasferiti ad altra sede, né destinati ad altre funzioni».

(È approvato).

Pongo in votazione la formulazione dell’onorevole Romano, nella parte che modifica il testo della Commissione:

«se non con il loro consenso o con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura».

(Non è approvata).

Pongo in votazione la formulazione della Commissione:

«se non dal Consiglio Superiore della Magistratura, in base al loro consenso od a deliberazione del Consiglio per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario».

(È approvata).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo della Commissione:

«Il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare».

(È approvato).

Pongo in votazione l’ultimo comma nel testo della Commissione quale risulta modificato con l’inclusione degli emendamenti accettati dalla Commissione:

«I magistrati si distinguono soltanto per diversità delle funzioni».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Grassi e Leone Giovanni, accettato dalla Commissione:

«Il pubblico ministero gode le garanzie stabilite dall’ordinamento giudiziario».

(È approvato).

Passiamo all’emendamento presentato dall’onorevole Mastino Pietro:

Art. 99-bis.

«Ogni magistrato esercita in modo autonomo le proprie funzioni. Ai capi spetta la direzione amministrativa degli uffici giudiziari e la sorveglianza circa la condotta e le attitudini dei magistrati e dei funzionari ed ausiliari dell’ordine giudiziario».

L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LEONE GIOVANNI. La Commissione ritiene che questa non sia la sede opportuna per inserire una norma di tal genere. Il principio è già introdotto nel comma testé votato. È chiaro che l’organizzazione della Magistratura è su quella base; l’organizzazione amministrativa dei Corpi e Collegi sarà disciplinata dalla legge sull’ordinamento giudiziario.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, conserva il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Passiamo all’ordine del giorno presentato dall’onorevole Targetti.

TARGETTI. Dato il tenore dell’emendamento aggiuntivo Grassi-Leone votato dall’Assemblea, ritiro l’ordine del giorno da me proposto.

PRESIDENTE. Sta bene. L’articolo 99 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né trasferiti ad altra sede, né destinati ad altre funzioni se non dal Consiglio Superiore della Magistratura in base al loro consenso o deliberazione del Consiglio per i motivi e con le garanzie di difesa stabiliti dall’ordinamento giudiziario.

«Il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare.

«I magistrati si distinguono soltanto per diversità delle funzioni.

«Il pubblico ministero gode le garanzie stabilite dall’ordinamento giudiziario».

Passiamo all’articolo 100. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’autorità giudiziaria può disporre direttamente dell’opera della polizia giudiziaria».

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha proposto di sopprimerlo. Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgere l’emendamento.

Gli onorevoli Carpano Maglioli e Targetti hanno anch’essi presentato un emendamento soppressivo. L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerlo.

CARPANO MAGLIOLI. Rinunzio, per mio conto, a svolgerlo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti?

TARGETTI. Rinunzio anch’io a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La polizia giudiziaria dipende esclusivamente e direttamente dall’autorità giudiziaria».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Sono stati già svolti i seguenti emendamenti:

«Sostituirlo col seguente:

«L’autorità giudiziaria dispone direttamente dell’opera della polizia giudiziaria e può richiedere l’intervento delle forze armate dello Stato».

«Monticelli».

«Sostituirlo col seguente:

«È istituito un corpo speciale di polizia giudiziaria, posto alla diretta ed esclusiva dipendenza dell’autorità giudiziaria. A questa spetta, inoltre, il controllo sul funzionamento degli istituti di prevenzione o di pena».

«Romano».

«Sostituirlo col seguente:

«L’autorità giudiziaria ha alle sue dirette dipendenze un corpo specializzato di polizia giudiziaria».

«Persico».

«Sostituirlo col seguente:

«La polizia giudiziaria per la repressione dei reati e per l’esecuzione delle pronuncie giurisdizionali è posta alla diretta dipendenza dell’autorità giudiziaria».

«Caccuri».

«Sostituirlo col seguente:

«L’autorità giudiziaria dispone dell’opera della polizia giudiziaria, che è alle sue dirette dipendenze.

«Può anche disporre di ogni altro corpo di polizia e può richiedere l’intervento delle forze armate dello Stato».

«Castiglia».

Gli onorevoli Ghidini, Filippini e Rossi Paolo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La polizia giudiziaria dipende direttamente dalla autorità giudiziaria».

In assenza dell’onorevole Ghidini, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Filippini.

FILIPPINI. Dirò poche parole per spiegare la portata e il valore del nostro emendamento. E ciò non tanto ai fini del voto, ché anzi, se altri colleghi i quali hanno presentato un emendamento simile – starei per dire uguale – non lo ritireranno, io sarei disposto a ritirare il mio.

Il nostro emendamento intanto mi pare abbia il pregio della brevità e della chiarezza. Il testo del progetto, all’articolo 100, reca: «L’autorità giudiziaria può disporre direttamente dell’opera della polizia giudiziaria». Noi, con il nostro emendamento, diciamo invece molto semplicemente che la polizia giudiziaria dipende esclusivamente dall’autorità giudiziaria.

Ora, mi pare evidente che il testo proposto dal progetto porti ad una confusione di poteri tra l’autorità giudiziaria e il potere esecutivo. Non si sa bene infatti, secondo questo testo, se tale organo di polizia giudiziaria dipenda dall’una oppure dall’altro e mi sembra che questo inconveniente, che questa ambiguità, vada senz’altro evitata, anche se non si può considerare questa una questione di gran rilievo.

Che la polizia giudiziaria sia disciplinata, sia regolata, sia pagata dal potere esecutivo, non ha grandissima importanza. A mio avviso, l’importanza maggiore sta invece nel fatto di sapere se la polizia giudiziaria prenda norma, indirizzo, impronta, dall’un potere o dall’altro.

Ora, onorevoli colleghi, a me sembra che una risposta sarebbe quasi implicita nella definizione di questo organo, che è chiamato appunto di «polizia giudiziaria», e che si potrebbe quindi venire senz’altro alla conclusione che esso debba dipendere dall’autorità giudiziaria.

Ma oltre a questo io vi prego di considerare che quest’organo di polizia giudiziaria non deve essere confuso eventualmente con altre Forze armate dello Stato, che possono essere chiamate talvolta a difendere l’ordine pubblico. Quest’organo di polizia giudiziaria deve essere considerato come la prima ruota della macchina della giustizia. In sostanza, è un organo che si mette immediatamente, starei per dire improvvisamente a contatto con la libertà dell’individuo, del cittadino; e può avere il diritto di sopprimere anche questa libertà individuale del cittadino. Io debbo ricordare che noi abbiamo già approvato in questo progetto di Costituzione delle disposizioni, nelle quali è già considerato l’intervento di questo organo. Esso interviene, ad esempio, per quello che riguarda la disposizione contenuta nell’art. 8 del testo approvato della Costituzione; interviene anche per la disposizione contenuta nell’articolo 16 dello stesso testo, e che si riferisce precisamente all’opera che questo organo di polizia giudiziaria deve espletare, sia pure in un primo tempo soltanto e per breve tempo. Anzi, si dirà a questo proposito che la cosa non ha molta importanza, in quanto l’organo di polizia giudiziaria agisce per poco, per 48 ore, dopo di che deve cedere il suo potere all’autorità giudiziaria.

Ma, anche a questo proposito, io trovo che questo è un argomento di più a favore della nostra tesi. Se c’è questa correlazione di opera tra l’organo della polizia giudiziaria e l’autorità giudiziaria, mi pare che sia di tutta evidenza rendere interdipendenti tanto l’organo di polizia giudiziaria come l’autorità giudiziaria.

Ma v’ha di più. Come ho già accennato, la polizia giudiziaria interviene nei primi atti del procedimento penale, per la scoperta del latto delittuoso, per la scoperta anche delle prove del delitto che è stato commesso. E allora, nelle prime 48 ore, può arrestare, può entrare nel domicilio, può operare delle perquisizioni, può procedere all’interrogatorio dell’imputato, sia esso colpevole o innocente. Si tratta di atti preliminari, ma che possono essere anche definitivi.

E allora, così stando le cose, è evidente che il problema che si pone è questo: con quale indirizzo, sotto quale responsabilità questo organo di polizia giudiziaria compie l’opera sua? Chi ne risponde?

Abbiamo detto, nell’articolo 8 già votato dall’Assemblea, che questi primi atti per la scoperta del reo devono avvenire senza usare minimamente violenza o fisica o morale. Ricordo anche la disposizione dell’articolo 16; quando si tratti, ad esempio, di reati di stampa, è consentito a questo organo di polizia giudiziaria, quando l’autorità giudiziaria in sé e per sé non possa intervenire, in un primissimo tempo di arrivare anche al sequestro preventivo della stampa periodica. Ora, si tratta di atti di notevole importanza, e si tratta, quindi, di stabilire se l’organo della polizia giudiziaria debba rispondere di ciò con una propria responsabilità e di sapere, finalmente da quale organo superiore esso dipende. Questo organo di polizia giudiziaria dipende dal potere esecutivo? Dipende dal potere o dall’autorità giudiziaria?

Secondo il testo della legge non dipende né dall’uno né dall’altro, e allora si verificano più che mai degli arbitrî in un momento così grave come quello al quale vado accennando.

È quindi questione non di piccoli rilievi ma di problemi che attingono proprio alla nostra sensibilità e responsabilità per l’ordinamento democratico della nostra Costituzione.

Si tratta di sapere se quest’organo di polizia giudiziaria abbia da dipendere da un potere o dall’altro. In questo caso diciamo che esso deve dipendere direttamente ed esclusivamente dall’autorità giudiziaria. Non arriveremo con questo ad eliminare gli inconvenienti, a rendere perfetta l’opera di questo istituto che in questo momento, in questo punto della nostra Costituzione noi andiamo ad affermare. Ma pare a me che bisogna uscire dall’equivoco, che bisogna rendere chiaro e preciso il funzionamento della polizia giudiziaria.

Ecco perché noi abbiamo proposto questo emendamento sul quale attiriamo l’attenzione dell’Assemblea. Se noi diremo che questo organo dipende dal potere esecutivo, a mio avviso non avremo fatto un passo innanzi; probabilmente ne avremo fatto uno indietro. Se invece faremo dipendere l’organo di polizia giudiziaria dalla stessa autorità giudiziaria che all’indomani dei primi atti dovrà raccogliere e coprire con la propria autorità quanto è stato compiuto, io credo che avremo fatto qualcosa che si intona al migliore spirito della Costituzione; avremo contemperato meglio i diritti dello Stato e quelli del cittadino della nuova Repubblica. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Varvaro, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«La polizia giudiziaria dipende esclusivamente e direttamente dall’autorità giudiziaria».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Prego ora l’onorevole Leone Giovanni di esprimere il pensiero della Commissione sugli emendamenti.

LEONE GIOVANNI. Per quanto concerne gli emendamenti che sono stati presentati sull’articolo 100, la Commissione si è trovata presente a due ordini di emendamenti di diversa essenza.

Un primo gruppo è quello in cui possono rientrare quelli degli onorevoli Romano, Persico, Varvaro, e quello dell’onorevole Filippini.

Questo primo gruppo di emendamenti chiederebbe, sia pure con una diversa gradualità, la istituzione di un corpo di polizia giudiziaria particolare alle dipendenze della autorità giudiziaria.

Ora, la Commissione sente in misura notevole la importanza e l’urgenza di questo problema. Chi ha cognizione diretta del funzionamento del magistero penale in Italia deve dolorosamente constatare come l’autorità giudiziaria spessissimo si trovi in condizioni di assoluta impotenza di fronte agli organi di polizia.

Esiste una disposizione nel nostro ordinamento processuale per cui la polizia giudiziaria dipende dal pubblico ministero. Ma questa norma non funziona, in quanto, di regola, la polizia acquisisce i primi elementi che sono i più importanti e li porta all’autorità giudiziaria in un momento così tardivo da rendere infruttuoso e insufficiente il suo intervento.

Quindi noi formuliamo in questo momento l’augurio, in maniera veramente calorosa, che l’Italia si trovi in condizioni, anche sotto l’aspetto economico, da poter istituire un corpo di polizia giudiziaria speciale, autonomo, e come tale soltanto alle dipendenze dell’autorità giudiziaria, senza l’interferenza di nessun altro organo amministrativo.

Ma in questo momento ci sembra che non si possa inserire nella Costituzione una formula di questo genere, a meno che non si voglia inserire una formula inattuale. Se vogliamo congegnare formule costituzionali esponenti aspirazioni ed auguri; e in tal caso la Costituzione diventa qualche cosa che vive nel nostro animo, ma è inattuale nella realizzazione. Ma, se dobbiamo esprimere formule che rispecchino le possibilità attuali e concrete, non possiamo andare oltre l’affermazione contenuta nel secondo gruppo di emendamenti.

Quindi, partendo dal concetto espresso da noi, è opportuno inserire nel testo costituzionale la formulazione contenuta nel secondo gruppo di emendamenti, che fanno capo a quello che porta le firme degli onorevoli Ghidini, Filippini e Rossi Paolo, nel quale emendamento non si parla di dipendenza esclusiva della polizia giudiziaria dall’autorità giudiziaria, ma di dipendenza diretta.

Non potremmo in questo momento dire dipendenza esclusiva, ma ribadiamo la dipendenza diretta, sia pure migliorando la formula del progetto: formula che esprima questo vincolo di dipendenza diretta della polizia giudiziaria, senza alcuna ingerenza o interferenza di altri organi, dall’autorità giudiziaria.

Le leggi, che saranno informate ed elaborate in ossequio alla Costituzione che stiamo votando, dovranno tener conto di questa attuale formulazione per ribadire, sia pure nei limiti delle possibilità dell’amministrazione italiana, questa diretta dipendenza della polizia giudiziaria dall’autorità giudiziaria.

È quindi ovvio che la Commissione accetta la formula dell’emendamento Ghidini-Filippini-Rossi Paolo: «La polizia giudiziaria dipende direttamente dall’autorità giudiziaria».

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Costa, Carpano Maglioli, Targetti, Rescigno, Castiglia e Varvaro, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Domando all’onorevole Monticelli se insista nel suo emendamento.

MONTICELLI. Insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?

ROMANO. La Commissione ha accettato la formula dell’onorevole Ghidini, sostanzialmente identica alla mia. Quindi non insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Lo ritiro e lo trasformo in un ordine del giorno così formulato:

«L’Assemblea Costituente fa voti per la creazione di un corpo specializzato di polizia alle dirette dipendenze dell’autorità giudiziaria».

PRESIDENTE. Onorevole Caccuri, mantiene il suo emendamento?

CACCURI. Aderisco alla formula dell’onorevole Ghidini, che sostanzialmente è simile alla mia.

PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni ha dichiarato che la Commissione accetta la formula degli onorevoli Ghidini, Filippini e Rossi Paolo nel seguente testo: «La polizia giudiziaria dipende direttamente dall’autorità giudiziaria». Ora l’onorevole Ghidini ha proposto che la parola «direttamente» sia sostituita dall’altra: «esclusivamente». Pertanto il testo dovrebbe essere il seguente: «La polizia giudiziaria dipende esclusivamente dall’autorità giudiziaria».

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Io, quale altro firmatario dell’emendamento Ghidini, mantengo la parola «direttamente».

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Ripeto che la Commissione fa sua la formula: «La polizia giudiziaria dipende direttamente dall’autorità giudiziaria».

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Ghidini, si intende che decade questa sua modificazione a meno che non vi insista l’onorevole Filippini.

FILIPPINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FILIPPINI. Avrei preferito la parola «esclusivamente» come nella proposta dell’onorevole Ghidini. Comunque, non insisto.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Vorrei domandare alla Commissione che cosa intenda con la parola «direttamente»; se intenda che si debba costituire un corpo di polizia nuovo, o no.

PRESIDENTE. L’onorevole Leone ha facoltà di rispondere.

LEONE GIOVANNI. La Commissione preventivamente ha già chiarito il suo punto di vista che proprio accetta «direttamente», respingendo «esclusivamente», perché non ritiene che in questo momento sia configurabile un corpo di polizia giudiziaria che sia alle dipendenze dell’autorità giudiziaria. Segnala questo «esclusivamente» come un voto di prossima realizzazione per la formazione di un corpo di polizia giudiziaria particolare, speciale, che, come tale, sganciato dalle altre amministrazioni statali, possa mettersi anche alle esclusive dipendenze dell’autorità giudiziaria, così come è nella formula dell’ordine del giorno testé presentato dall’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Resta, pertanto, l’emendamento dell’onorevole Monticelli, già svolto, e che risulta del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«L’autorità giudiziaria dispone direttamente dell’opera della polizia giudiziaria e può richiedere l’intervento delle forze armate dello Stato».

MONTICELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTICELLI. Vorrei precisare che in seguito ad un più attento esame mi pare che la formula Filippini-Ghidini raggiunga di più lo scopo a cui volevo arrivare, cioè che fosse messo un corpo di polizia giudiziaria a disposizione dell’autorità giudiziaria. Ritiro quindi il mio emendamento.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei chiedere un chiarimento. Con la dizione che viene adottata, secondo cui la polizia giudiziaria dipende direttamente dall’autorità giudiziaria, si viene implicitamente ad ammettere che l’ordinamento di questa polizia giudiziaria sia di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura o no?

PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di rispondere, a nome della Commissione.

LEONE GIOVANNI. È ovvia la risposta di carattere negativo al dubbio formulato dall’onorevole Nobile. Il Consiglio Superiore della Magistratura, così come lo abbiamo votato, dispone soltanto della carriera del magistrato. Tutte le funzioni amministrative, che concernono l’amministrazione dei servizi della giustizia, restano al Ministro della giustizia. Anzi c’è un articolo che è stato votato, in cui è chiaramente espresso che la organizzazione dei servizi dell’amministrazione della giustizia resta al Ministro della giustizia. Quindi è chiaro che l’organizzazione di questo corpo non è alle dipendenze del Consiglio Superiore della Magistratura, che dispone solo della carriera del magistrato, ma è alle dipendenze del singolo ufficio del magistrato.

NOBILE. Alle dipendenze del Ministro della giustizia.

LEONE GIOVANNI. La polizia giudiziaria oggi è composta da carabinieri, pubblica sicurezza e guardia di finanza.

Ora, ciascuno di questi tre organismi dipende per proprio conto dalla propria amministrazione. I carabinieri dipendono, in condominio, dal Ministero dell’interno e dal Ministero della difesa; la guardia di finanza, dal Ministero della difesa e dal Ministero delle finanze; la pubblica sicurezza soltanto dal Ministero dell’interno.

Ora, per quanto attiene alla disciplina, alla carriera, al personale di questi tre organi, sono i tre Ministeri testé citati che dispongono del destino di questi tre corpi.

Per quanto attiene alle particolari funzioni della polizia giudiziaria, che sono una aggiunta alle altre attribuzioni, queste particolari funzioni saranno espletate alla dipendenza dell’autorità giudiziaria, nel senso che gli organi di polizia giudiziaria hanno il dovere di obbedire agli ordini dell’autorità giudiziaria solo nei limiti delle attribuzioni della polizia giudiziaria. Di conseguenza non pare che l’autorità giudiziaria possa avere alcun potere disciplinare verso questi organi. A questo punto si ricollega l’esigenza innanzi espressa, di un particolare organo, esigenza che si può tradurre in un ordine del giorno.

NOBILE. Chiarisco: intendevo chiedere se dipendeva dal Ministro di grazia e giustizia, non dal Consiglio Superiore.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Le spiegazioni date attualmente dall’onorevole Leone a me sembra siano a conforto, non del nuovo testo che la Commissione ha accettato, ma del suo primitivo testo: perché dire «dipende» non è solo stabilire una dipendenza funzionale, ma anche gerarchica. Invece quando si dice «può disporre», vi è la dipendenza funzionale, cioè la disposizione a poter comandare determinati compiti, ma non la dipendenza gerarchica. Si potrebbe anche arrivare a migliorare la formula dell’articolo primitivo, si potrebbe cioè mettere invece di «può disporre», la parola «dispone», che mi sembra sia molto più chiara e molto meno dubbia dell’altra «dipende». Per togliere ogni equivoco è meglio ritornare alla primitiva formula. Pertanto se la Commissione non fa proprio il suo primo testo, lo faccio mio questo primo testo della Commissione, modificando il «può disporre» in «dispone».

PRESIDENTE. Abbiamo dunque da una parte il testo base, accettato dalla Commissione, costituito dall’emendamento degli onorevoli Filippini e Rossi Paolo:

«La polizia giudiziaria dipende direttamente dall’autorità giudiziaria».

Dall’altra vi è il testo dell’onorevole Uberti:

«L’autorità giudiziaria dispone direttamente dell’opera della polizia giudiziaria».

Pongo in votazione questa seconda formulazione che rappresenta un emendamento.

(È approvata).

Pongo ora in votazione l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Persico:

«L’Assemblea Costituente fa voti per la creazione di un corpo specializzato di polizia alle dirette dipendenze dell’autorità giudiziaria».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli La Rocca, Amendola, Bosi, Lombardi Carlo, Bibolotti, Molinelli, del seguente tenore:

«Lo Stato assicura, con una sua avvocatura, la difesa ai non abbienti, in ogni grado di giurisdizione».

L’onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.

LA ROCCA. Onorevoli colleghi, nella parte del testo costituzionale già approvato – all’articolo 19 – è solennemente affermato il principio che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. È anche detto che tutti possono far valere le loro ragioni e difendere i loro interessi legittimi in giudizio.

Ma il fondamento di una Costituzione improntata ad una democrazia conseguente non può restringersi a questo: a fissare i diritti formali del cittadino, senza preoccuparsi delle condizioni che garantiscono il godimento, l’uso di questi diritti, delle possibilità di esercitarli, dei mezzi per esercitarli.

Il tratto caratteristico di una Costituzione veramente democratica deve consistere nel non accontentarsi dell’affermazione, della proclamazione dei diritti formali del cittadino, ma nello spostare il centro di gravità sulla garanzia di questi diritti, sui mezzi per l’esercizio di questi diritti.

Nel caso concreto, non basta proclamare che la difesa è un diritto inviolabile e che tutti possono far valere le loro ragioni e tutelare i loro interessi legittimi. Occorre, invece, assicurare realmente la possibilità di questa difesa, dare il modo di esercitare questo diritto, stebilendo una sanzione legislativa al fatto che ognuno dev’essere assistito, convenientemente, in giudizio.

In sede di discussione generale sulla Magistratura, è stata più volte tirata in campo, a torto o a ragione, l’autorità di Shakespeare, se non come conoscitore delle peccata, come espertissimo degli umani vizi e del valore. Sia consentito anche a me citare Shakespeare, ricordando il suo monito: che la spada della giustizia trapassa facilmente gli stracci e si spezza contro le lamine d’oro.

E, di solito, proprio gli stracci sono chiamati a saldare i conti; gli stracci che avvolgono disperazioni dispregiate o non conosciute, che coprono ragioni non illuminate, non ricercate, non comprese, da chi sarebbe tenuto a farlo, e per vari motivi.

Se ci proviamo a ridurre in cifre nude la miseria umana, la demenza umana, la colpa umana, l’immensità della sciagura umana, ci convinciamo che alle spalle del delitto, vi è una spinta, una forza motrice, che sorpassa talvolta l’individuo e lo fa preda delle circostanze: che il delitto non è semplicemente squallore o brivido di raccapriccio, sangue a terra e fango in faccia o anche dell’altro, quando non ha l’impronta di una specie di rivolta contro tutto ciò che opprime l’uomo, come nel dramma famoso: ci convinciamo che il delitto può essere espressione d’infermità, sciagura e maledizione di gente malnata, ma è, quasi sempre, prodotto di determinate condizioni d’ambiente e di rapporti sociali, che è un frutto vermiglio che sboccia sopra una certa pianta, in un dato terreno; che esso si sviluppa sopra una data base. E le vittime, nel più gran numero, sono i miserabili: i miserabili a cui è negato dalla sorte di far sentire, nelle aule giudiziarie, tutte le loro ragioni.

In una vita, che ha l’intelligenza per suo fuoco centrale, è o dovrebbe essere, pur sempre, maestra colei che non fu concepita nel buio delle visceri, nelle tenebre della matrice, sì bene nei lampeggiamenti del cervello maschio. Ma anche l’occhichiara, che dalla mano infallibile lasciava cadere il sasso, per assolvere o condannare, anche Pallade, l’occhichiara, aveva bisogno, nelle questioni più delicate e complesse, di essere soccorsa dalla presenza del nume che incarnava la luce, che era il sole vestito di membra umane.

E se la giustizia, secondo una definizione luminosa ripetuta nei secoli, è la costante volontà di dare a ognuno quello che gli è dovuto, essa si dimostra, troppe volte una grossa bilancia collocata sopra un vecchio tavolo, dove i tarli scavano i loro labirinti dubitosi: bilancia che pencola e crolla dalla parte dove si gitta di più, anche di cavilli e di parole.

Ora, accade che la difesa manchi là dove sarebbe più necessaria. È questo il punto su cui richiamo l’attenzione dell’Assemblea, perché la formulazione dell’articolo 19 assolutamente non soddisfa alcuno.

Il povero, in giudizio, deve avere qualcuno che lo sostenga, con calore, con fede. E questo bisogno è stato sentito e tradotto in formule giuridiche, in tutte le legislazioni, nelle più antiche. Non occorre fare scavi archeologici. Potremmo rimetterci alla testimonianza aristotelica e vedere che uno degli arconti assiste il povero o l’incapace. Per la legislazione romana, una favola triste suona, secondo la quale l’esercizio forense sarebbe stato una spoliazione e una rapina: esso era honorificum munus; e sorse come insegna e come scudo del diritto, finché, per abusi intervenuti, la famosa legge Cinzia proibì il compenso e impose il gratuito. L’avvocato (vir bonus, dicendi peritus) era chiamato dalla voce dell’affetto o del sangue, accanto al reo, nell’ora della sciagura.

E il rostro, da cui si dilatava la musica verbale dei grandi oratori, era un po’ la casa sicura dei più deboli.

Del resto, le condizioni di Roma erano particolari. La grande massa dei non abbienti costituiva il piedistallo passivo della lotta politica, che si svolgeva nel seno e nel cerchio di una piccola minoranza privilegiata: tra patrizi e cavalieri e plebei liberi. E il proletariato, per intenderci, viveva a spese della società, mentre la società moderna vive a spese del proletariato.

Il patrono, il ricco, era proprietario di schiavi; ma era tenuto a nutrirli e a difenderli, anche in giudizio.

Un riflesso del diritto romano si ritrova in tutta la legislazione barbarica e carolingia. Carlo Magno spediva i suoi messi a proteggere, e senza spese, i poveri del regno; e nell’età di mezzo, accanto al fiore della cavalleria, c’è la difesa gratuita del miserabile, come un obbligo morale, che poi acquista il rilievo e i lineamenti di un vero e proprio istituto giuridico, che si perfeziona con precise norme, al tempo di Paolo V. Il diritto canonico dà vita all’advocatus pauperorum, advocatus deputatus et stipendiatus pro pauperibus.

Il concetto cristiano si è attuato in altri istituti di carattere legislativo. Non abbiamo che da innestarci sul tronco della più schietta tradizione italiana, delle nostre Repubbliche, dei Comuni: di Vercelli, di Alessandria, di Cuneo, di Novara, di Torino, di Milano, di Bologna, di Firenze, di Parma, di Mantova e soprattutto di Venezia che, nel suo «Statuto», considera espressamente il caso, dicendo che «occorre istituire un’avvocatura speciale e stipendiata, perché la ragione del povero e del miserabile non cada per mancanza di pecunia». D’altra parte, senza uscire dai confini del nostro paese e rifarci a Enrico IV o alla Rivoluzione francese, in cui vediamo in embrione un’avvocatura dei poveri, basta risalire all’alba del nostro Risorgimento per trovare, con netti contorni, un organo di difesa gratuita, come funzione sociale. Giuseppe Mazzini, prima del suo arresto, esercitava nel Foro genovese l’avvocatura dei poveri. Nel 1859, con la legge Rattazzi sull’ordinamento giudiziario, abbiamo avuto questa avvocatura come istituto di Stato, una carriera simile a quella del pubblico ministero, quanto mai diversa dal gratuito patrocinio, che è molto meno di una formalità: che è una lustra, e si risolve in una frase vuota per i giudicabili. Non si pratica il monito di Verlaine: di torcere il collo all’eloquenza, ma semplicemente si abolisce la difesa. Non si domanda più al delitto; perché? Si chiederai delitto: quanto? Sovrasta il rigore. Ma dopo la sentenza, c’è un dirugginio di cardini, uno sbattere di porte, e l’uomo è buttato in una cella, con un’inferriata fra lui e la società, fra lui e il sole, senza che nessuno, praticamente, si sia piegato sulla sua sventura, a conoscere, a intendere il suo caso. Credo che l’Assemblea Costituente, ricollegandosi alle tradizioni romane ed italiane in particolare, voglia trovare il modo di trasformare l’istituto del gratuito patrocinio in una avvocatura che sia particolarmente incaricata di assistere e difendere i poveri, con gli accorgimenti del caso, in ogni grado e stadio del procedimento, in modo che i derelitti, i miserabili vedano che, nell’incominciare la nostra vita nuova, il diritto della difesa è una realtà anche per loro, e non si sentano, in sede giudiziaria, delle ragioni misconosciute, delle povere fonti calpestate. (Applausi).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, ignoravo che il collega La Rocca e gli altri suoi compagni avessero presentato questo emendamento, ma sono assai lieto che l’abbiano fatto, perché mi ricorda l’inizio della mia vita professionale. Il mio amico Conti forse ricorderà quando i vecchi avvocati romani, Bindi, Randanini e gli altri, convocarono un gruppo di giovani, dei quali mi onoravo di far parte, per costituire in Roma l’«Associazione penale per la difesa gratuita dei poveri», associazione che ancora esiste e funziona, sia pure con forze assai modeste.

È uno spettacolo veramente doloroso quello che provano, non soltanto gli avvocati, ma anche i profani della giustizia, quando entrando in un’aula assistono a questa scena: il Presidente domanda all’imputato: «Lei ha il difensore?» L’imputato risponde: «No». Al banco c’è un avvocato, che, forse per caso, sta sfogliando un suo fascicolo. Il Presidente dice: «Lei sarà il difensore». L’avvocato continua a sfogliare attentamente il suo fascicolo. Il dibattito termina. Il Presidente dà la parola alla difesa, e l’avvocato nominato di ufficio dice: «Mi rimetto alla giustizia». E la causa finisce. Questo è uno spettacolo triste che vediamo continuamente, e che produce un senso di enorme disagio morale per tutti coloro che si trovano presenti nell’aula. Tutte le volte che mi è capitata una simile occasione, mi son fatto dare il fascicolo del processo ed ho cercato di studiare alla meglio la causa e di fare il mio dovere, anche improvvisando.

E così, in Cassazione. Si mandano agli avvocati degli avvisetti rossi o verdi, con i quali vengono nominati difensori di ufficio. Ho visto diversi colleghi stracciare questi avvisi all’atto della consegna, senza neanche leggerli. Di modo che, in Cassazione, abbiamo centinaia e centinaia di processi che si fanno senza l’assistenza dell’avvocato. Eppure, spesso, specialmente nei primi anni del mio esercizio, ho trovato in questi processi motivi di ricorso così fondati da far accogliere i ricorsi, pur senza avere nessun rapporto con l’imputato.

Quindi, la proposta La Rocca colma una lacuna nella nostra Costituzione. Una lacuna che si ricollega proprio a quell’articolo 19 che abbiamo già approvato, perché è inutile proclamare dei principî astratti, quando poi concretamente non vi è nessuna possibilità di realizzarli. È vero che tutti hanno diritto di agire in giudizio per la difesa dei loro diritti, è vero che la difesa è diritto inviolabile, ma se questo diritto non è assicurato, rimane un diritto astratto, privo di ogni sanzione e di ogni realizzazione pratica.

Però, mi permetta l’onorevole La Rocca, di dissentire da lui su un punto. Se non ho mal compreso leggendo l’emendamento, egli vuole che si costituisca un’avvocatura di Stato ad hoc. Per carità, non costituiamo un’altra avvocatura. Vi sarebbero difficoltà enormi per farla funzionare, e noi vediamo come oggi funziona male il gratuito patrocinio civile e quello penale. Quello penale non funziona affatto; quello civile funziona attraverso difficoltà enormi, perché c’è l’ostruzionismo di tutto l’organismo giudiziario verso la difesa ufficiosa, di modo che le prove non si raccolgono, le sentenze non si pubblicano, gli atti non si notificano, se non attraverso enormi difficoltà e ritardi.

Se dovessimo costituire un’avvocatura, ci sarebbe già l’avvocatura dello Stato, che funziona benissimo, ed una sezione specializzata potrebbe essere adibita per la difesa civile e penale dei meno abbienti. Ma, poiché l’onorevole La Rocca ha ricordato quello che è il glorioso retaggio della nostra tradizione giuridica, cioè le benemerite avvocature dei poveri, che in Piemonte e negli Stati sardi soprattutto hanno avuto vita floridissima di cui è ancora vivo il ricordo, malgrado che la legge non la preveda più, io credo che si potrebbe istituire un’avvocatura per i poveri. In che modo? Rendendo obbligatorio per tutti i professionisti, come titolo onorifico e come corrispettivo di tutte le cause che sono pagate dagli abbienti, di assumere a turno, secondo le specializzazioni, la difesa dei poveri.

Naturalmente, bisognerà tutelare il lato economico, e bisognerà stabilire che il beneficio deve essere soltanto pei non abbienti, perché altrimenti, come mi diceva poco fa il collega Ivan Matteo Lombardo, nessuno si farebbe più difendere dall’avvocato di fiducia e tutti andrebbero dall’avvocato dei poveri. L’avvocato dei poveri dovrà essere il difensore di coloro che non hanno mezzi sufficienti per poter iniziare un giudizio, o per poter difendere i loro diritti. Tutto questo sarà stabilito con una legge che sarà emanata a suo tempo, e che sarà attentamente studiata nei suoi particolari. Però, diamo anche a questi avvocati dei poveri la possibilità di un compenso; cioè lo Stato dovrebbe costituire un fondo attraverso il quale le spese di giustizia (copia dei processi, notifica degli atti, ecc., insomma tutte quelle spese che non rientrano nell’opera professionale), potrebbero venir rimborsate dallo Stato. Io direi così, se il collega La Rocca lo consente: «Lo Stato assicura, con la istituzione della avvocatura dei poveri, la difesa dei non abbienti in ogni grado di giurisdizione».

Noi potremo così tutelare praticamente il diritto delle classi non abbienti ad ottenere giustizia. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Alla Commissione dispiace dissentire delle argomentazioni svolte così bene dai colleghi, le quali in realtà non rispondono all’esperienza che si è fatta; l’avvocatura dei poveri c’è stata ed è risultato che la legge del gratuito patrocinio rappresenta rispetto ad essa un vero progresso.

Vogliamo vedere, per la tutela dei diritti di ordine patrimoniale e civile, come funzionava l’avvocatura dei poveri e come ha funzionato, successivamente, l’istituto del gratuito patrocinio? L’avvocatura dei poveri esaminava il reclamo; e la decisione se convenisse dar seguito giudiziario all’istanza del povero era inappellabilmente rimessa al placito del funzionario che aveva letto più o meno attentamente quel dato fascicolo e che diceva sì o no.

Come funziona l’istituto del gratuito patrocinio? Funziona con garanzie infinitamente superiori: intanto la parte ricorre all’avvocato in cui ha fiducia, e se si imbatte in un avvocato che non sia d’accordo con la sua tesi ne può cercare altri quattro o cinque, finché non trova l’avvocato che sia persuaso della bontà del diritto che si intende far valere. Tutti gli avvocati d’Italia possono essere consultati dal povero, ed il povero può ottenere il concorso di uno, o di molti avvocati, mentre il solo avvocato dei poveri poteva dire: no, non intendo che l’avvocatura dei poveri dia seguito a questo ricorso.

Poi ci sono due gradi: dalla Commissione davanti al tribunale si può adire alla Commissione istituita presso la Corte d’appello.

Le decisioni di rigetto non fanno stato. Se eventualmente la Commissione di primo grado ha detto «no» e la Commissione di appello ha detto «no», il povero può lasciar passare tre mesi, aspettare che la composizione delle Commissioni sia mutata, e riprendere la questione.

Io sono stato scelto fra i membri della Commissione per dire questa cosa che sembra non piacere ai colleghi, proprio perché sono ligure, e noi del Regno sardo abbiamo fatto l’esperienza più a fondo di tutti gli altri e sappiamo come l’avvocatura dei poveri funzionasse contro il povero e ne paralizzasse spesso l’iniziativa, mettendo le cause in mano di un freddo ed indifferente funzionario, che poteva, a suo placito, impedire di fatto l’azione del povero.

Resta la questione molto più grave della tutela penale. Mi permettano l’onorevole La Rocca e l’amico onorevole Persico una semplice osservazione.

Se si trova spesso un avvocato che non sente il suo dovere, un avvocato d’ufficio che stancamente pronuncia le parole «mi rimetto», quando è incaricato della difesa di un povero, credete voi che un qualunque avvocato funzionario, che abbia questo ufficio, non agirebbe alla stessa maniera? Molti di voi hanno sentito tante volte il pubblico ministero limitare la sua arringa a quest’espressioni: «mi rimetto» oppure «rinunzio alla parola», oppure «domando l’applicazione della pena di legge». E come il pubblico ministero, che è un funzionario, si limita spesso a dire «chiedo la condanna», così farebbe pure l’avvocato dei poveri, il quale sarebbe un funzionario freddo, indifferente, senza il calore di simpatia che viene dalla libera scelta che il cliente ha fatto del suo difensore. Anch’egli direbbe «mi rimetto», oppure «chiedo l’assolutoria», e non più.

Per queste ragioni e per tutte le ragioni dette a suo tempo, quando si creò la legge sul gratuito patrocinio, la Commissione ritiene di non poter aderire all’emendamento La Rocca.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io sono rimasto impressionato da ciò che ha detto specialmente l’onorevole Persico, e non sono rimasto convinto dalle dichiarazioni fatte dall’onorevole Rossi a nome della Commissione.

Quindi io voterò l’articolo aggiuntivo La Rocca; soltanto vorrei proporre che, anziché parlare di «non abbienti», si parlasse di una «avvocatura dei poveri».

PRESIDENTE. L’onorevole Platone ha proposto la seguente formula:

«Lo Stato garantisce la difesa ai non abbienti e se ne assume il carico».

L’onorevole Platone ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PLATONE. Secondo me anche i rilievi che ha fatto l’onorevole Persico manifestano una lacuna nelle attuali disposizioni di legge. Siamo tutti d’accordo che lo Stato deve provvedere alla difesa dei non abbienti; si tratta di trovare però, il mezzo più efficace.

Oggi abbiamo già teoricamente assicurato questa difesa, però praticamente non funziona.

BUBBIO. Non è vero che non funziona! Basta fare il proprio dovere!

PLATONE. Questa è un’illusione. Potrà farlo l’onorevole Bubbio il suo dovere, potrò farlo anche io, ma non possiamo pretenderlo da tutti. Dobbiamo convenire che non tutti sentono questo dovere.

Che cosa si verifica, in pratica, quando si tratta di difendere un povero? Si verifica appunto che un avvocato può essere occupato in una difesa per più udienze; alle volte può, alle volte non può, ed allora trascura questa difesa.

Io credo che praticamente il problema debba essere risolto in questo modo: anziché istituire una avvocatura, si può semplicemente assicurare e pretendere una valida difesa dei non abbienti attraverso un congruo compenso per ogni seduta della difesa. In questo modo noi avremo molti avvocati che, oltre a sentire il dovere di compiere questa difesa, sentiranno anche lo stimolo di compierlo.

Io credo che con questa proposta si concili quello che tutti quanti stiamo cercando di ottenere. (Applausi all’estrema sinistra).

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Desidero soltanto aggiungere una considerazione che mi pare sia stata in parte dimenticata dai colleghi che mi hanno preceduto. Noi abbiamo in sostanza una legge sul gratuito patrocinio e chi fa anche modestamente l’avvocato sa bene come basti saperla e volerla applicare, per rendersi conto che essa è pienamente sufficiente ed efficiente alla bisogna. Ciò che occorre è che ognuno senta il senso di responsabilità nell’esplicazione del mandato di cui è investito. In materia civile ognuno sa come sia tutelato il diritto dei poveri.

PLATONE. Ma da chi?

BUBBIO. Come da chi? È tutelato dal patrono ufficioso formalmente nominato; solo non bisogna dimenticare che si tratta di un onere cui egli è per legge ed in coscienza tenuto.

In materia penale, poi, c’è un’altra considerazione da fare. Invero qui si è dimenticato che il difensore d’ufficio non viene nominato al momento dell’udienza, ma viene nominato al momento della citazione a giudizio (Rumori a sinistra), e tanto l’imputato quanto il difensore sono quindi in tempo preavvertiti della nomina.

Sta quindi all’avvocato di sentire il proprio dovere, al Consiglio dell’Ordine di chiamarlo, al pubblico ministero di esigere che il mandato sia effettivamente esplicato. (Rumori a sinistra). È una questione di coscienza. Facciamo un voto solenne, perché questo dovere sia sentito e perché gli organi di controllo esplichino la loro funzione; ma non si crei una vera e propria avvocatura dei poveri, che costituirà una nuova costosa burocrazia, la quale offrirà di certo assai minori garanzie di quello che non offra l’attuale ordinamento, solo che sia regolarmente attuato. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la seguente nuova formulazione dell’articolo 100-bis è stata concordata dagli onorevoli La Rocca, Persico, Nobile:

«La Repubblica assicura, mediante apposite istituzioni, la difesa ai non abbienti in ogni grado di giurisdizione e soprattutto in sede penale».

COPPI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPI. Dichiaro che io e altri colleghi del mio Gruppo voteremo a favore della prima parte della formulazione La Rocca, per la quale chiediamo, quindi, la votazione per divisione, in quanto non troviamo giustificato che in tale articolo si dica che la difesa del povero deve essere assicurata specialmente in sede penale. La difesa del povero deve essere assicurata egualmente, sia in sede civile che in sede penale. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Sta bene.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Aderisco pienamente alle osservazioni del collega. In fondo la difesa del non abbiente era sentita con maggiore necessità in sede penale: ma poiché riconosco la giustezza delle considerazioni fatte, sono di accordo di modificare in questo senso la mia proposta:

«La Repubblica assicura, mediante apposite istituzioni, la difesa ai non abbienti in ogni grado di giurisdizione».

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, anche a nome dei miei amici di Gruppo, che noi voteremo a favore della norma proposta, con una sola riserva per quanto riguarda il suo collocamento. Probabilmente la nuova formula potrebbe essere inserita nell’articolo 19 della Costituzione, laddove si contempla il diritto alla difesa e conviene quindi assicurarne l’effettivo esercizio.

PRESIDENTE. Sta bene; non è questione di immediata importanza.

CARPANO MAGLIOLI. Chiedo di parlare

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARPANO MAGLIOLI. A nome del mio Gruppo dichiaro di aderire alla proposta dell’onorevole La Rocca, perché, se è vero che la difesa del povero è un dovere ed è un onore per noi avvocati, non è men vero che, come si garantisce ai poveri una retribuzione sia pure modesta, l’assistenza sanitaria ecc., è giusto che una garanzia, sia pure modesta, si dia per quanto riguarda l’assistenza legale. Occorre evitare lo sconcio al quale assistiamo quotidianamente nei tribunali, dove la difesa d’ufficio si riduce ad una pura apparenza esteriore, e dove raramente l’avvocato dà quello che deve dare, anche perché vi sono delle esigenze che lo impediscono. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Il testo risulta così formulato:

«La Repubblica assicura mediante apposite istituzioni la difesa ai non abbienti in ogni grado di giurisdizione».

Invito la Commissione ad esprimere il suo avviso.

ROSSI PAOLO. La Commissione può accettare questa nuova formula; anzi, l’accetta volentieri. È contraria all’istituzione dell’avvocatura dei poveri, non certo al principio della difesa assicurata per tutti!

PRESIDENTE. Pongo in votazione il testo testé letto e che la Commissione ha dichiarato di accettare.

(È approvato).

Vi è ora da passare alla seconda Sezione: «Norme sulla giurisdizione».

Gli onorevoli Targetti e Carpano Maglioli hanno proposto il seguente emendamento:

«Sopprimere l’intera Sezione (articoli 101-105)».

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. A me sembra che la discussione su un emendamento di soppressione integrale di una Sezione del testo del progetto sia inutile, perché occorrerà sempre, anche in una discussione preliminare, esaminare ciascuno degli articoli di cui si chiede la soppressione. A mio avviso, bisognerebbe passare subito all’articolo 101: così si guadagnerebbe tempo. Vuol dire che l’onorevole Targetti e gli altri colleghi potrebbero ripresentare per ciascuno degli articoli la proposta di soppressione. Io stesso ho presentato qualche proposta di soppressione di taluni commi.

PRESIDENTE. Onorevole Leone, io ritengo che tutti coloro che hanno presentato una proposta di soppressione integrale abbiano diritto di svolgere in modo preliminare il loro emendamento. Evidentemente questi colleghi sanno che non devono approfondire l’esame di tutti gli articoli, ma svolgerlo rapidamente sfiorandone il contenuto.

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere l’emendamento.

TARGETTI. Per calmare ogni apprensione premetto che non intendo in nessun modo di discendere all’esame particolareggiato dei vari articoli, anche perché questo porterebbe come conseguenza un prolungamento inutile della discussione in materia.

In sostanza, mi limiterò a fare quello che accennava il Presidente, cioè esporre le ragioni d’indole generale per le quali penso che l’Assemblea potrebbe senz’altro decidere di non passare all’esame di nessuno di questi articoli, ritenendo che la materia trovi la sua più logica e normale regolamentazione in altre sedi.

Mi basta accennare al tenore delle norme contenute nei vari articoli.

L’articolo 101 contiene norme che troverebbero la sede più acconcia e logica nel Codice di procedura penale, perché quando si stabilisce come devono essere motivate le sentenze (e a questo proposito osservo per incidenza come affermare che tutte le decisioni devono essere motivate andrebbe contro una decisione già presa dall’Assemblea che apre la via all’istituzione della giuria popolare) si invade il campo delle leggi procedurali.

UBERTI. V’è il principio fondamentale.

TARGETTI. Sì, v’è un principio fondamentale, ma che non possiamo approvare perché abbiamo già approvato il principio opposto, cioè la possibilità che si dia vita ad una Magistratura…

MASTINO PIETRO. Ma perché opposto? È una diversa concezione. (Commenti).

TARGETTI. Potrei rispondere subito a queste interruzioni, ma se lo facessi non potrei tener fede alla mia promessa della massima brevità. Però, su questo punto, non posso fare a meno di osservare che col principio dell’obbligo della motivazione di qualsiasi pronunciato giurisdizionale si verrebbe a limitare all’Assemblea legislativa di domani la scelta delle varie forme di intervento diretto del popolo nell’amministrazione della giustizia. (Interruzione del deputato Uberti).

Per la ragione che ho detto non posso raccogliere neppure le sue interruzioni, onorevole Uberti, che, però, non mi dispiacciono giacché, se ella non interrompesse, vorrebbe dire che ella non godrebbe perfetta salute giacché, normalmente, ella deve interrompere. (Ilarità).

Passando all’altro articolo, ci si trova di fronte ad una norma di procedura civile, mentre il successivo articolo 103 si riferisce alla giustizia amministrativa, affermando anche questo articolo un principio molto lato, il cui accoglimento dovrebbe dar luogo necessariamente ad una preventiva lunga discussione: se cioè contro qualsiasi atto della pubblica amministrazione sia possibile ammettere come obbligatoria la concessione dell’esercizio della tutela giudiziaria.

Qualche segno di dissenso dell’illustre maestro, l’onorevole Orlando, dimostra la gravità del problema che, per essere risolto, richiederebbe ripeto una lunga discussione.

Quando poi si passa all’articolo 104 (e l’Assemblea può essere tranquilla nell’ascoltarmi perché sa che ho solo poche parole da dire) vi si trova affermato il principio che nessuna legge può non rendere più irrimediabile un giudicato definitivo.

Io non so neppure a quale ipotesi ci si può riferire oltre quelle ammesse, in via d’eccezione, dallo stesso articolo della legge penale abrogativa: della grazia, dell’indulto e dell’amnistia. Io non concepisco l’ipotesi di un’Assemblea legislativa che fa una legge per rendere non più definitiva una determinata sentenza!

Infine, un’ultima osservazione riguardo all’Avvocatura dello Stato. Io ho il massimo rispetto verso l’Avvocatura dello Stato; ma non capisco per quale ragione essa debba fare il suo ingresso nella Carta costituzionale. Si è detto spesso (certe volte, anche in mancanza di argomentazioni più serie) che il nostro progetto di Costituzione esagera nelle previsioni. Quando ci si presenta l’occasione di ridurre, senza nessun inconveniente e con ragione, di uno, tre, cinque il numero degli articoli della Carta costituzionale, mi pare che potrebbe essere cosa lieta per tutti di approfittarne! (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Leone Giovanni ad esprimere il parere della Commissione.

LEONE GIOVANNI. Lo farò brevemente. A me pare che l’Assemblea non debba affrettarsi a pronunciare un giudizio di soppressione o di mantenimento totale degli articoli da 101 a 105; perché io posso condividere parte delle preoccupazioni espresse dall’onorevole Targetti, ma su altre sono dissenziente.

Già nei miei emendamenti si trova proposta qualche soppressione: per esempio, quella del primo comma dell’articolo 101. Potrei successivamente, meditando più a lungo la materia, ritenere di potere accettare l’emendamento soppressivo di un’altra norma; ma una soppressione totale di questi articoli non si può decretare in questo momento senza scendere nel vivo della materia attraverso l’esame di ciascun articolo.

E, a proposito di questo esame, dirò che vi sono negli articoli dal 101 al 105 delle garanzie che sono certamente di carattere costituzionale, di talché noi le troviamo formulate in quasi tutte le Costituzioni del mondo. Ad esempio: pubblicità delle udienze. In gran parte delle Costituzioni di tutti i Paesi troviamo scritto che le udienze sono pubbliche. Perché è una garanzia costituzionale? Perché il giudizio del magistrato, del giudice popolare, circa lo svolgimento, circa la acquisizione delle prove, circa il rispetto della garanzia della difesa deve essere fatto pubblicamente, cioè sotto il controllo dell’opinione pubblica. Altra garanzia di carattere costituzionale, che troviamo in moltissime Costituzioni estere, è costituito dall’obbligo della motivazione. Salvo a vedere se e fino a dove la vogliamo. Perché in tanto una sentenza di giudice speciale od ordinario si può imporre alla coscienza dei cittadini, può avere valore, può penetrare nella coscienza dei cittadini, in quanto il magistrato, giudice speciale o giudice popolare, attraverso una motivazione, sia pure sommaria, empirica o anche sgrammaticata, dia conto alla società di un giudizio che ha pronunziato, che convinca non solo le parti, ma soprattutto la società della fondatezza del giudizio.

Una terza garanzia di carattere costituzionale, e che esiste in altre Costituzioni, è quella del ricorso per cassazione. La Cassazione in tutti i Paesi in cui è configurata come supremo organo regolatore della interpretazione, della unità della interpretazione del diritto, sta a significare la possibilità per tutti i cittadini di potere, per quanto attiene alla interpretazione della legge, attingere a questo supremo organo a cui deve essere consentito l’accesso a tutti i cittadini nei confronti di tutte le decisioni del giudice ordinario e speciale.

Per queste ragioni io penso che noi non ci possiamo affrettare a dare un giudizio sul mantenimento di tutte le norme o sulla soppressione di tutte le norme. Basterà dire che da un certo banco molto autorevole e da un altro banco altrettanto autorevole si è chiesto che si esamini e risolva il problema della Cassazione regionale. Questo è un problema di carattere costituzionale perché importa il collegamento con tutte le organizzazioni dello Stato secondo la Carta costituzionale, che andiamo elaborando.

Allora penso che non ci dobbiamo affrettare a decidere sulla proposta dell’onorevole Targetti, che deve segnalare una tendenza a ridurre, con maggiore rigore di forbici, le norme ivi formulate; non una proposta complessiva che, se noi votassimo, potrebbe importare da parte nostra una votazione non meditata e non responsabile.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Anch’io sono di opinione che non si possa sopprimere in blocco questa serie di articoli perché vi sono effettivamente alcuni principî di carattere nettamente costituzionale. Uno, per esempio, è quello che non può essere soppressa la garanzia di giurisdizione contro determinati atti del potere esecutivo.

Durante il periodo fascista era divenuta quasi una clausola di stile, ogni qual volta il potere esecutivo prendeva delle deliberazioni arbitrarie, nel senso della loro illegittimità rispetto all’ordinamento giuridico, di iscrivere nella legge che contro i provvedimenti della tale direzione generale o della tal’altra determinata commissione non sono ammessi ricorsi e impugnative di qualsiasi genere né in linea giurisdizionale, né in linea amministrativa.

Ora, se si crede, come io penso, di affermare il principio di cui all’articolo 103 del progetto è indiscutibile che il suo posto è quello della Carta costituzionale.

Si domandava ancora l’onorevole Targetti come potrebbe mai accadere che ad una sentenza divenuta definitiva si togliesse il suo carattere di atto esecutivo. Io non so se sia assolutamente impossibile il formulare molte ipotesi, ma la prima, proprio degli ultimi mesi, di quest’ultimo periodo di tempo, è quella per cui molte sentenze di sfratto, divenute perfettamente esecutive e non più suscettibili di alcun rimedio, sono state dichiarate sospese nella loro efficacia ed annullate nella loro sostanza da provvedimenti di legge successivi, solo perché non fossero state ancora eseguite. Ed è divenuto normale che si dica: se l’affittuario, se l’inquilino è ancora in possesso del fondo o della casa, anche la sentenza di sfratto perde ogni valore e si applicano le disposizioni della presente legge.

Ora, se eventualmente la Carta costituzionale risulterà giuridicamente rigida e costituirà un vincolo anche per il legislatore, in determinati casi, questi esempi spiccioli che ho ricordato in contraddizione del valore della sentenza definitiva saranno resi impossibili proprio dalle garanzie costituzionali congegnate in questa Carta.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Non voglio discutere se a norma di Regolamento si possa chiedere la soppressione di una intera sezione, ma io vorrei domandare all’amico onorevole Targetti se dopo che abbiamo discusso tutta la Costituzione e di volta in volta abbiamo effettivamente disposto per l’eliminazione di alcuni articoli, o di alcune parti di articoli, perché mai proprio e solo per questi cinque articoli noi dobbiamo rifiutarci di fare una serena discussione dalla quale per taluni potrà derivare la soppressione richiesta mentre per altri potrà risultare l’opportunità di mantenerli. Vorrei rivolgere un caldo invito all’onorevole Targetti perché ritiri la sua proposta con l’intesa che giudicando i singoli articoli voteremo la soppressione dove essa possa sembrare opportuna.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Targetti se conserva la sua proposta.

TARGETTI. La ritiro senz’altro, perché l’avevo presentata con la speranza (che è andata subito delusa) che incontrasse il parere, non dico unanime, perché tanto non si può pretendere, ma per lo meno di gran parte dell’Assemblea. Devo però dire che in questa opposizione mi è sembrato vederci come l’attribuzione di un secondo proposito, nel senso cioè che la mia proposta fosse inspirata da contrarietà al contenuto di tutte queste norme. Ebbene questo non corrisponde a verità. Tant’è vero che io mi proponevo di presentare all’approvazione dell’Assemblea un ordine del giorno che spiegasse come il ritiro di questi articoli non significava in nessun modo sconfessione di alcuni principî che negli articoli stessi sono consacrati.

Ma vedendo che nell’insistere nella mia proposta di abbreviare la Carta costituzionale corro il rischio senz’altro di allungare, intanto, la discussione, la ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 11.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, sui recenti fatti di Calabria.

«Silipo, Gullo Fausto, Musolino, Mancini, Priolo».

«Al Ministro dell’interno, sui fatti di Bisignano in provincia di Cosenza, dove un morto e parecchi feriti sono stati vittime del terrore premeditatamente diffuso dagli agrari più arretrati e più gretti della provincia.

«È davvero doloroso che all’ostinata trascuranza del Governo nei rapporti di quelle popolazioni patriottiche e tranquille si aggiunga ora la violenza e lo spargimento di sangue, che crea lutti, spreme lacrime e scava solchi profondi di irritazione e di protesta.

«Mancini, Priolo, Gullo Fausto, Silipo».

«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere che cosa intenda fare di fronte alla vasta agitazione di insegnanti medi ed elementari, pur sinceramente repubblicani, i quali lamentano che l’articolo 3 della legge 13 dicembre 1946 imponga ad essi una formula di giuramento che non tiene nessun conto della particolare posizione dell’insegnante e lo eguaglia agli impiegati amministrativi dello Stato, mentre per i professori universitari, che pur svolgono la stessa missione, è addirittura escluso il giuramento.

«Preti, Binni».

Interesserò i Ministri competenti affinché facciano sapere al più presto quando intendano rispondere a queste interrogazioni.

DI FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI FAUSTO. Chiedo quando il Governo intende rispondere ad una mia interrogazione urgente sulle condizioni degli italiani in Albania.

PRESIDENTE. Il Ministro degli esteri mi ha comunicato che risponderà non appena sarà in possesso di elementi di giudizio sui fatti denunciati.

Presentazione di una relazione.

PARATORE. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARATORE. Mi onoro di presentare la relazione al seguente disegno di legge:

«Approvazione dello scambio di Note relative ai danni di guerra e all’articolo 79 del Trattato di pace effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, per conoscere per quali motivi non si dispone il sollecito ritiro, da parte dell’industria interessata, dell’olio al solfuro, dato che gli stabilimenti che producono tale olio hanno nei loro depositi notevoli quantità – che costituiscono immobilizzo di forti somme – mentre non possono continuare la produzione sia per mancanza di capitali che per insufficienza dei loro depositi. Di conseguenza non viene ritirata la sansa con grave danno anche per gli olivicoltori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere quali provvedimenti sono stati presi o si ritiene doveroso di prendere per aiutare le piccole e medie industrie in questa particolare congiuntura economica al fine di salvare l’efficienza di tali industrie e di non licenziare la mano d’opera impiegata. Tali fini debbono essere raggiunti contemporaneamente se si vuole per un verso tutelare l’ordine pubblico e per un altro assicurare una necessaria continuità al nostro ritmo produttivo.

«È chiaro che solo mantenendo costante tale ritmo di produzione o rafforzandolo si potranno condurre a buon fine gli effetti derivanti dalla presente politica economica anti-inflazionistica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere – a seguito della risposta data il 21 novembre 1947 con prot. D. 4543/A34/131 a precedente interrogazione – se ritenga conforme ad una pratica democratica e regolare il fatto che non si sia dato corso all’insediamento del dottor Giorgio Segre nelle funzioni di presidente della Giunta della Camera di commercio di Vercelli, cui fu nominato con decreto ministeriale del 10 maggio 1947, in base a generiche segnalazioni che non hanno riscontro, né riferimento in alcun fondato motivo; e per sapere se non ritenga gravemente pregiudiziale alle norme della democrazia e al prestigio del suo Ministero la linea di condotta adottata, che, in base alle dichiarazioni stesse dell’onorevole Ministro, non può supporsi fondata su altro che sulla posizione politica del dottor Segre, il quale, essendo in possesso di tutti i requisiti per la nomina, cui si fece luogo con decreto ministeriale del 10 maggio 1947, non sembra possa essere ritenuto inadatto per il fatto di essere notoriamente esponente del Partito socialista italiano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacometti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se ed in che modo intende provvedere perché le pratiche per la liquidazione delle pensioni siano definite con maggiore sollecitudine.

«La maggior parte di coloro che hanno inoltrato la domanda di pensione vivono in gravi ristrettezze e lamentano la lentezza con la quale le pratiche sono decise. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camposarcuno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se, in dipendenza degli assalti e saccheggi che, ad opera dei partiti di sinistra, si sono svolti nella provincia di Imperia contro le sedi del Partito dell’uomo qualunque di Porto Maurizio, San Remo e Bordighera:

1°) sono stati presi provvedimenti nei riguardi del questore, il quale non ha assunta alcuna iniziativa per prevenire le delittuose azioni ed ha lasciato tranquillamente transitare per ore camions carichi di faziosi armati, senza tempestivamente intervenire per evitare le devastazioni e senza preoccuparsi, dopo, di rintracciare e punire i responsabili facilmente identificabili;

2°) se si ritiene giusto e ammissibile che lo stesso questore abbia fatto ritardare per tre giorni la pubblicazione del manifesto che invitava i qualunquisti a non reagire alla violenza con la violenza, esortandoli alla calma e ad usare la sola arma della scheda contro gli avversari, mentre veniva immediatamente dato il consenso per l’affissione di un manifesto compilato dai partiti di sinistra, praticamente incitante a nuove violenze e reazioni ed incitante gli aderenti ai partiti di sinistra contro il Governo e gli altri partiti ed, in specie, l’Uomo qualunque. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per indurre la società «Sita» a ripristinare il servizio automobilistico San Fele-stazione Bella-Ulmo.

«L’interrogante fa presente che diversi paesi, per il mancato ripristino di detto servizio, sono privi di ogni mezzo di collegamento con la linea ferroviaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pignatari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, sull’episodio di intimidazione e di violenza verificatosi il 23 novembre nel comune di Taglio di Po, dove qualche centinaio di facinorosi irrompeva nei locali del municipio durante la seduta del Consiglio comunale ed imponeva al sindaco e ai consiglieri di allontanarsi dall’aula, tentando anche di imporre le dimissioni del sindaco.

«L’interrogante chiede, inoltre, di sapere quali provvedimenti siano stati adottati dall’autorità prefettizia e di pubblica sicurezza e quali quelli che intendono adottare per prevenire l’eventuale e prevedibile ripetersi di ulteriori episodi di violenza, evidentemente delittuosi, miranti ad impedire il legittimo funzionamento di una amministrazione democraticamente eletta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Villani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali temperamenti intenda adottare nei confronti dell’attuale sistema di tassazione dei contributi unificati in agricoltura, i quali – per la loro onerosità – spingono all’evasone e favoriscono la disoccupazione, ed inoltre considerano quali datori di lavoro molti piccoli proprietari o mezzadri, che non soltanto non assumono mai salariati, ma che prestano essi stessi saltuariamente la loro opera presso terzi, e sono ingiustamente a carico dei concedenti il fondo anche qualora siano assunti dai mezzadri, ai quali invece in quota dovrebbero essere accollate le spese di assicurazione. Sperequazioni, infine, di notevole entità si riscontrano nelle ripartizioni per ettaro-coltura, senza tener conto dei minori redditi relativi alle zone collinari e montane; e nel riferimento che per la tassazione si fa a ruoli non aggiornati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga opportuno intervenire nei confronti della ditta concessionaria della tramvia Cuneo-Borgo San Dalmazzo-Demonte, che pur avendo dovuto e potuto a suo tempo rinnovare il materiale rotabile antidiluviano, che è ancora attualmente in funzione, non provvede neppure a quelle spese di ordinaria amministrazione, che consentano almeno un minimo di sicurezza e di comodità per i viaggiatori. Detta linea serve una delle più ridenti vallate del Cuneese, il cui sviluppo turistico ne rimane inceppato, mente un aumento di corse giornaliere e un miglioramento del materiale non graverebbe le spese di esercizio, che si potrebbero facilmente ammortizzare anche per il notevole flusso di trasporti di legname dalla zona montana verso la pianura, che oggi debbono effettuarsi quasi esclusivamente mediante autocarri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguilo della discussione):

Presidente

Targetti

Grassi

Federici Maria

Rossi Maria Maddalena

Canepa

Rossi Paolo

Perrone Capano

Targetti

Leone Giovanni

Musolino

Calosso

Colitto

Mastino Pietro

Adonnino

Persico

Abozzi

Carboni Angelo

Caccuri

Romano

Murgia

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Laconi

Condorelli

Corbino

Conti

Mastrojanni

Mannironi

Bellavista

Disegni di legge (Presentazione):

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Presentazione di una relazione:

Martino Gaetano

Presidente

La seduta comincia alle 11.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Cairo, Ghidini e Gui.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Passiamo all’esame dell’articolo 98. Se ne dia lettura:

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«I magistrati sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su designazione del Consiglio Superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da tirocinio. Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario.

«Il Consiglio Superiore della Magistratura può designare per la nomina magistrati onorari in tutte le funzioni attribuite dalla legge giudici singoli; e può designare all’ufficio di Consigliere di cassazione professori ordinari di materie giuridiche nelle Università ed avvocati dopo quindici anni d’esercizio».

A questo articolo sono stati presentati diversi emendamenti.

Gli onorevoli Carpano Maglioli e Targetti hanno proposto di sopprimere l’articolo.

Onorevole Targetti, mantiene l’emendamento?

TARGETTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. I seguenti emendamenti devono intendersi assorbiti dalle votazioni di ieri:

«Sostituirlo col seguente:

«Le assunzioni, le promozioni, i trasferimenti, la disciplina e tutto quanto concerne il governo della magistratura e dei funzionari ed ausiliari dell’ordine giudiziario rientrano nell’esclusiva competenza del potere giudiziario, che la esercita col Consiglio Superiore della Magistratura».

Mastino Pietro.

«Sostituirlo col seguente:

«Le nomine, le promozioni, i trasferimenti e la disciplina dei magistrati spettano al Consiglio Superiore della Magistratura».

Costa.

L’onorevole Grassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«I magistrati sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica in base a concorso. Possono essere anche assunti in Magistratura, previa deliberazione del Consiglio Superiore, professori ordinari di materie giuridiche nelle Università ed avvocati dopo 15 anni di esercizio, in considerazione di meriti eminenti nel campo del diritto e dalla pratica giudiziaria.

«La nomina dei magistrati onorari, in tutte le funzioni attribuite dalla legge ai giudici singoli, è consentita in conformità dell’ordinamento giudiziario».

GRASSI. Lo ritiro, e aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Castiglia ha già svolto il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo la parola: tirocinio, inserire le seguenti: È fatta eccezione per i conciliatori».

L’onorevole Adonnino ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo la parola: tirocinio, aggiungere:

«Secondo le norme stabilite dall’ordinamento giudiziario. Ai concorsi per le giurisdizioni speciali saranno ammesse le categorie che abbiano formazione psicologica e culturale adatta. I vincitori, entrando in Magistratura, dovranno completamente e definitivamente lasciare l’Amministrazione di origine.

«Alla Magistratura fiscale si può essere ammessi senza il concorso, su designazione del Consiglio Superiore della Magistratura, e per tempo determinato, secondo le norme stabilite dalla legge sull’ordinamento giudiziario».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Federici Maria ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario».

Ha facoltà di svolgerlo.

FEDERICI MARIA. Vorrei rassicurare l’onorevole Villabruna (che mi pare non sia presente) e quanti altri siano caduti con lui nello stesso errore, che l’emendamento da me proposto, e cioè la soppressione del comma dell’articolo 98: «Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario» non tende a precludere alla donna la via della Magistratura; al contrario tende ad aprirla, a spianarla.

Veramente, dopo aver sostenuto, insieme con le mie colleghe e con non meno fervore di esse, i diritti della donna madre, della donna lavoratrice, della donna professionista, io non mi dovevo attendere che si volesse dare un senso così restrittivo e limitativo al mio emendamento.

Insisto su questo, perché si è verificato un caso singolare. Altri colleghi hanno proposto un emendamento a prima vista simile al mio, cioè un emendamento che tende alla soppressione del comma, con spirito nettamente contrario, cioè con la intenzione di non parlare neppure del diritto della donna ad accedere alla Magistratura.

Perché allora ho presentato questo emendamento? L’ho presentato perché, per quanto riguarda i diritti della donna, io mi ritengo paga di quanto abbiamo stabilito nell’articolo 48. Infatti nell’articolo 48 – forse è necessario che io lo ricordi – abbiamo stabilito che tutti i cittadini di ambo i sessi possono accedere alle cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

È ben vero che l’articolo 48 sta sotto il Titolo IV «Rapporti politici», ma non v’è dubbio che, votandolo, l’Assemblea non ha dato ad esso, in nessun modo, valore restrittivo o significato particolare. Né è men vero che, parlando nell’articolo 48 di uffici pubblici, non sia compresa fra essi la Magistratura, ché anzi fra gli uffici pubblici la Magistratura è ufficio pubblico per eccellenza.

Quando al Titolo, sotto il quale è compreso l’articolo 48, io penso che sia stato meglio comprendere i diritti tutti sotto il Titolo IV, perché quella era la sede più adatta per un’affermazione che investe tutta la capacità di diritto sotto ogni aspetto.

Onorevoli colleghi, durante la discussione su questa parte dell’articolo 98, che particolarmente mi sta a cuore, abbiamo inteso voci intonate e voci stonate, voci favorevoli e voci sfavorevoli; abbiamo sentito portare innanzi argomenti così triti e così superficiali da generare, almeno in me, un senso di mortificazione. Abbiamo sentito citare argomenti di puro valore accademico, che molto spesso mi hanno fatto ripensare a quella accolta di illustri accademici che perse il suo tempo per discutere se un pesce vivo pesasse più di un pesce morto! Si trattava di fare una semplice prova e di rimettersi alla bilancia.

Ora anche qui, onorevoli colleghi, facciamo la prova, vediamo se la donna è veramente in grado di coprire le cariche che sono inerenti all’alto esercizio della Magistratura. A tutto quanto è stato detto, io potrei rispondere che una raffinata sensibilità, una pronta intuizione, un cuore più sensibile alle sofferenze umane e un’esperienza maggiore del dolore non sono requisiti che possano nuocere, sono requisiti preziosi che possono agevolare l’amministrazione della giustizia. Potrei rispondere che le donne avranno la possibilità di fare rilevare attraverso un lungo tirocinio la loro capacità; saranno sottomesse e sottoposte ai concorsi e a una rigida selezione. Le donne che si presenteranno a chiedere di salire i gradi della Magistratura devono avere in partenza (e li avranno) i requisiti che possono dare loro una certa garanzia di successo.

Non so invece che cosa rispondere a coloro i quali ci hanno proposto di imitare i modelli domestici. Prima di tutto è uno sbaglio psicologico, perché noi donne amiamo differenziarci fra noi sia pure nel dettaglio di un vestito o nel particolare di un ornamento, e se qualcuno che siede qui ha la propria moglie che in casa fa la calza, non ritengo questo un argomento valido per invogliare una donna che chieda una toga ad accettare anziché una toga una calza.

Se voi, onorevoli colleghi, stabilirete una norma limitativa nella nostra Costituzione per quanto riguarda il diritto della donna di accedere alla Magistratura, commetterete molti errori. Rileggete, onorevoli colleghi, quanto siete andati dicendo nel corso di questi nostri lavori, contate quante volte avete parlato di libertà civili, di parità di diritti, di uguaglianza di diritti, senz’altra discriminazione all’infuori di quella stabilita dalla legge e limitata alla incapacità naturale o legale. Lo avete fatto per logomachia, Dio vi perdoni, o per ansia di rinnovare sotto il segno della giustizia il nostro Paese, la vita sociale italiana? Commetterete un grave errore, e prima di tutto entrerete in contraddizione con voi stessi, poiché voi non soltanto nell’articolo 48 avete parlato di parità di diritti, ma nell’articolo 3 voi avete stabilito che: «I cittadini, senza distinzione di sesso, di razza e lingua, di condizione sociale, di opinioni religiose e politiche, hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge». Ed avete anche aggiunto che: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il completo sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale dello Stato».

Entrerete, dunque, in contradizione con voi stessi. In più infirmerete la Costituzione, poiché mentre nell’articolo 48 voi rimettete tutto alla legge, nell’articolo 98 voi rimettete la definizione della materia che ci interessa a un ordinamento come supremo regolatore ma anche modificatore di una norma generale. Voi offendete inoltre la giustizia, poiché nell’articolo 31 la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto, e l’articolo conclude con l’affermazione che

«ogni cittadino ha il dovere di svolgere un’attività o una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta». Che cosa sta per diventare, per la vostra volontà negativa, questo diritto e questo dovere, per quanto riguarda la donna?

Sono argomenti, dunque, che voi avete già considerato; è una affermazione solenne che voi avete già fatto e che ora vorreste annullare. Quando noi parliamo della donna magistrato noi dobbiamo evidentemente sottintendere una vocazione; vocazione, sì, sia pure per andare soltanto a difendere il fanciullo colpevole, sia pure per intendere meglio i gravi dolori che hanno potuto spingere una donna fino alle soglie del delitto. Che cosa potrete obiettare contro questa vocazione? Inoltre, onorevoli colleghi, a me pare che il diritto di farsi giustizia da sé, che ogni uomo possiede, ma che ogni uomo, ad un certo momento, trasferisce ad un altro uomo, mi fa considerare che la donna deve avere anche essa il diritto di trasferire a chi vuole il diritto di farsi giustizia. Non può accettare da voi il giudice che voi volete; deve poterlo scegliere. (Applausi a sinistra).

Vorrei anche dire – e specialmente ai colleghi del Partito al quale mi onoro di appartenere – che se una donna ha ricevuto dalla Provvidenza talenti speciali, che la Provvidenza è ben libera di seppellire in un cervello femminile, quale diritto avete voi per impedire che questa donna possa sfruttare i talenti che ha ricevuto e che è suo dovere mettere a profitto? Quale fondamento hanno dunque i vostri timori? Le esperienze passate non sono contro la donna. In quei Paesi dove la donna è stata ammessa nella Magistratura, essa ha fatto eccellentemente la sua prova. Di che cosa avete paura? Ricordatevi che tutte le moderne Costituzioni non fanno più restrizioni in questo senso. Ricordate che la Francia ha detto chiaramente che alla donna sono accordati in tutti i campi gli stessi diritti che sono accordati agli uomini. Volete forse voi che la patria del diritto sia al di sotto degli altri Paesi, anche di minore civiltà di quella italiana? Ed allora, onorevoli colleghi, la severità della carriera farà cadere le incapaci, non temete. Ma salutate fin d’ora, onorevoli costituenti, quella donna che, anche per vostro merito, salirà per prima ad amministrare la giustizia, con coscienza virile, illuminata, sorretta e riscaldata da un cuore femminile. (Vivi applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:

«Al primo comma, sopprimere le parole: Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario».

Villabruna, Badini Confalonieri.

«Al primo comma, sopprimere le parole: Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario»

Ruggiero Carlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Geuna:

«Al primo comma, sopprimere le parole: possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Bianchi Bianca:

«Al primo comma sopprimere le parole: nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Merlin Angelina:

«Al primo comma, sopprimere le parole: nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Segue l’emendamento delle onorevoli Mattei Teresa e Rossi Maria Maddalena:

«Al primo comma, sostituire il secondo periodo col seguente:

«Le donne hanno diritto di accesso a tutti gli ordini e gradi della Magistratura».

Non essendo presente l’onorevole Mattei Teresa, ha facoltà di svolgere l’emendamento l’onorevole Rossi Maria Maddalena.

ROSSI MARIA MADDALENA. Onorevoli colleghi, all’articolo 98 noi abbiamo proposto questo emendamento: «Le donne hanno diritto di accesso a tutti gli ordini e gradi della Magistratura».

Così emendato, il secondo comma dell’articolo 98 diventa un corollario logico dell’articolo 48, nel quale è affermato il diritto della donna ad accedere a tutte le cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza rispetto agli uomini.

Voler limitare o addirittura vietare l’accesso delle donne alla Magistratura, come è nello spirito dell’articolo nel testo del progetto e come ancor più chiaramente è nelle intenzioni di alcuni colleghi, secondo quanto è emerso nel corso del dibattito su questo Titolo, contraddice e alla lettera e allo spirito dell’articolo 48.

L’Assemblea non vorrà dare una prova così palese di incoerenza.

Il problema fu posto quasi negli stessi termini nella Costituzione francese. Tanto nella prima Costituzione del 1946, quanto nel preambolo della seconda è enunciato il principio:

«La legge garantisce alla donna, in tutti i campi, diritti uguali a quelli dell’uomo». Ed ecco la legge 11 aprile 1946 n. 46-643 enunciare nel suo unico articolo:

«Ogni francese, dell’uno o dell’altro sesso, avente i requisiti legali, può accedere alle funzioni della Magistratura».

Tutto è semplice e chiaro. Se noi chiediamo oggi all’Assemblea Costituente italiana di risolvere nello stesso modo un problema che si presenta a noi negli stessi termini, non le chiediamo di compiere un atto rivoluzionario. Noi non faremo altro che questo: raggiungere, non la Francia soltanto, ma le numerose nazioni che ci hanno preceduto su questa via.

Ancora prima della seconda guerra mondiale, le donne erano infatti ammesse senza restrizione alcuna all’esercizio della Magistratura nei seguenti Paesi: nell’Unione Sovietica, anzitutto, e questo è naturale, negli Stati Uniti, in Cecoslovacchia, in Finlandia, Danimarca, Norvegia, Turchia, Brasile, Cuba, Cile, Honduras. Anche in Australia, nel Canada e nella Nuova Zelanda le donne sono ammesse alla Magistratura, ma limitatamente alle funzioni di giudice di pace. In Polonia prima della guerra erano già ammesse a giudicare nei tribunali dei minorenni, e la prima donna che esercitò questa funzione, la signora Gabinska, effettuò anzi allora un giro di conferenze in numerosi paesi d’Europa, ove ottenne un immenso successo esponendo le proprie esperienze di magistrato. Recentemente è stato riconosciuto alle donne il diritto di accesso alla Magistratura senza restrizioni in tutta una serie di Stati democratici, dalla Jugoslavia alla Cina e perfino al Giappone.

Perciò noi non possiamo non meravigliarci del tono che il dibattito ha assunto a questo proposito in seno all’Assemblea, dei dissensi che vi si sono manifestati e della volontà espressa da parte di alcuni colleghi di non tener conto alcuno dell’articolo 48, venendo così meno allo spirito di giustizia al quale l’Assemblea, approvandolo, si è ispirata. La donna, in Italia, gode di tutti i diritti politici, è elettrice ed eleggibile; può partecipare alla direzione degli Affari dello Stato, anche se, in pratica, l’esperienza dei quattro Governi De Gasperi ci abbia dimostrato che la Democrazia cristiana non intende tenerne alcun conto. Noi siamo però certi che in avvenire le donne parteciperanno al Governo anche in Italia, così come recentemente è avvenuto in altri Paesi democratici, fra cui la Francia e la Romania.

Già in seno a quest’Assemblea noi partecipiamo a discussioni e a decisioni che investono non il destino di singole persone, ma quello di tutto il nostro popolo. Noi abbiamo quindi occasione di emettere giudizi che hanno immenso valore, mentre, secondo alcuni colleghi, noi non avremmo il diritto di partecipare a giudizi che riguardano una sola persona o fatti d’importanza infinitamente minore.

Il diritto di partecipare all’amministrazione della giustizia, noi lo rivendichiamo tanto nel campo del diritto civile quanto in quello del diritto penale. Una donna può possedere un proprio patrimonio, può esercitare un commercio, è fattore essenziale nel processo produttivo. Lo sviluppo economico della società moderna ha posto e pone quotidianamente di fronte alla Magistratura una serie di problemi complessi e delicati, in cui la donna è coinvolta quanto l’uomo. Perché non dovrebbe essa avere il diritto di concorrere ad emettere giudizi allo stesso titolo?

Ma la donna non ha soltanto il diritto di partecipare alla amministrazione della giustizia, essa ne ha anche il dovere, in determinati campi, come quello dei tribunali dei minorenni, nell’interesse della stessa giustizia.

Ad un Convegno internazionale tenutosi recentemente a San Remo, il Presidente del Tribunale dei minorenni di Milano, Domenico Medugno, ed il dottor Colucci, capo dell’Ufficio per lo studio dei problemi minorili presso il Ministero della giustizia, affermarono concordemente che la giustizia italiana non può più privarsi dell’aiuto della donna in questo settore.

E così in quello che riguarda la difesa della famiglia e quindi nel campo del diritto penale.

Si è parlato di divergenze, che sarebbero, secondo alcuni, fattore di turbamento in seno ai collegi misti giudicanti, rese più acute dalla presenza delle donne, a causa del loro diverso modo di sentire. Secondo noi ciò torna a vantaggio dell’esattezza del giudizio, che risulta da un esame più largo e più completo delle cose. Il fatto è cioè esaminato da ogni punto di vista e sotto ogni profilo: proprio per questo, se non sbaglio, esiste il giudice collegiale. E quindi le argomentazioni dei nostri oppositori non reggono.

La nostra profonda convinzione sulla idoneità della donna, proprio per le sue particolari doti, a partecipare all’amministrazione della giustizia non è stata scossa nemmeno dagli altri argomenti che gli oppositori hanno citato a sostegno della loro tesi. Durante il dibattito ci è anzi sembrato riecheggiassero gli stessi luoghi comuni di cui si servirono gli oppositori di Lidia Poët, quando, circa 70 anni or sono, esercitata la pratica, pretese il diritto di vestire la toga e chiese l’iscrizione all’Ordine degli avvocati di Torino. La sua richiesta fu in un primo tempo accolta da quel Consiglio dell’ordine, ma suscitò polemiche senza fine. Due consiglieri indignati si dimisero, e non so se uno di essi non fosse per caso parente dell’onorevole Villabruna. Ad ogni modo, la Corte di Appello di Torino, con sentenza 9 agosto 1883, revocò il provvedimento.

Le stesse polemiche si riaccesero nel 1912 intorno al nome di una donna eletta, Teresa Labriola, la quale non ebbe migliore sorte di quella toccata alla Poët trent’anni prima.

Soltanto con la legge 17 luglio 1919 fu riconosciuto alle donne il diritto di esercitare la professione di avvocato e di procuratore legale. Si avverava così la profezia di Domenico Giuriati il quale, durante le polemiche citate, aveva detto: «Il mondo cammina: l’ultima parola è riservata al prossimo avvenire».

Una prima, grande vittoria fu dunque riportata nel 1919 con la conquista da parte della donna del diritto di vestire la toga; vittoria contro lo spirito di conservazione che si faceva scudo degli stessi luoghi comuni sul temperamento inadatto a pronunciare giudizi, sulla mancanza di autorità e sulla suggestionabilità femminili. Luoghi comuni che non tornano ad onore di chi li ha riesumati in quest’occasione.

Dopo tante prove mirabili date dalle donne italiane in questi anni tempestosi, noi avremmo il diritto, onorevoli colleghi, di scandalizzarci che da parte di alcuni si contesti ancora alla donna il diritto di partecipare all’amministrazione della giustizia. Soprattutto quando si apprendono notizie come quelle riportate recentemente dai giornali circa certe sentenze emesse da nostri magistrati in applicazione del decreto di amnistia, dalle quali risulta che sottoporre un patriota, per indurlo a parlare, a scariche elettriche al capo per mezzo di una specie di telefono da campo non costituisce sevizia. Oppure, tra le molte altre del genere, quella sentenza pronunciata in Cassazione, che riguarda un famigerato capitano delle brigate nere, un certo Progresso, il quale abbandonò una donna, una patriota, alle violenze di non so quanti dei suoi sgherri, dopo averle bendato gli occhi e legato le mani. Questo, secondo un magistrato, non costituisce sevizia, no, ma soltanto oltraggio al pudore, e quindi reato soggetto ad amnistia. Ebbene, nessuna donna al mondo, mai, sarebbe capace di pronunciare un simile giudizio, avvilire la giustizia fino a questo punto! Sono sentenze, queste, che offendono la legge nella lettera e nello spirito, sentenze che offendono l’umanità, la civiltà!

Una voce al centro. È la legge per l’amnistia che fu fatta male! (Commenti a sinistra – Interruzione del deputato Tonello).

ROSSI MARIA MADDALENA. È vero invece, onorevoli colleghi, che le qualità di sensibilità, di intuizione, di tenacia, di pazienza, di coscienza, il senso di umanità che spesso si riscontrano nella donna, uniti alla conoscenza profonda del diritto, troverebbero un impiego infinitamente utile nel campo della Magistratura.

Lo comprese Guglielmo Shakespeare 350 anni or sono. Voi ricorderete certamente la singolare vicenda che portò di fronte alla Corte di giustizia di Venezia un usuraio, Shylock, il quale avrebbe voluto, in nome della legge, commettere un delitto a danno di un mercante suo debitore. Un caso veramente singolare, a giudicare il quale Shakespeare richiede un giudice dotata di finezza, di cuore, d’intelligenza ed onestà, un giudice che amministri la giustizia vera, onorevoli colleghi, la giustizia dello spirito della legge e non della lettera soltanto. Questo magistrato è una donna, Porzia, la quale salva, insieme con la maestà della legge, la vita di un innocente e domina alla fine, con la sua sottile ed umana misericordia, il malvagio usuraio. Rileggano gli onorevoli colleghi le parole che Porzia pronuncia nell’aula del tribunale di Venezia allorché Bassanio le chiede di violare, per una volta, la legge, perché non sia permesso commettere in suo nome un delitto «Nessuna autorità in Venezia – risponde Porzia – potrebbe modificare una legge in vigore. Ciò sarebbe invocato come un precedente e, per quell’esempio, molti abusi s’infiltrerebbero nello Stato. Non è possibile».

Ricordate la sua saggia sentenza e le parole che essa rivolge a chi, dopo il giudizio, vorrebbe compensarla col denaro.

«È ben ricompensato chi è ben sodisfatto; ed io sono soddisfatta di avervi liberato…», cioè di aver fatto trionfare la giustizia, «quindi, ritengo di essere ben ricompensata. Il mio animo non è mai stato finora più mercenario di così».

E infine la carità, la clemenza: «La clemenza – dice Porzia – è più del potere scettrato. Essa ha il suo trono nel cuore dei re ed è un attributo di Dio stesso…». Così che il malvagio alla fine appare non domato soltanto, ma, forse, pentito, forse umanamente redento.

Trecentocinquant’anni fa Shakespeare affermava nella sua opera immortale che una donna può possedere le qualità del giudice. Trecentocinquant’anni dopo, nell’Assemblea Costituente italiana si contesta alle donne il diritto di partecipare all’amministrazione della giustizia, negando loro le qualità per farlo.

Ed ora, onorevoli colleghi, ancora un’ultima osservazione. Si è affermato qui che la giustizia è amministrata in nome del popolo. Due giorni or sono il Ministro Guardasigilli disse in quest’Aula che «il popolo partecipa sempre all’amministrazione della giustizia». Non è vero, onorevole Grassi, non è esatto: soltanto la metà del popolo italiano ha finora partecipato all’amministrazione della giustizia! Ma forse la sua affermazione significa che, condividendo la nostra tesi, anch’ella ritiene che, d’ora innanzi, la giustizia sarà veramente amministrata in nome di tutto il popolo italiano. Onorevoli colleghi, se negassimo alle donne l’accesso alla Magistratura, noi tradiremmo la fiducia della grandissima maggioranza di coloro, uomini e donne, che ci affidarono la tutela dei loro diritti. Ho fiducia che ciò non accadrà. Ma, se le parole di Domenico Giuriati dovessero ancora una volta rispondere alla decisione sfavorevole di quest’Assemblea, se un voto negativo fosse pronunciato oggi, ebbene, noi non desteremo certo dalla nostra battaglia. Resterebbe a voi il rammarico di non aver compreso in tempo.

Noi ci auguriamo però che il nostro emendamento sia approvato: vorremmo anzi che questa pietra miliare sulla via della libertà, del progresso, della giustizia sociale fosse posta oggi dalle mani concordi dei colleghi di tutti i settori dell’Assemblea Costituente. (Vivi applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Canepa e Pera hanno presentato il seguente emendamento:

«Dopo il primo comma aggiungere:

«I giudici conciliatori, competenti per le cause di lieve valore da determinarsi dalla legge, sono nominati, per ogni comune, dal pubblico ministero presso il tribunale nella cui giurisdizione il comune è sito».

L’onorevole Canepa ha facoltà di svolgerlo.

CANEPA. Io credo che la Commissione non possa non tener conto del concetto espresso nel mio emendamento, e credo che nessuno possa essere contrario alla vita dell’istituto del giudice conciliatore perché sarebbe un atto contro la giustizia popolare. Un operaio, un artigiano, un esercente di un piccolo villaggio, che abbia un credito modesto, ed il cui debitore sia moroso, come fa ad ottenere il pagamento del suo avere se deve ricorrere alla sede della Pretura, pagare avvocati, uscieri, carte bollate ecc.? Sarebbe costretto evidentemente a rinunciare al suo credito, per lui non vi sarebbe giustizia. Io credo che la nomina del giudice conciliatore per ogni comune dovrebbe essere fatta dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente; mi pare la cosa migliore, perché esclude la possibilità di intervento dei partiti, ed il procuratore della Repubblica presso il tribunale è sempre in grado di avere quelle informazioni che sono necessarie per fare una scelta che dia le maggiori garanzie.

PRESIDENTE. L’onorevole Sapienza ha presentato i seguenti emendamenti:

«Dopo il primo comma, aggiungere i seguenti:

«Il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione sono eletti dai magistrati della Repubblica per il tempo e con le modalità che saranno determinati dall’ordinamento giudiziario.

«Con le stesse modalità sono eletti il primo presidente ed il procuratore generale delle Corti di appello, da parte dei magistrati del distretto; il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica, limitatamente alle sedi dei capoluoghi di distretto, da parte dei magistrati del circondario».

Sapienza.

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«La giustizia civile e penale non può essere amministrata che da magistrati nominati a norma del primo comma del presente articolo; le funzioni di conciliatore sono esercitate dai notai secondo la circoscrizione territoriale assegnata all’ufficio notarile, onorificamente e con procedura speciale sommaria, nella quale sia consacrato il sistema del contradittorio.

«Nelle sedi giudiziarie dove esista una Università degli studi con Facoltà di giurisprudenza possono essere istituiti seminari giudiziari per la formazione spirituale e culturale dei giovani alle funzioni giudiziarie».

Sapienza.

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerli.

I seguenti emendamenti sono stati già svolti.

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura può designare all’ufficio di consigliere di Cassazione professori ordinari di materie giuridiche nelle Università ed avvocati di chiara fama dopo 25 anni di esercizio».

Abozzi.

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I giudici civili di pace e i pretori civili e penali saranno di nomina elettiva, secondo le modalità che verranno stabilite per legge. Il Consiglio Superiore della Magistratura può designare all’ufficio di consigliere di Cassazione professori ordinari di materie giuridiche nelle Università ed avvocati dopo quindici anni di esercizio».

Persico.

L’onorevole Cairo ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura può designare all’ufficio di consiglieri di Cassazione professori ordinari di materie giuridiche nelle Università ed avvocati aventi 25 anni di effettivo esercizio professionale, inscritti nell’albo speciale delle Magistrature superiori e previo parere dei competenti Consigli dell’Ordine».

Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

I seguenti emendamenti sono stati già svolti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura può designare per la nomina magistrati onorari limitatamente alle funzioni di vicepretore. Può designare all’ufficio di consigliere di Cassazione professori ordinari di materie giuridiche nelle Università italiane ed avvocati iscritti nell’albo degli esercenti in Cassazione da almeno dieci anni».

Castiglia.

«Sostituire la prima parte del secondo comma con la seguente:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura designa per la nomina i vicepretori e conciliatori onorari».

Rossi Paolo.

«Al secondo comma, alle parole: in tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli, sostituire le parole: nella funzione di giudice conciliatore».

Carboni Angelo, Lussu, Fietta.

«Sostituire la seconda parte del secondo comma col testo seguente: e può designare all’ufficio di consigliere di Cassazione professori ordinari di materie giuridiche nelle Università ed avvocati dopo 25 anni di esercizio professionale ed inscritti da almeno 10 anni nell’Albo speciale delle Magistrature superiori».

Sardiello.

«Al secondo comma, dopo le parole: può designare all’ufficio il consigliere di Cassazione; aggiungere: per meriti insigni».

Caccuri.

«Al secondo comma, sopprimere le parole: dopo 15 anni di esercizio».

Romano.

Gli onorevoli Ghidini, Filippini e Rossi Paolo hanno presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sopprimere le ultime parole: dopo 15 anni di esercizio».

Non essendo presente l’onorevole Ghidini, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Rossi Paolo.

ROSSI PAOLO. Lo mantengo e rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Perrone Capano ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire le parole: dopo quindici anni di esercizio, con le parole: dopo venti anni di esercizio».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Questo emendamento chiarisce, evidentemente, e precisa da sé il proprio testo; esso tende ad acquisire il contributo di una maggiore esperienza da parte dei componenti la Corte di Cassazione, che siano tratti dalle professioni forensi. Si è giustamente ricordato anche da altri oratori che il diritto è un campo così vasto che non pochi anni occorrono perché se ne acquisti una compiuta cognizione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Amadei e Bordon avevano presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire le parole: ed avvocati dopo quindici anni d’esercizio, con le seguenti: ed avvocati dopo almeno venti anni d’esercizio, nel numero massimo stabilito dalla legge».

Di questo emendamento l’onorevole Targetti ha presentato la seguente ultima formulazione:

«Sostituire la seconda parte del secondo comma col seguente:

«e può designare all’ufficio di consigliere di Cassazione, nei limiti e con le modalità di legge, professori ordinari di materie giuridiche nelle Università ed avvocati dopo cinque anni di iscrizione all’Albo speciale della Cassazione».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TARGETTI. Pochissime parole ad illustrazione di questo emendamento, tanto più che si riferisce ad un argomento che in pratica ha un’importanza relativa; il principio ne ha molta, ma la sua applicazione, almeno per il passato, è stata così eccezionale, da diminuire l’importanza dell’argomento stesso. Come l’Assemblea ricorda furono proprio eccezionalissimi i casi in cui un professore universitario o un avvocato furono chiamati a far parte della Cassazione.

Comunque, la norma figura ed io ritengo che sia necessario che essa venga accompagnata da alcune indicazioni, che devono rappresentare altrettante cautele.

Questo mio concetto viene espresso dalle parole: «nei limiti e con le modalità di legge».

Ritengo che la legge debba determinare i limiti e il modo dell’esercizio di questa facoltà che si attribuisce al Consiglio Superiore della Magistratura di inserire nella Cassazione elementi estranei alla Magistratura stessa.

Ma una limitazione ritengo opportuno venga stabilita fin da ora e fissata nella norma che si sta esaminando. Quando si ammette che avvocati possano essere chiamati a far parte della Cassazione ritengo che sia bene indicare un periodo di tempo minimo di iscrizione nell’albo speciale della Cassazione per la loro eleggibilità.

Potrebbe darsi il caso – ripeto, l’argomento ha più un’importanza dottrinale che pratica – potrebbe darsi il caso, che il Consiglio Superiore della Magistratura scegliesse un avvocato che avesse venti anni di professione, pur non essendo mai stato iscritto nell’albo speciale della Cassazione; donde la conseguenza strana che andasse a far parte della Cassazione un avvocato il quale non avrebbe mai avuto la possibilità neppure di comparire come patrono in un’aula della Cassazione.

Per questo propongo che sia messa la condizione dell’iscrizione almeno per cinque anni nell’albo dei patrocinanti in Cassazione.

Queste limitazioni le ritengo necessarie, come anche la fissazione di un limite massimo di tali nomine, nell’interesse specifico della Magistratura, perché i magistrati hanno ben diritto di vedersi cautelati e difesi da un pericolo lontano, sia pure, ma possibile, dal pericolo della immissione nella Cassazione di un tale numero di elementi estranei, da danneggiare le loro legittime aspettative.

PERSICO. Sono pochi cinque anni, occorrono dieci anni.

TARGETTI. Il collega Persico sa che, per essere iscritti nell’albo della Cassazione, occorrono almeno dieci anni di esercizio professionale.

PERSICO. Con la guerra il periodo di tempo fisso è diminuito.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Le nomine hanno luogo in base a concorso. Possono essere nominati magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli. Possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di Cassazione docenti ordinari di diritto nelle Università ed avvocati dopo 20 anni di esercizio».

In assenza dell’onorevole Conti, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Leone.

LEONE GIOVANNI. Lo mantengo rinunciando a svolgerlo.

PRESIDENTE. Sta bene. Gli onorevoli Gullo Fausto e Musolino hanno presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo la parola: tirocinio, aggiungere le seguenti: o in base al risultato delle elezioni nei casi e secondo i modi stabiliti dalla legge».

«Al secondo comma, sopprimere le parole:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura può designare per la nomina magistrati onorari in tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli».

L’onorevole Musolino ha facoltà di svolgerlo.

MUSOLINO. Lo mantengo, non solo per i motivi addotti dal compagno onorevole Gullo nel suo intervento in sede di discussione generale, ma anche per non precludere al futuro legislatore la possibilità di accettare il principio e introdurlo nella legge.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Leone Giovanni ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Per garantirne l’indipendenza lo Stato assicura al magistrato un particolare trattamento economico».

Ha facoltà di svolgerlo.

LEONE GIOVANNI. Onorevole Presidente, mi riservo di svolgerlo quando parlerò a nome della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Calosso ha presentato un emendamento del seguente tenore:

«Aggiungere il seguente comma:

«Sono istituiti i giudici di pace elettivi. La legge determinerà il modo della loro elezione e i limiti della loro competenza».

Ha facoltà di svolgerlo.

CALOSSO. Prendo la parola su questo argomento unicamente perché alla radio, ne «La voce della Costituente», insistetti a lungo su tale questione, in seguito a consigli di uomini di diritto.

Avevo soprattutto presente una pubblicazione del collega onorevole Persico, con prefazione di Vittorio Emanuele Orlando, che mi sembrò molto probante sotto questo riguardo.

Io mi domando perché il popolo lo si consideri naturaliter reationarius, cioè gli si neghi quasi per istinto quella fiducia che sovente poi conferiamo con tanta facilità ai duci, alla classe dirigente, la quale ci ha diretto in modo… così commendevole.

A me sembra naturale, onorevoli colleghi, che un atto di sovranità così importante venga esplicato da giudici di pace di nomina elettiva. Sarebbe infatti, in tal modo affermato il principio che il nostro popolo è un popolo civile, europeo, da non trattarsi con il disprezzo con cui alle volte la nostra classe diligente lo tratta, come fosse un popolo negro.

Sarebbe una cosa, a mio parere, importante, anche perché i giudici di pace ci sono in tanti paesi ordinati. Ma c’è poi un altro punto di vista, quello dell’indipendenza della Magistratura, di cui tanto si è discusso da noi in questi ultimi giorni. Non essendo io un uomo di legge, non mi periterò di confessarvi che non ho ben inteso che cosa si sia veramente fatto al riguardo. Si è detto, sì, che la Magistratura è indipendente, ma è evidente che certe cose non basta soltanto affermarle: che la Magistratura dovesse essere indipendente non poté negarlo neppure Mussolini. Noi sappiamo invece che l’indipendenza è una conquista interna, una conquista quindi la quale implica una capacità: è come salire una montagna, è una cosa difficile. Cosa abbiamo fatto dunque noi per questa indipendenza? Io non l’ho inteso.

Ora, perché la Magistratura sia veramente indipendente, un vero metodo sarebbe quello, mi pare, di dare una radice elettiva a questo organo, in modo da far sì che esso riceva direttamente dal popolo la sua sovranità, derivi dal popolo quella forza stessa che hanno gli altri due poteri, il legislativo e l’esecutivo.

Io non vedo altro sistema. Naturalmente il fare elettivi i giudici di pace, questo rendere elettiva almeno la base della Magistratura, qualche inconveniente è innegabile che possa presentarlo. Io capisco che quelli che sostenevano il sistema inquisitorio o segreto di giudizio prima del Risorgimento, prima del partito liberale, di tipo Cavour, dirò così per intenderci – non quello che è in quest’Aula (devo pur dirlo) – non mancavano di una certa logica, perché c’è una maggiore esattezza tecnica se il popolo non sa quello che avviene; non c’è nemmeno l’influenza della opinione pubblica, e nemmeno dei rischi, fuorché il grande rischio di depotenziare un popolo e condurlo alla decadenza; non si corrono rischi tecnici. Ma è chiaro che noi non dobbiamo fare una legge che piaccia ai tecnici, in particolare agli avvocati. Bisogna anzi che abbiamo un po’ di sospetto verso gli avvocati, perché essi sono dei tecnici; i loro pareri hanno grandissima importanza, ma non possono essere decisivi.

So ci fossero alla base della Magistratura i giudici di pace elettivi, la Magistratura automaticamente prenderebbe dal popolo quella data forza per cui potrebbe guardare al potere esecutivo con un senso di indipendenza, di autonomia. Perciò, se noi vogliamo veramente questa autonomia, dobbiamo dare, direi così, alla Magistratura una base elettiva.

Il mio emendamento, molto moderato, non è altro che una copia di quello del mio amico Persico, da cui ho preso queste idee. Ma è semplicemente più moderato, per indurre più facilmente la Camera ad approvarlo. Se non adotterà l’emendamento Persico, che vuole giustamente anche i pretori elettivi, potrà forse accettare il mio per i giudici di pace elettivi.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: con decreto del Presidente della Repubblica, e le altre: seguito da tirocinio».

COLITTO. L’articolo 98 del progetto di Costituzione dispone che i magistrati sono nominati «con decreto del Presidente della Repubblica». Io propongo che queste ultime parole siano soppresse.

La difesa di questo mio emendamento soppressivo è affidata a due ragioni. La prima è che già nell’articolo 83 si è stabilito che il Presidente della Repubblica nomina i funzionari dello Stato, per cui le parole, di cui propongo la soppressione, costituirebbero una inutile ripetizione.

La seconda è che non la sola nomina dei magistrati ha luogo mediante decreto del Capo dello Stato, ma anche, ad esempio, la dispensa ed il trasferimento. Potrebbe ora sorgere il dubbio, dicendosi che i magistrati sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, che la dispensa o il trasferimento debbano, poi, aver luogo non con decreto del Presidente della Repubblica, ma in altro modo.

Ho anche proposto che siano soppresse le parole «seguito da tirocinio», in quanto mi sembra che le stesse accennino ad un dettaglio di non grande importanza, di cui non è opportuno che si parli in una norma costituzionale.

Ma, questo detto, io devo subito aggiungere che non ho ragione di insistere sulle mie proposte di emendamento, perché ho letto poco fa l’emendamento sostitutivo, che porta le firme degli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi. E, poiché in questo emendamento le parole di cui ho proposto la soppressione, sono state effettivamente soppresse, non ho nessuna difficoltà ad aderire al loro emendamento, rinunciando al mio.

PRESIDENTE. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti all’articolo 98.

Presentazione di disegni di legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha chiesto di parlare per la presentazione di disegni di legge. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. A nome del Ministro dell’interno, mi onoro di presentare il decreto del Capo provvisorio dello Stato che autorizza il ritiro del disegno di legge riguardante l’elezione dei membri della Camera dei deputati.

Presento, inoltre, il disegno di legge:

«Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, per l’elezione dei membri della Camera dei deputati».

PRESIDENTE. Do atto della presentazione del decreto di ritiro e della presentazione del disegno di legge, il quale ultimo sarà inviato alla Commissione competente.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Leone Giovanni per esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti all’articolo 98.

LEONE GIOVANNI. Il primo problema che si presenta all’attenzione della Commissione in sede di esame di emendamenti è quello che concerne l’assunzione delle donne nella Magistratura. Ci occupiamo quindi in concreto degli emendamenti delle onorevoli colleghe Federici Maria e Rossi Maria Maddalena.

Il testo proposto dalla Commissione non vuole costituire, così come è presentato ai voti, un limite alla introduzione delle donne nella Magistratura. Vuol soltanto contribuire a dare possibilità alla legge sull’ordinamento giudiziario – quando verrà affrontato questo nuovo problema – di organizzare la partecipazione delle donne in modo che sia più idonea ad un contributo degno della loro personalità.

L’articolo 48, in precedenza votato, ne parla. Stabilisce infatti la perfetta parità dei due sessi nei confronti dell’assunzione agli uffici pubblici e alle cariche elettive, e aggiunge: «secondo i requisiti richiesti dalla legge». Il che importa che, per ciascun settore dell’amministrazione, la legge che ne disciplinerà la vita e lo sviluppo dovrà tener conto della particolare adattabilità della donna ai singoli settori dell’amministrazione. Noi abbiamo voluto, con la formula proposta dal progetto, ripetere in questa sede quella stessa possibilità di adattamento della partecipazione della donna all’amministrazione della giustizia.

Ciò premesso, mi pare che la Camera non debba drammatizzare questo problema, e che possiamo tutti convenire su questo punto di vista: libera introduzione della donna nella Magistratura; mentre si lascia all’ordinamento giudiziario la facoltà di adeguare le funzioni della donna ai gradi della Magistratura più conformi al suo proficuo rendimento.

ROSSI MARIA MADDALENA. La donna deve partecipare a tutti gli ordini e gradi della Magistratura.

LEONE GIOVANNI. Questo è un problema sul quale la Commissione non deve dire altro, rimettendo all’Assemblea ogni decisioni.

Dobbiamo rimandare poi – come ieri già decidemmo – all’esame dell’articolo 99 quella parte dell’emendamento presentato dall’onorevole Grassi che riguarda il trasferimento su domanda del magistrato, perché, come si ricorderà, l’onorevole Grassi propose ieri che, se i trasferimenti devono essere assegnati come competenza al Consiglio Superiore, quelli su domanda dei magistrati devono essere affidati al Ministro di giustizia. Poiché questo problema verrà più idoneamente in discussione a proposito della inamovibilità dei magistrati, la Commissione è d’accordo nel ritenere che in quella sede si debba riproporre il problema.

Il terzo problema veramente interessante e suggestivo, che purtroppo è venuto in discussione ed ha assunto maggiore ampiezza di discussane solo in questa sede, è quello che attiene all’elettività dei giudici.

Qui ci troviamo di fronte a tre gradi di proposte. C’è una proposta massima, che è contenuta nell’emendamento dell’onorevole Gullo. Detto emendamento rimanda in genere alla legge sull’ordinamento giudiziario la disciplina della elettività dei giudici, poiché quell’emendamento è così formulato: «o in base al risultato delle elezioni nei casi e secondo i modi stabiliti dalla legge». Con questo emendamento, in altri termini, si riconoscerebbe in misura ampia, senza alcun limite, la possibilità alla legge sull’ordinamento giudiziario di stabilire l’assunzione elettiva dei giudici.

Vi sono poi due diversi gradi di emendamenti di minore ampiezza; l’emendamento dell’onorevole Persico, nel quale si richiede che l’elettività sia limitata soltanto ai giudici conciliatori e ai pretori; e, in un ulteriore grado minore, l’emendamento dell’onorevole Calosso, col quale si chiede che l’elettività sia limitata soltanto ai giudici di pace, cioè ai giudici conciliatori attuali.

PERSICO. Un po’ più vasta.

LEONE GIOVANNI. Salvo il dettaglio: è un termine più storico che tecnico; ma siamo d’accordo nel volerci riferire alla giurisdizione più bassa.

Ora, la Commissione su questo punto non può dare alcun parere, perché la Commissione è stata soltanto oggi investita di questi emendamenti e non ha potuto quindi, in forma legale, poter predisporre un orientamento che possa esprimere all’Assemblea quello che è il suo pensiero. Ritiene, però, la Commissione, che la formulazione dell’emendamento degli onorevoli Conti e Perassi, al quale ho dato la mia modesta firma, corretto nei modi che dirò da qui ad un istante (la correzione è stata determinata dal desiderio di noi, presentatori dell’emendamento, di convogliare nel nostro la parte accettabile degli altri emendamenti), sia accoglibile; e che in essa, a nostro avviso, sia posta la valvola, il congegno perché la legge possa rendere elettive alcune Magistrature minori. In altri termini, poiché la legge sull’ordinamento giudiziario è quella che dovrà dare il complesso della risoluzione del problema giudiziario in Italia; poiché questa legge sarà di prossima emanazione – e penso che uno dei primi compiti del prossimo Parlamento sia quello di attendere alla legge che riguarda l’ordinamento giudiziario, perché senza l’approvazione di quella legge non potranno vivere ed essere messe in attuazione le norme, altamente innovativi, che abbiamo posto nella Costituzione; poiché è da augurarsi – anzi, a mio avviso, è certezza – che il prossimo Parlamento sarà sensibile a queste aspirazioni ad organizzare certe minori magistrature secondo talune esigenze; noi pensiamo che basti demandare alla legge sull’ordinamento giudiziario la disciplina di alcune magistrature minori.

Ora, il nuovo emendamento degli onorevoli Conti e Perassi, al quale ho dato anche la mia firma, stabilisce che la nomina dei magistrati avrà luogo in base a concorso. Nello stesso emendamento è ammessa, in conformità alla legge sull’ordinamento giudiziario, la nomina anche elettiva, di «magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli».

Con questo non diciamo: nomina dei magistrati onorari.

Possiamo anche sostituire altra espressione a quella di «magistrati onorari».

In altri termini, accanto al magistrato di carriera, dove esiste – come il pretore –, in sostituzione, dove non esiste – come il conciliatore – la legge sull’ordinamento giudiziario potrà o ricorrere ad altri criteri o mantenere il criterio attuale, per cui la nomina dei giudici onorari viene fatta da alcuni organi (dal presidente di Corte d’appello per il conciliatore; dal Ministro per il vicepretore); ma sappiamo che queste nomine in gran parte sono sensibili al dato politico, perché il presidente di Corte d’appello come il Ministro provvedono a queste nomine dopo larghe informazioni circa la capacità, l’idoneità, la probità, il disinteresse di certe persone.

Ora, la nuova legge sull’ordinamento giudiziario, in base a questa formula, potrà, con maggiore meditazione e con maggiore libertà di discussione, stabilire se sia il conciliatore, o il giudice di pace, e dirla con l’espressione dell’onorevole Calosso. Anzi con la nostra formula perfino il vicepretore ordinario può essere elettivo. Per quanto attiene a questi giudici da assumere fuori carriera, cioè senza il concorso, io anzi preferisco l’elettività alla nomina dall’alto. Preferirei, invece, se si dovesse mantenere la magistratura onoraria (contro la cui ammissione ho presentato un emendamento che ritiro), se questa magistratura deve sopravvivere, preferirei che sopravviva con la garanzia dell’elettività. Proveniente da questa fonte, mi pare che questa affermazione debba avere per la Camera un certo valore, essendo noto il mio orientamento contrario al principio generale dell’elettività dei giudici.

Il terzo comma dell’emendamento Conti-Perassi-Leone si occupa del problema dell’inserzione nella Magistratura dei professori ordinari di diritto e degli avvocati di chiara fama; in quanto è opportuno che la magistratura possa, in certi momenti, richiamare nel suo seno queste alte personalità del mondo forense e scientifico idonee a portare il loro contributo tecnico e scientifico.

Ed allora abbiamo formulato l’ultimo di questi tre commi nella seguente maniera: «Su designazione del Consiglio Superiore possono essere chiamati all’ufficio di consigliere di Cassazione, ecc. ecc.» e qui, facendo nostro l’emendamento Targetti, aggiungiamo: Riscritti all’albo speciale, ecc., ecc.».

VERONI. Si potrebbe dire esercenti.

LEONE GIOVANNI. No, esercenti non si può dire. Per lo meno si deve chiedere da parte di questi avvocati l’iscrizione in questi albi particolari, la quale dovrebbe importare per lo meno la presunzione di un attivo servizio professionale dinanzi alla Corte di cassazione.

Riteniamo che così, senza occuparci dettagliatamente di tutti gli emendamenti, la Commissione abbia espresso da una parte il suo parere per quanto attiene agli emendamenti più drastici; mentre, alcuni modesti membri della Commissione, in un loro emendamento – che vuole essere, più che altro, un emendamento di coordinamento di tutti gli orientamenti della Camera – hanno tenuto conto delle aspirazioni di più larga portata di parte di questa Assemblea. Riteniamo che possa quindi la votazione concentrarsi su questo emendamento, salvo a portare quelle rettifiche che voi riterrete opportune e che speriamo di accettare.

Esiste poi un emendamento mio personale (ma su questo punto la Commissione ha espresso il suo giudizio e cioè che non sia materia di Costituzione) che riguarda il trattamento economico particolare del magistrato. Questo problema può essere rimandato, a giudizio della Commissione, ad un ordine del giorno da formulare in questa sede.

Soltanto a titolo personale mi permetto insistere sul mio emendamento, perché ritengo che quando noi organizziamo la Magistratura come un ordine autonomo ed indipendente, così come abbiamo votato ieri, con una organizzazione al vertice della quale partecipa, sia pure in misura minima, il potere politico, quest’organo debba sentire in questa sede l’affermazione che merita un particolare trattamento economico il quale, non disconoscendo le necessità ed i bisogni di tutta la classe impiegatizia, riconosca questo dovere dello Stato di destinare al magistrato un trattamento economico che gli renda possibile l’indipendenza indispensabile nell’esercizio delle sue funzioni.

Pertanto, sotto questo aspetto, in questo punto, staccando la mia opinione personale da quella che è la responsabilità della Commissione, la quale già segnalava l’opportunità di trasferire questa preoccupazione in sede di ordine del giorno, io insisto su questo emendamento mio personale e ritengo che la Camera, nella sua altissima sensibilità, non vorrà negare alla Magistratura – quale che sarà, elettiva o di carriera – al corpo giudiziario, cioè a questo corpo a cui spetta la divina funzione dello Stato, una particolare segnalazione, che non è una provvidenza per i magistrati, ma è una garanzia per i cittadini, i quali, attraverso l’indipendenza economica del magistrato, possono vedere assicurata l’indipendenza della funzione.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Ho presentato e svolto il seguente emendamento come articolo 102-bis:

«Lo Stato garantisce l’indipendenza economica del magistrato e dei funzionari dell’ordine giudiziario». Lo sottolineo perché non vorrei che con la dichiarazione fatta dall’onorevole Leone, secondo la quale egli riduce la propria proposta concreta a un ordine del giorno, si intendesse esaurito l’argomento. Non intendo rinunziare a che sia messo in votazione il mio emendamento.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Ho distinto il giudizio della Commissione da quello mio personale. La Commissione è per il trasferimento nell’ordine del giorno. Io mantengo l’emendamento, anzi vorrei associarmi all’emendamento Mastino, perché sia fatta una sola votazione su questo problema.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, lei mantiene il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Lo mantengo, in quanto la sostanza risponde all’altro emendamento.

PRESIDENTE. Chiederò ai presentatori di emendamenti se li mantengono. Non essendo presente l’onorevole Castiglia, i suoi emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Adonnino, lei mantiene il suo emendamento?

ADONNINO. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. Dopo la presentazione del nuovo testo della Commissione, sono da considerarsi assorbiti gli emendamenti degli onorevoli Federici Maria, Villabruna, Ruggiero Carlo, Geuna. Gli emendamenti delle onorevoli Bianchi Bianca e Merlin Angelina erano soppressivi soltanto in parte: quindi penso si possano ripresentare i loro emendamenti con una formulazione positiva, considerato il nuovo testo che terremo a base delle nostre votazioni.

L’onorevole Rossi Maria Maddalena mi ha comunicato di mantenere il suo emendamento, trasformandolo in formulazione aggiuntiva.

Onorevole Canepa, mantiene il suo emendamento?

CANEPA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Sapienza, mantiene i suoi emendamenti?

PERSICO. Faccio miei i due emendamenti, non essendo l’onorevole Sapienza presente.

PRESIDENTE. Onorevole Abozzi, mantiene il suo emendamento?

ABOZZI. Accetto il testo della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Persico?

PERSICO. Mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Non essendo l’onorevole Cairo presente, il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Rossi Paolo?

ROSSI PAOLO. Mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Carboni Angelo?

CARBONI ANGELO. Mantengo l’emendamento.

PRESIDENTE. Non essendo l’onorevole Sardiello presente, si intende decaduto il suo emendamento.

Onorevole Caccuri?

CACCURI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Romano?

ROMANO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevoli Ghidini e Rossi Paolo?

ROSSI PAOLO. Manteniamo l’emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Perrone Capano?

PERRONE CAPANO. Mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene il suo ultimo emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Fausto non è presente.

MUSOLINO. Quale firmatario dell’emendamento, lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Calosso, mantiene l’emendamento?

CALOSSO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto?

COL1TTO. Lo mantengo.

MURGIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MURGIA. Avevo presentato un emendamento come articolo 94-bis, così formulato: «Norme speciali regolano il trattamento economico dei magistrati».

Io ero assente e chiedo ora che sia ripreso con la seguente aggiunta: «atte a garantirne l’indipendenza economica».

PRESIDENTE. Onorevole Murgia, se avesse assistito all’inizio della seduta di stamani, avrebbe sentito l’onorevole Leone, il quale si è molto diffuso su un emendamento analogo. L’onorevole Mastino Pietro ha richiamato ora altro emendamento analogo, presentato in precedenza. Pertanto, onorevole Murgia, il suo emendamento si allinea a quelli degli onorevoli Leone Giovanni e Mastino Pietro e ne seguirà la sorte.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Confermo che l’onorevole Leone, come egli stesso ha detto, ha parlato non come relatore, ma a titolo personale, per l’inserimento nella Costituzione della proposizione sul trattamento economico dei magistrati. Il Comitato ritiene che ciò non sia opportuno. Per due ragioni. La prima è che non ha nessun carattere costituzionale. La seconda è che, per quanto i magistrati siano una categoria che merita particolare riguardo, non si può parlare soltanto di loro per i miglioramenti economici necessari per tutti gli impiegati; e non si può affermare, solo per essi, che deve assicurarsi l’indipendenza economica.

Il Comitato propone che si voti un ordine del giorno, per segnalare questa particolare posizione dei magistrati, ma di non dedicarvi un articolo della Costituzione.

MURGIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MURGIA. Il mio emendamento si distacca dagli altri, in quanto tende a svincolare i magistrati, attraverso la riforma amministrativa della categoria, dagli altri impiegati statali, limitatamente, si intende, al trattamento economico. Non so concepire una indipendenza economica elettiva dei magistrati, senza sganciarne precedentemente la categoria da quelle di tutti gli altri impiegati statali, perché è ovvio – diversamente – che un miglioramento ai magistrati di una determinata categoria comporterebbe automaticamente un identico miglioramento a tutti gli altri impiegati non magistrati della stessa categoria.

In questo senso io ho formulato il mio emendamento sul quale insisto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prego gli onorevoli colleghi di non proseguire su questa via, di mettere nella Costituzione norme minute che non hanno nulla di costituzionale.

Siamo d’accordo che si debba sganciare le categorie dei magistrati dal parallelismo con quelle degli altri impiegati e funzionari dello Stato; ma non credo che se ne possa fare una norma costituzionale.

Questa nostra Costituzione ha già il difetto di essere troppo particolareggiata e minuta.

CACCURI. La proposta si riallaccia alla disciplina della indipendenza della Magistratura.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Altro è affermare il principio della indipendenza, altro è dire che le categorie degli impiegati statali e dei magistrati non devono essere parallele.

CACCURI. L’indipendenza economica è una forma di indipendenza.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Neppure quello dell’indipendenza economica è tema da inserire nella Costituzione. E tanto meno inserirlo pei soli magistrati. Se facessimo tale affermazione per essi solo, ne risulterebbe che per gli altri impiegati lo Stato non è obbligato ad assicurare la loro indipendenza economica! È un’esigenza elementare nei riguardi di tutti. Si pensi ai funzionari del genio civile, che devono avere i mezzi necessari per vivere e per non subire tentazioni pericolose. Io sono dispostissimo ad accettare un ordine del giorno il quale affermi due punti: la necessità di provvedere all’indipendenza economica dei magistrati, e di dare ad essi nel loro ordinamento giuridico, collocazioni e categoria distinte dagli altri impiegati. Mi oppongo nettamente, a nome del Comitato, che queste cose diventino un articolo della Costituzione.

PRESIDENTE. La formulazione definitiva dell’emendamento presentato dagli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi, accettato come testo base dalla Commissione, è la seguente:

«Le nomine dei magistrati hanno luogo in base a concorso.

«È ammessa, in confronto alla legge sull’ordinamento giudiziario, la nomina di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli.

«Su designazione del Consiglio Superiore possono essere chiamati all’ufficio di consigliere di cassazione: docenti ordinari di diritto nelle Università e avvocati dopo venti anni d’esercizio, iscritti nell’albo speciale dei patrocinatori dinanzi alle giurisdizioni superiori».

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Vorrei pregare i colleghi Leone e Conti di accettare questa formula: «la nomina, anche elettiva, di magistrato onorario, ecc.», lasciando immutato il resto. Ove questa nostra formula venisse accolta, io ed il collega Calosso ritireremmo i nostri emendamenti. Si tratta, in fondo, di una semplice possibilità.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accettiamo la formula proposta dall’onorevole Persico, nel senso (l’espressione potrà poi essere formalmente riveduta) che «la legge può ammettere la nomina anche elettiva» di magistrati onorari nei casi già indicati dal nostro testo.

PRESIDENTE. Cosicché la formula del testo verrebbe ad essere del seguente tenore: «La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli».

PERSICO. Naturalmente rinuncio al mio emendamento.

CALOSSO. Ritiro anche il mio.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passino alla votazione del primo comma del testo proposto dagli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi.

«Le nomine dei magistrati hanno luogo in base a concorso».

(È approvato).

Vi è ora l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Canepa così formulato:

«Dopo il primo comma aggiungere:

«I giudici conciliatori, competenti per le cause di lieve valore da determinarsi dalla legge, sono nominati, per ogni comune, dal pubblico ministero presso il tribunale nella cui giurisdizione il comune è sito».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Osservo all’onorevole Canepa, che secondo l’emendamento concordato con i colleghi Persico e Calosso, abbiamo stabilito una norma più vasta, perché abbiano ammesso anche l’elettività. Se mettessimo ora soltanto la formula suggerita dall’onorevole Canepa, verrebbe a cadere l’elettività. Quanto ha detto l’onorevole Canepa sull’esigenza che non si ricorra sempre al centro per le designazioni dei magistrati onorari nei gradi inferiori, può benissimo essere accolto in sede di legge sull’ordinamento giudiziario, ma metterlo ora nella Costituzione sarebbe troppo minuto e sembrerebbe eliminare la via elettiva, che vogliamo rendere possibile.

Con l’esplicita assicurazione che la legge sull’ordinamento giudiziario potrà prevedere nel senso da lui desiderato, pregherei l’onorevole Canepa di non insistere nel suo emendamento.

CANEPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEPA. La ragione per la quale io propongo di affidare la nomina al procuratore della Repubblica presso il tribunale, è questa: la vicinanza del tribunale ad ogni piccolo paese, per cui le informazioni possono essere più dirette, mentre, se si demanda la cosa al presidente della Corte di appello, si stabilisce una distanza maggiore e quindi tale da rendere meno dirette, meno sicure le informazioni medesime.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Canepa, così come lo stesso proponente ha in questo momento spiegato, essenzialmente acquista il suo valore nell’affermazione che il giudice conciliatore debba ritrovarsi in ogni comune. Questa è la parte sostanziale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Desideravo soltanto far notare che c’è anche l’emendamento degli onorevoli Gullo Fausto e Musolino:

«Al primo comma, dopo la parola: tirocinio, aggiungere le seguenti: o in base al risultato delle elezioni nei casi e secondo i modi stabiliti dalla legge».

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LEONE GIOVANNI. La Commissione non accetta questo emendamento, perché la parte accettabile è stata già introdotta in quel secondo comma che, in coordinamento con altri emendamenti, abbiamo formulato.

CALOSSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOSSO. Domando se non si possa togliere dal testo accettato dalla Commissione la parola: «onorari».

PRESIDENTE. L’onorevole Leone ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LEONE GIOVANNI. La parola «onorari» sta a indicare che la carica è elettiva e non di carriera. Se noi manteniamo il concetto del giudice onorario, allora avremo una distinzione anche agli effetti della carriera.

Sia sotto questo profilo, sia sotto un diverso profilo – perché è una funzione che si presta non come attività professionale, ma come una partecipazione spontanea che esce dalle normali occupazioni della propria vita – non si può accettare la soppressione della parola «onorario».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento degli onorevoli Gullo e Musolino:

«Al primo comma, dopo la parola: tirocinio, aggiungere le seguenti: «o in base al risultato delle elezioni nei casi e modi stabiliti dalla legge».

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Canepa:

«Dopo il primo comma aggiungere:

«I giudici conciliatori, competenti per le cause di lieve valore da determinarsi dalla legge, sono nominati, per ogni comune, dal pubblico ministero presso il tribunale nella cui giurisdizione il comune è sito».

(Non è approvato).

Vi è adesso l’emendamento dell’onorevole Sapienza, fatto proprio dall’onorevole Persico:

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«La giustizia civile e penale non può essere amministrata che da magistrati nominati a norma del primo comma del presente articolo; le funzioni di conciliatore sono esercitate dai notai secondo la circoscrizione territoriale assegnata all’ufficio notarile, onorificamente e con procedura speciale sommaria, nella quale sia consacrato il sistema del contradittorio.

«Nelle sedi giudiziarie dove esista una Università degli studi con Facoltà di giurisprudenza possono essere istituiti seminari giudiziari per la formazione spirituale e culturale dei giovani alle funzioni giudiziarie».

Prego l’onorevole Leone Giovanni di esprimere il parere della Commissione.

LEONE GIOVANNI. La Commissione è dolente di non potere accettare questo emendamento, perché la parte sostanziale di esso è già tradotta nel secondo comma che ci accingiamo a votare.

La seconda parte dell’emendamento è degna, non dico del Codice di procedura, ma delle norme di attuazione di esso e quindi di norme regolamentari.

Io per primo sarò felice che a suo tempo nell’ordinamento giudiziario possano istituirsi seminari giudiziari per la formazione spirituale e culturale dei giovani alle funzioni giudiziarie, ma non mi pare che ciò possa esser materia da disciplinare nella Costituzione.

PERSICO. Ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Passiamo all’emendamento dell’onorevole Rossi Paolo:

«Il Consiglio Superiore della Magistratura designa per la nomina i vicepretori e conciliatori onorari».

Onorevole Rossi Paolo, ella mantiene questo suo emendamento?

ROSSI PAOLO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Passiamo al comma secondo nel testo della Commissione:

«La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, dei magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli».

L’onorevole Carboni Angelo ha proposto che la nomina dei magistrati onorari sia possibile non a tutte le funzioni attribuite a giudici singoli, ma soltanto alle funzioni dei giudici conciliatori.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Chiedo che la votazione sia fatta per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione le parole:

«La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina di magistrati onorari».

(È approvata).

Pongo in votazione l’inciso: «anche elettiva» accettato dalla Commissione.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Ed ora abbiamo l’emendamento dell’onorevole Carboni Angelo. Ricordo che il testo della Commissione reca: «per tutte le funzioni attribuite ai giudici singoli». L’onorevole Carboni Angelo propone invece: «nella funzione di giudice conciliatore».

Pongo in votazione questo emendamento dell’onorevole Carboni.

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione l’ultima parte del secondo comma nel testo della Commissione:

«per tutte le funzioni attribuite ai giudici singoli».

(È approvato).

Passiamo ora al terzo comma, per il quale la Commissione propone la seguente formulazione:

«Su designazione del Consiglio Superiore, possono essere chiamati all’ufficio di consigliere di cassazione:

docenti ordinari di diritto nelle Università;

avvocati dopo venti anni di esercizio, iscritti nell’albo speciale dei patrocinanti dinanzi alle giurisdizioni superiori».

A questo comma sono stati presentati vari emendamenti. L’onorevole Caccuri propone di aggiungere dopo le parole: «consigliere di Cassazione» le altre: «per meriti insigni». L’onorevole Ghidini propone invece di sopprimere ogni indicazione di termine, mentre l’onorevole Perrone Capano ha vista accolta la sua proposta, di venti anni di esercizio, nel nuovo testo della Commissione, e l’onorevole Romano propone la soppressione della categoria degli avvocati.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Dichiaro che voterò contro, perché, nel momento, in cui ci preoccupiamo dell’indipendenza economica – che non so che cosa voglia dire – della Magistratura, introduciamo nella Costituzione una disposizione che è destinata a stroncare la carriera dei magistrati.

Ora, io dico che i professori di diritto delle Università debbono restare a fare i professori di diritto nelle Università. (Approvazioni). Gli avvocati, se sono dei buoni avvocati, continuino a fare gli avvocati. (Approvazioni). Temo che se alcuni non sono dei buoni avvocati, cercheranno di diventare consiglieri di cassazione (Applausi) al posto di magistrati che, quando sono entrati in carriera, avevano tutto il diritto di credere che sarebbero arrivati agli alti gradi, ove ne avessero avuto il merito.

Bisognerebbe smetterla, a mio giudizio, con questo voler introdurre negli alti gradi della Magistratura, della diplomazia, ed in altri rami, gente che proviene dal di fuori e che per lo più arriva a quei posti per motivi politici. (Approvazioni).

PERRONE CAPANO. In questo modo non sarebbe mai entrato nella Magistratura italiana Ludovico Mortara!

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Leone Giovanni di esprimere il parere della Commissione.

LEONE GIOVANNI. Vorrei ricordare a chi ha proposto degli emendamenti soppressivi e all’onorevole Corbino, che la norma esiste da vecchia data, e vorrei aggiungere che questa norma è stata applicata sempre con il massimo rigore. Vorrei aggiungere anche che uno dei casi più degni di ricordo per l’applicazione della norma è stato quello di Ludovico Mortara, che portò alla Magistratura italiana il contributo della sua altezza scientifica, talché la Cassazione italiana ancor oggi si onora di averlo avuto suo primo presidente.

Vorrei inoltre aggiungere che non sono esatte le osservazioni pratiche fatte testé, perché non bisogna impedire – a mio avviso – questa immissione, sia pure con quel rigore di applicazione che fu adottato perfino in tempi fascisti. Queste assunzioni saranno eccezionalissime, rarissime, ma tali da consentire l’immissione nel corpo della Magistratura di quelle personalità altissime nel campo scientifico e in quello professionale – il quale non è inferiore al campo scientifico – che possano dare il loro contributo di esperienza, e soprattutto di dottrina, nelle più alte funzioni giurisdizionali della Repubblica. (Applausi).

CONTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Ieri, mentre l’onorevole Mancini difendeva la classe degli avvocati, l’ho interrotto per dichiarare che non accettavo il suo punto di vista. Non si può generalizzare mai, in nessuna materia. Oggi, di fronte alla questione che è stata sollevata, dichiaro che sono favorevole all’emendamento. Non si può vietare che avvocati insigni, che uomini di grande altezza intellettuale, passino alla Magistratura dalla professione.

Sono convinto della importanza di questo principio: che nella Magistratura dovrebbero avere ingresso elementi che escano anche dalla professione di avvocati, perché la Magistratura ha bisogno di elementi esperti, preparati con l’esercizio dell’avvocatura. Disse un giorno qui un grande avvocato della parte politica alla quale io appartengo, Antonio Pellegrino: «il giudice prendetelo fatto», cioè formato, cioè preparato alla grande funzione del giudicare. La classe degli avvocati può dare alla Magistratura ottimi elementi. E non mi pare che l’onorevole Corbino, che dice spesso cose sensatissime, questa volta abbia visto chiaro in questa questione.

Io, che non sono amico degli avvocati, benché avvocato, dico che dobbiamo votare l’emendamento.

MASTROJANNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTROJANNI. Dichiaro di votare a favore dell’emendamento; condivido le argomentazioni dell’onorevole Conti; la possibilità di inserzione di avvocati nell’ordine giudiziario, e nei più alti gradi della Magistratura, non può che aumentarne il prestigio, la dignità e il decoro.

Esempio recente è quello dell’inserzione nella Magistratura militare di avvocati con un determinato numero di anni di esercizio professionale. La Magistratura militare ha aumentato il suo prestigio ed ha illustrato la sua dottrina attraverso l’apporto che gli avvocati italiani le hanno dato. (Approvazioni).

D’altra parte deve considerarsi che gli avvocati d’Italia non hanno mai respinto i magistrati che, cessati dalla loro carriera, hanno intrapreso l’esercizio professionale. Noi avvocati li abbiano accolti, riconoscendo in loro capacità giuridiche e preparazione seria che consentivano di metterli alla nostra pari e di concedere loro i nostri stessi diritti.

Le argomentazioni dell’onorevole Corbino mi sembra che possano anche non essere opportune per l’ordine degli avvocati d’Italia (Commenti), sia perché la storia insegna che, se pochissimi avvocati hanno lasciato l’esercizio professionale per inserirsi fra i magistrati, costoro furono insigni avvocati, che per amore esclusivo della scienza, e per speciale temperamento personale, rinunziarono ai più lauti guadagni che concede la professione: l’avvocato che intende di concorrere ai posti della Corte suprema di cassazione, vi è spinto esclusivamente dall’amore per la scienza e da un più quieto tenore di vita e non dal gretto interesse per uno stipendio che sarà sempre inferiore al reddito che anche un modesto avvocato può sempre ricavare dall’esercizio professionale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le seguenti parole del terzo comma:

«Su designazione del Consiglio superiore, possono essere chiamati all’ufficio di consigliere di cassazione».

(Sono approvate).

Pongo in votazione l’emendamento Caccuri: «Dopo le parole: all’ufficio di consigliere di cassazione, aggiungere: per meriti insigni».

(È approvato).

Pongo in votazione le parole:

«docenti ordinari di diritto nelle Università».

(Sono approvate).

Passiamo ora alla successiva formulazione:

«avvocati, dopo venti anni di esercizio, iscritti nell’albo speciale dei patrocinanti dinanzi alle giurisdizioni superiori».

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. A nome del Comitato, dichiaro di accettare l’emendamento Targetti, riducendo quindi la durata dell’esercizio professionale a quindici anni.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora, la formulazione, secondo la proposta fatta dall’onorevole Targetti ed accettata dal Comitato, risulta la seguente:

«avvocati, dopo quindici anni di esercizio, iscritti nell’albo speciale dei patrocinanti dinanzi alle giurisdizioni superiori».

MANNIRONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Propongo che questa ultima parte sia posta in votazione per divisione, votando cioè, in un secondo momento, le parole: «iscritti nell’albo speciale dei patrocinanti, ecc.».

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la frase:

«e avvocati dopo quindici anni di esercizio».

(È approvata).

Pongo in votazione l’altra frase:

«iscritti nell’albo speciale dei patrocinanti dinanzi alle giurisdizioni superiori».

(È approvata).

Ritengo che si possa ora, contrariamente a quanto stabilito in precedenza, e se non sorge opposizione, passare alla votazione dell’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Rossi Maria Maddalena.

La proposta è del seguente tenore:

«Le donne hanno diritto di accesso a tutti gli ordini e gradi della Magistratura».

Comunico che è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli: Rossi Maria Maddalena, Togliatti, Molinelli, Farini, Minio, Fantuzzi, Montagnana Rita, D’Onofrio, Leoni, Gallico Spano Nadia, Lozza, Montalbano, Moranino, Barontini Anelito, Ferrari e Scoccimarro.

Sullo stesso emendamento è stato chiesto lo scrutinio segreto dagli onorevoli Mastrojanni, Perugi, Villabruna, Mastino Gesumino, Corbino, Penna Ottavia, Corsini, Colitto, Scalfaro, Giacchero, Micheli, Badini Confalonieri, Bellavista, Valenti, Alberti, Colonnetti, Corsanego, Baracco, Coppi e Bubbio.

ROSSI MARIA MADDALENA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI MARIA MADDALENA. Ritiro la mia richiesta di appello nominale se i presentatori della domanda di scrutinio segreto acconsentono a fare altrettanto.

PRESIDENTE. I presentatori della richiesta dello scrutinio segreto la mantengono dinanzi alla rinunzia dell’appello nominale?

BELLAVISTA. Anche a nome degli altri firmatari, dichiaro di insistere nella richiesta dello scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto sull’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Rossi Maria Maddalena, testé letto.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione segreta. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     273

Maggioranza           137

Voti favorevoli        120

Voti contrari                         153

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Assennato – Avanzini.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barontini Anelito – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bocconi – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bubbio – Bulloni Pietro.

Caccuri – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canepa – Caporali – Cappi Giuseppe – Carboni Angolo – Carboni Enrico – Carignani – Carpano Maglioìi – Carratelli – Cassiani – Castelli Avolio – Cevolotto – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnelli – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsini – Cortese Pasquale – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fiorentino – Firrao – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giua – Gotelli Angela – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Jacometti.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lozza – Lucifero – Lussu.

Maffi – Maffioli – Malagugini – Mancini – Mannironi – Mariani Enrico – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Merighi – Merlin Angelina – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monticelli – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Nicotra Maria – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella.

Pallastrelli – Paolucci – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Piccioni – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Pucci.

Quintieri Adolfo.

Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi –Saragat – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella.

Targetti – Taviani – Tega – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Varvaro – Veroni – Villabruna – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zerbi.

Sono in congedo:

Bergamini.

Cairo – Carmagnola – Cavallari.

Dugoni.

Ghidini – Gui.

Jacini.

Lizzadri.

Pellizzari– Preziosi.

Ravagnan – Rubilli.

Vanoni – Viale.

Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.

Presentazione di una relazione.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Mi onoro presentare la relazione della prima Commissione permanente sul seguente disegno di legge:

«Ordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

La seduta termina alle 13.45.