Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI SABATO 29 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 29 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Leone Giovanni.

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Fabbri

Macrelli

Uberti

Laconi

Bozzi

Mastino Pietro

Mastino Gesumino

Perassi

Condorelli

Nobile

Bertone

Targetti

Benvenuti

Arata

Rossi Paolo

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Canevari

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Ieri, nel momento in cui fu presentato e votato l’ordine del giorno che concerne l’indipendenza della Magistratura, io ero momentaneamente assente dall’Aula. Se fossi stato presente avrei sottoscritto in conformità e coerenza a un emendamento che avevo presentato.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Poiché sono stati svolti tutti gli emendamenti all’articolo 127, prego la Commissione di esprimere il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Rossi Paolo ha già espresso il pensiero della Commissione questa mattina, dicendo che, per quanto riguarda gli emendamenti più importanti, che sono quelli dell’onorevole Targetti e dell’onorevole Laconi, la Commissione non ha potuto convocarsi, non è in grado di dire nulla e si rimette al suo testo, lasciando libera l’Assemblea.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Bozzi, trattandosi di una sola questione formale, ritengo che siamo autorizzati ad accettarlo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, si tratta di passare allora alla votazione. Il primo comma del testo della Commissione, tenendo conto degli emendamenti accolti, è stato modificato nel modo seguente: «La Corte costituzionale è composta di membri nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune e per un terzo dalle supreme Magistrature dell’ordine giudiziario e amministrativo».

In questo nuovo testo è stato dalla Commissione inserito l’emendamento degli onorevoli Persico e Bozzi. Restano pertanto validi, in confronto al testo dalla Commissione, l’emendamento dell’onorevole Laconi e quello dell’onorevole Targetti. L’onorevole Laconi ha proposto che i giudici della Corte siano nominati per un terzo della Camera dei deputati, per un terzo dal Senato e per un terzo dalle Assemblee regionali. L’onorevole Targetti ha proposto che il Presidente della Repubblica nomini un terzo dei componenti della Corte; gli altri due terzi siano nominati per metà dalla Camera dei deputati e per metà dal Senato della Repubblica.

L’emendamento proposto dall’onorevole Laconi ha la precedenza nella votazione, essendo quello che più si discosta dal testo della Commissione.

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro l’emendamento dell’onorevole Laconi, anche per una ragione che direi quasi di carattere pratico, cioè che questa nomina di un terzo da parte dei Consigli regionali mi appare un poco anomala, nel senso che non mi rendo conto chiaramente come i Consigli regionali dovrebbero partecipare a questa nomina di un numero di giudici il quale, nella sua totalità, molto probabilmente è inferiore al numero dei Consigli regionali. Quindi occorrerebbe concepire l’insieme dei Consigli regionali come costituente un corpo di per sé ed allora la prima obiezione che viene alla mente è quella della presenza del Senato, dove appunto i Consigli regionali hanno una particolare rifrazione unitaria, tanto che si era pensato di chiamare il Senato: «Camera delle Regioni». Se eventualmente questo terzo fosse rappresentato, per ipotesi, soltanto da dieci giudici o magari da cinque, non vedo come oltre venti Regioni potrebbero fare questa nomina, se non prendendo degli accordi fra loro. Perché non è pensabile una nomina frazionaria; e allora tutto questo meccanismo di elezione mi pare contrasti appieno con la natura del Consiglio regionale, che dalla Costituzione viene considerato come un organo che limita la sua competenza nel campo della Regione, salvo a dare dei rappresentanti al Senato.

Ma allora ritorniamo a quella tale idoneità del Senato ed a quella tale obiezione che facevo prima. Mi pare che questa ragione, d’ordine prevalentemente tecnico, debba far scartare l’emendamento Laconi.

Non sono nemmeno molto entusiasta dell’emendamento Targetti (e lo dico adesso per non ripetere ancora un’altra volta sullo stesso argomento una dichiarazione di voto) in quanto mi pare che le proposte dell’onorevole Laconi e dell’onorevole Targetti diano una soverchia importanza alla pretesa esigenza di carattere politico che sarebbe inerente al funzionamento della Corte costituzionale.

Si è detto con molta insistenza che il carattere di questo giudizio è tecnico e politico, e si è preteso di vedere un pericolo in un difetto, in una scarsità dell’elemento politico. Io mi pongo da un punto di vista completamente opposto e considero che, mentre certamente in ogni giudizio da parte di qualsiasi giudice, vi è sempre, da un punto di vista generale, un lato tecnico e un lato politico, nel caso particolare di questo giudizio da parte della Corte costituzionale, il lato preminente è nettamente di carattere giurisdizionale.

Questo deve essere l’elemento caratteristico della Corte costituzionale, sia pure con il concorso di quei tali criteri d’ordine tecnico e d’ordine politico che secondo me sono subordinati all’esigenza primordiale, preminente su tutte le altre, di una pronuncia giurisdizionale. E non vi è nessun implicito pericolo di concessione di strapotere politico alla Corte costituzionale, nel senso di una menomazione del potere della Camera, in quanto, dal punto di vista politico, al Parlamento rimane sempre l’ultima parola.

Perché noi non dobbiamo dimenticare quale è il carattere peculiare della Corte costituzionale: non è già di sostituirsi al Parlamento nel senso di negare al Parlamento la facoltà di deliberare delle leggi, anche in modifica della Costituzione. La garanzia che la Corte costituzionale è tenuta a dare è che quando il Parlamento non pretende di fare una legge che innovi dei principî costituzionali, ma semplicemente di deliberare leggi ordinarie e fare l’applicazione di principî non contrastanti con altri già stabiliti nella Costituzione non incorra in violazioni di diritto, in violazioni quindi specifiche, che si devono rilevare in un esame comparativo fra la norma costituzionale e la legge nuova del Parlamento o la legge della Regione. Ora, se noi partiamo dal concetto che questo giudice debba essere una rifrazione immediata del Parlamento, un portatore di ideologie di maggioranze occasionali, evidentemente ci avvolgiamo in un giro vizioso, perché tendiamo a dare a questo organo (Corte costituzionale) un carattere di riproduzione dell’Assemblea e del Parlamento, che esso non deve avere per definizione, altrimenti cesserebbe di essere un giudice degli atti del Parlamento, mentre deve proprio essere eminentemente un giudice degli atti del Parlamento e degli atti della Regione che contengano eventualmente una violazione delle leggi costituzionali.

Se il Parlamento vorrà esso modificare la Costituzione, e vorrà esso introdurre dei principî in deroga di quelli fissati nella Costituzione, ricorrendo ai modi previsti per la sua revisione, sarà liberissimo di farlo, e nessuna Corte costituzionale glielo potrà impedire.

Compito della Corte costituzionale è dunque di emettere una dichiarazione giurisdizionale, che solo subordinatamente è politica e tecnica; dal punto di vista principale deve essere di garanzia dei diritti che provengono dal rispetto e dalla osservanza delle leggi costituzionali.

In questo senso, scarto completamente l’emendamento Laconi, per le ragioni dette, e non approvo interamente quello dell’onorevole Targetti, rimettendomi invece al testo formulato ultimamente dalla Commissione, che in definitiva sarò lieto di votare.

MACRELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Non credo che dal punto di vista pratico sia applicabile l’emendamento dell’onorevole Laconi. Abbiamo già discusso su questo tema in altra occasione; comunque, io vorrei ricordare al collega Laconi che esiste un emendamento presentato dall’onorevole Perassi, come articolo 127-bis, il quale dice: «Quando il giudizio avanti la Corte verte sulla costituzionalità di una legge regionale o su un conflitto di attribuzioni fra lo Stato ed una Regione, la Regione interessata ha la facoltà di designare una persona, scelta fra le categorie indicate nell’articolo precedente, per partecipare alla Corte come giudice». Penso che l’onorevole Laconi potrebbe accontentarsi di questo emendamento, soprattutto perché, ripeto, è di difficile applicazione pratica il criterio, da cui egli parte; vorrei quindi pregarlo di ritirare il suo emendamento.

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Poiché siamo favorevoli al testo della Commissione, rinnovo la dichiarazione di voto già fatta ieri. Respingiamo tutti gli emendamenti per votare l’articolo, come proposto dalla Commissione nella sua ultima formulazione, salvo particolari, riguardanti la durata della Corte e l’età dei componenti.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Chiedo su questa votazione la verifica del numero legale.

PRESIDENTE. È stata presentata richiesta di verifica del numero legale. Di fronte a questa richiesta non c’è che da procedervi. Faccio peraltro rilevare che ciò significa l’intenzione di non attenersi al calendario prestabilito, che tutto autorizzava finora a credere che si potesse osservare, cioè la conclusione dell’esame di questi due Titoli, sulla Magistratura e sulla Corte costituzionale, entro il mese.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non so se sia corretto, come prassi parlamentare e come Regolamento, ma penso che si potrebbe passare a discutere l’articolo successivo, poiché tecnicamente esso non offre la possibilità di grandi controversie.

BOZZI. Sono legati i due articoli.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se vi sono opposizioni, non posso insistere nella mia proposta.

PRESIDENTE. Credo si possa accedere alla proposta dell’onorevole Ruini, che è conforme al Regolamento e che ci permetterà di utilizzare ancora, la seduta di oggi per i nostri lavori.

(Così rimane stabilito).

Passiamo pertanto all’esame dell’articolo 128. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Quando, nel corso di un giudizio, la questione d’incostituzionalità di una norma legislativa è rilevata d’ufficio o quando è eccepita dalle parti, ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, la questione è rimessa per la decisione alla Corte costituzionale.

«La dichiarazione d’incostituzionalità può essere promossa in via principale dal Governo, da cinquanta deputati, da un Consiglio regionale, da non meno di diecimila elettori o da altro ente ed organo a ciò autorizzato dalla legge sulla Corte costituzionale.

«Se la Corte, nell’uno o nell’altro caso, dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata al Parlamento, perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali».

PRESIDENTE. Resta inteso, onorevoli colleghi, che rimane sempre aperta la facoltà ai membri dell’Assemblea di presentare ancora emendamenti all’articolo 128, in relazione al risultato delle votazioni che si effettueranno sull’articolo 127.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevole Presidente, io sono animato dalla intenzione di far presto, ma in pari tempo dall’intenzione di far bene. Penso che noi non possiamo discutere dei poteri di decisione di questo organo supremo, se non sappiamo come l’organo è costituito, perché, evidentemente, la composizione della Corte riverbera la sua influenza su quelli che saranno i poteri di decisione della Corte medesima. Se nella composizione avrà la prevalenza, secondo l’opinione espressa da qualche settore di questa Assemblea, l’elemento politico, i poteri di decisione potranno essere orientati in un senso; se invece avrà la prevalenza l’elemento tecnico-giurisdizionale, i poteri di decisione saranno diversi. Ho l’impressione che noi discuteremo gli emendamenti senza avere presente questo punto fondamentale, che costituisce un presupposto.

PRESIDENTE. Le faccio osservare che, se quanto lei ha detto è giusto, altrettanto giusto sarebbe il criterio opposto, e cioè che prima bisogna fissare i compiti che si vuole affidare all’organo. È certo che sono due posizioni reversibili; ma poiché per il momento non voteremo sull’articolo 128, penso che il semplice esame delle proposte presentate non venga a pregiudicare le decisioni ulteriori che l’Assemblea dovrà prendere.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Onorevole Presidente, la sua proposta che si passi senz’altro all’esame dell’articolo 128 mi sembra assolutamente giusta, ed alle ragioni da lei dette, io mi permetto di aggiungere queste altre, con riferimento alla possibilità che si passi all’esame dell’articolo 128.

Ha osservato l’onorevole Bozzi che innanzitutto occorre stabilire la fisionomia dell’istituto, cioè della Corte costituzionale. Noi votammo già l’istituzione della Corte costituzionale, e la votammo dopo averne fissato la fisionomia, la quale, in sintesi, si può definire costituita da elementi e criteri di indole giuridica, e da elementi e criteri di indole politica. Noi sappiamo quindi di già quale è la fisionomia dell’istituto del quale abbiamo stabilita la nascita. D’altra parte, l’articolo 128, quando lo si esamini nella sua sostanza, dà la riprova del modo come si possa passare se non alla votazione dello stesso articolo, per lo meno al suo esame, L’articolo 128, nella prima parte, dice che: «Quando, nel corso di un giudizio, la questione di incostituzionalità di una norma legislativa, è rilevata di ufficio o quando è eccepita dalle parti, ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, la questione è rimessa per la decisione alla Corte costituzionale». Ora, questa è questione sulla quale noi possiamo discutere, qualunque sia la fisionomia dell’istituto della Corte.

PRESIDENTE. All’articolo 128 sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo è quello dell’onorevole Mastino Gesumino, del seguente tenore:

«Al prima comma, sostituire la prima parte con la seguente:

«Quando nel corso di un giudizio, ed entro un anno dalla data d’entrata in vigore di una legge, la questione d’incostituzionalità di una norma è rilevata d’ufficio».

L’onorevole Mastino Gesumino ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO GESUMINO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, il mio emendamento è di una tale chiarezza che mi impone l’obbligo di essere brevissimo. Io parto dalla constatazione che ogni controllo giurisdizionale sulla legittimità costituzionale di una legge impone, come conseguenza necessaria, che qualunque legge nel futuro sarà sottoposta ad una condizione risolutiva: in tanto le leggi che il futuro Parlamento emanerà avranno pieno valore, in quanto la loro efficacia non sia distrutta da una eventuale pronuncia della Corte costituzionale. Quali gravi conseguenze questo dato di fatto può portare sulla sicurezza del diritto e sulla sicurezza dei rapporti giuridici, che in conseguenza di una legge si creano e si formano, non vale la pena di ricordare. In base ad ogni disposizione di legge, e si dovrebbe dire in base ad ogni norma, i cittadini creano, stabiliscono, fissano i loro rapporti contrattuali. Ed è pericolosissimo protrarre per un tempo indefinito la dichiarazione di inefficacia di questi rapporti.

È quindi necessario fissare nella Costituzione un termine, entro il quale l’azione di incostituzionalità della legge debba essere proposta. Altrimenti noi avremo delle leggi che virtualmente saranno sempre annullabili. E questo è inconcepibile in uno stato bene ordinato. Perciò il mio emendamento letteralmente dice che l’azione di disconoscimento della legalità della legge dev’essere proposta entro un anno dalla entrata in vigore della legge stessa.

Credo che un anno sia un termine sufficiente ed equo, tenuto conto di tutti i fattori in giuoco, ma io non tengo al tempo: mi rimetto alla Commissione, che potrà indicare un termine maggiore o minore. Certo si è (e su questo punto sono d’accordo con me tutti gli autori che si sono occupati della istituzione di questa Suprema Corte costituzionale) che occorre assolutamente che la facoltà suprema che noi concediamo a questo supremo organo sia limitata nel tempo.

PRESIDENTE. L’onorevole Costa, che oggi non è presente, aveva proposto il seguente emendamento:

«Al secondo comma, alle parole: da cinquanta deputati, sostituire: da cinquanta membri delle Camere legislative».

PERASSI. Lo faccio mio; soltanto che, anziché dire «da cinquanta membri delle Camere legislative» – il che potrebbe far pensare che siano presi dall’una e dall’altra Camera insieme – basterebbe dire: «cinquanta membri di una Camera;».

PRESIDENTE. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Nell’ipotesi di cui al 1° comma di questo articolo la legge dichiarata incostituzionale dalla Corte non si applica alla controversia.

«Martino Gaetano».

«Aggiungere il seguente comma:

«Il magistrato dovrà rimettere gli atti alla Corte di cassazione quando ritenga che le leggi che dovrebbe applicare siano contrarie alla Costituzione dello Stato.

«Mastino Pietro».

L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire all’ultimo comma, alle parole: al Parlamento, le altre: alle Camere».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. La ragione della sostituzione è evidente: quando in questo testo si usò la espressione «Parlamento» s’intendeva dire: «le due Camere», non le Camere in Assemblea nazionale. Questa era la terminologia corrente alla data in cui il progetto è stato redatto. Allo stato attuale, invece, il Parlamento nel nostro testo ha assunto un carattere preciso, cioè comprende quella che era stata configurata come Assemblea nazionale. Nel caso in esame è opportuno quindi che la decisione della Corte sia comunicata distintamente a ciascuna delle due Camere, perché l’esame di questa decisione può essere intrapresa da ciascuna di esse indipendentemente l’una dall’altra. Vorrei soggiungere che sarebbe opportuno di aggiungere ancora: «perché, ove ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali»; e ciò perché sarebbe importante questa comunicazione ufficiale della decisione alle singole Camere.

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Condorelli, del seguente tenore:

«Dopo le parole: la dichiarazione d’incostituzionalità, aggiungere l’inciso: ove non sia stata pronunziata di ufficio».

L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. Questo emendamento era stato presentato nella ipotesi che fosse stato accolto l’altro da me proposto all’articolo 126; poiché io mi auguravo allora che questa Corte costituzionale potesse per lo meno dichiarare la incostituzionalità degli atti incostituzionali per eccellenza, quelli inerenti all’usurpazione di potere. In questo caso era chiaro che la sentenza che venisse dopo diversi mesi, o anche dopo qualche anno, dall’usurpazione non avesse più nessuna efficacia.

Ma giacché si è ritenuto che la Corte costituzionale non debba intervenire, o per lo meno non sia competente a dichiarare la eventuale usurpazione dei poteri, cede la ragione del mio emendamento, e perciò lo ritiro e non mi resta che rammaricarmene.

Ma giacché ho la parola, onorevoli colleghi, se vale ancora la pena di indicare qualche inconveniente della nostra Costituzione, consentitemi che, per scrupolo, ve ne additi uno.

È possibile che una legge, ove non venga accettato l’emendamento dell’onorevole Mastino, sia dichiarata incostituzionale e cessi di avere efficacia dopo anche molti anni dalla sua emanazione? Ed allora, a seconda dell’importanza di questa legge – e la dichiarazione di incostituzionalità può riguardare qualsiasi legge – potremo avere delle vere e proprie assurdità nel nostro ordinamento giuridico.

Normalmente il potere che può abrogare una legge è quello che fa la legge, che ne sostituisce una nuova a quella abrogata. In questo caso, evidentemente, non è così. La Corte costituzionale può togliere efficacia ad una legge, ma non può farne un’altra. Ed allora avverrà che per un periodo di tempo, che non so quanto lungo, rapporti che possono essere anche fondamentali non saranno regolati da nessuna legge.

Io non voglio presentare nessun emendamento a questo proposito: prego la Commissione ed i colleghi di considerare quanto ho rilevato, o per lo meno, di chiarirci se se ne sia tenuto conto e come potranno essere ovviati i pericoli segnalati.

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Fausto ha presentato un emendamento tendente a sopprimere la prima parte dell’articolo. Non essendo presente si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma sopprimere le parole: da non meno di diecimila elettori».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Volevo osservare che per raccogliere diecimila firme bastano oggi anche dieci sezioni di un partito, ed allora non si sarebbe mai sicuri della validità di una legge.

Pertanto, le stesse osservazioni che testé hanno indotto l’onorevole Mastino a proporre che sia messo un termine di tempo, spingono me a proporre questa soppressione, non potendosi ammettere che appena diecimila elettori possano infirmare la costituzionalità di una legge.

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: e il giudice non la ritiene manifestamente infondata».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Ho già avuto occasione ieri di accennare ai gravi inconvenienti cui può condurre la formula del progetto.

È detto in essa che, quando l’eccezione di incostituzionalità è sollevata dalle parti ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, il giudice senz’altro rimette le carte alla Corte costituzionale.

Ora, io mi pongo il quesito: il giudice ritiene l’eccezione manifestamente infondata e prosegue oltre nel proprio giudizio; ma la parte che ha proposto l’eccezione avrà certamente il diritto di appello e, occorrendo, anche il diritto di ricorrere in Cassazione contro la pronuncia del giudice che ha negato l’esame dell’eccezione di incostituzionalità. E non è escluso che il magistrato d’appello o la Cassazione possano ritenere fondata la eccezione di incostituzionalità che il primo giudice ha ritenuto infondata, e che investano la Corte costituzionale dell’esame negato dal primo giudice. Di modo che, per evitare che si protragga ingiustamente, con una eccezione pretestuosa, il giudizio, si va incontro al pericolo di protrarlo ancora di più con il giudizio di appello e di Cassazione cui la parte ha il diritto certamente di adire.

E pertanto io ritengo che sia opportuno non includere nell’articolo la formula «se il giudice la ritiene manifestamente infondata»; ma che senz’altro, quando l’eccezione di incostituzionalità viene rilevata d’ufficio o è proposta dalle parti, immediatamente debba venir sospeso il giudizio e dato corso all’eccezione di incostituzionalità.

Qualcosa di analogo avviene, onorevoli colleghi, quando viene sollevata dinanzi al magistrato la questione della giurisdizione, della potestà del magistrato. Gli articoli 37, 41 e 368 del Codice di procedura civile regolano perfettamente questa materia e stabiliscono che, quando l’eccezione venga sollevata d’ufficio o proposta dalle parti, senz’altro la Cassazione sia investita della questione. E viene anche stabilito un termine breve per la proposizione della eccezione al Supremo Collegio: trenta giorni.

Se anche noi pertanto, ci regoleremo in tal modo, si giungerà assai più presto alla dichiarazione di Costituzionalità o di incostituzionalità della norma. Invece con i gravami contro la pronuncia del giudice che ha ritenuto infondata la eccezione, avremo perduto non dei mesi, ma forse degli anni prima che la questione venga risolta. Parmi pertanto che sia opportuno uniformarsi a ciò che costituisce lo ius receptum nei confronti di una questione analoga come quella della potestà di giurisdizione.

Resti dunque il principio che, una volta sollevata una questione di incostituzionalità, essa venga senz’altro rimessa alla Corte costituzionale. Del resto, non è da pensare che anche le parti possano sollevare con leggerezza una simile eccezione: la serietà della toga, la serietà del patrocinio legale, ci vietano di pensare ciò.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituirea: cinquanta deputati: cento deputati, e aggiungere: cinquanta senatori; sostituire a: un Consiglio regionale: cinque Consigli regionali; sostituire a: non meno di diecimila elettori: non meno di cinquantamila elettori».

Ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. La mia proposta mi sembra non abbia bisogno di essere illustrata. Può incontrare favore o disfavore, a seconda del pensiero degli egregi colleghi, ma le argomentazioni che si possono portare per illustrarla sono facilmente intuibili.

Credo che si debba essere tutti d’accordo nel ritenere che per mettere in moto questo meccanismo tutt’altro che semplice, si debbano richiedere nell’agente delle condizioni che non attribuiscono un’azione così importante anche a chi non abbia autorità per iniziarla. Cinquanta deputati mi sembra che siano troppo pochi. Il nostro Parlamento risulterà, se non erro, di 560 deputati o anche più. Basterebbe, quindi, una piccolissima quota di deputati per investire di incostituzionalità qualsiasi legge. Si finirebbe col rendere possibile una specie di sabotaggio dell’attività legislativa. Riterrei quindi opportuno che si aumentasse il numero dei deputati, portandolo a cento, e che si aggiungesse anche il concorso di cinquanta senatori. Soltanto così mi sembra che si eviterebbero i gravi inconvenienti di un’eccessiva facilità di esercizio dell’azione.

In quanto ai Consigli regionali, nessuno mi accusi di anti-regionalismo se dico che un Consiglio regionale è un po’ poco per promuovere un’azione di questa portata. Quindi proporrei che i Consigli regionali fossero almeno cinque per poterla iniziare.

Quanto al numero degli elettori, riporterò quanto osservò – sia pure al fine di sostenere l’inopportunità di questa istituzione. – l’onorevole Nitti, quando disse che qualsiasi piccolo movimento potrebbe mettere insieme diecimila firme per provocare questo giudizio di incostituzionalità. Io porterei, quindi, il numero minimo a centomila.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Targetti, centomila o cinquantamila?

TARGETTI. Cinquantamila. Ho detto centomila, perché il mio desiderio sarebbe di andare oltre ai cinquantamila; ma ormai ho detto, anzi ho scritto cinquantamila.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Volevo osservare al collega Targetti ed ho fatto male cercando di dirlo con una interruzione – che non capisco come praticamente sia possibile ottenere che una Regione possa proporre l’azione di incostituzionalità di una legge, quando questa incostituzionalità ferisca solamente i suoi interessi; se non troverà altre Regioni le quali accomunino la propria azione con la sua non potrà agire avanti la Corte costituzionale. Potrà anche in pratica verificarsi che il diritto eventualmente violato ai danni di una Regione rappresenti un vantaggio per le altre e quindi praticamente, la proposta dell’onorevole Targetti – ove venisse accolta – si risolverebbe in una condizione di inferiorità fatta a certe Regioni. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti ha proposto il seguente articolo 128-bis:

«La dichiarazione di incostituzionalità può essere altresì promossa in via principale dal Presidente della Repubblica ogni qualvolta egli ravvisi nei provvedimenti legislativi, che gli vengono proposti per la promulgazione, disposizioni inconciliabili con gli ordinamenti costituzionali della Repubblica ovvero con le libertà e coi diritti garantiti ai cittadini dalla Costituzione.

«Il Presidente della Repubblica non può promuovere azione di incostituzionalità oltre i termini di promulgazione della legge di cui all’articolo 71.

«E facoltà del Presidente della Repubblica di sospendere la promulgazione degli atti per i quali abbia promosso dichiarazione di incostituzionalità sino a quando non sia intervenuta la decisione della Corte costituzionale.

«Gli atti del Presidente della Repubblica di cui al precedente articolo non richiedono la controfirma ministeriale.

«Subordinatamente, fermi restando i primi due commi dell’emendamento, sostituire i successivi due commi come segue:

«Ove intervenga, entro i termini di cui all’articolo 71, dichiarazione di incostituzionalità, il Presidente della Repubblica non dà corso alla promulgazione.

«Qualora il Presidente della Repubblica non possa promuovere azione di incostituzionalità per mancanza della controfirma ministeriale di cui all’articolo 95, è riconosciuta al Presidente stesso la facoltà di promuovere tale azione a titolo personale negli stessi modi e con gli stessi effetti previsti dalla legge per gli altri cittadini, organi ed enti a ciò autorizzati».

L’onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento propone un problema di carattere generale che già ebbi l’onore di proporre precedentemente in altra formulazione e che già ebbe l’onore di una breve delibazione da parte del Presidente della Commissione dei Settantacinque, onorevole Ruini: è il problema dell’atteggiamento del Capo dello Stato di fronte alle leggi incostituzionali.

Mi permetto di ricordare (e mi si consenta questa battuta, direi quasi, di polemica personale coll’egregio Presidente della Commissione dei Settantacinque, onorevole Ruini) un passo del suo interessantissimo studio Verso la Costituente, nel quale, definendo la posizione del Capo dello Stato, quale egli auspicava che fosse configurata nella nostra Carta costituzionale, specificava: «Il Capo dello Stato deve stare sopra il Governo; non può avere soltanto un compito simbolico e decorativo, riducendosi ad una finzione giuridica costituzionale. Alla posizione meramente simbolica va sostituita quella del Capo dello Stato non responsabile dei singoli atti del Governo, ma responsabile nell’esercizio dei compiti che gli spettano per promuovere gli interessi nazionali e per difendere contro ogni minaccia la Costituzione e le libertà».

Quando ebbi occasione di porre il quesito alla Commissione, in occasione del riconoscimento o meno al Capo dello Stato del diritto di sanzione, il problema venne appena sfiorato e non fu risolto. Anzi, quando, attraverso un emendamento, posi il quesito se si dovesse inserire nella Carta costituzionale una menzione espressa del Capo dello Stato come tutore della Costituzione, l’allora Relatore onorevole Tosato mi rispose che la dichiarazione era pletorica, inquanto dalla sostanza del nostro sistema costituzionale emerge che il Capo dello Stato è effettivamente tutore della Costituzione della nostra Repubblica.

Io ritengo, onorevoli colleghi, che, nonostante che non sia stato riconosciuto al Presidente della Repubblica il diritto di sanzione, il Presidente della Repubblica non possa e non debba promulgare leggi anticostituzionali. Infatti qui si ripropone il vecchio problema: il Capo dello Stato è rappresentante del popolo o agente delle Assemblee? Anzi il Presidente Ruini, con frase drastica, ha posto il problema: è il Capo dello Stato commesso delle Assemblee legislative?

Effettivamente, sotto un aspetto, il Capo dello Stato è e deve essere agente del potere legislativo, in quanto dà esecuzione agli atti di tale potere. Ma quando il potere legislativo commette un eccesso di potere, quando il potere legislativo esorbita dalle facoltà riconosciutegli dalla Costituzione, è certo che il Capo dello Stato cessa di essere agente del potere legislativo e deve opporre la propria resistenza, consecutiva all’esame di merito che egli deve compiere sotto il profilo costituzionale, degli atti esecutivi che gli sono sottoposti. Esame di merito, ripeto, sotto il profilo costituzionale, non mai per quanto attiene al contenuto politico dell’atto. Tale esame sotto il profilo della costituzionalità è implicito nell’atto della promulgazione: in quanto il Capo dello Stato, in tanto promulga l’atto legislativo, in quanto è stato approvato con quella maggioranza e attraverso quella procedura che la Costituzione prescrive. Una legge che modifichi la Costituzione richiede una maggioranza e una procedura particolare. A questi fini, e solo a questi fini, il Presidente della Repubblica deve entrare nel merito della legge ed esaminare se il contenuto della legge rientri o no fra le leggi che, integrando o modificando la Costituzione, implicano una particolare maggioranza o un particolare procedimento. Una legge che modificasse la Costituzione e che non fosse votata con quella particolare procedura e maggioranza, di cui all’articolo che successivamente esamineremo, non sarebbe una legge, come non sarebbe una legge ordinaria, se non fosse approvata in Parlamento dalla maggioranza della Camera e del Senato. Certamente il Presidente della Repubblica non dovrebbe promulgarla, e così non deve promulgare una legge che, modificando la Costituzione e richiedendo particolare maggioranza, non possa avere la figura formale di atto legislativo regolarmente approvato. E qui si pone un successivo problema: di fronte a una legge incostituzionale, non approvata colle maggioranze c colle procedure dovute e quindi non promulgabile, in quale situazione costituzionale si verrebbe a trovare il Presidente della Repubblica? Io non ritengo affatto che si debba dare al Presidente la facoltà di erigersi a giudice della costituzionalità o incostituzionalità delle leggi. Ritengo logica, esatta soluzione conferire al Presidente della Repubblica la facoltà di deferimento della legge al corpo costituzionale. E qui si pone il problema, il vecchio problema della controfirma ministeriale, onorevoli colleghi: perché contro una legge incostituzionale a nulla vale la facoltà concessa al Presidente della Repubblica di rinviare la legge alle Camere per un nuovo esame perché evidentemente quelle Camera legislativa, quel potere legislativo, quel Parlamento che intende far promulgare una legge incostituzionale, esprime dal proprio seno un Governo che certamente non controfirmerà in nessun caso la domanda di promozione dell’azione di incostituzionalità. Nessun Governo si presterà a controfirmare la richiesta di decadimento di una legge che esso stesso, attraverso la sua maggioranza, ha deliberato.

Badate, onorevoli colleghi, questa della mancanza della controfirma ministeriale non è una questione sollevata capricciosamente, a suo tempo, dall’onorevole Dominedò e da me. Questo problema si è imposto ad altri organi costituenti ogni qualvolta si è voluto, entro certi determinati limiti, conferire al Capo dello Stato un potere autonomo. Sempre in tal caso si è dovuto superare il problema della controfirma. Questo problema non riguarda affatto l’obbligo, la necessità democratica della controfirma ministeriale per tutto quanto riguarda gli atti legislativi ordinari e gli atti di Governo. Quindi avevano torto quei Presidenti della Repubblica francese, cominciando da Casimir Périer che lamentavano di nulla poter fare senza il permesso del Governo; perché erano semplicemente autorizzati ad assistere a cerimonie patriottiche, e si vedevano ridotti, secondo la frase di Gladstone, a depositari di un arsenale le cui armi erano adoperate da altri, o a semplici comparse, ultimi residui del vecchio cerimoniale dell’Antico regime. Sotto tale profilo quei Presidenti avevano sostanzialmente torto, perché in nessun caso si potrebbe ammettere che in regime democratico il Presidente della Repubblica possa sindacare il merito di atti legislativi o di atti esecutivi. Ma qui siamo in un altro campo, siamo di fronte alla necessità di svincolare dalla controfirma ministeriale quegli atti del Presidente, che tendono ad impedire a un organo dello Stato di esorbitare dai propri poteri. Quindi si impone la sospensione della promulgazione e il deferimento alla Corte costituzionale.

Sorge qui, diciamolo francamente, un problema morale. Si tratta di evitare una mostruosità giuridica e morale. Ossia, se il Presidente dovesse, obbligatoriamente, promulgare una legge incostituzionale, arriveremmo a questa conseguenza: che il Presidente della Repubblica, dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione, dovrebbe promulgare un atto incostituzionale sotto pena di esser imputato di violazione della Costituzione. Quindi, dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione, il Presidente della Repubblica rischierebbe di essere deferito all’Alta Corte di giustizia per essersi rifiutato di promulgare la legge violatrice della costituzione da lui giurata. Sarebbe ripeto, una mostruosità giuridica e morale. Non vedo come si possa ammettere che il Capo dello Stato debba essere necessariamente prescelto fra uomini capaci di piegare in tal modo la loro coscienza. A meno che si veda un rimedio nelle dimissioni del Presidente della Repubblica: ma ciò porterebbe che proprio nel momento della maggiore crisi dello Stato, quando cioè una maggioranza tende ad imporre leggi contrarie alla Costituzione e alla libertà, si arriverebbe alla decapitazione della Repubblica, in seguito alle dimissioni del suo capo.

Onorevoli colleghi, noi dobbiamo costruire un edificio repubblicano che sia saldamente difendibile, anche e soprattutto sul piano morale. Il mio emendamento svincola il Presidente dalla controfirma ministeriale per questo particolare atto: la promozione dell’azione di incostituzionalità. Io escludo che il sacro canone della controfirma obbligatoria non possa essere superato. La Costituzione austriaca, alla cui elaborazione ha partecipato un uomo come Kelsen, ha esentato dalla controfirma alcuni atti. La Costituzione finlandese esenta dalla controfirma lo scioglimento della Camera. Simili disposizioni contenevano le Costituzioni lettone ed estone. Ma se non si dovesse superare questo sacro canone, permettetemi di prospettare per lo meno, che al Presidente della Repubblica, individualmente, sia data la facoltà che abbiamo data a diecimila cittadini irresponsabili. Non si metta il Presidente della Repubblica nel tragico dilemma di coscienza di dovere o promulgare l’atto incostituzionale o mettere in crisi lo Stato colle sue dimissioni, senza che a lui sia dato rimedio alcuno. È chiaro che la posizione dei comuni cittadini è ben diversa. Se essi, raccolti in un certo numero, sono contemplati come soggetti attivi dell’azione di incostituzionalità, a maggior ragione tale facoltà deve essere riconosciuta al Presidente della Repubblica che con la sua promulgazione dà vita ed efficacia ad atti che possono ferire i principî fondamentali della democrazia e della libertà. Mettiamo il Presidente in condizioni di poter difendere costituzionalmente la sua reazione morale. È in nome di questa reazione morale, che deve accomunare il cittadino e il capo dello Stato, che mi permetto di raccomandare all’approvazione dell’Assemblea il mio emendamento. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Arata ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo e il secondo comma.

«Sostituire al terzo comma la seguente formulazione:

«Quando la Corte dichiara l’incostituzionalità di una norma questa cesserà di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata al Parlamento perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

ARATA. Voglio dire due parole soltanto, che mi sono suggerite da questa osservazione: in sostanza, i primi due commi dell’articolo 128 attengono essenzialmente alla procedura. Infatti, nel primo comma è previsto un caso – uno dei tanti – in cui può sollevarsi una questione di incostituzionalità. Il secondo comma vuol regolare la legittimazione attiva nella procedura da stabilirsi per le dichiarazioni di incostituzionalità. Siamo dunque nel campo centrale della procedura. Il terzo comma, invece, ha carattere sostanziale, in quanto riguarda e regola gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità.

È mio sommesso avviso, pertanto, che le disposizioni contenute nei primi due commi ben possono essere dettate dalla legge, mentre quella del terzo dev’essere contenuta nel testo costituzionale.

Il mio emendamento ha relazione inscindibile con quello, che ho contemporaneamente presentato, all’articolo 129, in cui chiedo che la legge, oltre che regolare i conflitti di attribuzione, regoli anche le azioni di incostituzionalità; cioè anche la procedura, ed ho presentato entrambi, perché, ripeto, penso che sia conveniente non addentrarci ora in problemi di carattere esclusivamente procedurale, ma lasciare questa parte alla legge, la quale stabilirà come potranno sorgere e come dovranno essere avviate le questioni di incostituzionalità, stabilendo chi sarà legittimato a proporle ed in quali termini potranno essere svolte.

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone ha presentato un secondo emendamento del seguente tenore:

«Sopprimere nel secondo comma le parole: da un Consiglio regionale, e far seguire il seguente alinea:

«Per le leggi riguardanti le Regioni, la dichiarazione di incostituzionalità deve essere promossa da almeno tre Consigli regionali, se la disposizione riguarda genericamente le Regioni, o dal Consiglio regionale della Regione a cui è limitata la disposizione».

Ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Penso che sia opportuno togliere dal secondo comma dell’articolo 128 la parte che riguarda il diritto di reclamo della Regione, perché questo comma, in quanto regola le opposizioni che vengono fatte o da 50 deputati o da 50 mila elettori o da altri enti ed organi autorizzati dallo Stato, vuole riferirsi evidentemente alla legge, che riguarda la intera nazione.

Ora quando si introduce in questa disposizione la frase, che l’opposizione può essere fatta anche da un Consiglio regionale, si viene a creare il dubbio che un Consiglio regionale possa fare opposizione ad una legge, che riguarda l’intera nazione.

Non per nulla poco fa c’è stato un piccolo dibattito fra l’onorevole Targetti e l’onorevole Mastino Pietro. Questi osserva giustamente che non occorre, quando si tratta di interessi che riguardano una Regione, il consenso di più Regioni per promuovere la dichiarazione di incostituzionalità; perché quelle altre Regioni potrebbero anche non aderire all’iniziativa, che non le riguarda. Appunto per questo, è necessario separare la parte che riguarda la Regione, dalla parte che riguarda la nazione in generale. E per questo il mio emendamento deve essere completato in questo senso: togliere dal secondo comma le parole «da un Consiglio regionale» e facendo seguire il comma, da un alinea, quello letto, cioè: «Quando la disposizione di legge riguarda genericamente le Regioni ecc…».

Può essere una disposizione di legge che riguarda le Regioni in generale. Ed allora non è giusto che una sola Regione possa impugnare di incostituzionalità la disposizione; sene richiedano almeno tre. Se viceversa la disposizione impugnata riguarda solo una Regione è giusto che essa possa da sola proporre il reclamo.

Mi pare che questa distinzione sia perfettamente ragionevole e possa essere accolta dalla Commissione e dalla Camera.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei osservare all’amico onorevole Bertone: l’ordinamento regionale, che voi della Democrazia cristiana avete voluto, o lo rispettate o non lo rispettate. Perché ci può essere un’unica Regione, la quale, avendo fatto per conto suo una legge che ha applicazione nell’ambito regionale in una determinata materia (mentre le altre Regioni non hanno fatto una analoga legge), quella sola Regione abbia interesse a difendere la costituzionalità della sua propria legge regionale, che vede pregiudicata da una disposizione di ordine generale successiva. O l’autonomia legislativa regionale la disconoscete, come io sarei propenso a fare (Rumori al centro), tanto che non volevo dare il potere legislativo alla Regione, o, una volta che l’avete ammesso e sanzionato, bisogna che abbiate il disagio di essere coerenti e di rispettare l’autonomia legislativa anche di una singola Regione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Se la legge viene a ferire soltanto quella Regione, rientra perfettamente nel mio emendamento che quella Regione abbia diritto di far reclamo contro la legge: ma se la legge riguarda gli interessi di tutte le Regioni, non è giusto che una sola Regione possa insorgere contro una legge di ordine generale.

PRESIDENTE. Tutti gli emendamenti all’articolo 128 sono stati svolti.

L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Posso rispondere brevissimamente.

Gli emendamenti Costa e Perassi sono di semplice chiarificazione e la Commissione li accetta subito e volentieri. Si intende che debbono essere cinquanta membri del Parlamento, deputati o senatori, e che la somma di venticinque deputati e venticinque senatori non può giungere allo stesso effetto. Ci vogliono cinquanta deputati, o cinquanta senatori.

L’eccezione dell’onorevole Condorelli, relativa al problema della vacatio legis, in caso di annullamento da parte della Corte costituzionale, ha preoccupato la Commissione, ma abbiamo superato le incertezze con questo dilemma: o la legge annullata è una legge completamente nuova, ed allo stesso modo in cui si è potuto andare avanti per lungo tempo senza la legge, si potrà proseguire ancora per qualche tempo, in attesa che il Parlamento rifaccia la legge in termini corrispondenti alla Costituzione; o la legge è semplicemente novativa di disposizioni che esistevano in precedenza e si rimarrà all’antico…

CONDORELLI. Ma ci sarà stato troppo intervallo!

ROSSI PAOLO. L’horror vacui che impressiona l’onorevole Condorelli non pare che debba sgomentare: si potrà sempre tirare innanzi per qualche tempo come si è andati avanti per tanti anni.

L’onorevole Nobile vuole sopprimere l’inciso riguardante i diecimila elettori. Questo emendamento verrà esaminato con la proposta dell’onorevole Targetti, che è della stessa portata.

L’onorevole Bertone ritiene opportuno sopprimere la disposizione relativa ad un controllo preliminare del giudice: egli teme di vedere una eventuale eccezione di incostituzionalità portata attraverso giudizi, che possono durare due o tre anni, dal giudice di primo grado fino alla Corte di Cassazione. È un’obiezione seria, tanto che abbiamo pensato se non si potesse mutare la disposizione attuale: «se il giudice non la ritiene manifestamente infondata», con quella, non ignota al nostro linguaggio giuridico e più drastica ancora: «se il giudice non la ritiene temeraria», per escludere vieppiù che il giudice possa respingere eccezioni che poi risultino non infondate.

Comunque abbiamo pensato che stabilire nella legge di attuazione tutto un complesso regolamento di competenza, sarebbe difficile e gravoso. Meglio sopportare, rara ipotesi, che, talora, una eccezione ritenuta manifestamente infondata da un primo e da un secondo giudice, sia, poi, in terzo grado, accolta. Gli inconvenienti evidentemente ci sono; il minore sembra quello di conservare il testo della Commissione. All’emendamento Targetti vorrei rispondere sullo stesso tono del suo intervento. È discutibile se la cifra di cinquanta sia sufficiente, ma anche la cifra di cento potrebbe essere insufficiente. Tanto vale l’una, sostanzialmente, come l’altra. Un gruppo di cinquanta deputati dà garanzia di serietà… o vogliamo sperarlo.

Quanto alla proposta d’attribuire il diritto d’impugnativa a cinque Consigli regionali, in luogo di un Consiglio regionale soltanto, come previsto nel progetto, valga per l’onorevole Targetti la ragione che opporrò fra un momento ad altri colleghi e che è stata svolta brillantemente dall’onorevole Mastino Pietro: può darsi che una legge turbi gli interessi legittimi di una sola Regione e che una sola Regione abbia motivo d’impugnazione.

Mi si dice – e vengo con ciò al secondo emendamento Bertone – che si potrebbe introdurre una norma, la quale distingua fra leggi che riguardino tutte le Regioni e leggi che riguardino una sola Regione. Io mi permetto di rilevare che questa distinzione è incerta e difficile. Una legge può colpire indirettamente una sola Regione, pur senza riguardare nominativamente quella Regione; può essere una legge che abbia l’apparenza d’una legge di carattere nazionale, ma, di fatto, interessare o colpire una Regione soltanto. Supponiamo che si emetta una legge relativa alle saline e che la sola Sardegna abbia delle saline; supponiamo che si faccia una legge relativa ai pascoli montani o ai laghi sopra i duemila metri. In questi casi, la sola Sardegna, o la sola Val d’Aosta, avrebbero interesse all’impugnazione. Secondo l’emendamento Bertone si risponderà alla Regione interessata: non puoi impugnare il provvedimento se non trovi altre quattro Regioni che ti fiancheggino, perché queste leggi non riguardano solo la Sardegna, o la Val d’Aosta, ma tutte le possibili saline, tutti i possibili pascoli alpini, tutti i possibili laghi a duemila metri, anche se non risulta in questo momento che vi siano pascoli o saline o laghi montani in altre regioni che non siano la Sardegna o la Val d’Aosta.

Non mi pare, quindi, che possa introdursi questa limitazione, né secondo la formula Bertone, né, meno ancora, secondo quella dell’onorevole Targetti, al quale faccio rilevare, come mi osserva in questo momento l’onorevole Perassi, che la legge impugnabile può anche essere una legge regionale.

All’onorevole Mastino Gesumino, che mi pare riproduca un emendamento già svolto sostanzialmente dall’onorevole Martino Gaetano, rispondo che il problema della certezza della legge è stato preso in esame. Tutti ci rendiamo conto che sarebbe bene che in un determinato momento si sapesse quale è la legge e non ci fosse possibilità di impugnazione. Ma ridurre la possibilità di impugnazione ad un anno può creare dei pericoli.

MASTINO GESUMINO. Per quanto riguardava il termine io mi rimettevo alla Commissione.

ROSSI PAOLO. Onorevole Mastino, non è questione di un anno, due anni o sei mesi: la questione rimane qualunque sia il limite di tempo; né un termine breve assicura la certezza del diritto, né un termine lungo garantisce da eventuali iniquità.

L’onorevole Benvenuti ha toccato un punto delicato, e molto elevatamente, quando ha sostenuto l’opportunità che al Capo dello Stato sia consentito il diritto di denunciare alla Corte costituzionale la incostituzionalità di una legge, decreto, o provvedimento, che sia presentato alla sua firma dal Capo del Governo. Ma qui cominciano a nascere dubbi gravi: il Capo dello Stato verrebbe posto nelle condizioni di litigante, dal suo altissimo soglio scenderebbe al grado di un ricorrente. Supponiamo che la Corte costituzionale gli dia torto; dove va il prestigio del Capo dello Stato? A me sembra che garanzie ci siano già nel sistema che abbiamo cercato di creare. La prima garanzia è questa: il Capo dello Stato non è, nella nostra concezione, un amanuense, non ha una mano meccanica che deve necessariamente firmare, senza un altissimo sindacato, tutti i provvedimenti che gli vengono portati nella cartella di marocchino per la sua sottoscrizione. Il Capo dello Stato esaminerà i provvedimenti che il Governo gli sottopone, compirà un’indagine di costituzionalità e ricuserà la firma ai decreti ed alle leggi incostituzionali, provocando la crisi ministeriale, se del caso.

Nel testo definitivo c’è una disposizione che non era nel progetto di Costituzione e che è stata introdotta con un articolo aggiuntivo, l’articolo 72. Per quanto riguarda i decreti e le altre disposizioni, il Capo dello Stato può anche non firmare. Per le leggi è invece un’altra questione; perché le leggi deve firmarle e promulgarle, ma, per l’articolo 72…

BENVENUTI. Questo non serve a niente.

ROSSI PAOLO. Ma è come se il ricorso fosse già stato prodotto e la Corte lo avesse già accolto. Che cosa fa la Corte costituzionale di fronte ad una impugnativa? Se dichiara che la legge è incostituzionale, la rimette al Parlamento per nuova deliberazione; quindi il Capo dello Stato fa già da solo, per l’articolo 72, quello che nel caso più favorevole potrebbe fare la Corte costituzionale, e ciò senza creare un conflitto e subire un’umiliazione nel caso che la Corte costituzionale respingesse il reclamo.

CONDORELLI. Ci vuole la maggioranza parlamentare!

BENVENUTI. Ed è necessaria la controfirma.

ROSSI PAOLO. Allora, non ci comprendiamo. Non vedo in che cosa consista l’argomento dell’onorevole Benvenuti. Può, o non può il Presidente della Repubblica rinviare la legge alle Camere per un nuovo esame?

BENVENUTI. Non può, senza il permesso del Governo, essendo il Governo, che ha una maggioranza parlamentare, che deve dare la sua controfirma. Questa è la verità: il Presidente della Repubblica deve firmare qualsiasi cosa.

CONDORELLI. Abbiamo fatto un regime di Assemblea! (Commenti).

BENVENUTI. Avremo lo stesso regime di Vittorio Emanuele III, contro il quale abbiamo combattuto per tanti anni! Il Presidente della Repubblica commetterà gli stessi sconci che ha commesso Vittorio Emanuele III: non può farne a meno!

CONDORELLI. Vittorio Emanuele III vi era obbligato! (Commenti).

ROSSI PAOLO. Abbrevio. La Commissione è gravemente preoccupata che la Corte costituzionale possa sconfessare il Capo dello Stato. Questo è il motivo preminente per cui non crede di poter aderire all’emendamento Benvenuti.

L’emendamento dell’onorevole Arata è ragionevole, senza dubbio. Ma bisogna che l’Assemblea assuma interamente la sua responsabilità. Si vuole delegare al legislatore futuro, si vuole rimettere alla legge ordinaria tutta questa delicata e complicata procedura, l’arbitrio di stabilire chi possa impugnare le leggi e i decreti, se una Regione, o tre, o cinque Regioni; diecimila o cinquantamila cittadini; cinquanta o cento deputati? Si vuole rimettere tutto ciò alla futura Assemblea? Facciamolo, se credete. Dal punto di vista sistematico la vostra Commissione non avrebbe nulla in contrario ad accogliere il criterio dell’onorevole Arata. È una questione di responsabilità dell’Assemblea. Se l’Assemblea decide di doversi spogliare di questa prerogativa, la Commissione si può anche rimettere.

Concludo: manteniamo il testo originario, respingendo tutti gli emendamenti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io non posso dolermi di non essere stato bene interpretato. Ma mi debbo dolere di non essermi saputo esprimere: se si fosse trattato di un esame, meriterei la disapprovazione in iscritto e in orale, perché questo difetto di chiarezza lo riscontro sia nel testo dell’emendamento, sia in quello che ho detto per illustrarlo.

Il mio concetto era questo: da una parte affermare un principio indiscutibile, cioè il diritto di ciascuna Regione di promuovere questa speciale azione in tutti i casi in cui una legge ledesse gli interessi specifici della Regione stessa. Al tempo stesso intendevo dire che, come si dà il diritto, secondo il progetto a cinquanta e, secondo la mia proposta, a cento deputati uniti a cinquanta senatori, come si dà il diritto a centomila elettori di agire in via principale contro l’incostituzionalità di una legge, lo stesso diritto si debba dare non ad un Consiglio regionale, ma a cinque Consigli regionali.

Sicché, secondo il mio convincimento, ogni Regione potrebbe dolersi di qualsiasi legge che ledesse i suoi interessi, mentre soltanto cinque Consigli regionali uniti potrebbero sostituirsi ai cento deputati e cinquanta senatori, ai centomila elettori, e potrebbero agire in nome di un interesse che non sia particolare di una singola Regione, ma che sia genericamente ritenuto contrario alle norme costituzionali.

Questo era il mio concetto. Io credo quindi che su ciò si possa essere d’accordo anche con l’onorevole Mastino Pietro.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO: Non c’è dubbio che ella, onorevole Targetti, abbia voluto dare al suo emendamento il significato al quale ora ha accennato, ma devo rilevare che con la sua insistenza nella tesi già svolta e che già è stata formulata, con precisione di termini, nell’emendamento dell’onorevole Bertone, non ha però ancora dato risposta al Relatore onorevole Rossi. Egli ha invitato lei e l’onorevole Bertone a considerare l’ipotesi – che è normalissima – che una legge apparentemente estranea ad una data Regione, di fatto invece, per quella specie di circolazione di sangue che si verifica fra le Regioni tutte nella vita nazionale, la riguardi e ne colpisca gli interessi. La Regione colpita non potrà, da sola, appellarsi alla Corte costituzionale.

Se c’è quindi un dubbio da chiarire, onorevole Targetti, ella avrebbe potuto farlo dando risposta all’ipotesi formulata dal collega onorevole Rossi: all’ipotesi cioè di una legge che apparentemente riguardi solo una data Regione, ma di fatto e sostanzialmente invece riguardi anche le altre.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino, non assuma il ruolo dell’onorevole Rossi: l’onorevole Rossi ha ben compreso ed ha creduto di rispondere nel modo con cui ha risposto.

MASTINO PIETRO. Onorevole Presidente, io mi riferisco a quanto ha detto l’onorevole Rossi non perché egli abbia bisogno d’un mio aiuto, ma perché, riferendomi a quanto ha detto, non ho bisogno di ripeterne gli argomenti.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Desidererei sapere se l’onorevole Targetti sarebbe disposto ad aderire all’emendamento da me presentato in relazione al numero dei Consigli regionali che possono avanzare ricorso alla Corte costituzionale, rinunziando conseguentemente alla sua formulazione.

TARGETTI. Non posso aderirvi, perché non corrisponde esattamente al mio concetto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Mastino Gesumino di dichiarare se intende conservare il proprio emendamento.

MASTINO GESUMINO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Gli emendamenti degli onorevoli Costa e Perassi sono stati accolti dalla Commissione.

Gli onorevoli Martino Gaetano e Gullo Fausto non sono presenti e pertanto i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Lo mantengo, sostituendo però, alle parole «Corte di cassazione», le parole «Corte costituzionale».

PRESIDENTE. Sta bene.

Onorevole Bertone, lei ha due emendamenti; li mantiene tutti e due?

BERTONE. Sì, tutti e due.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile?

NOBILE. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Arata?

ARATA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora resta inteso che questi sono gli emendamenti sui quali voteremo nella seduta prossima, salvo altri emendamenti in conseguenza della votazione sull’articolo 127.

Per intanto, poiché vi è un emendamento proposto dall’onorevole Perassi come articolo 127-bis, sempre connesso alla materia in esame, pregherei l’onorevole Perassi di svolgerlo senz’altro.

L’emendamento è del seguente tenore:

«Quando il giudizio avanti la Corte verte sulla costituzionalità di una legge regionale o su un conflitto di attribuzioni fra lo Stato ed una Regione, la Regione interessata ha la facoltà di designare una persona, scelta fra le categorie indicate nell’articolo precedente, per partecipare alla Corte come giudice».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Le considerazioni che hanno suggerito questo emendamento sono due: una è di ordine contingente, si può dire, ed è data dal fatto che lo Statuto della Sicilia prevede la creazione di un’Alta Corte avente funzioni analoghe a quelle della Corte costituzionale che stiamo costruendo; Alta Corte la quale sarebbe costituita, secondo un criterio paritetico, di sei giudici nominati in parti uguali dallo Stato e dalla Regione.

Io non voglio anticipare il problema delicato circa l’atteggiamento che l’Assemblea Costituente potrà assumere quando sarà chiamata ad esaminare il progetto di legge costituzionale concernente l’ordinamento della Sicilia, per inquadrare quello che è stato fatto nella Costituzione, così come risulterà. In quell’occasione l’Assemblea Costituente esaminerà tutto l’insieme del problema.

Ritengo personalmente, che sarà difficile che l’Assemblea Costituente arrivi ad ammettere che esista una Corte italo-siciliana. Quella forma di Corte è uscita nel progetto siciliano, che era l’unico in quel momento. Non ritengo che si possa adottare la stessa soluzione per tutte le Regioni, una volta che si crea la Corte costituzionale per tutto lo Stato. E infatti possiamo già dire che da parte della Consulta sarda, la quale elaborò uno schema di ordinamento per la Sardegna, non si è pensato di istituire qualche cosa di analogo anche per la Sardegna. Quindi, ho l’impressione che l’Assemblea Costituente aderirà al concetto che la Corte costituzionale debba essere unica.

E allora sorge un’altra questione, ed è di vedere se non sia il caso che per taluni giudizi le Regioni siano chiamate in un certo senso, a partecipare alla formazione della Corte costituzionale. A questo riguardo vi è l’emendamento Laconi, il quale prevede che alle elezioni di una certa quota di giudici siano chiamate a concorrere, insieme con le Camere legislative, anche le Assemblee regionali. Già la Commissione mi pare che si sia pronunciata in senso non favorevole a questa soluzione.

L’articolo aggiuntivo che io propongo parte da un’altra considerazione, che è questa: che sia opportuno, quando in un certo giudizio concreto sia in discussione una legge regionale di una certa Regione o un conflitto fra una certa Regione e lo Stato, che la Regione possa designare una persona che partecipi alla Corte in qualità di giudice. Non è che sia un rappresentante della Regione. Tutti sono giudici sullo stesso piede; anche chi è designato dalla Regione non è detto che necessariamente debba sposare la causa della Regione, perché è giudice e sarà quindi libero nel suo giudizio. Però la presenza di questa persona così designata ad hoc può essere utile.

Riguardo a quella che può essere stata l’origine di questa disposizione, io ricordo che una disposizione simile esiste per la Corte di giustizia internazionale. Secondo lo statuto di quella Corte, quando è in causa un certo Stato che non abbia un suo giudice fra i giudici ordinari della Corte, detto Stato è autorizzato – ha facoltà, quindi, non obbligo – di inviare una persona che ai fini del giudizio concreto è parificata agli altri giudici e partecipa al giudizio.

Mi sembra che questa soluzione possa essere accolta anche nel caso nostro, dando così una certa soddisfazione a quella idea che ha ispirato anche l’emendamento dell’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. Non so se l’onorevole Rossi Paolo voglia esprimere il pensiero della Commissione sull’emendamento dell’onorevole Perassi.

ROSSI PAOLO. La Commissione accetta la formulazione proposta dall’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. E allora, onorevoli colleghi, abbiamo concluso l’esame degli emendamenti anche all’articolo 128. Resta inteso che le votazioni sugli articoli 127 e 128 avverranno nella prossima seduta dedicata all’esame del progetto di Costituzione.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ritengo sia venuto il momento di fare un piccolo ragionamento sopra il periodo di tempo che ancora ci resta e sul modo di utilizzarlo. Ormai è chiaro che, considerata la brevità del tempo durante il quale l’Assemblea potrà ancora sedere e decidere, dobbiamo tenere conto non solo delle giornate ma anche delle ore. Ci siamo proposti di concludere nel mese di novembre l’esame di questi due Titoli. Ci occorrerà invece almeno un giorno di più, e cioè due sedute, per procedere alla votazione degli articoli esaminati e all’esame e alla votazione degli altri non ancora toccati; e poi, successivamente, avremo da esaminare le disposizioni transitorie e alcuni articoli relativi all’ordinamento regionale che abbiamo lasciati in sospeso. Dopo di che avremo terminato i nostri lavori in sede costituzionale.

Ma rimane ancora altro lavoro per le leggi elettorali, lavoro il quale richiederà molte sedute.

In linea generale, per la prossima settimana potremo procedere in questo modo. Poiché i nostri colleghi del Gruppo liberale hanno espresso il desiderio che almeno per la giornata di lunedì non si proceda a votazioni, alle quali non potrebbero partecipare perché impegnati al Congresso del loro partito, possiamo lunedì mattina, non tenere seduta. Nel pomeriggio terremo seduta allo scopo di esaminare una serie di disegni di legge relativi ad accordi di carattere commerciale con Paesi esteri. Procederemo poi alle votazioni relative, a scrutinio segreto, nel giorno successivo martedì, perché molto probabilmente se dovessimo procedere a questa votazione nella stessa giornata di lunedì non avremmo il numero legale.

Nella seduta pomeridiana di lunedì metteremo all’ordine del giorno anche una serie di interrogazioni.

Per martedì mattina è convocata la Commissione dei Settantacinque e quindi non terremo seduta; terremo seduta invece nel pomeriggio, seduta che eventualmente potrà protrarsi nelle ore serali e nella quale dobbiamo impegnarci a votare sia su questi due articoli i cui emendamenti sono stati già esaminati, sia sugli articoli residui del Titolo sesto e cioè 129, 130 e 131.

Mercoledì due sedute per esaminare gli articoli residui del Titolo sulle Regioni, e cioè: 117, 118, 122, 125.

Giovedì, venerdì e sabato le sedute, antimeridiane e pomeridiane, ed eventualmente serali, saranno dedicate alle disposizioni transitorie, di modo che per sabato sera prossimo sia terminato ogni lavoro in relazione al testo costituzionale. Dato che lunedì sarà festa non potremo tenere seduta. Dal 9 alle vacanze natalizie il tempo è breve e non potremmo dedicare altre sedute alla discussione del testo costituzionale; dovremo però ritornare sull’argomento per votare, in forma conclusiva, il testo che la Commissione dei Settantacinque e la Commissione di coordinamento ci presenteranno.

Come ho già detto, nella seduta di lunedì sarà posta all’ordine del giorno una serie di interrogazioni, e fra queste quelle relative a questioni di ordine pubblico.

Queste ultime interrogazioni saranno poste all’ordine del giorno con riserva e cioè salvo conferma del Ministro dell’interno o meglio, salvo, ritorno in sede del Sottosegretario Marazza che, come abbiamo appreso stamattina, si è recato a Milano.

CANEVARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEVARI. Avevo presentato una interrogazione alla Presidenza del Consiglio per chiedere informazioni sui provvedimenti legislativi intesi a porre le cooperative e le mutue nelle condizioni di recuperare i beni di cui sono state spogliate dal fascismo. La Presidenza del Consiglio si era impegnata di rispondere con urgenza; pregherei che questa interrogazione fosse posta all’ordine del giorno di lunedì.

PRESIDENTE. Sarà fatto senz’altro e farò sollecitare anche la Presidenza del Consiglio a rispondere; non posso però impegnarmi a che questa risposta sia data. Dipende dalla Presidenza del Consiglio di dichiarare se ha elementi sufficienti per poter rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non intendano apportare urgenti modifiche ai decreti 6 maggio 1947, n. 563; 13 giugno 1947, n. 670; 29 luglio 1947, n. 1689, attualmente vigenti per la riscossione dei contributi unificati da parte dei piccoli coltivatori diretti, le cui condizioni sono particolarmente gravi nelle zone danneggiate dalla guerra.

«Veroni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali ragioni si siano opposte finora alla restituzione della autonomia comunale a Paganica (Aquila), che fu sacrificata nel 1928 per realizzare il sogno di una grande Aquila con Comuni distanti dal centro fino a 18 chilometri; e per sapere se non creda opportuno, ad evitare legittime reazioni popolari, già serpeggianti, di affrettare il provvedimento che disponga la ricostituzione del Comune. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scoca».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non creda opportuno di disporre il trasferimento da Forlì a Ravenna, del comando sminatori, in considerazione:

1°) che la provincia di Forlì è ormai bonificata dalle mine;

2°) che i lavori di sminamento dipendenti da quel comando si svolgono prevalentemente nella provincia di Ravenna;

3°) che il trasferimento del comando da Forlì a Ravenna si dimostra pertanto utile e urgente, per la esecuzione più rapida e più economica dei lavori in corso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se, in considerazione che la società inglese di linee aeree B.O.A.C. dovrà presto lasciare Augusta, forse a causa del riordinamento di quella base navale, per cui si rende necessario di liberare lo specchio d’acqua antistante a Terra Vecchia ove attualmente ammarrano e decollano gli aerei della B.O.A.C., intenda intervenire, con i suoi alti uffici, presso la detta società, invitandola a trasferirsi a Siracusa, che ha ospitato in passato diverse linee aeree civili, ha visto partire dalla sua baia grandi aerei da trasporto, quali i plurimotori DO X, e ha una completa attrezzatura alberghiera e turistica; e ciò anche per alleviare la disoccupazione di quella gente dell’aria, con l’occorrente impiego di oltre quattrocento impiegati ed operai. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Finocchiaro Aprile».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e degli affari esteri, per sapere quali provvedimenti urgenti intendano prendere per rimuovere gli inconvenienti, che derivano dalla mancata regolamentazione dei rapporti tra le giurisdizioni civili italiane e quelle del territorio libero di Trieste, particolarmente in ordine all’applicazione degli articoli 3 e 4 del Codice di procedura civile, e in ispecie per sapere se siano stati promossi e con quale esito, accordi diretti a riconoscere reciprocamente autorità alle decisioni civili emesse dalle rispettive autorità giudiziarie con possibilità di scambio di rogatorie, senza l’osservanza delle vie diplomatiche e, come è ovvio, con assai maggiori agevolazioni di quanto praticato nei rapporti internazionali con molti altri Stati in ordine alla esecuzione delle sentenze. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Cosattini, Targetti, Canevari».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 1° dicembre 1947.

Alle ore 16:

  1. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia ed i Paesi Bassi, il 30 agosto 1946.

Approvazione degli Accordi di carattere, economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Danimarca, il 2 marzo 1946.

Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e l’Ungheria, il 9 novembre 1946.

Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia, il 12 aprile 1947: a) Accordo commerciale; b) Accordo di pagamento; c) Scambio di Note.

Approvazione degli Accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma, tra l’Italia ed il Belgio, il 18 aprile 1946.

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Svezia, il 19 aprile 1947: a) Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia; b) Protocollo addizionale all’Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia.

Approvazione dei seguenti Accordi, conclusi in Roma, tra l’Italia e il Belgio: a) Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50 mila minatori italiani in Belgio e scambio di Note 23 giugno 1946; b) Scambio di Note per l’annullamento dell’articolo 7 del Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946; c) Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947; d) Scambio di Note per l’applicazione immediata a titolo provvisorio dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1946.

  1. – Interrogazioni.