Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI SABATO 31 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXXV.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 31 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Commemorazione:

Buffoni

Presidente

Votazione segreta dei disegni di legge costituzionali:

Statuto speciale per la Sardegna – Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige – Statuto speciale per la Valle d’Aosta – Modificazioni alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la prima elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica – Norme per la formazione delle liste elettorali nella provincia di Bolzano

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Disegno di legge costituzionale (Seguito della discussione ed approvazione):

Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia (65)

Presidente

Patricolo

Perassi, Presidente della Sottocommissione per gli statuti regionali

Varvaro

Murgia

Ambrosini

Musotto

Corbino

Marinaro

Persico

Castiglia

Lussu

Russo Perez

Einaudi, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio

Camangi

Montalbano

Cevolotto, Relatore

Aldisio

Finocchiaro Aprile

Bernini

Corsini

Mortati

Dominedò

De Vita, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni

Presentazione di relazioni:

Di Giovanni, Presidente della Commissione per le autorizzazioni a procedere

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Disegno di legge costituzionale (Discussione e approvazione):

Norme per la proponibilità dei giudizi e per le garanzie di indipendenza della Corte costituzionale (68)

Presidente

Ruini

Mortati, Relatore

Giannini

Condorelli

Moro

Nitti

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Lucifero

Bozzi

Benvenuti

Dominedò

Fabbri

Mastino Gesumino

Mastino Pietro

Targetti

Perassi

Ambrosini

Votazione segreta dei disegni di legge costituzionali:

Conversione in legge costituzionale dello statuto della Regione siciliana approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 – Norme per la proponibilità dei giudizi e per le garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Per la chiusura dei lavori dell’Assemblea:

Micheli

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MEDI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Cotellessa e Viale.

(Sono concessi).

Commemorazione.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Onorevoli colleghi, si è spento ieri l’altro a Varese l’onorevole Paolo Campi, già deputato al Parlamento per il Collegio di Milano nella XXV legislatura.

L’onorevole Paolo Campi fu un valoroso combattente per la causa socialista.

Figlio di lavoratori, operaio muratore egli stesso, seppe, con studio assiduo e paziente, darsi una buona cultura e divenire efficace propagandista, redattore e direttore di fogli proletari, e uno dei migliori organizzatori del movimento sindacale e di quello cooperativo.

Fu anche sindaco di Gallarate nell’Amministrazione socialista che resse quell’importante città industriale fino alla presa del potere da parte dei fascisti.

Prego l’onorevole Presidente di voler mandare alla famiglia le condoglianze dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Assicuro l’onorevole Buffoni, che a nome dell’Assemblea Costituente, invierò alla famiglia dello scomparso le espressioni del nostro cordoglio. (Segni d’assenso).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:

Statuto speciale per la Sardegna; Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; Statuto speciale per la Valle d’Aosta; Modificazioni alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la prima elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Norme per la formazione delle liste elettorali nella provincia di Bolzano.

Indico la votazione.

(Segue la votazione).

Avverto che le urne rimarranno aperte continuandosi nello svolgimento dell’ordine del giorno.

Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia. (65).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia. (65).

PATRICOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRICOLO. Vorrei formulare la richiesta di chiusura della discussione sul coordinamento dello Statuto regionale siciliano. Ritengo doveroso chiedere la chiusura, perché noi ci troviamo impegolati in una discussione che certamente non potrà aver termine entro questa sera. Noi discutiamo come se avessimo davanti a noi delle settimane di tempo, mentre non abbiamo che poche ore.

Se si fosse trattato di coordinare lo Statuto con la Costituzione, probabilmente, modificando uno o due articoli, noi saremmo giunti alla soluzione del nostro problema; ma la Commissione ha presentato un nuovo progetto. Qualcuno dei nostri colleghi ha detto che questo progetto sarebbe più favorevole alla Regione siciliana. Io non sono d’accordo. Comunque, più favorevole o no, se si trattasse oggi di rivedere lo Statuto siciliano, noi dovremmo esaminare articolo per articolo questo Statuto. Si tratterebbe di modificare una legge che per i siciliani ha enorme importanza; ed io sarei il primo a chiedere ulteriori riforme che possano essere di maggiore vantaggio per r siciliani.

Dato che non abbiamo il tempo per questo esame, e dato che ci è stato presentato un ordine del giorno a firma dell’onorevole Ambrosini, io chiedo che si proceda alla votazione di questo ordine del giorno, non andando oltre nella discussione.

PRESIDENTE. Domando se la proposta di chiusura, avanzata dall’onorevole Patricolo, è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

Ha facoltà di parlare l’onorevole Perassi, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Onorevoli colleghi, vorrei anzitutto rilevare una espressione dell’onorevole Finocchiaro Aprile. Egli disse che la Commissione aveva impedito all’onorevole Ambrosini di essere Relatore per il progetto di legge costituzionale concernente lo Statuto coordinato della Sicilia. Devo dire che ciò non è assolutamente esatto. La Commissione, nel determinare l’ordine dei suoi lavori, aveva adottato il principio che per ciascuna delle leggi costituzionali relative agli Statuti speciali venissero designati due Relatori e che questi Relatori fossero scelti con un criterio di assoluta obiettività, nel senso che nessuno dei membri della Commissione appartenenti ad una certa Regione fosse relatore per quella Regione. Così è che, ad esempio, l’onorevole Ambrosini non è compreso fra i relatori per la Sicilia, mentre è stato relatore per la Sardegna e l’onorevole Lussu non è stato relatore por la Sardegna ma lo è stato per la Valle d’Aosta.

Fatta questa rettifica di un dato di fatto, entro senz’altro rapidamente nel merito della questione. Chi ha sentito i discorsi di stamattina, quello dell’onorevole Ambrosini (nostro collega della Commissione), che rappresentava la minoranza costituita dai deputati siciliani nella Commissione, eppoi il discorso dell’onorevole Finocchiaro Aprile, avrà notato una certa notevole diversità di apprezzamenti da parte dei due oratori per quanto concerne il lavoro compiuto dalla Commissione. Secondo l’onorevole Ambrosini questo lavoro non ha portato ad un rifacimento sostanziale dello Statuto; secondo l’onorevole Finocchiaro Aprile, invece, parrebbe che si sia voluto sovvertire quello che esiste. Né l’una, né l’altra tesi sono completamente esatte e le due versioni contrapposte mostrano che la verità non è né nell’una, né nell’altra.

Cosa ha fatto la Commissione? La Commissione, come ha già spiegato molto chiaramente il Relatore, aveva dinanzi a sé un binario tracciato e lo ha seguito coerentemente. Si è detto che la Commissione ha sorpassato i poteri che essa aveva, nel compiere il coordinamento. Vorrei, a questo riguardo, richiamare ancora una volta l’origine di questa espressione ed il significato che essa può avere. Verrei ricordare soprattutto alla deputazione siciliana che, nella proposta di coordinamento regionale che la Consulta siciliana elaborò, su invito dell’Alto Commissariato e del Governo, aveva inserito all’articolo 43 del suo precetto la disposizione che dice: «Il presente Statuto sarà approvato con decreto legislativo ed entra in vigore dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale». Proseguiva poi: «Sarà in seguito sottoposto all’Assemblea Costituente dello Stato», senza altro aggiungere. La parola: «coordinamento» è venuta fuori in sede di Consulta Nazionale. Fu questa che propose di modificare quella frase, che poi venne trasferita nel decreto legislativo che emanò lo Statuto, nel testo seguente: «Esso sarà sottoposto all’Assemblea Costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato». È da rilevare che la stessa Consulta, nella sua relazione si domandò quale sarebbe stata poi la posizione dell’Assemblea Costituente nei riguardi dello Statuto ed a pag. 4 della relazione, a suo tempo presentata, la Consulta osservò che l’Assemblea Costituente si sarebbe ritenuta evidentemente investita di una piena sovranità a questo riguardo.

Richiamata questa origine della parola «coordinamento», veniamo in concreto a quello che ha fatto la Commissione che ha elaborato il testo. La Commissione ha inteso, come del resto è già stato detto, il suo compito come consistente in due operazioni. Una prima di carattere costituzionale e sostanziale consisteva nell’esaminare il testo dello Statuto vigente e vedere quali fossero le norme che apparivano in contrasto col desto della Costituzione. La seconda operazione, che entra pure nel coordinamento, fu quella di dare al testo dello Statuto siciliano, da adottarsi con legge costituzionale, una formulazione corrispondente allo stile ed alle disposizioni della stessa Costituzione; operazione questa di coordinamento letterale e formale.

Devo dire che la Commissione ha compiuto questo lavoro con un continuo contatto, diretto e indiretto, con la delegazione siciliana e con essa ha avuto un libero scambio di idee nei riguardi dei diversi punti che, sotto diversi aspetti, erano stati indicati dalla Commissione stessa come meritevoli di essere considerati al fine del lavoro da compiersi.

VARVARO. La delegazione siciliana ieri sera è stata d’accordo sull’ordine del giorno Ambrosini.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti ragionali. Io parlo della Commissione.

Sta di fatto che anche l’altra notte, dalle 10 di sera a mezzanotte e oltre, noi abbiamo avuto una conversazione con la delegazione siciliana, con la quale abbiamo perfino esaminato i dettagli e le disposizioni di ordine secondario. Abbiamo, per esempio, considerato alcune disposizioni che non c’erano nello Statuto siciliano vigente e che invece erano state messe già in altri Statuti speciali, e si è considerata l’opportunità o meno di passarle anche nello Statuto siciliano. Alcune di queste disposizioni, infatti, sono state inserite nel testo da noi elaborato, nell’interesse stesso della Regione. Un esempio particolarmente notevole è dato da quelle disposizioni che riguardano una consultazione della Regione per quanto concerne l’elaborazione dei trattati di commercio, ed altre legislazioni che possono interessare la Regione. Anche per altri articoli si è discusso e qualcuno è stato dell’avviso di lasciare determinate materie alle leggi regionali.

Dunque, questa discussione di dettaglio lasciava ritenere che la discussione potesse proseguire senza gravi difficoltà.

Veniamo ora a quello che è particolarmente l’oggetto della discussione e del voto che in questo momento si deve prendere, e cioè esaminiamo il progetto di legge quale è presentato dall’onorevole Ambrosini in contrapposto al testo dell’articolo 1, elaborato dalla Commissione. Che cosa dice questo articolo e quale ne è la portata?

Secondo il testo dell’onorevole Ambrosini, lo Statuto della regione siciliana, approvato col regio decreto legge 15 maggio 1946 fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 116 della Costituzione.

Il testo Ambrosini non differisce sostanzialmente dal primo comma del testo dell’onorevole Finocchiaro Aprile.

Cosa vuol dire questa formula tradotta nella sua portata giuridica? (E su questo punto l’onorevole Ambrosini sarà certo d’accordo nell’interpretazione che diamo al contenuto della sua disposizione). Vuol dire giuridicamente questo: che l’Assemblea Costituente farebbe una legge costituzionale nella quale si riportano articolo per articolo tutte le disposizioni dello Statuto vigente, senza mutare una virgola, aggiungendo soltanto alla fine una disposizione, che è quella contenuta nella seconda parte del progetto Ambrosini, relativa ad eventuali modificazioni. Ciò che è necessario rilevare è che, adottando il testo Ambrosini, l’Assemblea Costituente assumerebbe la responsabilità di prendere il testo dello Statuto attuale così com’è, facendolo proprio in tutte le sue parti, in tutti i dettagli, punto per punto, virgola per virgola.

Ora, la Commissione non ritiene di poter raccomandare all’Assemblea Costituente di seguire questa via. Ritiene che la formula proposta dall’onorevole Ambrosini non corrisponda al compito che l’Assemblea Costituente ha avuto, anche inteso il coordinamento nel senso più ristretto che sia possibile.

Questo, infatti, non è coordinamento; questa è ricezione in blocco del testo dello Statuto vigente, dandogli il carattere formale di legge costituzionale.

La Commissione, ripeto, non può assumersi la responsabilità di suggerire all’Assemblea Costituente di compiere questo atto.

La Commissione ha contenuto nei limiti più ristretti il lavoro di coordinamento che essa era incaricata di fare, perché le disposizioni dello Statuto, alle quali essa ha portato qualche modificazione, sono poche e sono soltanto quelle che in realtà si pongono in manifesto contrasto con la Costituzione.

Se, per ipotesi, si adottasse una legge costituzionale che in blocco facesse proprio il contenuto in tutti i suoi particolari dello Statuto vigente, si verrebbe implicitamente a dire che tutte le disposizioni sono conservate col carattere di norme costituzionali, mentre lo stesso articolo 16 delle disposizioni transitorie della Costituzione prevede che vi siano delle norme preesistenti, che implicitamente sono da ritenersi abrogate con l’entrata in vigore della Costituzione.

Noi, tenendo presenti i principî della Costituzione, ed in particolare l’articolo 116, abbiamo fatto l’opera che si è concretata nel testo che abbiamo presentato, e la Commissione non può che attenersi a quel testo.

Io rilevo che nel corso di questa seduta sono stati presentati degli emendamenti al testo della Commissione; può darsi che alcuni di questi emendamenti non rientrino in quel concetto di coordinamento che era stato indicato anche dal Presidente. È una questione da vedersi. D’altra parte, è da tener presente che, come è avvenuto per altri Statuti, è possibile che, per qualche disposizione contenuta nel testo dello Statuto vigente, si possa prevedere un procedimento di modificazione diverso da quello che è il procedimento costituzionale.

A questo riguardo, ricordo in particolare che le norme relative all’ordinamento tributario della Regione, come abbiamo già avuto occasione di rilevare per un altro Statuto, concernono una materia che un articolo della Costituzione prevede come suscettibile di essere regolata con leggi ordinarie. Quindi potrebbe essere anche opportuno, qualora si ritenga di non entrare ora nel merito delle disposizioni concernenti l’ordinamento tributario, di fare uso di quell’espediente che noi abbiamo già adottato per altri Statuti, cioè a dire che quelle disposizioni (avuto riguardo al loro carattere in relazione dell’articolo 119 della Costituzione) saranno suscettibili di essere modificate con un procedimento diverso di quello delle leggi costituzionali; cioè col procedimento di legge ordinario, su proposta dell’Assemblea regionale.

L’onorevole Ambrosini, poi, ad un certo punto, ha detto che vi sono anche delle questioni di forma, che pure hanno la loro importanza. Il concetto è esattissimo ed egli ha rilevato che il dire all’articolo 1° che si sono introdotte delle modificazioni allo Statuto vigente può sembrare poco opportuno, in relazione alle giuste suscettibilità della Regione siciliana. Se è questione di forma, la Commissione può anche non avere difficoltà a togliere quella espressione. Si potrebbe, ad esempio, dire che lo Statuto attuale è adottato con legge costituzionale come Statuto speciale della Sicilia nel testo allegato alla presente legge, senza parlare di modificazioni.

L’onorevole Gullo Rocco questa mattina ha avuto una nota particolarmente pratica; in fondo, ha detto, lasciamo a parte la questione delle parole e guardiamo alla sostanza. Ed è su questa via che noi ci siamo messi, e credevamo di essere arrivati in porto o quasi. Torniamo a questo appello alla realtà e alla praticità, prescindendo da questioni di forma o di suscettibilità e proseguiamo il lavoro sulla linea che abbiamo indicato. Il testo che noi abbiamo sottoposto all’Assemblea è un testo che concilia le esigenze costituzionali del coordinamento con le preoccupazioni della delegazione siciliana.

Noi riteniamo che l’Assemblea Costituente possa lavorare sulla base di questo testo.

Si è detto che la Commissione si è dimostrata ostile all’autonomia della Sicilia: non è per niente vero. Il Relatore del progetto, onorevole Cevolotto, figura fra i Ministri che hanno messo la firma al decreto che ha determinato il primo ordinamento autonomo della Sicilia; gli altri membri della Commissione hanno tutti ugualmente seguito un indirizzo nettamente favorevole alle autonomie. Chi vi parla, in particolare, non può certo venir sospettato di esser poco favorevole alle autonomie.

Ciò che piuttosto vi è stato, da parte di tutti i membri della Commissione – questa, sì, è la verità – è che, nel fare questo lavoro, noi tutti, qualunque fosse la nostra personale opinione, ci siamo posti da un punto di vista assolutamente obiettivo, prescindendo cioè da qualunque opportunità contingente di partito. Questa è la pura verità, e noi pertanto formuliamo l’augurio che a questo stesso spirito si informi l’Assemblea Costituente.

L’onorevole Li Causi, questa mattina, diceva: voi volete, con questo Statuto, tornare a fare il colpo del 1860, quando, per ripetere una frase di Alberto Mario, si fece un colpo di Stato, estendendo alla Sicilia tutto il bagaglio accentratore dell’ordinamento piemontese. No, non è questo che vogliamo fare; al contrario, noi vogliamo riparare all’errore commesso nel 1860, perché abbiamo presente al nostro spirito quello che è stato il voto della Sicilia prima che quel cosiddetto colpo di Stato venisse consumato. Noi abbiamo presente la relazione, stesa da Michele Amari, del Consiglio straordinario di Stato, che Garibaldi, e per lui il prodittatore Mordini, aveva convocato, prima che venisse indetto il plebiscito, per studiare ed esporre al Governo, diceva il decreto, «quali sarebbero, nella costituzione della grande famiglia italiana, gli ordini e le istituzioni su cui convenga prestare attenzione perché rimangano conciliati i bisogni peculiari della Sicilia con quelli generali dell’unità e della prosperità della Nazione italiana».

Nessuna ostilità, dunque, all’autonomia siciliana, ma, al contrario il desiderio di garantire che l’ordinamento regionale funzioni in maniera utile alla Sicilia e all’Italia.

Questo è il nostro desiderio e riteniamo che il testo risponda a questo spirito e a questa finalità.

VARVARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Varvaro?

VARVARO. Sulle dichiarazioni fatte ora dall’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. Mi spiace, onorevole Varvaro, ma ora non c’è da dire più nulla: il Relatore ha risposto, la chiusura è stata votata e a nessuno più si può concedere ora facoltà di parlare.

Onorevoli colleghi, ricordo che il disegno di legge costituzionale nel testo della Commissione è del seguente tenore:

Art. 1.

«Il vigente Statuto della Regione siciliana, approvato con decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, è adottato con la presente legge costituzionale quale Statuto speciale per la Sicilia, con le modificazioni che risultano dall’allegato, che costituisce il testo coordinato dello Statuto stesso».

Art. 2.

«La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

Gli onorevoli Ambrosini, Castiglia e Montalbano hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 1 e 2 col seguente articolo unico:

«Lo Statuto della Regione siciliana, approvato con regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’articolo 116 della Costituzione.

«Le modifiche, che in base all’esperienza derivante dall’applicazione dello Statuto fossero ritenute necessarie dalla Regione o dallo Stato, saranno approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, di intesa con l’Assemblea regionale della Sicilia».

Gli onorevoli Finocchiaro Aprile e Gallo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 1 e 2 del disegno di legge col seguente articolo unico:

«Lo Statuto della Sicilia, promulgato con decreto legislativo 15 maggio 1946. n. 455, è legge costituzionale e continuerà ad avere vigore.

«Eventuali modifiche potranno essere introdotte con legge ordinaria dello Stato, ma sempre su voto dell’Assemblea siciliana, espresso da almeno tre quarti dei suoi componenti».

Comunico che sono stati presentati i seguenti emendamenti al testo Ambrosini:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Le modifiche ritenute necessarie dallo Stato o dalla Regione saranno approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria udita l’Assemblea regionale della Sicilia.

«Persico».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Per le modificazioni dello statuto della Regione siciliana si applica la procedura stabilita dalla Costituzione per le leggi costituzionali. Non oltre due anni dall’entrata in vigore della presente legge si potrà procedere a revisione anche con legge ordinaria della Repubblica, udita l’Assemblea regionale siciliana.

«Dominedò».

«Aggiungere il seguente comma:

«Lo stesso procedimento si applicherà per eventuali modifiche agli statuti speciali già approvati della Sardegna, Trentino-Alto Adige, Val d’Aosta.

«Murgia».

Onorevole Murgia, mi rammarico, ma non è proponibile il suo emendamento aggiuntivo. Noi stiamo esaminando il testo dello Statuto speciale per la Sicilia e non possiamo immettervi nulla che si riferisca agli Statuti speciali già approvati.

MURGIA. Non credo che vi sia una ragione di preclusione assoluta.

Vi sono, invece, imperiose ragioni di giustizia, oltreché politiche e logiche, che impongono l’accoglimento dell’emendamento che abbiamo proposto.

PRESIDENTE. Permetta, onorevole Murgia: penso che lei si possa rammaricare di non aver pensato ieri a proporre questa formula; ma non è questa una ragione, comunque, per inserirla quest’oggi in un testo che non ha nulla a che fare con la sua proposta. Potrà formare oggetto, se mai, di un ordine del giorno; non di formulazione da inserire nel corpo di una legge che si riferisce ad altra materia.

Onorevole Ambrosini, poiché sono state presentate due formulazioni che modificano il testo da lei proposto, la pregherei di esprimere il suo parere e di dirci se è disposto ad accoglierle in sostituzione della sua formulazione.

AMBROSINI. Onorevole Presidente, le proposte modifiche si riferiscono al comma secondo. Io debbo insistere sul mio testo, facendo rilevare che lo ho presentato anche in rappresentanza del mio gruppo, e che è stato firmato da altri due colleghi, che vi aderirono in rappresentanza dei loro partiti.

Io mi rendo conto delle esigenze manifestate con gli emendamenti presentati. Ritengo però che a queste esigenze si provveda adeguatamente anche con l’articolo da me proposto, che apre la via alle modifiche che l’esperienza suggerirà, senza richiedere il ricorso alla procedura lunga della revisione costituzionale. Basterà una legge ordinaria emanata dal Parlamento Nazionale «di intesa» con l’Assemblea regionale siciliana. L’Assemblea ha approvato lo Statuto della Val d’Aosta che ha un articolo col quale sostanzialmente si adotta la stessa norma; e ieri ha approvato lo Statuto del Trentino-Alto Adige con un simile articolo, sia pure limitato alla materia finanziaria. La clausola «di intesa» con l’Assemblea regionale è necessaria per non sollevare diffidenze nell’Isola, e sarà più vantaggiosa per tutti.

Quindi il secondo comma dell’articolo proposto è già sulla scia di una deliberazione presa da questa Assemblea per due altri Statuti. Faccio rilevare all’Assemblea che con questo secondo comma non ci si pone sulla via del trattato internazionale, né del federalismo, giacché non si preclude allo Stato la possibilità di procedere a modifiche di sua sola autorità e senza il consenso dell’Assemblea regionale della Sicilia, facendo ricorso al procedimento previsto dalla Costituzione per la revisione delle leggi costituzionali.

Se vi sono dei colleghi che hanno il dubbio circa la possibilità che la dizione dell’articolo da me proposto precluda al Parlamento questo potere di revisione (dubbio che in verità non ha fondamento, perché il Parlamento sovrano può col procedimento previsto cambiare qualsiasi norma della stessa Costituzione) si può diradare il dubbio facendo un richiamo espresso alla revisione delle norme costituzionali. Nel secondo comma dopo le parole «le modifiche saranno approvate con legge ordinaria del Parlamento di intesa con l’Assemblea regionale», si può aggiungere «salvo l’ordinario procedimento di revisione costituzionale». Con ciò sarebbe eliminata qualsiasi possibilità di dubbio.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo dunque alla votazione.

AMBROSINI. Chiedo di parlare, per aggiungere una sola parola.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Mi è stato chiesto se accetto o non accetto gli emendamenti.

Come ho detto, non li accetto; mantengo il testo da me proposto nella sua integrità, con la clausola «di intesa».

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Ambrosini. Avevo già ben compreso quello che lei ha detto.

MUSOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MUSOTTO. Onorevoli colleghi, avvertiamo lo stato psicologico dei siciliani in questo momento in cui si discute all’Assemblea Costituente il coordinamento dello Statuto dell’Isola con la Costituzione della Repubblica.

Il partito socialista italiano dichiara che vuole salvaguardata nel modo più sicuro l’autonomia siciliana, e perciò pensa che il coordinamento non debba toccare né diminuire quello che era stato concesso.

Lo Statuto fa già parte della legge costituzionale dello Stato perché, approvato e promulgato col decreto del maggio 1947, ha avuto pieno vigore ed è penetrato nella coscienza del popolo siciliano come una conquista e come un diritto acquisito.

Strumento efficacissimo di lotta democratica, porterà ancora il popolo siciliano verso realizzazioni più ampie, sollevandone il livello morale, sociale e politico.

Il popolo siciliano, sempre intelligente e sobrio, saprà trarre dalle esperienze, alle quali lo chiamerà la sua nuova attività politica e amministrativa, suggerimenti e propositi di revisione dello Statuto, semmai sempre in meglio, onde farne uno strumento valido e sapiente nell’interesse del popolo lavoratore e repubblicano, che vuole rimanere vivo e operante nell’anima unitaria dello Stato italiano. Il Gruppo parlamentare socialista voterà favorevolmente l’articolo di legge proposto dall’onorevole Ambrosini.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io non credo che dal voto che daremo debbano nascere, né i grandi guai che a proposito del nostro ordinamento regionale ho sentito esporre da qualche parte, né le grandi speranze che i miei conterranei siciliani affidano alla deliberazione della Costituente.

Ho troppa fiducia nell’intelligenza dei siciliani e nel buonsenso del popolo italiano per non essere più che sicuro che gli errori o gli eccessi che noi possiamo aver commesso o potremmo commettere in un senso o nell’altro non siano prontamente e provvidamente riparati. C’è, nel problema che ci affatica un aspetto giuridico che investe tutta la struttura costituzionale dello Stato e rispetto al quale tutti vogliamo essere italiani prima che siciliani. C’è un problema di ordine economico-finanziario, di funzionamento dell’economia dell’Isola che, impostato in momenti nei quali la situazione della Sicilia era profondamente diversa da quella di oggi, impostato in momenti nei quali anche la situazione dell’Italia era profondamente diversa di quella di oggi, ci avrebbe portato probabilmente a fare uno statuto alquanto diverso di quello che siamo chiamati ad approvare. Il problema principale, oggi mi pare il seguente: siamo in un momento in cui una nuova redazione dello Statuto possa essere fatta in un ambiente di serenità, di calma, di obiettività tale quale sarebbe necessario per non avere la probabilità, se non la certezza, di incorrere in altri errori? Io sono convinto di no, e ne sono convinto non soltanto per la brevità del termine, ma anche e soprattutto perché, per la speciale atmosfera elettorale nella quale viviamo, ciascuno di noi non avrebbe quella limpidezza di vedute che sarebbe necessaria. Ed allora non resta che una soluzione, il rinvio (Commenti), nei termini nei quali lo propone Ambrosini.

AMBROSINI. No, io propongo l’approvazione integrale e definitiva.

CORBINO. A me pare un rinvio in questo senso, in ogni caso è in questo senso che io voto la proposta Ambrosini, è perché c’è un impegno tacito delle due parti che là dove esiste un contrasto fra la Costituzione approvata e lo Statuto dell’Isola, questo contrasto dovrà essere appianato nelle forme giuridiche e costituzionali, e che fino a quel giorno, sia da parte dello Stato, sia da parte degli organi della Regione, si agisca con il presupposto che fra Italia e Sicilia non vi può essere che armonia di interessi e non discordanza di interessi.

Questo deve essere il punto di partenza.

Quindi hanno ragione il Governo, il Ministro del bilancio, quando si preoccupano delle ripercussioni che determinati provvedimenti presi dal Governo regionale possono aver avuto o potrebbero avere sulla struttura economica nazionale, ma hanno anche ragione il Governo regionale, tutte le popolazioni dell’Isola quando si preoccupano che noi si possa ricorrere a formule legislative vaghe, che tendano a togliere alla Sicilia, sia pure soltanto pro-forma, una parte di quelle conquiste (chiamiamole con il loro linguaggio) che esse credono di avere effettuato. Onorevoli i colleghi, come siciliano io sono convinto che noi abbiamo preso nell’interesse della Sicilia la via sbagliata, perché avremmo dovuto impostare la campagna per la difesa degli interessi della Sicilia, sul terreno di una politica economica nazionale che correggesse le sperequazioni ai danni delle isole del Mezzogiorno, e non nella vacua speranza di una autonomia regionale, la quale doveva urtare, nella sua vita economica e finanziaria, di fronte a difficoltà che ancora non si possono prospettare e che provocheranno gravi delusioni alle popolazioni.

Quindi, non perché abbia lo scrupolo di prendere per il Paese una deliberazione che possa essere nociva agli interessi dell’Italia, ma con la perfetta tranquillità che nel nostro tradizionale buon senso noi troveremo sempre la via d’intenderci, io voto l’ordine del giorno Ambrosini, con l’aggiunta che lo stesso onorevole Ambrosini ha proposto.

AMBROSINI. Ho suggerito, sempre mantenendo la clausola «di intesa», di aggiungere «salvo l’ordinario procedimento di revisione costituzionale».

CORBINO. Il suo suggerimento mi permetto di farlo come mia proposta, nel senso che entro un termine breve si arrivi alla modifica dei punti in contradizione. Credo di poter esprimere un augurio: che queste modifiche siano affrontate subito, non appena il nuovo Parlamento sia costituito, in maniera che in esso si possano studiare, concordare non nell’atmosfera rovente che precede una battaglia elettorale, ma con la tranquillità di tecnici che devono studiare a tavolino soluzioni di problemi concreti, interessanti in ugual modo l’Isola e tutto il resto della Repubblica. (Applausi).

VARVARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VARVARO. Io credo che la proposta firmata dagli onorevoli Ambrosini, Castiglia, Montalbano, sia la sola che possa dirimere il contrasto che si è determinato nell’Assemblea, e che diversamente sarebbe incomponibile. Il contrasto si è determinato attraverso un errore d’impostazione della Commissione. In base all’articolo 116 della nostra Costituzione, noi dovevamo fare, a proposito dello Statuto siciliano, con mandato specifico, una legge di coordinamento. Questa legge la Commissione l’ha presentata, ed è costituita dai due primi articoli. Senonché, con un procedimento giuridicamente sbagliato, al posto di quell’allegato (e lo chiama difatti allegato) che doveva essere lo Statuto siciliano, che richiamava nella legge anche con il numero, noi troviamo un altro progetto con una sistematica totalmente diversa. Io non discuto adesso il contenuto; discuto la forma, che è di grandissima importanza, perché investe problemi insolubili.

Intanto questo procedimento delude le aspettative dell’Assemblea, che si era attenuta alle direttive date dall’onorevole Presidente, il quale, dando queste direttive, che abbiamo sott’occhio – spero le avrete anche voi – aveva mostrato di individuare il problema in modo preciso. Queste direttive dicevano: «A differenza di statuti, che si devono creare, quello della Sicilia è già una legge dello Stato e quindi non è dato all’Assemblea di discuterlo articolo per articolo. L’Assemblea può soltanto rilevare e discutere, se ve ne siano, evidenti e sicuri contrasti con la Costituzione italiana».

Quindi, dopo i due articoli del progetto, che costituiscono la legge di adozione dello Statuto siciliano, la Commissione, coerentemente con queste direttive e secondo le aspettative di noi tutti, avrebbe dovuto presentare solamente le proposte di modifica dei contrasti costituzionali eventualmente esistenti; non un progetto nuovo.

Né tutto questo, che è errore evidente della Commissione, è stato fatto d’accordo con la delegazione siciliana. Mi dispiace di dover dire come stanno realmente le cose. A prescindere da questioni elettorali, che non mi interessano per niente, tutto questo non è stato fatto d’accordo con la delegazione siciliana. Ieri sera si sono riunite la deputazione e la delegazione siciliana, le quali, dopo lunga discussione, sono rimaste ferme sul progetto Ambrosini, perché non era stato accettato il nuovo progetto della Commissione.

Oggi, a poche ore dalla fine dei nostri lavori, ci troviamo di fronte ad un progetto nuovo, che, per essere appunto completamente nuovo, pone l’Assemblea nell’obbligo di discuterlo articolo per articolo, anche se il senso della misura, dato che sono state presentate diecine di emendamenti (che non so come potranno essere discussi), suggerirà di procedere celermente.

Ritengo che, in queste condizioni, unica soluzione sia quella della proposta Ambrosini, Montalbano e Castiglia.

Per queste considerazioni voterò a favore, perché non vedo possibilità di altre soluzioni.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Io voterò contro la proposta Ambrosini, come voterò contro qualsiasi proposta, diretta a richiamare il decreto 15 maggio 1946, non perché non ami le autonomie regionali e non apprezzi nel giusto valore le aspirazioni del popolo siciliano, ma perché ritengo incostituzionale l’accennato decreto.

Questo decreto è per me incostituzionale, poiché il Governo non aveva la potestà di emanarlo; non ne aveva la potestà, né in base al famoso decreto di Salerno del 25 giugno 1944, né in base ai pretesi accordi dei comitati di liberazione col Governo medesimo.

Questa materia, cioè la materia costituzionale era sottratta alla facoltà legislativa del Governo. E ciò è tanto vero, onorevoli colleghi, che il Consiglio di Stato, interpellato in proposito, si rifiutò di esaminare la questione. Non è che giunse ad una soluzione diversa da quella proposta dal Governo, ma non esaminò affatto la questione, ragion per cui il Governo non avrebbe dovuto pubblicare il decreto del 15 maggio. D’altra parte è da tener conto che questo decreto fu registrato con riserva e che questa Assemblea non si è mai pronunziata sulla riserva opposta dalla Corte dei Conti, ritengo anzi che l’apposita Commissione non abbia mai funzionato in questo periodo di tempo. (Commenti).

Nelle ultime settimane, a mio avviso, questa Assemblea ha compiuto numerosi atti incostituzionali che vanno dalla rinnovata adozione della lista nazionale per l’elezione del Senato, a talune norme contenute negli Statuti che sono stati approvati nei giorni scorsi. È bene che l’Assemblea assuma la sua responsabilità ma è bene pure che ciascuno di noi assuma la propria ed io ho creduto di fare questa dichiarazione per dividere la mia responsabilità da quella degli altri. (Approvazioni a destra).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, dirò brevissime parole per spiegare la ragione del mio emendamento. Abbiamo ascoltato molte tesi opposte fra cui ultima quella dell’onorevole Varvaro, il quale sostiene che la Commissione ha esorbitato dai suoi poteri presentando un disegno di legge, che non è identico al decreto regio approvato il 15 maggio 1946.

Io sono convinto che la Commissione ha fatto completamente il suo dovere, perché, fino a che le due parole italiane «coordinare» e «adottare» hanno un significato logico e giuridico, coordinare vuol dire ordinare insieme ad altre cose, adottare vuol dire assumere qualcosa e farla propria, qualora convenga e qualora piaccia. Quindi, quando l’articolo 117 della Costituzione parla di adottare, conferisce un potere di disamina, di critica, di eventuale cambiamento di quel che si adotta; quando la legge del 15 maggio 1946 parla di coordinazione, evidentemente dà una facoltà di esaminare, e, se del caso, di modificare per coordinare. Quindi la Commissione bene ha fatto, e non è esatto che quando usa la parola «allegato», accenni alla legge 15 maggio. L’articolo 1 dell’attuale disegno dice: «Con le modificazioni che risultano dall’allegato»: cioè nell’allegato sono contenute le modificazioni. Poi aggiunge: «che costituisce il testo «coordinato» dello Statuto stesso». Quindi la Commissione è perfettamente in regola. Dato ciò, io e molti altri più autorevoli colleghi anche siciliani, ci eravamo permessi di proporre delle modifiche e degli emendamenti ai singoli articoli con la speranza di vederli accolti dall’Assemblea.

Cosa è che in questo momento rende impossibile tale discussione? La situazione stranissima in cui ci troviamo, di essere arrivati alle ore 18 del giorno 31 gennaio, con l’obbligo di chiudere questa sera i nostri lavori. Ed allora bisogna trovare una soluzione. La soluzione l’ha offerta l’onorevole Ambrosini, ma l’ha offerta con mano avara, perché, non dico che abbia voluto approfittare della specialissima contingenza (egli è uomo di troppo elevata dirittura morale per poterlo pensare!), ma la fatalità vuole che la sua proposta sia quasi iugulatoria e che dobbiamo quindi accettarla, bongré, malgré.

Ed allora, ecco le ragioni per cui mi sono permesso di presentare un emendamento al secondo comma del suo emendamento. Amici siciliani, non dite che da parte nostra c’è cattiva volontà, e che ci sia l’intenzione di riprendere con una mano quello che si dà con l’altra. Non è vero, perché il primo comma dell’emendamento Ambrosini taglia corto ad ogni discussione, è tranchant, e risolve tutte le questioni, in quanto esso afferma che «lo Statuto della Regione siciliana, approvato con regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’articolo 116 della Costituzione». Quindi con esso si dicono due cose: che lo abbiamo coordinato, come voleva il decreto-legge del 1946, e che lo abbiamo adottato, secondo l’articolo 116 della Costituzione. Con ciò gli amici siciliani hanno ottenuto al mille per mille tutto quello che domandavano.

Il secondo comma vuol concedere qualche cosa che va al di là, e che impegna l’avvenire. Ecco perché mi sono permesso di proporre una modifica che credevo sarebbe stata accettata senz’altro dagli onorevoli Ambrosini, Castiglia e Montalbano. Il mio emendamento sostitutivo rappresentava una mano amichevole che si tendeva all’onorevole Ambrosini. Nel primo capoverso del suo emendamento è detto che «le modifiche, che in base all’esperienza derivante dall’applicazione dello Statuto fossero ritenute necessarie dalla Regione o dallo Stato, saranno approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, di intesa con l’Assemblea regionale della Sicilia». Ora, circa «l’esperienza», io credo che ci vorrà per lo meno un quinquennio, altrimenti non si potrà parlare di esperienza. Osservo che si mette prima la Regione e poi lo Stato, perché è detto «fossero ritenute necessarie dalla Regione o dallo Stato»: questa espressione tradisce proprio lo spirito dell’emendamento. Circa poi l’approvazione da parte del Parlamento nazionale con legge ordinaria, di intesa con l’Assemblea regionale della Sicilia, io noto che, finché non avremo un trattato di accomodamento fra i due organismi politici, tra Italia e Sicilia, finché non .avremo un accordo fra il così detto Parlamento siciliano ed il Parlamento dello Stato italiano, non sarà possibile, né allo Stato, né alla Regione, di proporre alla Camera, e al Senato, una qualsiasi modifica dell’attuale Statuto.

Ma, dice l’onorevole Ambrosini, acutissimo come sempre: dimenticate che c’è l’articolo 138 della Costituzione, che cioè si può ricorrere alla modifica di una legge costituzionale col procedimento delle due letture, con i tre mesi d’intervallo, con la maggioranza qualificata e col referendum qualora venga richiesto nei modi di legge? Questo è un meccanismo difficilissimo a mettere in moto e dovremo farvi ricorso solo eccezionalmente, per modificare qualche parte della Costituzione se sarà necessario, non per ritoccare qualche articolo di uno Statuto regionale.

Quindi, io prego il collega Ambrosini – e temo che l’amico Ambrosini non possa più accedere alla mia preghiera, perché ha già risposto negativamente – ma prego gli amici e colleghi siciliani di voler accettare il mio emendamento, il quale salva tutti gli interessi della loro nobilissima Regione, dell’Assemblea, o Parlamento, siciliano, dei deputati o consiglieri, siciliani; ma fa anche salvo al Governo centrale il potere – dovere che l’amico Corbino diceva urgentissimo esercitare – di nominare domani stesso una Commissione di studio che potrà preparare le opportune modifiche allo Statuto siciliano; di modo che ai primi di maggio, aprendosi il nuovo Parlamento, possa essergli presentata questa come una delle prime leggi da discutere e deliberare. Per queste ragioni confido che l’emendamento, da me proposto, possa trovare benevola accoglienza da parte dell’Assemblea Costituente.

CASTIGLIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTIGLIA. Io prendo la parola soprattutto per rispondere all’invito molto cortese rivolto dall’onorevole Persico, per l’accettazione del suo emendamento all’emendamento che porta la firma dell’onorevole Ambrosini, la mia e quella dell’onorevole Montalbano.

Io sono grato all’onorevole Persico delle sue parole e delle sue intenzioni. Sono grato del fatto che in omaggio a quelli che lui ritiene i diritti preminenti della Regione nella materia in esame, abbia fatto quella tale graduatoria, però sono spiacente di non poter accettare il suo emendamento, poiché in sostanza fra il nostro emendamento, e l’emendamento proposto dall’onorevole Persico c’è una differenza piccolissima in apparenza, la differenza di una lettera dell’alfabeto, di una d, la quale però modifica profondamente e sostanzialmente l’essenza delle cose. Mentre noi prevediamo al capoverso dell’emendamento che le modifiche saranno approvate dal Parlamento nazionale ecc. «d’intesa» con l’Assemblea regionale, l’onorevole Persico propone che a questa frase «d’intesa» sia sostituita l’altra: «udita»; la differenza è troppo evidente: la differenza non è soltanto formale, ma è sostanziale, ed ha una portata e delle conseguenze che sono facilmente intuibili, perché ci sia bisogno di immolarsi su di essa. Io non conosco le intenzioni dell’onorevole Montalbano; comunque, dichiaro di non poter accettare l’emendamento dell’onorevole Persico. Ho preso anche la parola, ed ho ritenuto questa dichiarazione di voto necessaria – anche se apparentemente possa non sembrarlo essendo la mia firma stata apposta all’emendamento che si dovrà votare – perché io avevo presentato anche altri emendamenti sul testo dello Statuto. Ma tengo a dichiarare che questi emendamenti che io avevo presentato avevano un carattere tutt’affatto subordinato; nel caso cioè in cui l’emendamento che porta anche la mia firma non fosse votato dall’Assemblea; e prendo la parola anche perché voi, onorevoli colleghi, avete udito da parte della deputazione siciliana, senza differenza di partiti, senza separazione di ideologie politiche, l’intendimento che le rivendicazioni della Sicilia alla sua autonomia venissero finalmente esaudite.

La deputazione siciliana su questo argomento si è mantenuta concorde senza che ci sia stata una sola incrinatura ed ha espresso, attraverso la voce dei vari oratori, la sua unanime e compatta volontà di ottenere quel che ci proponiamo.

Non vorrei che, attraverso questa che noi potremmo chiamare (sia pure con linguaggio improprio, dal punto di vista regolamentare) relazione di minoranza, si potesse pensare che fra la maggioranza e la minoranza della Commissione ci siano stati dei contrasti veramente insanabili e profondi. Noi abbiamo collaborato con spirito di grande comprensione reciproca e devo dire, per la verità, che la maggioranza della Commissione si era avviata verso una concezione la quale avrebbe forse potuto portare ad altri risultati. E la ragione profonda, almeno per mio conto, del dissenso che si è manifestato tra la minoranza e la maggioranza della Commissione, non consiste tanto in quelle proposte di modifiche allo Statuto sulle quali si sarebbe potuto ancora, e forse proficuamente, discutere, quanto nel criterio che ha informato il disegno di legge che doveva portare al coordinamento; perché così come è stato formulato dalla maggioranza della Commissione, questo disegno di coordinamento ha aperto, come era prevedibile, le cateratte delle proposte di modifica dello Statuto, proposte di modifica che, molto più di quelle tali proposte fatte dalla maggioranza della Commissione, svuoterebbero completamente lo Statuto per l’autonomia siciliana, rendendolo – mi si consenta la frase – niente altro che una beffa atroce e tragica, della quale i siciliani non potrebbero non dolersi.

È per questo che io faccio appello a considerazioni di carattere soprattutto politico da parte dell’Assemblea, lasciando da parte per il momento qualsiasi considerazione strettamente giuridica, perché questo nostro emendamento sia votato nella forma in cui l’abbiamo presentato.

Io so benissimo che le proposte di emendamento sarebbero forse piovute allo stesso modo anche se le varie disposizioni dei vari articoli dello Statuto fossero rimaste così come erano state consacrate nello Statuto per l’autonomia siciliana; ma, in ogni modo, contro questi tentativi di svuotamento e di annullamento dello Statuto noi opponiamo il nostro desiderio che l’emendamento da noi presentato sia votato così com’è.

Non si devono avere preoccupazioni. E, ancora una volta, non guasta che da questa Assemblea, dalla voce di un siciliano, vengano pronunziate altre parole di adesione a quello che gli altri co]leghi siciliani hanno detto: questo strumento della nostra autonomia non vuole, non può e non deve significare tentativo di qualsiasi disintegrazione dello spirito di unità nazionale che ha animato ed anima la maggior parie dei siciliani. Noi siciliani, nella stragrande maggioranza, siamo profondamente unitari e tali vogliamo restare, o signori!

Ma dateci il modo perché, attraverso l’attuazione ed il conseguimento delle nostre rivendicazioni noi possiamo sentirci ancor più profondamente e più intimamente legati all’Italia!

Io ricordo, signori, ed ho finito, le parole che uno dei più illustri figli di Sicilia, Vittorio Emanuele Orlando, ha pronunziato in quest’Aula, parole che noi tutti siciliani sentiamo di poter far nostre e di assumere come pegno ed impegno d’onore: «Come non vi può essere una Italia senza la Sicilia, così non vi può essere una Sicilia senza l’Italia.» (Applausi).

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Non posso dichiararmi solidale con i colleghi della Commissione su questo disegno di legge, così come la Commissione lo presenta per la Sicilia. Io mi sono dimesso dalla Commissione, il giorno 28, in seguito al modo che consideravo e tuttora considero ingiusto con cui si è cercato di distruggere la sostanza dello Statuto speciale per la Sardegna. Non ho quindi potuto prender parte alle ultime riunioni e alle decisioni definitive per la Sicilia.

Debbo dichiarare che sono arrivato alla conclusione, che mi sento obbligato di votare a favore della sola soluzione politica che esista, a favore cioè dell’emendamento dell’onorevole Ambrosini. Io ho sempre infatti sostenuto – me ne appello ai colleghi della Commissione – che il coordinamento non significasse, nel nostro caso, la semplice aggiunta dello Statuto siciliano alla Carta costituzionale della Repubblica, ma che bisognasse invece interpretare questa esigenza come una necessità di razionale coordinamento costituzionale fra i principî fondamentali della Repubblica e i principî fondamentali dello Statuto siciliano.

Ma è appunto per ciò, che io ho sempre detto che questo si poteva fare ad una sola condizione; che noi non ci mettessimo in testa di andare ad esaminare tutti gli articoli dello Statuto così come sono stati formulati, ma che all’opposto ci convincessimo della necessità di ridurre al minimo queste esigenze costituzionali di coordinamento.

Io le ho indicate queste esigenze, in termini chiari. Primo, Corte costituzionale. Il coordinamento deve avvenire infatti principalmente attraverso la Corte costituzionale, la quale deve essere unica per la Repubblica, deve essere unica per tutti.

Secondo, la questione della Corte di cassazione. Io ritenevo infatti che, in un grande Paese civile e moderno, la Corte di cassazione dovesse essere unica; mi sembrava, inoltre che, avendo l’Assemblea rinviato la decisione sulla questione della unicità della Corte di cassazione, significasse un poco, in certa guisa, pregiudicare la questione, stabilendo una Corte di cassazione per la Sicilia.

Pur tuttavia, su ciò io non insistevo, conscio come sono della circostanza che questa mia opinione non è condivisa, nel Paese e in questa Assemblea, da uomini che hanno una sconfinata autorità in questo campo, ben superiore alla mia. Io riducevo perciò le mie esigenze a quel primo punto della Corte costituzionale.

Male ha fatto quindi, la Commissione a porci nell’obbligo di vedere il problema, anziché da un punto di vista principalmente politico come dovrebbe essere, da un punto di vista di natura prevalentemente tecnico-costituzionale. Ma, onorevoli colleghi, questa Assemblea non è, per nostra fortuna, un’Assemblea di uomini che sognano continuamente costituzioni e che mangiano sera e mattina diritto costituzionale, come, ad esempio, il collega professor Mortati. (Si ride).

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Ma Mortati è una persona seria, almeno.

LUSSU. Questa è dunque un’Assemblea politica ed è evidente che per essa è necessario arrivare ad una soluzione politica. E, per arrivare ad una soluzione politica, bisognerebbe essere ben ingenui per pensare che si possa discutere uno Statuto che è – diciamo le cose come esse appaiono nella profonda realtà vera – una conquista politica diventata per giunta giuridicamente efficiente. È una conquista politica, e qui saremmo dei pazzi (Commenti) se davvero pensassimo di poter distruggere una conquista politica di una Regione che ha cinque milioni di abitanti.

Una voce a sinistra. Ma non esageri!

LUSSU. Io dico quello che sento, e lo dicevo molto moderatamente, e credo assennatamente, due mesi fa, un mese fa, sino all’ultimo.

Quindi, non rimane che una conclusione Quando si vedono di questi emendamenti, è chiaro che quelli che sostenevano il coordinamento così come io lo sostenevo non possono consentire che sia ragionevole che ognuno abbia il diritto di presentare emendamenti ad ogni articolo.

L’onorevole Einaudi stamattina ha incominciato con un emendamento, ricordandosi di essere il Ministro del bilancio, e poi ne ha presentato uno anche stasera. Mi permetta l’onorevole Einaudi, egli è da considerarsi come il primo fautore dell’emendamento Ambrosini. E debbo aggiungere che, vedendo questi emendamenti, presentati questa sera, io mi sono ricordato dei versi dell’Ariosto, che mi pare possano attribuirsi egregiamente all’onorevole Einaudi, su quel cavaliere dell’Orlando Furioso che andava combattendo ed era morto. (Commenti – Ilarità).

È chiaro che non c’è la possibilità di emendamenti; politicamente non è possibile. L’Assemblea si spiegherà facilmente il motivo per cui io sono arrivato a questa conclusione.

E mi permetta una parola anche l’onorevole Corbino, del quale non condivido nemmeno la concezione che egli ha espresso come siciliano per le conquiste e per le organizzazioni autonomistiche. Non è esatto che noi autonomisti del Mezzogiorno e delle isole avremmo meglio servito gli interessi delle nostre Regioni cercando di trasformare qui, al Parlamento, la politica economica e finanziaria del Governo e dello Stato. Ciò significa crearci una maggioranza parlamentare. Il che in ipotesi, può anche avvenire: può avvenire fra poco o fra molto e può anche non avvenire mai, come non è avvenuto sino ad ora. Lo strumento dell’organizzazione autonomistica delle Regioni e dello Stato porta a questo: che quelle Regioni che, per una tradizione di organizzazione statale centralizzata e di corruzione politica che pesava su tutti, erano indotte a trasferire il centro del loro lavoro e della loro azione dalla periferia a Roma, devono sentire che bisogna fare il cammino inverso, e ritornare alla periferia. Gli interessi reali delle Regioni si servono anzitutto sul posto, localmente, studiando i problemi, lavorando ogni giorno, criticando, prendendo delle iniziative, facendole prendere dagli altri.

Questo è il lato buono dell’autonomia, ed è quello che si farà nelle Regioni che hanno potuto conquistarsi un regime di autonomia; perché, se non servisse ad altro, questo regime servirebbe ad un controllo esatto di tutto quello che avviene e a presentare, attraverso l’organismo delle Regioni, nel modo più solenne perché costituzionale e legale, l’espressione delle esigenze e della volontà della periferia al centro, al Parlamento di domani.

Certo, guai se considerassimo queste autonomie come un toccasana. Le autonomie sono un’arma; aggiungo anche, un’arma pericolosa; guai se non le sappiamo adoperare. Esse, come tutte le armi, potrebbero ferire anzitutto quelli che le impugnano.

Ecco perché, colleghi della rappresentanza siciliana, (anche su noi, ma meno su noi sardi, perché siamo in un’Isola modesta con poco più di un milione di abitanti) su voi pesa una grande responsabilità politica, e io aggiungerei anche storica. Guai se fallisce l’esperimento di Sicilia; guai se l’esperimento risultasse negativo. La riforma autonomistica, che noi concepiamo come la più grande conquista democratica di questa democrazia repubblicana moderna, verrebbe colpita a morte e tutto crollerebbe il sistema che con tanta fatica abbiamo cercato di inserire nella Costituzione repubblicana e nella coscienza del Paese.

È con questo monito che io, con animo tranquillo, voto l’emendamento Ambrosini, fiducioso che voi, facendo tesoro della vostra esperienza, apporterete le trasformazioni che sono necessarie. Perché bisogna mettere d’accordo anche la tecnica costituzionale con le sovrane esigenze della vita nazionale e della Repubblica. (Applausi a sinistra).

RUSSO PEREZ Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Dichiaro che voterò a favore della proposta Ambrosini e quindi contro gli ordini del giorno e gli emendamenti dell’onorevole Persico e del pericolosissimo trio Dossetti-Dominedò-Moro. (Si ride).

Le ragioni sono quelle che hanno esposto i colleghi Ambrosini, Finocchiaro Aprile, Varvaro e Castiglia.

Io mi permetto di ammonire rispettosamente alcuni colleghi, e specialmente quelli che su codesto emendamento hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto, che essi, mentre dicono, o anche pensano, di lavorare a favore dell’unità del Paese, in realtà lavorano per la sua disgregazione.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI. Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Devo fare una dichiarazione di voto esponendo le ragioni per le quali, se l’Assemblea non procederà alla discussione dell’allegato e quindi alla discussione dei singoli articoli e anche dell’emendamento da me proposto, se l’Assemblea non riterrà di far questo, io voterò a favore dell’emendamento Persico.

Molte sarebbero le ragioni che si potrebbero addurre a questo riguardo, in appoggio a quelle che sono già state svolte.

L’onorevole Persico ha dimostrato che l’adozione dell’emendamento Ambrosini, così com’è scritto, porta alla conseguenza che nulla potrà essere innovato allo Statuto senza un accordo fra i due parlamenti, il parlamento italiano e il parlamento siciliano. Mancando questo accordo nessuna modifica potrà essere apportata al testo che sarebbe votato a norma dell’emendamento Ambrosini.

Ora io vi prego di riflettere ad una circostanza la quale mi pare d’importanza somma a tacere di tutte le altre osservazioni che potrebbero essere addotte a proposito dei singoli articoli su cui ho presentato emendamenti, richiamo l’attenzione sull’articolo 13 e sulla connessione che esso ha come principio che vedo riportato in altri statuti già deliberati dall’Assemblea Costituente e che dice sostanzialmente che viene tutelato solo il rispetto degli obblighi internazionali.

Ora io affermo che l’articolo 13 contraddice ad un obbligo internazionale, che questa Assemblea medesima ha assunto quando ha votato l’adesione dell’Italia agli accordi di Bretton Woods, perché la nostra moneta fosse inserita in un sistema internazionale rivolto alla tutela delle monete dei singoli paesi e anche del nostro.

Quell’accordo internazionale impone una condizione essenziale, senza la quale l’adesione dovrebbe di fatto venire a mancare: ed è il mantenimento di una sola moneta, di una sola unità monetaria.

Ora, se vi è cosa certissima è questa: che l’articolo 13 consacra non solo la possibilità ma – a parer mio – la certezza assoluta che in Italia verrebbero a costituirsi due monete: una lira italiana e una lira siciliana.

Soltanto per un miracolo (l’ho già detto altra volta in questa Assemblea parlando del banco di deputato, soltanto per un miracolo, impossibile a verificarsi, si potrebbe dare il caso che i corsi delle due monete seguitassero ad essere uguali; inquantoché, quando si afferma che deve costituirsi una stanza di compensazione particolare per la Sicilia e in questa stanza di compensazione particolare della Sicilia vengono da una parte ad essere offerte tutte le sterline, i dollari, i franchi francesi, i franchi svizzeri e tutte le altre monete straniere ottenute in compenso delle nostre esportazioni, dei noli delle navi mercantili iscritte nei compartimenti siciliani, delle rimesse degli emigranti e del turismo e, dall’altra parte, viene ad essere richiesta una certa altra quantità di dollari, sterline e via dicendo per il pagamento delle importazioni siciliane, ivi si costituisce un mercato e – costituendosi un mercato – nulla ci dice (anzi tutto lo fa escludere) che il corso della lira, quale verrà ad essere determinato su quel mercato, sarà uguale al corso che verrà ad essere determinato sul resto del mercato italiano.

Oggi – per esempio – il corso della lira sul dollaro è di circa 600 lire per ogni dollaro. Soltanto per un miracolo – se si costituisse la stanza di compensazione particolare per la Sicilia – potrebbe accadere che il corso della lira in confronto del dollaro fosse uguale a 600! Tale corso sarà quasi sicuramente minore o maggiore.

In quel determinato momento in cui (come ho sentito dire, ma non so quanto la notizia sia esatta) il ricavo in valuta straniera per le esportazioni e gli altri crediti siciliani fossero notevolmente superiori ai debiti per le importazioni, per cui la Sicilia diventasse creditrice verso l’estero, in quel momento che cosa accadrebbe? Accadrebbe che l’offerta di valute straniere da parte di esportatori sarebbe superiore alla domanda fatta in Sicilia di quelle medesime monete, e potrebbe accadere che il corso del dollaro, invece di essere a 600 lire, precipitasse a 400, a 300, a 200! Questo è il bel regalo che si vorrebbe fare agli esportatori siciliani!

Coloro che sono favorevoli e propugnano questo articolo 13 si mettano bene in mente quali possano essere le conseguenze e i danni per gli esportatori siciliani e italiani!

Io credo che l’Assemblea Costituente, prima di prendere una decisione, debba riflettere gravemente su queste considerazioni. È certo che ove, in base a questo articolo 13, si costituisse siffatta stanza di compensazione particolare, il corso della lira sul mercato siciliano sarebbe diverso dal corso della lira sul mercato italiano. Vi sarebbero almeno due corsi, e questo sarebbe in contrasto con l’accordo internazionale che abbiamo firmato e che abbiamo firmato nell’interesse nostro di italiani ed anche nell’interesse dei siciliani! Se i due corsi non si determinassero, ciò accadrebbe solo perché, in violazione della stessa norma che lo Statuto siciliano sancisce, la stanza di compensazione non fosse istituita od, istituita, non funzioni come stanza, ma come qualcosa d’altro che qui non mi attento né a definire né ad analizzare. Perché io credo che se l’Assemblea Costituente non vuole passare alla discussione degli articoli perché l’ora tarda ce lo impedisce, almeno rimanga questa valvola di sicurezza, che venga così riconosciuta all’autorità superiore nel nostro Paese, che è il Parlamento, la facoltà di legiferare in questa materia! È certo che in tal modo non si farà nessun danno alla Sicilia, perché nessun Parlamento italiano oserà mai modificare lo Statuto a danno della Sicilia!

Una modifica di questo articolo 13, a parer mio è necessaria per l’Italia e per la Sicilia nello stesso tempo. Perciò, allo scopo di lasciar libera la via, al fine che l’Italia possa far fronte agli obblighi internazionali assunti, già assunti, ripeto, nell’interesse nostro e non nell’interesse straniero, ritengo che l’emendamento dell’onorevole Persico debba essere accolto.

CAMANGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMANGI. Il Gruppo repubblicano si compiace del tono e del contenuto del discorso dell’onorevole Ambrosini, tono e contenuto che, sia pure nella brevità in cui è stato costretto, hanno certamente e chiaramente dimostrato come certe idee riescano a camminare indipendentemente, al di fuori e al di sopra anche della stessa divisione dei partiti. Fedeli quindi al nostro principio, noi voteremo l’emendamento del collega Ambrosini, dando a questo nostro voto non soltanto il significato di un rinnovato atto di fiducia per i fratelli siciliani, ma anche l’espressione di una nostra certezza, la certezza che gli italiani di Sicilia smentiranno con i fatti le superstiti preoccupazioni dei centralisti e dimostreranno con i fatti come, attraverso l’autonomia intesa come noi la intendiamo, si realizzi la più vera, la più sicura democrazia. (Applausi).

MONTALBANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTALBANO. Farò una dichiarazione brevissima. Quale terzo firmatario dell’emendamento Ambrosini, dichiaro di non poter accettare la proposta Persico. Le ragioni sono evidenti e non è il caso che io mi dilunghi su questo argomento. Né tratterò delle questioni giuridiche perché sé ne sono fatte troppe. La questione è essenzialmente politica. È politica perché si vuol fare, in ultima analisi, un torto alla Sicilia riducendo di molto la sua autonomia e ciò senza tener conto né delle sue particolari condizioni né delle tradizioni autonomiste dell’Isola, né delle lotte combattute in questi ultimi anni da tutto il popolo siciliano per la sua libertà, né della recentissima esperienza dell’autonomia siciliana, assolutamente positiva, fatta in base al vigente Statuto che arbitrariamente si vuole abrogare o comunque modificare sostanzialmente, calpestando le aspettative quanto mai legittime del popolo siciliano. Ma indietro non si torna. Non si avvilisce un popolo che ha dato sempre tutto per la Patria, strappandogli uno strumento che, per riconoscimento unanime dei maggiori esponenti di tutti i partiti politici e di tutti i gruppi parlamentari, gli ha permesso di fare un gran passo avanti verso la rinascita.

Questo strumento, il vigente Statuto siciliano, è ormai così caro a tutta la popolazione dell’Isola, che non lo si può sopprimere senza ferire l’anima dei siciliani, ed in definitiva lo si vuole sopprimere quando si vuole modificare sostanzialmente l’articolo 14 che non è in contrasto con la Costituzione e rappresenta l’essenza dell’autonomia siciliana.

L’articolo 14 conferisce alla Regione la potestà legislativa esclusiva su determinate materie (tra cui soprattutto importanti l’agricoltura, l’industria e il commercio) «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato».

Invece si vorrebbe restringere la potestà di legislazione esclusiva introducendo altri limiti, precisamente quelli «dei principî dell’ordinamento giuridico dello Stato», molto elastici e quindi assai discrezionali e limitativi.

Ritengo, pertanto, che l’Assemblea Costituente debba votare la pregiudiziale Ambrosini, tenendo presente che la questione odierna è squisitamente politica più che giuridica, che lo Statuto siciliano deve essere quale i siciliani lo vogliono e devono essere i siciliani stessi, in base all’esperienza che ne faranno, a chiederne le opportune rettifiche!

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. La mia dichiarazione di voto sarà brevissima. Si può limitare a questo: si è da più parti osservato che, se la Commissione avesse adottato un altro criterio di lavoro, diverso da quello che ha adottato, forse non sarebbe stato presentato, o non si sarebbe insistito nell’emendamento Ambrosini.

Ora, ciò non è esatto. La ragione del contrasto, qual è? Non è già nelle modificazioni che noi abbiamo proposto allo Statuto siciliano vigente (che potrebbero essere accolte o non accolte dall’Assemblea, ma che in genere non destano preoccupazioni, negli stessi colleghi che difendono più tenacemente lo Statuto siciliano vigente). Non in questi, siamo sinceri. Se abbiamo ordinato lo Statuto in un modo diverso e che – mi permetto di dirlo – anche qualcuno che difende (ed ha ragione di difendere) per principio il vecchio testo, riconosce poi essere migliore come ordine, migliore come testo, migliore come coordinamento e, in qualche punto, anche come sostanza, se abbiamo dato questo ordinamento diverso, riproducendo però tutte le disposizioni dello Statuto siciliano e modificandone soltanto quattro, non per questo è sorta preoccupazione così viva da parte di coloro che strenuamente difendono, nella sostanza a più nelle apparenze esteriori l’autonomia dell’Isola.

È per un’altra ragione. È perché il Governo ed il Ministro del bilancio, preoccupati di una determinata situazione, hanno proposto di entrare nel merito delle disposizioni finanziarie, che noi avevamo riprodotte tali e quali. Quell’articolo 13 di cui ha parlato l’onorevole Einaudi non è che la riproduzione, virgola e punto per virgola e punto, dell’articolo 40 dello Statuto siciliano. È chiaro che la questione che ha proposto l’onorevole Einaudi sarebbe sorta nello stesso, preciso, modo anche se noi avessimo riprodotto nel suo ordine originario il testo integrale dello Statuto siciliano modificando o anche non modificando i quattro punti che abbiamo creduto di dover coordinare.

Non è il metodo di lavoro adottato dalla Commissione che ha portato alla questione; è perché l’onorevole Einaudi ed il Governo, hanno creduto di mettere in luce un problema di sostanza, che la Commissione aveva sorpassato dichiarando che su questo punto non si pronunziava, perché, secondo essa, non era punto di coordinamento costituzionale.

Chiarito questo, perché siano precise le posizioni, vediamo a che cosa porta l’emendamento Ambrosini.

Il primo comma dell’emendamento Ambrosini significa dare valore di legge costituzionale allo Statuto siciliano, così com’è in questo momento; significa adottarlo, così com’è, cioè darvi valore costituzionale articolo per articolo nel testo presente.

La Commissione, che ha ritenuto, nella maggioranza, necessario proporre su quattro punti modificazioni, che crede indispensabili fin da questo momento, non può, evidentemente, aderire alla prima parte dell’ordine del giorno.

Quanto alla seconda parte, mi rimetto a ciò che hanno detto parecchi colleghi. La formula «di intesa con la rappresentanza del Consiglio regionale siciliano» significa impossibilità di modificare lo Statuto, se questa intesa non si raggiunge. Per me, la difficoltà non consiste nel fatto che la intesa si possa o non possa raggiungete più o meno facilmente.

Lo Statuto non è strumento di opposizione tra l’Italia e la Sicilia, ma strumento di collaborazione e di coordinamento. Ritengo che l’intesa si raggiungerebbe in ogni caso. Non mi preoccupo di questo. Non è possibile che il Parlamento siciliano non sia altrettanto illuminato quanto il Parlamento nazionale Mi preoccupo di altra cosa: dell’apparenza di ciò che facciamo. Si dà, nella forma, il valore di una contrattazione internazionale alle discussioni e agli accordi per le modificazioni da apportare allo Statuto. Si mettono quasi di fronte due Stati diversi a doversi intendere, per poter modificare un patto concordato. E questo mi preoccupa; la struttura della norma, provoca e accentua invece che eliminare le possibilità di dissenso.

Voi, siciliani, agite in piena buona fede, per raggiungere un’intesa e una collaborazione; ma, in realtà, offrite esca al contrasto.

Io voglio invece che lo Statuto sia strumento di collaborazione. Per questo voterò anche e specialmente contro la seconda parte della proposta Ambrosini.

ALDISIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALDISIO. Io non ripeterò gli argomenti degli oratori che hanno parlato in favore della proposta Ambrosini. Il dibattito è stato ampio e completo. Mi limiterò solamente a fare osservare all’onorevole Marinaro, che ha attaccato di incostituzionalità il decreto 15 maggio 1946, che tale decreto non solo è costituzionale, ma che questa Assemblea lo ha, indirettamente e direttamente, ratificato, in occasione della discussione sulle elezioni regionali siciliane, una prima volta, ed in occasione della nomina dei rappresentanti alla Corte costituzionale siciliana, la seconda volta.

Niente incostituzionalità, perciò, ma decreto costituzionale, ratificato col crisma della costituzionalità da questa Camera. L’emendamento dell’onorevole Persico è grave e snatura e capovolge la proposta Ambrosini. Questa ammette solo la via normale: la costituzionale. Voler adottare per lo Statuto siciliano una norma attraverso la quale si possa pervenire alla modifica di esso, unilateralmente, è un errore ed un passo falso. L’onorevole Cevolotto poco fa ha detto che l’accordo è possibile. Non è vero che si dubita dell’accordo; l’accordo ci sarebbe, ci sarà, perché l’Assemblea regionale ed i siciliani soprattutto hanno costantemente dimostrato, e lo dimostreranno meglio in avvenire, di essere uomini di buon senso, devoti alla causa dell’unità, della quale si sono costantemente e sempre preoccupati e della quale si preoccuperanno. Occorre perciò mantenere il «d’intesa», escludere il solo «intesa», si deve cioè approvare integralmente la proposta Ambrosini. Ma la verità è questa: si vuol negare all’Assemblea ed al Governo regionale siciliano quello che è stato già accordato ad altre regioni (Commenti), i cui statuti particolari sono già stati approvati. Perché ciò? Io non capisco questa differenza che si vuole fare per la Sicilia. Bisogna che questa Assemblea ed il Paese abbiano fede nella Sicilia. Lo Statuto dell’autonomia siciliana fu un atto di pacificazione, ma, dopo quanto avete sentito oggi, fu un atto anche di grande saggezza perché si è ricomposta nell’unità l’anima di questa Isola che qualche anno fa sembrava turbata da agitazioni e sembrava – e non lo era – volta contro l’unità della Patria italiana. Questa sera, in quest’ultima seduta dei nostri lavori, l’Assemblea dia una prova di comprensione e di responsabilità e dia alla Sicilia la certezza che non si vuole commettere a suo danno un sopruso, diminuendo quella che è la tutela del suo Statuto.

Guardate, io ho una grande fede nelle autonomie, perché questa struttura snodata dello Stato italiano, finirà col rimuovere tutti i malesseri generati dagli abusi della organizzazione centralizzata (abusi aggravatisi negli ultimi venti anni), e sarà capace di salvare spiritualmente l’unità del nostro Paese. Voi dovete aver fede in noi, in noi che siamo unitari ed autonomisti, ed io vi dico che se domani l’autonomia si dovesse rivelare un errore ed un pericolo, e non lo sarà, noi sapremmo ritornare rapidamente sui nostri passi, perché prima ci sentiamo italiani; poi siciliani.

Signori del Governo, amici di tutte le parti dell’Assemblea, io sono sicuro che questa sera l’Assemblea, passando ad un voto gravido di conseguenze e di responsabilità, vorrà rinnovare alla Sicilia quella prova di comprensione che essa merita e che costantemente questa Assemblea le ha dato. (Vivi applausi).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreti. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Si riprende la discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia (66).

FINOCCHIARO APRILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FINOCCHIARO APRILE. Onorevole Presidente, ho chiesto la parola soltanto por dichiarare che ritiro il mio articolo sostitutivo e che mi associo a quello proposto dall’onorevole Ambrosini. L’articolo sostitutivo, proposto da me e dal collega Gallo, nella prima parte coincide quasi perfettamente con l’articolo sostitutivo dell’onorevole Ambrosini. Varia nella seconda parte, in quanto l’onorevole Ambrosini chiede che le modifiche debbano essere approvate dal Parlamento italiano con legge ordinaria, di intesa con il Parlamento siciliano, mentre l’amico Gallo ed io chiediamo che queste modifiche avvengano su voto del Parlamento siciliano, espresso da almeno tre quarti dei suoi componenti.

Per amore di concordia e per semplificare le cose, ripeto che intendo ritirare il mio articolo sostitutivo ed associarmi a quello dell’onorevole Ambrosini, sempre che sia mantenuta l’espressione che le modifiche debbano essere attuate «di intesa» con il Parlamento siciliano.

Non sono d’accordo e voterò contro gli emendamenti che siano più restrittivi della formula Ambrosini. Così non voterò l’emendamento diretto a sostituire questa formula con le parole «udito» o «sentito» il Parlamento siciliano, che ridurrebbero a nulla il potere di quest’ultimo in materia.

Per quanto riguarda le obiezioni oppostemi dall’onorevole Einaudi, desidero di rassicurarlo. Egli ha detto che l’articolo 13 dello statuto contraddice nettamente il principio che sono salvi gli impegni internazionali. L’accordo internazionale di Bretton Woods, al quale l’Italia ha aderito, stabilisce che tutti gli aderenti ad esso devono avere un’unica moneta. Ora, ha soggiunto l’onorevole Einaudi, è certo che, se l’articolo 13 sarà approvato, si creerà in sostanza una nuova moneta per la Sicilia, con la costituzione di un mercato separato, il quale di necessità creerà a sua volta un distinto corso della lira. Solo un miracolo potrebbe evitare questo fatto. Si dice che il ricavato dalle esportazioni della Sicilia sia superiore alla valuta necessaria alle importazioni: potrebbe, quindi, avvenire che il dollaro cadesse in Sicilia al di sotto della quotazione corrente in Italia, il che determinerebbe un vero danno per gli esportatori siciliani.

Queste sono le preoccupazioni del Ministro del bilancio, che io, però, non condivido. L’onorevole Einaudi, per impressionare, ha fatto una ipotesi quasi impossibile a realizzarsi, trascurando l’altra ipotesi più verosimile, assai più probabile e naturalmente più vantaggiosa per gli esportatori siciliani, le cui sorti stanno a me a cuore certo più che all’onorevole Einaudi.

Che noi siciliani miriamo alla creazione di una nostra valuta, è cosa ch’io stesso ho ripetuta varie volte e, se mal non ricordo, anche all’Assemblea Costituente: ma ciò dovrà avvenire ed avverrà a suo tempo.

Ora però gli accordi di Bretton Woods non corrono in Sicilia nessun pericolo. Il Parlamento ed il Governo della Sicilia hanno piena responsabilità e comprendono che gli accordi di Bretton Woods, nell’interesse comune dell’Italia e della Sicilia, devono essere mantenuti. Questa dichiarazione fa venir meno la obiezione mossa dall’onorevole Einaudi…

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. No.

FINOCCHIARO APRILE. …a sostegno dell’emendamento proposto dall’onorevole Persico, diretto a rendere possibili le modificazioni dello statuto siciliano con legge ordinaria, non «d’intesa» con il Parlamento siciliano, ma semplicemente «udito» questo.

Comunque, ripeto, noi non voteremo che l’articolo sostitutivo proposto dall’onorevole Ambrosini, nel suo testo integrale.

BERNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI. Onorevoli colleghi, poiché altri, molto più autorevoli, non hanno ritenuto opportuno di parlare, permettetemi di farvi alcune brevissime dichiarazioni.

Io ho ascoltato con grandissima attenzione tutti gli argomenti che sono stati portati dai cosiddetti autonomisti siciliani. Permettetemi di dirvi, con molta sincerità, che questi argomenti, per grandissima parte, mi sono sembrati argomenti di carattere sentimentale, non razionale. Noi non siamo antiautonomisti; noi – e permettetemi ancora di essere sincero – non siamo contro l’autonomia, ma siamo – scusate la parola dura – contro un larvato separatismo, o almeno il tentato separatismo che si va proponendo. Dicendo queste gravissime parole, io so, onorevoli colleghi, di interpretare il profondo pensiero di parecchi di voi: questa angoscia che mi tiene in questo momento non è solo mia, ma è nell’interno dello spirito di moltissimi di voi; voi sentite per gran parte questa angoscia, voi la sentite e la condividete.

Per questa ragione, onorevoli colleghi, io voterò contro la proposta Ambrosini, e voterò a favore dell’emendamento Persico. Io parlo naturalmente a nome personale, e non c’era bisogno che qualche collega mi ammonisse di questo. Io non ho mai fatto il nome del mio Gruppo, ed ho aggiunto anche che mi sono indotto a parlare, per quanto modesto, perché altri, che sono più importanti di me, non hanno ritenuto di farlo. Questa è una dichiarazione personale; ma mi rivolgo allo spirito e alla coscienza di parecchi di voi, per dirvi: pensateci, onorevoli colleghi, in questo momento; e, se avete l’incertezza, se voi non potete avere questa euforia che io ho sentito in taluno – e vorrei condividerla con loro – se voi avete questo dubbio, votate contro l’emendamento Ambrosini. Perché quello che ho sentito dire da un oratore che mi ha preceduto non mi persuade: se ci accorgeremo di avere sbagliato torneremo indietro. Prima di poter rifare la vecchia strada, ci vorrà del tempo. Non si risale facilmente un precipizio. Non ho altro da dire.

Presentazione di relazioni.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione per l’esame delle domande di autorizzazione a procedere. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà. .

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione per l’esame delle domande di autorizzazione a procedere. Mi onoro di presentare le relazioni della Commissione per l’esame delle domande di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati:

Li Causi, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa (Doc. I, nn. 6, 7, 8, 10, 12, 13, 22, 24, 25, 28, 45, 49, 50, 51, 52, 53, 54);

Finocchiaro Aprile, per il reato di diffamazione (Doc. I, n. 11);

Villani, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa (Doc. I, nn. 17, 34, 39);

Colombi Arturo, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa (Doc. I, nn. 20, 23);

Meda Luigi, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa (Doc. I, n. 27);

Treves e Patrissi, per il reato di sfida e uso delle armi in duello (Doc. I, n. 29);

Benedetti, per il reato di diffamazione (Doc. I, n. 31);

Spano, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa (Doc. I, nn. 32, 38);

Bonfantini, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa (Doc. I, n. 33);

Tega, per il reato di violazione delle norme che regolano le riunioni pubbliche (Doc. I, n. 36);

Gullo Rocco, per il reato di mancato versamento di quote assicurative (Doc. I, n. 37);

Moranino, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa (Doc. I, n. 40);

Storchi, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa (Doc. I, n. 41);

Dugoni, per il reato di diffamazione (Doc. I, n. 43);

Ayroldi Carissimo, per il reato di diffamazione (Doc. I, n. 48);

Pajetta Giancarlo, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa della memoria di un defunto (Doc. I, n. 56);

Penna Ottavia, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa. (Doc. I, n. 57).

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite.

Si riprende la discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia. (65).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla votazione.

Poiché l’onorevole Finocchiaro Aprile ha dichiarato di aderire al testo dell’onorevole Ambrosini, possiamo senz’altro procedere alla votazione del primo comma di questo testo.

È stata richiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Gallo, Finocchiaro Aprile, Montalbano, Li Causi, Ferrari, D’Amico, Gorreri, Musotto, Fiorentino, Zanardi.

È stata anche chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Corsini, Rodinò Mario, Lucifero, Miccolis, Bencivenga, Marina, Murdaca, Codacci Pisanelli, Mannironi, Paratore, Veroni, Mortati, Balduzzi, La Pira, Parri, Marinaro, Bozzi, Preziosi, Calamandrei, Romano.

Dobbiamo pertanto procedere, a norma di Regolamento, alla votazione segreta.

Chiedo al primo firmatario della domanda, onorevole Corsini, a quale comma essa si riferisce.

CORSINI. La mia firma è stata apposta quando ancora non era avvenuta la discussione. Comunque, dato quanto si è detto successivamente, la domanda di scrutinio segreto si riferisce alla votazione sul secondo comma.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Sono anch’io firmatario della richiesta, e faccio presente che, a mio modesto avviso, i due commi dell’emendamento Ambrosini sono strettamente legati tra loro e non sarebbe possibile porli in votazione per divisione, perché in tanto si può approvare il primo, che conferisce il crisma della costituzionalità allo Statuto siciliano, così come è attualmente formulato, in quanto si sappia quale sia il procedimento necessario per apportare ad esso quegli adattamenti alla nuova Costituzione, che erano previsti dallo stesso decreto, che lo fece entrare in vigore. Mi pare quindi che si debba procedere alla votazione dell’articolo globalmente, o altrimenti procedere ad inversione dei due commi.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, noi abbiamo un emendamento al secondo comma, e quindi è evidente che il testo Ambrosini deve essere votato per divisione, e d’altra parte alcuni fra coloro che hanno sottoscritto la domanda di scrutinio segreto si sono pronunciati così.

Ma, indipendentemente da ciò, la presenza di emendamenti al secondo comma rende obbligatoria la votazione per divisione.

Pregherei l’onorevole Dominedò di precisarmi se egli dà la sua adesione al testo dell’onorevole Persico, qualora quest’ultimo aggiungesse le parole: «ferme restando le procedure di revisione prevedute dalla Costituzione».

DOMINEDÒ. Sì, signor Presidente. Vorrei però aggiungere che nel mio emendamento si parlava anche della possibilità di una revisione per legge ordinaria; udita l’Assemblea regionale, entro due anni.

Nell’emendamento Persico non si parla del termine; quindi lo pregherei di inserire la menzione del termine stesso nel testo del suo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, aderisce alla proposta dell’onorevole Dominedò?

PERSICO. Il termine di due anni si può accettare.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento Ambrosini, del seguente tenore:

«Lo Statuto della Regione siciliana, approvato con regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Ripubblica, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 116 della Costituzione».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma, nella formulazione proposta dall’onorevole Persico, con l’aggiunta Dominedò:

«Ferma restando la procedura di revisione preveduta dalla Costituzione, le modificazioni ritenute necessarie dallo Stato o dalla Regione saranno, non oltre due anni dall’entrata in vigore della presente legge, approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l’Assemblea regionale della Sicilia».

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta su tale testo.

(Segue la votazione).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta, e invito gli onorevoli Segretari procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti          334

Maggioranza                168

Voti favorevoli             201

Voti contrari                 133

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzali – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertone – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Boldrini – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Buonocure.

Caiati – Cairo – Calamandrei – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsini – Cortese Pasquale – Costantini – Covelli – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Giovanni – Di Vittorio – Dominedò Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gallo – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giannini – Giordani – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Marazza – Marchesi – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzoni – Medi Enrico – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Molè – Montalbano – Montemartini – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Patricolo – Pecorari – Pella – Perassi – Persico – Perugi – Piccioni – Piemonte – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preziosi – Priolo.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Romano – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Segni – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spano – Stampacchia – Stella – Storchi.

Taddia – Targetti – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vinciguerra – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta.

Sono in congedo:

Costa – Cotellessa.

Merlin Umberto.

Orlando Vittorio Emanuele.

Valiani – Viale – Villabruna.

Si riprende la discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia. (65).

PRESIDENTE. Si riprende la discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello statuto speciale per la Sicilia. (65).

Il testo dell’articolo approvato risulta il seguente: «Lo statuto della Regione siciliana, approvato con regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’articolo 116 della Costituzione.

«Ferma restando la procedura di revisione prevista dalla Costituzione, le modificazioni ritenute necessarie dallo Stato o dalla Regione saranno, non oltre due anni dall’entrata in vigore della presente legge, approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l’Assemblea regionale della Sicilia».

DE VITA, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA, Sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni. Desidero presentare un emendamento aggiuntivo all’articolo già approvato, emendamento così formulato:

«sempre che si tratti di modificazioni intese a migliorare l’autonomia già concessa». (Commenti).

Chiedo ai colleghi siciliani se appoggiano questo emendamento.

PRESIDENTE. Anche gli onorevoli Varvaro, Montalbano e Borsellino hanno presentato un emendamento analogo:

«La procedura ordinaria di cui al comma precedente non può essere seguita nei casi che comportano diminuzione dei diritti e delle attribuzioni della Regione».

Devo comunicare che questi due emendamenti non sono proponibili, perché di fatto modificano sostanzialmente il contenuto della formulazione già approvata. È evidente perciò che vi è una preclusiva nei loro confronti.

VARVARO. Si tende a limitare questa procedura per un sol caso.

PRESIDENTE. Ma siamo proprio in una di quelle situazioni, in cui i casi non possono essere che due. Se lei ne modifica uno, modifica il cinquanta per cento della formula approvata. Anche lei ha udito tutte le dichiarazioni di voto, e può rendersi conto che questa sua proposta è contraria alla maggior parte delle idee espresse da coloro che hanno votato questa formulazione.

VARVARO. Mi tengo fermo nella mia convinzione.

Risultato delle votazioni segrete.

PRESIDENTE. Comunico il risultato delle votazioni a scrutinio segreto sui seguenti disegni di legge:

Statuto speciale per la Sardegna:

Presenti                       363

Votanti                        361

Astenuti                        2

Maggioranza                181

Voti favorevoli             280

Voti contrari                 81

(L’Assemblea approva).

Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige:

Presenti                       363

Votanti                        361

Astenuti                         2

Maggioranza                181

Voti favorevoli            283

Voti contrari                 78

(L’Assemblea approva).

Statuto speciale per la Valle d’Aosta:

Presenti                       363

Votanti                        361

Astenuti                        2

Maggioranza                181

Voti favorevoli             277

Voti contrari                 84

(L’Assemblea approva).

Modificazioni alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la prima elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica:

Presenti                       363

Votanti                        361

Astenuti                         2

Maggioranza                181

Voti favorevoli            301

Voti contrari                 60

(L’Assemblea approva).

Norme per la formazione delle liste elettorali nella provincia di Bolzano:

Presenti                       363

Votanti                        361

Astenuti                        2

Maggioranza                181

Voti favorevoli             291

Voti contrari                 70

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Allegato – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzali – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertone – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Boldrini – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese Pasquale – Costantini – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Gallo – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giannini – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lussu.

Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Marazza – Marchesi – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Molè – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Perassi – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preziosi – Priolo – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Reale Eugenio – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sapienza – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Segala – Segni – Sicignano – Silipo – Silone – Spallicci – Spano – Stampacchia – Stella – Storchi.

Taddia – Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Astenuti:

Gullo Fausto.

Mazza.

Sono in congedo:

Costa – Cotellessa.

Merlin Umberto.

Orlando Vittorio Emanuele.

Valiani – Viale – Villabruna.

Si riprende la discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia. (65).

PRESIDENTE. Dobbiamo ancora procedere alla votazione del secondo articolo del disegno di legge relativo allo Statuto speciale della Sicilia:

«La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Avverto che, in base ai due articoli approvati, l’intitolazione del disegno di legge deve essere così modificata: Conversione in legge costituzionale dello Statuto della Regione siciliana, approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455.

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto insieme all’altro successivo dell’ordine del giorno.

Discussione del disegno di legge costituzionale: Norme per la proponibilità dei giudizi e per le garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale (68).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge costituzionale: Norme per la proponibilità dei giudizi e per le garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale.

Dichiaro aperta la discussione generale.

RUINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Siccome penso che non tutti i colleghi abbiano la sensazione esatta del significato e del valore del presente disegno di legge, desidero ricordare questo.

L’articolo 137 della Costituzione dice: «Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, e le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte».

Noi siamo costituenti e possiamo votare questa legge; se non la votassimo, essa dovrebbe essere votata dal Parlamento ordinario; il che richiederebbe una lunga procedura, un anno e mezzo di tempo.

Pertanto, voglio richiamare l’attenzione sopra l’estrema importanza che ha la votazione immediata di questo disegno di legge, perché sono già in corso molte questioni di costituzionalità, sia in materia di competenza delle Regioni sia in materia penale, gravissime.

Se non facciamo in modo che la Corte costituzionale possa funzionare il giorno stesso della convocazione del nuovo Parlamento, che eleggerà i suoi rappresentanti, andremo incontro a gravissimi pericoli.

Il Comitato ha fatto alcune proposte all’unanimità. Ma dichiaro fin da ora che quello che importa è che questo disegno passi, per evitare l’assurdo di restare per due anni almeno senza Corte costituzionale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Mortati, Relatore.

MORTATI, Relatore. Il nostro compito in questa sede è determinato dalla precisa dizione dell’articolo 137 della Costituzione, che rinvia a leggi costituzionali due oggetti: determinazione delle condizioni, forme e termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale e garanzie di indipendenza dei giudici della Corte.

Spetterà poi ad una legge ordinaria di dettare le ulteriori norme per l’esplicazione dei poteri conferiti alla Corte.

A scopo di brevità, data l’ora tarda se il Presidente e l’Assemblea lo consentono, potrei rinunziare all’esposizione generale e potremmo passare senz’altro all’esame degli articoli.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi! Ho presentato un ordine del giorno, con il quale chiedo il rinvio al nuovo Parlamento di questa importantissima legge. Credo che nessuno più di noi abbia sostenuta la necessità di questo istituto. Noi ci siamo battuti per la creazione di una suprema Corte costituzionale. Insisto su questa parola «suprema», la quale è sparita dal disegno di legge, come è scomparsa anche l’altra dizione di «Alta Corte». Noi, infatti, partivamo dalla convinzione che era necessario garantire con qualcosa di più, che non la persona fisica di un monarca o di un altro Corpo dello Stato, la Costituzione, lo Statuto fondamentale e le leggi che regolano la comunità.

A poco a poco questo nostro progetto, che nella campagna elettorale è stato sbandierato da tutti gli altri partiti, ad eccezione di quello comunista, si è andato svuotando di contenuto e si è arrivati al punto che, nell’ultimo giorno della Costituente, noi ci vediamo presentare un progettino nel quale la Suprema Corte è sparita, come è scomparsa pure l’Alta Corte. È rimasta la Corte costituzionale. Essa mi dà l’impressione dell’istituzione di una nuova e più intelligente pretura e nulla più. Non ho niente da dire contro i pretori, anzi li ammiro moltissimo. Tutti coloro i quali hanno seguito la mia opera giornalistica sanno con quanta sincerità e magari con quanta impetuosità io ho difeso l’opera dei magistrati. Ma è appunto per questo, per la serietà della Magistratura, che è indispensabile dare a questa Alta, Suprema Corte costituzionale (che dovrebbe in sostanza integrare e darci quel che mancava nel passato istituto del monarca ed è mancato anche nella configurazione costituzionale attuale del Capo dello Stato) la garanzia di custodia della costituzionalità delle leggi, della Costituzione, del corpo delle leggi fondamentali dello Stato, mentre ora ce lo vediamo ridotto ad un istituto striminzito, a quasi nulla. Dirò che è addirittura offensivo per l’istituto, che andiamo a creare, la rapidità della discussione che vogliamo fare. Io non sono un giurista, ma senza bisogno di essere un giurista è chiaro che questa istituzione, che si vuole frettolosamente creare, non fa che togliere qualche mansione alla Suprema Corte di cassazione, qualche altra al Consiglio di Stato ed altre, forse, alla Corte dei conti e in sostanza non fa che togliere ad istituti già esistenti delle capacità che essi già hanno, e da molti anni, senza creare le nuove capacità giuridiche che erano nell’intenzione di coloro che volevano la Suprema Corte costituzionale.

Ora, io chiedo che si rinvii questa legge, innanzitutto per rispetto all’istituto che si vuol creare e che non deve esser creato a tamburo battente, in quattro e quattr’otto; in secondo luogo rispondo alle osservazioni del mio illustre amico onorevole Ruini, il quale ci dice che ci sarà bisogno di un anno o di un anno e mezzo per costituire una Corte costituzionale. È vero, ma non sarà gran danno se si pensa che quel che noi facciamo affrettatamente, forse avrà bisogno di due anni, due anni e mezzo per essere disfatto.

Perché quello che noi facciamo ha carattere costituzionale, ed anche se commettiamo un errore, quest’errore dev’essere costituzionalmente ritenuto esistente fino al momento in cui possa essere modificato, come possono essere modificate le norme che noi abbiamo stabilito, cioè attraverso una procedura lunga, una procedura costosa, specialmente di tempo, ed una procedura, nella quale incide normalmente la situazione politica contingente.

Per queste ragioni, e per non tediare ancora di più l’Assemblea, già troppo tediata, io chiedo che si rinvii alla nuova Camera il disegno di legge costituzionale sull’Alta Corte o Suprema Corte costituzionale, custode delle leggi fondamentali dello Stato.

RUINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. L’onorevole Giannini, che è stato un deciso sostenitore della Corte costituzionale, non ricorda come si sono svolti i lavori in questa Assemblea. La Corte costituzionale è stata discussa ampiamente e particolarmente, con la piena adesione dei rappresentanti del suo Gruppo nella Commissione. Egli crede che la Corte costituzionale si debba fare ora. La Corte costituzionale è già stata deliberata dall’Assemblea, ed i caratteri fondamentali sono stati già posti. La Corte costituzionale deve deliberare sui giudizi di legittimità, sui conflitti di attribuzione e sull’accusa dei Ministri.

GIANNINI. Chi lo dice questo?

RUINI. La Corte costituzionale esiste. Ora, si tratta di una semplice modalità, di valore molto secondario, delle norme di procedibilità e delle garanzie dei membri della Corte stessa. Qui non è in questione la Corte costituzionale, ma alcune modalità, che, se non sono approvate ora, faranno sì che quella Corte costituzionale che l’onorevole Giannini invocava teoricamente, ma che in pratica propone di demolire, perché si dovrebbe fare tutto ex novo, non potrà funzionare.

Io credo che il parere unanime di tutti sia che la Corte costituzionale votata nella Costituzione debba funzionare. Se occorrerà, la correggeremo in seguito; ma che funzioni subito, perché solo così si potranno evitare inconvenienti gravissimi.

PRESIDENTE. Vi è da parte dell’onorevole Giannini una proposta di sospensiva. Non penso che la si possa chiamare di rinvio, perché non possiamo rinviare una materia ad un’Assemblea che non sia più la nostra.

A norma del Regolamento, possono ancora parlare sulla proposta Giannini un oratore a favore e uno contro.

CONDORELLI. Chiedo di parlare a favore della proposta Giannini.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevole Presidente, non vi è dubbio che con le norme previste da questo schema di legge la Corte costituzionale è totalmente svisata e comunque non potrà, ugualmente, funzionare. È svisata perché, per come è stata proposta dal progetto di legge ieri presentato, in realtà questa Corte costituzionale nulla aggiunge a ciò che era nel nostro precedente ordinamento giuridico. È infatti risaputo da tutti che una dichiarazione di incostituzionalità fatta dall’autorità giudiziaria giuridicamente aveva effetto soltanto per la fattispecie giudicata, ma è altrettanto risaputo che, quando la Corte di cassazione aveva dichiarato l’incostituzionalità di una legge, quella legge non veniva più applicata. Dunque, la necessità per il potere legislativo di colmare la lacuna che si era determinata nell’ordinamento. Quando noi riducessimo le mansioni e la competenza della Corte costituzionale a quella di giudicare in via incidentale delle questioni di legittimità costituzionale che sorgessero in un giudizio innanzi al magistrato ordinario o innanzi al magistrato amministrativo, oppure a quelle che lo stesso magistrato potesse sollevare di ufficio, noi non avremmo aggiunto nulla alle garanzie che prima si avevano.

Avremmo soltanto questa differenza: forse una maggiore mora, perché prima sarebbe necessario un giudizio davanti al magistrato ordinario, che non potrebbe decidere e dovrebbe rinviare il giudizio avanti alla Corte costituzionale. Probabilmente il giudizio introduttivo potrebbe arrivare anche in Cassazione. E vi sarebbe ancora, dopo un giudizio nei tre gradi, la fase introduttiva del vero e proprio giudizio di costituzionalità! D’altro canto, gli effetti pratici delle dichiarazioni di incostituzionalità sono sostanzialmente gli stessi, perché una dichiarazione di incostituzionalità fatta dall’autorità giudiziaria praticamente aveva gli stessi effetti di una dichiarazione di incostituzionalità che ora si farebbe, con maggiore solennità, ma forse con minore garanzia di giustizia, perché questa Corte costituzionale è un organo essenzialmente politico, rispetto alla Corte predetta. Proprio per la volontà di sveltezza e di ridurre ai minimi termini questa legge, il progetto governativo trascura financo l’esistenza dell’istituto nuovo della Regione. Non si prevede neanche il ricorso della Regione contro altra Regione o di una Regione nei rapporti dello Stato o dello Stato nei rapporti della Regione. A questo ha supplito la Commissione parlamentare. Ma la legge rimane egualmente insufficiente, perché, al di fuori del controllo della Corte costituzionale, rimane una quantità di norme. Noi ritenevamo che si potesse ricorrere a questa Corte costituzionale da un certo numero di elettori, da un certo numero di deputati o di senatori, dal Governo, ecc. Si obietta da parte dei sostenitori del progetto che, in sostanza, la garanzia c’è lo stesso, perché non sarebbe necessario altro che suscitare una lite davanti all’autorità ordinaria per avere il rinvio dinanzi alla Corte costituzionale.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Condorelli. Non le pare che stia discutendo il merito del progetto?

CONDORELLI. Finisco subito, onorevole Presidente. Trovo che non tutte le violazioni della Costituzione che si producessero attraverso una legge violino dei diritti soggettivi o che si soggettivizzino in una determinata persona. Basta pensare, per esempio, ad una legge che sopprimesse o modificasse un organo costituzionale. E quale sarebbe, in tal caso, il soggetto che potrebbe lamentare la lesione di un suo diritto? Ammettiamo una legge costituzionale che restringesse la competenza della stessa Corte costituzionale. Chi sarebbe facoltato, legittimato, a far dichiarare questa violazione? Nessuno. Quindi si rende necessario, perché la Corte costituzionale possa raggiungere i suoi scopi, la legittimazione di organi qualificati per far valere queste violazioni della Costituzione; il Governo, un numero di deputati, un numero di elettori.

PRESIDENTE. Su questo che lei dice, onorevole Condorelli, sono stati già presentati degli emendamenti.

CONDORELLI. Concludo subito: il fatto che il progetto di legge non accenna minimamente a questi punti e che questi punti, se dovessero essere discussi prenderebbero del tempo, prova che per una discussione seria non potrebbero certo essere sufficienti le poche ore che ci restano.

Penso pertanto che il solo avviso possibile sia quello dell’onorevole Giannini. Oppure, dovremo aggiornarci per tornarci a convocare, cosa che non mi pare assolutamente impossibile date le norme transitorie che furono votate in sede di Costituzione.

Se dobbiamo far nascere questo istituto – perché in sostanza con questa legge lo si fa nascere, perché solo con questa legge esso potrebbe funzionare – credo che non possiamo che attenerci o all’una o all’altra soluzione: o rinviare al futuro Parlamento oppure aggiornarci per riconvocarci fra qualche giorno.

Nessun «inconveniente avverrebbe, onorevole Presidente e onorevoli colleghi, perché…

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, le ricordo che lei sta parlando per sostenere la proposta Giannini della sospensiva sine die. Non ne formuli un’altra.

CONDORELLI. Nessun danno deriverebbe, perché è ovvio che con la legge avviata dal progetto la Corte costituzionale non potrà funzionare ugualmente, perché manca un regolamento di procedura. Come si fanno queste domande? A chi si rivolgono? Quando si rivolgono? Come si discutono? Come si decidono? Nulla è previsto. Chi potrebbe, in base a questa legge, iniziare un procedimento innanzi alla Corte costituzionale? Anche se si votasse la legge proposta, sarebbe ugualmente necessario che si convochi il futuro Parlamento perché faccia la legge sulla Corte costituzionale. Io dico e credo che molti colleghi converranno con me, che con questi tre articoli nessuna Corte costituzionale potrà mai funzionare.

MORO. Chiedo di parlare contro la proposta di sospensiva.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Farò brevissime dichiarazioni, in quanto mi pare evidente l’opportunità, anzi la necessità che l’Assemblea Costituente, prima di concludere i suoi lavori, si occupi della Corte costituzionale, stabilendo le condizioni di proponibilità dei ricorsi e le garanzie di indipendenza dei giudici. Ora, mi pare che attraverso le dichiarazioni dell’onorevole Condorelli i termini della questione siano stati spostati; cioè si è tornati a discutere dell’opportunità di adottare il sistema previsto dalla Costituzione a garanzia dell’osservanza delle norme costituzionali nell’attività legislativa dello Stato e della Regione.

Il problema, io credo, non è qui. Ormai la Corte costituzionale è stata sancita nella Carta costituzionale e noi dobbiamo dare la più sollecita attuazione ai principî che sono stati già fissati nella nostra Costituzione. Io non ho che da richiamarmi a quanto è stato dichiarato dal Presidente della Commissione onorevole Ruini, il quale rilevava che, se questa legge costituzionale non fosse approvata in questa sede, essa richiederebbe una lunga procedura e determinerebbe un lungo periodo d’attesa, con la conseguenza che la Corte costituzionale potrebbe cominciare a funzionare solo dopo molto tempo. Si può calcolare in due anni circa il tempo che dovrebbe decorrere, prima di poter dare attuazione al principio sancito nella Carta costituzionale. Ricordo d’altra parte – e mi rivolgo a coloro che ritengono immatura l’Assemblea per prendere una decisione su questo punto – che su quanto viene oggi in considerazione, sia in sede di Commissione, sia in sede di Assemblea si è lungamente discusso, poiché si riteneva che il problema dovesse essere risolto nella stessa Carta costituzionale.

E se, in seguito all’accettazione di un emendamento, si decise di rinviare la materia ad un’apposita legge costituzionale, non si può negare che la discussione sia stata fatta e che l’Assemblea fosse già allora in un certo senso – e certamente lo è ancora più oggi – matura per prendere una decisione. Io chiedo che l’Assemblea respinga la richiesta di sospensiva, in quanto la Corte costituzionale significa quella garanzia di libertà e di legalità cui tutti tendiamo.

Per queste ragioni il mio Gruppo voterà contro la richiesta di sospensiva.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo dunque procedere alla votazione della proposta dell’onorevole Giannini di sospensiva sine die su questo disegno di legge. Hanno preso la parola due oratori a favore, compreso il proponente, e due contro: do ora la parola soltanto per dichiarazioni di voto.

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Dirò la ragione semplice per la quale io reputo mio dovere di votare a favore del rinvio. Prima di tutto perché ciò che noi ora facciamo è inutile. La decisione frettolosa, che si propone, non evita alcun ritardo.

La legge costituzionale, all’articolo 137, reca: «Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale e le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte».

È evidente che l’obiettivo dovrebbe esser quello di mettere in funzione la Corte costituzionale; ma questo noi non facciamo e non faremo, e quindi non è perduto nulla di quanto si vuole per affrettare le possibilità di decisione della Corte. Ma debbo dire che ho tutti i motivi per non votare, senza averla esaminata, questa proposta, la quale costituisce un fatto nuovo e viene con una certa procedura nuova.

Noi abbiamo con la legge sulla Corte costituzionale stabilito che i magistrati di questa Corta possano essere anche magistrati a riposo e, di conseguenza, che possano anche avere oltre settant’anni. Ed abbiamo stabilito altresì che l’esercizio delle loro funzioni duri dieci anni. La Corte costituzionale, dunque, per pronunciarsi intorno a questa nuova materia, sarà composta di nomi venerandi, i quali vengono a fare non si sa che cosa.

Ora, qual è la situazione nella quale adesso ci troviamo?

Quali cambiamenti sono avvenuti nello stesso testo che ci è stato presentato! Tutto è stato finora incerto e confuso e il progetto è stato parecchie volte mutato.

Si è voluto perfino che questa Corte abbia, come il Senato, come la Camera, un bilancio a sé, che sfugga a tutti i controlli. (Commenti).

In altre parole, la Corte doveva, come la Camera dei deputati, come il Senato, avere un fondo speciale da amministrare a suo piacimento, di cui poteva fare quello che voleva, indeterminatamente. I consiglieri, di età veneranda, tutti dai 70 agli 80 anni: un nuovo esercito di gente parassita con la sua corte, le sue automobili, e numerosi suoi segretari con larghe prebende, senza lavoro e grandi spese.

Dicendo solo poche parole per combattere l’incertezza e il disordine delle proposte, io non intendo che segnalare il pericolo e il danno. Ora in questo disordine dell’ultima ora manca il tempo di fare un’analisi anche sommaria.

Io evitai il male maggiore; ma la proposta è sempre cattiva. Sin dalla presentazione del disegno di legge dissi a tutti il danno che minacciava la proposta disordinata.

Cerchiamo di rientrare un po’ nella logica. Si parla di urgenza e si dice che non bisogna perder tempo. Che cosa farebbe questa Corte adesso? Essa non può funzionare, in quanto il Senato non è ancora eletto. Le nomine che sono necessarie per far funzionare la Corte, secondo l’articolo di cui ho dato lettura, non sono state ancora fatte, né possono esserlo.

A parte il fatto stravagante che questa Corte costituzionale è unica, che non esiste in nessun paese della terra, che è una Corte così assurda (ma questa purtroppo è la legge e non possiamo migliorarla per nulla), ora procedendo in fretta si vuol renderla ancora peggiore. Senza studio, senza preparazione, senza ponderazione noi ci precipitiamo a fare, che cosa?

Noi abbiamo votato lo statuto per la Sicilia, così rapidamente esaminato. Quelli che lo hanno votato hanno ritenuto di compiere un dovere nazionale, ma non sapevano nulla di ciò che votavano. Ma ora dobbiamo votare anche la Corte costituzionale senza esame, senza saperne niente?

Le parole che ha detto l’onorevole Giannini su questa materia sono talmente semplici che non occorre aggiungerne altre. Spero, quindi, che voi vorrete approvare la proposta savia di rinviare ogni decisione alla futura Camera. Pretendere che noi decidiamo così tra capo e collo, senza studio, senza preparazione, è semplicemente assurdo.

Per queste ragioni voterò a favore della proposta Giannini.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la sospensiva proposta dall’onorevole Giannini.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Chiedo che si riconvochi la Costituente per meglio esaminare questa legge.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, la sua proposta è anticostituzionale. Legga la disposizione transitoria XVII.

Passiamo all’esame degli articoli.

Chiedo al Ministro Guardasigilli se il Governo desidera discutere sul proprio testo o se accetta quello della Commissione.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo è indifferente. Si è già rimesso all’Assemblea per la votazione a fine seduta di questo disegno di legge, e si rimette all’Assemblea per il testo su cui discutere.

È bene chiarire che il Governo non ha fatto altro che mettere in condizioni l’Assemblea di votare questa legge sulla Corte costituzionale. Quindi il Governo ha fatto suo un disegno di legge preparato dalla Commissione dei Diciotto e l’ha presentato all’Assemblea, con le modifiche che il Consiglio dei Ministri ha inteso di portare. Ma differenze sostanziali fra il testo della Commissione e quello del Governo non vi sono. V’è soltanto una aggiunta all’articolo 2. Ma non so se sia il caso di parlarne adesso o successivamente.

Comunque assicuro l’Assemblea che le osservazioni fatte dall’onorevole Condorelli non danno molta preoccupazione, nel senso che, come il Presidente dell’Assemblea ha detto, a norma della Disposizione XVII della nostra Costituzione finché non fosse entrata in funzione la Corte costituzionale, si sarebbero seguite le norme vigenti per i conflitti di competenza o di incostituzionalità.

Ma il Governo ritiene, e perciò ha presentato questo disegno di legge, che sia indispensabile e opportuno che il massimo organo costituzionale, che è necessario data la forma della nostra Costituzione, quest’organo che stabilisce i limiti ai poteri degli organi dello Stato e perfino del Parlamento, in quanto la Costituzione nostra, se non rigida, è semirigida, sia istituito per emettere giudizi sui limiti di competenza degli organi supremi dello Stato.

Se non facciamo la discussione di questo disegno oggi, dovremmo seguire la procedura lunga stabilita dalla Costituzione per l’approvazione delle leggi costituzionali, e certamente ci vorrebbe molto tempo.

L’attuale disegno di legge chiarisce le disposizioni dell’articolo 134, il quale dice che sulle controversie relative alla legittimità e alla costituzionalità della legge o dell’atto avente forza di legge dello Stato è competente la Corte costituzionale. E quindi ha stabilito che in via incidentale, quando sorge un conflitto per la lesione di un diritto o di un interesse legittimo, possa essere sollevata la questione della incostituzionalità della legge o dell’atto avente forza di legge.

Di fronte a questa situazione si propone, d’accordo con la Commissione, la possibilità di questo ricorso dinanzi alla Corte costituzionale.

Abbiamo tolto, onorevole Condorelli, quella parte che si poteva riferire ad un ricorso diretto da parte di organi dello Stato, perché abbiamo creduto che non sia il caso di trasferire ancora dinanzi alla Corte questioni che sono già risolte nel campo parlamentare.

D’altra parte, questa azione diretta non abbiamo creduto di darla né a cittadini qualsiasi, né a organi dello Stato.

Quindi si tratta di mantenersi nei limiti dei conflitti stabiliti dall’articolo 134 della Costituzione.

Rimane l’altra questione, ossia quella che riguarda la possibilità di dare ad organi come la Regione (propone la Commissione all’articolo 2) la facoltà di ricorrere alla Corte costituzionale.

Io vorrei pregare la Commissione che la cosa fosse considerata con molta cautela.

Quindi proporrei alla Commissione di poter modificare in parte l’articolo 2, ossia cercare di chiarire più esattamente la portata di questo articolo, tanto più che è mio convincimento personale che l’attività che spiega una Regione di fronte ad un interesse obiettivo, ad un interesse pubblico, non riflette l’interesse legittimo, ma è una questione di competenza, ossia di attribuzione; questione che può sorgere oggi non solo nel campo dell’attività amministrativa, fra amministrazione e potere giudiziario, ma dell’attività legislativa, in quanto ora alla Regione (ed anche ad alcune province) abbiamo dato la facoltà di emanare norme giuridiche. Può perciò avvenire una invadenza di sfere di competenza.

Ma questa invadenza di sfere di competenza si traduce in fondo in un conflitto di attribuzioni fra organo e organo. Questo può essere anche regolato con questa legge, ma io proporrei alla Commissione alcune modifiche: sopprimere al primo comma le parole: «sia illegittimo in quanto»; e sostituire al termine di sessanta giorni quello di trenta.

Ciò, in quanto sarebbe più prudente limitare i ricorsi di fronte alla legge, in modo da rendere impossibile che una legge già votata dal Parlamento possa rimanere – direi quasi – sospesa di fatto, più che di diritto, nel senso che un’azione di incostituzionalità (che può venire da una delle 19 Regioni) possa lasciare in sospeso per molto tempo la validità di una legge.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha. facoltà.

LUCIFERO. Lei ha ricordato, signor Presidente, precedentemente all’onorevole Condorelli la XVII disposizione transitoria. Ora questa disposizione transitoria stabilisce che «l’Assemblea Costituente sarà convocata dal suo Presidente per deliberare, entro il 31 gennaio 1948, sulla legge per l’elezione del Senato della Repubblica, sugli statuti regionali speciali e sulla legge per la stampa». Dico semplicemente che fino al 31 gennaio l’Assemblea è stata convocata a questo fine. Per questa legge si deve fare una convocazione dell’Assemblea, si deve fare una convocazione speciale attraverso una speciale procedura, cioè con una richiesta speciale o dei deputati o del Governo, ecc. Che una legge di questa gravità sia portata all’ordine del giorno, quando non ne era prevista la discussione fino ad avantieri, perché fino ad avantieri nessuno di noi sapeva che questa questione sarebbe stata portata in questa sede, mi sembra una così quanto mai inopportuna. Io ho voluto fare questa osservazione perché rimanga agli atti. In questi ultimi giorni della Costituente abbiamo assistito ad una specie di girandola. Questo disegno di legge andrà con la girandola; però io credo che anche il Paese vorrebbe che in certe cose fossimo maggiormente coerenti.

PRESIDENTE. Allora possiamo seguire il testo della Commissione, poiché il Governo si è rimesso all’Assemblea. Si dia lettura della intitolazione del disegno di legge e dell’articolo 1.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

NORME SUI GIUDIZI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE E SULLE GARANZIE D’INDIPENDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Art. 1.

«La questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Bozzi ha presentato il seguente, emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«La questione di legittimità costituzionale non può essere rilevata o sollevata dopo che siano trascorsi due anni dal giorno dell’entrata in vigore della legge o dell’atto avente forza di legge dello Stato o della Regione».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, noi trattiamo, come è stato da più parti rilevato, un argomento di grande importanza, perché la Corte costituzionale, secondo la competenza che le è stata attribuita dall’articolo 134 e seguenti della Costituzione, ha una funzione importantissima nella vita del nostro Stato: è l’organo il quale, in certo senso, si viene a porre al di sopra del Parlamento, perché ha la potestà giuridica di annullare le leggi votate dal Parlamento. Di qui le cautele delle quali noi dobbiamo circondare il funzionamento di questo organo che fa la sua prima esperienza nella Repubblica italiana. La configurazione che il disegno di legge presentato dal Governo – e in questa parte approvato dalla Commissione – dà all’istituto, è da me approvata. La questione di legittimità costituzionale può essere sollevata di ufficio o rilevata da una delle parti soltanto nel corso di un giudizio: civile, penale o amministrativo; cioè, in quanto vi sia una contestazione intorno ad un diritto soggettivo o ad un interesse legittimo. Occorre vi sia l’occasione di una situazione giuridica subiettiva. In questo caso il giudice, qualora la parte sia inerte o la parte si faccia diligente, solleva la questione di costituzionalità. E allora avviene (valgono i principî di ordine generale) che questo giudizio fra privati viene sospeso, e questa questione di costituzionalità viene portata dinanzi a questo tribunale supremo. E si instaura questo nuovo processo, questo giudizio.

Ora, il mio emendamento mira a questo. Io mi permetto di richiamare su di esso tutta la vostra attenzione, perché lo ritengo di fondamentale importanza. Io dico: va bene, la possibilità d’impugnare la legge; va bene, che vi possa essere un organo costituzionale investito di questo alto potere di giudicare una legge votata dal Parlamento, in quanto questa legge sia riconosciuta violatrice della Costituzione. Ma vi è accanto a questo interesse pubblico del rispetto della legittimità costituzionale, un altro interesse anche esso pubblico, e che va anche esso garantito. È l’interesse alla stabilità dell’ordinamento giuridico, alla certezza dell’ordinamento giuridico.

Ora, dopo che una legge è entrata in vigore ed è trascorso un certo numero di anni – che io ho fissato in due, ma che potrebbe eventualmente essere fissato in tre o quattro – ed ha creato rapporti giuridici, situazioni giuridiche, che si sono consolidate, ed ha dato vita ad una successione di altre leggi che sulla Costituzione si sono fondate, allora noi dobbiamo scegliere fra questa alternativa. Conviene tutelare la legge, che sia pure per una lieve incostituzionalità formale ha dato luogo ormai a situazioni consolidate; ovvero non conviene precludere questa possibilità di impugnativa, e dare la prevalenza all’esigenza della certezza del diritto? Se noi accediamo senza limitazioni al concetto manifestato dalla Commissione, noi mettiamo tutto l’ordinamento giuridico in una condizione di perpetua incertezza.

Non vi sarà più rapporto giuridico che possa essere considerato stabile. Mi rivolgo ai tecnici di questa Assemblea: nel campo della giustizia amministrativa (l’onorevole Ruini è maestro anche in questo) vi è una situazione, se non identica, analoga. Quando un atto amministrativo è illegittimo (e possiamo paragonare l’atto amministrativo alla legge) non sempre il Consiglio di Stato procede all’annullamento dell’atto, perché fa una valutazione d’interesse pubblico. Il giudice si domanda se, nonostante il riconoscimento di quella illegittimità, vi siano ragioni d’interesse pubblico che consiglino il mantenimento di quell’atto. Perché, ad esempio, quell’atto ha dato vita ad una situazione consolidata, e il distruggerlo sarebbe più dannoso per l’interesse pubblico che il mantenerlo.

Ora, se si presenta questa esigenza di fronte all’atto amministrativo, che riguarda una persona o un ente, vedete quanto più imponente si presenti questa esigenza di fronte ad una legge.

D’altra parte, collega ed amico Mortati, io prevedo l’obiezione sussurratami poco fa: non vale dire che qui la questione di legittimità è fatta in via di eccezione, perché bisogna riconoscere che è una eccezione sì, ma che immediatamente si converte in un’azione, che dà vita ad un processo a sé e che vi è tutta una rete di interessi pubblici, che bisogna tutelare. Vi è un interesse pubblico; non siamo nel campo del diritto privato, ma del diritto pubblico. E quell’annullamento non avviene più fra le parti in contesa, ma è annullamento erga omnes, che distrugge alla base la legge.

Ora io dico: ammettiamo un limite, altrimenti, avremo processi che si creano fittiziamente fra le parti, al solo scopo di invalidare una legge e di mettere in perpetuo stato di incertezza l’ordinamento giuridico; il che è quanto di più funesto si possa pensare per uno Stato, che vuole fondarsi sulla legge e sull’ordine giuridico.

Si dirà: se, trascorsi questi due o tre anni, l’azione o l’eccezione è preclusa, ci si accorge che la legge è illegittima; non vi sono altri rimedi.

No, vi sono: vi è il Parlamento; si eccita l’azione del Governo, mediante petizioni o altre azioni extra processuali, perché questa legge sia tolta dal circolo della vita giuridica e dall’ordinamento giuridico.

Credo che queste considerazioni si raccomandino alla vostra attenzione e mi auguro che l’emendamento sia accolto.

PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo:

«La stessa questione può essere proposta in via principale dinanzi alla Corte costituzionale da ogni membro elettivo del Parlamento della Repubblica».

Ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Rinunzio a svolgerlo.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. La proposta presentata dall’onorevole Bozzi urta contro quanto egli stesso, nella sua finezza, si prospettava.

Siamo in presenza non già di un’azione a tutela di un diritto, nei confronti della quale comprenderei l’opposizione di un termine, bensì di un incidente di incostituzionalità, il quale nasce formalmente e materialmente a seguito di una eccezione.

Siffatta eccezione si potrà avere a tempo indeterminato, ogni qual volta sorga la lesione di un interesse o di un diritto: non è quindi concepibile che sia limitata nel tempo la tutela contro un pericolo verificabile senza limiti di tempo.

Pertanto all’esigenza, sottolineata e condivisa anche da parte nostra, della certezza del diritto, in questo caso sovrasta l’esigenza, superiore, della legittimità costituzionale degli atti aventi valore di legge: esigenza attinente alla difesa dei diritti essenziali della persona umana.In conseguenza di che, richiamando il valore ed il significato della tutela giuridica affidata alla Corte costituzionale, voteremo contro ogni apposizione di termine, la quale ferirebbe nel momento stesso in cui la si formula la tutela essenziale da noi voluta.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

MORTATI, Relatore. La Commissione non è stata nella possibilità di consultarsi nel suo complesso. Posso riferire soltanto i risultati di un breve e parziale scambio di vedute.

In sostanza l’imbarazzo nel quale ci troviamo nasce da questo: dall’aver commisto insieme due diversi sistemi. L’avere limitato l’azione di incostituzionalità al singolo, leso dalla legge in un suo particolare diritto o interesse legittimo, condurrebbe a limitare l’effetto della decisione al caso deciso, secondo la norma generale che regola l’efficacia del giudicato. Invece la Costituzione, seguendo un indirizzo che io personalmente non approvo, ha stabilito che l’efficacia della decisione di incostituzionalità valga erga omnes e produca l’effetto dell’annullamento della legge. Questa la ragione dell’imbarazzo nel quale ci troviamo, imbarazzo che non si può negare e che l’onorevole Bozzi ha messo in rilievo. Non mi pare che sia esatta l’impostazione data al problema dell’onorevole Bozzi, dovendo attribuirsi anche alla deduzione della incostituzionalità il carattere di vera e propria eccezione, ed essendo, quindi, applicabile ad essa il broccardo da lui ricordato. Ma è l’effetto di annullamento, che, incidendo sulla certezza della norma giuridica, rende perplessi e fa pensare alla opportunità di introdurre una eccezione alla regola. In considerazione di questa anomalia, introdotta da noi, con la formulazione data all’articolo 138 della Costituzione, si potrebbe accedere forse almeno parzialmente alla proposta dell’onorevole Bozzi, nel senso che si ponga un termine alla proposizione dell’eccezione di incostituzionalità; ma prolungandolo a quattro anni, ed inoltre escludendolo per le norme penali.

PRESIDENTE. Pertanto per le norme penali non vi sarebbe limite.

MORTATI, Relatore. In merito alla proposta Benvenuti debbo rifarmi alle ragioni esposte dal Ministro Guardasigilli, che fanno considerare inaccettabile l’emendamento.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Non condivido la proposta Bozzi, perché la ritengo assolutamente incompatibile con un sistema che non dà al cittadino la possibilità di chiedere la dichiarazione giudiziale di non costituzionalità della legge se non quando il cittadino, in occasione di un giudizio, è colpito da questa legge. Il giudice non gli può dire allora: «ci dovevi pensar prima». Come poteva pensarci se la legge non gli consente di esperire la domanda di dichiarazione di legge non costituzionale? Quindi il sistema del collega Bozzi è compatibile con una legge che ammetta a richiedere in linea diretta la dichiarazione di non costituzionalità di una disposizione; ma, quando si sopprime l’esperibilità diretta di questo diritto fondamentale di un cittadino, bisogna consentire che egli lo possa far valere nel momento in cui è colpito dalla norma incostituzionale, perché è solo in quel momento che la legge suppone che nasca il suo interesse. Né ha senso dire che doveva pensarci durante due, tre o quattro anni, in cui non se n’è occupato, perché la legge non gli consentiva di occuparsene. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, l’onorevole Mortati propone di elevare da due a quattro anni il termine da lei suggerito e comunque di escludere le leggi penali.

BOZZI. Aderisco alle due proposte del Relatore.

PRESIDENTE. Il Ministro Guardasigilli ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. In merito all’emendamento che riguarda la possibilità di un ricorso diretto, mi sono già pronunziato: sono contrario e prego l’onorevole proponente di ritirarlo.

Per quanto riguarda la proposta Bozzi, mi pare che l’onorevole Mortati abbia posto esattamente i termini della questione. Fra i due sistemi, quello americano e svizzero, che si possa eccepire la questione costituzionale soltanto in tema di controversie giudiziarie e che limita le sue conseguenze soltanto al caso deciso, e questo nostro sistema ibrido, con il quale abbiamo stabilito che non soltanto al caso deciso, ma erga omnes si estenda il giudizio, la proposta del collega Bozzi può presentare delle preoccupazioni; ma io avverto – e penso che l’Assemblea avverta – le osservazioni dell’onorevole Fabbri, e pertanto pregherei l’onorevole Bozzi di non insistere.

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi ha facoltà di dichiarare se insiste.

BOZZI. Insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo alla votazione.

Poiché la Commissione propone un’intitolazione diversa da quella del Governo, pongo in votazione, intanto, la formula della Commissione:

«Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale».

(È approvata).

Passiamo all’articolo 1:

«La questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione».

MORTATI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI, Relatore. Faccio notare la divergenza esistente fra il testo del Governo e quello della Commissione. Quest’ultimo elimina la concezione della Regione, perché l’ipotesi dell’azione promossa nei riguardi della legge regionale è considerata in modo distinto nell’articolo 2. Se, per ipotesi, questo secondo articolo non fosse approvato, bisognerebbe ritornare al testo primitivo del Governo. Ho creduto opportuno formulare un’espressa riserva in questo senso, essendo richiesto dall’articolo 137 della Costituzione che la regolamentazione di competenza della presente legge costituzionale si estenda alle leggi regionali.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’articolo 1, salvo coordinamento.

(È approvato).

Passiamo all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Bozzi, che è stato modificato secondo la richiesta del Relatore Mortati.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Voterò a favore dell’emendamento Bozzi, in quanto non credo che le ragioni opposte dall’onorevole Fabbri contro la fondatezza della richiesta del termine per l’esercizio dell’azione o della eccezione di incostituzionalità siano degne di essere accolte. L’onorevole Fabbri considera il valore della norma, fissando il termine semplicemente dal lato privatistico, dell’interesse individuale, mentre l’emendamento Bozzi è basato su un altro fattore che è predominante, e cioè sull’interesse pubblico. Ora, appunto perché è interesse pubblico fondamentale che l’ordinamento giuridico non sia indefinitamente sottoposto a condizione risolutiva, l’emendamento Bozzi può essere accettato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Bozzi, modificato secondo le proposte dell’onorevole Mortati, e che il Ministro Guardasigilli ha dichiarato di non accettare.

(Non è approvato).

Segue l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Benvenuti. Chiedo al proponente se vi insiste.

BENVENUTI. Lo ritiro, in quanto le circostanze attuali non ci consentono un approfondito esame del problema.

Vi sono larghissime zone di legislazione anticostituzionale o incostituzionale che non si prestano ad essere denunciate in sede di eccezione del diritto civile e penale. Questa è materia che merita un esame più approfondito.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo all’articolo 2. Ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Quando una Regione ritenga che una legge od atto avente forza di legge della Repubblica sia illegittimo in quanto invada la sfera della competenza ad essa assegnata dalla Costituzione, può, con deliberazione della Giunta regionale, promuovere l’azione di legittimità costituzionale davanti alla Corte, nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente forza di legge.

«Una legge d’una Regione può essere impugnata per illegittimità costituzionale, oltre che nei casi e con le forme del precedente articolo e dell’articolo 127 della Costituzione, anche da un’altra Regione, che ritenga lesa da tale legge la propria competenza. L’azione è proposta su deliberazione della Giunta regionale, entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge».

PRESIDENTE. Su questo articolo è stato presentato un emendamento dagli onorevoli Mastino Pietro e Lussu, così formulato:

«Dopo il primo comma aggiungere:

«In tal caso alle sedute della Corte costituzionale partecipa un rappresentante della Regione nominato dalla Giunta regionale per tutta la durata del Consiglio regionale».

L’onorevole Mastino ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO PIETRO. Avrei rinunziato alle non troppe parole che dirò, se l’emendamento proposto non avesse una singolare importanza. Esso è diretto a impedire che nei conflitti – che nessuno di noi si augura ma che sono però previsti nella Carta costituzionale – tra Stato e Regione la Regione sia posta in una condizione di inferiorità. Con ciò io non penso, onorevoli colleghi, a una visione antiunitaria, ma è certo che quando la Corte costituzionale viene adita vi è un contrasto, di fatto, tra Stato e Regione, relativo a una determinata questione sorta fra le due parti.

In base all’articolo 135 della Costituzione la Corte costituzionale è composta in modo che le Regioni, soprattutto quelle di non rilevante efficienza politica, non vi sono e non vi potranno essere rappresentate, sicché lo Stato, che nel caso specifico è parte, si troverà in condizione di privilegio, in quanto vi saranno solo giudici indicati da una delle parti.

L’emendamento è diretto a impedire che ciò si verifichi. Non si dica che il rappresentante della Regione sia in certo senso legato a giudicare o a decidere in favore della Regione, in quanto questo sarebbe un argomento che minerebbe alla base la serietà di quei giudici che sono indicati dallo Stato e in quanto anche il giudice indicato dalla Regione sarebbe immediatamente superiore alle parti. Basti indicare come vi siano esempi nella nostra storia costituzionale di casi del genere. I rappresentanti italiani presso la Corte internazionale di giustizia dimostrarono sempre serenità e superiorità di giudizio e talvolta diedero torto all’Italia.

L’emendamento ha inoltre lo scopo di porre riparo a quella ripetuta negazione di nostri diritti che si è verificata per essere stati respinti parecchi degli articoli proposti per il progetto di statuto formulato dalla Consulta regionale sarda e dalla Commissione, nonché lo scopo di evitare possibili ingiustizie future.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha proposto i seguenti emendamenti al primo comma:

«Sopprimere le parole: sia illegittimo in quanto».

«Ridurre da 60 a 30 giorni il termine per il ricorso».

Ha facoltà di svolgerli.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Non mi sembra felice la dizione: «Quando una Regione ritenga che una legge od atto avente forza di legge della Repubblica sia illegittimo in quanto invada la sfera di competenza, ecc.» Il giudizio sulla legittimità o meno deve emetterlo la Corte costituzionale. È sufficiente dire: «ritenga che una legge od atto avente forza di legge invada la sfera, ecc.». Con questa formulazione meglio è precisato, inoltre, che trattasi di conflitti di attribuzione.

Quanto al secondo emendamento, rilevo che, trattandosi di invalidare una legge del Parlamento, già entrata in vigore e che potrebbe essere un atto importante, pare opportuno che il termine per promuovere il giudizio di legittimità costituzionale sia abbreviato; penso che 30 giorni possano essere sufficienti .

Ricordo che, per quanto si riferisce allo Stato nei confronti della Regione, il termine per l’esercizio dell’azione di incostituzionalità è stato stabilito in 15 giorni. Mi pare dunque troppo darne 60 alla Regione.

L’Assemblea è sovrana nel decidere, poiché si tratta di materia costituzionale. Il Governo ha svolto solo una funzione di iniziativa, per investire l’Assemblea della questione; esso comunque si dichiara favorevole all’articolo 2 proposto dalla Commissione, con gli emendamenti che ho suggerito.

Circa la proposta degli onorevoli Mastino Pietro e Lussu, vorrei pregarli di non insistere. Sarò al riguardo molto lieto di udire tra breve il giudizio della Commissione, ma io personalmente ritengo che quella di far partecipare un membro del Consiglio regionale tutte le volte che si determini una controversia fra lo Stato e una Regione sia una proposta offensiva per la Corte costituzionale, la quale, onorevoli colleghi, va concepita come organo al di sopra delle Regioni e dello stesso Stato, che giudichi con quel senso di alta giustizia che deve esserle proprio.

Faccio poi osservare che possono esservi questioni riguardanti più Regioni. Che cosa avverrebbe allora? Che i rappresentanti sarebbero tanti quante sono le Regioni interessate? Ma non si tratta di una Corte arbitrale; la Corte costituzionale è un organo superiore, che esercita una sua funzione nell’interesse obiettivo della Costituzione e della legge.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Il disegno di legge presentato dal Governo non contemplava questo secondo caso di esercizio di azione davanti alla Corte costituzionale. Era la prima volta che ci capitava di essere favorevoli a una proposta del Governo ed era forse anche l’ultima. (Ilarità). Ma nemmeno questa soddisfazione doveva restarci, perché il Governo ha accettato l’articolo 2 proposto dalla Commissione.

Noi siamo contrari a questa proposta. È chiaro che la Regione agirà politicamente, è chiaro che la Regione imboccherà una delle tante strade che le si prospettano per esercitare un’azione politica. Non avrà bisogno di ricorrere alla Corte costituzionale.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione sull’emendamento proposto dagli onorevoli Mastino Pietro e Lussu?

MORTATI, Relatore. L’emendamento è inammissibile, perché è evidente che l’Assemblea non ha in questo momento alcuna competenza per ciò che concerne la composizione della Corte, già prevista dall’articolo 135 della Costituzione: articolo che, evidentemente, la proposta degli onorevoli Mastino e Lussu verrebbe, se accolta, a modificare. Noi dobbiamo restare rigorosamente nei limiti che ci sono assegnati dalla Costituzione, nei limiti che ci vengono fissati dall’articolo 137 e che sono ben definibili nel senso che ho precisato al principio.

Se anche questa ragione di preclusione non vi fosse, se ne dovrebbe porre un’altra. Infatti una proposta analoga a quella che ora presentano gli onorevoli Mastino e Lussu fu fatta dall’onorevole Perassi in sede di discussione della Costituzione e, posta ai voti, venne respinta. È ovvio pertanto che essa non può essere ora riproposta.

La Commissione è invece d’accordo col Governo per quanto riguarda la modificazione di carattere formale proposta al primo comma dell’articolo, nel senso di sopprimere le parole «sia illegittimo in quanto».

Per ciò che riguarda il termine, la Commissione pensa che abbreviarlo fino a trenta giorni può essere eccessivo, quando si pensi che anche per i normali ricorsi di illegittimità innanzi agli organi di giustizia amministrativa è stabilito un termine di sessanta giorni. Ad ogni modo, la Commissione non si oppone in modo reciso alla proposta del Guardasigilli, ma si rimette all’Assemblea.

Vorrei fare osservare all’onorevole Targetti che non mi pare esatto quanto egli ha detto, e cioè che alla Regione compete una azione di carattere politico. La Regione è un ente giuridico che ha propri diritti e interessi, e che può far valere tali diritti e interessi in via di eccezione, in virtù del primo articolo, già approvato, tal quale come ogni altro soggetto di diritto privato e pubblico. È ora da vedere se sia opportuno concedere alla Regione, oltre a questa azione giudiziaria in via di eccezione, anche un’azione diretta. Osservo che tale azione diretta è stata già riconosciuta negli statuti speciali per la Sicilia e per il Trentino-Alto Adige; e non vi è nessuna ragione per dovere fare un trattamento differenziale alle altre Regioni e tanto meno a quelle, come la Sardegna, che pure godono di uno statuto speciale.

Vi è poi una ragione sostanziale a sostegno di tale azione diretta, sottoposta a un termine brevissimo: che cioè essa vale a risolvere rapidamente la controversia sulla costituzionalità della legge, evitando che duri uno stato di incertezza, nocivo alla sicurezza e alla stabilità dei rapporti giuridici.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del primo comma dell’articolo 2 proposto dalla Commissione con l’emendamento del Governo accettato dalla Commissione:

«Quando una Regione ritenga che una legge od atto avente forza di legge della Repubblica invada la sfera della competenza ad essa assegnata dalla Costituzione, può, con deliberazione della Giunta regionale, promuovere l’azione di legittimità costituzionale davanti alla Corte».

(È approvata).

Passiamo alla questione del termine, per la fissazione del quale la Commissione si è rimessa all’Assemblea. La Commissione stessa aveva proposto sessanta giorni; l’onorevole Ministro della giustizia ha fatto rilevare che il termine è forse troppo lungo e ha proposto quello di trenta giorni.

Pongo pertanto in votazione la seconda parte del primo comma, con l’emendamento del Governo:

«nel termine di 30 giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente forza di legge».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Chiedo agli onorevoli Mastino Pietro e Lussu se, udite le dichiarazioni della Commissione, insistono sul loro emendamento aggiuntivo.

MASTINO PIETRO. Dichiaro che lo ritiriamo. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Passiamo al secondo comma, per il quale si propone, penso, lo stesso problema del termine.

Pongo per intanto in votazione la prima parte:

«Una legge d’una Regione può essere impugnata per illegittimità costituzionale, oltre che nei casi e con le forme del precedente articolo e dell’articolo 127 della Costituzione, anche da un’altra Regione, che ritenga lesa da tale legge la propria competenza. L’azione è proposta su deliberazione della Giunta Regionale».

(È approvata).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei osservare che, quanto al termine, non vi è una stretta analogia fra l’ipotesi del primo comma e quella del secondo, perché quando si tratti di conoscere una legge dello Stato non c’è che da consultare la Gazzetta Ufficiale della Repubblica, mentre quando si tratti di una legge regionale, della Sicilia, poniamo, che può disturbare gli interessi del Piemonte, la cosa diventa un poco più complicata. La conoscenza delle singole leggi regionali, una volta che la Costituente ha creduto di istituirle, è necessaria, e pertanto il termine di 60 giorni mi sembra indispensabile.

PRESIDENTE. Sta bene. Non essendo stata fatta diversa proposta, pongo in votazione le ultime parole dell’articolo 2:

«entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge».

(Sono approvate).

Passiamo all’articolo 3, nel testo della Commissione accettato dal Governo.

Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Corte costituzionale è la sola competente a giudicare della validità dei titoli dei membri della Corte stessa.

«I giudici della Corte costituzionale non possono essere rimossi, né sospesi dal loro ufficio se non con decisione della Corte, per sopravvenuta incapacità fisica o civile o per gravi mancanze nell’esercizio delle loro funzioni.

«Finché durano in carica, i giudici della Corte costituzionale godono della immunità accordata nel secondo comma dell’articolo 68 della Costituzione ai membri delle due Camere. L’autorizzazione ivi prevista è data dalla Corte costituzionale.

PRESIDENTE. La Commissione ha soppresso il seguente comma del testo governativo:

«La Corte costituzionale ha una dotazione propria con stanziamento speciale nel bilancio del Tesoro e provvede in forma autonoma alla relativa gestione. Il trattamento dei membri della Corte è stabilito per legge».

Pongo in votazione l’articolo nel testo della Commissione.

(E approvato).

Comunico che gli onorevoli Perassi, Cevolotto, Mortati, Bozzi e Persico hanno presentato il seguente articolo aggiuntivo:

«L’Alta Corte istituita dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana, approvato con decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, cesserà di funzionare con l’esaurimento dei giudizi pendenti avanti ad essa alla data della costituzione della Corte costituzionale istituita dall’articolo 134 della Costituzione».

Onorevoli colleghi, vorrei sollevare quanto meno un dubbio, se non una eccezione formale, sopra l’ammissibilità di questo articolo aggiuntivo.

L’Assemblea ha votato, non più tardi di due ore fa, un articolo di legge con il quale si disciplina la procedura per le modificazioni dello statuto siciliano; e mi pare che essa non possa ritenersi investita del potere di procedere a una di queste modificazioni. La legge sullo statuto siciliano entrerà in vigore il giorno della sua pubblicazione; e, non essendo essa ancora in vigore, non vedo come da questa stessa Assemblea, che l’ha già approvata, possa essere modificata. E un dubbio che sollevo. I firmatari dell’emendamento sono valenti giuristi e ne terranno il conto che crederanno.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Non insisto sull’articolo aggiuntivo, nonostante che – a mio avviso – non sia contro di esso opponibile un’eccezione di preclusione. Non insisto perché, soprattutto dopo le dichiarazioni molto precise del Ministro della giustizia a proposito della formulazione suggerita dall’onorevole Pietro Mastino per la partecipazione di un rappresentante della Regione alla Corte costituzionale, ritengo che la XVI disposizione transitoria e finale della Costituzione ha implicitamente abrogato le norme dello statuto siciliano concernenti l’Alta Corte.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Il mio intervento sarebbe stato diretto a contrastare l’articolo aggiuntivo Perassi. Giacché egli vi rinunzia, rinunzio anch’io a parlare, dichiarando però di dissentire decisamente dalle sue ultime osservazioni.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora all’articolo 4, ultimo del disegno di legge. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. Non sono stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà immediatamente votato nel suo complesso e scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sui complessi dei seguenti disegni di leggi costituzionali:

«Conversione in legge costituzionale dello statuto della Regione siciliana, approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455».

«Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale».

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari à numerare i voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto sui disegni di legge costituzionali:

Conversione in legge costituzionale dello statuto della Regione siciliana, approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, numero 455:

Presenti                       287

Votanti                        286

Astenuti                         1

Maggioranza                144

Voti favorevoli             232

Voti contrari                 54

(L’Assemblea approva).

Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale:

Presenti e votanti          287

Maggioranza                144

Voti favorevoli             202

Voti contrari                 85

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzali – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bargagna – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bernamonti – Bertone – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Boldrini – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bulloni Pietro.

Cairo – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Cortese Pasquale – Costantini – Cremaschi Olindo.

Damiani – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gallo – Garlato – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giannini – Giordani – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Mannironi – Marazza – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Molè – Montalbano – Montemartini – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino – Musetto.

Nasi – Nicotra Maria – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri– Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Perassi – Persico – Piccioni – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preziosi – Priolo – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Reale Eugenio – Recca – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saggin – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sapienza – Sartor – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Segni – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spano – Stampacchia – Stella – Storchi.

Targetti – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togni – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Varvaro – Veroni – Vicentini – Vigna – Vigo – Vinciguerra – Vischioni.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Sono in congedo:

Costa – Cotellessa.

Merlin Umberto.

Orlando Vittorio Emanuele.

Valiani – Viale – Villabruna.

Per la chiusura dei lavori dell’Assemblea.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Per mantenere l’antica consuetudine che si è tramandata in questa nostra Assemblea ho chiesto di parlare ora, onorevoli colleghi! E non è senza qualche rammarico che mi alzo per dire a lei, signor Presidente, a voi tutti, l’ultima parola mia in quest’Aula nella quale parlai per la prima volta ormai quarant’anni fa.

Certo la voce del cantor non è più quella, perché gli anni sopraggiunti l’hanno resa debole e fioca, tanto da richiedere l’intervento di questi amplificatori che nel libero Parlamento non si usarono mai.

Quella trasmigrazione di una parte di noi al Senato, che l’Assemblea ha votato con forse eccessiva bontà di cuore, e che i partiti ai quali ci onoriamo di appartenere nella loro ferrea disciplina obbligano di seguire, ci fa oggi lasciare questi seggi con grande malinconia. E vero, non omnis moriar, ma qualcosa di diverso vi è in questa quasi artificiale sopravvivenza nostra, che finisce per turbarci. Noi non torneremo più qui attraverso il clamore della battaglia, vincendo la quale sapevamo di poter parlare qui, e fuori di qui, con ben altra autorevolezza.

Ci conforta la buona e numerosa compagnia. (Si ride). Per i titoli di cui ciascuno di noi anche abbondantemente è fornito e soprattutto per lo spirito della nuova solidarietà che nell’altro ramo del Parlamento senza dubbio si accenderà, sentiremo il dovere di formare, sia pure distinti e opposti di pensiero, un nucleo compatto che porti l’antica tradizione parlamentare, libera e serena sempre, nelle nuove Aule per lungo silenzio deserte e mute. (Approvazioni). Ci sorregge anche il pensiero che facciamo posto libero a tante nuove attività giovanili che si formeranno esse stesse la nuova consuetudine del dibattito, più vivace forse, se è possibile, ma più ingenuo e sempre sorretto da più giovanile entusiasmo, tanto più e tanto meglio esplicantesi se gli altri di voi, onorevoli colleghi, già provati dal faticoso travaglio di questa Assemblea Costituente, ritorneranno qui tutti, ancora, come io desidero e cordialmente vi auguro.

Abbiamo seguito tutti insieme il difficile avvicendarsi delle discussioni e delle deliberazioni nostre. In esse affiorò alle volte qualche incertezza e sia pure qualche contradizione, che l’abilità dei nostri Presidenti non riuscì sempre ad eliminare; e l’aver prevalso alle volte una corrente o alle volte un’altra ci ha obbligati ad un frequente difficile lavoro di equilibrio, che spesso ha corrisposto alla condizione di spirito del nostro Paese, il quale non ha scelto ancora una via precisa e definita. La nuova battaglia elettorale contribuirà a fissarla. Lasciamo che essa si pronunci.

Ma io non vorrei essere andato involontariamente oltre il compito che mi ero prefisso, di recare alle gentili colleghe ed a voi tutti un cordiale saluto di congedo e di presentare al nostro Presidente, che io vedo esso pure già trasmigrante per altre vie e per altri porti (Si ride) l’espressione del nostro unanime grato animo (L’Assemblea sorge in piedi e applaude a lungo vivamente), per aver egli diretto così opportunamente le nostre discussioni irte di ostacoli, di pregiudiziali e anche di preclusioni, questo è stil nuovo, ad ogni piè sospinto. (Si ride). Dobbiamo alla sua sapiente tenacia e alla sua vigorosa prontezza se oggi, senza soverchi acceleramenti – che avrebbero nociuto alla serietà del nostro mandato – abbiamo potuto terminare finalmente i nostri lavori. La statistica di essi è veramente imponente e non sta a me presentarvela ora. Certo è che guardando dall’oltrepassato pelago alla riva non par vero di aver compiuto tanto cammino. Ma così fu e gli atti nostri restano a dimostrare il grande lavoro esplicato dall’Assemblea e dalle Commissioni: atti diligentemente raccolti, rapidamente pubblicati, che restano il documento solenne di questa nostra fatica. Noi siamo grati ai componenti tutti della Presidenza, a tutto il personale della Camera (Vivi applausi) che volenterosamente ci ha assistito in tutta l’opera nostra, e ringraziamo i rappresentanti della stampa che ci hanno seguito con così cordiali e volenterosi intendimenti, discutendo e illustrando le nostre deliberazioni. (Vivissimi applausi).

Un saluto al Presidente del Consiglio, ai membri del Governo, a chi ha presieduto e ha faticato nelle Commissioni (Applausi), a quanti infine con noi hanno avuto l’onore di partecipare a questa grande Assemblea la quale oggi degnamente pone fine ai suoi lavori.

Non credo di aver dimenticato alcuno, perché tutti voi avete inteso comprendervi col cordiale consenso col quale avete voluto con tanto cortese attenzione seguirmi.

Vi ringrazio, o colleghi, e vi saluto. (Vivissimi applausi).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Vorrei pregare i colleghi di accogliere il ringraziamento del Governo per la loro collaborazione positiva come per la loro collaborazione critica.

La fedeltà al sistema del metodo parlamentare ci ha fatto superare molte difficoltà. Ho la speranza, per non dire la certezza, che nessuno di noi verrà meno a tale direttiva e che nei due rami del Parlamento, eguali nell’autorità, e forse, onorevole Micheli, anche nella vivacità, la fedeltà nel metodo rappresentativo democratico possa condurre al consolidamento della Costituzione repubblicana.

Mi associo, in particolare, al sentimento di gratitudine verso il Presidente, sentimento che estendo verso i membri delle Commissioni legislative che hanno collaborato più direttamente col Governo, sentimento di ammirazione, oltre che di gratitudine, anche per le Commissioni che hanno creato lo statuto fondamentale, e per quelle specialmente che in questi ultimi tempi si sono tormentate sulle leggi degli statuti speciali.

Vivant sequentes! (Vivissimi applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la nostra Assemblea aveva chiuso con solennità i suoi lavori. E tuttavia abbiamo continuato a lavorare anche quando pareva che avessimo già toccato la nostra mèta. Ma, non nascondiamocelo, siamo stanchi. La stanchezza non è in ciascuno di noi; ciascuno di noi sarebbe pronto a continuare ancora. Essa è nell’organismo, il quale, d’altra parte, era stato pensato e costruito per reggere ad uno sforzo non così prolungato.

Abbiamo assolto al nostro compito; ma adesso è tempo veramente che ritorniamo anche noi, non tanto individualmente, ma come organismo alla grande sorgente da cui le assemblee rappresentative traggono, non solo la loro energia, ma anche la loro autorità. E giusto che le nuove elezioni vi siano, ed è necessario che avvengano il più rapidamente possibile. È questo un impegno assunto e sul quale, è certo, non possono esservi, e non vi saranno, contestazioni da nessuna parte.

Penso che una considerazione possiamo fare a nostra soddisfazione: questa Assemblea ha lavorato per diciotto mesi, e quest’ultimo mese ancora, affidata solo alla propria autodisciplina.

Le assemblee rappresentative, i vecchi parlamenti italiani funzionavano avendo sempre un po’ su di sé le redini del Governo; e pareva che fosse assolutamente necessario questo freno che, pur sortendo dall’Assemblea, stava alquanto al di sopra di lei, e nella considerazione ed anche nelle funzioni, perché le assemblee rappresentative potessero muoversi, lavorare.

Noi abbiamo dimostrato che, quando si è consapevoli del proprio compito, si può di per se stessi porsi dei limiti, stabilirsi delle mete e raggiungerle. Ed è questa veramente una prova notevole della capacità formatrice di una mente aperta a sentimenti di democrazia.

Ma oggi anche noi abbiamo bisogno di ritornare alla nostra sorgente e ridare alle masse popolari italiane il loro potere fondamentale; quello di stabilire chi dovrà proseguire questa opera che noi abbiamo validamente iniziata, ma appena iniziata.

Sono grato a tutti voi della comprensione che avete dimostrato per il mio compito difficile.

Vi ringrazio della collaborazione che mi avete data, spesso forse anche nei momenti in cui meno ne avevate la coscienza, ma io, invece, più la sentivo; e vi ringrazio anche della tolleranza che alcune volte avete dovuto prodigare nei miei confronti. Sono uomo anch’io e passibile quindi di debolezze o di apparenti manifestazioni di energia, che forse non sarebbero necessarie.

In particolare vorrei ricordare in questo momento – per uno spirito non di cavalleria ma di leale riconoscenza – le nostre colleghe. Non dimentichiamo che è la prima volta che in quest’Aula hanno seduto delle donne italiane, ed esse pur portando qui la voce di molte posizioni politiche ci hanno insegnato che nei momenti più importanti, in cui si trattava di stabilire i punti fondamentali per la nostra vita, esse hanno saputo trovare le parole acconcie ad esprimere, unitariamente, il pensiero di tutte le donne italiane. (Vivi applausi).

Valido ausilio ha dato ai nostri lavori tutto il personale della Camera. Ricordo per primo il più alto funzionario, avvocato Cosentino (Vivissimi applausi), strumento preziosissimo di qualunque più grande Presidente, custode di esperienze, di consigli e di indicazioni, senza i quali frequentemente i nostri lavori si sarebbero arrestati. E credo che veramente occorra dargliene pubblico ed anche solenne riconoscimento. (Vivissimi applausi).

E insieme a lui ricordo tutti gli altri collaboratori, dai maggiori ai più modesti, che ci hanno reso possibile questa continuità di lavoro che, se ha stancato noi, ha spesso molto maggiormente stancato loro. (Vivi applausi).

Abbandonando adesso questo seggio, desidererei avere una certezza, e cioè che nessuno di coloro che molti mesi fa, con benevolenza e fiducia, hanno voluto elevarmi a questo posto abbia avuto, nel corso di questi lunghi mesi, il più piccolo rammarico per il gesto che aveva compiuto. Ho cercato di assolvere il mio dovere e credo di avere abbastanza corrisposto all’imperativo della mia coscienza. (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Grida generali ed insistenti di: Viva il Presidente della Repubblica! Viva De Nicola! – Il Presidente, i Ministri e tutti i deputati si levano in piedi – Nuovi, vivissimi, prolungati applausi – Le tribune della stampa si associano all’acclamazione).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se risponde a verità che il decreto di prossima emanazione, riguardante il collocamento in pianta stabile dei dipendenti comunali con quattro anni di servizio, escluda da tale provvidenza gli ufficiali sanitari, veterinari comunali interini e i medici condotti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lucifero».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se, dopo la rinunzia del Governo inglese ai suoi crediti verso l’Italia per anticipazioni e spese sostenute per i prigionieri di guerra, non sia il caso di provvedere al rimborso delle somme a tale scopo trattenute ai reduci dall’Amministrazione militare italiana in occasione della liquidazione degli assegni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Selvaggi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se, in previsione della riorganizzazione dell’esercito, possa venire benevolmente esaminata l’aspirazione dei sottotenenti maestri di scherma di poter proseguire la carriera fino al grado di capitano.

«Questi ufficiali sono appena 50 e nei reparti assolvono anche funzioni amministrative delicate ed importanti alle quali sono, di norma, preposti ufficiali cui non è posto alcun limite alla carriera. Sono elementi che per preparazione professionale non si ritengono inferiori alle altre categorie e dovendo, taluni, rimanere in servizio ancora molti anni (dai 13 ai 18), si chiede che non sia loro precluso l’avanzamento fino al grado di capitano.

«Se si considera che tale possibilità è stata concessa a sottufficiali privi di titolo di studio, non dovrebbe costituire serio ostacolo l’estensione del beneficio a ufficiali già di carriera e che furono nominati dopo concorsi per titoli ed esami.

«In linea subordinata, ove la prima richiesta risulti inaccoglibile, l’interrogante chiede di sapere se a coloro che domandano di essere posti in congedo, a domanda, con le stesse facilitazioni economiche fruite dagli ufficiali di altre armi collocati nella riserva per riduzione di organico (regio decreto legislativo 14 maggio 1946, n. 384), possa venire accordato tale beneficio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Selvaggi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, per sapere quali provvedimenti contingenti e definitivi intendano adottare per ovviare e risolvere la grave situazione della zona agricola adiacente al fiume Liri a valle di Sora (Frosinone), ove in questi giorni un nuovo straripamento del fiume e dei torrenti montani affluenti ha provocato ancora una volta danni gravissimi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro degli affari esteri, se non creda opportuno moltiplicare le indagini e le ricerche presso il Governo dell’U.R.S.S., onde potere avere notizie dei prigionieri italiani che, a quanto afferma la stampa di questi giorni, desumendolo dalle relazioni fatte da un gruppo di reduci dalla Russia passato giorni or sono dalla stazione di Udine, sarebbero adibiti a lavori delle miniere di Karaganda nella Siberia inferiore, ed altri in un campo nei pressi del Don (Oranki?), nel quale ultimo 28 ufficiali italiani sarebbero assistiti dal valoroso medico dott. Enrico Reginato.

«Il Gruppo medico parlamentare confida che l’interessamento del Ministero degli affari esteri giunga inoltre ad ottenere il tanto sospirato rimpatrio di questi nostri tanto provati confratelli. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Spallicci, Caronia, Zaccagnini, Fornara, Merighi, Mazza, Lettieri, Caso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere con quali criteri ha emanato ai prefetti disposizioni riguardanti l’assunzione del personale avventizio per gli uffici liste elettorali delle amministrazioni comunali, dato che nel comune di Prato, per l’assunzione di 29 impiegati avventizi, le autorità di polizia si sono credute in dovere di domandare informazioni, non semplicemente di carattere morale, ma politico, non riguardante un passato fascista, per accertare l’appartenenza o meno dei postulanti a determinati partiti di sinistra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Saccenti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere perché, mentre in risposta a precedente interrogazione il Ministro ebbe ad assicurare che si sarebbe al più presto provveduto al ripristino, in almeno sette sedi universitarie, della Facoltà di scienze politiche, nulla è stato disposto al riguardo e non risultano riaperte le iscrizioni e ripresi i corsi di insegnamento.

«Anche nell’ultimo convegno dei rettori è stato deciso il ripristino della Facoltà di scienze politiche.

«Data l’utilità e l’opportunità del ripristino di tale Facoltà, si insiste per un sollecito provvedimento e si chiedono precise ed impegnative assicurazioni in proposito. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, per conoscere se non ritengano conforme ad equità, ai sinistrati senza tetto che abbiano in parte o totalmente ricostruito o riparato la loro casa di abitazione, in base alle facilitazioni stabilite dal decreto luogotenenziale del 9 gennaio 1945, n. 305, estendere anche ad essi i maggiori beneficî consentiti dal decreto-legge 10 aprile 1947, n. 261, sia perché la stessa materia non sia regolata da norme diverse, sia per impedire che, di fatto, i più poveri e più bisognosi siano puniti per esser stati i più solerti nell’opera di ricostruzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere se crede opportuno ed urgente di disporre che gli uffici telegrafici e telefonici dei piccoli comuni siano aperti almeno dalle 10 alle 12 nei giorni di domenica.

«Nell’attualità la sospensione, per tutta la giornata della domenica, dei servizi telegrafici e telefonici dei piccoli comuni è causa di lamentele e di vivo disagio, poiché nei casi d gravi infermità o d’importanti interessi sociali le comunicazioni telegrafiche e telefoniche possono apportare grandi vantaggi morali e materiali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lettieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se può essere ancora consentito che le manovre che si svolgono sullo spiazzale della stazione di Battipaglia debbano interrompere, quasi in continuazione, e spesso per ore, il passaggio sulla statale, che attraversa la linea ferroviaria.

«L’interrogante crede sia arrivato il momento per evitare il grave inconveniente. che è causa di lunghe ed estenuanti soste con perdita di tempo prezioso per i numerosi passeggeri che vanno o vengono dalle Calabrie o dal Cilento.

«Il rimedio definitivo e completo sarebbe la costruzione di un cavalcavia. Il rimedio, meno radicale, ma pure accettabile, sarebbe quello di spostare tutte le manovre ad oriente della stazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lettieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere per quali motivi non siasi data ancora esecuzione alla disposizione contenuta nell’articolo 10 del decreto legislativo 14 maggio 1946, n. 384, secondo la quale con decreti successivi avrebbero dovuto essere emanate le norme atte a disciplinare l’utilizzazione degli ufficiali sfollati in altre Amministrazioni pubbliche.

«A tutt’oggi, cioè a quasi due anni di distanza dalla pubblicazione del decreto legislativo suddetto, non solo nulla si è fatto per utilizzare o trasferire detto personale in altre Amministrazioni pubbliche, ma, quello che è più grave, gli ufficiali, sfollati o no, sono stati esclusi dai concorsi per esami riservati agli impiegati dello Stato, come è avvenuto, ad esempio, in un recente concorso bandito dal Ministero degli affari esteri, al quale potranno prendere parte i soli impiegati civili delle Amministrazioni statali, escludendosi con ciò gli ufficiali delle forze armate. Tale esclusione non solo costituisce una grave offesa al personale militare, ma è altresì una violazione della disposizione dell’articolo 10 del succitato decreto legislativo.

«L’emanazione di provvedimenti atti a riparare a questo ingiusto trattamento risponde a criteri di equità e di pubblico interesse, specialmente se si considera che gli ufficiali inferiori ed i sottufficiali sfollati, che non abbiano dodici anni di servizio effettivo, non usufruiscono della discreta sistemazione economica offerta dalla posizione di ausiliaria, mentre d’altra parte, in moltissimi casi, essi hanno i necessari titoli di studio per essere utilizzati in altre Amministrazioni statali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere quando si intenda ricostituire la comunicazione telegrafica Messina-Malta, interrotta a causa di eventi bellici, tanto più che all’atto nessuna ragione tecnica si oppone a tale ricostituzione.

«È utile ricordare che la comunicazione telegrafica Messina-Malta è stata istituita circa un sessantennio fa ed ha reso segnalati servizi che hanno riscosso la fiducia ed il plauso dei due Paesi interessati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fiore».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della marina mercantile e di grazia e giustizia, per conoscere se intendano:

  1. a) modificare la legislazione sulla pesca, dato il nuovo clima economico e sociale;
  2. b) richiamare in una circolare la attenzione della Magistratura, sulla necessità di definire sollecitamente i procedimenti di pesca di frodo;
  3. c) dare istruzioni alla polizia, alla guardia di finanza ed alle capitanerie di porto per una rigorosa sorveglianza sulle acque;
  4. d) provvedere le capitanerie dei mezzi idonei per poter operare la sorveglianza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se intenda disporre lo scioglimento del Consiglio comunale di Poggiomarino (Napoli), dato che la frazione Flocco, di circa 3000 abitanti, aggregata da oltre un anno a quel comune, non partecipò ad alcuna votazione per le elezioni amministrative. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se, in considerazione della incapacità economica dei danneggiati dall’eruzione vesuviana del marzo 1944, ad anticipare la spesa della ricostruzione o comunque a concorrere per la metà, voglia dare disposizioni di applicazione del decreto legislativo 14 gennaio 1947, n. 44, per cui la ricostruzione sia limitata solo alla metà dei beni distrutti, ma a totale carico dello Stato, o se comunque voglia modificare la legge in modo che, pur rimanendo l’attuale impegno dello Stato i danneggiati possano aver ricostruita almeno una parte degli immobili distrutti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 22.

ANTIMERIDIANA DI SABATO 31 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXXIV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 31 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Marinaro

Per la morte di Gandhi:

Binni

Presidente

Risposte scritte ad interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Deliberazioni in merito all’emblema della Repubblica italiana:

Presidente

Medi

Di Fausto

Cremaschi Carlo

Corsini

Marchesi

Spallicci

Perassi

Bettiol

Laconi

Conti, Relatore

Lucifero

Disegno di legge costituzionale (Discussione):

Testo coordinato dello statuto speciale per la Sicilia (65).

Presidente

Cevolotto, Relatore

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Ambrosini

Finocchiaro Aprile

Li Causi

Bellavista

Gullo Rocco

Covelli

La seduta comincia allo 9.30.

MEDI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

MARINARO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Signor Presidente, il periodo conclusivo della relazione Ciampitti sulla proposta di concessione dell’autorizzazione a procedere contro l’onorevole Giannini, ha dato luogo ad errate interpretazioni e soprattutto ad una certa speculazione di stampa.

Il periodo conclusivo è quello che dice: «Per tali motivi la Commissione all’unanimità esprime il parere, ecc.».

Ora, io tengo a sottolineare che la Commissione, nella seduta del 27 gennaio, era costituita soltanto da sei membri e che io ero assente. Se fossi stato presente, mi sarei opposto alla proposta di concessione dell’autorizzazione a procedere, dissentendo per ragioni giuridiche e per considerazioni politiche dal pensiero espresso dai presenti, che non rappresentavano maggioranza – sei su quindici – della Commissione, ed avrei fatto una regolare relazione di minoranza.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Per la morte di Gandhi.

BINNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BINNI. Credo di interpretare l’animo concorde di tutti i deputati italiani e di tutti quegli italiani che si sentono, nel senso più ampio e pieno della parola, veramente cittadini del mondo, ricordando qui tra noi quell’altissima vita che ieri una mano folle o prezzolata ha voluto delittuosamente troncare; ricordando che se, in India, turbe infinite di uomini e donne piangono ancora oggi la scomparsa del loro capo spirituale, anche in altre parti del mondo, anche nell’Europa occidentale, altri uomini hanno provato ieri, all’annuncio di quel triste avvenimento come un improvviso crollo, un’improvvisa, un’infinita tristezza. Un’immensa tristezza, e vorrei dire in queste brevissime parole, anche quasi un senso di infinito orgoglio: l’orgoglio che si prova noi uomini quando, nella nostra condizione umana, fra lotte e vergogne infinite, sentiamo delle voci pure ed altissime elevarsi, vediamo atti di sacrificio e di abnegazione; perché io credo veramente che, se la cosa più difficile per un uomo è l’accordo tra un’azione rinnovatrice ed efficace e il rispetto assoluto per ogni vita umana, questo accordo è stato veramente raggiunto dal Mahatma Gandhi. Egli ci ha dato l’esempio che vale meglio convincere che vincere; egli ci ha dato l’esempio che è cosa più alta essere martire che assassino.

Quando noi vediamo ciò che accade nel nostro mondo sconvolto, quando sentiamo ancora le vecchie apologie dei risultati della forza, dei successi della forza, ebbene, noi, di fronte a quest’uomo, così modesto che addirittura era diventato, per certi cinismi occidentali, quasi una figura grottesca, noi sentiamo invece che il valore più alto che l’umanità può raggiungere non sono tanto gli imperi sanguinosi e fastosi, non sono le grandi costruzioni, spesso edificate sulle lacrime e sul sangue, ma invece il gesto più intimo e più solitario, più assoluto, il gesto di un’eroica e sublime bontà, di cui egli, veramente «grande anima», ci ha voluto dare l’esempio. (Applausi).

PRESIDENTE. Credo che l’onorevole Binni abbia interpretato il pensiero e – più che il pensiero – il sentimento di tutta l’Assemblea, pronunciando le parole a ricordo di Gandhi e ad esecrazione dell’orribile tragedia, nella quale è stata spenta una vita che era preziosa non soltanto per il popolo indiano nel suo complesso, ma per tutti i popoli del mondo.

Gandhi ha impersonato, mi pare, essenzialmente la volontà ferma è tenace di liberazione del suo popolo, o anzi, di tutti i popoli che parevano, per una condanna secolare, destinati ad eterna oppressione e schiavitù; ed ha saputo portare per vie nuove alle prime tappe della liberazione non solo il suo popolo, ma, coll’esempio di questo, tutti gli altri popoli che giacevano nella stessa triste e deprecata condizione di vita.

Nello stesso tempo però egli ha saputo impersonare quell’aspirazione irresistibile alla fraternità umana, che nel popolo indiano pareva, per un’antica tradizione di rapporti sociali e per la sempre rinnovata politica coi suoi dominatori, destinata a non mai realizzarsi; e con ciò egli ha gettato ponti non più distruggibili fra parte e parte del suo popolo, facendo sì che esso si presentasse compatto e omogeneo di fronte ai padroni che lo opprimevano.

Ma vorrei aggiungere che, se questi sono stati i grandi meriti di Gandhi nei confronti delle virtù civili, egli ha lasciato in più al mondo un insuperato insegnamento morale: che non può comprendere la sofferenza degli altri chi non soffra egli stesso. Questo il significato maggiore di quei digiuni ricorrenti, che ai facili spiriti potevano apparire oggetto di derisione. Lo ripeto: Gandhi ha voluto con essi ammonire che senza soffrire non si può comprendere la sofferenza; ed egli imponeva a se stesso fisicamente e moralmente un patimento, per porsi sul piano stesso di coloro che egli voleva difendere e salvare dal dolore. È questo il luminoso messaggio che egli ha lasciato a tutti i popoli della terra: «vane e senza significato sono le parole di solidarietà con la sofferenza, di coloro che non conoscono il soffrire. Per capire la sofferenza e confortarla bisogna avere sofferto!».

E proprio perché noi italiani abbiamo come popolo tanto sofferto e ancora tanto soffriamo, che comprendiamo il dolore vivo e profondo che oggi ha colpito il popolo indiano! (Vilissimi, generali applausi).

Risposte scritte a interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che sono state trasmesse dai Ministri interessati risposte scritte ad interrogazioni. Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.

Deliberazione in merito all’emblema della Repubblica Italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Deliberazione in merito all’emblema della Repubblica italiana.

E stata distribuita, sia pure in questo ultimo breve margine di tempo, la riproduzione dell’emblema che la Commissione, nominata dalla Presidenza su incarico dell’Assemblea, ha ritenuto fosse da prescegliere fra i molti che sono stati inviati da artisti italiani, in seguito all’appello che era stato a questo scopo lanciato.

Vi è una breve relazione scritta dell’onorevole Conti ed è quindi inutile – mi pare – aggiungere parole. Si tratta di prendere una decisione e chiedo all’Assemblea di volersi esprimere in proposito.

MEDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MEDI. Dalla considerazione sulla figura che ci è stata presentata – come opinione personale – io non ritengo che si debbano adottare uno schema e un disegno di questo tipo, sia per ragioni estetiche, data la sua complessità, sia anche per ragioni simboliche, dato che questa ruota non si comprende bene quale significato possa avere, malgrado la spiegazione della didascalia annessa.

Quindi, senza fare lunghi discorsi e come opinione personale credo di non ritenere accettabile, come emblema della Repubblica, questo che ci è stato proposto.

DI FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI FAUSTO. La prima Commissione (della quale feci parte) per l’esame dei progetti di emblema della Repubblica espresse ampie riserve sul risultato.

Devo mantenere queste riserve sul risultato di questo secondo esame.

Io ritengo che un emblema della Repubblica italiana non possa non essere cosa di alto significato sintetico e di altissimo gusto.

Proporrei, quindi, all’Assemblea di rinviare la decisione alla futura Assemblea, che avrà maggior tempo per risolvere la questione.

CREMASCHI CARLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CREMASCHI CARLO. Mi associo alla proposta dell’onorevole Di Fausto, anche perché avevo espresso giudizio completamente negativo sugli altri emblemi che ci erano stati posti in visione.

Non mi pare che vi sia la sinteticità necessaria per dare il simbolo dell’Italia, in questo emblema.

Si rimandi ancora, e speriamo che gli artisti italiani trovino la possibilità di darci un simbolo che sintetizzi ed esprima l’idea di rinascita del popolo italiano.

CORSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORSINI. Anch’io concordo pienamente con quanto hanno detto gli altri oratori.

Mi pare che questo simbolo che ci viene offerto sia una cosa comune, misera, come se ne son viste centinaia e centinaia in tutti i paesi e in tutti i villaggi.

Credo che il simbolo dell’Italia debba essere qualche cosa di più completo e di più originale.

MARCHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCHESI. Mi associo anch’io pienamente alle parole dell’onorevole Di Fausto e degli altri colleghi.

Ritengo che il nuovo emblema della nuova Italia non debba essere così copiosamente ghiandifero (Si ride) come quello che ci è stato presentato. È vero che in Italia ce ne sono, ma non è necessario che le ghiande abbondino qui.

Mi associo, quindi, pienamente alla proposta dell’onorevole Di Fausto e spero che si riesca a trovare un emblema veramente degno eli questa nuova Italia.

SPALLICCI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SPALLICCI. Penso anche io che sia molto difficile ridurre in un emblema così schematico tutto lo spirito della nostra Costituzione, e penso che una Commissione debba indubbiamente esaminare nuovamente il progetto. D’altra parte, una Nazione di artisti come è la nostra, dovrebbe avere un simbolo che potesse ispirarsi alla natura e all’arte italiana.

Ora, dal momento che la casa Medici, per esempio, ebbe il fiore del giglio, i Malatesta di Rimini ebbero una rosa, perché gli artisti italiani non potrebbero pensare a stilizzare un fiore?

Questo lo dico come spunto da prendere in esame da parte della Commissione.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Io non posso che associarmi alle malinconiche considerazioni che sono state svolte la diversi colleghi sulla scarsa fantasia degli artisti italiani che hanno presentato dei bozzetti. Ma vorrei soprattutto aggiungere un’osservazione. Questo emblema, quale che possa essere in definitiva, ritengo che sia da considerarsi destinato soltanto a formare il sigillo dello Stato, e non un emblema da mettersi sulla bandiera, nel bianco del tricolore. La Costituzione ha stabilito che la bandiera della Repubblica è il tricolore italiano e con questa espressione ha voluto intendere quel tricolore italiano che ebbe origine nel 1797. Gradirei che si avessero chiarimenti ed assicurazioni in tal senso.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Io penso che il problema dello stemma della Repubblica non sia un puro e semplice problema di natura artistica, da rimettersi alla fantasia bizzarra degli artisti, i quali di politica non capiscono quasi niente. È una scelta di carattere politico e quindi dev’essere rimessa all’Assemblea Costituente, la quale dovrebbe cercare quel minimo comun denominatore di carattere politico che oggi unisce tutti gli italiani nella fede democratica e repubblicana. Scelto il criterio da parte dell’Assemblea Costituente, allora possiamo rimetterci all’accesa fantasia degli artisti, altrimenti, fra qualche mese, ci ritroveremo ah punto di partenza, senza stemma e senza nessuna possibilità di scegliere fra bozzetti sodisfacenti.

PRESIDENTE. Mi pare che il problema si faccia più complicato, man mano che se ne ritarda la soluzione.

Desidero soltanto far presente che il 2 giugno è lontano ed è veramente assai strano e dal punto di vista morale e dal punto di vista delle esigenze pratiche, che un popolo non sia riuscito, nel corso di oltre un anno e mezzo, ad esprimere da sé qualche simbolo della sua nuova volontà, della sua nuova vita nazionale. E tuttavia questa è la realtà di fatto. È evidente che gli artisti o le fantasie del nostro popolo non attendono segno o richiamo per creare qualche cosa, se in essi c’è qualche cosa che si svolge. E nel corso di questi diciotto mesi molte volte è avvenuto di ricevere ed esaminare progetti per questo emblema, tutti però senza valore. Sta però di fatto che, quando l’appello è stato lanciato ufficialmente, qualcosa che abbia sodisfatto non è mai giunto. Voglio porre all’Assemblea questo interrogativo: riteniamo che si possa trovare, ad un certo momento, un simbolo sul quale tutte le scelte concordino? Sappiamo per esperienza, non solo personale, ma di carattere collettivo, che ogni raffigurazione artistica incontra sempre e plausi e critiche. Se riteniamo che possa divenire emblema della Repubblica soltanto quell’opera che raccolga il cento per cento dei voti, la nostra Repubblica non avrà mai un emblema.

Non è una cosa tragica: l’importante è che vi sia la Repubblica. Ma è anche necessario che la Repubblica abbia un proprio simbolo rappresentativo. Avviene ogni giorno che noi, leggendo corrispondenze ufficiali, siamo colpiti dal fatto che ancora si adoperino vecchi timbri e vecchi emblemi. Evidentemente bisognerebbe continuare a fare così, se non si prende oggi una decisione.

Questa è la ragione per cui ritengo di poter dire che, malgrado la validità delle argomentazioni portate, tutti dimenticano la cosa essenziale: che a un certo momento bisogna concludere, e che fra sei mesi potremo trovarci – in attesa di decidere sulla base di un consenso unanime – allo stesso punto di oggi. Si alzerà sempre da qualche banco qualche collega, che abbia o non abbia senso artistico, e proporrà un nuovo rinvio e un nuovo concorso.

Per questo mi pare che dobbiamo porre un po’ il freno alle nostre ambizioni del bello. Credo che qualunque emblema, quando ci saremo abituati a vederlo riprodotto, finirà con l’apparirci caro; e questa è la cosa essenziale. D’altra parte, sono state fatte delle proposte di rinvio. Stiamo seguendo una procedura di occasione. Non è un disegno di legge che abbiamo dinanzi a noi. Si tratta, in questo momento, di prendere una decisione che non richiama per nulla le norme regolamentari. Si tratta di dire un sì o un no; e se il sì sarà in maggioranza, con rammarico per coloro – ed anche per me – che avrebbero desiderato qualcosa di più estetico, questo sarà l’emblema della Repubblica. Se si dice no, i nostri successori o il Governo penseranno al da farsi.

Perciò non porrò ai voti la proposta di rinvio, ma l’accettazione di questo bozzetto.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei sapere se la votazione ci vincola al tema generale o a questo particolare disegno.

Il torto del Governo, che credo responsabile…

PRESIDENTE. In questo caso non è responsabile.

LACONI. Chiunque sia, il torto del responsabile di questa iniziativa è di avere affidato l’esecuzione di questo disegno ad un professore di ornato.

PRESIDENTE. Non è stato affidato. Sia almeno al corrente dei nostri ultimissimi lavori. Dieci giorni fa, forse in sua assenza, si è presa la decisione di lanciare un appello a tutti, artisti o non artisti. E lei, che è ascoltatore della radio, oltre che «fine dicitore», dovrebbe aver sentito appunto trasmettere questo appello. I risultati sono stati: 197 disegni affluiti all’Assemblea Costituente. La Commissione, nominata per la scelta, ha prescelto questo.

LACONI. Ho sbagliato nella forma, ma non nella sostanza. Non critico la scelta della Commissione per il simbolo che è stato scelto, né per la composizione generale del disegno. La ruota, la quercia e l’ulivo, sono tutti simboli che possono inquadrarsi sullo stemma della Repubblica. Ma questo disegno è stato fatto da un tipico professore di ornato (Commenti), con criteri professionali, senza impronta artistica.

Penso che dovremo votare sulla struttura generale del disegno, salvo a perfezionarlo nei particolari, in modo che ne risulti qualcosa di migliore.

PRESIDENTE. Sarebbe opportuno essere al corrente anche delle piccole cose.

La Commissione, nominata dall’Assemblea, e della quale, quindi, volente o nolente, è responsabile anche lei, onorevole Laconi, ha, su proposta dell’onorevole Maffi, dato il tema del disegno. Questo disegno, perciò, è svolto intorno al tema suggerito dall’onorevole Maffi ed accettato dalla Commissione. Pertanto, la cosa è ben definita.

CONTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI, Relatore. Mi pare che diamo uno di quegli spettacoli che siamo soliti dare (Commenti), cioè, facciamo molti discorsi anche su cose che non hanno nessuna importanza. Questo interessamento ai simboli, alle cifre, alla esaltazione di un segno qualsiasi, dovrebbe finire nel nostro Paese.

Siamo in un Paese di retori; questa è la verità dolorosissima.

Io non so che farmene dei simboli; a me interessa la Repubblica; il simbolo sia quello che sia (Commenti a sinistra): qualunque cosa.

Ha detto molto bene il nostro Presidente: si possono bandire mille concorsi; all’esito di ogni concorso ci saranno sempre diverse opinioni, perché ognuno ha il suo gusto, la sua preferenza. Anche poco fa il collega Medi ha fatto pervenire un suo disegno che, evidentemente, risponde al suo sentimento: egli propone di adottare come simbolo la croce.

I comunisti, naturalmente, vorrebbero la falce ed il martello; i socialisti vi aggiungerebbero il libro; il mio Gruppo vorrebbe l’edera; io personalmente proprio niente.

I monarchici hanno avuto il coraggio civile di proporre che si lasci il vecchio simbolo. L’onorevole Condorelli ha detto che quello è storico e bisogna tenerselo. Noi abbiamo risposto, con tutta la cortesia possibile, che lo rifiutavamo.

Insomma, io dico: decidiamo, non perdiamo tempo intorno a queste cose, proprio all’ultimo giorno. Diamo la sensazione che ci preoccupiamo di cose essenziali, non dei simboli!

Propongo, pertanto, che si respinga la proposta di rinvio e che si passi ai voti.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi associo, in linea di massima, a quello che ha detto l’onorevole Conti.

Un simbolo deve avere non solo un suo significato, ma anche una nota estetica, principalmente nel nostro Paese, che ha una tradizione artistica.

Il disegno in esame non ha questa nota estetica; non mi pare che risponda a quello che deve essere il simbolo della Repubblica.

Ritengo che la proposta più semplice sia quella di lasciare la bandiera del Risorgimento, coi tre colori, senza nessun simbolo, perché il simbolo della Patria è nel cuore di tutti noi e non ha bisogno di essere espresso diversamente. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Mi permetto di riassumere i precedenti. Non è qui questione di bandiera; la bandiera è stabilita dalla Costituzione, non c’è più nulla da dire. Vi è l’articolo 12, il quale dice: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni».

LUCIFERO. Io non alludevo alla bandiera, ma al sigillo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, in data 19 giugno 1946, con solerzia lodevole, il Governo provvedeva ad emanare un decreto che dice all’articolo 7: «Il Presidente del Consiglio dei Ministri nominerà una Commissione incaricata di studiare il modello del nuovo emblema dello Stato». Più oltre il decreto dice: «fino a quando l’Assemblea Costituente non avrà approvato il nuovo emblema e gli uffici non siano provvisti dei sigilli formati in base all’emblema stesso, sono usati i sigilli attualmente esistenti». Ecco perché – mi perdonino i colleghi monarchici – noi siamo obbligati ancora a vedere i sigilli che portano lo stemma monarchico, in quanto finora non abbiamo dato esecuzione a questa norma che si riferisce, non alla bandiera, ma ai sigilli. E mi permettano ancora i colleghi monarchici, i quali parlano di estetica e di arte: era veramente poi, da un punto di vista artistico, una di quelle bellezze trascendentali cui essi ci richiamano sempre quando dobbiamo trattare questi argomenti, il sigillo dello Stato usato fino al 2 giugno? Io non contesto il valore storico della croce sabauda, del panneggio di ermellino e delle altre cose che lo componevano. Ma era veramente quello stemma un’opera d’arte? Era il sigillo dello Stato, tutti ci eravamo abituati a vederlo e non lo discutevamo più.

Onorevole Laconi, quando lei riceverà un foglio bollato, con sovraimpresso questo sigillo, lei si preoccuperà del contenuto della carta bollata, non certo del disegno che vi è stampato. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, pongo ai voti l’accettazione di questo sigillo, secondo la relazione presentata dalla Commissione, che l’Assemblea Costituente ha pochi giorni fa eletto attraverso la delega data al Presidente.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia. (65).

PRESIDENTE. Il secondo punto dell’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello statuto speciale per la Sicilia. (65).

L’onorevole Cevolotto, Relatore, ha facoltà di parlare.

CEVOLOTTO, Relatore. Onorevoli colleghi! La questione della statuto siciliano è più semplice e al tempo stesso più complicata di quella degli altri statuti delle Regioni speciali. Più semplice e al tempo stesso più complicata perché non dobbiamo mai perdere di vista questo punto fondamentale: che la Sicilia ha già uno statuto speciale che è in vigore e che quindi costituisce un punto fermo che, dal punto di vista giuridico e dal lato politico, non si può in nessun caso trascurare.

Il decreto legislativo del 15 maggio 1946, che approvò lo statuto della Regione siciliana, dice all’articolo unico: «Lo statuto predetto sarà sottoposto all’Assemblea Costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato». Se la Costituzione avesse riportato questa formula o se avesse comunque ad essa fatto riferimento, noi oggi ci troveremmo di fronte ad un problema limitato, cioè soltanto al problema del coordinamento dello statuto vigente con la Costituzione dello Stato.

Senonché, l’articolo 116 della Costituzione dice qualcosa di diverso: «Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali». Quindi, anche per la Sicilia, l’Assemblea Costituente deve adottare uno statuto speciale. Adottare uno statuto speciale vuol dire, evidentemente prendere in esame e quindi anche, se si crede, formare in un modo nuovo questo statuto.

Però, ripeto, la Commissione che doveva provvedere a preparare lo Statuto per la Regione siciliana, si è trovata di fronte al dato di fatto che vi è già uno statuto in vigore. Sebbene non fosse, secondo il parere della maggioranza della Commissione, dubbio che l’articolo 116 doveva unicamente essere preso in considerazione, in quanto il decreto legislativo del 15 maggio 1946 non aveva ormai che un valore indicativo, ma non vincolante per l’Assemblea Costituente, sebbene questo fosse secondo il parere della Commissione, evidente, pur tuttavia essa non poteva prescindere dalla situazione di fatto.

Vi è una parte della Commissione che non è stata di questo parere e che invece ha ritenuto che, malgrado l’articolo 116 della Costituzione, non si potesse e non si dovesse fare altro che coordinare il testo dell’attuale statuto della Regione siciliana con le norme della Costituzione. Devo dire però che anche i membri della Commissione che erano di questo parere, e specialmente l’amico e collega Ambrosini, hanno cercato in tutti i modi, con uno sforzo di comprensione e di adattamento del quale non si può non tener conto, di avvicinare il più possibile la loro idea a quella della maggioranza. E di questo sforzo e di questa comprensione si deve dare atto.

D’altra parte la Commissione di fronte alla situazione di fatto, ha dovuto considerare questi punti: lo statuto della Regione siciliana del 15 maggio 1946 è stato dalla Consulta approvato, o quanto meno la Consulta ha dato parere favorevole senza nessuna eccezione; il Governo del tempo lo ha adottato; questo statuto è in vigore dal 1946, e non vi è dubbio che l’entrata in vigore di esso ha eliminato una serie di malintesi che si erano venuti sempre più acuendo tra la Sicilia e lo Stato, del quale la Sicilia fa parte e vuole far parte.

Una distensione su molti punti si è avuta in conseguenza dell’entrata in vigore dello statuto del 1946, che ha portato indubbiamente dei benefìci. Trascurare questa realtà politica, sarebbe stato indubbiamente un errore.

D’altra parte noi abbiamo ritenuto nostro dovere (dal momento che vi è uno statuto in vigore, ed in base a questo statuto è stato nominato un Consiglio regionale che funziona, e vi è un governo regionale in azione) di sentire la Commissione di questo Consiglio regionale per procedere d’accordo. Perché, lo statuto del 1916 non è stata certo un’arma, né per la Sicilia, per separarsi dalla madrepatria, né per lo Stato, per accentuare divisioni impossibili con l’Isola.

È stato un elemento di concordia e di coesione. Lo statuto che si adotterà come statuto speciale deve essere anch’esso uno strumento di concordia e di coesione e non deve essere diretto a creare nuovi dissensi o a favorirli; e qualunque sforzo si faccia in questo senso sarà uno sforzo benemerito.

Di qui la necessità di agire sempre in relazione con il Consiglio regionale siciliano e con i suoi esponenti; e dobbiamo dire che nelle lunghe conversazioni che abbiamo avuto coi rappresentanti del Consiglio regionale siciliano abbiamo notato un intento di cordialità e di avvicinamento, che abbiamo constatato più volte con viva soddisfazione. Del resto è cosa naturale: siamo tutti italiani e vogliamo tutti essere italiani.

Noi cerchiamo, nel formare lo statuto speciale, di fare il bene della Sicilia: in Sicilia, se domandano qualche cosa, lo fanno per il bene non soltanto della Sicilia, ma anche dell’Italia. Era logico che, pure negli inevitabili dissensi, si procedesse con la massima cordialità e comprensione. Però la delegazione siciliana, anche per il mandato che aveva avuto, è rimasta in sostanza ferma sul suo principio: per essa lo statuto della Regione siciliana del 1946 è un fatto; questo statuto si potrà adeguare in alcuni punti alla Costituzione, si potrà coordinare; ma nel complesso deve rimaner fermo. Anche per ragioni di forma, nella deliberazione che la Costituente deve prendere si deve procedere, non nel senso di formare uno statuto nuovo, e nemmeno nel senso – secondo la delegazione siciliana – di adottare quello del 1946; ma nel senso di dare semplicemente vigore di legge costituzionale allo statuto vigente.

Su questo punto la Commissione, anche per l’interpretazione che ha dato all’articolo 116, non è stata precisamente dello stesso avviso. Ha pensato che, per rimanere nei termini dell’articolo 116, sia necessario adottare uno statuto che può anche essere, con le inevitabili e necessarie modificazioni, lo statuto del 1946; ma che non sia possibile dare semplicemente valore di legge costituzionale a quello statuto.

In altre parole la Commissione ha ritenuto che sia necessario che la Costituente sancisca un proprio statuto speciale, magari dando il crisma di quella che nella formula dell’articolo 116 è indicata come «adozione» dello statuto vigente, cioè facendolo proprio in tutto e nelle sue varie parti.

Però la Commissione, rendendosi conto della necessità di mantenere non soltanto sostanzialmente (perché nessuno vuole toccarla dal punto di vista sostanziale) ma formalmente e nell’apparenza, l’autonomia che si è già concessa all’Isola, anche per la considerazione che si deve evitare che apparenze, che non sono realtà, si prestino a speculazioni di vario genere, ha creduto di proporre (non perché questo derivasse da un obbligo di legge, ma proprio per una considerazione politica) come proprio metodo, come metodo che essa intendeva liberamente scegliere, quello del semplice coordinamento dello statuto vigente con la Costituzione.

Quindi, noi ci siamo limitati al coordinamento non, ripeto, perché secondo noi questo fosse necessario per legge, ma perché l’abbiamo ritenuto politicamente opportuno e conveniente.

Ecco perché, come dicevo in principio, se questo metodo è approvato dalla Costituente, il problema dello statuto siciliano si restringe, si limita. Il che è opportuno anche per considerazioni di tempo che non possono sfuggire ad alcuno.

Posta in questi termini la questione, noi però, nel coordinare lo statuto alla Costituzione, abbiamo anche voluto cercare (perché anche questo è coordinamento, anche questo è ciò che si fa quando si coordinano ad esempio testi successivi di leggi in un testo unico) di sistemare lo statuto siciliano avvicinandone per quanto possibile l’ordine – senza alterarne la sostanza e la forma – agli altri statuti che la Costituente ha già votato.

In quest’opera di riordinamento oltre che di coordinamento abbiamo potuto anche venire incontro (come proposta, perché l’Assemblea deciderà) al desiderio della rappresentanza siciliana, che fossero aggiunte alcune norme che avevano avuto posto negli altri statuti, nello statuto sardo, nello statuto dell’Alto Adige, nello statuto della Valle d’Aosta, e che non erano comprese nel testo originario dello statuto siciliano. Noi crediamo che così facendo non si esca dall’ambito del coordinamento, perché, anche se strettamente e formalmente non è coordinamento con la Costituzione, in sostanza lo è, in quanto queste norme dipendono sempre da principî della Costituzione e il coordinamento con gli altri testi, con le altre leggi costituzionali che contengono gli statuti speciali, è in fondo un coordinamento di tutta la materia; e rientra quindi in quel coordinamento che noi stessi abbiamo posto come limite alla nostra opera.

Abbiamo limitato il nostro esame a quei punti nei quali è sembrato che lo statuto siciliano del 1946 fosse in netto contrasto con i principî della Costituzione, non, quindi, con singole norme della Costituzione di carattere non essenziale. La Costituzione nostra ha molte norme che non hanno carattere essenziale; alcune sono persino norme quasi regolamentari. Ora, quando si dice che alla Regione siciliana si dà uno Statuto speciale con «particolari forme di autonomia», è evidente che si può prescindere da tutte quelle che nella Costituzione non sono norme fondamentali. Non vi è nessun motivo fondato per ritenere necessario di coordinare lo statuto siciliano con quelle norme che non hanno carattere essenziale.

In questo senso abbiamo ravvisato i punti, dirò così, di frizione, i punti di contrasto fra lo statuto siciliano del 1946 e la Costituzione, in quattro sole questioni. Il resto non è che coordinamento formale o modificazione qualche volta di parola o di forma, che non ha importanza. Quattro sono stati i punti nei quali abbiamo individuata la necessità di adeguare lo statuto siciliano alla Costituzione. Non è che già non siano risultate dalle nostre indagini altre materie nelle quali si potrebbe discutere di coordinamento anche costituzionale, ma abbiamo ritenuto che queste fossero meno essenziali. E quindi abbiamo ritenuto, almeno per quanto ci riguarda – l’Assemblea, naturalmente, farà sempre quello che crede – che non fosse il caso di insistervi.

Così, per esempio – non so se rientri o non rientri nella questione costituzionale (lo vedrà l’Assemblea) – noi abbiamo lasciato immutati alla lettera tutti gli articoli che si riferiscono alla finanza della Regione. Qui parecchi di noi hanno avuto dei dubbi, delle perplessità non indifferenti; ma da un lato non è sembrato alla maggioranza della Commissione che questa fosse una questione di coordinamento costituzionale, dall’altro – confessiamolo – ci siamo trovati di fronte ad una ristrettezza di tempo che non consentiva un accurato esame di così difficile materia. L’esame dell’arduo problema della finanza regionale avrebbe reso necessari un approfondimento e presso i Ministeri competenti e presso il Governo dell’Isola di dati di fatto che noi non avevamo; avrebbe reso necessario di domandare almeno quindici o venti giorni di tempo per poter giungere a conclusioni sicure. L’abbiamo perciò sorvolato.

I punti che ho chiamato di frizione sono dunque quattro. Il primo è questo. L’articolo 14 – ora ha un’altra numerazione – dello statuto siciliano vigente dice:

«L’Assemblea nell’ambito della Regione e nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano, ha legislazione esclusiva sulle seguenti materie». E segue un’elencazione delle materie. Confini di questa legislazione esclusiva: «nell’ambito della Regione e nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato». Noi abbiamo ritenuto necessario che questi limiti fossero meglio precisati, e abbiamo proposto di aggiungere: «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato e dei principî dell’ordinamento giuridico».

Noi crediamo che non tutti i principî dell’ordinamento giuridico derivino esclusivamente dalla Costituzione e siano compresi nella Costituzione.

Abbiamo ritenuto d’altra parte che una legislazione esclusiva non possa andare oltre quei principî dell’ordinamento giuridico che sono comuni a tutto lo Stato.

Abbiamo pensato che, non soltanto per una ragione di sostanza, ma – arrivo a dire – anche per una ragione ideale, si debba affermare che la legislazione siciliana è una parte dell’ordinamento giuridico dello Stato, non prescinde da quella che è nei suoi lineamenti essenziali, la legislazione di tutta la Nazione. Si deve riconoscere, insomma, che anche in questo la Sicilia è parte dell’Italia.

Riteniamo che la mancata indicazione del limite dei principî dell’ordinamento giuridico sarebbe un errore. Da parte della delegazione siciliana su questo punto non vi è stato il consenso.

Abbiamo poi aggiunto anche il rispetto degli impegni internazionali che lo Stato avesse assunto, perché è evidente (e su questo non vi è eccezione) che se domani lo Stato assume un obbligo internazionale, l’obbligo in materia di legislazione del lavoro di includere determinate norme nella sua legislazione particolare, quest’obbligo dev’essere rispettato anche dalla Sicilia. E su questo non vi è stato e non vi può essere contrasto.

Secondo punto di diversità.

L’articolo 21 dello statuto siciliano dice: «Il presidente e capo del governo regionale rappresenta la Regione»; l’ultimo comma aggiunge: «Col rango di Ministro partecipa al Consiglio dei Ministri con voto deliberativo nelle materie che interessano la Regione».

Lasciamo da parte la questione del rango di Ministro, che non ha importanza. La Delegazione siciliana spiega, con criterio logico, che la formula è stata adottata per dare un determinato rango al presidente della Regione, perché fosse chiaro quale era il suo posto rispetto alle altre autorità dell’Isola e rispetto alle autorità dello Stato. Non è quindi una questione di precedenza. E su questo non c’è niente da dire. Sono questioni senza importanza costituzionale.

Ma ha importanza la questione della partecipazione al Consiglio dei Ministri con voto deliberativo, perché qui, sì, noi abbiamo rilevato un contrasto con la Costituzione.

I Ministri non possono essere nominati – neanche uno – da un Consiglio regionale. I Ministri sono scelti come la Costituzione stabilisce; e non vi può essere voto deliberativo da parte di uno che non sia Ministro scelto in quel determinato modo, perché così si creerebbe per la Sicilia un Consiglio dei Ministri diverso dal Consiglio dei Ministri che governa e deve governare tutto lo Stato.

D’altra parte vi è poi una eccezione giuridica assoluta: i Ministri rispondono davanti al Parlamento. Vi sarebbe un Ministro che non risponde davanti al Parlamento, ma davanti a un Consiglio regionale. È evidente che non è possibile ammettere una simile disposizione, e quindi abbiamo proposto di modificarla.

Da parte della Delegazione siciliana vi è stata una evidente comprensione di questi argomenti. Ma vi è stata anche la preoccupazione ed il dubbio che la modificazione proposta sminuisse la figura che oggi ha il presidente della Regione. Quindi, sebbene io abbia avuto la sensazione che le nostre argomentazioni fossero capite e valutate da parte della Delegazione siciliana, non ho avuto su questo punto un esplicito consenso.

Terza questione, anche essa di una importanza notevole, è quella relativa all’articolo 31, relativo alla polizia.

Dice l’articolo 31 dello statuto del 1946: «Al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il presidente regionale a mezzo della polizia dello Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente per l’impiego e la utilizzazione dal Governo regionale. Il presidente della Regione può chiedere l’impiego delle forze armate dello Stato. Tuttavia il Governo potrà assumere la direzione dei servizi di pubblica sicurezza a richiesta del Governo regionale, congiuntamente al Presidente dell’Assemblea, ed in casi eccezionali, di propria iniziativa quando siano compromessi gli interessi generali dello Stato e la sua sicurezza. Il Presidente ha anche il diritto di proporre con richiesta motivata al Governo centrale la rimozione o il trasferimento fuori dell’Isola dei funzionari di polizia».

Noi abbiamo chiesto, e qui abbiamo avuto il consenso della rappresentanza regionale, una modificazione: «Il presidente della Regione, nella sua qualità di rappresentante del Governo, provvede alla tutela dell’ordine pubblico per mezzo della polizia dello Stato che da lui dipende per l’impiego. Può chiedere l’intervento delle Forze armate dello Stato».

La modificazione non è importante nella forma, ma è notevole nella sostanza. In altre parole, noi abbiamo voluto accentuare che il presidente della Regione, quando provvede alla tutela dell’ordine pubblico, provvede nella sua qualità di rappresentante del Governo, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Ultimo punto di discussione è stato quello relativo alla Corte costituzionale. Voi sapete che nello statuto siciliano nel 1946 è prevista un’Alta Corte costituzionale, che è stata già nominata e già funziona, la quale provvede e giudica sulla costituzionalità (articolo 25) delle leggi emanate dall’Assemblea regionale, delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato rispetto allo statuto e ai fini dell’efficacia dei medesimi nei confronti della Regione. Ci è sembrato, ed in questo abbiamo avuto anche la comprensione da parte della Delegazione siciliana, che quando si costituisce una Corte costituzionale dello Stato, così come è stata costituita con la nostra Costituzione, non abbia più ragion d’essere la Corte costituzionale particolare della Regione. Sarebbe semplicemente assurdo che coesistessero due Corti costituzionali, una per la Sicilia ed una per lo Stato, e sarebbe non meno assurdo che mentre funziona una Corte costituzionale dello Stato, la questione di costituzionalità, sia pure relativamente all’applicazione in Sicilia delle leggi dello Stato, fosse deferita alla Corte costituzionale siciliana, non alla Corte dello Stato. Anche per questo abbiamo avuto la comprensione della Delegazione siciliana.

Anche qui resta però un punto sul quale devo richiamare l’attenzione dell’Assemblea. La Corte costituzionale delle leggi approvate dall’Assemblea regionale, dovrà decidere delle leggi e degli atti aventi forza di legge emanati dallo Stato quando ledano la competenza della Regione, o quando si pretenda che ledano la competenza della Regione; e nei conflitti di attribuzione fra Stato e Regione e fra Regione ed altre Regioni. E questo noi abbiamo aggiunto, perché è fra le funzioni dell’Alta Corte dello Stato per i Ministri – ed è fra le funzioni della corte siciliana – anche il giudizio sui reati commessi dal presidente e dagli assessori regionali nell’esercizio delle loro funzioni su accusa dell’Assemblea regionale o del Commissario dello Stato.

Ipotesi che non si avvererà mai, ma che in una Carta costituzionale bisogna prospettare. Si è chiesto – e noi riteniamo che possa essere accordato – che per quel che riguarda questo ultimo punto, analogamente a ciò che è stabilito nella Costituzione per i giudizi penali relativi a ministri accusati, sia prevista nello statuto l’integrazione della Corte, con un numero di cinque o sei membri nominati dal Consiglio regionale all’inizio di ogni legislatura. La proposta è sembrata conforme all’ordinamento che noi abbiamo dato nella Costituzione a questa materia.

Però la Delegazione siciliana ha chiesto che, anche per quel che riguarda le altre materie, sia stabilita una analoga integrazione della Corte. In altri termini: quando la Corte costituzionale dovesse giudicare su questioni che riguardano la Sicilia, si vorrebbe che fosse integrata da un certo numero di assessori, di membri estranei, nominati dalla stessa Assemblea regionale. Il criterio da cui parte la Delegazione siciliana ha il suo peso. Essa dice: nella Corte costituzionale un terzo dei membri è nominato dal Parlamento. Per analogia, quando vengano trattate questioni siciliane, pare opportuno che vi sia qualche altro membro nominato dall’Assemblea regionale. La questione che si pone ha una sua logica, dalla quale non si può prescindere; ma alla maggioranza della Commissione è sembrato che vi sia un ostacolo assoluto, costituito dal fatto che i membri della Corte costituzionale sono nominati per dodici anni, con determinati criteri, che creano dei veri e propri magistrati, aventi continuità di funzione e responsabilità, ed anche una posizione particolare. Per esempio, se sono avvocati, devono abbandonare la professione; se sono giudici, vengono messi fuori organico. Hanno insomma una figura di magistrati stabili.

I pretesi assessori, nominati all’infuori di queste regole e senza queste condizioni, possono essere presi in considerazione per quanto riguarda i processi penali, perché diventano una specie di giudici popolari: ma non avrebbero la stessa giustificazione nella costituzione dell’Alta Corte per i giudizi di costituzionalità.

D’altra parte, sorgerebbe un altro problema: se pure in misura minore, anche le altre regioni speciali avrebbero diritto di chiedere qualcosa di simile. Allora si avrebbe una Corte costituzionale con composizione troppo variabile, a seconda delle circostanze.

Parve per questo alla Commissione di non potere aderire, almeno come suo parere, alla domanda della Delegazione siciliana.

Questi i punti di frizione. Come vedete, ci siamo molto avvicinati ed abbiamo cercato di eliminare i punti di contrasto.

Crediamo di avere ricondotto lo statuto siciliano nell’ambito della Costituzione, senza ledere comunque l’autonomia di cui la Sicilia gode.

La nostra coscienza ci dice di non aver fatto cosa, che possa ritenersi lesiva dell’autonomia siciliana; anzi abbiamo esteso alla Sicilia alcune norme più favorevoli già approvate per altri Statuti.

Credo che, così, come è stato proposto, lo statuto non possa dispiacere al popolo siciliano e che debba essere accettato.

Le modificazioni apportate mirano a creare l’accordo con lo Stato ed eliminano o correggono disposizioni che avrebbero potuto determinare il disaccordo o il contrasto con l’interesse generale dello Stato, senza nessun vantaggio per l’autonomia dell’Isola.

Come si presenta il problema della legge di approvazione di questo statuto?

Poiché noi proponiamo di adottare lo statuto siciliano vigente, col coordinamento necessario, non si prospetta più la necessità di approvare lo statuto articolo per articolo. Si presenta, invece, il problema della formula, con la quale si potrà adottare lo statuto. Rimanendo aderenti, anche nelle parole, all’articolo 116, abbiamo proposto un disegno di legge che, secondo noi, viene incontro anche al desiderio della Delegazione siciliana che sia una esplicita conferma ed un’accettazione, sia pure con modifiche, dello statuto ora vigente. La nostra formula è questa: «Il vigente statuto della Regione siciliana» (abbiamo detto «vigente» per dare conferma del vigore che attualmente ha lo statuto siciliano e della giuridicità della sua applicazione fino al momento in cui sarà sostituito da quest’altro statuto adeguato) «approvato con decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, è adottato con la presente legge costituzionale quale statuto speciale per la Sicilia, con le modificazioni che risultano dall’allegato, che costituisce il testo coordinato dello statuto stesso». Ci sembra che questa formula corrisponda esattamente all’articolo 116 della Costituzione. Quanto alle disposizioni e i punti particolari la Commissione è a disposizione della Assemblea Costituente per tutte le spiegazioni che occorreranno.

Come impostazione della questione, credo che non occorra aggiungere altro. Abbiamo incontrato da tutte le parti il più vivo desiderio di creare uno strumento di concordia e di coesione fra lo Stato e l’Isola, che sono la stessa cosa, che non sono e non possono essere nell’intenzione di nessuno separati. Abbiamo cercato di smussare tutti gli angoli e di venire incontro a tutte le preoccupazioni. Talvolta abbiamo rinunciato a qualche cosa che avremmo voluto chiedere, ma abbiamo compreso che se dall’altra parte ci si rispondeva di no, non era perché non si volesse cedere a proposte giustificate, ma era perché si temeva che una cattiva interpretazione, magari artificiosa, di certe situazioni, avrebbe nuociuto all’intento di concordia che tutti ci animava. Dovrei dire – per amore di franchezza – che questo non appare il momento più opportuno per trattare un argomento della portata di quello che ci occupa. Se la discussione dello statuto siciliano avesse potuto farsi – per esempio – dopo l’aprile di quest’anno, le cose si sarebbero svolte con più facilità. Ma nella situazione in cui ci troviamo dobbiamo tener conto anche del particolare momento nel quale noi agiamo. Ripeto, affidiamo alla Costituente questo nostro sforzo con la certezza di aver compiuto opera politicamente adeguata, anche dove giuridicamente potrebbe dar luogo a qualche riserva. Preghiamo la Costituente di tener conto della situazione politica: molte volte, anche le questioni giuridiche debbono essere considerate qui sotto l’aspetto politico e molte volte quelle che sarebbero le ragioni determinanti di una conclusione dal punto di vista giuridico, possono essere modificate dalle ragioni determinanti di un atteggiamento politico. Ci auguriamo che questo statuto sia una nuova ragione di unione, di coesione e di concordia fra la Sicilia e l’Italia. (Applausi).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo ha riconosciuto che lo statuto è sostanzialmente in vigore, procedendo alle elezioni: l’Assemblea a suo tempo ne ha preso atto, riservandosi di attuare più tardi, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali, il coordinamento.

In tale occasione fu espressa da molte parti specie da questo banco la fiducia che prima ancora che si riunisse l’Assemblea regionale, l’Assemblea Costituente avrebbe deliberato sulla forma di tale coordinamento o adozione, cioè sul carattere e sulla misura del suo intervento. Tale speranza non trovò compimento, anzi la procedura si protrasse così a lungo, che oggi all’Assemblea riesce difficile deliberare all’ultima ora. L’Assemblea tuttavia, accolse la proposta del Governo di nominare la Corte costituzionale. Nel frattempo il Governo ha fatto quanto poteva per applicare lo statuto, sia pure con la riserva delle deliberazioni dell’Assemblea, e la Amministrazione regionale, pur estremamente gelosa delle sue prerogative, ha dimostrato la volontà di procedere in buona armonia col Governo dello Stato.

Ma non è lecito nascondersi – e sarebbe irresponsabile il non farlo – che l’interpretazione delle disposizioni dello statuto e la loro pratica attuazione hanno incontrato numerose difficoltà e sollevate molte obiezioni.

Le obiezioni più difficili a superare sono venute dalla Amministrazione finanziaria. Si obietta che essendo la Regione siciliana, secondo la interpretazione della sua rappresentanza, completamente arbitra di stabilire il sistema tributario che preferisce (salvo i monopoli, le dogane e le imposte di produzione) ne possono nascere perturbamenti nell’economia italiana. Si pensi, ad esempio, alle disposizioni sulla nominatività dei titoli, alla diversa interpretazione di quanto lo statuto prevede per le dogane, alle norme valutarie dell’articolo 13, che, spinte alle loro estreme conseguenze, porterebbero a creare alla lira italiana un valore diverso in Sicilia e nel resto del Paese; una forte resistenza devesi superare anche per quanto riguarda la costituzione in Sicilia delle sezioni della Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti; e tutti ricordiamo specialmente l’unanime atteggiamento della Suprema Corte di cassazione. Tutto questo dimostra che per attuare completamente lo statuto secondo lo spirito autonomistico, ma anche politicamente unitario dei siciliani, occorre un nuovo sforzo di cooperazione fra la rappresentanza della Regione e lo Stato, rappresentato da quest’Assemblea e dal Governo che da essa promana.

Il Governo per parte sua, mentre deve rimettersi alla Costituente per quanto riguarda l’esercizio del coordinamento, cioè modo e misura dell’adozione prevista dall’articolo 116, darà tutto il suo concorso per l’attuazione di proposte o procedure che assicurino e regolino la necessaria collaborazione fra Stato e Regione, in modo da superare ogni divergenza ed attuare lo statuto, in base ai dati dell’esperienza.

Personalmente ho sempre avuto fiducia in tale collaborazione e annunciando nel maggio 1946 alle popolazioni siciliane che il Governo manteneva il suo impegno in favore del regime autonomo, ho aggiunto che tale spirito di comprensione e di collaborazione è assolutamente necessario da entrambe le parti per dare vita ed efficacia ad un vero regime autonomo nell’unità della Patria.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare all’esame del testo dello statuto.

Gli onorevoli Bertola, Tega, Bernini, Lizier, Silipo, Galati e Franceschini, hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente;

considerato che l’ordinamento giuridico amministrativo degli insegnanti dei ruoli dello Stato è una conquista delle categorie interessate e che il mantenimento di esso è vivamente sollecitato dagli insegnanti della Sicilia, non meno che da quelli delle altre Regioni d’Italia, afferma che lo Statuto regionale siciliano dovrà essere coordinato in modo da non intaccare tale conquista».

Ritengo che questo ordine del giorno, il quale pone un problema comune a tutti gli statuti speciali, non abbia bisogno di essere svolto e votato poiché è stato già approvato per lo statuto di altre Regioni.

Per quanto io abbia disposto che fosse pubblicato, ritengo che i colleghi presentatori sapranno apprezzare il senso di comprensione di cui ho dato prova e si accontenteranno che l’Assemblea ne prenda visione.

Il testo che dobbiamo esaminare è costituito da un disegno di legge e da un allegato. Procediamo ora all’esame del disegno di legge, che consta dei seguenti articoli:

Art. 1.

«Il vigente Statuto della Regione siciliana, approvato con decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, è adottato con la presente legge costituzionale quale Statuto speciale per la Sicilia, con le modificazioni che risultano dall’allegato, che costituisce il testo coordinato dello Statuto stesso».

Art. 2.

«La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzella Ufficiale della Repubblica».

Gli onorevoli Ambrosini, Castiglia e Montalbano hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 1 e 2 col seguente articolo unico:

«Lo Statuto della Regione siciliana, approvato con regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’articolo 116 della Costituzione.

«Le modifiche, che in base all’esperienza derivante dall’applicazione dello Statuto fossero ritenute necessarie dalla Regione o dallo Stato, saranno approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, di intesa con l’Assemblea regionale della Sicilia».

L’onorevole Ambrosini ha facoltà di svolgerlo.

AMBROSINI. Onorevole signor Presidente, onorevoli colleghi! Non nascondo che sono emozionato nel prendere la parola, perché viene il momento di una risoluzione che per la Sicilia ha un’importanza storica.

E sono stato tanto più perplesso ed emozionato, in quanto, per la benevola fiducia dei colleghi e della seconda Sottocommissione, fui io a proporre questo sistema degli statuti speciali, che, dopo lunga ponderazione, in considerazione della situazione speciale della Sicilia, credetti di sottoporre all’esame ed all’approvazione dei colleghi, perché, attraverso al sistema dello «statuto speciale», poteva evitarsi che lo statuto già concesso alla Sicilia venisse inficiato nella sua stessa essenza.

All’onorevole De Gasperi, Presidente del Consiglio, dobbiamo dare atto del suo appoggio decisivo per l’approvazione dello statuto proposto dall’Alto Commissario Aldisio e dalla Consulta siciliana e per la reiezione della mozione che tendeva a rinviare alle calende greche l’elezione dell’Assemblea regionale della Sicilia, e, se siamo tutti nella linea dell’assoluta onestà, dobbiamo soffermarci sulla portata delle osservazioni da lui testé fatte; alle quali osservazioni vanno aggiunte alcune chiose per precisare la posizione della Sicilia. Egli, infatti, ha ripetuto che lo statuto siciliano ha forza operante; ha detto che aveva espresso la speranza che prima che si addivenisse alle elezioni dell’Assemblea siciliana, l’Assemblea Costituente avesse proceduto al coordinamento dello statuto. Ma ha anche soggiunto che circostanze indipendenti dalla volontà dell’Assemblea hanno ciò impedito; ragione per la quale oggi ci troviamo nella necessità di prendere una decisione definitiva. Quale decisione?

Le osservazioni che ha fatto riguardo alla questione finanziaria, riguardo ai problemi che si riferiscono ad un istituto, al quale i siciliani tengono moltissimo, cioè all’istituzione di una Sezione della Corte di cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e ad altri punti subordinati, mi hanno dato l’impressione che bisogna insistere sulla proposta di articolo unico che io ed i miei colleghi di minoranza della Sottocommissione abbiamo presentato all’Assemblea. Giacché io debbo dire in tutta coscienza che non vorrei che si ripetesse oggi quello che avvenne alla Consulta nazionale, cioè che si approvi lo Statuto con riserve mentali.

Bisogna su questo punto essere chiarissimi. Ed io lo sono con tutta onestà, dicendo quale fu il punto di dissenso fra noi della minoranza della Sottocommissione e la maggioranza della Commissione, alla quale diamo atto di tutti gli sforzi fatti per andare incontro alle richieste della delegazione siciliana.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha accennato alla necessità, comunque, che ci sia una salda e intima cooperazione fra i rappresentanti della Regione e il Governo centrale. Io credo di poter affermare che questa salda ed operosa e volonterosa collaborazione non è sicuramente mancata da parte dei rappresentanti del Governo regionale.

Io domando ai miei egregi e cari colleghi della Commissione dei Diciotto quale impressione hanno avuto, quando il Presidente Alessi, l’assessore per le finanze Restivo, l’onorevole Napoli, l’onorevole Li Causi ed altri membri della Delegazione siciliana parlavano innanzi a loro. Se non mostravano tutta la comprensione possibile per quelle che sono le esigenze dello Stato e tutta la volontà di arrivare ad una soluzione che fosse di pieno accordo. Quindi io posso arbitrarmi, in questo momento, direi, supremo, di dire al Presidente del Consiglio e al Governo e all’Assemblea, che mai mancherà da nessuna parte della rappresentanza siciliana questo spirito di franca, leale, completa collaborazione con gli organi centrali dello Stato. (Approvazioni).

Per la chiarezza delle situazioni aggiungo. Io, che da un anno e mezzo elaboro tutta questa materia in continuo contatto coi colleghi che se ne occupano, pressato dagli incitamenti più contrastanti, sento il bisogno che qui si faccia un chiarimento psicologico.

Noi siciliani siamo stati sotto l’incubo di una accusa persistente, quasi di un rimbrotto e di una larvata minaccia, in quanto ci è stato detto in maniera più o meno tassativa e precisa (e quando non era tassativa e precisa era anche più grave!) che questo fu uno Statuto che l’Alto Commissario Aldisio aveva strappato al Governo, il quale aveva ceduto per debolezza, per ragioni elettorali.

Noi ci ribelliamo, e respingiamo questo modo di riguardare la questione.

Forse vi fu da parte dell’Alto Commissario e della Consulta siciliana una richiesta, anche pressante; ma il Governo e il Presidente del Consiglio e tutti i rappresentanti dei vari partiti che facevano parte di quel Gabinetto assolsero ad un loro dovere, fecero opera – dal punto di vista politico – giusta, che soltanto chi sappia guardare la complessa realtà delle cose può apprezzare nella sua giusta misura! Essi approvarono un provvedimento indispensabile, senza del quale il turbamento profondo che esisteva nella coscienza dei siciliani sarebbe rimasto, con conseguenze sicuramente non liete per noi stessi siciliani e per la Patria comune!

Ebbene, sia detto e ripetuto chiaramente, che quello Statuto non fu strappato, anche se la Consulta nazionale se ne lavò le mani rimandando il provvedimento alle Commissioni senza assumere la responsabilità e con la riserva mentale che lo Statuto sarebbe caduto o sarebbe stato frantumato durante la via!

Noi sapevamo la gravità della situazione e sappiamo che qualcuno degli articoli di questo Statuto abbisogna di una qualche modifica, aggiungerò, nell’interesse della Sicilia. Noi abbiamo sempre detto che non stiamo qui a barattare, che non vogliamo prendere lo Stato in un momento di debolezza per attribuirci delle prerogative e dei privilegi, ma che vogliamo onestamente, in base alla situazione preesistente e alle esigenze attuali, avere quello che è giusto che alla Sicilia si dia, non solo e non tanto – direi – (permettetemi, onorevoli colleghi) nell’interesse dei siciliani, quanto nell’interesse della Patria comune.

Bene, per rispondere a quello che diceva l’onorevole Presidente del Consiglio: egli si lamentava che si è arrivati ora all’ultimo momento a proporre le modifiche, che è mancata la collaborazione coi vari Ministeri interessati.

Io da varî mesi ho chiesto formalmente ai colleghi della Commissione che si chiamassero gli alti funzionari dello Stato, che rappresentano la continuità della vita dell’amministrazione. A parte lo Statuto del Trentino-Alto Adige preparato da una Commissione governativa, soltanto alla fine dei lavori della Commissione dei Diciotto si ebbe l’apporto di funzionari competenti e autorizzati per quanto si riferisce alla parte finanziaria, e limitatamente agli Statuti della Sardegna e della Valle d’Aosta.

Per l’altro rilievo dell’onorevole Presidente del Consiglio, osservo, che non da mesi, ma da un anno e mezzo, a tutti coloro che mormoravano e, peggio ancora, denigravano lo Statuto siciliano, io ed i miei colleghi della Sicilia abbiamo detto: noi non ci rifiutiamo a nessuna conversazione, noi siamo desiderosi di avere le osservazioni, di avere i vostri lumi per migliorare quello che esiste. Poi ho invocato (lo possono testimoniare tutti i colleghi) che oltre alle critiche generiche, venissero fatte critiche specifiche e avanzate proposte.

Egregi colleghi, nessuno può lamentarsi: io credo di potere asserire con assoluta onestà, e con fermezza egualmente assoluta, che alcuna proposta concreta è stata presentata a noi siciliani, non solo a quelli del grande pubblico, non solo ai competenti dell’Assemblea regionale siciliana, ma nemmeno a noi della Commissione. Così siamo venuti a trovarci al punto in cui siamo; ed è questa la ragione per cui il 16 gennaio, in una riunione della Commissione dei Diciotto, presieduta dal Presidente di questa Assemblea, onorevole Terracini, che ha dato un apporto veramente generoso all’istradamento ed alla soluzione di questa questione, quando mi accorsi che era se non impossibile, difficile arrivare, fra la maggioranza della Commissione dei Diciotto e la Delegazione dell’Assemblea regionale siciliana, ad un accordo completo sui singoli punti (accordo che io mi sforzai di far raggiungere) proposi quel progetto di articolo unico che oggi si trova di fronte all’Assemblea.

La questione nacque in seno alla Commissione. Nella Commissione i punti di vista erano diversi e naturalmente erano punti di vista rispettabilissimi, non solo dal lato giuridico, ma anche da quello politico. Noi non siamo stati avversari nella Commissione; ma abbiamo avuto notevoli divergenze di sostanza e di procedura.

Di sostanza: in quanto noi della minoranza, rappresentata da me e dagli onorevoli Castiglia e Montalbano, ritenevamo che lo Statuto approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946 dovesse rimanere quale era, perché non esisteva in esso alcuna norma che in modo insuperabile contrastasse con le norme della Costituzione. Indubbiamente, ve ne erano, e ve ne sono tante, che diversificano; ma appunto in ciò consiste lo spirito della formula «Statuto speciale». Non vi sono norme che beneficiano l’essenza dello Stato unitario. Basta la proposizione dell’articolo uno di questo Statuto, nel quale solennemente si proclama che la Sicilia con le isole è costituita in Regione autonoma entro l’unità politica dello Stato italiano, per troncare qualsiasi dubbio. Naturalmente, nell’applicazione possono nascere tante e tante divergenze. Certo, onorevole Ministro della giustizia, per quel che si riferisce al sistema tecnico, al congegno della legislazione, possono nascere tanti e tanti contrasti, come nacquero nell’interno della seconda Sottocommissione, ai Settantacinque, e in questa Assemblea. Ma nessuno, onorevoli colleghi, si meraviglierà se, ad esempio, nello Statuto siciliano quell’articolo 14, trasportato ora in un altro articolo del nuovo testo, prevede tre forme di legislazione. Dissi di fronte all’Assemblea che, se la prima si chiama «esclusiva», bisognerebbe badare alla sostanza e non ai termini. E posso ripeterlo.

Credo che quella parola «esclusiva» non sia appropriata, perché una legislazione è esclusiva quando non può essere limitata da nulla; mentre qui, con molta saggezza, la Consulta siciliana aveva proposto (è l’antico articolo 14 sostanzialmente ripreso dalla Commissione) che «l’Assemblea nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente, ha la legislazione esclusiva nelle seguenti materie». Ora, qui, non debbiamo fare questioni teoriche: perché altrimenti rischieremmo di perderci in discussioni quasi bizantine.

Dobbiamo vedere la sostanza, e non impressionarci di una parola, che alla sensibilità di qualche studioso o di qualche uomo politico possa sembrare non appropriata. E allora, se ci accordiamo nella sostanza, quale divergenza resta fra di noi? La divergenza che ci fu in seno alla Commissione dei Diciotto, presieduta il 16 gennaio dall’onorevole Presidente Terracini, riguardo una questione, direi quasi, pregiudiziale. La maggioranza della Commissione riteneva che bisognasse rifare tutto lo Statuto dal punto di vista formale. Il relatore, onorevole Cevolotto, qui ha detto chiaramente, riaffermando un principio al quale l’onorevole Persico l’altro ieri aveva accennato riguardo allo Statuto sardo, che lo Statuto siciliano non aveva di per se stesso forza costituzionale; mentre questa forza costituzionale poteva essergli impressa dall’Assemblea Costituente; e che per ciò fosse necessario che tutti gli articoli dello Statuto siciliano venissero trascritti (anche se non cambiati) in un nuovo testo, il quale doveva essere approvato articolo per articolo e, formalmente, parola per parola da parte dell’Assemblea Costituente. Era a questo indirizzo teorico, che io credetti di non addivenire, per ragioni teorico-giuridiche, che non espongo, perché esse, in ogni caso, sono sopravanzate da considerazioni politiche di carattere assolutamente prevalente e decisivo.

Qual è la considerazione politica non discordante da quella giuridica? Che lo Statuto ormai da anni è in applicazione, che il riesame di tutti gli articoli significherebbe non solo dare l’impressione che lo Statuto si metta in forse, ma offrire anche la possibilità concreta di addivenire, con l’esame e la discussione – perché l’esame e la discussione non si sa dove possono portare – alla modifica eventuale di tutto lo Statuto.

Ed allora io ritenni che fosse politicamente conveniente e giuridicamente accettabile una approvazione dello Statuto, ai sensi e per effetti dell’articolo 116 della Costituzione.

Non era necessario procedere all’esame dei singoli articoli, perché le parole «sarà adottato» adoperate nell’articolo 116, non importano affatto necessità di procedere al riesame specifico di tutti gli articoli.

L’altro ieri l’onorevole Presidente dell’Assemblea, dando delucidazioni all’onorevole Persico, l’ha esplicato chiaramente. Ed io insistetti, indirettamente, a proposito dello Statuto sardo. Né qui mi ripeto.

Interessante era questo: evitare che si portasse la discussione di tutti gli articoli, e, dal punto di vista psicologico – perché non parlar chiaramente? – evitare che in un articolo, che andasse a decidere definitivamente di una materia così infiammabile, si adoperasse una formula che avrebbe potuto ferire la suscettibilità anche di uno solo.

Allora dissi: se abbiamo la possibilità di evitare che si ferisca la suscettibilità di qualsiasi persona, se nella sostanza arriviamo ad essere d’accordo, perché non adottare un sistema ed una formula più generica, che vada incontro a tutte le esigenze e che permetta una rapida e felice soluzione di tutte le questioni?

Su questo punto non ci accordammo, e su questo punto resta il dissenso, fra minoranza e maggioranza della Commissione.

Ripeto, non che io non creda che qualche modifica possa apportarsi. Per esempio, io personalmente non credo utile che si adotti per l’elezione di tutti i deputati il sistema elettorale a suffragio universale diretto; io sopprimerei la parola «diretto», perché ritengo che, specialmente nelle Assemblee ragionali, sia non solo opportuna, ma necessaria una rappresentanza mista, composta, cioè, non solo di rappresentanti eletti direttamente dagli elettori indifferenziati, ma anche di rappresentanti eletti dalle varie forze della produzione: agricoltori, commercianti, industriali, ecc. Cioè, sul piano della formazione delle Assemblee regionali, ritengo che l’adozione di un sistema elettorale misto sia più conveniente del sistema unico previsto nello Statuto. Potrebbe indicarsi qualche altro punto che costituirebbe materia di discussione. Ma come può farsi a proporre modifiche ora, all’ultimo momento, affrettatamente, e senza che siano state preventivamente esaminate – parlo chiaramente – dall’Assemblea siciliana? Perché, credetemi, onorevoli colleghi, l’Assemblea regionale siciliana ha tanta comprensione e tanto buon senso che verrebbe assolutamente incontro e sarebbe venuta completamente incontro alle giuste richieste, se fossero state formulate in tempo opportuno, come io da un anno e mezzo non mi stanco di richiedere.

Quindi non restava che approvare lo Statuto. Il sistema adottato dalla Commissione non ci sodisfa, per due ragioni. In primo luogo per ragione di forma. Voi avete sentito i sardi. Quando la Consulta nazionale nel maggio 1946 propose di estendere lo Statuto siciliano ai sardi, i sardi non lo vollero. Qualcuno mi dirà: si tratta di suscettibilità. Ma i popoli hanno la loro psicologia; ed in questo campo la rappresentanza siciliana, come aveva elaborato ed approvato lo Statuto mandandolo al Governo centrale, così attraverso nuovi organi (la nuova Assemblea regionale, che indubbiamente ha più autorità politica e più forza rappresentativa, in quanto proviene dalle elezioni) avrebbe ben desiderato di avere queste proposte e di esaminarle apertamente sul vecchio testo dello Statuto siciliano. È una suscettibilità? Ma allora, io vi faccio osservare: gli inglesi, i quali non hanno mai voluto modificare formalmente i loro pochi testi costituzionali, sono accusabili di suscettibilità? Ed i siciliani (voi lo sapete, sono il popolo che ebbe il primo Parlamento d’Europa e quindi hanno una certa conoscenza ed una certa sensibilità speciale nella materia) avrebbero voluto essere intesi e deliberare prima. Quindi i siciliani tengono al loro testo dello Statuto per una ragione psicologica. Non sarà sicuramente l’insieme dei membri della vecchia consulta siciliana, né l’Alto Commissario Aldisio, che per una ragione personale vorranno conservare proprio il testo dello Statuto così come fu allora stilato; ma è la popolazione siciliana, la quale vide in quello Statuto, nel contrasto gravissimo che vi era in quel momento, una conquista, e la conquista vuole mantenere, così come fu fatta.

Ho sentito dall’onorevole Cevolotto tutte le osservazioni fatte a proposito dello Statuto, ma io mi permetto di dire che di incongruenze fra lo Statuto e le norme della Costituzione può esservene qualcuna, ma aggiungerei – e molti colleghi ben lo sanno – che nella Costituzione, vi sono alcune norme che danno luogo a casi di incongruenza maggiore di questi che si possono notare tra le norme dello Statuto siciliano e quelle della Costituzione. Non starò a indicarle, per brevità. Peraltro i popoli, lo diceva l’onorevole Orlando in uno dei suoi discorsi più appassionati, non stanno alla lettera della legge, ma alla sostanza. Il diritto pubblico si evolve a seconda che le necessità lo impongano; e questo Statuto siciliano potrebbe benissimo restare così com’è, perché si andrebbe adattando a tutte le necessità. I rappresentanti della Sicilia infatti hanno mostrato di avere comprensione e buon senso sufficienti per riconoscere queste necessità. Ma, egregi colleghi, io domanderei quali sono questi punti di contrasto che ora sono prospettati come di semplice frizione fra l’attuale Statuto siciliano e il testo proposto dalla Commissione.

Onorevoli colleghi, io non starò a leggere gli articoli, ma riguardo all’articolo 14, che è stato il primo incriminato, io vi dico che la formula proposta dalla Commissione varia di poco da quello che è il testo dell’esistente Statuto siciliano. Essa apporta una aggiunta sulla quale, se non sbaglio, si soffermarono l’assessore alle finanze Restivo e il presidente Alessi avanti alla nostra Commissione dei Diciotto, facendo presente che l’aggiunta non è necessaria, perché il suo contenuto esiste nell’articolo 14, combinato con l’articolo 1 dello Statuto, le cui disposizioni devono guardarsi nel loro sistema complesso e specialmente nello spirito che le anima.

Quale è l’altra modifica? Egregi colleghi, è proprio una questione di forma. A proposito del presidente della Regione, si dice che egli partecipa al Consiglio dei Ministri con voto deliberativo. Ma, il presidente Alessi disse alla Commissione – e d’altra parte era ben chiara – quale era la portata effettiva di questa disposizione. Ed il testo nuovo proposto dalla Commissione, quando parla del presidente della Regione col rango di Ministro, mi pare proprio che cambi poco. Anche qui, per altro, mi riferirei, per gli eventuali mutamenti, a quella che è la prassi costituzionale dei popoli che vivono in libertà da secoli e che cambiano il loro diritto in base alle necessità, senza ricorrere ad ogni costo a leggi di abrogazione o innovative. Basterebbe, per indicare un esempio di portata più generale, fare riferimento all’Inghilterra, dove il Primo Ministro è nato senza essere riguardato da nessuna legge che ne prevedesse la costituzione. Fino a qualche anno fa il rango di primo grado non apparteneva al Primo Ministro e si dovette ricorrere all’espediente di attribuirgli un’altra carica che comportava la precedenza nelle cerimonie.

NITTI. Questo non entra nella questione!

AMBROSINI. Mi perdoni, illustre Maestro, ma c’entra. Ella tante volte ha fatto riferimento al diritto inglese, e proprio sentendo la sua voce nella mia mente si è richiamato il sistema generale da lei più volte ricordato. C’entra per questa ragione: perché le norme costituzionali o di diritto pubblico in generale si evolvono e si adattano a seconda delle circostanze; a secondo le circostanze potrà assumere nuova veste il Presidente della Regione.

Comunque, egregi colleghi, a me pare proprio che non varrebbe la pena di andare ad apportare una modifica facendo un coordinamento sostanziale a quello che era l’antico testo.

Passiamo all’articolo 31, che si riferisce alla polizia. Non sto ad intrattenere l’Assemblea sui singoli testi; ma badate: la differenza di dizione tra il testo proposto dalla Commissione e quello dell’attuale Statuto siciliano è lieve se non lievissima. Qual è raggiunta? Che il presidente della Regione esercita questo potere quale rappresentante del Governo centrale. Ma questo, se non è detto espressamente nel testo attuale dello Statuto siciliano, è nel complesso degli articoli. Si tenga presente che il presidente della Regione siciliana, per un verso rappresenta la Regione e per tutte le altre materie, che non siano riservate completamente allo Stato, come per esempio la giustizia, la difesa, l’aeronautica e le ferrovie, rappresenta il Governo.

Quindi, nella struttura dello Statuto lieve è la variante fra il vecchio e il nuovo testo. La modifica introdotta dalla Commissione si attiene soltanto alla forma e poco varia nella sostanza.

L’ultimo punto, innovato dalla Commissione è notevole; ma anche per esso si potrebbe sostenere che il vecchio testo non è in tale contrasto con la Costituzione, si da intaccare l’unità politica dello Stato.

L’onorevole Persico vede che io cerco di adoperare termini misurati. È il punto che si riferisce alla Corte costituzionale.

La grave divergenza si riferisce al numero di membri della Corte, che dovrebbero essere nominati dall’Assemblea regionale siciliana.

Mi permetta, caro collega Cevolotto, che le dica che noi non vediamo nemmeno in questo un irriducibile contrasto con la Costituzione. Ne volete una riprova? La nostra Assemblea adottò invero, nel suo testo definitivo, un sistema diverso; ma, sostanzialmente soltanto per pochi voti, non passò la proposta dell’amico Perassi di comporre la Corte costituzionale con un numero di giudici predeterminati e con l’aggiunta di giudici inviati dalle Regioni quando venisse in contestazione una qualche causa che si riferisse al loro interesse specifico.

Allora io mi domando: se in questa Assemblea fu sostenuto il sistema di introdurre nella Corte costituzionale dei rappresentanti della Regione, e se questo sistema non fu approvato soltanto per pochi voti, come può sostenersi che il sistema dello Statuto siciliano, che ha con quello una analogia, sia talmente contrastante con la Costituzione da interferire col principio basilare dell’unità politica dello Stato? E se non c’è questo contrasto assoluto, credete voi che sia conveniente affrontare oggi affrettatamente l’esame della questione? Prima di finire debbo fare qualche considerazione sulla natura costituzionale dell’attuale Statuto siciliano. Questo carattere è stato negato, ed è stata inoltre sollevata la questione della stessa costituzionalità del decreto legislativo che lo approvò. La Corte dei conti lo registrò con riserva; e l’eccezione venne ad essere esposta in questa Assemblea quando si discusse la mozione che tendeva a far ritirare dal Governo il decreto col quale aveva indetto le elezioni per l’Assemblea regionale.

Rispondo che la Costituente ha già dato due volte il crisma costituzionale a questo Statuto, la prima volta quando confermò il decreto col quale s’indicevano le elezioni, la seconda volta quando nominò i membri dell’Alta Corte costituzionale per la Sicilia. A proposito delle questioni portate avanti all’Alta Corte io esprimo il voto, sia pur a titolo personale, che esse vengano composte con trattative dirette. I rappresentanti della Sicilia hanno tanta comprensione e i rappresentanti del Governo devono averne a loro volta tanta da potere arrivare ad un accordo.

Vado alla conclusione.

A che cosa tendeva e tende l’articolo unico che ho proposto insieme ai miei colleghi onorevole Castiglia e onorevole Montalbano? Ad eliminare una discussione sui singoli articoli, che potrebbe protrarsi a lungo sollevando forti contrasti. Può darsi che tutti i colleghi approvino i singoli articoli uno per uno; e naturalmente questo sarebbe la cosa migliore. Ma chi ci dà questa garanzia? E noi dobbiamo insistere sulle nostre situazioni…

RUSSO PEREZ. La garanzia viene dal fatto che la Democrazia cristiana ed i comunisti sono d’accordo per l’autonomia siciliana. Quindi possiamo essere sicuri.

AMBROSINI. Debbo dire questo per chiarezza di esplicazione dell’articolo proposto: che durante quella seduta del 16 gennaio, nella quale io presentai lo stesso articolo che viene ora all’esame dell’Assemblea, si levò l’onorevole Fabbri che parve sostenere un sistema uguale. E parecchi lo credettero; ma io onestamente dovetti subito osservare che il sistema dell’onorevole Fabbri non importava l’approvazione definitiva dello Statuto. Io dissi che su questo punto non doveva restare dubbio e che occorreva essere chiari ed espliciti: il comma prima dell’articolo, che io allora proposi e che ora onestamente e francamente ripropongo, importa la integrale conferma completa di tutto lo Statuto siciliano ai sensi e per gli effetti dell’articolo 116 della Costituzione.

Una voce. Parola per parola?

AMBROSINI. Sì, parola per parola. Per altro quest’articolo ha un secondo comma, onorevoli colleghi, che prevede la possibilità di apportare allo Statuto quelle modifiche che l’esperienza suggerirà; e ciò senza bisogno di ricorrere alla procedura lunga della revisione costituzionale, ma per mezzo di una legge ordinaria da emanare di intesa con l’Assemblea regionale della Sicilia.

Adunque il primo comma è chiaro: per noi deve importare approvazione integrale e definitiva, senza possibilità di equivoci, di tutto lo Statuto siciliano esistente.

Onorevoli colleghi, permettetemi di dirvi che troppo noi siamo stati sotto l’incubo dei rimbrotti e delle accuse e insinuazioni che da tante parti sono state lanciate contro lo Statuto e a volte contro la Sicilia.

Noi abbiamo sentito dire che la Sicilia quasi vuole vivere a spese del capitale italiano, che la Sicilia vuole ricorrere, attraverso il Fondo di solidarietà nazionale, a risorse che non sono sue, che la Sicilia potrebbe incrinare l’unità dello Stato. Io non voglio ritornare su questi argomenti, ma mi preme dire che noi siciliani abbiamo creduto e crediamo con perfetta lealtà e coscienza di poter assolvere al nostro compito autonomistico nel quadro dell’unità politica dello Stato. La Sicilia, onorevoli colleghi, non è quella che spesso, purtroppo, apparve nelle rappresentazioni di Giovanni Grasso.

La Sicilia è quella ritratta da Giovanni Verga e da Luigi Pirandello. È la terra dei lavoratori, di coloro che col progresso hanno il culto della tradizione. Cito un nome rappresentativo, il nome d’un deputato defunto, che onorò questa Assemblea, il nome di Empedocle Restivo, che diede impulso a tante opere di progresso in Sicilia e che fu nello stesso tempo il più geloso custode delle tradizioni dell’Isola. Sicuramente sarebbe stato l’uomo più adatto per reggere l’autonomia della Sicilia. Il destino vuole che suo figlio, Franco Restivo, abbia una funzione fondamentale di governo nell’autonoma Regione siciliana.

La Sicilia è la terra dei lavoratori, degli umili contadini, che hanno saputo in Africa – specialmente nel Nord Africa – accomunarsi al lavoro con le popolazioni locali, degli emigranti che hanno apportato il contributo della loro opera e del loro sacrificio in tutte le parti del mondo. La Sicilia è la terra del popolo che ha sentito sempre forte, fortissimo il palpito dell’unità della Patria. (Interruzioni).

BERNINI. Che c’entra questo con l’ordinamento giuridico della Sicilia?

AMBROSINI. C’entra, perché l’Assemblea deve ora prendere una grave decisione di carattere politico e deve…

BERNINI. Questa è retorica!

AMBROSINI. Non è retorica, sono fatti storici di cui l’Assemblea deve tenere conto prima di decidere. La Sicilia è il paese antesignano dell’unità d’Italia. Noi diamo affidamento che mai lo Stato unitario avrà a temere dalla Sicilia. La Sicilia fece la prima rivoluzione nel 1848, e la prima Costituente italiana. Sapete quale proclama fu lanciato al popolo? Mi dispiace di non avere il testo, ma ricordo benissimo che esso così terminava: «Viva la Sicilia, viva i fratelli italiani!». (Commenti – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Ambrosini, non raccolga le interruzioni.

AMBROSINI. Mi rivolgo all’egregio Presidente. Egli sa che non ho mai interrotto nessuno, egli sa che sono abituato a discutere nello stretto rigore della logica giuridica e dei fatti giuridici. Potevo quindi ben fare quella asserzione per dimostrare il sentimento eminentemente italiano che ha animato sempre la Sicilia.

Il proclama emanato dal Comitato provvisorio nella sua prima riunione del 17 gennaio 1848 finiva, ripeto, con le parole: «Viva la Sicilia, viva i fratelli italiani!».

E nel General parlamento siciliano, alla Camera dei Pari fu avanzata da parte di un certo canonico, mi pare si chiamasse Calcara, la proposta di dichiarare a tutti gli Stati italiani che la Sicilia all’inizio stesso della sua rivoluzione aveva affermato di volere fare parte della Confederazione italica, mentre alla Camera dei Comuni La Masa ed altri proponevano l’invio di armati in Lombardia nella guerra contro l’Austria.

MAZZONI. Dante Alighieri non era siciliano. Manca il senso della misura!

AMBROSINI. Il senso della misura credo di averlo avuto abbastanza col non soffermarmi a lungo (Commenti), come era mio diritto, sui singoli articoli del progetto di legge che è dinanzi all’Assemblea, alla cui saggezza faccio appello in questo momento decisivo.

E concludo: gli onorevoli colleghi possono approvare lo Statuto della Regione siciliana così come fu approvato col decreto legislativo del 15 maggio 1946, senza che abbiano a temere che questo Statuto infranga minimamente l’unità politica e la compattezza del Paese! (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Finocchiaro Aprile e Gallo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 1 e 2 del disegno di legge col seguente articolo unico:

«Lo statuto della Sicilia, promulgato con decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, è legge costituzionale e continuerà ad avere vigore.

«Eventuali modifiche potranno essere introdotte con legge ordinaria dello Stato, ma sempre su voto dell’Assemblea siciliana, espresso da almeno tre quarti dei suoi componenti».

L’onorevole Finocchiaro Aprile ha facoltà di svolgerlo.

FINOCCHIARO APRILE. Signori deputati, io parlerò brevemente a sostegno dell’emendamento da me proposto, unitamente all’onorevole Gallo, diretto a dichiarare lo statuto della Sicilia, ora vigente, legge costituzionale che dovrà continuare ad avere vigore; e a prescrivere che eventuali modifiche potranno essere introdotte con legge ordinaria dello Stato, ma sempre su voto del Parlamento siciliano, espresso da almeno tre quarti dei suoi componenti.

Quando, alla fine di maggio del 1946, l’onorevole Presidente del Consiglio venne a Palermo ad annunziare la concessione dello statuto della Sicilia, vi furono molti che pensarono che questa potesse essere una speculazione elettorale. Noi indipendentisti non escludemmo ciò, di fronte ad un provvedimento emesso alla vigilia dei comizi; ma la cosa non ci fece nessuna impressione. Avesse o non avesse il provvedimento carattere di speculazione elettorale, certo era che finalmente l’autonomia siciliana, sia pure in forma molto imperfetta, era decretata dalla classe dirigente italiana; e noi indipendentisti ne fummo lieti, per quanto fossimo stati esclusi dalla Consulta regionale e quindi, non chiamati a partecipare alla redazione dello statuto, alla quale saremmo, comunque, rimasti estranei.

Dichiarammo fin dal primo momento, e ripetemmo in quest’Aula e in cento occasioni, che per noi l’autonomia non era e non è fine a se stessa, ma mezzo al fine, quello dell’elevazione della Sicilia a Stato libero e sovrano; ma accettammo l’autonomia così come ci era stata concessa, e lealmente, nel Parlamento siciliano, abbiamo data, come meglio ci era consentito lealmente, la nostra collaborazione per il successo del nuovo sistema.

Io credo che il Parlamento siciliano abbia dato prova di alta nobiltà e di comprensione assoluta dei compiti che gli sono stati attribuiti. Esso non ha smentito la tradizione di dignità e di prestigio ed il magistero di saggezza irradiatosi dalle gloriose istituzioni parlamentari dell’Isola. Però (e alcuni colleghi me ne sono testimoni), appena pubblicato lo statuto, noi dichiarammo alle masse siciliane: «Non vi fate illusioni; l’autonomia vi è stata concessa ora; l’autonomia sarà presto revocata». Parlava in noi la dura esperienza di 87 anni di promesse non mantenute e di danni subiti; parlava in noi il senso diffuso di incomprensione notato dovunque in Italia e ch’io stesso ebbi ad avvertire nella Commissione per la Costituzione, dalla quale, appunto per ciò, io che ne facevo parte non tardai ad estraniarmi.

Onorevoli deputati, parliamoci chiaro! Noi abbiamo sentito qui l’esposizione dell’onorevole Cevolotto e l’esposizione dell’onorevole De Gasperi. Permettetemi di dire con grande sincerità che la nostra impressione è stata veramente penosa. È stata penosa soprattutto, ed imbarazzata, l’esposizione dell’onorevole De Gasperi, che ha provocato in noi molta amarezza. Egli si deve essere accorto che le sue parole sono cadute pesantemente sull’Assemblea.

Siamo stati tutti alquanto sorpresi delle sue parole, che hanno rivelato nel Capo del Governo uno stato d’animo completamente mutato, così diverso da quello euforico e lusingatore ch’egli ebbe a manifestare al tempo della concessione dell’autonomia alla Sicilia. Egli ha detto non essere lecito nascondersi che l’interpretazione delle disposizioni dello statuto e la loro pratica attuazione hanno finora incontrato difficoltà e sollevato obiezioni, specie da parte dell’Amministrazione finanziaria; e che una forte resistenza devesi superare anche per le sezioni della Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. E l’onorevole De Gasperi ha soggiunto che tutto questo dimostra che, per attuare completamente lo statuto, occorre un nuovo sforzo di cooperazione tra la rappresentanza della Regione e lo Stato.

Ora queste non sono davvero parole di colore oscuro: il loro significato è ben chiaro ed è che non si vuole dare completa attuazione allo statuto e che si vuole tornare indietro. A me pare che ciò non possa, né debba permettersi. Sarebbe un oltraggio alla Sicilia; la quale, onorevole De Gasperi, non farà mai alcuna delle rinunzie che lei desidererebbe.

Si è discusso, onorevoli deputati, sulla portata dell’articolo 116 della Carta costituzionale, che è bene leggere. Dice l’articolo 116: «Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli, alla Venezia Giulia è alla Val d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali».

Evidentemente questo articolo non tenne conto del fatto che vi erano statuti già approvati ed anche in esecuzione, e statuti che avrebbero dovuto essere adottati. Questa distinzione è stata richiamata più volte dal nostro illustre Presidente. Ora io penso che lo statuto siciliano, emanato da quegli organi dello Stato che allora avevano tutti i poteri per emanarlo, avesse già sin dall’origine ed abbia tuttavia valore costituzionale, alla stessa stregua che ha valore costituzionale la legge dalla quale l’Assemblea Costituente ripete i propri poteri.

È chiaro, pertanto, che i nuovi statuti, cioè quelli della Sardegna, del Trentino-Alto Adige e del Friuli (perché anche il Friuli fu compreso fra le Regioni aventi diritto allo statuto speciale ed è a deplorarsi che questo statuto non ci sia stato presentato) debbano essere adottati dall’Assemblea Costituente; mentre gli statuti della Sicilia e della Val d’Aosta, già emanati ed in attuazione, debbano essere semplicemente coordinati. Nel decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, con cui fu approvato lo statuto della Sicilia, si dice che questo sarà sottoposto all’Assemblea Costituente, per essere non adottato, ma coordinato con la nuova Costituzione dello Stato. «Coordinamento». Io mi riferisco, onorevoli deputati, al significato, al carattere, alla natura della parola «coordinamento». Essi sono ben precisi ed inequivoci per chi abbia pratica giuridica e legislativa. Ma da quello che voi avete sentito, traete forse la convinzione che si stia facendo e si voglia fare un coordinamento? Non vi pare che si tratti, invece, di un vero sovvertimento? Del vecchio statuto, secondo le proposte della Commissione e gli intendimenti del Governo, non dovrebbe rimanere più quasi nulla. Io vi richiamo a questo vostro dovere costituzionale di effettuare esclusivamente il coordinamento. Nel nuovo statuto io leggo disposizioni completamente nuove; e, quel che è peggio, leggo – ed è questa la ragione della mia maggiore preoccupazione – emendamenti presentati all’ultimo momento, in relazione a quello che ha detto testé il Capo del Governo, i quali, se accolti, sconvolgerebbero completamente il sistema su cui poggia lo statuto, e ne annullerebbero la parte essenziale. Sono emendamenti con i quali si tenta di restringere sino a sopprimerli i poteri della Sicilia in materia di tributi e di valute pregiate.

Quando l’onorevole De Gasperi parlava, l’onorevole Ministro del bilancio faceva circolare due sue proposte dell’ultima ora, sulle quali io debbo richiamare tutta l’attenzione dell’Assemblea. Giudicate voi, onorevoli deputati, se con esse non si distrugga in pieno l’autonomia siciliana. Noi abbiamo il sacrosanto diritto alla nostra autonomia tributaria, onorevole Einaudi; ad essa non rinunzieremo mai, a qualunque costo. Se lo ricordi! (Commenti al centro).

Ebbene, leggiamo il primo emendamento:

«Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della medesima e col gettito di tributi propri che essa rimane autorizzata a deliberare.

«Sono riservate allo Stato le imposte di fabbricazione e le entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto.

«Salvo quanto disposto dal secondo e terzo comma dell’articolo 39, sono altresì riservati allo Stato i tributi doganali.

«Le altre imposte erariali ordinarie sono disciplinate dalla legge dello Stato sentita la Regione, per quanto attiene alla applicazione nel suo territorio, e del relativo gettito riscosso nel territorio stesso è attribuita alla Regione una quota da determinarsi annualmente dallo Stato sentita la Regione».

Che cosa significa ciò? Significa, in primo luogo, che il Parlamento siciliano non dovrebbe avere più il diritto di deliberare su qualunque tributo, ad eccezione delle imposte di fabbricazione e delle entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto, a norma dello statuto vigente, in quanto le imposte erariali ordinarie dovrebbero tornare ad essere di competenza dello Stato, al quale sarebbero anche riservati i tributi doganali. Ma anche i tributi doganali sono dallo statuto siciliano attribuiti alla Sicilia, dappoiché lo statuto stabilisce che il regime doganale dell’Isola è di competenza dello Stato, ma non già che i proventi doganali appartengano allo Stato.

Ben a ragione, pertanto, il Parlamento siciliano con l’articolo 3 della legge sull’esercizio provvisorio del bilancio, ha tenuto conto del ricavato di tutti i tributi, comprese le entrate delle dogane. E voi oggi ce li volete togliere? Badate, per toglierci questi tributi, dato e non concesso che la loro appartenenza alla Sicilia sia discutibile, il Governo, in base allo statuto che è già in attuazione, avrebbe dovuto ricorrere all’Alta Corte costituzionale siciliana e averne riconosciuto il diritto. Non lo ha fatto: ha fatto decorrere i termini dell’impugnativa. Non essendo riuscito per questa via, onorevole Einaudi, lei pretende di raggiungere lo scopo, revocando addirittura per legge, il potere della Sicilia di legiferare in materia di tributi, comprese le entrate doganali, non più limitando il potere dello Stato alle sole imposte di fabbricazione ed alle entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto. Tutto ciò è veramente enorme.

Non è dubbio che l’attribuzione alla Sicilia di tutte indistintamente le imposte, ad eccezione di quelle testé specificate, non fu fatta da gente che avesse la testa nel sacco, ma fu fatta molto ponderatamente, ciò rispondendo alle precise richieste delle rappresentanze siciliane. Oltre l’onorevole De Gasperi firmarono lo statuto gli onorevoli Nenni, Cianca, Romita, Togliatti, Scoccimarro, Corbino, Gasparotto e via dicendo; tutti uomini forniti di senso di responsabilità, che non avrebbero data la loro adesione, se non fossero stati convinti della necessità della concessione della autonomia tributaria. Ed oggi, onorevole Einaudi, in sede di coordinamento, lei pretende di riattribuire allo Stato quelle imposte delle quali lo Stato volontariamente si è spogliato! Ma si rende conto il Ministro del bilancio delle conseguenze di questo ritorno al passato?

E v’è un’altra cosa di molta gravità sulla quale io desidero di intrattenere brevemente l’Assemblea Costituente. Ai fini del nuovo assetto economico della Sicilia, noi ci siamo basati sul ricavato delle nostre esportazioni che sono molto vantaggiose; e lei, onorevole Einaudi, lo sa. Lei sa che l’eccedenza dei valori delle esportazioni nel 1945 fu di circa 10 miliardi di lire; lei sa che nel 1946 fu di oltre 15 miliardi, di cui uno con l’estero e che nel primo semestre del 1947 l’eccedenza fu di circa 13 miliardi, di cui circa 4 con l’estero. Io non ho i dati del secondo semestre, ma solo che si raddoppino le cifre del primo semestre, ché certo saranno per il secondo semestre superiori, si avrà per il 1947 un’eccedenza di 26 miliardi, di cui circa 8 con l’estero. Le previsioni per il 1948 saranno certo superiori.

Orbene, che cosa fa l’onorevole Einaudi? Sotto la preoccupazione, già accennata dal Presidente del Consiglio, che cioè la lira italiana possa avere in Sicilia un valore superiore in confronto della lira nella Penisola, eventualità della quale noi siciliani ci compiacciamo, perché ci darà, in un giorno che ci auguriamo non lontano, la possibilità di creare utilmente una nostra valuta, l’onorevole Einaudi sbocca in una proposta che noi nettamente respingiamo, ed è questa: «Sinché permane il regime vincolistico delle valute, sarà provveduto, d’accordo tra lo Stato e la Regione, e con l’osservanza delle convenzioni internazionali, affinché le valute estere, provenienti dalle esportazioni siciliane, dalle rimesse degli emigrati, dal turismo e dal ricavo dei noli delle navi iscritte nei compartimenti siciliani, siano assegnate in relazione alle esigenze delle importazioni siciliane».

No, onorevole Einaudi, la sua proposta è assolutamente inaccettabile. Per la Sicilia non deve valere alcun regime vincolistico di valute. Ben comprendiamo che le valute pregiate, frutto del nostro lavoro, del sudore dei nostri operai e dei nostri contadini, facciano gola a molta gente. Noi siamo decisi a difenderle, perché ci sono indispensabili per quel risorgimento economico che la classe dirigente italiana vuole ancora ostacolare. Lei, onorevole Einaudi, vuole togliere alla Sicilia quello che le è assolutamente necessario, per dare corso al suo programma di formazione e di sviluppo industriale. Le industrie siciliane, onorevole Einaudi, sono anemiche ed agonizzanti; il suo provvedimento, che concede crediti soltanto alle grandi industrie (come la Fiat, la Pirelli, la Montecatini) ha reso impossibile il finanziamento delle medie e piccole industrie che vanno verso la rovina. A queste bisognava pensare prima ancora di quelle, perché queste, ben più di quelle, sono la spina dorsale dell’economia italiana e dell’economia siciliana. Ma io non voglio affrontare, in questa sede, argomenti di natura tecnica. A me interessa il lato politico della questione.

Onorevoli deputati, voi che siete unitari – io sono per un’unità diversa da quella che voi volete mantenere; io sono per l’unità confederale dei liberi Stati italiani – credete che questa discussione e soprattutto lo spirito che è alla base di essa, cementino l’unità d’Italia? Io credo che avreste fatto molto bene a parlare ed agire ben diversamente. Siete per avventura voi che recate danno all’unità. Vi soggiungo che io amo troppo l’Italia per speculare su questo vostro esiziale errore e su questa vostra grande debolezza.

Noi deputati siciliani – e non mi riferisco soltanto ai miei amici indipendentisti, ma a tutti i colleghi delle altre correnti politiche di Sicilia, ai democristiani, ai comunisti, ai socialisti, ai liberali, ai repubblicani, perché siamo tutti concordi in questo – pensavamo che il coordinamento dovesse essere di carattere formale, non sostanziale, non, cioè, un coordinamento che scardinasse, come si vorrebbe fare, lo statuto siciliano. Noi pensavamo che fosse pensiero del legislatore che lo statuto, già approvato ed in esecuzione, dovesse essere annesso, inserito nella Costituzione, sia pure con le lievi modifiche di forma richieste dal coordinamento. E noi indipendentisti chiedemmo che lo statuto dovesse far parte integrante, come allegato, della Costituzione, perché ci sembrava che così lo statuto corresse minori pericoli e vi fossero minori probabilità di riforma, trattandosi di una Costituzione rigida. Ma ciò non si è voluto fare e si è colta l’occasione per tentare di mandare tutto all’aria. Il procedimento della Commissione è stato veramente anomalo. Essa non ci ha nemmeno fatto distribuire, perché noi potessimo fare i necessari confronti, il testo dello statuto siciliano, ed ha presentato un testo completamente nuovo; nuovo nella forma e nuovo nella sostanza. Vanamente, onorevoli colleghi della Commissione, voi credete di illuderci, dicendo: «ma, insomma, non c’è nulla di sostanzialmente modificato, tutto è come prima, e tutto va bene. Non abbiamo fatto che dei ritocchi. Siamo d’accordo persino coi rappresentanti della Regione»! Ma vivaddio, signori miei, non siete d’accordo niente affatto, perché i rappresentanti della Regione sono rimasti desolati di quel che avete combinato e, anzi, hanno notato una cosa – non abbiatevene a male, se io ve la riferisco – che cioè il vostro atteggiamento è stato avverso allo statuto siciliano e ostile, come sempre, alla Sicilia. (Vivi rumori al centro).

CEVOLOTTO, Relatore. No! Anzi hanno dichiarato apertamente di prender atto della comprensione e della amicizia con cui abbiamo trattato con loro.

FINOCCHIARO APRILE. Infatti, per protesta, se ne sono andati via, come gli onorevoli Germanà e Leone Marchesano, deputati al Parlamento siciliano!

Cosicché è venuto non l’auspicato coordinamento formale, ma il coordinamento sostanziale, e si è fatto un altro statuto.

Onorevoli colleghi, io vorrò soffermarmi un poco sulle modificazioni essenziali…

PRESIDENTE. La pregherei di non entrare in un esame particolareggiato delle varie proposte, perché altrimenti tanto varrebbe passare all’esame degli emendamenti. Resti alla esemplificazione.

FINOCCHIARO APRILE. Sta bene. Ma su quattro punti fondamentali qualche parola è necessario che io dica; e di essi il primo riguarda l’articolo 14.

Con questo articolo 14 dello statuto del 1946, vigente, la Sicilia ha la legislazione esclusiva su svariate materie, nel limite delle leggi costituzionali dello Stato. Noi abbiamo lealmente accettato ed applicato questa disposizione; ma non così ha fatto la Commissione la quale l’ha trasformata completamente; e noi dichiariamo nel modo più reciso di non potere aderire a tale arbitraria trasformazione. Il coordinamento non ha nulla a che vedere con quello che avete fatto; perché, quando voi aggiungete nell’articolo 2 del nuovo testo proposto le parole: «In armonia con la Costituzione e i principî dell’ordinamento giuridico dello Stato, col rispetto degli obblighi internazionali e senza pregiudizio delle riforme agraria ed industriale della Repubblica», voi fate cadere di peso il potere di legislazione esclusivo già sancito per la Sicilia, lo riducete a nulla, perché, ove nell’ordinamento giuridico dello Stato vi sia un complesso di leggi organiche riguardanti i vari rami dell’Amministrazione, noi non avremo più nessuna libertà, ma dovremo adattare il nostro potere normativo a queste leggi, anche quando la Sicilia si trovasse nella condizione di avere delle particolari ed imprescindibili esigenze. Ciò è molto grave e distrugge alla base il sistema autonomistico siciliano.

Il secondo punto riguarda l’articolo 21; ed io mi domando: perché avete voluto togliere al presidente della Regione – lasciamo stare il rango di Ministro, ché questa è cosa di carattere formale e di poca importanza – il diritto di intervento nel Consiglio dei Ministri con voto deliberativo e pretendete di dargli soltanto voto consultivo? I rilievi e le osservazioni fatte dall’onorevole Cevolotto sono inconsistenti e non toccano la sostanza delle cose. Bisogna rifuggire dall’eccesso di formalismo; e, in verità, non v’è proprio nulla di strano, né di incostituzionale, che vi sia nel Consiglio dei Ministri un membro non nominato come gli altri, ma designato a farne parte, soltanto per argomenti particolari, da un organo diverso da quello dal quale quelli ripetono la loro origine. Nella storia costituzionale sono numerosi gli esempi del genere. Non vi fu un tempo, ad esempio, nel quale il Ministro per l’Irlanda non era nominato in Gran Bretagna dal re? Perché, dunque, tanto misoneismo a proposito della Sicilia?

La determinazione di fare intervenire nel Consiglio dei Ministri il presidente della Regione con voto deliberativo fu atto di grande accorgimento politico, rispondente ad un vivo desiderio del popolo siciliano, espresso in varie occasioni. L’intervento con semplice voto consultivo non rappresenta niente, sminuirebbe l’autorità ed il prestigio del presidente della Regione e tanto varrebbe sopprimerlo.

Permettetemi ora di esprimervi il mio pensiero sulle modifiche proposte all’articolo 24, per quanto riguarda l’Alta Corte. Noi tenevamo molto, e teniamo molto, a questa nostra Alta Corte. Ha detto benissimo l’onorevole Ambrosini: l’Assemblea Costituente ha già virtualmente convalidato, in due occasioni, l’Alta Corte siciliana, eleggendo i rappresentanti dello Stato in essa, così come abbiamo fatto noi al Parlamento siciliano. Ora ci si viene a dire che quest’Alta Corte dovrà funzionare solo temporaneamente, fino a che non entrerà in carica la Corte costituzionale italiana. Non è, né può essere così. Si tratta di istituzioni diverse nella loro struttura e nelle loro finalità: compito limitato e circoscritto è quello dell’Alta Corte siciliana; compito vasto e complesso quello della Corte costituzionale italiana. Inoltre, nella prima la Sicilia ha la sua diretta rappresentanza, nella seconda no. Vi è, poi, fra esse disparità di poteri per cui l’una non potrebbe assorbire l’altra, senza snaturare il differente criterio che ha guidato il legislatore nell’istituirle. Vorrei dire che vi è fra le due Corti un essenziale contrasto che va mantenuto. Il mio amico Calamandrei, che come cultore eminente di diritto privato è forse meglio dei pubblicisti della Commissione in condizione di rilevare questa antitesi, vi dirà, forse, che quello che avete fatto deve essere, anche nell’interesse giuridico e processuale, assolutamente annullato.

L’Alta Corte per noi siciliani aveva ed ha veramente un significato particolare, un significato tutto nostro, anche in relazione ai contrasti fra lo Stato e la Regione. La Corte costituzionale italiana potrà servire a dirimere i conflitti fra lo Stato e le Regioni regolate normalmente dalla Costituzione; non i conflitti fra lo Stato e le Regioni a statuto speciale, che abbisognano di un ente speciale quale è appunto l’Alta Corte siciliana. Questa, pertanto, deve essere mantenuta.

Vengo finalmente all’ultimo punto, e cioè alla polizia, cui si riferisce l’articolo 31. Credevamo di aver ottenuto una cosa da noi siciliani insistentemente richiesta e sollecitata, quella che la polizia sia alle dirette dipendenze del presidente della Regione. Ripetutamente in quest’Aula, da me e dal collega Gallo, fu deplorato il funzionamento della polizia in Sicilia e furono invocate riforme sostanziali che la mettano, nell’Isola, al livello delle più progredite polizie del mondo. Lo Stato non è riuscito in questa opera e noi confidiamo di riuscirvi.

Ma, oltre a ciò, non vi è autonomia che possa concepirsi e che possa funzionare, senza che il governo della Sicilia abbia nelle sue mani uno strumento così delicato come la polizia. In caso contrario il governo sarebbe alla mercé del Ministro dell’interno italiano, privando il governo siciliano della sua libertà di azione.

L’insistenza con la quale si pretende di restringere notevolmente, se non di sopprimere i poteri del governo siciliano è molto sospetta e noi non possiamo non ribellarci a questo tentativo.

In ultimo debbo rilevare che le tardive e non disinteressate obiezioni di ceti giudiziari e forensi romani, accennate dall’onorevole De Gasperi, alla costruzione in Sicilia di sezioni della Corte di cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti non hanno alcun serio fondamento. Se le sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti sono tecnicamente necessarie in Sicilia, dato l’introdotto sistema dell’autonomia, la sezione della Corte di cassazione è indispensabile. Non si obietti essere ciò contrario all’uniformità della giurisprudenza. Io ho sempre pensato che questa uniformità, da taluni decantata, sia un grave danno, non solo per l’amministrazione della giustizia, ma anche per il progresso degli studi giuridici. L’unificazione delle Corti di cassazione distrusse in Italia parecchi centri di cultura che avevano potentemente contribuito all’evoluzione del pensiero giuridico. Fra questi centri primissimo fu quello di Palermo.

La Corte di cassazione siciliana, che può considerarsi risalente ai tempi di Federico II di Svevia, fu invero la maestra di tutte le altre. Io ricordo che i conflitti di giurisprudenza venivano quasi sempre decisi dalla Corte palermitana. Ed aggiungo che vi sono materie connesse a superstiti istituti giuridici feudali ed ecclesiastici che hanno bisogno di una particolare sensibilità, che non può avere che il supremo giudice siciliano, più adatto, del resto, all’interpretazione e all’applicazione della legge in un paese che ha sue speciali esigenze ed una propria mentalità. Si è tardato fin troppo a creare nell’Isola la sezione della Corte di cassazione, e le sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. La Sicilia attende che lo Stato assolva questo suo impegno a onore.

Concludendo, io dichiaro di non accettare nulla del nuovo statuto. Non lo accetto, non solo perché la Commissione è andata assai oltre le funzioni assegnatele e ha compiuto un eccesso di potere, ma perché dire laggiù che è stato sostituito lo statuto siciliano e fare sapere che si sono soppressi molti dei poteri già attribuiti alla Regione, significherebbe turbare profondamente e con gravi conseguenze il sentimento del popolo siciliano.

Io non voglio usare, onorevoli deputati, parole grosse. Nell’Isola si dice già che qui si vuole tradire il popolo siciliano con questi provvedimenti che voi avete proposti. Io mi auguro che l’Assemblea Costituente, con alto senso di responsabilità, respingerà unanime tutte le proposte lesive di diritti ormai acquisiti e che accoglierà l’emendamento che io ho avuto l’onore di presentare e che si avvicina molto a quello del mio amico Ambrosini, al quale avete tolto la legittima soddisfazione di riferire sullo statuto siciliano. Avete fatto molto male! Anche questo è stato vivamente deplorato in Sicilia.

Chiudo, esortandovi ad operare ognora in modo che la Sicilia guardi sempre benevolmente e fraternamente all’Italia.

LI CAUSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LI CAUSI. Onorevoli colleghi, credo che tutti abbiamo l’impressione che stiamo discutendo e vogliamo risolvere un problema che implica enormi responsabilità; e che non è possibile sfuggire a questa responsabilità.

E non basta che da parte di coloro che in questa Assemblea sono sinceramente antiautonomisti – ed in particolare antiautonomisti nei confronti della Sicilia – vi siano riserve ed avversioni per il nostro statuto.

La Commissione dei Diciotto toglie qualche cosa; il Governo ce ne toglie qualche altra; vedremo certamente sorgere in questa Assemblea qualcuno che si preoccupa di qualche altro aspetto dello statuto siciliano e vorrà togliercelo; a compimento interverranno i giuristi puri, coloro che vogliono che la legge sia unica per lo Stato; che i sommi principî, e principî fondamentali non soffrano offese e si ripeterà l’errore funesto del 1860: la legislazione unica, imposta dall’alto per tutto il Paese.

Oggi però la situazione non è più quella del 1860; allora la classe dominante ebbe la forza di imporre la soffocante uniformità. Oggi le classi dominanti sentono di non averla più questa forza, ed ecco perché si è perplessi in questa Assemblea e si cerca, beninteso per l’amore verso la Sicilia, di darci lo zuccherino. Si dice: «Nell’interesse del Paese noi facciamo questo; non possiamo rinunciare a determinate cose; vediamo se ci sono contrasti giuridici, ecc.».

No, la verità è proprio questa: politicamente si vuole imporre una legislazione unica; si vuole sottrarre più che sia possibile alla Regione siciliana la legislazione esclusiva; si vuole vanificare gli statuti speciali; si vuole impedire alla Sicilia e alla Sardegna di svilupparsi rapidamente.

Se i deputati siciliani si mostrano in questa Assemblea, indipendentemente dal loro colore politico, schierati su un unico fronte è perché hanno una base comune, obiettiva di lotta, cioè la difesa dello statuto siciliano. Su questa base si è creata l’unità del popolo siciliano ed oggi qui i suoi rappresentanti politici, di tutti i settori, sono concordi nel difendere lo statuto che non è una concessione largita dall’alto, ma una conquista del popolo siciliano. Lo statuto dell’autonomia siciliana è il risultato di una lotta, di un travaglio, di una esperienza che non è maturata in questi ultimi anni, anche se la crisi sociale e politica, anche se il cataclisma che abbiamo vissuto ha esasperato le contraddizioni che in periodo normale, attraverso l’esercizio del potere, vengono compresse.

Io devo associarmi a moltissime considerazioni che sono state svolte dall’onorevole Finocchiaro Aprile, le ritengo giuste e credo che siano giuste per tutti i deputati siciliani che sono qui.

Indipendentemente da quelle che possono essere le legittime preoccupazioni dei rappresentanti delle altre Regioni presenti in questa Assemblea, indipendentemente dalla preoccupazione di chi, come noi, ha il dovere di vedere il quadro generale in cui inserire questo problema, v’è un problema essenziale, il problema dell’autonomia speciale siciliana, che si racchiude nell’articolo 14 dello statuto.

Ma come? Non vi bastano i limiti che le leggi costituzionali dello Stato pongono alla nostra autonomia? Quali altri limiti volete che vi siano? Se l’autonomia deve essere una cosa seria, essa ha già i limiti nettamente segnati da una parte dalla Costituzione, dall’altra dallo statuto siciliano. Di qui non possiamo muoverci.

Cosa vuol dire aggiungere all’articolo 14 i limiti di «principî fondamentali dell’ordinamento giuridico»? Che significato hanno queste parole? Ognuno le interpreta a modo suo e voi vedreste che ad ogni momento l’attività legislativa della nostra Assemblea regionale sarebbe paralizzata, perché chi ha interessi contrari al popolo, in ogni legge dell’Assemblea regionale favorevole al popolo vedrebbe una violazione ai principî fondamentali dell’ordinamento giuridico. E voi sapete benissimo come queste cose possono dare adito a discussioni, a lunghe controversie; ed è perciò che si vogliono cacciare nello statuto siciliano proprio per impedire che questo statuto abbia la efficacia che deve avere.

Tutti sappiamo cosa sono le leggi costituzionali dello Stato; sappiamo cos’è lo statuto siciliano; abbiamo due limiti certi; rimaniamo in questi limiti; ma se vogliamo introdurre frasi, affermazioni vaghe che possano prestarsi alle più svariate interpretazioni e possano fare impugnare l’attività legislativa dell’Assemblea regionale, vuol dire che si vuole proprio svigorire l’autonomia della Sicilia.

La Commissione dei Diciotto pur nella forma più corretta e più alta ha assolto al compito di sminuire il vigore e il contenuto della nostra autonomia e ha presentato a questa Assemblea un nuovo statuto. Ma non vi sono stati rapporti men che cordiali tra la delegazione siciliana e la Commissione. Abbiamo discusso lungamente, duramente nella sostanza; ma la forma è sempre stata della massima cordialità. E devo soggiungere che v’è stato uno sforzo di comprensione reciproca.

Il collega Cevolotto, anti-autonomista convinto, essendo un uomo politico sa perfettamente che quando svolge argomentazioni giuridiche tiene conto che quella che sta trattando è una questione politica, non una questione di puro diritto; ed è naturale che egli, attraverso i contatti e le discussioni che ha avuto con la delegazione siciliana, si sia reso conto della legittimità e bontà delle nostre richieste.

Non v’è dubbio su questo; ma non v’è dubbio – e va denunciato – che la Commissione vuol togliere qualche cosa allo statuto della Sicilia. L’orientamento di taluni Gruppi di questa Assemblea e dello stesso Governo è appunto di voler togliere qualche cosa alla Sicilia; difatti, mentre non si è discusso assolutamente da parte della Commissione il gruppo degli articoli che riguardano il problema finanziario della Regione, all’ultimo momento il Ministro Einaudi – fiero oppositore delle autonomie – si è presentato con i suoi emendamenti per silurare lo statuto siciliano. Commissione dei Diciotto, gruppi determinati dell’Assemblea, Governo tutti concordi, anche se non di concerto, per silurare lo statuto siciliano, l’autonomia siciliana.

E ci spieghiamo quindi perché gli appelli che qui sono stati elevati di giusto riconoscimento di ciò che in Sicilia i grandi partiti politici unitari hanno fatto per distendere la situazione, non hanno trovato eco. Se gli onorevoli colleghi delle altre Regioni si fossero rifatti alla situazione siciliana di qualche anno fa, e non esclusivamente nel senso negativo, diciamo così, per opera di Finocchiaro Aprile; o nel senso positivo, per opera di Aldisio, – perché né Finocchiaro Aprile può creare dal nulla il movimento separatista, né Aldisio può frenarlo se non vi sono delle forze in moto su cui basarsi – oggi sarebbero convinti che non per l’intervento di Governo, ma essenzialmente col concorso del popolo siciliano e delle forze più vive di esso quella critica situazione ha potuto sanarsi.

Volete forse onorevoli colleghi, proprio oggi per le prospettive che ci stanno dinanzi e per quello che rappresenta la Sicilia nel Mediterraneo stuzzicare la Sicilia, dare l’impressione ai siciliani che qui il loro problema non è sentito, il problema dell’autonomia, che ci permette di poter dire la prima volta nella storia, non ci prendete più in giro, o signori del Governo centrale, non permetteremo più ai nostri deputati che facciano i rivoluzionari in Sicilia e gli ascari a Montecitorio? (Applausi all’estrema sinistra).

Noi stiamo sanando questa situazione, e venite qui voi altri e volete che questa situazione si riacutizzi, si perpetui! Questo non è più possibile che avvenga, non avverrà più. E non è iattanza la nostra, il popolo siciliano è in movimento con la coscienza della propria forza, del proprio diritto storico e politico, con la coscienza critica che quello che è avvenuto nel ’60, nel ’66, nel ’70, nel ’94, nel 1919 non avverrà più. Non vi sarà più un potere centrale che nomini le solite commissioni di studio che riconoscano che la Sicilia ha diritto ad un determinato trattamento, ma che poi non se ne fa nulla per non turbare gli interessi di quei gruppi che non vogliono assolutamente che la Sicilia risorga e non rimanga una terra di sfruttare.

Teniamo conto che la sensibilità del popolo siciliano è data proprio dalla sua storia e dalla sua posizione geografica; teniamo conto che viviamo in una situazione politica gravida di pericoli, e che proprio in questo momento bisogna saldare il popolo siciliano con tutto il Paese e saldarlo non in modo meccanico o in base a principî astratti di diritto, ma creando in Sicilia condizioni favorevoli al suo sviluppo. Come potete evitare che in questo modo il popolo siciliano non senta l’urto di questa incomprensione, di questa ostilità? Lo statuto siciliano, è una conquista del popolo siciliano; con esso ha fatto le elezioni dell’Assemblea regionale, con esso le sue prime leggi sociali progressive.

Nell’ottobre scorso quando a Roma è venuta una delegazione della Regione a conferire col Capo dello Stato, col Presidente dell’Assemblea Costituente, coi capi partito, tutti, compreso l’onorevole Nitti antiautonomista, hanno dovuto riconoscere che l’esperimento siciliano è un esperimento positivo, perché l’autonomia, così come nell’Assemblea regionale siciliana incomincia ad essere attuata con la partecipazione, si può dire, di tutto il popolo, ha dato impulso alla creazione di una moderna coscienza democratica della Regione che non vedrà più i suoi problemi deformati o attenuati dalla distanza che v’è tra Palermo e Roma, o peggio misconosciuti per la prevalenza di sordidi interessi particolari.

Il popolo siciliano, partecipando direttamente alla formazione delle sue leggi, compie enormi progressi sulla via della democrazia, dà un contenuto progressivo all’autonomia affinché corrisponda agli interessi del popolo siciliano, cioè a quelli di tutto il Paese.

Allora, poiché il problema è posto non solo nei suoi termini storici, ma in quelli politici attuali, vorreste qui assumervi la responsabilità di acuire il contrasto fra la Sicilia e il resto del Paese, contrasto già attenuatosi e in via di composizione?

Vogliate invece contribuire a rinsaldare questa unità, non meccanicamente, non esteriormente sulla base di astratti principî, ma sulla considerazione del reale interesse particolare della Regione e generale del Paese.

Il popolo siciliano non permetterà che il suo avvenire sia compromesso per il prevalere di interessi particolari. Esso vuol contribuire con tutte le sue forze a quell’opera di risanamento, di unificazione concreta del Paese che deve basarsi sul riconoscimento dei diritti storici e politici della Regione siciliana. (Applausi all’estrema sinistra).

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi, faccio queste mie brevi dichiarazioni dopo gli appassionati interventi degli onorevoli Ambrosini, Finocchiaro Aprile e Li Causi; e voi, unendo ai precedenti gli interventi di altri siciliani che certamente mi seguiranno, avrete senza dubbio l’impressione che a noi, deputati siciliani all’Assemblea Costituente, sia arrivata, con circa duemila anni di ritardo, la lettera di Paolo di Tarso ai Corinzi. Perché noi, in realtà, di questo oggi essenzialmente ci ricordiamo e ci preoccupiamo, al di fuori di ogni divisione politica: di essere siciliani, e di difendere gli interessi dell’Isola nostra.

C’è meraviglia del resto? L’onorevole Bordon è uno solo ed è valdostano; e gli è stato, per conseguenza, più facile essere coerente con se stesso.

L’altro ieri abbiamo visto in quest’Aula uno schieramento compatto di sardi, che faceva veramente onore all’Isola e agli interessi per i quali i rappresentanti del popolo sardo si battevano.

A che cosa si riduce questa questione, che non solo è di pura forma, ma che è, certamente, anche di sostanza? A questo: che se ci potevano essere delle preoccupazioni del genere di quelle sollevate dagli onorevoli Ambrosini e Finocchiaro Aprile avanti il progetto della Commissione, ormai, con gli emendamenti che sono piovuti qui in Assemblea l’un dopo l’altro come «messi di sventura» di Longwy, le preoccupazioni si rivelano più che mai fondate, perché si intacca non soltanto una questione meramente sistematica (sotto il profilo sistematico debbo riconoscere che il progetto della maggioranza della Commissione ha una plastica migliore che non il vecchio progetto), ma si intaccano nella sostanza alcuni diritti che erano ormai acquisiti alla simpatia e agli interessi del popolo siciliano. Forse erano le uniche cose che il popolo siciliano apprezzava!

Per dare un piccolo esempio, c’è un emendamento che riguarda la Corte di cassazione e che ce la nega. Ma questa della Cassazione è un’aspirazione che dura da lustri e lustri e che ha fatto mettere in sciopero le categorie forensi di tutta l’Isola. E l’emendamento porta la firma dell’onorevole Persico che anche in sede costituzionale si è battuto contro le Cassazioni regionali.

Tutto questo ci deve fare preoccupare e ci deve fare riflettere. In sostanza noi, contentandoci di quello che fu promesso e concesso e che ha rappresentato da mesi e mesi un’opera viva della nuova vita politica siciliana, rinunciamo a qualche vantaggio che il nuovo progetto offre.

Un esempio per tutti. All’articolo 23 del progetto della Commissione, a maggiore garanzia politica per la rappresentanza regionale, che il vecchio statuto non contemplava affatto, è estesa ai rappresentanti dell’Assemblea siciliana l’immunità parlamentare di cui all’articolo 68 della Costituzione.

Però gli emendamenti che attaccano la parte finanziaria, senza la quale l’autonomia diventa stolida e vana parola, ci fanno preoccupare e sono tali da fortificarci nell’impressione che bisogna appoggiare quell’emendamento, che funge da preclusione, e che sostanzialmente è identico nelle varianti di Ambrosini e di Finocchiaro Aprile.

Non si speri su eventuali dissensi fra noi, onorevoli colleghi! Dissensi nel merito o nei particolari ve ne potranno, per avventura, essere, ma la ragione superiore fa sì che noi dobbiamo superarli per salvare quanto più è possibile una garanzia preziosa per il popolo siciliano.

Non voglio avere debolezze retoriche, ma quando vi fu la guerra dei Vespri, in tutta la Sicilia, un solo piccolo paese, Sperlinga, disertò la prova: «sola Sperlinga negavit quod Siculis placuit». Ma io rassicuro i colleghi siciliani che nessuna Sperlinga è oggi presente fra noi. (Applausi).

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Avevo presentato anche io emendamenti al testo del disegno di legge. Dichiaro ora di aderire a quello dell’onorevole Ambrosini. Dirò molto brevemente, cercando di evitare qualsiasi altro riferimento, quale, a parer mio, è la situazione giuridico costituzionale in cui noi ci veniamo a trovare in questo momento. È inutile che io ricordi all’Assemblea quali sono i compiti cui essa è stata chiamata per la legge 16 marzo 1946. Li conosciamo tutti. Sono compiti ben delimitati.

Ora io sostengo che accanto a questi compiti assegnati all’Assemblea Costituente dalla legge istitutiva del 16 marzo 1946 ve ne è un altro assegnato da un’altra legge che ha la stessa origine, e che ha la stessa legittimità: la legge del 15 maggio 1946. Noi avremmo forse potuto, all’inizio della nostra vita di Assemblea, invocando la nostra sovranità, dire che non tenevamo in alcun conto le leggi che precedettero la nascita di questa Assemblea. Non l’abbiamo fatto e quando siamo stati costretti dallo stato di necessità ad infrangere una delle disposizioni della legge 16 marzo 1946 abbiamo nel tempo stesso salvato la forma e abbiamo giustificato questa infrazione con la necessità di dover infrangere in caso diverso un’altra disposizione perché ci trovavamo al bivio: o interrompere i nostri lavori costituzionali o prorogare i poteri. Noi abbiamo in quell’occasione riaffermato la forza e la legittimità della legge costitutiva 16 marzo 1946. Ora domando: quale differenza vi è dal punto di vista costituzionale fra la legge 16 marzo 1946 che assegnava a noi determinati compiti e l’altra legge 15 maggio 1946, anche essa legge dello Stato, la quale assegnava all’Assemblea Costituente l’altro compito del coordinamento dello statuto siciliano già approvato con legge dello Stato e di cui il coordinamento era appunto devoluto all’Assemblea Costituente?

Ora, ma solo ora, ci si viene a dire che l’articolo 116 della Costituzione, da noi approvato, dichiara che per la Sicilia, come per le altre Regioni, gli statuti speciali di autonomia devono essere emanati mediante legge costituzionale, e si vorrebbe con questo, confondendo la situazione della Sicilia con quella delle altre Regioni per cui sono stabilite forme particolari di autonomia, tenere in nessun conto la legge del 15 maggio 1946 e considerarla superata dalla norma costituzionale.

Mi permetto ricordare ai colleghi dell’Assemblea che la questione fu altra volta sollevata, e precisamente nella seduta del 13 giugno 1947, a proposito di un ordine del giorno che portava le firme degli onorevoli Bonomi Ivanoe, Laconi e altri, in cui a chiusura della discussione sul titolo delle Regioni si diceva appunto che per le Regioni di cui all’articolo 108 del progetto – che erano la Sicilia, la Sardegna, la Val d’Aosta, il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige – dovevano emanarsi norme costituzionali che avrebbero approvato determinati e speciali statuti. Qualcuno si oppose all’ordine del giorno chiedendo precise spiegazioni; e queste spiegazioni vennero. Si disse allora che con l’ordine del giorno non si intendeva assolutamente mettere in discussione ciò che era un fatto storico ormai acquisito, e cioè lo statuto già emanato per la Regione siciliana.

Non intendo infliggervi letture, né tanto meno la lettura di un discorso da me fatto allora e che sarebbe poco interessante, ma in quella domanda che feci in termini precisi ai presentatori di quell’ordine del giorno intendevo appunto chiarire se con quell’ordine del giorno (la dizione poi modificata fu trasportata nell’articolo 116) si intendesse parlare di nuove norme costituzionali, e se non si volesse tener conto che per la Sicilia vi era una situazione speciale creata con l’emanazione della legge 15 maggio 1946. Ricordo che l’Assemblea fu in quell’occasione un po’ intemperante, perché da taluno si voleva che queste richieste di spiegazioni fossero inutili; tanto è vero che l’onorevole Laconi, presentatore dell’ordine del giorno, ebbe a dire (ed ora gli di atto della sua coerenza): «già previsto il coordinamento con la legge costituzionale: questi sono discorsi completamente inutili».

Per quanto la interruzione non fosse stata molto cortese, fui lieto allora (e sono lieto ora rileggendola) di questa frase che interpretava il pensiero di vaste zone dell’Assemblea Costituente. Perché con questa frase s’intendeva dire che la mia preoccupazione era infondata e che non si voleva infirmare l’autorità, il valore, la legittimità dello statuto già accordato con legge dello Stato alla Sicilia. La preoccupazione svaniva di fronte all’affermazione che lo statuto siciliano era un fatto acquisito e che per tale statuto doveva esservi soltanto il coordinamento. Allora potevamo acquietarci a questa interpretazione, tanto più che un’altra interpretazione autorevolissima venne da parte del primo presentatore dell’ordine del giorno: dall’onorevole Bonomi il quale, se non è a capo di un numeroso Gruppo di deputati, è uno degli uomini più eminenti di questa Assemblea e del Paese.

In quell’occasione l’onorevole Bonomi ebbe a dire: «Mi permetta l’Assemblea brevi parole per rispondere all’interrogazione che mi ha rivolto l’onorevole Gullo Rocco. Mi ha domandato se noi, con il nostro ordine del giorno, intendevamo mettere in dubbio l’autonomia siciliana chiedendo che per lo statuto della Sicilia l’autonomia dovrà essere data attraverso una legge costituzionale. Rispondo che nessuno dei presentatori dell’ordine del giorno ha messo in dubbio che si voglia revocare l’autonomia siciliana».

L’ordine del giorno conteneva tre punti, di cui solo l’ultimo riguardava le autonomie speciali. Con i primi due si andava contro l’opinione della maggioranza dell’Assemblea (che si era manifestata per le autonomie regionali), in quanto si proponeva un sistema di semplice decentramento. E l’ordine del giorno non fu approvato a motivo soltanto dei due primi punti.

Comunque, le spiegazioni che allora furono chieste e furono date, nell’assenso di tutti coloro che parlarono, e nel silenzio di tutti gli altri, significarono proprio questo: che con le parole «speciali autonomie da adottarsi mediante norme costituzionali» non si intendesse mettere nel nulla lo statuto siciliano e la legge che questo statuto approvava, ma si intendesse (specie con la parola «adozione», che poteva ugualmente riferirsi sia agli statuti esistenti sia a quelli da farsi) non porre in dubbio quello che era un fatto compiuto e una legge dello Stato.

Io ebbi a dire allora: vi può essere il pericolo che qualcuno più tardi venga a parlare di statuto concesso con legge reale o luogotenenziale. Infatti l’altro giorno ho sentito una osservazione di questo genere.

In sostanza, quando si discusse a proposito delle Regioni, queste osservazioni non furono fatte.

Ecco perché, quando si discusse e si approvò l’articolo 116, nessuno, neppure io, sentì il bisogno di rimettere in discussione questo punto, perché si era raggiunto l’accordo nel ritenere lo statuto siciliano come un fatto compiuto, e come legge dello Stato, da doversi rispettare, la legge 15 maggio 1946, che questa Assemblea era tenuta soltanto a coordinare.

Oggi abbiamo sentito dalla parola autorevole dell’onorevole Cevolotto che la maggioranza della Commissione non ha voluto accettare il punto di vista del semplice coordinamento; ma si è aggiunto: se questo punto di vista non è accettato giuridicamente, è accettato politicamente.

Se le cose stessero così – e forse stanno così, nella buona fede e nella buona volontà, indiscutibili, della maggioranza della Commissione – noi siciliani avremmo potuto acchetarci e dire: non facciamo questione di parole o di formule; noi siamo per il coordinamento, inteso nel suo significato letterale o giuridico, cioè adeguamento, eliminazione dei punti di eventuale contrasto o dissonanza con la Costituzione della Repubblica; ma poiché anche voi, Commissione, pur non accettando questo punto di vista giuridico, lo accettate poi sostanzialmente per considerazioni di carattere politico, è inutile che da parte nostra si discuta a lungo; mettiamoci d’accordo ed approviamo questo testo, se non differisce sostanzialmente dallo statuto siciliano.

Ma vi è il pericolo additato da altri colleghi siciliani, per cui noi siamo costretti a mantenere il nostro punto di vista mentre, se le cose fossero rimaste nella sfera già delimitata dalla maggioranza della Commissione e per essa dall’onorevole Cevolotto, avremmo potuto facilmente venire ad un’intesa, perché non volevamo essere formalisti. Io avevo sostenuto in una delle riunioni di siciliani che era inutile fare questione di parole e di formule e che occorreva metterci d’accordo, chiamando noi coordinamento e la Commissione in altro modo quello che di fatto era la stessa cosa.

Ma il pericolo è stato indicato ed è presente, attraverso il nuovo testo che non devo discutere, ma che indubbiamente è quanto di meglio poteva fare la maggioranza della Commissione, dal suo punto di vista. Si aprono delle braccia, attraverso cui penetrano già insidiosi cavalli di Troia. Ed abbiamo altri emendamenti, di cui non dobbiamo parlare, perché spero che non abbiano ingresso nella discussione; perché vi è una vera e propria preclusione che sorge dalla legge, che non abbiamo mai messo in dubbio, del 15 maggio 1946, che è legge dello Stato, come è legge dello Stato la legge 16 marzo 1946.

Onorevoli colleghi, dovrebbe farvi e vi farà certamente impressione il fatto che tutti i deputati siciliani, a qualunque parte politica appartengano, vi parlano oggi lo stesso linguaggio.

La prima volta che io ebbi l’onore di parlare in quest’Assemblea fu per affermare il mio punto di vista unitario contro certe affermazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, che ritenevo non rispondessero al pensiero della grande maggioranza, anzi della quasi totalità dei siciliani.

Gli indipendentisti, nei miei riguardi, raggiunsero in quell’occasione il primato delle ingiurie, ma, in questa occasione, non posso che condividere il punto di vista di tutti i siciliani, compreso l’onorevole Andrea Finocchiaro Aprile, e vi dico che in questo momento, abbandonando completamente qualunque forma di retorica volontaria e involontaria, io invoco la coerenza, la coerenza del Governo che – è perfettamente vero – ha emanato questa legge e l’ha emanata e firmata coi nomi degli uomini migliori di questa Assemblea; e questa legge è stata non soltanto promessa ma già emanata per la Sicilia, la quale l’ha accettata. Questa legge costituiva il punto d’incontro fra le aspirazioni siciliane e quanto il Governo centrale poteva fare per l’Isola. Invoco la coerenza dal Governo e la coerenza da questa Assemblea, che non ha mai messo in dubbio la portata e la legittimità della legge 15 maggio 1946 e che, in occasione delle elezioni, contro il parere di una minoranza rispettabilissima che non avrebbe voluto creare il fatto compiuto nei riguardi dell’autonomia siciliana, volle invece che si facessero le elezioni. Se questa Assemblea è coerente, come certo è, non può che continuare a fare quel che ha fatto. In omaggio alla coerenza – ripeto, abbandonando qualsiasi forma di retorica volontaria e involontaria – e, debbo dire, anche in omaggio al sacro sentimento di unione della Sicilia con l’Italia, io invoco che oggi venga considerato come vigente lo statuto siciliano. (Applausi).

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Cade di proposito in questa occasione, prima di esprimere il nostro parere sull’emendamento Ambrosini, fare una dichiarazione che possa servire all’opinione pubblica italiana.

Eravamo perfettamente convinti che il primo risultato negativo della Repubblica dovesse esser quello che si sta consumando in questi giorni in quest’Assemblea. (Rumori).

Ma vengo alla Sicilia. Lo spietato regionalismo di marca preminentemente democristiana… (Rumori al centro).

CINGOLANI. Ce ne vantiamo!

CARONIA. È titolo di onore!

COVELLI. Ve lo auguro, nell’interesse del Paese. Io esprimo il punto di vista del Partito nazionale monarchico. Ebbene, questo spietato regionalismo di marca, insisto, preminentemente democristiana, è il sintomo di quella disintegrazione dell’unità d’Italia che noi avevamo paventato già prima del 2 giugno. (Rumori).

Resti acquisita agli atti questa dichiarazione dei monarchici italiani. (Interruzione del deputato Aldisio). Io non credo, o meglio non credevo, che la potenza delle elezioni potesse portare qui dentro a questa fiera di alibi e di demagogia per cui si vedono oggi tornar di moda l’onorevole Finocchiaro Aprile e l’onorevole Li Causi e niente di meno stretti fra loro i democristiani, i comunisti, Finocchiaro Aprile e tutto il resto. (Commenti).

Dopo quanto è stato detto per gli statuti che hanno preceduto la Sicilia, oso permettermi ricordare agli onorevoli colleghi che quello che chiede la Sicilia è ben poca cosa di fronte a quello che è stato concesso nei giorni scorsi alle altre Regioni. (Commenti al centro).

Signori, quando si subordina, in uno degli statuti, la lingua italiana a quella francese (Interruzioni), quando in un altro statuto si parla di maggioranza austriaca e di minoranza italiana, ebbene, la Sicilia, che occupa il migliore posto nella migliore storia d’Italia, non credo che possa trovare giudici – non ne deve trovare – severi alle sue legittime aspirazioni. (Interruzione del deputato Fuschini).

Ho la ventura di rappresentare qui i deputati del Partito nazionale monarchico del Parlamento siciliano e credo, in questa materia, di soffrire un po’ più degli altri un tormento intuibile, anche se inespresso.

Sia chiaro, come credo è chiaro, che proprio perché percepiamo che la maggioranza della Sicilia è decisamente monarchica… (Commenti).

Voci a sinistra. No!

COVELLI. …noi non abbiamo alcun timore, essendo unitari ad oltranza, di essere vicini a tutte le aspirazioni dei siciliani, perché sappiamo benissimo che i monarchici della Sicilia, maggioranza assoluta (Commenti) ancora oggi e più di ieri, i quali pure si sono messi al passo con tutti gli altri, anzi devo dire che sono andati al di là delle richieste degli altri nell’interesse della Sicilia, sapranno più degli altri, più avanti degli altri, nel giorno in cui venisse minacciata l’unità d’Italia, riprendere il loro posto di battaglia, riprendere la battaglia del definitivo risorgimento italiano.

Perciò, ferma restando la nostra riserva nei confronti dell’opinione pubblica italiana, il Partito nazionale monarchico prende posizione netta a favore dell’emendamento Ambrosini (Commenti), non per fare, come hanno fatto gli altri, la gara per non rimanere indietro nella varia demagogia che sarà spiegata in tutti i lembi della Sicilia, ma perché ritiene prima di tutto di rimanere coerente e ligio a quello che già il nostro re aveva sancito a favore della Sicilia, quando firmò un decreto che concedeva alla Sicilia l’autonomia nei termini dello statuto così come è richiesto qui oggi. I monarchici sono poi convinti che la Sicilia merita più di tutte le Regioni cui sono stati, in questi giorni, concessi statuti speciali: e ciò in considerazione del maltrattamento che ha avuto da molti degli uomini che oggi, qui, fanno i ciceroni sprecati delle varie amarezze e dei tormenti siciliani; e meriti soprattutto un trattamento di favore per quello che è l’apporto di sacrificio e di eroismo che la Sicilia ha dato in ogni tempo all’Italia. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.

La seduta termina alle 13.30.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 30 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXXIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 30 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Disegno di legge costituzionale (Seguito e fine della discussione):

Statuto speciale per la Valle d’Aosta (64).

Presidente

Franceschini

Perassi, Presidente della Sottocommissione per gli statuti regionali

Uberti

Bernini

Rodi

Bordon

Scelba, Ministro dell’interno

Lussu, Relatore

Mortati

Bellavista

Giua

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Dossetti

Einaudi, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Dominedò

Bertone

Chatrian

Fabbri

Micheli

Condorelli

Bettiol

Malagugini

Geuna

Tonello

Moro

Fuschini

Caporali

Sull’ordine del giorno:

Mattarella

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Valle d’Aosta. (64).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Valle d’Aosta. (64).

Comunico che gli onorevoli Franceschini, Bertola, Tega, Ponti, Tonello, Laconi, Ferrarese, Preti, hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

conscia delle particolari delicate esigenze di unità e organicità, che sono proprie dell’insegnamento primario e secondario d’ogni tipo e grado, esprime il voto che l’ordinamento giuridico, didattico e amministrativo della scuola italiana non possa essere sostanzialmente modificato dalla eventuale applicazione di norme integrative o d’attuazione, secondo gli Statuti regionali speciali».

L’onorevole Franceschini ha facoltà di svolgerlo.

FRANCESCHINI. Onorevoli colleghi, i deputati del Gruppo parlamentare della Scuola non possono non denunciare all’Assemblea Costituente una preoccupazione viva che si è venuta manifestando, soprattutto in questi ultimi mesi, nel mondo della Scuola italiana; una preoccupazione, la cui eco è riportata nei congressi regionali e provinciali, in ordini del giorno, in lettere e telegrammi a noi inviati da tanti maestri e professori delle scuole d’Italia.

Dicono: la scuola minaccia di dividersi: nel suo organico, nella sua struttura, nella sua amministrazione, nel suo stato giuridico. Lo diranno a torto o a ragione, ma lo dicono. Ora noi dobbiamo proclamare alto e chiaro che questa divisione non è nelle intenzioni dell’Assemblea Costituente. Ieri noi deputati della Scuola abbiamo sentito con il più vivo piacere dalla bocca dell’onorevole Presidente del Consiglio una dichiarazione ferma, in proposito, che certo farà testo di interpretazione così per lo Statuto Alto Atesino come per gli altri Statuti speciali. L’Assemblea Costituente non ha voluto, votando l’articolo 33 della Costituzione italiana, bloccare la libertà, non ha voluto irrigidire l’insegnamento in forme e schemi aridamente statali. Ma non per questo intende alterare, rompere la tradizione di omogeneità, la tradizione gloriosa di unità dell’insegnamento pubblico italiano, che dal 1861 ad oggi ha allineato milioni di insegnanti fra le file dei difensori della Patria, fra le file di coloro che hanno contribuito maggiormente all’accostamento, all’affratellamento di popolazioni già secolarmente divise. Orbene, l’Assemblea Costituente non può consentire che si rinunci a questa tradizione gloriosa.

Ed ecco la ragione del nostro ordine del giorno, che vuole essere insieme una garanzia e una guida: una garanzia ai dubbiosi, che lo Stato italiano è e sarà geloso del suo patrimonio educativo, una guida per i legislatori regionali locali, quasi come una direttiva di marcia, affinché essi non travalichino nell’applicazione delle norme integrative i limiti imposti dalla unitarietà necessaria della Scuola pubblica italiana.

Si tratta, insomma, votando quest’ordine del giorno che a voi sottoponiamo, di stabilire una volta per sempre una pregiudiziale ben chiara; non già per gli Statuti regionali normali, in quanto per essi la questione è semplice, la potestà normativa integrativa riguardando soltanto la scuola artigiana e professionale (e se ne capisce il perché); ma per gli Statuti speciali, aventi potestà normativa di integrazione e di attuazione su tutto l’ordinamento scolastico: qui appunto i dubbi si legittimano, i dubbi che si voglia alterare profondamente quell’unità che la Scuola statale esige e proclama per bocca di tutti i suoi insegnanti.

Ebbene, noi vi preghiamo, onorevoli colleghi, di tranquillizzare la Scuola italiana votando quest’ordine del giorno. E del resto – apro qui una parentesi – la progettata grande riforma, la cui Commissione pochi giorni fa ha iniziato i suoi lavori, vuol essere appunto una garanzia di libertà, nell’ambito degli articoli 33 e 34 della Costituzione, e al tempo stesso vuol mantenere scrupolosamente quanto più possibile l’unità organica dei suoi ordinamenti didattici, giuridici e amministrativi.

Onorevoli colleghi, avendo già vagliato gli Statuti della Sardegna e del Trentino Alto Adige, e mentre ci accingiamo a discutere e ad approvare oggi lo Statuto speciale della Val d’Aosta, come domani quello della Sicilia, rassicuriamo, vi prego, la Scuola italiana. Esaudiamo il voto di tutti gli uomini di questa Scuola: poiché io vi assicuro che non vi è un solo pubblico insegnante, medio o elementare, che voglia separarsi, che voglia far parte a sé, che voglia rinunciare alla conquista compiuta e all’onore di appartenere ai ruoli nazionali.

Diciamo che la libertà e l’autonomia sacre e legittime, non possono significare divisione nella grande e nobilissima famiglia della Scuola italiana, la quale deve restare ora e sempre compatta nell’adempimento della missione amorosa che le è stata affidata!

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di rispondere in nome della Commissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissione si rende pienamente conto delle elevate preoccupazioni che hanno suggerito questo ordine del giorno ed il voto che in esso è espresso.

Siccome questo voto è indicato in termini molto prudenti e non rigidi, riteniamo che possa essere accolto dall’Assemblea Costituente, in modo da costituire un indirizzo per quanto concerne quelle limitate facoltà che talune Regioni hanno in materia di legislazione scolastica, senza tuttavia precludere l’esercizio di tali facoltà, prevedute dalla Costituzione o da Statuti speciali.

Per conseguenza, la Commissione accoglie l’ordine del giorno.

UBERTI, Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. A nome personale dichiaro che voterò contro questo ordine del giorno, perché ritengo che qui non sia in giuoco l’unità della scuola; qui è in giuoco la possibilità di determinate organizzazioni amministrative già in atto con i decreti emanati a favore della Val d’Aosta, dove sono da tener presenti situazioni particolari ed una situazione linguistica. Ora, questo è possibile in un modo più facile, più diretto, più rispondente a bisogni locali con un decentramento, il quale affidi la parte non didattica, non istitutiva, ma amministrativa alla Regione della Val d’Aosta.

Con ciò a me sembra che qui vi siano ripercussioni di quella che era la tesi sostenuta l’altro giorno, quella cioè di mantenere i ruoli unici. Come si fa a mantenere i ruoli unici, quando c’è una esigenza particolare, che cioè gli insegnanti devono conoscere una particolare lingua e insegnare in una particolare lingua?

È evidente che vi sono esigenze particolari e specifiche, che è necessario tener presenti. Ora, il passaggio dal ruolo di Stato alla Regione e viceversa, è regolato dalla proposta dello Statuto. In realtà, ritengo che questo ordine del giorno sia molto meglio esaminarlo non pregiudizialmente, ma quando esamineremo in concreto il titolo riguardante la scuola. Allora potremo vedere in concreto quanto è possibile accogliere di questo ordine del giorno, e quanto invece esso potrebbe precludere quella che è la deliberazione concreta in merito agli articoli dello Statuto che stiamo esaminando.

Faccio pertanto una proposta di rinvio dell’ordine del giorno a quando esamineremo l’articolo che riguarda il problema della scuola.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, le faccio osservare che votare l’ordine del giorno in questo momento non significa qualcosa di diverso del votarlo fra un’ora.

UBERTI. Si preclude.

PRESIDENTE. Non si preclude nulla, perché quest’ordine del giorno, come giustamente diceva l’onorevole Perassi, per motivare ponderatamente l’adesione della Commissione, è redatto con tanta cautela e con tale larghezza di termini, per la sua possibile interpretazione, che nulla preclude. E d’altra parte, se preclusione vi fosse, vi sarebbe anche se votassimo fra un’ora.

Pertanto, penso che la sua richiesta, onorevole Uberti, non abbia sufficiente giustificazione.

BERNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERNINI. A titolo personale, dichiaro che mi associo all’ordine del giorno Franceschini.

Ritengo che, se l’onorevole Uberti fosse al corrente di ciò che sta avvenendo e minaccia di avvenire nel campo della Scuola nelle località contemplate dai singoli Statuti regionali, se egli sapesse, per esempio, quali sono i propositi, che si vanno apertamente manifestando attraverso la stampa della Valle d’Aosta, egli non riterrebbe che questo problema sia secondario; e quindi riterrebbe che sia urgente ed importante che questa Assemblea, nel momento in cui sta per sciogliersi, vincolasse l’azione dei futuri legislatori in difesa dell’unità della Scuola italiana.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Io avrei firmato quest’ordine del giorno, se lo avessi conosciuto in tempo.

Ad ogni modo, nella mia qualità di professore, mi associo: e faccio all’onorevole Uberti la stessa osservazione già fatta dal collega Bernini,

Noi professori abbiamo ricevuto lettere, telegrammi dalla periferia. La Scuola è preoccupata. Solo chi non conosce i problemi della nostra Scuola può votare contro quest’ordine del giorno.

Pertanto, mi associo in pieno, anche a nome dei colleghi della Puglia, che mi hanno telegrafato in questi termini.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. L’allarme, di cui si è fatto portavoce l’onorevole Bernini, non ha alcun fondamento.

Nulla succede in Valle d’Aosta, dove le cose, da tre anni, da quando cioè vige l’attuale ordinamento, vanno regolarmente.

Di fronte a quest’ordine del giorno, così generico, contenente affermazioni che possono contrastare con tale ordinamento, io devo associarmi alla richiesta dell’onorevole Uberti, cioè di esaminare, quanto meno, questo punto, quando tratteremo della questione scolastica.

Se vi fosse un allarme, sarei il primo a farmene interprete. Noi abbiamo portato questa materia alla lettera g) dell’articolo 3, che tratta delle norme di attuazione e di integrazione della legge generale dello Stato.

Ciò dovrebbe bastare a tranquillizzare tutti. La nostra scuola è inquadrata nella legge dello Stato.

Comunque, mi associo alla richiesta di rinvio, formulata dall’onorevole Uberti.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, accogliamo pure la proposta di rinviare la votazione dell’ordine del giorno; penso però che quell’allarme a rovescio, che mi pare la presentazione di questo ordine del giorno abbia suscitato in alcuni colleghi – ed è questa l’unica giustificazione per la domanda di rinvio – si dimostrerà certamente senza fondamento.

Entriamo nell’esame del testo della legge. L’onorevole Mortati mi ha fatto pervenire in questo momento ben tredici emendamenti. (Commenti a sinistra e a destra). Onorevole Mortati, mi domando, come faremo a discuterli? Li conosce lei e li conosco io, ma la Commissione avrebbe avuto ed ha il diritto di chiedere di venire a conoscenza con un certo anticipo di queste proposte, altrimenti noi sentiremo immancabilmente il Relatore dichiarare che egli ci esprime, al massimo, una sua opinione personale e non l’opinione della Commissione, che non può essere consultata nel corso dei lavori stessi.

Il testo dello statuto speciale per la Valle d’Aosta era già ieri in distribuzione ed a disposizione dei deputati. Mi permetta, onorevole Mortati, che io mi rammarichi – molto indulgentemente – che ella non abbia tentato almeno di farci avere i suoi emendamenti durante la mattinata. Avrebbero potuto essere stampati e distribuiti. Io li accetto, ma la prego almeno di accontentarsi di averli presentati e di limitarsi nel loro svolgimento.

Iniziamo l’esame del Titolo I: «Costituzione della Regione». Si dia lettura dell’articolo 1.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Valle d’Aosta è costituita in Regione autonoma, fornita di personalità giuridica, entro l’unità politica della Repubblica italiana, una e indivisibile, sulla base dei principî della Costituzione e secondo il presente Statuto.

«Il territorio della Valle d’Aosta comprende le circoscrizioni dei comuni indicati nell’elenco allegato al presente Statuto.

«La Regione ha per capoluogo Aosta».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo II: «Funzioni della Regione».

Avverto che al testo dell’articolo 2 la Commissione, al primo periodo, dopo le parole: «degli interessi nazionali», ha aggiunto la seguente formula, già adottata nello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige: «nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica». Si dia lettura dell’articolo 2 così modificato.

AMADEI, Segretario, legge:

«In armonia con la Costituzione e con i principî dell’ordinamento giuridico dello Stato e del rispetto degli obblighi internazionali dello Stato e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economiche e sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie:

  1. a) ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale;
  2. b) circoscrizioni comunali;
  3. c) polizia locale urbana e rurale;
  4. d) agricoltura e foreste, zootecnia, flora e fauna;
  5. e) piccole bonifiche ed opere di miglioramento agrario e fondiario;
  6. f) strade e lavori pubblici di interesse regionale;
  7. g) urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica;
  8. h) trasporti su funivie e linee automobilistiche locali;
  9. i) acque minerali e termali;
  10. l) caccia e pesca;
  11. m) acque pubbliche destinate ad irrigazione e ad uso domestico;
  12. n) incremento dei prodotti tipici della Valle;
  13. o) usi civici, consorterie, promiscuità per condomini agrari e forestali, ordinamento delle minime proprietà culturali;
  14. p) artigianato;
  15. q) industria alberghiera, turismo, piani regolatori per zone di particolare interesse turistico e tutela del paesaggio;
  16. r) istruzione tecnico-professionale;
  17. s) biblioteche e musei di enti locali;
  18. t) fiere e mercati;
  19. u) ordinamento delle guide, scuole di sci e dei portatori alpini;
  20. v) toponomastica;
  21. w) servizi antincendi».

PRESIDENTE. A questo articolo, alla lettera q), il Ministro dell’interno propone di sopprimere le parole «piani regolatori per zone di particolare interesse turistico».

L’onorevole Scelba ha facoltà di svolgere l’emendamento.

SCELBA, Ministro dell’interno. Propongo la soppressione di quella frase, in quanto già contenuta nella lettera g).

LUSSU, Relatore. La Commissione è d’accordo.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati, alla lettera v), ha proposto di aggiungere le parole: «salvo sempre l’osservanza del successivo articolo 37».

L’articolo 37 è del seguente tenore:

«Nella Valle d’Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana.

«Gli atti pubblici possono essere redatti nell’una e nell’altra lingua, eccettuati i provvedimenti dell’autorità giudiziaria, i quali sono redatti in lingua italiana.

«Le amministrazioni statali assumono in servizio in Valle d’Aosta possibilmente funzionari originari della Regione o che conoscano la lingua francese.

Prego l’onorevole Lussu di esprimere il parere della Commissione su questo emendamento.

LUSSU, Relatore. La Commissione non l’accetta. Come si fa, per esempio, ad accompagnare la denominazione del comune La Thuile con l’altra, introdotta negli anni scorsi, di Porta Littoria? Basta citare questo esempio per mettere in rilievo l’inaccettabilità della proposta.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Vorrei chiedere se l’onorevole Lussu ritiene, dichiarando inaccettabile la proposta, di poter prescindere dalla osservanza precisa di un articolo dello stesso statuto, che è l’articolo 37, e se in relazione a questa sua opinione di poter prescindere dall’articolo 37 ritiene che debba passare senz’altro l’allegato che abbiamo avuto, in cui tutte le denominazioni, a incominciare da Aosta, sono indicate col nome francese.

LUSSU, Relatore. Si tratta di un errore di stampa! L’articolo 1 dice «Aosta» e non «Aoste».

MORTATI. L’onorevole Lussu dovrebbe chiarire perché non accetta che si coordinino in modo preciso le due norme ricordate.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Se noi accettassimo la proposta del collega onorevole Mortati, noi verremmo ad imporre nuovamente quelle denominazioni pseudoitaliane che il fascismo ha dato alla Regione; per cui si entrerebbe anche in un altro ramo: quello dei nomi e dei cognomi. In conseguenza di queste denominazioni, il nostro collega Bordon non era più Bordon, come il babbo, il nonno e il trisnonno, ma Bordoni. E, se esaminiamo il testo che c’è nel decreto legislativo precedente, vediamo una denominazione italiana che non è una denominazione italiana, ma è una falsa denominazione italiana.

Mi pare che su questo problema delicato, rispettando sempre l’articolo che l’onorevole collega Mortati ha citato, noi, siccome abbiamo messo la toponomastica tra le materie della legislazione regionale, per questa parte mi pare che possiamo rimetterci in seguito al buon senso del popolo valdostano e dei suoi rappresentanti, i quali non sono affatto dei maniaci, come erano i reggitori di quell’epoca non lontana.

Evidentemente, se un nome italiano è nelle tradizioni, si imporrà, e quel dato comune avrà due nomi: ma, se non ne ha mai avuto che uno, ne avrà uno solo; oppure avrà quel nome che il buon senso ed il gusto degli abitanti della Val d’Aosta vorranno dargli.

PRESIDENTE. Osservo che la proposta dell’onorevole Mortati non è proponibile. D’altronde, se la si prende così come è, nella sua dizione letteraria, non si capisce che cosa voglia dire.

L’articolo 37, nel primo comma dice: «Nella Valle d’Aosta, la lingua francese è parificata a quella italiana».

Ciò significa che la toponomastica può portare nomi italiani o francesi, ma non contemporaneamente, sempre, nomi italiani e francesi; proprio perché vi è l’equiparazione delle due lingue.

Il secondo comma dice: «Gli atti pubblici possono essere redatti nell’una e nell’altra lingua, eccettuati i provvedimenti dell’autorità giudiziaria, i quali sono redatti in lingua italiana». Ora, io credo che i nomi delle località o i nomi propri non facciano parte dell’altra lingua, ma sono ciò che sono; e quando debbono essere ripresi, vengono ripresi così come essi sono.

Infine il terzo comma dice: «Le amministrazioni statali assumono in servizio in Valle d’Aosta possibilmente funzionari originari della Regione o che conoscano la lingua francese». Questa è una cosa che non ha niente a che fare con la toponomastica.

Quindi, il richiamo non è adeguato. Per questa ragione probabilmente non vi è da fare ulteriore discussione, su questo punto, perché si metterebbe soltanto in grave imbarazzo il legislatore futuro o l’amministratore della Regione della Valle d’Aosta, se si imponesse loro un impegno al quale poi non si può dare praticamente nessun seguito.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Vorrei domandare soltanto un chiarimento alla Commissione, in relazione all’emendamento Mortati, per il quale condivido le osservazioni fatte dall’onorevole Presidente.

Nell’allegato, al n. 3 io leggo: «Aoste». Domando da che cosa risulta che questo è un errore di stampa.

LUSSU, Relatore. È stato già corretto, perché era semplicemente un errore materiale di stampa.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Se rimane l’emendamento, vorrei dire una parola, poiché qui vedo che si fanno confusioni.

Comprendo, per chi non conosce la Val d’Aosta, che si possano sollevare questioni come queste. Ma chi conosce la nostra Valle sa che i nostri nomi sono originari. Ora, che vi sia l’uso delle due lingue non vuol dire, evidentemente, che si debba arrivare all’assurdo, come aveva fatto il fascismo, di voler cambiare i nomi originari.

Esattamente rilevava il collega Lussu che sotto il fascismo si era arrivati persino a cambiare non solo i nomi di località, ma anche quelli delle persone. Ora, contro queste cose insensate e per noi offensive, ricordo una cosa sola. Sono stato combattente della grande guerra ed anzi volontario; da questa trincea sono passato a quella dell’antifascismo, in cui sono rimasto sempre e di cui mi è grato ricordare quelli fra di voi coi quali ho lottato e sofferto. Ho preso parte alla guerra di liberazione e da questa (anche se alla mia età potrei forse aver diritto di aspirare alla riserva) sono sceso ad un’altra battaglia, che è quella che combatto in questo momento. Sono qui dinanzi a voi e vi domando di accordarmi la vostra fiducia, in base non alle mie parole, ma in base al mio passato. Onorevoli colleghi, voi dovete credermi quando vi dico che la Valle d’Aosta, anche se parla il francese, non è seconda a nessuno per i suoi sentimenti di italianità. In francese parlavano anche i suoi meravigliosi alpini, che conquistarono il Grappa, il Santo e il Vodice.

Onorevoli colleghi, non potete far questioni che ci feriscono. Noi abbiamo diritto di portare i nostri nomi originari, ed è superfluo che ricordi che per l’articolo 19 del decreto 7 settembre 1945 fu riconosciuto alla Valle d’Aosta il diritto di ripristinare nella loro forma originaria i nomi di località che erano stati bestialmente soppressi o modificati dal passato regime.

Questi nomi ci appartengono, sono per noi un patrimonio prezioso; e perciò chiedo che l’emendamento sia respinto.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Mi pare che la proposta, come è stata fatta, ha una portata modesta, e non merita né la mozione degli affetti, cui è ricorso l’onorevole Bordon, né il rimprovero di incongruenza che le ha mosso il Presidente. Includendo la toponomastica tra i compiti legislativi della Regione, si intende dare a questa la facoltà di dettare le norme per la denominazione delle località, o di modificare quelle esistenti. Io mi riferivo pertanto alla futura attività normativa della Regione in ordine alla toponomastica, e pensavo che, sotto questo punto di vista, non sia affatto incongruo di limitare tale compito nel senso di metterlo in armonia con il principio generale sancito nell’articolo 37. Cosicché ogni statuizione in materia non possa trascurare l’esigenza della bilinguità, dell’assoluta parità dell’italiano e del francese.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, le confesso che non vedo proprio come l’articolo 37 possa impegnare in avvenire una Amministrazione nel senso che lei dice; l’articolo 37 reca semplicemente che la lingua francese è parificata alla lingua italiana ed io non vedo che vi sia un rapporto logico fra la sua proposta e il richiamo che lei fa all’articolo 37.

GIUA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUA. Mi pare che questa questione della toponomastica sia stata male impostata, per scarsa conoscenza della questione stessa. L’italianizzazione dei nomi della Valle d’Aosta era un problema veramente assurdo che fu impostato dal fascismo. Ora, l’onorevole Mortati pensa che i nomi della Valle d’Aosta siano nomi in lingua francese, mentre ciò non è esatto, perché sono nomi che vanno posti in relazione con il dialetto locale che è un patois francese e nemmeno dappertutto, perché in certe zone, come nella Valle di Gressoney, si tratta invece di un patois caratteristico tedesco perché, per le lotte di religione, ci fu in quelle plaghe un’immigrazione di tedeschi svizzeri.

Già quindi la Commissione è andata troppo in là, mutando dei nomi, come la Valle Savaranche che sarebbe diventata Valsavarenche e la Valt Tournanche che sarebbe diventata Valtornenche. Io pregherei quindi di non insistere su questo problema, perché è stato impostato in un modo molto infelice.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Mortati:

«Alla lettera v), aggiungere: salvo sempre l’osservanza dell’articolo 37».

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’articolo 2 con l’emendamento del Ministro dell’interno, accettato dalla Commissione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione ha la potestà di emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica, entro i limiti indicati nell’articolo precedente, per adattarle alle condizioni regionali nelle seguenti materie:

  1. a) industria e commercio;
  2. b) istituzione di enti di credito di carattere locale;
  3. c) espropriazione per pubblica utilità per opere non a carico dello Stato;
  4. d) disciplina dell’utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico;
  5. e) disciplina della utilizzazione delle miniere;
  6. f) finanze regionali e comunali;
  7. g) istruzione materna, elementare e media;
  8. h) previdenza e assicurazioni sociali;
  9. i) assistenza e beneficenza pubblica;
  10. l) igiene e sanità, assistenza ospedaliera e profilattica;
  11. m) antichità e belle arti;
  12. n) annona;
  13. o) assunzione di pubblici servizi».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 4. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione esercita le funzioni amministrative sulle materie nelle quali ha potestà legislativa a norma degli articoli 2 e 3, salve quelle attribuite ai comuni dalle leggi della Repubblica.

«La Regione esercita altresì le funzioni amministrative che le siano delegate dallo Stato con legge».

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi pare che per l’esattezza, dopo le parole: «salve quelle attribuite ai Comuni», bisognerebbe aggiungere: «e alle istituzioni di beneficenza».

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Si potrebbe dire in termini più generali: «e agli altri enti locali».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 4 con questo emendamento.

(È approvato).

Passiamo al Titolo III: «Finanze, demanio e patrimonio». Si dia lettura dell’articolo 5.

AMADEI, Segretario, legge:

«I beni del demanio dello Stato situati nel territorio della Regione, eccettuati quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale, sono trasferiti al demanio della Regione.

«Sono altresì trasferiti al demanio della Regione le acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile.

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 6. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I beni immobili patrimoniali dello Stato, situati nella Regione, sono trasferiti al patrimonio della Regione.

«Fanno parte del patrimonio indisponibile della Regione:

le foreste, che a norma delle leggi vigenti, appartengono allo Stato;

le cave, quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo;

gli edifici destinati a sede di uffici pubblici della Regione e gli altri beni destinati a un pubblico servizio della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 7. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le acque pubbliche esistenti nella Regione, eccettuate quelle indicate nell’articolo 5, sono date in concessione gratuita per novantanove anni alla Regione. La concessione potrà essere rinnovata.

«Sono escluse dalla concessione le acque che alla data del 7 settembre 1945 abbiano già formato oggetto di riconoscimento di uso o di concessione.

«Alla cessazione dell’uso o della concessione di tali acque, la Regione subentra nella concessione salvo che lo Stato non intenda farne oggetto di un piano di interesse nazionale.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Domando solo una spiegazione: se le opere fossero state iniziate dopo il 1945, che cosa avviene?

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, vuole rispondere lei al quesito?

LUSSU, Relatore. Si rispetta la concessione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non è molto chiaro.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. In armonia con i concetti espressi ieri per un articolo che verteva sulla stessa materia, dovrei chiedere la soppressione, o quanto meno una trasformazione di questo articolo. Però non mi illudo sull’esito di questa proposta. Soltanto vorrei esprimere un desiderio: vorrei che la Commissione manifestasse il suo parere circa la convenienza che la riserva terminale dell’articolo: «salvo che lo Stato non intenda farne oggetto di un piano d’interesse nazionale» venga estesa anche alle acque di cui al comma primo, cioè che sia garantita la possibilità da parte dello Stato, secondo i concetti espressi ieri, di manovrare in maniera unitaria l’impiego di energia elettrica, anche per le acque di cui al primo comma dell’articolo 7.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, vuole esprimere il parere della Commissione?

LUSSU, Relatore. Secondo me, la questione è molto chiara, e non capisco perché il collega Dossetti vi insista, né mi rendo esatto conto dell’importanza che il collega Dossetti vuol dare a questa proposta. Chiede egli se debba lo Stato entrare nella utilizzazione delle acque di cui al primo comma dell’articolo 7?

Ma il primo comma dell’articolo 7 dice che le acque pubbliche esistenti nella Regione, eccettuate quelle indicate nell’articolo 5 (che sono le acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile) sono date in concessione gratuita per novantanove anni alla Regione, e che la concessione potrà essere rinnovata. Quindi lo Stato è sempre il titolare patrimoniale di queste acque, e allo scadere della concessione può rinnovarla.

Che cosa vuole l’onorevole Dossetti? Questo che si è detto è estremamente chiaro, io credo.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. A dire il vero mi aspettavo una risposta diversa e meno evasiva dall’onorevole Lussu. Io volevo esprimere questo concetto: che anche per le concessioni di cui al primo comma, e salva sempre la forma della concessione, tutte le utilizzazioni rispondano ai criteri che possano essere stabiliti di un piano di interesse nazionale per l’esercizio e la produzione dell’energia elettrica.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Mi sembra che la specificazione dell’onorevole Dossetti sia superflua, poiché ora la situazione è questa: tutte le acque che non erano state concesse fino al 1945 alla data del 7 settembre 1945, furono già assegnate alla Regione, per novantanove anni e la concessione potrà essere rinnovata.

Pertanto se come ha rilevato l’onorevole Lussu, lo Stato non crederà di rinnovarla al termine prescritto, potrà farlo, senza che tale facoltà sia menzionata.

Devo ricordare all’onorevole Dossetti che la concessione di cui si tratta, trae origine dal decreto 7 settembre 1945, e che nella disposizione in esame non si fa che riportare quanto risulta da tale decreto.

Abbiamo poi altre sottodistinzioni che vedremo all’articolo seguente.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Credo che la risposta che potrei dare al collega Dossetti renda inutile il suo emendamento. Se devo –, e non può essere differentemente – dare una interpretazione logica al suo pensiero, credo che l’interpretazione sia quella che sto per dire, perché altrimenti non riuscirei a spiegarmi l’insistenza dell’onorevole Dossetti.

Vuol egli, in sostanza, chiedere se all’ultimo comma dell’articolo 7 «alla cessazione dell’uso ecc., ecc.» che penso egli abbia sott’occhio, debbano essere comprese quelle acque di cui al secondo comma, e le acque di cui al primo? È così?

PRESIDENTE. La prego, onorevole Lussu. L’onorevole Dossetti ha spiegato chiaramente il suo pensiero, che è questo: le acque di cui al primo comma, ove nel corso di questi 99 anni, in base ad un piano di utilizzazione di interesse nazionale, dovessero essere comprese in questo piano, vengono sottratte alla concessione di cui al primo comma.

LUSSU, Relatore. Ma è detto nell’ultimo comma dell’articolo 7!

PRESIDENTE. No, mi permetta, l’onorevole Dossetti sostiene che prima della cessazione dei 99 anni può anche avvenire quella eventualità.

DOSSETTI. È così. Lei ha interpretato perfettamente il mio pensiero.

PRESIDENTE. L’onorevole Dossetti propone che dopo il primo comma si dica: «La concessione è subordinata in ogni caso alla condizione che lo Stato non intenda fare oggetto le acque di un piano di interesse nazionale».

Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 7: «Le acque pubbliche esistenti nella Regione, eccettuate quelle indicate nell’articolo 5, sono date in concessione gratuita per novantanove anni alla Regione. La concessione potrà essere rinnovata».

(È approvato).

Passiamo all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Dossetti: «La concessione è subordinata in ogni caso alla condizione che lo Stato non intenda fare oggetto le acque di un piano di interesse nazionale».

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Collocando l’emendamento Dossetti sotto il primo comma, vengono ad essere assoggettate a questa condizione di riserva unicamente le acque concesse alla Regione e non vengono sottoposte quelle concesse, prima del noto decreto legislativo, a società private.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Io ho intitolato il mio emendamento come comma aggiuntivo, e quindi era mio intendimento che l’emendamento aggiuntivo venisse votato come ultimo comma dell’articolo e perciò comprendeva evidentemente tutte le concessioni a cui l’articolo 7 faceva riferimento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma così formulato:

«Sono escluse dalla concessione le acque che alla data del 7 settembre 1945 abbiano già formato oggetto di riconoscimento di uso o di concessione».

(È approvato).

Pongo in votazione la prima parte dell’ultimo comma:

«Alla cessazione dell’uso o della concessione di tali acque, la regione subentra nella concessione».

(È approvata).

Pongo ora in votazione la soppressione della parte successiva del comma: «salvo che lo Stato non intenda farne oggetto di un piano di interesse nazionale».

(È approvato).

Pongo in votazione il comma aggiuntivo dell’onorevole Dossetti, di cui ho già dato lettura.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 8. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le concessioni di acque indicate nel secondo comma dell’articolo precedente, che alla data del 7 settembre 1945 non siano state utilizzate, passano alla Regione.

«Il Presidente della Giunta regionale ha facoltà di provocare dagli organi competenti la dichiarazione di decadenza delle concessioni, ove ricorrano le condizioni previste dalla legge.

«Non è ammessa la cessione delle concessioni indicate nel presente articolo. Le acque concesse alla Regione potranno da questa essere subconcesse, purché la loro utilizzazione avvenga nel territorio dello Stato e secondo un piano generale da stabilirsi da un Comitato misto composto di rappresentanti del Ministero dei lavori pubblici e della Giunta regionale.

«Le subconcessioni saranno istruite secondo la procedura e le norme tecniche per le concessioni fatte dallo Stato».

PRESIDENTE. L’onorevole Bordon propone di sopprimere l’ultimo comma. Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

BORDON. Mi pare che l’inciso contenuto nell’ultimo comma sia superfluo, poiché esso si riferisce a disposizioni generali.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Vorrei chiedere all’onorevole Bordon di ritirare questo suo emendamento, che mi pare superfluo e può essere dannoso. Togliendo l’ultimo comma sembra che si possa ammettere che le subconcessioni devono essere date con una procedura diversa da quella stabilita nelle leggi vigenti.

Tutti sappiamo, ed io l’ho ricordato parecchie volte in questa Assemblea, che la legge Bonomi, la quale regola le concessioni di acque pubbliche, è una delle leggi più sapienti della nostra legislazione; è una legge che ci è invidiata da tutti i Paesi. Non vedo quindi perché si debba stabilire espressamente, togliendo quest’ultimo comma, che si debbano seguire altre regole, tanto più che noi abbiamo già votato l’articolo 3, il quale dice che la Regione ha la potestà di emanare norme legislative di integrazione e di attuazione anche su questo argomento. Quindi io credo sia utile conservare come regola il principio che le subconcessioni debbano essere date secondo la legislazione vigente, che è ottima. Però se la Regione riterrà che in qualche parte questa legislazione debba essere adattata alle circostanze locali, essa ha il potere di farlo in virtù dell’articolo 3. Perciò prego l’onorevole Bordon di desistere dal suo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Bordon mantiene il suo emendamento?

BORDON. Dissento da tal ragionamento. Dal momento che si è riservata la possibilità alla Regione di adattare questa legge, se lo ripetiamo all’articolo 8 non potremo modificarla. In sostanza dobbiamo riferirci alla potestà che abbiamo votato, che consente un eventuale adattamento, che può essere in contrasto con l’ultimo comma dell’articolo 8.

Ad ogni modo, se c’è motivo di preoccupazione, non insisto.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del Bilancio. Si potrebbe aggiungere: «salvo l’applicazione dell’articolo 3». Ma mi pare inutile.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 8, di cui è stata data lettura.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 9. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Per le subconcessioni di derivazioni a scopo idroelettrico, la Regione non potrà applicare canoni che superino i limiti che saranno stabiliti dal Governo dello Stato, sentita la Giunta regionale».

PRESIDENTE. L’onorevole Bordon ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere i commi seguenti:

«La subconcessione può essere subordinata all’impegno di fornire gratuitamente energia elettrica per servizi pubblici nei limiti di quantità prescritti dalle leggi vigenti ed a prezzi ridotti per usi domestici e per artigianato locale.

«Lo Stato cederà a favore della Valle i nove decimi del canone annuale percepito a norma di legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

BORDON. Questa condizione è già contenuta anche nel decreto 7 settembre 1945 dove si dice precisamente che la subconcessione può essere subordinata all’impegno di fornire gratuitamente l’energia elettrica per servizi pubblici nei limiti di quantità prescritti dalle leggi vigenti ed a prezzo ridotto per uso domestico e dell’artigianato locale. In sostanza non si tratta di una innovazione. È un semplice richiamo di una disposizione che era stata dimenticata nella fretta della stesura del testo. Nella legge del 1945 il canone era concesso solo per due terzi, ma chiedo che la Assemblea voglia concedere alla Valle i nove decimi di esso, conformemente a quanto venne disposto per l’Alto Adige.

PRESIDENTE. L’onorevole Lussu ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LUSSU, Relatore. Concordo, perché questo è in armonia con le norme del decreto legislativo già citato. Non lo avevamo messo perché ci riferivamo, forse a torto, a quel modus vivendi che si è stabilito fra finanza e Regioni, per cui vengono pacificamente riconosciuti tutti gli articoli della legislazione luogotenenziale. In pratica, non c’è nessun danno. Credo che si possa accettare la proposta dell’onorevole Bordon.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Domando all’onorevole Bordon se quella aggiunta nel primo comma dell’articolo 3 sia davvero necessaria. Ricordo ancora che abbiamo votato l’articolo 3. In esso si stabilisce che la Regione può emanare norme legislative d’integrazione a proposito della disciplina ed utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico. Quindi, emanando queste disposizioni, potrà emanare anche quelle norme che riterrà opportuno di stabilire per coloro che vorranno chiedere la subconcessione dalla Regione. Mi pare inutile ripetere due volte il medesimo concetto.

Il quale, anche impegnerebbe la Regione per la legislazione futura, che potrà invece essere adattata alle circostanze che verranno a svilupparsi in avvenire. In avvenire, infatti, potrà darsi che la Regione ritenga conveniente usare metodi diversi da quelli oggi prevedibili.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 9 del quale è stata data lettura.

(È approvato).

Onorevole Bordon, insiste nel suo emendamento aggiuntivo?

BORDON. Mantengo soltanto il secondo comma.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi pare ci sia un equivoco. L’articolo 9 tratta delle subconcessioni; ora, le subconcessioni sono regolate dalla Regione; non vi sono diritti dello Stato.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Ho già dichiarato di rinunciare al primo comma dell’emendamento, mentre insisto sul secondo.

Chiedo che i due terzi del canone annuale, che erano stati concessi dal decreto 7 settembre 1945, siano elevati a nove decimi. Per essere più chiari, possiamo specificare «per le concessioni anteriori al 1945».

PRESIDENTE. L’onorevole Grassi fa notare che l’articolo 9 è dedicato alle subconcessioni, mentre la proposta Bordon dovrebbe trovar posto nell’articolo che tratta delle concessioni.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. La questione sollevata dall’onorevole Bordon rientra fra le questioni finanziarie.

Se questi canoni sono concessi alle altre Regioni, a maggior ragione devono essere alla Valle d’Aosta.

PRESIDENTE. Si può votare sulla proposta, salvo il collocamento, in sede di coordinamento.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Comprendo perfettamente la richiesta formulata dall’onorevole Bordon; ma essa rientra in tutto il sistema finanziario, per cui si è stabilito un modus vivendi tale, che sodisfa la Regione ed il Ministero delle finanze.

Ora, lo Stato dà attraverso questi canoni qualche cosa, ma dà molto di più in altra forma, per sopperire alle esigenze dei servizi statali passati alla Regione. Quindi la richiesta è già praticamente sodisfatta.

Sono d’accordo sulla sostanza, ma dovrei oppormi riguardo alla forma, perché, ripeto, la questione rientra nel modus vivendi esistente e che vorremmo fosse provvisoriamente conservato, finché una futura legge organica delio Stato, d’accordo con la Regione, non fisserà definitivamente l’ordinamento finanziario della Regione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Credo conveniente attendere, per votare questo comma, quando parleremo dell’articolo 13, cioè dell’ordinamento finanziario, perché tutto dipende dalla formula che sarà usata per regolare questo problema centrale. Se, per ipotesi, passasse la formula che c’è nel testo attuale, e che non è quella che la Commissione desiderava, avrebbe ragione l’onorevole Lussu; ma se, per ipotesi, si aderisse ad una formula sulla linea di quella adottata per le altre Regioni delle quali abbiamo approvato gli statuti, ed in parte anche sulla linea della formula proposta dal Ministro Einaudi, allora converrà fare una disposizione particolare, specifica, per quanto concerne la devoluzione alla Regione, in tutto o in parte, del canone per le concessioni date dallo Stato. Pertanto propongo di accantonare per il momento il voto sull’emendamento Bordon.

PRESIDENTE. Onorevole Bordon, la prego di aderire all’invito dell’onorevole Perassi.

BORDON. Sta bene.

PRESIDENTE. Esamineremo il suo emendamento nella sede più adatta.

Passiamo all’articolo 10. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I termini per l’applicazione delle norme, contenute nel testo unico delle leggi speciali sulle acque e sugli impianti elettrici, a favore dei comuni, per i loro servizi pubblici, se prescritti, sono riaperti a decorrere dal 7 settembre 1945».

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Faccio, in merito a quest’articolo, la stessa riserva formulata ieri a proposito dell’articolo 91 dello statuto per il Trentino-Alto Adige: ancora una volta si viola il principio della irretroattività della norma.

PRESIDENTE. L’onorevole Bordon ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’articolo 10:

«Aggiungere il comma seguente:

«Le acque ad uso potabile ed irriguo non saranno soggette ad alcuna imposizione di canone».

Ha facoltà di svolgerlo.

BORDON. Propongo di aggiungere un comma, nel quale sia detto che le acque ad uso potabile ed irriguo, passate al demanio regionale, non saranno soggette ad alcuna imposizione di canone. È opportuno aggiungere questo inciso, perché, passando al demanio regionale le acque dei Comuni, in sostanza siano salvaguardati i diritti dei Comuni, e ciò in conformità al decreto 7 settembre 1945, n. 546.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Questo emendamento, anzitutto per quanto concerne la collocazione, non dovrebbe apparire nell’articolo 10, ma, se mai, essere collocato nell’articolo precedente, vale a dire il 9. In realtà, per ragioni di materia, dovrebbe essere inserito nell’articolo 9, perché qui, come del resto l’onorevole Bordon ha già detto, si tratta di limitare una facoltà della Regione per quanto concerne l’uso di quelle acque destinate ad irrigazioni o potabili, che sono assegnate alla Regione come demanio. Nell’articolo 9 si pone un limite alla facoltà della Regione per quanto riguarda le subconcessioni, nel senso che la Regione non può stabilire canoni eccedenti una certa misura. Con l’emendamento proposto dall’onorevole Bordon si aggiungerebbe che la Regione non può stabilire nessun tributo per quanto concerne l’uso di quelle acque già attualmente destinate ad uso potabile ed irriguo. E ciò, per l’interesse dei Comuni e dei consorzi. In questo senso la disposizione dovrebbe passare all’articolo 9 e subire qualche lieve ritocco di forma, per meglio marcare il carattere della disposizione.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Vorrei fare una precisazione in merito all’emendamento Bordon, dove si dice che «le acque ad uso potabile ed irriguo non saranno soggette ad alcuna imposizione di canone». Non faccio obiezioni sulla sostanza, quando sia ben chiaro che si tratta di canoni che dovrebbero esser imposti dalla Regione. Ma questa formula potrebbe anche significare i canoni che debbono essere pagati dagli utenti di acque ad uso potabile ed irriguo che esercitano questa industria, enti pubblici o consorzi. Gli enti pubblici ed i consorzi che sono proprietari delle acque ad uso di irrigazione o ad uso potabile, hanno ben ragione di farsi pagare dagli utenti un canone per l’uso delle acque stesse. Non vorrà questo emendamento rendere impossibile ai consorzi ed ai Comuni l’esercizio di questi utili servizi pubblici? Chiedo una spiegazione a questo riguardo.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Il testo è identico a quello che c’era nel decreto del 1945, dove era detto che «le concessioni per uso potabile ed irriguo già esistenti non saranno soggette ad alcuna imposizione di canone». Oggi che le acque passano di proprietà al demanio regionale, sarebbe la Regione che potrebbe imporre questi canoni e ciò lederebbe i diritti dei Comuni.

LUSSU, Relatore. Si può aggiungere: «da parte della Regione».

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Potrebbe anche darsi che un canale per uso potabile o di irrigazione fosse esercitato da un’impresa pubblica in concessione dello Stato. Ora, lo Stato ha ben il diritto di ottenere il rimborso delle spese. Questo si chiama canone. Io non faccio obiezioni sulla sostanza dell’emendamento Bordon, ma chiedo solo che il suo pensiero sia chiaramente espresso.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Credo di aver ben chiarito il mio pensiero. In sostanza, da noi non ci sono questi canali esercitati nel modo accennato dall’onorevole Einaudi. Anche per la legge 1945 il contributo non si pagava, perché in essa era detto che «le concessioni per uso potabile ed irriguo già esistenti non saranno soggette ad alcuna imposizione di canone».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 10.

(È approvato).

Tenendo presente il suggerimento dell’onorevole Lussu, di aggiungere cioè le parole «da parte della Regione», pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Bordon, salvo poi ad inserirlo, secondo la proposta Perassi, all’articolo 9, con la riserva di rivederne la forma.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 11. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le miniere esistenti nella Regione sono date in concessione gratuita alla Regione per novantanove anni. La concessione potrà essere rinnovata.

«Non è ammessa la cessione della concessione predetta.

«Dalla concessione sono escluse le miniere che alla data del 7 settembre 1945 abbiano già formato oggetto di concessione, salvo che alla concessione non sia seguito lo sfruttamento nei termini previsti dalla legge, nel qual caso la concessione s’intende decaduta e assegnata alla Regione.

«Le modalità e le norme tecniche delle subconcessioni delle miniere da parte della Regione sono stabilite con legge regionale in armonia con le norme vigenti per le concessioni fatte dallo Stato».

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Mi permetto di chiedere per quale criterio, mentre nell’ultimo comma dell’articolo 11 le modalità e le norme tecniche delle subconcessioni di miniere sono stabilite con legge regionale, nell’articolo 8 invece, in tema di concessioni di acque, lo stesso problema delle modalità e norme tecniche appare, in via di principio, definito con legge dello Stato. Domando, se non creda la Commissione di adottare anche all’ultimo comma dell’articolo 11 in tema di miniere lo stesso criterio, usando la stessa formula dell’articolo 8 in tema di acque. E ciò sempre con la riserva, già fatta dall’onorevole Einaudi, per cui la legge dello Stato può a sua volta subire da parte della Regione gli adattamenti che sono contemplati all’articolo 3 del disegno di legge.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. In realtà non c’è alcuna differenza, perché anche in quest’ultimo comma dell’articolo 11, pur riferendoci a leggi regionali, si dice appunto: «in armonia con le norme vigenti per le concessioni fatte allo Stato».

Cosicché nessuna preoccupazione dovrebbe sorgere, ed io dico che non vale la pena di perdere tempo per sostituire con altre formulazioni una che è sufficientemente chiara e garantisce ogni attività regionale, così come garantisce lo Stato da ogni attività regionale che possa contrastare con le norme fondamentali del regime minerario.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Volevo chiedere alla Commissione se non ritenga più opportuno di modificare lievemente il terzo comma dell’articolo 11, dove si dice: «salvo che alla concessione non sia seguito lo sfruttamento nei termini previsti dalla legge, nel quale caso la concessione si intende decaduta e assegnata alla Regione».

Io riterrei che sarebbe preferibile dire: «nel qual caso la Regione potrà promuovere, a proprio benefìcio, la decadenza della concessione». Dico questo perché la dizione: «s’intende decaduta», non è legale. La decadenza deve sempre essere pronunciata.

PRESIDENTE. L’onorevole Lussu ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

LUSSU, Relatore. La Commissione accetta.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, io vorrei insistere, in quanto è evidente che la Regione opera in armonia con le leggi generali.

Propongo, pertanto, che all’ultimo comma dell’articolo 11, si adotti la stessa dizione dell’ultimo comma dell’articolo 8; e ciò per evitare disarmonie.

PRESIDENTE. L’onorevole Lussu ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LUSSU, Relatore. Pregherei l’onorevole Dominedò di non insistere, appunto perché questo comma, oltre che garantire la legislazione dello Stato, rientra nell’articolo 3 (che noi abbiamo già approvato) e precisamente alla lettera e); e cioè dove si parla della «disciplina della utilizzazione delle miniere». Quindi siamo in perfetta armonia costituzionale, mi pare.

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò chiede che si provveda in relazione a questo articolo, così come l’onorevole Einaudi chiedeva si provvedesse in relazione all’articolo 8.

Pongo intanto in votazione i primi due commi dell’articolo 11.

(Sono approvati).

Pongo in votazione il terzo comma con la modificazione proposta dall’onorevole Bertone ed accettata dalla Commissione:

«Dalla concessione sono escluse le miniere che alla data del 7 settembre 1945 abbiano già formato oggetto di concessione, salvo che alla concessione non sia seguito lo sfruttamento nei termini previsti dalla legge, nel qual caso la Regione potrà promuovere a proprio beneficio la decadenza della concessione».

(È approvato).

All’ultimo comma, l’onorevole Dominedò propone di inserire la formulazione contenuta nell’ultimo comma dell’articolo 8.

Pongo in votazione la seguente formulazione, in sostituzione dell’ultimo comma dell’articolo 11:

«Le subconcessioni saranno istruite secondo la procedura e le norme tecniche per le concessioni fatte dallo Stato».

(È approvata).

Passiamo all’articolo 12. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Con provvedimento legislativo, sentito il Consiglio della Valle, valutate le spese necessarie per la gestione dei servizi pubblici assunti dalla Regione, sarà effettuato il riparto delle entrate erariali tra lo Stato e la Valle.

«Se le pubbliche entrate non sono sufficienti a coprire le spese indispensabili, lo Stato, esaminato il bilancio della Valle, può accordarle un contributo straordinario; può altresì autorizzarla ad istituire imposte speciali, osservando i principî dell’ordinamento tributario vigente. Prima che venga accordato il contributo straordinario, il Ministero del tesoro può disporre indagini presso le amministrazioni, i servizi e gli uffici della Valle, a norma dell’articolo 3 della legge 26 luglio 1939, n. 1037».

PRESIDENTE. L’onorevole Einaudi ha presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Se il gettito delle entrate proprie della Valle non è sufficiente a coprire le spese necessarie ad adempiere le sue funzioni normali, sarà dallo Stato, con provvedimento legislativo, sentito il Consiglio della Valle, attribuita alla stessa una quota dei tributi erariali.

«La Valle può essere autorizzata ad istituire proprie imposte e sovrimposte osservando i principî dell’ordinamento tributario vigente.

«Per provvedere a scopi determinati, che non rientrino nelle funzioni normali della Valle, lo Stato assegna alla stessa, per legge, contributi speciali».

Ha facoltà di svolgerlo.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Ho presentato due emendamenti agli articoli 12 e 13, i quali sono strettamente collegati l’uno all’altro.

Parlerò adesso dell’emendamento nel nuovo testo che ho redatto, allo scopo di tener conto di alcune osservazioni che mi erano state fatte dagli amici della Commissione.

Questo mio emendamento non ha lo scopo di togliere nulla, nella sostanza, di quello che era contenuto già nell’articolo 12 originario della Commissione; ma ha lo scopo di formulare meglio questo articolo 12, di guisa che esso corrisponda al principio dell’autonomia della Valle.

Il vizio dell’articolo 12, a parer mio, era quello che esso negava in pieno, quell’autonomia della Valle che oggi qui noi siamo chiamati a statuire, in quanto quell’articolo 12 sanciva il principio che la Valle, sia pure solo in questo periodo transitorio, risultasse completamente dipendente dallo Stato. Io non credo che alcuno dei miei amici della Commissione abbia mai avuto intenzione, nei momenti in cui si legiferava su questa materia, con i decreti del 1945, di considerare gli articoli finanziari come un qualche cosa di definitivo, come un qualche cosa di realmente ed esattamente corrispondente ai desideri della Valle.

I desideri della Valle non si compendiano se non nella unica aspirazione di conseguire, anche in questa materia della finanza, quella autonomia che essa da così lungo volgere di tempo ha perseguito e persegue; ma è pure evidente che in quel periodo non era facile poter stabilire una norma sicura informata al concetto medesimo della legge che noi oggi siamo chiamati a discutere ed ad approvare, che è quello di concedere l’autonomia alla Valle e non già di convertire la Valle in un organo, in un ente che debba venire a piatire continuamente allo Stato, con una prassi che ha molti punti di contatto con quelle che sono state e sono le così dette integrazioni ai bilanci locali, uno dei fenomeni certamente più funesti, più dolorosi per quanto fossero dovuti alle circostanze particolari determinatesi con il dopo guerra.

Noi dobbiamo deprecare il perpetuarsi di questo sistema delle integrazioni per il quale gli amministratori dei comuni, invece di governare autonomamente le proprie finanze, vengono a chiedere di continuo contribuzioni allo Stato, facendo sì che si spenga a poco a poco in loro ogni senso di responsabilità, come sempre avviene quando chi spende non è chi paga, perché – nella specie – chi spende sono gli amministratori dei comuni, mentre chi paga è lo Stato.

Se c’è un sistema, onorevoli colleghi, che provochi la corruzione, gli è precisamente questo. Sotto la spinta di questa preoccupazione, in modo particolare, sono stati già emanati provvedimenti ed altri ancora sono in corso di studio, sono in corso di elaborazione e saranno presto discussi; provvedimenti intesi tutti a porre un termine al malaugurato sistema delle integrazioni.

Orbene, io credo che sarebbe invero quanto mai dannoso che in un testo costituzionale si sancisse un principio così funesto, così esiziale, così corruttore, come quello delle integrazioni date dallo Stato ai bilanci locali.

È questo, onorevoli colleghi, lo spirito del mio emendamento, con il quale nulla è tolto nella sostanza all’articolo 12, del quale è mutata invece semplicemente la forma. Il primo comma dell’emendamento reca: «Se il gettito delle entrate proprie della Valle non è sufficiente a coprire le spese necessarie ad adempiere le sue funzioni normali, sarà dallo Stato, con provvedimento legislativo, sentito il Consiglio della Valle, attribuita alla stessa una quota dei tributi erariali».

Si tratta dunque di una diversa forma che credo più propria, più indicata, ma che esprime lo stesso concetto contenuto nel corrispondente primo comma dell’articolo 12 che io mi propongo di sostituire con questo emendamento, primo comma nel quale è detto:

«Con provvedimento legislativo, sentito il Consiglio della Valle, valutate le spese necessarie per la gestione dei servizi pubblici assunti dalla Regione, sarà effettuato il riparto delle entrate erariali tra lo Stato e la Valle».

Onorevoli colleghi, la differenza è questa: che al posto della parola «entrate» è detto «tributi». Ma sono tutti tributi erariali quelli che sono soggetti ad una ripartizione fra lo Stato e la Valle. Altre entrate, che non siano derivanti da tributi e che non abbiano riferimento alla Valle, non credo ci siano; perché, se ci sono entrate che derivano dal demanio, bisogna tener presente che il demanio di per sé stesso è già passato alla Valle, e quindi non può più essere preso in considerazione.

Il secondo comma del mio emendamento dice:

«La Valle può essere autorizzata ad istituire proprie imposte e sovrimposte osservando i principî dell’ordinamento tributario vigente».

Il testo della Commissione stabilisce che «la Valle può essere altresì autorizzata ad istituire imposte speciali, osservando i principî dell’ordinamento tributario vigente».

La sola differenza fra le due formulazioni è questa: che, invece di dire che è autorizzata ad istituire imposte «speciali», dico che la Valle può essere autorizzata ad istituire «proprie imposte e sovrimposte». La mutazione deriva da questo: che l’espressione adoperata nell’originario articolo 12 è impropria. Secondo la terminologia tributaria, universalmente accettata, le parole «imposte speciali» hanno un significato noto, chiaro. È imposta speciale, per esempio, la tassa di fognatura, cioè quella che serve ad uno scopo particolare. Era una imposta speciale la quota di concorso che era stabilita sui benefici maggiori a favore dei benefici minori. Insomma, imposte speciali sono soltanto quelle che hanno per scopo di sovvenire a certe spese particolari. Non credo che sia questo il desiderio della Valle. La Valle non desidera soltanto essere autorizzata ad istituire imposte speciali. Io consento, invece, col mio emendamento, che essa sia autorizzata a stabilire proprie imposte e proprie sovrimposte. Potrebbe avere il desiderio o il bisogno di sovrimporre ancora essa – cosa che non sarebbe indicata nell’articolo della Commissione – vere e proprie sovrimposte all’imposta sui terreni. Anche dopo il riparto, la Valle può avere bisogno di stabilire sovrimposte sull’imposta terreni, sull’imposta fabbricati, sull’imposta di ricchezza mobile.

Perché vogliamo negare questa facoltà alla Valle? Quindi la mia forma non soltanto è più propria, ma è anche più estesa di quella che è contemplata nell’articolo 12 della Commissione.

Finalmente il mio ultimo comma è stilato così:

«Per provvedere a scopi determinati, che non rientrino nelle funzioni normali della Valle, lo Stato assegna alla stessa, per legge, contributi speciali».

Qui non c’è più il sistema delle integrazioni; il sistema corruttore e funesto delle integrazioni, per cui gli enti locali vengono a Roma per piatire elemosine, e si convertono in mendicanti. Qui si stabilisce un diritto. L’ente locale, la Valle, ritiene di dover compiere un’opera che è al di sopra delle sue forze, ritiene di dover costruire una strada che non serva soltanto ai bisogni locali, ma anche a scopi nazionali e internazionali? In virtù di questo ultimo comma del mio emendamento, essa chiede un contributo; non un’elemosina o un’integrazione o un sussidio, no: un contributo, che lo Stato deve dare in riconoscimento del suo interesse a che quell’opera sia compiuta. La Valle ritiene che un fiume, che la Dora debba essere sistemata in maniera da non arrecare qualche danno? Quest’opera straordinaria riesce di vantaggio non solo alla Regione valdostana, ma anche alle Regioni sottostanti? Io consacro qui il diritto della Regione di far presenti queste circostanze e di ottenere un contributo speciale.

Questi sono i motivi .che mi paiono dettati nell’interesse della Valle e nell’interesse del Paese, allo scopo di raggiungere meglio fini che sono nell’interesse dell’uno e dell’altra togliendo, per quanto possibile, quello sconcio delle integrazioni che è una delle macchie del nostro sistema tributario.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissione aderisce pienamente alle critiche che l’onorevole Einaudi ha fatto al testo che figura all’articolo 12. La Commissione, anzi, tiene a dichiarare ancora una volta che non rivendica alcun diritto di proprietà letteraria su questo testo. Essa non ha fatto che copiare letteralmente l’articolo 14 del decreto legislativo 7 settembre 1945 emanato di concerto con i Ministri delle finanze e del tesoro del tempo.

La Commissione si è sforzata di tradurre in norme giuridiche i concetti così sani che l’onorevole Einaudi ha in questo momento esposto e che sono i soli che corrispondono ad una vera autonomia, tendono cioè ad assicurare alla Regione una propria finanza, salvo concorsi dello Stato sia per opere straordinarie ed eventualmente anche per sopperire alle necessità normali. In linea di principio sarebbe stato desiderio della Commissione di poter determinare alcune entrate della Regione in maniera precisa.

Ma questo non si è potuto fare e la Commissione con mio rincrescimento si è dovuta limitare a copiare quel testo, perché vi è stata qualche opposizione da parte degli interessati.

L’onorevole Einaudi propone un altro testo il quale dà quasi come presupposto l’esistenza di altre norme perché comincia dicendo: «Se il gettito delle entrate proprie della Valle non è sufficiente a coprire le spese, ecc.» Ora quali sono queste entrate proprie della Valle?

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Le entrate che prima aveva la Provincia.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Sono poca cosa, avuto riguardo alle funzioni che sono attribuite al nuovo ente.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Non si può stabilire come principio la constatazione, come dato di fatto, della mancanza di mezzi sufficienti, ed è necessario dire «se».

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Poiché quello che creiamo oggi è un ente di diversa figura giuridica, bisognerebbe innanzitutto delineare una finanza propria della Val d’Aosta. Avremmo dovuto fare un’elencazione dei tributi erariali, parte del cui gettito viene attribuito alla Regione, seguendo la linea già adottata per gli altri Statuti speciali.

È possibile ancora fare questo sforzo? La Commissione se lo augura, in modo da poter arrivare ad una determinazione precisa delle entrate proprie della Regione.

Incidentalmente, qualche minuto fa si è accennato ad una di queste entrate, cioè al canone che lo Stato percepisce per le concessioni di acque pubbliche. Ma si potrebbe seguire la stessa linea e dire per esempio che una parte delle imposte erariali sui terreni e fabbricati è devoluta alla Regione e così via, seguendo lo schema di quanto è stato stabilito ieri per la Sardegna.

A prescindere da queste considerazioni preliminari, vorrei fare qualche osservazione nei riguardi del testo proposto dall’onorevole Einaudi. In esso si dice: se il gettito delle entrate proprie della Valle non è sufficiente «sarà dallo Stato, con provvedimento legislativo, sentito il Consiglio della Valle, attribuita alla stessa una quota dei tributi erariali».

Che cosa vuol dire provvedimento legislativo?

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. L’ho copiato dal suo testo!

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Ma il testo della Commissione, come ho già detto, è stato copiato da quello del decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1945.

Comunque, dobbiamo usare delle espressioni che corrispondono all’ordinamento giuridico attuale.

«Provvedimento legislativo» che cosa vuol dire? Bisogna precisare: o legge fatta dal Parlamento o atto legislativo fatto dal Governo.

In questo caso, credo che converrebbe dire: «con decreto legislativo».

Nel secondo comma dell’emendamento proposto dall’onorevole Einaudi si dice: «La Valle può essere autorizzata ad istituire proprie imposte e sovrimposte osservando i principî dell’ordinamento tributario vigente».

L’onorevole Einaudi, parlando in generale dell’ordinamento tributario della Regione, aveva energicamente messo in evidenza la necessità che la Regione, anche per stimolare il senso d’iniziativa e di responsabilità degli amministratori, abbia la possibilità di creare propri tributi.

Ora, che cosa vuol dire: «La Valle può essere autorizzata»? Da chi e come? Per dare effetto pratico a questa formula occorrerebbe una legge. Credo che si potrebbe dire «La Valle può istituire proprie imposte o tributi, osservando i principî dell’ordinamento tributario vigente»; concetto, questo, che è affermato già nella stessa Costituzione, nella quale si prevede che ogni Regione abbia tributi propri oltre che quote di tributi erariali.

Per il terzo comma, nessuna osservazione È la formula che corrisponde a quanto è già disposto nell’articolo 114 della Costituzione.

In conclusione siamo di fronte a formule che sono l’una e l’altra ugualmente insoddisfacenti. Se è ancora possibile far di meglio, cerchiamo di farlo; altrimenti dobbiamo francamente dire che il problema non è risolto, ma rinviato.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Io ringrazio l’onorevole relatore per le sue parole cortesi, ma devo far notare che le osservazioni che l’onorevole Perassi ha fatto al mio emendamento sono soprattutto – mi pare – osservazioni fatte alle proposte della Commissione, perché appunto era dal testo della Commissione che ho copiato le parole «con provvedimento legislativo».

Ad ogni modo, non ho nessuna difficoltà a sostituire alle parole: «con provvedimento legislativo» (che sono parole poste nel testo all’articolo) le parole: «con decreto legislativo».

Poi, la Commissione dice che «lo Stato può autorizzare la Regione ad istituire imposte speciali ecc.». Io avevo detto: «La Valle può essere autorizzata ad istituire ecc.». Ma se si crede meglio dire che «la Valle può essere autorizzata dallo Stato» o si preferisce: «.La Valle può istituire», io non ho nessuna difficoltà. Queste sono osservazioni di carattere formale.

Ma io devo insistere sul concetto che è illogico trasferire in un provvedimento che si riferisce all’autonomia della Valle d’Aosta («Statuto speciale della Valle d’Aosta», disegno di legge costituzionale) una norma la quale si riferiva a tutt’altra materia: all’«ordinamento amministrativo dello Stato», non all’autonomia della Val d’Aosta. Oggi noi vogliamo fare qualche cosa di diverso, vogliamo fare qualche cosa di più, e non limitarci soltanto a copiare il decreto del 1945 che concedeva soltanto una autonomia amministrativa. Qui si vuole dare una autonomia alle Regioni e non ci si vuole supinamente accontentare di una autonomia amministrativa. Poiché le differenze di forma sono facilmente eliminabili, richiamo ancora l’attenzione sulla necessità di guardare alla sostanza, e rispetto alla sostanza l’Assemblea è libera di scegliere fra le due formule che sono state presentate.

Accetto la proposta Perassi di sostituire alla parola «provvedimento», la parola «decreto», ed accetto anche di sostituire alle parole: «La Valle può essere autorizzata» le parole: «La Valle può istituire».

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Io sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Einaudi che non si costruisce una finanza sull’integrazione, ma noi non abbiamo presentato un progetto in tal senso. L’articolo 12 va messo in relazione all’articolo 53.

Nell’articolo 53 delle norme transitorie noi diciamo, «Entro due anni dall’elezione del Consiglio della Valle sarà stabilito, a modifica dell’articolo 12, un ordinamento finanziario della Regione con legge dello Stato in accordo con la Giunta regionale».

Che cosa vuol dire questo? Che ci rendiamo perfettamente conto che non si può volere una finanza di integrazione ma che non è possibile improvvisare in questa materia.

Quindi l’articolo 12 ha un valore provvisorio. Esso si inspira proprio al pensiero che l’onorevole Einaudi espresse qui quando si esaminò lo Statuto sardo.

Io spero che l’onorevole Einaudi vorrà aderire all’articolo preposto, col quale provvisoriamente si mantiene lo statu quo. Entro due anni la Valle presenterà un ordinamento finanziario definitivo in base all’articolo 53 dello statuto, avendo l’articolo 12 una semplice portata provvisoria.

Faccio notare d’altra parte, che anche in base all’articolo 12, che riproduce la norma contenuta nel decreto 7 settembre 1945, non è esatto parlare d’una semplice finanza d’integrazione, essendo in detta disposizione scritto: «…sarà effettuato il riparto delle entrate erariali tra lo Stato e la Val d’Aosta». Da essa si rileva cioè che lo Stato faceva un riparto colla Valle dei tributi incassati e che solo ove tale riparto non fosse stato sufficiente, tenuto conto dei servizi passati dallo Stato alla Regione, si provvedeva dallo Stato al versamento di un contributo integrativo.

Confido per questi motivi che l’Assemblea voglia accogliere l’articolo in esame.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Né la Commissione, né il Ministro Einaudi pongono le basi di una finanza regionale; sia l’una che l’altro rimandano ad un provvedimento legislativo.

L’onorevole Einaudi propone (dal punto di vista formale potrei preferire la sua formula): «Se il gettito delle entrate proprie della Valle non è sufficiente…». Lo sappiamo: sono 22 milioni le entrate della Provincia di fronte ad un bilancio di un miliardo e più di lire; lo sappiamo che sono insufficienti; sarebbe meglio dire «oltre». In ogni caso, bisognerebbe sopprimere l’inciso «con provvedimento legislativa».

Nella Commissione non si è riusciti a formulare un testo per le differenti opinioni. Alcuni volevano arrivare, come per l’Alto Adige e la Sardegna, a costituire una finanza autonoma fissata, sia pure in via provvisoria, con revisione entro uno o tre anni, in base all’esperienza.

In fondo, sia il testo della Commissione, il quale non fa che ripetere il testo del decreto legislativo del 1946, sia il testo proposto dall’onorevole Einaudi prevedono un rinvio. Quindi in sostanza si tratterebbe di continuare nelle condizioni attuali.

Ora, io dico: se fosse possibile arrivare a formulare un testo, sia pure provvisorio – ma che fosse base concreta di questo riparto per modo che il riparto fra entrate dello Stato ed entrate della Regione fosse ancorato a qualcosa di oggettivo – sarebbe meglio e per l’autonomia della Regione e per le finanze dello Stato.

Se si rinvia ad un provvedimento futuro, secondo la proposta della Commissione e quella del Ministro, la Valle continuerà ad andare avanti, come fino ad oggi, con discussioni quotidiane fra Stato e Regione.

Se il Ministro del Tesoro insiste nella sua formula con quell’emendamento, in parte accettato ed in parte concordabile, non avrei niente in contrario a votare a favore.

PRESIDENTE. L’onorevole Lussu ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sull’emendamento sostitutivo all’articolo 12, proposto dall’onorevole Einaudi.

LUSSU, Relatore. Credevo che, dopo i chiarimenti dati stamane su questi due articoli, che costituiscono l’impostazione finanziaria della Valle d’Aosta, lo stesso onorevole Einaudi, che è uomo anche pratico, pur riconoscendo la insufficienza di questo schema, avrebbe aderito a quella, che io chiamavo, sospensiva costituzionale; perché fra pochi anni, secondo l’articolo transitorio, il Parlamento, con una sua legge, d’accordo con la Regione, può sistemare definitivamente il problema. Invece si è accesa questa discussione e possiamo constatare come, dopo un’ora e più, siamo allo stesso punto di partenza. L’onorevole Einaudi, come Ministro del bilancio e come uomo di scienza, è sempre insensibile ad ogni appello di carattere, direi, sentimentale, anche se egli è sempre estremamente sensibile a tutto. Ma credo che sarà sensibile al freddo ragionamento che è quello che io faccio.

Ci troviamo di fronte ad un testo della Commissione che è insufficiente; noi stessi abbiamo spiegato le ragioni per cui lo abbiamo redatto; ma ci troviamo anche di fronte alla proposta Einaudi che, per lo stesso suo giudizio, è insufficiente. Ci troviamo quindi di fronte a due ordinamenti ugualmente insufficienti ed ugualmente provvisori; con questa differenza: che l’ordinamento provvisorio che noi abbiamo contemplato nello Statuto è un modus vivendi pratico, su cui concordano il Ministero delle finanze e la rappresentanza della Valle. È un modus vivendi cordiale che politicamente e psicologicamente ha la sua importanza. Perché dunque vorremmo, col rompere questo modus vivendi (che è perfettamente sodisfacente in forma transitoria) tirar fuori un progetto che non sodisfa nessuno, l’onorevole Einaudi per primo? Tanto vale quindi conservare provvisoriamente questo ordinamento proposto nello statuto. Accettiamolo così com’è, in quanto da un punto di vista psicologico e politico è certamente utile che lo si conservi. Se lo si modifica non credo si crei nulla che sia migliore, anche ove si accogliessero le modifiche di pura forma che il collega Perassi, Presidente della Commissione, ha avanzato ed il Ministro Einaudi ha accettato. Questo, in realtà, non risolve nulla.

Perciò rivolgo preghiera all’onorevole Einaudi, che conosce anche la psicologia finanziaria. Non è possibile oggi impostare un Ordinamento finanziario, che sia accettabile con soddisfazione e ci tranquillizzi, che rinunciando a questi emendamenti i quali, secondo me, possono complicare la situazione.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del Bilancio. Volevo soltanto osservare che in sostanza tra le due formulazioni, senza peccare di vanità, la mia è la più propria e si esprime in termini che sono anche più larghi per la Valle di quel che non sia l’articolo della Commissione. L’onorevole Bordon ha fatto considerazioni che possono essere giudicate extravaganti e che non si riferiscono alla materia dell’articolo 12, in quanto è evidente che l’articolo 12, anche com’è da me formulato, dev’essere considerato in connessione con l’articolo 53.

Ha detto bene l’onorevole Perassi, che qui non si tratta di ordinamenti definitivi, a differenza degli statuti di altre Regioni, per cui si sono indicati i tributi che passano alle Regioni e le percentuali dei tributi erariali che sono assegnati alla Regione, per cui infine si è detto: per alcune altre imposte erariali si darà (ma questa non è una integrazione) una quota variabile. Qui, invece di dire i cinque decimi o i sei decimi, si è detto: una parte, allo scopo di poter tener conto dei bisogni della Valle, andando anche molto al di là di quanto si sia andati per le altre Regioni.

Data la piccolezza del territorio, può benissimo darsi che, visti i bisogni della Valle, lo Stato debba assegnare alla Valle anche i 9/10 di tutte le sue entrate erariali, dando anche di più di quello che ha dato alle altre Regioni. La differenza fra il sistema della Valle e quello delle altre Regioni consiste nel fatto che nelle altre Regioni ci sono percentuali rigide, e sono per alcune imposte espressamente indicate, mentre qui tutto è variabile appunto per tener conto della impossibilità di poter calcolare oggi quali sono le spese della Valle.

Quindi, il sistema del mio articolo, per essere espresso in un linguaggio tecnicamente più proprio, mi sembra che sia preferibile a quello della Commissione, il quale certamente lascia molto a desiderare.

L’unica differenza sostanziale è quella dell’integrazione, che qui viene concepita come data ogni volta che ci siano delle spese da farsi per degli scopi i quali oltre che avere un carattere regionale hanno anche un interesse nazionale. Questo è lo scopo dell’ultimo comma.

Le altre osservazioni che ha fatto l’onorevole Bordon non sono pertinenti all’articolo 12. Io vorrei, soltanto per extravagare anche io un momento, confessarvi che, se fossi nei panni del Ministro delle finanze, non solo darei una quota del reddito di quelle certe imprese industriali a cui si riferisce l’onorevole Bordon, ma sarei favorevole a dare tutto, reddito e capitale, senza nessun pagamento da parte della Valle, tanto poco la Valle credo abbia da sperare da questi redditi che nascono di lì e vanno fuori. Ci sono soltanto delle passività, non ci sono redditi. Se la Valle lo vuole, credo che il Ministro delle finanze sarà ben disposto a dare più di quello che l’onorevole Bordon ha desiderato.BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Se l’onorevole Einaudi insiste, allora io faccio la proposta che la finanza della nostra Regione sia regolata secondo la proposta che presento all’onorevole Presidente.

PRESIDENTE L’onorevole Bordon propone il seguente emendamento:

«La Val d’Aosta ha una finanza autonoma.

«Le sue entrate sono costituite:

  1. a) dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui terreni, sui fabbricati e sui redditi agrari;
  2. b) dai nove decimi del gettito dell’imposta di ricchezza mobile e complementare erariali sui redditi per attività esplicate nella Regione, anche se riscosse fuori di essa;
  3. c) dal gettito fiscale del lotto e lotterie;
  4. d) dal gettito dell’imposta governativa sul consumo dell’energia elettrica;
  5. e) dall’importo dell’intero canone su tutte le concessioni di acque pubbliche e delle miniere;
  6. f) dal provento dei monopoli e dei valori bollati;
  7. g) dai proventi delle imposte e tasse di bollo, registro, ipotecarie e sulle successioni;
  8. h) da una quota non inferiore ad una percentuale della imposta generale sull’entrata riscossa nella Regione e fuori della Regione, inerente ad attività esplicate nella Regione. Per le società e stabilimenti aventi sede legale e fiscale fuori della Regione la quota va riferita all’imposta concernente il primo trasferimento dei prodotti e merci al compratore;
  9. i) dai nove decimi dell’imposta di fabbricazione sui filati;
  10. l) dal provento dei tributi locali stabiliti con legge regionale;
  11. m) dal reddito del patrimonio della Regione;
  12. n) dai tributi spettanti per legge alla provincia e agli enti ed uffici pubblici, i cui servizi sono devoluti alla Regione;
  13. o) dai contributi speciali che lo Stato assegna alla Regione per il finanziamento di lavori straordinari».

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Evidentemente la proposta del collega Bordon, per essere messa ai voti, avrebbe bisogno di un rinvio per essere esaminata.

Io chiedo che l’onorevole Ministro del bilancio ci dica se, con un rinvio, il problema possa essere chiarito in modo sodisfacente. È altrimenti del tutto inutile chiedere il rinvio, cioè anche votare l’ordine del giorno. Se dunque la risposta sarà negativa, pregherò l’onorevole Bordon di ritirare il suo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, un rinvio non è possibile; rinvio a quando?

LUSSU, Relatore. Desideravo chiedere all’onorevole Ministro se, a suo parere, un rinvio di mezz’ora potrebbe servire a qualche cosa.

PRESIDENTE. Ma, onorevole Lussu, mi perdoni: è tal materia questa che, o si discute a lungo, o altrimenti ci si rimette alla fiducia di colui che propone: null’altro.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Onorevole Presidente, desideravo semplicemente pregare l’onorevole Bordon di ritirare il suo emendamento perché, ove l’Assemblea dovesse approvarlo, si determinerebbe una situazione gravemente pregiudizievole, per le discussioni tra Governo e Commissione.

Dato quindi che il Ministro del bilancio non può accettare dei provvedimenti che non ha avuto campo di esaminare, è molto meglio, nell’interesse della Valle d’Aosta, che questo emendamento sia ritirato.

CHATRIAN. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHATRIAN. Chiedo che sia mantenuto, nei limiti e con le modalità previste dall’articolo 53, l’attuale ordinamento tributario contemplato dagli articoli 12 e 13. E ciò perché penso che sarebbe il minor male sul piano finanziario, sul piano politico, sul piano psicologico, nei confronti della Valle d’Aosta.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Chatrian e ritiro il mio emendamento. (Approvazioni).

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Io personalmente ritengo – e credo anche di interpretare il pensiero di altri membri della Commissione – che sia opportuno aderire alla formulazione proposta dall’onorevole Einaudi, con le modificazioni suggerite dal collega onorevole Uberti e accettate dallo stesso onorevole Ministro Einaudi.

Resterebbe poi da risolvere la questione della devoluzione alla Regione di parte del canone ora riscosso dallo Stato per le concessioni di acque pubbliche. A tale riguardo converrà aggiungere una disposizione specifica.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione il testo Einaudi così definitivamente redatto:

«Oltre il gettito delle entrate, proprie della Valle, sarà dallo Stato, sentito il Consiglio della Valle, attribuita alla stessa una quota dei tributi erariali.

«La Valle può istituire proprie imposte e sovrimposte osservando i principî dell’ordinamento tributario vigente.

«Per provvedere a scopi determinati, che non rientrino nelle funzioni normali della Valle, lo Stato assegna alla stessa, per legge, contributi speciali».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo all’emendamento aggiuntivo Bordon già presentato in sede di articolo 9:

«Lo Stato cederà a favore della Valle i nove decimi dei canoni annuali percepiti a norma di legge».

Lo pongo in votazione, salvo collocazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 13. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’accertamento, ai fini delle imposte dirette erariali, viene effettuato da organi collegiali elettivi a norma delle vigenti disposizioni.

«Per le imprese industriali e commerciali che hanno la sede centrale fuori del territorio della Valle, ma che in esso hanno stabilimenti od impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi. L’imposta relativa a detta quota è riscossa dagli organi di riscossione della Regione».

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò, assieme ad altri colleghi, ha proposto di sopprimere il secondo comma.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, basterà ricordare le ragioni esposte in questa Assemblea per l’analogo articolo 15 dello Statuto sardo, di cui proponemmo e ottenemmo la soppressione, considerando l’incongruenza che ad uno stabilimento od impianto, il quale non costituisce se non un oggetto o una parte dei beni nel complesso dell’azienda, venga conferita la titolarità del reddito, che spetta al soggetto e non all’oggetto dei beni.

D’altra parte, la legge provvede in altri modi, perché sappiamo quando sia possibile che il reddito venga percepito, anziché nella sede legale della società, nella sede dove sono gli impianti o gli stabilimenti.

E sotto questo aspetto la norma dovrebbe ritenersi frustranea, perché superata dalla norma di legge, mentre, se restasse, sarebbe un’incongruenza logica.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro del bilancio ha presentato il seguente emendamento sostitutivo dell’articolo 13:

«Ai fini dell’accertamento delle imposte dirette erariali, gli uffici finanziari dello Stato nella Regione comunicano alla Giunta regionale la lista dei contribuenti che, domiciliati nella Valle, possiedono redditi tassabili al loro nome mediante ruolo.

«La Giunta esamina la lista, la completa e la rettifica, aggiungendovi coloro che furono omessi e che vi dovevano essere compresi e cancellandone coloro che per qualsiasi causa vi furono indebitamente iscritti o che per motivi sopravvenuti ne debbono essere esclusi.

«Delle variazioni introdotte la Giunta deve indicare la ragione.

«La Giunta indica, altresì, gli altri dati necessari per il nuovo o migliore accertamento dei tributi nei confronti degli iscritti nella lista.

«Gli uffici finanziari dello Stato nella Regione sono tenuti a riferire alla Giunta i provvedimenti adottati in base alle indicazioni dalla stessa ricevute».

Ha facoltà di svolgerlo.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Ho presentato una formulazione sostitutiva anche per l’articolo 13; in questa formulazione cade il secondo comma dell’articolo medesimo, ed io quindi non ho che da riferirmi alle argomentazioni che sono già state esposte dall’onorevole Dominedò, per dimostrare la necessità della soppressione di questo secondo comma.

D’altro canto, siccome nell’articolo 12, testé votato, è detto che con un decreto legislativo si provvederà al riparto di tutti i tributi erariali della Regione, in quella sede sarà possibile ancora meglio perfezionare la soluzione di questo problema, che non può essere improvvisata, così come è indicato in questo secondo comma.

Il punto importante a cui mi riferisco nel mio emendamento sostitutivo è quello del primo comma.

Il primo comma, così come è formulato nell’articolo della Commissione – credo tolto di peso dal decreto del 1945, che aveva delle caratteristiche non di autonomia vera e propria, ma di autonomia puramente amministrativa – dice:

«L’accertamento, ai fini delle imposte dirette erariali, viene effettuato da organi collegiali elettivi a norma delle vigenti disposizioni».

Io non vedo in che modo in un testo costituzionale possa essere inserita una disposizione di questo genere, così vaga. Quali sono gli organi collegiali elettivi? Quali sono le disposizioni in base alle quali si dovrebbe fare l’accertamento? Questo accertamento a quali imposte si riferisce? Alle imposte sui terreni, che sono regolate da una legge catastale? All’imposta di ricchezza mobile, che è regolata da sistemi tutt’affatto diversi? All’imposta di successione, all’imposta di registro, di bollo, per le quali non esistono degli organi collegiali elettivi? È una norma questa che non ha un significato preciso. Io propongo di sostituirla con una formulazione che è di gran lunga più rassicurante per la Valle e dà molto maggiori facoltà alla Valle medesima. L’emendamento sostitutivo dice:

«Ai fini dell’accertamento delle imposte dirette erariali, gli uffici finanziari dello Stato nella Regione comunicano alla Giunta regionale» (cioè al vero organo elettivo che regola il governo della Regione) «la lista dei contribuenti che, domiciliati nella Valle, possiedono redditi tassabili al loro nome, mediante ruolo.

«La Giunta esamina la lista, la completa e la rettifica, aggiungendovi coloro che furono omessi e che vi dovevano essere compresi e cancellandone coloro che, per qualsiasi causa, vi furono indebitamente iscritti o che per motivi sopravvenuti ne debbono essere esclusi».

Io do quindi modo alla Giunta d’intervenire nella compilazione della lista dei contribuenti, di controllarla, di diminuire o di accrescere le iscrizioni, a proprio giudizio, e a seconda della conoscenza che essa ha della situazione locale.

Naturalmente «delle variazioni introdotte la Giunta deve indicare la ragione». Questa è una guarentigia per i contribuenti.

«La Giunta indica altresì gli altri dati necessari per il nuovo o migliore accertamento dei tributi nei confronti degli iscritti nella lista».

Quindi la Giunta non solo ha l’autorità di segnalare agli uffici finanziari le eventuali dimenticanze, ma comunica anche i dati con cui gli uffici finanziari potranno meglio conoscere il patrimonio e i redditi dei contribuenti, segnalando per esempio gli accertamenti che siano stati inferiori alla realtà in modo da ottenere una più giusta tassazione, della quale possa beneficiare non soltanto lo Stato ma la Regione stessa.

È da osservare finalmente che gli uffici finanziari non possono prendere alla leggera le indicazioni della Giunta; infatti «gli uffici finanziari dello Stato nella Regione sono tenuti a riferire alla Giunta i provvedimenti adottati in base alle indicazioni dalla stessa ricevute».

Gli uffici finanziari hanno così l’obbligo di utilizzare le indicazioni che verranno fatte dalla Giunta. Si stabilisce in tal modo una proficua collaborazione fra la Regione che vuole nuove iscrizioni a ruolo e lo Stato che viene aiutato a conoscere i nuovi contribuenti o coloro che devono essere iscritti.

Chiedo perciò che sia accolto il mio emendamento e messo in votazione in sostituzione dell’articolo 13 che è troppo vago e che non dà garanzie sufficienti né alla Regione né allo Stato, mentre col mio articolo sostitutivo si dà luogo ad una forma di collaborazione tra la Regione e lo Stato, che sarà fonte di ottimi risultati finanziari per l’una e per l’altro.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Siccome ho votato prima contro, lascio la Commissione arbitra di decidere come creda.

Ritengo che in pratica quello che si fa non sia un bene ma un male, perciò ho votato prima contro la proposta dell’onorevole Einaudi e anche adesso voto contro. Voto cioè per il mantenimento del testo integrale, il quale, almeno, tiene in piedi delle disposizioni già applicate.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Pochissime parole per ricordare che la disposizione dell’articolo 13, attualmente in votazione è un punto ormai acquisto. Esso trae origine da un decreto che è già da tre anni in applicazione. Quindi ritengo che non si possa di punto in bianco, con un tratto di penna, cancellare quella che è la base attuale del sistema.

L’attuale norma del resto non è in contrasto con la Costituzione e per conseguenza chiedo che sia mantenuta.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Penassi ad esprimere il parere della Commissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. A nome di parte della Commissione, dichiaro di accedere al testo dell’onorevole Einaudi, il quale differisce dal testo della Commissione sotto due aspetti: uno positivo e l’altro negativo. C’è la parte positiva nella quale si prevede quella collaborazione della Giunta nel far sì che le imposte siano applicate.

LUSSU, Relatore. Ma è la parte più odiosa per la Giunta, la parte che politicamente è negativa! E anche praticamente.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Il secondo punto riguarda la soppressione del secondo comma. Questo comma tocca i difficili problemi dell’accertamento dei redditi degli impianti situati nella Valle e appartenenti a società che hanno sede altrove. Ora una norma analoga è stata già soppressa in altri Statuti, ed è stata soppressa non tanto per ragioni di ordine teorico alle quali ha accennato l’onorevole Dominedò (che non condividerei in pieno), ma, soprattutto, per le ragioni pratiche – anzi, di diritto positivo – messe in evidenza dal Ministro Pella nella discussione di questi giorni, e cioè che in base a recenti provvedimenti, in gran parte sono eliminati gli inconvenienti ai quali si vorrebbe ovviare con questo comma. Per queste considerazioni – anche a nome di parte della Commissione – aderisco al testo dell’onorevole Einaudi.

LUSSU, Relatore. Ma questo era contemplato dalla legge. Onorevole Einaudi, lei lo sa!

PRESIDENTE. Mi faccio un debito di coscienza, prima di passare alla votazione, di dire che alcune considerazioni dell’onorevole Bordon non possono essere trascurate. È vero che per lo Statuto della Val d’Aosta non vi era un impegno stabilito in forma legislativa che si dovesse procedere soltanto ad un coordinamento costituzionale, ma è pacifico che per analogia con quanto stabilito per la Regione siciliana – il cui Statuto, per una disposizione di legge, non deve essere che coordinato con la Costituzione – per la Valle d’Aosta, che da tempo maggiore che non la Sicilia fruisce d’una particolare autonomia, il compito dell’Assemblea Costituente non può essere inteso nel senso di una trasformazione delle disposizioni, che non sia giustificata dalla necessità di un coordinamento costituzionale. Do atto che non esiste in materia un impegno esplicito, ma forse, da un punto di vista morale, di fronte all’italianità della Val d’Aosta, non bisogna dimenticare completamente questo.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Aderisco alla proposta dell’onorevole Einaudi, non chiedendo la votazione del mio emendamento se non nel caso in cui fosse respinto quello dell’onorevole Einaudi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento sostitutivo dell’articolo 13 proposto dall’onorevole Einaudi.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Passiamo al Titolo IV: «Zona franca».

Si dia lettura dell’articolo 14.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il territorio della Valle d’Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca.

«Le modalità di attuazione della zona franca concessa alla Regione saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo V: «Organi della Regione».

Si dia lettura dell’articolo 15.

AMADEI, Segretario, legge:

«Sono organi della Regione: il Consiglio della Valle, la Giunta regionale ed il suo Presidente».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 16. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio della Valle è composto di trentacinque consiglieri, eletti a suffragio universale, uguale, diretto e segreto secondo le norme stabilite con legge dello Stato, sentita la Regione.

«Per l’esercizio del diritto elettorale attivo può essere stabilito il requisito della residenza nel territorio della Regione per un periodo non superiore a un anno, e per l’eleggibilità quello della nascita o della residenza per un periodo non superiore a tre anni».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati e Moro propongono la soppressione del secondo comma. La stessa proposta è fatta dal Ministro dell’interno.

L’onorevole Scelba ha facoltà di svolgere l’emendamento.

SCELBA. Ministro dell’interno. A me pare che, trattandosi di diritti soggettivi, non si possa creare un diritto singolare nella Valle d’Aosta. Con questa disposizione prevista nello Statuto si apporterebbero delle modificazioni sostanziali all’elettorato attivo e passivo quale è stato sancito da leggi approvate dall’Assemblea Costituente. Per esempio, è previsto dal secondo comma che la Valle d’Aosta potrebbe stabilire che un cittadino, pure nativo della Valle non possa essere eletto al Consiglio Regionale della Valle, pretendendosi invece soltanto la residenza, per tre anni. Ma un cittadino nativo della Valle, anche la più illustre personalità, che non risieda sul posto, in base a queste disposizioni non potrebbe entrare nel Consiglio della Valle.

Secondo me, il comma si dovrebbe sopprimere, lasciando alle leggi dello Stato il regolamento di questa materia.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Questa questione non è stata sollevata ieri per lo statuto della Regione Trentino-Alto Adige nel quale è stata stabilita una disposizione uguale a quella proposta dalla Commissione. Ora, in questa situazione, non si tratta di diritti politici per quanto riguarda le elezioni al Senato o alla Camera dei Deputati, ma si tratta della partecipazione alla gestione amministrativa della Valle, dove è evidente che i nativi e quelli che vi abitano da un triennio abbiano particolari interessi, e trattandosi di una questione di carattere amministrativo non vedo come vi possano essere delle obiezioni. Prego pertanto l’onorevole Ministro dell’interno a non voler insistere nella sua opposizione che, del resto, costituirebbe posizioni differenti fra gli abitanti della Val d’Aosta e gli abitanti del Trentino-Alto Adige, i quali hanno in materia notevoli interessi.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi dispiace di dover insistere. Ritengo che se si è commesso un errore ieri, non possiamo ripeterlo anche per la Val d’Aosta. Penso anche che al fondo di questa questione vi sia un grosso interesse nazionale.

UBERTI. Al contrario.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ritengo che si fa l’interesse più alto e sentito del Paese sopprimendo questo articolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Lussu ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LUSSU, Relatore. Credo di esprimere il pensiero di tutta la Commissione nel ritenere che questo comma debba essere mantenuto. Non solo è stato contemplato un comma analogo nello statuto dell’Alto Adige – come è stato ricordato testé – ma anche nello statuto sardo è fissato un comma analogo. Ora, mi pare strano che nella terza giornata, dopo l’approvazione degli articoli riguardanti la stessa materia, nello statuto sardo e nello statuto della Val d’Aosta, si accampino ragioni nazionali. Quali? Noi esigiamo ragioni logiche. Non ce ne è alcuna. E non c’è alcuna ragione giuridica. Penso pertanto che sia un errore voler sopprimere questo comma nello statuto della Val d’Aosta.

Credo che il Ministro dell’interno, considerate queste premesse, voglia rinunciare alla sua domanda di soppressione.

PRESIDENTE. Onorevole Scelba, conserva la sua proposta?

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi rimetto all’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, conserva la sua proposta?

MORTATI. Sì.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 16:

«Il Consiglio della Valle è composto di trentacinque consiglieri, eletti a suffragio universale, uguale, diretto e segreto secondo le norme stabilite con legge dello Stato, sentita la Regione».

(È approvato).

Pongo in votazione la soppressione del secondo comma.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo del progetto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 17. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’ufficio di consigliere regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere o d’altro Consiglio regionale.

«I casi di ineleggibilità e gli altri casi di incompatibilità sono stabiliti con legge dello Stato».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati e Moro propongono di sostituire il primo comma col seguente:

«Il Consigliere regionale è ineleggibile a membro di una delle Camere o di altro Consiglio regionale».

Onorevole Lussu, vuole esprimere il parere della Commissione?

LUSSU, Relatore. La Commissione si attiene al testo.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MORTATI. Per l’elezione della Camera c’è un articolo della legge che sancisce l’ineleggibilità alla carica di deputato per coloro che sono consiglieri regionali. Per quanto invece riguarda la nomina ad altro Consiglio regionale mi pare si possa mantenere l’incompatibilità, ed in questo senso rettifico la mia proposta. Essa pertanto tende a sancire la ineleggibilità, in conformità alla legge elettorale per la Camera dei deputati e per il Senato, per la elezione a tali organi.

PRESIDENTE. Allora, la formula sarebbe la seguente: «L’ufficio di consigliere regionale è incompatibile con quello di membro di altro Consiglio regionale».

MORTATI. Sì.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Se l’onorevole Presidente e l’Assemblea consentono sia fatto un passo indietro, desidererei che il primo comma dell’articolo 16 fosse chiarito, nel senso che, invece di dire «con legge dello Stato, sentita la Regione», si dica: «con legge regionale»; perché i requisiti ora indicati sono limiti costituzionali posti alla legge regionale; e questo chiarirebbe che questi requisiti sono limiti all’elettorato attivo e passivo relativamente soltanto al Consiglio regionale.

La dizione «legge dello Stato» può dare la sensazione che questa incorra in quella incostituzionalità, cui accennava il Ministro dell’interno.

Quindi, è meglio chiarire: «con legge regionale».

PRESIDENTE. Non è lieve la questione che lei solleva, onorevole Fabbri. Si tratta di stabilire se la legge elettorale per l’elezione del Consiglio è legge dello Stato o legge regionale.

È stato depositato già un disegno di legge per l’elezione del Consiglio della Valle d’Aosta, ma andrà in discussione al prossimo Parlamento.

L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. L’onorevole Fabbri ha attirato l’attenzione su un punto, che deve essere chiarito.

Sta di fatto che negli Statuti speciali già approvati, per la Sardegna e per l’Alto Adige, si è attribuito alla Regione il compito di formare la legge elettorale per l’elezione del Consiglio regionale, salvo i limiti fondamentali stabiliti nel primo comma degli articoli relativi. Nei detti statuti si è, infatti, stabilito che il Consiglio regionale è eletto col sistema proporzionale, a suffragio universale, diretto e segreto, secondo le norme stabilite, con legge, della Regione.

Mi pare che non vi sia ragione di seguire sistemi diversi per le diverse Regioni a Statuto speciale.

Quindi, l’osservazione dell’onorevole Fabbri dovrebbe indurre a rettificare il testo letto prima, mettendolo in armonia coi testi già votati.

Aggiungo: il disegno di legge presentato dal Ministro dell’interno ha lo scopo di provvedere alla prima elezione, per la quale è evidente che le norme debbono essere fatte dallo Stato.

Io ho già preparato il testo di una norma transitoria, la quale dispone che lo Stato, mediante decreto legislativo, fissa le norme per la prima elezione del Consiglio della Valle, e si indicano anche i termini entro cui la elezione deve avvenire.

Mi riservo di presentare il testo a nome delle Commissione.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. La prima norma transitoria – articolo 51 – di questo progetto di Statuto dice:

«L’attuale organizzazione amministrativa della Regione resta in carica fino alla prima elezione del Consiglio della Valle, che sarà indetta dal Governo della Repubblica entro sei mesi dall’entrata in vigore dello Statuto».

A tenore di questa norma è indubitabile che la legge elettorale dovrebbe farla il Governo.

Ora, la disposizione transitoria annunziata dall’onorevole Perassi potrebbe sostituire quella testé letta, nel senso che le nuove norme da emanarsi da parte del Governo della Repubblica servirebbero solo per la prima elezione del Consiglio della Regione, mentre il susseguente Consiglio sarebbe eletto con legge della Regione.

Vi sarebbe un’armonia; altrimenti, bisognerebbe rimaner fermi al concetto che la legge deve esser fatta dallo Stato.

Su questo punto l’Assemblea deve decidere.

Sulla forma della disposizione tengo a precisare: l’obiezione dell’onorevole Perassi ha un certo valore, ma non vorrei darle un valore assoluto, perché, siccome trattiamo in questa sede di Statuti speciali, non è detto che, rispetto alla norma fondamentale per cui la legge elettorale deve essere uguale per tutte le Regioni, si debba fare la stessa eccezione per le quattro Regioni con Statuto speciale. Si potrebbe sempre disporre diversamente per i quattro casi. Se tuttavia l’Assemblea ritiene che per questa parte si debba uniformare alle decisioni prese sugli altri Statuti speciali, non ho difficoltà, purché si modifichi la disposizione transitoria.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Personalmente sono per il mantenimento del testo. Del resto su questo punto, che dice: «sentita la Regione», discutemmo ampiamente. Lo ricordo con esattezza. Non ne faccio una questione pregiudiziale, ma di merito. In ogni modo mi rimetto alla maggioranza dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Poiché nessuna pregiudiziale è stata sollevata avverso alla proposta dell’onorevole Fabbri, la pongo in votazione. Essa è del seguente tenore:

«Al primo comma dell’articolo 16, alle parole: legge dello Stato, sentita la Regione, si sostituiscano le altre: legge regionale.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Mortati:

«Sostituire il primo comma con il seguente:

«L’ufficio di Consigliere regionale è incompatibile con quello di membro di altro Consiglio regionale».

L’onorevole Mortati propone altresì d sopprimere il secondo comma.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. La Costituzione all’articolo 122 stabilisce:

«Nessuno può appartenere contemporaneamente ad un Consiglio regionale e ad una delle Camere del Parlamento o ad un altro Consiglio regionale». Mi pare che la formula, così com’è proposta dalla Commissione nell’articolo 17, non risponda testualmente al principio sancito dalla Costituzione. Ritengo non prudente scostarci dalle disposizioni che la Carta costituzionale – l’atto più solenne che noi abbiamo votato – ha stabilito. È pericoloso fare confusioni, in questa delicata materia, tra incompatibilità e ineleggibilità. Sono cose diverse. La Costituzione ha detto: non si può appartenere contemporaneamente al Consiglio regionale e ad una Camera. Conserviamo questa formula e ci sentiremo tutti più tranquilli.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il suo avviso.

LUSSU, Relatore. Sono per il testo della Commissione, come ho già detto.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. L’onorevole Lussu dovrebbe spiegare perché il deputato della Valle d’Aosta non debba essere soggetto alle stesse condizioni valevoli per le altre Regioni d’Italia.

LUSSU, Relatore. Chi ha detto questo?

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mi pare che l’onorevole Bertone abbia richiamato l’attenzione sul fatto che questa formulazione dell’articolo 17 riafferma il contenuto di una norma costituzionale. Non è che si faccia una condizione particolare alla Val d’Aosta; se mai, si introduce nel suo Statuto particolare una norma che è già di carattere generale.

MORTATI. Ma v’è l’articolo 5 della legge votata per l’elezione della Camera dei deputati che dice: «Non sono eleggibili i deputati regionali o i consiglieri regionali». Mi richiamo a questa norma generale, a meno che non si voglia ritenerla incostituzionale.

FUSCHINI. Non è vero. C’è una ineleggibilità momentanea, perché se ci si dimette prima di accettare la candidatura si può essere eletto.

MORTATI. Si tratta in ogni caso di ineleggibilità: e poi questa disposizione citata dall’onorevole Fuschini ha carattere transitorio, per la prima applicazione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 17 nel testo Mortati, testé letto.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma nel testo del progetto:

«L’ufficio di consigliere regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere o d’altro Consiglio regionale».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«I casi di ineleggibilità e gli altri casi di incompatibilità sono stabiliti con legge dello Stato».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 18. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio della Valle è eletto per quattro anni.

«Le elezioni sono indette dal Presidente della Giunta regionale entro quindici giorni dalla fine del precedente Consiglio e hanno luogo non oltre il sessantesimo giorno».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 19. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale elegge, fra i suoi componenti, il Presidente, l’ufficio di presidenza e le Commissioni, in conformità al regolamento interno, che esso adotta a maggioranza assoluta dei suoi componenti».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 20. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio è convocato dal suo Presidente in sessione ordinaria nella prima settimana di aprile e di ottobre di ogni anno e in sessione straordinaria su richiesta del Presidente della Giunta regionale o di almeno un terzo dei consiglieri».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 21. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le deliberazioni del Consiglio della Valle non sono valide se non è presente la maggioranza dei suoi componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che sia prescritta una maggioranza speciale».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 22. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le sedute del Consiglio della Valle sono pubbliche.

«Il Consiglio tuttavia può deliberare di riunirsi in seduta segreta».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 23. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I consiglieri regionali, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, prestano giuramento di essere fedeli alla Repubblica e di esercitare il loro ufficio al solo scopo del bene inseparabile dello Stato e della Regione autonoma della Valle d’Aosta».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 24. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I consiglieri regionali non possono essere perseguiti per le opinioni espresse o i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 25. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I consiglieri regionali ricevono una indennità fissata con legge della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 26. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il consiglio regionale esercita le funzioni normative di competenza della Regione e le altre che gli sono attribuite dal presente Statuto e dalle leggi dello Stato».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 27. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’iniziativa delle leggi regionali spetta alla Giunta regionale, ai membri del Consiglio della Valle ed al popolo valdostano».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 28. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un disegno di legge da parte di almeno tremila elettori».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 29. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio della Valle approva ogni anno il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dalla Giunta.

«L’esercizio finanziario della Regione ha la stessa decorrenza di quello dello Stato».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 30. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Un disegno di legge adottato dal Consiglio della Valle è sottoposto a referendum popolare su deliberazione della Giunta o quando ne sia fatta domanda da un terzo dei consiglieri o da almeno quattromila elettori.

«Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di approvazione di bilancio.

«Le modalità di attuazione del referendum sono stabilite con legge regionale».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 31. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Ogni legge approvata dal Consiglio della Valle è comunicata al rappresentante del Ministero dell’interno, presidente della Commissione di coordinamento, preveduto dall’articolo 46 che, salvo il caso di opposizione, deve vistarla nel termine di trenta giorni dalla comunicazione.

«La legge è promulgata nei dieci giorni dalla apposizione del visto ed entra in vigore il quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione, salvo che in essa sia stabilito un termine diverso.

«Se una legge è dichiarata urgente dal Consiglio della Valle a maggioranza assoluta dei suoi componenti e il rappresentante del Ministero dell’interno lo consente, la promulgazione e l’entrata in vigore non sono subordinate ai termini indicati.

«Il rappresentante del Ministero dell’interno, quando ritenga che una legge approvata dal Consiglio della Valle ecceda la competenza della Regione o contrasti con gli interessi nazionali e con quelli di altre Regioni, la rinvia al Consiglio della Valle nel termine fissato per la apposizione del visto.

«Ove il Consiglio della Valle la approvi di nuovo a maggioranza assoluta dei suoi componenti, il Governo della Repubblica può, nei quindici giorni dalla comunicazione, promuovere la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale, o quella di merito per contrasto di interessi davanti alle Camere. In caso di dubbio, la Corte decide di chi sia la competenza».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 32. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale, la Giunta e gli assessori che la compongono sono organi esecutivi della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 33. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale è eletto dal Consiglio fra i suoi componenti, subito dopo la nomina del Presidente del Consiglio e dell’ufficio di presidenza.

«L’elezione ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza assoluta e, dopo il secondo scrutinio, a maggioranza relativa.

«Gli assessori preposti ai singoli rami dell’Amministrazione sono nominati dal Consiglio su proposta del Presidente della Giunta».

PRESIDENTE. A questo articolo vi è un emendamento del Ministro dell’interno onorevole Scelba:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Gli assessori sono nominati dal Consiglio a maggioranza assoluta di voti segreti e sono preposti dal Presidente della Valle ai singoli rami dell’amministrazione».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di svolgere l’emendamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Brevissimamente vorrei far presente alla Commissione e all’Assemblea che, anche secondo il testo dello Statuto siciliano, gli assessori sono nominati dal Consiglio a maggioranza assoluta di voti segreti e preposti dal Presidente ai singoli rami dell’amministrazione.

Desidererei che questa modifica, presentata dal Ministro Scelba, fosse accettata dalla Commissione.

Gli assessori devono essere nominati dal Consiglio e preposti dal Presidente ai singoli rami dell’amministrazione, conformemente allo Statuto siciliano che verrà domani in discussione.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di voler esprimere il proprio parere.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissione ha seguito il sistema che è stato adottato anche per la Sardegna. Per quanto possa apparire un po’ divergente da quello vigente per la formazione della Giunta comunale, esso ci sembra meritevole di accoglimento. In altri termini, secondo il sistema proposto, il Consiglio regionale elegge anzitutto il Presidente della Giunta, che è l’uomo in cui dovrà incentrarsi l’attività esecutiva della Regione, ed il Presidente così eletto propone alla nomina da parte del Consiglio suoi collaboratori, che comporranno la Giunta regionale.

È un modo insomma che contempera il sistema dell’elezione diretta da parte del Consiglio con il sistema di formazione del Governo che è seguito negli Stati parlamentari.

Mi pare sia questa una combinazione praticamente utile, in quanto ci assicura che intorno al capo dell’amministrazione ci sia un gruppo di persone che egli ha scelto a ragion veduta, in relazione ai fini particolari dell’amministrazione, avendo avuto cura di designare al Consiglio per essere messe a capo di ciascun ramo dell’amministrazione persone che per quel ramo presentano particolari attitudini.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho inteso le spiegazioni dell’onorevole Presidente della Commissione; in sostanza egli ha detto che lo spirito della norma è quello di far scegliere al Presidente della Valle uomini di sua fiducia, di fare quindi, in certo senso, una specie di gabinetto.

Dico francamente che a me par sempre migliore la proposta dell’onorevole Scelba, che cioè questi assessori vengano nominati dal Consiglio a scrutinio segreto e poi il Presidente li assegni ai diversi rami dell’amministrazione, così come è anche nello Statuto siciliano. Io non sono d’avviso che si debba stabilire questa forma eccezionale, che si debba permettere la creazione di questa specie di gabinetto alla Valle d’Aosta, per quanto illustre e degna essa sia.

Io quindi insisto sull’emendamento proposto dall’onorevole Scelba, pregando la Commissione di volerlo accettare.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, la Commissione insiste sul suo testo?

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Noi conserviamo il nostro testo.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Onorevole Presidente, a me pare sia meglio dire dopo il «primo» scrutinio anziché «secondo».

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Abbiamo adottato lo stesso testo della Sardegna, dopo una lunga discussione, e quindi rimane la parola «secondo».

FABBRI. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma.

«Il Presidente della Giunta regionale è eletto dal Consiglio fra i suoi componenti, subito dopo la nomina del Presidente del Consiglio e dell’ufficio di presidenza.

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma.

«L’elezione ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza assoluta e, dopo il secondo scrutinio, a maggioranza relativa».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma nella formulazione proposta dall’onorevole Ministro Scelba, avvertendo che la Commissione mantiene il proprio testo.

«Gli assessori sono nominati dal Consiglio a maggioranza assoluta di voti segreti, e sono preposti dal Presidente della Valle ai singoli rami dell’Amministrazione».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione il testo del progetto:

«Gli assessori preposti ai singoli rami dell’Amministrazione sono nominati dai Consiglio su proposta del Presidente della Giunta».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 34. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta è il capo dell’amministrazione regionale e rappresenta la Regione.

«Promulga le leggi ed i regolamenti regionali».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 35. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’ufficio del Presidente della Giunta regionale o di assessore è incompatibile con qualsiasi altro ufficio pubblico».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 36. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio della Valle ha facoltà di istituire organi di consulenza tecnica».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo VI: «Lingua e ordinamento scolastico». Si dia lettura dell’articolo 37.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nella Valle d’Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana.

«Gli atti pubblici possono essere redatti nell’una o nell’altra lingua, eccettuati i provvedimenti dell’autorità giudiziaria, i quali sono redatti in lingua italiana.

«Le amministrazioni statali assumono in servizio in Valle d’Aosta possibilmente funzionari originari della Regione o che conoscano la lingua francese».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Rodi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo e il secondo comma con i seguenti:

«Nella Valle d’Aosta ha libero corso la lingua francese.

«Gli atti pubblici sono redatti in lingua italiana».

Ha facoltà di svolgerlo.

RODI. Io credo che sarebbe anche inutile svolgere questo emendamento, poiché non è difficile rilevare che l’articolo 37 è per lo meno strano nella sua formulazione.

Se la Valle d’Aosta è una Regione italiana, la lingua ufficiale della Valle è quella italiana. Se tuttavia numerosi sono i cittadini che parlano la lingua francese nella Valle, noi possiamo affermare in questo articolo 37 che la lingua francese ha libero corso. (Commenti a sinistra). Però è chiaro che gli atti ufficiali, tutti indistintamente, devono essere redatti in lingua italiana. E io non comprendo perché in questo articolo 37 solo gli atti giudiziari fanno eccezione, nel senso che essi debbono obbligatoriamente essere redatti in lingua italiana. Col mio emendamento desidero estendere a tutti gli atti pubblici la lingua italiana.

Non trovo ragione sufficiente, perché si debba in una Regione italiana parificare una lingua all’altra. Col mio emendamento desidero affermare che la lingua della Regione è l’italiana, e che quindi tutti gli atti pubblici devono essere redatti in lingua italiana.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore…

LUSSU, Relatore. Io devo fare riferimento su questo punto che, come ciascuno vede, è estremamente delicato ed importante, all’articolo 17 del decreto legislativo luogotenenziale 7 settembre 1945, che ho più volte ricordato stamane.

In esso è detto al primo comma: «Nella Valle d’Aosta è consentito il libero uso della lingua francese nei rapporti con le autorità politiche amministrative e giudiziarie».

Noi abbiamo lungamente discusso in seno alla Commissione e siamo arrivati alla conclusione che la formula migliore da adottare è quella consacrata nel testo. Anche se si discutesse ancora più a lungo di quello che non abbiamo fatto noi, non sarebbe facile trovare una formula più soddisfacente.

L’onorevole Rodi ha creduto di trovarne una con le parole «libero corso». Ma «libere corso» si presta a critiche abbastanza giustificate. Libero corso significa corso libero e in Val d’Aosta si potrebbe anche ridere di questa dizione. Il corso è libero se si passa nei tempi in cui i valichi sono sgombri dalla neve, ma non è più libero di fronte ai roccioni che scendono dall’alto e alla neve che arresta il passaggio.

Io credo che anche l’onorevole Rodi si persuaderà che quella sua espressione non è la più felice.

Quando noi diciamo che la lingua francese è parificata, intendiamo dire che la prima lingua ufficiale è quella italiana e che la lingua francese è parificata a questa. Quindi da un punto di vista del prestigio nazionale – che sarebbe anche discutibile in questo caso – mi pare si possa stare tranquilli.

Nel secondo comma del decreto legislativo luogotenenziale, che ho citato, è detto:

«Gli atti pubblici possono essere redatti in lingua francese, eccettuate le sentenze dell’autorità giudiziaria».

Come i colleghi possono constatare, il testo della Commissione ha voluto essere più restrittivo verso la lingua francese, perché ha sostituito alla dizione «sentenze dell’autorità giudiziaria» la dizione «provvedimenti dell’autorità giudiziaria», termine più vasto dal punto di vista della lingua italiana. Significa infatti che non solo le sentenze devono essere redatte in lingua italiana, ma anche tutti gli atti che accompagnano il processo nel suo sviluppo, dall’inizio alla sentenza.

Ecco perché credo che non si possa criticare da un punto di vista nazionale quello che abbiamo proposto in conformità del secondo comma dell’articolo 17, e ritengo di esprimere il pensiero della Commissione dicendo che non accettiamo l’emendamento dell’onorevole Rodi.

CHATRIAN. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHATRIAN. Onorevoli colleghi, la conoscenza e l’uso della lingua francese nella Val d’Aosta costituiscono un patrimonio, una ricchezza plurisecolare dei valdostani, dei valdostani che vivono nella Valle, dei valdostani che si trovano nelle altre Regioni italiane, dei valdostani che sono costretti a emigrare nella vicina Francia o in altri Paesi europei o extraeuropei.

Ciò non ha mai significato e non significa che la Val d’Aosta non sia italianissima e profondamente legata alla Patria italiana, come dimostrano tutte le pagine della sua storia, come dimostra la lotta dei partigiani nella guerra di liberazione, documentata da una minuta pubblicazione della Presidenza del Consiglio, e come dimostra soprattutto l’olocausto, il sacrificio degli alpini valdostani nella guerra mondiale, in cui il battaglione alpini «Aosta» – solo, su 61 battaglioni alpini! – ha ottenuto il massimo riconoscimento del valore: la medaglia d’oro al valor militare! (Applausi).

Ebbene, onorevoli colleghi, questo olocausto degli alpini del battaglione «Aosta» è documentato e consacrato in un libro del 1919 così intitolato: Le livre d’or de la Vallée d’Aoste: les valdostains morts pour la Patrie.

L’uso della lingua francese per elencare i nomi di questi valorosi caduti e per analizzare statisticamente le perdite dei vari paesi della Valle, non diminuisce menomamente il loro sacrificio, non comporta affatto che essi non siano stati allora profondamente italiani!

Fra le tante ingiustizie e i tanti errori di prospettiva che il fascismo commise nella Val d’Aosta, forse il più grave è stato il tentativo di estirpare la lingua francese dalla Val d’Aosta, determinando due risultati: uno voluto e uno non voluto. Quello voluto, di precludere a intere generazioni la conoscenza di questa loro lingua materna; quello non voluto, di far sorgere in Val d’Aosta uno pseudo irredentismo che non aveva avuto nessun precedente nella storia e che non ha nessuna ragion d’essere.

È necessario, onorevoli colleghi, non colposamente consentire gli sfruttamenti, di varia origine e di varia natura, che tendono ancora oggi ad alimentare questo pseudo irredentismo.

Due ordini di critiche possono essere rivolti (e uno è stato rivolto dall’onorevole Rodi) all’uso della lingua francese in Val d’Aosta: il primo, contro l’uso della lingua francese nella lingua corrente e negli atti ufficiali; il secondo, contro i limiti e i termini dell’insegnamento di questa lingua nella scuola.

Ebbene, se non si vuole, in pari tempo, consentire che la lingua francese sia, accanto alla lingua italiana, la lingua della Val d’Aosta, e praticamente impedirlo, non bisogna pretendere che questa lingua non sia quotidianamente usata; che non possa essere assimilata – vorrei dire – senza sforzo, soprattutto dalle classi più umili e persino dagli analfabeti, i quali, sia pure rudimentalmente, solo con l’uso giornaliero possono rendersene padroni.

MALAGUGINI. Non parlano francese, parlano il patois.

CHATRIAN. Mi spiace, egregio collega, tutti i valdostani conoscono la lingua italiana, anche i più umili, e variamente conoscono la lingua francese, e parlano anche il patois.

Quanto ai limiti dell’insegnamento, poiché la questione non è stata posta in discussione, mi riserbo di intervenire se sarà affacciata.

E finisco questa, che vorrei chiamare una dichiarazione di voto.

La concessione dello Statuto, nei termini proposti, nei termini che stiamo esaminando, alla Valle d’Aosta, va in certo modo incontro alle principali aspirazioni dei valdostani; non a tutte, o meglio, non a quelle di tutti, ma è certo che esso dimostra le favorevoli disposizioni del Governo e della Costituente nei confronti dei valdostani.

Nell’interesse dei rapporti fra valdostani e non valdostani esistenti nella Valle, nell’interesse dei rapporti fra i valdostani e gli altri italiani, nell’interesse dei rapporti fra il Governo e la Valle, io prego di desistere da qualsiasi attacco contro la lingua francese in Val d’Aosta, che i valdostani considererebbero veramente offensivo. Non favoriamo le mene di pochi faziosi e di pochi sconsigliati che tendono ad alimentare quello pseudo irredentismo di cui ho parlato, in buona o in mala fede. Riconosciamo pienamente, ed anzi favoriamo l’esercizio di questa lingua; e voi potrete essere certi e pretendere che, con questa e con altre prove di tutela e di amore dello Stato verso la Valle, la Valle collabori pienamente, effettivamente ed efficacemente con il Governo centrale nell’interesse comune.

Infine mi permetto di formulare una affermazione che oso definire solenne: sono certo che i valdostani sono pronti a rispondere, in qualsiasi momento, all’appello della Patria; e che, se essi dovessero essere chiamati a difenderla in una nuova guerra (quod Deus avertat) essi, con i nomi cari del Pays e della Patrie sulle labbra e con le lettere dei loro familiari e le preghiere in lingua francese sul loro cuore, sapranno rinnovare i fasti, i sacrifici e gli eroismi degli alpini della prima guerra mondiale. (Applausi al centro).

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Voglio aggiungere una breve parola a quanto ha detto l’onorevole Chatrian. (Commenti). Mi rincresce che a qualcuno questo meravigli, ma io ho un precedente sopra questa questione, che certamente molti hanno il diritto di ignorare. Il precedente è questo: nel 1914, discutendo il bilancio della pubblica istruzione, io ho sostenuto, insieme all’onorevole Rattone, uno stanziamento maggiore per le scuole di lingua francese che erano allora nella Valle d’Aosta, e c’è ancora il mio ordine del giorno, firmato da altri deputati, in base al quale l’onorevole Rattone fece un discorso che si potrebbe anche ricordare, se non fosse inopportuno di condurre troppo a lungo questa discussione.

Ad ogni modo, fin d’allora questo diritto all’uso delle due lingue nelle scuole e nei pubblici uffici della Valle d’Aosta era già consentito, e non si comprenderebbe ora un ritorno indietro, in un momento nel quale noi diamo alla Valle d’Aosta uno Statuto che presenta una certa larghezza ed è forgiato col sistema della precedente autonomia del Trentino, per la quale la questione della lingua non è stata fatta. Io ricordo come l’onorevole Baccelli, già Ministro della pubblica istruzione, in quella circostanza, ebbe a dire una frase generosa. Egli disse: «La Valle d’Aosta ha un dovere verso la lingua italiana e un diritto verso la lingua francese». «Or bene – aggiungeva l’onorevole Rattone – il dovere si è assolto in modo che non si potrebbe desiderare migliore, perché da noi (in Val d’Aosta) tutti conoscono l’italiano, ed è scomparsa completamente la piaga dell’analfabetismo».

Ma permettete che io mi richiami a qualche cosa di ben maggiore importanza, cioè all’antica costituzione della Valle ed insieme allo Statuto Albertino, che consentiva che i deputati di Val d’Aosta potessero nelle due Camere parlare in francese ed avere la risposta in francese. Non lo avevano fatto mai negli ultimi ventenni, ma prima sì; e nel Parlamento subalpino il francese si è usato in tante occasioni.

Lo Statuto Albertino viene ora ad essere sostituito da questa Costituzione, che deve essere più larga di quella di allora. Noi non possiamo, creando nuove autonomie, far sì che questo Statuto che viene ad incardinarsi appunto alla Costituzione nuova, possa portare una limitazione ad un diritto che queste popolazioni hanno sempre avuto.

È per questo che io appoggio la proposta della Commissione, e voterò per questa con sicura coscienza. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Rodi, conserva il suo emendamento?

RODI. Lo mantengo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Ho sentito dall’onorevole Chatrian un dato di fatto: che la modesta gente in Val d’Aosta parla il patois, ma che questa gente conosce l’italiano ed il francese. Allora non vedrei la ragione per cui noi dovremmo abdicare al principio che la lingua italiana è la lingua ufficiale dello Stato. Troverei che è opportuno aggiungere una norma simile a quella che era nello Statuto Albertino, per cui sia consentito l’uso della lingua francese anche negli atti pubblici degli enti locali. Ma far diventare la lingua francese una lingua ufficiale, a parità con la lingua italiana, mi sembra andare un po’ oltre.

Mi pare che in questa materia noi seguiamo il moto oscillatorio del pendolo. Si arriva dagli estremi del fascismo, che cambiò la toponomastica, ad un altro estremo, quello di espellere quasi la lingua italiana. (Commenti) Sì, consentitemelo: perché se il Parlamento italiano consente che le due lingue siano parificate, nell’applicazione, la lingua italiana sarà esclusa. (Commenti). Ve l’assicuro io. Altrimenti non si chiederebbe con tanta insistenza questa norma. Nell’applicazione, la lingua italiana sarebbe esclusa. (Commenti) Non c’è nessuna ragione di sancire una norma simile.

Si aggiunga che si può consentire, come io propongo, negli atti pubblici degli enti locali l’uso della lingua francese; o che questi atti siano fatti in forma bilingue; ma non c’è nessuna ragione di parificare le due lingue e di dire che ci sono due lingue ufficiali. Del resto, ve ne siete accorti quando avete scritto in questo Statuto che gli atti dell’autorità giudiziaria devono essere scritti in italiano. Qual è la ragione? Perché lì è la sovranità dello Staio che parla e si esprime in italiano Ma io vi dico che sarebbe ancor più necessario per gli atti dell’autorità giudiziaria che la convinzione e la comprensione di questi atti scenda all’umile gente. Perché una sentenza ha la funzione di spiegare le ragioni del diritto. Una sentenza deve convincere.

Io non comprendo perché, giusto per le sentenze, si dovrebbe creare l’eccezione. La verità è questa: che la sovranità dello Stato si esprime nella lingua ufficiale dello Stato, e tutti gli atti che sono espressione della sovranità del nostro Stato devono essere nella nostra lingua italiana. Che, se intensamente italiani sono quelli della Val d’Aosta, come non dubito, loderanno questo mio intervento e loderanno la Costituente, se essa voterà a favore della mia proposta: cioè, che la lingua italiana è la lingua della Regione, ma che è consentito l’uso della lingua francese negli atti ufficiali degli enti locali.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Mi associo alle parole dell’onorevole Chatrian.

Vi prego di considerare la delicatezza di questa materia; le preoccupazioni che si sono qui manifestate sono semplicemente assurde oltreché offensive. Come si può affermare che colle disposizioni in esame la lingua italiana potrebbe venire eliminata dalla Valle?

Già altra volta con mia sorpresa ho sentito in quest’Aula confondere la nostra autonomia con altri movimenti sacrileghi, che noi condanniamo e coi quali nulla ha a che fare la nostra autonomia.

La Commissione ha elaborato con la massima coscienza la disposizione in esame: essa risponde al dettato delle nostre coscienze e ai diritti della nostra Valle.

Vi prego di votare questo articolo com’è proposto, respingendo l’emendamento proposto dell’onorevole Rodi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Rodi, così modificato, in sostituzione del primo comma dell’articolo 37:

«Nella Valle d’Aosta ha libero corso la lingua francese».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione il primo comma nel testo proposto dall’onorevole Condorelli:

«Nella Valle d’Aosta la lingua ufficiale è la lingua italiana».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma nel testo del progetto:

«Nella Valle d’Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma. L’onorevole Rodi propone il seguente testo:

«Gli atti pubblici sono redatti in lingua italiana».

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione il testo proposto dall’onorevole Condorelli:

«È consentito l’uso della lingua francese negli atti degli Enti locali».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo del progetto:

«Gli atti pubblici possono essere redatti nell’una o nell’altra lingua, eccettuati i provvedimenti dell’autorità giudiziaria, i quali sono redatti in lingua italiana».

(È approvato).

Pongo in votazione l’ultimo comma:

«Le amministrazioni statali assumono in servizio in Valle d’Aosta possibilmente funzionari originari della Regione o che conoscano la lingua francese».

(È approvato).

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 38. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nelle scuole di ogni ordine e grado, esistenti nella Regione, all’insegnamento della lingua francese è dedicato un numero di ore settimanali pari a quello della lingua italiana.

«L’insegnamento di alcune materie può essere impartito in lingua francese».

L’onorevole Bettiol ha proposto il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: nelle scuole di ogni ordine e grado esistenti nella Regione, sostituire le parole: Nelle scuole di ogni ordine e grado dipendenti dalla Regione».

Ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Leggendo questo progetto di Statuto particolare della Valle d’Aosta, per quanto riguarda la disciplina delle questioni scolastiche, che presenta indubbiamente un interesse fondamentale, mi sono accorto – e vorrei sbagliarmi – che la disciplina prevista da questo Statuto si diversifica profondamente dalla disciplina che ieri abbiamo adottata per quanto concerne il regime scolastico nel Trentino-Alto Adige. È in questo senso che, mentre noi giustamente dobbiamo garantire la possibilità ai nativi di sviluppare nelle loro scuole la loro tradizione culturale e la loro civiltà, dobbiamo però anche preoccuparci che gli immigrati, i quali sono in fortissimo numero nella Val d’Aosta, possano liberamente cercare di avere quella educazione scolastica, quei tipi di scuole che più si confanno alle loro tradizioni particolari.

In modo particolare, sarebbe opportuno fare in modo che la facoltà, di cui all’articolo 38, riguardi soltanto le scuole dipendenti dalla Regione, perché in queste scuole dipendenti dalla Regione è vivo l’interesse all’insegnamento della lingua francese, di questa lingua nella quale, appunto, si esprimono più chiaramente le manifestazioni dei valdostani.

Quindi, il mio emendamento tende da una parte a creare scuole di Stato con libertà di insegnamento per quanto riguarda la lingua da usarsi nella scuola, e dall’altra a limitare questa autonomia dell’insegnamento in lingua francese, soltanto alle scuole dipendenti dalla Regione stessa.

Questo per quanto riguarda l’articolo 38. Mi riservo di riprendere poi la parola per quanto riguarda l’articolo 39.

PRESIDENTE. L’onorevole Malagugini ha proposto di sopprimere il secondo comma.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MALAGUGINI. Il secondo comma dell’articolo 38 dice: «L’insegnamento di alcune materie può essere impartito in lingua francese». Credo che non sfugga a nessuno la gravità di questa affermazione ed io penso che neppure il collega onorevole Chatrian la vorrà accettare. Che si adotti esclusivamente la lingua francese per l’insegnamento di alcune materie mi pare eccessivo. Ho cercato di aver lumi in proposito dal collega onorevole Bordon, ma egli si è limitato a dirmi che, se, a mo’ d’esempio, si volesse insegnare l’educazione fisica in lingua francese, non lo si dovrebbe proibire. Lo si faccia pure, in pratica, ma non lo si sancisca in un articolo di una legge costituzionale.

Mi pare che queste osservazioni semplicissime debbano essere sufficienti per indurre i colleghi ad eliminare questo comma in un articolo che già di per sé concede molto alla Regione ed alle sue esigenze linguistiche.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Lussu di esprimere il parere della Commissione su questi emendamenti.

LUSSU, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento Bettiol al primo comma.

Per il secondo comma, la situazione è un po’ più difficile e credo che l’Assemblea se ne renda conto. Nel decreto legislativo luogotenenziale è detto che l’insegnamento di alcune materie può essere impartito in lingua francese. Noi abbiamo esaminato questo punto e siamo arrivati alla conclusione, che era indispensabile inserirlo nello Statuto stesso, perché altrimenti si veniva ad intaccare un diritto contemplato nella legislazione che è oggi in atto. Vero è che oggi, che io sappia, non si insegna nessuna materia in lingua francese, né la storia, né la geografia, né la matematica, né altro. La Giunta della Valle ci aveva proposto anche una serie di materie da inserire obbligatoriamente nello Statuto.

La Commissione non ha aderito a questa richiesta ed ha voluto consacrare nello Statuto la stessa formula che è inserita nel decreto legislativo luogotenenziale citato. Io capisco, e la Commissione comprende, le apprensioni di qualcuno; peraltro, all’articolo 39 c’è il correttivo, e la garanzia perché questi adattamenti di cui all’articolo 39 (compreso l’insegnamento della lingua francese) sono applicati e resi esecutivi da Commissioni miste e paritetiche, composte di rappresentanti del Ministero della pubblica istruzione e dei rappresentanti del Consiglio della Valle.

Quindi è una cosa da esaminare, da discutere profondamente e da decidere, ma una certa tranquillità la possiamo avere.

La Commissione pertanto ritiene che deve insistere nel difendere il suo testo e nel raccomandarlo alla approvazione della Assemblea.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma con l’emendamento Bettiol, accettato dalla Commissione, così formulato:

«Nelle scuole di ogni ordine e grado, dipendenti dalla Regione, all’insegnamento della lingua francese è dedicato un numero di ore settimanali pari a quello della lingua italiana».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Pongo ora in votazione il secondo comma del quale l’onorevole Malagugini ha chiesto la soppressione, non accettata dalla Commissione:

«L’insegnamento di alcune materie può essere impartito in lingua francese».

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ritengo opportuno che si passi ora alla votazione dell’ordine del giorno presentato in principio di seduta dell’onorevole Franceschini e da altri deputati.

Rammento che l’onorevole Franceschini lo ha già svolto e che il Relatore e il Presidente della Commissione, avevano dichiarato di accettarlo. .

Pongo pertanto in votazione l’ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, conscia delle particolari delicate esigenze di unità e organicità, che sono proprie dell’insegnamento primario e secondario d’ogni tipo e grado, esprime il voto che l’ordinamento giuridico, didattico e amministrativo della scuola italiana non possa essere sostanzialmente modificato dalla eventuale applicazione di norme integrative o d’attuazione, secondo gli statuti regionali speciali».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 39. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge.

«L’insegnamento della varie materie è disciplinato dalle norme e dai programmi in vigore nello Stato, con gli opportuni adattamenti alle necessità locali.

«Tali adattamenti, nonché le materie da insegnarsi in lingua francese, sono approvati e resi esecutivi da Commissioni miste paritetiche, composte di rappresentanti del Ministero della pubblica istruzione e di rappresentanti del Consiglio della Valle».

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Pregherei di voler considerare soppressa al secondo comma di questo articolo la parola «paritetiche».

PRESIDENTE. Sta bene. A questo articolo, l’onorevole Bettiol ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Tali adattamenti, nonché le materie che possono essere insegnate in lingua francese, sono approvati e resi esecutivi, sentite le Commissioni miste composte di rappresentanti del Ministero della pubblica istruzione e di rappresentanti del Consiglio della Valle».

Ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Il mio emendamento tende in sostanza ad ammorbidire quello che è stato il principio approvato con il capoverso dell’articolo 39, tanto da un punto di vista formale quanto da un punto di vista procedurale. Anzitutto la frase «materie da insegnarsi» non concorda più con il capoverso dell’articolo 38, per il quale l’insegnamento della lingua francese è puramente facoltativo: «da insegnarsi» dà l’idea invece dell’obbligatorietà.

In secondo luogo, il mio emendamento reca semplicemente «sentite le Commissioni miste» al posto di «da commissioni miste paritetiche»; questo significa che l’ultima decisione è deferita alla potestà di un organo statale. Non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Geuna, Rapelli, Franceschini, Bertola, hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere al secondo comma, in fine, le seguenti parole: e dei sindacati della scuola».

L’onorevole Geuna ha facoltà di svolgere l’emendamento.

GEUNA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, noi abbiamo chiesto che si aggiunga, al termine dell’articolo 39, là dove è detto che alcune materie possono eventualmente insegnarsi in lingua francese, previa approvazione da parte di commissioni miste composte di rappresentanti del Ministero della pubblica istruzione e di rappresentanti del Consiglio della Valle, anche di «rappresentanti del sindacato della scuola».

Noi riteniamo che questa nostra proposta sia accettabile, dato che, una volta che l’articolo parla di opportuni adattamenti per queste materie da insegnarsi in lingua francese, è evidente che il sindacato della scuola, essendo particolarmente vicino a queste necessità locali, potrà portare una voce di esperienza e recherà quell’insopprimibile elemento che – senza sviluppare l’opposto – vorrei chiamare «tecnico» nella soluzione dei vari problemi, così come il Consiglio della Valle eserciterà anche in questo campo un’azione di difesa, di tutela dell’autonomia valdostana e il Ministero della pubblica istruzione recherà la garanzia, per lo meno, di organicità e di unità nel campo dell’insegnamento, pur con gli adattamenti in questione. Mi permetto poi chiedere alla Commissione le ragioni per cui è addivenuta alla soppressione del termine «paritetiche».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati e Moro hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, alla fine del secondo comma, le parole: e presiedute dal Presidente della Commissione di coordinamento».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Onorevole Presidente, io lo ritiro associandomi a quello dell’onorevole Bettiol, mantenendolo solo in via subordinata per il caso in cui l’Assemblea respinga quello dell’onorevole Bettiol.

PRESIDENTE. L’onorevole Malagugini ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma sostituire le parole: composte di ecc., con le altre: composte di rappresentanti del Consiglio della Valle e del Ministro della pubblica istruzione sotto la presidenza di un altro funzionario del Ministero stesso».

Ha facoltà di svolgerlo.

MALAGUGINI. Non ho niente da dire per illustrarlo, perché le ragioni che hanno ispirato il mio emendamento mi pare siano evidenti.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Voglio fare soltanto un’osservazione: se si vuole introdurre la rappresentanza professionale o tecnica, credo si debba dire, in generale, «rappresentanza dei professori, degli insegnanti ecc.», ma non dei sindacati, che non sono giuridicamente riconosciuti. Nelle leggi finora abbiamo sempre adottato questa forma, perché non possiamo escludere l’uno e includere l’altro. Diciamo semplicemente «rappresentanti del corpo insegnanti», e poi le norme regolamentari stabiliranno quali sono.

GEUNA. Accetto la modificazione.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Lussu, di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti proposti.

LUSSU, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento proposto dall’onorevole Bettiol, di sostituire le parole «le materie da insegnarsi» con quelle: «le materie che possono essere insegnate», riconoscendo che lasciando detto così com’è nel testo sembra un’affermazione categorica, quale invece non vuole essere.

Per quanto riguarda la seconda parte del secondo comma, evidentemente non è stata avvertita la dichiarazione che ha fatto il nostro Presidente onorevole Perassi poc’anzi. Egli ha detto che la Commissione correggeva in questo senso: «resi esecutivi da Commissioni miste», togliendo l’aggettivo «paritetiche».

Questo si è dovuto fare in seguito al fatto che qualcuno ha osservato che nel testo del decreto legislativo luogotenenziale, al quale noi ci siamo riferiti, effettivamente quel «paritetiche» non c’era. E allora si è ritenuto di lasciare soltanto «Commissioni miste». Ma quando si lascia «Commissioni miste» nello Statuto, così com’è nel testo del primo decreto, evidentemente non bisogna imporre una sovrastruttura di Presidenti, ecc. come qualcuno ha fatto, perché è sufficiente dire «rappresentanti del Ministero della pubblica istruzione e i rappresentanti del Consiglio ella Valle».

Credo, poi, che la Commissione aderisca senz’altro ad includere la rappresentanza degli insegnanti, perché è troppo giusto che ci siano. Però preferibilmente insegnanti – questo dovrebbe dipendere dalla discrezionalità del Corpo interessato – che conoscano bene l’ambiente e la lingua, che siano cioè interpreti di reali esigenze locali.

In questo senso la Commissione può aderire agli emendamenti proposti dagli onorevoli Bettiol e Geuna. Quanto all’emendamento Malagugini, la Commissione a mio mezzo dichiara di non poterlo accettare.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Vorrei sapere che cosa significano queste Commissioni miste e che valore ha da parte della Commissione l’aver tolto l’aggettivo «paritetiche». Se lo si è tolto, lo si è fatto per un motivo, non perché fosse un pleonasmo. Dunque bisognerà dire come queste Commissioni sono composte, e da chi sono presiedute, perché possano funzionare.

UBERTI. Sempre in mano alla burocrazia centrale!

MALAGUGINI. Se non vi piace l’Alto funzionario, non insisto; ho adoperato questa dizione generica, ma si potrebbe anche modificare e specificare. L’importante è che ci sia uno che presieda in modo che questa materia delicata sia trattata con la serietà che merita.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Non ho compreso bene il parere della Commissione circa la sostanza del mio emendamento, perché mentre nel testo del progetto il parere delle Commissioni ha carattere vincolante, nel mio emendamento ha soltanto carattere consultivo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LUSSU, Relatore. Le deficienze sono inevitabili, perché i testi degli emendamenti vengono presentati all’ultimo momento e la Commissione non li ha sott’occhio.

Noi abbiamo inteso di non accettare l’emendamento Bettiol.

Noi intendiamo che gli adattamenti da apportarsi e le materie da insegnarsi in lingua francese, siano approvati e resi esecutivi, perché, cancellando «paritetiche» ritengo ci sia una ampia garanzia.

E adesso si entra nel merito. Come saranno composte queste Commissioni? Vorrei chiedere all’onorevole Bordon come sono composte oggi queste Commissioni, e se mai hanno funzionato. Io non saprei dirlo. Ma a me pare che quando ci siano i rappresentanti del Ministero, del Consiglio della Valle, degli insegnanti, basti che il più autorevole assuma le funzioni di Presidente della Commissione. (Commenti).

Se vogliamo precisare anche come deve avvenire la nomina, entriamo in un altro campo.

Su questo ho bisogno di consultarmi col Presidente o coi colleghi, perché non posso improvvisare la composizione della Commissione mista.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non credo che sia necessario occuparsi di questo particolare. Qui stiamo facendo una legge, non un regolamento.

LUSSU, Relatore. Si potrebbe dire: «presieduta dal rappresentante del Ministero». (Commenti).

Se si volesse specificare tutto dove si andrebbe a finire? Dovremmo accettare molti emendamenti aggiuntivi, e dovremmo persino dire come verranno nominati i rappresentanti degli insegnanti.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Trovo che bisognerebbe risolvere il quesito posto dall’onorevole Bettiol. La questione del Presidente, diviene importante soltanto se la Commissione dovrà essere organo esecutivo e non puramente consultivo. Quindi, credo che bisogna votar prima l’emendamento dell’onorevole Bettiol. Se viene approvato, la questione della presidenza della Commissione non ha più ragione d’essere.

LUSSU, Relatore. La Commissione non accetta l’emendamento Bettiol.

PRESIDENTE. Sarebbe necessario che venisse completato questo comma, o per lo meno si facesse riferimento alle disposizioni ulteriori che verranno stabilite.

A questo proposito v’è la proposta dell’onorevole Mortati, che vorrebbe affidare la Presidenza di questa Commissione al Presidente della Commissione di coordinamento.

GEUNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Scusi, signor Presidente; sarò giudicato pedante, ma devo dichiarare che non ho avuto soddisfazione circa i motivi per cui è stata tolta la parola «paritetiche».

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, la prego di rispondere.

LUSSU, Relatore. Io lo avevo detto. Alcuni colleghi ci hanno fatto osservare che il testo del decreto legislativo luogotenenziale parlava di Commissioni miste, e pertanto ci hanno pregato di ritornare al testo. Noi abbiamo creduto doveroso accettare questo suggerimento. Ecco perché abbiamo cancellato la parola «paritetiche».

Invece, creando «Commissioni miste», è chiaro (e il fatto stesso che abbiamo aderito alla richiesta che fosse inserito il rappresentante del corpo degli insegnanti lo dimostra), che si hanno in modo certo tutte le garanzie.

Quando noi accettiamo che la Commissione sia composta del rappresentante del Ministero della pubblica istruzione, del rappresentante del Consiglio della Valle, del rappresentante del corpo degli insegnanti, non basta?

Dobbiamo anche dire come verrà nominato il Presidente e con quali modalità saranno nominati il rappresentante del Ministero, quello del corpo degli insegnanti e quello del Consiglio della Valle?

Credo francamente che non sia necessario.

PRESIDENTE. Probabilmente non è necessario dire in che modo si provvede alla nomina dei componenti, ma è necessario dire chi presiede questa Commissione. Si dica pure che la Commissione si eleggerà un Presidente. Anche questa è una formula, ma occorre dirlo.

LUSSU, Relatore. La Commissione quando si riunisce nomina un Presidente. E non è automatico e implicito che i tre si riuniscano e uno presieda? È proprio necessario dirlo?

Non è poi da accettare l’emendamento del collega onorevole Mortati, che vorrebbe che il Presidente della Commissione di coordinamento fosse anche il Presidente di questa Commissione scolastica. Francamente, sarà un capace e degno funzionario, ma è bene che il Ministero dell’interno non si occupi di questi problemi scolastici.

GEUNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Io chiedo venia se sono così insistente, ma ritengo necessario che il mio pensiero sia esattamente compreso.

A fortiori, se la Commissione ha lasciato il termine «paritetica» e quindi si è ridotta a questa formazione di Commissione mista, questo ripiegare su delle Commissioni miste non paritetiche postula che vi sia una presidenza.

Se noi stiamo allo spirito del testo della Commissione, per cui le decisioni hanno un carattere esecutivo, logicamente, siccome questa decisione si trasferirà immediatamente in atto e avrà valore per la Valle, occorre che vi sia un’autorità che possa raccogliere i frutti della discussione di tre volontà diverse e decidere. Se, invece si aderisce al testo Bettiol, per il quale io – e valga come dichiarazione di voto – voterò contro, per cui queste Commissioni si riducono ad un puro carattere consultivo, allora sarà il Consiglio della Valle che, in veste di organo legislativo ed esecutivo, avrà facoltà di tradurre o meno in atto le norme stesse deliberate.

PRESIDENTE. Pongo intanto in votazione il primo comma dell’articolo 39 nel testo del progetto:

«L’insegnamento delle varie materie è disciplinato dalle norme e dai programmi in vigore nello Stato, con gli opportuni adattamenti alle necessità locali».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma nella formulazione proposta dall’onorevole Bettiol.

«Tali adattamenti, nonché le materie che possono essere insegnate in lingua francese, sono approvati e resi esecutivi, sentite le Commissioni miste composte di rappresentanti del Ministero della pubblica istruzione e di rappresentanti del Consiglio della Valle».

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Pregherei di votare questo comma per divisione. Vi è una modifica al testo della Commissione che consiste nel dire anziché «le materie da insegnarsi», «le materie che possono essere insegnate».

Per l’altra parte, prima di passare ad un voto, per chiarire le idee, e soprattutto avuto riguardo alla proposta Bettiol, bisogna sapere bene che cosa vuol dire «sono approvati e resi esecutivi». Da chi? Se si dice: «resi esecutivi sentite la Commissioni» potrebbe credersi che l’autorità che rende esecutivi questi programmi è l’autorità regionale. Non credo che l’emendamento Bettiol corrisponda allo scopo che aveva in vista. Quindi credo che, in luogo di dire «sentite la Commissioni», può restare il testo attuale «sono approvati e resi esecutivi da Commissioni», ma bisogna che risulti ben chiaro che la Commissione non è un organo della Regione ma è un organo dello Stato, il che può farsi risultare dicendo che il Presidente di questa Commissione è nominato dal Ministro.

Io proporrei a questo riguardo di dire in fondo: «e presiedute da un provveditore agli studi designato dal Ministro della pubblica istruzione».

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma nella formulazione dell’onorevole Bettiol.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Geuna, così definitivamente formulato:

«e di rappresentanti degli insegnanti».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 40. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione provvede all’istruzione materna, elementare, professionale e media e all’educazione fisica della gioventù.

«La Regione nomina il sovraintendente agli studi e gli insegnanti e il personale delle scuole da essa dipendenti.

«Gli insegnanti devono possedere i titoli di studi prescritti dalle leggi dello Stato.

«Gli insegnanti delle scuole elementari debbono essere nominati in seguito a concorso.

«Quelli delle scuole medie devono essere nominati fra i vincitori di un concorso statale.

«È ammesso il passaggio degli insegnanti dai ruoli statali a quelli regionali e viceversa secondo le norme stabilite con legge della Repubblica.

«Le nomine del personale di cui al presente articolo sono subordinate alla dimostrazione della conoscenza della lingua francese.

«Lo stato giuridico ed economico degli insegnanti è regolato da norme conformi a quelle vigenti per gli insegnanti dei ruoli statali».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Franceschini, Bertola, Tega, Ponti, Preti, Tonello, Ferrarese, Guerrieri Filippo, Rapelli e Ferreri, hanno preposto di sopprimerlo. L’onorevole Franceschini ha facoltà di svolgere l’emendamento.

FRANCESCHINI. Mi rivolgo prima di tutto al rappresentante della Val d’Aosta, l’onorevole Bordon, per dirgli che solo amore e simpatia verso i colleghi insegnanti e verso gli allievi della Val d’Aosta muovono le mie parole, anzi le nostre parole: poiché io parlo a nome del Gruppo della scuola.

Vi è in questo articolo 40 una contraddizione patente con l’articolo 3 lettera g), che dice che la Regione ha la potestà di emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica nei riguardi dell’istruzione materna, elementare e media. Dunque, norme di semplice integrazione ed attuazione; mentre, al contrario, l’articolo 40 provvede alla scuola con legislazione primaria; benché, infatti, esso si uniformi alla legislazione italiana, tuttavia afferma una primarietà giurisdizionale che è in contraddizione palese con l’articolo 3 lettera g). La legislazione concessa dall’articolo 3, già approvato, è, lo ripetiamo, di integrazione e di attuazione soltanto.

Ora, quando si dice che «la Regione provvede all’istruzione materna, elementare… ecc.» che cosa v’è di più primario di questa attribuzione? (Interruzione del deputato Bordon). Mi pare che quando si dice, ad esempio, «provvede alla nomina del sovraintendente» questa affermazione implichi un potere pieno e assoluto: ciò che, come ho detto, è contradittorio.

È vero che l’onorevole Lussu ha invocato stamane il decreto legge 11 novembre 1946, il quale concede tale facoltà, attualmente in vigore. Ma che significa questo? Perché dobbiamo noi tradurre una semplice legge, che è contingente, che può mutare, che può essere confermata per lunghi anni ma anche abrogata, in un articolo di Statuto la cui caratteristica è invece quella di essere fermo, stabile, e che dovrebbe dare netto profilo giuridico alla scuola valdostana? Non v’è ragione.

Ecco la nostra proposta: lasciamo che la legge 11 novembre 1946 operi, conforme a quanto essa fa già praticamente; e teniamoci alla norma sancita dall’articolo 3, lettera g) la quale conferisce ampie libertà, ma nell’ambito dell’ordine del giorno già da noi votato, cioè di una potestà secondaria.

Aggiungo, però, e questo ha la sua importanza, che noi comprendiamo e riconosciamo il pieno diritto dei valdostani a pretendere che i loro insegnanti conoscano anche la lingua francese. E perciò vorrei che noi stralciassimo e affidassimo alla Commissione il penultimo alinea dell’articolo 40, là dove dice che «le nomine degli insegnanti (di tutti gli insegnanti) sono subordinate alla dimostrazione della conoscenza della lingua francese». La Commissione potrebbe aggiungere questo comma all’articolo 37 o all’articolo 38 o all’articolo 39; e così avremmo svuotato l’articolo 40 di tutto quello che è illegale e contradittorio (Interruzione del deputato Uberti).

Onorevole Uberti, non v’è niente di inconfessabile in quello che dico; v’è solo la constatazione della contradizione palese che dobbiamo evitare. Ripeto che l’articolo 3 provvede chiaramente a garantire la potestà integrativa. Quando noi salviamo il penultimo comma dell’articolo 40, provvediamo in pieno a tutto ciò che di sostanziale e di giusto ha l’articolo 40.

Ecco perché prego l’onorevole Bordon, come rappresentante della Valle, di comprendere le particolari esigenze esposte da noi, Gruppo della Scuola, e di aderirvi.

BORDON. È una materia amministrativa.

FRANCESCHINI. Quando il primo comma dice «la Regione provvede alla istruzione» inequivocabilmente vi si parla di legislazione primaria.

LUSSU, Relatore. Ma no! La legislazione primaria è solo dello Stato.

CODIGNOLA. Non è affatto chiaro.

FRANCESCHINI. Non è salvaguardato per nulla il concetto di integratività.

Concludendo: sostengo che nell’articolo 40 non è in modo assoluto garantito il rispetto dell’articolo 3, lettera g), e pertanto lo respingo; salvo il penultimo comma, che noi affidiamo ben volentieri alla Commissione, riconoscendo il pieno diritto dei Valdostani a pretendere che i loro insegnanti e dirigenti di scuola conoscano anche la lingua francese.

PRESIDENTE. L’onorevole Bettiol propone il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Agli insegnanti attualmente in servizio resta garantito il rispetto dei diritti loro riconosciuti dalle leggi dello Stato».

Ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Ho presentato questo emendamento per venire incontro a tutti gli insegnanti, i quali ci mandano telegrammi e proteste, perché temono che, passando alle dipendenze della Regione, le loro tasche diventino dello stesso colore della loro verde vallata! (Si ride).

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati propone:

«Aggiungere al sesto comma le parole: in quanto non si tratti di insegnanti che abbiano vinto un concorso statale».

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MORTATI. Vorrei associarmi in via principale alla proposta di soppressione dell’articolo 40. Però non per le ragioni formulate dall’onorevole Franceschini, non del tutto fondate, ma per altre considerazioni. Infatti non è esatto che l’attività affidata alla Regione dall’articolo 40 abbia carattere primario poiché essa riguarda solo l’esercizio dell’amministrazione scolastica. L’articolo 3 dello Statuto che esaminiamo conferisce alla Regione potestà di emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica in materia scolastica, mentre il successivo articolo 4 stabilisce che la Regione esercita le funzioni amministrative nelle materie nelle quali essa ha potestà legislativa a norma dei due precedenti articoli. Mi pare pertanto che la facoltà di amministrare la scuola nasca già dall’articolo 4 e quindi la norma dell’articolo 40 è da sopprimere, perché superflua. Quanto poi alla parte di quest’articolo, che dispone per i docenti la necessità della conoscenza della lingua francese, essa mi pare altrettanto superflua, perché è stabilito, nell’ultimo comma dell’articolo 37, da noi poco fa approvato, tale obbligo per tutti gli impiegati. Perciò ritengo che si debba eliminare l’articolo, non per le ragioni dette da altri, ma per la sua superfluità.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Ho chiesto di parlare, onorevoli colleghi, unicamente per associarmi toto corde alle considerazioni dell’onorevole Franceschini. Volere o no, i maestri della Valle d’Aosta verranno ad avere uno stato giuridico diverso da quello di tutti gli altri maestri italiani. (Commenti al centro).

BORDON. Lo dice lei!

TONELLO. Lo dico io? Quando ho letto questo articolo non ho avuto più dubbi sul fatto che i maestri non hanno più il loro stato giuridico, passando alle dipendenze dell’amministrazione della Valle d’Aosta.

UBERTI. Conservano lo stato giuridico.

TONELLO. Conservano un bel nulla! Per questi motivi mi associo all’emendamento Franceschini.

RODI. Dobbiamo associarci alle voci arrivate da tutte le parti di Italia, di maestri e professori, dalla cui volontà noi non possiamo prescindere. (Proteste al centro).

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. La Commissione non riesce a capire come in questa Assemblea vi siano dei colleghi che possano pensare ad un’assurdità simile! Solo l’illustre professore e collega Mortati poteva essere fra questi.

PRESIDENTE. Ma ve ne sono numerosi altri.

TONELLO. …i quali conoscono la scuola.

LUSSU, Relatore. Ma se lo stesso Ministro Gonella ha creato l’ordinamento che voi volete sopprimere!

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di soppressione dell’articolo 40.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Onorevole Lussu, tenga presente, la prego, la considerazione, questa volta certamente a lei gradita, fatta dall’onorevole Mortati il quale ha detto che, in base all’articolo 3, tutte queste norme possono essere stabilite dalla Regione. La differenza, evidentemente, sarà nel fatto che poste nello Statuto avrebbero avuto valore costituzionale, e quindi entro certi limiti intangibili, mentre stabilite con una legge della Regione possono essere più facilmente modificabili dalla Regione stessa.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Poiché l’articolo è stato soppresso, sto preparando un articolo che possa sodisfare tutti. Evidentemente, molti colleghi arrivati tardi, non avendo assistito a tutta la discussione, non conoscendo i precedenti della legge sulla Val d’Aosta e sull’insegnamento, hanno votato una cosa che è estremamente grave. (Interruzioni). Comunque, sto preparando un testo che elimini le apprensioni.

PRESIDENTE. Sta bene, lo prepari. Intanto proseguiamo nell’esame degli articoli successivi. Passiamo al Titolo VIII: «Ordinamento degli uffici di conciliazione».

Si dia lettura dell’articolo 41.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’istituzione degli uffici di conciliazione nei comuni della Valle d’Aosta è disposta con decreto del Presidente della Giunta previa deliberazione di questa.

«I giudici conciliatori e vicegiudici conciliatori sono nominati con decreto del Presidente della Giunta, sentita la Giunta stessa, su proposta dei Consigli comunali interessati, con l’osservanza delle disposizioni delle leggi dello Stato.

«La revoca o la dispensa per incapacità o per motivi di salute dei giudici conciliatori è disposta con decreto del Presidente della Giunta, sentita la Giunta, su proposta del Presidente del tribunale d’Aosta. La dispensa per dimissioni volontarie è pronunciata con decreto del Presidente della Giunta».

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, dall’articolo 40 al 44 non vi è nessun suo emendamento.

Comunque, ha facoltà di parlare.

MORTATI. In sostanza, si tratta di questo: ieri abbiamo approvato una disposizione che riguardava lo stesso argomento. In linea preventiva, bisognerebbe, a mio avviso, sopprimere il titolo, ma non insisto su questa pregiudiziale soppressiva, anche in vista della votazione di ieri sera.

Vorrei che, mantenendosi quest’articolo, si adegui la sua formulazione a quella già approvata ieri per il Trentino. L’attuale proposta della Commissione diverge da quella già approvata ieri sera, nel senso che vi è un’estensione rispetto a quello che abbiamo approvato ieri.

Quindi io sopprimerei il primo comma e lascerei il secondo comma così come sta, con questa precisazione: che si menzioni il carattere di attività delegata di questa funzione attinente alla giurisdizione attribuita alla Regione.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati propone, in sostanza, la soppressione del primo comma. L’onorevole Lussu ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LUSSU, Relatore. A me pare, onorevole Presidente, che qui si commettono degli atti un po’ troppo affrettati e forse sarebbe opportuno un arresto di un’ora o di mezz’ora per creare un ambiente più disteso. Qui si stanno affrontando delle questioni che sono fondamentali sul posto, tanto che hanno richiesto norme legislative, che non sono state improvvisate, ma sono state il prodotto di lunghe discussioni e di accordi tra il Ministero e la Valle. Vi sono state anche Commissioni che hanno studiato il problema sui posto e poi hanno concluso. Cosicché, dopo un lungo lavoro, si è arrivati finalmente a delle conclusioni consacrate con leggi; poi si è arrivati a questa situazione di oggi, per cui mi sembra che l’Assemblea abbia dimenticato – perché siamo ridotti in pochi – il vero aspetto del problema. Qui ci diamo il turno e succede che il primo turno sente una cosa che il secondo turno non sente e poi si finisce per decidere in modo incongruo.

Io chiedo che si stabilisca un clima di serenità e mi sembra che sia necessario perciò una sospensione di un’ora, altrimenti così non è possibile. Anche il Governo dovrebbe essere più ampiamente rappresentato. Il Presidente del Consiglio, dopo la mia relazione di oggi, ha dichiarato che, come Presidente del Consiglio, non ha trovato che vi fosse una sola cosa che contrastasse con i punti della Carta costituzionale della Repubblica.

E noi all’ultimo momento abbiamo votato proprio con questi turni di gruppi che si susseguono, ma che non sono sempre gli stessi; ed abbiamo votato la soppressione dell’articolo 40, che ha stupito parecchi dei colleghi che conoscono la situazione della Val d’Aosta, la quale non è un problema di 10 o 100 maestri elementari; questo è un problema assai più serio. I maestri elementari sono perfettamente garantiti dalla legge, che rende il loro stato giuridico eguale a tutti i maestri elementari dello Stato. Questo è un problema politico, anche se la Valle è una piccola conca alpina. Io chiedo pertanto una sospensione della seduta.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, non vorrei che questa diventasse una discussione tra colleghi direttamente e seriamente interessati alla scuola anziché una discussione di carattere politico come deve restare.

Continuiamo, quindi, nel nostro lavoro cercando di non portarvi questi piccoli elementi di passionalità che di volta in volta si fanno strada.

L’onorevole Mortati ha dunque proposto di sopprimere il primo comma dell’articolo 41.

Chiedo alla Commissione di esprimere il proprio parere su questa proposta.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Faccio presente semplicemente questo: che non io, ma il decreto del Capo provvisorio dello Stato emanato in data 15 novembre 1946, dice testualmente così all’articolo primo:

«L’istituzione degli uffici di conciliazione nei comuni della Valle d’Aosta e nelle relative borgate o frazioni è disposta con decreto del Presidente del Consiglio della Valle d’Aosta, previa deliberazione della Giunta del Consiglio stesso».

MORTATI. Chiedo di parlare, per un chiarimento.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, la prego! Non avrei nemmeno dovuto darle la facoltà di parlare.

Posso darle la parola, solo se ritira il suo emendamento.

MORTATI. Vorrei chiedere solo un chiarimento, avuto il quale potrei anche ritirare il mio emendamento.

Vorrei cioè chiedere per quale ragione questo potere non si debba considerare delegato.

PRESIDENTE. Ma lei entra nel merito. Non è consentito.

Pongo in votazione la proposta Mortati di soppressione del primo comma dell’articolo 41.

(Non è approvata).

Pongo in votazione il primo comma nel testo del progetto.

(È approvato).

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Per quanto concerne il secondo comma, io accetterei pienamente l’osservazione dell’onorevole Mortati nel senso che convenga anche in questo testo inserire la frase che è stata inserita nel testo dello statuto del Trentino-Alto Adige, cioè che il potere di nomina, di revoca, ecc., attribuito al Presidente della Valle, è un potere che egli esercita per delegazione del Presidente della Repubblica. Quindi, proporrei di adottare, in sostituzione del secondo e del terzo comma dell’articolo 41 e dell’articolo 42, la formulazione usata nello statuto per il Trentino-Alto Adige, che è la seguente:

«Alla nomina, alla decadenza, alla revoca, alla dispensa dall’ufficio dei giudici conciliatori e viceconciliatori provvede il Presidente della Giunta regionale, in virtù di delegazione del Presidente della Repubblica, osservate le altre norme in materia, stabilite dall’ordinamento giudiziario.

«L’autorizzazione all’esercizio delle funzioni di cancelliere e di usciere presso gli uffici di conciliazione è data, alle persone che hanno i requisiti prescritti dall’ordinamento giudiziario, dal Presidente della Giunta regionale.

«Alla revoca e alla sospensione temporanea dell’autorizzazione, nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario, provvede lo stesso Presidente».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Siccome la Commissione sembra abbia acceduto al criterio che si tratti di un potere delegato, non si potrebbe estenderlo anche al primo comma?

PRESIDENTE. Onorevole Moro, il primo comma è stato già votato: si è discusso a lungo e l’onorevole Perassi ha dichiarato che la Commissione manteneva il primo comma nella formulazione del progetto.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Desidero precisare che le osservazioni che stanno facendo alcuni colleghi non possono riguardare la Commissione, la quale, attraverso il suo Presidente ed i suoi membri, ha fatto reiteratamente presente l’opportunità che fosse lasciato il tempo necessario per questa discussione; non è quindi colpa nostra se si è incominciato a discutere appena ora e se siamo con l’acqua alla gola: personalmente noi della Commissione andiamo a casa da qualche giorno all’una o all’una e mezza di notte.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, lei mette dunque in discussione anche la possibilità di votare nuovamente il primo comma di questo articolo?

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Se incominciamo veramente a ritornare alla calma, io debbo fare allora delle riserve anche per quanto concerne la votazione avvenuta sull’articolo 40, perché evidentemente su quella votazione v’è stato un equivoco ed io speravo che anche su questo problema il Governo prendesse la parola per precisare la sua posizione, tenendo presenti gli atti anteriori.

L’equivoco è soprattutto dipeso da questo: di credere che l’articolo 40 attribuisse alla Regione una competenza legislativa primaria in materia di istruzione. Il che non è assolutamente esatto, come, del resto, anche l’onorevole Mortati aveva già rilevato: quell’articolo non dà alla Valle d’Aosta se non una competenza amministrativa relativa alle scuole ivi indicate. In materia di legislazione scolastica la Valle d’Aosta ha soltanto, per tali scuole, una competenza di integrazione. L’attività amministrativa concernente le scuole è ad essa attribuita dall’articolo 4, che noi abbiamo già approvato.

Lo scopo dell’articolo 40 era quello di vincolare la Valle d’Aosta non soltanto alle leggi generali dello Stato, entro le quali essa ha soltanto una competenza di integrazione, ma di porre alcuni vincoli relativi all’amministrazione scolastica, per quanto concerne la nomina dei provveditori agli studi e la nomina degli insegnanti. Questa era la portata dell’articolo 40. Ora, mi pare che il voto che è stato dato non risponda ad una esatta comprensione della portata di quell’articolo.

MALAGUGINI. Questa è un’affermazione gratuita! (Commenti).

TONELLO. Abbiamo votato quello che abbiamo votato!

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Credo anch’io che, siccome la votazione è ormai avvenuta, se tutti non concordano, su questo argomento non si potrebbe parlare.

Ma io ho presentato testé un articolo 40 in sostituzione dell’articolo soppresso. . Il mio articolo 40 comincia con l’affermare che nei limiti delle potestà legislative contemplate negli articoli 2 e 3 (anche 4, non è necessario, ma possiamo anche aggiungerlo) la Regione provvede, ecc.

Evidentemente, con questo preambolo, tutte le preoccupazioni per cui molti hanno votato per la soppressione dell’articolo 40 vengono a cadere, perché i provvedimenti della Regione debbono rispettare gli articoli 2, 3 e 4.

Mi pare, quindi, che quest’articolo sia totalmente differente dall’altro nella sua sostanza, così come è detto nel preambolo, e che si possa in coscienza mettere ai voti, perché si tratta, in realtà, di un altro articolo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il Presidente della Commissione propone di sostituire il secondo e terzo comma dell’articolo 41, e tutto l’articolo 42 con la seguente formulazione:

«Alla nomina, alla decadenza, alla revoca, alla dispensa dall’ufficio dei giudici conciliatori e viceconciliatori, provvede il Presidente della Giunta regionale, in virtù di delegazione del Presidente della Repubblica, osservate le altre norme in materia, stabilite dall’ordinamento giudiziario.

«L’autorizzazione all’esercizio delle funzioni di cancelliere e di usciere presso gli uffici di conciliazione è data, alle persone che hanno i requisiti prescritti dall’ordinamento giudiziario, dal Presidente della Giunta regionale.

«Alla revoca e alla sospensione temporanea dell’autorizzazione, nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario, provvede lo stesso Presidente».

Pongo in votazione questo emendamento sostitutivo.

(È approvato).

L’articolo 42 resta pertanto assorbito.

Passiamo al titolo VIII: «Enti locali». Si dia lettura dell’articolo 43.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con legge istituire nei propri territori nuovi comuni e modi beare le loro circoscrizioni e denominazioni».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 44. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il controllo sugli atti dei comuni, delle istituzioni pubbliche di beneficenza, dei consorzi e delle consorterie ed altri enti locali è esercitato dalla Regione nei modi e limiti stabiliti con legge regionale in armonia coi principî delle leggi dello Stato.

«La facoltà di sciogliere i Consigli dei comuni e degli altri enti locati è esercitata dalla Giunta regionale, sentito il Consiglio della Valle, con l’osservanza delle norme stabilite dalle leggi dello Stato».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati e Moro propongono di sopprimere l’ultimo comma. L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MORTATI. Faccio osservare che col vecchio ordinamento della Val d’Aosta del 1945, come ha rilevato anche l’onorevole Presidente del Consiglio, la Giunta aveva le funzioni del prefetto e quindi la facoltà di sciogliere i Consigli comunali. Con l’ultimo comma dell’articolo 44, come è stato proposto, si muta la struttura precedente della Val d’Aosta e quindi mi pare venga meno questa facoltà, che si riferisce ai poteri dell’amministrazione dell’interno, e che non si capisce per quale ragione debba competere agli organi della regione.

PRESIDENTE. Il Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LUSSU, Relatore. Queste facoltà le aveva il prefetto e dal prefetto sono passate, nella legislazione provvisoria, al presidente della Giunta. Ma oggi il presidente della Giunta e domani ancor più quando sarà elettivo è realmente il rappresentante della Regione.

Quando un Consiglio comunale debba essere sciolto, chi io scioglie? Il Ministro dell’interno, il Consiglio regionale, la Giunta o il presidente della Giunta? Lo scioglie il presidente della Giunta, rispettando però le norme stabilite dalle leggi dello Stato. Quindi il presidente della Giunta non potrà mai compiere un atto arbitrario perché dovrà applicare le leggi dello Stato.

Con questa cautela credo che possiamo chiudere con tranquilla coscienza l’approvazione anche dell’ultimo comma.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 44 sul quale non vi sono emendamenti.

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma del quale gli onorevoli Mortati e Moro chiedono la soppressione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo IX: «Rapporti fra lo Stato e la Regione».

Si dia lettura dell’articolo 45.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale rappresenta il Governo dello Stato nella Regione ed in tale qualità provvede al mantenimento dell’ordine pubblico, secondo le disposizioni del Governo, verso il quale è responsabile, mediante reparti di polizia dello Stato e di polizia locale. In casi eccezionali, quando la sicurezza dello Stato lo richieda, il Governo assume direttamente la tutela dell’ordine pubblico.

«Egli dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo, verso il quale è responsabile.

«Interviene alle sedute del Consiglio dei ministri, quando si trattano questioni che riguardano particolarmente la Regione».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati e Moro propongono il seguente emendamento:

«Sostituirlo con il seguente:

«Il Presidente della Giunta regionale rappresenta la Regione e sovraintende alle funzioni ad essa delegate dallo Stato, secondo le direttive fissate dal Governo, verso il quale egli è responsabile.

«Il Presidente potrà disporre della polizia dello Stato allo scopo del mantenimento dell’ordine pubblico, quando tale compito sia delegato alla Regione.

«Interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando questo tratti questioni che riguardino particolarmente la Regione».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento tende a ricondurre queste disposizioni a quelle che abbiamo approvate quando si discusse lo statuto della Sardegna. Non so perché si debba fare un trattamento diverso.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. La Commissione mantiene il testo.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. La Commissione non accetta? Non ne vedo il motivo. La sola differenza, fra questo testo e quello della Commissione consiste nell’aver tolto che il Presidente della Giunta rappresenta il Governo dello Stato, in conformità con quanto si è fatto per la Sardegna.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Ho spiegato stamane (e credo che il Presidente del Consiglio fosse presente) per quali ragioni noi, dopo lunga discussione in Commissione, siamo arrivati a questa conclusione. Abbiamo ritenuto di dover rispettare la legislazione che ha preceduto questo progetto. Quello che preoccuperebbe è solo la questione della polizia. Ma se il Governo crede meglio, si potrebbe dire «quando la situazione lo esiga», «quando la gravità della situazione lo esiga», o qualcosa di simile che lasci sempre il Governo nella facoltà di intervenire in momenti eccezionali. E siccome la polizia è tutta composta in forme di organizzazione che sono statali dalle origini fino all’invio nella Valle, dalle gerarchie più elevate ai gregari più modesti, lo Stato ha la certezza assoluta che è un suo esclusivo corpo di polizia e non un corpo di polizia della Valle. È comandato nella Valle per mantenere l’ordine pubblico.

Credo che, in coscienza, in questo modo l’articolo possa essere approvato. Spero non vi sia una questione di principio da eccepire.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non mi preoccupa la questione dell’ordine pubblico, ma la rappresentanza del Governo. Voi dite che il decreto era allora così. Già, perché noi allora, non potendo avere nessuna altra forza autonoma direttiva, abbiamo dichiarato che il Presidente della Valle assume tutti i poteri del prefetto, quale rappresentante del Governo.

Ora io ritengo che la formula che abbiamo approvata ieri per la Sardegna sia più chiara.

LUSSU, Relatore. Io non ero sodisfatto ieri per la Sardegna, e meno ancora potrei esserlo per la Val d’Aosta. La questione di principio non è stata fatta prima.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. In Sardegna v’è un Alto Commissario. Chi è? È il rappresentante del Governo, ossia, dello Stato, non il rappresentante della Regione. Qui v’era il Presidente della Valle che assumeva tutti i poteri del prefetto e quindi è il rappresentante dello Stato. Non nego autorità a quest’uomo, anzi gliene do di più.

PERASSI. Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Una volta che si è d’accordo che al Presidente della Regione sia attribuito il compito di curare il mantenimento dell’ordine pubblico, conviene dire che in questa funzione il Presidente della Regione agisce non come Presidente della. Regione in senso stretto, ma agisce in qualità di rappresentante del Governo italiano, alle cui istruzioni deve conformarsi È questo il concetto che si è voluto affermare.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. «In qualità», sì, ma qui dite che rappresenta il Governo dello Stato nella Regione. Non è esatto. Ora, fra l’altro, v’è una Commissione presieduta dal rappresentante del Ministero dell’interno, come nel caso della Sardegna v’è il delegato o l’assistente (non voglio dire il Commissario per non urtare la suscettibilità dell’onorevole Lussu); v’è insomma un funzionario che ha questo speciale compito. Ora io dico che è più chiaro dire che è rappresentante della Regione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Il problema centrale è quello di sapere se conviene o non conviene stabilire che al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il presidente della Giunta. Una volta che su questo punto si è d’accordo, allora bisogna precisare che questa funzione il presidente della Giunta l’esercita non come organo della Regione ma come delegato del Governo.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Siamo d’accordo, ma la formula non è molto chiara.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Si potrebbe dire: «Il presidente della Giunta Regionale per delega del Governo dello Stato provvede al mantenimento dell’ordine pubblico ecc. ecc.», per modo che risulti ben chiaro che nell’esplicazione di queste funzioni il presidente della Giunta è responsabile verso il Governo e deve agire secondo le istruzioni di esso.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Accetto questa formula.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo ai voti. L’onorevole Mortati propone che la delega al presidente della Giunta regionale per il mantenimento dell’ordine pubblico non sia una funzione permanente mentre secondo il testo della Commissione questa è una funzione permanente. È questa la differenza sostanziale.

Pongo pertanto in votazione il primo comma dell’emendamento.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma del testo della Commissione, così definitivamente formulato:

«Il Presidente della Giunta regionale, per delega del Governo della Repubblica, provvede al mantenimento dell’ordine pubblico, secondo le disposizioni del Governo, verso il quale è responsabile, mediante reparti di polizia dello Stato e di polizia locale. In casi eccezionali, quando la sicurezza dello Stato lo richieda, il Governo assume direttamente la tutela dell’ordine pubblico».

(È approvato).

L’onorevole Mortati ha proposto il seguente emendamento sostitutivo del secondo comma:

«Il Presidente della Giunta regionale sovraintende alle funzioni delegate alla Regione dallo Stato secondo le direttive fissate dal Governo, verso il quale egli è responsabile».

Il testo del progetto dice:

«Egli dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo, verso il quale è responsabile».

Poiché non vi è diversità sostanziale, pongo in votazione la formulazione del progetto.

(È approvata).

Pongo in votazione il terzo comma del testo del progetto:

«Interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattano questioni che riguardano particolarmente la Regione».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 46. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nel capoluogo della Regione è istituita una Commissione di coordinamento, composta di un rappresentante del Ministero dell’interno, che la presiede, di un rappresentante del Ministero delle finanze e di un rappresentante della Regione designato dal Consiglio della Valle fra persone estranee al Consiglio.

«La Commissione è costituita con decreto dal Presidente del Consiglio dei ministri.

«Le spese per il funzionamento della Commissione sono ripartite in parti eguali fra lo Stato e la Regione».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati e Moro propongono di aggiungere quest’ultimo comma:

«Il Presidente della Commissione di coordinamento rappresenta lo Stato nella Regione e sovraintende alle funzioni dello Stato coordinandole con quelle della Regione».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MORTATI. Rinuncio a svolgerlo; ma lo mantengo.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. L’articolo 125 della Costituzione dice che il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato, nei modi e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica.

La commissione di coordinamento di cui all’articolo in esame ha lo scopo esclusivo di operare il controllo di legittimità sugli atti dell’autorità regionale. Non so quale competenza autorevole possa avere una commissione, composta di un funzionario del Ministero dell’interno, di un funzionario del Ministero delle finanze e di una persona nominata dal Consiglio della Valle, per esercitare una funzione squisitamente giuridica.

BORDON. Ma noi siamo sodisfatti!

BERTONE. Inoltre la commissione deve risiedere nel capoluogo; ne derivano oneri rilevanti. Non formulo alcuna proposta precisa, ma pongo il quesito se non sarebbe meglio affidare il controllo di legittimità a un delegato del Consiglio di Stato, che stesse sul luogo.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. L’articolo 10 del decreto legislativo 7 settembre 1945, che ha dato uno speciale ordinamento amministrativo alla Valle d’Aosta, dice: «L’attività amministrativa della Valle d’Aosta non è soggetta al controllo di merito da parte dell’autorità governativa. Il controllo di legittimità è esercitato dal Comitato previsto nell’articolo precedente (che corrisponde a quello che si sta discutendo), che a tale scopo può disporre ispezioni».

La Commissione non ha fatto che riportare la disposizione vigente; ha cambiato soltanto il nome da comitato in commissione, mantenendo la stessa composizione.

Ritengo che un rappresentante dell’amministrazione civile (che adesso è un prefetto), un rappresentante del Ministero delle finanze e un esperto designato dalla Regione costituiscano un collegio che ha sufficienti attitudini tecniche per espletare il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Valle. A quanto mi si dice, ha funzionato bene e non ha dato luogo a rilievo da parte degli interessati.

Per queste considerazioni la Commissione insiste nel proprio testo e ritiene superflua l’aggiunta proposta dagli onorevoli Mortati e Moro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 46, del quale è stata data testé lettura.

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Mortati e Moro, del quale ho dato testé lettura.

(Non è approvato).

Passiamo all’articolo 47. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Commissione di coordinamento, preveduta dall’articolo precedente, esercita il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

«Nei casi determinati dalla legge, la Commissione, con richiesta motivata, può promuovere il riesame dell’atto da parte dell’organo competente della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 48. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Giunta regionale, in caso di necessità e urgenza, può prendere deliberazioni di competenza del Consiglio.

«I provvedimenti adottati dalla Giunta devono essere presentati al Consiglio nella sua prima seduta successiva per la ratifica. Essi cessano di avere efficacia dalla data della deliberazione con la quale il Consiglio neghi la ratifica».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione

(È approvato).

Passiamo all’articolo 49. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Agli effetti delle elezioni alla Camera dei deputati, la Valle d’Aosta forma una circoscrizione elettorale».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati propone in via principale di sopprimere l’articolo e, subordinatamente, di aggiungere le parole: «e al Senato». Qual è il parere della Commissione?

LUSSU, Relatore. La Commissione mantiene l’articolo. L’accenno al Senato non è stato fatto perché considerato pleonastico data la esplicita disposizione contenuta nell’articolo 57 della Costituzione, che dice: «La Valle d’Aosta ha un solo senatore». Comunque, se si vuole riprodurre qui la norma, la Commissione non si oppone.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 49 con l’emendamento aggiuntivo Mortati:

«Agli effetti delle elezioni alla Camera dei deputati e al Senato la Valle d’Aosta forma una circoscrizione elettorale».

(È approvato).

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli statuti regionali. Volevo dire che mentre è necessario inserire nello Statuto la disposizione, secondo la quale la Valle d’Aosta costituisce una circoscrizione elettorale a sé per l’elezione della Camera dei deputati è invece del tutto superflua un’analoga disposizione per l’elezione del Senato, poiché già un’espressa norma della Costituzione attribuisce alla Valle d’Aosta il diritto di avere un senatore. In sede di coordinamento si potrebbe riesaminare la questione.

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 50. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio della Valle può essere sciolto quando compie atti contrari alla Costituzione o al presente Statuto o gravi violazioni di legge o quando, non ostante la segnalazione fatta dal Governo della Repubblica, non proceda alla sostituzione della Giunta regionale o del Presidente che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni.

«Può essere sciolto anche per ragioni di sicurezza nazionale o quando, per dimissioni od altra causa, non sia in grado di funzionare.

«Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali.

«Col decreto di scioglimento è nominata una Commissione di tre cittadini eleggibili al Consiglio della Valle, che provvede all’ordinaria amministrazione di competenza della Giunta ed agli atti improrogabili, da sottoporre alla ratifica del nuovo Consiglio. Essa indice le elezioni che debbono aver luogo entro tre mesi dallo scioglimento.

«Il nuovo Consiglio è convocato dalla Commissione entro venti giorni dalle elezioni».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Pongo in votazione l’articolo 50.

(È approvato).

Passiamo al titolo X: «Norme transitorie e finali».

Si dia lettura dell’articolo 51.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’attuale organizzazione amministrativa della Regione resta in carica fino alla prima elezione del Consiglio della Valle, che sarà indetta dal Governo della Repubblica entro sei mesi dall’entrata in vigore dello Statuto».

PRESIDENTE. La Commissione ha presentato un nuovo testo di questo articolo, del seguente tenore:

«La prima elezione del Consiglio della Valle avrà luogo in conformità all’articolo 16 del presente statuto, secondo le norme che saranno stabilite con decreto legislativo dello Stato, sentito il Consiglio della Valle.

«Le elezioni saranno indette con decreto del Presidente della Repubblica entro nove mesi dall’entrata in vigore della presente legge».

Gli onorevoli Mortati e Moro propongono di elevare il termine da nove a dieci mesi. Qual è il pensiero della Commissione?

PERASSI. Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissiono accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione articolo 51 nel nuovo testo della Commissione, del quale ho dato lettura, sostituendo «entro dieci mesi» a «entro nove mesi».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 52. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Per le modificazioni del presente Statuto si applica il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali.

«L’iniziativa per la revisione appartiene anche al Consiglio della Valle».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 53. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Entro due anni dall’elezione del Consiglio della Valle sarà stabilito, a modifica dell’articolo 12, un ordinamento finanziario della Regione con legge dello Stato in accordo con la Giunta regionale.

«Le disposizioni concernenti le materie indicate nell’articolo 123 della Costituzione della Repubblica possono essere modificate con le forme prevedute nello stesso articolo».

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Al primo comma, occorre correggere un errore di stampa. Devesi leggere, in luogo di «dell’articolo 12», «degli articoli 12 e 13».

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Ministro dell’interno ha proposto di sopprimere il secondo comma, perché superfluo. Qual è il parere della Commissione?

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Le ragioni per cui la Commissione ha inserito il secondo comma sono queste: vi sono in questo statuto alcune materie le quali rientrerebbero in quelle indicate nell’articolo 123 della Costituzione, che ogni Regione può regolare con norme sue proprie sottoposte semplicemente all’approvazione dello Stato. Ora, se, per ipotesi, il comma proposto dalla Commissione non ci fosse e si volesse modificare qualcuna di queste disposizioni, che formalmente assumono il carattere di norma inserita in una legge costituzionale, bisognerebbe seguire il procedimento di revisione costituzionale.

Per conseguenza, è opportuno dire espressamente che le disposizioni dello statuto che rientrano nelle materie contemplate dall’articolo 123 della Costituzione si possono modificare con le forme prevedute nel detto articolo.

La stessa ragione giuridica spiega come nel primo comma dell’articolo 53 si sia preveduta la possibilità di modificare una parte dello statuto con legge ordinaria.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. L’articolo 52 dice che per le modificazioni dello statuto si applica il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali. Ora, per quanto riguarda la revisione delle leggi, è prevista dalla Costituzione all’articolo 71 l’iniziativa di un certo numero di elettori, sia per le leggi ordinarie che per quelle costituzionali.

Se così può avvenire anche per le modificazioni allo statuto della Regione, bisogna dirlo, e precisare qual è la proporzione degli elettori.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. L’iniziativa, di cui si parla in un’altra disposizione, riguarda i progetti di legge regionali. Qui invece si tratta della iniziativa del Consiglio tendente a proporre allo Stato, ossia al Parlamento italiano, modificazioni allo statuto. Sono due ipotesi diverse. Mi pare quindi che la formula adottata dalla Commissione sia corretta e possa essere mantenuta. Vorrei soltanto suggerire che le disposizioni degli articoli 52 e 53, che riguardano uno stesso argomento, siano riunite in un solo articolo.

PRESIDENTE. Si potrà far ciò in sede di coordinamento.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissione è d’accordo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 53, al quale non sono stati proposti emendamenti e di cui do nuovamente lettura secondo la rettifica del Relatore:

«Entro due anni dall’elezione del Consiglio della Valle sarà stabilito, a modifica degli articoli 12 e 13, un ordinamento finanziario della Regione con legge dello Stato in accordo con la Giunta regionale».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma, del quale l’onorevole Ministro dell’interno ha proposto la soppressione, non accettata dalla Commissione:

«Le disposizioni concernenti lo materie indicate nell’articolo 123 della Costituzione della Repubblica possono essere modificate con le forme prevedute nello stesso articolo».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 54. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nelle materie attribuite alla competenza della Regione, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali, si applicano le leggi dello Stato».

PRESIDENTE. Non sono stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Mi pare che, a questo punto, prima di approvare l’ultimo articolo, sarebbe necessario procedere all’approvazione dell’elenco contenente le denominazioni dei Comuni della Regione della Valle d’Aosta. Per evitare una discussione, che potrebbe essere lunga e delicata, su questo argomento, propongo, d’accordo con il Presidente della Commissione, di mutare il secondo comma dell’articolo 1, che è appunto collegato con le tabelle allegate, nel modo seguente:

«Il territorio della Valle d’Aosta comprende le circoscrizioni dei Comuni ad esso appartenenti alla data dell’entrata in vigore della presente legge».

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi associo alla richiesta dell’onorevole Fuschini.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Mi sembra una proposta perfettamente inutile, a meno che non nasconda il proposito di creare un precedente, poiché in questo modo si dovrebbe ritornare su un articolo già approvato e ciò potrebbe aprire la via per ritornare su altri articoli sui quali l’Assemblea si è già pronunciata. (Commenti).

LUSSU, Relatore. È soltanto una questione di forma!

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione proposta dall’onorevole Fuschini, accettata dalla Commissione e dal Governo, in sostituzione del secondo comma dell’articolo 1, la quale è del seguente tenore:

«Il territorio della Valle d’Aosta comprende le circoscrizioni dei comuni ad esso appartenenti alla data dell’entrata in vigore della presente legge».

(È approvata).

L’onorevole Lussu, Relatore, mi fa pervenire la seguente nuova formulazione dell’articolo 40, che non è stato approvato nel testo della Commissione:

«Nei limiti della potestà legislativa di cui agli articoli 2 e 3, la Regione provvede all’istruzione materna, elementare ecc.».

La ragione per cui l’onorevole Lussu propone questa formulazione è di andare incontro alla obiezione che la formulazione dell’articolo 40 poteva apparire, nel quadro di certe interpretazioni, in contrasto o quanto meno in elusione degli articoli 2 e 3, già approvati. L’onorevole Lussu ritiene che, con il richiamo esplicito agli articoli 2 e 3 come limite lasciato alla Regione in questa materia, le preoccupazioni sollevate possano essere dissipate.

FRANCESCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCESCHINI. Onorevole Presidente, desidero fare due osservazioni. La prima è che l’Assemblea ha votato con piena conoscenza della materia di cui all’articolo 40, respingendone tutte le sue parti, escluso l’obbligo della conoscenza della lingua francese da parte degli insegnanti.

Desidero dire in secondo luogo che noi abbiamo anche votato all’unanimità, o quasi all’unanimità, un ordine del giorno di cui prima – e me ne possono dare atto i colleghi – avevo evitato di avvalermi. Questo ordine del giorno impedisce qualsiasi modificazione sostanziale all’ordinamento giuridico, didattico e amministrativo della scuola italiana.

Ora, a me pare che sia chiaro che qualsiasi articolo, proposto dopo l’approvazione di questo ordine del giorno, debba seguirne lo spirito, debba non essere difforme da esso.

D’altra parte ripeto, onorevoli colleghi, che già esiste una legge, citata questa mattina dall’onorevole Lussu, la legge 11 novembre 1946, la quale contempla e sancisce uno stato di fatto. Ritengo che l’aggiunta proposta dall’onorevole Lussu o è inutile o, se qualcosa contiene di positivo, si tratta di qualcosa che abbiamo già respinto.

RODI. Scusi, onorevole Presidente, ma la Commissione ha il diritto di ripresentare l’articolo 40 una volta che l’Assemblea ha già votato la sua soppressione?

PRESIDENTE. Onorevole Rodi, nella fattispecie l’Assemblea ha respinto una certa determinata formulazione di questo articolo, e proprio un’affermazione fatta dall’onorevole Franceschini mi dà occasione di rilevare come quelle votazioni siano state fatte in maniera confusa. (Commenti). Permettano, onorevoli colleghi: ho sentito dire dall’onorevole Franceschini che è stato approvato il comma per il quale gli insegnanti devono conoscere la lingua francese: questo comma, invece, non è stato approvato.

FRANCESCHINI. Sì, onorevole Presidente: il resoconto stenografico, eventualmente controllabile, parla chiaro. Nel perorare la causa della soppressione dell’articolo 40, io ho sostenuto tale tesi.

PRESIDENTE. Io non metto in dubbio questo, onorevole Franceschini: lei può benissimo aver sostenuto quel criterio, ma quando poi si è passati alla votazione tutto l’articolo 40 è stato soppresso, e non si è proceduto a una votazione per commi; e pertanto anche quell’unico comma che, in perfetta buona fede, ella riteneva fosse rimasto valido non è stato conservato. Non so se altri colleghi siano caduti nel suo stesso errore di memoria o di apprezzamento dello svolgimento dei nostri lavori.

Ho voluto richiamare ciò, per indicare come la decisione sull’articolo 40 non sia stata chiara e precisa per coloro che vi hanno partecipato.

All’onorevole Rodi faccio presente che è stata posta in votazione la soppressione del testo dell’articolo 40 e che nulla esclude, se l’Assemblea lo ritenesse opportuno, di votare un nuovo testo.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Per quanto riguarda la questione della conoscenza della lingua francese, c’è già stato l’intervento dell’onorevole Mortati, il quale, riferendosi agli articoli precedenti, che riguardavano l’insegnamento in lingua francese di alcune materie, sosteneva che è implicita la necessità che i professori, i maestri, gli insegnanti in genere della Valle d’Aosta conoscano la lingua francese. E per questo motivo non si è ritornati più su quel comma, nell’intesa che l’obbligo della conoscenza del francese da parte dei professori della Valle d’Aosta, sia implicito.

Per quanto riguarda la questione da me sollevata, poiché l’articolo 40 contiene un principio che l’Assemblea ha respinto, suppongo che la Commissione non abbia il diritto di riproporre qualche cosa di analogo a quanto l’Assemblea ha già respinto.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Mi associo alle osservazioni fatte dall’onorevole Rodi e, con tutto il rispetto e la devozione dovuti al nostro Presidente, esprimo la mia meraviglia che egli abbia potuto affermare come la formulazione nuova, presentata dall’onorevole Lussu, ossia dalla Commissione, sia qualche cosa di sostanzialmente diverso da quella contro cui l’Assemblea a maggioranza ha già votato.

Ragione per cui faccio formale richiesta alla Presidenza di proclamare la preclusione alla proposta presentata dall’onorevole Lussu.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Mi associo a quanto ha rilevato l’onorevole Rodi. Aggiungo che, a tutto voler concedere, si tratta di un emendamento sostitutivo dell’articolo 40 che bisognava proporre prima che si votasse l’articolo 40 stesso. Perciò io penso, onorevole Presidente, che non si possa tornare su una votazione già avvenuta.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Se l’Assemblea ben ricorda, appena fu votato sull’articolo 40 io chiesi qualche minuto di tempo per compilare un altro articolo, il quale, tenendo conto delle difficoltà sollevate, potesse sostituire l’articolo 40. L’onorevole Presidente mi rispose che era necessario proseguire nei lavori, che l’articolo sarebbe stato accantonato e votato al momento opportuno. Questo è il momento, mi pare. Quindi ritengo che, dal punto di vista procedurale, l’emendamento sia validamente presentato.

Il collega che ha sostenuto particolarmente la soppressione dell’articolo 40, se io male non ricordo – e può anche darsi perché dopo tante discussioni di giorni e giorni potrei aver dimenticato qualche cosa – teneva a dimostrare che l’articolo 40 era in pieno contrasto con gli articoli 2 e 3. Ecco perché ho presentato un articolo totalmente diverso, in quanto incomincia precisamente: «Nei limiti della potestà legislativa di cui agli articoli 2 e 3». Mi pare quindi, in perfetta lealtà, che si tratti di un contenuto diverso da quello dell’articolo 40 soppresso.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Questa proposta dell’onorevole Lussu è nata da un rilievo e da un accenno fatti in proposito dall’onorevole Perassi, che ha colto l’occasione da una proposta avanzata dall’onorevole Moro.

La proposta dell’onorevole Moro era relativa al coordinamento di una norma, già votata ma che non veniva in alcun modo intaccata nella sostanza, con un’altra norma, pure votata.

LUSSU, Relatore. È un collega democristiano che mi ha suggerito questa idea.

DOSSETTI. Ad ogni modo, se non erro, l’onorevole Perassi ha colto l’occasione per dire che se si rimetteva in discussione ciò che era stato deliberato avrebbe fatto la proposta di una revisione di quanto era stato deliberato sull’articolo 40.

Ora ritengo che la preclusione sia evidente per un motivo decisivo e cioè che la proposta ora fatta dall’onorevole Lussu, soprattutto col richiamo alla potestà legislativa primaria di cui all’articolo 2 e a quella di integrazione di cui all’articolo 3, viene ad attribuire in questa materia alla Regione un potere ancora più ampio di quello che con la soppressione dell’articolo 40 abbiamo voluto negarle. Quindi si tende non solo a riconfermare ciò che avevamo prima negato ma anche a estendere quello che prima avevamo escluso. Per conseguenza la preclusione è da ritenersi ancora più radicale, e non è possibile mettere in discussione la proposta che viene ora presentata dalla Commissione. (Approvazioni).

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Parlo contro la preclusione e invoco una disposizione del Regolamento nella quale si afferma che in ogni momento si può sollevare, anche in fine di elaborazione di un testo, la questione di incongruenza e di contradizione in cui si sia caduti.

Ora siamo di fronte a un caso tipico d’incongruenza, che è dipeso dal fatto che l’articolo 40 non è stato – lo ripeto ancora una volta e per l’ultima volta – bene inteso.

Una voce. Da voi non è stato bene inteso! (Commenti – Interruzione del deputato Dossetti).

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Con la soppressione dell’articolo 40 (almeno secondo le dichiarazioni fatte da alcuni colleghi i quali hanno appunto sostenuto la soppressione) si verrebbe a togliere alla Regione l’amministrazione delle scuole di cui all’articolo stesso. Questo è l’obiettivo a cui si vuole arrivare; tanto è vero che si invocherebbe a questo scopo qualche frase contenuta nell’ordine del giorno che è stato votato. Ed io comprendo benissimo che vi siano preoccupazioni, da parte di alcuni, che sono ispirate al concetto che l’amministrazione scolastica debba essere riservata in toto allo Stato.

Ora, se questo è il motivo e ad ogni modo il risultato a cui porta quel voto che è stato dato in quelle condizioni, io osservo che vi è manifestamente una incongruenza in quanto nell’articolo 38, e soprattutto nell’articolo 38 quale è stato modificato accettandosi l’emendamento proposto, mi pare, dall’onorevole Bettiol, si afferma che la Regione ha scuole di vario ordine e grado da essa «dipendenti». Infatti il testo dell’articolo 38 dice: «Nelle scuole di ogni ordine e grado dipendenti dalla Regione, all’insegnamento della lingua francese è dedicato un numero di ore settimanali pari a quello della lingua italiana».

Dunque, l’articolo 38 parte dal concetto che la Regione ha una sua amministrazione scolastica, ha scuole proprie; il che corrisponde a quanto risultava già dal coordinamento degli articoli 2, 3 e 4.

Ciò posto, è evidente che bisogna essere coerenti; cioè ammettere che la Regione ha scuole proprie. L’articolo 40 veniva a licitare le funzioni della Regione nell’amministrazione delle sue scuole, in quanto imponeva alla Regione certi limiti. Così esso stabilisce che gli insegnanti devono possedere i titoli di studio prescritti dalle leggi dello Stato, che gli insegnanti delle scuole elementari devono essere nominati in seguito a concorso, che gli insegnanti delle scuole medie devono essere nominati fra i vincitori di concorsi statali. Inoltre stabilisce una garanzia che altrimenti non risulterebbe, ed è questa: è ammesso il passaggio degli insegnanti dai ruoli statali a quelli regionali e viceversa, secondo le norme stabilite dalle leggi della Repubblica. L’articolo prosegue disponendo che «le nomine del personale di cui al presente articolo sono subordinate alla dimostrazione della conoscenza della lingua francese». Infine, si pone un altro limite alla libertà della Regione per quanto concerne le sue scuole stabilendosi che «lo stato giuridico ed economico degli insegnanti è regolato da norme conformi a quelle vigenti per gli insegnanti dei ruoli statali».

In queste condizioni, non soltanto appare manifesta l’incongruenza del voto, ma appare dimostrata la necessità di mantenere l’articolo così come è scritto, perché va incontro precisamente a certe preoccupazioni che si credevano compromesse dall’articolo, in quanto in esso si contengono garanzie anche a favore dell’insegnante, nei limiti della facoltà che alla Regione è conferita dagli articoli 2 e 3.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Io non vorrei passare per uno che compie un atto sleale. Vorrei rispondere al collega Moro e al collega Dossetti che l’idea di trasformare l’articolo 40, così come io l’ho trasformato con un preambolo totalmente differente, mi è stata suggerita da un collega della Democrazia cristiana, che è venuto fin qui e mi ha mostrato un suo testo, che io ho accettato.

Senonché, non si è avuto il tempo di prepararlo, né tanto meno di discuterlo, e si è votato immediatamente sulla soppressione dell’articolo 40. Ma l’idea, lo confermo, è venuta da un collega della Democrazia cristiana.

PRESIDENTE. Il rilievo fatto dall’onorevole Perassi sulla contradittorietà di disposizioni è obiettivamente valido. Può opporsi che la conciliazione si può trovare in un doppio modo: modificando l’una oppure l’altra delle norme contradittorie. È evidente (chiedo scusa se non mi ero messo al corrente delle votazioni avvenute durante la mia breve assenza) che, essendo stata modificata per votazione, all’articolo 38, la parola «esistenti» in «dipendenti», si è creata una situazione concettuale la quale, per effetto della soppressione dell’articolo 40, non troverebbe sviluppo nel resto del Titolo VI.

Le scuole dipendenti dalla Regione non sono semplicemente le scuole che si trovano nella Regione, ma sono le scuole che hanno un legame organico di dipendenza dalla Regione e sulle quali quindi la Regione può esercitare una certa autorità. L’inconciliabilità si può risolvere, ove non si voglia ripristinare l’articolo 40, ritornando dalla parola «dipendenti» alla parola «esistenti». Comunque si pone un problema di modificazione di votazioni già fatte. Sia l’Assemblea a decidere quale votazione debba essere modificata. Giustamente l’onorevole Presidente della Commissione ha fatto presente che una contradizione c’è.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Non mi pare che vi sia alcuna contradizione, perché le scuole dipendenti dalla Regione sono le scuole che la Regione, come ogni soggetto fisico o collettivo, può istituire. Tanto i privati quanto la Regione possono istituire scuole, e naturalmente quelle istituite dalla Regione dipenderanno dalla Regione stessa.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, non discutiamo adesso su una parola, discutiamo su una disposizione. L’articolo dice: «Nelle scuole di ogni ordine e grado dipendenti dalla Regione all’insegnamento della lingua francese è dedicato un numero di ore settimanali pari a quello della lingua italiana».

Io credo che se la Regione della Valle d’Aosta istituirà proprie scuole, in quelle scuole molto probabilmente l’insegnamento sarà fatto nella lingua che è parificata a quella italiana.

CONDORELLI. Chiunque istituisca scuole deve uniformarsi alla legislazione italiana, anche i privati. Qui si vuol dire soltanto che, nel caso in cui la Regione istituisca scuole, vi si potrà insegnare la lingua francese in modo più vasto ed usare in maniera più vasta la lingua francese. Questo è il significato dell’emendamento Bettiol con il quale fu sostituito «dipendenti» a «esistenti».

PRESIDENTE. Consulteremo il resoconto stenografico.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Vorrei fare una domanda all’onorevole Condorelli: se egli è a conoscenza del decreto del Capo provvisorio dello Stato in data 11 novembre 1946, che dice: «Le scuole di qualsiasi ordine e tipo esistenti nella circoscrizione territoriale della Valle d’Aosta passano alle dipendenze della amministrazione della Valle d’Aosta».

CAPORALI. Chiedo la chiusura della discussione sulla questione regolamentare.

PRESIDENTE. Domando se questa proposta è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

Comunico che dal resoconto stenografico risulta che l’onorevole Bettiol ha fatto distinzione fra scuole di Stato, con libertà di insegnamento per quanto si riferisce alla lingua francese, alle quali quindi non dovrebbe applicarsi la norma dell’articolo 38, e scuole dipendenti dalla Regione.

Secondo la concezione esposta dall’onorevole Bettiol – e questo risponderebbe alla interpretazione data dall’onorevole Condorelli – esisterebbero nella Valle d’Aosta scuole di Stato e scuole dipendenti dalla Regione.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Ho accettato l’emendamento proprio per questo: perché ho riconosciuto che bisognava specificare che vi sono scuole dipendenti dalla Regione e anche scuole dello Stato.

PRESIDENTE. Considerata la motivazione data dall’onorevole Bettiol a questo suo emendamento, mi pare sia pacifico allora che non esista più quella inconciliabilità che appariva inizialmente fra la dizione votata dell’articolo 38 e la decisione dell’Assemblea di sopprimere l’articolo 40.

L’articolo 38 si riferisce infatti alle scuole dipendenti dalla Regione, che non sono le scuole in cui si dà normalmente la educazione secondo le leggi dello Stato; mentre l’articolo 40 si riferiva alle scuole statali.

LUSSU, Relatore. Io mi riferisco al momento in cui parlava l’onorevole Bettiol: ho interpretato che scuole della Regione erano precisamente tutte quelle scuole che oggi sono della Regione ed ho anche io, nel mio pensiero, supposto che vi possano essere altre scuole, che lo Stato ha diritto di istituire: scuole di alta cultura, di ricerca scientifica di alta montagna, istituti superiori, scuole universitarie. A queste io mi sono riferito: è un diritto che nessuno contesta allo Stato.

PRESIDENTE. Allo stato dei fatti ritengo – l’onorevole Bordon, che è esperto in materia, può smentirmi se io sbaglio – che tutte le scuole in Val d’Aosta, che erano dello Stato, sono oggi dipendenti dalla Regione.

BORDON. E pagate anche dalla Regione.

PRESIDENTE. È da pensarsi che nell’avvenire lo Stato crei, ad esempio, ad Aosta nuove scuole medie che non siano quelle che vi sono attualmente e che resti allora ad Aosta, accanto alla scuola media dipendente dalla Regione, una scuola che chiamerò libera (per usare il termine dell’onorevole Bordon) nel senso che è dello Stato e non dipendente dalla Regione? Non penso che questa sia la prospettiva dell’onorevole Bettiol. Comunque rileggo le parole che egli ha pronunciate: «È in questo senso che, mentre noi giustamente dobbiamo garantire la possibilità ai nativi di sviluppare nelle loro scuole la loro tradizione culturale e la loro civiltà, dobbiamo però anche preoccuparci che gli immigrati, i quali sono in fortissimo numero nella Val d’Aosta, possano liberamente cercare di avere quella educazione scolastica, quei tipi di scuole che più si confanno alle loro tradizioni particolari.

«In modo particolare, sarebbe opportuno fare in modo che la facoltà di cui all’articolo 38 riguardi soltanto le scuole dipendenti dalla Regione, perché in queste scuole dipendenti dalla Regione è vivo l’interesse all’insegnamento della lingua francese, di questa lingua nella quale, appunto, si esprimono più chiaramente le manifestazioni dei valdostani.

«Quindi, il mio emendamento tende da una parte a creare scuole di Stato con libertà d’insegnamento per quanto riguarda la lingua da usarsi nella scuola, e dall’altra a limitare questa autonomia dell’insegnamento in lingua francese soltanto alle scuole dipendenti dalla Regione stessa».

Mi pare che nel quadro formulato dall’onorevole Bettiol vi siano da una parte le scuole di Stato, che sono quelle che per mezzo della disposizione legislativa richiamata dall’onorevole Perassi sono state poste alle dipendenze della Regione, e dall’altra le scuole dipendenti dalla Regione che sono qualcosa di diverso. È con questa prospettiva che l’onorevole Bettiol ha presentato il suo emendamento. Probabilmente – vorrei che nessuno si offendesse – al momento del voto non a tutti è stato presente il valore che il proponente aveva dato al suo emendamento.

LUSSU, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU, Relatore. Io avevo presente codesto valore, perché ho pensato all’ordinamento del quale stamattina ho dato conto sommariamente e so che cosa significa oggi «scuola dipendente dalla Regione». E siccome non si era ancora votato l’articolo 40, mai avrei potuto sognarmi che in quest’Aula qualcuno, presente il Ministro della pubblica istruzione onorevole Gonella, avesse potuto sostenere la soppressione di quell’ordinamento scolastico già concesso nel 1946 dallo stesso Ministro.

FRANCESCHINI. Nessuno ha detto questo.

PRESIDENTE. Vista la contraddittorietà dell’interpretazione penso non vi sia da votare che sul punto se l’Assemblea ritiene che debba riprendersi in esame una qualsiasi nuova formulazione dell’articolo 40, diversa da quella per la quale è stata già votata la soppressione.

Pongo pertanto in votazione la proposta di riprendere in esame la materia che era contenuta nell’articolo 40.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

LUSSU, Relatore. Affermo che ciò che è avvenuto è illogico! (Commenti).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 55 ed ultimo del disegno di legge. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Il disegno di legge sarà poi votato nel suo complesso a scrutinio segreto.

Sull’ordine del giorno.

MATTARELLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTARELLA. Vorrei proporre che, nell’ordine del giorno delle sedute di domani, il coordinamento dello statuto siciliano preceda la discussione del disegno di legge sulla Corte costituzionale.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, così resta stabilito.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non ritenga opportuno affrettare la emanazione del provvedimento legislativo concernente la questione dei beni ingiustamente espropriati dal governo fascista, con particolare riguardo ai beni che gli Enti pubblici furono costretti a cedere a chiunque sotto la pressione politica durante il ventennio.

«Ciò, oltre che per compiere un doveroso atto di giustizia, anche allo scopo di restituire a molti Comuni ed Enti la possibilità di fronteggiare, con i mezzi che furono loro ingiustamente sottratti, le loro inderogabili necessità di bilancio, (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere i motivi che hanno ispirato il Ministero nel decidere l’espulsione dal territorio della Repubblica del cittadino spagnolo Alvaro Lopez Perez, rappresentante della Gioventù socialista unificata di Spagna presso le organizzazioni democratiche della gioventù italiana; e per chiedere la revoca immediata di questo provvedimento, che ferisce ad un tempo i sentimenti democratici del popolo italiano, e il diritto di asilo sancito dalla Carta costituzionale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Moscatelli, Longo, Minio, Pajetta Giuliano, Nenni, Codignola».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti il Governo ritenga possibili a favore delle famiglie dei dispersi in Russia, per meglio indirizzarne e sorreggerne le indagini sulle sorti dei loro congiunti, e – nei casi di bisogno – quali doverose misure intenda adottare per garantirne efficacemente l’assistenza economica e morale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Vigorelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni per le quali, dopo le dimissioni presentate da ben 14 consiglieri del comune di San Marzano sul Sarno (Salerno), dimissioni definitive al punto da farsene menzione nel conseguente decreto di nomina di un commissario prefettizio al predetto comune si sia addivenuti al ritiro delle dimissioni stesse da parte di due dimissionari e conseguentemente si siano indette le elezioni suppletive per il 14 marzo 1948; e per sapere ancora quanto ha accertato il predetto commissario prefettizio nei confronti della cennata amministrazione comunale e se esso Ministero dell’interno non creda opportuna la revoca del decreto prefettizio di fissazione delle menzionate elezioni suppletive e lo scioglimento della ripetuta amministrazione comunale, (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro degli affari esteri, per sapere se – a fine di prevenire nuove possibili atrocità, che si risolverebbero anche in esasperazione di già delicate situazioni politiche internazionali – non giudichino necessario chiedere urgentemente al Governo britannico che un rappresentante del Governo italiano risieda in Tripoli per collaborare a tale scopo con l’Amministrazione militare occupante.

«E se non ritengano opportuno, inoltre, domandare l’estensione per la Libia della concessione, che pare accordata ai Consolati in Palestina, quella di chiamare forze di polizia dai rispettivi paesi per presidiare alla tutela dell’ordine, il quale troverebbe già validissimo ausilio nella stessa manifestazione esteriore di solidarietà europea. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere:

1°) se sia informato che la Federazione provinciale minatori e cavatori di Grosseto, in un convegno, che ebbe luogo in quella città il 15 dicembre 1947, promosse la costituzione d’un Centro di studi geominerari per la Maremma toscana, al quale aderirono i rappresentanti delle Università di Pisa e di Roma, nonché i tecnici delle società minerarie toscane, e se e come intenda incoraggiare quell’iniziativa;

2°) se sia informato:

  1. a) che a Firenze, nei giorni 17-18 gennaio 1948, ebbe luogo alla Camera di commercio un convegno nazionale delle ligniti, organizzato dalla Federazione italiana minatori e dal Centro economico regionale per la ricostruzione della Toscana, con la partecipazione del Ministro del lavoro e dei più autorevoli studiosi italiani dei problemi della combustione;
  2. b) che dai risultati della discussione in tale convegno emerse che il problema della utilizzazione delle ligniti è oramai praticamente risolto, sotto l’aspetto strettamente tecnico e sotto l’aspetto economico, per la produzione di gas di sintesi da impiegare nella fabbricazione di fertilizzanti azotati, di cui tanto scarseggia la produzione nazionale;

3°) se non ravvisi l’opportunità di far stornare una parte dei fondi ricavati dalla vendita del carbone AUSA per promuovere nuovi studi e passare all’attuazione pratica dei progetti affacciati nei convegni di Grosseto e di Firenze, dandone mandato ad uno degli organi dello Stato preposti al controllo dell’industria carbonifera nazionale;

4°) se sia vero che si sta procedendo alla liquidazione dell’Azienda ligniti italiane, che sarebbe indubbiamente l’organismo statale più qualificato per attuare i progetti di cui sopra, assolvendo così ad uno dei precisi compiti previsti all’atto della sua costituzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bartalini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti abbiano presi per evitare che la ristampa dell’Enciclopedia Treccani venga di fatto affidata ancora a quegli elementi fascisti (ex senatore Domenico Bartolini, direttore generale, e professore Umberto Bosco, redattore capo), che già ne avevano curata la compilazione sotto il passato regime, nonostante che alla direzione sia stato chiamato un illustre studioso, quale è il professore De Sanctis che, fisicamente menomato, non può essere in grado di assolvere l’alto suo compito.

«Per conoscere, inoltre, per quali ragioni al commissario uscente avvocato Franco Concini non sia stata concessa udienza presso gli organi tutori dell’Istituto, malgrado le sue reiterate domande e non gli sia stato possibile leggere la relazione morale e amministrativa della sua gestione all’assemblea dell’Istituto. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Spallicci, Longhena, Macrelli, Marinaro, Zuccarini, Della Seta, Azzali».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Presidente del Comitato interministeriale per la ricostruzione, e il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se è vero che i concimi azotati subiranno nella prossima stagione primaverile un aumento di prezzo, e se siano a conoscenza del malumore che questa notizia ha sollevato tra gli agricoltori che si sentono un’altra volta colpiti, mentre tutti e solo i prodotti agricoli stanno subendo dei forti ribassi.

«Gli interroganti chiedono un intervento energico del Governo che si opponga a qualsiasi inopportuno tentativo del genere e ciò per evitare una palese ingiustizia verso i coltivatori e un danno notevole alla produzione agricola, specie a quella granaria. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bellato, Stella, Burato, Belotti, Bertone, Trimarchi, Ferreri, Quarello, Gortani, Garlato, Guerrieri Filippo, Cappi, Lizier, Pallastrelli, Bonomi Paolo, Tozzi Condivi, Giacchero, Geuna, Rivera, Baracco, Bubbio, Raimondi, Carbonari, Arcaini, Balduzzi, Ferrario Celestino, Del Curto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non intenda di riaprire tempestivamente i termini di presentazione delle domande e documenti per l’ammissione ai concorsi alle cattedre di italiano, storia e geografia e di matematica, scienze, ecc., nelle scuole e corsi di avviamento professionale, di cui al supplemento n. 2 della Gazzetta Ufficiale n. 158 del 1947, per i maestri elementari, a favore dei quali è stata emessa in ritardo la designazione prevista dall’articolo 13 della legge 22 aprile 1932, n. 490.

«Il 7 novembre 1947, quando i termini di presentazione delle domande erano già scaduti, il Ministero sollecitò con sua circolare i provveditori agli studi a formulare le proposte individuali e, naturalmente, tali designazioni giunsero dopo altro ritardo. Solo quando fu perfezionata tale formalità, gli aspiranti si trovarono ad avere il surrogato di titolo di studio, che il bando di concorso indica come essenziale per presentare la domanda: né si poteva supporre che gli aspiranti prendessero la presuntuosa e costosa iniziativa di allestire il carteggio e pagare la tassa e quindi presentare l’istanza prima dello scadere del termine, senza prima sapere se il giudizio, di cui alla legge del 1932, peraltro lasciato all’esclusivo impulso dei superiori, sarebbe stato a loro favorevole. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Ferreri, Lizier, Balduzzi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere – considerato che con regio decreto, caldeggiato dalla pattuglia fascista di Ampezzo e dai gerarchi di Belluno e proposto e firmato dal duce, dopo la marcia su Roma, cioè in data 21 gennaio 1923, venivano staccati dalla Venezia Tridentina i distretti giudiziari di Ampezzo e di Livinallongo e aggregati al circondario di Belluno; considerato che contro tale distacco reagì sempre la popolazione dell’Ampezzano e la sua rappresentanza comunale che, in premio di tale opposizione, dovette assistere alla invasione del municipio da parte della pattuglia fascista locale armata di manganello, contro i rappresentanti comunali stessi; considerato che l’annessione a Belluno ha provocato il malcontento delle popolazioni ladine di tutta la zona delle Dolomiti, nonché della provincia di Trento, che unisce la sua voce a quella dell’Ampezzano, per chiedere la restituzione di ciò che le fu tolto; considerato che non può essere riconosciuto come valido e legittimo un semplice decreto regio fascista, che si trova in stridente contrasto con la legge di annessione votata dal Parlamento nazionale addì 5 agosto 1920; considerato che la legge di annessione 26 settembre 1920, n. 1322, tuttora in vigore, non può essere eseguita senza restituire la zona ampezzana alla provincia di Trento; visto che i comuni della zona ampezzana, conforme deliberazione delle rispettive rappresentanze comunali, presentarono, fin dal luglio 1947, istanza al Ministero dell’interno per essere restituite alla Venezia Tridentina, in deroga al decreto fascista summenzionato – se non creda urgente accogliere la giustissima richiesta dei comuni di Ampezzo, Livinallongo e Santa Lucia, riparando il diritto leso e restituendoli alla provincia di Trento. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Carbonari, Paris, Conci Elisabetta, Clerici, Bubbio, Vicentini, Cremaschi Carlo, Arcaini, Balduzzi, Belotti, Roselli, Avanzini, Sampietro, Adonnino, Bordon, Notarianni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intenda emanare i necessari provvedimenti, perché i maestri elementari mutilati ed invalidi di guerra possano godere dello stesso trattamento previsto per le vedove di guerra relativamente all’immissione nei ruoli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno inviate ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 22.55.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 9.30:

  1. – Deliberazione in merito all’emblema della Repubblica italiana.
  2. Discussione del disegno di legge costituzionale:

Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia. (65).

Alle ore 16:

  1. Votazione a scrutinio segreto dei seguenti disegni di legge:

Statuto speciale per la Sardegna. (62).

Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. (63).

Statuto speciale per la Val d’Aosta. (64).

Modificazioni alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la prima elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. (66).

Norme per la formazione delle liste elettorali nella provincia di Bolzano. (67).

  1. Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale:

Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia. (65).

  1. Discussione del disegno di legge costituzionale:

Norme per la proponibilità dei giudizi e per le garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale. (68).

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 30 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXXII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 30 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Colitto

Gasparotto

Di Giovanni, Presidente della Commissione

Lucifero

Giannini

Tonello

Macrelli

Nitti

Parri

Boldrini

Disegno di legge costituzionale (Discussione):

Statuto speciale per la Valle d’Aosta (64)

Lussu, Relatore

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

La prima è contro il deputato Giannini, per il reato di cui all’articolo 595, comma terzo, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Documento I, n. 21).

La Commissione all’unanimità ha concluso per la concessione dell’autorizzazione a procedere.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevoli colleghi, nella lettera che il Procuratore della Repubblica ha rimesso al Ministro di giustizia si parla di «articoli» e di «note», che sarebbero stati redatti dall’onorevole Giannini e che conterrebbero affermazioni lesive dell’onore e della reputazione dell’onorevole Parri.

Nella relazione, redatta dall’onorevole Ciampitti, non si parla più di «note», ma solo di articoli. Evidentemente, il relatore ha creduto di poter unire insieme articoli e note, considerandoli alla stessa stregua.

Io credo che la Commissione ed il suo relatore non avrebbero dovuto così comportarsi, e il relatore, per la valutazione soprattutto dell’elemento subiettivo del reato, non avrebbe dovuto unire insieme e valutare nella stessa maniera articoli e note. Perché sta in fatto che l’onorevole Giannini scrisse le «note» e non gli «articoli». I fatti dei quali l’onorevole Parri si lamenta erano stati già da altri giornali pubblicati. Nei numeri del Buonsenso, che sono stati allegati alla querela, non si fa che commentare quelle che erano notizie già riportate da altri giornali.

E allora, se noi dobbiamo valutare, o anche soltanto delibare, quelli che sono gli elementi costitutivi del reato, è evidente che non si può parlare di reato nei confronti di chi si è limitato a scrivere una nota di commento a quello che in altri giornali già era stato da più giorni pubblicato.

Tutto ciò acquista anche maggiore importanza, quando si consideri che il commento è di carattere politico e riguarda una persona, che riveste una carica politica.

Per queste ragioni a me sembra che l’Assemblea non possa accogliere la richiesta, che è stata formulata dalla Commissione, di concessione dell’autorizzazione a procedere.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Onorevoli colleghi, nessuno più di me può recare testimonianza dell’opera generosa, infaticata, rischiosa di Ferruccio Parri, sempre conseguente al suo pensiero e alla sua dirittura di vita, perché egli restò in campo armato contro il fascismo ben lungi, ben prima della guerra, e, a guerra dichiarata, nella cospirazione lombarda perseguì quest’opera, e durante la dominazione tedesca organizzò le prime file di coloro che intendevano riabilitare l’Italia e riscattare la grande vergogna.

Nessuno più di me, che ebbi le sue confidenze (quando coprivo l’ufficio di Ministro dell’aeronautica) del vasto programma di solidarietà nazionale che egli intendeva attuare e attuò a favore delle vittime della guerra, nessuno più di me può giudicare come la seconda accusa lanciata dall’onorevole Giannini sia priva di fondamento.

Ma si tratta – a mio avviso – di battute polemiche, e io vorrei augurarmi che, anziché la polemica fosse continuata nel campo giudiziario, fosse risolta qui, oggi stesso, attraverso una franca e leale dichiarazione da parte di colui che dovrebbe essere rinviato a giudizio.

Vorrei fare appello al riconosciuto coraggio, alla franchezza, alla onestà dell’onorevole Giannini, perché accolga l’attestazione che è contenuta nella relazione della nostra Commissione parlamentare e accettando il mio invito, seduta stante, chiuda l’increscioso episodio.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io sento il dovete di dare ragione all’Assemblea delle considerazioni che hanno condotto la Commissione ad esprimere con unanimità di consensi una proposta favorevole all’autorizzazione a procedere contro l’onorevole Giannini.

I fatti sono di una estrema semplicità. In una campagna giornalistica sul Buonsenso apparvero degli articoli indubbiamente aggressivi della personalità morale dell’onorevole Parri. Si ricondusse la paternità degli articoli all’onorevole Giannini in quanto apparivano tutti siglati con la «G.», secondo l’abitudine dell’onorevole Giannini.

L’onorevole Parri presentò querela accordando ampia facoltà di prova. L’elemento materiale si concretava in due addebiti. Nell’uno si diceva che l’onorevole Parri durante la lotta partigiana se n’era rimasto comodamente appartato a giocare il «tressette»; nell’altro si asseriva che l’onorevole Parri, in unione con Longo e Cadorna, aveva realizzato acquisti di vaste tenute a scopo personale, sia pure nel nome di una cooperativa di partigiani, ma invertendo la destinazione delle somme che dovevano servire ad alimentare la lotta partigiana. Nessuno che fosse curante della propria reputazione, e geloso custode della propria personalità morale, avrebbe potuto rimanere silenzioso di fronte a queste gravissime accuse. Molto meno avrebbe potuto farlo l’onorevole Parri, alta figura di patriota e di parlamentare, circondato da generale stima e che era stato l’animatore strenuo ed infaticabile della lotta partigiana.

La Commissione ha considerato che, se è apprezzabile, ed è lodevole l’opera della pubblica stampa quando tende a moralizzare il costume politico, quando tende a rilevare e condannare gli eccessi, gli abusi, le intemperanze e le malversazioni nelle pubbliche amministrazioni; non altrettanto è apprezzabile quando tende ad aggredire la personalità morale di un galantuomo ed a ferire il suo patrimonio morale, il più sacro, il più geloso da custodire, da chi ha rispetto della propria onestà.

Purtroppo, oggi l’onda delle basse cupidigie in non pochi campi dilaga, come in un rigurgito di cloaca, ed invade le piazze ed i trivi; ed è altamente apprezzabile e lodevole l’opera del giornalismo, che tende a correggere il malcostume politico ed a ripristinare la moralità pubblica offesa, e possono anche essere considerati, sotto questo aspetto e per questa finalità, giustificati gli eccessi delle campagne giornalistiche; ma nella specie è sembrato alla Commissione che si sia varcato ogni limite tollerabile e che l’elemento morale dell’aggressione denigratoria affiori da ogni passo degli articoli incriminati.

In queste condizioni, la Commissione ha ritenuto di non potere arrestare il corso dell’azione penale ed impedire la celebrazione concreta ed ampia del dibattito giudiziario. In quella sede l’onorevole Giannini potrà dimostrare che sia stato assente dal suo pensiero l’animus diffamandi; potrà anche dimostrare, se ritiene possibile e conveniente, la realtà e la verità dei fatti attribuiti, raccogliendo l’invito che gli è stato porto dall’onorevole Parri; ma tutto questo non poteva rientrare nei limiti e nel campo riserbati alla Commissione; la quale, pertanto, ha dovuto concludere per la concessione della autorizzazione a procedere. Devo anche avvertire gli onorevoli colleghi che la Commissione, rendendosi conto delle due personalità in contrasto, notevoli figure di parlamentari entrambe, circondate di stima e di prestigio, ha tentato una dignitosa, onorevole per entrambi, composizione amichevole della vertenza; ma si è imbattuta in resistenze insormontabili. Mi auguro che l’invito rivolto qui oggi dall’onorevole Gasparotto all’onorevole Giannini possa sortire più felice effetto; ma a noi non restava altro compito che presentarvi la relazione con la conclusione favorevole per l’autorizzazione a procedere, e questo abbiamo fatto, nella coscienza di aver adempiuto serenamente ed obiettivamente al nostro dovere.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, non intendo entrare nel merito della questione, ma vorrei sottoporre all’Assemblea una osservazione, direi, di natura politica e di natura umana. L’osservazione di natura politica è questa: purtroppo, nel periodo in cui finalmente la stampa ha potuto riprendere una libertà di espressione, questa libertà di espressione è andata molto spesso al di là della libertà stessa e disgraziatamente anche adesso, molto spesso, va al di là di questa libertà e si trasforma in arbitrio, sovente nel più grave degli arbitrii.

La polemica giornalistica e la polemica politica non hanno tenuto e non tengono quella compostezza che dovevano, soprattutto in un periodo come quello passato  in cui le lotte sono state più acerbe, in cui l’abitudine della lotta democratica non aveva cominciato a rifarsi negli uomini che adoperavano la penna e l’arma della stampa.

Non entro, quindi, nel merito, ma faccio presente semplicemente che non vedo la convenienza politica di continuare a prolungare queste polemiche, a rifarle vive, a ricondurle sul terreno della pubblica discussione, quando il tempo le ha ormai smorzate e proprio alla vigilia del periodo elettorale. Non credo che questo debba avvenire, soprattutto fra persone che meritano un certo rispetto per quello che hanno dato alla Patria, per l’opera loro e per il sacrificio ed i lutti che possono essere stati nelle loro case.

Ritengo, quindi, che i mezzi di difesa per le persone siano nelle persone stesse; e che sarebbe sommamente inopportuno in questa sede riaprire la polemica, sia pure in campo giudiziario. Mi associo, pertanto, alle parole dell’onorevole Gasparotto e dell’onorevole Di Giovanni.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Non avrei mai immaginato di dover difendere me stesso in questa discussione, tanto che mi tenevo pudicamente fuori dell’Aula. Mi è stato riferito che il collega onorevole Gasparotto ha detto delle simpatiche parole, ed ha fatto un invito; ed io ho pensato di entrare per chiarire quello che è adesso e quello che è stato il mio atteggiamento.

Nella mia campagna giornalistica non è stato mai detto (e lo dimostreremo in competente sede) che gli acquisti relativi alle bonifiche venete siano stati fatti a profitto di coloro che hanno operato questi acquisti. Ciò è stato molto chiaramente detto. La prova morale indiretta di questo fatto certo sta in questo: che i cosiddetti accusati erano tre, Parri, Cadorna, Longo. Uno solo di questi tre diffamati ha sentito il bisogno di querelarsi.

MOSCATELLI. Certe cose non si prendono sul serio.

GIANNINI. C’è poi l’atteggiamento politico sull’opera dell’onorevole Parri.

Su tale apprezzamento non posso fare nessuna dichiarazione mentre si discute l’autorizzazione a procedere contro di me. Per cui, fatta questa dichiarazione che riguarda – diciamo – la parte degli acquisti, astenendomi dal fare qualsiasi dichiarazione sulla serietà o meno che l’onorevole Moscatelli mi attribuisce, devo concludere chiedendo che sia concessa l’autorizzazione a procedere. Desidero che il Presidente mi consenta di lasciare l’Aula, perché non mi sembra giusto che io sia presente in questa discussione nella quale si deve parlare contro di me o anche, da parte di amici, a favore di me. Non voglio dar fastidio agli amici, né dare preoccupazioni agli avversari.

Ringrazio i colleghi che si sono preoccupati così benevolmente della mia posizione giudiziaria, giornalistica e politica e prego il Presidente di autorizzarmi a lasciare l’Aula. (Applausi a destra).

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Se nella mia anima ci fosse un lontano dubbio sulla necessità per Ferruccio Parri di difendere il proprio onore davanti ai giudici, sarei il primo a dire: date con tranquillo spirito questa autorizzazione a procedere. Gli è che io ho la profonda convinzione, la quale è convinzione di tutto il nostro Paese, di tutti coloro che hanno conosciuto e conoscono l’opera nobile ed alta di Ferrucci Parri, che egli non ha proprio bisogno di andare davanti ai giudici a dimostrare la sua purezza ed integrità di cittadino.

Come pure, credo che l’imputato, non abbia bisogno, neppur esso, di dimostrare l’impulsività del suo temperamento e la facilità con la quale, nella pratica giornalistica, egli si lascia sfuggire frasi non confacenti alla dignità del giornalismo.

Si tratta di una polemica squisitamente politica, dove non ci sono scandali da mettere alla luce del sole.

Ricorderete che l’Assemblea, quando si fece l’inchiesta, mise in luce e fuori d’ogni sospetto la persona di Ferruccio Parri.

Ricorderete come ci troviamo di fronte a due uomini, i quali, per forza, data la differente, opposta concezione politica e la funzione che essi compivano politicamente nel Paese, sono stati nemici.

Oggi, il tempo è passato ed abbiamo anche sentito dall’onorevole Giannini non dico frasi di scusa, ma quasi di rimpianto, come dire: è stata la passione politica.

Ora, in politica io sono molto facile ad assolvere gli uomini, onorevoli colleghi, perché possiamo dire che la passione politica trascina talvolta anche gli individui onesti a passare i limiti della convenienza e della giustizia.

Perciò, giacché non ci sono scandali da nascondere, giacché tutto è in piena luce, penso che noi dovremmo indulgere e coprire, alla vigilia delle elezioni, con una specie di assoluzione, diciamo così, dal lato giudiziario, la vertenza fra l’onorevole Giannini e l’onorevole Parri.

Farà onore soprattutto a Ferruccio Parri, se egli, che altra volta si contentò del giurì della Camera – e quel giurì fu tale, che mise in luce la sua integrità – sarà onore per lui accettare questa recessione di querela.

L’onorevole Giannini non potrà più sulla sua stampa dire che egli è vittima della persecuzione politica. Se egli ha esagerato, se egli ha mentito, lo sentirà dal giudizio del pubblico italiano, di tutti i cittadini. (Commenti).

Lasciatemi dire! Domani potrei difendere ciascuno di voi per la stessa ragione. Non è il caso di mostrare sdegno sugli errori degli altri, quando anche noi possiamo cadere negli stessi errori. (Approvazioni).

E se io non sono favorevole alla concessione della autorizzazione a procedere, gli è perché so che in tali battaglie si può facilmente errare, tutti, anche certi uomini «caffè-latte» e certe anime che sembrano timide, se toccate nella parte sensibile, vedrete voi come reagiscono. Io non ho bisogno di giustificare e non giustifico certamente l’onorevole Giannini; sono stato suo avversario fin dal principio, ma nello stesso tempo dico: tenete conto dell’ambiente infuocato in cui viviamo da oltre un anno, tenete conto di quante accuse e di quante contumelie sono state pronunciate qui dentro fra colleghi. Eppure, se in questo momento interroghiamo il nostro cuore, vediamo che delle nostre rampogne quasi più nulla è rimasto perché gli uomini, a meno che non siano canaglie, dimenticano e perdonano. Ebbene, esprimo l’augurio che per non portare una polemica davanti agli elettori italiani, l’Assemblea, non per assolvere l’onorevole Giannini, ma per un atto di riconoscente deferenza verso il collega Parri (che non ha bisogno di alcun giudizio che metta in luce il suo valore) non conceda l’autorizzazione a procedere. (Applausi a destra).

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Onorevoli colleghi, rinuncio alla parola, perché il collega Parri mi ha pregato in questo senso, però desidero che egli sappia che in quest’ora, intorno a lui, non sono soltanto gli amici del suo Gruppo e della sua fede politica, ma tutti gli italiani e particolarmente quelli che hanno offerto la vita per la Patria e per la libertà. (Applausi).

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io debbo associarmi alle parole dell’onorevole Tonello. Non credo che l’onorevole Parri abbia bisogno di difesa. L’unica cosa che poteva dar luogo a discutere di questa domanda di autorizzazione, è stata chiarita dalle dichiarazioni dell’onorevole Giannini. La vita dell’amico Parri, per quanto lo riguardi come persona, non è materia di discussione. Non si tratta, come qualcuno può mostrare di credere, di una contesa fra un fascista e un antifascista. Ciò è ridicolo. L’onorevole Parri sa che è cosa ridicola. L’onorevole Giannini può fieramente osservare che egli non è stato imboscato, non nemico, non fascista, ma ha perduto il suo unico figlio in guerra. Ora, fra uomini che hanno servito la Patria per vie diverse, come l’onorevole Parri e l’onorevole Giannini, ma per la stessa fede, mi offende l’idea che si debba arrivare a un contrasto il quale non farà che eccitare le incomposte passioni. Sono sicuro del consenso dell’onorevole Giannini, perché egli non ha alcun rancore, come i giornalisti che spesso, ahimè, si lasciano andare a parole che sorpassano le intenzioni. Non vi è nessuna offesa che non possa essere immediatamente dimenticata. Si tratta di controversie politiche che non bisogna prolungare inutilmente. Ogni polemica deve finire in quest’ora in cui premono così gravi necessità. Invoco l’amico Parri perché metta fine a tutto ciò, in modo che questa polemica inutile possa aver fine.

PARRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARRI. Mentre ringrazio delle espressioni e manifestazioni cortesi di stima, sono dolente di non poter accedere all’invito che mi viene rivolto. (Applausi a sinistra). Ne sono dolentissimo poiché questo invito mi viene rivolto dall’onorevole Nitti, ma né egli né gli onorevoli colleghi conoscono i termini di questa vertenza che, a mio parere, non sono stati esattamente posti neanche dall’onorevole Colitto.

Io non intendo qui affliggere la Camera con questo fatto che considero personale, ma non si tratta di una questione politica, bensì di una questione personale, la quale, pure dopo le considerazioni dell’onorevole Giannini, rimane aperta, apertissima. Ed in queste condizioni, io non mi sento, non posso rinunciare a valermi dell’azione giudiziaria. Chiedo semplicemente alla Camera che approvi la relazione della Commissione delle autorizzazioni a procedere.

BOLDRINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOLDRINI. La querela che l’onorevole Parri ha sporto contro l’onorevole Giannini, non è più la querela dell’onorevole Parri, ma è la querela dei partigiani italiani, perché è vero che si tratta di controversie politiche, ma è vero anche che si è approfittato della controversia politica per porre in non cale il sangue sparso dai partigiani italiani. Una volta tanto si dica nel Paese di chi è la responsabilità dell’insulto. (Applausi a sinistra).

Giorni fa avete votato una legge che stabiliva che il vilipendio contro la resistenza era proibito. Ebbene, oggi avete il dovere sacrosanto di mettere in esecuzione quella legge. L’onorevole Giannini non ha insultato soltanto l’onorevole Parri, ma anche, Longo e Cadorna che sono stati i promotori del Comitato insurrezionale dell’Italia, del movimento insurrezionale che ha portato il 25 aprile.

Per questo chiedo che l’Assemblea dia parere favorevole per procedere contro l’onorevole Giannini. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Pongo in votazione le conclusioni della Commissione.

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato Tonetti per il reato di cui all’articolo 342 del Codice penale (offesa al prestigio di un Corpo amministrativo). (Doc. I, n. 55).

La Commissione ha concluso per la non concessione della richiesta autorizzazione.

Poiché nessuno chiede di parlare, pongo in votazione le conclusioni della Commissione.

(Sono approvate).

Discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Valle d’Aosta. (64).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Valle d’Aosta. (64).

Ha facoltà di parlare il Relatore, onorevole Lussu.

LUSSU, Relatore. Onorevoli colleghi, data l’assenza del collega onorevole Villabruna, anche egli Relatore, adempio al compito precedentemente assuntomi nella Commissione: di fare la relazione su questo disegno di legge riguardante lo statuto speciale per la Valle d’Aosta; e lo faccio in seguito ad una serie di ragionamenti che mi hanno indotto a rinunciare alla mia determinazione di questi ultimi giorni, di disinteressarmi cioè di questi problemi autonomistici, e di lasciare gli statuti delle autonomie speciali in balìa degli iconoclasti, per un certo gusto giovanile di ricominciare daccapo.

Comunque io dico, come autonomista, fra i primi che hanno portato questa aspirazione e questa coscienza nelle masse popolari, dico, con gli autonomisti, che questa grande riforma che noi concepiamo fondamentale, dopo quella della Repubblica, sarà da noi difesa come una prima conquista democratica, e con la stessa lealtà, aggiungerei con lo stesso fanatismo, con cui siamo decisi a difendere la Repubblica. Io mi esprimo – e chiedo scusa al collega onorevole Villabruna assente e a tutti gli altri colleghi della Commissione – io mi esprimo, pur riferendo sulla questione specifica il pensiero dei colleghi della Commissione stessa, evidentemente in termini personali, poiché questi ultimi giorni sono stati, in certo senso, una sorpresa per me.

È evidente che, dopo le scaramucce e le battaglie e le alterne vicende della mischia, diventata alla fine confusamente furiosa, sulla legge per l’elezione del Senato, l’Assemblea, o piuttosto gli ultimi resti dell’Assemblea, si è gettata su questi modesti statuti speciali già da tempo decisi, con irritazione e, pensando all’onorevole Nitti, si può aggiungere con rancore aggressivo.

Egli, per gli scacchi subiti in questi ultimi giorni nella discussione sulla legge elettorale per il Senato – e io dico contro giustizia – si è scagliato in termini sempre più aspri contro queste riforme. Ma un’ingiustizia tira l’altra. Ed io pregherei l’onorevole Nitti, e, poiché vedo che egli non è ora qui presente, pregherei i suoi amici di volerlo invitare, se mai egli dovesse rientrare durante questa discussione, al ventesimo o al trentesimo articolo, a non prendere la parola come ha fatto per lo statuto speciale per la Sardegna, e a non spezzare ancora l’ultima sua lancia a difesa di quella dalla sua parte conclamata unità dello Stato, unità della Nazione: parole retoriche le quali, pronunziate in periodo preelettorale, ci offendono, perché nessuno in quest’Aula ha il diritto – neppure l’onorevole Presidente Nitti, che è maestro a tutti noi – di ricordarci la fedeltà alla Nazione e la realtà dell’unità dello Stato. (Approvazioni).

Il compito della Commissione, d’altronde, era quello di tradurre la volontà dell’Assemblea. La Commissione non si è autoeletta, la Commissione è stata eletta. È stata nominata dall’Assemblea, in rappresentanza dell’Assemblea, per presentare non già statuti generici, ma statuti particolari, i quattro statuti particolari cioè che in parte già esistevano e in parte ancora non esistevano o erano in embrione.

Facendo ciò, questa Assemblea non ha, essa stessa, espresso improvvisamente una sua volontà, ma ha attuato quello che è consacrato nell’articolo 116 della Carta costituzionale della Repubblica. E pertanto, fra la posizione di questa Commissione che costituisce la rappresentanza dell’Assemblea, o comunque dell’immensa maggioranza dell’Assemblea, e l’opposizione dell’onorevole Presidente Nitti e di quanti la pensano come lui, c’è un pieno contrasto, ed io penso che sarebbe veramente tempo che ci venissero risparmiati altri discorsi. Veramente pregherei gli amici dell’onorevole Nitti di dirgli, se rientra, che non parli come l’ultima volta. Io, se non proprio a nome della Commissione, a nome mio personale, dico che i suoi discorsi su questa materia li do per conosciuti, per arciconosciuti e letti e, direi, per imparati a memoria.

Desidererei dire qualche cosa anche ai membri del Governo e in particolare al Presidente del Consiglio. Vi sono degli impegni nella vita politica della Nazione che un Governo prende, assumendosi tutta la sua responsabilità; degli impegni che per il carattere eccezionale che essi acquistano, non rimangono puri e semplici impegni di Governo. Essi diventano permanenti impegni dello Stato; essi toccano la dignità, l’autorità e l’onore dello Stato. E un Governo, succedendo ad un altro Governo, di differente colore politico, rispetta, è obbligato a rispettare, gli impegni dei precedenti. È la continuità della serietà e dell’autorità dello Stato.

L’impegno dal Governo assunto di fronte alla Valle d’Aosta nel 1945 è noto – è l’impegno del primo Governo dei Comitati di liberazione nazionale, che d’altronde si riallacciava, così come tutta la questione autonomistica della Valle d’Aosta si riallaccia, agli impegni del Comitato di liberazione nazionale della Valle d’Aosta, agli impegni del Comitato di liberazione nazionale del Piemonte, agli impegni del Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia, sede centrale a Milano – come sono noti tutti gli impegni assunti durante la lotta della resistenza e della liberazione.

La piccola Valle d’Aosta – e non aggiungo fiori letterari per definirla – oltre che della coscienza dell’universalità dei suoi abitanti, si sente forte per questi impegni.

E pregherei in modo particolare l’onorevole De Gasperi, Presidente del Consiglio, anche nella sua qualità di leader della Democrazia cristiana, di intervenire tempestivamente in senso fiducioso e benevolo, come ieri egli ha compiuto il dovere di intervenire per lo statuto del Trentino-Alto Adige; e che cerchi tempestivamente di frenare nella sua tumultuosa e sempre impaziente fantasia costituzionalista il collega onorevole professore Mortati. (Si ride).

Lo statuto della Valle d’Aosta, in sostanza, non presenta alcuna novità degna di serio rilievo. Esso si riallaccia ai decreti legislativi luogotenenziali e ai decreti legislativi del 1945 e 1946.

La Valle d’Aosta, per questi decreti, ha già in atto una sua struttura organizzativa autonoma, non completa, ma efficiente, con un’esperienza di alcuni anni. Noi abbiamo sentito il bisogno di prendere contatti con questa viva esperienza e abbiamo avuto l’onore di avere in mezzo alla nostra Commissione il rappresentante politico eletto nella Valle d’Aosta, l’onorevole collega Bordon. Io credo di poter dire a nome di tutta la Commissione che la Valle d’Aosta non poteva mandare qui un più nobile e degno rappresentante. Volontario nell’altra guerra del 1915, iscritto ad un partito socialista, internazionalista, facente parte del grande movimento dei partigiani della Valle d’Aosta e del Piemonte durante la guerra di resistenza e di liberazione, egli era il più adatto a portare in mezzo ai rappresentanti dell’Assemblea, nella Commissione la voce particolare della sua Valle, senza dissociarla dalla visione degli interessi nazionali e più vasti, che egli ha sempre presentato dinanzi a noi e visti come problemi inscindibili di vita sociale moderna e democratica.

E abbiamo anche potuto sentire (non naturalmente con la possibilità che noi tutti avremmo desiderato, perché il tempo stringeva) i rappresentanti dell’attuale organizzazione amministrativa provvisoria della Valle con il loro Presidente. Essi conoscono tutto quanto si è realizzato in questi anni e sono i più direttamente indicati ad esprimere con autorità proposte, correzioni, modifiche.

In coscienza, noi siamo arrivati a questa nostra fatica, che può certamente essere suscettibile di critica, ma che rappresenta da ogni punto di vista, locale, nazionale, generale, un risultato soddisfacente per tutti.

Dimodoché, onorevoli colleghi, che con una certa asprezza e perfino – in taluni – con una certa quale strana irrisione, ignorando la profonda coscienza che anima queste aspirazioni, criticate i disegni di statuti speciali per queste Regioni, io credo che si debba arrivare ad una buona conclusione: approvazione nella sua sostanza di questa autonomia, di modo che si chiuda e non si riapra una pagina.

Dirò brevemente su questo statuto che abbiamo l’onore di presentarvi, e mi fermerò solo sui punti essenziali, che meritano un rilievo o che comunque obbligano noi a sottolinearli fin da adesso.

Sul Titolo I – Costituzione della Regione – niente di notevole da dire. Abbiamo solo creduto opportuno non accettare le richieste della Valle sullo stendardo da mettere a fianco della bandiera nazionale. Naturalmente è un diritto. In pratica avviene già, come avviene un po’dovunque. Ma siccome questo non l’abbiamo contemplato come un diritto in nessuno degli articoli che riguardano gli statuti particolari, abbiamo creduto opportuno ometterlo anche per la Valle d’Aosta. La Valle può di suo pieno diritto presentare il suo emblema, esporlo e, se vuole, in forma più solenne, farlo approvare – come la Costituzione ammette all’articolo 123 – con legge dello Stato.

Sul Titolo II – Funzioni della Regione– quasi nulla da osservare, all’infuori di questo punto, che rilevo solo per i colleghi dell’estrema sinistra e per quanti vedono con preoccupazione gli sviluppi sociali della nostra democrazia. Qui, nel preambolo dell’articolo 2, non si parla né di riforme sociali e industriali, né di riforme agrarie e sociali, come si parla nello statuto per la Sardegna, nello statuto per il Trentino-Alto Adige e nello statuto per la Sicilia. Negli statuti per la Sardegna, e il Trentino-Alto Adige, è contenuto questo inciso: «col rispetto… delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica», e nello statuto siciliano questo inciso: «senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali della Repubblica».

Abbiamo taciuto, perché siccome il problema agrario in un paese montagnoso a piccolissime proprietà coltivatrici non è sentito come un problema fondamentale, metterlo qui avrebbe assunto una espressione ampollosa e quasi retorica. Però la Commissione tutta è d’accordo nel ritenere che ogni norma che riguarda la riforma sociale, agraria o industriale debba rientrare, come rientra, nei principî dell’ordinamento giuridico dello Stato indicati nel preambolo stesso della Costituzione. D’altronde nessuna Regione, particolare o no, può sottrarsi a quest’obbligo, che è consacrato nei principî fondamentali della Carta costituzionale.

Non c’è altro da dire, all’infuori che segnalare alla soddisfazione dell’onorevole Ministro della pubblica istruzione che le antichità e le belle arti sono qui collocate per l’articolo 3, fra le materie per le quali la Regione ha potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica.

Sul Titolo III c’è qualche cosa da osservare. Qui tocchiamo subito il problema economico fondamentale della Valle d’Aosta, il problema delle acque. Prima di questa data il regime delle acque nella Valle d’Aosta era regolato col decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1915, n. 546, per cui le acque erano regolate in questi termini. Le acque pubbliche (escluse quelle già date in concessione che vedremo subito) date in concessione alla Regione per 99 anni, rinnovabili. Rimanevano le acque ad uso potabile e di irrigazione incluse in queste acque pubbliche. Queste appartenevano al patrimonio dello Stato. Col decreto legislativo esse potevano esser date in concessione per 99 anni. La Commissione ha ritenuto di modificare questa sistemazione e di attribuire queste acque ad uso di irrigazione e potabili al patrimonio della Regione. La Commissione ha creduto di compiere così un atto di giustizia necessaria. Queste opere, che riguardano le acque ad uso di irrigazione e potabili, sono il risultato degli sforzi pazienti di molte centinaia d’anni che la popolazione montana della Valle d’Aosta ha compiuto senza interruzioni. È suo lavoro, suo esclusivo lavoro. E a ciò si aggiunge che, verso la fine del XVIII secolo, tutti i comuni, consorziati o no, hanno riscattato dai signori locali il diritto esclusivo di queste acque, pagandole con una cifra che oggi ammonterebbe a parecchi miliardi.

La Commissione ha ritenuto giusto attribuire queste acque per sempre al patrimonio della Regione. E in fondo questa concessione di 99 anni rinnovabile, senza alcun canone alla Regione, significava la stessa cosa. La Commissione ha creduto di potersi assumere la responsabilità di questa modificazione; e la raccomanda all’Assemblea.

Rimangono le altre acque pubbliche: il 30 per cento di quelle esistenti, che sono ancora patrimonio dello Stato. La Commissione aggiudica senz’altro queste acque al patrimonio regionale. È una piccola, esigua rimanenza delle maggiori acque sfruttate; ed è troppo giusto che la Valle possa in pieno e sovrano diritto (rispettando naturalmente tutte quelle che sono le norme legislative dello Stato in materia di acque) amministrarle a proprio profitto e con la sua iniziativa.

Noi riteniamo che anche questa sia una giusta decisione, e preghiamo l’Assemblea di volerla rispettare.

Vi sono le acque escluse (e sono le acque date in concessione prima del 7 settembre 1945). Queste acque sono in sfruttamento, sono cioè quelle che costituiscono oggi i maggiori impianti idroelettrici e quelle che, essendo state date in concessione, non sono ancora state sfruttate. Per quelle che non sono state sfruttate e la cui concessione può scadere da un momento all’altro, la Commissione ha creduto di aggiudicarle al patrimonio della Regione.

È troppo giusto che queste acque (che una serie di uomini di affari è riuscita ad avere in concessione per poi rivenderle e che per mancanza di operazioni vantaggiose, sono ancora senza sfruttamento) passino alla Regione. Abbiamo dato al Presidente della Giunta regionale il diritto d’intervenire con gli atti necessari per provocare la decadenza di queste concessioni, che possono dirsi senz’altro affaristiche.

Rimane il problema delle acque concesse che sono in attuale sfruttamento. Qui si tratta dei maggiori centri idroelettrici. Con la precedente disposizione del decreto legislativo luogotenenziale del 1945, che ho citato, lo Stato ridiventava il titolare, appena le concessioni fossero scadute. Noi abbiamo creduto di modificare la disposizione in questi termini: «alla cessazione dell’uso (articolo 7, ultimo comma) o della concessane di tali acque, la Regione subentra nella concessione, salvo che lo Stato non intenda farne oggetto di un piano d’interesse nazionale».

Quindi il diritto dello Stato è sempre salvo in qualsiasi momento; può intervenire e far piegare il regime locale delle acque a quello che può essere un piano d’interesse generale. Ma, salvo questo diritto, a noi è apparso legittimo che la valle succedesse nei diritti patrimoniali. E anche questo è un punto delicato, che la Commissione raccomanda all’attenzione ed alla simpatia dell’Assemblea. Le altre questioni di materia non vale la pena che siano messe in rilievo, perché non hanno nessuna importanza notevole di fronte alla Carta costituzionale; sono dettagli secondari, su cui, se mai, darò chiarimenti, se richiesti.

Passiamo al regime delle miniere: articolo 11.

L’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 7 settembre 1945, diceva:

«Su domanda della Valle saranno a questa date in concessione gratuita per 99 anni le miniere esistenti nel territorio della Valle. Tale concessione potrà essere rinnovata. Dalla concessione sono escluse le miniere a sfruttamento, ecc.».

Noi abbiamo rispettato la stessa esclusione, cioè di quelle miniere, per le quali vi è tutta una serie di azioni industriali; la Cogne, per esempio. Ma, per le altre miniere abbiamo creduto opportuno inserire all’articolo 11 la stessa norma del decreto legislativo luogotenenziale: «Le miniere esistenti nella Regione sono date in concessione gratuita alla Regione per 99 anni. La concessione potrà essere rinnovata».

Sicché, il titolare del patrimonio minerario demaniale rimane sempre lo Stato, il quale può dare la concessione.

Anche su questa questione delle miniere vi sono dettagli, che non hanno alcun rilievo d’interesse; non vale la pena soffermarcisi.

Titolo III. Gli articoli 12 e 13 riguardano le finanze.

Abbiamo avuto una serie di conversazioni con i rappresentanti della Valle ed abbiamo lungamente discusso sull’ordinamento finanziario da attribuire a questa.

Ci siamo trovati di fronte a questi progetti: uno presentato dagli uffici del Ministero delle finanze; uno presentato dal Consiglio della Valle ed il terzo elaborato dalla nostra Commissione.

Siamo arrivati alla conclusione che nessuno di questi tre progetti poteva essere efficiente; comunque nessuno ha riscosso l’approvazione unanime della Commissione e degli interessati.

Il progetto del Ministero delle finanze era tale, per cui appariva anche benevolo rispetto alla Valle; ma la Commissione si è trovata concorde nel ritenere che, se quel progetto fosse stato adottato ed inserito nello statuto, il vero presidente della Valle sarebbe stato, non il presidente eletto dalla Giunta regionale, ma un capo Divisione del Ministero delle finanze.

Alla Commissione è parso che questo progetto non rispettasse, in alcun modo, le esigenze autonomistiche, che devono costituire l’essenza di questo statuto.

Il progetto presentato dalla Giunta della Valle non è stato dalla Commissione accolto favorevolmente. Devo dire che, tranne una difesa fatta, per onor di firma, dal collega onorevole Bordon, la Commissione ad unanimità non l’ha potuta accettare.

Il progetto elaborato dalla Commissione si ispirava ai principî esposti l’altro giorno in sede di discussione dello statuto per la Sardegna.

Tirate le somme, io credo che la Commissione si debba compiacere di essere arrivata a questo risultato: di trasferire, cioè, negli articoli 12 e 13 dello statuto gli articoli del decreto legislativo luogotenenziale 7 settembre 1945; li abbiamo ricopiati integralmente. Certo questo è un sistema non organico, è la negazione di un sistema di organizzazione finanziaria in regime di autonomia, anzi è l’assoluta contraddittorietà delle esigenze autonomistiche, ma non vi era altra soluzione. Questo modus vivendi che noi proponiamo è quello che attualmente già esiste, cioè sin dal 1945, ed attraverso il rispetto di queste norme del decreto legislativo luogotenenziale si è iniziata una ricostruzione di vita autonoma: contenti quelli della Valle, e credo, ancora di più contento il Ministero delle finanze. Ma non può essere che provvisorio. Cioè rinviamo al futuro Consiglio elettivo, alla futura Giunta, il problema di studiare a fondo, ricchi dell’esperienza e della pratica di questi due anni e mezzo, perché si elabori, d’accordo col Ministero delle finanze, un piano organico finanziario per la Valle. Perciò abbiamo inserito, nelle norme transitorie, all’articolo 53, questa disposizione, al primo comma: «entro due anni. dall’elezione del Consiglio della Valle sarà stabilito, a modifica degli articoli 12 e 13, un ordinamento finanziario della Regione con legge dello Stato in accordo con la Giunta regionale». Non si è creato, quindi, nulla di improvvisato e tanto meno di cervellotico. All’ultimo momento, mentre stavo per prendere la parola, l’onorevole Ministro del bilancio, Vicepresidente del Consiglio, mi ha presentato due emendamenti che non ho avuto ancora il tempo di leggere. Finita la relazione sarà mio dovere leggerli attentamente e comunicarli alla Commissione per poter dare una risposta comune.

Titolo IV: Zona franca. L’articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1945, n. 546, diceva che «Il territorio compreso nella circoscrizione della Valle è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca». Seguono delle disposizioni in conseguenza, abbastanza complicate. Ad unanimità abbiamo creduto di non definire in modo risolutivo la questione della sistemazione della zona franca concessa: per ciò abbiamo inserito nell’articolo 14 dello statuto la seguente definizione: «Il territorio della Valle d’Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca», ripetizione questa del testo del decreto luogotenenziale più volte citato. Segue poi: «Le modalità d’attuazione della zona franca concessa. alla Regione saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato». Credo che abbiamo ben fatto a decidere in questo senso. Questa concessione, se attuata, deve affrontare e risolvere una serie di difficoltà che sono lungi dall’essere semplici. Bisognerebbe, anzitutto, non solo sbarrare il passo del Piccolo San Bernardo od il passo del Gran San Bernardo, ma anche sbarrare la strada principale della Valle che sbocca poco a nord di Ivrea, a Pont Saint-Martin ed affrontare altre complicazioni ancora. Presentemente la Giunta della Valle, d’accordo col Ministero delle finanze, va studiando tutta una serie di attuazioni che saranno rese definitive in seguito e poi saranno adottate, come l’articolo 14 propone, con legge dello Stato concordata con la Regione.

Titolo V: Organi della Regione. Contiene una sola cosa notevole, che rileverò. Nell’articolo 15 abbiamo trasformato quello che era la denominazione degli organi rappresentativi della Valle, secondo il regime attuale ispirato al decreto legislativo luogotenenziale del 1945, ed abbiamo chiamato tutti gli organi con gli stessi nomi con cui sono stati definiti negli altri statuti particolari, cioè «Consiglio della Valle», Presidente del Consiglio, «Giunta regionale» e Presidente della Giunta; denominazioni queste più conformi all’espressione adottata dalla Carta costituzionale, di modo che si sa che in ogni Regione le denominazioni degli organi sono le stesse.

Ho un’osservazione da fare sull’articolo 31. Nell’articolo 31 è fatto riferimento, per inciso, alla Commissione di coordinamento. Infatti, il primo comma dell’articolo 31 dice: «Ogni legge, approvata dal Consiglio della Valle è comunicata al rappresentante del Ministero dell’interno, presidente della Commissione di coordinamento, preveduto dall’articolo 46 che, salvo il caso di opposizione, deve vistarlo nel termine di trenta giorni dalla comunicazione».

Noi della Commissione abbiamo adottato, deferendo alle considerazioni dei nostri costituzionalisti, fra cui primo il Presidente della nostra Commissione, di cambiare il nome che a questo organismo era dato nel decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1945. In esso si chiamava «Comitato di coordinamento»; adesso, nel nostro testo è chiamato invece «Commissione di coordinamento». Questa Commissione, come vedete, all’articolo 46 del nostro progetto, è composta da un funzionario del Ministero dell’interno, che ne è il Presidente, da un funzionario del Ministero delle finanze e da un membro eletto dalla Valle. La Commissione di coordinamento, come voi potete agevolmente controllare, sostituisce il cosiddetto Commissario che v’è nelle altre Regioni. La Valle ha ritenuto opportuno conservare questa organizzazione, che ha dato eccellenti risultati, senza mai provocare reazioni né al Ministero delle finanze, né al Ministero dell’interno, né negli organi rappresentativi della Valle. Ha dato così eccellenti risultati che tutti concordemente chiedono che sia conservata. Noi riteniamo che, facendo un lieve strappo a quelle che erano le nostre concezioni costituzionali in materia, possiamo conservarla intatta, come tutti desiderano.

Sul Titolo VI – «Lingua e ordinamento scolastico» – dirò poche cose. L’articolo 37 del nostro testo dice che nella Valle d’Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana. Abbiamo cioè corretto la dizione adoperata nell’articolo 17 del decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1945. Questo articolo 17 diceva testualmente: «Nella Valle d’Aosta è consentito il libero uso della lingua francese nei rapporti con le autorità politiche, amministrative e giudiziarie». Poi, aggiungeva: «Gli atti pubblici possono essere redatti in lingua francese, eccettuate le sentenze dell’autorità giudiziaria». Poiché è consentito il libero uso della lingua francese in tutti questi atti, tanto valeva adottare la definizione nostra per cui la lingua francese è parificata a quella italiana. Esprimiamoci, quindi, chiaramente, senza alcuna forma di perifrasi: così si sa esattamente quale è, secondo questo statuto, la situazione giuridica rispetto alla lingua. «Gli atti pubblici possono essere redatti – dice il nostro testo – nell’una e nell’altra lingua, eccettuati i provvedimenti dell’autorità giudiziaria, che sono redatti in lingua italiana». E nella dizione dell’articolo 17 del decreto legislativo sopra citato, si diceva: «Gli atti pubblici possono essere redatti in lingua francese, eccettuate le sentenze dell’autorità giudiziaria».

Alla Commissione è parso opportuno di non rendere la lingua italiana obbligatoria soltanto per le sentenze, ma per tutti gli atti giudiziari, per un razionale rispetto della procedura giudiziaria.

V’è il problema delle scuole; questo problema è stato affrontato e risolto dal Ministro Gonella e reso esecutivo in seguito al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato dell’11 novembre 1946.

L’articolo 18 del decreto luogotenenziale legislativo del 7 settembre 1945 annunciava già una riforma in materia. Noi abbiamo rivisto tutto l’insieme ed inserito questa materia in alcuni articoli che fanno parte di questo titolo.

Di sostanziale, oltre a quanto ho fatto notare sulla lingua, non v’è niente che meriti un particolare rilievo: abbiamo riprodotto quasi integralmente le varie disposizioni esistenti.

Il Titolo VII riguardante «L’ordinamento degli uffici di conciliazione» è anch’esso un titolo inserito in seguito alla legislazione esistente. Il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, infatti, dell’11 novembre 1946, regola questa questione.

Noi l’abbiamo riprodotto quasi integralmente, tranne qualche punto che non merita alcun rilievo.

Titolo VIII. Per quanto riguarda gli enti locali non v’è niente da dire, perché tutto è in perfetta rispondenza alla Carta costituzionale.

Titolo IX: «Rapporti tra lo Stato e la Regione». L’articolo 45 è il punto evidentemente più delicato, ed io pavento, con una certa trepidazione, che l’onorevole collega professor Mortati, che ci ha portato nei giorni scorsi nella Repubblica di Babele del collegio uninominale, che è poi anche collegio plurinominale, difficilmente rinuncerà ad intervenire. Egli considererà questo punto come il dente cariato dello statuto della Val d’Aosta; per cui io penso che egli possa far proporre all’Assemblea che questo dente sia estratto.

Io mi permetto di dire, a nome della Commissione, che noi desideriamo conservare questo dente, che è sanissimo e che preghiamo i colleghi di questa Assemblea perché rinuncino a farsi complici operatori di estrazione.

Per la Val d’Aosta ci troviamo di fronte ad una situazione particolare, perché, già nel decreto luogotenenziale legislativo del 7 settembre 1945 era detto: «Il Presidente del Consiglio della Valle esegue le deliberazioni del Consiglio, ed ha la rappresentanza della Valle.

«Ad esso spettano tutte le attribuzioni che le leggi vigenti conferiscono al Presidente della deputazione provinciale, in quanto non rientrino nella competenza del Consiglio della Valle».

E poi: «Il Presidente è responsabile verso il Governo dell’esercizio dei poteri che per legge restano riservati allo Stato. Il Governo segnala ecc.».

Per cui, oltre ad avere inserito questo concetto che il Presidente della Giunta rappresenta il Governo dello Stato, ne abbiamo derivato la conseguenza che possa anche essere il responsabile dell’ordine pubblico, e quindi mantenere l’ordine pubblico con la polizia dello Stato attribuita alla direzione del Presidente della Giunta regionale, tranne i casi in cui il Governo può avocare a sé anche questa direzione.

Devo dire che anche questo punto è contemplato all’articolo 8 del decreto legislativo più volte citato:

«Al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il Presidente del Consiglio della Valle a mezzo di reparti della polizia dello Stato e della polizia locale, secondo le direttive del Governo, verso il quale egli è responsabile».

Stando così le cose, giuridicamente e di fatto per una concessione legislativa già avvenuta e già attuata, con qual senso di responsabilità politica si vorrebbe abolire questa disposizione? Noi crediamo che realmente non lo si possa ed ecco perché io prego in modo particolare il Presidente del Consiglio di vigilare su questo punto e di esprimere, anche in caso di controversia, il suo giudizio: noi dobbiamo risolvere definitivamente una questione politica che è stata già risolta; non la possiamo complicare all’ultimo momento.

D’altronde che cosa è questo Presidente della Giunta regionale, in una piccola Valle come quella della Val d’Aosta? È un presidente il quale è obbligato ad un’infinità di atti amministrativi, esecutivi per la difficoltà delle comunicazioni dell’amministrazione stessa in paesi sperduti sulla montagna. Bisogna che egli provveda a tutto; egli è il solo responsabile dell’ordine pubblico, per la capacità che egli dimostrerà o non dimostrerà (speriamo che casi negativi mai si verifichino) nell’esecuzione dei compiti che derivano dal suo ufficio.

Ed allora, attribuiamo pure questa direzione della polizia, la quale peraltro non è mai direttamente comandata dal Presidente della Giunta regionale, perché la polizia è comandata sul posto da un questore e da commissari di pubblica sicurezza che hanno una polizia organizzata, preparata, istruita, armata, disciplinata dagli organi dello Stato, dal Ministero dell’interno; è quindi tutta una organizzazione legata alla volontà, alla capacità, al tecnicismo del Governo centrale. Possiamo, quindi, senza nessuna preoccupazione conservare le cose come sono e dare ad esse veste giuridica definitiva.

Sull’articolo 46 non mi soffermo neppure, perché in esso è contemplato precisamente quell’istituto della Commissione di coordinamento, di cui ho parlato poc’anzi.

All’articolo 48 sono contemplati i provvedimenti eccezionali che la Giunta può prendere.

Siccome ho avuto, e la Commissione ha avuto, parecchi rilievi su questo punto, io ritengo che probabilmente converrà conservare il testo originario, così come risulta dal decreto legislativo del 7 settembre 1945. Niente di più. Infine, nelle disposizioni transitorie vi è di notevole l’articolo 53, che ho già sottolineato a proposito della finanza.

Ecco un rapido esame, che è stato fin troppo lungo rispetto all’esiguità del numero dei presenti in quest’Aula, ma che era necessario come espressione del lavoro e del desiderio che ha animato i componenti la Sottocommissione per gli statuti regionali. Noi crediamo di aver agito con la massima onestà politica, resistendo a richieste che non ci sembravano giustificate e viceversa aderendo ad altre che ci pareva legittimo dovessero ormai essere accolte.

È quindi con spirito fiducioso che la Commissione, a mio nome, vi affida questo statuto. Date a questa Valle che è alle porte di Torino, abbandonata da secoli, la possibilità di crearsi un ordinamento semplice e civile. Basta vederla, questa Valle, onorevoli colleghi, e confrontarla con le Regioni che stanno di là dai monti, oltre il Piccolo San Bernardo e il monte Bianco, nella Savoia, oltre il Gran San Bernardo, nella Vallata del Rodano, per rendersi conto dell’immensa differenza di questa Regione abbandonata da quella unità dello Stato centralizzato che tanti magnifici paladini tirano ancora in ballo.

Date dunque a questa Regione, a questa piccola conca montana, la possibilità di realizzare una sua vita moderna.

Io sento che la questione è estremamente seria e ringrazio la Commissione di avermi affidato l’onore di presentare a voi e di difendere una causa così giusta, una così giusta causa nazionale. (Applausi).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche se l’onorevole Relatore non avesse direttamente fatto appello alla mia persona, io mi sarei sentito egualmente tenuto a fare alcune dichiarazioni introduttive.

Debbo dir subito però che, di fronte alle singole disposizioni che sono qui articolate, il Governo, come tale, non può avere una sua tesi, perché non ha potuto evidentemente disporre del tempo necessario per discutere e assumere un determinato atteggiamento al riguardo. Ieri abbiamo discusso su un progetto di elaborazione governativa, in gran parte accolto dalla Commissione; oggi invece ci troviamo di fronte a un progetto di elaborazione parlamentare, nei confronti del quale evidentemente la responsabilità del Governo è molto diversa.

Non voglio con ciò, s’intende, attenuare la nostra collaborazione alla discussione del disegno di legge. Almeno in linea di principio, il Governo è favorevole all’autonomia della Valle d’Aosta e fino dal 1945 la concesse nel campo amministrativo, attribuendo al Presidente della Valle tutti i poteri del prefetto. Non potevamo naturalmente dargli la possibilità di decidere circa i problemi politici afferenti alla Valle. Cercammo di tranquillizzare la Valle relativamente ai suoi diritti linguistici e conseguentemente scolastici, relativamente insomma a tutto quanto poteva costituire oggetto delle sue giuste esigenze. Con un successivo decreto si disciplinò il regime delle acque, e anche qui il Governo tenne conto delle esigenze locali della Valle d’Aosta. Ora si entra in un altro campo, ora si entra nel campo politico della vera e propria autonomia, sulla traccia di quanto già si è fatto per altre Regioni a statuto speciale Non vi sono contradizioni fra quello che si è fatto allora per decreto e quanto ha fatto ora la Commissione; vi sono soprattutto alcune integrazioni. Politicamente parlando – e qui esprimo naturalmente un parere personale – non ho alcuna eccezione da fare al disegno di legge e volentieri collaborerò per il suo perfezionamento aderendo al desiderio della Commissione.

Ho soltanto qualche obiezione di carattere formale da fare. Non so, per esempio, come avete risolto la questione toponomastica, che sembra apparentemente una questione secondaria, ma che invece ha molta importanza. Avete visto per lo statuto dell’Alto Adige quale attenzione è stata dedicata alla questione. Allegato al disegno di legge v’è un elenco di comuni con nomi solamente francesi, mentre nel decreto del 1945 accanto a quelli francesi v’erano anche i corrispondenti nomi italiani. Non so se questa omissione sia dovuta al caso, cioè se questo allegato abbia soltanto un valore incidentale; in tale ipotesi non ho nessuna obiezione da sollevare.

Un’altra osservazione – che mi riservo di sviluppare al momento opportuno – riguarda la data di entrata in vigore dello statuto. Mi pare che con gli altri statuti abbiamo adottato il termine di sei mesi: termine alquanto problematico, specialmente per gli statuti che entrano in vigore in seguito a una legge elettorale che è affidata al nuovo Parlamento. Se le elezioni si faranno il 18 aprile, la Camera verrà convocata venti giorni dopo. Quindi alle soglie dell’estate. È difficile pensare che immediatamente, con la formazione del nuovo Governo, con la discussione generale, ecc., la Camera possa occuparsi delle leggi elettorali per le Regioni, e dubito assai quindi che il termine di sei mesi si possa mantenere.

Un’altra osservazione vorrei fare ancora riguardo alla toponomastica. All’articolo 2, fra le materie per le quali la Regione ha potestà legislativa, vi è anche la toponomastica. E qui converrebbe introdurre la stessa affermazione che si è fatta nella legge votata ieri: «fermo restando l’obbligo della bilinguità». E con ciò stesso si risolverebbe il problema, al quale accennavo prima, dell’elenco dei comuni.

La bilinguità, vista dal punto di vista dei cittadini di lingua francese, è un diritto, ma vista dal punto di vista degli italiani è un obbligo, perché anche la lingua italiana deve essere ufficialmente usata. Nello statuto per il Trentino-Alto Adige abbiamo inserito un richiamo alla lingua italiana come lingua ufficiale. Per la Valle d’Aosta si può fare o non fare analogo richiamo, purché ci sia l’obbligo della bilinguità. Ciò potrebbe sembrare una cosa superflua, ma non lo è.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 12.50.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 29 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXXI.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 29 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sulle votazioni a scrutinio segreto:

Presidente

Disegno di legge costituzionale (Seguito della discussione):

Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (63)

Presidente

Perassi, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali

Uberti, Relatore

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Bonomi Ivanoe

Bosco Lucarelli

Malagugini

Dominedò

Dossetti

Codignola

Ruini

Fabbri

Nobili Tito Oro

Marinaro

Conci Elisabetta

Bettiol

Carbonari

Paris

Moro

Tonello

Bertola

Mortati

Grieco

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Pella, Ministro delle finanze

Corsini

Corbellini, Ministro dei trasporti

Bertone

Pat

Corbino

Vigna

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Sulle votazioni a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Comunico che il disegno di legge relativo allo Statuto speciale per la Sardegna, che è stato già approvato nei suoi singoli articoli nelle sedute di ieri e di stamane, sarà votato a scrutinio segreto nella giornata di sabato, unitamente agli altri disegni di legge, relativi alle liste elettorali già esaminati stamane, e agli altri Statuti regionali che dobbiamo ancora esaminare.

Se non vi sono osservazioni rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. (63).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. (63).

Ha facoltà di parlare il Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali, onorevole Perassi.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Onorevoli colleghi, non c’è bisogno di dire che lo Statuto che sta per essere esaminato dall’Assemblea Costituente presenta alcuni caratteri particolari sotto diversi riguardi: in primo luogo, a differenza di quanto è avvenuto per gli Statuti speciali di altre Regioni, non vi è in questa Assemblea, per circostanze indipendenti dalla volontà dell’Italia, una rappresentanza diretta elettiva di una parte della popolazione di quella Regione. Ma vedremo come di questa circostanza particolare sia stato tenuto conto.

La Commissione, che è stata investita di questo delicato problema, ha avuto come punto di riferimento per i suoi lavori, anzitutto, la Costituzione della Repubblica italiana e i principî fondamentali che in essa sono proclamati. È a questi principî che essa, in primo luogo, si è ispirata, nella redazione dello Statuto. Tra questi principî ve n’è uno che è iscritto nell’articolo 6; l’altro è iscritto nell’articolo 116 della Costituzione, il quale riconosce l’esistenza di condizioni particolari per il Trentino-Alto Adige e, sulla base di questo riconoscimento, afferma la necessità di dare a quella Regione un ordinamento speciale nel quadro della Costituzione.

Abbiamo anche tenuto presenti quelle che sono state le dichiarazioni solenni dell’Italia, alle quali l’Italia, come sempre, intende tener fede.

Una differenziazione del nostro lavoro rispetto ad altri statuti è stata anche questa: che anziché cominciare ab ovo, o cominciare in base ad un progetto elaborato da qualche organo locale (Consulta ecc.), la Commissione è stata investita di un progetto che è uscito dall’elaborazione di una Commissione nominata dal Presidente del Consiglio e composta di elementi tecnici ed anche di elementi politici, presieduta dall’onorevole Ivanoe Bonomi.

Questa Commissione lavorò intensamente e gettò le basi di quello che è il progetto che ora viene in esame.

Dicevo all’inizio che non vi è in questa Assemblea una rappresentanza diretta, elettiva della popolazioni di una provincia di quella Regione. Il Governo, già per suo conto, tenne presente questa situazione e dispose che l’avanprogetto elaborato dalla Commissione ministeriale venisse fatto conoscere ai diversi Movimenti e Partiti di tutta la Regione, chiedendo a questi Movimenti e a questi Partiti di far conoscere il loro punto di vista. E la Commissione, dopo fatta questa consultazione, procedette ad un riesame del primo progetto.

Un metodo analogo è stato seguito anche dalla nostra Commissione. Noi abbiamo ricevuto, in una delle sedute dedicate a questo argomento, i rappresentanti di diversi Partiti della zona di Bolzano, i quali hanno fatto conoscere le loro osservazioni ed i loro desiderata. Per quanto concerne i trentini, la loro rappresentanza diretta era qui, e in seno alla Commissione gli interessi trentini furono validamente fatti presenti da membri della Commissione stessa.

Con questa preparazione e con queste consultazioni, noi abbiamo proceduto nel nostro lavoro. Il risultato è consegnato nel progetto che vi sta dinanzi.

Un problema delicatissimo, derivante dalle condizioni caratteristiche della Regione considerata, si è imposto alla nostra attenzione come preliminare: quale struttura dare all’ente Regione Trentino-Alto Adige, che è contemplato nell’articolo 116 della Costituzione? Dopo lunga meditazione, esaminate le diverse possibili soluzioni, la Commissione si è decisa per questa soluzione: stabilita l’unità della Regione – punto già affermato in maniera assoluta dalla Costituzione – si è pensato di informare l’organizzazione di questa Regione a quello spirito democratico e di decentramento cui si ispira tutta la nostra Costituzione. Seguendo questo criterio, si è, in concreto, costituita una Regione entro la quale vivono due province con una relativa autonomia: la provincia di Trento e la provincia di Bolzano. Fissata questa struttura, era necessario precisare quali fossero le funzioni della Regione e quali quelle delle province. E anche qui abbiamo proceduto con molta cautela, tenendo conto dei desiderata esposti dalle diverse parti e siamo arrivati a fare una distribuzione di competenza legislativa ed amministrativa fra la Regione e le due province.

Di conseguenza, la provincia di Bolzano in particolare viene ad assumere, nel nostro progetto, entro l’orbita dell’unità regionale, una configurazione giuridica tale da poter pienamente rispondere alle esigenze speciali che nascono dall’essere quella zona abitata da una popolazione composta di due gruppi linguistici.

Sorgeva poi quest’altro problema: istituendo una Regione che si snoda in due provincie, come dovranno essere gli organi destinati a far funzionare questi due enti? E qui ci siamo un po’ispirati a un concetto, direi quasi, di economia. Partendo dalla Regione, che costituisce l’ente che è la base della costruzione, abbiamo previsto l’istituzione di un Consiglio regionale, eletto a suffragio universale e col sistema proporzionale, sulla base di due collegi corrispondenti alle due province, e poi abbiamo stabilito che i consiglieri regionali eletti in ciascuna delle due province costituiscano rispettivamente il Consiglio dell’una e dell’altra, per modo che le stesse persone vengono utilizzate per compiere le due funzioni.

Questa, onorevoli colleghi, è la struttura fondamentale dell’edificio che abbiamo costruito. Io non entro in altri particolari, perché i due Relatori che hanno attivamente partecipato all’elaborazione di questo schema, daranno tutte le delucidazioni e gli schiarimenti necessari.

Vorrei soltanto concludere, domandandomi se questo lavoro nostro, ispirato ai concetti che ho indicato, può ritenersi tale da sodisfare le diverse esigenze che erano in gioco. Non spetta evidentemente alla Commissione di fare un apprezzamento del suo lavoro; la Commissione però è lieta di comunicare all’Assemblea Costituente che un apprezzamento è stato dato. È un apprezzamento che è contenuto in due lettere che ieri mi sono state consegnate nella mia qualità di presidente della Commissione. Io chiedo il permesso al Presidente di darne lettura integrale.

«Roma, 28 gennaio 1948. Nella qualità di Presidente della «Südtirol Volkspartei», ringrazio anche a nome del gruppo di lingua tedesca dell’amabilità con la quale Ella e i componenti dell’onorevole Commissione hanno voluto ascoltare le osservazioni da noi esposte in merito allo schema di Statuto per l’ordinamento autonomo della Regione Trentino-Alto Adige predisposto dalla Commissione presidenziale. In particolare, esprimo tutta la mia soddisfazione e quella del gruppo che rappresento per la comprensione dimostrata nell’esame delle nostre osservazioni e per l’accoglimento di gran parte delle nostre principali richieste, sicché possiamo constatare con vivo compiacimento che l’accordo De Gasperi-Gruber, intervenuto a Parigi nel settembre 1946, per quanto riguarda il problema fondamentale dell’autonomia è ormai tradotto in realtà. Confidiamo che nell’applicazione dello Statuto si verrà a creare fra i gruppi linguistici delle nostre provincie quell’atmosfera di reciproca fiducia e comprensione, tanto necessaria ai fini di una feconda collaborazione per lo sviluppo della Regione nell’interesse generale del Paese».

Questa lettera è firmata dal presidente della «Südtiroler Volkspartei» signor Erich Ammon e dal segretario generale dello stesso partito, dottor Otto v. Guggenberg.

A questa lettera si è interamente associato il segretario della «Sozialdemokratische Partei Südtirols», dottor Foglietti, il quale, anzi, oltre ad aver messo la sua firma a quel documento, ha indirizzato al Presidente della Commissione questa lettera:

«All’atto della chiusura dei lavori della Commissione per il coordinamento degli Statuti, è mio grato dovere esprimerLe, anche a nome del mio Partito, il più vivo ringraziamento per la sua obiettività e per la comprensione dimostrata nel risolvere la questione dell’autonomia alto-atesina».

«Sono certo che con l’autonomia testé approvata dalla Commissione da Lei presieduta, con tanta e rara competenza, la popolazione sudtirolese inizierà a sentirsi finalmente portata verso la Repubblica italiana con sinceri intendimenti di cittadini, liberi da qualsiasi preoccupazione per la salvaguardia dei loro diritti etnici.

«La prego, illustrissimo onorevole Presidente, di estendere il mio ringraziamento anche agli onorevoli deputati componenti la Commissione che, nell’elaborazione dello Statuto «Trentino-Alto Adige» hanno saputo tradurre in formulazione statutaria gli ideali democratici cui si ispira la Costituzione della Repubblica Italiana».

Questo è il lavoro compiuto e queste sono le attestazioni che noi abbiamo ricevute. Nel prendere in consegna ieri queste dichiarazioni, mi sono permesso, a nome della Commissione, di dire che noi, costruendo questo edificio, ci siamo ispirati a questa idea: che la libertà e gli istituti democratici sono gli strumenti migliori per assicurare una libera e pacifica convivenza anche fra elementi di diversa lingua ed origine.

Parlando ieri ai rappresentanti delle popolazione di lingua tedesca dell’Alto Adige ho ricordato che vicino alla loro Regione c’è un paese che costituisce la dimostrazione storica sperimentale della verità di quel principio: il Cantone dei Grigioni, dove da secoli convivono insieme liberamente tedeschi, italiani e ladini.

È a quel principio – che ha avuto in Italia le più belle affermazioni attraverso gli scrittori del nostro Risorgimento – che noi ci siamo ispirati nel redigere lo Statuto, che raccomandiamo al voto dell’Assemblea. E pensiamo che le laboriose popolazioni di quella nobilissima Regione d’Italia, con la pratica degli istituti di libertà e di democrazia, che noi loro affidiamo, sappiano fare di quella Regione una delle migliori del nostro Paese! (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

UBERTI, Relatore. Il Presidente della Commissione, onorevole Perassi, ha illustrato la genesi di questo Statuto, per cui io credo che ai Relatori poco rimanga da dover dire, tranne che illustrare poi particolarmente quando se ne tratterà i vari punti e rispondere alle eventuali osservazioni e domande di chiarimento.

Una cosa anzitutto vorrei però rilevare: che questo edificio forma un complesso organico, che le pietre di questa costruzione si tengono l’una con l’altra. Non è possibile che intacchiamo un punto senza che tutto quanto l’edificio con tante difficoltà e in situazione tanto delicata messo insieme non possa più resistere.

Quindi è necessario che nelle discussioni da parte dell’Assemblea Costituente si tenga conto di questa situazione particolare.

Il Presidente della Commissione ha già esposto i tratti caratteristici di questo Statuto. Il suo concetto fondamentale è: realizzare, nello spirito di libertà e democrazia della nuova Costituzione, un vero autogoverno locale, così come con altissime affermazioni degli organi responsabili della Repubblica è stato dichiarato anche in consessi di carattere internazionale.

L’unità della Regione Trentino-Alto Adige è alla base dello statuto; ma, insieme, è stata costruita, genialmente (io penso), un’autonomia nell’autonomia, per cui partendo da una fondamentale volontà di concordia, la provincia assume in questo Statuto una struttura diversa da quella delle altre provincie, ha una sua potestà, per quanto più limitata, di carattere legislativo. Si realizzano così in pieno non solo quelli che erano i voti delle popolazioni di lingua italiana di quella Regione, ma anche quelli delle popolazioni di altra lingua.

Vi è poi un altro punto che avrà forse impressionato qualche membro dell’Assemblea: il passaggio dalla provincia di Trento a quella di Bolzano di alcuni comuni. È stata una necessità per potere applicare a questi comuni mistilingui, senza fare una più complessa costruzione, come quella ventilata di una terza zona, le disposizioni particolari riguardanti il bilinguismo che saranno proprie della provincia di Bolzano.

Un altro punto interessante e caratteristico di questo Statuto è l’equilibrio che si è cercato di stabilire fra i due gruppi linguistici, per modo che siano rispettati i naturali diritti relativi alla lingua, agli usi ed ai costumi, per modo che ciascuno possa trovarsi come a casa sua, libero di disporre di quelle che sono le sue più profonde e naturali aspirazioni e per modo insieme che tanto nella Regione, che nella provincia, nessun gruppo possa sopraffare l’altro e sia equilibrata e garantita la posizione di tutti.

Circa il problema finanziario, lungo dovrebbe essere il discorso. Potrei esporre tutti i dati che sono alla base della proposta. Ma dirò una sola parola. Dirò che quell’articolo 8, approvato questa mattina relativamente allo statuto sardo, è in realtà, mutatis mutandis, data la diversa situazione della Regione, anche perché in questo Statuto le scuole sono attribuite alla Regione, lo stesso per questo Statuto. Lo stesso principio logico che ha ispirato l’articolo 8 dello Statuto sardo, ha ispirato l’articolo corrispondente dello Statuto tridentino alto-atesino. Lo Statuto sardo in verità è stato elaborato sopra i principî che avevano presieduto alla costituzione dell’organizzazione tributaria e finanziaria della Regione; quello in esame fu elaborato primieramente in quella Commissione governativa che era presieduta dall’onorevole Ivanoe Bonomi e a cui partecipava anche il senatore Einaudi, per cui è stato possibile, con gli elementi più esatti e più concreti, raccolti attraverso l’intendenza di finanza di Bolzano e quella di Trento e attraverso l’accertamento di quelle che erano le spese che dallo Stato venivano scaricate sulla Regione, stabilire quello che era il bilancio necessario della nuova Regione ed i mezzi finanziari sufficienti per poter affrontarne la spesa.

Un’ultima questione assai delicata è quella del regolamento delle acque pubbliche. Problema assai importante e sensibile, particolarmente nelle regione tridentino alto-atesina.

Questo problema fu affrontato con criterio di sano realismo, cioè si è cercato di tener conto di quello che è il problema nazionale, di arrivare alla massima utilizzazione di questo bene fondamentale di natura ed insieme di rispettare quelli che sono i naturali diritti della gente del sito. Qui è stato trovato, in pieno accordo con gli elementi tecnici dell’amministrazione centrale e attraverso la consultazione delle aspirazioni della Regione, un compromesso che non è un compromesso deteriore, ma che è forse la strada della soluzione radicale di quello che è il problema dei rapporti fra Stato e Regione, in materia della concessione delle acque pubbliche. Cioè lasciare allo Sato lo strumento della concessione, e riconoscere alcuni diritti particolari alla Regione e alle province di quella Regione. Vi è poi un ultimo punto, ed ho terminato, perché è meglio che passiamo rapidamente alla discussione concreta degli articoli, ed è quello che riguarda la lingua. Anche su questo punto la lingua italiana rimane la lingua ufficiale, però l’uso della lingua tedesca è messo in tale posizione che si arriva veramente a un bilinguismo che ha dato piena soddisfazione agli elementi di lingue diverse da quella italiana, sia tedesca, che ladina.

Realizziamo con questa costruzione una tutela, un rispetto delle minoranze, che non si riscontra in alcun altro paese d’Europa. L’Italia attesta una saggezza politica che sarà di esempio in una Europa unita e democratica, che sarà la miglior difesa per le nostre minoranze al di là dei confini e per tutte le minoranze di altri paesi, per modo che ciascuno troverà nella saggezza italiana l’esempio di quello che dovrà essere fatto dove i popoli si trovano mischiati per diversa origine e per diversa lingua. (Applausi).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non soltanto perché questa legge si fonda sopra una iniziativa presa ed elaborata dal Governo, ma soprattutto per la sua importanza di carattere politico ed internazionale, è doveroso che io aggiunga una parola. Tutti sanno che siamo sul terreno dell’applicazione degli accordi di Parigi: terreno, naturalmente, completamente indipendente, cioè ispirato alla sovranità dello Stato. Però, terreno che corrisponde a certe leggi morali di collaborazione, ed a certe direttive di buon vicinato che abbiamo affermato nell’accordo di Parigi. Una parte dell’accordo di Parigi riguardava specialmente i rapporti internazionali: e lo avete visto soprattutto nel testo del progetto di legge sulle opzioni, che è passato recentemente alla prima Commissione. Quello era un vero accordo tra Austria e Italia sul trattamento degli optanti, in base al noto accordo Hitler-Mussolini. Oggi, invece, siamo sul terreno della sovranità dello Stato. Tuttavia, lo spirito è unico; e lo spirito dell’accordo, anche per quel che riguarda l’autonomia amministrativa, è quello di trovare il modo di collaborazione e di cooperazione tra le due nazionalità, fra i cittadini italiani di lingua italiana e di lingua tedesca nella regione delle Alpi; problema, senza dubbio, molto complicato, contrariamente a quanto si affermava all’estero, ove si conoscevano poco i rapporti fra le popolazioni. Non è semplice perché la stessa espressione «Alto Adige» contiene un concetto: una maggioranza di lingua tedesca, ma una minoranza relativamente forte anche di italiani.

Oltre a ciò, questa minoranza di lingua italiana è legata da aspirazioni e da interessi con la maggioranza della Venezia Tridentina, che è italiana. Da ciò una complicazione di rapporti, che ha condotto, come ha spiegato l’onorevole Relatore, alla necessità di trovare formule nuove e costruzioni non semplici. Vi sono poi diversi interessi economici che hanno reso ancor più complicato il problema. Ora, il compito era questo: mantenere l’impegno che si era preso a Parigi; assicurare, cioè, l’esercizio di un potere autonomo agli abitanti della zona di Bolzano. Contemporaneamente, sodisfare le aspirazioni degli abitanti della Provincia di Trento, e, concedendo e assicurando i diritti autonomi alla parte di Bolzano, garantire anche l’esistenza e tutti i diritti alla minoranza italiana nella Provincia di Bolzano. Ossia, risolvere il problema della convivenza amministrativa, creando garanzie istituzionali per la minoranza: entro la Regione, dei tedeschi; e dentro la Provincia di Bolzano, degli italiani.

Bisogna oggi prendere atto che, nonostante le molte ed agitate discussioni sulla stampa e le proteste, si è arrivati al trionfo del buon senso ed alla mutua comprensione. In questo momento che l’accordo è stato solennemente raggiunto, dopo faticose e molteplici trattative, sento il bisogno di ricordare con gratitudine l’amico ambasciatore Carandini, il quale ha elaborato la prima parte dell’accordo, prima che io arrivassi a Parigi, il Presidente della Commissione presidenziale, onorevole Bonomi e i membri della stessa Commissione, che hanno dato la prima stesura al progetto, ed in particolar modo il mio ringraziamento vada al Consigliere Innocenti, mio diretto collaboratore, che è stato zelantissimo ed intelligente ideatore di formule adatte ad un simile complicato strumento.

Devo ringraziare anche, in modo particolare, tutti i rappresentanti dei Partiti, che sono stati ascoltati dalla prima e dalla seconda Commissione, ed hanno assolto il loro compito con molta comprensione per le necessità dello Stato italiano e per la difesa dei loro postulati particolari. Voglio affermare che questo accordo, mentre dà soddisfazione ai tedeschi della maggioranza della provincia di Bolzano, nulla toglie ai diritti ed alle funzioni direi protettive di frontiera della minoranza italiana che abita nell’Alto Adige. Cosicché dobbiamo ritenere che questo accordo, che è dichiarato sodisfacente dagli stessi rappresentanti della maggioranza tedesca, sia anche accettato con soddisfazione dalla minoranza italiana di Bolzano.

MALAGUGINI. La quale però non ha mandato alla Commissione nessuna lettera di compiacimento.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Distinguiamo per le lettere: fino a che si tratta di minoranze che hanno dei deputati, è chiaro che non hanno bisogno di scriver lettere, mentre i partiti che stanno al di fuori hanno scelto questa formula, perché direttamente non potevano prendere la parola in questo dibattito. Ad ogni modo, importante è di segnalare che questo accordo è prezioso, dopo la bonifica, direi politica, che abbiamo fatto con le opzioni, perché abbiamo votato una legge che cerca di risanare con spirito di larghezza le ferite tragiche portate dalla guerra. Soprattutto perché, badate bene, questa è una prova di onore del Parlamento italiano: al forzoso trasferimento imposto dallo stato totalitario, con tutti gli orrori e tutte le conseguenze che ne derivavano, si è sostituita la libera cooperazione su base democratica. È un fatto notevolissimo, che non molti Paesi d’Europa possono mettere accanto al nostro. (Approvazioni). Questo accordo è prezioso perché prova, anche dinanzi all’opinione internazionale, che l’Italia democratica è ben diversa dall’Italia fascista, ed è una prova che diamo che il metodo di governo nostro, anche di fronte ai diritti delle minoranze e delle altre nazionalità, è quello di far appello alla fiducia dei popoli ed alla libera cooperazione. Penso che questo metodo di appello alla ragionevolezza e questa fiducia nella collaborazione democratica provino, anche per altre Regioni, in cui non ci si vuol riconoscere la funzione civilizzatrice che ci spetta, che l’Italia di oggi è matura ed è capace di governare, rispettando pienamente le libertà dei popoli. (Applausi al centro).

Ora, per l’applicazione di questa legge, che è la più tenue in confronto delle prerogative e dei diritti dello Stato, ma è la più complicata per l’attuazione, certo è necessario uno spirito di solidarietà popolare, uno spirito di tolleranza, specialmente per le questioni linguistiche. Ma qui si prenda anche atto che accanto alla legge sulle opzioni, c’è la legge che abbiamo votato, per l’equiparazione linguistica: e qui si sono di nuovo affermati i principî di perfetta parità, per le lingue parlate in Alto Adige.

Questo avverrà. Non sarà semplice, da oggi a domani, trovare tutti i funzionari, i maestri ecc. necessari, ma, stabilito il principio, si farà uno sforzo rapido per applicarlo il più rapidamente possibile, in modo che veramente questi tedeschi, che dichiarano la loro fedeltà verso lo Stato italiano, si trovino in casa propria e sentano di avere assicurata la propria difesa tanto al Parlamento che nella Regione. (Approvazioni).

Certo che anche per l’Alto Adige, come per le altre Regioni, permettete che dica in questo senso una parola. Io che sono pure autonomista convinto e che ho patrocinato la tendenza autonomista, permettete che vi dica che le autonomie si salveranno, matureranno, resisteranno, solo ad una condizione: che dimostrino di essere migliori della burocrazia statale, migliori del sistema accentrato statale, migliori soprattutto per quanto riguarda le spese. Non facciano la concorrenza allo Stato per non spendere molto, ma facciano in modo di creare una amministrazione più forte e che costi meno. Solo così le autonomie si salveranno ovunque, perché se un’autonomia dovesse sussistere a spese dello Stato, questa autonomia sarà apparente per qualche tempo e non durerà per un lungo periodo. (Applausi).

Senza dubbio, converrà che in questi corpi essenzialmente amministrativi, anche se vi sarà il libero giuoco della maggioranza e della minoranza politica, non entri troppo la politica. Bisognerà che si arrivi al concreto, che si educhino gli uomini nell’ambiente regionale ad essere maturi e capaci per far difendere una politica nel Parlamento, ma che negli ambienti regionali soprattutto si faccia della buona amministrazione.

La storia dirà se abbiamo, con questo nostro atto di fede nelle autonomie, avuto ragione o torto.

In questo momento, sia per la situazione finanziaria, sia per i rapporti fra i partiti, sia per lo stesso sistema elettorale poiché il sistema proporzionale, se dà alla Regione la possibilità di una maggiore giustizia rappresentativa, certamente complica anche il metodo di governo dello Stato guardando a tutte queste difficoltà, è certo che non possiamo essere senza apprensione, soprattutto per la questione finanziaria. E mi inchino dinanzi a coloro che sentono ed esprimono questa apprensione. Nella storia non si può andare avanti, secondo una certa linea logica di evoluzione, senza un qualche sussulto. Anche il sussulto del dopoguerra può portare ad un certo strappo, ma deve però valere a rimetterci in cammino ed a rimetterci sul binario della moderazione, della ricostruzione di carattere finanziario, della serietà amministrativa.

Io non credo a quello che si è stampato su qualche giornale, anche oggi, che cioè noi stiamo prestandoci a creare in Italia una serie di repubblichette che disgregherebbero la Repubblica italiana. Non lo credo, come non crederei che domani i Comuni, essendo attivi e non essendo come oggi purtroppo a carico dello Stato per buona parte, sviluppando un’attività migliore, secondo gli statuti comunali, non potessero formare un centro di vita autonoma senza toccare la base fondamentale dell’unità della Patria. Lo stesso deve valere anche per le autonomie, perché questa è la meta che vogliamo raggiungere.

D’altro canto, quando si parla di rapporti fra Regione e Stato si nota una strana diffidenza da una parte e dall’altra. Forse ciò sarà dovuto al fatto che innoviamo su un campo un po’minato, di cui non abbiamo molta esperienza. Da una parte – e lo abbiamo sentito stamane – quando si parla a nome della provincia sembra che lo Stato sia il nemico, e si è detto: non vogliamo il Commissario, perché questo rappresenta qualche cosa di estraneo al corpo regionale, che si infiltra per difendere dei privilegi.

Ma questo si potrebbe dire forse in altri Stati, ma non nello Stato della Repubblica italiana, dove chi governa sono le Camere, sono le deputazioni delle singole Regioni. Perché si deve dunque temere tanto e si deve vedere nel rappresentante dello Stato un possibile nemico, o un torturatore, o un avversario della libertà regionale?

E d’altro canto, perché dobbiamo mantenere questa diffidenza in confronto dell’esperimento regionale? C’è qualche rischio, inevitabilmente, ma dobbiamo affrontarlo, perché nessuna cosa nuova è possibile fare senza un certo rischio.

Non bisogna poi esagerare: qualunque sia l’estensione dell’autonomia amministrativa – e qui voglio accentuare che l’estensione di questa autonomia è più temperata, è più limitata in confronto di altre autonomie –; qualunque sia, dunque, questa estensione lo Stato non resta disarmato. Dico questo perché pare a taluno come se noi ci incamminassimo sopra una strada che non consenta il ritorno. A parte il fatto che le decisioni prese determinano una qualche riserva, e in tutti gli Statuti c’è una qualche riserva; ma poi c’è la forza naturale dello Stato, e prima di tutto la forza finanziaria, perché oggi, disgraziatamente, nessuno può vivere libero e prosperare in completa indipendenza.

E oggi specialmente, anzitutto per le conseguenze della guerra e della svalutazione; vi sono dei Commissari e dei rappresentanti dello Stato ed esiste un’Alta Corte a cui si può fare appello tutte le volte che una situazione diventasse critica; inoltre non va dimenticato che senza un atto di mutua fiducia, noi non risolveremmo il problema.

Bisogna cominciare a lavorare, e dovremo incominciare con questi esperimenti che ci vengono offerti dalle presenti leggi.

Vi saranno forse delle difficoltà; forse vi saranno anche delle contestazioni, forse domani non saranno sodisfatti né gli autonomisti negli accentratori, cioè i custodi del vigile accentramento burocratico dello Stato; non ci sarà soddisfazione completa né da una parte né dall’altra. Ma c’è una via su cui ci possiamo incamminare, ed è quella di avere il coraggio di fare questo esperimento.

Dipende, soprattutto, dagli autonomisti se questo esperimento avrà seguito; dipende anche dalla vigilanza dello Stato. Lo Stato ha il diritto di difendere le proprie finanze, ossia le finanze di tutti, compresi i rappresentanti di quelle Regioni che qui autonomisticamente vengono a battersi. Ma lo Stato ha anche il dovere di vigilare affinché, nell’evoluzione, tutti i elementi che sono utili per la cooperazione democratica si risveglino.

Ed io penso (non so se sono solo a pensare così, spero di no) che una vera democrazia non accentrata, né guidata dalle direzioni dei partiti, una vera democrazia parlamentare non si può formare senza che ci sia un’esperienza nei Comuni, negli Enti locali, nella Regione, senza che si formino uomini capaci di amministrare, così che poi possano venire qui ad amministrare in senso più unitario.

Comunque, io esprimo in questo momento la speranza che voi accettiate nelle sue basi fondamentali, nella sua costruzione faticosa questo progetto, che è un accordo che ha una meta più alta e più elevata di quella che può essere la risoluzione di un problema meramente italiano. Devo esprimere la speranza che esso, come già il progetto sulle opzioni, costituisca un ponte fra noi e il mondo del di fuori, direttamente con lo Stato austriaco, il cui popolo deve ammettere che in nessun lembo della terra, al di fuori dell’Austria stessa, e al pari dell’Austria stessa, si può dire che l’abitante, il cittadino italiano di lingua tedesca, o, in genere, il tedesco abbia maggiori diritti e più garanzie di quelli che offriamo noi.

Aggiungo però, e ripeto, che questo è un esempio, anche per altri popoli che ci stanno a guardare, del nostro amore per la collaborazione democratica, del nostro spirito convinto di pace e di collaborazione ricostruttiva e, poi, che esso è anche un atto di sicurezza, di speranza nell’evoluzione della Repubblica italiana e nell’unità della grande famiglia italiana, entro cui queste disarticolazioni non produrranno che fermento maggiore di vita unitaria. (Vivi applausi).

BONOMI IVANOE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI IVANOE. Desidero aggiungere qualche parola in favore dell’approvazione di questo Statuto. Si è ricordato qui dal Presidente della Commissione, dal Relatore e dal Presidente del Consiglio, l’opera della Commissione tecnica da me presieduta per la formulazione di questo Statuto.

Io devo dire, che, accettando la presidenza di quella Commissione eminentemente tecnica, presumo anche politica, ho avuto davanti a me il ricordo vivissimo delle giornate di Parigi quando, insieme all’onorevole De Gasperi e all’onorevole Saragat, abbiamo attraversato ore di trepidazione per le sorti dell’Italia nei confronti della frontiera del Brennero.

Allora abbiamo iniziato e proseguito e fortunatamente condotto a termine trattative col Governo austriaco, trattative che avevano per base l’emanazione di una autonomia della Regione Trentino-Alto Adige, autonomia che del resto era nel pensiero degli uomini della democrazia e del liberalismo fin dal 1921. In sostanza, noi oggi abbiamo ripreso quella tradizione e nel solco di quella tradizione abbiamo camminato, per dare a quella Regione quell’autonomia che deve formare la base di un’amicizia nuova fra i due Paesi.

Il lavoro che abbiamo fatto avrà delle mende; e lascerà qualche aspirazione insoddisfatta giacché noi ci siamo trovati di fronte ad interessi e ad aspirazioni diverse. Abbiamo cercato di comporli, come ha detto il Relatore; abbiamo costituito un’autonomia e dentro l’autonomia due altre autonomie, quella del Trentino e quella dell’Alto Adige. Abbiamo cioè dovuto risolvere problemi delicati e complessi, che non ammettevano soluzioni facili e piane. Perciò, nel nostro duro lavoro non abbiamo sempre potuto ottenere il plauso di tutte le correnti e di tutti gli interessi. Il risultato, comunque, è stato ottimo perché, da parte dell’elemento tedesco e di quello italiano, abbiamo ottenuto una certa concordia; concordia che ci dà la sicurezza di una convivenza tranquilla e feconda.

Vi sono e vi potranno essere contrasti a proposito delle acque pubbliche, ma debbo dire che, di fronte alla pretesa di trasferire tutte le acque pubbliche alla Regione, noi abbiamo contemperato gli interessi locali con la visione più larga dell’interesse nazionale.

Io concludo come ha concluso poc’anzi il Presidente del Consiglio: badate, colleghi; questo accordo ha carattere internazionale ed è perciò di altissima importanza; con questo Statuto dell’Alto Adige e del Trentino e con l’altro provvedimento già preso dal Governo circa il problema delle opzioni, noi abbiamo creato un accordo durevole e necessario fra l’elemento italiano e l’elemento tedesco. Con tale accordo l’Italia si è protesa di là dai suoi confini nell’Europa centrale ed ha costruito le fondamenta di quella unificazione europea e di quella pace europea che è nel desiderio di tutti. (Vivi applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, possiamo ora passare all’esame degli articoli.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Io mi permetto di fare una proposta forse un po’troppo radicale: quella cioè di approvare in blocco tutti gli articoli su cui non vi sono emendamenti, perché, ritengo che, leggendo un articolo alla volta, sarà ben difficile arrivare all’articolo 97.

Non vorrei però che la mia mozione facesse perdere del tempo, perché in tal caso sarei disposto a ritirarla.

PRESIDENTE. Onorevole Bosco Lucarelli, la sua mozione non fa perdere del tempo, per il semplice fatto che essa non è accettabile a norma del Regolamento. Penso tuttavia che, data la lodevole intenzione che l’ha animata nel presentarla, essa possa servire di esempio e di incitamento ai colleghi, perché si inducano a realizzare la maggior possibile economia di tempo.

Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Trentino-Alto Adige, comprendente il territorio delle province di Trento e di Bolzano, è costituito in Regione autonoma, fornita di personalità giuridica, entro l’unità politica della Repubblica, una e indivisibile, sulla base dei principî della Costituzione e secondo il presente statuto.

«La Regione Trentino-Alto Adige ha per capoluogo la città di Trento.

«Ferme restando le disposizioni sull’uso della bandiera nazionale, la Regione ha un proprio gonfalone ed uno stemma approvati con decreto del Presidente della Repubblica».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Nella Regione è riconosciuta parità di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

MOLINELLI. Segretario, legge:

«La Regione comprende le province di Trento e di Bolzano.

«I comuni di Proves, Senale, Termeno, Ora, Bronzolo, Valdagno, Lauregno, S. Felice, Cortaccia, Egna, Montagna, Trodena, Magrè, Salorno, Anterivo e la frazione, di Sinablana del comune di Rumo della provincia di Trento sono aggregati alla provincia di Bolzano».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Vorrei chiedere un chiarimento. Il Relatore onorevole Uberti aveva già prevenuto l’osservazione ch’io sto per fare, ma non ha dato ad essa nessuna risposta; aveva previsto cioè che qualcuno di noi si sarebbe meravigliato di trovare assegnati alla provincia di Bolzano alcuni comuni che hanno sempre appartenuto alla provincia di Trento e che anche all’epoca del dominio austriaco facevano parte delle circoscrizioni capitanali italiane, e precisamente i comuni di Proves, Senale, San Felice, Trodena, Anterivo e la frazione di Sinablana.

Vorrei, dalla cortesia del Presidente del Consiglio o del Presidente della Commissione, conoscere le ragioni che hanno indotto a spostare di provincia questi comuni, che, ripeto, anche in epoca di dominio austriaco facevano parte della provincia di Trento e che sono stati aggregati alla provincia di Bolzano soltanto dopo 1’8 settembre 1943, al tempo del Gauleiter Hefer.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, vuole rispondere alla domanda dell’onorevole Malagugini?

UBERTI, Relatore. Credevo di aver risposto, sia pure riassuntivamente, all’onorevole Malagugini, nel senso che, poiché questi sono paesi mistilingui, nei quali, cioè, vi sono cittadini di lingua italiana e cittadini di lingua tedesca, dovendosi applicare le disposizioni del bilinguismo, che sono stabilite per la provincia di Bolzano, ci si è trovati nella necessità di aggregarli alla provincia di Bolzano. Si è fatta anche l’ipotesi di creare un distretto particolare, ma in questo modo si sarebbe ancor più complicata la già tanto delicata composizione di questo Statuto.

Quindi, per quanto ciò possa dispiacere al collega Malagugini, lo pregherei di non voler insistere, perché una ragione effettiva vi è; è inoltre da tener presente che gli italiani di questi comuni si trovano ugualmente tutelati insieme a quelli che sono gli italiani di Bolzano, città dove la maggioranza è appunto di lingua italiana.

Lo spostamento di questi comuni da una provincia all’altra è determinato pertanto solo dalla necessità di poter attuare il principio del sistema bilingue.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3, di cui è già stata data lettura.

(È approvato).

Passiamo al Capo II: «Funzioni della Regione».

Si dia lettura dell’articolo 4.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«In armonia con la Costituzione e i principî dell’ordinamento giuridico dello Stato e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha la potestà di emanare norme legislative sulle seguenti materie:

1°) ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto;

2°) ordinamento degli enti para-regionali;

3°) circoscrizioni comunali;

4°) espropriazione per pubblica utilità non riguardante opere a carico dello Stato;

5°) viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale;

6°) miniere, comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere;

7°) impianto e tenuta dei libri fondiari;

8°) servizi antincendi;

9°) agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico ed ittico, istituti fitopatologici, consorzi agrari e stazioni agrarie sperimentali;10°) alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna;

11°) caccia e pesca;

12°) assistenza sanitaria ed ospedaliera;

13°) ordinamento delle camere di commercio;

14°) comunicazioni e trasporti di interesse regionale;

15°) sviluppo della cooperazione e vigilanza sulle cooperative;

16°) contributi di miglioria in relazione ad opere pubbliche eseguite dalla Regione e dagli altri enti pubblici compresi nell’ambito del territorio regionale;

17°) turismo e industrie alberghiere».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 5. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Regione emana su le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale:

1°) ordinamento dei comuni e delle province;

2°) istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza;

3°) incremento della produzione industriale e delle attività commerciali;

4°) ordinamento degli enti di credito fondiario, di credito agrario, casse di risparmio e casse rurali, nonché delle aziende di credito a carattere regionale;

5°) utilizzazione delle acque pubbliche;

6°) assunzione diretta di servizi di interesse generale e loro gestione a mezzo di aziende speciali;

7°) opere idrauliche della quarta e quinta categoria;

8°) opere di bonifica».

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Vorrei osservare se non sia il caso là dove, al primo comma, si dice «la Regione emana, su le seguenti materie, norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalla leggi dello Stato» di dire piuttosto: «emana norme legislative nei limiti delle leggi dello Stato», omettendo le parole «dei principî fondamentali».

Osservo inoltre che all’alinea 5) si dice «utilizzazione delle acque pubbliche». Non sarebbe bene aggiungere entro quali limiti? Mi pare che si potrebbe fare riferimento a quanto stabilisce l’articolo 10.

DOSSETTI. L’articolo 10 non stabilisce limiti.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Io penserei che la formula più esatta da sottoporre all’Assemblea sia questa: «principî stabiliti dalle leggi dello Stato». Dei principî fondamentali già si parla all’articolo 4, ivi contemplandosi quelli scaturenti dall’ordinamento giuridico nel suo complesso. Viceversa, se qui non si vuole fare un doppione, occorre semplicemente parlare dei principî nascenti dalle leggi particolari.

Pertanto, nell’articolo 4 si continui a dire, secondo quanto abbiamo votato, «principî dell’ordinamento giuridico dello Stato», e nell’articolo 5 si dica invece «principî stabiliti dalle leggi dello Stato», depennando l’aggettivazione «fondamentali».

Il fatto che nella Carta costituzionale si adotti invece la sola formula dei «principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato» è spiegato dalla circostanza che la Costituzione dedica alla materia una sola e comprensiva norma, mentre qui si tratta di giustificare il dualismo introdotto dallo Statuto regionale, con la distinzione concettuale fra l’articolo 4 e l’articolo 5.

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione.

UBERTI, Relatore. Circa la proposta fatta dall’onorevole Dominedò di togliere l’aggettivo «fondamentale» mi sembra che si tratti di una questione non sostanziale, perché è evidente che i principî di cui si parla sono quelli generali, fondamentali che ispirano le leggi, e cioè non le singole norme particolari. Altrimenti non vi sarebbe una legislazione regionale.

Naturalmente, questa legislazione regionale è limitata dai principî delle leggi, in quanto si attiene ai criteri fondamentali che sono a base di una legge, non alle singole norme, dalle quali la legge regionale può distaccarsi per adattare quei principî fondamentali alla sottostante realtà regionale. (Interruzione del deputato Dossetti – Commenti). Per quel che riguarda poi il punto della utilizzazione delle acque pubbliche, è evidente che s’intende dentro i limiti delle leggi dello Stato e quindi della legge fondamentale del 1933 che regola le acque pubbliche.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Desidererei che il Presidente della Commissione dichiarasse se condivide l’interpretazione dell’articolo 5 data dall’onorevole Uberti, e in particolare l’interpretazione che egli ha dato circa la possibilità che norme di leggi regionali deroghino a norme stabilite dalle leggi dello Stato.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di rispondere.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Alla domanda ultima rispondo di sì, nel senso che una legge regionale può derogare a una norma della legge dello Stato. Non avrebbe senso dire che «nei limiti dei principî» la Regione emana norme giuridiche legislative, se questo articolo dovesse intendersi nel senso che la legge regionale non può derogare a qualche norma legislativa dello Stato. Ciò che esso esclude sicuramente è che la legge regionale deroghi ai principî delle leggi dello Stato concernenti una certa materia.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Sono costretto, a chiedere un chiarimento supplementare: cioè che l’onorevole Perassi mi precisi come gli organi legislativi regionali faranno a desumere, nei confronti di un articolo di una legge stabilita dallo Stato, se si tratti di un articolo che contiene una norma fondamentale o se si tratti di un articolo che non contiene una norma fondamentale.

PRESIDENTE. È stata questa una discussione molto interessante ed approfondita, che già si è svolta in sede di Assemblea quando si sono discussi i Titoli relativi agli ordinamenti regionali e l’elencazione delle materie. Si è largamente trattato anche questo argomento.

DOSSETTI. Sì, ma allora si concluse con una norma sola e non si è fatta una distinzione.

PRESIDENTE. Io non dico che si sia concluso con più norme. Io dico che poiché la Sottocommissione aveva presentato tre casi di svolgimento diversi, in quella sede si discusse di quella formula e proprio perché si giunse a darne una determinata interpretazione, essa fu esclusa dal testo costituzionale.

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Vorrei osservare che il primo comma dell’articolo 5 riproduce esattamente il primo comma dell’articolo 117 della Costituzione, salvo le ultime parole. Difatti, mentre l’articolo 117 della Costituzione dice: «sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni», nell’articolo 5 si dice soltanto: «non siano in contrasto con l’interesse nazionale».

Chiedo perciò al Presidente della Commissione se non si ritenga opportuno di aggiungere anche qui le parole: «e con quello di altre Regioni».

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di rispondere.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Con l’espressione «interesse nazionale» sembra alla Commissione che si tutelino sufficientemente le esigenze che si devono tutelare. E quindi la Commissione, per le molte ragioni dette prima, prega l’onorevole Codignola e altri colleghi di non volere insistere nel modificare questo testo.

Per quanto riguarda l’osservazione dell’onorevole Dossetti, la formula del progetto, per quanto riguarda i limiti giuridici della competenza legislativa della Regione, ripete la dizione dell’articolo 117 della Costituzione, cioè: la Regione emana, per le materie indicate, norme legislative nei limiti dei principî fondamentali delle leggi dello Stato. Per conseguenza prego di volere aderire al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Possiamo passare alla votazione. L’onorevole Malagugini propone di sostituire nella prima parte dell’articolo 5 alla formula: «nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato», l’altra: «nei limiti delle leggi dello Stato».

MALAGUGINI. Accedo alla formulazione dell’onorevole Dominedò.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Dominedò, propone si dica: «nei limiti dei principî stabiliti dalle leggi dello Stato».

Onorevole Dominedò, insiste?

DOMINEDÒ. Sì, insisto.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della prima parte dell’articolo 5 con l’emendamento Dominedò:

«La Regione emana, per le seguenti materie, norme legislative nei limiti dei principî stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale».

RUINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Desidero fare una dichiarazione di voto, per dissipare una impressione che può essere rimasta da quello scambio di idee che ha avuto luogo fra due competenti quali sono gli onorevoli Dossetti e Perassi. Volevo chiarire che, nello spirito del testo della Costituzione, vi saranno le leggi «cornice», categoria giuridica che tutti conoscono; cioè leggi dello Stato che stabiliranno dei limiti entro i quali si potrà sviluppare la competenza, chiamiamola legislativa secondaria, della Regione. Quindi, la preoccupazione che vi sia una contradizione con delle disposizioni dello Stato non sussiste. Stabilito questo concetto fondamentale, possiamo tranquillamente votare questa formula, che ripete letteralmente quella della Costituzione, e che non dà adito a nessunissimo dubbio e a nessuna possibilità che leggi regionali possano contraddire alle norme dello Stato. Perché la norma dello Stato non fa che porre il quadro di queste norme. Con questo dichiaro di votare a favore della disposizione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula testé letta comprensiva dell’emendamento Dominedò.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo Codignola:

«e con quello di altre Regioni».

(Non è approvato).

Pongo in votazione la restante parte dell’articolo 5:

«1°) ordinamento dei comuni e delle provincie;

2°) istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza;

3°) incremento della produzione industriale e delle attività commerciali;

4°) ordinamento degli enti di credito fondiario, di credito agrario, casse di risparmio e casse rurali, nonché delle aziende di credito a carattere regionale;

5°) utilizzazione delle acque pubbliche;

6°) assunzione diretta di servizi di interesse generale e loro gestione a mezzo di aziende speciali;

7°) opere idrauliche della quarta e quinta categoria;

8°) opere di bonifica».

(È approvata).

Passiamo all’articolo 6. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Nelle materie concernenti la previdenza e le assicurazioni sociali, la Regione ha facoltà di emanare norme legislative allo scopo di integrare le disposizioni delle leggi dello Stato, ed ha facoltà di costituire appositi istituti autonomi o agevolarne la istituzione.

«La casse mutue malattie esistenti nella Regione, che siano state fuse nell’Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori, possono essere ricostituite dal Consiglio regionale, salvo il regolamento dei rapporti patrimoniali.

«Le prestazioni di dette casse mutue agli interessati non possono essere inferiori a quelle dell’istituto predetto».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 7. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Con leggi della Regione, sentite le popolazioni interessate, possono essere istituiti nuovi comuni e modificate le loro circoscrizioni e denominazioni.

«Tali modificazioni, qualora influiscano sulla circoscrizione territoriale di uffici statali, non hanno effetto se non due mesi dopo la pubblicazione del provvedimento nel Bollettino Ufficiale della Regione».

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Vorrei chiedere ancora un chiarimento. Che cosa si intende significare con le parole: «Con leggi della Regione, sentite le popolazioni interessate»?

Vorrei sapere cioè in qual modo le popolazioni interessate potranno essere sentite, perché l’articolo non lo dice.

AMBROSINI, Relatore. Nel modo che sarà stabilito dal regolamento interno della Regione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Attraverso i Consigli comunali.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Attraverso i Consigli comunali, come ha detto il Presidente del Consiglio ed anche attraverso il referendum. Nella Costituzione è ammesso l’istituto del referendum. La Regione può con sua legge, regolare il referendum, come strumento di consultazione delle popolazioni interessate. Si tratta di una forma democratica contemplata dalla Costituzione, oltreché da una norma particolare per questa Regione. L’articolo 133 della Costituzione è ripetuto da questo articolo 7.

PRESIDENTE. Mi pare che la risposta più sodisfacente sia questa: che la Regione stabilirà nel suo ordinamento interno in qual maniera provvedere a dare esecuzione a questa norma costituzionale.

Pongo in votazione l’articolo 7.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 8. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Regione può autorizzare l’apertura e il trasferimento di sportelli bancari di aziende di credito a carattere regionale o locale, sentito il parere del Ministro del tesoro.

«L’autorizzazione all’apertura ed al trasferimento di sportelli bancari di aziende, che svolgono operazioni di credito anche in altre regioni, è data dal Ministro del tesoro sentito il parere del Presidente della Giunta regionale».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 9. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Per le concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico e le relative proroghe di termini, la Regione ha facoltà di presentare le proprie osservazioni ed opposizioni in qualsiasi momento fino all’emanazione del parere definitivo del Consiglio superiore dei lavori pubblici.

«La Regione ha altresì facoltà di proporre ricorso al Tribunale superiore delle acque pubbliche avverso il decreto di concessione e di proroga.

«Il Presidente della Giunta regionale o un suo delegato è invitato a partecipare con voto consultivo alle riunioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici, nelle quali sono esaminati i provvedimenti indicati nel comma precedente».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Alla fine dell’ultimo comma, là dove si dice: «nel comma precedente» si dovrebbe dire: «nel primo comma».

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’articolo 9 con questa osservazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 10.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nelle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, accordate successivamente all’entrata in vigore della presente legge, il concessionario ha l’obbligo di fornire gratuitamente alla Regione per servizi pubblici o qualsiasi altro pubblico interesse una quantità di energia pari al sei per cento di quella ricavata dalla portata minima continua, anche se regolata, da consegnarsi all’officina di produzione o sulla linea di trasporto ad alta tensione collegata con l’officina stessa nel punto più conveniente alla Regione.

«Per le concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, già accordate all’entrata in vigore della presente legge, e per quelle da accordarsi, i concessionari sono tenuti a fornire, con le modalità di cui al comma precedente, al prezzo di costo, per usi domestici, per l’artigianato locale o per l’agricoltura, una quantità di energia nella misura stabilita nel comma precedente.

«Per le forniture di energia elettrica e prezzo di costo, in mancanza di accordi tra le parti, il prezzo è determinato dal Ministro dei lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici ed il Presidente della Giunta regionale, tenuto conto delle caratteristiche dell’energia richiesta e comprese le quote per interessi e per ammortamenti.

«L’obbligo previsto nel secondo comma del presente articolo si adempie compatibilmente con l’esecuzione dei contratti di somministrazione di energia elettrica conclusi anteriormente all’entrata in vigore della presente legge.

«La Regione, a parità di condizioni, è preferita nelle concessioni di grande derivazione.

«Il Presidente della Giunta regionale ha facoltà di provocare dagli organi competenti la dichiarazione di decadenza delle concessioni di grande derivazione, ove ricorrano le condizioni previste dalla legge».

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Come i colleghi hanno udito, l’articolo 10 riguarda diritti da riconoscere alla Regione sulla produzione idroelettrica locale. Questa materia è strettamente connessa alle disposizioni degli articoli 62, 63 e 91; direi meglio che è materia addirittura inscindibile dalla conoscenza di questi articoli, che ne costituiscono addirittura il presupposto.

Mi permetto pertanto di proporre, per l’economia della discussione, e per consentire a ciascuno di noi di esprimere un voto ex bene informata coscientia, che l’esame dell’articolo 10 sia rinviato a dopo l’esame dell’articolo 91.

Gli articoli 62, 63 e 91 contemplano infatti altri benefici che la Regione si ripromette di conseguire in materia di acque pubbliche, sia a carico dello Stato, sia a carico delle imprese di produzione della energia elettrica. Onde si rende necessaria la visione complessiva del progetto al riguardo, prima di poterne accettare o respingere la prima parte, che ha avuto collocazione così lontana dal resto.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. La materia contemplata da questo articolo 10 dello Statuto non è in armonia con i principî fondamentali della Carta costituzionale.

Come l’Assemblea ricorderà, dopo ampio dibattito, fu deciso da questa Assemblea di escludere ogni ingerenza della Regione in materia di sfruttamento, disciplina ed uso delle acque pubbliche, tanto che dall’articolo 117 della Costituzione fu depennata quella parte che riguardava appunto la disciplina delle acque.

Vero è che l’articolo 116 stabilisce che alla Sicilia, Sardegna e Trentino-Alto Adige sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, ma, s’intende, in armonia con i principî generali della Costituzione e con l’ordinamento giuridico dello Stato.

Ora, la Costituzione esclude la ingerenza della Regione in questa materia. I principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, che possono essere ravvisati in quella legge fondamentale che disciplina le acque pubbliche e che rimane un monumento di sapienza giuridica escludono ogni ingerenza in questa materia.

Io non ho creduto di proporre un apposito emendamento al riguardo, ma pongo l’Assemblea di fronte a questa situazione, perché qui si tratta di compiere una patente violazione della Costituzione appena nata. (Commenti).

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Pat, Mortati ed altri hanno proposto il seguente emendamento sostitutivo:

«Sostituire il testo con il seguente:

«Nelle concessioni di grandi derivazioni per produzione di energia elettrica è riservato alla Regione, a prezzo di costo, per servizi pubblici o qualsiasi altro pubblico interesse, nonché per usi domestici, l’artigianato e l’agricoltura della Regione stessa, un quantitativo di energia non superiore al 12 per cento di quella ricavata dalla portata minima continua, anche se regolata, da consegnarsi alle officine di produzione e sulla linea di trasporto ad alta tensione collegata con le officine stesse nel punto più conveniente per la Regione.

«Per la richiesta e l’utilizzazione dell’energia riservata alla Regione si applicano le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 52 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.

«In mancanza di accordo tra le parti, il prezzo è determinato dal Ministero dei lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, ed il governo regionale, tenuto conto delle caratteristiche della energia richiesta e comprese le quote per interessi e ammortamenti.

«Il Presidente della Giunta regionale ha facoltà di provocare dagli organi competenti la dichiarazione di decadenza delle concessioni di grandi derivazioni, ove ricorrano le condizioni previste dalla legge».

«Subordinatamente, sopprimere, al secondo comma, le parole: già accordate all’entrata in vigore della presente legge e per quelle».

L’onorevole Nobili Tito Oro ha fatto una proposta di rinvio fino a che non siano stati esaminati gli articoli 62, 63 e 91.

L’onorevole Nobili ha giustificato la richiesta facendo presente la necessità di poter studiare gli elementi particolari tecnici dell’articolo 10 in confronto degli altri.

Io vorrei che così si potesse fare; ma non so se ora sia possibile ai colleghi che devono seguire la discussione di condurre in pari tempo a termine questo studio. In secondo luogo, mi pare che gli articoli 62 e 63 si riferiscano alla materia tributaria e non abbiano un collegamento diretto con l’articolo 10.

NOBILI TITO ORO. Mi permetta, signor Presidente.

Gli articoli 63 e 91 sono complementari dell’articolo 10; non pare si possa approvare una concessione se non si sappia quante e quali altre essa possa trascinarsene dietro. L’articolo 10 non si comprende se non si conosce la portata dell’articolo 63, che richiama l’articolo 53 della legge generale sulle acque pubbliche e sugli impianti elettrici, testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775.

Si tratta, dei diritti riconosciuti ai Comuni sottesi o rivieraschi dalla legge, che s’intitola, in ragione dell’origine prima, all’onorevole Bonomi, sia mediante somministrazioni di energia (articolo 52), sia mediante prestazioni di canoni (articolo 53); occorre anzitutto stabilire se col sistema del progetto restino o no ferme, sia le concessioni fatte ai comuni rivieraschi sia le verificatesi decadenze.

Gli articoli 63 e 91 disciplinano questa materia, ma in modo tale da poter prestare il fianco alla critica.

PRESIDENTE. L’articolo 63 dice al secondo comma:

«È soppressa, nell’ambito del territorio della Regione, l’applicazione dell’articolo 53 del testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici ecc.». Mi pare che non ci sia bisogno di attendere la discussione di questo articolo, per poter esaminare l’articolo 10.

FUSCHINI. Il collegamento c’è.

NOBILI TITO ORO. L’articolo 63 non è tutto; le disposizioni transitorie contengono l’articolo 91 che riprende la questione, aggiungendo che sono riaperti i termini di prescrizione per l’ausilio dei diritti di cui all’articolo 52 della legge del 1933, e cioè pel conseguimento di assegnazioni fino a 1/10 di quella prodotta per le necessità dei pubblici servizi. Per questa disposizione i Comuni e perfino le Provincie (che nell’articolo 52 non sono contemplate!) hanno diritto di veder riaperti a proprio favore i termini ormai decorsi pel conseguimento delle assegnazioni di energia al prezzo di costo.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il proprio parere sulla proposta di rinvio.

UBERTI, Relatore. Non abbiamo difficoltà ad accettare il rinvio, per esaminare insieme le disposizioni tributarie con quanto si riferisce alla regolazione particolare di questa materia delle acque.

Solamente, vorrei chiarire i criteri seguiti nella elaborazione del prospetto. Il problema è stato esaminato dalla Commissione in modo approfondito. A tale esame ha partecipato autorevolmente anche l’autore dell’attuale legge sulle acque, l’onorevole Bonomi. Furono sentiti i tecnici del Ministero dei lavori pubblici. Quanto è proposto è una transazione, fra la richiesta di affidare alla Regione quanto concerne le concessioni, e l’interesse superiore di conservare questo diritto allo Stato per assicurare in ogni caso nel superiore interesse nazionale, la massima utilizzazione delle acque.

Per poter arrivare a questa soluzione compositoria si è detto: è necessario assicurare alla Regione alcuni elementi di compenso, una contropartita e ciò non per attribuire alla Regione privilegi particolari ma per indennizzare la Regione di tutti i danni che le derivano dalla costruzione di impianti, di bacini che sconvolgono non solo l’agricoltura ma tutta l’ambientazione di interi Paesi.

Ora, se c’è questa esigenza fondamentale, che non vi era nello Statuto della Sardegna, perché, essendo questa un’isola, le concessioni sono state trasferite dallo Stato alla Regione, bisogna fare qualche cosa per queste popolazioni del Trentino-Alto Adige, come di altre Regioni alpine, che sono colpite in modo così grave dagli impianti per lo sfruttamento delle forze idroelettriche.

Vi sembra che sia possibile, così dal punto di vista psicologico, come da quello giuridico che le genti di queste regioni assistano rassegnate al trasferimento in altre regioni di queste grandi forze idroelettriche senza alcuna possibilità di utilizzazione in sito? Non vedrebbero in tale trasferimento, oltreché un danno, una spoliazione?

Per assolvere a tale esigenza s’è pensato di porre l’obbligo di cedere all’utilizzazione in sito, per l’agricoltura e l’artigianato, per lo meno il 10 per cento dell’energia a prezzo di costo. Che se in un momento particolare si rende necessario un intervento vincolistico per distribuire l’energia stabilendo un ordine di preferenze di utilizzazione, una graduazione di urgenze, questo non è impedito sol perché si stabilisce una riserva per l’agricoltura e l’artigianato locale. Anche queste utilizzazioni non sono sottratte alla graduazione. Quindi l’obiezione che con questa disposizione si va contro gli interessi generali dell’economia nazionale non regge.

Verremmo meno al nostro spirito di equità se negassimo questo, se obliterassimo queste esigenze locali. Ma si è detto: c’è l’articolo 52 che stabilisce la riserva del 10 per cento a prezzo di costo a favore dei comuni rivieraschi. Ma è bene che l’Assemblea sappia che un solo comune ha potuto utilizzare questo 10 per cento: quello di Gro, e anche in tal caso per una particolare situazione contingente. Quell’articolo 52 dunque è un onere più che altro teorico, perché i comuni, oltre che per l’illuminazione del Paese, non sono in condizioni di utilizzare il 10 per cento summenzionato.

PELLA, Ministro delle finanze. E il 6 per cento?

UBERTI, Relatore. Anche per questo una parte resta solo in teoria.

NOBILI TITO ORO. E questo è l’elemento grave.

UBERTI, Relatore. Allora non si dica che è un onere insopportabile che impedisce i nuovi impianti.

Terzo punto: vi è un 10 per cento dato anche alla Regione.

La Commissione governativa prima, quella dell’Assemblea poi, hanno studiato a fondo questo problema e sono addivenute alla conclusione che i servizi pubblici della Regione hanno un diritto preminente nell’utilizzazione della forza idroelettrica, prima di andare ad alimentare altri servizi. Si è a lungo discusso intorno alla definizione dei servizi pubblici. S’è constatato che v’è al riguardo tutta una letteratura ed una giurisprudenza. Per venire poi incontro al rilievo che in tal modo le aziende idroelettriche erano costrette ad accantonare nei loro calcoli preventivi un terzo 10 per cento (abbiamo già visto che il 10 per cento ai comuni rivieraschi è del tutto teorico) si è attenuato il diritto al 6 per cento.

Ed ancora, poiché i tecnici trentini e alto-atesini hanno rilevato che le possibilità pratiche di effettiva utilizzazione non raggiungono neanche il 6 per cento, bensì il 2,8 per cento, la Commissione è disposta ad accettare un eventuale emendamento che dicesse: «fino al 6 per cento».

C’è infine l’obiezione relativa alle utilizzazioni delle Ferrovie dello Stato. Abbiamo discusso anche oggi questo problema. In realtà lo Stato adopera l’energia per dare adeguato sviluppo anche ai servizi pubblici della Regione. Per esempio la Trento-Malè potrebbe essere modernizzata nei suoi impianti. Così la Brunico-Campo Tures. Si possono pure elettrificare o modernizzare le grandi linee nazionali nella Regione.

Se vi è questa contropartita da parte delle Ferrovie, ritengo che la Commissione potrà aderire alla eventuale richiesta del Ministro dei trasporti di esonerare le ferrovie da questo obbligo.

Per l’osservazione di qualcuno il quale dice: ma voi date anche 10 centesimi per ogni kwh, faccio rilevare…

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, lei sta già parlando dell’articolo 63.

Ora, o rinviamo tutto, o cominciamo a trattare l’articolo 10.

UBERTI, Relatore. Concludo questi rilievi generali osservando che questi tanto conclamati oneri alla industria idroelettrica si riducono in realtà ad un diritto potenziale che pone una riserva del 10 per cento del quantitativo prodotto a prezzo di costo e quindi con la perdita solo del profitto puro, senza interesse e ammortamento e al 2,8 per cento gratuito per i servizi pubblici della Regione. Arretrando al di là di questo limite si verrebbe meno all’impegno sostanziale che la Commissione ha assunto quando ha negato di passare le concessioni dallo Stato alla Regione. Verrebbe meno ogni contropartita, anche limitata. Venir meno a questo equilibrio significherebbe, secondo me, ingannare completamente quelli che hanno avuto fiducia nello Stato.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, pongo in votazione la proposta dell’onorevole Nobili Tito Oro di rinviare l’esame e la votazione di questo articolo 10 a quando saranno esaminati gli articoli 62, 63 e 91.

UBERTI, Relatore. La Commissione si astiene.

(Dopo prova e controprova la proposta è approvata).

PRESIDENTE. Passiamo agli articoli 11 e 12 fra di essi collegati. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

Capo III.

Funzioni delle Province.

Art. 11.

«Le Province hanno la potestà di emanare norme legislative entro i limiti indicati nell’articolo 4, su le seguenti materie:

1°) ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto;

2°) istruzione post-elementare e di avviamento professionale ad indirizzo agrario, commerciale ed industriale;

3°) toponomastica, fermo restando l’obbligo della bilinguità nel territorio della provincia di Bolzano;

4°) usi e costumi locali e istituzioni culturali (biblioteche, accademie, istituti, musei) aventi carattere provinciale;

5°) manifestazioni artistiche locali;

6°) urbanistica e piani regolatori;

7°) tutela del paesaggio;

8°) usi civici;

9°) ordinamento delle minime proprietà culturali, anche agli effetti dell’articolo 847 del Codice civile; ordinamento dei «masi chiusi» e delle comunità familiari rette da antichi statuti o consuetudini;

10°) artigianato;

11°) case popolari;

12°) porti lacuali;

13°) fiere e mercati;

14°) opere di pronto soccorso per calamità pubbliche».

Art. 12.

«Le Province emanano norme legislative alle seguenti materie nei limiti indicati nell’articolo 5:

1°) polizia locale urbana e rurale;

2°) scuole materne; istruzione elementare, media, classica, scientifica, magistrale, tecnica ed artistica;

3°) assistenza scolastica».

PRESIDENTE. All’articolo 11 gli onorevoli Codignola, Bonomelli, Malagugini e altri hanno proposto il seguente emendamento:

«Sopprimere il n. 2°)».

Gli stessi deputati hanno, contemporaneamente, presentato il seguente emendamento al successivo articolo 12:

«Sostituire al testo del n. 2°) il testo del n. 2°) dell’articolo 11».

L’onorevole Codignola ha facoltà di svolgere gli emendamenti.

CODIGNOLA. Non vorrei in questa occasione tornare su problemi già ampiamente discussi in materia di decentramento regionale per quanto riguarda l’organizzazione scolastica. Ma devo richiamare l’attenzione dei colleghi sul fatto che gli articoli 11 e 12, rispettivamente al punto secondo, passano alla competenza della provincia tutto il complesso dell’organizzazione scolastica nella Regione Trentino-Alto Adige.

Ora, nell’articolo 117 della Costituzione fu, dopo lunga discussione, stabilito che fosse consentito alle Regioni di legiferare – nei limiti della legislazione generale dello Stato – solo in materia d’istruzione artigiana e professionale, e di assistenza scolastica.

Ci troviamo invece di fronte alla proposta che nel Trentino-Alto Adige l’istruzione professionale e artigiana venga affidata alla podestà legislativa delle Provincie e non più della Regione. E nei limiti della Costituzione; mentre nei più ristretti limiti stabiliti dalle leggi dello Stato, alle due Provincie sarebbe affidato tutto l’insieme dell’istruzione media. Nel Trentino-Alto Adige, dunque, l’intero complesso dell’organizzazione scolastica passerebbe alla competenza legislativa delle Provincie.

Non riesco a capire per quale ragione questa Assemblea dovrebbe votare un principio così grave di eccezione alle facoltà generalmente attribuite alle altre Regioni italiane.

Vero è che noi siamo impegnati in sede internazionale a garantire alle popolazioni tedesche dell’Alto Adige l’insegnamento elementare e secondario nella lingua materna – così dice il testo dell’Accordo di Parigi –; si tratta cioè di garantire che l’insegnante nelle scuole frequentate da alunni di lingua tedesca, sia anch’esso di lingua tedesca. Ma questo è assicurato dall’articolo 15 del progetto, che contiene tutta una serie di garanzie a questo proposito, sia per quanto riguarda gli insegnanti, sia per quanto riguarda i provveditori agli studi, i direttori didattici e gli ispettori scolastici. Questo mi pare che sia l’unico aspetto caratteristico, in materia di istruzione pubblica, che bisogna tener presente nell’ordinamento della Regione Trentino-Alto Adige. Null’altro. Mentre, se accettassimo quanto è stato proposto con l’articolo 11 e 12, comma secondo, verremmo ad attribuire una ingiustificata posizione di privilegio in materia scolastica al Trentino-Alto Adige, che non corrisponde a quanto l’Assemblea ha deciso preventivamente.

Pregherei quindi, di considerare l’opportunità di abolire qualsiasi attribuzione della Provincia nell’ambito della sola Costituzione; di sopprimere di conseguenza il numero 2 dell’articolo 11, e di rinviare la materia indicata in quel comma al numero 2 dell’articolo 12 sopprimendo il resto, in maniera che alla Provincia resti solamente la potestà legislativa nell’ambito della legislazione generale, per quanto riguarda l’istruzione primaria e l’avviamento professionale.

Con ciò verrebbe fatto comunque un passo di più rispetto alla organizzazione autonomistica in generale, perché, nel caso in esame, le norme che in questa materia sono generalmente attribuite alla Regione resterebbero alla competenza legislativa della Provincia.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Perassi ad esprimere il parere della Commissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissione non può accettare gli emendamenti dell’onorevole Codignola.

Io richiamo l’attenzione dell’Assemblea su questo punto che è particolarmente delicato. Credo che a questo riguardo anche il Governo riterrà opportuno dire qualche parola.

Si cita la Costituzione. È vero, la Costituzione – all’articolo 117 – prevede che alle Regioni in generale è data una certa competenza legislativa limitata per quanto concerne l’istruzione artigiana, professionale e l’assistenza scolastica. Ma non si deve dimenticare che qui siamo di fronte ad uno Statuto speciale. Non solo, ma ad uno Statuto speciale concernente una certa Regione. Quindi non è neppure il caso di dire che si creano dei precedenti pericolosi. È un problema specifico concernente una determinata Regione la quale presenta delle condizioni particolarissime.

Abbiamo già spiegato come per il Trentino-Alto Adige – avuto riguardo alla sua particolare struttura – l’istituto della Regione è stato congegnato con qualche difformità da quello che è il tipo comune. È una Regione che in realtà opera attraverso due cosiddette Provincie (dico cosiddette Provincie), alle quali noi abbiamo attribuito funzioni che spettano in generale alle Regioni.

Perché abbiamo fatto questo? Perché esistono in quella parte d’Italia delle situazioni particolarissime determinate dalla composizione delle popolazioni che la abitano.

Ora vorrei pregare l’onorevole Codignola di tener presenti tutte le considerazioni che abbiamo fatto all’inizio di questa discussione e che sono state poi così autorevolmente sottolineate da parte del Presidente del Consiglio.

Si tratta di uno dei punti più delicati.

Noi abbiamo discusso e si è arrivati a questa conclusione.

Credo che l’Assemblea faccia opera di saggezza mantenendo le proposte che la Commissione ha elaborato. Prego perciò l’onorevole Codignola – tenuto conto di tutte queste considerazioni – di non volere insistere nei suoi emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Codignola, mantiene gli emendamenti?

CODIGNOLA. Li mantengo.

CONCI ELISABETTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONCI ELISABETTA. Mi permetto anche io di insistere in modo particolare, proprio su questo punto che forma o ha formato oggetto dell’accordo raggiunto con i rappresentanti alto-atesini. Noi non possiamo venir meno a questo accordo.

È il più grande interesse del Paese e della nostra civiltà che si può raggiungere attraverso questo accordo. Io chiedo vivamente agli onorevoli colleghi di non voler insistere su questo punto.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Una brevissima dichiarazione di voto. Come uomo di terra di confine riconosco l’estrema importanza dell’autonomia culturale che noi dobbiamo dare alle minoranze etniche che vivono nel territorio del nostro Stato. Se l’essenza dell’autonomia sta appunto nell’autonomia culturale, è chiaro che non si potrà parlare di autonomia culturale se l’organizzazione scolastica viene accentrata decisamente.

Per questo mi dichiaro contrario a tutti gli emendamenti che intendano modificare il testo degli articoli 11 e 12 per quanto riguarda la competenza delle provincie a legiferare in materia scolastica.

CARBONARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. Dichiaro di votare contro l’emendamento proposto dall’onorevole Codignola perché, appunto come diceva l’onorevole Bettiol, se c’è una autonomia alla quali i tedeschi dell’Alto Adige devono aspirare, è appunto quella della loro cultura, l’autonomia scolastica. Siccome in questa materia abbiamo parlato con loro e siamo giunti ad un accordo, noi dobbiamo assolutamente fare onore all’impegno preso con essi ed alla parola data.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro di dare una breve spiegazione del mio voto a favore del testo della Commissione permettendomi di mettere l’accento su una differenza che non mi pare sia stata abbastanza posta in chiaro, ed è che tutto l’insieme dell’insegnamento viene in sostanza distinto fra le scuole che ci sono sempre state (cioè le scuole elementari, le secondarie e l’insegnamento superiore), e le scuole di recente tipo e introduzione.

Le scuole che ci sono sempre state e che, direi, sono le fondamentali per l’interesse dello Stato, sono considerate nel secondo articolo nel quale la legislazione provinciale trova dei limiti appunto nei principî delle nostre leggi sull’istruzione. Una maggiore libertà è consentita soltanto circa quell’altra categoria di scuole di tipo moderno che vanno sotto il nome generico di «artigianato», o di «arti e mestieri» e che noi abbiamo appunto indicato con quelle tali espressioni: «scuole di avviamento professionale ad indirizzo agrario, commerciale e industriale».

Ma queste scuole di questa seconda categoria devono rispondere a esigenze di attività pratiche locali, ed in esse l’influsso della provincia è molto più giustificato e non incide menomamente sul tronco dell’istruzione generale di primo grado, di secondo grado e superiore, circa la quale restano fermi i principî delle leggi nostre con particolare riguardo però, all’elemento linguistico.

Chiarita in questi termini la questione, più che mai mi pare necessario tener fermo il testo della Commissione; e confido che anche il pensiero del Governo sia in questo senso, perché tocca il punto particolarmente considerato nell’accordo De Gasperi-Gruber.

PARIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARIS. Vorrei proporre una formula transattiva, cioè che il numero 2 dell’articolo 11 rimanga solo per la provincia di Bolzano.

Se fosse accettata questa formula i proponenti ritirerebbero il loro emendamento.

Aggiungerei quindi «limitatamente alla provincia di Bolzano».

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Io non sono insensibile alle invocazioni venute dai banchi della Commissione, anche perché mi rendo conto che, in sostanza, tutto il disegno di legge che abbiamo sott’occhio e in particolare questa parte, sono dominati dall’accordo di Parigi. Però non comprendo perché questa autonomia in materia scolastica debba essere delegata alla Provincia, anziché rimanere alla Regione.

Comunque, se si raggiunge un accordo sulla proposta transattiva, di cui si è fatto portavoce il collega Paris, non ho nessuna difficoltà ad aderire.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Se si vuole in questa legislazione scolastica, secondaria in senso integrativo, trovare una garanzia per il carattere etnico della minoranza tedesca della Venezia Tridentina, e della maggioranza di Bolzano, conviene assolutamente rimetterla alla provincia.

Avrei preferito che da principio si fosse pensato, invece che alla parola provincia, ad un’altra parola; si potrebbe dire «circondario». Per ragioni tecnicamente molto fondate si è preferito usare la stessa parola, tanto che da principio chi ha preso in mano per la prima volta il progetto, si è scandalizzato del fatto che esistano provincie, che abbiano quelle tali prerogative.

È una provincia del tutto particolare; si chiamano provincie – i tedeschi traducono «land» – ma, in realtà, sono circondari di carattere speciale.

Non voglio entrare in dettaglio, perché non amerei che su questo si facesse discussione.

Prego poi, di considerare che la legislazione scolastica generale resta in piedi; si aggiunge l’obbligo della bilinguità ed altre garanzie nella amministrazione. Infatti, è stabilito che negli organi, che devono applicare la legislazione dello Stato, deve esservi una garanzia personale, cioè persone che conoscano bene il tedesco; si parla anche di lingua materna; sono garanzie personali inserite nell’amministrazione scolastica. Noi abbiamo trovato così modo di non modificare la legislazione fondamentale dello Stato, quindi trattare su base nazionale il problema scolastico, e tuttavia di introdurre quel tanto di garanzie locali, che sono necessarie perché si possa dire che non solo si è tenuto conto dell’accordo, ma anche del principio generale di cui bisogna tener conto. Per non affidare la scuola completamente alla provincia si è tenuto conto del carattere nazionale dello Stato in cui questa minoranza si trova. Tuttavia si sono create delle garanzie, delle difese e dei mezzi di intervento e di influsso anche per i rappresentanti della popolazione tedesca. Questo lo dovevamo fare perché comprendiamo che non possiamo pretendere che costituisca una garanzia la semplice legge dello Stato, perché quella legge, che stabilisce che deve esservi parità linguistica, domani può essere cambiata, né di per sé potrebbe la rappresentanza della popolazione tedesca avere un modo di garantirsi contro un eventuale cambiamento. L’unico modo di tutela che hanno lo possono esercitare in sede locale, nei limiti che ho detto.

Vi prego pertanto, di accettare questo compromesso poiché si può con tranquillità attendere che si sviluppi in un senso favorevole per lo Stato e contemporaneamente sia sufficientemente protettivo dei diritti delle minoranze.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voterò a favore del testo della Commissione e contro l’emendamento soppressivo Codignola, perché mi sembra che l’autonomia dell’insegnamento sia un fondamento indispensabile dell’autonomia etnica e culturale che intendiamo garantire. In verità lo strumento tecnico escogitato in questa legge con le provincie aventi potestà legislativa, è una cosa per il nostro senso giuridico un po’strana e che desta qualche preoccupazione. Ma poiché il sistema è sorto sotto la pressione di esigenze di carattere politico, non vedo perché dovrebbe essere sottratta alle provincie la competenza in una materia tanto delicata qual è quella dell’insegnamento.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Comprendo che l’onorevole Presidente del Consiglio, con molto fervore, difenda il contenuto di questo Statuto e comprendo anche che sull’argomento della scuola egli insista affinché restino queste disposizioni. Francamente, dico che condivido il pensiero del collega Codignola per ragioni evidenti, onorevoli colleghi. Infatti viene per la prima volta ad esser tolta allo Stato italiano la facoltà di giurisdizione su tutte le scuole della Repubblica. (Commenti al centro).

Una voce al centro. La giurisdizione è dello Stato.

TONELLO. La giurisdizione è dello Stato, ma quando verrà applicata questa autonomia in una provincia in gran parte tedesca, mi saprete dire quel che avverrà, onorevoli colleghi! Io sono d’accordo con il Presidente che bisogna far di tutto per smussare gli angoli ed affratellare le popolazioni di confine. Bisognerebbe però che lo Stato italiano mantenesse intatti anche i diritti essenziali della Repubblica italiana. Potevate concedere l’insegnamento bilingue, potevate stabilire che gli insegnanti fossero locali e concedere tutte le facilitazioni, ma non arrivare fino a questo punto.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Questo è l’equivoco!

TONELLO. Il problema è difficilissimo, egregi colleghi. Lo so, perché anch’io vivo in una terra vicina ad altri popoli di altra lingua. Lo Stato potrà intervenire, ammesso che domani queste scuole autonome tedesche… (Rumori al centro – Interruzione dell’onorevole Uberti). Ad ogni modo, potete ben gridare che io sono in equivoco, ma so anche di che piede andate zoppi, colleghi della Democrazia Cristiana (Commenti al centro). So che è nel vostro intento di portare domani la stessa autonomia della scuola anche nelle Regioni italiane; non avete il coraggio di farlo subito, ma è nel vostro programma. Intanto cominciate col Trentino e con la Venezia Giulia, tanto per dare inizio a quanto volete compiere. (Commenti al centro). Ricordatevi che quanto potrete fare sarà frutto di un compromesso, tanto più che il Governo ha virtualmente concesso questo Statuto al di fuori delle deliberazioni della Assemblea Costituente, in base alle trattative fra le popolazioni allogene e gli italiani. Questo problema era stato posto al Governo e l’onorevole De Gasperi lo ha risolto, a fin di bene, nel modo che ha creduto migliore. Ma che poi dobbiamo considerare ogni decisione come immodificabile, questa è un’altra questione.

Noi vogliamo che non sia spezzata l’unità di giurisdizione nel campo scolastico, ai confini della Repubblica italiana.

Per questo voterò l’emendamento proposto dall’onorevole Codignola, perché questa è una questione delicatissima e di alto valore politico. Pensate bene a quello che fate, perché domani, quando sorgeranno inconvenienti, sarà inutile far risalire le colpe ai Ministeri che furono, anche perché spero che col passar del tempo non resterete sempre voi al Governo (Commenti).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io vorrei pregare l’onorevole Tonello, di riservare il suo giudizio al momento dell’esame dell’articolo 15. Qui vedrà di chi è la giurisdizione sulla scuola e vedrà che quando si parla del provveditore agli studi, si parla del provveditore dello Stato e vedrà che si inseriscono alcune garanzie per i tedeschi, ma si parla del provveditore dello Stato.

C’è un equivoco, onorevole Tonello. Comunque, per avere un quadro chiaro e ben definito del problema scolastico bisogna considerare anche altri articoli.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Quando parlava l’onorevole Tonello mi ero permesso di interromperlo dicendo che vi era un equivoco. Il Presidente del Consiglio lo ha già chiarito ed io non ho che da confermare quanto egli ha detto. L’equivoco consiste in questo: di credere che dandosi alla provincia una certa competenza legislativa in materia di scuole, si voglia dare alla provincia, non quella che impropriamente l’onorevole Tonello chiamava giurisdizione, ma l’amministrazione. Ora, questo non è esatto. L’equivoco è questo: la funzione amministrativa scolastica, ossia la gestione delle scuole indicate nell’articolo 12 del progetto, resta allo Stato. E questo risulta, come ha notato il Presidente del Consiglio, sia dall’articolo 13 che dall’articolo 15.

Soltanto si prevede per la provincia di Bolzano che il provveditore degli studi di Bolzano, organo dello Stato, terrà conto di certe particolari esigenze, anche per quanto riguarda la sua costituzione. Si prevede, ad esempio, per il provveditore agli studi l’obbligo della piena conoscenza della lingua italiana e tedesca (ed è una cosa naturale) e si prevede che saranno assegnati ai provveditorato agli studi di Bolzano un vice-provveditore nonché ispettori e direttori didattici la cui lingua materna sia la stessa di quella degli alunni. Ed anche quest’ultima credo che sia una cosa che non possa sollevare difficoltà.

Chiarito questo equivoco, pregherei coloro che hanno presentato l’emendamento, di non voler insistere.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Bertola e Lizier avevano proposto di sopprimere l’articolo 126, in via subordinata, di sopprimere il n. 2°). Dato che gli articoli 12 e 15 trattano la stessa materia.

Ora essi hanno presentato il seguente emendamento sostitutivo della prima parte dell’articolo 12:

«Le Province hanno facoltà di adattare alle loro particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme nelle seguenti materie:».

L’onorevole Bertola ha facoltà di svolgerlo.

BERTOLA. L’intendimento degli emendamenti presentati non è quello di togliere l’autonomia dell’ordinamento scolastico alla Regione dell’Alto Adige ed alle provincie; ma piuttosto di venire ad un chiarimento soprattutto sul primo comma dell’articolo 12.

Noi viviamo un po’ nella scuola e crediamo che questo comma darà origine ad una serie di dissidi col Ministero della pubblica istruzione. Perché la formulazione: «Le Provincie emanano norme legislative sulle seguenti materie» (che poi sono quelle di cui all’articolo 5), non è sufficiente per stabilire dei limiti esatti tra i poteri del Ministero della pubblica istruzione e quelli di cui alle varie Provincie.

Perciò il nostro emendamento non è contrario ad una riforma e ad un adattamento dell’ordinamento scolastico per queste Regioni, ma cerca anzi di risolvere questo dissidio.

Faccio notare (in particolare per quelli che hanno la preoccupazione di non concedere questa autonomia scolastica) che lo Statuto, all’articolo 15, tratta diffusamente della questione linguistica nella Regione; e perciò tutela, a mio modo di vedere, a sufficienza uno dei patrimoni fondamentali e più importanti della zona dell’Alto Adige.

L’articolo 81 tutela appunto la caratteristica linguistica di una zona dell’Alto Adige, e precisamente la zona in cui si parla il ladino.

La nostra preoccupazione è questa: che nascano dissidi di competenza riguardo all’ordinamento scolastico, per i programmi, e riguardo all’ordinamento del personale.

Se, riguardo al personale, l’Assemblea ha votato un ordine del giorno che tutela gli impiegati dello Stato, in genere, vorremmo cercare una precisazione che tuteli specialmente gli insegnanti.

Secondo punto: vorremmo evitare il dissidio che può verificarsi tra programmi governativi rispetto alle materie di studio e quegli altri ordinamenti che possono sorgere in sede provinciale e regionale.

Qui occorre far notare che la preoccupazione, in genere, di questa Assemblea è quella di non soffocare le minoranze che esistono ai margini di questa Regione. Ma quando parliamo di provincie, parliamo non tanto della provincia di Trento quanto di quella di Bolzano. Ora, in questa Provincia, la maggioranza è tedesca e la minoranza è italiana; e quando dobbiamo tutelare le minoranze, stavolta dobbiamo preoccuparci delle minoranze italiane.

Vorrei citare un solo caso, che serve ad illustrare la delicatezza di questo problema. Supponiamo che una norma legislativa emanata dalla provincia muti il programma, ad esempio dei licei classici per quanto riguarda l’insegnamento della letteratura e delle lingue. Ora, onorevoli, colleghi, noi in Alto Adige abbiamo, se volete, due patrimoni umanistici da preservare, uno è il patrimonio umanistico latino e l’altro è il patrimonio umanistico germanico. Ma se noi modifichiamo i programmi, diamo la facoltà all’ente provincia – nel quale sappiamo vi è una maggioranza germanica – di creare un programma nel quale sarà tutelato il patrimonio umanistico germanico a preferenza di quello latino che, è nostro, è dei nostri fratelli italiani che vivono in quella provincia.

Con tutto questo, noi ci siamo preoccupati soltanto di stabilire delle precisazioni. In fondo, il nostro emendamento dice soltanto che le provincie hanno facoltà di adottare le norme della Repubblica alle esigenze locali; ma queste norme devono avere un carattere integrativo, senza arrivare a distruggere le leggi dello Stato.

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Vorrei precisare all’onorevole Perassi che da parte nostra non c’è nessun equivoco sopra la portata delle norme che dobbiamo votare.

Vero è che l’amministrazione della scuola nel Trentino e nell’Alto Adige resta comunque allo Stato italiano; ma quello che ci preoccupa è che le funzioni legislative relative alla scuola passino alla nuova Regione, e questo neanche nei limiti della legislazione dello Stato, ma nei limiti addirittura della sola Costituzione. (Commenti).

D’altra parte, le preoccupazioni che sono state svolte hanno un certo fondamento. Senonché il fatto che esistano già determinati impegni internazionali riguarda esclusivamente la provincia di Bolzano, e non anche la provincia di Trento. Tanto è vero che lo stesso progetto all’articolo 15 si limita a parlare della provincia di Bolzano. Ora, per quale ragione noi dobbiamo adattarci ad uno stato di fatto già esistente (il che può essere comprensibile) per quanto riguarda la materia dell’articolo 15, e dobbiamo invece, agli articoli 11 e 12, introdurre un’autonomia scolastica speciale per il Trentino, che non ci è richiesta da nessuno?

Una voce al centro. Di che cosa ha paura?

CODIGNOLA. Ho la stessa paura che ho espresso per le altre Regioni italiane: non ritengo opportuno che lo Stato si svesta di una sua potestà fondamentale in favore della Regione e della Provincia. Potrei fare un’eccezione per quanto riguarda la sola provincia di Bolzano, per le ragioni che l’onorevole Presidente del Consiglio ha indicato e che sono indubbiamente ragioni molto fondate.

D’altra parte ricordo che l’accordo De Gasperi-Gruber diceva precisamente: «In conformità degli accordi già presi o in corso d’attuazione, i cittadini di lingua tedesca godranno dell’insegnamento elementare e medio nella lingua tedesca», il che corrisponde appunto a quanto è stabilito nell’articolo 15.

Ora, noi potremmo appunto trasferire quanto è stabilito al comma 2° degli articoli 11 e 12 all’articolo 15, limitando alla sola provincia di Bolzano, in vista della situazione internazionale, questa eccezione. Non vedo invece come ciò sia fattibile per la provincia di Trento, per la quale non interviene nessuna ragione di carattere internazionale.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare che la discussione sia giunta ad un certo grado di maturità. Desidererei ora sapere dall’onorevole Codignola esattamente su quale delle tre formule egli intenda fermarsi.

CODIGNOLA. Penso che sarebbe necessario trovare un punto di incontro e presento, in via transattiva, il seguente emendamento:

«All’articolo 11 e all’articolo 12, sopprimere il n. 2°); al principio dell’articolo 15 aggiungere: La provincia di Bolzano ha potestà di emanare norme legislative entro i limiti indicati nell’articolo 5 in materia di istruzione elementare, post-elementare e secondaria».

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, vuole esprimere il parere della Commissione?

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissione mantiene il testo proposto.

PRESIDENTE. E il Governo?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo mantiene il testo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte con il primo alinea dell’articolo 11:

«Le Provincie hanno la potestà di emanare norme legislative entro i limiti indicati nell’articolo 4, su le seguenti materie:

1°) ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto».

(È approvata).

Pongo in votazione la proposta soppressiva dell’onorevole Codignola dell’alinea 2°).

(Non è approvata).

Pongo in votazione l’alinea 2° nel testo della Commissione:

«2°) istruzione postelementare e di avviamento professionale ad indirizzo agrario, commerciale ed industriale».

(È approvato).

Pongo ora in votazione la restante parte dell’articolo 11:

«3°) toponomastica, fermo restando l’obbligo della bilinguità nel territorio della provincia di Bolzano;

4°) usi e costumi locali e istituzioni culturali (biblioteche, accademie, istituti, musei) aventi carattere provinciale;

5°) manifestazioni artistiche locali;

6°) urbanistica e piani regolatori;

7°) tutela del paesaggio;

8°) usi civici;

9°) ordinamento delle minime proprietà culturali, anche agli effetti dell’articolo 847 del Codice civile; ordinamento dei «masi chiusi» e delle comunità familiari rette da antichi statuti o consuetudini;

10°) artigianato;

11°) case popolari;

12°) porti lacuali;

13°) fiere e mercati;

14°) opere di pronto soccorso per calamità pubbliche».

(È approvata).

Prego la Commissione di esprimere il proprio parere sull’emendamento degli onorevoli Bertola e Lizier all’articolo 12.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissione prega i proponenti di non insistere anche perché l’articolo 5, nel quale sono stabiliti i limiti nei quali deve contenersi la competenza legislativa delle Provincie, dà sufficienti garanzie contro ogni pericolo in quanto che le norme emanate dalle Provincie devono essere conformi ai principii stabiliti nelle leggi dello Stato. In realtà, si tratta di una legislazione di integrazione ed attuazione.

Date queste considerazioni, pregherei i proponenti di voler ritirare gli emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Bertola, lei ha proposto in via principale la soppressione dell’articolo 12, in via subordinata la soppressione del n. 2°), e ancora in via subordinata una formula sostitutiva della prima parte dell’articolo.

Quale emendamento mantiene?

BERTOLA. Signor Presidente, noi abbiamo l’intenzione di mantenere l’emendamento sostitutivo alla prima parte e di ritirare quelli soppressivi, specialmente dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, che per noi hanno valore interpretativo.

PRESIDENTE. E allora pongo in votazione la formula sostitutiva della prima parte dell’articolo 12:

«Le provincie hanno facoltà di adattare alle loro particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme nelle seguenti materie».

(Non è approvata).

Pongo in votazione l’articolo 12 nel testo della Commissione:

«Le Provincie emanano norme legislative su le seguenti materie nei limiti indicati nell’articolo 5:

1°) polizia locale urbana e rurale;

2°) scuole materne; istruzione elementare, media, classica, scientifica, magistrale, tecnica ed artistica;

3°) assistenza scolastica».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 13. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

Capo IV.

Disposizioni comuni alla Regione ed alle Province.

Art. 13.

«Nelle materie e nei limiti entro cui la Regione o la Provincia può emanare norme legislative, le relative potestà amministrative, che in base all’ordinamento preesistente erano attribuite allo Stato, sono esercitate rispettivamente dalla Regione e dalla Provincia.

«Restano ferme le attribuzioni delle Province ai sensi delle leggi in vigore, in quanto compatibili con il presente statuto.

«Lo Stato può inoltre delegare, con legge, alla Regione, alla Provincia e ad altri enti pubblici locali funzioni proprie della sua amministrazione. In tal caso l’onere delle spese per l’esercizio delle funzioni stesse resta a carico dello Stato.

«La delega di funzioni amministrative dello Stato, anche se conferita con la presente legge, potrà essere modificata o revocata con legge ordinaria della Repubblica».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 14. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle province, ai comuni e ad altri enti locali o valendosi dei loro uffici.

«Le province possono delegare alcune loro funzioni amministrative ai comuni o ad altri enti locali o avvalersi dei loro uffici».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 15. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nella provincia di Bolzano l’insegnamento nelle scuole materne e nelle scuole d’istruzione elementare, post-elementare, media, classica, scientifica, magistrale, tecnica e artistica è impartito nella lingua materna degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna.

«Il provveditore agli studi di Bolzano deve avere la piena conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca e la sua assegnazione è disposta dal Ministro per la pubblica istruzione sentito il parere del Presidente della Giunta provinciale di Bolzano.

«Per la gestione dei servizi relativi alle scuole di cui al primo comma e per la vigilanza sulle medesime sono assegnati al provveditorato agli studi di Bolzano un viceprovveditore nonché ispettori e direttori didattici la cui lingua materna sia la stessa di quella degli alunni.

«Il gruppo linguistico tedesco deve essere rappresentato insieme con quello italiano nel Consiglio scolastico e in quello di disciplina per i maestri.

«Nelle scuole con lingua d’insegnamento tedesca è obbligatorio l’insegnamento della lingua italiana impartito da docenti la cui lingua materna sia l’italiana».

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Nel primo comma dove si dice che l’insegnamento «è impartito nella lingua materna degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna», a prescindere dalla forma che non mi sembra eccessivamente felice, proporrei che si dicesse: «da docenti regolarmente abilitati all’insegnamento della lingua stessa».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei fare una piccola osservazione di fatto: che cioè la Commissione si è preoccupata del prestigio degli insegnanti, perché, quando uno è abilitato ad una lingua che non è la propria materna, si trova anche nella nomenclatura, anche qualche volta nelle diciture più elementari a fare figure non brillantissime di fronte agli scolari. Per esempio, un oggetto qualunque lo denomina in modo che non è corrispondente all’uso locale, alla lingua parlata in loco. L’abilitazione è il risultato di uno studio, proviene da uno sforzo sempre maggiore e dà qualche risultato non del tutto sodisfacente per il prestigio dell’insegnante.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma con l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Malagugini:

«Nella provincia di Bolzano l’insegnamento nelle scuole materne e nelle scuole di istruzione elementare, post-elementare, media, classica, scientifica, magistrale, tecnica e artistica è impartito nella lingua materna degli alunni da docenti regolarmente abilitati all’insegnamento della lingua stessa».

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’articolo 15 nel testo della Commissione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 16. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I Presidenti delle Giunte provinciali esercitano le attribuzioni spettanti all’autorità di pubblica sicurezza in materia di industrie pericolose, di mestieri rumorosi e incomodi, di spettacoli, esercizi pubblici, agenzie, tipografie, mestieri girovaghi, operai e domestici, di malati di mente, intossicati e mendicanti, di minori di anni diciotto e di meretricio.

«Ai fini dell’esercizio delle predette attribuzioni i Presidenti delle Giunte provinciali si avvalgono anche degli organi di polizia statale.

«Le altre attribuzioni che le leggi di pubblica sicurezza vigenti devolvono al prefetto sono affidate ai questori.

«Restano ferme le attribuzioni devolute ai sindaci quali ufficiali di pubblica sicurezza o ai funzionari di pubblica sicurezza distaccati».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati propone di sopprimere il terzo comma di questo articolo. Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MORTATI. La proposta è suggerita dalla considerazione che mi sembra ovvia che uno Statuto regionale non possa regolare le sfere di competenza di organi statali. Ora, il Prefetto ed il Questore sono organi statali, e stabilire la sfera della loro competenza, non può essere compito di una legge regionale ma della legge dello Stato. Quindi mi pare fuor di luogo questa norma in uno Statuto regionale e ne propongo la soppressione.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Cosa vuol dire la parola «agenzie»? È una parola troppo generica.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Questa parola è nella legge di pubblica sicurezza.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Si tratta dei mediatori, delle agenzie di collocamento, delle agenzie di pubblicità, che sono contemplate nella legge di pubblica sicurezza e che hanno un titolo speciale. Sono attività per cui occorre la licenza della pubblica sicurezza con la relativa tassa annuale per poterle esercitare.

GRIECO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRIECO. Non conosco quali siano le attribuzioni spettanti all’autorità di pubblica sicurezza in materia di operai e di domestici. Ma perché queste attribuzioni sono legate a quelle relative ai pazzi ed alle meretrici? A che titolo gli operai ed i domestici sono confusi con queste categorie?

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Lo scopo di questo terzo comma, cominciando a parlare dell’emendamento Mortati, è quello di assicurare che queste funzioni, anziché passare ai presidenti delle Giunte provinciali organi dell’Ente locale restino esercitate da un organo dello Stato.

Ora, riteniamo che, dato l’ordinamento regionale che qui si crea, è difficile pensare che al disotto del Commissario del Governo nella Regione si abbiano ancora due prefetti nelle provincie. Esisterà un questore in ciascuna provincia; ed al questore passeranno quelle funzioni previste dalla legge di pubblica sicurezza e che attualmente sono attribuite al prefetto. Questa è la portata della norma. Non credo che possa dar luogo a difficoltà. Nulla vi è di strano che, facendo una legge particolare concernente una certa zona dello Stato, vi sia anche una disposizione particolare in questo senso.

Per quanto riguarda poi le varie materie indicate dal primo comma, si tratta di competenze che si concretano in licenze e autorizzazioni. Queste passerebbero ai Presidenti delle Giunte, attuando così un certo decentramento. Abbiamo esaminato queste materie una per una, e abbiamo constatato che non vi è nessun pericolo ad attribuirlo ai Presidenti delle Giunte provinciali.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene la sua proposta?

MORTATI. Non insisto.

GRIECO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRIECO. Proporrei di fare un richiamo esplicito alla materia del Titolo III della Legge di pubblica sicurezza.

PRESIDENTE. L’onorevole Uberti ha facoltà di esprimere il parere della Sottocommissione sulla proposta formulata dall’onorevole Grieco.

UBERTI, Relatore. Siccome in quel Titolo figurano altre attività, che, per ragioni di carattere politico, non si credette di includere nell’articolo in discussione, se facciamo il richiamo puro e semplice al Titolo della legge di pubblica sicurezza, comprendiamo anche quelle attività che sono state escluse.

GRIECO. Ad ogni modo, bisogna precisare meglio. Vorrei sapere in quali occasioni la legge di pubblica sicurezza si occupa degli operai e dei domestici.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il chiarimento richiesto dall’onorevole Grieco è forse fondato, perché la formulazione, così com’è, potrebbe dare l’impressione che effettivamente si diano al Presidente della Giunta provinciale, nell’esercizio dell’attività di pubblica sicurezza, attribuzioni che riguardino genericamente gli operai e i domestici; mentre non si tratta di questo.

Il Titolo III della legge di pubblica sicurezza concerne le «disposizioni relative agli spettacoli, agli esercizi pubblici, alle agenzie, tipografie, alle affissioni, ai mestieri girovaghi, agli operai ed ai domestici». Ora, il titolo è spiegato nei suoi articoli. Riportando tutto questo in un articolo, può sembrare che si dia una disposizione generale sugli operai, che non è certamente nella intenzione della Commissione. Quella disposizione si riferisce al rilascio di autorizzazioni da parte dell’autorità di pubblica sicurezza per l’esercizio di determinati mestieri, con riguardo specialmente all’età.

Si potrebbe accettare la proposta fatta dall’onorevole Grieco di indicare tutto ciò che riguarda la materia del Titolo III della legge di pubblica sicurezza.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La preoccupazione comprensibile dell’onorevole Grieco potrebbe essere soddisfatta, tenuto conto anche di quanto è stato detto dal Ministro per la grazia e la giustizia, dicendo: «…le attribuzioni spettanti all’autorità di pubblica sicurezza, previste dalle leggi vigenti in materia di industrie pericolose ecc.».

Sono esclusivamente quelle determinate attribuzioni previste in maniera precisa dalle leggi dello Stato, in materia di pubblica sicurezza, che ora sono esercitate dal questore, e che, in virtù di questa norma, saranno esercitate, negli stessi limiti e con gli stessi criteri, dal Presidente della Giunta provinciale.

La dizione «operai e domestici» che, isolata, potrebbe dare impressione diversa, viene ad essere ricondotta al suo esatto significato, quando noi la intendiamo riferita alle attribuzioni in questa materia previste dalle leggi vigenti.

Con questi chiarimenti credo che qualsiasi preoccupazione possa ritenersi eliminata.

GRIECO. La formulazione proposta non è molto soddisfacente, ma è migliore della precedente. Mi pare sia da evitare che gli operai siano elencati a fianco dei pazzi e delle meretrici. (Commenti).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei pregare l’onorevole Grieco di non insistere nella sua richiesta, della quale mi rendo perfettamente conto nello spirito. Ma, a sua volta, bisognerebbe che l’onorevole Grieco si rendesse conto delle esigenze di fronte a cui si è trovata la Commissione. Poteva intuirsi una aspirazione molto precisa all’esercizio in toto delle funzioni di pubblica sicurezza, secondo tendenze locali, da parte di autorità che tutti i componenti della Commissione non erano concordi ad investire. Ed allora si è pensato che, siccome la legge di pubblica sicurezza è unica e vale per tutto il territorio dello Stato, l’indicazione specifica delle singole competenze per materia, con la espressione: «attribuzioni spettanti all’autorità di pubblica sicurezza», lasciava allo Stato italiano l’intera legislazione di sostanza sulla pubblica sicurezza e le attribuzioni specifiche e precise passavano ai Presidenti di Giunte provinciali, solo limitatamente alle materie che venivano indicate, e quando non si indicava una determinata materia, quella restava esclusa.

Ora, sono state date certo molte di queste competenze, ma si tratta di quelle competenze che la Commissione ha ritenuto meno pregiudizievoli e che sono solo ed esclusivamente quelle previste nella legge dello Stato italiano e di cui lo Stato italiano ha sempre il diritto di governare la sorte.

Quindi, poiché non si volevano attribuire al Presidente della Giunta le facoltà di pubblica sicurezza concernenti, ad esempio, le affissioni, queste nell’elenco non si sono indicate; per altre materie la riserva implicita poteva apparire meno interessante ed allora si sono indicate le materie e le attribuzioni relative che c’erano già nella legge di pubblica sicurezza e non si è fatto che ricopiarle. Tutte queste espressioni trovano una spiegazione in quanto sono contenute nel testo della legge di pubblica sicurezza.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 16 con l’inciso proposto dall’onorevole Perassi:

«I Presidenti delle Giunte provinciali esercitano le attribuzioni spettanti all’autorità di pubblica sicurezza, previste dalle leggi vigenti, in materia di industrie pericolose, di mestieri rumorosi e incomodi, di spettacoli, esercizi pubblici, agenzie, tipografie, mestieri girovaghi, operai e domestici, di malati di mente, intossicati e mendicanti, di minori di anni diciotto e di meretricio».

(È approvato).

Pongo in votazione i restanti commi dell’articolo 16.

(Sono approvati).

Passiamo all’articolo 17. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Per l’osservanza delle leggi e dei regolamenti regionali e provinciali il Presidente della Giunta regionale e i Presidenti delle Giunte provinciali possono richiedere l’intervento e l’assistenza della polizia dello Stato».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo II: «Organi della Regione e delle Provincie. Capo I. Organi della Regione». Si dia lettura dell’articolo 18.

AMADEI, Segretario, legge:

«Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta regionale e il suo Presidente».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 19. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale è eletto con sistema proporzionale ed a suffragio universale diretto e segreto, secondo le norme stabilite con legge regionale.

«Il numero dei consiglieri regionali è in ragione di uno ogni quindicimila abitanti o frazione superiore a settemila e cinquecento abitanti, calcolati in base alla popolazione risultante dall’ultimo censimento secondo i dati ufficiali dell’Istituto centrale di statistica.

«Il territorio della Regione è ripartito nei collegi provinciali di Trento e Bolzano.

«Per l’esercizio del diritto elettorale attivo può essere stabilito il requisito della residenza nel territorio della Regione per un periodo ininterrotto non superiore a tre anni».

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Osservo che il numero dei consiglieri mi sembra eccessivo, tenendo conto che a questi consiglieri bisognerà pur dare una indennità. Forse sarebbe meglio aumentare il numero di 15 mila abitanti a 20 o 25 mila.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. La base di 15 mila è stata decisa appunto per dare la rappresentanza armonica a tutti i gruppi, ed è stata attentamente studiata. Mentre per le altre Regioni la cosa potrebbe essere facilmente modificabile, sarebbe meglio in questo caso non modificarla.

MALAGUGINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 19 testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 20. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione, dal presente Statuto e dalle altre leggi dello Stato».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 21. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale dura in carica quattro anni e la sua attività si svolge in sessioni biennali tenute alternativamente nelle città di Trento e di Bolzano.

«Le elezioni per il nuovo Consiglio sono indette dal Presidente della Giunta regionale due mesi prima della scadenza del quadriennio; il nuovo Consiglio è convocato dal Presidente della Giunta regionale entro un mese dalla proclamazione dei risultati delle elezioni».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 22. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I membri del Consiglio regionale rappresentano l’intera Regione.

«Non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 23. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I consiglieri regionali, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, prestano giuramento di essere fedeli alla Repubblica e di esercitare il loro ufficio al solo scopo del bene inseparabile dello Stato e della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 24. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale elegge nel suo seno il Presidente, il vicepresidente ed i segretari.

«Il Presidente ed il vicepresidente durano in carica un biennio.

«Nel primo biennio del funzionamento del Consiglio regionale il Presidente è eletto tra i consiglieri appartenenti al gruppo di lingua italiana ed il vicepresidente tra i consiglieri appartenenti al gruppo di lingua tedesca; nel secondo biennio il Presidente è eletto tra i consiglieri appartenenti a quest’ultimo gruppo ed il vicepresidente tra quelli appartenenti al primo gruppo.

«In caso di dimissioni o di morte del Presidente del Consiglio regionale, il Consiglio provvede all’elezione del nuovo Presidente, da scegliere nel gruppo linguistico al quale apparteneva il Presidente dimissionario o deceduto. La nomina deve avvenire nella prima successiva seduta ed è valida fino allo scadere del biennio in corso.

«Il vicepresidente coadiuva il Presidente e lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 25. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le norme che disciplinano l’attività del Consiglio regionale sono stabilite da un regolamento interno approvato a maggioranza assoluta dei consiglieri.

«Il regolamento interno stabilisce anche le norme per determinare l’appartenenza dei consiglieri ai gruppi linguistici».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 26. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente ed il vicepresidente del Consiglio regionale che non adempiano agli obblighi del loro ufficio sono revocati dal Consiglio stesso a maggioranza dei suoi componenti.

«A tale scopo il Consiglio regionale può essere convocato d’urgenza su richiesta di almeno un terzo dei consiglieri.

«Ove il Presidente od il vicepresidente del Consiglio regionale non provvedano alla convocazione entro quindici giorni dalla richiesta, il Consiglio regionale è convocato dal Presidente della Giunta regionale.

«Se il Presidente della Giunta regionale non convoca il Consiglio regionale entro quindici giorni dalla scadenza del termine prescritto nel comma precedente, la convocazione ha luogo a cura del Commissario del Governo.

«Qualora il Consiglio regionale non si pronunci, si provvede ai sensi dell’articolo seguente».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’Articolo 27. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale può essere sciolto quando compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge o non sostituisca la Giunta o il suo Presidente che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni.

«Il Consiglio può altresì essere sciolto per ragioni di sicurezza nazionale o quando, per dimissioni o impossibilità di formazione di una maggioranza, non sia in grado di funzionare.

«Lo scioglimento è disposto con decreto motivato dal Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri sentita, salvo i casi di urgenza, la Commissione parlamentare per le questioni regionali.

«Con lo stesso decreto di scioglimento è nominata una commissione di tre membri dei quali uno di lingua tedesca, scelti fra i cittadini eleggibili al Consiglio regionale. La commissione elegge nel suo seno il presidente, il quale esercita le attribuzioni di presidente della Giunta regionale. La commissione indice le elezioni del Consiglio regionale entro tre mesi ed adotta i provvedimenti di competenza della Giunta regionale e quelli di carattere improrogabile. Questi ultimi perdono la loro efficacia ove non siano ratificati dal Consiglio regionale, entro un mese dalla sua convocazione.

«In caso di scioglimento di un Consiglio provinciale si procede ad elezione suppletiva dei consiglieri regionali della circoscrizione provinciale interessata.

«I componenti del Consiglio provinciale disciolto continuano ad esercitare le funzioni di consiglieri regionali fino all’elezione preveduta nel comma precedente».

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Desidererei avere una spiegazione a proposito del comma 4°, dove si dice: «con lo stesso decreto di scioglimento è nominata una commissione di tre membri, dei quali uno di lingua tedesca… ecc.».

Di una analoga Commissione si fa cenno anche all’articolo 43; e si dice esplicitamente che un membro dovrà essere di lingua tedesca. È sottinteso, ritengo, che gli altri due debbano essere di origine e di lingua italiana. Per i ladini della Val Gardena e della Val Badia non è stata contemplata alcuna partecipazione; il che non mi par giusto.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di rispondere.

UBERTI, Relatore. Per i ladini c’è un titolo a parte. Bisogna tener conto dell’entità numerica effettiva di questa popolazione. Comunque, ci sono gli articoli 84, 85, 86 e 87 che parlano dell’uso della lingua tedesca e del ladino.

MALAGUGINI. Ma lì si tratta dell’uso della lingua. Nell’articolo in discussione si tratta invece di una Commissione che esercita i poteri della Giunta regionale, come all’articolo 43 ci si riferisce a una Commissione che sostituisce il Consiglio provinciale in caso di scioglimento. Nell’un caso e nell’altro si potrebbe far posto anche ai ladini, aumentando il numero dei membri da 3 a 5.

UBERTI, Relatore. Domani 15 mila ladini potranno avere un consigliere regionale. Questi potrà entrare anche nella Giunta regionale, ma non si può stabilirne il diritto.

MALAGUGINI. Non ci siamo intesi. Eppure mi pare di essermi spiegato chiaramente.

PRESIDENTE. Onorevole Malagugini, non faccia un dialogo, per quanto interessantissimo, con l’onorevole Uberti.

MALAGUGINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 27.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 28. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale è convocato dal suo Presidente in sessione ordinaria nella prima settimana di ogni semestre e, in sessione straordinaria, a richiesta della Giunta regionale o del Presidente di questa, oppure a richiesta di almeno un quinto dei consiglieri in carica, nonché nei casi previsti dal presente Statuto».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 29. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nelle materie non appartenenti alla competenza della Regione, ma che presentano per essa particolare interesse, il Consiglio regionale può emettere voti e formulare progetti. Gli uni e gli altri sono inviati dal Presidente della Giunta regionale al Governo per la presentazione alle Camere e sono trasmessi in copia al Commissario del Governo».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 30. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Giunta regionale è composta del Presidente della Giunta regionale, che la presiede e di assessori effettivi e supplenti.

«Il Presidente e gli assessori sono eletti dal Consiglio regionale nel suo seno a scrutinio segreto ed a maggioranza assoluta.

«La composizione della Giunta regionale deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici quali sono rappresentati nel Consiglio della Regione.

«Gli assessori supplenti sono chiamati a sostituire gli effettivi nelle rispettive attribuzioni, tenendo conto del gruppo linguistico al quale appartengono i sostituiti.

«Il Consiglio regionale stabilisce quale degli assessori deve sostituire il Presidente in caso di sua assenza o di impedimento».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 31. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente e i membri della Giunta regionale restano in carica finché dura il Consiglio regionale, e dopo la scadenza di questo provvedono solo agli affari di ordinaria amministrazione fino alla nomina del Presidente e dei componenti la Giunta da parte del nuovo Consiglio».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 32. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale o gli assessori che non adempiono agli obblighi stabiliti dalla Legge sono revocati dal Consiglio regionale.

«Se il Consiglio regionale non provvede, si fa luogo allo scioglimento del Consiglio regionale ai sensi dell’articolo 27».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 33. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Qualora per morte, dimissione o revoca del Presidente della Giunta regionale o degli assessori occorra procedere alle loro sostituzioni, il Presidente del Consiglio regionale convoca il Consiglio entro quindici giorni».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 34. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale rappresenta la Regione.

«Egli interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattano questioni che riguardano particolarmente la Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 35. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 36. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale determina la ripartizione degli affari tra i singoli assessori effettivi con proprio decreto da pubblicarsi nel bollettino della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 37. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«il Presidente della Giunta regionale emana, con suo decreto, i regolamenti deliberati dalla Giunta».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 38. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Giunta regionale è l’organo esecutivo della Regione. Ad essa spettano:

1°) la deliberazione dei regolamenti per la esecuzione delle leggi approvate dal Consiglio regionale;

2°) l’attività amministrativa per gli affari di interesse regionale;

3°) l’amministrazione del patrimonio della Regione nonché il controllo sulla gestione, a mezzo di aziende speciali dei servizi pubblici regionali di natura industriale e commerciale;

4°) le altre attribuzioni ad essa demandate dalla presente legge o da altre disposizioni;

5°) l’adozione in caso di urgenza di provvedimenti di competenza del Consiglio da sottoporsi per la ratifica al Consiglio stesso nella sua prima seduta successiva».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 39. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Giunta regionale deve essere consultata ai fini della istituzione e regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e dei trasporti che interessino in modo particolare la Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 40. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale può delegare alla Giunta regionale la trattazione degli affari di propria competenza ad eccezione dell’emanazione di provvedimenti legislativi».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Capo II: «Organi della Provincia».

Si dia lettura dell’articolo 41.

AMADEI, Segretario, legge:

«Sono organi della Provincia: il Consiglio provinciale, la Giunta provinciale e il suo Presidente».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 42. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Ciascun Consiglio provinciale è composto dei membri del Consiglio regionale della rispettiva Provincia; dura in carica quattro anni ed elegge nel suo seno il Presidente, i vicepresidente ed i segretari.

«In caso di dimissioni o di morte del Presidente, il Consiglio provinciale provvede all’elezione del nuovo Presidente nella prima successiva seduta.

«Il vicepresidente coadiuva il Presidente e lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 43. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Ai Consigli provinciali si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 21, 23, 25, 27 e 28.

«Nel primo biennio di attività del Consiglio provinciale di Bolzano il Presidente è eletto tra i consiglieri appartenenti al gruppo di lingua tedesca ed il vicepresidente fra quelli appartenenti al gruppo di lingua italiana; nel secondo il Presidente è eletto tra i consiglieri appartenenti al gruppo di lingua italiana ed il vicepresidente tra quelli appartenenti al gruppo di lingua tedesca.

«Per la provincia di Bolzano la composizione della commissione preveduta nell’articolo 27 deve adeguarsi alla effettiva consistenza dei gruppi linguistici che costituiscono la popolazione della Provincia stessa».

UBERTI, Relatore, Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Onorevole Presidente, la parola «effettiva» dell’ultimo comma deve essere soppressa: si tratta di un errore materiale.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni pongo ai voti il testo dell’articolo 43, con la soppressione richiesta dall’onorevole Uberti.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 44. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Giunta provinciale è composta del Presidente che la presiede, di assessori effettivi e supplenti eletti in seno al Consiglio provinciale, nella prima seduta ed a scrutinio segreto.

«Il Consiglio provinciale stabilisce quale degli assessori deve sostituire il Presidente in caso di sua assenza od impedimento.

«La composizione della Giunta provinciale di Bolzano deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici quali sono rappresentati nel Consiglio della provincia.

«Gli assessori supplenti della Giunta provinciale di Bolzano sostituiscono gli effettivi nelle rispettive attribuzioni tenendo conto del gruppo linguistico al quale appartengono i sostituiti».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 45. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Si applicano al Presidente ed agli assessori provinciali le disposizioni degli articoli 31, 32 e 33».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 46. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta provinciale ha la rappresentanza della Provincia.

«Adotta i provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di sicurezza e di igiene pubblica nell’interesse delle popolazioni di due o più Comuni.

«Il Presidente della Giunta provinciale determina la ripartizione degli affari fra i singoli assessori effettivi con proprio decreto da pubblicarsi nel Bollettino Ufficiale della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 47. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta provinciale emana, con suo decreto, i regolamenti deliberati dalla Giunta».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 48. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Alla Giunta provinciale spetta:

1°) la deliberazione dei regolamenti per la esecuzione delle leggi approvate dal Consiglio provinciale;

2°) la deliberazione dei regolamenti sulle materie che, secondo l’ordinamento vigente, sono devolute alla potestà regolamentare delle Provincie;

3°) l’attività amministrativa riguardante gli affari d’interesse provinciale;

4°) l’amministrazione del patrimonio della Provincia, nonché il controllo sulla gestione di aziende speciali provinciali per servizi pubblici;

5°) la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sui consorzi e sugli altri enti o istituti locali;

6°) le altre attribuzioni demandate alla Provincia dal presente Statuto o da altre leggi della Repubblica o della Regione;

7°) l’adozione in caso di urgenza di provvedimenti di competenza del Consiglio da sottoporsi per la ratifica al Consiglio stesso nella sua prima seduta successiva».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

PRESIDENTE. Passiamo al Titolo III: «Approvazione, promulgazione e pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali e provinciali». Si dia lettura dell’articolo 49.

AMADEI, Segretario, legge:

«I disegni di legge approvati dal Consiglio regionale o da quello provinciale sono comunicati al Commissario del Governo nella Regione e promulgati trenta giorni dopo la comunicazione, salvo che il Governo non li rinvii rispettivamente al Consiglio regionale od a quello provinciale col rilievo che eccedono le rispettive competenze o contrastano con gli interessi nazionali o con quelli di una delle due Provincie nella Regione.

«Ove il Consiglio regionale o quello provinciale li approvi nuovamente a maggioranza assoluta dei suoi componenti sono promulgati, se, entro quindici giorni dalla comunicazione, il Governo non promuove la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale, o quella di merito, per contrasto di interessi, davanti alle Camere. In caso di dubbio la Corte decide di chi sia la competenza.

«Se una legge è dichiarata urgente dal Consiglio regionale o da quello provinciale a maggioranza assoluta dei componenti rispettivi, la promulgazione e l’entrata in vigore, se il Governo consente, non sono subordinate ai termini indicati.

«Le leggi regionali e quelle provinciali sono promulgate rispettivamente dal Presidente della Giunta regionale o dal Presidente della Giunta provinciale e sono vistate dal Commissario del Governo nella Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 50. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le leggi regionali e provinciali ed i regolamenti regionali e provinciali sono pubblicati nel Bollettino Ufficiale della Regione, nei testi italiano e tedesco, ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo diversa disposizione della legge.

«In caso di dubbi l’interpretazione delle norme ha luogo sulla base del testo italiano.

«Copia del Bollettino Ufficiale è inviata al Commissario del Governo».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 51. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nel Bollettino Ufficiale della Regione sono altresì pubblicati in lingua tedesca le leggi ed i decreti della Repubblica che interessano la Regione, ferma la loro entrata in vigore».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 52. Se ne dia lettura

AMADEI, Segretario, legge:

«Le leggi approvate dai Consigli regionali e provinciali ed i regolamenti emanati dalla Giunta regionale e da quelle provinciali debbono essere pubblicati, per notizia, in una sezione apposita della Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. Non sono stati presentali emendamenti. E pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 53. Se no dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La legge regionale regola l’esercizio d’iniziativa popolare e del referendum per le leggi regionali e provinciali».

PRESIDENTE. Non sono stati presentali emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo IV: «Enti Locali». Si dia lettura dell’articolo 54.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nell’ordinamento degli enti pubblici locali sono stabilite le norme atte ad assicurare la rappresentanza proporzionale dei gruppi linguistici nei riguardi della costituzione degli organi degli enti stessi».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 55. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Spetta allo Stato la disciplina dell’organizzazione e del funzionamento degli enti pubblici che svolgono la loro attività anche al di fuori del territorio della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 56. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’ordinamento del personale dei comuni è regolato dai comuni stessi, salva l’osservanza dei principî generali che potranno essere stabiliti da una legge regionale».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo: principî generali, aggiungere le parole: stabiliti dalle leggi dello Stato e di quelli posti da leggi regionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Io, veramente, in questa materia mi sono poco raccapezzato, perché non so se l’emendamento e l’ordine del giorno preposto dall’onorevole Di Vittorio sia stato accolto e quale portata sia ad esso stata attribuita, cioè se i funzionari della Regione di cui si parla debbono considerarsi mantenuti nei ruoli dell’amministrazione statale. E se, in ogni caso, per questi funzionari dei Comuni debbono ritenersi applicabili le norme generali sullo stato giuridico, oppure no. Parrebbe di no, a onore di questa disposizione.

Data l’incertezza, io credo sia opportuno inserire il chiarimento proposto, che porterebbe anche questi funzionari sotto la salvaguardia o la garanzia di quelli che sono i principî generali dettati dallo Stato in materia.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. In primo luogo, osservo che l’espressione che si legge nell’articolo 56 è da collegarsi con l’articolo 5. Lo scopo dell’articolo 56 è di stabilire che l’ordinamento del personale dei Comuni è regolato dai Comuni stessi; dà cioè una certa autonomia ai Comuni in questo campo. Ma questa autonomia è limitata dall’osservanza dei principî generali che potranno essere stabiliti dalla legge regionale. A sua volta la legge regionale è emanata dalla Regione in virtù dell’articolo 5, e precisamente dal n. 1°) dell’articolo 5 che riguarda l’ordinamento del Comuni e delle Provincie. Ora, ogni legge regionale, emanata in virtù dell’articolo 5, deve osservare i principî stabiliti dalle leggi dello Stato. Per conseguenza i Comuni, nel regolare lo stato dei propri impiegati, devono conformarsi ai limiti stabiliti dalla legge regionale, la quale a sua volta non può contraddire ai principî stabiliti dalle leggi dello Stato.

MORTATI. Mi pare sia molto chiaro, perché l’articolo 5 parla di ordinamento della Regione e del personale ad essa addetto: qui si parla del personale degli uffici comunali.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. All’articolo 5, n. 1, si dice: Ordinamento dei Comuni.

MORTATI. Ordinamento dei Comuni, non del personale: le due materie sono considerate distintamente per quanto riguarda la Regione. Sicché può sorgere il dubbio che si sia voluto limitare, nel caso dei Comuni, al solo ordinamento degli uffici.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Nell’ordinamento dei Comuni c’entra tutto.

PRESIDENTE. Comunque, onorevole Mortati, ella mantiene la sua proposta aggiuntiva?

MORTATI. Mi rimetto alla Commissione.

PRESIDENTE. La Commissione ha dichiarato che non ritiene necessaria l’inclusione dell’emendamento Mortati. Pongo in votazione l’articolo 56 nel testo del progetto.

(È approvato).

Passiamo al Titolo V: «Demanio e patrimonio della Regione».

Si dia lettura dell’articolo 57.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le strade, le autostrade, le strade ferrate e gli acquedotti che abbiano interesse esclusivamente regionale e che saranno determinati nelle norme di attuazione del presente Statuto costituiscono il demanio regionale».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 58. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le foreste di proprietà dello Stato nella Regione, le miniere, le cave e torbiere, quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, gli edifici destinati a sedi di uffici pubblici regionali con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio regionale costituiscono il patrimonio indisponibile della Regione. I beni immobili patrimoniali dello Stato situati nella Regione sono trasferiti al patrimonio della Regione.

«Nelle norme di attuazione della presente legge saranno determinate le modalità per la consegna da parte dello Stato dei beni suindicati. I beni immobili situati nella Regione che non sono proprietà di alcuno spettano al patrimonio della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo VI: «Finanza della Regione e delle Provincie». Si dia lettura dell’articolo 59.

AMADEI, Segretario, legge:

«Sono devoluti alla Regione i proventi delle imposte ipotecarie percette nel suo territorio, relative ai beni situati nello stesso».

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. L’ultima frase «relative ai beni situati nello stesso» sembra inutile, come si è osservalo nella riunione di ieri sera.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Il signor Presidente della Commissione ha perfettamente ragione nel ricordare le conclusioni a cui siamo arrivati ieri sera. Ma forse, per l’ora tarda, principalmente noi rappresentanti dei Dicasteri finanziari, non abbiamo tenuto presente che effettivamente vi possono essere imposte ipotecarie percette in un determinato ufficio, relative a beni esistenti altrove.

Ieri sera, ripeto, abbiamo forse confuso i diritti di iscrizione ipotecaria con la vera imposta ipotecaria, la quale viene percepita presso gli uffici del registro, in cui si registrano gli atti.

Quindi pregherei di lasciare le parole «relative ai beni situati nello stesso».

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Perassi di dire se mantiene il suo emendamento.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Siamo d’accordo con l’onorevole Ministro: resta dunque la formulazione primitiva.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 59 nel testo del progetto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 60. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«È devoluta alla Regione una percentuale del gettito del lotto, dei monopoli e delle tasse e imposte sugli affari, riscosso nel territorio della Regione. La percentuale stessa è determinata ogni anno d’accordo fra il Governo e il Presidente della Giunta regionale».

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Vorrei chiedere un chiarimento alla Commissione, per sapere se questo accordo paritetico fra Governo e Presidente della Giunta impegni il Parlamento, che deve votare il bilancio nel quale saranno inseriti i gettiti del lotto, del monopolio e delle tasse.

PRESIDENTE. L’onorevole Uberti ha facoltà di rispondere.

UBERTI, Relatore. È evidente che questo articolo riflette una situazione sperimentale in cui si devono muovere questi statuti per la parte finanziaria.

Data questa situazione, si impegna il Parlamento in senso relativo. Una proposta del Governo può sempre essere respinta dal Parlamento.

Una voce. E quando si fa un trattato?

UBERTI, Relatore. Anche quando il Governo fa un trattato di qualsiasi genere, il Parlamentò può sempre non approvare un atto del Governo, con tutte le sue conseguenze di merito ed eventualmente politiche.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, lei ha preso l’iniziativa di questa discussione. Ha nulla da proporre?

MORTATI. Prendo atto che si tratta di atto che non impegna nessuno. È un accordo amministrativo che può essere derogato dal Parlamento, in conformità, del resto, ai principî.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 60 nel testo del progetto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 61. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«È devoluto alla Regione l’importo dell’imposta governativa sul consumo dell’energia elettrica e del gas, e dei diritti erariali sui biglietti dei cinematografi e dei pubblici spettacoli».

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Ritiriamo la frase: «e dei diritti erariali sui biglietti dei cinematografi e dei pubblici spettacoli», così come si è fatto ieri per la Sardegna.

PRESIDENTE. Sta bene.

CORSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORSINI. In questo articolo 61 evidentemente vi è una lacuna. Non è detto che si tratta dei proventi dell’imposta governativa sulla luce ecc. riscossi nella Regione. Quindi, a stretto rigore, la Regione avrebbe diritto di avere dallo Stato quelli riscossi in tutta Italia.

UBERTI, Relatore. In realtà è un’imposta sul consumo, ma tecnicamente nella legge è chiamata di «produzione».

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Credo che tutto si possa risolvere aggiungendo le parole: «nella Regione». Cioè: «È devoluto alla Regione l’importo dell’imposta governativa sul consumo dell’energia elettrica e del gas nella Regione».

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Rimane inteso che è consumo di energia che può pervenire alla Regione, e quindi non essere prodotta nella Regione, ma soltanto consumata nella Regione stessa; perché si può consumare nella Regione energia che per esempio proviene dalle centrali dell’Appennino.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Noi avevamo scritto imposta di consumo nella Regione, ma ieri sera, in occasione delle trattative per le finanze sarde il Ministro onorevole Pella a ci ha detto che nella legge si chiama «di produzione». Sentiremo dal Ministro Pella la spiegazione.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Possono coesistere due tributi: l’imposta governativa, che è di produzione; l’imposta comunale, che è di consumo. Qui, quando parliamo d’imposta governativa, si tratta dell’imposta sulla produzione. Ma riferita a quale quantitativo? A quel quantitativo di energia che è consumato nella Regione. Ecco quindi lo spirito dell’articolo nel quale è sott’inteso «nella Regione». Siccome queste due parole non si possono subito intendere, credo sia opportuno aggiungerle.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Volevo precisare il fatto che effettivamente nella Regione si può consumare dell’energia che viene da fuori.

PARIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARIS. Bisognerebbe dire: «sull’energia consumata nella Regione». La tassa è sul consumo.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Io credo che qui convenga adoperare sul piano sostanziale una certa latitudine: aderire al concetto della riscossione nella Regione prima di tutto, cioè che l’imposta governativa che si riscuote nella Ragione è per tutta l’energia consumata nella Regione, anche se per avventura venisse per qualche intercambio ad essere importata da altre Regioni. Non credo ci convenga fissarci troppo sulla terminologia, perché si tratta di terminologie che cambiano, non dico da mese a mese, ma di anno in anno. Qui dobbiamo affermare il concetto che quell’imposta governativa, che colpisce l’energia elettrica consumata nella Regione, è riscossa nella Regione, qualunque nome essa abbia. E dovremmo dire:

«L’imposta governativa riscossa nella Regione per l’energia elettrica ed il gas consumati nella Regione medesima».

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, accetta la formulazione proposta Ministro Pella?

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Accettiamo.

PRESIDENTE. La formulazione è la seguente:

«È devoluto alla Regione l’importo dell’imposta governativa riscossa nella Regione per l’energia elettrica e il gas consumati nella Regione stessa».

La pongo in votazione.

(È approvata).

Degli articoli 62 e 63 abbiamo deciso il invio a quando esamineremo l’articolo 91.

Passiamo all’articolo 64. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione può stabilire un’imposta di soggiorno, cura e turismo».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 65. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione ha facoltà di istituire con legge tributi propri in armonia coi principî dei sistemi tributari dello Stato e di applicare una sovraimposta sui redditi dei terreni e fabbricati».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 66. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione ha facoltà di emettere prestiti interni da essa esclusivamente garantiti per provvedere ad investimenti in opere di carattere permanente per una cifra non superiore alle entrate ordinarie».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 67. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Sono devoluti alle Provincie i nove decimi del gettito delle imposte erariali sui redditi dei terreni e dei fabbricati e sui redditi agrari».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 68. So ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Sono devoluti alle Provincie i nove decimi del gettito dell’imposta sui redditi di ricchezza mobile prodotti nei loro territori.

«Nelle norme di attuazione della presente legge saranno determinati i criteri per la individuazione dei redditi prodotti nella Regione, ai fini dell’applicazione del comma precedente».

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Prego la Commissione ed i colleghi di aderire al concetto adottato stamani per lo Statuto sardo, cioè il concetto della riscossione; per cui propongo di sostituire alla parola «prodotti» nel primo comma, la parola «riscossa» e di sopprimere il secondo comma, che non ha più ragion d’essere.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Sottocommissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Dato il precedente dello Statuto sardo, la Commissione accetta la proposta fatta dall’onorevole Ministro delle finanze.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 68, nella seguente formulazione:

«Sono devoluti alle Provincie i nove decimi del gettito dell’imposta sui redditi di ricchezza mobile riscossa nei loro territori».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 69. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione ha facoltà di autorizzare con legge aumenti di imposte, di tasse e di contributi, comprese le imposte di consumo spettanti ai Comuni e alle Provincie, nonché le eccedenze delle sovrimposte fondiarie, nella misura necessaria a conseguire il pareggio dei bilanci».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 70. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Allo scopo di adeguare le finanze delle Provincie al raggiungimento delle finalità ed all’esercizio delle funzioni stabilite dalla legge, ad esse è assegnata annualmente dal Consiglio regionale una quota delle entrate tributarie della Regione in proporzione del gettito ricavato rispettivamente nel territorio delle due Provincie.

«Al medesimo scopo la Regione può, in casi eccezionali, assegnare una quota di integrazione ai Comuni».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 71. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione e le Provincie possono prendere visione delle operazioni di accertamento compiute dagli uffici tributari dello Stato e fornire ad essi dati ed informazioni. Gli uffici stessi sono tenuti a riferire alla Regione e alle Provincie i provvedimenti adottati in seguito alle informazioni fornite».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 72. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione, le Provincie ed i Comuni hanno un proprio bilancio per l’esercizio finanziario che coincide con l’anno solare».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 73. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I bilanci predisposti dalla Giunta regionale ed i rendiconti finanziari accompagnati dalla relazione della Giunta stessa sono approvati con legge del Consiglio regionale.

«Per l’approvazione è necessario il voto favorevole della maggioranza dei consiglieri della provincia di Trento e di quelli della provincia di Bolzano. Se tale maggioranza non si forma, l’approvazione stessa è data dal Ministero dell’interno».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 74. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Fino a quando gli scambi di prodotti con l’estero sono soggetti a limitazioni ed a autorizzazioni dello Stato, è in facoltà della Regione di autorizzare operazioni del genere nei limiti che saranno stabiliti d’accordo fra il Governo dello Stato e la Regione.

«In caso di scambi con l’estero sulla base di contingenti che interessano l’economia della Regione, verrà assegnata a questa una quota parte del contingente di importazione ed esportazione da stabilirsi d’accordo fra il Governo centrale e la Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 75. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le disposizioni generali sul controllo valutario emanate dallo Stato hanno vigore anche nella Regione.

«Lo Stato, tuttavia, destina, per la necessità di importazione della Regione, una quota parte della differenza attiva fra le valute provenienti dalle esportazioni tridentine e quelle impiegate per le importazioni».

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Sarebbe interessante che restasse traccia nel verbale, quale interpretazione dello spirito dell’articolo, che il secondo comma ha ragione di essere se ed in quanto sussista una disciplina di controllo valutario, cioè che il secondo comma non ha più significato il giorno in cui vi sia libertà valutaria. Penso che sia molto evidente, ma sarebbe interessante che l’autorevole pensiero della Commissione risultasse dal verbale.

UBERTI, Relatore. Se il Ministro desidera, noi confermiamo l’interpretazione che egli ha data. Se domani non c’è alcun controllo valutario, evidentemente la norma cade.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 75, con i chiarimenti forniti dal Ministro e dal Relatore.

(È approvato).

Passiamo al titolo VII: «Rappresentanza del Governo nella Regione». Si dia lettura dell’articolo 76.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Commissario del Governo nella Regione:

1°) coordina, in conformità alle direttive del Governo, lo svolgimento delle attribuzioni dello Stato nella Regione e vigila sull’andamento dei rispettivi uffici, salvo quelli riflettenti l’amministrazione della giustizia, la difesa e le ferrovie;

2°) vigila sull’esercizio da parte della Regione, delle Provincie e degli altri enti pubblici locali, delle funzioni ad essi delegate dallo Stato e comunica eventuali rilievi al Presidente regionale o provinciale;

3°) compie gli atti già demandati al prefetto in quanto non siano affidati dal presente Statuto o da altre leggi ad organi della Regione o ad altri organi dello Stato».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 77. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Commissario del Governo provvede al mantenimento dell’ordine pubblico, del quale risponde verso il Ministro dell’interno.

«A tale fine egli può avvalersi degli organi e delle forze di polizia dello Stato, richiedere l’impiego delle altre forze armate ai termini delle vigenti leggi e adottare i provvedimenti previsti nell’articolo 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

«Restano ferme le attribuzioni devolute dalle leggi vigenti al Ministero dell’interno».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo VIII: «Organi giurisdizionali».

L’onorevole Mortati ha proposto di sopprimere l’intero Titolo. Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MORTATI. Anzitutto trovo una anomalia, nella intitolazione del Titolo: Organi giurisdizionali. Sorge il dubbio che si voglia fare riferimento agli organi giurisdizionali della Regione o dello Stato, perché evidentemente, non potrebbe trovar posto nella presente sede di Statuto la menzione degli organi giurisdizionali dello Stato. Per quanto riguarda il contenuto degli articoli, c’è da osservare che l’articolo 78 non è che una riproduzione pedissequa del testo dell’articolo 125 della Costituzione e perciò mi pare si renda inutile la riproduzione di questo testo. Più importante è l’articolo 79, che costituisce una innovazione rispetto al diritto vigente, nel senso che l’organizzazione e la sorveglianza degli uffici di conciliazione è delegata per legge, o meglio trasferita sostanzialmente alla competenza del Presidente della Giunta regionale. Mi pare che questo principio, sebbene di modesta portata pratica, introduca un elemento che vulnera il principio dell’unità della giurisdizione, il quale implica unità delle attività relative alla materia dell’organizzazione giudiziaria, che non possono non spettare che allo Stato e a nessun altro che allo Stato. Né comprendo la ragione che può aver motivata questa deviazione dai principî generali, la quale quindi risulta sfornita di alcuna giustificazione. Forse l’unico punto che si può conservare è l’ultimo comma dell’articolo 79, che riguarda la conoscenza delle lingue italiana e tedesca per i conciliatori, i viceconciliatori, i cancellieri e gli uscieri degli uffici di conciliazione. Ma questa disposizione si può inserire in altra parte, laddove si parla della parità linguistica di queste Regioni.

Gli articoli 80 e 81 costituiscono un ulteriore svolgimento della delega di funzioni giudiziarie, che io trovo non ammissibile. Pertanto insisto nella proposta di soppressione dell’intero Titolo.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Perassi di esprimere l’avviso della Sottocommissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Le obiezioni dell’onorevole Mortati, per quanto, come sempre, acute, mi pare però che non siano tali da giustificare la soppressione di tutto il Titolo.

Per quanto riguarda l’articolo 78, in realtà esso riproduce il secondo comma dell’articolo 125 della Costituzione. Da questo punto di vista non vi sarebbero difficoltà a toglierlo ed io pregherei l’onorevole Mortati di lasciare, in sede di coordinamento, la decisione se convenga toglierlo o no.

L’onorevole Mortati solleva una questione di merito per gli articoli 79 e seguenti. La questione giuridica che solleva è questa: a sua impressione, queste disposizioni lederebbero in qualche misura il principio dell’unità della giurisdizione dello Stato. Senonché, come risulta in maniera espressa dall’articolo 79, queste funzioni che sono attribuite al Presidente della Giunta regionale in materia di nomina, decadenza, revoca, dispensa dall’ufficio dei giudici conciliatori, sarebbero funzioni esercitate da quel Presidente in virtù di delegazione del Presidente della Repubblica.

Faccio presente poi che queste disposizioni non sono una novità escogitata dalla Commissione. Essa non ha fatto che copiarle dall’ordinamento già vigente della Val d’Aosta, ordinamento che ritengo sia stato fatto d’accordo col Ministero della giustizia.

Per queste considerazioni, superato ogni scrupolo giuridico, mi pare che la delega in questa materia limitatissima al Presidente della Giunta regionale sia giustificata in quanto si tratta di assicurare che questi organi giudiziari siano meglio attrezzati con riguardo alle speciali condizioni della Regione.

Per queste considerazioni, pregherei l’onorevole Mortati di non insistere nella proposta soppressiva dell’intero Titolo.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Credo di dover insistere, salvo che per l’ultimo comma dell’articolo 79, di cui però ho già proposto la conservazione in altra sede. Le considerazioni dell’onorevole Perassi non hanno affatto diminuito la validità delle osservazioni da me precedentemente formulate.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Potrebbe rimanere nella facoltà della Commissione, al momento della licenza definitiva del testo da pubblicarsi, l’eventuale cambiamento della dicitura «organi giurisdizionali» in quella di «giudici conciliatori», in quanto soppresso eventualmente l’articolo 78, che è una pura ripetizione, dal testo della Costituzione, gli articoli 79, 80 e 81 si riferiscono solo ai giudici conciliatori, ed è chiaro che essi vengono nominati per delega del Presidente della Repubblica. Allora, non si parlerebbe più di organi giurisdizionali, in senso generico e troppo ampio, e si preciserebbe col titolo «giudici conciliatori».

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta Mortati, soppressiva dell’intero Titolo VIII, salvo l’ultimo comma dell’articolo 79.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Passiamo all’articolo 78, del quale l’onorevole Mortati ha, a parte, chiesto la soppressione:

«Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado secondo l’ordinamento che verrà stabilito con legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione».

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. A proposito dell’articolo 79 debbo rilevare che si tratta di una concessione alla quale si dà, localmente, molta importanza. Si dà cioè una certa importanza a questi conciliatori. Poiché è una questione che niente costa allo Stato e si tratta di delega del Presidente della Repubblica, non capisco perché non si voglia accettare. Non v’è una obiezione sostanziale, e mi pare che si possa lasciare così come è.

È questa una opinione personale; non voglio evidentemente influenzare l’Assemblea.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Chiedo alla Commissione: si tratta di giudici conciliatori ordinari?

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Sì.

BERTONE. Ma questi sono nominati dal Presidente della Corte d’appello in base alla legge sull’ordinamento giudiziario. Bisognerà allora dire che si modifica la legge sull’ordinamento giudiziario. I giudici attualmente esistenti in quella Regione sono stati nominati dal Presidente della Corte d’appello. Bisogna dirlo chiaramente se si vuole modificare la legge sull’ordinamento giudiziario. (Commenti).

UBERTI, Relatore. V’è già il precedente della Val d’Aosta.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prima di risolvere la questione dell’articolo 79, che si riferisce ai conciliatori, dobbiamo definire l’articolo 78. Ha facoltà di parlare l’onorevole Perassi per esprimere il parere della Sottocommissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Abbiamo riconosciuto che l’articolo 78 non fa che ripetere un articolo della Costituzione, e quindi non abbiamo nulla in contrario a toglierlo. Tuttavia, vorrei pregare l’onorevole Mortati di rinviare questa questione al coordinamento.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. L’articolo v’è già nella Costituzione, però in questo Statuto si sono ripetuti altri articoli della Costituzione.

Anche se una ripetizione non ci fa completare il quadro, togliere l’articolo potrebbe avere un significato.

Quindi prego l’onorevole Mortati di non insistere sulla sua proposta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 78, del quale l’onorevole Mortati chiede la soppressione.

(È approvato).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 79. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Alla nomina, alla decadenza, alla revoca, alla dispensa dall’ufficio dei giudici conciliatori e viceconciliatori, provvede il Presidente della Giunta regionale in virtù di delegazione del Presidente della Repubblica, osservate le altre norme in materia, stabilite dall’ordinamento giudiziario.

«L’autorizzazione all’esercizio delle funzioni di cancelliere e di usciere presso gli uffici di conciliazione è data alle persone che hanno i requisiti prescritti dall’ordinamento giudiziario, dal Presidente della Giunta regionale.

«Alla revoca ed alla sospensione temporanea dell’autorizzazione, nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario, provvede lo stesso Presidente.

«Nei comuni del territorio della provincia di Bolzano, per la nomina a conciliatori, viceconciliatori, cancellieri ed uscieri degli uffici di conciliazione è richiesta la piena conoscenza delle lingue italiana e tedesca».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 80. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La vigilanza sugli uffici di conciliazione è esercitata dalle Giunte provinciali».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 81. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nei comuni divisi in borgate o frazioni possono essere istituiti, con legge provinciale, uffici distinti di giudice conciliatore».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo IX: «Controllo della Corte costituzionale» del quale l’onorevole Mortati propone la soppressione.

MORTATI. Rinunzio.

PRESIDENTE. Sta bene. Si dia lettura dell’articolo 82.

AMADEI, Segretario, legge:

«La legge regionale o provinciale può essere impugnata davanti la Corte costituzionale per violazione della Costituzione o del presente statuto o del principio di parità tra i gruppi linguistici.

«L’impugnazione può essere esercitata dal Governo.

«La legge regionale può, altresì, essere impugnata da uno dei Consigli provinciali della Regione; la legge provinciale dal Consiglio regionale o dall’altro Consiglio provinciale della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Pongo in votazione l’intitolazione e l’articolo 82.

(Sono approvati).

Passiamo all’articolo 83. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le leggi e gli atti aventi valore di legge della Repubblica possono essere impugnati dal Presidente della Giunta regionale, su deliberazione del Consiglio regionale, per violazione del presente statuto.

«Copia dell’atto di impugnazione deve essere inviata al Commissario del Governo».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo X: «Uso della lingua tedesca e del ladino». Si dia lettura dell’articolo 84.

AMADEI, Segretario, legge:

«Fermo restando il principio che nella Regione la lingua ufficiale è l’italiano, l’uso della lingua tedesca nella vita pubblica viene garantito da quanto in materia dispongono le norme contenute nel presente Statuto e nelle leggi speciali della Repubblica».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Pongo in votazione l’intitolazione e l’articolo 84.

(Sono approvati).

Passiamo all’articolo 85. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano possono usare la loro lingua nei rapporti con gli organi ed uffici della pubblica amministrazione situati nella Provincia o aventi competenza regionale.

«Nelle adunanze degli organi collegiali della Regione, delle Provincie e degli enti locali può essere usata in lingua tedesca.

«Gli organi e gli uffici, di cui al comma precedente, usano nella corrispondenza e nei rapporti orali la lingua del richiedente. Ove sia avviata di ufficio, la corrispondenza si svolge nella lingua presunta del destinatario».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 86. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nella provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca se la legge provinciale ne abbia accertata l’esistenza ed approvata la dizione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 87. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione è tenuta a garantire l’insegnamento del ladino nelle scuole elementari delle località ove esso è parlato.

«Le Provincie e i Comuni devono altresì rispettare la toponomastica, la cultura e le tradizioni delle popolazioni ladine».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo m votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo XI: «Disposizioni integrative e transitorie». Si dia lettura dell’articolo 88.

AMADEI, Segretario, legge:

«Per le modificazioni della presente legge si applica il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali.

«L’iniziativa per la revisione appartiene anche al Consiglio regionale».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Pongo in votazione l’intitolazione e l’articolo 88.

(Sono approvati).

Passiamo all’articolo 89. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Ferma la disposizione contenuta nell’articolo precedente, le norme del titolo VI e quelle dell’articolo 10 possono essere modificate con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e della Regione.

«La disposizione, di cui agli articoli 24 e 43, relativa al cambiamento biennale del Presidente del Consiglio regionale e di quello del Consiglio provinciale di Bolzano, può essere modificata con legge dello Stato alle condizioni previste nel comma precedente».

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Domanderei che in questo articolo fosse incluso anche un richiamo all’articolo 74,

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. L’articolo 74 è già compreso nel titolo VI e, per tutte le norme del titolo VI, vale il primo comma.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Dossetti se insiste.

DOSSETTI. Non insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’articolo 89.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 90. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Dopo un anno dalla costituzione dei primo Consiglio regionale cessano le integrazioni dei bilanci dei Comuni e delle Provincie a carico dello Stato».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 91. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I termini per l’applicazione dell’articolo 52 del testo unico dalle leggi sulle acque pubbliche e sugli impianti elettrici, approvato con decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, che risultassero prescritti, sono riaperti a favore dei Comuni e delle Provincie, a partire dalla entrata in vigore del presente Statuto».

PRESIDENTE. Ricordo che contemporaneamente a questo articolo dobbiamo esaminare l’articolo 10, già letto, e gli articoli 62 e 63 del seguente tenore:

Art. 62.

«Per le concessioni di grande derivazione di acque pubbliche esistenti nella Regione, accordate o da accordarsi per qualunque scopo, lo Stato cede a favore della Regione i nove decimi dell’importo del canone annuale stabilito a norma di legge».

Art. 63.

«La Regione può stabilire un’imposta, in misura non superiore a lire 0,10, per ogni chilowatt-ora di energia elettrica prodotta nella Regione.

«È soppressa, nell’ambito del territorio della Regione, l’applicazione dell’articolo 53 del testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775».

Onorevole Nobili, lei che ha già fatto la proposta relativamente alla connessione di questi articoli, avrà probabilmente qualche cosa da dire in proposito.

NOBILI TITO ORO. Onorevole Presidente, mi pare che, non essendo io presentatore di emendamenti, si debba dare la precedenza allo svolgimento degli emendamenti. Si eviteranno per tal modo delle inutili ripetizioni, perché io mi farò dovere, nell’esporre talune considerazioni, di astenermi da rilievi che fossero stati già trattati dai proponenti. E potrò anche limitarmi a semplici dichiarazioni di voto sugli emendamenti medesimi.

PRESIDENTE. Sta bene. Come si ricorderà, hanno presentato emendamenti all’articolo 10 gli onorevoli Pat, Dossetti o il Ministro Corbellini.

L’onorevole Pat ha presentato il seguente emendamento all’articolo 10:

«Sostituire il testo con il seguente:

«Nelle concessioni di grandi derivazioni per produzione di energia elettrica è riservato alla Regione, a prezzo di costo, per servizi pubblici o qualsiasi altro pubblico interesse, nonché per usi domestici, l’artigianato e l’agricoltura della Regione stessa, un quantitativo di energia non superiore al 12 per cento di quella ricavata dalla portata minima continua, anche se regolata, da consegnarsi alle officine di produzione e sulla linea di trasporto ad alta tensione collegata con le officine stesse nel punto più conveniente per la Regione.

«Per la richiesta e l’utilizzazione dell’energia riservata alla Regione si applicano le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 52 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.

«In mancanza di accordo tra le parti, il prezzo è determinato dal Ministero dei lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, ed il governo regionale, tenuto conto delle caratteristiche della energia richiesta e comprese le quote per interessi e ammortamenti.

«Il Presidente della Giunta regionale ha facoltà di provocare dagli organi competenti la dichiarazione di decadenza delle concessioni di grandi derivazioni, ove ricorrano lo condizioni previste dalla legge».

«Subordinatamente, sopprimere, al secondo comma, le parole: già accordate all’entrata in vigore della presente legge e per quelle».

Ha facoltà di svolgerlo.

PAT. Onorevole Presidente, mi limito ad alcune brevi considerazioni sull’articolo 10.

L’articolo 10 del progetto presentato dalla Commissione prevede che, nelle nuove concessioni, si faccia obbligo al concessionario di fornire gratuitamente alla Regione il 6 per cento dell’energia. Inoltre, per le vecchie e per le nuove concessioni, viene fatto obbligo ai concessionari di fornire un ulteriore 6 per cento dell’energia prodotta, a prezzo di costo.

Ora, l’onorevole Uberti è insorto molto energicamente all’annuncio dell’emendamento da me presentato; però, se pure vi sono delle fondatissime ragioni da parte della Commissione per presentare l’articolo così come è stato formulato, io mi permetto di fare delle altre considerazioni, di prendere un po’ la penna in mano e di vedere quali cifre giocano in queste percentuali che sono state messe a disposizione della Regione sia a titolo gratuito sia a prezzo di costo.

Gli impianti già esistenti assommano una produzione annua di 2 miliardi e 600 milioni di chilowatt-ora. Tenuto conto dell’energia ricavata dalla portata minima continua, arriviamo, calcolato il 6 per cento a prezzo di costo, a mettere a disposizione della Regione 110 milioni di chilowatt-ora. Questo per gli impianti già esistenti. La Regione assorbe attualmente, per quei motivi previsti dall’articolo 10, circa 100 milioni di chilowatt-ora all’anno; dei quali circa 50 milioni per consumi domestici e per consumi di pubblico interesse, e altri 50 milioni circa per l’artigianato e l’agricoltura. Quindi il 6 per cento ceduto a prezzo di costo copre già il fabbisogno di tutta la Regione in questo settore.

Con il 6 per cento gratuito, che verrebbe messo a disposizione dagli impianti di nuova costruzione, arriveremmo ad altri circa 115 milioni di chilowatt-ora, forniti gratuitamente dai gruppi elettrici, oltre a 115 milioni a prezzo di costo; cioè altri 330 milioni circa di chilowatt-ora.

Ora io mi preoccupo di una cosa anche di carattere e di interesse nazionali, ed è questa: finché la Regione assorbe l’energia che le è strettamente necessaria per gli usi domestici o per gli usi di interesse pubblico, nonché per l’artigianato e l’agricoltura, siamo perfettamente d’accordo. Ma se noi mettiamo a disposizione della Regione un quantitativo nettamente, anzi enormemente, superiore al vero, al reale fabbisogno della Regione stessa, si determinerà, evidentemente e logicamente, uno spreco, uno sciupio di energia a detrimento degli interessi della Nazione. (Commenti – Interruzione del deputato Caporali).

Il mio emendamento tende quindi a limitare un po’ queste concessioni, che ritengo eccessive, attribuite alla Regione tridentina, e si limita a concedere alla Regione stessa il 12 per cento dell’energia ricavata dalla portata minima continua a prezzo di costo. In sostanza, la Regione verrebbe ad avere una disponibilità di energia elettrica indubbiamente sufficiente, largamente sufficiente per tutti i bisogni previsti dall’articolo 10, e che sono mantenuti integralmente nell’emendamento che ho presentato.

CAPORALI. Per i bisogni di oggi; ma per quelli di domani?

PAT. Mi pare che non vi sia altro da aggiungere. Io ho voluto sottoporre agli onorevoli colleghi queste considerazioni; decidano loro se l’emendamento da me proposto non tenga sufficiente conto dei bisogni e delle necessità della Regione.

PRESIDENTE. L’onorevole Dossetti ha proposto i seguenti emendamenti all’articolo 10:

«Al primo comma sopprimere le parole: o qualsiasi altro pubblico interesse; alle parole: pari al sei per cento, sostituire: fino al sei per cento».

«Sopprimere il II, III e IV comma».

«Aggiungere: Per la utilizzazione delle riserve di energia sovra prevista valgono le procedure e i termini stabiliti dal testo unico della legislazione sulle acque».

Ha facoltà di svolgerli.

DOSSETTI. Il mio emendamento differisce notevolmente da quello dell’onorevole Pat, e si ispira ad una questione di principio, per la quale non mi sembra opportuno di addentrarmi nelle cifre. Per me la questione è un’altra. Si tratta di non violare i principî fondamentali dell’economia unitaria nazionale e di solidarietà fra le diverse Regioni; soprattutto si tratta di non introdurre un principio la cui portata potrebbe avere conseguenze gravissime ove fosse rivendicata l’applicazione analoga da altre Regioni, e cioè il principio di una riserva a favore di questo prodotto per i servizi pubblici e a favore della Regione, con l’introduzione di una specie di autarchia regionale e di autonomia chiusa che è in contrasto col ritmo generale e con orientamento dell’economia dei nostri tempi.

Perciò io chiedo che resti fermo l’articolo 10, primo comma con la soppressione della frase «o qualsiasi altro pubblico interesse» la cui latitudine o mancanza di preciso contenuto non può non risultare evidente.

Resta quindi garantita alla Regione la possibilità di avere una quota fino al 6 per cento di quella ricavata ecc., ma per servizi pubblici, in modo che lo Stato sia garantito che questa quota non sarà impiegata per altri scopi che potrebbero essere molto lontani rispetto a quello dei servizi pubblici, ove si volesse fare una lata interpretazione della già latissima frase, «qualsiasi altro pubblico interesse».

In secondo luogo chiedo, in conformità dei principî esposti, la soppressione del secondo e, conseguentemente, del terzo e del quarto comma che, indipendentemente dagli oneri delle società idroelettriche, sono quelli che di fatto violano il principio dell’unitarietà, dell’economia nazionale e la possibilità della manovra di questo prodotto così indispensabile alla Nazione, manovra da effettuarsi in modo unitario.

Infine, per garantire che questa manovra unitaria sia fatta in conformità cogli interessi generali della Nazione e che le concessioni o riserve riconosciute alla Regione Tridentina non contrastino con gli interessi generali dello Stato, chiedo che per l’utilizzazione delle riserve di energia prevista dall’articolo 10 primo comma, sia detto che vigono le disposizioni e le norme della legislazione apposita, od in particolare quelle degli articoli 52 e 53.

Quanto all’articolo 63 ne chiedo la soppressione per gli stessi motivi, perché contrasta coi principî di unitarietà di direttive dell’economia nazionale e attribuisce alla Regione tridentina un potere che va al di là dei principî disposti dall’articolo 120 della Costituzione.

PRESIDENTE. Il Ministro Corbellini ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’articolo 10:

«Le ferrovie italiane dello Stato sono esenti dall’obbligo previsto dai precedenti commi nei riguardi dell’energia prodotta e utilizzata per i propri servizi».

Ha anche presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’articolo 63:

«Da tale imposta sono esenti le ferrovie dello Stato nei riguardi dell’energia prodotta e utilizzata per i propri servizi».

Ha facoltà di svolgerli.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Per mettere nei termini pratici la consistenza di questi provvedimenti, volevo dire brevemente qual è la portata economica effettiva di essi per poter giudicare quantitativamente il fenomeno.

Abbiamo oggi circa 2 miliardi e 600 milioni di chilowatt-ora di energia prodotta annualmente nell’Alto Adige-Trentino, ma la concessione gratuita alla Regione del 6 per cento accennato dall’onorevole Uberti è soltanto riferito alla portata minima continua, anche se regolata. Bisogna ricordare chi siamo in zona alpina, dove, il regime idrico invernale ha una portata molto ridotta secondo le altitudini dei bacini; ed esso è quello che definisce la portata minima che deve venire ceduta alla Regione in base all’articolo 10. Tale portala minima, per i bacini in questione è, grosso modo, del 40 per cento o poco meno della portata totale e quindi non è più il 6 per cento, ma è qualche cosa di poco meno del 3 per cento, esattamente il 2,8 per cento.

L’onere che è dato dall’altro 10 per cento che deve cedersi a semplice rimborso di spose (e nelle spese s’intendono quelle dipendenti da tutti gli oneri derivanti dall’esercizio industriale compreso il servizio del capitale impiegato, l’ammortamento ed esclusi soltanto gli utili industriali) non ha una influenza determinante sul costo di produzione. Anche qui trattasi di una percentuale sulla portata minima invernale come la precedente, e quindi rappresenta soltanto il 4 per cento circa dell’energia prodotta.

Comunque, se vediamo adesso di riportare questo secondo 4 per cento ai nuovi impianti che si dovranno costituire, ho fatto il conto che i nuovi impianti previsti, e che dovranno attuarsi nel prossimo quinquennio, nella zona Alto-atesina potranno produrre qualche cosa come 4 miliardi e mezzo di chilowatt-ora annui. Allora su questi 4 miliardi e mezzo si preleverà il 4 per cento a rimborso spese come sopra ho detto, e cioè 160 milioni di chilowatt-ora anno.

Quali sono gli oneri che deriveranno ai concessionari dei bacini idroelettrici? Dal calcolo che ho fatto essi possono riassumersi così: per l’energia che si deve concedere a titolo gratuito che è sull’ordine di 126 milioni di chilowatt-ora annui i concessionari subiscono l’onere del costo di produzione che, presunto in circa 5-6 lire il chilowatt-ora, porta ad una somma annua da 630 a 750 milioni. Essi poi debbono pagare, se ciò sarà ritenuto dalla Regione, una imposta che sarà al massimo di 10 centesimi per chilowatt-ora prodotto corrispondenti all’onere di cui all’articolo 63; e quindi vengono a spendere qualche cosa come una somma dell’ordine di altri 750 milioni circa corrispondenti all’imposta per l’energia attualmente prodotta di 2,6 miliardi di chilowatt-ora annui a quella producibile coi nuovi impianti di 4,5 miliardi di chilowatt-ora.

Qual è il reddito di tutta l’energia idroelettrica prodotta nell’Alto Adige quando saranno completati gli impianti previsti? Per un totale annuo di circa 7 miliardi di chilowatt-ora prodotti con gli impianti del tipo di quelli che abbiamo studiato nelle zone ancora da valorizzare (l’ultima da noi studiata è quella degli impianti del Gadera-Rienza, che porterà a circa un miliardo di chilowatt-ora l’energia annua prodotta e che forse potremo sfruttare quasi completamente per le necessità delle Ferrovie dello Stato) è qualche cosa dell’ordine di 6 lire a chilowatt-ora. Veniamo cioè su 7 miliardi di chilowatt-ora prodotti in totale ad avere un reddito di 42 miliardi sui quali la portata globale dei provvedimenti sanciti dall’articolo 10 e dall’articolo 63 porta ad un onere, che chiamerò fiscale, di un miliardo e 380 milioni; cioè la tassa dei produttori d’energia, pagata alla Regione diviene – con questa legge – dell’ordine del 3,3 per cento del reddito prevedibile.

Quindi penso che una volta che abbiamo stabilito l’influenza percentuale dei provvedimenti nell’attuale e futura industria idroelettrica dell’Alto Adige nella zona trentina, dobbiamo francamente riconoscere che una tassa totale dell’ordine di forse più del 3 per cento di quello che è il suo valore non è eccessivamente elevata. Comunque è nostro compito di decidere qui se questo onere può essere accettabile o no, su i futuri sviluppi di una grande parte dell’industria idroelettrica italiana. Ma è bene che gli onorevoli costituenti siano edotti dei termini esatti del problema.

Dato il regime fiscale che usiamo nel campo delle tassazioni dell’energia elettrica, per luce e per forza motrice, che può assorbire quote assai più elevate di queste che abbiamo dedotte, a me non sembra che il 3 per cento di contributo sia un onere insopportabile da parte dell’industria che vorrà sfruttare le risorse idrauliche della Regione. Ed ora mi tratterrò brevemente sulle ragioni che mi hanno suggerito di richiedere una aggiunta ai due articoli 10 e 63 della legge.

Esiste un grande consumatore di energia elettrica nell’Alta Valle dell’Adige e dell’Isarco, e questo consumatore è rappresentato precisamente dalle Ferrovie dello Stato, le quali hanno in esercizio tutta la linea di grande transito internazionale del Brennero; esse per la stazione elettrica da Verona al Brennero consumano qualche cosa come 400 milioni di chilowatt-ora annui con circa 150.000 chilowatt istallati nelle proprie locomotive e tale consumo annuo corrisponde a poco meno della produzione della centrale di Bressanone di proprietà delle Ferrovie dello Stato.

È naturale pensare che effettivamente questo gran consumatore potrà aumentare ancora di più perché si potranno avere dei miglioramenti nella trazione elettrica e nell’entità dei traffici nonché nella ricostruzione di impianti ferroviari della valle e della linea del Brennero o specialmente per l’eventuale possibilità di unificazione del sistema di alimentazione a corrente continua di altre linee che si diramano dalla principale (come la Bolzano-Merano e forse anche la Merano-Males, la Trento-Malè e la Brunico-Campo Tures). Lo Stato, quindi, si dovesse applicare per le ferrovie il disposto dogli articoli 10 e 63 dovrebbe dare il suo contributo di cessione di energia e di imposta sul consumo di essa anche se in effetto utilizza i propri impianti produttori alimentando in notevoli quantità le ferrovie che attraversano l’Alto Adige e il Trentino con percentuali che saranno sempre di gran lunga superiori a quelle previste dallo Statuto che esaminiamo.

Quindi, se in un prossimo futuro le Ferrovie dello Stato dovessero costruire delle proprie centrali, queste dovrebbero essere esenti dagli oneri previsti per le aziende che invece esportano l’energia dalla Regione per uso industriale. Siccome le ferrovie hanno un regime di consumo annuo costante, il regime idrometrico dell’Alto Adige è a carattere alpino, e quindi fortemente variabile, noi dobbiamo qualche volta dare l’energia dell’Appennino durante il regime invernale, di magra dei bacini alpini, a cui corrisponde un forte traffico ferroviario di esportazione e per il turismo invernale; ne abbiamo invece spesso in abbondanza durante i periodi estivi. I grandi consumatori devono quindi dare qualche volta l’energia al Trentino o all’Alto Adige perché in tali zone l’energia prodotta in inverno può riuscire di quantità inferiore ai bisogni.

Quindi, a conclusione di quanto ho esposto, mi è sembrato necessario di proporre una aggiunta sia all’articolo 10 come all’articolo 63, che abbiamo anche discusso con i componenti della Commissione, in base alla quale si esonerano le Ferrovie italiane dello Stato da questi oneri dato il particolare volume delle loro prestazioni in Alto Adige e soltanto limitatamente all’energia che è prodotta dalle ferrovie e consumata dalle ferrovie stesse per i propri bisogni. Coloro che non hanno di questi consumi (ed in genere sono i grandi produttori che la esportano nelle zone industriali lontane dai centri di produzione) possono assorbirsi a mio avviso un onere valutato nell’ordine del 3 per cento del costo dell’energia prodotta.

Quindi, concludo esprimendo il parere che agli articoli 10 e 63 non dovrebbero farsi altre varianti, oltre questa aggiunta da me proposta.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Volevo chiedere al Ministro dei trasporti se nella cifra di 750 milioni, che egli ha indicato come onere corrispondente al primo comma dell’articolo 10, ha tenuto presente il fatto che la cessione gratuita pari al 6 per cento si riferirebbe alle concessioni di grande derivazione accordate successivamente all’entrata in vigore della legge. In effetti il 6 per cento andrebbe a colpire solo l’energia di nuova produzione, cioè a dire solo per 4 miliardi e mezzo di chilowatt-ora, ai quali il Ministro si riferiva. Ora, nella misura presunta del 40 per cento, avremmo quel tale onere di 750 milioni, ma io credo che questa cifra sia calcolata con eccesso, perché gli impianti che si potranno fare in Alto Adige sono impianti rispetto ai quali la portata minima continua sarà molto al disotto della portata minima continua media degli impianti di tutta la penisola, perché gli impianti a portata minima continua più alta sono già stati utilizzati. In sostanza, quindi, credo che il primo comma dell’articolo 10 (e lo dico anche per non far nascere troppe illusioni agli amici di quella Regione) non varrà gran che, perlomeno per i primi 10 anni; perché prima che si costituiscano centrali elettriche per 4 milioni e mezzo di chilowatt-ora, cioè per oltre 100 miliardi di spesa, dovranno passare più di 10 anni.

Per il resto credo che bisognerebbe accogliere la proposta del Ministro dei trasporli, anche perché essa non costituirebbe che un chiarimento della frase «di pubblico interesse», in sede di Statuto già accettata dalla Commissione e dai rappresentanti dell’Alto Adige.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Mi duole, onorevoli colleghi, che una mia innocente proposta, quale quella di esaminare la materia dell’articolo 10 insieme con quella degli articoli 62, 63 e 91, per la connessione che si è già dimostrato esistere fra essi, abbia provocato il risentimento dell’onorevole Relatore e la esasperazione che lo ha portato a proclamare con alto tono di voce che qui si persiste, con mal dissimulata prevenzione, a negare la conquista ormai irrevocabile delle autonomie regionali, e perfino di quella del Trentino Alto Adige che è in funzione particolare di formali impegni internazionali assunti dal Presidente del Consiglio durante le trattative di Parigi per il diktat che ha regolata la nostra pace.

Me ne duole perché fino a quel momento io non avevo espresso ancora critica alcuna, essendomi limitato a far presente come la portata delle rivendicazioni di quella nobile Regione sulla produzione idroelettrica andasse esaminata complessivamente è non nelle dosi accortamente allontanate che il progetto dello Statuto propina.

Ciò poteva far presentire, oltre il desiderio di esprimere il mio voto ex bene informata coscientia, anche l’eventualità di qualche mia modesta osservazione, rivolta soprattutto al bisogno di quella separazione di responsabilità che dovrebbe essere preoccupazione di tutti i cittadini quando si manifesti diversità di opinioni di fronte a gravi interessi del Paese. Ma questo rientrava e rientra nel sacrosanto diritto di ciascuno di noi, se è vero che prima che alla votazione di questo Statuto, noi siamo stati chiamati, come l’ordine del giorno fa fede, alla sua discussione, e se è vero, come ciascuno di noi ha constatato per aures, che la proposta, accorta e dignitosa, di votarlo per acclamazione era stata respinta dal nostro Presidente in forza del Regolamento; così che, riconosciuta la necessità di una libera discussione, io ho sentito pure più che il diritto il dovere di non cedere alla impressione in me prodotta dal discorso del presidente della Commissione e soprattutto da quello del Capo del Governo, che il progetto di Statuto avesse a considerarsi come presentato all’Assemblea per mera formalità e nella materiale impossibilità di consentirne qualsiasi modificazione, trattandosi di un edificio faticosamente costruito e che avrebbe pericolato sol che si fosse tentato, di rinnivarne o di sostituirne la più piccola pietra: tanto più che mi proponevo rilievi che avrebbero finito per risolversi in favore della Regione anziché in suo danno, perché la dimostrazione di un miraggio irrealizzabile deve giovare e non nuocere a chi con esso sia stato vanamente lusingato.

Né il Relatore poteva desumere dal preannuncio di un eventuale modesto intervento mio la manifestazione di uno stato d’insofferenza anti-regionalista. Io non ho mai fatto mistero della mia recisa contrarietà a una forma di autonomia che, trascurando concretamente l’ente-comune e mirando a concentrare nel nuovo ente Regione quelle che potevano essere, senza rumorosa innovazione, le accresciute funzioni delle province, aveva fatto degenerare il desiderio di un ragionevole decentramento burocratico e amministrativo in un esasperato decentramento istituzionale politico, finanziario ed economico, a tendenza più o meno confessatamente federalista, se non addirittura separatista, comunque praticamente e inevitabilmente anti unitario e tale da disintegrare, oggi, per distruggerlo domani, l’edificio di quella unità nazionale che era stata il risultato del sogno, delle lotte, dei sacrifici dei nostri padri. Di questo mio orientamento – dicevo – non ho mai fatto mistero e, senza giungere al giudizio che del fenomeno più doloroso di quest’ora di sciagura ha dato ieri l’onorevole Di Fausto, l’ho spiegato al mio spirito come il risultato di un impulso di panico, che la calma riconquistata col progredire della ricostruzione economica e morale disperderà.

Per questa sicurezza, che non vuole essere confusa con la rimproveratami prevenzione, mi sono astenuto dall’intervenire nella discussione dello Statuto sardo e mi asterrò dall’intervenire nella discussione degli altri Statuti; mentre la consapevolezza delle conseguenze di un impegno di carattere internazionale e delle particolari condizioni etniche della zona alto atesina m’inducono a considerare con diverso criterio l’autonomia concessa alla Regione Trentino-Alto Adige e a ritenere lo Statuto che oggi si discute l’unico che questa Assemblea potesse ragionevolmente e dignitosamente prendere in esame.

Mi pare con ciò di avere in modo convincente dimostrato come nella odierna discussione non influisca alcuna mia personale prevenzione e come evidente e ingiustificata sia per contro quella della quale il Relatore ha dato prova così manifesta.

Si aggiunga che da tempo non sospetto, e cioè da molto più di trent’anni, combattendo la battaglia per la più larga utilizzazione delle nostre acque pubbliche per la produzione della elettricità, io ho sostenuto in pubblici Consigli comunali e provinciali, e nella stampa quotidiana e settimanale la necessità di congrue riserve pei pubblici servizi sulla produzione medesima a favore dei comuni e delle province dei bacini di derivazione. Questa campagna, che si ricollega a quella iniziata dall’onorevole Nitti col suo libro Il carbone bianco, non fu forse estranea all’impulso dato nel 1916 dall’onorevole Bonomi, allora Ministro dei lavori pubblici, alla nuova legislazione italiana sulle acque pubbliche e sugli impianti elettrici che da lui prende il nome e che, affermatasi nel 1916, ebbe il suo epilogo nel testo unico vigente 11 dicembre 1933, n. 1775. Ne ricordo anzi un episodio tipico, che in questo incontro può servire a triplice dimostrazione.

Nel 1916, facendo parte del Gruppo socialista del Consiglio provinciale dell’Umbria, comprendente allora le tre attuali province di Perugia, di Terni e di Rieti, presi contatto col capo dell’ufficio tecnico provinciale ingegnere Guido Rimini, tecnico valorosissimo e studiosissimo di tutti i problemi interessanti l’Amministrazione della provincia, sostenitore fin d’allora del sistema di manutenzione stradale denominato di MacAdam e precursore della bituminatura; e lo informai che la Società del carburo di calcio, che aveva stabilimenti in Papigno e in Collestatte di Terni e due Centrali sul Nera (Valnerina e Cervara) per la utilizzazione di una concessione sui superi del Velino, si preparava a chiedere altra concessione sui superi dei superi, proponendosi d’invasarli nel lago di Piediluco per la produzione di energia regolata, secondo un progetto del proprio ingegnere Bartoli. Lo pregai di studiare la possibilità di una più razionale e magari di una integrale regolazione delle acque del Velino e dei suoi affluenti Salto e Turano, preferibilmente a Monte di Rieti, in modo da poter creare immagazzinamenti di acque di torbida così da raggiungere il duplice fine di creare una o più centrali per produzione di energia regolata e di poter liberare la piana reatina dalle facili dannosissime inondazioni invernali. Gli spiegai che era mio intendimento, ove mai tale possibilità fosse risultata, di indurre il Presidente della deputazione provinciale avvocato Girolami a presentare in nome della provincia domanda di concessione in concorrenza colla Carburo in base al progetto di massima che egli avrebbe dovuto prontamente apprestare. All’ingegnere Rimini sorrise l’idea e men di un mese dopo mi riferì che egli aveva individuato due grandi conche naturali, per la complessiva capacità di circa 400 milioni di metri cubi di acqua, l’una presso Posticciola per le acque del Turano l’altra presso le balse di Santa Lucia per le acque del Salto. Esponemmo insieme il piano all’avvocato Girolami, che fece approvare la proposta dalla deputazione, mentre l’ingegnere Rimini predisponeva il progetto. Sottoposta al Consiglio provinciale la proposta di chiedere la concessione in concorso colla richiesta che aveva da poco presentata la Carburo, io e il compianto collega onorevole Giovanni Amici proponemmo di superare le difficoltà pratiche che si elevavano contro la pretesa della provincia coll’approvazione di un ordine del giorno che proponeva che la concessione che la provincia andava a richiedere fosse fatta a favore di un consorzio di enti industriali e di enti pubblici. L’onorevole Bonomi, che allora stava preparando la legge del 1916, fu prodigo alla nostra provincia di consigli e di aiuti. Il consorzio fu costituito e rappresentò per le province di Perugia, di Terni e di Rieti il mezzo più efficace per conseguire, senza impiego di capitali, notevoli assegnazioni e riserve di energie al prezzo di costo maggiorato del 10 per cento.

Questo episodio dimostra insieme: 1°) come io abbia riconosciuto non da oggi il diritto degli Enti pubblici a ottenere sulla produzione locale dell’energia elettrica prelevamenti adeguati alle necessità dei servizi pubblici locali e della economia locale prezzi di favore, e me ne sia fatto assertore; 2°) come l’ente provincia si prestasse fin da molti anni prima delle autonomie post-belliche a iniziative decentratrici del genere di quelle reclamate dallo Statuto in esame; 3°) come questa forma di intervento, tendente a ridurre il costo di utenza, escludesse qualsiasi gravame a carico dello Stato.

Può dirsi che il progetto di Statuto in esame realizzi gli stessi criteri e cioè agevoli bensì la pubblica amministrazione nell’attuazione dei pubblici servizi e gli utenti nel relativo costo, ma non faccia pesare sullo Stato il corrispettivo di queste concessioni o non lo riversi sotto altri aspetti sugli utenti medesimi e non allarmi e soprattutto non allontani l’industria, sia di Stato sia privata, da un campo di attività eccessivamente indurito da condizioni irragionevoli e materialmente insostenibili? Basta leggere gli articoli 10, 62, 63 e 91, dopo aver letti tutti quelli relativi al prelevamento dei nove decimi su tutte le entrate erariali, per dubitarne seriamente. E più ne fanno dubitare alcune dichiarazioni fatte dal Relatore, secondo le quali il 6 per cento di cui al comma secondo dell’articolo 10 dovrebbe essere modificato addirittura in 10 per cento per correzione di preteso errore di stampa, mentre i vari prelevamenti teoricamente indicati nelle percentuali esposte all’articolo 10 e quelle risultanti dal combinato disposto dell’articolo 91 dello Statuto e dell’articolo 52 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, si ridurrebbero nella realtà concreta a un prelevamento massimo del 2,8 per cento.

Vedrà il nostro accorto Presidente se una modifica essenziale, che ha tutti gli aspetti di emendamento suggerito da ulteriori cupidigie, possa essere introdotta a questo punto, non dico ad avvenuta distribuzione del testo del progetto ma ad avanzata e quasi esaurita discussione di esso fuor della norma che per gli emendamenti s’impone – direi – alla chetichella. E vedranno gli onorevoli colleghi se sia attendibile e se possa considerarsi seria e rassicurante l’affermazione che il prelevamento gratuito del 6 por cento (comma primo dell’articolo 10) e quello del 10 per cento a prezzo di costo (comma secondo dell’articolo 10) sulla produzione della derivazioni concesse successivamente al presente Statuto, in coacervo con quello del 10 por cento, di cui al medesimo comma secondo e dell’altro 10 per cento cui sulle concessioni anteriori apre la via a favore dei comuni e delle province la riapertura dei termini sancita dall’articolo 91, possano, sommandosi, concretarsi per misteri dell’abbaco nel prelevamento complessivo del 2,8 per cento affermato dall’onorevole Relatore. Fino a che per altro non sia dimostrato che anche l’abbaco è una opinione, io avrò diritto di assumere a dimostrazione della fondatezza delle mie preoccupazioni le cifre esposte nel testo del progetto anziché quella risultante dalle calcolazioni del Relatore. E, profano della materia e ignaro degli elementi statistici che altri hanno richiamati e che io non ho avuto il tempo materiale di consultare, poggerò su di essi le mie considerazioni pratiche, inquadrandole nella condizione di depauperazione finanziaria che in danno dell’erario crea già lo Statuto col prelevamento di ben nove decimi su tutte le attuali entrate erariali della Regione, lasciando tuttavia a carico dello Stato: le opere pubbliche di maggiore rilievo, il funzionamento dei servizi statali nella Regione, la manutenzione e la costruzione delle strade nazionali, le spese per la rappresentanza diplomatica e consolare della Repubblica, le spese per l’amministrazione della giustizia, quelle per l’agricoltura e per le bonifiche, quelle per le opere di difesa fluviale, per la sanità pubblica, quelle riservate per l’istruzione pubblica allo Stato, quelle per i premi alla ricostruzione e per il risarcimento dei danni di guerra; quelle per la polizia e per la difesa della Repubblica e dell’ordine interno, quelle per la rinascita della marina mercantile, quelle relative all’assistenza post-bellica e a quella dei profughi, per la difesa dei cambi, della finanza e dell’economia nazionale, gli interventi a sollievo delle pubbliche calamità, per la costituzione del fondo per la solidarietà nazionale, per il funzionamento del Parlamento e via dicendo…

Chi non riconosce il dovere di farsi eco del grido d’allarme lanciato in quest’Aula dal Ministro del bilancio onorevole Einaudi di fronte alla necessità in cui la Repubblica sarà posta di imporre nuovi balzelli per riparare allo sbilancio creato dalle trasmodanti pretese delle Regioni in regime di autonomia speciale e di quelle che potessero seguirne l’esempio? Ma la legge della saturazione vale anche per la resistenza dell’eroico contribuente italiano e questo deve far pensosi tutti coloro che hanno senso di responsabilità e di carità di Patria!

E invece qui altre sorprese si prospettano per l’erario dello Stato: perché, se l’articolo 62 prevede la cessione alla Regione dei 9 decimi dei canoni che esso riscuote per le derivazioni locali, gli articoli 10 e 91 dispongono dei diritti dei terzi, dalla somministrazione a prezzo di costo del 20 per cento della produzione delle concessioni anteriori a quella del 10 per cento al prezzo di costo…

UBERTI. Relatore. È una facoltà.

NOBILI TITO ORO. …a quella gratuita del 6 per cento…

UBERTI, Relatore. Fino al 6 per cento.

NOBILI TITO ORO. …sulle derivazioni di concessione successiva. Ed è ingenuo lusingarsi colle speranze che prospetta il Relatore: quando si tratta di facoltà concesse, esse si trasformano in diritti potestativi colla sola richiesta e, quando si tratta di benefici, nessuno è tanto sciocco da non profittarne fino al limite estremo. Chi ne subirà le conseguenze? Le imprese diserteranno il campo delle nuove attività e, in ordine alle vecchie concessioni, difenderanno i diritti quesiti, e lo Stato che, per bocca del Presidente del Consiglio, ha dichiarato di aver dovuto sottostare a impegni di carattere internazionale, farà al solito le spese della sistemazione.

E che dire della imposta di dieci centesimi per ogni chilowatt-ora di energia prodotto nella Regione? Essa non potrà non riversarsi sui consumatori, e farà salire il prezzo dell’energia, automaticamente nelle zone dove l’energia si trasferisce sia per effetto di vendite sia per effetto di scambi stagionali. Di rimbalzo ne salirà il prezzo anche nella Regione di produzione, che pure verrebbe ad essere la zona più fornita di energia di quante se ne conoscano, si avrebbe in conseguenza un generale perturbamento dei prezzi, che lo Stato, nella funzione di regolazione che ne ha assunta, non potrebbe comprimere e sarebbe facilmente portato a eguagliare in tutto il territorio per la legge dell’attrazione dei prezzi inferiori da parte di quelli superiori; mentre altro serio motivo di perturbamento della economia dei consumi dal traffico che la Regione potrebbe essere indotta a fare con imprese di distribuzione, in concorrenza fra loro, degli accantonamenti di energia assicuratisi in forza delle strabilianti disposizioni di questo Statuto e di gran lunga eccedenti le necessità presenti e future dei suoi servizi pubblici.

Tutti questi pericoli non sono stati avvertiti e quello che doveva essere il risultato di un ponderato studio legislativo, rispettoso degli interessi della Regione e insieme con quelli dello Stato, considerati in armonia indissolubile, e rispettosi eziandio degli interessi dell’economia generale della nazione, si è sacrificato, per un impulso che non può essere giustificato nemmeno dagli allegati impegni internazionali, a una fanatica improvvisazione; a quella improvvisazione che fino all’ultimo momento si è rivelata nella modificazione imposta al secondo comma dell’articolo 10 pel preteso errore di stampa e nei misteri dell’abbaco adombrati dal Relatore per dimostrare che tutte le riserve imposte a favore della Regione negli articoli 10 e 91 si riducono approssimativamente a un 2,8 per cento su tutta la produzione locale.

Se sconfortanti sono i risultati dell’esame di questa parte del progetto per quanto concerne le sue conseguenze finanziarie nei confronti dello Stato, non sono certo migliori le sue conseguenze politiche. Esse costituiscono la negazione assoluta di ogni sentimento di solidarietà nazionale nella ripartizione di benefici dei quali, dopo aver fatto la giusta parte ai propri bisogni la Regione Trentino-Alto Adige non dovrebbe essere avara verso le altre Regioni d’Italia.

Le riserve concesse al Trentino-Alto Adige per servizi pubblici, per usi domestici e per l’agricoltura basterebbero ad assicurare a ogni suo cittadino una disponibilità media di chilowatt-ora 480 l’anno contro una disponibilità, per gli stessi usi, di chilowatt-ora 270 per ogni cittadino degli Stati Uniti e di chilowatt-ora 80 per ogni altro cittadino italiano, mentre, a utilizzazione completa di tutte le risorse idriche della Regione (chilowatt-ora 9000) la dotazione di ogni suo cittadino raggiungerebbe ben 1700 chilowatt-ora. E i 10 centesimi d’imposta autorizzati per ogni chilowatt-ora di produzione corrispondono a 250 volte il canone imposto a favore dei comuni dalla legge Bonomi.

Questo è il risultato della esasperazione della preoccupazione di difesa degli interessi locali e tanto più allarma in quanto è notorio che all’O.N.U. forma invece oggetto di studio un piano mediante il quale dovrebbe essere assicurato, mediante scambio internazionale di energia idrica e termica, il fabbisogno di energia elettrica ad ogni più remoto villaggio del continente europeo. In Italia non sono poche le località completamente sfornite di questo prezioso elemento; e gli egoismi regionalistici che già si stanno affermando fanno presentire ormai paurosamente quelli che saranno fra poco gli effetti delle deliberate autonomie Regionali.

E si noti che l’Italia ha nella legge Bonomi una delle leggi più apprezzate del mondo, sulla falsariga della quale si viene formando la legislazione degli Stati Uniti e alla quale si viene informando anche quella svizzera…

BORDON. Non è vero.

NOBILI TITO ORO. È verissimo, caro Bordon, e tu hai la possibilità di accertartene. Comunque io non voglio sostenere che qui occorresse di rimanere rigorosamente entro i limiti di questa legge, ma dico che essa avrebbe dovuto pur sempre rappresentare per voi una guida e una remora: perché errori come quelli che io pavento e vi rimprovero si espiano amaramente e si riparano sempre con difficoltà e attraverso inevitabili danni.

Avrei finalmente finito se non mi premesse di dare ragione di qualche giudizio, già fugacemente espresso sulla portata giuridica del complesso delle disposizioni in materia, rapidamente esaminate fin qui sotto altri aspetti. Non ho voluto soffermarmi su ciò che ha formato materia di altri interventi ed è mancato il tempo materiale per procurarmi quei dati che la Commissione non ha esposti e che invece avrebbero dovuto essere alla base della sua Relazione per persuadere l’Assemblea che essa non è oggi chiamata, sotto l’assillo di agitati impegni internazionali, a fare un salto nel buio e a compromettere la compagine amministrativa e quella politica del nuovo Stato repubblicano. Ma penso che certe eresie si rendono evidenti a chiunque, riluttante a giurare in verba magistri, abbia l’abitudine di trarre solo dall’intima persuasione l’orientamento del proprio voto.

Ho detto che il più grave pericolo che includano gli articoli 10, 63 e 91 è quello di allontanare le imprese dagli investimenti idroelettrici nella Regione. Aggiungo che l’allarme che quelle disposizioni danno potrebbe allontanarle da qualunque investimento di capitali in Italia. Quale garanzia di stabilità avrebbero le concessioni e i disciplinari se tutte le Regioni, man mano che si costituiranno, venissero imitando, in fatto di riserve di forze elettriche, l’esempio dello statuto Trentino-Alto Adige? Per esso, a parte quella imposta di 10 centesimi per chilowatt-ora su tutta la produzione, imposta della quale mi sono già occupato, l’impresa che dalla decadenza dei comuni rivieraschi è stata de jure definitivamente liberata dalle somministrazioni di energia sulla base del prezzo di costo per uso di pubblici servizi, si vedrebbe a un bel momento esposta al dovere di porre a disposizione l’energia che non le era stata tempestivamente richiesta e che non avrebbe più potuto esserle richiesta. Si tratta di una potenza che può giungere fino a un decimo dell’intiera produzione. Come potrebbe disporre se non esistono mai energie a disposizione delle imprese e se quelle che stanno per rendersi disponibili sono anticipatamente impegnate con contratti a lunga scadenza? E a questo 10 per cento va aggiunto l’altro 10 per cento pure dovuto – a prezzo di costo – sulle concessioni anteriori.

Onde a carico dell’industria si profila nientemeno la riduzione di un quinto dell’intiera produzione senza alcuna indennità per il lucro cessante. Poiché trattasi di concessioni già in corso, anche qui le disposizioni degli articoli 10 comma secondo e 91 violano diritti ormai quesiti e lo Stato deve risponderne verso i danneggiati in quanto l’eccezionale provvedimento è stato dichiarato in funzione coll’inscindibile complesso statutario di solenni impegni internazionali. Ha obiettato l’onorevole Uberti che questa disposizione sarà applicata solo «compatibilmente» colle disponibilità di energia da parte dell’impresa; il che o significa troppo o significa niente.

Infatti se la compatibilità è intesa nel senso di una disponibilità assoluta e incondizionata, essa finirebbe per non sussistere mai; mentre, se è intesa in senso relativo, l’impresa sarebbe sempre tenuta a procurarsi la disponibilità delle energie entro i limiti stabiliti dall’articolo 52. E la condizione che l’onorevole Uberti esalta resterebbe priva di qualsiasi efficacia restrittiva.

Nella prima ipotesi lo statuto conterrebbe una vera burla per la Regione e assumerebbe un tipico sapore demagogico, in quanto prometterebbe alla Regione non più che la luna nel pozzo, e io penso che a questo non dobbiamo prestarci. Nella seconda ipotesi la burla sarebbe a danno delle imprese di produzione in quanto servirebbe a lusingarle con una condizione-limite che non si verificherebbe mai, potendosi sempre sostenere che, trattandosi di una pubblica esigenza costituzionalmente riconosciuta, l’impresa ha sempre la possibilità di revocare un impegno già preso per far tornare nella propria disponibilità energie che essa è tenuta a somministrare per disposizione dello Statuto regionale. E l’Assemblea non dovrebbe prestarsi nemmeno a quest’altra burla.

Resta dunque la interpretazione di buona fede da dare al testo come per legge, e resta per le imprese la certezza di trovarsi esposte, da un momento all’altro, all’obbligo di somministrare a prezzo di costo, e cioè senza possibilità di compensi, la quinta parte addirittura della produzione.

Né sarebbe men dura la condizione delle concessioni successive alla approvazione del presente Statuto: ché anzi esse si aggraverebbero dell’obbligo della somministrazione gratuita dell’energia fino al limite del sei per cento della produzione generale, fermo sempre l’obbligo di somministrare a prezzo di costo un altro quantitativo di energia fino al 10 per cento della produzione medesima.

Non si nasconde la Commissione la gravezza di queste imposizioni, ma tenta di confortarci colla considerazione che esse non raggiungeranno mai il limite massimo previsto. Conforto niente affatto producente codesto per chi sa come la tendenza operi nel senso di sforzare sempre i diritti, una volta riconosciuti, fino all’estremo sfruttamento: perché nemo ita resupinus est ut sua comoda iactet.

L’altro argomento che dovrebbe coonestare i gravosi prelievi e la riapertura dei termini contemplati dall’articolo 52 del testo unico per la richiesta del decimo della produzione riservata ai comuni rivieraschi è che questi non furono mai ammessi alle relative utilizzazioni. Ma la voluta equivocità dell’affermazione e la sua irrilevanza sono manifeste; le utilizzazioni non vi furono perché non furono richieste. I comuni non ne avvertirono il bisogno e vigilantibus iura succurrunt. Onde di rilevabile nella obiezione non resta se non un fatto: quello di volere invocare ed esagerare a favore dei comuni bisogni che essi non hanno mai fino ad oggi avvertiti. Ma oggi la situazione si rovescerà: non perché i bisogni fino a ieri inesistenti oggi siano sopraggiunti, ma perché, come è facile comprendere, i comuni, sotto l’incitamento della Regione li addurranno e chiederanno quel che non avevano chiesto prima.

UBERTI, Relatore. Ma nella legge è detto: compatibilmente con le necessità.

NOBILI TITO ORO. A questo ho già risposto e lei non vuole intendere: non bisogna promettere mai la luna nel pozzo; alla Regione occorre dare qualche cosa di concreto, mentre, a volere stare a una interpretazione di buona fede, la considerata compatibilità non si riscontrerà mai perché l’industria non si troverà mai in condizioni di disporre alle condizioni pretese quella massa di energie che le avete promessa, in spregio alla Costituzione, ai diritti dei terzi, e alla legislazione stessa che avete invocata.

Dico così perché l’articolo 91, pure richiamandosi all’articolo 52 del testo unico 11 dicembre 1933, dichiara riaperti i termini per prelevamenti di energia pei pubblici servizi sulla base del prezzo di costo non soltanto a favore dei comuni ma delle stesse province che il testo unico non contempla affatto.

Inspirandosi a così discutibili criteri, cedendo a dismisura, e senza vagliarle, alle richieste che le sono venute dalla Regione, la Commissione non ha fatta l’opera saggia che ne attendevano: ha gettato un allarme che terrà lontano dalla nobile e cara Regione Trentino-Alto Adige l’afflusso delle iniziative industriali che invece avrebbero potuto costituire la sua fortuna; trattando alla stessa stregua le energie prodotte da impianti regolati e quelle prodotte da impianti ad acqua fluente, ha creato una condizione per concentrare su queste l’attenzione di quelle poche imprese che fossero tuttavia portate a cimentarsi nel campo della produzione della energia elettrica in questa Regione; ha esposto lo Stato al pericolo di dover reintegrare i terzi per la violazione che subissero ai propri diritti quesiti in dipendenza delle discusse disposizioni; ha creato condizioni che turberanno l’andamento dei prezzi e la stessa produzione dell’energia elettrica.

Per tutti questi motivi mi duole di dover sintetizzare il mio pensiero in un giudizio del quale non ho mai abusato: è mio convincimento, che so per altro largamente condiviso, che qui si sia fatta inconsciamente della demagogia, cedendo forse un poco anche all’atmosfera pre-elettorale, invece d’inspirarsi alla prudente meditata conciliazione degli interessi della Regione con quelli generali della Nazione e coll’imperativo categorico della inscindibile unità italiana. Ho detto che io non ho alcuna prevenzione contro questa autonomia particolare, l’unica della quale io riconosca la opportunità; ho plaudito ai discorsi del Presidente della Commissione e del Presidente del Consiglio e sento con loro la necessità di riconoscere nei capisaldi essenziali di questo Statuto gli impegni internazionali che sono stati assunti. Ma tutto ciò non importa che noi dobbiamo considerare insuscettibile di emendamenti anche la materia finanziaria ed economica di carattere più gelosamente interno e quindi sicuramente estraneo a ogni onesta esigenza internazionale.

Non propongo emendamenti formali perché, avendo ritirato stamane soltanto, e durante la seduta, la copia dello Statuto, ho avuto appena il tempo di leggerlo, e mi sono trovato nella impossibilità assoluta di approfondire le questioni finanziarie ed economiche con l’appoggio dei dati indispensabili. Mi lusingavo tuttavia che un onesto richiamo fatto alla Commissione, alla luce del buon senso, avrebbe potuto determinare da parte di essa l’impegno di qualche più necessario ritocco. L’accoglienza fatta dal Relatore alla manifestazione del desiderio mio di esaminare le questioni modestamente trattate mi ha tolto ogni illusione in proposito. Non mi resta pertanto altra possibilità se non quella di votare per quegli emendamenti che valgano a migliorare comunque l’ordinamento che lo Statuto ha dato a questa materia. Ma non posso soffocare la protesta del mio spirito contro il sistema, non certamente democratico, pel quale si chiede all’Assemblea per questo Statuto, invece di un esame doveroso, coscienzioso e ponderato, un cieco atto di fede… nella fede politica altrui. (Commenti – Approvazioni).

PRESIDENTE. La Commissione ha facoltà di esprimere il proprio parere sugli emendamenti.

UBERTI, Relatore. Dirò solo due parole, perché l’ora è molto tarda.

L’emendamento Pat, a cui si associa l’onorevole Nobili Tito Oro, rinnova la stessa istanza che da più parti è giunta alla Commissione. Dopo attento esame, si è giunti alla riduzione dal 10 al 6 per cento.

L’emendamento Dossetti, «fino al», la Commissione lo accetta perché in realtà non si potrà utilizzare, come dissi e come hanno confermato le dichiarazioni del Ministro Corbellini, neppure il 6 per cento, e questo è solo un limite, il limite massimo.

Non è possibile invece accettare l’emendamento che propone la soppressione dell’espressione «di qualsiasi altro pubblico interesse», perché intorno ai servizi pubblici vi sono tante contestazioni, che è meglio lasciare alla Regione una certa latitudine. È anche a compenso di questa espressione che è stato ridotto il 10 al 6 per cento.

Circa il 10 per cento riservato al prezzo di costo all’artigianato e alle industrie locali, ne ho già espresse le ragioni. Vedo presente l’onorevole Bonomi. Egli sa quali lunghe discussioni si ebbero prima di arrivare a persuadere i trentini e gli altoatesini a non insistere nel volere dare alla Regione il diritto di concessione, e fu loro assicurato che lo Stato avrebbe provveduto a quelle che sono le condizioni indispensabili per la vita della Regione.

Circa poi la questione dei 10 centesimi ogni chilowatt-ora, che secondo l’onorevole Nobili Tito Oro sarebbe una cosa troppo gravosa per le società…

NOBILI TITO ORO. Non ne ho parlato!

UBERTI, Relatore. …e distoglierebbe le società imprenditrici dal fare gli impianti, io devo sottolineare che il fatto che la Regione ha la facoltà di stabilire tale imposta, non vuol dire che essa è senz’altro stabilita. Sarà la Regione che valuterà, nel suo stesso interesse, se è opportuno o meno deliberarla. Quindi, se la Regione, ponendo quei 10 centesimi per ogni chilowatt-ora, constatasse che per tale motivo, e solo per esso, non si potrebbero fare gli impianti, è chiaro che la Regione per prima non userebbe tale facoltà, non porrebbe quei dieci centesimi.

La Commissione accetta la proposta del Ministro Corbellini in merito alle ferrovie dello Stato.

V’è piuttosto un errore di dizione alla fine del secondo capoverso; dove si dice: «nella misura stabilita nel comma precedente» bisogna dire: «nella misura del 10 per cento». Chiudo invocando la testimonianza dell’onorevole Bonomi, che sa quale difficoltà e quale risultato positivo di concordia, di moderazione e di saggezza è stato, anche su questo punto, questo Statuto.

BONOMI IVANOE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI IVANOE. Devo dire poche parole soltanto per confermare quello che ha detto l’onorevole Uberti. Ho presieduto la Commissione di studio per questo disegno di legge, e so con quanta insistenza le popolazioni locali chiesero che tutte le acque pubbliche fossero affidate alla Regione; esse invocarono anche i criteri adottati per lo statuto siciliano, e per quello della Valle d’Aosta. I miei colleghi ed io ci opponemmo, perché comprendemmo che affidare agli enti locali questa ricchezza nazionale, che può diventare anche internazionale, avrebbe significato camminare a ritroso; e perciò insistemmo perché rimanesse intatto il concetto fondamentale della legge vigente.

Però, pur nella nostra resistenza, avvertimmo l’opportunità politica di andare incontro al desiderio delle popolazioni, e fu allora che nacquero queste disposizioni che sono sostanzialmente due: la prima è quella che dà gratuitamente una certa quantità di energia per i bisogni locali, quantità che adesso viene ridotta dal 10 per cento, come si era proposto prima, fino al 6 per cento. La seconda disposizione consiste nel dare al prezzo di costo una determinata quantità di energia, cioè il decimo di quella prodotta per le iniziative locali. Questa seconda disposizione si applica alle concessioni di grandi derivazioni già accordate e a quelle da accordarsi.

Per quelle già accordate si è obiettato, da parte dell’onorevole Nobili Tito Oro, che molte società hanno già impegnato la loro energia e non saranno in grado di conferire energia nuova a prezzo di costo alle industrie locali. Ma osservo che si è saggiamente introdotta la norma secondo la quale l’obbligo di fornire questa energia si adempie «compatibilmente con l’esecuzione dei contratti di somministrazione di energia elettrica conclusi anteriormente all’entrata in vigore della presente legge».

Con questo temperamento crediamo di aver conciliato le varie correnti e le varie tendenze e di aver presentato all’Assemblea un progetto che, onestamente, si può accettare.

PRESIDENTE. Onorevole Pat, conserva il suo emendamento all’articolo 10?

PAT. Ritiro l’emendamento sostitutivo che ho presentato in via principale e mi associo agli emendamenti Dossetti; conservo, per l’ipotesi che gli emendamenti Dossetti non siano approvati, l’emendamento che ho presentato in via subordinata, tendente a sopprimere nel secondo comma le parole «già accordata all’entrata in vigore della presente legge e per quelle».

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, conserva i suoi emendamenti?

DOSSETTI. Conservo le mie proposte, e a titolo di dichiarazione di voto preciso che il motivo della mia insistenza deriva dal fatto che mentre tutti gli oratori che mi hanno preceduto hanno sempre svolto le loro argomentazioni sul maggiore o minore onere per le società idroelettriche, io mi sono, invece, preoccupato della questione di principio che viene così affacciata e della grave violazione al criterio dell’unitarietà della vita economica nazionale, specialmente in un settore delicatissimo, in cui permangono gravi carenze e difficoltà che si ripercuotono su tutta la vita economica della Nazione.

Conservo gli emendamenti, aggiungendo che le giuste considerazioni di compensi da attribuire alle popolazioni mi paiono più che sodisfatte da ciò che è stato dato alle popolazioni stesse con gli articoli 61 e 62.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 10.

Pongo in votazione la prima parte del primo comma, alla quale non sono stati proposti emendamenti:

«Nelle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, accordate successivamente all’entrata in vigore della presente legge, il concessionario ha l’obbligo di fornire gratuitamente alla Regione per servizi pubblici».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole: «o per qualsiasi altro pubblico interesse», delle quali l’onorevole Dossetti ha proposto la soppressione.

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Pongo in votazione la restante parte del primo comma dell’articolo 10, con la modificazione proposta dall’onorevole Dossetti e accettata dalla Commissione:

«una quantità di energia fino al 6 per cento di quella ricavata dalla portata minima continua, anche se regolata, da consegnarsi all’officina di produzione o sulla linea di trasporto ad alta tensione collegata con l’officina stessa, nel punto più conveniente alla Regione».

(È approvata).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Dossetti di sopprimere il secondo comma dell’articolo 10, del quale do nuovamente lettura:

«Per le concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, già accordate all’entrata in vigore della presente legge, e per quelle da accordarsi, i concessionari sono tenuti a fornire, con le modalità di cui al comma precedente, al prezzo di costo, per usi domestici, per l’artigianato locale o per l’agricoltura, una quantità di energia nella misura stabilita nel comma precedente».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Passiamo alla proposta dell’onorevole Pat, per la soppressione delle parole: «già accordate all’entrata in vigore della presente legge e per quelle».

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Mi pare che la proposta dell’onorevole Pat si giustifichi anche con una considerazione particolare, e cioè col fatto che con il terz’ultimo comma (con il quale, secondo le giustificazioni che sono state date dai relatori, si è cercato di rendere compatibile la disposizione del secondo comma con i contratti già stipulati, per un’evidente applicazione del principio dell’irretroattività della norma) non si è però tenuto conto dell’eventualità dei casi in cui, avendosi delle concessioni già accolte, esse non abbiano tuttavia dato ancora luogo a contratti. Si tratterebbe, quindi, mi pare, di evitare, con la soppressione proposta dall’onorevole Pat, una violazione del principio dell’irretroattività della legge. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del secondo comma, comprese le parole di cui l’onorevole Pat propone la soppressione:

«Per le concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, già accordate all’entrata in vigore della presente legge».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte del comma con la modificazione di coordinamento apportatavi dalla Commissione:

«e per quelle da accordarsi, i concessionari sono tenuti a fornire, con le modalità di cui al comma precedente, al prezzo di costo, per usi domestici, per l’artigianato locale o per l’agricoltura, una quantità di energia nella misura del 10 per cento».

(È approvata).

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Ritiro il mio emendamento soppressivo del terzo comma, il quale non ha più senso dopo che è stato approvato il secondo comma.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo allora in votazione, senza ridarne lettura, gli ultimi quattro commi dell’articolo 10, per i quali non vi sono più emendamenti.

(Sono approvati).

Passiamo agli emendamenti aggiuntivi. Il comma proposto dall’onorevole Dossetti è del seguente tenore:

«Per l’utilizzazione delle riserve di energie sopra previste valgono le procedure e i termini stabiliti dal testo unico della legislazione sulle acque».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Chiedo alla Presidenza di voler pregare l’onorevole Dossetti di spiegare ciò che vuol dire, perché le riserve che noi poniamo nello statuto si risolveranno solo più tardi in sede contrattuale. Il produttore di energia, quando ha ottenuto la concessione, ne dispone, relativamente, come crede, perché non ci sono termini o altro per chiedergli le forniture. L’utente fa il contratto col produttore di energia. Non capisco quali siano i termini con cui si devono fare le riserve di energie.

PRESIDENTE. Permetta, onorevole Fabbri: il riferimento è fatto alle riserve di energia, cioè, evidentemente, alle concessioni non ancora accordate.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Per riserve di energia intendo, a tenore del testo unico sulla legislazione delle acque (come appunto è detto espressamente agli articoli 52 e 53 del suddetto testo unico, in cui si parla di riserve di energia per queste concessioni a favore – dice l’articolo 52 – dei comuni rivieraschi), le concessioni speciali con garanzia di riserve di energia, di cui al primo e al secondo comma dell’articolo testé approvato.

Ora, siccome approviamo queste riserve di energia con una disposizione costituzionale, e poiché il quarto e l’ultimo comma sembrano esprimere particolari indicazioni per le concessioni e per il loro condizionamento, è logico che si debba fare un richiamo esplicito al testo unico della legislazione sulle acque, perché altrimenti si potrebbe argomentare che questo testo unico, e particolarmente le procedure ed i termini per richiedere l’utilizzazione stabilita dall’articolo 52, siano trascesi e quindi non vengano applicati. Mi pare difficilmente contestabile questo punto.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. L’onorevole Dossetti non mi ha convinto, o non ho capito bene la portata della spiegazione, perché nel caso invocato dall’onorevole Dossetti si tratta di una riserva determinata dal fatto che, nell’atto medesimo in cui dà la concessione, il Ministero stabilisce anche determinati oneri singoli e specifici a favore di determinati riservatari.

Qui, invece, l’onere è stabilito in forma permanente, continuativa, per cui il concessionario, una volta che è divenuto produttore, e quando lo diventa, deve essere destinatario di una richiesta da parte della Regione, per quantitativi di forniture che devono essere mantenuti in certi determinati limiti. Quindi la riserva è perpetua, perché è stabilita dall’articolo della legge costituzionale. Pertanto l’articolo 52 della legge generale non c’entra per niente, almeno secondo la mia impressione.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Forse l’onorevole Fabbri non ha letto l’articolo 52 del testo unico, perché basterebbe leggerlo per convincersi che vi si stabiliscono norme che è difficile poter contestare che debbano essere applicate anche a queste disposizioni.

UBERTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI, Relatore. Qui non si tratta di applicare l’articolo 52 del testo unico, che considera una situazione profondamente diversa, in quanto si riferisce alle richieste di energia da parte dei comuni. La Regione evidentemente deve fare una legge, perché deve stabilire quali condizioni, quale priorità debbono avere le persone fisiche e giuridiche che partecipano alla richiesta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Dossetti, di cui ho dato testé lettura.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dal Ministro Corbellini, del quale do nuovamente lettura:

«Le Ferrovie italiane dello Stato sono esenti dall’obbligo previsto dai precedenti commi nei riguardi dell’energia prodotta e utilizzata per i propri servizi».

(È approvato).

All’articolo 62 non sono stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione, dandone nuovamente lettura:

«Per le concessioni di grande derivazione di acque pubbliche esistenti nella Regione, accordate o da accordarsi per qualunque scopo, lo Stato cede a favore della Regione i nove decimi dell’importo del canone annuale stabilito a norma di legge».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 63. Se ne dia nuovamente lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione può stabilire un’imposta, in misura non superiore a lire 0,10, per ogni chilowatt-ora di energia elettrica prodotta nella Regione.

«È soppressa, nell’ambito del territorio della Regione, l’applicazione dell’articolo 53 del testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775».

PRESIDENTE. L’onorevole Pat e l’onorevole Dossetti hanno proposto di sopprimere l’articolo 63.

L’onorevole Pat ha facoltà di svolgere questa proposta.

PAT. Le ragioni per la soppressione sono state già illustrate dall’onorevole Dossetti, e io mi associo a quanto egli ha detto. Osservo soltanto che mi pare che l’imposta di cui al primo comma possa essere applicata dalla Regione in forza dell’articolo 65 già votato.

Osservo inoltre che fissare in una legge costituzionale la misura di una imposta, in un momento di difficoltà finanziaria ed economica come l’attuale, è pericoloso (Commenti – Proteste del deputato Paris).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dato il costo attuale del chilowatt-ora, che abbiamo sentito indicare dal Ministro dei trasporti in quattro o cinque lire, e che vogliamo supporre magari anche soltanto di tre, e data la percentuale dell’imposta di consumo di spettanza dei comuni, percentuale che ha notevole incidenza e rilevanza, l’imposta di dieci centesimi al chilowatt-ora è estremamente limitata; e siccome l’articolo dice «non superiore a», ciò rappresenta una limitazione notevole della facoltà che ha la Regione di imporre tributi propri. E appunto perché è una limitazione estrema, le società elettriche hanno, secondo me, tutto l’interesse a veder concretato che non sarà possibile alla Regione di emettere una tassa superiore a lire 0,10, su un prodotto di cui il costo può arrivare adesso all’importo di quattro o cinque lire, secondo le dichiarazioni del Ministro dei trasporti.

PARIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARIS. Bisogna tener presente che il costo medio dell’impianto per un chilowatt-ora è di 40 lire, mentre per la Regione del Trentino-Alto Adige il costo è limitato a 22 lire. Malgrado ciò, i gruppi capitalistici non sfruttano concessioni che hanno da 25 anni, impedendo così perfino agli enti locali di costruire nuovi impianti.

Quindi credo che l’imposta di 10 centesimi non incida sul costo. Si vuol invece impedire la costruzione di impianti per mantenere una situazione monopolistica, impedire che sul mercato abbondi l’energia per mantenere un prezzo maggiore. Non immiserite mai una regione di confine!

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 63, di cui si è già dato lettura, e del quale gli onorevoli Pat e Dossetti hanno proposto la soppressione.

(È approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dal Ministro Corbellini, di cui do nuovamente lettura:

«Da tale imposta sono esenti le ferrovie dello Stato nei riguardi dell’energia prodotta e utilizzata per i propri servizi».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 91. Se ne dia nuovamente lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I termini per l’applicazione dell’articolo 52 del testo unico delle leggi sulle acque pubbliche e sugli impianti elettrici, approvato con decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, che risultassero prescritti, sono riaperti a favore dei Comuni e delle Provincie, a partire dalla entrata in vigore del presente statuto».

PRESIDENTE. L’onorevole Dossetti ha proposto di sopprimere questo articolo; l’onorevole Pat di sopprimere alla penultima riga le parole «e delle Provincie».

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Voterò per la soppressione dell’articolo 91 (per quanto sappia che la soppressione non verrà approvata), unicamente per una affermazione di principio: perché vi vedo una grave violazione del principio della non retroattività delle leggi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta soppressiva dell’intero articolo.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

PAT. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAT. Ho proposto la soppressione delle parole «e delle Provincie», in quanto non mi rendo conto del perché esse siano state incluse. Nella legge 11 dicembre 1933 non si fa cenno delle provincie, si parla solo dei comuni.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione.

Pongo in votazione la prima parte dell’articolo:

«I termini per l’applicazione dell’articolo 52 del testo unico delle leggi sulle acque pubbliche e sugli impianti elettrici, approvato con decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, che risultassero prescritti, sono riaperti a favore dei Comuni».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole «e delle Provincie», di cui l’onorevole Pat propone la soppressione.

(Sono approvate).

Pongo in votazione le restanti parole:

«a partire dalla entrata in vigore del presente statuto».

(Sono approvate).

Passiamo all’articolo 92. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nelle materie attribuite alla competenza della Regione o della Provincia, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali o provinciali, si applicano le leggi dello Stato».

PRESIDENTE. Non sono stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 93. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Con decreto legislativo, da emanarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente statuto, saranno stabilite le norme per la elezione e la convocazione, da parte del Governo, del primo Consiglio regionale e dei primi Consigli provinciali.

«La prima elezione avrà luogo entro tre mesi dalla pubblicazione della legge di cui al precedente comma».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati propone di sostituire, nel primo comma, alle parole: «sei mesi» le altre: «dieci mesi».

Ha facoltà di svolgere questo emendamento.

MORTATI. Mi sembra necessario armonizzare questa norma con quanto è stato fatto ieri per lo statuto sardo. Ciò corrisponde anche ad esigenze ovvie di tempo, essendo possibile l’insufficienza del termine proposto dalla Commissione.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Mi associo all’emendamento proposto dall’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissione non crede di poter aderire all’emendamento dell’onorevole Mortati. Si tratta di un problema pratico. Si calcola di poter fare le elezioni verso la fine di settembre. Mi pare quindi che convenga mantenere il termine, abbastanza largo, di sei mesi, indicato dal Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, conserva il suo emendamento?

MORTATI. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Mortati, per la sostituzione, nel primo comma, del termine di dieci a quello di sei mesi.

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’intero articolo 93, del quale è stata data testé lettura.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 94. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«I prefetti delle province di Trento e Bolzano restano in carica, con le attuali funzioni, fino alla costituzione della Giunta regionale e di quelle provinciali».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 95. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Con decreto legislativo saranno emanate le norme di attuazione della presente legge».

PRESIDENTE. Non sono stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 96. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La traduzione in lingua tedesca della presente legge costituzionale concernente lo statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige (Trentino-Tiroler Etschland) sarà pubblicata nel primo numero del Bollettino Ufficiale della Regione».

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Gli onorevoli Carbonari, Paris, Conti, Zuccarini e Conci Elisabetta hanno proposto il seguente articolo aggiuntivo:

«Entro un anno dalla entrata in vigore del presente statuto, i comuni già appartenenti alla Venezia Tridentina, secondo la legge di annessione del 26 settembre 1920, n. 1322, possono, con referendum e con decreto del Presidente della Repubblica, promosso dal Ministro dell’interno, sentito il Consiglio dei Ministri, essere riaggregati alla provincia di Trento».

L’onorevole Carbonari ha facoltà di svolgere questo emendamento.

CARBONARI. La legge di annessione del 26 settembre 1920, n. 1322, all’articolo 3 suonava: «I territori attribuiti all’Italia con questo trattato ed altri successivi fanno parte integrante del Regno d’Italia». E l’articolo 4: «Il Governo del re è autorizzato a pubblicare nei territori annessi lo Statuto e le altre leggi del Regno, e ad emanare le disposizioni necessarie per coordinarle con la legislazione vigente in quei territori, ed in particolare con le loro autonomie provinciali e comunali».

Allegato a questo decreto è il Trattato di San Germano, che fissa i confini dei territori annessi all’Italia. Entro questi confini è compresa la zona ampezzana. Vi sono compresi anche altri otto comuni, che sono stati staccati dalla provincia di Trento, da parte del regime fascista, dopo la marcia su Roma. Con decreto 21 gennaio 1923 veniva stabilito che i tre comuni di Cortina di Ampezzo, Livinallongo e Santa Lucia dovevano far parte del circondario di Belluno.

La legge di annessione dava ai territori annessi il diritto di conservare le leggi vigenti in coordinamento con la legislazione nazionale e di conservare, in tale coordinamento, le proprie autonomie provinciali e comunali. Questo diritto è stato dato anche alla zona ampezzana, la quale altrimenti, essendo stata unita a Belluno, non avrebbe potuto usufruirne. Dal decreto di annessione deriva anche il diritto sancito dalla Costituente ad una autonomia speciale.

Non si può usurpare un diritto derivante da una legge votata dal Parlamento italiano, attraverso un decreto proposto e firmato dal tiranno, che staccò quei comuni dalla provincia di Trento, la quale, prima della marcia su Roma, si estendeva da Ala fino al Brennero. I tedeschi venivano al capoluogo Trento senza protestare; da Trento era amministrata la zona ampezzana, essendo la stessa parte integrante della Venezia Tridentina.

I Governi liberali dell’altro dopoguerra, i Governi di Nitti, Giolitti e Bonomi, seguirono le direttive del decreto di annessione e diedero un governatore civile generale a Trento. Nei singoli distretti agivano i commissari civili, i quali portavano il Governo alle porte di casa.

Il novanta per cento degli affari del Governo di Roma venivano svolti presso il commissario generale civile di Trento. Tutti i distretti, cioè i circondari, avevano il commissario civile. Uno di questi commissari civili aveva sede in Ampezzo; e così Ampezzo poteva svolgere circa il novanta per cento dei suoi affari governativi sul luogo stesso; quindi le distanze erano eliminate, tanto più che Cortina e Livinallongo erano sede ciascuna di una pretura.

Onorevoli colleghi, la zona ampezzana fu staccata da Trento ottantun giorni dopo la marcia su Roma, contro la volontà della popolazione indigena; il clima fascista, saturo di ipernazionalismo, di spirito d’impero e di conquista, infierì mutilando la Venezia Tridentina per accontentare i gerarchi della provincia di Belluno. In quel clima, mentre a Trento venivano soppressi il commissario generale civile e la Giunta provinciale autonoma, ad Ampezzo veniva invaso il municipio e dispersa e soppressa la rappresentanza comunale, e soppresso il commissariato civile.

Passata la bufera fascista e tornata la libertà democratica, il popolo dell’Ampezzano chiede la restituzione delle libertà garantite dalla legge d’annessione e il ritorno alla provincia di Trento. Gli argomenti che usano gli avversari contro le aspirazioni di Ampezzo sono falsi e miserabili pretesti; la verità è che Ampezzo è un centro turistico internazionale di grande importanza economica; se Ampezzo avesse un bilancio passivo, quei signori avversari non si accorgerebbero della sua esistenza.

Gli ampezzani hanno diritto al referendum: e il torto fatto a Trento dal regime fascista deve essere riparato, restituendosi alla nostra provincia il territorio che le apparteneva.

È ridicolo parlare di pericolo per l’italianità di Ampezzo, che ha difeso il suo carattere nazionale da sola per molti secoli; parlare di pericolo per l’integrità della patria, come se Trento fosse terra straniera; parlare di diritto di conquista, quando i soldati italiani e i volontari trentini con loro hanno pugnato e versato il sangue per l’Italia, e non per questo o quel campanile o per smembrare una Provincia a danno di un’altra, quasi questa fosse una colonia.

Onorevoli colleghi, rendete contento il popolo trentino, che da Dio fu posto a sentinella sul vallo delle Alpi!

Noi trentini, per arrivare a quest’ora di distensione, di spirito di collaborazione e di vera pace nell’Alto Adige, abbiamo bruciato con gioia sull’altare del superiore interesse della Nazione il nostro amor proprio, i nostri risentimenti, il triste ricordo delle sofferenze passate come minoranza vissuta per secoli insieme con i concittadini tedeschi; molto abbiamo sacrificato per arrivare a quest’ora di sospirata pacificazione, che giova non solo a noi ma a tutta la Nazione e alla distensione internazionale. Noi trentini che abbiamo sofferto le amputazioni praticate subito dopo la marcia su Roma, che abbiamo sofferto il tradimento della vivisezione della Venezia Tridentina divisa in due Provincie, ed ora il distacco di quindici comuni colla relativa diminuzione delle rendite provinciali, chiediamo che la Costituente ripari almeno in parte i torti che abbiamo subìto sotto la tirannide del regime fascista e ci restituisca la zona ampezzana staccata da Trento con un decreto illegittimo. (Vivi applausi).

VIGNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VIGNA. L’onorevole Carbonari mi obbliga ad intervenire sulla questione se l’Ampezzano debba passare al Trentino-Alto Adige o restare al Bellunese. Non mi pare che sia il caso di discutere in questo momento la questione di merito, perché mancano all’Assemblea gli elementi in base ai quali possa pronunciarsi in proposito. Mi limito a prospettare agli onorevoli colleghi, e in particolare all’onorevole Presidente, una questione di preclusione che mi pare sia insuperabile. Il collega Carbonari, attraverso il suo articolo aggiuntivo, pretende che questa Assemblea deliberi il distacco di tre comuni dalla provincia di Belluno per passarli alla Regione del Trentino-Alto Adige.

Ora, la questione del distacco dei comuni da una Regione all’altra è già stata regolata con l’articolo 132 della Costituzione e precisamente nel capoverso di detto articolo. Io penso che l’Assemblea in questo momento non possa prendere una deliberazione che sia in contradizione con quella che è già contenuta nella Carta fondamentale dello Stato. (Interruzione del deputato Carbonari). Però mi si può obiettare che noi siamo in sede di discussione dello statuto speciale di una Regione autonoma e che quindi siamo ancora in sede di elaborazione costituzionale. Questa obiezione potrebbe aver valore se i comuni, dei quali si pretende il distacco, appartenessero e fossero nella sfera della Regione autonoma del Trentino-Alto Adige. In tal caso penso che non ci potrebbe essere preclusione vera e propria; ma qui si tratta di altro: si pretende il distacco di comuni dal Veneto per passarli al Trentino-Alto Adige. C’è dunque questa pretesa di strappare comuni a una Regione la cui formazione è stata sancita nella Carta costituzionale. (Interruzione del deputato Carbonari). È mai possibile che l’Assemblea possa deliberare in questa materia in assenza, direi quasi in contumacia, della Regione veneta? Per queste considerazioni, prego l’onorevole Presidente di dichiarare la preclusione e di non mettere in votazione l’articolo aggiuntivo. (Proteste del deputato Carbonari).

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Mi dispiace di dover contrastare la proposta del carissimo amico Carbonari, ma credo che essa, sebbene interessante e delicata, non possa venire comunque discussa da questa Assemblea e particolarmente nell’attuale momento, in quanto esiste una preclusione costituzionale chiara e precisa contro ogni tentativo che si voglia fare per mutare le circoscrizioni delle Regioni. Mai l’Assemblea Costituente nella sua lunga, travagliata e tormentosa vita, ha messo in discussione argomenti di questo genere. (Interruzione del deputato Carbonari). L’Assemblea Costituente, all’opposto, ha determinato con una norma precisa le modalità che dovranno domani seguirsi per apportare modificazioni territoriali alle Regioni. Faccio quindi presente che l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Carbonari viola la norma costituzionale per cui simili modificazioni territoriali sono rimesse esclusivamente all’esito di referendum ed alla legge della Repubblica.

In concreto, senza entrare nel merito, mi sembra che gli elementi topografici stessi siano tali da tagliare la testa al toro. (Interruzione del deputato Carbonari – Commenti). Pertanto credo che l’Assemblea Costituente si trovi di fronte a un ostacolo di netta e insuperabile preclusione.

CONCI ELISABETTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONCI ELISABETTA. Chiederei che l’emendamento fosse accettato almeno come raccomandazione. Invocandosi il referendum mi pare che non si sia fuori di una cosa giusta.

PARIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Paris, non si può dare la parola a tutti i proponenti di un emendamento.

PARIS. Solo due parole. Noi chiediamo non il distacco dei comuni ma solo il referendum entro un anno. Non ripieghiamo sulla proposta fatta dall’onorevole Conci, ma rimaniamo sulla proposta integrale dell’emendamento.

PRESIDENTE. Mi pare che la richiesta di questo articolo aggiuntivo venga ad urtare contro una preclusione, forse proprio perché l’onorevole Carbonari e gli altri proponenti hanno posto la questione in una forma direi moderata. Sa l’avessero posta in una forma più radicale, probabilmente non si sarebbe potuto opporre la preclusione (spero che non accettino il consiglio implicito in questo mio rilievo!); intendo dire che se la proposta fosse stata concretamente fatta in sede di articolo 3, ove appunto si accenna alla ripartizione della Regione in province e in comuni, l’Assemblea avrebbe forse potuto decidere sul merito, sia pure con una deliberazione discutibile dal punto di vista della legittimità costituzionale. Ma gli onorevoli Carbonari e i suoi colleghi propongono invece una procedura, che dovrebbe svolgersi in avvenire, la quale è in contrasto con quella ormai stabilita dalla Costituzione.

Mi rammarico pertanto di non poter porre in votazione questa proposta.

Chiedo ai firmatari se essi ritengono di poter accettare il suggerimento dell’onorevole Conci, nel senso di dare alla loro proposta la veste di ordine del giorno, in cui siano espressi desideri che potranno essere tenuti presenti dal legislatore futuro, sia al centro che in sede di Regione.

PARIS. Accettiamo di trasformare l’emendamento in ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ed allora, salvo la formulazione, pongo in votazione la proposta Carbonari e altri, non come articolo aggiuntivo ma come ordine del giorno con intento di raccomandazione.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Passiamo all’articolo 97, ultimo del disegno di legge. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

PRESIDENTE. Non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Il disegno di legge sarà poi votato nel suo complesso a scrutinio segreto.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere se non ritengano indispensabile, ai fini della ripresa del movimento turistico (che tanta importanza riveste per la nostra bilancia di pagamenti e per la ripresa generale del Paese), aumentare da 50 ad almeno 300 milioni lo stanziamento disposto col decreto legislativo 29 maggio 1946, n. 452, a favore di privati e di società alberghiere, che intendano ricostruire e riattrezzare le aziende alberghiere danneggiate dagli eventi bellici, ovvero migliorare ed ampliare le aziende stesse.

«Calcolato che i danni subiti dalle aziende alberghiere superano i 15 miliardi, la somma di 50 milioni annui appare assolutamente irrisoria, ove si confronti il livello dei prezzi fra il 1947 e il 1948.

«Date le attuali condizioni del bilancio, l’aumento di stanziamento potrebbe essere limitato al periodo di cinque anni, periodo che sarebbe sufficiente per comprendere le particolari necessità di ricostruzione degli alberghi, che si impongono in considerazione dell’eccezionale afflusso turistico che si verificherà nell’Anno Santo.

«L’aumento dello stanziamento appare urgente ove si consideri che sinora il Comitato turistico, previsto dalla legge 20 maggio 1946, ha dovuto praticamente respingere anche le più urgenti domande di contributo per mancanza di fondi: è da notare, d’altronde, che la ripresa dell’edilizia alberghiera e del turismo dà luogo a largo assorbimento di mano d’opera in tutti i settori, onde il maggiore stanziamento potrà in notevole misura venire ricuperato sugli stanziamenti intesi a lenire la disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Benvenuti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se, a norma dell’articolo 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 8 settembre 1946, numero 1045, il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio ha designato gli Istituti di credito facoltizzati a concedere finanziamenti con garanzia statale agli Enti comunali di consumo; ed in caso contrario, se non ritenga urgentissimo l’intervento del Ministero per l’emanazione del relativo decreto. Ciò in considerazione del fatto che le banche non procedono al finanziamento, in attesa dell’annunciata designazione, in mancanza della quale le finalità del suddetto decreto legislativo 8 settembre 1946 rimangono frustrate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Benvenuti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e-giustizia, per sapere se intenda finalmente far cessare l’annosa paralisi della funzione giudiziaria civile della Corte di appello di Catanzaro con provvedimenti idonei; anche se dovesse vincere il pregiudizio di casta, e dar corso alle pratiche già favorevolmente istruite per la immissione nel ruolo di quei magistrati di avvocati anziani designati dalla generale stima e fiducia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Turco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere per quali motivi la provincia di Campobasso dal 1° maggio 1947 fu sottratta alla circoscrizione del tribunale militare di Napoli ed assegnata a quella del tribunale militare di Bari, e se non intenda restituirla alla precedente circoscrizione, tenuto conto di considerazioni geografiche e tradizionali, dei frequenti e diretti rapporti commerciali, industriali e professionali fra il Molise e Napoli, a tacere dei motivi sentimentali e affettivi, sempre esistiti fra il Molise e Napoli, laddove nessun legame o rapporto esiste fra il primo e Bari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ciampitti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se e quali provvedimenti intenda adottare, quanto meno attraverso un comunicato di recisa smentita, per la migliore e più sollecita tutela dell’onore, della dignità e del prestigio della magistratura, in genere, e in particolare dei seguenti magistrati: dottor Nicolini, ex presidente capo del tribunale di Roma ed attualmente primo presidente di Corte di appello; dottori Caporaso, La Porta e Stella Reichiter, della prima sezione civile del detto tribunale; e del sostituto procuratore della Repubblica, dottor Manca Bitti, di fronte alla grave e scandalistica pubblicazione contenuta nel quotidiano La Voce repubblicana n. 15 del 17 corrente, in seconda pagina, su tre colonne, sotto il titolo: «Severe accuse contro alcuni magistrati – Una scandalosa vicenda giudiziaria da molto tempo avvolta nel silenzio», pubblicazione che, oltre agli estremi del reato di vilipendio della magistratura, contiene una specifica accusa contro i magistrati sunnominati, in ordine ai reati di falso in atti pubblici, di abuso di potere, di rifiuto di atti del proprio ufficio, in danno di tale Emma Pateras, nota squilibrata, interessata in un duplice giudizio d’interdizione e dj separazione personale.

«Gli interroganti chiedono, altresì, di conoscere il suo pensiero sul fatto che il procuratore generale della Corte di appello di Roma non abbia finora curato di compiere l’elementare dovere di procedere di ufficio, pel reato di calunnia, contro gli autori della denunzia tempo fa presentata contro i ripetuti magistrati, in base alla quale esso procuratore generale fu sollecito ad elevare regolare rubrica, con relativa trascrizione nel registro generale (come si usa per comuni delinquenti), attendendo ad ampie e approfondite indagini, che si conchiusero (nella più completa ignoranza da parte dei denunziati di quanto si tramava contro di loro) con un provvedimento di archiviazione da parte della sezione istruttoria presso la Corte di appello di Roma.

«Il che autorizza a ritenere che l’essere magistrato onesto e intemerato e l’avere compiuto sempre con onestà e scrupolo il proprio dovere, meritando la stima e la considerazione di superiori, di colleghi e del foro, siano titoli sufficienti per essere proditoriamente e impunemente diffamati e calunniati, senza trovare negli organi competenti quella protezione e quella difesa che in qualunque altra pubblica amministrazione costituiscono un elementare dovere e una lodevole sollecitudine verso i propri appartenenti.

«Senza rilevare che ciò costituisce un efficace incoraggiamento ai denigratori abituali della magistratura a persistere in riprovevoli e velenose campagne comiziali e giornalistiche ai danni della famiglia giudiziaria, che deplorevolmente resta indifesa, togliendole o diminuendone quella tranquillità e quella serenità, che sono condizioni prime ed essenziali per compiere degnamente i doveri inerenti all’ardua e nobile funzione di amministrare la giustizia. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Ciampitti, Morelli Renato, Monticelli, Fusco».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti abbiano preso o intendano prendere contro i responsabili diretti e indiretti dell’aggressione perpetrata in Brescia, il 25 gennaio 1948, da elementi identificati e da altri facilmente identificabili, contro giovani inermi appartenenti al M.S.I., pacificamente riuniti in una trattoria. E se, nei gruppi che commisero l’aggressione, non ravvisino i caratteri di formazioni militari o para-militari che il Trattato di pace e la nostra Costituzione considerano illegali. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Russo Perez, Marina».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti voglia prendere, affinché i distretti militari siano messi in grado di assolvere tempestivamente i loro compiti, particolarmente delicati e gravosi in questo periodo per la documentazione inerente alle pensioni di guerra (che subisce ritardi enormi e non tollerabili), nonché alla liquidazione degli assegni e consegna dei libretti di «presente alle bandiere» alle famiglie dei militari dispersi.

«Si fa presente, al riguardo, come si lamentino gravi ritardi in zone di prevalente reclutamento dei tanti militari dispersi in Russia e nei Balcani, come è purtroppo il Friuli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per rilevare come le concessioni dei contributi per il ripristino delle opere di miglioramento fondiario distrutte o danneggiate dalla guerra si vadano trascinando così a lungo, da frustrare addirittura i beneficî di tali provvedimenti; e per sapere se non ravvisi necessario ovviare a così grave inconveniente, disponendo opportune semplificazioni di procedura e decentrando agli Ispettorati compartimentali dell’agricoltura le concessioni, almeno per gli importi meno rilevanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se non intenda ripristinare l’ufficio del registro di Santa Margherita Belice (Agrigento), arbitrariamente soppresso nel 1923 dal governo fascista, in seguito all’arbitraria soppressione della pretura.

«Al riguardo è da precisare quanto segue:

1°) il ripristino dell’ufficio del registro si rende necessario, dopo che a Santa Margherita è stata già ripristinata la pretura con questo territorio: Santa Margherita Belice-Sambuca-Montevago, i quali tre paesi fanno parte del mandamento di Santa Margherita;

2°) il ripristino dell’ufficio del registro a Santa Margherita Belice non implica la soppressione dell’ufficio del registro di Menfi, nel qual caso soltanto potrebbe essere danneggiato questo Comune. Possono e debbono coesistere i due uffici del registro, come coesistettero per moltissimi anni, fino al 1923;

3°) l’Ispettorato di Palermo del Ministero delle finanze diede parere favorevole per il ripristino dell’ufficio del registro a Santa Margherita;

4°) il comune di Montevago dista soltanto quattro chilometri da Santa Margherita, mentre ne dista venti da Menfi. Inoltre da Montevago si va a Menfi passando per Santa Margherita. È quindi una vera assurdità affermare che Montevago ha maggiore possibilità di comunicazioni con Menfi, anziché con Santa Margherita;

5°) il comune di Sambuca è collegato con Santa Margherita con diversi servizi automobilistici e col treno. Invece è collegato con Menfi soltanto con servizi automobilistici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montalbano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se – allo scopo di venire incontro alle legittime aspirazioni di numerosi reduci – non ritenga opportuno prorogare almeno di un mese il termine, scadente il 9 febbraio 1948, per la domanda di ammissione al concorso per 230 posti di segretario negli istituti di istruzione media, per rendere possibile la partecipazione al medesimo di coloro che conseguiranno il richiesto titolo di studio nella prossima sessione straordinaria di esami, (L’interrogante chiede la risposta scritta)

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se, nella divisione in categorie degli uffici provinciali del lavoro, che si dice imminente, l’ufficio di Salerno sarà assegnato alla prima categoria, siccome merita l’importanza di quella provincia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se, nell’interesse dell’Erario, non creda necessario promuovere un provvedimento legislativo che sostituisca, nella tabella A della legge 21 dicembre 1947, contenente le «Norme per la elezione della Camera dei deputati», alla città di Benevento, quale sede dell’ufficio centrale circoscrizionale del Collegio XXIII (Benevento-Avellino-Salerno), la città di Salerno.

«Invero, a prescindere dalla maggiore importanza storica e demografica della detta città di Salerno, che pur reclama la cennata sostituzione, è innegabile che lo Stato realizzerebbe con essa, data la posizione topografica di Salerno, una economia per lo meno di 20 milioni nella spesa per le operazioni elettorali. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Rescigno, Lettieri, De Martino».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.50.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

  1. – Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.
  2. Discussione del disegno di legge costituzionale:

Statuto speciale per la Valle d’Aosta.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 29 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 29 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Di Giovanni, Presidente della Commissione

Bellavista

Colitto

Condorelli

La Rocca, Relatore

Tonello

Uberti

Foresi

Monterisi

Zanardi

Giua

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Targetti

Mastino Pietro, Relatore

Fabbri

Disegno di legge (Discussione):

Modificazioni alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la prima elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (66)

Presidente

Micheli, Relatore

Scelba, Ministro dell’interno

Disegno di legge (Discussione):

Norme per la formazione delle liste elettorali nella provincia di Bolzano (67)

Presidente

Micheli, Relatore

Disegno di legge costituzionale (Seguito della discussione):

Statuto speciale per la Sardegna (62)

Presidente

Perassi, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali

Murgia

Marinaro

Condorelli

Mastino Pietro

Einaudi, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio

Uberti

Ambrosini, Relatore

Fabbri, Relatore

Bertone

Chieffi

Balduzzi

Spano

Dominedò

Mannironi

Pella, Ministro delle finanze

Mastino Gesumino

Laconi

Presentazione di relazioni:

Di Giovanni

Presidente

La seduta comincia alle 10.

TOZZI CONDIVI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che l’onorevole Preziosi, che faceva parte del Gruppo parlamentare della Democrazia del lavoro, si è iscritto a quello dell’Unione democratica nazionale.

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca un elenco di domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

La prima è contro il deputato Zappelli, per il reato di cui all’articolo 595, 2° capoverso, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. I, n. 5).

La Commissione conclude che non debba essere accordata l’autorizzazione.

Poiché nessuno chiede di parlare, pongo in votazione le conclusioni della Commissione.

(Sono approvate).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere contro i deputati Longhena e Zanardi, per il reato di cui all’articolo 595 commi 1° e 2°, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. I, n. 15).

La Commissione conclude che non debba essere accordata l’autorizzazione.

Poiché nessuno chiede di parlare, pongo in votazione le conclusioni della Commissione.

(Sono approvate).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato Gonella, per il reato di cui all’articolo 595, commi 1° e 3°, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. 1, n. 18).

La Commissione conclude che non debba essere accordata l’autorizzazione.

Poiché nessuno chiede di parlare, pongo in votazione le conclusioni della Commissione.

(Sono approvate).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato Patrissi, per il reato di cui all’articolo 341 del Codice penale (oltraggio ad un pubblico ufficiale). (Doc. 1, n. 26).

La Commissione conclude per la concessione dell’autorizzazione a procedere.

Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Mi rimetto a quanto è stato unanimemente deciso dalla Commissione in senso favorevole all’autorizzazione a procedere.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Non mi rendo conto del deliberato della Commissione e penso che essa non dia sufficiente spiegazione per la diversità di trattamento tra i casi precedentemente esaminati e quest’ultimo. Quando, in punto di fatto, c’è materia obiettiva di reato, o le considerazioni valgono per tutti o, per ragioni di giustizia, non valgono per alcuno.

Per questo motivo penso che non bisogna concedere l’autorizzazione.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Il concetto al quale si è ispirata la Commissione è questo: quando incidono ragioni di natura politica, le quali possono dare la sensazione che contro il deputato si tenti una persecuzione giudiziaria per arrestare, paralizzare o deviare la sua funzione, altamente apprezzabile, nell’esercizio del mandato parlamentare, allora la Commissione ha opinato – anche in conformità alla tradizione quasi costante in materia – di doversi negare l’autorizzazione a procedere.

Quando si tratti, invece, di un reato comune, nella valutazione del quale non incidono speciali ragioni, della natura di quelle cui ho accennato, la Commissione, che non ha se non un potere esclusivamente delibatorio del merito e non può quindi né esaminarlo fondamentalmente né pregiudicare l’azione del giudice competente ha ritenuto di non dover arrestare il corso dell’azione penale e di demandarla al giudizio di merito del magistrato competente.

Questo è il motivo per cui, ad esempio, quasi generalmente, la Commissione ha negato l’autorizzazione a procedere per i reati di diffamazione a mezzo della stampa, per i quali i deputati dovrebbero rispondere nella quasi totalità dei casi, semplicemente per una responsabilità indiretta, quale quella attribuita al direttore del giornale; mentre, in altri casi – limitatissimi, per fortuna – la Commissione ha dovuto proporre che si concedesse l’autorizzazione, trattandosi di reati comuni, sui quali non incide la speciale ragione politica della quale ho fatto cenno.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. I chiarimenti del Presidente della Commissione somigliano ad un sillogismo, nel quale la premessa non corrisponde alla conseguenza.

L’onorevole Patrissi è stato imputato del reato di cui all’articolo 341 del Codice penale, oltraggio ad un pubblico ufficiale; nella specie un Prefetto, non so se dell’ex regno o della Repubblica.

Ora, se c’è un reato che abbia in sé il carattere, la natura politica, è proprio questo.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Desidero aggiungere qualche rilievo a quello che ho già detto: si tratta, nella specie, di oltraggio ad un pubblico ufficiale, commesso per corrispondenza telefonica e poi telegrafica; oltraggio che ha la sua specifica configurazione di una violazione di legge personale.

Da quanto emerge da tutto il carteggio, che è allegato alla domanda di autorizzazione a procedere, e che rimane a disposizione dell’Assemblea, non sembra si possa negare l’autorizzazione chiesta: affermo che la Commissione ha ponderatamente valutato il caso, prima di prendere le esposte conclusioni.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Mi associo pienamente a quanto ha detto l’onorevole Bellavista. Effettivamente il concedere l’autorizzazione in questo caso, significherebbe adottare due pesi e due misure. Dichiaro che voterò contro la proposta di concedere la richiesta autorizzazione.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io mi associo alle dichiarazioni degli onorevoli Bellavista e Colitto. Si tratta di un reato strettamente politico, perché sarebbe stato commesso nell’esercizio di quella funzione strettamente parlamentare che è il controllo della pubblica amministrazione.

MASTINO PIETRO. Ma se non era ancora deputato, in quel momento!

CONDORELLI. Agiva comunque a scopo politico.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANI, Presidente della Commissione. L’onorevole Patrissi agiva non a scopo politico, ma come un qualsiasi cittadino: non essendo allora deputato, egli non era coperto dall’immunità parlamentare. L’onorevole Patrissi era in quel tempo funzionario e credo anche rappresentante un’organizzazione assistenziale, e come tale ebbe occasione di una conversazione telefonica col Prefetto della Provincia, conversazione nella quale sembra egli abbia adottato un linguaggio oltraggioso, ripetuto in un lungo telegramma, alligato al processo. Ripeto che la Commissione non ha inteso giudicare del merito; se lo avesse fatto, avrebbe invaso il campo riservato all’autorità giudiziaria. Ma in seguito all’esame sommario e delibatorio, cui la Commissione ha potuto procedere, è apparsa fondata la doglianza per cui il Prefetto ha chiesto al proprio Ministro l’autorizzazione a procedere alla denuncia per oltraggio a carico dell’onorevole Patrissi; e poiché egli successivamente venne eletto deputato, è sorta la necessità di sottoporre l’esercizio dell’azione penale all’autorizzazione parlamentare. Ecco perché, nella specie, la Commissione ha dovuto proporre all’Assemblea che sia concessa la richiesta autorizzazione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione di concedere l’autorizzazione a procedere nei confronti del deputato Patrissi.

BELLAVISTA. Onorevole Presidente, faccio la proposta di non concedere l’autorizzazione a procedere in giudizio: credo quindi che la mia proposta debba avere la precedenza nella votazione.

PRESIDENTE. Senza dubbio. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Bellavista che non sia concessa l’autorizzazione a procedere a giudizio nei confronti del deputato Patrissi.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione la proposta della Commissione di concedere l’autorizzazione. (Commenti).

(È approvata).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato Motolese, per il reato di cui all’articolo 559 del Codice penale (correità in adulterio). (Doc. I, n. 30).

La Commissione conclude per la concessione dell’autorizzazione.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

LA ROCCA, Relatore. Credo che non vi sia nulla da aggiungere alla relazione scritta: i fatti sono di un’estrema semplicità.

Nel luglio scorso il signor Caroli presentò querela contro la moglie e contro l’onorevole Motolese, sospettato di correità in adulterio. A sostegno di questa tesi egli espose determinati fatti, che qui non è il caso di rievocare.

La Commissione è stata unanime nel ritenere che in questo caso non si possa non concedere l’autorizzazione a procedere, in primo luogo perché l’istituto dell’immunità parlamentare si riduce a questo: a garantire il deputato nell’esercizio delle sue funzioni, cercando di impedire che egli appunto possa essere ostacolato nell’espletamento di questo suo compito da motivi politici. In secondo luogo, nel caso in esame, si tratterebbe di calpestare o perlomeno non tenere alcun conto del diritto di un terzo, cioè del marito, di veder riconosciute o quanto meno valutate le sue ragioni nell’apposita sede: quella giudiziaria.

Per queste ragioni la Commissione ha ritenuto di dover concedere l’autorizzazione a procedere.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Io sono perfettamente contrario al parere della Commissione per quel tanto che io posso apprendere del fatto dalla relazione che ho qui davanti a me. A me pare che il reato di cui è imputato il collega Motolese sia molto problematico e molto relativo, stando alla lettura dei documenti, perché potrebbe trattarsi anche di qualche trappola politica. Questo marito che nomina un suo rappresentante presso la moglie, dalla quale è separato, e poi dà querela, non mi pare che faccia una cosa tanto bella. Credo che si tratti di uno di quegli avvenimenti per cui non c’è da scandalizzarsi, specialmente tra i colleghi democratici cristiani (Commenti) perché, ricordatevi del proverbio: «Una volta a te, un’altra a me». Mi sembra che qui il peccato non sia ancora proprio stabilito né confessato, e siccome un processo di questo genere significherebbe per il deputato la sua morte politica, e sarebbe un premio per i suoi concorrenti, proprio alla vigilia delle elezioni, dichiaro che, per quanto mi riguarda, voterò contro la concessione dell’autorizzazione a procedere.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Dichiaro che voterò a favore della concessione dell’autorizzazione a procedere, in modo che il nostro collega abbia la possibilità di dimostrare la sua innocenza (Approvazioni).

FORESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FORESI. Dichiaro anche personalmente di associarmi alla dichiarazione fatta dall’onorevole Uberti. Desideriamo tutti che sia fatta luce intorno a questa grave accusa che è piovuta sopra uno dei nostri colleghi.

Il Motolese è conosciuto al di sopra di ogni partito, nella sua zona, come un uomo non soltanto pieno di grande cultura scientifica e di altissimo valore professionale, ma anche pieno di grande bontà e di immensa rettitudine.

Perciò il negare l’autorizzazione a procedere potrebbe significare volerlo far trincerare dietro un istituto che in qualche modo possa mascherare e coprire qualche sua colpa.

Per questo voterò a favore dell’autorizzazione a procedere.

MONTERISI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTERISI. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Uberti. Siamo d’accordo sulla opportunità che si faccia piena luce sulla questione. L’onorevole Motolese gode nella sua zona di ottima fama, sia come professionista, sia come uomo di cuore, che ha beneficato sempre tanta gente e che ha sempre aiutato i poveri.

È necessario che sia fatta piena luce: io sono sicuro della sua innocenza.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Tonello si è limitato ad una dichiarazione di voto e non ha fatto una proposta contraria a quella della Commissione, come nel caso precedente aveva fatto l’onorevole Bellavista, non resta che procedere alla votazione.

Metto in votazione la proposta della Commissione di concedere l’autorizzazione a procedere contro il deputato Motolese.

(È approvata).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Zanardi, per il reato di cui all’articolo 595, 2° capoverso, in relazione all’articolo 57, n. 1, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. 1, n. 35).

La Commissione propone di non concedere la chiesta autorizzazione.

Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Niente da aggiungere a quello che è stato esposto nella relazione. Siamo di fronte ad uno dei casi accennati in principio, nel quale sarebbe evidente la ragione politica. Quindi la Commissione, all’unanimità, ha ritenuto di non dover concludere per la proposta di autorizzazione a procedere.

ZANARDI. Avverto che mi asterrò dalla votazione.

GIUA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUA. Io voto secondo il deliberato della Commissione, ma devo fare una dichiarazione. La Commissione dei probiviri del Partito socialista aveva preso in esame le accuse fatte contro il compagno Tolloy da parte dei deputati Longhena e Zanardi, e aveva riconosciuto infondate queste accuse. Il compagno Zanardi, da me interpellato, ha dichiarato di non saper nulla e quindi di non essere responsabile delle frasi pubblicate da un giornale di Bologna, essere cioè il Tolloy un fascista antemarcia, esaltatore di Mussolini ecc.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Ma questa è un’altra domanda.

GIUA. Allora chiedo scusa, ma poiché verrà in esame anche quest’altra richiesta, io dichiaro che accetto il risultato della Commissione, perché il compagno Zanardi ha dichiarato non essere responsabile della frase pubblicata dal giornale di Bologna.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione di negare l’autorizzazione a procedere contro il deputato Zanardi.

(È approvata).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato Laconi, per il reato di cui all’articolo 18 del testo unico della legge di pubblica sicurezza (riunione pubblica non autorizzata). (Doc. I, n. 42).

La Commissione conclude perché non sia concessa l’autorizzazione a procedere.

Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Onorevole Presidente, a me pare che basti enunciare l’oggetto della richiesta di autorizzazione a procedere, per concludere sulla esattezza e fondatezza della proposta della Commissione di negare l’autorizzazione.

Si tratterebbe di una semplice contravvenzione per aver parlato in pubblico senza una preventiva autorizzazione della pubblica sicurezza.

La Commissione ha ritenuto che in questo caso, prescindendo dall’esame del merito, si presentava così futile il motivo della denuncia contro il deputato Laconi, che, all’unanimità, ha proposto di respingere la richiesta autorizzazione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione da proposta della Commissione di negare l’autorizzazione a procedere contro l’onorevole Laconi.

(È approvata).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato Labriola per il reato di cui all’articolo 595, secondo capoverso, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. I, n. 44).

La Commissione conclude perché sia negata l’autorizzazione.

Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Si tratterebbe di un caso di responsabilità indiretta.

L’onorevole Labriola dovrebbe rispondere, secondo la querela, in quanto direttore del giornale che aveva pubblicata la corrispondenza ritenuta diffamatoria.

Anche a volere esaminare, nel rapporto dell’autore, il contenuto dell’articolo, in base alla delibazione sommaria fattane dalla Commissione, è sembrato che anche la responsabilità di costui sarebbe coperta egualmente dalla buona fede, in quanto il caso di cui si faceva pubblicazione aveva dato luogo effettivamente ad un’inchiesta amministrativa, che aveva sortito risultati favorevoli alla tesi dello scrittore. Comunque, l’onorevole Labriola, chiamato a rispondere per responsabilità indiretta, non sembra possa avere alcuna responsabilità, nella specie. La Commissione, quindi, è d’avviso, all’unanimità, che sia negata l’autorizzazione a procedere.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione di negare l’autorizzazione a procedere contro l’onorevole Labriola.

(È approvata).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tomba, per il reato di cui all’articolo 595, in relazione all’articolo 57, n. 1, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. I, n. 46).

La Commissione ha dato parere favorevole all’autorizzazione a procedere.

Ha facoltà di parlare il Presidente della Commissione.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Per questa domanda, contrariamente a quello che si è fatto per altre, la Commissione è stata d’avviso di consentire l’autorizzazione a procedere. Nella specie, si tratta di una diffamazione a mezzo della stampa, a contenuto delicato nella quale il querelante ha consentito ampia facoltà di prova. Sembra che in questo caso, anche nell’interesse dello stesso deputato, che è stato esposto alla persecuzione giudiziaria, convenga dar luogo all’autorizzazione. In sede di giudizio si potrà dimostrare l’attendibilità o meno dei fatti denunciati, ed ove il deputato, accennando a fatti precisi e determinati, sarà per provarne in giudizio la realtà, la di lui assoluzione ritengo potrebbe servire meglio la causa della giustizia ed avvantaggiare la legittimità della censura della pubblica stampa. Per queste ragioni la Commissione, all’unanimità, ha opinato di proporre che sia consentita l’autorizzazione a procedere.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Molte volte il deputato è il direttore del giornale locale, ma egli ha il suo mandato da espletare e quindi non è responsabile realmente. Di fronte alla legge, sì, è responsabile, ma di fatto non lo è. Non credo che Tomba abbia scritto l’articolo incriminato. Del resto mi pare che il reato in sé non rivesta quella gravità di diffamazione che gli si vuole attribuire ed è molto dubbio che le frasi dette abbiano il contenuto diffamatorio loro attribuito. Bisogna poi vedere in quale occasione è stata detta questa frase. Certo è che con questa querela si vuole colpire un collega, il quale naturalmente deve essere tutelato. Mentre i nostri avversari ci scagliano sui loro giornali tutte le violenze che vogliono, per una frase infelice o arrischiata deve essere sempre pronta la querela. Qui non c’è diffamazione: si tratta di una reminiscenza della lotta fascista, e niente altro. Domando che sia respinta la domanda di autorizzazione a procedere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Vorrei fare una osservazione a titolo puramente personale. Non ho ben compreso lo spirito con cui la Commissione ha fatto questa discriminazione, proponendo cioè di non concedere l’autorizzazione per i casi precedenti per lo stesso capitolo di imputazione, e facendo proposta diversa per questo caso. L’onorevole Di Giovanni ha detto: perché metteremmo in condizione il nostro collega, che ha tutte le prove per dimostrare che ha detto il vero, di non poterlo fare. A me pare un principio molto strano, perché verremmo a dire che i nostri colleghi di poco fa non avevano le prove. Quindi, diremmo che abbiamo tutelato una accusa fatta a vuoto o senza sufficiente documentazione. Credo, in conformità con quanto abbiamo stabilito per gli altri casi, che non dobbiamo concedere anche in questo caso.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Devo dare ragione del diverso apprezzamento della Commissione nei vari casi. Come ho accennato, la Commissione non può fare, e non crede di dover fare, un esame di merito. Quindi, sulla fondatezza o meno del contenuto sostanziale della querela, la Commissione non può che fare un esame di semplice delibazione, per non sostituirsi al magistrato competente a giudicare del merito. Appare talvolta da questo esame delibatorio la assoluta infondatezza della querela; od appare evidente il motivo di persecuzione politica. In questi casi la Commissione ha negato senz’altro la autorizzazione, o meglio ha proposto che l’Assemblea neghi l’autorizzazione.

Dei casi specifici si sono presentati a contenuto diverso, come quello dell’onorevole Tomba. In questo caso il querelante è il signor Mora, contro il quale sarebbe stata fatta la pubblicazione ritenuta diffamatoria sul Popolo di Verona. Il Mora, prima di presentare la querela, si rivolse direttamente all’onorevole Tomba, dandogli ampia dimostrazione della infondatezza della pubblicazione e del contenuto erroneo di quello che il giornale assumeva, pregandolo di rettificare nel giornale stesso la fatta pubblicazione che non corrispondeva a verità ed aveva contenuto diffamatorio. Questa lettera rimase senza risposta. Ci fu un nuovo invito diretto e pressante: anche questo rimasto senza risposta. L’invito era stato preceduto dalla dichiarazione che, in caso di mancata risposta, il Mora si sarebbe rivolto all’autorità giudiziaria con regolare querela di diffamazione, consentendo al querelato ampia facoltà di prova. Poiché il secondo invito rimase senza risposta, il Mora provvide alla presentazione della querela. È sembrato ovvio in questo caso, nell’interesse stesso dell’onorevole Tomba, che negare l’autorizzazione a procedere non sarebbe stato utile alla di lui probità morale, mentre il procedimento penale gli avrebbe offerto il mezzo di provare la fondatezza della pubblicazione, qualificata diffamatoria, e nella quale egli ha mostrato di voler insistere. Ecco perché in questo, come in altri analoghi casi eccezionali, la Commissione ha mutato le sue direttive, informate di massima al concetto di negare l’autorizzazione a procedere.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Non mi pare che le spiegazioni della Commissione ai giusti rilievi dell’onorevole Andreotti siano da considerare sodisfacenti

Poco fa, per bocca del suo autorevole Presidente, la Commissione ci ha segnalato questo criterio discriminatorio: tutte le attività che obiettivamente possono costituire reato, ma che sono determinate dall’esercizio di un’azione politica di censura connesso con il mandato parlamentare, devono, secondo il saggio criterio della Commissione, essere considerate sotto questo profilo, e perciò doveva essere negata l’autorizzazione a procedere. Ora qui la Commissione somiglia alla Cassazione unica con contraddittorietà di giudicato, perché anche in questo caso si tratta di un atto, che può o non può costituire reato, ma che ha la forma di reato di diffamazione nei confronti di un terzo, connesso all’esercizio dell’attività politica. Ed intanto in quest’ultimo caso arriva a conclusioni diverse.

Né vale, onorevole Di Giovanni, dire che la Commissione si limita a deliberare.

La Commissione non soltanto ha delibato ma è entrata nelle anfrattuosità del merito. Si parla di fatti specifici che la Commissione ha esaminato; si parla di una richiesta del querelante, signor Mora, di rettifica, che non avvenne. La Commissione ha avuto modo di esaminare la cosa completamente.

Dobbiamo evitare, per la stessa esigenza di giustizia, che vuole soluzioni eguali a casi identici, che ci sia imputata una contraddittorietà, che sarebbe sospetta, per lo meno nei confronti di quei colleghi, verso i quali si è negata l’autorizzazione a procedere, mentre per questo si verrebbe concedere.

Pertanto, faccio proposta formale che non sia accolta la proposta della Commissione di concedere l’autorizzazione a procedere contro l’onorevole Tomba.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi associo a quanto hanno detto gli onorevoli Andreotti e Bellavista.

Ma c’è un altro rilievo da fare: la imprecisione con la quale la fattispecie è presentata al giudizio della Commissione.

È detto: Il signor Alberto Mora si è querelato contro l’onorevole Tomba, quale Direttore responsabile del giornale Verona del Popolo, col quale (a chi si riferisce questo quale?), riferendosi a un gruppo di persone, fra cui esso Mora, che si davano convegno nel campo sportivo di Legnago, col pretesto di procurare fondo per scopi sportivi, lo qualificava (chi?) «organizzatore della propaganda radiofonica repubblichina».

Mi parrebbe più opportuno chiedere l’autorizzazione a procedere contro queste imprecisioni di linguaggio. (Si ride).

Questa imprecisione così strana in materia tanto delicata mi pare che dovrebbe essere un argomento di più per indurre a respingere la proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta fatta dall’onorevole Bellavista di non concedere l’autorizzazione a procedere contro l’onorevole Tomba, restando nell’intesa che, se approva la proposta Bellavista, l’Assemblea intende respingere la proposta della Commissione.

(È approvata).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Covelli, per il reato di cui all’articolo 290 del Codice penale (Vilipendio delle istituzioni costituzionali). (Doc. I, n. 47).

La Commissione propone di concedere l’autorizzazione.

L’onorevole Relatore ha facoltà di parlare.

MASTINO PIETRO, Relatore. Occorre accennare brevemente al fatto, che è questo. L’onorevole Covelli, in un comizio tenuto a Benevento il 25 maggio 1947, definì la Repubblica: «una Repubblica di ignominia e di fango, di barattieri, di contrabbandieri e di falsari…, nata perché le calcolatrici di Romita hanno voluto farla nascere». (Commenti a sinistra).

Sul fatto materiale, che cioè queste parole siano state pronunciate (dico ciò con riferimento al fascicolo trasmesso alla Commissione) non vi sono dubbi. Ciò che la Commissione doveva proporre a se stessa era questo: se ragioni di indole politica potessero aver influito sulla formulazione dell’accusa. Ciò, però, era da escludere, in quanto il fatto, nei termini materiali, era di consenso comune.

Ciò premesso, la Commissione dice e ripete quanto è scritto nella relazione: che di fronte alla manifesta gravità delle frasi attribuite al Covelli – che non possono dar luogo ad incertezza d’interpretazione – il magistrato deve essere ammesso a poter dare un giudizio che stabilisca se concorrano gli estremi necessari per la configurazione del delitto di vilipendio delle istituzioni repubblicane. La Commissione ha cioè detto: il giudizio giuridico non lo dobbiamo dar noi, ma è necessario che venga dato. Da ciò discende la conseguenza della proposta della concessione dell’autorizzazione a procedere.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Pregherei gli onorevoli colleghi di negare l’autorizzazione a procedere (Approvazioni). Se nel tempo delle frasi grosse ed esagerate, onorevoli colleghi, su questi stessi banchi ed in tutti i giornali ci sono queste esagerazioni, che il collega Covelli in un comizio molto movimentato (in cui vi furono applausi e fischi) abbia pronunciato queste parole, non fa caso. Se si dovessero condannare tutti quelli che hanno la lingua lunga, nessun uomo porterebbe più la lingua. (Si ride). Me compreso. Onorevoli colleghi, neghiamo questa autorizzazione a procedere: non si salva la Repubblica né la si offende, facendo così. (Applausi).

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Mi associo alle parole nobilissime pronunziate dal collega Tonello. Aggiungo che, a mio modesto avviso, l’autorizzazione non può essere concessa per una ragione di carattere strettamente giuridico. L’accusa, che si muove all’onorevole Covelli, è quella di violazione dell’articolo 290 del Codice penale, cioè di vilipendio delle istituzioni costituzionali. Dalla relazione, però, risulta ch’egli avrebbe recato offesa alla Repubblica e che il fatto si sarebbe verificato in Benevento il 25 maggio 1947, vale a dire in epoca anteriore alla modifica del Codice penale compiuta da questa Camera, con la quale al vilipendio alle «istituzioni costituzionali» si aggiunse il vilipendio «alla Repubblica». Solo questa Assemblea ha stabilito che costituisce reato l’offesa alla Repubblica in genere: ma, prima della legge votata dall’Assemblea e, quindi, il 25 maggio 1947, epoca del fatto, una offesa alla Repubblica non costituiva reato, tale essendo solo l’offesa alle istituzioni costituzionali dello Stato.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Tonello.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Prego l’Assemblea di considerare che nella richiesta del Procuratore della Repubblica è detto esplicitamente che «le proposizioni del Covelli erano state improvvisate in un clima fatto rovente dalle opposizioni clamorose e ingiuriose di alcuni ascoltatori». Saremmo quasi nel campo della ritorsione delle ingiurie nel clamore di un comizio, ed in queste condizioni… (Interruzioni a sinistra)

Mi rendo conto che riconoscete trattarsi di un episodio che non deve esser trascinato in un’aula giudiziaria.

MASTINO PIETRO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO, Relatore. Non ho motivo di respingere senz’altro, non dico la proposta formulata dall’onorevole Tonello, ma la linea di argomentazione da lui seguita. Però, l’onorevole Tonello ammetterà che questa linea porta alla soppressione della Commissione per le autorizzazioni a procedere, od all’esclusione dalla sua competenza di quell’insieme di reati che rientrano nel campo della diffamazione e dell’ingiuria. Ora, credo che nessuno voglia arrivare a questo, soprattutto quando questa tesi è sostenuta non in linea pregiudiziale, ma nei confronti di una specifica concessione di autorizzazione a procedere. L’onorevole Fabbri, d’altra parte, ha detto come nel caso in questione è sostenibile forse a favore del Covelli una tesi di compensazione d’ingiurie, o per lo meno la concessione di una provocazione, in quanto egli avrebbe agito in quel determinato clima per influenza di precedenti ingiurie lanciate contro di lui.

Questo, onorevoli colleghi, è un entrare in merito della questione. Ora, noi nel merito non dobbiamo entrare e se insisto dicendo queste cose è solo per una ragione di giustizia, in quanto altrimenti finiremmo coll’occuparci del merito esaminando la posizione proprio dell’onorevole Covelli, mentre in genere così come è a mio avviso opportuno fare, nel merito delle altre richieste di autorizzazione a procedere non siamo entrati.

Quindi, proporrei, per una ragione di giustizia tratta dal funzionamento della Commissione, tratta dall’esame obbiettivo dell’emendamento, tratta dal normale metodo di comportamento della Commissione di fronte a casi del genere, di concedere l’autorizzazione a procedere.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione di concedere l’autorizzazione a procedere.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Discussione del disegno di legge: Modificazioni alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la prima elezione della Camera dei deputati e del-Senato della Repubblica. (66).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Modificazioni alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la prima elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Ha facoltà di parlare il Relatore onorevole Micheli.

MICHELI, Relatore. Sono evidenti le ragioni che raccomandano l’approvazione di questo progetto di legge il quale, spostando opportunamente i termini stabiliti nelle leggi elettorali recentemente approvate, consente che nelle elezioni prossime per la Camera e per il Senato possano votare coloro che risultano dagli ultimi elenchi riveduti dalle Commissioni comunali e provinciali. In tal modo vengono anche compresi fra i votanti coloro che avranno compiuto il ventunesimo anno di età, stabilito dall’articolo 48 della Costituzione, nel giorno delle elezioni.

La Commissione quindi ha dato unanime la sua approvazione al progetto, salvo un piccolo emendamento relativo ad un elenco, del quale parleremo a suo tempo.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale. Passiamo all’esame degli articoli.

Si dia lettura dell’articolo 1.

RICCIO, Segretario, legge:

«Per la prima elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, il termine previsto dal primo comma dell’articolo 24 e dall’articolo 32 della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, è anticipato al 15 marzo 1948. Il deposito nella Segreteria comunale, di cui all’ultimo comma dell’articolo 24 sopra citato, delle liste rettificate e degli elenchi approvati dalla Commissione elettorale mandamentale, si effettua dal 1° al 15 aprile 1948».

PRESIDENTE. Non essendo stati presentati emendamenti e nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Entro dieci giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del decreto di convocazione dei comizi elettorali, la Commissione elettorale comunale compila un estratto, in duplice copia, dei cittadini che, pur essendo compresi nell’elenco di cui all’articolo 13 della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, non avranno compiuto, al giorno fissato per le elezioni, il ventunesimo anno di età.

«Un esemplare dell’estratto è immediatamente trasmesso dal sindaco alla Commissione elettorale mandamentale, che depenna dalla copia delle liste di sezione, destinata alla votazione, i nominativi compresi nell’estratto».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto il seguente emendamento:

«Alla fine del primo comma, aggiungere le seguenti parole: e altro elenco di quelli che alla stessa data non avranno compiuto il venticinquesimo anno di età».

Invito l’onorevole Ministro dell’interno ad esprimere l’avviso del Governo su questo emendamento.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo non può accettarlo, perché il requisito dell’elettorato attivo per il Senato non risulta da un elenco particolare, ma da un timbro speciale che viene apposto se l’elettore ha raggiunto i venticinque anni di età.

MICHELI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Relatore. Io credo che la nostra proposta lungi dal complicare le cose, le semplifichi, perché dà un elemento di controllo ai seggi che devono fare la verifica per i votanti pel Senato che debbono avere venticinque anni. Lei comprende, onorevole Ministro, come la caratteristica di avere o di non avere compiuto il venticinquesimo anno di età implichi un accertamento che non può essere soltanto comprovato da un foglietto di carta che viene inviato da un determinato ufficio e che può eventualmente essere falsificato.

Se domani dovesse avvenire un qualche contrasto intorno allo stato civile di uno dei votanti, è evidente che è opportuno avere a portata di mano un punto di riferimento, né si può mandare un incaricato a consultare lo stato civile del Comune perché consulti all’uopo lo schedario né, tanto meno, è possibile che dal foglietto risulti anche la data di nascita.

Ecco perché, una volta che noi disturbiamo gli uffici elettorali del comune perché forniscano un primo elenco, mi pare non vi sarebbe nulla di male che dovessero compilare anche quest’altro. Nel primo si aggiunge, col secondo si toglie; parmi opportuno che l’uno sia fatto insieme all’altro, per questo la Commissione ha creduto di fare questa proposta. Se il Governo insiste nel non accettarla, vi rinunceremo, ma le ragioni alle quali ho fatto riferimento credo che abbiano un reale ed effettivo fondamento.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Pregherei l’onorevole Relatore di non insistere sullo emendamento. Sarebbe troppo lungo spiegare le ragioni per le quali il Governo non lo può accettare. Noi le abbiamo valutate però esattamente: esso modificherebbe un sistema già votato, mentre questa leggina ha soltanto il compito di ridurre i termini e non quello di modificare il meccanismo già stabilito.

PRESIDENTE. Allora, la Commissione ritira l’emendamento?

MICHELI, Relatore. Sì.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 2, testé letto.

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma, testé letto.

(È approvato – L’articolo 2 è così approvato).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

La presente legge sarà poi votata a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Norme per la formazione delle liste elettorali nella provincia di Bolzano. (67).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Norme per la formazione delle liste elettorali nella provincia di Bolzano.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

MICHELI, Relatore. La Commissione esprime parere favorevole per l’approvazione anche di questo disegno di legge che è stato determinato dal fatto che l’imminente emanazione della legge sull’opzione ha reso opportuno di far sì che nelle prossime elezioni possano votare e portare il loro contributo anche le popolazioni dell’Alto Adige che avessero optato per la cittadinanza italiana.

Mi pare che la cosa sia quindi molto semplice. Tutte le disposizioni per lo spostamento dei termini, e conseguenti, sono state congegnate tecnicamente per poter raggiungere questo scopo, che la Commissione ritiene opportuno e lodevole.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale.

Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

AMADEI, Segretario, legge:

«Per la formazione delle liste elettorali in provincia di Bolzano si osservano le disposizioni della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, e della legge 23 dicembre 1947, n. 1453, con le modificazioni di cui agli articoli seguenti».

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Gli elenchi delle persone aventi titolo alla iscrizione nelle liste elettorali, predisposti dai comuni a termini del decreto legislativo 28 settembre 1944, n. 247, del decreto del Ministro dell’interno 24 ottobre 1944 e successive disposizioni, sono depositati nell’ufficio comunale dal 6 al 20 febbraio 1948. Dell’avvenuto deposito il sindaco dà notizia al pubblico con manifesto, invitando tutti coloro che, sebbene in possesso dei requisiti prescritti, siano stati omessi dagli elenchi, a presentare entro detto termine domanda di iscrizione nelle liste.

«Non oltre il 29 febbraio la Giunta municipale provvede all’istruttoria delle domande, alla compilazione delle liste generali, alla ripartizione del comune in sezioni elettorali ed alla compilazione delle liste di sezione.

«Dal 1° al 5 marzo le liste generali e sezionali e la deliberazione di cui all’articolo 27 della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, sono depositate nell’ufficio comunale. Dell’avvenuto deposito il sindaco dà notizia al pubblico mediante apposito manifesto, con invito a produrre, non oltre il 10 marzo, alla Commissione elettorale mandamentale i ricorsi previsti dagli articoli 15 e 31 della legge sopracitata.

«Gli atti di cui al comma precedente sono trasmessi entro il 10 marzo alla Commissione elettorale mandamentale, che decide sui ricorsi ed approva le liste non oltre il 25 dello stesso mese. Nel medesimo termine la Commissione comunica le determinazioni adottate al comune, che provvede per le conseguenti variazioni negli esemplari delle liste in suo possesso.

«Le liste generali definitive sono depositate nell’ufficio comunale dal 1° al 15 aprile 1948, ed ogni cittadino ha diritto di prenderne visione. Dell’avvenuto deposito il sindaco dà pubblico avviso».

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il prefetto provvede con decreto alla prima costituzione delle Commissioni elettorali mandamentali e delle eventuali Sottocommissioni che rimarranno in carica sino al 30 giugno 1948.

«Su proposta dei presidenti delle Commissioni elettorali mandamentali possono essere costituite Sottocommissioni anche in deroga alle disposizioni dell’articolo 19 della legge 7 ottobre 1947, n. 1058».

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 4. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Non oltre il 10 marzo 1948 il prefetto trasmette alle Commissioni elettorali mandamentali competenti per territorio l’elenco delle persone deferite alla Commissione prevista dall’articolo 6 della legge … recante le norme per la revisione delle opzioni.

«Le Commissioni elettorali mandamentali, in sede di approvazione delle liste generali e sezionali, effettuano la cancellazione dalle liste medesime dei nominativi compresi nell’elenco di cui al comma precedente».

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione intendendosi che l’articolo sarà coordinato con la legge recante le norme per la revisione delle opzioni.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 5. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Per le spese inerenti alla formazione delle liste elettorali previste dalla presente legge si applicano le disposizioni del decreto legislativo 8 febbraio 1945, n. 55».

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 6. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore lo stesso giorno dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. Nessun chiedendo di parlare, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Presidenza del Presidente TERRACINI

Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Sardegna. (62).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Sardegna.

Nella seduta di ieri fu rinviato a stamane l’esame del Titolo III dello Statuto speciale sardo, concernente le finanze, il demanio e il patrimonio della Regione della Sardegna.

Fu ieri approvato soltanto il primo articolo, il 7, di questo Titolo. La Commissione propone ora la soppressione dell’articolo 10 e il seguente nuovo testo dell’articolo 8:

«Le entrate della Regione sono costituite:

dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui terreni e sui fabbricati situati nel territorio della Regione e dell’imposta sui redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio;

dai nove decimi dell’imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della Regione;

da nove decimi del gettito delle tasse di bollo, sulla manomorta, in surrogazione del registro e del bollo, sulle concessioni governative e dell’imposta ipotecaria, dell’imposta di fabbricazione dei gas e dell’energia elettrica, percette nel territorio della Regione;

dai nove decimi della quota fiscale della imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella Regione;

da una quota dell’imposta generale sull’entrata di competenza dello Stato, riscossa nella Regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario d’accordo fra lo Stato e la Regione, in relazione alle spese necessarie ad adempiere le funzioni normali dalla Regione, di cui all’articolo 8;

dai canoni per le concessioni idroelettriche;

da contributi di miglioria ed a spese per opere determinate, da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri, che la Regione ha facoltà di istituire con legge in armonia coi principî del sistema tributario dello Stato;

da redditi patrimoniali;

da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie».

Ha facoltà di parlare l’onorevole Perassi per riferire brevemente sopra questa nuova formulazione.

PERASSI, Presidente delta Sottocommissione per gli Statuti regionali. In seguito alla decisione di ieri dell’Assemblea Costituente sulla proposta fatta dal Ministro del bilancio per le comprensibili preoccupazioni che egli deve far valere, si è tenuta una riunione fra una rappresentanza della nostra Commissione, il Ministro dei bilancio, onorevole Einaudi, ed il Ministro delle finanze, onorevole Pella, durante la quale la questione è stata esaminata a fondo.

Da parte nostra si è anzitutto spiegato quali sono state le idee che avevano guidato la Commissione nel formulare il testo che era stato presentato, cioè di indicare alcune imposte erariali, il cui gettito sarebbe devoluto quasi interamente alla Regione, ed indicare poi alcune imposte erariali per le quali si farebbe annualmente la determinazione di una quota per coprire il fabbisogno del bilancio della Regione. La Commissione era partita da questa idea anche in relazione all’articolo 119 della Costituzione che, in fondo, si ispira a questi concetti.

Abbiamo esaminato il testo anche in relazione alle presumibili esigenze finanziarie della Regione; ed in definitiva, si è arrivati a questa conclusione: di indicare anzitutto alcune imposte erariali il cui gettito viene devoluto per la massima parte alla Regione. Queste sono in primo luogo quelle imposte che concernono redditi nettamente localizzati o localizzabili; così si è stabilito di assegnare alle Regioni i nove decimi del gettito dell’imposta erariale sui terreni e fabbricati situati nel territorio della Regione e dell’imposta sui redditi agrari sui terreni ivi situati. In secondo luogo, si è convenuto, in seguito ad ampia discussione, di assegnare alla Regione i nove decimi del gettito di ricchezza mobile riscosso nella Regione. Qui vi è una differenza rispetto al testo primitivo della Commissione, in quanto per ragioni tecniche o su particolare insistenza del Ministro delle finanze, si è ritenuto necessario, allo stato attuale delle cose e della legislazione italiana, di limitarci a considerare l’imposta di ricchezza mobile riscossa nella Regione.

Poi vi sono altri tributi minori statali, che vengono attribuiti alla Regione: i nove decimi del gettito della tassa di bollo, e di quelle sulla mano morta, di surrogazione del registro e del bollo, sulle concessioni governative, dell’imposta ipotecaria, dell’imposta di fabbricazione del gas e dell’energia elettrica nel territorio della Regione.

Alcune di queste imposte erano già prevedute nello schema della Commissione; altre sono state aggiunte su proposta del Ministro delle finanze. Viceversa, si è tolta da questa elencazione un’imposta che ha sollevato qualche discussione in questa sede, l’imposta sui pubblici spettacoli e sui cinematografi. Quindi, coloro i quali avevano presentato emendamenti a questo riguardo, sono sodisfatti, in quanto non si parla più di queste imposte. Inoltre, fra le imposte per le quali si stabilisce l’assegnazione dei nove decimi del gettito, figura anche l’imposta erariale di consumo sul tabacco, consumato nella Regione.

A questo punto segue una clausola, la quale si può dire che contempli una variante, che consiste in una quota, da stabilirsi annualmente di intesa fra lo Stato e la Regione, in vista del bilancio futuro della Regione, quota la quale sarà presa sul gettito dell’imposta generale sull’entrata riscossa nella Regione.

Quale sia l’ammontare di questa quota, appunto perché questa parte costituisce una variabile, non è indicato; questo dipenderà dalle esigenze accertate, mediante intese fra Stato e Regione. Il punto di riferimento, al fine di accertare questa quota variabile, che costituisce l’integrazione necessaria per coprire il bilancio, concerne le attività normali della Regione; in quanto si dice – ripetendo la formula della Costituzione – che questa quota è stabilita in relazione alle spese necessarie ad adempiere alle funzioni normali della Regione, di cui all’articolo 6. Infatti, dall’articolo 6, così com’è formulato, si può desumere quali sono le funzioni amministrative, che passano alla Regione, e conseguentemente quali sono le spese corrispondenti.

L’ultima parte del testo non presenta nulla di nuovo. In esso si prevede che la Regione percepirà i canoni per le concessioni idroelettriche od i contributi che essa potrà stabilire per spese per opere determinate, ed altri tributi propri, che la Regione è autorizzata a stabilire, con il limite che questi tributi si conformino a principî generali dell’ordinamento tributario dello Stato.

Infine si prevede, e questo corrisponde ad una disposizione della Costituzione, che lo Stato assegnerà alla Regione dei contributi straordinari per spese di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria.

Questo è il testo uscito dalle laboriose ed utili conversazioni di ieri sera.

PRESIDENTE. All’articolo 8 del testo primitivo erano stati presentati emendamenti, alcuni dei quali non hanno più ragione di essere, dato che il loro contenuto è stato assorbito dalla nuova formulazione. Così l’emendamento proposto dall’onorevole Proia, poiché non si parla più nel nuovo testo dell’imposta sopra l’attività teatrale e cinematografica; così l’emendamento degli onorevoli Mannironi e Chieffi, che proponevano di aggiungere ai piani di opere pubbliche anche quelli di trasformazione fondiaria, dato che il nuovo testo ha accettato appunto questo suggerimento.

Restano tuttavia alcuni dei vecchi emendamenti e ne sono stati già presentati altri sopra la nuova formulazione.

L’onorevole Murgia ha proposto di sopprimere al quinto alinea dell’articolo 8 le parole: «di cui all’articolo 6».

Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MURGIA. La ragione del mio emendamento è molto chiara. Se si dovesse mantenere la dizione: «di cui all’articolo 6», la Regione si vedrebbe gravata da un onere fiscale insopportabile, in quanto dovrebbe provvedere direttamente, non solo alle materie di sua competenza diretta (di cui agli articoli 3 e 4), ma anche a quelle che le venissero eventualmente delegate dallo Stato, come, ad esempio, la scuola ed altri servizi, che comporterebbero una grande spesa. Per questo chiedo la soppressione della dizione: «di cui all’articolo 6».

PRESIDENTE. L’onorevole Marinaro ha proposto il seguente emendamento sostitutivo:

«Fino a quando non sarà provveduto definitivamente all’ordinamento finanziario delle Regioni, lo Stato, all’inizio di ogni esercizio, assegnerà alla Regione i fondi necessari per la gestione dei servizi che, per lo statuto, le sono attribuiti».

Devo fare osservare all’onorevole Marinaro che questo emendamento si sostanzia in una proposta di rinvio e sarebbe stato valido anche nei confronti del vecchio testo. Ma in questo caso deve essere considerato come emendamento nuovo al vecchio testo, e pertanto dovrebbe avere 15 firme.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Sono stato in attesa di conoscere il risultato degli accordi che la Commissione ed il Governo avevano stabilito di prendere, con l’approvazione dell’Assemblea, nella seduta di ieri. In questo momento vengo a conoscenza del testo di questo accordo, ma io ritengo che l’accordo raggiunto non risolva la questione, così come l’aveva posta, in termini precisi e perentorî il Vice presidente del Consiglio, onorevole Einaudi, nella seduta di ieri. L’onorevole Einaudi aveva dimostrato soprattutto le sue preoccupazioni per il fatto che non trovava la possibilità di formulare «una norma generale» – così è detto nel resoconto sommario – che valesse per la ripartizione dei redditi fra Stato e Regione, il che significa che il problema non è maturo e che l’Assemblea sta per compiere un grave errore nello stabilire nello statuto Sardo quelle norme specifiche, che dettano la competenza della Regione sarda a riscuotere determinate imposte. In questa situazione di cose, la mia proposta non è un vero e proprio rinvio, ma detta una nuova soluzione, che consiste in questo: fino a quando non sarà provveduto definitivamente all’ordinamento finanziario delle Regioni, lo Stato, all’inizio di ogni esercizio, assegnerà alla Regione i fondi necessari per la gestione dei servizi che per lo Statuto le sono attribuiti.

Mi sembra, onorevoli colleghi, che questo non pregiudichi nulla. Lo statuto può trovare la sua piena applicazione; tutti i servizi assegnati alla Regione possono funzionare; la legge non subisce nessuna variante, soltanto è il sistema che cambia ed è lo Stato che con i suoi poteri assegna alla Regione quei fondi che ritiene necessari per il funzionamento e la gestione dei servizi. E questo sistema dura fino a quando non si sarà provveduto, in via definitiva, all’ordinamento finanziario delle Regioni.

Mi sembra che questa proposta possa trovare il consenso dell’intera Assemblea.

Una voce al centro. Questa è la negazione dell’autonomia finanziaria!

PRESIDENTE. Onorevole Marinaro, mi pare che questo suo emendamento, oltre all’osservazione alla quale può dare luogo e che ho già fatto presente, provochi quest’altra osservazione: che lei non tiene presente che si tratta di uno Statuto speciale, per il quale, pertanto, non c’è da riferirsi all’ordinamento finanziario delle Regioni. Noi siamo di fronte ad uno Statuto speciale per il quale, evidentemente, occorre indicare un particolare ordinamento finanziario.

Mi pare quindi che questa sua formulazione implichi in sé la negazione della questione stessa che stiamo esaminando.

MARINARO. Signor Presidente, mi permetto di dissentire da questa opinione. Indubbiamente, l’ordinamento finanziario delle Regioni sarà esaminato e nulla vieta che in quella occasione si possa anche esaminare l’ordinamento della Regione sarda. Non vedo un ostacolo preciso per la presa in considerazione della mia proposta, sulla quale, ad ogni modo, io gradirei conoscere il parere del Governo.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Perassi di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissione insiste sul testo concordato col Governo. Osservo all’onorevole Marinaro che resta sempre l’articolo 56, di cui già si è parlato, il quale prevede che queste norme che ora vengono adottate, sono suscettibili di revisione con una procedura più snella di quella richiesta per le leggi costituzionali. Per conseguenza, le preoccupazioni dell’onorevole Marinaro, possono in parte ritenersi sodisfatte. Qualora si arrivasse ad una riforma generale dell’ordinamento finanziario dello Stato, in vista della instaurazione degli ordinamenti regionali, è evidente che anche queste norme che oggi si inseriscono negli Statuti speciali potranno essere suscettibili di revisione. Ma, allo stato attuale delle cose, dovendo dar vita concreta alla Regione sarda, a noi sembra che sia necessario assicurare ad essa una consistenza finanziaria sicura. La formula che noi preferiamo è quella che è stata concordata col Governo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io torno ad insistere sulla preghiera fatta ieri. Noi qui ci troviamo di fronte ad aliquote di distribuzione di spese e di entrate fra Stato e Regione, e ci troviamo anche di fronte ad una elencazione di imposte e di contributi sui quali avviene la partecipazione dei due enti.

Noi abbiamo immensa deferenza per il Governo e per la Commissione che hanno concordato questo emendamento, ma evidentemente il nostro voto deve essere informato, perché esso non può ridursi a un atto di pura e semplice deferenza verso i compilatori dell’emendamento. Desidereremmo quindi sapere in base a quali dati e a quali criteri esso è stato redatto, perché altrimenti non potremmo che astenerci dal voto.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. All’onorevole Marinaro osservo, molto brevemente – perché la mia osservazione è il presupposto di quanto ha detto il Presidente dell’Assemblea – che noi abbiamo già votato dover essere la Sardegna costituita in Regione autonoma, le abbiamo conferito determinate competenze: esclusiva, integrativa etc. Tutto ciò impone dunque, anche la necessità di provvedimenti che ne stabiliscano e regolino le finanze.

L’onorevole Marinaro non è che intenda negare questa necessità; egli però vorrebbe accantonarne la pratica effettuazione, mediante una provvisoria gestione da parte dello Stato. Io mi permetto di osservargli che già questa materia è stata regolata in un altro statuto speciale che è già in applicazione e soggiungo che, in definitiva, ove venisse accolta la proposta dell’onorevole Marinaro, noi finiremmo col rimettere il funzionamento della Regione come ente autonomo, a un periodo di tempo che non sappiamo quale potrà essere.

Circa poi le incertezze dell’onorevole Condorelli, osservo che ieri, giustamente, abbiamo creduto di dover sospendere ogni nostra decisione, perché si procedesse ad una riunione presieduta dal Ministro del bilancio, che ci ponesse in condizioni di poter esaminare concretamente la questione. Ora, tutto questo è stato fatto ed io non comprendo quindi quando, secondo l’onorevole Condorelli, potrebbe sorgere la possibilità di una decisione.

CONDORELLI. Ma i dati dovremo pure conoscerli: siete d’accordo soltanto voialtri.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, la prego.

MASTINO PIETRO. All’onorevole Condorelli che si sorprende che io sia d’avviso diverso dal suo, dirò che, se fossi stato del suo parere, avrei taciuto.

PRESIDENTE. Desidero osservare ancora all’onorevole Marinaro che abbiamo votato ieri un articolo 7, il quale mi pare debba considerarsi preclusivo, nei confronti della possibilità di accogliere il suo emendamento. Tale articolo 7 è infatti del seguente tenore: «La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principî della solidarietà nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti».

È accaduto ieri che alcuni colleghi, proprio perché avevano in animo di fare la stessa proposta che ha presentato ora lei, chiedessero la soppressione delle ultime parole: «nei modi stabiliti dagli articoli seguenti». Ma poiché questa proposta non è stata accettata e poiché inoltre sono stati votati anche gli articoli seguenti, è evidente che l’Assemblea ha con ciò – implicitamente, ma in modo molto chiaro – votato anche il modo come intendeva che questa finanza fosse amministrata.

Pertanto porre ora in votazione il suo emendamento, onorevole Marinaro, significherebbe annullare tutto quanto è stato votato ieri.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Di fronte all’osservazione del signor Presidente, non insisto nel mio emendamento, però lo trasformo fin da questo momento in una proposta per una disposizione transitoria. E a questo sono indotto soprattutto perché le dichiarazioni fatte ieri sera in quest’Aula dall’onorevole Einaudi, che hanno posto un problema di gravità eccezionale e dimostrato effettivamente che la questione non è matura per una giusta soluzione, hanno commosso l’opinione pubblica (Commenti). Questa è la mia impressione. È necessario che si giunga alla definizione di questa materia a ragion veduta e dopo un approfondito esame. Ora, mentre non si nega la possibilità di un’immediata attuazione dello Statuto, l’Assemblea, a mio avviso, ha il dovere di trovare una soluzione transitoria che consenta di approfondire tutta la complessa materia che è sottoposta al nostro esame.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora, quando avremo esaminato tutto il Titolo III, prenderemo in esame la proposta dell’onorevole Marinaro come disposizione transitoria.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Devo spiegare perché non sono d’accordo con l’onorevole Marinaro sulla proposta che è stata da lui formulata. Perché la proposta formulata dall’onorevole Marinaro consiste in ciò: che lo Stato dovrebbe far fronte con un proprio sussidio e contributo, a tutte le spese che sono state assegnate alla Regione.

Sono contrario a questo sistema anche in via transitoria, perché lo ritengo pericoloso. Sarebbe una continuazione del sistema infausto che si usa per le provincie e per i comuni, di sovvenire con un contributo statale ai loro bisogni eccedenti il provento delle imposte proprie. Il sistema ha incoraggiato la dissipazione, togliendo la responsabilità agli amministratori locali. Credo perciò che non si possa accettare l’emendamento, perché, anche in via transitoria, produrrebbe un effetto moralmente non buono.

E se questa mattina – e non ieri sera, perché ieri sera, di fronte al martellamento dell’amico onorevole Uberti, al quale rendo sotto questo aspetto, il massimo omaggio per aver saputo stancarmi (Commenti) di guisa che alle dieci e un quarto o alle dieci e mezzo me ne sono andato, privo di ogni volontà di resistenza – se questa mattina io posso non votare contro questo articolo 8 così come è stato modificato, ciò dipende esclusivamente dalla circostanza che all’articolo 56 vi è una disposizione per la quale io suppongo che vi sia già l’accordo per modificarla…

AMBROSINI, Relatore. L’accordo non c’è; è meglio essere chiari.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro del bilancio. …perché se così non fosse, non potrei essere d’accordo neppure con le proposte che sono state questa mattina presentate. La disposizione alla quale mi riferisco è quella del penultimo comma dell’articolo 56, il quale dice:

«Le disposizioni del Titolo III del presente Statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta della Regione».

Condizione essenziale per l’accettazione della nuova formula dell’articolo 8 è che questo penultimo comma dell’articolo 56 sia votato in modo diverso da quanto è scritto nel testo. Il testo dice «su proposta della Regione». A parer mio, si dovrebbe dire invece «sentita la Regione», perché in questa maniera l’articolo 8 diventa, come chiede l’onorevole Marinaro, un articolo transitorio, il quale potrà essere modificato dopo l’esperienza che si sarà fatta dell’applicazione della legge.

Sono d’accordo con l’onorevole Condorelli nel suo desiderio di ottenere dei dati.

Purtroppo credo che questi dati non possono essere forniti, malgrado la fatica dell’amico Uberti, che anche a questo riguardo si è prodigato, rintracciando documenti finanziari che potessero stabilire le entrate e le spese della Sardegna.

Ma i dati, quali sono conosciuti, non pongono nessun fondamento per prevedere le spese e le entrate della Regione, e non potendo prevederle, è necessaria una disposizione come quella dell’articolo 56 che permette, con una legge ordinaria, e non con una legge costituzionale, di poter modificare il sistema che oggi si vorrebbe istituire. Il quale sistema, mi si permetta di dire a titolo puramente personale, dev’essere provvisorio, perché non risolve la questione fondamentale. Esso si ispira ad un concetto che è razionale, quello di iniziare la Regione su una base di sufficienza, di tentare che le Regioni inizino la loro vita con un sistema d’imposte sufficiente a pagare le spese.

Questo è certamente un ideale, ma esso dovrebbe essere contemperato con un precetto relativo alle finanze statali che vige già, perché è entrato in vigore il 1° gennaio con la nuova Costituzione. L’articolo 81 della Costituzione dice che ogni legge che importa nuove spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. Questo è un comandamento al quale non possiamo disubbidire, e quindi bisogna fare tutto il possibile perché le entrate e le spese dello Stato si equilibrino.

Quando leggo nell’articolo 8, così come è modificato, che si dà un quinto di un’imposta, i nove decimi di un’altra, un’altra quota di un’altra ancora, io mi chiedo come sia possibile ottemperare alla norma, obbligatoria per noi, che anche lo Stato abbia un bilancio in equilibrio.

Possiamo, data l’urgenza dell’ora e l’impossibilità di prorogare la discussione, anche approvare l’articolo 8. Ma condizione essenziale è che ci sia l’articolo 56 e che il suo ultimo comma abbia il tenore che ho detto: «sentita la Regione». In questo modo il Parlamento potrà tornare sul tema e, ottenuti i dati che oggi non possediamo, potrà rivedere la materia, senza ricorrere alla procedura straordinaria di una legge costituzionale.

L’articolo 56 così modificato e l’articolo 8 messi insieme sono concepibili; ma l’uno senza l’altro sono in contraddizione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Come membro della Commissione, vorrei pregare i colleghi della Commissione e dell’Assemblea di accettare la proposta abbinata dell’onorevole Einaudi. Effettivamente, anche sostituendo alla formula «d’intesa», quella «sentita la Regione» non v’è nella realtà delle cose una così sostanziale differenza, ché nella discussione concreta la Regione ha modo di esporre le sue ragioni, di difendere le sue posizioni, e lo Stato, pur controbattendo i suoi punti di vista e salvaguardando le sue esigenze dovrà arrivare a riconoscere quanto v’è di sostanzialmente legittimo nelle richieste della Regione.

Se si mettesse «d’intesa», si darebbe un valore costituzionale alla norma, e sono d’accordo col Ministro Einaudi che non si può dare valore costituzionale ad una norma che ha bisogno di essere esperimentata, di essere vagliata alla luce delle risultanze concrete, di non essere, nello stesso interesse della Regione, cristallizzata.

La formula Einaudi non impedisce pertanto le nostre preoccupazioni fondamentali in materia, e cioè di realizzare ciò che è supremamente indispensabile: una finanza autonoma, da conquistare col metodo delle successive approssimazioni; di individuare concretamente i tributi che per la loro aderenza alla Regione e per la loro minore trasferibilità più convengono ad essa; di raggiungere con la riforma regionalistica per il Governo locale autonomo il massimo di responsabilità. Non vogliamo creare degli istituti autonomi, delle Regioni, che siano ogni giorno postulanti dello Stato, ma delle Regioni che effettivamente siano autonome, vivano da sé, con mezzi proprî, con senso di responsabilità da parte delle popolazioni, così da realizzare l’optimum della amministrazione e la massima economicità.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ambrosini ad esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI, Relatore. Io credo che – dal rapido scambio di idee avvenuto fra i membri della Commissione – non possa parlare come Relatore perché, a quanto sento, la grandissima maggioranza dei colleghi della Commissione accetta la proposta del Ministro del bilancio.

Con molto rammarico, dichiaro che non posso accettare questa proposta, malgrado l’incitamento che viene dall’egregio e caro amico onorevole Uberti.

Non posso accettarla, per una ragione di valutazione psicologica concernente la popolazione sarda, e (lo dico subito, perché bisogna parlare onestamente, senza giuocare a furberia e senza riserve mentali) anche perché la questione avrebbe un riflesso sullo Statuto siciliano.

Io capisco benissimo quello che l’illustre onorevole Einaudi ha detto: non si può dare alla sola Regione l’iniziativa. Questo l’abbiamo previsto per la Sicilia, in quanto l’iniziativa deve naturalmente darsi anche allo Stato. Sarebbe assurdo pensare diversamente.

Ma, data la particolare situazione psicologica delle Isole e date tutte le diffidenze che – non voglio dire se fondatamente o infondatamente – si vanno creando, adoperando le parole «sentita la Regione», si potrebbe credere che la Regione fosse esposta alla influenza maggiore (e taluno poi, speculando, potrebbe dire alla prepotenza) del Governo centrale; una tale formula non mi sembra in questo momento corrispondente alla felice soluzione di tutta questa questione.

Quindi io mi permetto di offrire questo suggerimento: che si sopprima «su proposta della Regione» ma si aggiunga: «di intesa con la Regione».

Io ritengo che questa intesa sicuramente si otterrà.

Pensi l’illustre onorevole Ministro del bilancio che, quando sarà passato il periodo delle elezioni, tutti, i gruppi e i singoli individui, valuteranno le cose con una calma maggiore.

La Sardegna ha il suo destino indissolubilmente legato, come la Sicilia, a quello di tutta l’Italia e di essa ha bisogno anche dal punto di vista economico. Non è da pensare quindi che potrà sabotare qualsiasi proposta che giudiziosamente viene fatta per arrivare ad una equa soluzione. L’importante è che in tutta questa materia non si parta da una diffidenza reciproca, dello Stato che teme che le Regioni vogliano strappare privilegi, e delle Regioni che, d’altra parte, per pregiudizio considerano il Governo centrale quasi come un nemico e quindi tentano con tutti i modi di strappare quanto più è possibile.

Credo che, quando ci sarà serenità per tutti, sarà possibile discutere di questo argomento come di un argomento che non sia di interesse dello Stato o di interesse della Regione da punti di vista contrapposti, ma di interesse assolutamente comune, perché l’interesse dello Stato è legato a quello della Regione e l’interesse della Regione è legato ancora maggiormente a quello dello Stato.

Quindi, anche se fossi solo nella Commissione (me ne dorrebbe moltissimo e prego i colleghi della Commissione di scusarmi), sarei costretto a distaccarmi dal loro parere ed a proporre per conto mio che quest’ultimo inciso dell’articolo 56 sia mutato nel senso che si dica: «d’intesa con la regione».

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Io dico inaccettabile la dizione proposta dall’onorevole Ambrosini «d’intesa con la regione» inquantoché queste parole finirebbero per dare all’articolo 56 un contenuto a cui l’articolo 56 ripugna. L’articolo 56 dice che le disposizioni del Titolo III del presente Statuto possono essere modificate con leggi ordinarie. Il dire «d’intesa con la regione», farebbe sì che il comma, invece di facilitare una riforma in un ordinamento tributario che oggi noi dobbiamo approvare in via transitoria, senza quasi sapere quali sono le condizioni nelle quali dovrà essere applicato, sia come entrate e sia come spese, la renderebbe assai aleatoria, in quanto l’espressione «d’intesa» presuppone che ci sia un accordo fra le due parti. Daremmo un valore alla disposizione che io non oso definire, perché non sono un giurista, ma che certamente, nonché attenuare aggraverebbe il significato di questa disposizione.

Si può accettare, come del resto ha già detto l’onorevole Ambrosini che, come l’iniziativa può venire dalla regione, essa possa venire anche dal Governo e quindi invece dell’espressione «sentita la Regione» si potrebbe adottare l’altra «su proposta del governo o della Regione». L’iniziativa potrebbe venire da ambedue le parti e quindi non sarà né il Governo né la regione a decidere, ma il Parlamento, il quale è espressione della volontà nazionale. Credo che questa formulazione sia l’estremo limite al quale si possa arrivare, per giungere ad un’approvazione che non sia un salto nel buio.

FABBRI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Relatore. Per conto della maggioranza della Commissione vorrei osservare che forse la questione ha in pratica minor importanza di quello che non appaia dalle parole, perché in sostanza con questo ordinamento i gettiti a favore della Regione constano di una parte rigida e di una mobile. Ora, mi pare che sia un concetto comune, tanto al Governo quanto alla Commissione, che la parte rigida è sostanzialmente insufficiente al fabbisogno della Regione, relativamente ai servizi indispensabili, tanto è vero che viene prevista tutta una serie, direi così, elastica, una quota che resta indeterminata e che deve essere oggetto delle discussioni e degli accordi da farsi annualmente fra il Governo e la Regione. Ora, se noi teniamo conto di questa circostanza, questa parte – diremo così – di natura contrattuale non ha bisogno di un ulteriore regolamento, perché il regolamento di carattere convenzionale e bilaterale c’è già.

Noi dobbiamo vedere solo quella che è la parte rigida; ma per questa vi è l’ammissione implicita che è insufficiente. D’altra parte, relativamente a questa quota assolutamente non flessibile, se lo Stato non è d’accordo, ha in definitiva l’ultima parola con lo strumento della legge di carattere costituzionale. Quindi, mi parrebbe che le espressioni che sono state adoperate nel disegno di legge, potrebbero essere soddisfacenti per i due punti di vista, senza introdurre delle modificazioni forse un po’affrettate, e sulle quali l’onorevole Ambrosini non consente, per preoccupazioni forse estranee al problema strettamente sardo di cui ci stiamo occupando. Io non credo di avere la necessità di fare delle dichiarazioni personali di principio, perché il mio orientamento è abbastanza noto. Ma, ormai che abbiamo deciso con delle irrevocabili deliberazioni di attuare questo sistema, bisogna che ne curiamo le conseguenze. Quindi, la Commissione sostanzialmente ritiene che le diciture attuali possano essere mantenute senza gravi inconvenienti di sorta.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il suo parere.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Credo che bisogna essere molto chiari a questo riguardo. Il Ministro del bilancio ha posto nettamente una questione: bisogna che prendiamo una posizione netta, assumendo tutte le responsabilità. Egli dice che l’articolo 3, così come è stato concordato, si può adottare a condizione che non soltanto resti l’articolo 56, ma che l’articolo 56 sia ritoccato nel senso di dire che questa parte dello Statuto è suscettibile di essere modificata con legge ordinaria, sentita la Regione, o su proposta della Regione.

Riferendomi ad una frase detta incidentalmente dall’onorevole Einaudi, osservo anzitutto che è fuori dubbio che la modifica di questa parte dello Statuto con legge costituzionale si potrebbe sempre fare, qualunque cosa si dicesse nell’articolo 56, anche se per ipotesi vi si dicesse che la legge ordinaria esige il consenso dello Stato e della Regione. Quell’articolo, anche se fosse formulato in tal modo, importerebbe solo che, quando si sia intesa per lo Stato e la Regione la modifica delle norme dello Statuto relativo all’ordinamento tributario della Regione, può farsi con legge ordinaria dello Stato, ma esso non potrebbe essere mai inteso nel senso che resti preclusa la possibilità di modificare quella parte dello Statuto, come le altre, con legge costituzionale. Su ciò, ripeto, non vi può essere dubbio.

Senonché, vi è un altro problema che mi sono posto. Mi sono fatto questa domanda: è logico che nel testo di una legge costituzionale, quale quella che stiamo facendo, si inserisca una norma nella quale si prevede che qualche parte di questa legge costituzionale si possa modificare con un procedimento diverso da quello che è previsto per le leggi costituzionali? Problema delicato dal punto di vista costituzionale. Ora, ritengo che questa domanda debba essere risolta, in concreto, avuto riguardo ad una disposizione precisa della Costituzione, la quale dice all’articolo 119: «Le regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica». Si noti: stabilito da leggi della Repubblica, cioè da leggi ordinarie.

Per conseguenza, in realtà, quando noi facciamo il Titolo III, per questa parte, in relazione all’articolo 119, noi facciamo delle norme, che hanno un valore di legge ordinaria. Dal punto di vista costituzionale è perciò corretto prevedere che queste norme, pur essendo inserite nello Statuto, si possano modificare con legge ordinaria.

Per queste considerazioni di ordine giuridico ritengo che si possa aderire alla domanda del Ministro del bilancio che l’articolo 56 si mantenga con la modifica da lui suggerita, e cioè, che la legge ordinaria si possa fare, sentita la Regione.

AMBROSINI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI, Relatore. Le considerazioni fatte dall’onorevole Perassi sono esattissime e posso sottoscriverle in pieno, per quanto si riferisce ad una valutazione giuridica della questione.

L’articolo 8, in effetti, crea un sistema quasi di legge ordinaria ed è connesso con l’articolo 56.

Ma è sull’ultima parte di quanto ha detto l’onorevole Perassi che non posso essere d’accordo.

Ritengo che alla stessa mia conclusione, forse per motivi diversi, è arrivato l’onorevole Fabbri, quando ha detto: manteniamo l’articolo 56 così com’è. Ed io dico all’Assemblea: manteniamo l’articolo 56 così com’è; ma nel caso che passi questo articolo con l’aggiunta proposta dall’onorevole Einaudi, io sarei obbligato a fare proposta formale che si aggiunga anche la clausola «di intesa con la Regione».

Né con questo – prego vivamente l’onorevole Einaudi di tenere presente questa mia ultima osservazione – né con questo si indebolisce lo Stato, né si trasforma questa norma dell’articolo 56 in una norma intangibile o modificabile soltanto con procedimento di revisione costituzionale; né, tanto meno, può essere assimilata ad una norma internazionale.

Ho capito quello che l’onorevole Einaudi ha pensato ma non ha detto: cioè, che questa norma potrebbe quasi, indirettamente, portare tutto l’edificio sul piano del sistema federale.

Io mi permetto di acchetare queste preoccupazioni con questa semplice osservazione: noi stiamo studiando una procedura eccezionale per modificare la norma dell’articolo 8, la quale essendo formalmente norma di una legge costituzionale, non potrebbe essere modificata se non con una nuova legge costituzionale.

Orbene noi prevediamo all’articolo 56, per facilitare la soluzione della questione, la possibilità di apportare un cambiamento con una diversa procedura ma, se questo cambiamento si apporta con una procedura che offre garanzie minori per la Regione (perché la legge ordinaria dà alla Regione garanzia minore rispetto alla legge costituzionale) allora è necessario che la legge ordinaria sia fondata sull’intesa con la Regione.

Né c’è nulla da temere. Credo che l’ipotesi non si verificherebbe, ma se ci trovassimo per caso di fronte alla cocciutaggine di una Regione, che, avvalendosi di questa norma, volesse mettere il potere centrale con le spalle al muro e creare una situazione di disagio, non soltanto nel campo economico e finanziario, ma anche in quello politico, l’organo supremo legislativo dello Stato si potrebbe avvalere del suo normale diritto ed apportare le modifiche col procedimento della revisione della legge costituzionale. Io credo quindi che gli inconvenienti – qualcuno ce n’è, ma, illustre onorevole Einaudi, ella sa meglio di me navigare fra gli scogli – io credo, ripeto, che gli inconvenienti si possano superare; e per ciò supplico l’Assemblea di procedere in modo da giungere alla riva, evitando qualsiasi disarmonia e disaccordo.

Io credo che con la proposta del Ministro del bilancio si darebbe adito a suscettibilità.

Credetemi, si tratta di suscettibilità, ma nella vita politica (me lo hanno insegnato i maggiori) le suscettibilità spesso soverchiano gli stessi interessi materiali, e poiché dobbiamo tener conto di queste suscettibilità, accettiamo la richiesta della Consulta sarda, e credo, dei deputati sardi.

Accettiamo l’emendamento giudizioso proposto dall’onorevole Einaudi, ma aggiungiamo quest’altra clausola: «di intesa con la Regione».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Io voterò, con cuore tranquillo, la nuova formulazione concordata fra Governo e Commissione. Indubbiamente, non vi è nessuno di noi che non si rammarichi di dover risolvere un problema di tanta importanza nella strettoia di un tempo tanto limitato. Vi è un problema di tecnica ed un problema finanziario.

Il problema di tecnica, evidentemente, non ha ricevuto che una soluzione assolutamente provvisoria: non è con questo sistema che si può stabilire definitivamente l’organizzazione finanziaria della Regione. Su ben altre basi questa si dovrà fare e si farà certamente, e presto, con leggi ordinarie.

Vi è viceversa un problema finanziario, che ha destato in alcuni, forse in molti, la preoccupazione circa l’onere che può venire allo Stato dall’attuazione di questa formula concordata. Orbene, sotto questo aspetto, credo di poter dire una parola che valga a tranquillizzare l’Assemblea. Io ho esaminato i risultati dell’esercizio finanziario 1946-47 e rilevato i dati che riguardano la Sardegna.

La Sardegna ha avuto, in questo esercizio incassi di bilancio per 5 miliardi e 758 milioni. Se anche si dessero alla Sardegna quei nove decimi di tutte le entrate – di cui parla l’articolo concordato – si darebbe 5 miliardi di 183 milioni. Non si danno i nove decimi, perché, per quanto concerne l’imposta sull’entrata, sarà stabilita successivamente la quota da lasciare alla Regione. Ora, la differenza fra gli incassi di bilancio ed i pagamenti per la Sardegna, nello stesso esercizio, è stata di 5 miliardi e 75 milioni. In sostanza lo Stato verrà a dare, in base a quest’articolo concordato, nulla di più di quanto ha dato nell’esercizio scorso, tanto che io penso che sarà la stessa Regione a farsi parte diligente, perché questo metodo di organizzazione finanziaria venga mutato. Infatti è prevedibile che queste entrate, così come sono stabilite, non saranno sufficienti al funzionamento della Regione. Non andremo molto più in su, ma il metodo diverso dovrà supplire a questa lacuna; ciò che importa ora è che preoccupazione finanziaria per il bilancio dello Stato, non credo vi debba essere, perché lo Stato per ora non verrà a dare più di quello che ha dato nell’esercizio scorso sotto forma di integrazione del bilancio della Sardegna.

Per questo, ripeto, io che ieri avevo proposto un emendamento, nel senso di demandare ad una legge ordinaria l’ordinamento finanziario della Regione sarda, ho ritirato questo emendamento in seguito alla nuova formula proposta. Ritengo, per conto mio, che l’Assemblea possa votare tranquillamente questa formula, collegata evidentemente con l’emendamento dell’articolo 58, per quanto riguarda la potestà dello Stato di intervenire e suggerire modificazioni.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 8 nel nuovo testo della Commissione concordato col Ministro. L’onorevole Murgia ha proposto di sopprimere al quinto alinea le parole: «di cui all’articolo 6».

Onorevole Murgia, conserva l’emendamento?

MURGIA. Lo conservo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione i primi cinque alinea senza le parole: «di cui all’articolo 6».

«Le entrate della Regione sono costituite:

dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui terreni e sui fabbricati situati nel territorio della Regione e dell’imposta sui redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio;

dai nove decimi dell’imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della Regione;

dai nove decimi del gettito delle tasse di bollo, sulla manomorta, in surrogazione del registro e del bollo, sulle concessioni governative e dell’imposta ipotecaria, dell’imposta di fabbricazione dei gas e dell’energia elettrica percette nel territorio della Regione;

dai nove decimi della quota fiscale della imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella Regione;

da una quota dell’imposta generale sull’entrata di competenza dello Stato, riscossa nella Regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario d’accordo fra lo Stato e la Regione, in relazione alle spese necessarie ad adempiere le funzioni normali della Regione».

(Sono approvati).

Passiamo ora alla votazione delle parole «di cui all’articolo 6», di cui l’onorevole Murgia propone la soppressione.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Insisto per la conservazione delle parole «di cui all’articolo 6», perché rileggendo il testo dell’articolo 6 si è rilevato che potrebbe nascere poi qualche dubbio, o almeno potrebbero sorgere questioni, che è inutile di far sorgere se ciò non è assolutamente indispensabile. L’articolo 6 dice:

«La Regione esercita le funzioni amministrative nelle materie nelle quali ha potestà legislativa a norma degli articoli 3 e 4, salvo quelle attribuite agli enti locali dalle leggi della Regione».

Nulla è detto per quanto si riferisce alle spese relative. L’indicazione «di cui all’articolo 6» ha per scopo di chiarire che si tratta di spese necessarie ad adempiere la funzione normale della Regione. Tutti i dubbi che sono nati nel proponente l’emendamento si riferiscono al secondo periodo, là dove è detto che «essa esercita altresì le funzioni amministrative che le siano delegate dallo Stato».

Siamo d’accordo tutti, ma è bene che sia detto che le spese relative alle funzioni amministrative assunte dalla Regione in virtù degli articoli 3 e 4 siano a carico della Regione. Nulla è detto per quello che si riferisce alle funzioni delegate dallo Stato, perché è implicito ed è evidente che la Regione accetterà solo quelle funzioni delegate dallo Stato, in seguito ad una convenzione stipulata con lo Stato, che stabilisca qualche cosa intorno all’onere di tali spese: nessuno può pensare che lo Stato possa attribuire alla Regione funzioni che la Regione non vuole e per le quali essa non ha i mezzi necessari a farvi fronte.

CHIEFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIEFFI. Dichiaro di votare per la soppressione del riferimento all’articolo 6, proprio per le parole pronunciate dall’onorevole vicepresidente del Consiglio, in quanto egli fa preciso riferimento alle funzioni che derivano alla Regione per l’articolo 3 e per l’articolo 4.

Ora, nell’articolo 3 è indicato l’esercizio del diritti erariali e patrimoniali della Regione relativi alle miniere, ed il vicepresidente del Consiglio sa bene che, se noi dovessimo addossare alla Regione le spese di esercizio dell’attività mineraria della Regione stessa, verremmo con ciò a condannare questa attività. Non è chi non veda come ciò sarebbe veramente esiziale, soprattutto per le miniere del Sulcis, le quali, come tutti sappiamo, interessano non solo l’Isola, ma tutta la Nazione.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io dichiaro che mi asterrò anche questa volta dal votare, come mi sono astenuto per le precedenti votazioni, perché, come ho precedentemente dichiarato, io non sono sufficientemente informato su ciò che è posto in discussione, talché mi trovo nell’impossibilità così di assentire come di dissentire.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione le parole del quinto alinea «di cui all’articolo 6».

(Dopo prova e controprova, non sono approvate).

L’onorevole Balduzzi ha proposto di sopprimere al settimo alinea le parole «e da altri tributi proprî».

Onorevole Balduzzi, mantiene l’emendamento?

BALDUZZI. Tenuto conto delle autorevoli dichiarazioni fatte dall’onorevole Vicepresidente del consiglio nel suo breve intervento, rinuncio a questo e ad ogni altro emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la restante parte dell’articolo 8:

«dai canoni per le concessioni idroelettriche;

da contributi di miglioria ed a spese per opere determinate, da imposte e tasse sul turismo, e da altri tributi proprî, che la Regione ha facoltà di istituire con legge in armonia coi principî del sistema tributario dello Stato;

da redditi patrimoniali;

da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie».

(È approvata).

Passiamo all’articolo 9. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«La Regione può affidare agli organi dello Stato l’accertamento e la riscossione dei propri tributi.

«Le operazioni di accertamento relative ai tributi erariali vengono effettuate con la collaborazione di rappresentanze locali».

PRESIDENTE. Non essendo stati presentati emendamenti lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 10. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Nell’accertamento dei redditi delle imprese industriali e commerciali che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi».

PRESIDENTE. La Commissione, d’accordo col Ministro del bilancio, ha proposto la soppressione di questo articolo.

Gli onorevoli Murgia, Spano, Chieffi, Mannironi, Mastino Pietro hanno proposto il seguente emendamento sostitutivo:

«Lo Stato verserà alla Regione una quota dell’imposta di ricchezza mobile riscossa fuori della Regione sui redditi di imprese industriali e commerciali, che abbiano stabilimenti, impianti o esercizi nella stessa Regione. Tale quota sarà concordata fra lo Stato e la Regione».

FABBRI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Relatore. Ritengo che ci sia un motivo di preclusione, in quanto se questo emendamento fosse votato sarebbe stato perfettamente inutile aver variato il testo primitivo dell’articolo 8, che tendeva a mantenere alla Regione la quota del tributo di ricchezza mobile che fosse stato prodotto nella Regione. Si è creduto che questo sistema, per le ragioni tecniche esposte dall’onorevole Ministro del bilancio, non fosse accettabile, e quindi si è adoperata una formula forfettaria relativa all’imposta riscossa nella Regione, per la quale l’imposta di ricchezza mobile anche sui redditi che siano prodotti fuori della Sardegna da parte di un ente, il quale nella Sardegna abbia la sua sede e ivi paghi le imposte, viene ad essere attribuita alla Regione.

Considero questa deliberazione del tutto preclusiva della proposta attuale, che è la rivendicazione del sistema abolito.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Desidero giustificare il perché della nostra insistenza nel formulare quest’articolo, anche dopo l’approvazione dell’articolo 8. Basterà accennare a qualche caso, ad esempio, all’esercizio della Sita, che svolge in Sardegna una intensa attività ma non vi ha però il domicilio fiscale, e quindi non paga in Sardegna la ricchezza mobile.

Di fronte a questa ingiustizia noi formuliamo, col nuovo articolo, una richiesta per cui non passano alla Sardegna i nove decimi della ricchezza mobile prodotta nel territorio della Regione, ma passa una quota di quello che in materia fu riscosso.

L’onorevole Fabbri oppone una tesi di preclusione, dicendo che non è possibile votare una formulazione nuova, in quanto, sotto altra forma, si ristabilirebbe lo stesso concetto.

Questo però non è, poiché quanto noi proponiamo è praticamente possibile senza violare il concetto del domicilio fiscale.

L’eccezione fatta dall’onorevole Ministro Einaudi è stata, invece, questa: che, in pratica, non si può procedere all’accertamento, perché non è possibile farlo al centesimo, e perché si capovolgerebbe l’attuale sistema vigente in materia. Ma col nostro sistema si chiede soltanto che una quota dell’imposta, e precisamente quella che sarà concordata fra lo Stato e la Regione, in conseguenza di quella precisa valutazione che gli organi competenti crederanno di poter fare, quella passi alla Sardegna.

Non è che si ripetano i principî già inclusi nella prima parte dell’articolo 8, e si sostenga che i nove decimi del prodotto devono passare alla Regione. Se così fosse la preclusione sarebbe insuperabile. Non si chiede che passino alla Regione i nove decimi dell’imposta, basata sulla produzione, ma si chiede quella quota del riscosso – non del prodotto – fissata in base ad un accordo fra Stato e Regione.

Quindi noi abbiamo con questo articolo la possibilità di riparare ad una ingiustizia profonda, che non è l’ultimo motivo dei malumori dell’Isola, con un sistema basato su accordi fra il potere centrale e il potere regionale.

Quindi non vi è nessuna eccezione preclusiva, ma soltanto la possibilità di riparare ad un torto, di eliminare una ingiustizia, e noi invitiamo l’Assemblea a votare il nostro articolo.

SPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SPANO. Vorrei fare osservare che la proposta contenuta nel nostro emendamento è estremamente moderata, perché essa non corrisponde – e devo anche confessare che non abbiamo trovato il modo di farla corrispondere – alle esigenze dell’economia della Sardegna.

L’esigenza nostra fondamentale è questa: poter fare una politica fiscale, determinare nel quadro della Regione una tale politica fiscale che costringa le aziende che hanno impianti a rinvestire i loro utili per le sviluppo economico della nostra Isola. Non abbiamo trovato effettivamente, nelle conversazioni fra parlamentari sardi, il modo di arrivare a una conclusione di questo genere. Si tratta tuttavia di abolire o di attenuare, come ha detto l’onorevole Mastino, questa enorme ingiustizia per la quale delle aziende che hanno impianti e stabilimenti in Sardegna pagano le imposte al di fuori della Regione.

Mi pare dunque che l’osservazione dell’onorevole Fabbri non sia pertinente. Si tratta di due questioni diverse. Vi sono imposte percepite nel quadro della Regione, vi sono imposte percepite per attività economiche esercitate dentro la Regione, ma al di fuori del quadro della Regione stessa. Quindi l’articolo 8 risolve il primo problema e non risolve il secondo.

Noi ripresentando l’articolo 10 in forma adatta – con l’accordo dei parlamentari sardi – abbiamo inteso risolvere questo secondo problema: cioè, fare in modo che la Sardegna si avvantaggi di una quota parte di imposta pagata fuori della Sardegna sull’attività economica che si svolge in Sardegna, nel caso di industrie che abbiano sede fiscale al di fuori dell’Isola.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Oltre alla ragione preclusiva addotta dall’onorevole Fabbri e oltre ai motivi di merito desunti dalle esigenze dell’unità economica nazionale, devo osservare che costituisce un assurdo giuridico il contemplare la possibilità che il reddito sia pertinente come titolarità ad un impianto o ad uno stabilimento il quale non costituisce se non un oggetto o uno dei beni pertinenti all’impresa, unico titolare soggetto nei cui confronti può far capo il reddito.

Quindi voterò contro l’emendamento, il quale avvalora quella frattura dell’unità statuale che intendo qui, come altrove, condannare.

MANNIRONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Volevo fare rilevare all’Assemblea, in aggiunta a quello che hanno dichiarato i colleghi Mastino e Spano, che nello Statuto siciliano esiste un analogo articolo – l’articolo 37 – per il quale per le imprese industriali e commerciali che hanno la loro sede centrale fuori del territorio della Regione ma che in essa hanno stabilimenti o impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota di reddito da attribuire allo stabilimento o all’impianto medesimi.

Questo articolo 37, che l’Assemblea esaminerà domani, dello Statuto siciliano prevede già tutta una ipotesi più grave e più complicata di quella che prospettiamo noi.

Noi abbiamo, in sostanza, premesso e ammesso che le industrie e le imprese che esercitano una attività produttiva in Sardegna siano tenute a corrispondere un’aliquota dei loro redditi di ricchezza mobile alla Regione; ma non chiediamo che la Regione provveda per suo conto a fare l’accertamento di tali redditi. Ci accontentiamo di chiedere e ottenere che lo Stato corrisponda alla Regione una aliquota dell’imposta realizzata: aliquota che si determinerà – ripeto – d’accordo, pro borio pacis, e che rappresenti il contributo di quelle imprese all’equilibrio delle entrate e delle spese della Regione. Se è ricchezza che si produce in Sardegna, pare troppo giusto che l’imposta relativa, almeno in parte, sia corrisposta nell’Isola: non fuori.

Ora io prego l’Assemblea di volere considerare questo: che per la Sicilia questo principio è stato già ammesso e domani l’Assemblea lo esaminerà. Non vorrei però che si usassero due pesi e due misure nel caso che la disposizione fosse approvata per la Sicilia e non per la Sardegna.

La Sardegna, per il suo bilancio autonomo, ha bisogno di entrate quanto e più della Sicilia. Ciò dico non per fare un torto alla Sicilia, ma perché mi sembra doveroso prospettare fin d’ora all’Assemblea la necessità politica di usare per le due Isole un criterio uniforme di autonomia.

PRESIDENTE. Ritengo che non sussista affatto una preclusione in merito alla proposta, la quale riguarda beni che sono fuori della regione, mentre la norma cui si è richiamato il Relatore riguarda beni nell’interno delle regioni.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero far presente le ragioni per le quali: 1°) non si tratta di un problema di notevole importanza; 2°) il Governo ritiene che non possa essere risolto nel senso indicato dall’emendamento.

Che non sia un problema di notevole importanza credo che lo si possa dire, soprattutto se ricordiamo che esiste una legge approvata pochi mesi or sono, secondo cui in quei casi anomali in cui il domicilio fiscale si trovi nella zona di un ufficio distrettuale delle imposte nella cui circoscrizione non esistono stabilimenti principali o non esistono sedi della società, il contribuente deve essere tassato là dove ha lo stabilimento principale o là dove ha la sede amministrativa. Quindi io non vorrei che questo emendamento fosse la riesumazione di tutta una serie di osservazioni che furono fatte negli anni scorsi quando questa legge, che è stata emanata appunto per eliminare questi inconvenienti, ancora non esisteva. Perciò vorrei ricordare ai miei amici della Sardegna che esiste un rimedio sufficiente per poter riparare a questo inconveniente. Può darsi che esista ancora qualche caso in cui effettivamente non sia possibile tassare in Sardegna qualche società che ha la sede amministrativa fuori, ma io vorrei ricordare che effettivamente vi era a disposizione la scelta fra l’uno e l’altro dei due sistemi: o dare una partecipazione sui redditi prodotti nella circoscrizione territoriale o dare una partecipazione sui redditi riscossi nella circoscrizione territoriale. Per ragioni tecniche, che attengono alla semplificazione del sistema, si è ritenuto opportuno adottare la formula di partecipazione alle imposte riscosse nella Regione, in quanto se si adottasse l’altra formula, sarebbe necessario non soltanto provvedere a delle separazioni di imponibile che sono molto difficili, ma anche in relazione alla necessità di iscrivere in ruoli diversi l’unico imponibile.

Inoltre mi si consenta di tener presente che con la formula riscossione, può succedere a favore della Sardegna il fenomeno inverso. Io mi auguro che il Governo della Regione sarda sappia creare condizioni ambientali tali per cui diversi contribuenti sentano l’opportunità di andare a stabilire il domicilio fiscale in Sardegna. Può darsi che in relazione al reddito di categoria A, ed al reddito di categoria C 2, e forse anche in relazione al reddito di categoria B questo fenomeno possa verificarsi, ed allora ci troveremo davanti a questa situazione che, col criterio della riscossione, avremmo accordato il diritto a partecipare sopra redditi che non sono prodotti in Sardegna, ma che pagano l’imposta in Sardegna ed in relazione invece a questo emendamento accorderemmo il diritto di andare a riscuotere una partecipazione sopra redditi che pagano altrove. Evidentemente avremmo adottato un sistema non armonico che implica delle complicazioni e per questo vorrei pregare veramente i presentatori dell’emendamento di non insistere.

SPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SPANO. Mi pare che in questa discussione, che si svolge in termini puramente tecnici, si dimostra di voler ignorare un problema storico che pertanto esiste.

Onorevole Pella, noi sardi rivendichiamo dei torti che la Sardegna, storicamente, ha subito da parte di forze capitalistiche continentali. Non vi sono altre regioni che possano porre lo stesso problema nei confronti della Sardegna. Il Piemonte o la Lombardia non sono state sfruttate dal capitale sardo.

Io ammetto che per ragioni tecniche non sia possibile oggi stabilire qual è la quota parte di imposta che spetterebbe alla Sardegna prendendo in considerazione i beni prodotti in Sardegna. D’accordo su questo punto. Quindi nell’articolo 8 abbiamo stabilito di prendere come base di partenza non già l’attività economica in Sardegna ma le imposte riscosse in Sardegna. Perfettamente d’accordo. Questo riguarda una certa parte di attività economiche che hanno sede in Sardegna e che hanno sede fiscale in Sardegna. Restano altre numerose attività economiche che, pur svolgendosi in Sardegna, hanno sede fiscale fuori. È il caso di quasi tutte le miniere sarde che spesso costituiscono – me lo permetta l’onorevole Dominedò – non una parte di attività economica, ma tutta l’attività economica di quelle società. Vi sono parecchie società sarde, ed altre che sono collegate con altre società con diverse attività, è vero, ma che hanno una fisionomia bene individuabile. La sede fiscale è fuori, e le imposte sono riscosse fuori. Perché la nostra Regione deve rinunciare a percepire una imposta su queste attività che si svolgono in Sardegna? Per questo credo che la preclusiva non esista e che, essendosi giustamente stabilito per ragioni tecniche di devolvere alla nostra Regione una quota parte delle imposte percepite in Sardegna, deve rimanere salva l’altra parte di imposte che, pur essendo percepite fuori della Sardegna, riguardano ciononostante attività economiche che sono svolte in Sardegna.

Per questo insistiamo sull’emendamento firmato dall’onorevole Murgia, da me e da altri.

DOMINEDÒ. Ma le imposte si riscuotono in Sardegna se lo stabilimento principale è in Sardegna.

SPANO. Allora bisognerebbe che lo Stato potesse costringerle a spostare la loro sede fiscale in Sardegna.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Vorrei dire all’onorevole Spano che lo strumento legislativo esiste, verificandosi determinati presupposti di fatto. Se cioè in Sardegna vi è lo stabilimento principale o la sede amministrativa, esiste la possibilità di chiedere che domicilio fiscale sia considerata non la città dove è la sede legale, ma dove è lo stabilimento principale o la sede amministrativa.

Credo che, applicando questa disposizione, si riduca veramente ad una ristretta zona il complesso di quei casi. Ad ogni modo, desidero sottolineare che esiste veramente lo strumento per riparare, entro certi limiti, all’inconveniente.

MASTINO PIETRO. È uno strumento che ha bisogno di ipotesi di fatto, che fino ad ora o non esistono o non sono state riconosciute.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Poiché il nuovo testo della Commissione non contiene più la formulazione del primitivo articolo 10, la proposta degli onorevoli Mannironi, Spano, Mastino Pietro, Chieffi e Murgia si considera come articolo aggiuntivo.

Pongo in votazione l’emendamento Mannironi ed altri di cui è già stata data lettura.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Passiamo all’articolo 11. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Regione, al fine di favorire lo sviluppo economico dell’Isola, può disporre, nei limiti della propria competenza tributaria, esenzioni e agevolazioni fiscali per nuove imprese».

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi propone di trasferire all’articolo 11, per connessione di materia, il quarto comma dell’articolo 13, sopprimendo le parole: «tecnicamente organizzali nell’Isola», cioè:

«Sono concessi, per un periodo di cinquant’anni, esenzioni ed agevolazioni fiscali ventennali per nuovi impianti industriali».

Pongo intanto in votazione l’articolo 11.

(È approvato).

L’onorevole Fabbri ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sulla proposta aggiuntiva Mannironi.

FABBRI, Relatore. La Commissione si oppone: il concetto non è nuovo, ma è ripreso in sostanza dalla stessa legislazione fiscale; per cui una agevolazione, nel senso di esonero, si concede precisamente per favorire il nuovo impianto, che deve avere determinate caratteristiche di organizzazione tecnica. Se si sopprime questo concetto, che è il presupposto dell’esonero, l’esonero non è più giustificato.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Mannironi se insiste nella sua proposta.

MANNIRONI. Non insisto anche per non dilungarci in discussioni che potrebbero intralciare il nostro lavoro.

PRESIDENTE. Sta bene.

BALDUZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BALDUZZI. Propongo che si sopprima tutto il quarto comma dell’articolo 13, in quando è già compreso nell’articolo 11.

FABBRI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Relatore. V’è un equivoco. L’articolo 11 si riferisce ai tributi di spettanza della Regione, mentre questo esonero ventennale per nuovi impianti tecnicamente organizzati si riferisce all’imposta di ricchezza mobile erariale. Non facciamo confusione fra le due cose.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. La recente legge sul Mezzogiorno, che si estende anche alla Sardegna, tratta ampiamente il problema delle esenzioni per le nuove attività industriali e per l’ampliamento di attività già esistenti.

A prescindere dalla durata, la portata delle agevolazioni contenute nella legge del Mezzogiorno è maggiore di quelle contemplate dall’articolo 13. Per queste considerazioni penso che si debba essere perplessi davanti ad enunciazioni di periodi cinquantennali, ventennali ecc.; la soluzione migliore consiste nella soppressione oltre che del quarto anche del terzo e quinto comma dell’articolo 13, perché superflui.

Che la portata delle agevolazioni contenute nella legge del Mezzogiorno sia maggiore, risulta da questo: che non solo è concessa esenzione dai tributi doganali e di ricchezza mobile, ma è concessa anche la riduzione alla metà della imposta sull’entrata.

PRESIDENTE. Sta bene. Comunque di ciò si tratterà in sede di esame dell’articolo 13.

Passiamo intanto all’articolo 12. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Regione ha facoltà di emettere prestiti interni da essa esclusivamente garantiti, per provvedere ad investimenti in opere di carattere permanente, per una cifra annuale non superiore alle entrate ordinarie».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati presentati emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 13, Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il regime doganale della Regione è di esclusiva competenza dello Stato.

«Saranno istituiti nella Regione punti franchi.

«Sono esenti, per venti anni, da ogni dazio doganale le macchine, gli attrezzi di lavoro ed i materiali da costruzione destinati sul luogo alla produzione ed alla trasformazione dei prodotti agricoli della Regione ed al suo sviluppo industriale.

«Sono concessi, per un periodo di cinquant’anni, esenzioni ed agevolazioni fiscali ventennali per nuovi impianti industriali tecnicamente organizzati nell’Isola.

«Su richiesta della Regione potranno essere concesse esenzioni doganali per merci ritenute indispensabili al miglioramento igienico e sanitario dell’Isola».

MASTINO GESUMINO, Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Onorevole Presidente, desideravo osservare al Ministro delle finanze che il suo ragionamento è in gran parte esatto, ma parzialmente errato. È esatto che la legge 14 dicembre 1947, n. 1598, contiene agevolazioni maggiori di quelle contemplate dall’articolo 13 che noi ora discutiamo, ma ad ogni modo rimane come dato essenziale giuridico che le disposizioni della legge 14 dicembre 1947 rimangono ferme, anche dopo l’approvazione dell’articolo 13 del nostro statuto.

Vi è però una circostanza di fatto, sulla quale richiamo l’attenzione dell’onorevole Ministro delle finanze, questa: che il nostro articolo 13 contiene disposizioni che non sono contenute nel decreto 14 dicembre 1947. Questo è un fatto che ne rende indispensabile l’approvazione. Per esempio, il decreto più volte citato non contiene l’indicazione che è, invece, nell’articolo 13: «Sono esenti, per venti anni…». Pertanto il termine dell’articolo 13 dello statuto è maggiore di quello contenuto nel decreto citato. Inoltre è detto: «…le macchine, gli attrezzi di lavoro ed i materiali da costruzione destinati sul luogo alla produzione ed alla trasformazione dei prodotti agricoli della Regione ed al suo sviluppo industriale», dizione questa che non è contenuta nel decreto, in cui è contenuto il riferimento allo sviluppo industriale, ma non è indicato affatto l’estremo necessario per quanto ha rapporto con l’economia della Sardegna, e cioè quanto attiene alla produzione ed alla trasformazione dei prodotti agricoli della Regione.

Mi pare, poi, che l’onorevole Pella sorvoli molto elegantemente sul terzo comma, laddove è detto: «…per un periodo di cinquant’anni sono concessi ecc.». Egli ritiene, senza dare una motivazione, che questo termine non sia necessario; io, che vivo in Sardegna e che delle circostanze speciali nelle quali l’economia sarda si svolge ho una conoscenza molto più precisa ed esatta di quella che l’onorevole Pella non possa avere, so che il termine di cinquant’anni sarà utilissimo per la nostra Sardegna.

Perciò insisto perché l’articolo 13 sia votato. Naturalmente, dato che non si può negare che le disposizioni del decreto 14 dicembre 1947 abbiano autonomo vigore, esse saranno autonomamente osservate, qualunque sia il risultato della nostra votazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Murgia ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, dopo la parola: macchine, aggiungere: e i carburanti per esse necessari».

Ha facoltà di svolgerlo.

MURGIA. Il mio emendamento tiene conto del fatto che anche i carburanti vengono dall’estero, e, pertanto, un’agevolazione doganale sarebbe di grande ausilio all’economia dell’Isola.

PRESIDENTE. L’onorevole Pella ha facoltà di dichiarare se insiste nella proposta di soppressione del terzo, quarto e quinto comma.

PELLA, Ministro delle finanze. Sì, insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo ai voti.

MANNIRONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Dichiaro che voterò contro la proposta del Ministro Pella per una ragione di cui egli particolarmente dovrebbe rendersi conto, perché, cioè, ammesso anche in ipotesi che tutte queste agevolazioni che sono previste nell’articolo 13 fossero anche contenute nel decreto del 14 dicembre 1947, il Ministro non può dimenticare che noi stiamo qui votando una legge di carattere costituzionale che deve quindi dare alla Sardegna le maggiori garanzie, a differenza di quelle che sono concesse invece con una legge ordinaria della Repubblica. Parlo di garanzie costituzionali in quanto amo e voglio credere che se tutte le disposizioni finanziarie di questo Statuto, secondo quanto è detto nel progetto, potranno essere modificate con legge ordinaria della Repubblica, debbano costituire non un atto unilaterale dello Stato, ma il punto di un’intesa tra lo Stato e la Regione. Se così non fosse, verrebbe meno totalmente ogni vera garanzia per la Regione e la sua autonomia resterebbe insidiata in partenza e alla radice.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. In seguito a questo scambio di vedute sull’articolo 13, poiché è stato fatto cenno al decreto legislativo del 14 dicembre 1947 ed è sorta la questione del come si coordinano queste due leggi, credo che sarebbe opportuno, in sede di coordinamento, fare un’eventuale riserva a questo riguardo e, ad esempio, dire: «senza pregiudizio delle concessioni derivanti da legge generale dello Stato». Così, se per ipotesi c’è qualche cosa che deriva dalla legge del 14 dicembre 1947 e che non deriva dall’articolo 13 dello statuto, la Sardegna non sarà privata del beneficio risultante da quella legge generale. Credo che il Ministro non abbia difficoltà al riguardo.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Volevo soltanto aggiungere alle osservazioni fatte dall’onorevole Pella un’altra relativa al quarto comma dell’articolo 13. A me pare che in lingua italiana questo comma significhi ben poco, o che abbia una portata di cui oggi non possiamo avere nessuna idea. Il comma dice che sono concessi, per un periodo di venti anni, esenzioni ed agevolazioni fiscali. Quali? Da quali imposte? E se non specifichiamo le imposte, che significato ha questo articolo se non l’arbitrio più assoluto?

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Una legge dello Stato dirà in che cosa consistono le esenzioni e le agevolazioni fiscali.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Se si dice allora che una legge dello Stato potrà concedere in avvenire esenzioni fiscali, non si dice nulla, perché la facoltà dello Stato di stabilire esenzioni mediante legge vi è sempre. Questo comma, così come è formulato, non dice nulla o è qualcosa di molto pericoloso, di cui ignoriamo il valore.

MASTINO PIETRO. Si stabilisce una norma generale in una forma positiva e non ipotetica.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Ma è una norma generale che non dice nulla, è una norma generale che ci impegna per cinquant’anni e per scopi incerti che non sono dichiarati, perché non si sa quali siano le imposte per le quali è concessa l’esenzione. Se si vogliono dire cose senza senso, diciamole: in fondo non è proibito.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Onorevoli colleghi, la legge del 1947 cui ha fatto riferimento l’onorevole Ministro delle finanze non prevede l’esenzione per attrezzi di lavoro destinati alla trasformazione di prodotti agricoli della Regione, vale a dire non prevede una delle necessità più sentite nell’Isola. Io so – mi si consenta l’accenno – che nei lavori relativi alla preparazione dello statuto fummo tutti d’accordo su questa richiesta; io so del pari che è grande l’attesa della nostra Regione relativamente alla richiesta stessa: mi permetto quindi di dire che una ripulsa dell’Assemblea su ciò costituirebbe localmente un motivo di giusta e sentita protesta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo e il secondo comma dell’articolo 13, al quale non sono stati presentati emendamenti, e di cui do nuovamente lettura:

«Il regime doganale della Regione è di esclusiva competenza dello Stato.

«Saranno istituiti nella Regione punti franchi».

(Sono approvati).

Pongo in votazione la proposta di soppressione del terzo comma, fatta dal Ministro delle finanze. Do nuovamente lettura del terzo comma:

«Sono esenti, per venti anni, da ogni dazio doganale le macchine, gli attrezzi da lavoro ed i materiali da costruzione destinati sul luogo alla produzione ed alla trasformazione dei prodotti agricoli della Regione ed al suo sviluppo industriale».

(Dopo prova e controprova, la proposta soppressiva non è approvata).

Onorevole Murgia, mantiene ella il suo emendamento aggiuntivo?

MURGIA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Il terzo comma rimane allora approvato nel testo della Commissione.

Passiamo al quarto comma:

«Sono concessi, per un periodo di cinquant’anni, esenzioni ed agevolazioni fiscali ventennali per nuovi impianti industriali tecnicamente organizzati nell’Isola».

Pongo in votazione la proposta soppressiva dell’onorevole Balduzzi, cui si è associato il Ministro delle finanze.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Passiamo all’ultimo comma:

«Su richiesta della Regione potranno essere concesse esenzioni doganali per merci ritenute indispensabili al miglioramento igienico e sanitario dell’Isola».

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Avevo proposto la soppressione dei tre ultimi commi, soppressione globale per ragioni di armonia relativa all’articolo. Ma, siccome dalla votazione è risultato che resta in vita il terzo comma, ritiro la proposta di soppressione dell’ultimo comma che ha un contenuto quanto meno di principio.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’ultimo comma.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 14. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico di opere pubbliche per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mastino Gesumino, Murgia, Carboni Enrico, Chieffi, Spano, Mastino Pietro, Mannironi e Laconi hanno proposto la seguente formulazione sostitutiva:

«In affermazione del principio della solidarietà nazionale, consacrato nell’articolo 119 della Costituzione, lo Stato col concorso della Regione dispone e finanzia un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola».

L’onorevole Mastino Gesumino ha facoltà di svolgere questo emendamento.

MASTINO GESUMINO. Rinunzio a svolgerlo, riservandomi di rispondere alle eventuali obiezioni.

PRESIDENTE. Sta bene. La formulazione è d’altronde molto chiara. Qual è il pensiero della Commissione?

FABBRI, Relatore. È stato detto che non era abbastanza preciso il concetto delle esenzioni e delle agevolazioni fiscali per nuovi impianti industriali tecnicamente organizzati. Crediamo che la formulazione dell’articolo 13 fosse assai più prudente e conclusiva di quanto non sia quella ora proposta, che prevede l’onere dello Stato di «disporre e finanziare» un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola.

La Commissione si era accontentata di molto meno e credeva di aver detto qualcosa di tecnicamente preciso. Chi voleva impiantare un nuovo stabilimento nell’Isola poteva chiedere per un massimo di venti anni una riduzione dell’imposta di ricchezza mobile ed eventualmente dell’imposta di produzione, se, per esempio, avesse voluto impiantare una fabbrica di seta artificiale. Qui invece c’è il generico e l’indefinito, perché si parla di un piano organico finanziato dallo Stato per favorire la rinascita economica dell’Isola.

Data la deliberazione precedente dell’Assemblea, la Commissione ritiene di non poter aderire, nella sua maggioranza, a questa formulazione generica, di contenuto così indeterminato.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Evidentemente non si è tenuta presente la premessa con la quale l’emendamento da me proposto ha inizio e virtualmente anche si conclude.

Questo emendamento è determinato da uno stato di necessità, perché l’Assemblea, in una delle affrettate votazioni di ieri sera, ha negato il suo consenso all’emendamento col quale proponevamo all’articolo 7 del nostro statuto l’esclusione dell’ultima frase: «nei modi stabiliti dagli articoli seguenti».

Come si ricorderà, nell’articolo 7 era contenuta una formulazione che riferiva genericamente ai principî di solidarietà nazionale la finanza regionale e il coordinamento con la finanza dello Stato. Se l’articolo 7 fosse rimasto fermo all’ultima parola «nazionale», e fosse stato escluso il finale «nei modi stabiliti dagli articoli seguenti», forse non avremmo sentito la necessità di proporre la nuova formulazione dell’articolo 14.

Ma, ristretto il significato della solidarietà nazionale alle formulazioni finanziarie degli articoli seguenti, necessariamente noi, senza accattonaggio alcuno (perché, se mi è permesso nuovamente di dirlo, lo stesso Presidente della Sottocommissione onorevole Perassi ha dichiarato fermamente ieri che l’unica Regione la quale aveva chiesto di esser messa in condizione di poter autonomamente provvedere a se stessa è stata la Sardegna), noi che facciamo e vogliamo far parte – e abbiamo tenuto a riaffermarlo con energia nelle premesse del nostro Statuto – della compagine nazionale, abbiamo diritto di far presente che una norma generale costituzionale afferma il dovere nazionale di provvedere nazionalmente alle deficienze delle singole Regioni. Credo che anche coloro che hanno con tanta parsimonia misurato le formule per l’autonomia sarda debbano riconoscere che almeno questo diritto generico deve essere affermato e riconosciuto alla Sardegna.

Quando diciamo che nell’ambito della solidarietà nazionale lo Stato predispone i piani per favorire la rinascita economica dell’Isola, praticamente noi deferiamo al Governo di questa nostra Italia la pratica attuazione del principio; e non mi pare ci sia proprio da dire, come dice l’onorevole Fabbri, che, essendo stato concesso con tanta larghezza alla Sardegna l’esonero da vari dazi doganali, i sardi non hanno più niente da chiedere. (Interruzione dell’onorevole Moro).

FABBRI, Relatore. Non ho detto questo!

MASTINO GESUMINO. Press’a poco un concetto analogo.

Ad ogni modo, dichiaro anche al protestante onorevole Moro (protestante solo quando protesta!) questo: che se l’Assemblea crede di dovere negare anche la partecipazione dello Stato alla rinascita della Sardegna attraverso la formula della solidarietà nazionale, la neghi pure. Certo si è che noi non chiediamo nulla di più di quello che a tutte le Regioni è stato promesso e che a tutte le Regioni deficitarie è dovuto. D’altra parte, ci siamo attenuti a una formulazione generica proprio perché non desideriamo chiedere, attraverso una formulazione precisa, precisi impegni.

Credo di avere esposto quali sono state le ragioni che hanno indotto la deputazione sarda, unanime e concorde, a chiedere che questo articolo rimanga nello statuto così come da noi formulato. Invitiamo l’Assemblea a decidere con coscienza e con senso di responsabilità.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Mi sembra che le argomentazioni opposte dall’onorevole Fabbri contengano una critica contro la reiezione del penultimo comma dell’articolo 13. Ma ciò non scalfisce il fondamento dell’articolo che noi abbiamo formulato e che presentiamo all’Assemblea.

Aggiungo che mi sorprende l’opposizione da parte dell’onorevole Fabbri, il quale fa parte della Commissione, in quanto l’articolo che noi proponiamo ripete in certo senso l’articolo 14 della stessa Commissione: il quale dispone che «lo Stato, col concorso della Regione, dispone un piano organico di opere pubbliche per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola».

Che cosa c’è di nuovo nell’articolo ora proposto? Che, mentre l’articolo 14 precisa e in certo senso limita l’intervento dello Stato ad un piano organico nel solo campo delle opere pubbliche, secondo la nuova formulazione questa limitazione non c’è. Si tratta di un piano per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola. Vale a dire, il nostro nuovo articolo è diretto a far sì che, se in seguito lo Stato e la Regione riterranno che la rinascita economica e sociale dell’Isola debba consistere – anziché nell’esecuzione di un piano organico di opere pubbliche – in interventi in altro campo, questi interventi possano essere attuati senza trovare ostacoli nella formulazione dell’articolo 14.

Quindi, l’intendimento con cui abbiamo formulato il nuovo articolo è in perfetta rispondenza con quello con cui la Commissione ha presentato all’Assemblea l’articolo 14.

Osservo che, d’altra parte, quando si chiede che l’Assemblea consenta allo Stato d’intervenire per la rinascita economica e sociale della Sardegna, se è vero, come tutti affermate che riconoscete, che noi tendiamo non ad un’affermazione di separatismo sibbene a riaffermare l’unione dell’Isola all’Italia, dovete essere voi i primi a riconoscere che un programma diretto alla rinascita dell’Isola è un programma che giova a tutta la Nazione.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Credo che si potrebbe trovare una formula conciliativa, soprattutto se noi traduciamo in disposizione ciò che ha detto molto bene da ultimo l’onorevole Mastino. In sostanza egli ha detto: che cosa c’è di nuovo nella formulazione proposta rispetto a quella del progetto della Commissione? Anziché parlare di un piano di opere pubbliche parliamo di un piano per la rinascita. Non so se sia proprio esatto che c’è solo questa differenza, ma comunque, se così è, la Commissione non ha nulla in contrario a che nell’articolo 14, come è stato proposto da essa, si tolgano le parole «di opere pubbliche» e cioè si dica «piano organico per la rinascita dell’Isola».

PRESIDENTE. Cosa pensano di questa proposta i presentatori dell’emendamento?

MURGIA. A nome anche degli altri firmatari, accetto la formulazione dell’onorevole Perassi e ritiro l’emendamento sostitutivo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 14 nel testo seguente:

«Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 15. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Regione, nell’ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato e su quelli demaniali, escluso il demanio marittimo.

«I beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione.

«I beni immobili situati nella Regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione».

PRESIDENTE. I Ministri Einaudi e Pella propongono di aggiungere al primo comma, dopo le parole «beni e diritti patrimoniali», le altre: «di natura immobiliare».

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. La Commissione è d’accordo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo con l’emendamento aggiuntivo Einaudi-Pella:

«La regione, nell’ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali di natura immobiliare dello Stato e su quelli demaniali, escluso il demanio marittimo».

(È approvato).

Pongo in votazione i due commi successivi di cui ho dato testé lettura e ai quali non sono stati presentati emendamenti.

(Sono approvati).

Dobbiamo esaminare il quarto comma dell’articolo 56, di cui già si iniziò l’esame in sede di discussione dell’articolo 8. Il testo è il seguente:

«Le disposizioni del Titolo III del presente statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta della Regione».

Vi sono due emendamenti. Il Relatore onorevole Ambrosini propone di sostituire le ultime parole con le seguenti: «di intesa con la Regione»; mentre il Ministro Einaudi propone le seguenti altre: «in ogni caso sentita la Regione», oppure «su proposta del Governo o della Regione». Quale di queste due sue formulazioni mantiene, onorevole Einaudi?

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. La seconda: «su proposta del Governo o della Regione».

AMBROSINI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI, Relatore. La Commissione è divisa. L’espressione «d’intesa» è, siccome dissi avanti, opportuna per sopire le diffidenze isolane. Secondo il progetto l’iniziativa doveva spettare soltanto alla Regione; le dichiarazioni dell’onorevole Einaudi ci hanno però convinti della opportunità di concedere al Governo centrale l’iniziativa per la revisione del Titolo III con il procedimento della legge ordinaria. Per evitare che la Regione possa avere preoccupazioni in proposito, ritengo assolutamente opportuno che si aggiunga: «d’intesa con la Regione».

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Voto per la proposta formulata dall’onorevole Ambrosini, poiché non intendo la possibilità di vita dello statuto sardo se questo non ha, come presupposto fondamentale, una sistemazione d’indole finanziaria. E poiché, in base all’articolo alla cui votazione stiamo procedendo, la materia finanziaria che riguarda la Regione può essere modificata senza necessità di seguire le forme stabilite per le riforme costituzionali, non è giusto che la Sardegna possa vedere modificate le disposizioni di cui al Titolo III, cioè quelle d’indole finanziaria, senza che ciò avvenga col suo accordo.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Propongo, per salvaguardare in parte gli interessi della Sardegna, che la proposta Einaudi venga così modificata: «Su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita la Regione».

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Accetto la proposta Uberti, nel senso che il Governo può, come la Regione, fare la proposta, ma che deve agire d’intesa con la Regione.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Einaudi?

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Accetto.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Ambrosini?

AMBROSINI, Relatore. Insisto sulla formula: «d’intesa con la Regione».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Non tutti possono essere sodisfatti di questa modificazione. «Sentita» non ha nessun significato. L’onorevole Uberti non ha scoperto l’uovo di Colombo. Altra cosa è parlare di una intesa fra Stato e Regione, in cui il parere della Regione è vincolante in qualche misura per il Governo, altra cosa è dire che la Regione deve essere sentita. Noi respingiamo questa proposta e chiediamo che venga messa in votazione anche la proposta dalla quale si è partiti.

Abbiamo stabilito una procedura per la modificazione dello statuto, che è legge costituzionale; abbiamo stabilito una procedura normale che figura in un determinato articolo. A questo punto stiamo per stabilire una procedura eccezionale che può essere adottata soltanto in determinati casi, cioè quando vi sia l’accordo delle parti. Non è possibile che sia consentita l’eccezione, in violazione di tutte le garanzie stabilite sia per lo Stato che per la Regione, senza l’accordo dei due interessati. Ciò significherebbe ammettere la violazione della parte centrale dello statuto, quella concernente l’economia e la finanza, ad unico vantaggio dello Stato, senza nessuna garanzia per la Regione.

Una decisione di questo genere da parte dell’Assemblea equivale a togliere a questo statuto qualsiasi carattere costituzionale.

Prego, pertanto, l’Assemblea di considerare con maggiore attenzione i motivi che militano in favore della nostra tesi.

PRESIDENTE. Pongo anzitutto in votazione la prima parte del quarto comma dell’articolo 56 sulla quale non vi è contestazione alcuna:

«Le disposizioni del Titolo III del presente Statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta del Governo o della Regione».

(È approvata).

Ed ora vi sono le due formule conclusive: «in ogni caso sentita la Regione», proposta dal Ministro Einaudi; «d’intesa con la Regione», proposta dall’onorevole Ambrosini.

Pongo per prima in votazione la formulazione conclusiva: «In ogni caso sentita la Regione», proposta dall’onorevole Einaudi.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Poiché l’onorevole Marinaro non è presente, si intende che abbia rinunciato alla proposta di trasformare in norma transitoria l’emendamento da lui a suo tempo presentato e all’emendamento stesso.

Passiamo all’ultimo articolo, il 60. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione, avvertendo che non vi sono stati presentati emendamenti.

(È approvato).

Il disegno di legge sarà poi votato nel suo complesso a scrutinio segreto.

Presentazione di relazioni.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione per le autorizzazioni a procedere. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione per le autorizzazioni a procedere. Mi onoro di presentare le relazioni sulle domande di autorizzazione a procedere in giudizio

contro il deputato Giannini per il reato di cui all’articolo 595, comma terzo, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Doc. I, n. 21);

contro il deputato Tonetti, per il reato di cui all’articolo 342 dello stesso Codice (offesa al prestigio di un Corpo amministrativo). (Doc. I, n. 55).

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite.

La seduta termina alle 14.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 28 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 28 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegno di legge costituzionale (Seguito della discussione):

Statuto speciale per la Sardegna (62).

Presidente

Proia

Di Fausto

Marchesi

Gasparotto

Ambrosini, Relatore

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Fabbri, Relatore

Mastino Gesumino

Vicentini

Dossetti

Fanfani, Ministro del lavoro e della previdenza sociale

Moro

Lussu

Spano

Mannironi

Chieffi

Einaudi, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio

Scoca

Balduzzi

Condorelli

Laconi

Paratore

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Bordon

Mastino Pietro

Persico

Bertone

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Scelba, Ministro dell’interno

Preti

Abozzi

Nitti

Mortati

Cevolotto

Presentazione di un disegno di legge costituzionale:

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.20.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Sardegna. (62).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Sardegna. (62).

Onorevoli colleghi, abbiamo udito stamane il Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali e il Relatore per lo Statuto sardo.

Si tratta di iniziare l’esame degli emendamenti presentati allo Statuto speciale per la Sardegna.

Ho l’impressione che le direttive concordate coi rappresentanti dei vari settori dell’Assemblea per la discussione degli Statuti speciali o non siano state lette, o non siano state comprese, o non siano state accettate.

Alcuni colleghi si sono preoccupati di presentare degli emendamenti di pura forma. Ora, è ovvio che la Commissione sarà invitata a rivedere il testo dal punto di vista stilistico prima della stesura definitiva. Cito questo come indizio della difficoltà di ambientarsi da parte di qualcuno nel lavoro che oggi occorre fare e che possiamo fare. A meno che qualche collega non affronti di petto la questione e non proponga di rimandare al prossimo Parlamento questa legge.

Esaminiamo dunque questi emendamenti. Io darò facoltà di parlare ai presentatori per un brevissimo svolgimento. Poi, come spero nessuno vorrà contrastare, non parlerà che il Relatore; eventualmente il rappresentante del Governo, se chiede di esprimere il suo giudizio, e poi si passerà alla votazione.

Possiamo intanto esaminare i primi due articoli, ai quali non sono stati presentati emendamenti.

Si dia lettura dell’articolo 1.

MOLINELLI, Segretario, legge:

TITOLO I

COSTITUZIONE DELLA REGIONE

Art. 1.

«La Sardegna con le sue isole è costituita in Regione autonoma fornita di personalità giuridica entro l’unità politica della Repubblica italiana, una e indivisibile, sulla base dei principî della Costituzione e secondo il presente statuto».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Regione autonoma della Sardegna ha per capoluogo Cagliari».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Avverto che la Commissione ha proposto di sostituire alla intitolazione del Titolo II: «Competenza della Regione», l’altra: «Funzioni della Regione».

Pongo in votazione questo emendamento.

(È approvato).

Passiamo agli articoli 3 e 4, che sono connessi. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

Art. 3.

«In armonia con la Costituzione e con i principî dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie:

  1. a) ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale;
  2. b) circoscrizioni comunali;
  3. c) polizia locale urbana e rurale;
  4. d) agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario;
  5. e) lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione;
  6. f) edilizia ed urbanistica; .
  7. g) trasporti su linee automobilistiche e tranviarie;
  8. h) acque minerali e termali;
  9. i) caccia e pesca;
  10. l) esercizio dei diritti demaniali della Regione sulle acque pubbliche;
  11. m) esercizio dei diritti demaniali e patrimoniali della Regione relativi alle miniere, cave e saline;
  12. n) usi civici;
  13. o) artigianato;
  14. p) turismo, industria alberghiera, pubblici spettacoli;
  15. q) biblioteche e musei di enti locali».

Art. 4.

«Nei limiti del precedente articolo e dei principî stabiliti dalle leggi dello Stato, la Regione emana norme legislative sulle seguenti materie:

  1. a) industria, commercio ed esercizio industriale delle miniere, cave e saline;
  2. b) istituzione ed ordinamento degli enti di credito fondiario ed agrario, delle casse di risparmio, delle casse rurali, dei monti frumentari e di pegno e delle altre aziende di credito di carattere regionale; relative autorizzazioni;
  3. c) opere di grande e media bonifica e di trasformazione fondiaria;
  4. d) espropriazione per pubblica utilità non riguardante opere a carico dello Stato;
  5. e) produzione e distribuzione dell’energia elettrica;
  6. f) linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione;
  7. g) assunzione di pubblici servizi;
  8. h) assistenza e beneficenza pubblica;
  9. i) igiene e sanità pubblica;
  10. l) disciplina annonaria;
  11. m) antichità e belle arti».

PRESIDENTE. Avverto che il primo comma dell’articolo 3 è stato, dalla Commissione, così modificato:

«In armonia con la Costituzione e i principî dell’ordinamento giuridico dello Stato e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie».

All’articolo 3 l’onorevole Proia ha presentato il seguente emendamento:

«Alla lettera p) sopprimere le parole: pubblici spettacoli».

Ha facoltà di svolgerlo.

PROIA. L’articolo 3, ma soprattutto l’articolo 8, prevedono il passaggio di alcuni gettiti di imposte, compresi quelli dei pubblici spettacoli. Faccio presente che recentemente l’Assemblea Costituente ed il Governo hanno approvato provvedimenti e nuovi ordinamenti per alcune speciali industrie che hanno ancora bisogno di assistenza e di aiuto. Chiedo ora – e per questo io propongo l’emendamento – che si specifichi meglio la dizione del comma, per non creare equivoci e confusioni od annullare quello che è stato fatto. Quindi, prego l’Assemblea di accogliere l’emendamento proposto.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Fausto, all’articolo 4 ha proposto di sopprimere la lettera m) «Antichità e belle arti».

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

DI FAUSTO. Mi richiamo appunto a quella discussione avvenuta in sede di Costituzione quando, dopo ampio dibattito, fu salvato il principio unitario in materia di antichità, belle arti e loro tutela.

Fu infatti affermata – dopo gli interventi dell’onorevole Marchesi per le Accademie delle scienze e mio, per le Accademie delle arti – la necessità di non disgiungere in Italia la tutela della antichità e delle arti da quella delle bellezze naturali, ripetendo l’opportunità di regolamentazione legislativa unitaria.

Fu così che l’articolo 29 del progetto, divenuto poi articolo 9 della Costituzione, ebbe la formulazione definitiva per cui la Repubblica «tutela il paesaggio ed il patrimonio storico ed artistico della Nazione».

Successivamente – in linea di sviluppo – riaffiorò la mia preoccupazione in occasione dell’esame degli articoli 109-110-111 del progetto di Costituzione, ed io non mancai di denunciare all’Assemblea che si tentava, col contenuto di essi, di infirmare il principio basilare, quello della diretta tutela unitaria, da parte dello Stato, del più eccelso patrimonio della Nazione; patrimonio il quale trascende non solamente il carattere regionale, ma spesso anche il carattere nazionale, per assurgere a importanza mondiale.

Chiesi pertanto la soppressione delle voci: «urbanistica», ed «antichità e belle arti» dall’articolo III.

L’Assemblea accolse la seconda proposta che era la più importante. La prima cadde, certo per incomprensione della portata tecnica effettiva di quella parola.

È fuori discussione, quindi, che così delicata materia, pienamente tutelata dai termini della Costituzione vigente, possa formare oggi oggetto di discussione.

Da ciò muove il mio odierno emendamento all’articolo 4 dello Statuto speciale per la Sardegna.

Emendamento che ripeterò domani, a firma anche degli onorevoli Marchesi e Condorelli, per l’articolo 4 dello Statuto speciale per la Sicilia, circa le norme regolanti la tutela del paesaggio, la conservazione delle antichità e delle opere artistiche e circa i musei.

E se per la Sardegna il settore dell’arte ha un raggio assai limitato in confronto a quello della Sicilia, resta la questione di principio – e di principio costituzionale – che non può né deve essere infirmata.

Mentre, onorevoli colleghi, assistiamo sgomenti ed inermi alla disintegrazione del continente Europeo (e quindi della civiltà stessa) io non riesco a superare la mia perplessità per tutto quanto incida comunque l’unità nell’ambito nazionale. Dopo il sommario, ma eloquente esame dello Statuto sardo fatto stamattina, io penso che coloro che siederanno in futuro in quest’Aula dovranno veramente chiedersi se questa non sollecitata politica regionalistica non fece per caso parte delle spietate sanzioni imposte dal diktat, sanzioni che miravano dritto al dissolvimento totale del Paese.

Temo anche che lo preoccupazioni elettorali abbiano sinistramente dominato la vita e il lavoro di questa Assemblea, particolarmente in questo scorcio conclusivo.

A questo punto – comunque – salviamo il salvabile. E sarà molto se fra tanta rovina le genti italiane resteranno legate da questo vincolo ideale della immortale bellezza – che è come un’altra fede – e che, traendo origine nei secoli più lontani, sicura si proietta nell’avvenire del nostro stesso destino!

PRESIDENTE. Gli onorevoli Marchesi e Condorelli hanno presentato il seguente emendamento all’articolo 4:

«sopprimere la lettera m)».

L’onorevole Marchesi ha facoltà di svolgerlo.

MARCHESI. Onorevole Presidente, lei sa che adopero pochissime parole: in questa occasione la prego di lasciarmi parlare, perché l’argomento del quale dirò molto brevemente, potrà essere motivo di gravi rimproveri alla responsabilità dell’Assemblea Costituente.

Nella seduta del 30 aprile l’Assemblea Costituente con l’articolo 29, diventato poi articolo 9 dei principî generali, considerava il patrimonio artistico come patrimonio nazionale e lo poneva perciò sotto la tutela della Repubblica, cioè sotto la tutela dello Stato e dell’amministrazione centrale. Non entro nella sostanza, perché ci sarebbe molto da parlare e non sarebbe questo il momento. Nello Statuto siciliano – sul quale mi riserbo di riprendere la parola – è detto: «Nei limiti delle leggi costituzionali lo Statuto deve essere coordinato con le norme della Costituzione». Nello Statuto, che potrei chiamare dello Stato o della Repubblica di Sardegna, è detto: «in armonia con la Costituzione». Desidero sapere se questi limiti, di cui parla lo Statuto siciliano siano illimitati e se questa armonia dello Statuto sardo deve essere fatta di disarmonie. L’Assemblea Costituente, nel votare l’articolo 29, intendeva precisamente sottrarre le opere d’arte al pericolo di una tutela regionale siccome risulta da tutto il dibattito. In quell’occasione si parlò dello Statuto siciliano e intervenne pure uno dei più convinti ed appassionati fautori dell’autonomia sarda, l’onorevole Lussu. Non vi è dubbio che il pensiero dell’Assemblea Costituente, nel votare l’articolo 29, fu precisamente questo: sottrarre al pericolo di una disordinata o incompetente tutela regionale, quello che è patrimonio preziosissimo di tutto il Paese. Perciò domando che in ossequio all’articolo 3 dello Statuto sardo, laddove si parla di armonia con le norme costituzionali, e d’accordo con la limitazione espressa nello Statuto siciliano, venga soppressa questo comma della lettera m): antichità e belle arti.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Prima che parli il Relatore, vorrei chiedere un chiarimento al Ministro dell’agricoltura sull’articolo 3.

PRESIDENTE. Dica, onorevole Gasparotto.

GASPAROTTO. Nell’articolo 3 la voce «caccia» merita un chiarimento da parte del Ministro dell’agricoltura, perché, lasciando arbitra la Regione di regolamentare l’esercizio della caccia, potrebbe avvenire come conseguenza che in una Regione la caccia resti aperta tutto l’anno e in un’altra, invece, sia rigorosamente disciplinata. Vi è quindi il pericolo di ritornare all’anarchia che ha sgovernato la caccia fino al 1924, quando finalmente intervenne la legislazione unica sulla caccia, reclamata da tutti i cacciatori.

Quindi, come ho già fatto a suo tempo in sede di Costituzione, provocando una risposta del Presidente Ruini, chiedo al Ministro dell’agricoltura una dichiarazione nel senso che, pur lasciando questa facoltà di legiferare in materia di caccia, la regolamentazione della materia debba essere in armonia con la legge fondamentale della caccia, legge fondamentale che vige tuttora e che so che il Ministro si propone di emendare.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

AMBROSINI, Relatore. Onorevoli colleghi, comincio col rispondere alle osservazioni dell’ultimo oratore riguardo alla lettera i) dell’articolo 3 che si riferisce alla «caccia». L’osservazione è calzante per tutte le altre Regioni, e non per la Sardegna come ugualmente non per la Sicilia. Si tratta di isole per cui l’inconveniente prospettato non esiste. Peraltro, egregi colleghi, se anche in quest’argomento di portata limitatissima noi venissimo ad apportare delle limitazioni alle richieste dell’Isola, allora io mi domando a che cosa si ridurrebbe questo «statuto speciale».

Per questa ragione, a nome della Commissione, io chiedo all’Assemblea che approvi il testo così com’è stato deliberato dalla Commissione.

Più grave è invece la questione sollevata dagli onorevoli Proia, Di Fausto e Marchesi. È una questione che fu dibattuta dall’Assemblea Costituente, dibattutissima nelle conversazioni con i rappresentanti della Consulta sarda e nel seno della Commissione. Tutto calcolato, vagliato il pro e il contro, la Commissione ha ritenuto di accettare la proposta della Consulta sarda, includendo la materia dell’antichità e belle arti alla lettera m) dell’articolo 4. Quale è la ragione che rassicura noi stessi su questo punto? Osserva l’onorevole Cevolotto e ribadisce con la sua alta autorità l’onorevole Marchesi, che si tratta di un patrimonio non solo nazionale, ma di tutto il mondo civile. Ma, con questa disposizione speciale dello statuto sardo e con quella ancora più ampia dello statuto siciliano, giacché è stato richiamato, non si viola in nulla l’articolo 9 della Costituzione, perché questo articolo afferma il principio che la Repubblica tutela il paesaggio ed il patrimonio storico e artistico della Nazione. Ebbene, quando si dice che questa materia è attribuita alla Regione, non si contrasta minimamente con la disposizione predetta, perché la Repubblica affida questa tutela e questa salvaguardia alla Regione.

MARCHESI. Ma questa sarebbe una delega che lo Stato dovrebbe dare espressamente. Voi convertite una norma costituzionale in una delega amministrativa.

AMBROSINI, Relatore. Rispondo: la Repubblica è tutta l’Italia: qui si parla del corpo unito di tutta la Nazione, non si parla di organi.

Noi dobbiamo distinguere lo Stato dagli organi dello Stato. Nella Costituzione, quando si adopera la parola Repubblica, si intende parlare dello Stato nella sua unità. Da questo punto di vista giuridico non credo che ci siano da sollevare obiezioni.

MARCHESI. Intanto si converte in una norma costituzionale.

AMBROS INI, Relatore. La norma costituzionale parla dello Stato. È una valutazione di opportunità vedere poi se l’applicazione di questa norma, che si riferisce allo Stato, deve essere affidata, per la regolamentazione nel campo normativo e per la esecuzione, agli organi centrali dello Stato oppure agli organi regionali.

Peraltro io mi permetterei di rammentare un episodio che capitò in uno dei punti più illustri della mia Isola, e della tua Isola, caro Marchesi, cioè mi riferisco al Tempio della Concordia di Agrigento: era stato stabilito dall’organo centrale dello Stato (è un ricordo lontano, che desidero rammentare per dimostrare come gli organi locali sono spesso più sensibili di quelli centrali alle esigenze del luogo) di chiudere la cella centrale del Tempio della Concordia, per ristabilirne dal punto di vista archeologico l’originaria struttura. Per una pedante ricostruzione storica degli archeologi si sarebbe venuto a togliere tutta la veduta meravigliosa della marina, che attraverso agli archi aperti dalla cella centrale del tempio si gode dalla parte opposta della vallata di Agrigento; si sarebbero privati il pubblico e l’anima isolana e nazionale di questa che è una delle vedute più meravigliose che esista nel mondo. Furono allora gli elementi locali, e fui proprio anch’io, a protestare, per dire che il nostro senso artistico, che ci faceva sentire il tempio come noi lo avevamo visto attraverso le varie fasi storiche e nella situazione ultima, ci consigliava ed obbligava a chiedere che restasse come era. Fu impedito così quello che sarebbe stato uno scempio.

Ora, io domando: come negare alla Sicilia e alla Sardegna, a due popolazioni di illustre civiltà, che hanno una sensibilità esasperata per quanto si riferisce al loro patrimonio artistico (Interruzione del deputato Nobili Tito Oro), come negare a queste Regioni, che hanno uno Statuto speciale, la facoltà di riguardare i propri monumenti e di conservarli attraverso le proprie personalità tecniche, e dove mancassero, attraverso tecnici che possono chiedere alle altre Regioni della nostra grande Patria?

È questo che noi abbiamo valutato nella Commissione. È per questo senso geloso di custodia che le Isole hanno del loro patrimonio artistico, che la Commissione ha ritenuto che la Repubblica possa riporre fiducia completa nelle Regioni; è per questa ragione che la Commissione raccomanda all’Assemblea l’approvazione dell’articolo così come è stato proposto. (Interruzione del deputato Marchesi).

PRESIDENTE. Onorevole Marchesi, la prego. Raccomando i colleghi di non interrompere l’oratore ed avverto che non toglieremo la seduta odierna se non avremo esaurito l’esame dello Statuto sardo. Onorevole Ambrosini, vi è anche l’emendamento dell’onorevole Proia.

AMBROSINI, Relatore. Mi permetto di osservare che le preoccupazioni dell’onorevole Proia vanno ad incidere più sull’articolo 8 che sull’articolo 3, com’è costituito. Mi pare che l’onorevole Presidente dell’Assemblea lo abbia già avvertito.

Quindi, io pregherei l’onorevole Proia, se lo ritiene, di ritirare il suo emendamento all’articolo 3, salvo a ripresentarlo in sede di articolo 8. (Interruzione del deputato Marchesi).

PRESIDENTE. Onorevole Segni, l’onorevole Gasparotti le ha posto un quesito; d’altra parte, la presenza del Governo implica il diritto degli onorevoli deputati di porre quesiti ma anche, direi, il dovere da parte del Governo di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. L’onorevole Gasparotto non è più presente in Aula. Comunque, mi pare che la disposizione relativa alla caccia sia perfettamente conforme all’articolo 117 della Costituzione.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Siccome, nella risposta data alle obiezioni dell’onorevole Proia, l’onorevole Ambrosini ha solo fatto un rinvio all’articolo 8, e dato che io credo sia fondata la preoccupazione dell’onorevole Proia, vorrei sapere che cosa si sia inteso comprendere con la espressione «pubblici spettacoli», e quale materia dovrebbe essere riservata alla legislazione autonoma regionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di rispondere.

AMBROSINI, Relatore. Credo che la legislazione dei pubblici spettacoli comprenda quello che l’espressione significa nella comune accezione, quindi teatri, cinematografi e tutte le manifestazioni similari.

PROIA. Come può avere questa materia una disciplina diversa nelle varie Regioni?

AMBROSINI, Relatore. Bisogna considerare la particolarità delle condizioni regionali…

PROIA. Ma tale legislazione deve essere unica in tutte le Regioni! (Commenti).

FABBRI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Relatore. Desidero fare un’osservazione che forse potrà facilitare la soluzione di questa questione. La Commissione non avrebbe difficoltà a trasferire dall’articolo 3 all’articolo 4 la materia indicata dall’espressione «pubblici spettacoli». Ciò, io penso, permetterebbe di lasciar sussistere sodisfatta quella esigenza industriale cui si riferisce l’emendamento dell’onorevole Proia.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Proia è soddisfatto?

PROIA. Accetto.

PRESIDENTE. E il Governo?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Accettiamo.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. A nome mio personale e a nome del Gruppo sardo che oggi si è costituito per motivi di legittima difesa, dichiaro che voteremo contro la soppressione di questo comma, perché riteniamo che, fra le facoltà concesse e così disperatamente contese alla Sardegna, quella veramente minima di regolamentazione che le è concessa dalla Commissione in materia di industria e commercio debba rimanere.

FABBRI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

FABBRI, Relatore. Desidero ricordare all’onorevole Mastino Gesumino che il limite costituito dalle leggi dello Stato c’è appunto nell’articolo 4, mentre la materia di cui all’articolo 3 ha remore meno efficienti, così che l’includerlo in essa avrebbe potuto pregiudicare quella tale legislazione sull’industria cinematografica di cui si preoccupava l’onorevole Proia. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3, con la soppressione della lettera p) «pubblici spettacoli».

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 4, tranne la lettera m) «antichità e belle arti», e con l’aggiunta della voce: «pubblici spettacoli».

(È approvato).

Pongo in votazione la proposta di soppressione della lettera m) «antichità e belle arti» fatta dagli onorevoli Di Fausto, Marchesi e Condorelli.

(Dopo prova e controprova è approvata).

Passiamo all’articolo 5. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Salva la competenza prevista nei due precedenti articoli, la Regione ha facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione, sulle seguenti materie:

  1. a) istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi;
  2. b) lavoro; previdenza ed assistenza sociale;
  3. c) nelle altre materie previste da leggi dello Stato».

PRESIDENTE. A questo articolo è stato presentato il seguente emendamento dagli onorevoli Codacci Pisanelli, Castelli e Vicentini:

«Alla lettera b) aggiungere: senza apportare variazioni ai contributi previdenziali che non siano compensati da variazioni proporzionali nelle prestazioni».

L’onorevole Vicentini, in assenza dell’onorevole Codacci Pisanelli, ha facoltà di illustrare l’emendamento.

VICENTINI. La proposta è chiara: qualora dovessero essere variati i contributi, deve variarsi anche il corrispettivo delle prestazioni che la legge stabilisce.

LACONI. Ma questa è una norma di integrazione o di attuazione?

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Siccome il concetto di adattamento è un po’elastico, vorrei fosse chiarito – cioè che risultasse anche soltanto dal verbale – che la lettera a) «istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi» è sempre entro l’ambito dei principî fondamentali. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, queste tre facoltà previste dagli articoli 3, 4 e 5, sono graduate in relazione alla loro importanza. È evidente, quindi, che le facoltà previste nell’articolo 5 sono ancora più vincolate all’osservanza delle norme di legge che non quelle degli articoli 3 e 4.

DOSSETTI. Ma questo non risulta, perché il concetto di adattamento, come ho detto, è molto elastico.

PRESIDENTE. Onorevole Ambrosini, la prego di esprimere il suo parere in merito alla proposta svolta dall’onorevole Vicentini.

AMBROSINI, Relatore. La Commissione ritiene che debba mantenersi l’articolo così come è formulato.

Riguardo all’osservazione dell’onorevole Dossetti, bisogna tener presente che l’articolo 5 importa una facoltà normativa di integrazione, e presuppone quindi – e così può essere rassicurato l’onorevole Dossetti – che tutti i limiti già previsti dagli articoli 3 e 4 funzionino.

Riguardo all’emendamento proposto dall’onorevole Vicentini, la Commissione ritiene che debba mantenersi il testo proposto, per le stesse ragioni, cioè che si tratta di facoltà normativa di integrazione e che, se la legge generale fissa i contributi e le prestazioni, il Consiglio regionale non può contravvenire alla legge generale, perché esso ha soltanto la potestà normativa di integrazione.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Per conto mio, insisterei nell’accoglimento dell’emendamento Vicentini, in quanto che i casi verificatisi nel recente passato e i propositi manifestati per il futuro, dimostrano che c’è il pericolo che ciascuna Regione, contravvenendo al principio mutualistico, cerchi di ridurre i contributi e viceversa chieda la continuità delle prestazioni previdenziali, minando un sistema previdenziale fondato su basi mutualistiche.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Mi pare che la Commissione non abbia risposto in modo preciso alla domanda fatta dall’onorevole Dossetti.

Ora io domando se si possa escludere – come credo e spero – che ci siano altre forme per l’ammissione all’insegnamento in Sardegna diverse dal concorso nazionale. Cioè vorrei sapere se sia possibile che siano ammesse all’insegnamento nelle Università sarde persone che non siano state selezionate a mezzo di concorsi nazionali.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI, Relatore. Non esito a rispondere che indubbiamente la norma generale per la quale non possono essere ammessi ai pubblici uffici e anche all’insegnamento persone se non in base a pubblici concorsi, vige interamente anche nella suddetta materia. Perché siamo in campo di legislazione di integrazione, con l’esplicazione di questa facoltà normativa, un Consiglio regionale non può cancellare o modificare una norma fondamentale scritta nella Costituzione, e che costituisce principio fondamentale della legislazione statale.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Siccome è stato soppresso all’articolo 4 l’alinea «m) antichità e belle arti» io proporrei, e prego i colleghi che hanno fatto la proposta di soppressione all’articolo 4, di consentire che quella dizione passi all’articolo 5. Se è necessario sono pronto a illustrare questa mia richiesta.

PRESIDENTE. Le argomentazioni sono implicite, onorevole Lussu. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo 5, compreso l’alinea a):

«Salva la competenza prevista nei due precedenti articoli, la Regione ha facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione, sulle seguenti materie:

  1. a) istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi».

(È approvata).

Pongo in votazione l’alinea seguente:

«b) lavoro; previdenza ed assistenza sociale».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Vicentini, che il Governo ha dichiarato di accettare:

«senza apportare variazioni ai contributi previdenziali che non siano compensate da variazioni proporzionali alle prestazioni».

SPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SPANO. Chiedo scusa al Presidente, ma qui si sta verificando una cosa curiosa: che i deputati sardi non sono intervenuti in questi dibattiti e hanno fatto, secondo me, molto bene; però mi pare che la loro prudenza avrebbe dovuto essere imitata dagli altri.

Ora ci troviamo di fronte ad un emendamento che senza dubbio tiene presenti alcuni avvenimenti svoltisi in Sardegna recentemente…

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Non solo in Sardegna!

SPANO. Non solo in Sardegna, ma anche in Sardegna, ed essi ci preoccupano in modo particolare.

Che cosa è successo? È successo che è stata resa nota alla opinione pubblica sarda e italiana la situazione particolare nella quale si trovano i piccoli e medi proprietari sardi, i quali, con un reddito fondiario di molto inferiore a quello della media delle altre Regioni italiane, devono pagare gli stessi contributi.

Noi abbiamo reso nota, attraverso pubbliche manifestazioni in Sardegna, che per altro non sono state organizzate da noi, onorevole Fanfani…

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Non ne abbiamo mai dubitato!

SPANO. …questa sperequazione. È evidente che questa sperequazione dovrà essere affrontata, in sede di coordinamento fra Regione e Governo italiano.

Per questo non credo che sia il caso di pregiudicare nello Statuto sardo il regolamento di tale questione, e per questo voteremo contro l’emendamento Vicentini.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Vorrei dire che la questione presentata dall’onorevole Ministro del lavoro si riferisce a reazioni determinate da uno stato di necessità, non all’applicazione della legge. Qui stiamo esaminando se approvare questa legge e se, dalla norma in discussione, può derivare pericolo di violazione delle leggi. Dalle spiegazioni così precise date dal Relatore risulta che, trattandosi di norme di applicazione della legge, necessariamente esse non possono mai violare la legge. Quindi questa aggiunta è in parte superflua e in parte dannosa, per le ragioni esposte così bene dall’amico Spano. Voteremo perciò contro l’emendamento Vicentini.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Vorrei dichiarare che non è contro la Sardegna che si è suggerito questo emendamento, o meglio che ho appoggiato questo emendamento, perché se mai, nel caso specifico citato dall’onorevole Spano, se vi è stata una Regione con la quale è stato possibile giungere a completo accordo e a completa intesa in questa materia, è stata proprio la Sardegna. Questo sia ben chiaro. Solamente che l’episodio cui accennava l’onorevole Spano e altri simili dimostrano come proprio in questo terreno, cioè sul terreno della mutualità e dell’intervento nel sistema mutualistico nazionale, occorre porre dei vincoli, a meno che non si voglia farne oggetto di disposizioni speciali.

A mio avviso, non basta dire che vi saranno norme integrative, perché l’integrazione potrà avvenire o in un modo o nell’altro. Per prevenire conflitti di natura costituzionale, a me sembra prudente (ecco perché appoggio l’emendamento Vicentini) mettere una formula di questo tipo, che non suona offesa per nessuno e che non mette in dubbio assolutissimamente la possibilità di adattamento; solo chiede che, facendo un adattamento mutualistico nel caso dei contributi, si tenga presente di fare l’adattamento mutualistico anche nel campo delle prestazioni.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Vicentini, testé letto.

(Non è approvato).

Pongo in votazione la proposta aggiuntiva dell’onorevole Lussu:

«antichità e belle arti».

(È approvata).

Pongo in votazione il seguente alinea:

«c) nelle altre materie previste da leggi dello Stato».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 6. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Regione esercita le funzioni amministrative nelle materie nelle quali ha potestà legislativa a norma degli articoli 3 e 4, salvo quelle attribuite agli enti locali dalle leggi della Regione. Essa esercita altresì le funzioni amministrative che le siano delegate dallo Stato».

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi ha presentato il seguente emendamento:

«All’ultimo comma aggiungere le parole: con il consenso della Regione».

Ha facoltà di svolgerlo.

MANNIRONI. La mia proposta mi pare si giustifichi da sé. In sostanza, tende a stabilire un criterio di gradualità, e vuole salvaguardare soprattutto gli interessi della Regione. Perché, se domani lo Stato decidesse di delegare troppe materie alla Regione, è giusto che essa sia informata di tali deleghe, e sia messa in grado di concordare il modo con cui le deleghe possono essere fatte, soprattutto ai fini degli aggravi e degli oneri nuovi che al bilancio della Regione le nuove deleghe potrebbero portare.

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI, Relatore. La Commissione ritiene che non sia necessaria questa aggiunta perché, se fossero aumentate le materie delegate alla Regione, naturalmente sarebbe necessario da parte dello Stato contribuire alle spese. Quindi, la Commissione, senza insistere, propende a mantenere il testo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 6, testé letto.

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Mannironi.

(Non è approvato).

Passiamo al Titolo III: «Finanze, Demanio e Patrimonio». Si dia lettura dell’articolo 7.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principî della solidarietà nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti».

PRESIDENTE. L’onorevole Chieffi ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere le parole: nei modi stabiliti dagli articoli seguenti».

Ha facoltà di svolgerlo.

CHIEFFI. Dirò brevemente che l’indicazione dei modi con i quali lo Stato deve intervenire per fronteggiare quelle che sono le necessità della Regione, è una limitazione. L’articolo 119 della Costituzione porta dei principî, e ammette degli interventi che non sono previsti nel titolo 3° dello Statuto. Al fine di eliminare questa limitazione, io chiedo la soppressione dei «modi stabiliti dogli articoli seguenti».

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il giudizio della Commissione.

AMBROSINI, Relatore. I colleghi della Commissione ed anche io riteniamo che questa limitazione sia enucleata dalla dizione proposta dalla Commissione. La Commissione ritiene pertanto che si debba mantenere il testo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo 7:

«La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principî della solidarietà nazionale».

(È approvata).

Metto ora in votazione la seconda parte dell’articolo, della quale l’onorevole Chieffi chiede la soppressione:

«nei modi stabiliti dagli articoli seguenti».

(È approvata).

Passiamo all’articolo 8. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le entrate della Regione sono costituite: dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui redditi dei terreni e fabbricati, sui redditi agrari e di ricchezza mobile prodotti nel territorio della Regione;

dal gettito fiscale, riscosso nella Regione, dei monopoli di Stato, del lotto e delle lotterie, dei canoni per le concessioni idroelettriche, dell’imposta sulla energia elettrica e sul gas, della imposta ipotecaria, dei diritti erariali sui biglietti dei cinematografi e dei pubblici spettacoli;

da una percentuale dell’imposta generale sull’entrata riscossa nella Regione, da stabilirsi annualmente, fra lo Stato e la Regione, in misura non inferiore al 50 per cento;

da contributi di miglioria ed a spese per opere determinate, da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri, che la Regione ha facoltà di istituire con legge in armonia coi principî del sistema tributario dello Stato;

da redditi patrimoniali;

da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche».

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Io sento il dovere, onorevoli colleghi, di prendere la parola su questo articolo 8, per manifestare le gravi preoccupazioni che la sua dizione fa sorgere in me a proposito del bilancio dello Stato e del suo equilibrio. Passo sopra a qualche particolare anacronistico, come quello della attribuzione alla Regione dei diritti erariali sui biglietti dei cinematografi e dei pubblici spettacoli. Se non erro, i diritti erariali sui biglietti dei cinematografi sono già stati trasferiti ai comuni, ed un provvedimento in corso, che si riferisce anche ai comuni sardi, provvede a trasferire altresì i diritti sui pubblici spettacoli. Se questa è un’osservazione della quale si può tener conto, eliminando la inclusione dei diritti erariali sui biglietti dei cinematografi e dei pubblici spettacoli, ha maggiore importanza, dal punto di vista del bilancio dello Stato, questo fatto fondamentale: che, in sostanza, allo Stato ben poco rimane. In virtù del primo comma, che si riferisce ai «nove decimi del gettito delle imposte erariali sui redditi dei terreni e fabbricati, sui redditi agrari e di ricchezza mobile prodotti nel territorio della regione», del capitolo delle imposte dirette rimangono allo Stato soltanto l’imposta complementare ordinaria progressiva sui redditi e le straordinarie imposte patrimoniali, sulle quali, in una legge costituzionale, non si può fare troppo assegnamento, perché le imposte patrimoniali hanno per loro natura, in tutti i paesi, un carattere temporaneo. Sicché, in sostanza, in materia di imposte dirette, rimarrebbe al bilancio dello Stato soltanto il gettito dell’imposta complementare progressiva sui redditi. Chi si contenta gode! Certo è che il bilancio dello Stato non può trarre oggi molto alimento dalla imposta complementare sui redditi. Il gettito, nella cifra complessiva del bilancio dello Stato, è quasi evanescente.

La disposizione corrispondente dello Statuto che sarà proposto per l’Alto Adige, comprende in questo campo soltanto l’imposta erariale sui terreni e sui fabbricati e non quella dell’imposta di ricchezza mobile, riservando l’imposta di ricchezza mobile ad un articolo susseguente, nel quale solo una parte del gettito dell’imposta della ricchezza mobile è devoluta alla regione. Qui, invece, i 9/10 del reddito sarebbero devoluti alla Regione.

Nel secondo comma, pur astraendo dalla singolarità per cui sarebbero trasferiti alla Regione i diritti erariali sui cinematografi e sui pubblici spettacoli già trasferiti ai comuni e che non si possono trasferire una seconda volta alla Regione, resta di fatto che alla Regione sarebbe attribuita la massima parte dei tributi indiretti, cioè tutto l’intero gettito dei monopoli di Stato, del lotto e delle lotterie, dei canoni per le concessioni idroelettriche, dell’imposta sull’energia elettrica e sul gas, dell’imposta ipotecaria. Allo Stato rimarrebbe soltanto l’imposta di bollo e registro, l’imposta sulle successioni, le dogane e le imposte di fabbricazione. Quale parte del gettito totale rimanga allo Stato e che cosa sia attribuito alla Regione è molto difficile poterlo sapere.

Nel terzo comma, allo Stato viene attribuita una percentuale inferiore al 50 per cento dell’imposta generale sull’entrata. L’imposta sull’entrata, come tutti sanno, è una delle colonne fondamentali del bilancio dello Stato. Attribuiamola pure alla Regione, ma sappiamo bene però che togliamo allo Stato una delle sue entrate maggiori.

Il problema che noi dobbiamo considerare, è di sapere se ci sia qualche regola per poter distribuire il gettito complessivo delle imposte, che finora sono state erariali, fra la Regione e lo Stato. Debbo confessare che questa regola non la conosco. Forse la Commissione ha scoperto principî sicuri a questo riguardo, ma io confesso di non averne, e confesso di non vedere quale possa essere la regola della distribuzione. In primo luogo, noi non sappiamo nulla intorno a quello che sarà il costo dei servizi passati alla Regione. Ci sono dei servizi che passando alla Regione non ritengo possano occasionare delle spese rilevanti. Per esempio, per l’articolo 3, l’ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e lo stato giuridico del personale sono un qualcosa che si esaurisce nella legge, sono un qualcosa che si esaurisce nello stabilire quali siano gli uffici, ma non possono dar luogo a spese rilevanti.

Per le circoscrizioni comunali, quando queste sono stabilite, non vedo quale debba essere l’elemento di costo. C’è, invece, la materia riguardante opere di miglioramento agrario e fondiario, bonifiche ecc.; ma sono di quelle spese che si possono un po’ paragonare alla fisarmonica, nel senso che possono essere allargate o ristrette a volontà, a seconda della disponibilità del bilancio. Non è quindi qualche cosa che possa essere preordinato: è la conseguenza di un’opera o di opere che la Regione svolgerà in avvenire e che darà luogo ad un apprezzamento della spesa; ma finora un apprezzamento serio noi non lo possiamo compiere.

Le acque minerali e termali daranno forse qualche reddito, ma non vedo perché siano cagione di spesa. I diritti demaniali sulle acque pubbliche, anch’essi saranno una fonte di reddito più che una fonte di spesa. Per quanto riguarda il turismo e l’industria alberghiera, potrà essere materia di premi che la Regione potrà dare in modo minore o maggiore, a seconda delle risorse che la Regione stessa avrà; ma non si può a priori stabilire un ammontare di spesa da cui derivi una attribuzione di imposte che finora sono dello Stato e che dovrebbero diventare della Regione.

Molte di queste discipline, che sono attribuite alla legislazione primaria o secondaria della Regione, non si sa quale ammontare di spesa comportino, e se debbano cagionare un ammontare di spesa o qualche volta, invece, entrate provenienti dal loro esercizio.

Se un criterio per stabilire l’ammontare della spesa noi non l’abbiamo, non abbiamo nemmeno un criterio per quanto si riferisce all’ammontare delle entrate da dividere.

Qui il problema è stato risoluto nel senso che si trattasse dei 9 decimi del gettito delle imposte erariali ecc.; risolvendo così in via costituzionale un problema che è di carattere pratico, che è molto difficile risolvere a priori, ed imponendo al legislatore futuro di usare un certo sistema di tassazione dei redditi, che esso potrebbe invece ritenere necessario di mutare.

Finché parliamo quindi di imposta sui terreni, sul reddito agrario, sui fabbricati ecc. siamo su un terreno abbastanza fermo, perché nessuna Regione potrà mai tassare una fabbrica, un terreno ecc. che siano ubicati fuori dai suoi confini; ma quando passiamo invece all’imposta di ricchezza mobile, siamo su un terreno assolutamente incerto.

Non si può sapere a priori quale sia il reddito di ricchezza mobile prodotto nella Regione; ed anzi il pretendere di tassare il reddito di ricchezza mobile prodotto nella Regione implica una modificazione sostanziale della legislazione vigente in materia di imposta di ricchezza mobile.

La legislazione vigente in materia di ricchezza mobile, che rimonta al 1864 – e che a parer mio è una delle più sapienti legislazioni relative alla tassazione dei redditi mobiliari che esista nel mondo – questa legislazione è informata al criterio della tassazione nel luogo di residenza del contribuente, dove cioè ha il suo domicilio fiscale, oppure dove la società produttrice del reddito ha la sua sede.

Vogliamo noi modificare questa struttura fondamentale della nostra imposta di ricchezza mobile, creando una figura di reddito che non esiste nella nostra legislazione? Questo è uno dei problemi che io pongo, perché notevoli complicazioni sorgono circa il modo di attuare i nuovi criteri immaginati. Se l’imposta di ricchezza mobile fosse fondata sul criterio della tassazione nei singoli luoghi di produzione, noi potremmo anche accettare la proposta, e studiarne la possibilità di attuazione; ma essendo l’imposta di ricchezza mobile fondata su un criterio completamente diverso, la proposta non trova possibilità di concreta realizzazione.

Una ditta industriale o commerciale è un’unità, le cui parti non possono essere scisse l’una dall’altra. E quindi questo nuovo criterio di difficilissima se non di impossibile applicazione, noi non possiamo affermarlo in una legge costituzionale.

Dunque, poco si sa su quello che sia il costo dei servizi pubblici da passare alle Regioni. Difficile apprezzare questo costo, difficile poter anche stabilire quali siano le imposte che afferiscono alla Regione, che sono prodotte nella Regione. Si sa quelle che sono riscosse nella Regione; ma sapere quel che è riscosso nella Regione non ci dice nulla su quello che è prodotto in essa e ci obbligherebbe ad una mutazione fondamentale del sistema seguito dalla nostra legislazione fin dalle origini, e che ha dato buona prova.

Per cambiare questo sistema dovremmo mutare molte altre cose nella legislazione italiana sull’imposta di ricchezza mobile. Se poi si sapesse qualche cosa (e non si sa) intorno all’ammontare delle spese e all’ammontare delle entrate che si riferiscono alla Regione, sorgerebbero quesiti intorno alla quota che, delle imposte che si producono nella Regione, deve spettare alla Regione stessa e quella che, invece, deve spettare allo Stato.

Ora, su questo punto debbo chiaramente manifestare la mia vivissima preoccupazione in materia. Oggi, tanto per fare delle cifre molto grossolane, molto generali, gli enti locali che conosciamo e che sono in atto – le provincie e i comuni – spendono, anzi hanno speso, nel 1947, circa 120 miliardi di lire, compreso il contributo di integrazione che lo Stato dà per completare il disavanzo degli enti locali, integrazione che è uno dei più funesti istituti della nostra legislazione finanziaria, perché ha tolto il senso di responsabilità agli amministratori dei comuni e delle provincie. Costoro spendono e poi lo Stato paga.

Sta di fatto che le spese locali delle provincie e dei comuni sono di quest’ordine di grandezza, circa 120-130 miliardi di lire.

Io ho avuto occasione di esporre in un recente Consiglio dei Ministri (e la cifra è stata comunicata alle pubbliche stampe) che le previsioni delle spese dello Stato al 31 dicembre 1947 si aggiravano, senza tener conto delle perdite per i prezzi politici, intornio ai 1200 miliardi. Quindi il rapporto tra le spese degli enti locali e le spese dello Stato è da 1 a circa 10.

Ammettiamo pure che alle Regioni si trasferiscano spese di attuale competenza dello Stato, per cui la proporzione tra le spese degli enti locali, compresa la Regione, e le spese dello Stato diventi anche di due a undici o di tre a undici (sono previsioni grandemente esagerate, a parer mio: al di là non si può certamente andare); non si vede quale giustificazione vi sia per dare, invece, alla Regione la massima parte delle entrate oggi proprie dello Stato. Noi capovolgiamo completamente il rapporto che vi deve essere tra le spese locali e le spese dello Stato, rapporto che ci sarà sempre e che c’è in tutti i paesi, perché in tutti i paesi la massima parte delle spese pubbliche – in Svizzera, come in Inghilterra e negli Stati Uniti – è fatta e sarà sempre più fatta dallo Stato.

Non sono gli enti minori i quali spendono di più, è lo Stato che, per via della sua crescente potenza od invadenza, per via del suo sempre più profondo intervento – bene o male che sia, non voglio giudicare; ricordo i fatti come sono – per via del suo intervento crescente negli affari economici, è lo Stato che spende la massima parte di quella che può essere considerata la spesa pubblica. La quota delle spese di carattere locale, in confronto al totale delle spese pubbliche, sarà di 2 a 10 o, ammettiamo pure per larghezza assurda, di 3 a 10. Questa, dunque, all’incirca deve essere la guida la quale ci deve orientare nella ricerca di una soluzione. Noi dobbiamo riconoscere che la maggior parte delle spese pubbliche continuerà sempre a dover essere sopportata dallo Stato; saremo nel rapporto di tre a uno, di quattro a uno, ma non arriveremo mai ad un rovesciamento dei rapporti. Qui, invece, con questa disposizione, noi arriviamo ad un vero rovesciamento dei rapporti: alla Regione si dà la massima parte delle entrate generali, allo Stato rimane la parte minore delle entrate tributarie. Quindi noi, con questa norma, creiamo un sistema il quale è instabile, un sistema il quale non può certamente durare.

Io mi chiedo se sia opportuno inserire nella Costituzione norme le quali certamente non potranno essere applicate, che daranno luogo ad inconvenienti gravi e che fossilizzeranno la nostra legislazione. Ritengo che sarebbe più opportuna – è un’opinione che io manifesto per la preoccupazione che ho per il bilancio dello Stato – qualche disposizione che si richiamasse alla legislazione futura, alla legislazione ordinaria, la quale, a ragion veduta, potrà stabilire quali sono le spese che gravano sulla regione, quali sono le entrate che è possibile riscuotere nella regione, e stabilirà un ordinamento tributario che sia più consono alle esigenze della regione e contemporaneamente a quelle dello Stato. Le quali esigenze dello Stato non sono oggi qualche cosa su cui si possa passare sopra allegramente.

Io credo mio dovere richiamare l’attenzione dell’Assemblea Costituente sulle condizioni, che si possono chiamare – non voglio adoperare delle parole gravi – tragiche della nostra finanza. Non è in un momento nel quale il gettito delle imposte è stazionario (Approvazioni) – nei mesi dal luglio al dicembre non si è mosso dalla cifra di 50-55 miliardi di lire al mese – non è in un momento, quindi, in cui non si possono fare delle previsioni di entrate nel bilancio dello Stato le quali siano molto superiori a 700 miliardi di lire, e in un momento in cui le previsioni di spesa al 31 dicembre erano già di 1.200 miliardi di lire, che noi possiamo legiferare allegramente in questa materia e consacrare il diritto di una regione a prelevare a carico del bilancio dello Stato la massima parte delle entrate in quella regione. Pensiamo bene a quello che si fa, perché nell’intento di render qualche favore, di arrecare un qualche beneficio ad una regione, noi corriamo il pericolo di impoverire il paese e di metterlo molto meno in grado di sovvenire, com’è suo dovere, le regioni che si trovano nelle condizioni più disagiate. Se noi vogliamo che le regioni più povere possano essere aiutate dallo Stato, è necessario che lo Stato sia forte, è necessario che esso abbia una finanza in ordine. Noi non possiamo correre il pericolo di aggravare una situazione la quale è certamente di una difficoltà estrema e, come ho detto prima, rasenta quasi il tragico, perché non si sa in qual modo nelle attuali condizioni del mercato monetario, si possa provvedere con prestiti propriamente detti alle pubbliche spese. Noi andiamo incontro a mano a mano che si aumentano le spese che gravano sullo Stato, ad un incremento della circolazione monetaria, ad uno svilimento della nostra moneta. Se ciò vogliamo diciamolo chiaramente Ma, se ciò non vogliamo è assolutamente necessario resistere a norme che possono ostacolare l’equilibro della finanza dello Stato, che è l’unico sostegno della finanza delle regioni.

E devo dire anche che, quando si parla di regioni povere e di regioni ricche, si usa un linguaggio che non può essere considerato adatto alla materia di cui si parla. In realtà esistono, rispetto alla pubblica finanza, soltanto contribuenti poveri, contribuenti mediocri e contribuenti ricchi. Questa è la realtà, ed è una realtà non di regioni o di corpi territoriali locali, ma di persone che pagano le imposte.

Orbene, allo Stato col sistema propostoci che cosa rimane? L’imposta complementare la quale colpisce i cittadini soltanto a cominciare da un certo limite; e l’imposta di successione che agisce nelle stesse condizioni. Quindi in sostanza le regioni povere allo Stato non danno niente o pochissimo.

Vogliamo questo? Vogliamo che lo Stato non possa più riscuotere le imposte nelle regioni che non sono fra le più alte in fatto di ricchezza? Facciamolo pure, ma guardiamo alle conseguenze per la finanza dello Stato. Io non faccio proposte precise. Dico soltanto che l’Assemblea Costituente nel discutere questo articolo deve guardare chiaramente alla conseguenza che esso ha dal punto di vista generale per il bilancio dello Stato. Se vi è un povero, in primo luogo esso è il bilancio dello Stato. (Applausi).

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Io vorrei concretare la proposta affiorata dalle parole del Ministro del bilancio, proponendo formalmente che per questa materia si disponga il rinvio.

PRESIDENTE. L’onorevole Proia ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo capoverso, aggiungere le parole: salvo quanto stabilito da disposizioni di carattere generale a protezione nazionale delle attività teatrali, cinematografiche e sportive».

Ha facoltà di svolgerlo.

PROIA. Se l’articolo viene modificato, cade anche il mio emendamento; ma se l’articolo dovesse essere approvato, in tal caso insisto rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Balduzzi ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzultimo comma sopprimere le parole: e da altri tributi propri».

Ha facoltà di svolgerlo.

BALDUZZI. Mi permetto di osservare che la potestà legislativa in materia tributaria è sempre affidata al potere centrale. E mi riferisco in proposito a quanto ha detto poco fa il Vicepresidente del Consiglio e Ministro del bilancio onorevole Einaudi, cioè che per lo Stato non vi sono regioni ricche e regioni povere, vi sono solo contribuenti poveri e contribuenti ricchi. Quindi sono del parere che il potere di imporre tributi debba essere riconosciuto allo Stato. Anche gli Stati federali possono imporre tributi, ma qui noi non ci troviamo di fronte a Stati federali. Ricordiamo in proposito l’articolo 5 della Costituzione, che parla di Repubblica una e indivisibile, e ricordiamo pure l’articolo 1 dello statuto della Sardegna, la quale è costituita in Regione autonoma, fornita di personalità giuridica, entro l’unità politica della. Repubblica italiana.

Per questo motivo propongo che vengano soppresse le parole: «e da altri tributi propri».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mannironi e Dossetti hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere all’ultimo comma le parole: e di trasformazione fondiaria».

L’onorevole Mannironi ha facoltà di svolgerlo.

MANNIRONI. Lo mantengo, rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Scoca ha così redatto la sua proposta:

«Soprassedere all’approvazione dell’articolo 8 fino alla presentazione degli altri ordinamenti regionali».

Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

SCOCA. Premetto che parlo a titolo personalissimo. Per altro, ho il dovere di dire quello che sento. Noi abbiamo da approvare altri statuti. A prescindere dagli statuti che avremo da approvare in seguito e che non sono pronti, abbiamo da approvare altri statuti che ci saranno presentati fra oggi e domani o posdomani.

Di fronte a questo stato di cose, vorrei domandare alla Commissione se l’articolo 8 che ci è proposto nello statuto per la Sardegna sia conforme ad un corrispondente articolo degli altri statuti delle Regioni che hanno lo stesso grado di autonomia. Questa per me è una domanda essenziale.

A prescindere dalle ragioni che ha svolto testé l’illustre Ministro del bilancio, e che non possono non fare meditare profondamente ciascuno di noi, a me pare che, quando ci proponiamo di affrontare il problema della finanza regionale, ci troviamo di fronte ad un compito immane che non possiamo esaminare e concludere in quattro e quattr’otto. Ci troviamo dinanzi ad un problema che deve avere, secondo me, un esame serio e, anzitutto, uniformità di soluzione.

Stamane il Presidente della Commissione, onorevole Ambrosini, svolgendo la sua relazione, diceva che l’autonomia regionale non sarebbe tale se non avesse a fondamento l’autonomia finanziaria. È una verità sulla quale dobbiamo senz’altro convenire.

Per altro, leggendo l’articolo 8, non vedo quale vera autonomia finanziaria si dia alla Sardegna. Che cosa si è fatto coll’articolo 8? Si sono presi alcuni tributi statali e si è disposto che, pur restando formalmente tali, la massima parte del loro provento sia versato alla Regione. Non credo che con ciò si crei una vera e corretta autonomia finanziaria regionale. Essa si potrà creare o trasferendo taluni tributi della finanza statale a quella regionale, o creandone dei nuovi e indipendenti per la Regione o dando a questa la facoltà di maggiorare quelli erariali.

Ma di fronte al sistema che si è creato con l’articolo in esame, cioè il sistema della mera partecipazione della Regione ai tributi statali, nego che si sia dato vita ad una vera e propria autonomia finanziaria. Che avverrà se si diminuisse la misura dei tributi in partecipazione, od eventualmente si sopprimessero. O sarà vietato modificarli?

UBERTI. È una richiesta del Ministro Einaudi.

PRESIDENTE. Onorevole Scoca, la prego di non entrare nel merito; volendo, può argomentare largamente con l’esame specifico della sua proposta.

SCOCA. Non entro nel merito; ma devo pur dare una dimostrazione della fondatezza della mia proposta.

Ho chiesto di soprassedere all’approvazione dell’articolo 8 fino a che non avremo davanti gli altri statuti regionali; perché a me sembra sia esigenza fondamentale che, quando si dispone delle finanze dello Stato, sia fatto lo stesso trattamento a tutte le Regioni. Non è possibile che a una Regione diamo il 50 per cento dell’imposta sull’entrata e ad altra Regione l’imposta sul bollo. Se dobbiamo mettere mano alle finanze statali a favore delle Regioni, dobbiamo farlo nella stessa guisa.

Una voce. Non è esatto.

SCOCA. Secondo me questa è esigenza elementare e fondamentale di giustizia.

LUSSU. Così, ricominciamo la discussione generale sugli statuti regionali.

SCOCA. Ritengo che, prima di approvare questo articolo, dobbiamo sapere cosa si fa per le altre Regioni.

Una voce. Quali?

SCOCA. Quelle che hanno statuti speciali, perché questi soltanto sono per ora sottoposti alla nostra approvazione.

Peraltro è mio personale convincimento che in questo campo non dovremmo limitarci alle Regioni che hanno statuti speciali, ma estendere l’esame a tutte le Regioni d’Italia.

Non si può ammettere che le imposte che gravano su una Regione siano devolute ad altre Regioni, senza un criterio razionale: lo Stato potrà farlo, ma secondo una linea prestabilita e logica.

PRESIDENTE. Lei, onorevole Scoca, ha fatto la proposta ed ormai l’ha motivata, quando ha detto di ritenere che il problema della finanza debba essere regolato in modo uguale per tutte le Regioni o per quelle, quanto meno, che hanno statuti speciali.

Lo statuto per la Valle d’Aosta sarà distribuito domattina: questo significa che domattina potremo esaminare l’articolo 8? Lo statuto siciliano sarà pronto per il pomeriggio di domani: significa questo che potremo esaminare l’articolo 8 per domani pomeriggio?

SCOCA. Sì.

PRESIDENTE. Se domattina cominciamo l’esame dello statuto del Trentino-Alto Adige, andremo avanti nel suo testo, e non ci fermeremo per riprendere la discussione sull’articolo 8 dello statuto sardo. Quindi penso che, nonostante la motivazione che lei ha dato, in realtà, se si approvasse la sua proposta, ciò significherebbe praticamente lasciare in sospeso gli articoli relativi ai problemi finanziari e tributari per tutti gli statuti.

SCOCA. Naturalmente.

PRESIDENTE. Bisogna dirlo chiaramente e non fare una proposta condizionata di rinvio, ma chiedere un rinvio determinato.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Proporrei di sospendere la discussione di questo titolo e di andare avanti con gli altri titoli. Conosciamo già gli altri statuti. Subito dopo questa seduta si potrebbe tenere una riunione e preparare proposte concrete per domattina. (Commenti).

AMBROSINI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI, Relatore. Su questa questione, sorta improvvisamente, è dovere della Commissione dire una parola, per rispondere alla questione pregiudiziale proposta dal collega Scoca. Indubbiamente le sue preoccupazioni – ma di questo noi discutiamo da mesi e mesi – possono essere fondate, ma la questione va pure risolta. Egli domanda alla Commissione se l’articolo 8 del progetto di legge sullo statuto sardo è uguale agli articoli corrispondenti degli altri statuti. Credo che possiamo rispondere subito che non c’è una uguaglianza.

E gli intendimenti della Commissione li potrà chiarire l’onorevole Uberti, perché egli, dal punto di vista tecnico, da molti mesi batte su questa materia. Richiedere quindi che si rimandi l’esame dell’articolo in questione a quando siano presentati gli altri statuti, non indurrebbe a nulla, perché l’uniformità della disposizione non esiste e, dice la Commissione, non può nemmeno esistere. Trattandosi di Regioni a statuto speciale, condizioni particolari necessariamente hanno indotto a stabilire norme particolari. Si può discutere nel merito di queste norme. Noi lo abbiamo fatto da mesi ed abbiamo chiamato a collaborare, come dicevo ancora in questo momento col Presidente della Commissione, l’amministrazione finanziaria per arrivare a concretare su questo punto delicatissimo una norma definitiva.

Quindi, l’uniformità non esiste, e, a nostro giudizio, non può esistere. Il rinviare questa discussione a domani o dopodomani, cioè a quando saranno presentati gli altri statuti speciali, non porterebbe a nessun risultato, perché la questione resterebbe quella che è. La questione, secondo la proposta, dovrebbe essere risolta fra due giorni, con grande disagio di tutta l’Assemblea e col pericolo, in una discussione di questo genere, di oltrepassare il termine stabilito per i nostri lavori.

Come relatore debbo esplicitamente dichiarare che dobbiamo assolutamente finire entro il 31 gennaio. Rimandare, significherebbe non concludere. Capisco bene che si tratta del rinvio da un solo titolo; ma allora, domando, a che varrebbe l’approvazione di questo statuto speciale senza la parte finanziaria?

D’altra parte, io mi permetto di far presente al senno del Governo ed al senso di responsabilità di tutta l’Assemblea, che in questo statuto sardo c’è un articolo 56 col quale la Commissione, prevedendo appunto la difficoltà enorme e la delicatezza della materia, ha stabilito che la materia potrà essere modificata, rielaborata, non col procedimento previsto per la revisione di una legge costituzionale, qual è questa, ma col procedimento di formazione della legge ordinaria. Naturalmente, non potendo pregiudicare gli interessi della Regione sarda, si è aggiunto – e prego l’onorevole Ministro del bilancio di tener presente quest’articolo – al comma 4° la seguente disposizione: «Le disposizioni del Titolo III del presente statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta della Regione».

Io capisco che possa sorgere una questione di merito su questa disposizione specifica, ma il fatto di rinviare completamente l’articolo 8, cioè praticamente tutte le disposizioni del Titolo III, pare a me e alla Commissione che sia controproducente, se vogliamo definire questa materia e se vogliamo completare i nostri lavori, come dobbiamo, entro il 31 gennaio.

PRESIDENTE. L’onorevole Einaudi ha proposto di sospendere per il momento l’esame di questo articolo 8 e di proseguire l’esame degli altri articoli.

EINAUDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Ministro del bilancio. Estendo la mia proposta di rinvio a domani a tutto il titolo.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Scoca ha facoltà di dichiarare se intende accedere alla proposta dell’onorevole Einaudi.

SCOCA. Accolgo questa proposta.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Vorrei qualche chiarimento dalla Commissione sugli studi che si sono fatti (dei quali non ho sentito nessun cenno) per distribuire queste entrate tra lo Stato e la Regione; perché, a parte la deferenza dovuta al giudizio della Commissione, un minimo di chiarimento e di illuminazione è bene che lo abbiamo anche noi.

Io desidererei pertanto, avere qualche giustificazione di questa spartizione di entrate e di spese.

PRESIDENTE. Per il voto che si darà sulla proposta dell’onorevole Einaudi, forse non è assolutamente necessario avere questi chiarimenti da parte della Commissione. Si potrà interloquire domani sulla nuova formulazione che potrà essere eventualmente data.

CONDORELLI. Io non credo che si possa, senza la dovuta ponderazione, giudicare su così difficili argomenti. Capisco che noi siamo spinti da un termine che ci urge, ma per rispettare il termine non si possono guastare le cose. Io non mi sento assolutamente tranquillo nel dare questo voto. Dovrei avere solo domattina dei chiarimenti, cioè nel momento stesso in cui debbo dare il voto? È troppo poco, onorevole Presidente.

Io ritengo che le cose si debbono fare seriamente quando si tratta dei destini della nostra Patria.

PRESIDENTE. Pregherei i colleghi, direttamente interessati alla questione degli statuti speciali, di non sentirsi attratti nella discussione per questa loro particolare situazione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Ho avuto la fortuna di far parte della Commissione e della seconda Sottocommissione per la Costituzione, della Commissione speciale che ha elaborato lo statuto sardo e anche della Consulta sarda. Attraverso queste tre esperienze mi sono convinto di questo fatto: che delle materie finanziarie evidentemente si dà scienza, ma ad una Assemblea politica non è mai consentito esaminare le cose con tale obiettività da poter giungere a soluzioni chiare ed universalmente accettate.

Queste tre discussioni non hanno mai dato luogo a risultati sodisfacenti, ed io credo che l’ulteriore discussione che si propone, anche per la sua brevità, e nonostante l’illuminante presenza dell’onorevole Einaudi, non avrà esito migliore.

Io ritengo che la salvaguardia è contenuta nell’articolo 56, che consente di apportare modificazioni a questo Titolo quando l’esperienza le avrà suggerite. E credo che in questa materia soltanto l’esperienza possa illuminare le diverse parti ed indurle all’accordo.

Per queste ragioni sono contrario alla proposta dell’onorevole Einaudi.

PARATORE. Chiedo di parlare, in favore del rinvio.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARATORE. Aderisco alla proposta dell’onorevole Einaudi. Vorrei dire semplicemente questo, per richiamare l’Assemblea al senso di realtà. Vorrei che la Commissione che studierà la questione domani, tenesse presente, che per l’esercizio 1945-1946 gli incassi della Sardegna e i pagamenti dello Stato in Sardegna hanno lasciato una differenza passiva di cinque miliardi e così per la Sicilia la differenza è stata di circa 15 miliardi. Ne tenga conto la Commissione.

Anche se si lasciassero dunque tutte le entrate a queste regioni, avremmo sempre delle differenze da coprire. Ciò è naturale, perché in Italia abbiamo strutture economiche differenti, che comportano anche differenze negli incassi e nei pagamenti. Solo attraverso le casse dello Stato può farsi un onesto e giusto conguaglio, ed è impossibile che questo conguaglio si lasci alle singole regioni. Tanto vero che, indipendentemente dal contenuto dell’articolo 8, nella coscienza di coloro che sanno già a quale conseguenza si arriverà, si parla di prestiti interni. Come è concepibile questa facoltà di prestiti, che avrebbe come conseguenza l’anarchia del mercato ordinario dei capitali? Questo mercato e quello monetario debbono essere unitari e nazionali.

Altrove si parla di un «fondo di solidarietà nazionale», come se le regioni dovessero chiedere la carità alle altre.

Se le regioni hanno dei diritti, questi devono essere esercitati attraverso lo Stato che è l’unico, onesto distributore delle entrate. (Applausi).

ALDISIO. Onorevole Paratore, qual è la regione che chiude il suo bilancio in attivo, in questo momento? (Commenti – Rumori).

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Onorevoli colleghi, tenterò di esprimermi il più rapidamente possibile. Io sono relatore di questa Commissione, o meglio sono fra i relatori; ma l’Assemblea e specie i vecchi colleghi che conoscono i problemi della Sardegna da molto tempo, riconosceranno che io qui ho una particolare posizione che è, aggiungerò, particolarmente delicata.

Io non avrei niente da dire, in linea teorica, sulla proposta del Ministro del bilancio, sul pensiero dell’onorevole Einaudi che, se pure appartenente ad un Partito totalmente opposto al mio, ha sempre avuto la mia deferenza in ogni circostanza, soprattutto per la sua grande personalità morale che, per l’Assemblea e per il Paese, conta qualche cosa. In linea astratta non avrei nulla da dire; ma ci troviamo di fronte al problema concreto che entro il 31 di questo mese dobbiamo discutere ed approvare questi quattro Statuti. Io chiedo se siamo decisi a rispettare questo termine oppure no. Se noi siamo decisi a rispettare questo termine, vediamo in che forma lo possiamo rispettare e comportiamoci in conseguenza; altrimenti sento che andremo incontro ad un lavoro frenetico, che perderà ogni serenità nel suo sviluppo, e non concluderemo cose serie.

Per esempio, si dice: noi ci riuniamo e discutiamo il problema assieme al Ministro del bilancio. D’accordo; io non voterò certo contro la proposta del Ministro del bilancio. Ma io, che conosco i quattro Statuti particolari, dico che ci troviamo di fronte a delle difficoltà che con questo criterio sono insormontabili. Lo Statuto del Trentino-Alto Adige, che ha importanza dal punto di vista nazionale e dal punto di vista internazionale, vogliamo discuterlo con lo stesso criterio con cui abbiamo cominciato a discutere e a spulciare questo Statuto della Sardegna? Mi pare impossibile. Se lo facessimo con questo criterio, manderemmo a monte un problema che la Commissione, con un alto senso di responsabilità e con un lavoro diurno e notturno, ha, io credo, quasi risolto, e presenta all’approvazione di questa Assemblea i risultati delle sue fatiche con sicura coscienza di aver contribuito a risolvere uno dei più delicati problemi nazionali che si innestano nella situazione internazionale.

L’impostazione finanziaria del problema dell’Alto Adige è press’a poco la stessa, e tutti durante un mese abbiamo riconosciuto che questa impostazione è la più obiettiva e la più organica.

Per quanto riguarda lo Statuto sardo, non è affatto la Consulta sarda che ha proposto questa organizzazione finanziaria della Regione. La Consulta sarda, invece, aveva proposto tutt’un altro sistema, ma noi deputati sardi, d’accordo coi consultori sardi, aderimmo ad esaminare un’altra serie di proposte con spirito conciliativo e assolutamente predisposti ad una soluzione accettabile per tutti. E abbiamo accettato questa impostazione che ci sembrava – e io la ritengo ancora oggi, malgrado il giudizio, indubbiamente più autorevole del mio, contrario dell’onorevole Einaudi – la più organica.

Comunque, lo stesso problema sorge di fronte al Trentino-Alto Adige, e se noi poi vogliamo esaminare l’ordinamento finanziario della Val d’Aosta, vi dico subito che non siamo arrivati a trovare per esso una soluzione organica, perché è impossibile oggi trovare una soluzione organica ideale. Le difficoltà si supereranno dopo l’esperienza di questi prossimi anni, quando, avendo collaborato lealmente da una parte e dall’altra, si vedrà assieme quali modifiche bisogna apportare. Ma occorre incominciare subito; bisogna che entriamo nella pratica e vediamo assieme quello che c’è di buono e quello che c’è di cattivo. Lo Statuto della Val d’Aosta non ha questo piano organico, e noi abbiamo dovuto dichiarare, con grande rincrescimento, che non è possibile trovare una soluzione organica, e allora ci siamo rimessi alla legislazione ancora vigente, onorevole De Gasperi: la stessa che noi decidemmo nel 1945, rimettendoci all’esperienza dello Stato e della Regione in questi due anni. E abbiamo messo un articolo transitorio che consente la revisione per legge normale: fra poco si vedrà qual è il tipo migliore. Ma intanto diamo una soluzione, anche se non è perfetta al problema, perché una soluzione bisogna darla. Questi problemi, illustre onorevole maestro Einaudi, si sbaglia se si affrontano con criteri puramente tecnici e scientifici, si rischia di andare incontro a delle situazioni, che io non chiamo tragiche, ma certamente credo, a buon diritto, di poter chiamare drammatiche.

Questi sono innanzitutto problemi politici e non è la scienza né la tecnica che hanno spinto tutti i partiti responsabili del Paese ed il Governo a cercare la soluzione di essi. Sono stati affrontati con sensibilità politica e non con criteri tecnico-scientifici.

Ecco perché, con tutta la massima deferenza che io riconfermo al grande maestro di vita morale e di rettitudine nel suo pensiero e nella sua azione, ecco perché io devo dire che con cotesti criteri, egregio collega Einaudi, noi non risolviamo nulla.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Vorrei dire una parola per uno scopo di mutua comprensione.

È una posizione strana quella in cui ci troviamo noi al banco del Governo, ed è forse la prima volta che la posizione è rovesciata, perché è la prima volta che tocca a noi di fare critiche ed obiezioni, perché non siamo preparati e non abbiamo fatto il lavoro che la Commissione ha compiuto.

Noi ci troviamo in questa situazione: conosciamo le difficoltà che riguardano l’applicazione dello Statuto siciliano per esperienza, perché quello Statuto è venuto in applicazione e il Ministro delle finanze e quello del tesoro soprattutto se ne sono occupati. Conosciamo, per lo meno in parte lo Statuto della Val d’Aosta che è passato attraverso il Consiglio dei Ministri; conosciamo lo Statuto dell’Alto Adige, perché questo Statuto fu prima elaborato da organi governativi e poi da una Commissione presidenziale e parlamentare della quale faceva parte l’onorevole Einaudi. E, quindi, siamo in una situazione molto più favorevole per giudicare questi altri Statuti in confronto di quello sardo.

Ora, non meravigliatevi se un uomo della coscienza dell’onorevole Einaudi ed altri colleghi hanno fatto obiezioni, perché si trovano per la prima volta dinanzi al testo della legge; e non vi meravigliate se vi chiedono di avere uno scambio di idee fino a domattina o anche stasera.

Non meravigliatevi, non ravvisate in questa richiesta un desiderio di procrastinare la discussione.

Se pensate che l’onorevole Einaudi ha preso parte alle discussioni per lo Statuto della Venezia Tridentina, e ha dato il suo voto ad una formulazione di un programma finanziario che è stato dichiarato e riconosciuto sufficiente da coloro che vi hanno preso parte, non avete da temere che vi troverete dinanzi ad ostacoli insormontabili e che si vogliano sviluppare soltanto elementi tecnici.

Senza dubbio l’onorevole Einaudi ha la coscienza delle obiezioni che è doveroso siano poste da lui e vi dice: cerchiamo di esaminare insieme, vediamo se è il caso di modificare qualche cosa.

È verissimo quello che ha detto l’onorevole Lussu e che ha ricordato l’onorevole Laconi, che vi è un articolo che prevede la revisione. È l’articolo 56 che all’ultimo capoverso dice: «le disposizioni del Titolo III del presente Statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta della Regione».

Ma vedete, questa norma non può tranquillizzare del tutto, perché richiede l’iniziativa della Regione, e credo sia difficile attendersi dalla Regione che l’iniziativa sia da essa presa a proprio svantaggio.

Qui si potrebbe eventualmente cercare una formula più equilibrata fra Stato e Regione, se fosse necessario fermarsi semplicemente a questa revisione dello statuto. Ma questa questione si esaminerà domattina o stasera.

Io prego l’onorevole Lussu, che del resto mi pare abbia dichiarato che non voterà contro la proposta dell’onorevole Einaudi, di volerla accettare, ed assicuro che il Governo non vuol differire, non vuole annullare gli statuti speciali, perché esso ritiene che nonostante tutte le possibili obiezioni, annullare questi statuti avrebbe un significato politico che il Governo non vuol condividere (Applausi). Il Governo vuole rassicurare le diverse Regioni che aspirano all’autonomia che fino all’estremo limite, il Governo intende venir incontro, e, direi, in questo senso bisogna interpretare le sue preoccupazioni. Vi prego quindi di accettare questa proposta.

L’onorevole Einaudi non ha disposizioni negative in confronto degli statuti in genere. Egli è persuaso, come me, che una volta messi su questo cammino non bisogna uscirne. Si tratta, quindi, di dare ad un rappresentante del Governo e a colui che ha la responsabilità più diretta del bilancio, il modo di dare il contributo della sua esperienza e della sua preparazione per trovare una formula conciliativa che possa essere da tutti accettata. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Ambrosini, sulla proposta dell’onorevole Einaudi quale è il parere della Commissione?

AMBROSINI, Relatore. L’onorevole Presidente del Consiglio si è espresso in termini tali che la Commissione non può che aderire, sicura che nella mattinata di domani, come primo argomento, questo sarà discusso e risolto nella migliore maniera.

BORDON. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Mi permetto di dissentire dal parere dell’onorevole Presidente del Consiglio, e, pur inchinandomi agli scrupoli del Ministro Einaudi, ritengo che se rimandiamo a domani, non faremo che perdere tempo. Se tutti gli statuti avessero la stessa impostazione, comprenderei la necessità del rinvio a questo fine. Ma la verità è che noi abbiamo due statuti soli che abbiano identica impostazione: quello della Sardegna e quello dell’Alto Adige. Gli altri hanno impostazione del tutto diversa, tanto vero che, per lo statuto della Val d’Aosta, noi ci siamo riferiti…

PRESIDENTE. Onorevole Bordon, parli solo di quello sardo. Si ricordi che lei parla per dichiarazione di voto.

BORDON. Ho finito. Dico essenzialmente questo: quando noi sappiamo in partenza che due soli statuti hanno la stessa impostazione: quello sardo e quello dell’Alto Adige, e quando noi sappiamo che nella Commissione dei Sette sedeva lo stesso onorevole Einaudi, che avendo collaborato al progetto per l’Alto Adige, non può non conoscerlo, non possiamo riconoscere la necessità di un rinvio.

PRESIDENTE. Ma no, l’onorevole Einaudi chiede di rinviarlo per lo statuto sardo!

BORDON. Con tutta deferenza verso il Presidente del Consiglio, verso l’onorevole Einaudi, e verso di voi, colleghi, io ritengo che non si farebbe che perdere del tempo, rinviando, e quindi ritengo inutile la richiesta di rinvio.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Dichiaro di aderire alla proposta di continuare la discussione di quella parte del progetto, che non ha riferimento alla questione finanziaria.

Mi permetto di motivare questo mio parere favorevole alla proposta di sospensiva sulla questione finanziaria con le seguenti ragioni.

Ho l’impressione che taluno in questa Assemblea dimentichi gli articoli 116 e 119 della Costituzione.

Il primo stabilisce una autonomia speciale per la Sardegna; il secondo le attribuisce uno speciale organamento finanziario. Mi è parso – voglio sperare che sia falsa questa mia impressione – che con questa dimenticanza si volesse giungere a una specie di sabotaggio della legge.

L’onorevole Einaudi – ciò è fuori discussione – non partiva da questo presupposto e nemmeno il Governo

Ma io intendo aderire col mio voto alla sospensiva fino a domani mattina, in quanto la mancata adesione potrebbe favorire il proposito diretto a sabotare lo Statuto sardo. Siccome non intendo prestarmi a ciò, aderisco a che il problema finanziario sia esaminato domattina.

PRESIDENTE. Vi è dunque la proposta di sospendere l’esame del Titolo III dello Statuto speciale per la Sardegna, in modo che possa essere esaminato dalla Commissione, in presenza del Ministro del bilancio; domani potremo avere la presentazione di un testo definitivo del quale si potrà procedere all’esame ed alla approvazione.

Pongo in votazione la proposta di rinviare a domani mattina l’esame del Titolo III.

(È approvata).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Siccome trovo la situazione estremamente delicata, propongo una breve sospensione della seduta per dar modo ai deputati sardi ed ai rappresentanti della Consulta sarda, che si trovano nel palazzo, di potersi riunire, per prendere decisioni, che sono indispensabili.

PRESIDENTE. Io sono profondamente compreso delle preoccupazioni dei deputati sardi e dei delegati della Consulta sarda; ma sono molto più compreso della mia responsabilità, che è quella di far continuare l’esame di questo Statuto.

Mi scusi, onorevole Lussu, se non accedo alla sua richiesta.

LUSSU. Ed allora la seduta continuerebbe senza la mia presenza, che credo sia utile, se non proprio necessaria.

PRESIDENTE. Noi dobbiamo esaminare una parte di questo statuto, che non ha nulla a che fare con ciò che abbiamo lasciato in sospeso.

Non credo che si possano proporre dei coordinamenti condizionati alla votazione di poco fa e all’esame che dovremmo fare. Le parole che lei, onorevole Lussu, ha pronunciato, fanno supporre altrimenti; ma non vedo in che modo questo potrebbe avvenire.

Poiché è necessario che questo statuto sia esaminato, per le ragioni politiche, cui lei ha accennato, credo che l’Assemblea debba continuare questo esame, tanto più che ha deliberato la sospensiva dell’esame e dell’approvazione del Titolo III.

LUSSU. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Noi siamo arrivati a questa discussione dello Statuto sardo con un’intesa, altrimenti la discussione stessa non avrebbe avuto luogo.

Noi, rappresentanti della Sardegna, abbiamo legato lo statuto sardo allo statuto siciliano per tre ordini di ragioni che assieme concordano:

1°) le due Regioni sono isole con aspirazioni autonomistiche ben note e sulle quali è perfettamente inutile che io ritorni;

2°) simultanea costituzione in Sicilia e in Sardegna dell’istituto dell’Alto Commissariato, dopo la caduta del fascismo;

3°) istituzione simultanea in Sicilia e in Sardegna della Consulta regionale ed invito da parte del Governo alle Consulte a presentare uno schema di progetto di statuto autonomo alla Consulta nazionale e al Governo.

Ora è avvenuto questo: che in Sicilia, per avvenimenti politici a tutti noti, questo statuto ha dovuto bruciare le tappe ed è stato approvato in una serie di riunioni alla Consulta siciliana, a Palermo, e poi portato al Governo che lo ha inviato alla Consulta nazionale perché esprimesse il suo parere. La Sardegna che, fortunatamente, da un punto di vista generale degli interessi nazionali e dell’interesse dello Stato, fortunatamente da questo punto di vista, ma non fortunatamente dal punto di vista dello Statuto, la Sardegna, che non ha avuto quel movimento che ha portato a bruciare le tappe in Sicilia, non aveva elaborato ancora il suo Statuto, pensava, attraverso l’opera della Consulta regionale e degli organismi tecnici varî esistenti nell’Isola, di prepararlo con calma, sicché rispondesse più organicamente alle esigenze dell’Isola e della Nazione.

Quando (lo ha ricordato il collega Ambrosini, relatore, questa mattina) fu presentata qui alla Consulta nazionale la proposta sullo statuto siciliano, io chiesi, e gli altri colleghi rappresentanti alla Consulta nazionale chiesero con me, che provvisoriamente la Consulta volesse estendere alla Sardegna lo stesso statuto siciliano in attesa che la Consulta sarda elaborasse con tutta calma un suo statuto speciale e lo presentasse al Governo ed al Parlamento. Questa proposta, accolta favorevolmente dal Presidente del Consiglio, in quel momento onorevole De Gasperi, è consacrata nei verbali della Giunta della Consulta nazionale.

Che cosa è avvenuto? La Consulta sarda ha ritenuto di non rinunciare alla necessità di elaborare con tutta calma uno statuto per la Sardegna e non ha accettato l’estensione dello statuto siciliano all’Isola; ma non vi è uno, io credo, al Governo ed in quest’Aula che non sia d’accordo con me nel ritenere che moralmente e politicamente lo statuto siciliano è stato passato alla Sardegna. Non dico giuridicamente. Evidentemente io non sono così azzardato da sostenere che giuridicamente sia passato alla Sardegna. Giuridicamente non è passato nulla perché la Sicilia ha avuto le elezioni in base all’approvazione di quello Statuto ed ha oggi fortunatamente (dico fortunatamente, perché questo ha contribuito a risolvere il problema angoscioso locale) la sua organizzazione autonomistica; e noi abbiamo avuto il piacere, in parecchie occasioni, di vedere qui la delegazione del Consiglio regionale siciliano.

La Sardegna non ha avuto niente. Ma politicamente, ne ha lo stesso diritto.

Ed arrivo alla conclusione. Siamo venuti alla discussione in quest’Aula in seguito all’accordo, ed io lamento che qui manchino i rappresentanti dei partiti che si erano impegnati in questo senso, di abbinare, nella discussione nell’Assemblea, lo Statuto sardo a quello siciliano. Ci sono stati dei lavori della Commissione in collegamento con la Consulta siciliana per chiarire alcuni punti fondamentali. Tutti i rappresentanti dei partiti sono informati di questo problema e credo che l’accordo sia stato raggiunto o quasi. Siamo alla vigilia dell’annuncio del raggiunto accordo. C’è la riforma di qualche punto essenziale ed il coordinamento con la Carta costituzionale, ma per il resto applicazione integrale dello statuto. Se siamo venuti qui con questo accordo, non mi potrete impedire, onorevoli colleghi, che esprima una sorpresa quando vedo ad ogni articolo, quasi ad ogni comma e ad ogni lettera, emendamenti e contro emendamenti, soppressivi od aggiuntivi. Ho il diritto di esprimere questa mia grande sorpresa. Credo che tutto questo significhi qualcosa. Questo statuto è stato elaborato da tutti, perché la Commissione, forse esagerando in scrupolo, vi ha dedicato circa sessanta riunioni: si è votato su ogni articolo dopo ore e ore di discussione e, a giudizio unanime, questo Statuto è stato considerato da tutti equilibrato ed organico, politicamente inquadrato nella trasformazione autonomistica dello Stato italiano.

Ed allora possiamo proseguire la discussione, continuando con questo sistema? Ecco perché chiedevo al Presidente che mi consentisse di tenere una riunione con i deputati sardi per prendere delle decisioni, per vedere se non sia opportuno di sospendere tutto, giacché si deve esaminare il problema della finanza. Io ho bisogno di conferire con i rappresentanti sardi in seno a questa Assemblea e con i consultori sardi; altrimenti, proseguendo la discussione su questo Statuto, così come è stata iniziata, credo che non faremmo un’opera politicamente meritevole.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, lei ci aveva preannunziato una pregiudiziale; in realtà essa non è stata formulata. Credo tuttavia che quanto è stato detto dal collega Lussu debba esser degno di particolare considerazione. L’onorevole Lussu ha detto ciò che io non avevo detto, ma che speravo che i colleghi avessero compreso dalla lettura di quelle tali direttive per la discussione, che evidentemente non sono state lette. A questa discussione dello statuto bisognava venire, onorevoli colleghi – mi si consenta di dirlo – con una particolare disposizione di animo, che non era quella, tuttavia lodevole, di chi si appresta ad esaminare un disegno di legge ordinario, in cui ogni piccola disposizione deve giustamente essere vagliata e soppesata, ed anche ogni formulazione stilistica, quando ciò venga ad urtare il nostro particolare senso della forma e del bello. Questi statuti dovevano essere, invece, visti con altro animo e soppesati con altra misura.

Che cosa sarebbe stato necessario? O approvarli, o respingerli nel loro intero, salvo quei punti che apparissero in contrasto con norme di carattere fondamentale o che rappresentassero veramente un grave pericolo per lo Stato e per la Repubblica. Perciò, per quanto la presentazione degli emendamenti fosse stata, com’era diritto dei deputati, senz’altro autorizzata, tuttavia, come ho già avuto occasione di dire poco fa, non doveva esser fatta con la minuzia e con l’ampiezza con cui gli emendamenti sono stati qui portati. Alcuni membri dell’Assemblea hanno presentato una dozzina di emendamenti, che in verità non valgono di per sé a mutare la struttura del disegno di legge, ma sono sufficienti a farci arrestare di fronte ad incidenti e ad ostacoli, del genere di quello che ora stiamo affrontando.

In questo momento, l’onorevole Lussu chiede che la seduta sia sospesa perché i deputati sardi possano decidere se agire per fare accettare questo statuto o no. Io vorrei dire all’onorevole Lussu che non dipende dalla deputazione sarda far sì che l’Assemblea continui o non continui, approvi o non approvi questo progetto.

LUSSU. Se i deputati sardi lo chiedessero tutti uniti?

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, evidentemente è un compito dell’Assemblea Costituente esaminare ed approvare lo Statuto sardo, ed evidentemente io credo che i colleghi terranno conto, nello sviluppo ulteriore dei nostri lavori, di quei sentimenti e di quelle preoccupazioni di cui l’onorevole Lussu si è fatto interprete poco fa nel suo discorso appassionato, che tuttavia non è pervenuto ad una proposta precisa.

Se per realizzare la collaborazione dei colleghi sardi, che è assolutamente necessaria, veramente bisogna sospendere per alcuni minuti la seduta, sospendiamola, ma, onorevole Lussu, la prego, che nella riunione della deputazione sarda non si riapra una discussione del genere di quella che stiamo facendo adesso qui.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Faccio mia la proposta di sospendere la seduta per dieci minuti, o con la motivazione dell’onorevole Lussu o con un’altra che potrebbe essere questa: la necessità, per lo meno l’opportunità, che ha la deputazione sarda di uno scambio di idee circa la situazione che si è venuta a creare. Dobbiamo parlare anche con i Consiglieri regionali.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, l’ho detto un momento fa: la prosecuzione dei lavori non è regolata dalla deputazione sarda e neanche dai delegati dalla Consulta sarda. L’Assemblea ha preso una decisione alla quale è impegnata. La Commissione deve riunirsi e domani mattina deve esaminare il Titolo III. Non c’è deputazione di deputati sardi e di delegati della Consulta sarda che possa impedire che questo avvenga. Si riuniscano i deputati sardi quando avremo finita la nostra seduta stasera, per quanto tardi possiamo finirla, e verranno domani mattina con un pensiero comune su quel solo argomento che fino a questo momento si è presentato controverso. Non sappiamo ancora se ciò che ci rimane da esaminare darà luogo ad altrettanti contrasti. Ci auguriamo di no, ma fin da adesso dobbiamo fare in modo che ciò che può essere fatto, si faccia.

Onorevole Mastino Pietro, comunque, come è stato fatto altre volte, sospendiamo i nostri lavori per pochi minuti.

(La seduta, sospesa atte 18.55, è ripresa atte 19.15).

Presentazione di un disegno di legge costituzionale.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi onoro di presentare all’Assemblea il disegno di legge costituzionale: «Norme per la proponibilità dei giudizi e per le garanzie di indipendenza della Corte costituzionale».

Data l’urgenza del disegno di legge prego la Presidenza di trasmetterlo immediatamente al Comitato dei Diciotto, perché ne possa riferire con urgenza all’Assemblea possibilmente nella giornata di domani.

PRESIDENTE. Do atto della presentazione di questo disegno di legge che, se non vi sono osservazioni, sarà trasmesso al Comitato dei Diciotto immediatamente, in modo che esso possa essere posto all’ordine del giorno nel più breve tempo possibile.

(Così rimane stabilito).

Si riprende la discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Sardegna. (62).

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Io vorrei chiarire, a nome mio personale e dei colleghi della deputazione sarda di tutti i partiti, la situazione spirituale in cui noi ci troviamo. In seguito al comportamento, certamente degno del senso di responsabilità dell’Assemblea – la quale evidentemente anche in questo caso vuole addentrarsi nell’esame di tutti gli articoli dello Statuto nostro per rendersi conto della loro portata – si verifica questa situazione di fatto incresciosissima: che noi, pur essendo alla scadenza del nostro lavoro, che non può oltrepassare il 31 gennaio, pur vincolati dalla necessità di essere rapidi e brevi, stiamo trascinando questa discussione in forme, che certe volte oltrepassano la necessità di diligenza e di esame spassionato. Ho visto, ad esempio, che alcuni colleghi hanno voluto servirsi della bilancia dell’orafo, per misurare se veramente una frase avesse il peso giuridico esatto, oppure se dovesse essere variata per corrispondere a certe personali intuizioni dialettico-giuridiche.

Signor Presidente, prego lei, quale esponente degli interessi e dei diritti di tutti noi, di pregare tutti i colleghi di tener presente la specialità dei fatti e di far sì che questo nostro Statuto – come da impegno preso da tutti i capi-gruppo – sia rapidamente approvato senza che per ogni disposizione di legge si ingaggi un più o meno brillante torneo oratorio.

Si prospetteranno le questioni essenziali e sostanzialmente attinenti a qualche essenziale problema in discussione; ma sugli articoli di non grande portata e che non possono suscitare gravi dissensi si sorvoli e si giunga all’approvazione senza discussione. Sugli emendamenti che qualcuno creda indispensabile proporre, si potrà discutere, ma ci si limiti a pronunziare le parole indispensabili per la relativa delucidazione.

In questo senso esprimo il parere mio personale e di tutta la deputazione sarda, che rappresenta gli interessi, il volere e la passione di tutto il popolo sardo! (Approvazioni).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Non credo che l’amico Mastino Gesumino alludesse a me nel suo intervento.

Comunque, per l’affetto che mi lega alla Sardegna, perché là ho passato gli anni più belli della mia infanzia, dichiaro di rinunziare a tutti gli emendamenti da me proposti. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo all’esame del Titolo IV.

Organi della Regione.

Si dia lettura dell’articolo 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta regionale ed il suo Presidente».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 17.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale è composto di consiglieri eletti, in ragione di uno ogni ventimila abitanti, a suffragio universale, diretto, uguale e segreto e con sistema proporzionale, secondo le norme stabilite con legge regionale».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 18. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«È elettore ed eleggibile al Consiglio regionale chi è iscritto nelle liste elettorali della Regione.

«L’ufficio di consigliere regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere o di un altro Consiglio regionale o di sindaco di un Comune con popolazione superiore a diecimila abitanti.

«I casi di ineleggibilità e gli altri casi di incompatibilità sono stabiliti con legge dello Stato».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 19. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale è eletto per quattro anni.

«Le elezioni sono indette dal Presidente della Giunta regionale entro quindici giorni dalla fine del precedente Consiglio e hanno luogo non oltre il sessantesimo giorno.

«Il nuovo Consiglio è convocato entro venti giorni dalle elezioni».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 20. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale elegge, fra i suoi componenti, il Presidente, l’Ufficio di presidenza e Commissioni, in conformità al regolamento interno, che esso adotta a maggioranza assoluta dei suoi componenti».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 21. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio si riunisce di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre.

«Esso si riunisce in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o su richiesta del Presidente della Giunta regionale o di un quarto dei suoi componenti».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 22. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Le deliberazioni del Consiglio regionale non sono valide se non è presente la maggioranza dei suoi componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che sia prescritta una maggioranza speciale».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 23. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Le sedute del Consiglio regionale sono pubbliche.

«Il Consiglio tuttavia può deliberare di riunirsi in seduta segreta».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 24. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I consiglieri regionali, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, prestano giuramento di essere fedeli alla Repubblica e di esercitare il loro ufficio al solo scopo del bene inseparabile dello Stato e della Regione autonoma della Sardegna».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 25. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I consiglieri regionali rappresentano l’intera Regione».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 26. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I consiglieri regionali non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 27. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I consiglieri regionali ricevono una indennità fissata con legge regionale».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 28. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale esercita le funzioni legislative attribuite alla Regione».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Mannironi ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere dopo la parola: legislative le parole: e regolamentari».

L’onorevole Mannironi rinuncia a svolgerlo.

Pongo in votazione il testo dell’articolo con l’aggiunta proposta dall’onorevole Mannironi.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 29. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«L’iniziativa delle leggi spetta alla Giunta regionale, ai membri del Consiglio ed al popolo sardo».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 30. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un disegno di legge da parte di almeno diecimila elettori».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 31. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione, ed approvato dal Consiglio, articolo per articolo, con votazione finale a scrutinio segreto».

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi propone di sopprimere le ultime parole: «a scrutinio segreto».

L’onorevole Mannironi ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MANNIRONI. Ho proposto questo emendamento per mettere l’articolo in armonia con l’articolo 72 della Costituzione.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ambrosini ad esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI, Relatore. La Commissione non si oppone.

FABBRI, Relatore. Occorrerebbe, tuttavia, aggiungere una «e» prima delle parole «con votazione finale».

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione il testo dell’articolo, con la soppressione delle parole «a scrutinio segreto», e con l’aggiunta della «e» prima delle parole «con votazione finale».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 32. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale approva ogni anno il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dalla Giunta.

«L’esercizio finanziario della Regione ha la decorrenza dell’anno solare».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Scusi, signor Presidente, vorrei chiedere se non si ritenga che sia più opportuno far coincidere le date dell’esercizio finanziario della Regione con quelle dell’esercizio finanziario dello Stato, perché c’è una interferenza assoluta di interessi, dato che si prendono le imposte dello Stato e il bilancio dello Stato si chiude il 30 giugno.

Mi pare che sarebbe opportuno unificare le date.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, la prego di esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Bertone.

FABBRI, Relatore. La Commissione ha ritenuto che questa differenza cronologica fosse un elemento utile per raggiustamento delle cose in sede di bilancio successivo alla chiusura del conto dell’azienda, in un certo senso, minore rispetto a quella dello Stato.

Questa è la ragione della voluta non coincidenza delle date.

BERTONE. Non insisto, se la Commissione ne fa ragione di studio.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 32.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 33. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Un disegno di legge adottato dal Consiglio regionale è sottoposto al referendum popolare su deliberazione della Giunta o quando ne sia fatta domanda da almeno un terzo dei consiglieri o da diecimila elettori.

«Il referendum non è valido se non vi partecipa almeno un terzo degli elettori.

«La maggioranza, nelle materie sottoposte a referendum, si calcola in base ai voti validamente espressi.

«Non è ammesso il referendum, per le leggi tributarie e di approvazione di bilanci.

«Le modalità di attuazione del referendum sono stabilite con legge regionale».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 34. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Ogni legge approvata dal Consiglio regionale è comunicata al Governo della Repubblica e promulgata trenta giorni dopo la comunicazione, salvo che il Governo non la rinvii al Consiglio regionale col rilievo che eccede la competenza della Regione o contrasta con gli interessi nazionali.

«Ove il Consiglio regionale l’approvi di nuovo a maggioranza assoluta dei suoi componenti, è promulgata se, entro quindici giorni dalla nuova comunicazione, il Governo della Repubblica non promuove la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale o quella di merito per contrasto di interessi davanti alle Camere.

«Qualora una legge sia dichiarata urgente dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti, la promulgazione e l’entrata in vigore, se il Governo della Repubblica consente, non sono subordinati ai termini sopraindicati. Ove il Governo non consenta, si applica il secondo comma del presente articolo.

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Giunta regionale ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo a quello della loro pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione, salvo che esse stabiliscano un termine diverso.

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 35. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale, la Giunta ed i suoi componenti sono organi esecutivi della Regione».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Domando se per caso questo articolo, così come è concepito, non viene a trovarsi un po’in contraddizione con l’aggiunta che l’onorevole Mannironi ha suggerito per l’articolo 28, per la quale questo veniva così completato:

«Il Consiglio regionale esercita le funzioni legislative e regolamentari».

Ora, l’esercizio delle funzioni regolamentari è un atto squisito del potere esecutivo. Quando si dice all’articolo 35 che il Presidente della Giunta regionale, la Giunta ed i suoi componenti sono organi esecutivi della Regione, questo significa che questi sono gli organi che applicano il regolamento.

MANNIRONI. Un conto è applicarlo, un conto è farlo.

BERTONE. Ma l’articolo 28 attribuisce al Consiglio «le funzioni regolamentari». Se al Consiglio regionale si dà la funzione esecutiva, la si toglie alla Giunta regionale. Poiché in questo articolo 35 si dice che la funzione esecutiva spetta alla Giunta regionale, mi pare che ci sia da mettere d’accordo questo col fatto di aver conferito al Consiglio regionale le funzioni legislative e regolamentari.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ambrosini ad esprimere l’avviso della Commissione.

AMBROSINI, Relatore. L’osservazione dell’onorevole Bertone poteva avere un peso in tema di articolo 28, cioè quando si trattava di stabilire le competente del Consiglio regionale.

Indubbiamente la disposizione che l’Assemblea ha già votato non è in armonia con la prassi costituzionale e con la legislazione vigente in tanti Paesi, in quanto, mentre le Assemblee legislative sovrane stabiliscono la legge, generalmente il regolamento – anche quando non è detto in norme specifiche di legge e negli stessi statuti – spetta al potere esecutivo.

Ma fare il regolamento non significa eseguire la legge; fare il regolamento significa integrare la legge o, in ogni caso, disporre delle regole che hanno il valore di norme, cioè quello che noi in linguaggio giuridico diciamo «leggi in senso materiale». Ed allora, per quanto poteva essere discutibile la proposta Mannironi che l’Assemblea ha approvato, credo che non sia accettabile l’argomentazione dell’onorevole Bertone, in questo senso, che non c’è contrasto formale e neanche sostanziale fra quello che l’Assemblea ha deliberato e quello che è il testo attuale dell’articolo 35, giacché l’avere attribuito al Consiglio regionale il potere di fare, oltre la legge, anche i regolamenti, non interferisce per niente in quelle che sono le funzioni esecutive dell’organo amministrativo. Quindi, quando l’articolo 35 dice: «la Giunta ed i suoi componenti sono organi esecutivi della Regione», vuole indicare che sono organi esecutivi non solo per quanto si riferisce alle norme di legge, ma anche per quanto riguarda le norme degli eventuali regolamenti che il Consiglio della Regione approverà. Per queste ragioni, ritengo che l’Assemblea possa approvare il testo dell’articolo 35.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Probabilmente siamo in un equivoco. Io convengo perfettamente che l’articolo 35 dev’essere votato così com’è, ma mi preoccupavo del fatto che, se questa funzione medesima, sia pure per una espressione inesatta, è affidata al Consiglio regionale, evidentemente c’è un po’di contrasto. Forse si può chiarire in questo senso. Poiché tanto nelle parole dell’onorevole Ambrosini, come in quelle dell’onorevole Mannironi, per funzione regolamentare si intende la funzione del Consiglio regionale di formare un regolamento, io mi dichiaro d’accordo. Sarebbe stato meglio tuttavia, usare la parola «potestà» invece della parola «funzione».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 35.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 36. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale è il rappresentante della Regione autonoma della Sardegna».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 37. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale è eletto dal Consiglio regionale fra i suoi componenti, subito dopo la nomina del Presidente del Consiglio e dell’Ufficio di presidenza.

«L’elezione ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza assoluta e, dopo il secondo scrutinio, a maggioranza relativa».

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi ha proposto il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: fra i suoi componenti, aggiungere: o fra i deputati e senatori locali».

Ha facoltà di svolgerlo.

LACONI. Rinuncio allo svolgimento.

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione.

AMBROSINI, Relatore. Ritengo di non potere di mio arbitrio cambiare il deliberato della Commissione. Per altro, ci sono già gli articoli 39 e 41, che apportano una innovazione a una norma della Costituzione, in quanto prevedono la possibilità che facciano parte della Giunta regionale persone che non fanno parte del Consiglio. Devo tuttavia ricordare all’Assemblea che c’è una norma generale della Costituzione, che stabilisce l’incompatibilità fra i membri del Consiglio regionale ed i membri delle Assemblee legislative. Dati questi principî della Costituzione, pur senza aver avuto il tempo di interpellare i colleghi della Commissione, ritengo che l’emendamento non debba essere accolto.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi associo a quanto ha detto il Relatore della Commissione e prego l’onorevole Laconi di non insistere, sia per le norme, stabilite negli articoli successivi, e sia per le tassative disposizioni della Costituzione. Nell’articolo 122, secondo comma, della Costituzione si dice:

«Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio regionale e ad una delle Camere del Parlamento o ad un altro Consiglio regionale».

Questa disposizione impedisce che i consiglieri regionali, e quindi innanzitutto il Presidente della Giunta, possano essere membri del Parlamento. Prego pertanto l’onorevole Laconi di non insistere.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Nello Statuto sardo, all’articolo 39, è già previsto il modo di formazione della Giunta regionale, modo diverso da quello previsto per le altre Regioni e anche per la Regione siciliana. È cioè consentito che ne facciano parte elementi che non fanno parte del Consiglio.

Violiamo con ciò un articolo della Costituzione? Non mi pare, dal momento che per la Sardegna è previsto uno Statuto speciale. E non pare alla Commissione, se essa ha creduto di stabilire questo differente modo di formazione nel progetto di Statuto che è dinanzi all’Assemblea.

L’unica modificazione che io propongo, dato che i componenti della Giunta possono non far parte del Consiglio, è che sia ammesso che ne facciano parte anche deputati e senatori. E vi sono i motivi. Della Giunta possono far parte elementi tecnici: a maggior ragione mi pare che possano farne parte coloro che sono stati investiti dal popolo con l’elezione a senatori o deputati. Questo non contravviene in nessun modo al principio democratico. Si dice: vi è incompatibilità di fatto. Le incompatibilità le abbiamo già stabilite fra Consiglio regionale ed Assemblee legislative. Ma qui non si tratta di questo: si tratta di consentire di far parte di un organo esecutivo e non mi pare che vi sia una impossibilità qualsiasi. Dato anche che su questa proposta consente la maggior parte dei colleghi della Deputazione sarda, io insisto quindi nel mio emendamento.

FABBRI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Relatore. Mi pare che vi sia una certa perplessità nell’esposizione dell’emendamento, perché l’emendamento concerne esclusivamente il Presidente della Giunta, il quale è Presidente della Regione ed è anche, a certi fini, rappresentante del Governo.

L’eccezione fatta per eventuali componenti della Giunta, cioè per preposti a eventuali rami di servizi tecnici, per i quali si potrebbe riscontrare una eventuale deficienza in seno al Consiglio della Regione e che il Consiglio ritenesse di superare con la nomina di persone estranee ai suoi componenti, è problema tutt’affatto diverso e distinto da quello dell’organo rappresentativo sia del Governo che del Consiglio.

Quindi non credo che l’onorevole Laconi abbia ragione di argomentare, dalla norma che consente di nominare nella Giunta per un ramo dei servizi tecnici un elemento diverso dai componenti del Consiglio, la conseguenza che si possa attribuire un’uguale origine al rappresentante della Regione e al rappresentante del Governo.

Quindi la Commissione insiste nel proprio testo e prega l’onorevole Laconi di ritirare il suo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, ella conserva il suo emendamento?

LACONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo 37 del primo comma:

«Il Presidente della Giunta regionale è eletto dal Consiglio regionale fra i suoi componenti».

(È approvata).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Laconi:

«o fra i deputati e i senatori sardi».

(Non è approvato).

Pongo in votazione la seconda parte del primo comma: «subito dopo la nomina del Presidente del Consiglio e dell’Ufficio di Presidenza».

(È approvata).

Pongo in votazione il secondo comma:

«L’elezione ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza assoluta e, dopo il secondo scrutinio, a maggioranza relativa».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 38. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I componenti della Giunta regionale, preposti ai singoli rami dell’amministrazione, sono nominati dal Consiglio, su proposta del Presidente della Giunta.

«Il Presidente ed i membri della Giunta restano in carica fino a che dura il Consiglio regionale».

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi ha proposto di sopprimere il secondo comma.

Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

LACONI. Propongo la soppressione del secondo comma, perché non mi sembra chiaro. Ne comprendo il significato, ma la dizione letterale del comma può essere interpretata nel senso che il Presidente ed i membri della Giunta, una volta eletti, durano in carica fino a che esiste quel Consiglio.

Siccome la Commissione non aveva questa intenzione, anzi l’intenzione contraria, la prego o di modificare il comma, in modo che sia chiaro, o di accettarne la soppressione.

PRESIDENTE. L’onorevole Mammoni ha presentato i seguenti due emendamenti:

«Dopo le parole: dal Consiglio, aggiungere le altre: in numero di otto».

«Nel secondo comma, in fine, aggiungere le parole: e fino a che avrà la fiducia della maggioranza del Consiglio».

Ha facoltà di svolgerli:

MANNIRONI. Il progetto di Statuto non fissa il numero dei componenti la Giunta; se lasciassimo questa lacuna, il Consiglio regionale sarebbe arbitro di nominare una Giunta col numero di componenti che esso credesse, volta per volta.

A me pare invece che una norma, per lo meno indicativa, debba essere fissata, per evitare che la Giunta diventi nelle varie legislature, un organismo o pletorico o insufficiente e comunque non uniforme.

Il secondo emendamento mi pare serva a chiarire il dubbio sollevato dall’onorevole Laconi. L’emendamento mira a mettere in relazione questo articolo 38 con l’articolo 52, il quale prevede la possibilità di scioglimento del Consiglio regionale, quando esso non proceda alla sostituzione della Giunta regionale o del Presidente; il che vorrebbe dire che è data la possibilità al Consiglio di dare voto di sfiducia e quindi sostituire la Giunta e il Presidente.

Ora si tratta di fissare nello Statuto esplicitamente il principio e le modalità del voto di sfiducia.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, lei aderisce all’emendamento proposto dall’onorevole Mannironi?

LACONI. La forma non mi pare troppo felice.

FABBRI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Relatore. Al primo comma dell’articolo 38 si potrebbe dire «sono nominati e revocati dal Consiglio».

PRESIDENTE. Sta bene.

L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti proposti all’articolo 38.

AMBROSINI, Relatore. Riguardo all’emendamento Mannironi, sul numero dei componenti della Giunta, ritengo che non sia necessario fare una specificazione. Il Consiglio regionale, quando dovrà fare il suo regolamento, previsto dalla Carta costituzionale, e chiamato statuto per differenziarlo dagli Statuti speciali, potrà, col suo senso di responsabilità, in proporzione al volume degli affari, stabilire il numero dei componenti la Giunta.

MANNIRONI. Ritiro i miei due emendamenti.

AMBROSINI, Relatore. Quanto alla proposta dell’onorevole Laconi, la Commissione ritiene che il dubbio non poteva sorgere, perché questa disposizione si inquadra in tutto l’ordinamento costituzionale e nelle norme fondamentali dell’ordinamento giuridico, per cui non c’è alcun organo esecutivo che promani da un’Assemblea, che possa restare in carica, se viene meno la fiducia dell’Assemblea. I colleghi della Commissione, che ho potuto consultare, ritengono che si può sopprimere il secondo comma, perché la sostanza di tutto l’articolo non può mai venire in contestazione. Comunque la Commissione si rimette all’Assemblea.

FABBRI, Relatore. Non insisto sulla mia proposta.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione soltanto il primo comma dell’articolo 38:

«I componenti della Giunta regionale, preposti ai singoli rami dell’amministrazione, sono nominati dal Consiglio, su proposta del Presidente della Giunta».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 39. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I membri della Giunta regionale hanno diritto di assistere alle sedute del Consiglio, anche se non ne facciano parte».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 40. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«L’Ufficio di Presidente della Giunta regionale e di membro della Giunta è incompatibile con qualsiasi altro ufficio pubblico».

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi aveva presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: ufficio pubblico, aggiungere: fatta eccezione per l’ufficio di deputato o di senatore».

LACONI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 40, nella formulazione testé letta.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 41. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I dipendenti di una pubblica amministrazione che siano nominati membri della Giunta regionale sono messi a disposizione della Regione senza assegni, ma conservano gli altri diritti di carriera e di anzianità».

PRESIDENTE. Non essendoci emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 42. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Contro i provvedimenti dei membri della Giunta regionale preposti ai singoli rami dell’amministrazione è dato ricorso alla Giunta, che decide con decreto del suo Presidente.

«Tale decreto costituisce provvedimento definitivo».

PRESIDENTE. Non essendoci emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 43. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale ha facoltà di istituire organi di consulenza tecnica».

PRESIDENTE. Non essendoci emendamenti lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo V. Enti locali.

Si dia lettura dell’articolo 44.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Le provincie di Cagliari, Nuoro e Sassari conservano l’attuale struttura di enti territoriali.

«Con legge regionale possono essere modificati il numero, la circoscrizione, le funzioni e la struttura delle provincie, in conformità alla volontà delle popolazioni di ciascuna delle provincie interessate espressa con referendum».

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: il numero».

Ha facoltà di svolgerlo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ho presentato un emendamento in cui si chiede che nel secondo comma sia soppressa la facoltà della istituzione di nuove provincie.

L’articolo 133 della Costituzione prescrive:

«Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Provincie nell’ambito d’una Regione sono stabiliti con legge della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione».

Con l’articolo 44 dello Statuto per la Sardegna, questa competenza verrebbe attribuita alla Regione e sottratta allo Stato, e con ciò si derogherebbe alla Costituzione. Per quanto riguarda la Sicilia era prevista la soppressione della provincia: non c’era deroga al principio costituzionale, non c’era contrasto, direi, con la Costituzione approvata successivamente.

La potestà di istituzione di nuove provincie non può essere, a mio avviso, lasciata alla legge regionale, in quanto l’istituzione di una provincia comporta necessariamente anche l’istituzione di organi dell’amministrazione centrale dello Stato; è la stessa Costituzione, all’articolo 129, dice: «le provincie e i comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale».

Facciamo un’ipotesi concreta. In sostanza, non sappiamo quale sarà la sorte dei prefetti, ma, se rimangono in funzione, istituendosi una nuova provincia, necessariamente questa reclamerà dallo Stato che vi sia mandato un prefetto. Questo significa una spesa per lo Stato. Ora, non possiamo gravare lo Stato di una spesa deliberata da un’Assemblea regionale. Questo per me è il problema fondamentale. D’altro canto, non sarebbe possibile che alcune provincie avessero il Prefetto ed altre no. A me pare che, quindi, la potestà di istituzione di nuove provincie dovrebbe essere mantenuta nei limiti della Costituzione, cioè a dire lasciare ad una legge dello Stato l’istituzione di nuove provincie.

Quindi, non vedo la ragione giustificativa della deroga, tanto più che l’istituzione della nuova provincia comporterebbe necessariamente dei legami con l’attività dello Stato.

Mi sono permesso di presentare un emendamento nel quale si chiede che sia soppressa la facoltà di istituire nuove provincie, ferma restando la possibilità dell’Assemblea regionale di portare delle modificazioni alle circoscrizioni provinciali.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato il seguente emendamento: «Sopprimere il secondo comma».

Ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Tengo subito a far notare che, come vi è un articolo 135, che deferisce allo Stato la creazione di nuove provincie, così vi è anche un articolo 128, il quale stabilisce che le circoscrizioni provinciali sono determinate dalle leggi dello Stato. Ora, ci si potrebbe anche chiedere se con uno Statuto speciale si possa proprio derogare a questo articolo. Se così fosse, non vedrei perché uno Statuto speciale non possa anche derogare ad esempio agli articoli sulla scuola, all’articolo 40 sullo sciopero, agli articoli sulla libertà di stampa.

Mi sembra infatti che l’articolo 128, così come il 135, riferendosi particolarmente alle provincie ed ai comuni, non sia uno di quegli articoli di carattere squisitamente regionale, per cui si può ammettere che gli Statuti speciali vadano al di là delle norme stabilite dalla Costituzione per le Regioni.

Ammetto che questa preclusione di carattere costituzionale potrebbe essere anche discussa; ma restano in vita quelle di carattere sostanziale. E per quanto si riferisce alla struttura e alle funzioni della provincia, mi pare che esse dovrebbero essere le medesime in tutto il territorio dello Stato per evitare dannosi squilibri.

E veniamo al numero e alla circoscrizione delle provincie. L’onorevole Scelba ha detto che, se sorge una nuova provincia, come ente autarchico, bisogna anche darle un nuovo prefetto? Ci sono state delle interruzioni! Ma se anche non ci fossero le prefetture, ci sarebbe sempre la questura, l’Intendenza di finanza, la Direzione delle poste, il Genio civile ecc. ecc., dato che quasi tutti i rami dell’amministrazione statale sono decentrati provincialmente. Quindi, la sparizione del prefetto lascerebbe il problema così come oggi è.

E il problema non si pone solo quando sorge o scompare una nuova provincia, come ha messo in evidenza il Ministro onorevole Scelba, ma anche quando da parte della Regione si prenda l’iniziativa di mutare le circoscrizioni provinciali.

Lo Stato in questo modo è costretto ad attuare il decentramento delle proprie amministrazioni dirette così come vuole la Regione, di cui, sotto questo aspetto esso diventa schiavo; oppure procede in maniera diversa rispetto alla Regione, ed allora si avranno squilibri inconcepibili. Per queste ragioni io insisto sul mio emendamento soppressivo.

CHIEFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIEFFI. Propongo che si voti per divisione.

AMBROSINI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI, Relatore. Questo problema fu già ampiamente discusso. Non esiste una pregiudiziale di incostituzionalità, perché la norma stabilita da questo secondo comma dell’articolo 74 non ferisce la struttura della Costituzione.

Se noi, per ogni norma diversa da quella segnata dalla Costituzione, andassimo a fare questa indagine, verremmo a trovarci nella impossibilità, o comunque nella grave difficoltà di configurare uno Statuto speciale. Passando al merito, io dissi questa mattina (perché io segnalai di già la novità della disposizione all’Assemblea) che le titubanze, anzi l’opposizione che l’onorevole Abozzi, specialmente, aveva sollevata contro questa disposizione era stata placata dall’ultima parte di questo secondo comma, nella quale si stabiliva che il mutamento, in ogni caso, non potesse avvenire se non con il consenso di tutte le popolazioni interessate; ed allora pare alla Commissione che resta la questione proposta dall’onorevole Ministro dell’interno, in quanto effettivamente, non il cambiare, ma l’istituire nuove provincie, può importare per lo Stato l’aggravio di nuovi oneri, per cui all’aumento della struttura e delle funzioni dello Stato, territorialmente distribuite, l’onorevole Ministro ritiene che non possa procedersi con una legge regionale. Ed allora la Commissione, compreso l’onorevole Lussu, deputato sardo – dopo essersi consultata – ritiene che si può accedere alla richiesta dell’onorevole Ministro dell’interno. Ciò può farsi con la soppressione, nel secondo comma, della parola «il numero»; cosicché il comma verrebbe ad essere così formulato: «con legge regionale possono essere modificate le circoscrizioni, le funzioni e la struttura delle provincie».

Conseguentemente, il numero delle provincie resterebbe quello che è. Non potrebbero crearsi nuove provincie; ora, questa volontà di non creare nuove provincie è stata chiaramente manifestata da tutti i rappresentanti della Sardegna. Restava, con la disposizione che stiamo esaminando, la possibilità giuridica. Sopprimendo la parola «numero», questa stessa possibilità giuridica è eliminata, e si va incontro completamente a quella che è la richiesta dell’onorevole Ministro dell’interno.

MANNIRONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANNIRONI. Io vorrei chiedere un chiarimento sulle parole «funzioni e struttura» delle provincie. Io proporrei che si sopprimessero anche queste.

PRESIDENTE. Onorevole Ambrosini, se mi permette, la pregherei di mettere in relazione la spiegazione che darà all’onorevole Mannironi con la condizione posta in questo comma, per cui queste modificazioni sono subordinate alla volontà delle popolazioni.

Le popolazioni possono essere interessate direttamente per ciò che concerne le circoscrizioni, ma non per i problemi della struttura e delle funzioni.

AMBROSINI, Relatore. L’osservazione del Presidente è giustissima, per quanto avviene normalmente. Ma ci sono cambiamenti di funzioni, aggiunte o diminuzioni di competenze del Consiglio regionale.

Ora, se normalmente questa materia può sembrare un po’fuori dell’interesse delle popolazioni, può darsi che quello che propone il Consiglio regionale non incontri l’approvazione di esse.

Del resto, questa stessa osservazione potrebbe farsi riguardo al diritto di referendum dato al popolo e anche all’iniziativa popolare, la quale investe una qualsiasi materia.

Intendo peraltro che non sarebbe necessaria l’indicazione precisa delle funzioni e della struttura. Ma, ripeto, siccome con questo la Commissione ha creduto di andare incontro alle pressanti richieste della Consulta sarda, io, come esponente della Commissione, non mi sento autorizzato a fare una rinunzia in proposito. Si regoli l’Assemblea, nella sua coscienza, come è più opportuno.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Chiedo scusa ai colleghi. Se non ho inteso male, mi pare che la Commissione riconosce che dovrebbe sopprimersi la parola «numero». Ma io faccio presente che l’articolo 133 della Costituzione dispone testualmente che il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove provincie nell’ambito di una Regione sono stabiliti con legge della Repubblica.

Ora, questo articolo 44 stabilisce, oltre alla facoltà della Regione di procedere alla costituzione di una nuova provincia, anche il mutamento delle circoscrizioni.

Io non ho alcun interesse particolare: faccio una questione legale e costituzionale. Non vorrei che sorgesse una difficoltà in proposito.

La Costituzione stabilisce che il mutamento delle circoscrizioni provinciali si effettua mediante una legge della Repubblica; qui si dice che il mutamento delle circoscrizioni provinciali può esser compiuto mediante una legge regionale. Evidentemente c’è un contrasto: bisogna decidere o l’una o l’altra cosa.

Se abbiamo riconosciuto che non si può procedere alla costituzione di una nuova provincia, perché ciò sarebbe in contrasto con l’articolo 128 (Commenti), dobbiamo parimenti ritenere che non si può modificare la circoscrizione di una provincia esistente.

Ed allora resta devoluto alla Regione soltanto il potere di modificazione delle funzioni e della struttura.

ABOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Io ho dichiarato questa mattina che non avrei posto personalmente la questione dell’incostituzionalità della norma, che pure si poteva porre, e ho detto anche le ragioni per cui non intendevo proporla, sicuro com’ero e come sono che la provincia a cui appartengo non decreterà mai col voto la sua morte. Tuttavia, poiché da parte dell’onorevole Preti e anche dell’onorevole Bertone viene proposta la questione dell’incostituzionalità, dichiaro di ritenere incostituzionale la norma contenuta nel secondo comma dell’articolo 44.

Faccio notare che l’incostituzionalità si manifesta soprattutto nella parola «struttura», perché nel primo comma si parla di «attuale struttura di enti territoriali»; quindi per «struttura» si intende l’organizzazione stessa della provincia, come ente territoriale, cioè il fatto stesso che la provincia esista. Il cambiamento della struttura porterebbe dunque anche alla soppressione della provincia e comunque a mutarne l’organizzazione di ente territoriale. La parola «struttura» è la più pericolosa dei due commi e ne propongo la soppressione.

PRESIDENTE. Onorevole Ambrosini, la prego di esprimere il parere della Commissione su quanto ha detto l’onorevole Abozzi.

AMBROSINI, Relatore. L’eccezione di incostituzionalità, ripeto, non può proporsi, non solo per la ragione di sostanza alla quale ho accennato poc’anzi, ma anche e più dal punto di vista formale. L’eccezione di incostituzionalità potrà proporsi avverso la norma di legge votata dal Parlamento ordinario, dalla Camera e dal Senato, ma non contro una norma che è deliberata da questa Assemblea Costituente e per di più non per una qualsiasi legge, ma per una legge che è devoluta alla sua competenza costituzionale, giacché l’articolo 116 dice che gli Statuti speciali saranno adottati con legge costituzionale.

Ora, se nella sostanza siamo d’accordo – e l’onorevole Ministro dell’interno è stato d’accordo, giacché ha chiesto semplicemente la soppressione di una sola parola – se nella sostanza siamo d’accordo, credete, egregi colleghi, che nessun dubbio può sorgere dal punto di vista giuridico e formale, perché nessuno potrà mai impugnare quello che è stato deliberato da questa Assemblea nella sua funzione di Costituente, in base all’articolo 116, nell’adozione di questi Statuti speciali.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione.

PRETI. Chiedo che si voti per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 44:

«Le provincie di Cagliari, Nuoro e Sassari conservano l’attuale struttura di enti territoriali».

(È approvato).

Pongo in votazione le seguenti parole del secondo comma:

«Con legge regionale possono essere modificati la circoscrizione».

(Dopo prova e controprove sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«le funzioni».

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«e la struttura».

(Dopo prova e controprova, non sono approvate).

Pongo in votazione la restante parte dell’articolo:

«delle provincie in conformità alla volontà delle popolazioni di ciascuna delle provincia interessate espressa con referendum».

(È approvata).

Passiamo all’articolo 45. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, io pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 46. Se ne dia lettura:

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con legge istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni».

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 47. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il controllo sugli atti degli enti locali è esercitato da organi della Regione nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia coi principî delle leggi dello Stato».

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Onorevoli colleghi, voi sapete che io sono stato contrarissimo all’aberrazione delle Regioni e che l’ho combattuta come potevo. Voi sapete che io credo che le Regioni, insieme alla proporzionale, siano le due grandi forze di dissoluzione dello Stato italiano. Quindi non vi ripeterò quelle dichiarazioni, ma devo salvare la mia coscienza e la mia dignità.

Io non credo di votare nessun punto di queste disposizioni, pur convinto che la sola parte d’Italia, di cui si poteva discutere più di ogni altra, circa la convenienza di un largo sviluppo regionale è la Sardegna. Ora mi proponevo di tacere. Ma adesso mi trovo di fronte all’inverosimile, e devo salvare la mia coscienza e devo riservarmi per l’avvenire prossimo il diritto di combattere queste cose che noi facciamo e che hanno carattere soltanto provvisorio.

Noi non abbiamo la possibilità di mantenere le cose che discutiamo e approviamo. Discutiamo cose che non sono state né meno esaminate, perché presentate all’ultima ora. È il più grave è che, accettando lo Statuto per la Sardegna, saremo obbligati a votare per altre autonomie che sono ben più pesanti e pericolose. E tutto ciò senza né meno aver letto ciò che dobbiamo votare. Io vi prego di dire se ognuno di noi, non essendo prima informato, è in condizione di votare con sicurezza di animo questo Statuto e di disporre tutte le cose che dovremmo disporre. Vi prego, di fronte a questi sessanta articoli che sono stati presentati solo oggi, 28 gennaio, che io non conoscevo e che voi non conoscevate, vi prego di dire se voi siete in condizioni dopo una frettolosa seduta, di votarli. Vi prego di dire se questo procedimento tumultuoso vi rassicura; e che diranno quelli che verranno dopo di noi, di leggi votate e che agiscono sulla vita nazionale, senza che ce ne rendiamo conto!

Forse la mia debole intelligenza mi crea dei dubbi. Voi siete forse più esperti. Ditemi se avete capito ciò che dovremmo votare; ditemi se si possono votare leggi di questa natura, all’ultima ora, senza nemmeno averne prima preso visione: 60 articoli che sconvolgono tutta la vita e la struttura dello Stato, che creano poteri che non sono mai esistiti! Io vi prego di dirmi se voi credete alla possibilità che tutto ciò diventi realtà.

L’onorevole Einaudi ha oggi fatto una critica la più aspra che si potesse fare contro questo disegno di legge. Rinunziamo a tutti gli eufemismi! Questo disegno di legge, per i precedenti che crea, è un pericolo dal punto di vista finanziario, ma lo è più ancora dal punto di vista legislativo e politico! Noi sovvertiamo la concezione attuale dello Stato senza avere nemmeno meditato dieci minuti su tutte queste conseguenze!

LUSSU. Ma abbiamo discusso! Lei mi ha detto che aderiva allo Statuto sardo, aderiva all’autonomia in Sardegna in modo particolare!

NITTI. Permetta. Ripeto anche adesso che la Sardegna è la parte d’Italia che più aveva bisogno di larghezza di autonomia e che quindi per la Sardegna bisognava fare condizioni particolari. Ma dichiaro che non avevo conoscenza di questi speciali provvedimenti finanziari. Vi sono disposizioni che non posso accettare, formulate così come sono. Ma voi credete che noi votiamo cose di questa natura, che vanno considerate frase per frase, che impegnano tutta l’organizzazione dello Stato, e che noi possiamo far questo a cuor leggero?

L’onorevole Einaudi ha oggi pronunciato il più aspro discorso che io avevo udito in questa Assemblea contro questo disegno di legge, e il discorso dell’onorevole Einaudi non è materia di dubbio. Questo disegno di legge apre la via ad altre concessioni, e esteso ad altre Regioni aprirà un baratro finanziario! Noi siamo in condizione di non poterci concedere nessun lusso. La nostra condizione finanziaria non possiamo più negarla: si vive di debiti, e di debiti sotto la forma di continui aumenti di circolazione. Credete che ci possiamo concedere il lusso di abbondare e di largheggiare e che questo procedimento possa essere esteso a tutte le regioni? Quando si pensa che in Sardegna i pagamenti sono 10.833.000.000, nell’attuale esercizio, e la entrata è soltanto di 5.710.000.000

LUSSU. L’abbiamo esaminata dieci anni questa materia.

NETTI. Questo è il conto del Tesoro più recente.

LUSSU. Ma vi sono dentro persino le spese di guerra.

NITTI. Io voglio comunque dire che non posso accettare il metodo che si discuta improvvisamente, in poche ore fatti che modificano la struttura dello Stato e creano responsabilità finanziarie imprevedute. Io combatterò sempre contro questi metodi. Io sono modesta persona, solitario e fermo nelle mie convinzioni.

Io non vedevo l’urgenza di decidere ora di queste gravi questioni, all’ultima ora. Che male v’era se si rinviava questo argomento alla nuova Assemblea dopo aver constatato la realtà delle cose? Noi non possiamo discutere a fondo nulla in questa Assemblea disordinata. Qui agiamo per improvvisazione. Io devo supporre che tutti siano informati se si votano anche le cose presentate solo qualche ora prima e che si ignorano. Credo che voi siate tutti in condizione più fortunata di me. Vi prego dunque di concedermi di dire che io non voglio nessuna ipoteca mia sull’avvenire. Come mi credo libero per quello che abbiamo deciso per la forma di elezione del Senato, mi credo libero, nell’avvenire, di andare per la mia via, e di non essere vincolato in questa materia da ciò che ora facciamo. Sottoscrivo a tutte le cose che ha detto l’onorevole Einaudi. Egli ha detto però assai meno della realtà, perché la nostra situazione è tale per cui noi viviamo di continui aumenti della circolazione.

Vi prego di fermarvi e di non avere nessuna altra larghezza. Ciò che voi volete fare per la Sardegna dovrete fare domani per Regioni che costituiranno onere ben più gravi. Ammesso il criterio, dovrete estenderlo.

Già la lira va verso una situazione pericolosa.

L’onere che viene dalla Sardegna non mi preoccupa; mi preoccupa l’estensione che sarà inevitabile ad altre Regioni e mi preoccupa il metodo disordinato che si vuol seguire.

Dichiaro che per la Sardegna ho particolari motivi di simpatia. Ma non credo che il mondo cadrà se ciò che si suol fare oggi male si farà fra sei mesi, a ragion veduta, con metodo sicuro, quando ci potremo render conto della realtà.

Io non faccio nessuna proposta: ho voluto solo denunziare il pericolo, salvare la mia coscienza ed avvertire di fermarci in tempo su una via che è piena di pericoli.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 47, testé letto.

(È approvato).

Passiamo al Titolo VI: «Rapporti fra lo Stato e la Regione».

Poiché vi è la proposta di fondere in unico testo gli articoli 48 e 49 se ne dia lettura consecutivamente.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

Art. 48.

«Il Presidente della Giunta regionale rappresenta il Governo dello Stato.

«Egli interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri quando si trattino questioni che riguardano particolarmente la Regione».

Art. 49.

«Il Presidente della Giunta regionale dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati, ha proposto un testo unificato degli articoli 48 e 49, del seguente tenore:

«Il Presidente della Giunta regionale rappresenta la Regione e dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo.

«Egli interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattino questioni che riguardano particolarmente la Regione».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MORTATI. Il mio emendamento si propone di mettere in armonia fra loro, meglio di quanto non sembra sia fatto nel testo della Commissione, le norme che riguardano la rappresentanza dello Stato nella Regione. E quando parlo di armonia non voglio riferirmi solo ad una condizione formale, bensì all’esigenza di mettere in chiaro risalto i rapporti fra Stato centrale e Regione, in modo da evitare che, da così imprecisa loro formulazione, derivino interpretazioni suscettibili di condurre a conseguenze gravi. E una di tali conseguenze sembra sia stata dedotta dall’articolo 51, di cui discuteremo in appresso.

La mia proposta dunque tende ad eliminare la disarmonia di cui parlavo, che consiste nel creare nella Regione due rappresentanti del Governo. Infatti, se si mette il primo comma dell’articolo 48 a confronto con l’articolo 50, si trova che nella Regione il Governo dello Stato viene ad essere rappresentato due volte: una volta dal Presidente della Giunta regionale ed un’altra volta dal rappresentante del Governo.

Io non ho avuto la possibilità di ascoltare la relazione dell’onorevole Ambrosini; non so se questo dubbio sia stato da essa chiarito. Ma se ci si limita all’esame del testo, che ci è stato sottoposto, non pare si possa affermare che la disarmonia sia risolta pel fatto che all’articolo 50 si parla di sovraintendenza sulle funzioni amministrative dello Stato e che l’articolo precedente attiene ad una diversa rappresentanza di natura politica, sicché saremmo in presenza di due distinte attribuzioni: quelle politiche per le quali la rappresentanza risiede nel Presidente della Regione, e quelle di carattere amministrativo, per le quali la rappresentanza risiede nell’organo governativo.

Tale interpretazione non sarebbe esatta perché le funzioni politiche che sono tipicamente proprie dello Stato centrale non tollererebbero una rappresentanza da parte di un organo, che è estraneo all’organizzazione dello Stato, che viene scelto all’infuori di ogni volontà e di ogni consenso da parte dello Stato.

Non so come si possa concepire la rappresentanza per funzioni, che non sono proprie della Regione, né sono delegate dallo Stato.

Propongo perciò di eliminare ogni riferimento alla rappresentanza del Governo centrale nei riguardi del Presidente della Giunta regionale, cui quindi è da assegnare solo la funzione naturale di rappresentante della Regione, che amministra, ed inoltre di rappresentante dello Stato negli affari ad esso delegati dal Governo centrale.

Lo scopo del mio emendamento, che propone la fusione degli articoli 48 e 49, è perciò di precisare le funzioni del Presidente della Giunta regionale, chiarendo che egli può ritenersi rappresentante del Governo centrale, solo in quanto sia gestore delle funzioni ad esso delegate dallo Stato. Per il resto dell’articolo si conserva la formula originaria.

PRESIDENTE. La Commissione ha facoltà di esprimere il proprio parere sull’emendamento Mortati.

LUSSU. A nome della Commissione osservo che questo articolo è stato uno dei più minutamente discussi dalla Commissione degli undici prima ed in seguito dalla Commissione dei diciotto; e siamo arrivati, sia prima che dopo, alle stesse conclusioni.

L’articolo 48 è stato considerato dalla Commissione come uno dei più importanti ed è con piena coscienza, nel significato che a questa espressione viene attribuito, che la Commissione ha approvato questo articolo.

Si potrebbe discutere in teoria, ma in pratica l’Assemblea non può dimenticare che la Sardegna ha avuto un regime straordinario, attraverso l’Alto Commissario. L’Isola ha avuto sin dal 1943 l’Alto Commissario, il quale rappresenta e lo Stato e la Regione.

È impossibile concepire per domani il Presidente della Giunta regionale sarda, il quale possa essere qualcosa di meno dell’Alto Commissario; altrove si può discutere, ma per la Sardegna sarebbe addirittura un’assurdità, non dico giuridica, ma certamente politica.

Se si entrasse in questo ordine di idee espresso dalle critiche mosse dall’onorevole Mortati, evidentemente il prestigio del futuro Presidente della Giunta regionale sarebbe estremamente menomato.

Per queste ragioni, pertanto, mi pare che si tratta del massimo rappresentante dell’Isola. D’altronde, ricordo che per la Sicilia, all’articolo 21, secondo comma, è usata la stessa espressione, evidentemente per le stesse considerazioni, poiché anche la Sicilia ha avuto un Alto Commissario che peraltro non era, come per la Sardegna, un generale, ma un civile. Da noi è stato un generale, il quale ha creato dei precedenti, di cui, evidentemente, non possiamo non tener conto. Perciò la Commissione ha adoperato lo stesso sistema e la stessa dizione per la Val d’Aosta. Infatti con il decreto luogotenenziale legislativo del 7 settembre 1945 il Presidente della Regione (così si chiamava allora) aveva la qualità di prefetto, come se fosse un prefetto. Oggi sarà una specie di prefetto elettivo, il quale rappresenta e la Regione e lo Stato.

Per queste ragioni non si può distruggere quanto è stato già compiuto, e che ha già creato una attuazione e una tradizione che noi crediamo indispensabile rispettare anche oggi. La stessa definizione è infatti nell’articolo 51 del progetto che avremo l’onore di presentare domani, per la Val d’Aosta.

V’è una sola obiezione, di carattere formale, più che altro, che è stata avanzata dal Presidente del Consiglio stamani. Infatti si adopera, nell’articolo 48, questa espressione: «Il Presidente della Giunta regionale rappresenta il Governo dello Stato». Ora, si trova nello stesso titolo VI un altro rappresentante, quello del Governo, all’articolo 50, che potrebbe fare da contraltare al primo rappresentante, che è il Presidente della Giunta regionale. Due rappresentanti, evidentemente non stanno. Ed allora noi siamo perfettamente disposti ad accedere alle modifiche della dizione dell’articolo 50 in cui è detto: «un rappresentante». Chiamiamolo: «delegato» e, se proprio fosse necessario, chiamiamolo magari: «commissario». Ma preferisco: «delegato». Accediamo a questa modificazione e con questo la Commissione crede che le difficoltà possano essere risolte.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi rendo conto della necessità di affrettare i lavori, ma questo non è un punto qualsiasi, è un punto di fondamentale importanza. Desidero suffragare la tesi dell’onorevole Lussu e metterla in rilievo dinanzi all’Assemblea, perché vorrei che l’Assemblea si rendesse conto di questo che attorno a codesta questione ruota tutta la concezione autonomistica.

Si tratta di vedere se concediamo le autonomie regionali, concependo le regioni che sorgono come parti contrapposte al vecchio Stato centralizzato e burocratico o creiamo le autonomie regionali, per porle a base di una nuova concezione democratica dello Stato.

Si tratta di vedere se si vuol fondare su questa nuova concezione democratica l’unità politica dello Stato.

Noi poniamo infatti, proprio per un motivo unitario, l’esigenza che il rappresentante della Regione sia anche rappresentante dello Stato, in quanto attraverso questa doppia investitura nella persona del Presidente della Regione si assommano le responsabilità e si contempera il rispetto degli interessi regionali con quelli nazionali. Credo che i motivi, puramente formali, che hanno indotto l’onorevole Mortati a presentare questo emendamento, non possano prevalere su questa esigenza. Se si tiene realmente a che non si verifichino conflitti fra Stato e Regione e che si stabilisca un’atmosfera psicologica in Sardegna profondamente unitaria, è necessario che la Regione non sia vista come qualche cosa di contrapposto allo Stato, ma che nell’organo massimo della Regione si sommino queste due rappresentanze dello Stato unitario e della Regione. Noi escludiamo che vi possa essere una contrapposizione di interessi fra Stato e Regione, e attraverso questa figura del capo della Regione che assomma l’una e l’altra rappresentanza, noi crediamo di rendere simbolicamente, ed anche in maniera più concreta, questa unità fra Regione e Stato, almeno per quanto riguarda la materia esecutiva.

Per tutte queste ragioni, noi invitiamo l’Assemblea a votare in questo senso e ad approvare questo principio nuovo che darà nuova base all’ordinamento dello Stato italiano.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. L’onorevole Laconi ha veramente accentuato la questione dicendo che è molto importante. Effettivamente, è una questione importante, perché l’onorevole Mortati, riunendo gli articoli 48 e 49, ha ben precisato quali sono le attribuzioni del presidente della Giunta regionale e quali quelle del rappresentante del Governo, inquantoché – e su questo siamo tutti d’accordo – la Regione è un ente per conto suo, a sé stante, distinto dallo Stato, pur facendo parte dello Stato in generale, ma con sue attribuzioni e con attribuzioni delegate dai Governo. Rappresenta il Governo per la parte delegata, ma non può essere rappresentante del Governo in generale per tutte le questioni, inquantoché non assomma tutte le funzioni che il Governo esercita nelle Regioni. Infatti, l’articolo successivo, come diceva l’onorevole Mortati, stabilisce che un rappresentante del Governo sovraintende alle funzioni amministrative dello Stato non delegate e le coordina con quelle esercitate dalla Regione. Quindi, non si può dire che la Regione sostituisce lo Stato in tutto. D’altra parte, ciò non avviene nemmeno negli Stati federali che rappresentano le forme più decentrate possibili. Non si può dire che il capo dello Stato federale è anche il rappresentante dello Stato centrale. Sono due cose diverse. Ora, la Regione è qualcosa di meno dello Stato federale. È un ente amministrativo, politico, giuridico, ma è sempre subordinato alla legge dello Stato.

La formula Mortati è la più esatta. Non v’è dubbio che il presidente della Regione rappresenta il Governo e lo rappresenta nelle condizioni e nell’esercizio di funzioni delegate. Quindi, mi pare che quando noi dicessimo che il presidente della Giunta regionale rappresenta la Regione e dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, mi pare che ciò più esattamente corrisponderebbe alla realtà. Inoltre, il presidente interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattino questioni che riguardano particolarmente la Regione. E questo è logico, ed è anche logico che egli intervenga con voto consultivo.

Io pregherei l’onorevole Lussu di accedere alla proposta Mortati, che chiarisce bene, tecnicamente, la questione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Su questa questione delicata io parlo anche a nome della Commissione, perché – debbo ripeterlo ancora una volta – questo è stato uno degli articoli più lungamente e minuziosamente discusso.

In coscienza, io credo che nessuno dei rappresentanti sardi possa accettare questo emendamento Mortati, ed io pregherei l’onorevole collega Mortati di ritirarlo. Come pure pregherei l’onorevole Ministro della giustizia, di cui apprezziamo l’esposizione critica, ma di cui per altro non possiamo accettare le conclusioni, di non insistere nella sua posizione ostile. Perché noi riteniamo che, se si aderisse all’emendamento Mortati, la figura del futuro Presidente della Giunta regionale sarebbe totalmente avvilita. Che cosa è il Presidente della Giunta regionale in Sardegna? Che cosa sarà domani? Domani sarà un Alto commissario elettivo (non può essere altro). Altrove può istituirsi in altra forma questo rappresentante, ma in Sardegna non è possibile: egli deve inevitabilmente avere l’aspetto, le funzioni e la potestà dell’Alto commissario. E sarà elettivo: quindi investito, anche dalla base, di questa sua ampia funzione rappresentativa regionale e statale.

Se così non fosse, io credo che lo statuto sardo riceverebbe un colpo estremamente grave. Io ricordo quello che già è stato fatto precedentemente per due altre regioni. Questa è una questione fondamentale ed io credo che il Governo debba sentire la necessità di una assoluta concordanza fra il rappresentante della regione ed il Governo centrale; non solo, ma che è necessario dare a questa figura di Presidente della Giunta regionale di domani una investitura, altissima, popolare e statale; e soprattutto bisogna che egli senta, e che il Governo senta, che questa funzione nuova nell’organizzazione autonomistica è lealtà nel legare la Regione allo Stato, lealtà nel rappresentare gli interessi dello Stato nella Regione.

Io faccio particolarmente appello al Presidente del Consiglio su questa questione che non si colpisca questa alta figura rappresentativa che noi, per altro, abbiamo avuto senza interruzione per quasi cinque anni.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Mi sembra opportuno, nel momento in cui si dovrà decidere se il presidente della Giunta regionale rappresenti oppur no anche lo Stato, mettere in evidenza il motivo che la Consulta regionale sarda indicava a giustificazione di questa richiesta. Si legge nella relazione che accompagna la presentazione del progetto quanto segue:

«Al mantenimento di una più coerente e non soltanto formale unità si ispira anche il complesso delle disposizioni che riguardano il presidente della Regione. Per la duplice responsabilità che gli deriva dalla duplice funzione demandatagli dallo Statuto, il presidente della regione dovrà e potrà meglio comporre gli eventuali, seppure in realtà solo apparenti, contrasti fra gli interessi dell’Isola e quelli dello Stato».

Io ho creduto di dover sottolineare il significato speciale che assumono in questo momento le parole con le quali la Consulta regionale accompagnò la presentazione del progetto, poiché il concetto che ispira noi nell’insistere nella richiesta che questo articolo 48 sia approvato è conforme a quello già indicato dalla Consulta: il proposito, vale a dire, di ristabilire non una unità solo formale, ma effettiva fra la Regione e lo Stato.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, conserva la sua proposta?

MORTATI. Sì, la conservo osservando che gli onorevoli Lussu e Laconi hanno parlato della novità del rapporto che verrebbe ad istituirsi fra Stato e Regione in virtù dell’articolo 48 proposto dalla Commissione, ma non hanno saputo spiegarci in qual modo esso si concreti e quale significato assuma nel .quadro dell’organizzazione generale dello Stato.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Dato il numero veramente esiguo, estremamente esiguo, di deputati presenti, propongo che gli articoli 48, 49, 50 e 51, che costituiscono lo stesso problema, siano rinviati a dopo che si sarà discusso lo Statuto siciliano. Così l’Assemblea avrà un’idea esatta della situazione; tanto più che abbiamo accantonato la questione finanziaria e non si perde del tempo, perché possiamo continuare senz’altro dall’articolo 52 in poi. (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sulla proposta Lussu.

AMBROSINI, Relatore. Chiedo venia all’Assemblea e all’onorevole Lussu, ma io ritengo che la sua proposta, invece di semplificare, possa complicare la situazione. Quindi io vorrei proprio pregare, e oserei dire qualche cosa di più che pregare, lui e i colleghi sardi di non insistere su questa proposta. Loro sanno che io mi sono battuto per travasare nello Statuto sardo tutte le disposizioni…

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. «Travaso delle idee!». (Si ride).

AMBROSINI, Relatore. Eh sì, le idee qualche volta si pigliano e si travasano quando v’è un fine supremo da raggiungere, come quello di mettere nella stessa situazione le due Isole sorelle.

Quindi, io ho fatto di tutto per agevolare i colleghi sardi, per travasare nel loro Statuto quelle disposizioni dello Statuto siciliano che essi volevano. Ma oggi, proporre di sospendere la discussione e la votazione su questo punto centrale, io credo che non varrebbe affatto ad agevolare la distensione e la comprensione generale, e porterebbe invece una certa disarmonia in quello che è lo svolgimento dei nostri lavori.

Io, naturalmente, parlo a titolo personale, ma credo di essere autorizzato a parlare a nome dei colleghi siciliani, dichiarando che noi voteremo per tutte le disposizioni che voi avete richiesto e che la Commissione ha inserito nello Statuto. Quindi, prego l’onorevole Lussu e i colleghi sardi di voler tener conto di queste considerazioni e di arrivare a quella soluzione che è più conforme agli interessi generali.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, insiste nella sua proposta?

LUSSU. Insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Lussu propone che si sospenda temporaneamente l’esame degli articoli 48, 49, 50 e 51, in attesa che sia votato lo Statuto siciliano.

Pongo in votazione questa proposta.

(Non è approvata).

Riprendiamo l’esame della proposta dell’onorevole Mortati di unificare gli articoli 48 e 49.

L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI, Relatore. Per dovere di coerenza, siccome è stato questo uno degli articoli più torturati da parte della Commissione, devo ripetere, che, tutto valutato, la Commissione all’unanimità è arrivata alla conclusione di approvare il testo proposto dalla Consulta sarda e patrocinato dai colleghi sardi.

Si capisce che la rappresentanza, oltre che della Regione, anche del Governo, se può causare una disarmonia formale, sostanzialmente rappresenta un sistema che può accettarsi, in quanto tale rappresentanza è limitata alle materie, cioè alle funzioni che sono delegate all’Amministrazione regionale. E questa rappresentanza è temperata dalla disposizione dell’articolo 49, perché la rappresentanza è generica, ma nell’esercizio della funzione il presidente della Regione, che, per queste altre funzioni delegate, rappresenta il Governo, deve conformarsi alle istruzioni del Governo medesimo.

Tenendo conto di questa viva istanza, di questa condizione pressante che ci perviene dai colleghi sardi, mi permetto, giacché la Commissione l’ha già votato unanimemente, di pregare l’Assemblea di votare il testo proposto che l’esperienza avvenire potrà anche consigliare di modificare.

PRESIDENTE. Voteremo per divisione. Pongo in votazione la prima parte della formulazione proposta dall’onorevole Mortati:

«Il Presidente della Giunta regionale rappresenta la Regione».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Pongo in votazione la restante parte dell’emendamento:

«e dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo.

«Egli interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattino questioni che riguardano particolarmente la Regione».

(È approvata).

Passiamo all’articolo 50. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Un rappresentante del Governo sovraintende alle funzioni amministrative dello Stato non delegate e le coordina con quelle esercitate dalla Regione».

PRESIDENTE A questo articolo non sono stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 51. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Giunta regionale, nella sua qualità di rappresentante del Governo, provvede alla tutela dell’ordine pubblico e sovraintende alla sicurezza pubblica, dispone della polizia di Stato e può richiedere l’impiego delle Forze armate.

«Il Governo della Repubblica può, in via temporanea, esercitare direttamente tali funzioni».

PRESIDENTE. Il Ministro dell’interno ha proposto di sopprimere il secondo comma. L’onorevole Scelba ha facoltà di illustrare questa proposta.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’articolo 51 dice: «Il presidente della Giunta regionale, nella sua qualità di rappresentante del Governo».

Quindi, le funzioni in materia di ordine pubblico sono esercitate dal presidente nella sua qualità di rappresentante del Governo. I compiti specifici indicati nel primo comma dell’articolo 51 sono esattamente quelli demandati ai prefetti: non v’è nulla di più e di più importante di quello che è il compito dei prefetti nella nostra attuale legislazione.

Appunto perché rappresentante della Regione, la disposizione del secondo comma – in cui si dice che il Governo della Repubblica può, in via temporanea, esercitare tali funzioni – potrebbe creare una situazione diversa; potrebbe cioè dare al presidente della Regione (secondo questo comma) l’autorità che deriva da un diritto proprio all’esercizio delle funzioni rispetto all’ordine pubblico.

Noi riteniamo che, appunto perché «rappresentante del Governo», non può andare, nelle funzioni in materia, oltre quelle che sono le direttive del Governo. Cioè il Governo ha in ogni momento il potere di intervenire in materia di ordine pubblico; non solo in periodi eccezionali, ma anche in periodi ordinari, il Governo ha la possibilità e il dovere di esercitare e di intervenire in materia di ordine pubblico, sia aiutando e sostenendo l’azione del rappresentante del Governo nella Regione, sia con quelle altre misure che riterrà opportuno di adottare.

L’emendamento soppressivo quindi va inteso in questo senso: non che il Governo rinunci a interventi diretti, ma questa possibilità di intervento diretto è permanente e stabile perché il presidente della Regione è sottoposto, in questa sua specifica funzione, alle istruzioni e direttive del Governo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Abozzi, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Governo della Repubblica provvede alla tutela dell’ordine pubblico.

«Il Presidente della Giunta regionale, per delega del Governo della Repubblica, può in via temporanea esercitare tale funzione».

Ha facoltà di svolgerlo.

ABOZZI. Rinuncio a svolgerlo perché è evidente. Credo che lo Stato non possa mai abbandonare quella che è una delle sue principali funzioni: la difesa dell’ordine pubblico.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Governo della Repubblica può delegare alla Regione le funzioni di tutela dell’ordine pubblico. Queste saranno esercitate, nell’ambito delle direttive fissate dal Governo, dal Presidente della Giunta regionale, che, a tale scopo, potrà richiedere l’impiego delle Forze armate».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Ritengo che la formulazione di questo articolo quale è proposta dalla Commissione sia una delle meno felici perché, mentre il primo comma afferma che il Presidente della Giunta regionale esercita questa funzione come delegato del Governo, il secondo comma farebbe pensare al contrario, cioè come ad una attribuzione di competenza data alla Regione come sua propria e che possa essere solo eccezionalmente riassorbita dallo Stato. Allo scopo di eliminare tale incongruenza, io insisto nel mio emendamento. Il presidente della Giunta regionale non è, per il solo fatto di essere rappresentante del Governo, investito di queste funzioni: può esserne incaricato, ma di volta in volta.

Quindi è necessario far scomparire ogni menzione di rappresentante del Governo, che qui è fuori posto, e che, in ogni caso, è superata dalle precedenti votazioni, e di formulare l’articolo nel modo che io propongo, atto a mettere in rilievo il carattere di funzione delegata, che viene, espressamente, e di volta in volta, attribuita al presidente della Giunta regionale per la tutela dell’ordine pubblico.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Dato lo scarso numero dei presenti e l’importanza dell’argomento, credo che si debba rimandare a domani mattina, non dico la continuazione dei lavori, ma per lo meno il voto su questo articolo.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino, poco fa ho sottoposto all’Assemblea, su richiesta dell’onorevole Lussu, una proposta analoga e l’Assemblea non l’ha accolta.

MASTINO PIETRO. Desidero giustificare la mia richiesta, che mi pare possa sussistere, nonostante il voto precedente dell’Assemblea, che ha rigettato la proposta Lussu, in quanto questa tendeva a rimandare la votazione a un determinato articolo a quando si fosse proceduto alla votazione sullo Statuto siciliano, mentre la mia proposta, sulla quale insisto, tende solo a far sì che la votazione avvenga con la presenza di un maggior numero di deputati.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione la proposta Mastino di rinviare la votazione su questo articolo alla seduta antimeridiana di domani, salvo a continuare oggi l’esame degli altri articoli.

(Non è approvata).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Noi abbiamo votato all’articolo 48 la formula: «Il Presidente della Giunta regionale rappresenta la Regione»; ed all’articolo 36: «Il Presidente della Giunta regionale è rappresentante della Regione autonoma della Sardegna»; bisognerà coordinare.

PRESIDENTE. Si è già detto.

CEVOLOTTO. Sì, ma occorre anche, in sede di coordinamento, sostituire nell’articolo 51 alle parole: «nella sua qualità di rappresentante del Governo» le altre: «quale rappresentante del Governo».

PRESIDENTE. Si vedrà in sede di coordinamento. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati all’articolo 51.

AMBROSINI, Relatore. Stamane ho esposto all’Assemblea la delicatezza e l’estrema difficoltà, di fronte alle quali si è trovata la Commissione per arrivare ad una decisione; ed ho prospettato le ragioni che indussero la Commissione ad approvare ad unanimità questo testo.

Non sono autorizzato a cambiare nessuna delle dichiarazioni fatte stamani; per ragioni di coerenza, dato che questa formula è consacrata nello Statuto siciliano, devo manifestare all’Assemblea il desiderio che il testo sia mantenuto così come è stato proposto.

Indubbiamente, le osservazioni del Ministro dell’interno sono apprezzabili; ma con la sua proposta egli non inficia il contenuto del comma primo dell’articolo 51; arriveremmo soltanto ad una maggiore chiarificazione del sistema. Senonché non ritengo, data la pregiudiziale che onestamente e chiaramente ho varie volte ed anche or ora riaffermata, di potere accedere alla di lui proposta.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono. Onorevole Abozzi, mantiene il suo emendamento?

ABOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati?

MORTATI. Insisto.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione l’emendamento Abozzi, del quale ho già dato lettura.

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’emendamento Mortati testé letto.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

In seguito a questa votazione il secondo comma del testo del progetto è assorbito.

Passiamo all’articolo 52. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale può essere sciolto quando compia atti contrari alla Costituzione o al presente statuto o gravi violazioni di legge o quando, nonostante la segnalazione fatta dal Governo della Repubblica, non proceda alla sostituzione della Giunta regionale o del Presidente che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni.

«Può essere sciolto anche quando, per dimissioni od altra causa, non sia in grado di funzionare.

«Può essere altresì sciolto per ragioni di sicurezza nazionale.

«Lo scioglimento è disposto con decreto motivato dal Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali.

«Col decreto di scioglimento è nominata una Commissione di tre cittadini eleggibili al Consiglio regionale, che provvede all’ordinaria amministrazione di competenza della Giunta ed agli atti improrogabili, da sottoporre alla ratifica del nuovo Consiglio. Essa indice le elezioni, che debbono aver luogo entro tre mesi dallo scioglimento.

«Il nuovo Consiglio è convocato dalla Commissione entro venti giorni dalle elezioni».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo:

«Alla fine del primo comma, aggiungere le parole seguenti: o quando quest’ultimo non ottemperi, nell’esercizio delle funzioni delegate, alle direttive del Governo della Repubblica».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Credo di potere affermare che l’emendamento ha più che altro il valore di una specificazione in quanto a mio avviso il caso previsto dovrebbe ritenersi implicitamente contenuto nella dizione delle gravi violazioni di legge che, compiute dal Presidente, non abbiano provocato il provvedimento della sua sostituzione ad opera del Consiglio. È per motivi di chiarezza che ho proposto questa aggiunta che quindi mi pare possa essere votata, senza preoccupazione che risulti eccessivamente restrittiva dell’autonomia degli organi regionali.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

AMBROSINI, Relatore. Si tratta di una precisazione, ma la Commissione preferisce attenersi al proprio testo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 52, del quale do nuovamente lettura:

«Il Consiglio regionale può essere sciolto quando compia atti contrari alla Costituzione o al presente Statuto o gravi violazioni di legge o quando, nonostante la segnalazione fatta dal Governo della Repubblica, non proceda alla sostituzione della Giunta regionale o del Presidente che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento Mortati tendente ad aggiungere al comma testé approvato le seguenti parole:

«o quando quest’ultimo non ottemperi, nell’esercizio delle funzioni delegate, alle direttive del Governo della Repubblica».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Pongo in votazione gli altri cinque commi dell’articolo 52, di cui è stata data poco fa lettura e ai quali non sono stati proposti emendamenti.

(Sono approvati).

Passiamo all’articolo 53. Sé ne dia lettura nel nuovo testo presentato dalla Commissione.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio regionale può presentare alle Camere voti e proposte di legge su materie che interessano la Regione.

«La Giunta regionale, quando constati che l’applicazione di una legge o di un provvedimento dello Stato in materia economica o finanziaria risulti manifestamente dannosa all’Isola, può chiederne la sospensione al Governo della Repubblica, il quale, constatata la necessità e l’urgenza, può provvedervi, ove occorra, a norma dell’articolo 77 della Costituzione».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’ultima parte del secondo camma, con la seguente: il quale, ove constati che si verifichi un caso di straordinaria necessità ed urgenza, ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione, vi procede con le forme e i limiti dell’articolo stesso».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Questo mio emendamento ha un semplice scopo di chiarimento formale perché nel testo della Commissione si parla di «necessità ed urgenza» come condizione per l’applicazione della sospensione della legge dello Stato, ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione, mentre quest’ultimo articolo esige una «straordinaria necessità ed urgenza». Non vorrei che la diversa dizione potesse far sorgere l’opinione che il requisito che condiziona l’esercizio della decretazione di urgenza nel caso in esame sia diverso da quello posto dall’articolo 77 della Costituzione, e che quindi si voglia dar vita ad un nuovo tipo di decreto-legge. Mi pare che sia necessario ricondurre questa formula in quella generale dell’articolo 77.

Se ciò corrisponde alle intenzioni della Commissione, mi pare che non vi dovrebbero essere difficoltà ad accogliere il mio emendamento; se poi la Commissione non ha avuto queste intenzioni, allora io dovrei esprimere parere dissenziente, perché non sarebbe possibile creare un nuovo caso di decretazione di urgenza.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Bisogna riconoscere che si tratta di un argomento assai grave. Però, nelle forme limitate nelle quali la Commissione lo ha presentato, io credo che si possa accettare il nuovo testo dell’articolo 53, avuto sempre presente che devono ricorrere gli estremi della necessità e dell’urgenza. Il Governo non può sospendere una legge; occorre un atto avente valore di legge, il quale può essere adottato dal Governo esclusivamente in forza dell’articolo 77 della Costituzione, mercé l’istituto della decretazione d’urgenza.

AMBROSINI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI, Relatore. Io credo che la dizione dell’articolo, così come è proposta dalla Commissione, sia chiarissima. Ad ogni modo, ad evitare ogni equivoco, la Commissione non si oppone a che la formula possa integrarsi dicendo, anziché: «constatata la necessità e l’urgenza», «constatata la straordinaria necessità ed urgenza».

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Mi pare che si pretenda una formulazione così eccessiva che non dovrebbe essere accolta. Già la Commissione ha fatto riferimento all’articolo 77 della Costituzione, e col farvi riferimento ha esplicitamente richiamato tutti gli estremi indicati in quell’articolo. Questo dovrebbe essere evidente. Quell’articolo parla però di casi straordinari e non di necessità straordinarie.

Mi pare opportuno rilevare sotto il punto di vista della esattezza della formulazione della legge che se si può parlare di casi che sono straordinari non sia opportuno parlare di «necessità straordinaria». Il giudizio deve riferirsi a casi concreti com’è detto nell’articolo 77. Sono quindi favorevole alla formulazione della Commissione senza l’aggiunta dell’aggettivo «straordinaria».

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Sarei dell’opinione che sia più conveniente e prudente sopprimere senz’altro il capoverso; perché è cosa che capita continuamente che una legge si manifesti in un determinato momento ineseguibile e inapplicabile. Ad esempio non vi è legge che possa prevedere una grandinata che rovini tutto il raccolto di una Regione. In considerazione dei danni subiti, il Governo potrà stabilire che una legge in vigore sia sospesa temporaneamente per quella determinata zona.

L’applicazione dell’imposta patrimoniale, ad esempio, è stata rimandata due volte, perché il Governo ha constatato che non v’era la possibilità – per cause gravi verificatesi – di applicarla. Perciò, se il Governo farà una legge che la Regione riterrà inapplicabile o dannosa, la Regione avrà possibilità di fare un ricorso, e se apparirà che la legge sia inapplicabile o dannosa alla Regione non è dubbio che il Governo troverà modo di sospenderla. Propongo pertanto la soppressione del secondo comma.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Altro è che ciò si verifichi nella pratica altro che il diritto venga riconosciuto da una legge in modo che nessuno possa opporsi al suo esercizio.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, conserva il suo emendamento?

MORTATI. Non vorrei apparire pedante se insisto nella mia dizione, ma mi pare che in essa sia eliminata ogni possibilità di equivoco, in quanto l’urgenza è riferita all’ipotesi dell’articolo 77 e sono inoltre richiamati le forme e i limiti dell’esercizio della competenza straordinaria del Governo per la decretazione di urgenza. Devo poi rilevare un errore di stampa nella riproduzione del mio emendamento. Deve infatti leggersi «un caso straordinario di necessità e di urgenza», e non «un caso di straordinaria necessità ed urgenza».

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 53, al quale non sono stati presentati emendamenti e che rileggo:

«Il Consiglio regionale può presentare alle Camere voti e proposte di legge su materie che interessano la Regione».

(È approvato).

Pongo in votazione la proposta Bertone, per la soppressione del secondo comma.

(Non è approvata).

Pongo in votazione la prima parte del secondo comma, alla quale non sono stati proposti emendamenti modificativi:

«La Giunta regionale, quando constati che l’applicazione di una legge o di un provvedimento dello Stato in materia economica o finanziaria risulti manifestamente dannosa all’Isola, può chiederne la sospensione al Governo della Repubblica».

(È approvata).

Pongo ora in votazione la formulazione sostitutiva dell’onorevole Mortati:

«il quale, ove constati che si verifichi un caso straordinario di necessità e di urgenza, ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione, vi procede con le forme e i limiti dell’articolo stesso».

(Non è approvata).

Onorevole Mastino Pietro, insiste ella nella sua proposta contraria all’inclusione dell’aggettivo «straordinaria»?

MASTINO PIETRO. Sì, signor Presidente.

FABBRI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Relatore. La Commissione propone la formula: «constatato un caso straordinario di necessità e di urgenza», adeguandosi in tal modo all’articolo 77 della Costituzione.

Questa dizione è solo in parte simile a quella proposta dall’onorevole Mortati, della quale sono escluse le parole: «vi procede con le forme e i limiti dell’articolo stesso».

PRESIDENTE. Onorevole Pietro Mastino, accetta ella che sia indicato l’aggettivo «straordinario» non più nella forma primitiva ma in quella ripresa dall’articolo 77 della Costituzione, riferito cioè alla parola «caso»?

MASTINO PIETRO. Mantengo la formulazione della Commissione, senza l’aggettivo «straordinario».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ultima parte del secondo comma dell’articolo 53 nella formulazione proposta dall’onorevole Pietro Mastino:

«il quale, constatata la necessità e l’urgenza, può provvedervi, ove occorra, a norma dell’articolo 77 della Costituzione.

(È approvata).

Passiamo all’articolo 54. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Regione è rappresentata nella elaborazione dei progetti dei trattati di commercio che il Governo intenda stipulare con Stati esteri in quanto riguardino scambi di specifico interesse della Sardegna.

«La Regione è sentita in materia di legislazione doganale per quanto concerne i prodotti tipici di suo specifico interesse».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Si dia lettura dell’articolo 55.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«La Regione è rappresentata nella elaborazione delle tariffe ferroviarie e della regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interessarla».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo VII: «Revisione dello Statuto». Si dia lettura dell’articolo 56.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«L’iniziativa di modificazione del presente Statuto può essere esercitata dal Consiglio regionale con l’approvazione popolare per referendum.

«I progetti di modificazione del presente Statuto di iniziativa governativa o parlamentare sono comunicati dal Governo della Repubblica al Consiglio regionale, che esprime il suo parere entro un mese.

«Qualora un progetto di modifica sia stato approvato in prima deliberazione da una delle Camere ed il parere del Consiglio regionale sia contrario, il Presidente della Giunta regionale può indire un referendum consultivo prima del compimento del termine previsto dalla Costituzione per la seconda deliberazione.

«Le disposizioni del Titolo III del presente Statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta della Regione.

«Le disposizioni concernenti le materie indicate nell’articolo 123 della Costituzione della Repubblica possono essere modificate con le forme prevedute nello stesso articolo».

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La proposta di modifica del presente statuto può essere fatta dal Consiglio regionale e da almeno ventimila elettori e non potrà avere corso se non con l’approvazione popolare per referendum.

Ha facoltà di svolgerlo.

MANNIRONI. In sostanza io mi sono preoccupato di stabilire che l’iniziativa della proposta di modificazione dello statuto regionale possa appartenere non soltanto al Consiglio regionale ma anche a una parte degli elettori, sempre a condizione che la proposta (sia del Consiglio, sia di una parte degli elettori) venga approvata con referendum popolare.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

AMBROSINI, Relatore. La Commissione mantiene il suo testo.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Chiedo che la formulazione Mannironi sia posta ai voti per divisione, distinguendosi la proposta del Consiglio regionale e degli elettori dal referendum.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che v’è differenza fra «proposta» o «iniziativa». L’iniziativa apre una procedura e la inizia necessariamente; mentre la semplice «proposta» (presso il Governo) può essere accettata o respinta. C’è dunque differenza. L’iniziativa ha un determinato significato, comune nella nostra legislazione, mentre non ha lo stesso significato la proposta. Pregherei quindi l’onorevole Mannironi di mantenere la parola «iniziativa» e di sostituire di conseguenza «fatta» con «esercitata».

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, accetta queste modificazioni al suo emendamento?

MANNIRONI. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte della formulazione Mannironi-Laconi:

«L’iniziativa di modificazione del presente statuto può essere esercitata dal Consiglio regionale o da almeno ventimila elettori».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte:

«e non potrà avere corso se non con l’approvazione popolare per referendum».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione il secondo e il terzo comma dell’articolo 56, ai quali non sono stati proposti emendamenti, e di cui do nuovamente lettura:

«I progetti di modificazione del presente Statuto di iniziativa governativa o parlamentare sono comunicati dal Governo della Repubblica al Consiglio regionale, che esprime il suo parere entro un mese.

«Qualora un progetto di modifica sia stato approvato in prima deliberazione da una delle Camere ed il parere del Consiglio regionale sia contrario, il Presidente della Giunta regionale può indire un referendum consultivo prima del compimento del termine previsto dalla Costituzione per la seconda deliberazione».

(Sono approvati).

Il comma successivo, che si richiama al Titolo III, già rinviato a domani, deve a sua volta essere rinviato. Se non vi sono obiezioni, così resta inteso.

(Così rimane stabilito).

Pongo in votazione l’ultimo comma, al quale non sono stati proposti emendamenti:

«Le disposizioni concernenti le materie indicate nell’articolo 123 della Costituzione della Repubblica possono essere modificate con le forme prevedute nello stesso articolo».

(È approvato).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi dispiace ritornare indietro, ma il primo comma dell’articolo 56 non è chiaro. Gradirei che il Presidente della Commissione ne desse una interpretazione in modo che non possano sorgere dubbi.

È evidente che l’iniziativa per la revisione dello statuto viene esercitata presso le Camere; soltanto esse con legge costituzionale possono apportare modificazioni allo statuto. Comprenderei che l’iniziativa venisse dal Consiglio regionale; ma quale senso ha il fatto che ventimila elettori, cioè una parte insignificante del corpo elettorale sardo, a un determinato momento prendano l’iniziativa presso le Camere? O stabiliamo che poi le Camere, in seguito a questa iniziativa, devono consultare la popolazione, perché si esprima con referendum, o stabiliamo che questo referendum è automatico, appena sorge l’iniziativa dei ventimila elettori. Si potrebbe rimettere la questione alla Commissione, perché la esamini e riferisca domani presentando le sue proposte.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

AMBROSINI, Relatore. Posso rispondere subito. Il testo proposto dalla Commissione era chiarissimo. L’emendamento aggiuntivo presentato dall’onorevole Mannironi ha apportato qualche equivoco. Il testo della Commissione diceva, salvo la modifica di qualche parola: «L’iniziativa di modificazione del presente Statuto può essere esercitata dal Consiglio regionale». Si è aggiunto: «o da ventimila elettori».

La Commissione, appunto per le ragioni esposte dall’onorevole Laconi, riteneva che fosse necessario un altro requisito: l’approvazione popolare per referendum. È stata chiesta la votazione per divisione; l’Assemblea ha approvato la prima parte. Noi, Commissione, abbiamo votato per il testo «con l’approvazione popolare per referendum», perché ci rendevamo conto che è cosa molto grave mettere in moto un procedimento di revisione, semplicemente perché ventimila elettori ne fanno proposta.

Il testo votato è chiarissimo; non c’è incongruenza. Se l’Assemblea ritiene di ritornare sulla propria deliberazione per integrare il testo del primo comma, già votato, naturalmente non sarà la Commissione ad opporsi, perché essa aveva integrato quella prima parte con l’ultima, aggiungendo «con l’approvazione popolare per referendum».

FABBRI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Relatore. La Commissione si è ispirata al concetto che ogni riforma dello statuto va apportata con legge costituzionale; e siccome la formazione di una nuova legge costituzionale è cosa grave, la Commissione non si accontentava della iniziativa del Consiglio regionale, ma voleva che questa iniziativa fosse appoggiata da un referendum di approvazione. Ma l’organizzazione del referendum regionale è lasciata alla legge regionale, la quale stabilirà il numero dei cittadini che avranno facoltà di chiedere il referendum in modo rilevante.

L’inserzione della proposta dei ventimila elettori è qui fuori posto. Il referendum deve essere regolato da una futura legge regionale.

PRESIDENTE. L’emendamento Mannironi conteneva una seconda parte che diceva: «e non potrà aver corso se non con l’approvazione popolare per referendum». È stato chiesto dall’onorevole Moro che la seconda parte fosse votata separatamente. L’Assemblea appunto nella seconda votazione ha respinto la seconda parte. L’onorevole Moro potrebbe chiarirci meglio di ogni altro le ragioni della richiesta di votazione per divisione; ma credo che si possa comprendere che l’onorevole Moro e tutti coloro che hanno votato contro la seconda parte dell’emendamento Mannironi non ritengano necessario il referendum popolare per dare validità all’iniziativa presa nel modo detto nella prima parte della proposta. Qualche collega può giudicare non opportuno ciò che si è votato, ma non – a mio giudizio – contestarne la chiarezza.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Non ho che da confermare quanto ha detto l’onorevole Presidente, il quale ha con esattezza individuato la nostra intenzione.

FABBRI, Relatore. Purché non sia richiesto a me di giustificare m modo esauriente il testo votato.

AMBROSINI, Relatore. Ma è chiaro!

PRESIDENTE. Passiamo al Titolo VIII: «Norme transitorie e finali». Si dia lettura dell’articolo 57.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«L’Alto Commissario e la Consulta regionale sarda restano in carica fino alla prima elezione del Consiglio regionale che sarà indetta dal Governo della Repubblica, entro dieci mesi dall’entrata in vigore dello Statuto.

«La prima elezione del Consiglio regionale avrà luogo in conformità all’articolo 17 del presente Statuto ed alla legge per l’elezione della Camera dei deputati secondo le norme che saranno stabilite con decreto legislativo, sentiti l’Alto Commissario e la Consulta regionale.

«Le circoscrizioni elettorali sono determinate in corrispondenza delle attuali provincie».

AMBROSINI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI, Relatore. All’ultimo momento la Commissione ha constatato che si era incorsi in un errore di stampa, in quanto il testo che è stato stampato dice: «L’Alto Commissario»; bisogna correggerlo con questa forma: «L’Alto Commissariato», perché, evidentemente, non poteva la Commissione con una disposizione legislativa arbitrarsi di infrenare la potestà del Governo di decidere sulla permanenza in carica dell’attuale Alto Commissario. Si deve pertanto leggere: «L’Alto Commissariato ecc.».

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Si dovrà dire .allora: «restano in funzione», anziché «restano in carica».

FABBRI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Relatore. Propongo: «Le funzioni dell’Alto Commissariato e della Consulta regionale sarda continuano fino ecc.».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 57, di cui è stata data testé lettura, con questa modificazione apportatavi dalla Commissione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 58. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Una Commissione paritetica di quattro membri, nominati dal Governo della Repubblica e dall’Alto Commissario per la Sardegna sentita la Consulta regionale, proporrà le norme relative al passaggio degli uffici e del personale dallo Stato alla Regione, nonché le norme di attuazione del presente Statuto.

«Tali norme saranno sottoposte al parere della Consulta o del Consiglio regionale e saranno emanate con legge della Repubblica».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Chiedo un chiarimento: trattandosi di una Commissione paritetica, in caso di disaccordo, chi decide? Non si crea una maggioranza, indubbiamente.

AMBROSINI, Relatore. L’articolo 58 riproduce una disposizione dello statuto elaborato dalla Consulta sarda. Non mi sento autorizzato a proporre alcuna modificazione. La Commissione, nell’approvarlo all’unanimità, ritenne che la Commissione paritetica si sarebbe messa d’accordo.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Propongo la seguente formulazione:

«Una Commissione composta di cinque membri: tre nominati dal Governo della Repubblica e due dall’Alto Commissariato».

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Vorrei rinunciare a questa maggioranza, perché non vorrei ingenerare il sospetto di una certa diffidenza da parte del Governo verso i sardi. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Moro, mantiene ella il suo emendamento?

MORO. La pariteticità fa una certa impressione. Comunque, dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 58 nel testo della Commissione, del quale è stata data testé lettura.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 59. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Nelle materie attribuite alla competenza della Regione, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali, si applicano le leggi dello Stato».

PRESIDENTE. A questo articolo non sono stati proposti emendamenti. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Voteremo domani sull’articolo 60, dopo aver esaminato gli articoli in materia finanziaria che sono stati rinviati.

L’onorevole Spano ha presentato un emendamento aggiuntivo all’articolo 38, del seguente tenore:

«La Giunta regionale è responsabile di fronte al Consiglio.

«Il voto di sfiducia del Consiglio determina le dimissioni della Giunta».

Qual è il parere della Commissione?

AMBROSINI, Relatore. Siccome si tratta di un principio democratico elementare di tutte le assemblee, la Commissione ritiene che non sia necessario precisarlo esplicitamente.

PRESIDENTE. Onorevole Spano, mantiene l’emendamento?

SPANO. Ho presentato questo emendamento a scopo chiarificatore e vi insisto.

PRESIDENTE. Effettivamente mi sembra che si tratti soltanto di una chiarificazione, che non contrasta con alcuna disposizione del testo della Commissione.

Pongo in votazione i commi aggiuntivi proposti dall’onorevole Spano all’articolo 38, dandone nuovamente lettura:

«La Giunta regionale è responsabile di fronte al Consiglio.

«Il voto di sfiducia del Consiglio determina le dimissioni della Giunta».

(Sono approvati).

Il seguito della discussione è rinviato alla seduta antimeridiana di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni per le quali in questo esercizio, nonostante i fondi per la disoccupazione, ed i miliardi destinati ad opere pubbliche, non abbia creduto ancora di fissare, nonostante le replicate insistenze degli Enti e dei deputati rappresentanti le popolazioni interessate, altro stanziamento per lavori della strada di serie n. 161, dall’Aulla al Lagastrello, ferma da un ventennio, nonostante l’impellente necessità di un nuovo valico appenninico.

«È evidente che i venti milioni stanziati due anni or sono, coi prezzi odierni, saranno presto esauriti nel breve tratto di strada appaltato in questi giorni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Micheli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere come intenda provvedere per il ritorno in patria degli ufficiali rimasti tuttora in Eritrea, come e quando, cioè, organizzerà i convogli di rimpatrio e se non voglia autorizzare intanto i rimpatri individuali, rimborsando le spese di viaggio.

«Si tratta infatti di militari che al momento della cessazione delle ostilità in quello scacchiere caddero prigionieri degli inglesi e da questi furono successivamente lasciati in libertà. Un anno e mezzo fa una Commissione interministeriale, composta da funzionari del Ministero degli affari esteri, dell’Africa italiana e del Ministero della guerra, si trasferì in Eritrea e provvide ad autorizzare il rimpatrio solo a determinati elementi (infermi, invalidi, ecc.), mentre ai rimanenti fu consigliato di pazientare, assicurando loro, a nome del Governo, l’integrità dei diritti amministrativi e matricolari per tutto il periodo della loro permanenza in Eritrea.

«Sembra all’interrogante che sia giunto il momento di dare a tali ufficiali la possibilità di tornare in patria, tanto più che alcuni di essi sono assenti dalle loro famiglie fin dal 1938 e hanno nobilmente collaborato a mantenere alto il buon nome dell’Italia in quelle terre da noi colonizzate senza percepire assegni di sorta ed adattandosi per vivere a qualsiasi lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zuccarini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno aumentare, in confronto dell’anno decorso, il numero delle borse per studi di perfezionamento all’estero, di lire 250.000 ciascuna, nel relativo concorso da bandirsi per i laureati del corrente anno accademico 1947-48, e ciò per venire più largamente incontro alle aspirazioni di valorosi giovani, desiderosi di avviarsi a carriere scientifiche. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni per le quali non ha ancora provveduto allo scioglimento dell’Amministrazione comunale di Casoria (Napoli), resosi necessario a seguito del distacco della frazione di Casavatore, che ha fatto perdere alla Amministrazione stessa ben 6 consiglieri ed al comune un nucleo di circa 6.000 cittadini.

«Per sapere, infine, se non crede di provvedere con tutta urgenza, dato anche il malumore della cittadinanza per avere constatato che per casi, anche meno evidenti, esso Ministro ha proceduto con inconsueta energia e rapidità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sansone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere per quali ragioni non sia ancora stata nominata la Commissione esaminatrice del concorso al posto di direttore della Scuola di metodo per insegnanti dei ciechi alla Madonna del Riposo (Roma), bandito nell’ottobre 1946 (Gazzetta Ufficiale 16 ottobre 1946, n. 230) con scadenza, per la presentazione dei documenti da parte dei concorrenti, al 10 gennaio 1947. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali siano state le risultanze conclusive dell’ispezione fatta, nel periodo gennaio-maggio 1947, dall’ispettore ministeriale dottor Emidio Catalano, al liceo E.Q. Visconti di Piazza del Collegio Romano, in Roma, e all’Ente Visconti.

«L’interrogante desidera pure sapere quali provvedimenti siano stati presi o si intendano prendere, in base alle risultanze conclusive in oggetto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lozza».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.55.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10 e alle 16:

  1. – Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.
  2. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Modificazioni alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la prima elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. (66).

Norme per la formazione delle liste elettorali nella provincia di Bolzano. (67).

  1. Seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: .

Statuto speciale per la Sardegna. (62).

  1. Discussione del disegno di legge costituzionale:

Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. (63).

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 28 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXVIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 28 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Congedo:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Disegno di legge costituzionale (Discussione):

Statuto speciale per la Sardegna (62)

Presidente

Di Vittorio

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Mattarella

Bellavista

Medi

Corbino

Aldisio

Mastino Pietro

Persico

Perassi, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali

Ambrosini, Relatore

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Abozzi

Disegni di legge (Presentazione):

Scelba, Ministro dell’interno

Presidente

La seduta comincia alle 10.

LACONI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Villabruna.

(È concesso).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte:

della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge gli onorevoli Scoccimarro e Molinelli, in sostituzione degli onorevoli Assennato e Cavallari, dimissionari;

della quarta Commissione permanente l’onorevole Massini, in sostituzione dell’onorevole Ferrari, dimissionario.

Discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Sardegna. (62).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Sardegna (62).

Onorevoli colleghi, prima di iniziare l’esame degli statuti speciali, avverto che è stato presentato un ordine del giorno che reca le firme degli onorevoli Di Vittorio, Lizzadri, Rapelli, Fiorentino, Li Causi. Veramente gli ordini del giorno si esaminano normalmente alla fine della discussione, ma quello presentato non si riferisce in particolare a nessuno dei quattro statuti che dovremo esaminare, ma pone una questione d’indole generale.

Do pertanto la parola all’onorevole Di Vittorio per svolgere il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

nell’atto di prendere in esame gli Statuti regionali, riafferma il principio della continuità e della unicità dello stato giuridico e del trattamento economico dei lavoratori statali di ogni categoria, mediante il mantenimento dei ruoli unici nazionali.

«L’Assemblea afferma che le leggi che saranno emanate dal Parlamento, dirette a regolare i molteplici rapporti che sorgono fra lo Stato e gli Enti regionali, debbono ispirarsi al principio di contemperare le esigenze di ciascuna Regione con i diritti acquisiti dai dipendenti statali».

DI VITTORIO. L’ordine del giorno che ho avuto l’onore di presentare con i colleghi Lizzadri, Rapelli, Fiorentino, Li Causi non ha bisogno di una lunga illustrazione: a me pare che sia abbastanza chiaro di per se stesso.

Quest’ordine del giorno tende a placare vive preoccupazioni che sono sorte fra i dipendenti statali, i quali temono che, con la costituzione dell’Ente regione, possa essere minacciato, o comunque vulnerato, il loro stato giuridico, possano essere menomati i diritti che essi hanno acquisiti nei confronti dell’Amministrazione dello Stato.

E bisogna dire che, in alcuni degli statuti regionali che l’Assemblea dovrà esaminare, vi sono alcuni articoli che potrebbero prestarsi ad interpretazioni suscettibili di menomare i diritti acquisiti dei dipendenti statali di ogni categoria.

Se l’Assemblea dovesse procedere all’esame analitico di questi statuti, noi saremmo entrati nel merito dei varî articoli, ed avremmo proposto quelle modifiche che riteniamo necessarie. Ma poiché un tale esame non vi sarà, l’ordine del giorno tende a riaffermare un principio che dia garanzia e tranquillità ai dipendenti statali.

Bisogna dire che le preoccupazioni di questi lavoratori sono così vive, che se ne sono interessate le organizzazioni sindacali rispettive. Tutte le Federazioni sindacali dei dipendenti statali e la stessa Confederazione del lavoro hanno esaminato a fondo la questione e sono giunte alla conclusione che è necessario che l’Assemblea Costituente, nel momento stesso in cui questi statuti regionali entrano a far corpo della Costituzione, affermi il principio della continuità e della unicità dello stato giuridico e del trattamento economico dei dipendenti statali di ogni categoria, in qualsiasi regione d’Italia essi siano destinati a lavorare.

L’ordine del giorno è redatto in modo da tener presenti le esigenze tanto della Regione, quanto dei dipendenti statali. Io riconosco legittima la preoccupazione dei governi regionali di avere un corpo di funzionari e d’impiegati a propria disposizione per assicurare i servizi che ne dipendono; ma credo che nessun collega in quest’Aula non vorrà riconoscere altrettanto legittimi i diritti acquisiti dei dipendenti statali.

Si tratta contemperare le due esigenze e perciò nell’ordine del giorno si afferma che le leggi che saranno emanate dal Parlamento per regolare i rapporti di ogni natura che sorgono fra lo Stato italiano e le singole regioni devono cercare, comunque, di contemperare queste esigenze.

Se noi non affermassimo questo diritto e rendessimo così possibile, da parte di qualche governo regionale, di intaccare, in qualsiasi maniera o forma lo stato giuridico dei dipendenti statali, questo fatto costituirebbe un passo indietro per questi lavoratori e né i professori, né gli insegnanti di ogni grado, né i ferrovieri né i funzionari intendono tornare indietro. Io sono perciò sicuro che l’ordine del giorno presentato dai colleghi che ho citato e da me, verrà approvato dall’Assemblea Costituente, quale affermazione del principio che i diritti acquisiti dai dipendenti statali di ogni grado e categoria non possono essere in alcun modo vulnerati e che lo stato giuridico degli stessi lavoratori statali deve conservare la sua continuità e la sua unicità mediante il mantenimento dei ruoli unici nazionali per ciascuna delle categorie interessate.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro di grazia e giustizia ad esprimere il parere del Governo su questo ordine del giorno.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Desidero richiamare l’attenzione dei proponenti e dell’Assemblea tutta sulla circostanza che già nella VIII disposizione transitoria della Costituzione è previsto che le leggi della Repubblica debbono regolare il passaggio alle regioni di funzionarî e di dipendenti dello Stato, anche delle amministrazioni centrali, ove ciò si renda necessario. Nell’articolo stesso è detto infine: «per la formazione dei loro uffici le regioni devono, tranne che in casi di necessità, trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali».

Mi pare quindi che la preoccupazione dell’onorevole Di Vittorio e degli altri colleghi, sotto questo riguardo, non esista, nel senso cioè, appunto, che nelle disposizioni transitorie della Costituzione è già previsto il passaggio dei dipendenti statali alle Regioni. Ciò è d’altra parte da considerarsi come assolutamente inevitabile, perché sarebbe veramente assurdo che restasse tutta l’impalcatura statale, quando debbono subentrare nei varî servizi le amministrazioni locali.

Circa poi quella che potremmo chiamare la prima questione dell’ordine del giorno Di Vittorio, mi pare sia assolutamente impossibile il mantenimento di un ruolo unico nazionale. Così per i segretari comunali, come per tanti e tanti altri impiegati, questa forma nazionale, accentrata, sarebbe in netta contradizione con il nuovo volto che l’amministrazione della Repubblica deve assumere, cioè con il sistema regionalistico.

Circa invece i diritti acquisiti, mi pare che si tratti di una raccomandazione che ben opportunamente si possa fare: è ovvio infatti che questi diritti debbano essere tutelati e garantiti. Ritengo quindi, a nome mio personale e a nome del Governo, che questa seconda parte dell’ordine del giorno debba senz’altro venire accettata e confido anzi che l’Assemblea sia su questo punto concorde.

Per la prima parte invece, come ho già detto e spiegato, io mi pronuncio sfavorevolmente e prego gli onorevoli presentatori di non volere insistere.

MATTARELLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTARELLA. Il problema, per quello che riguarda la prima parte, mi pare sia molto complesso, e sembra che sia necessario andar molto cauti, anche per il fatto che l’ordine del giorno presentato e illustrato dall’onorevole Di Vittorio non distingue categoria da categoria, né fa salva la possibilità per la Regione di avere organici e ruoli per i suoi servizi essenziali.

Ora, se l’onorevole Di Vittorio volesse insistere anche per la accettazione della prima parte del suo ordine del giorno, io dichiaro sin d’ora, che mi riservo di fare formale richiesta perché esso sia rinviato alla Commissione per un più attento e approfondito esame, che tenga conto delle esigenze della autonomia, la quale postula per la Regione possibilità e necessità di un suo personale, e di quelle legittime degli impiegati statali, che tutti abbiamo a cuore e che tutti vogliamo difendere e tutelare.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi, in realtà l’ordine del giorno Di Vittorio, Lizzadri ed altri postula due principî diversi, dei quali il primo nell’ordine è un po’ il mezzo per affermare – e in questa parte merita incondizionata adesione – quello che è un principio generale del diritto, cioè l’intangibilità dei diritti acquisiti. I lavoratori statali che passano alle dipendenze delle Regioni non possono subire una reformatio in peius: indietro non si può tornare. Su questo punto, penso che non si possa assolutamente discutere: esso merita completa adesione. Ma il principio di cui alla prima parte, servirebbe, nell’idea dei proponenti, come mezzo per garantire questa impossibilità del ritorno indietro, con la unicità del ruolo nazionale. E io non vedo questa corrispondenza di mezzo a fine.

In sostanza, mi pare che il ruolo unico nazionale non sia, per se stesso, una garanzia per gli impiegati statali passati o da passare nei ruoli regionali, ma che la garanzia si trovi in questo principio che afferma il vostro ordine del giorno, e cioè che non ci possa essere un peggioramento nella situazione, ma se mai un miglioramento o il mantenimento dello status quo ante. Non certamente nel fatto del ruolo unico nazionale, il quale urterebbe anche – come ha osservato giustamente il Ministro Guardasigilli – contro le disposizioni già approvate della Costituzione sulla Regione, la quale deve avere un proprio corpo di funzionari.

Penso pertanto che si possa fare a meno di rinviarlo alla Commissione e che l’ordine del giorno possa venire accettato per questa sua seconda parte, che è essenziale ed è finalistica, rimanendo per me la prima come mezzo ordinato allo scopo di garantire la seconda.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Sono obbligato ad insistere, cioè a mantenere il mio ordine del giorno. È vero che nella parte delle disposizioni transitorie della Costituzione si parla di regolare il passaggio dei funzionari e degli impiegati dallo Stato alle Regioni; ma il fatto della regolamentazione di questo passaggio non implica necessariamente la garanzia che gli statali legittimamente chiedono, cioè la garanzia della continuità e dell’unicità dei diritti da loro acquisiti. Perciò questo ordine del giorno si propone, in fondo, di affermare tale principio. Non è che con questo ordine del giorno si pretenda di risolvere la questione. No. Si tratta, per ora, di non pregiudicarla. Perciò il mio ordine del giorno è volutamente generico, si limita ad affermare dei principî (Interruzioni dei deputati Medi e Uberti) perché non dice quali sono queste garanzie in modo concreto e preciso. Se leggessi i memoriali presentati alla Confederazione del lavoro da tutte le categorie di dipendenti statali, senza nessuna esclusione, allora avreste veramente la sensazione di che cosa sia la concretezza in materia.

Qui si tratta di affermare un principio, e di affermarlo in questo momento, perché non si possa dire domani che un articolo dello Statuto regionale, essendo stato approvato dall’Assemblea Costituente, e ritenuto quindi una norma di carattere costituzionale, non possa essere modificato se non con la procedura lunga e difficile di ogni modifica che si debba apportare alla Costituzione stessa. Quindi, si tratta per il momento di non pregiudicare la questione, e di lasciare facoltà alla prossima Assemblea legislativa, che dovrà necessariamente affrontare il problema della regolamentazione concreta di questi rapporti, di poterlo fare con maggiore libertà, con maggiore elasticità, e anche d’accordo con le organizzazioni sindacali; perché il modo di contemperare effettivamente le esigenze e del Governo regionale e dei lavoratori statali è bene sia studiato d’accordo coi rappresentanti sindacali.

Il problema non interessa soltanto i dipendenti statali delle quattro Regioni di cui dovremmo esaminare lo Statuto, ma interessa tutta l’Italia, perché le preoccupazioni che ho esposto non sono limitate regionalmente.

Perciò, dato che questo ordine del giorno non tende a legare le mani ai governi regionali, non tende a regolamentare oggi la materia, ma vuol lasciar libera la prossima Assemblea legislativa, mi pare possa essere approvato senza alcuna preoccupazione.

Comunque, se i colleghi desiderano che esso venga rinviato per l’esame alla Commissione, io non mi oppongo, ma faccio appello all’Assemblea affinché voglia fare l’affermazione categorica di principio che, in fatto di riconoscimento dei diritti quesiti degli statali, l’Assemblea è unanime e non si può tornare indietro.

Una voce al centro. Siamo d’accordo.

DI VITTORIO. Preferirei che questo accordo fosse espresso nella votazione del mio ordine del giorno.

Una voce al centro. La seconda parte sta bene, ma non la prima.

DI VITTORIO. E la prima parte che cosa ha di non accettabile? Il problema è questo: oggi vi è un ruolo nazionale degli impiegati statali, supponiamo degli ingegneri del genio civile, come del resto di qualsiasi altra categoria di impiegati statali.

Domani, un ingegnere di grande valore avrà la possibilità, affermandosi col suo lavoro e col suo ingegno, di ascendere ai posti più importanti, di carattere nazionale, o dovrà essere condannato a rimanere nell’ambito della Regione?

Evidentemente deve avere quella possibilità.

Ora, io non vorrei entrare nei dettagli del modo come mantenere la continuità dello stato giuridico e del modo come mantenere i ruoli nazionali, contemperandoli con le esigenze dei governi regionali, perché questa non è la sede per risolvere tale problema. Ma appunto perciò il mio ordine del giorno tende a lasciare impregiudicata la questione ed io faccio appello ai colleghi di volerlo approvare.

MEDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE Ne ha facoltà.

MEDI. Voteremmo la seconda parte dell’ordine del giorno presentata dall’onorevole Di Vittorio, o se si preferisce, saremmo anche d’accordo nel rinviare alla Commissione per l’esame di tutto l’ordine del giorno.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei pregare l’onorevole Di Vittorio di trovare una soluzione, tanto più che un ordine del giorno non impegna le leggi future.

Ora nella Costituzione si è già stabilito che una parte dei funzionari dello Stato e dei dipendenti statali devono passare alle Regioni, col passaggio dei relativi servizi. I limiti del passaggio dipenderanno da quello che avverrà e sono dunque da stabilirsi caso per caso. Il legislatore di domani resterà libero di fare tutto quello che crederà opportuno per dare soddisfazione alle preoccupazioni esposte dall’onorevole Di Vittorio.

Ciò significa che se domani ci sarà un passaggio di alcuni funzionari o dipendenti statali alla Regione si vedrà se sarà possibile mantenere un ruolo unico oppure se vi saranno ruoli regionali regolati dalla Regione secondo la nuova legge. In altri termini, il dipendente che passa alla Regione può essere trasferito da quella Regione ad un’altra Regione? Non credo che sia possibile.

Quelli che sono obbligati allo Stato, quelli che dipendono da organi centrali, seguono il ruolo nazionale, ma quelli che dipendono dalla Regione avranno il loro ruolo regionale. Non ci sarebbe una ragione di passaggio. Invece, per il trattamento economico…

DI VITTORIO. Così sono divisi in compartimenti stagni!

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevole Di Vittorio, mi pare che non si possa cambiare la Costituzione, la quale è quella che è. Abbiamo stabilito che esistono le Regioni, ed esisteranno anche i ruoli della Regione. La Regione potrà fare dei ruoli per conto suo o ottenere il passaggio di dipendenti dello Stato alla Regione. Ma il giorno in cui il passaggio è avvenuto e la legge lo regolerà vi sarà un ruolo regionale per quei dipendenti dalla Regione.

DI VITTORIO. Ma è lo Stato italiano che è garante dei diritti dei dipendenti statali ed è lo Stato, come tale, che deve rimanere garante e difenderli, anche quando i funzionari sono a disposizione del Governo regionale; se no, questa garanzia da parte dello Stato viene a cessare, ciò che moralmente e giuridicamente non è ammissibile! (Commenti).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. La questione non è pregiudicata. Domani la legge potrà stabilire questo, ma non possiamo impegnare il legislatore di domani. Quello che riguarda il trattamento economico, come concetto fondamentale e come raccomandazione, si può accettare, nel senso che il trattamento economico non può essere diminuito, perché si tratta di un diritto quesito del cittadino, inquantoché, se lo Stato, che l’ha assunto, ottiene, attraverso la legge, il passaggio alla Regione, deve garantire all’individuo il suo contratto, il suo trattamento economico.

Rimane la questione del ruolo unico. Può rimanere unico di fronte ai ruoli regionali? Questo quesito lo vedrà la legge futura, se potrà. Ma non possiamo stabilirlo noi oggi.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che si possano conciliare le opposte tesi, mettendo una piccola limitazione alla prima parte dell’ordine del giorno dell’onorevole Di Vittorio, cioè: «mediante il mantenimento dei ruoli unici nazionali, ove ciò sia tecnicamente possibile».

Io accetto il principio della unicità del trattamento economico, perché di regola in questi organismi regionali vi è una tendenza ad aumentare le competenze dei funzionari, attribuendo loro gradi e stipendi molto più alti di quelli dei corrispondenti uffici dell’Amministrazione statale.

Quindi io accetto il principio, con un significato opposto a quello con cui l’accetta lei, caro onorevole Di Vittorio: io voglio mettere un limite al trattamento economico dei funzionari delle Regioni…

DI VITTORIO. Ed io una remora in senso opposto.

CORBINO. Ecco, lei tenterà il senso opposto; io mi preoccupo della finanza delle Regioni e della finanza dello Stato, in base all’esperienza che tutti abbiamo avuto (e anche lei lo ricorderà) per esempio dagli uffici regionali del lavoro, in cui avevamo direttori e funzionari con stipendi superiori a quello del Presidente della Cassazione.

Accetto quindi il principio della unicità del trattamento economico e anche il principio della possibilità del mantenimento dei ruoli unici nazionali, quando questo sia tecnicamente possibile.

È evidente che per le amministrazioni puramente regionali il ruolo unico nazionale non ci potrebbe essere.

DI VITTORIO. Perché questa limitazione?

ALDISIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALDISIO. Io desidero che questa questione resti impregiudicata, rinviandone alla nuova Camera la disciplina. Faccio perciò questa formale proposta: «L’Assemblea Costituente, nell’atto di prendere in esame ecc., riafferma il principio della continuità e della unicità dello stato giuridico e del trattamento economico dei lavoratori statali di ogni categoria ed afferma che le leggi che saranno emanate dal Parlamento ecc.».

DI VITTORIO. Se dopo questa discussione e dopo le dichiarazioni del Ministro Grassi fosse soppressa quella frase, ciò avrebbe il significato che non si debbono mantenere assolutamente i ruoli nazionali.

ALDISIO. Io tengo a riaffermare i due principî, senza nulla compromettere.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. I lavoratori dello Stato, le loro organizzazioni sindacali e la stessa Confederazione del lavoro, unanimemente hanno riconosciuto legittima questa rivendicazione, cioè di mantenere i ruoli unici nazionali in modo che la circolazione dei funzionari e degli impiegati, nei limiti in cui è possibile e desiderabile sia per la Regione che per lo Stato, possa continuare ad avvenire su tutto il territorio nazionale e non sia limitata nell’ambito ristretto di ogni Regione. Voler togliere questo punto fondamentale è come svuotare del contenuto essenziale l’ordine del giorno che abbiamo presentato.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Ho chiesto la parola perché tengo a dichiarare, come rappresentante di una Regione che dovrà avere uno statuto speciale, cioè la Sardegna, che è nel nostro intendimento che venga mantenuta la continuità e l’unicità dello stato giuridico e del trattamento economico dei lavoratori statali di ogni categoria. Circa il mantenimento dei ruoli unici nazionali mi pare che non vi sia una grande diversità fra la tesi sostenuta dall’onorevole Di Vittorio e l’affermazione dell’onorevole Corbino. L’onorevole Di Vittorio si è dichiarato per il mantenimento, nei limiti del possibile, dei ruoli unici nazionali…

DI VITTORIO. Se è possibile la circolazione.

MASTINO PIETRO. La circolazione è anch’essa in rapporto alla regolamentazione dei ruoli unici nazionali, il che potrà esser fatto, in modo pratico e sistematico, rimettendo alle Assemblee legislative questa pratica sistemazione.

MEDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MEDI. Ho l’impressione che stiamo discutendo un problema fuori tempo. Qui dobbiamo ancora affrontare l’esame degli statuti, o di quanto sarà proposto dalla Commissione su una linea generale, e già ci fermiamo a discutere dei problemi particolari, benché siano importanti. Io credo che si debba rimandare questo ordine del giorno all’esame della Commissione e intanto procedere all’analisi degli statuti seguendo una linea più logica, per non affrontare la questione fuori tempo e sconvolgere la serie logica e razionale dei nostri lavori.

Propongo formalmente di rinviare l’ordine del giorno all’esame della Commissione.

PRESIDENTE. Prima di tutto alle Commissioni si rimandano gli emendamenti, e non gli ordini del giorno. In secondo luogo, questo ordine del giorno soltanto con un grande sforzo logico può apparir tale da essere sottoposto alla Commissione che oggi ci riferisce sugli statuti speciali.

Il problema proposto dall’onorevole Di Vittorio non si limita a questo ambito. Se mai, dovrebbe essere un’altra Commissione ad esaminare la questione che appare di carattere generale.

MEDI. Riguarda anche gli statuti speciali.

PRESIDENTE. Anche gli statuti speciali, ma non solo detti statuti.

MEDI. Allora si dovrebbe dire, secondo la sua giusta interpretazione, che questa questione non interessa la materia di discussione oggi, e quindi l’ordine del giorno non può essere messo in votazione perché riguarda un campo più vasto della materia posta all’ordine del giorno dei lavori odierni dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Interessa anche, ma non solo.

MEDI. Allora il mio «anche» era giusto.

PRESIDENTE. Sta bene.

Gli onorevoli Di Vittorio e Corbino si sono messi d’accordo?

DI VITTORIO. Accetto l’emendamento Corbino.

PRESIDENTE. Allora vi è la proposta di un emendamento aggiuntivo degli onorevoli Di Vittorio, Corbino e Mastino Pietro al primo comma dell’ordine del giorno: «ove non ostino ragioni di carattere tecnico».

Vi è poi la proposta dell’onorevole Aldisio di sopprimere l’ultima frase del primo comma.

ALDISIO. Vi rinuncio.

PRESIDENTE. Pongo quindi in votazione l’ordine del giorno nella seguente definitiva formulazione:

«L’Assemblea Costituente,

nell’atto di prendere in esame gli Statuti regionali,

riafferma il principio della continuità e della unicità dello stato giuridico e del trattamento economico dei lavoratori statali di ogni categoria, mediante il mantenimento dei ruoli unici nazionali, ove non ostino ragioni di carattere tecnico.

«L’Assemblea afferma che le leggi che saranno emanate dal Parlamento, dirette a regolare i molteplici rapporti che sorgono fra lo Stato e gli Enti regionali, debbono ispirarsi al principio di contemperare le esigenze di ciascuna Regione con i diritti acquisiti dai dipendenti statali».

(È approvato).

Presentazione di disegni di legge.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi onoro di presentare all’Assemblea Costituente i seguenti disegni di legge:

«Modificazione alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la prima elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica».

«Norme per la formazione delle liste elettorali della provincia di Bolzano».

Trattandosi di due disegni di legge di carattere estremamente urgente, che devono essere approvati dall’Assemblea Costituente prima della fine dei suoi lavori, per consentire che le elezioni possano aver luogo nei termini fissati facendovi partecipare il maggior numero di cittadini, chiedo che l’esame di essi sia deferito alla Commissione già incaricata dell’esame del disegno di legge per la elezione del Senato, con facoltà di riferire oralmente all’Assemblea Costituente nella seduta di domani.

PRESIDENTE. Do atto della presentazione dei due disegni di legge.

Se nessuno si oppone alla proposta del Ministro dell’interno di deferirli alla stessa Commissione che ha esaminato il disegno di legge per la elezione del Senato, per modo che riferisca oralmente nella seduta di domani, si intende che così rimane stabilito.

(Così rimane stabilito).

Si riprende la discussione del disegno di legge: Statuto speciale per la Sardegna. (62).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, ho domandato di parlare unicamente per ottenere due chiarimenti che riguardano le direttive per la discussione degli statuti speciali. Io non voglio cambiare queste direttive, anzi dico che noi dovremo seguirle e le seguiremo, però c’è una frase che urta la realtà obiettiva delle cose, direi quasi la suscettibilità giuridica della Assemblea. Si dice: «da ciò discende che non è dato all’Assemblea l’esame di merito dei singoli articoli dello statuto siciliano…». Ora, è vero che noi abbiamo il regio decreto-legge (uno dei pochi regi decreti-legge che ci siano) del 15 maggio 1946, il quale nell’articolo unico, al capoverso, dice che «lo statuto predetto (cioè quello della Regione siciliana) sarà sottoposto all’Assemblea costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato», e secondo questo articolo unico effettivamente l’Assemblea Costituente avrebbe solo da fare un lavoro di coordinazione; ma questo articolo del regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455 è stato superato in pieno dall’articolo 116 della Costituzione, il quale alla Sicilia, alla Sardegna, alla Val d’Aosta, ecc. attribuisce «forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con legge costituzionale». Quindi questi statuti sono adottati o dall’Assemblea Costituente, o dalle future Camere con leggi costituzionali. Ed allora noi non possiamo dire, anche per dovere della nostra coscienza, che non è dato a noi esaminare articolo per articolo gli statuti speciali. Avremmo invece il dovere di farlo. Se l’ora incalza, e se potremo trovare formule più abbreviative per arrivare alla conclusione, troviamole pure, pazienza, ma non affermiamo a priori che non ci è dato fare quello che l’articolo 116 della Costituzione ci obbliga di fare.

Secondo punto è questo. Dicono le «direttive» che, nei limiti indicati, le proposte di emendamenti devono essere presentate non più tardi delle 24 ore dall’inizio della seduta dedicata all’esame di ogni singolo Statuto. Questo presuppone che i membri dell’Assemblea Costituente abbiano cognizione del testo dello Statuto. Quindi a me pare che forse sarebbe più opportuno dire: 24 ore dal deposito e dalla distribuzione, ai singoli membri dell’Assemblea, del progetto di Statuto; se no, non sappiamo come far decorrere queste 24 ore. Se per esempio la discussione si esaurisce in una mattinata, non ci sarebbe più la possibilità di far decorrere questo termine, cioè si annullerebbe tutto il termine. Io direi quindi: 24 ore dalla distribuzione all’Assemblea Costituente degli schemi degli Statuti. In tal modo soltanto avremo un termine preciso. Io richiamo perciò, su queste precisazioni l’attenzione dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, se poniamo ora in discussione le direttive, cominciamo a gettar via molte delle poche ore che restano a nostra disposizione. Queste direttive sono state concordate in una riunione dei capigruppo e sarebbe bene che fossero accettate senz’altro. Evitiamo di contestare sempre l’autorità di un organo che regolamentarmene esiste! Vorrei pregarla, onorevole Persico, di adattarsi a quanto è stato già concordato.

Sul primo punto devo dire comunque che la questione è stata sollevata almeno dieci volte in sede di discussione delle autonomie ed anche nelle riunioni dei capigruppo. Ed ogni volta si è giunti alla conclusione che, quando ci troviamo di fronte agli statuti già in attuazione, in realtà non è possibile materialmente, e nemmeno giuridicamente, accettare il criterio di un riesame articolo per articolo. Basterebbe rileggere i processi verbali delle discussioni fatte al momento in cui si è votato l’articolo 116, per rendersi conto che l’Assemblea in quel momento sapeva dell’esistenza di uno statuto siciliano, e che partiva dalla considerazione che di questo statuto non c’era che da fare un adeguamento costituzionale. Questo è stato già riconosciuto da numerosi colleghi.

Per quanto riguarda la valutazione giuridica dell’articolo 116 esso dice che alla Sicilia, alla Sardegna al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia, alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali. Ciò non significa che l’Assemblea Costituente debba rifare la legge già esistente in materia, ma, se mai, vuol dire che l’Assemblea Costituente deve dare ad essi statuti, con la sua approvazione, il carattere costituzionale.

In questo caso l’Assemblea si sostituisce a quella funzione dei futuri Parlamenti che, nei confronti dei vari decreti legge e delle misure legislative emanate dall’attuale Governo, dovranno provvedere appunto a dare un crisma definitivo trasformandoli in leggi.

Una stessa norma transitoria della nostra Costituzione attesta che la Costituente ha già esercitato una tale funzione per un decreto, quello che determinava le funzioni del Governo fino al momento in cui le Camere saranno costituzionalmente elette; così, quel decreto è divenuto legge, anzi ha acquistato il carattere di legge costituzionale.

Per quanto riguarda lo statuto siciliano vigente, l’Assemblea Costituente approvandolo, per questo solo fatto lo trasforma in una legge costituzionale.

A rigor di termini, volendo, può modificarlo, come avrebbe potuto modificare quel decreto cui ho accennato poco fa. Ma, per una valutazione del tempo che ci resta e della opportunità politica, l’esigenza fatta presente dall’onorevole Persico, non è assoluta, e pertanto l’Assemblea potrà non avere rimorsi se, a proposito dello statuto siciliano, si preoccuperà di questo solo: di renderlo tale che non sia in conflitto con le norme della Costituzione. In quanto poi alla questione dei termini, siamo ormai abituati a transigere; le 24 ore non la spaventino, onorevole Persico. L’essenziale è di non intervenire con una proposta improvvisa.

Premesso questo, do la parola all’onorevole Perassi, Presidente della Sottocommissione per gli statuti regionali.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Io vorrei, anzitutto, fare qualche riserva sulle dichiarazioni fatte in questo momento dall’onorevole Presidente, per quanto concerne i limiti della funzione che l’Assemblea Costituente è chiamata a svolgere nei riguardi di taluni degli statuti regionali di cui deve occuparsi.

Credo che qui vi siano due punti di vista, i quali devono essere contemperati, senza tuttavia negare o attenuare eccessivamente le esigenze di uno di essi.

Mi pare che, dal punto di vista giuridico costituzionale, quanto ha detto l’onorevole Persico non possa essere contestato. Del resto, lo stesso Presidente ha detto che, volendo, l’Assemblea Costituente può, esaminando anche gli atti esistenti, introdurvi delle modificazioni.

Lo farà, non lo farà? E con quali misure? Qui interviene il criterio politico e certamente questo criterio sarà tenuto presente. Ma è bene che il punto di vista costituzionale non sia sacrificato.

Ciò premesso per quanto riguarda in particolare alcuni di questi statuti, vengo al problema di oggi. Il disegno di legge costituzionale che abbiamo presentato all’Assemblea è il primo d’un gruppo che la Commissione è stata incaricata di elaborare. Esso riguarda la Sardegna.

La situazione della Sardegna è questa: per essa non esite, come per la Sicilia e per la Valle d’Aosta, un ordinamento regionale già stabilito precedentemente. Io ricordo solo che quando alla Consulta nazionale venne presentato il progetto di statuto che era stato elaborato dalla Consulta siciliana, la Consulta nazionale propose al Governo di estendere lo Statuto siciliano alla Sardegna.

Per l’esattezza storica conviene ricordare che gli stessi sardi non hanno ritenuto opportuno aderire a questa idea. E fu un gesto che si può dire, nel medesimo tempo, di fierezza e di saggezza. Di fierezza perché la Sardegna riteneva, evidentemente, che dovesse essere considerata in sé e per sé, come Regione con propria individualità e con esigenze particolari e che quindi non fosse il caso che le fosse puramente esteso un ordinamento adottato per un’altra Regione. Questo il lato di fierezza.

Ma fu anche atto di saggezza. La Consulta sarda, che venne istituita in seguito alla creazione in Sardegna – come era avvenuto in Sicilia – di un Alto Commissariato, venne ad un certo momento invitata dal Governo a formulare delle proposte per l’ordinamento regionale. E la Consulta Sarda effettivamente elaborò un progetto di statuto per la Sardegna, che venne inviato al Governo e all’Assemblea Costituente. La Commissione, alla quale questo progetto pervenne, constatò, anzitutto, che presentava notevoli diversità rispetto a quello siciliano, e con compiacimento, constatò che alcuni problemi delicati erano stati visti in maniera un po’ diversa.

La Commissione aveva per compito, rispetto a tutti gli statuti, di fare ciò che l’articolo 116 della Costituzione prevede, ossia di elaborare i disegni di legge costituzionali concernenti gli statuti speciali delle singole Regioni indicate in quell’articolo come Regioni alle quali sarebbero state attribuite forme e condizioni particolari di autonomia. Nell’accingersi a questo compito, per quanto concerne la Sardegna, la Commissione ha lavorato prendendo per base il progetto elaborato dalla Consulta sarda. Aggiungo che la Commissione ha ritenuto opportuno non soltanto di udire su questo progetto la voce di eminenti rappresentanti sardi che sedevano nel suo stesso seno, esponenti di diversi partiti, quali l’onorevole Lussu, l’onorevole Laconi ed anche l’onorevole Giua che, pur non essendo deputato della Sardegna è anch’esso sardo; ma ha ritenuto di fare anche di più, di sentire cioè direttamente una Commissione di delegati della Consulta sarda.

Abbiamo avuto con essi un franco ed ampio scambio di idee ed abbiamo potuto apprezzare non soltanto la preparazione degli uomini che la Sardegna ha inviato qui per questo compito, ma anche il senso di moderazione, di comprensione, che questi uomini hanno dimostrato. Desidero dire che da questa discussione noi tutti della Commissione abbiamo riportato l’impressione che la Sardegna ha in sé tutti i requisiti necessari per aspirare ad un ordinamento autonomo e per realizzarlo con forze proprie.

Il risultato di questo lavoro è il progetto che vi abbiamo presentato e che i relatori onorevoli Ambrosini e Fabbri illustreranno, dando su di essi tutte quelle spiegazioni che potranno venir richieste da qualche collega su determinati punti.

Io, per quanto mi concerne, non ho altro da aggiungere. Solo, prima di finire, mi sia permessa una nota personale. Quaranta anni fa, io, piemontese, studente a Pavia, ebbi a scrivere un rapido profilo di un singolare, gagliardo pensatore sardo, dimenticato: Giambattista Tuveri. Uno spirito libero; si potrebbe quasi dire, in certo senso, il Carlo Cattaneo della Sardegna. Scrivendo con giovanile ardore quel lavoro, io mi auguravo che il popolo di Sardegna operasse la sua redenzione armato del pensiero civile di Giambattista Tuveri.

Il caso ha voluto che l’oscuro studente di quaranta anni fa si trovasse ad avere una certa responsabilità nel dirigere i lavori di questa Commissione e proprio per quanto concerne la Sardegna. In questa qualità, io ho dovuto spesso fare la parte di colui che tende a salvaguardare alcuni principî della Costituzione, partendo dal concetto che gli statuti speciali, come ogni diritto speciale, non possono non inquadrarsi nei principî generali dell’ordinamento costituzionale. Talora, in questo atteggiamento, direi, di can di guardia dei principî costituzionali, ho potuto forse dare l’impressione di essere un po’ duro; e l’amico Lussu qualche volta ha avvertito questa rigidezza. Mi consenta però di dire, l’amico Lussu, che anche in questa funzione io agivo con la stessa fede di quaranta anni fa, la fede nella forza del principio autonomistico, la fede che la Sardegna, attraverso questo ordinamento, saprà forgiarsi un migliore domani.

Questa carta che noi diamo alla Sardegna è un’arma. Noi dobbiamo avere tutta la consapevolezza della forza di quest’arma; ma la consegniamo ad un popolo, il quale ha dato all’Italia i fanti della «Brigata Sassari». E quando un popolo ha dato questi fanti, si può essere sicuri che saprà maneggiare anche quest’altra arma civile e repubblicana, e mediante essa lavorare per il suo avvenire e per la sua prosperità sociale, nell’interesse suo e nell’interesse dell’Italia, perché la Sardegna e l’Italia non sono nel nostro pensiero se non una unità indivisibile. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ambrosini, Relatore per lo Statuto sardo.

AMBROSINI, Relatore. Onorevoli colleghi, prima di parlare dello Statuto sardo, sento il bisogno di dire due parole sull’osservazione di natura pregiudiziale fatta poc’anzi dall’onorevole Persico, alla quale il nostro illustre Presidente, onorevole Terracini, ha già dato, io credo, esauriente risposta. Non concordo con l’onorevole Persico perché l’articolo unico del provvedimento legislativo, col quale fu approvato lo Statuto siciliano, non è stato per nulla abrogato o modificato dall’articolo 116 della Costituzione; e ciò non solo dal punto di vista politico, che basterebbe da solo, in questa sede, a troncare ogni discussione, ma anche dal punto di vista giuridico.

L’onorevole Terracini lo ha detto: chi scorre tutte le discussioni che si fecero nella Sottocommissione, nella Commissione dei Settantacinque e nell’Assemblea sull’articolo 116, vedrà chiaramente che esso contempla ipotesi diverse, perché le quattro Regioni alle quali si riconosce uno Statuto speciale, si trovavano in una condizione diversa: la Sicilia, e, per un certo verso la Val d’Aosta, nella condizione di avere già l’autonomia con uno Statuto, per cui deve soltanto procedersi al coordinamento; e invece le altre due: la Sardegna e il Trentino-Alto Adige, per le quali si deve adottare uno Statuto ex novo.

Con la parola «adozione», – che, come tutti gli egregi colleghi possono testimoniare, fu la più torturata nei vari stadî dell’elaborazione dell’articolo 116, si tenne appunto conto di questa diversa situazione. Si stabilì in sostanza che per lo Statuto siciliano, che già esisteva, si sarebbe operato il coordinamento di cui al secondo comma dell’articolo unico del provvedimento legislativo 15 marzo 1946, che l’aveva approvato, mentre per la Sardegna, il Trentino e l’Alto Adige si sarebbe proceduto ad una elaborazione ex novo di tutto l’ordinamento autonomistico.

Detto questo, vengo subito ad occuparmi della materia sulla quale devo riferire.

La brevità del tempo e l’urgenza di arrivare in modo assoluto ad una conclusione per tutti e quattro gli statuti speciali, entro il 31 di questo mese, ha impedito di presentare una relazione scritta. Quella orale sarà breve, perché ritengo che ormai la materia sia da tutti tanto conosciuta, che non occorre spendere parole per illustrarla ulteriormente.

Sono stati avanzati dei dubbi da parte di qualche eminente collega. Mi sforzerò di dissiparli, riandando ai precedenti della questione e ridando ulteriori delucidazioni.

Noi non possiamo non tener presente che, se la riforma regionalistica è adottata da questa Assemblea di sua iniziativa per tutte le Regioni, per la Sardegna la riforma era richiesta da tempo dalla popolazione dell’isola. Erano le condizioni particolari della Sardegna, era la sua storia, erano le sue esigenze caratteristiche, che portavano il popolo sardo e i suoi esponenti a fare un’affermazione regionalistica autonomistica, quando per altre Regioni sarebbe sembrato quasi un assurdo e una follia pronunziare quelle parole come programma concreto da realizzare.

Fu dopo l’altra guerra che il partito autonomista sardo s’in pose all’attenzione di tutta l’Italia. Si ebbe un’affermazione anche in Sicilia, per circostanze storiche ed esigenze comuni o analoghe. Ma il movimento fu spento da tutto quello che appresso successe. E quindi, invece di andare incontro alle esigenze e richieste delle due isole, e invece di mantener fede alla parola che si era data alle popolazioni delle nuove provincie rientrate nel seno della patria, che già godevano dell’autonomia sotto il regime austriaco, si attuò un ordinamento completamente diverso.

L’Italia è ritornata dopo la seconda guerra mondiale sulle posizioni del 1918-19, nei riguardi della Sardegna e della Sicilia. Questo fu fatto prima che fosse convocata l’Assemblea Costituente, nel periodo che possiamo chiamare di emergenza, quando il Paese era scosso da avvenimenti che lo travagliavano e minacciavano di portarlo alla rovina. Il Governo del tempo credette opportuno, per la Sardegna e la Sicilia, di adottare un ordinamento che sostanzialmente può considerarsi autonomistico, per quanto, dal punto di vista giuridico, possa prospettarsi come un larghissimo decentramento amministrativo. Infatti con un decreto luogotenenziale del 16 marzo 1944 si istituì un Alto Commissariato per la Sardegna, e immediatamente dopo, il 18 marzo, un Alto Commissariato per la Sicilia. Il decreto riferentesi alla Sardegna porta il numero 90, quello per la Sicilia il numero 91. La sorte delle due isole è intimamente legata!

Che cosa si stabilì con questo primo ordinamento speciale dato alle due isole? Si stabilì di dare al rispettivo Alto Commissario tutte le attribuzioni delle amministrazioni statali, eccetto talune espressamente indicate.

In Sardegna, come in Sicilia questo nuovo ordinamento venne immediatamente attuato; accanto all’Alto Commissario, furono istituite le rispettive consulte regionali; i quali organi agirono nello spirito degli interessi regionali ed insieme di quelli unitari di tutta la Patria!

Questa, o colleghi, è la realtà! Questa è la testimonianza che, mentre ci accingiamo ad approvare questi statuti, noi abbiamo il dovere di rendere alla Sicilia e alla Sardegna, perché in quelle Assemblee regionali nessuna voce sorse che avesse potuto compromettere la Patria!

Invece, tutti gli sforzi furono volti ad adempiere i compiti che il Governo unitario dello Stato aveva loro attribuiti, e – fra questi – quello di elaborare il progetto di statuto regionale.

Bisogna ricordare che – urgendo maggiormente le necessità in Sicilia – l’Alto Commissario onorevole Aldisio presentò alla Consulta regionale un progetto di statuto, che la Consulta discusse e rielaborò, approvandone il testo definitivo il 23 novembre 1945, e lo stesso onorevole Aldisio trasmise lo statuto sollecitandone l’adozione al Governo, il quale lo inviò alla Consulta Nazionale; dopo di che il Governo lo adottò nel testo integrale che era stato presentato da Aldisio.

Io ho sentito da varie parti – e mi pare che quanto diceva dianzi l’onorevole Persico sia l’eco, forse fondata (anzi, direi, fondata giacché noi dobbiamo dire la verità!) di quelle voci – ho sentito spesso da varie parti che la Consulta Nazionale non volle discutere il problema e addivenne, per mezzo delle sue Commissioni, ad un’approvazione pura e semplice, fatta (e questo fu il grave, egregio onorevole Persico!)…

PERSICO. È vero!

AMBROSINI, Relatore. …fatta con riserva mentale, che fu dannosa assai e che la saggezza dei siciliani ha saputo fronteggiare e superare con molto tatto, evitando conseguenze spiacevoli!

Fu una riserva mentale per la quale ho sempre protestato –anche in occasione della mozione per il rinvio delle elezioni per l’Assemblea regionale siciliana – e protesto ora affermando che non è lecito a nessuna Assemblea di procedere come avrebbe fatto, secondo le voci suddette, quella Consulta, senza assumersi tutte le responsabilità di sostanza!

Noi italiani abbiamo bisogno di riaffermare questo senso di responsabilità!

Noi dicemmo, in occasione della discussione della mozione sul rinvio delle elezioni, che non era lecito scrollare le spalle e disdire un impegno che lo Stato aveva assunto. Gli organi dello Stato hanno vita continuativa e debbono rispettare gli impegni presi.

Per la stessa ragione per la quale mi opposi al rinvio delle elezioni siciliane – rinvio che avrebbe importato il ripudio dell’impegno assunto dallo Stato, sia pure con riserve mentali – io credo di dover dissentire da quanto l’onorevole Persico ha detto in principio di questa seduta.

Per la Sardegna, fortunatamente, il fatto lamentato non è avvenuto. Quando la Consulta nazionale rimandò alle Commissioni, per evitare di decidere in seduta plenaria, lo Statuto siciliano, i rappresentanti della Sardegna chiesero che quello stesso statuto fosse esteso senz’altro alla loro isola. Nel verbale della seduta delle Commissioni del 7 maggio, uno dei più autorevoli rappresentanti della Sardegna motivò la richiesta, aggiungendo che lo statuto adottato per la Regione siciliana doveva estendersi alla Sardegna «con gli opportuni adattamenti»; ed in questo senso decisero le Commissioni della Consulta Nazionale. Nell’ordine del giorno finale si espresse parere favorevole all’estensione dello Statuto siciliano alla Sardegna. Senonché, successe quello che l’egregio collega Perassi ha detto, che per un senso di giusto orgoglio i sardi avvertirono che poteva esserci qualche, sia pur lieve, differenza di situazione riguardo alla Sicilia, e che comunque – questa è la verità – volevano avere la soddisfazione di elaborare da se stessi la loro creatura, il proprio Statuto.

Perciò non avvenne l’estensione delle norme dello Statuto siciliano alla Regione sarda; e la Sardegna continuò la sua vita embrionalmente autonomistica sotto il regime dell’Alto Commissario e della Consulta regionale sarda. I quali però – bisogna dirlo a loro grande onore – non hanno perduto il proprio tempo. Cominciarono a lavorare sul terreno concreto delle provvidenze che occorreva chiedere, elaborare e, possibilmente, attuare nei campi specifici. E fecero quello che aveva fatto la Consulta siciliana, elaborando il loro statuto. Vennero certo a trovarsi, egregi colleghi, in una situazione di grande vantaggio, perché l’esperienza siciliana era in atto. C’era il testo dello statuto siciliano, e vi erano le discussioni, d’importanza veramente notevole, che da parte dei varî esponenti delle correnti politiche della Sicilia erano state fatte nel seno della Consulta regionale a Palermo. Ed era avvenuta la discussione nel grande pubblico.

La nostra Assemblea, attraverso l’opera della Commissione, aveva iniziato (rammentiamolo, questo fu il primo argomento che venne in discussione appena si riunì la Commissione dei Settantacinque) la discussione di questo argomento, che nella seconda Sottocommissione fu messo a fuoco; e per cui si costituì subito un Comitato speciale, da me presieduto, che lavorò a presentare il primo progetto, che io approntai, di riforma regionale per tutte le regioni in generale. Ed allora i consultori sardi, che avevano l’orgoglio di elaborare la propria creatura, ma che non sono affatto dominati da vedute particolaristiche e che, pur chiusi nella loro isola, tengono gli occhi aperti all’orizzonte del mondo, fecero tesoro delle esperienze, delle discussioni e dei contrasti avvenuti anche all’Assemblea Costituente; e cominciarono a redigere ed hanno poi redatto un progetto di statuto «speciale», alla cui redazione definitiva nella Commissione dei Diciotto sono orgoglioso di avere cooperato. I consultori sardi, nell’affermare le esigenze dell’isola, tennero conto, come ne avevano tenuto i siciliani, della esigenza unitaria della Patria.

Dal punto di vista formale e giuridico accolsero gli accorgimenti diretti a conciliare questo due esigenze, ed arrivarono veramente alla costruzione di un solido ed armonico edificio.

Egregi colleghi, è questo il progetto di Statuto presentato al vostro esame. È bene si tenga presente che i consultori sardi, nell’elaborarlo, hanno sentito la necessità della collaborazione dei deputati sardi all’Assemblea Costituente, e che, dopo questa collaborazione, essi sono venuti dinanzi alla nostra Commissione ad esporre i loro punti di vista e a discutere con noi sui dettagli del progetto; arrivando così alla definizione di un insieme di norme, che sono state approvate all’unanimità dalla Consulta sarda, dai deputati sardi ed anche dalla Commissione, a nome della quale io ho l’onore di parlarvi.

Qual è la struttura di questo progetto? Esso, nella massima parte, riporta con qualche modifica le norme della Costituzione e contiene in più, delle norme di portata più ampia, in grazia alla facoltà che l’articolo 116 della Costituente consente.

Coll’articolo 116, infatti, si prevede la possibilità che alcune regioni, e precisamente la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta, potessero, in considerazione della loro particolare situazione, avere un ordinamento non uguale a quello stabilito nelle norme della Costituzione per tutte le altre regioni in generale.

È questa la spiegazione della formula, tanto torturata e tanto criticata, ma opportuna ed espressiva di «Statuti speciali» inserita nell’articolo 116.

Noi oggi per la Sardegna vi presentiamo uno «Statuto speciale». Siccome sarebbe superfluo e fuor d’opera illustrare tutte le norme, che sono uguali a quelle della Costituzione, mi limiterò a segnalare quelle altre che sono state adottate in considerazione della particolare situazione dell’isola, e che pur non essendo uguali, non contrastano con le norme della Costituzione.

Quali sono? Anzitutto la legislazione.

La Consulta sarda ha creduto che era opportuno mantenere il sistema primitivo adottato dalla seconda sottocommissione, di distinguere le facoltà legislative del Consiglio regionale sardo in tre tipi di legislazione; e questo è stato fatto con gli articoli 3-4 e 5.

Devo aggiungere, a tranquillare le coscienze più scrupolose, che in testa all’articolo 3, che prevede il tipo di legislazione più ampia, la Commissione ha arrecato al testo proposto dalla Consulta sarda qualche piccola aggiunta, che è sufficiente ad eliminare le obbiezioni ed i timori da qualcuno avanzati. Infatti, mentre si diceva: «In armonia con la Costituzione ed i principî dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali», la Commissione, ha ampliato la formula dicendo: «In armonia con la Costituzione, ecc., ecc., e nel rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economiche e sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie».

Ritengo che non sia necessario soffermarsi ad illustrare il sistema dei tre tipi di legislazione. Noi dobbiamo presto concludere i nostri lavori, a data fissa, e siamo costretti a procedere avanti con rapidità.

Oltre alla modifica suaccennata, la Commissione ne ha apportata qualche altra al progetto sardo.

Gli onorevoli colleghi potranno controllarle riguardando i due testi del Titolo II.

Passando al Titolo III, che riguarda la finanza, il demanio e il patrimonio, faccio presente che proprio qui è più operante il sistema dell’articolo 116 della Costituzione, che prevede gli statuti speciali. Partendo dal principio fondamentale della Costituzione, che è quello dell’articolo 119, si è passati nel campo concreto ad indicare in modo particolareggiato le entrate finanziarie della Regione. Noto che, senza autonomia finanziaria, vano ed assurdo sarebbe parlare di autonomia. Allora dovremmo avere l’onestà e il coraggio di parlare di decentramento amministrativo. Se l’Assemblea, che ha adottato il sistema dell’autonomia, non vuole fare un passo indietro (e non lo potrebbe), se non vuole smentire se stessa, deve stabilire come si attua l’autonomia finanziaria. Ciò si comincia a fare nello Statuto sardo con una larghezza di vedute rispondente alle necessità particolari dell’Isola. Con l’articolo 8, che è così ben congegnato che vorrei augurarmi venga adottato in qualche altro Statuto speciale, si provvede in modo adeguato e più adatto ai bisogni della Regione di quanto non sia stato fatto nella norma correlativa di qualche altro statuto speciale.

Il Titolo III, che va dall’articolo 7 all’articolo 15, tende a disciplinare tutto il campo economico e finanziario. Vi sono dello disposizioni di notevole importanza, come quella dell’articolo 13, che prevede che saranno istituiti nella Regione punti franchi. Noto che qualche collega manifesta delle apprensioni.

Bisogna tranquillarlo, amico Persico, mettendo in rilievo che il regime doganale nella Regione resta di esclusiva competenza dello Stato. Potranno stabilirsi i punti franchi, ma da parte dello Stato, su richiesta, e comunque, si intende, d’accordo con la Regione.

La Commissione mi ha autorizzato a fare questa dichiarazione esplicita circa la portata del secondo comma dell’articolo 13. L’elemento locale deve intervenire, perché l’organo centrale, pur essendo rappresentato dalle persone più illuminate, può non avere la completa o la piena comprensione dei bisogni locali così come la hanno i nativi del luogo. Quindi è evidente che, per conciliare le varie esigenze, occorre che il provvedimento debba essere preso dallo Stato, ma d’accordo con gli esponenti della Regione sarda. (Interruzione del deputato Persico).

Onorevole Persico, io credo che sarebbe più conveniente che, mentre io parlo, lei prenda gli appunti e poi proponga eventualmente gli emendamenti aggiuntivi.

Dunque, dicevo, i punti franchi possono essere stabiliti con provvedimento del Governo centrale, d’accordo però con la Regione sarda.

Debbo aggiungere, per tranquillare altri timori che, nell’articolo 15, dove si dice: «La Regione, nell’ambito del suo territorio succede ai beni patrimoniali dello Stato ecc.» si propone di aggiungere una esclusione sulla quale tanto discutemmo nella Commissione, e cioè: «escluso il demanio marittimo».

Di notevole importanza sono gli articoli 11 e 12, con i quali, non in contrasto con la Costituzione, ma in aggiunta alle sue norme ed in grazia della clausola dell’articolo 116 che dà alla Sardegna uno Statuto speciale, si dà facoltà alla Regione di disporre, nei limiti della propria competenza tributaria, esenzioni e agevolazioni fiscali per nuove imprese.

Si tratta di una Regione illustre, ma povera, che bisogna in tutti i modi aiutare. Naturalmente, queste agevolazioni fiscali non saranno il toccasana, ma certamente potranno dare un qualche apporto per spingere l’Isola sulla via della costruzione di un nuovo assetto industriale e di un progresso dell’agricoltura. In proposito molto possono agire le disposizioni dei comma 3, 4, 5 dell’articolo 13.

E, ancora, si è data facoltà alla Regione di emettere prestiti interni, da essa esclusivamente garantiti. I rappresentanti della Consulta sarda si dichiararono, con quell’orgoglio che è proprio di questa gente fiera e valorosa, che essi volevano far da se stessi e che, per i prestiti da emettere, non chiedevano la garanzia di nessuno. La Commissione accolse senz’altro la loro proposta.

Per chiudere su questo punto, aggiungerò qualche parola sulla disposizione dell’articolo 14, il quale dice: «Lo Stato, col concorso della Regione dispone un piano organico di opere pubbliche per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola».

Debbo mettere in rilievo la comprensione dei rappresentanti della Sardegna: essi non esitarono a dire che, dato che lo Stato concorreva alla spesa, doveva necessariamente intervenire anche nella formulazione del piano; ed espressamente ebbero il coraggio di dirlo senza ricorrere a riserve mentali, a quelle riserve mentali alle quali ho accennato all’inizio del mio discorso e che sono dannose agli individui, alle Assemblee, ai popoli che le fanno.

Il Titolo IV si occupa degli organi della Regione.

Non esistono quasi divergenze rispetto alle norme stabilite dalla Costituzione, salvo che, in riguardo alla legge elettorale (articolo 177) per la elezione del Consiglio regionale, per cui si stabilisce l’adozione del suffragio universale, diretto, uguale e segreto e del sistema proporzionale.

Forse (esprimo il mio avviso personale) sarebbe stato meglio non pregiudicare in tutto il sistema elettorale. Ma, giacché la Consulta sarda lo ha proposto, giacché sono partito sempre dal presupposto di accettare quello che proponeva la Consulta sarda fino a quando non contrastasse con la Costituzione, non ho fatto obiezione all’articolo 17, anche per la parte che personalmente non avrei preferito.

Vi è un altro punto che occorre, per dovere di coscienza, sottoporre all’attenzione degli onorevoli colleghi: è quello dell’articolo 18, in cui si parla della condizione dell’elettorato attivo e passivo. È un articolo, egregi colleghi, che forse molti possono sorpassare, ma che io ritengo di non lieve importanza. Il primo comma dell’articolo dice: «È elettore ed eleggibile al Consiglio regionale chi è iscritto nelle liste elettorali della Regione». Ora, qual è la portata di questa disposizione che io, nel mio scrupolo, sento il dovere di sottoporre particolarmente all’attenzione dell’Assemblea?

La portata di questa disposizione è questa, che, se un sardo o un italiano di altre Regioni, il quale ami la Sardegna con la stessa intensità di un sardo, volesse domani, avendo il favore di tutta la popolazione sarda, proporre la propria candidatura per il Consiglio regionale della Sardegna, egli non potrebbe farlo se non fosse iscritto nelle liste elettorali della Sardegna.

Io ritengo che questo sia un inconveniente; io ho presente il nome di altissime personalità sarde, che illustrano la Sardegna, ma che certamente non sono iscritte nelle liste elettorali della Sardegna. Orbene, se taluna di queste personalità volesse dare il contributo della propria esperienza offrendosi ad entrare nel Consiglio regionale, non potrebbe farlo. Ciò, ritengo, sia un grave inconveniente.

Sugli altri articoli non mi soffermo. Notevole l’articolo 24 che si riferisce alla formazione della legge. Il sistema è quasi completamente uguale a quello adottato dal corrispondente articolo 127 della Costituzione, con la sola differenza che le leggi votate dal Consiglio regionale della Sardegna, non sono comunicate ad un Commissario del Governo in Sardegna, ma sono inviate direttamente al Governo nazionale.

Riprenderò questo punto brevemente quando accennerò al sistema speciale di rapporti esistente fra la Regione sarda e lo Stato.

Passando ora all’organo amministrativo della Regione, cioè al Presidente e alla Giunta regionale, io ho l’obbligo di segnalare all’Assemblea il sistema diverso che la Consulta sarda ha proposto riguardo alla norma votata dalla Costituzione. La Commissione ha accolto la proposta sarda, in quanto ha ritenuto che essa non presenti contrasto con la Costituzione.

Il sistema diverso – quale risulta dagli articoli 37, 38, 39 e 41 – è questo, che il Consiglio regionale procede all’elezione del Presidente della Regione, ma che – e qui debbo notare due differenze rispetto alle norme sancite dalla Costituzione – ma che, dicevo, non è contemporanea la elezione del Presidente regionale e degli assessori, dei membri cioè della Giunta regionale, in quanto la prima elezione avviene sulla persona del Presidente, ed in un secondo tempo su quella degli assessori i cui nomi sono proposti dal Presidente regionale al Consiglio. È questa la norma dell’articolo 38; e si ha qui la prima differenza di fronte alla norma della Costituzione.

La seconda differenza – che risulta indirettamente, ma in modo certamente non equivoco dalle disposizioni degli articoli 39 e 41 – è che i membri della Giunta regionale possono essere persone che non fanno parte del Consiglio regionale.

Debbo in proposito, per dovere illustrativo, dire che da alcuni è stato osservato che si tratta di disposizione che ferisce quasi un’isola illustre come la Sardegna ed il suo Consiglio regionale in quanto lascerebbe pensare che possa non esserci nel seno al Consiglio un numero sufficiente di persone tali da tenere l’amministrazione della Regione. D’altra parte si è osservato che, siccome l’amministrazione deve essere tenuta normalmente dalla maggioranza, e siccome, per particolari condizioni, possono, se non mancare, trovarsi in questa maggioranza persone che per il loro ufficio e per il loro lavoro abituale non sentano o non possano portare la loro cooperazione all’amministrazione attiva, allora è saggio prevedere la possibilità che la carica di assessore regionale sia affidata a persone che non facciano parte del Consiglio regionale. Ad ogni modo il sistema proposto dalla Consulta sarda non contrasta con la Costituzione, e la Commissione lo ha accettato.

Il Titolo V riguarda gli enti locali. Abbiamo qui una lieve differenza rispetto alle eventuali modifiche al numero, alla circoscrizione, alla funzione e alla struttura delle province, giacché, mentre l’articolo 133 della Costituzione stabilisce che per il mutamento delle circoscrizioni e l’istituzione di nuove province occorre una legge della Repubblica, col secondo comma, invece, dell’articolo 44 del progetto di Statuto sardo, questa facoltà è affidata alla Regione. Infatti esso dice:

«Con legge regionale possono essere modificati il numero, la circoscrizione, le funzioni e la struttura delle province, in conformità alla volontà delle popolazioni di ciascuna delle province interessate espressa con referendum».

Debbo notare che l’innovazione è notevole. Però l’ultima parte di questo secondo comma dell’articolo 44 attenua di molto, e forse fa scomparire, quella che qualcuno potrebbe prospettare come divergenza di fronte alla norma della Costituzione, giacché la legge regionale può, sì, invece che la legge dello Stato, procedere alle modificazioni previste, ma a condizione che vi sia la conforme volontà delle popolazioni locali. Cosicché non potrà mai darsi il caso – e credo che il collega onorevole Abozzi, che tante volte ha insistito su questo punto, possa essere sodisfatto – che la provincia di Nuoro o quella di Sassari o quella di Cagliari possano essere con un colpo di mano, anche di tutta la maggioranza delle altre due province attraverso i loro esponenti nel Consiglio regionale, essere costrette a far parte di un’altra provincia.

ABOZZI. E tanto meno scomparire.

AMBROSINI, Relatore. Se non può essere modificata, naturalmente non può scomparire. Dobbiamo ripetere quella storiella che il nostro Presidente dei Settantacinque, onorevole Ruini, ci ha raccontato e a cui ha fatto ricorso per rispondere implicitamente a quesiti propostigli: che una volta v’era un tale che voleva far passare da un muro un asino e un cane. Quando ebbe fatto nel muro un buco abbastanza grande da far passare l’asino, si sentì chiedere: e per il cane? L’onorevole Ruini ha fatto ogni tanto ricorso a questa storiella. Evidentemente se passava l’asino passava anche il cane.

ABOZZI. Anche sugli asini e sui cani è sempre bene precisare. (Si ride).

AMBROSINI. Relatore. Quando è possibile operare le modifiche solo con l’approvazione delle popolazioni interessate voi avete una salvaguardia completa, che forse non avreste con le leggi della Repubblica. Giacché secondo l’articolo 44 dello statuto sardo che avrà valore costituzionale, e che quindi una legge ordinaria non potrà modificare, voi siete molto più salvaguardati che con la norma dell’articolo 133 della Costituzione, che invece dà la competenza di modificare le province con legge ordinaria senza bisogno dei consenso delle popolazioni interessate.

Vado rapidamente all’altro titolo, ugualmente importante, dei rapporti fra lo Stato e la Regione.

Devo qui dire all’Assemblea che la Commissione ha lungamente discusso, in quanto i consultori sardi hanno insistito in modo irremovibile su alcuni punti. Quali? Innanzi tutto questo: non vogliono un Commissario del Governo, non lo vogliono assolutamente. E quindi, come vi ho detto, per l’articolo 34 nel quale è previsto il modo di formazione delle leggi regionali, le leggi votate dal Consiglio regionale sono trasmesse direttamente al Governo centrale.

In sostanza sarebbe lo stesso, perché un rappresentante del Governo centrale in loco, difficilmente adotterà una deliberazione così importante senza consultare il Governo.

Certo qui è notevole la differenza con la norma della Costituzione. Ma ci troviamo di fronte ad una suscettibilità dei sardi che dobbiamo comprendere e rispettare, perché, dico francamente, non ne deriva nessun danno, nella sostanza.

Naturalmente bisogna che il Governo centrale sia vigile, perché altrimenti il meccanismo non funzionerebbe.

Io capisco che un Commissario del Governo in loco può più accuratamente seguire la discussione che su un progetto di legge avvenga nell’Assemblea regionale. Ma credete voi che sia il caso di impuntarci di fronte ad una richiesta così precisa della Consulta sarda, quando, in sostanza, non si sposta l’asse del sistema della Costituzione per la parte che riguarda la formazione delle leggi regionali?

Insemina il Governo centrale ha sempre il diritto di rimandare una legge approvata dall’Assemblea regionale all’Assemblea stessa, e, nel caso che questa insista, di fare l’impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale quando si tratta di questioni di legittimità, e dinanzi al Parlamento quando si tratta del merito.

Dico la verità: io ho insistito presso i rappresentanti della Consulta sarda, perché su questo punto si seguisse completamente la Costituzione. Ma, di fronte alla loro non adesione e alla loro insistenza, io e la Commissione abbiamo ritenuto che non fosse il caso d’impuntarci e che si potesse accettare la loro proposta.

Per tranquillizzare l’Assemblea faccio rilevare che alla fine, dopo le nostre insistenze, i colleghi sardi hanno finito per accettare l’introduzione nello Statuto di una norma che prevede la presenza nell’Isola di un rappresentante diretto del Governo, per quanto non dotato di alcuna ingerenza relativamente alla formazione delle leggi regionali. È la disposizione dell’articolo 50, con la quale si dice che un rappresentante del Governo sovraintende alle funzioni amministrative dello Stato non delegate e le coordina con quelle esercitate dalla Regione.

Vedete, egregi colleghi, che così gran parte della sostanza della correlativa norma della Costituzione è inserita nello Statuto sardo. Semplicemente il nome non v’è: la parola di «commissario» è eliminata. Noto dei dissensi, ma osservo insomma, quando si dice «un rappresentante del Governo», si può, per la sostanza, essere tranquilli. Questo rappresentante del Governo avrà poi la denominazione che i letterati e quelli che hanno un’inventiva adeguata sapranno meglio trovare.

L’interessante è che possiamo arrivare all’approvazione dello Statuto senza quei dissensi da parte dei sardi, che potrebbero portarci lontano nella stessa discussione.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Era il termine usato dalla Costituzione!

AMBROSINI, Relatore. Egregio onorevole Andreotti, l’ho detto chiaramente. Ma di fronte a questa sensibilità dei sardi che non credono di accettare la parola «Commissario», che cosa dovevamo fare noi? Presentare un progetto che non fosse completamente accettato dai sardi semplicemente per una sola parola?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Allora le altre regioni dovrebbero fare la stessa cosa.

AMBROSINI, Relatore. Io prego l’onorevole Sottosegretario di tener sott’occhio l’articolo 50. Vi si dice: «un rappresentante del Governo».

MASTINO GESUMINO. Potremmo chiedere al Sottosegretario perché ha tanta simpatia per la parola: «Commissario»?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Perché è stato votato dalla Costituente.

AMBROSINI, Relatore. Onorevole Mastino Gesumino, non è il caso di fare una polemica per la parola! Ma passiamo all’articolo 51 che merita di essere esaminato.

Io ho dato all’Assemblea la spiegazione delle ragioni per cui abbiamo ritenuto opportuno di accogliere la insistente richiesta e proposta della Consulta sarda e dei colleghi deputati sardi all’Assemblea Costituente.

LUSSU. E non accoglierne tante altre!

AMBROSINI, Relatore. Ecco, l’onorevole Lussu già protesta perché dice che non se ne sono accolte tante altre! No, onorevole Lussu, qualcuna era eccessiva, e per ciò stesso non sarebbe stata vantaggiosa alla Regione! Credo di poterle affermare con sicura coscienza; se io (io posso parlare esprimendo il mio personale parere), se io avessi ritenuto che quella qualche proposta era favorevole alla Regione, io la avrei votata, anche a costo di restare solo. Ho sempre dichiarato all’onorevole Lussu e agli altri colleghi che pregiudizialmente andavo sempre incontro a tutte le richieste della Consulta sarda.

Comunque, se si ha la fortuna di arrivare a presentare un progetto che ha raccolto l’unanimità, perché andare a fare disquisizioni che potrebbe portare all’incrinatura di questa unanimità?

Passo all’articolo 51. Prego gli onorevoli colleghi di tenere sott’occhio il testo. In questo articolo si attribuisce al Presidente della Regione un potere che non avranno i Presidenti delle altre Regioni, ad eccezione del Presidente regionale della Sicilia, che già ha tale potere. Io prego gli egregi colleghi di consentirmi di non dare molte illustrazioni su questo punto perché, da che mondo è mondo, i paragoni sono odiosi; ed io non devo farli, e la Commissione non li ha fatti.

La disposizione è questa: «Il Presidente della Giunta regionale, nella sua qualità di rappresentante del Governo, provvede alla tutela dell’ordine pubblico e sovraintende alla sicurezza pubblica, dispone della polizia di Stato e può richiedere l’impiego delle forze armate».

Sarebbe puerile non confessare che su questo punto non vi sono stati gravi dissensi e discussioni. Non occorre indicarne i termini, giacché sono facilmente intuibili. Per mio conto ho dichiarato nella Commissione, e dichiaro, che ho votato questo articolo perché un articolo corrispondente v’è nello Statuto della Sicilia. Siccome, ho sempre detto, io ho accomunato la situazione giuridica delle due isole, non potevo perciò né volevo rifiutarmi di approvare questo articolo. Aggiungerò che le eventuali titubanze possono essere colmate quando si tenga sott’occhio la disposizione del secondo comma dello stesse articolo che dice: «Il Governo della Repubblica può, in via temporanea, esercitare direttamente tali funzioni».

Adunque, normalmente la funzione appartiene al Presidente della Regione; eccezionalmente – quando lo ritenga utile, opportuno o necessario – il Governo può assumerla. La Commissione, anche su questo punto delicatissimo, ha aderito all’unanimità alla richiesta della Consulta sarda.

Non si è dissimulata la gravità della disposizione; però ha ritenuto che l’affidare questo compito al Presidente della Regione sarda non deve preoccupare, in quanto il Presidente della Regione sarda, come il Presidente della Regione siciliana, avranno sempre tale senso di giustizia e tale coscienza dell’unità della Patria che saranno guardinghi nell’esercizio del potere in questione e che in nessun caso, metteranno in pericolo la compagine dello Stato.

Credo di poter mettere le mani sul fuoco, di garantire quasi con la mia vita, che gli amministratori della Sardegna e gli amministratori della Sicilia non tradiranno mai il loro compito.

Ad ogni modo, v’è la salvaguardia; ed è costituita dal secondo comma dell’articolo 51 col quale si dà al Governo la facoltà di intervenire.

Per tranquillizzare altri scrupoli, farò un accenno alle disposizioni dell’articolo 53.

Anche su questo punto, onorevole Persico, la Commissione propose all’ultimo momento un’aggiunta alla richiesta dei consultori sardi.

La Consulta sarda non solo aveva sempre chiesto di poter presentare proposte di legge alle Assemblee nazionali, ma aveva sempre insistito, adducendo il motivo della lontananza dal centro e mettendo in rilievo le condizioni particolari dell’isola, che fosse consentito alla Giunta regionale di sospendere l’applicazione di quella qualche legge della Repubblica, che eventualmente ferisse troppo gravemente, nel campo economico e sociale, gli interessi della Sardegna.

Abbiamo discusso a lungo, onorevole Paratore; creda pure che il nostro scrupolo non è stato assolutamente minore del suo. Ed abbiamo finito sempre, per conservare l’unanimità, con l’accettare la richiesta, con gli accorgimenti però necessari, perché non fosse infranto il sistema fondamentale della Costituzione.

Il secondo comma dell’articolo 53 diceva: «La Giunta regionale, quando constati che l’applicazione di una legge o di un provvedimento dello Stato in materia economica o finanziaria risulti manifestamente dannosa all’Isola, può chiederne la sospensione al Governo della Repubblica, il quale, constatata la necessità e l’urgenza, può provvedervi».

Io stesso feci delle riserve. Riconosco quanto mi si obiettava, che la Giunta regionale non farebbe proposte avventate, e che comunque il Governo centrale non aderirebbe alle proposte della Giunta senza constatare l’esistenza della necessità e dell’urgenza. Ma restava una obiezione, che col testo approvato nel primo momento dalla Commissione appariva sempre insuperabile, giacché in base a quel testo si sarebbe data al Governo una potestà che va al di là dei suoi poteri costituzionali, cioè la potestà di sospendere l’applicazione della legge ed in concreto di abrogarla. Mi ero opposto per ciò al secondo comma dell’articolo 53, che era stato approvato da tutti i componenti della Commissione, dichiarando che, pur rimanendo solo, non avrei potuto approvarlo. I colleghi della Commissione vennero incontro ai miei scrupoli ed accettarono la mia proposta di aggiunta. Devo dire ad onore dei deputati sardi che anche essi la accettarono completamente. Io suggerii di completare la disposizione, dicendosi espressamente che il Governo può, sempre che ricorrano le condizioni previste, provvedervi «avvalendosi ove occorra della facoltà di cui all’articolo 77 della Costituzione».

In conseguenza, quando si tratta di provvedimenti del potere esecutivo, il Governo ne ha la competenza, e può senz’altro emanare la disposizione di sospensione. Quando invece si tratta di leggi, il Governo può provvedere, avvalendosi della facoltà prevista dall’articolo 77 della Costituzione, a mezzo cioè di ordinanze di urgenza da sottoporre subito alla ratifica del Parlamento.

Egregi colleghi, vi sarebbero in verità osservazioni da fare su altri punti dello statuto; ma è tardi e non debbo continuare più a lungo il mio discorso.

Ho detto che questo progetto di statuto sardo è il frutto di una lunga elaborazione. Credo che possiamo votarlo con completa fiducia anche nelle disposizioni che possono apparire più delicate. Non posso sottrarmi alla suggestione di quanto l’egregio Presidente della Commissione onorevole Perassi disse alla fine del suo discorso: rammentiamoci che i sardi sono i fanti della Brigata Sassari. Quando se ne è presentata la necessità, sono corsi per primi a difendere la Patria. Bisogna avere fiducia completa negli isolani; essi sentono che qualsiasi attentato alla Patria per primi colpirebbe loro e rischierebbe di estraniarli da quell’afflato comune che è sempre esistito nel nostro Paese, anche quando era diviso, che si è rafforzato con la prima guerra mondiale, che è diventato ancora più forte, più affettuoso, più saldo, dopo la sventura della disfatta, e che gli isolani intendono, attraverso l’autonomia regionale, riaffermare, perché essi considerano l’autonomia come uno strumento di valorizzazione delle energie locali e di cooperazione maggiore per il benessere e per il progresso della Patria comune. (Vivi applausi – Molte congratulazioni).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Le ricordo, onorevole Persico, che sul disegno di legge in esame non v’è discussione generale.

PERSICO. Vorrei proporre soltanto brevissimi emendamenti su pochi articoli.

PRESIDENTE. Li mandi alla Presidenza, onorevole Persico, dopo averli formulati per iscritto, se intende che siano fatti conoscere all’Assemblea.

PERSICO. Sta bene, signor Presidente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio per esprimere il parere del Governo.

DE GASP ERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Voglio limitarmi a una dichiarazione di carattere generale: il Governo è molto lieto che si affermi il principio delle autonomie, in modo particolare per quella di cui si tratta ora, ed è con spirito di adesione, in via di massima, che partecipa, come può partecipare, alla discussione.

Dico onestamente che avrei desiderato una più intensa collaborazione fra il Governo e la Commissione. E questo non soltanto per taluni importanti problemi, come quello della autonomia finanziaria, ma anche per le questioni più generali.

Il Titolo VI del disegno di legge, ad esempio, parla dei rapporti fra lo Stato e la Regione. Sarebbe stato opportuno che questo problema fosse stato discusso, se non in contradittorio, almeno in uno scambio dialettico di argomenti anche con i rappresentanti dell’amministrazione centrale.

Se confrontate (questo è il primo momento in cui prendo visione del disegno di legge) gli articoli 48 e 49, vi accorgete di una diversità di dizione, che deve essere frutto – lo capisco bene – di un laborioso compromesso, ma che lascia un po’ perplessi. All’articolo 48 si dice che «il Presidente della Giunta regionale rappresenta il Governo dello Stato»; e questo è un fatto grave. All’articolo 49 si dice che «il Presidente della Giunta regionale dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo»; e ciò rettifica e in parte tranquillizza; ma forse la forma poteva essere più felice.

All’articolo 50, poi, si introduce il rappresentante del Governo che sovraintende alle funzioni amministrative dello Stato. Come ho sentito e come mi posso immaginare, si tratta di sostituire il titolo, non popolare in Sardegna, di «commissario» con quello di «rappresentante del Governo».

Posso comprendere queste suscettibilità, ma non l’evidente contradizione fra l’articolo 48, per cui il Governo è rappresentato dal Presidente della Giunta, e l’articolo 50, per cui il Governo è rappresentato da un proprio rappresentante.

Oltre a ciò, si dice all’articolo 49 che «Il Presidente della Giunta regionale dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo». Mi pare che la dizione sia ancora suscettibile di qualche elaborazione e di qualche miglioramento.

Quanto all’articolo 51, secondo il quale il Presidente della Giunta regionale provvede alla tutela dell’ordine pubblico e sovraintende alla sicurezza pubblica, dispone della polizia di Stato e può richiedere l’impiego delle forze armate, deve essere ben chiaro che si tratta di potere delegato, tanto è vero che poi si dice che il Governo della Repubblica può in via temporanea (cioè quando occorra, in caso di necessità o di urgenza) esercitare direttamente tale funzione. Comunque l’articolo 51 è alquanto oscuro. Ma non voglio fermarmi su ciò, perché non possiamo pretendere da uno statuto regionale l’esattezza e la piena conformità, quando difficilmente le possiamo raggiungere nei lavori dell’Assemblea.

In via generale il Governo – in quanto gli spetti di partecipare a questa discussione, poiché si tratta di statuti speciali da approvarsi con leggi costituzionali, ossia di materia di competenza dell’Assemblea – parteciperà alla discussione con spirito di adesione al progetto e con eguale spirito farà le sue osservazioni e le sue proposte. (Approvazioni).

ABOZZI. Chiedo di parlare per una breve dichiarazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Onorevoli colleghi, consentitemi una brevissima dichiarazione. I miei conterranei conoscono perfettamente le ampie riserve che ho creduto di fare quando si è discusso il Titolo V della Costituzione, sulla autonomia regionale, che a me pareva non potesse giovare all’interesse della Sardegna. Tuttavia, mi asterrò dal fare una proposta radicale concreta che, d’altra parte, per più di una ragione, sarebbe votata al più clamoroso e al più sicuro degli insuccessi. Ho la piena coscienza di essere il solo fra i deputati sardi e quasi il solo in quest’Aula a pensare come penso. Tuttavia, qualunque sia il mio pensiero, io vorrei, onorevoli colleghi, vorrei fortemente che il pessimismo regionalistico fosse un mio gravissimo errore, e sarei il primo a farne ammenda. Vorrei, fermamente vorrei, che la Sardegna rinascesse, che trovasse quella strada di popolo felice che non le tracciarono i secoli del suo doloroso cammino.

Se l’isola vincerà la sua battaglia – credetelo – sarà sacro anche per me il segno nel quale avrà vinto. E se questo non dovesse avvenire, non sarò tra quelli che si consoleranno dei mali della Patria con la trista soddisfazione di aver bene preveduto.

I qualunquisti e i liberali della Sardegna collaboreranno nella più utile delle forme: prendendo parte alle elezioni e difendendo nell’assemblea regionale gli interessi dell’isola, che sono quelli di ciascuna delle sue province, e che debbono essere sempre superiori a qualunque interesse di dottrina o di partito.

Prima di finire, mi corre l’obbligo di ringraziare l’onorevole Ambrosini dell’interpretazione data all’articolo che riguarda gli enti autarchici territoriali. La formulazione dell’articolo mi pareva abbastanza sicura e precisa; tuttavia lo ringrazio della interpretazione autentica. Non opporrò la incostituzionalità della norma, che lo stesso onorevole Ambrosini riconosce opponibile, perché penso che in un tempo lontano un Governo potrebbe proporre l’abolizione delle province: ma in nessun tempo, o vicino o lontano, Sassari rinunzierà alla sua provincia.

LUSSU. Non si sa mai: potrebbe anche darsi.

ABOZZI. No.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.

La seduta termina alle 12.50.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 27 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 27 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Votazione segreta del disegno di legge:

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61)

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Votazione a scrutinio segreto del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora procedere alla votazione a scrutinio segreto del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica:

Presenti e votanti          361

Maggioranza                182

Voti favorevoli            272

Voti contrari                 89

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzali – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caristia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Marconi – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Mazzoni – Medi Enrico – Merighi – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montalbano – Monterisi – Montini – Morandi – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pellegrini – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Secchia – Segala – Segni – Sereni – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Villabruna –Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Costa.

Merlin Umberto.

Orlando Vittorio Emanuele.

Valiani.

Avverto che domani mattina si inizierà l’esame dello Statuto regionale sardo.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ravvisi l’urgente necessità di porre fine allo sfruttamento cui lo Stato sottopone da un ventennio gli aiutanti nelle cancellerie e segreterie giudiziarie della Repubblica, adibiti permanentemente, con pieno carico di responsabilità, a mansioni del gruppo B e retribuiti quali impiegati d’ordine (gruppo C).

«A tale fine ritiene opportuno ricordare che, mentre con l’articolo 1 del regio decreto-legge 14 novembre 1926, n. 1935, si istituiva un ruolo di 1202 aiutanti, col successivo articolo 2 si contraeva l’organico dei cancellieri di 1100 unità: da tale richiamo emerge evidente la finalità speculativa a cui il Governo di allora si ispirò. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere se il Governo, in considerazione che nella sola città di Chioggia esistono 72 vedove di pescatori morti in mare per scoppi di mine, non ritenga necessaria l’adozione di un provvedimento legislativo per cui alle categorie delle vittime civili di guerra, ai fini dell’assistenza post-bellica, si aggiungano le famiglie dei pescatori rimasti vittime ed i pescatori rimasti infortunati in seguito ad esplosione di mine marine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ravagnan».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, sui fatti luttuosi di Messina, causati dal criminale attentato consumato dai fascisti contro uomini, donne e bambini, mentre si svolgeva una festa da ballo nella sede di una sezione del Partito comunista italiano.

«Poiché i precedenti attentati contro le sedi del Partito comunista italiano e delle organizzazioni sindacali della stessa città sono rimasti impuniti ed i fascisti locali hanno considerato tale impunità come un premio d’incoraggiamento, gli interroganti chiedono se il Ministro dell’interno non ravvisa la urgente necessità della soppressione di certa stampa periodica dichiaratamente fascista e di una seria inchiesta per individuare e punire i mandanti, annidati nel M.S.I., di simili gesta criminali. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Fiore, Li Causi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, se non creda opportuno, ad evitare contrasti di fazioni, vietare l’uso di uniformi che, anche sotto l’aspetto coreografico, accentuano schieramenti di battaglia in un Paese che risente ancora del danno degli inquadramenti paramilitari.

«Una sola eccezione sarà doveroso fare per le camicie rosse della Grecia, delle Argonne e della brigata «Alpi». (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Spallicci, Villani, Longhena, De Mercurio, Zuccarini, Marinelli, Mazzei, Della Seta, Camangi, Binni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti si reputi opportuno adottare a favore di tutti i dipendenti dell’Amministrazione statale, i quali da varî anni prestano la loro attività in qualità di «avventizi» e desiderano, naturalmente, perfezionare il loro rapporto d’impiego. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno inviate ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 17.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10 e alle 16:

Discussione del disegno di legge costituzionale:

Statuto speciale per la Sardegna.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 27 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 27 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Norme per l’elezione del Senato della Repubblica (61)

Presidente

Targetti

Grilli

Micheli, Presidente della Commissione

Gullo Fausto, Relatore per la maggioranza

Scelba, Ministro dell’interno

Molinelli

Uberti

Costantini

Caroleo

Cevolotto

Lucifero

Rivera

Fioritto

Gullo Rocco

Laconi

Moro

Fuschini

La Rocca

Fantoni

Mortati, Relatore per la minoranza

Presentazione di relazioni:

Di Giovanni, Presidente della Commissione per le autorizzazioni a procedere

Presidente

La seduta comincia alle 11.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Merlin Umberto.

(È concesso).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che il Gruppo parlamentare del Partito socialista dei lavoratori italiani ha ricostituito il suo Ufficio di Presidenza, che risulta così formato:

Presidente: onorevole Gullo Rocco; Segretario: onorevole Lami Starnuti; Vicesegretario: onorevole Preti; membri del Comitato direttivo: onorevoli Carboni Angelo, Grilli, Persico e Treves.

Seguito della discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: «Norme per l’elezione del Senato della Repubblica» (61).

Dobbiamo esaminare l’articolo 2, identico nel testo del Governo e della Commissione. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«In ogni regione sono costituiti tanti collegi quanti sono i senatori assegnati alla regione.

«Le circoscrizioni dei collegi risultano dalla tabella B che fa parte integrante della presente legge».

PRESIDENTE. Il Governo propone di aggiungere un terzo comma del seguente tenore:

«Le sezioni elettorali che interessano due o più collegi si intendono assegnate al collegio nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio elettorale di sezione».

L’onorevole Targetti, assieme con l’onorevole Amadei, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La tabella delle circoscrizioni sarà stabilita con decreto presidenziale, promosso dal Ministro dell’interno su conforme parere della Commissione parlamentare per la legge sul Senato».

TARGETTI. Onorevoli colleghi, la tabella delle circoscrizioni deve far parte integrante della legge per le elezioni del Senato. L’importanza delle circoscrizioni, come ebbi occasione di accennare nella seduta nella quale il Presidente mi aveva invitato a svolgere senz’altro un ordine del giorno inerente a questo argomento, cambia a seconda del sistema elettorale che si segue e mentre raggiunge un livello altissimo nel sistema uninominale, perde molto della sua importanza in un sistema proporzionale.

Io non starò a definire il sistema elettorale adottato dalla nostra legge, per non entrare in una polemica ormai superata. Mi basti notare che la legge, in una parte, attribuisce una notevole importanza alle circoscrizioni; cioè con quella disposizione per la quale viene proclamato eletto il candidato che ha riportato il 65 per cento dei voti. È inutile far perdere tempo all’Assemblea col dimostrarlo, giacché ciò risulta chiaro a chiunque ed è da tutti condiviso. D’altra parte, la competenza di approvare le tabelle delle circoscrizioni spetta all’Assemblea.

Con quali modalità? Verrebbe fatto di dire che, data l’importanza delle circoscrizioni stesse, l’Assemblea dovesse direttamente procedere all’approvazione della relativa tabella. Ma questo non è praticamente possibile. E io non mi richiamo soltanto ad una mancanza di tempo; sebbene il tempo in questa nostra questione debba essere tenuto ben presente, perché l’Assemblea ricorda anzitutto che la legge non può essere promulgata se non è accompagnata dalla tabella. Non si può promulgare una legge che stabilisce come si procede alle elezioni di una Camera, se non si indicano anche le circoscrizioni nelle quali questo sistema elettorale verrà applicato. D’altra parte, l’Assemblea ha presenti anche i termini entro i quali si deve procedere alla convocazione dei comizi, e quindi bisogna convenire che vi è l’urgenza per la promulgazione della legge, corredata della tabella delle circoscrizioni. Ma non è soltanto una questione di tempo che sta contro la possibilità che l’Assemblea proceda direttamente all’esame ed all’approvazione delle singole circoscrizioni; c’è anche una possibilità inerente alla materia stessa. Chiunque comprende l’impossibilità materiale che l’Assemblea, collegialmente, prenda in esame, una per una, tutte le 236 circoscrizioni, le discuta una per una e deliberi su ciascuna di esse. I precedenti, del resto, ci dimostrano che questo non si è mai ritenuto possibile fare.

Vigendo il sistema del collegio uninominale, il Parlamento fu chiamato varie volte a deliberare sopra alcune particolari e determinate modificazioni di circoscrizioni; ma l’impianto di un nuovo sistema elettorale porta come conseguenza che la delimitazione delle circoscrizioni non venga fatta direttamente dall’Assemblea legislativa. Di fatti, io ricordo a me stesso, che quando nel 1919 si dette applicazione per la prima volta al sistema proporzionale, il Parlamento deliberò che per la prima attuazione della legge le circoscrizioni venissero determinate con decreto reale promosso dal Ministro dell’interno, udita una Commissione eletta dalla Camera.

Noi diciamo che anche questa volta bisogna ricorrere ad un sistema analogo; anzi allo stesso sistema, salvo la necessità di modificarlo in alcune modalità di applicazione.

Allora si disse che il Governo avrebbe provveduto a provocare un decreto reale, udita una Commissione eletta della Camera, ma, onorevoli colleghi, senza entrare, ripeto, nell’apprezzamento della natura specifica del sistema elettorale adottato dalla legge che si sta per votare, è certo che le circoscrizioni in questo sistema hanno un’importanza, perché esercitano un’influenza molto maggiore che in un sistema prettamente proporzionale. Nel sistema prettamente proporzionale, che un comune sia aggregato ad un altro, che una città sia divisa in varî collegi secondo un criterio o un altro, non ha nessuna pratica importanza perché non può portare a nessuna differenza di risultati. Lo stesso numero di elettori votanti per un partito esercita la stessa influenza nel determinare il numero degli eletti che a quel partito competono, qualunque sia stata la delimitazione delle sezioni nelle quali quegli elettori hanno votato.

Qui, invece, siccome abbiamo la proclamazione dei candidati che hanno riportato il 65 per cento dei voti, la determinazione delle circoscrizioni ha evidentemente una diversa, maggiore importanza, giacché l’attribuzione di un nucleo di elettori ad un collegio piuttosto che ad un altro può permettere, od impedire, che un candidato raggiunga il quorum fissato. Da qui, la necessità, a parer nostro, che sia il Governo a provocare il decreto presidenziale ma «su conforme parere» come noi abbiamo detto, di una Commissione, non già «udito il parere» di una Commissione. Ed a proposito della Commissione, si chiederà da qualcuno, perché non adottare la procedura adottata nel 1919 e nominare un’apposita Commissione?

A noi sembra che non vi sia oggi questa necessità. Basta ricordare che allora, nel 1919, vigeva il sistema degli Uffici. Gli Uffici risultavano composti secondo il capriccio della sorte. Dagli Uffici promanavano le Commissioni, quindi nella composizione delle Commissioni parlamentari non era assicurato nessun criterio di rappresentanza dei varî gruppi e dei varî partiti. Ecco perché, in una materia così delicata, si ritenne necessario allora procedere alla nomina di un’apposita Commissione, eletta con le norme comuni a tutte le nomine che il Parlamento fa, cioè votando soltanto per due terzi del numero dei componenti ed assicurando, così, una rappresentanza alle minoranze.

Oggi, a parer nostro, questa necessità non c’è più, perché noi abbiamo la Commissione parlamentare per l’esame della legge sul Senato, non costituita secondo la sorte, ma nominata dal nostro Presidente il quale, seguendo una prassi che è a garanzia di tutti, l’ha composta con una rappresentanza proporzionale delle varie forze politiche che si trovano nel Parlamento.

Ecco perché riteniamo che non vi sia nessuna necessità di nominare un’apposita Commissione e che tutti i settori della Camera possano fare sicuro affidamento nell’opera della Commissione parlamentare che è ancora in carica.

Infine, l’Assemblea Costituente (lo tengano presente gli onorevoli colleghi) l’Assemblea Costituente che avrebbe il compito – al quale fa riscontro uno stretto dovere costituzionale e politico – di procedere direttamente all’approvazione e deliberazione delle circoscrizioni elettorali, non può limitarsi a delegare questo suo potere ad una Commissione, perché altrimenti il suo intervento nel disciplinare questa materia così delicata sarebbe tanto ristretto, da rappresentare un vero e proprio atto di mutilazione, una diminuzione volontaria delle proprie facoltà, cui corrispondono degli specifici doveri.

Ecco perché noi riteniamo che non in questo articolo, ma con la votazione di un successivo ordine del giorno, l’Assemblea Costituente debba determinare le direttive, i criteri fondamentali, seguendo i quali la Commissione da noi delegata potrà presentare al Governo le sue proposte, dopo di che il Governo potrà a sua volta provocare il decreto presidenziale.

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Rocco ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La tabella delle circoscrizioni dei collegi elettorali per l’elezione del Senato sarà stabilita con decreto del Presidente della Repubblica promosso dal Ministro dell’interno su proposta della Commissione dell’Assemblea Costituente che ha esaminato il disegno di legge».

L’onorevole Gullo Rocco non è presente.

GRILLI. Signor Presidente, faccio mio l’emendamento dell’onorevole Gullo Rocco, rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. Sta bene. Invito allora il Presidente della Commissione a pronunziarsi al riguardo.

MICHELI, Presidente della Commissione. La Commissione non ha nulla in contrario ed esprime parere conforme a quello manifestato dall’onorevole Targetti. Io dico ciò, peraltro, a titolo meramente personale, avendo avuto occasione di interpellare al riguardo solo qualche collega. Questo debbo anche dire, perché c’è stato chi ha voluto far osservare che qualche volta io non avrei esattamente interpretato il pensiero di tutta la Commissione. È d’altronde difficile interpretare il pensiero dell’intera Commissione, quando essa è composta di ventiquattro membri, dei quali siedono al nostro tavolo soltanto, per lo più, sette od otto, ed essi spesso per una metà sono di un parere e per l’altra di un altro.

Pur essendo io ed i colleghi vicini dello stesso avviso esposto dall’onorevole Targetti, preferisco dichiarare, per maggior esattezza, che la Commissione si rimette all’Assemblea.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Onorevole Presidente, si sta facendo, ora, soltanto una questione di procedura, o si entra anche nel merito?

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. L’ordine del giorno provvede a far stabilire dall’Assemblea alcuni criteri generali, i quali possono evidentemente mutare secondo l’opinione dei singoli deputati, mentre si può realizzare l’accordo sul principio stabilito dalla nostra proposta.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Questo appunto io domando: se si discute della procedura, del modo, cioè, come debbano esser rese esecutive queste tabelle, o del merito della questione cioè come queste tabelle debbano essere formate.

PRESIDENTE. Si discute della procedura, onorevole Gullo.

Onorevole Scelba, vuole pronunciarsi anche lei, a nome del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo accede all’emendamento dell’onorevole Gullo Rocco.

MOLINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MOLINELLI. Il Gruppo parlamentare comunista accede all’emendamento dell’onorevole Targetti, ritenendo che la Commissione debba dare un parere impegnativo sulla formazione delle tabelle. È evidente infatti che, senza questo parere, l’Assemblea non potrebbe approvare una legge nella composizione della quale essa non sia completamente entrata.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Dichiaro che voteremo a favore dell’emendamento Gullo Rocco, perché, in sostanza, i due emendamenti hanno il medesimo valore: l’uno parla di «parere conforme», l’altro di «proposta». Quello dell’onorevole Gullo Rocco, però, mi sembra esser redatto in una forma più riguardosa.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. La dichiarazione fatta dall’onorevole Uberti contrasta con quello che è il valore letterale delle parole.

Richiamo l’attenzione del collega Uberti su questa circostanza: nell’emendamento proposto dall’onorevole Targetti si dice che la tabella delle circoscrizioni sarà formata «su conforme parere» della Commissione parlamentare. In quello dell’onorevole Gullo Rocco si dice: «su proposta», il che è completamente diverso, perché quando uno propone, non impone una direttiva e consente alla persona o all’organo, cui la proposta è diretta, anche delle variazioni sostanziali.

Ora, è bene essere chiari a questo riguardo e dare a questo emendamento, cioè a quello che dovrà diventare parte di un articolo della legge, un’espressione chiara, perché non si incorra in equivoci. Badate: quando la Commissione funzionerà, l’Assemblea sarà chiusa, e in sostanza il funzionamento della Commissione avrà il carattere del funzionamento dell’Assemblea. Ora, sarebbe strano che i rappresentanti dell’Assemblea non avessero potere vincolante nei riguardi del Ministero, proprio in ordine ad una soluzione che ha una grande importanza, perché si riferisce alle circoscrizioni nelle quali dovranno svolgersi le elezioni. Quindi è bene che diciate chiaramente il vostro pensiero. Voi preferite che vi sia il parere, noi vogliamo che vi sia l’espresso consenso.

CAROLEO, Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Debbo dire che mi sembrano molto esatte le osservazioni dell’amico Costantini. Qui il Governo chiede una delega che l’Assemblea non può dare. Questa delega l’Assemblea la fa alla Commissione per la legge elettorale del Senato, con le restrizioni e con le precisazioni dell’ordine del giorno Targetti. Mi pare che al di là di queste non si possa andare.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Volevo dire quello che ha detto il collega Caroleo. La differenza fra la proposta Targetti e la proposta Gullo Rocco è che con la proposta Targetti si conferisce la delega per formare le tabelle delle circoscrizioni alla Commissione – il potere di formarle spetta, infatti, all’Assemblea, la quale avrebbe diritto di modificare le tabelle presentate come vuole; ed essa per la difficoltà di una discussione generale in materia, delega questo suo potere alla Commissione – mentre, con la proposta Gullo Rocco, l’Assemblea delega questo suo potere al Governo.

È evidente che l’Assemblea, secondo i principî che abbiamo sempre seguito, deve delegare il suo potere alla Commissione e non al Governo. Perciò voterò l’emendamento proposto dall’onorevole Targetti.

PRESIDENTE. Allora, onorevoli colleghi, procediamo alla votazione.

COSTANTINI. Chiediamo la votazione per appello nominale sull’emendamento Targetti.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ritengo opportuno rinviare a più tardi questa votazione, perché vi sia la certezza del numero legale. Passiamo intanto all’esame del seguente ordine del giorno, presentato dagli onorevoli Targetti e Amadei:

«L’Assemblea Costituente afferma che la tabella delle circoscrizioni debba essere formulata secondo i seguenti criteri:

1°) attenersi il più rigorosamente possibile alla norma costituzionale per la quale deve essere eletto un senatore per ogni duecentomila abitanti;

2°) rispettare le unità provinciali;

3°) mantenere, in linea di massima, intatte le unità cittadine;

4°) suddividere le città con popolazione superiore ai 400.000 abitanti, tenendo conto della loro particolare configurazione topografica ed, in mancanza di questa, procedendo a suddivisione con criteri omogenei».

L’onorevole Lucifero al 2°) alinea: «rispettare le unità provinciali» ha proposto di aggiungere: «e le contiguità territoriali».

LUCIFERO. Chiedo di parlare per chiarire il mio emendamento, in modo che l’onorevole Targetti possa dire se lo accetta.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei dire semplicemente questo: che, come è giusta l’osservazione dell’onorevole Targetti di rispettare l’unità delle provincie, che è ormai una realtà nel nostro Paese, è necessario anche tener conto della contiguità territoriale, perché, se no, i collegi diventano degli arcipelaghi, mentre occorre che vi sia veramente una unità.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti, ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.

TARGETTI. Come ho avuto il piacere di dire illustrando l’emendamento proposto e sul quale l’Assemblea sarà chiamata fra poco a votare, la delega che l’Assemblea Costituente approvando quell’emendamento concederebbe dei suoi poteri in materia di determinazione delle circoscrizioni, sarebbe, se non integrata dall’approvazione del nostro ordine del giorno, una delega troppo vasta, troppo lata, e tale da spodestare l’Assemblea Costituente di un potere che ha un grande significato politico e del quale essa deve essere gelosa custode. Ripeto, un significato politico che sarebbe stato molto maggiore se l’Assemblea si fosse attenuta all’obbligo di adottare il sistema uninominale; secondo il significato dell’ordine del giorno Nitti, approvato a suo tempo. Ma la quistione non rimane certamente priva di importanza politica neppure con l’approvazione di quel sistema elettorale che, ripeto, io non ho la competenza di definire e che presenta certo qualche stranezza. Anche dal lato filologico. Per esempio quel collegamento di un candidato con se stesso si presta alle interpretazioni più stravaganti e meno fisiologicamente normali che immaginar si possa! (Si ride).

 È quindi necessario che l’Assemblea Costituente dia alla Commissione dei criteri, fissi delle direttive.

Onorevoli colleghi, si sa che siamo in una materia politica; anche la circoscrizione ha un contenuto politico. Bisogna però che ciascuno di noi cerchi di spogliarsi – nei limiti del possibile e dell’umanamente raggiungibile – delle prevenzioni, dei preconcetti, delle preferenze, in modo che ci si trovi tutti d’accordo su questo: scegliere dei criteri che, quando si fissano, non si sa a chi servano di più: se ad una parte o ad un’altra e si fissano per tutti, in base a concetti, di per se stessi, plausibili.

L’onestà dei criteri consiste in questo: che vengano determinati non in funzione di un determinato scopo o di un determinato partito, ma in base ad una ragione giusta e logica. Poi, il destino, la sorte, l’esperienza dimostreranno se un criterio è stato più utile ad una parte o ad un’altra.

I criteri obiettivi – secondo noi – non possono essere che questi. Non siamo così pretenziosi da non ritenere che si possano correggere nella forma o nell’espressione, ma fondamentalmente dovrebbero essere questi, salvo aggiunte o modificazioni che non ne intacchino né alterino la sostanza.

Per esempio, l’aggiunta proposta dall’onorevole Lucifero l’accetto senz’altro; l’aggiunta che afferma il concetto generale del massimo rispetto della contiguità territoriale.

Sicché, brevemente, i principî cui la Commissione dovrebbe ispirarsi nella determinazione delle circoscrizioni sarebbero, secondo noi, i seguenti: attenersi il più rigorosamente possibile alla norma costituzionale per la quale deve essere eletto un senatore per ogni duecentomila abitanti.

Noi riconosciamo che senza l’emendamento Mortati approvato dall’Assemblea, una composizione delle circoscrizioni numericamente non uniforme avrebbe potuto esercitare un’influenza molto maggiore sulla determinazione degli eletti. Comunque riteniamo che non ci sia ragione che autorizzi a creare, come si propose con la tabella presentata dal Governo, circoscrizioni pletoriche, ipertese, con una popolazione che arriva persino a 240 o 245 mila abitanti, accanto ad altre circoscrizioni, macilente, clorotiche, gracili, composte di appena 120 mila abitanti.

Quindi noi proponiamo che la Commissione si attenga il più strettamente possibile alla norma costituzionale, perché tra l’altro, è passato troppo poco tempo per averla dimenticata (Ilarità). Non vi è nessuna necessità di allontanarsi dalla norma costituzionale.

Questo per quanto riguarda il numero degli abitanti. Le due norme da rispettare l’unità provinciale e, finché è possibile, quella cittadina sono applicazioni di uno stesso principio generale che è poi quello della contiguità territoriale.

Onorevole Scelba, io non voglio entrare nel merito del progetto da lei presentato, per farne la critica; dal progetto che porta il suo nome. Si sa che in pratica il Ministro dà il suo nome ad un progetto, che tuttavia rappresenta una elaborazione tecnica di quei funzionari dei quali si dice spesso tanto male e spesso con tanta poca ragione, mentre il materiale legislativo il più delle volte proviene da questi anonimi cultori del diritto, ai quali in realtà, si deve la base di gran parte della nostra legislazione. Non entrerò dunque nei particolari del progetto presentato dal Governo, anche per non allungare troppo il mio dire, giacché non mi abbandona mai la preoccupazione di pretendere troppo dalla cortesia dei colleghi, di cui sono a loro molto grato.

Dico soltanto: onorevole Scelba, creda alle mie parole. Se ella parlasse confidenzialmente coi rappresentanti delle varie circoscrizioni, forse anche al di sopra delle sostanziali differenze di partito, lei non ne troverebbe uno che non le manifestasse la propria sorpresa di fronte a questa strana composizione delle circoscrizioni.

Io non ho competenza specifica in materia, ma mi dicono che si sono presi alcuni comuni, si sono staccati dai comuni vicini per aggregarli a comuni lontani chilometri e chilometri. Mi è stato detto che si sono fatte con queste tabelle delle vere trasfusioni di sangue; si è preso del sangue ricco di globuli rossi e si è trasfuso in un organismo che ne era già molto ricco… (Interruzioni) perché più rosso di come era non poteva diventare mentre gli organismi che l’avevano prestato si sbiancavano, e diventavano pallidi. Si sono fatte queste trasfusioni di globuli allo scopo… (Ilarità) allo scopo… lei, onorevole Scelba, mi ha capito e se anche mi fermo qui, mi sono già fatto intendere e risparmio di essere interrotto dalla suscettibilità degli egregi colleghi della Democrazia cristiana. Certo una tabella che segna dei criteri non voglio dire capricciosi, ma volubili, variabili, è certo una tabella che non può contentare, tranquillizzare nessuno. Occorre che la tabella si ispiri a concetti precisi. Oltre a quello della contiguità territoriale, occorre stabilire anche l’altro di suddividere le città con popolazione superiore ai 400.000 abitanti, tenendo conto della loro particolare configurazione topografica, e, in mancanza di specifiche indicazioni, procedendo a suddivisioni con criteri omogenei.

Anche qui, onorevole Scelba, non entro in particolari, ma i più maliziosi dicono che secondo il vostro progetto si è suddivisa una città grande o col sistema della raggiera o col sistema delle circonferenze, secondo concetti suggeriti non da costituzionalisti, ma da prefetti o altri uomini che hanno molta conoscenza della vita politica del Paese e degli interessi particolari del partito al potere. (Commenti). Una varietà di concetti non può essere ammessa perché se è giusto che una città si suddivida per cerchi concentrici, non si vede perché un’altra città si debba suddividere a raggiera.

Guardi, onorevole Scelba, a che punto può arrivare la malizia umana! È stato detto che si sia scelto per una città un sistema o l’altro, a seconda che si è ritenuto che la popolazione operaia del suburbio fosse, ai fini… nazionali, più innocua, se suddivisa a raggiera invece che lasciata a sé stessa, lasciata, cioè, a formare la parte predominante di una circoscrizione! E viceversa.

L’onorevole Ministro credo debba essere d’accordo che la Commissione stabilisca una volta per tutte il principio da adottarsi. Questo criterio resulterà favorevole alla Democrazia cristiana in una città più favorevole al Blocco del popolo in un’altra, ma potremo tutti noi dire che abbiamo stabilito dei concetti e questi abbiamo sempre obiettivamente rispettato, nell’interesse della comune dignità.

Questi sono i criteri a cui si ispira il mio ordine del giorno. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Rivera propone di aggiungere all’ordine del giorno

Targetti, dopo il numero 1°) la seguente disposizione:

«Rispettare le unità regionali storico-tradizionali». Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

RIVERA. Vorrei risparmiami di illustrare l’argomento sul quale ho discorso altre volte. Dirò solo che a me sembra che, se l’Assemblea si propone di difendere le unità provinciali, tanto più debba preoccuparsi di difendere le unità regionali. Ciò del resto è stato stabilito dalla Costituzione: noi non possiamo, a mio avviso, senza contravvenire alla nostra Carta costituzionale, costituire i collegi senatoriali, secondo le regioni che sono state variate dal fascismo, ma dobbiamo invece, in questa occasione, tornare alle circoscrizioni delle regioni storico-tradizionali quali sono esistite nei secoli passati. Su ciò l’Assemblea ha deliberato con votazioni di cui una a scrutinio segreto sull’ordine del giorno Targetti, del 29 ottobre 1947. Se facessimo una costituzione di collegi senatoriali in seno a regioni recentemente decurtate o incrementate di territorio dal fascismo, faremmo una legge anti-costituzionale, la quale sarebbe soggetta a quelle obiezioni cui più volte si è accennato in questa Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Fioritto ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’ordine del giorno Targetti.

«Dopo il n° 1) aggiungere: tener presente la composizione dei vecchi collegi uninominali».

Ha facoltà di svolgerlo.

FIORITTO. Rinuncio a svolgerlo perché è così limpidamente espresso, che non ha bisogno di chiarificazioni.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. L’onorevole Targetti aveva presentato l’ordine del giorno quando ancora l’Assemblea Costituente aveva avanti a sé un progetto uninominalista; e quindi l’ordine del giorno aveva una sua logica. Ma ora con il sistema che abbiamo adottato – comunque vogliamo chiamarlo – non v’è dubbio che l’unico criterio veramente importante è quello di avere dei collegi di popolazione e di numero di elettori pressocché uguale.

Il rispetto delle unità provinciali e delle unità cittadine non ha, in confronto della legge che abbiamo già in gran parte approvata, l’importanza che poteva avere prima con il collegio uninominale. Ora, ciò che importa per l’interesse dei collegi e l’interesse dei candidati è di avere un numero di elettori pressoché uguale. Di modo che io penso che anche lo stesso onorevole Targetti non abbia più quell’interesse all’approvazione di questo ordine del giorno che poteva avere nel momento in cui lo ha presentato.

TARGETTI. L’ho ancora.

GULLO ROCCO. Ma, anche stando al merito dell’ordine del giorno, trovo che vi sono delle proposte, circa i criteri da adottare, che sono in contrasto l’una con l’altra.

Quando si dice «attenersi il più rigorosamente possibile alla norma costituzionale per la quale deve essere eletto un senatore per ogni duecento mila abitanti», si dice cosa che noi possiamo condividere. Perché non c’è dubbio che prima norma da osservare è quella costituzionale.

TARGETTI. Non è stata osservata.

GULLO ROCCO. L’ho studiata profondamente, e dico che avete fatto quelle osservazioni a titolo polemico, le quali anche se esatte, ora non hanno più quella importanza di ordine pratico, che potevano avere, quando il progetto era uninominalistico.

Dobbiamo preoccuparci di una cosa sola: ottenere che i collegi siano presso a poco dello stesso numero di elettori ed attenersi alla norma costituzionale; per invitare Governo e Commissione ad attenersi a questo criterio, non abbiamo bisogno di dirlo, perché è detto nella stessa Costituzione; ritengo che i nostri colleghi della Commissione conoscano quanto noi la Costituzione.

D’altra parte, si è detto – e si è detto bene, ma a mio parere inutilmente – che bisogna seguire la norma costituzionale, cioè formare collegi di 200 mila abitanti, e poi si dice di rispettare le unità provinciali…

TARGETTI. Se è possibile.

GULLO ROCCO. …e si dice: mantenere in linea di massima intatte le unità cittadine. Questo criterio di massima lo avete indicato al numero 3 per il mantenimento delle unità cittadine e non al numero 2 per il rispetto delle unità provinciali. È chiaro che, anche se non lo avete detto, è stata una differenza di forma; intendevate dirlo; sarebbe stato bene chiarirlo.

Comunque, penso che il criterio di rispettare le unità provinciali è in perfetto contrasto col primo criterio cui tutti dobbiamo accedere: di ottenere, cioè, collegi uguali fra di loro; in quanto, per rispettare le unità provinciali, rispettando il criterio fondamentale, quello dei duecentomila abitanti, occorrerebbe che le provincie avessero come popolazione una cifra multipla di duecentomila.

Siccome credo che questa sia una eccezione nelle nostre provincie e non la regola, se volessimo rispettare le unità provinciali – e non vedo perché dovremmo assolutamente rispettarle in sistema quasi proporzionalistico – e tenendo conto che vi sono comuni i quali gravitano più sui capoluoghi di altre provincie, dovremmo tener presente, oltre queste considerazioni, la considerazione fondamentale che questo criterio del rispetto delle unità provinciali è in contrasto con quello più importante, segnato al numero 1 dell’ordine del giorno Targetti, di attenersi alla norma costituzionale che parla di un collegio per ogni duecentomila abitanti.

Ritengo che potremmo fare a meno di approvare l’ordine del giorno Targetti, perché creeremmo maggiori ostacoli – e ve ne sono già molti – al lavoro della Commissione.

Questa è composta di colleghi autorevolissimi, ed avrà le sue idee in merito ed i suoi criteri, che corrisponderanno alla norma costituzionale ed alle esigenze di ordine pratico. Per cui penso che sarebbe inutile da una parte e pericoloso dall’altra, voler tracciare dei binari troppo rigidi nei riguardi della Commissione e del Ministro dell’interno.

La Commissione ha ascoltato la parola di molti di noi, sa quali sono le norme costituzionali cui bisogna ispirare i criteri per la formazione delle circoscrizioni. Essa pertanto, rispettando la Costituzione è tenendo conto delle voci, già venute e di quelle che potranno pervenire alla Commissione stessa da parte di conoscitori dei luoghi e delle ripartizioni dei collegi, potrà, rendendosi interprete del pensiero dell’Assemblea, e, soprattutto, seguendo il criterio principale, dettato dall’articolo 57 della Costituzione, dare al Ministro dell’interno quelle indicazioni, di cui, egli si farà interprete nel progetto di legge, che abbiamo proposto.

LACONI. Chiedo di parlare sulla questione di procedura.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Poco fa il Presidente ha sospeso la votazione sugli emendamenti proposti dagli onorevoli Targetti e Gullo Rocco, in quanto presumeva che mancasse il numero legale, ed ha aperto la discussione sull’ordine del giorno Targetti. Io vorrei far presente al Presidente ed all’Assemblea che non si può discutere e votare sull’ordine del giorno Targetti, prima che sia risolta la questione avanzata attraverso gli emendamenti all’articolo 2, in quanto è evidente che è diverso per l’Assemblea l’interesse che essa può avere a dare o meno un mandato, a seconda che venga approvato l’ordine del giorno Gullo Rocco o quello Targetti. Se si giungesse alla posizione estrema, cui ha accennato in questo momento l’onorevole Gullo Rocco, mi pare evidente che l’Assemblea non darebbe nessun mandato e rimetterebbe senz’altro al Governo, con un semplice parere della Commissione, la determinazione delle tabelle. Questo il pensiero dell’onorevole Gullo Rocco, fiducioso nella discrezione del Governo.

Il nostro parere è invece completamente opposto, noi vogliamo stabilire che è la Commissione che deve determinare le tabelle ed è alla Commissione che deve esser dato preciso mandato, non so se è previsto dall’ordine del giorno Targetti – si potranno eventualmente apportarvi delle modificazioni – ma noi, pensiamo che è la Commissione che deve stabilire le tabelle in base a preciso mandato conferitole dall’Assemblea. S’intende che fra queste due posizioni estreme ci sono diverse possibilità intermedie, ma tutte le nostre posizioni sono sempre dipendenti dall’atteggiamento che si assume nella questione pregiudiziale, se debba cioè essere investita la Commissione od il Governo, su semplice parere della Commissione. Prego il Presidente di considerare questo e, se lo crede, di continuare questa discussione, ma in ogni caso di passare al voto prima sugli emendamenti proposti all’articolo 2 ed in un secondo tempo sugli ordini del giorno. (Commenti).

PRESIDENTE. Io comprendo le argomentazioni dell’onorevole Laconi, ma non credo che esse debbano portarci a delle conclusioni che direi estreme e, praticamente, alla sospensione della seduta. Infatti diversa si presenta la questione se la Commissione sarà investita dell’incarico di redigere definitivamente le tabelle lasciando al Governo soltanto il compito di emanarle; oppure se dovrà essere il Governo su proposta, o consiglio o suggerimento della Commissione, a redigere definitivamente le tabelle. Mi sembra però che, e l’uno e l’altro caso possano comportare la votazione di un ordine del giorno, che nel primo avrà un carattere impegnativo per la Commissione e nel secondo carattere di raccomandazione per il Governo.

Io non so se l’Assemblea, qualora venisse alla conclusione di conferire al Governo il potere di redigere le tabelle, voglia anche togliere a se stessi la facoltà di dire al Governo i criteri secondo i quali essa ritiene che le tabelle debbano essere definite. Le raccomandazioni al Governo sono fatti normali nella vita di un’Assemblea, e pertanto mi pare che l’ordine del giorno Targetti, salvo a fissare i termini che l’Assemblea vorrà, possa essere assunto come impegno per la Commissione o come raccomandazione per il Governo.

L’onorevole Laconi non ha portato il suo ragionamento fino alla conclusione che, se l’Assemblea accettasse di deferire completamente al Governo il compito di redigere le tabelle, rinuncerebbe insieme ad esprimere qualunque opinione al proposito. Se l’onorevole Laconi pensa questo, è necessario che lo dica e, se mai, su questo ultimo punto bisognerà decidere. Ma se l’onorevole Laconi, come suppongo, non vuole, nel caso che il Governo debba redigere le tabelle, invitare l’Assemblea a disinteressarsene, si può esaminare l’ordine del giorno Targetti, modificarlo, come si crederà opportuno e votarlo; passando, poi, alla seconda questione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Penso il contrario su questo punto, cioè penso che l’Assemblea dovrebbe non dico rinunciare all’ordine del giorno Targetti, ma attenuarlo.

PRESIDENTE. Scusi, in quale caso lei pensa di attenuarlo?

LACONI. Nel caso in cui investisse esclusivamente la Commissione. Invece, le sue cautele cresceranno se per caso dovesse essere approvato l’emendamento Gullo Rocco, che rimette la questione al Governo.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. È sempre preferibile, se dobbiamo votare un ordine del giorno, dare un indirizzo preciso circa il frazionamento della topografia dei collegi; diversamente ci dovremmo rimettere all’apprezzamento della Commissione, il che può portare a critiche anche ingiustificate. Credo che le tabelle presentate dal Ministero meritino critiche assai fondate. Non ne faccio colpa al Ministro, ma, ad esempio, per quanto riguarda la mia provincia (Treviso), ci sono addirittura delle aberrazioni nello spostamento di un comune dall’estremo sud al nord, dall’est all’ovest, senza comprensibili cause. Onde evitare altre critiche e data la situazione politica determinatasi nel Parlamento nei riguardi dell’attuale Governo, ritengo assai utile fissare in un ordine del giorno, che spero verrà rispettato dalla Commissione più di quanto l’Assemblea non ha dimostrato di rispettare un altro suo ordine del giorno, che siano stabiliti dei limiti obiettivi, dei criteri topografici, nella formazione dei collegi elettorali, affinché critiche non ci possano essere o se ci saranno, non abbiano l’evidenza palmare di quelle che si possono fare alle «tabelle» presentate dall’onorevole Ministro degli interni.

PRESIDENTE. Lei è entrato nel merito. Si doveva ora risolvere la questione posta dall’onorevole Laconi.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Non parlo sulla questione della procedura, se cioè bisogna votare prima l’ordine del giorno oppure l’emendamento, ma proporrei – e credo che questa formula sarebbe accettata da tutti – che invece di «su conforme parere» si dica, nell’emendamento Targetti all’articolo 2, «di intesa».

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, lei torna di nuovo all’emendamento. Non confondiamo le due questioni. Adesso parliamo dell’ordine del giorno.

UBERTI. Se si mette l’espressione «di intesa», allora anche quelli che sostengono l’ordine del giorno Targetti, non avranno più motivo di insistere.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno ha egualmente valore, stando a quello che ha detto l’onorevole Laconi. La sua proposta, onorevole Uberti, può forse giungere solo a convincere l’onorevole Laconi a non mantenere la sua obiezione, e cioè ad accettare che ora si voti l’ordine del giorno.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Se abbiamo rimandato la votazione sull’emendamento, è stato per il sospetto fondato della mancanza del numero legale, ma questa preoccupazione nasceva dalla circostanza spiacevole del disaccordo. Se ora l’onorevole Uberti propone quell’emendamento e se noi lo accettiamo, anche per fare cammino, si potrebbe senz’altro venire alla votazione dell’emendamento stesso per alzata e seduta. Io, per parte mia, lo accetto.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo Rocco, ha qualche cosa da dire a questo proposito?

GULLO ROCCO. Onorevole Presidente, io debbo spiegare perché ho presentato questo emendamento, per cui ora sono indicato quasi come la longa manus del Governo, col quale non ho avuto nessuna occasione di scambio di vedute.

Poiché ignoravo la presentazione dell’emendamento Targetti, e conoscevo soltanto l’ordine del giorno Targetti, avevo presentato questo emendamento per colmare una lacuna. La differenza sostanziale fra l’emendamento Targetti ed il mio emendamento, è soltanto in quelle due parole: cioè, mentre l’onorevole Targetti dice «su conforme parere», io avevo detto «su proposta della Commissione».

Mi sembrava che, trattandosi di una legge che deve esser promossa dal Governo, noi non potessimo affermare che il Governo debba comunque sottostare ad un parere, anche se, per caso, la Commissione possa incorrere involontariamente in gravissimi errori.

Ora viene la proposta dell’onorevole Uberti, accettata dall’onorevole Targetti, cioè di dire «di intesa» anziché «su proposta». A me pare che sia la stessa cosa.

Io avevo detto «su proposta», perché mi sembrava più rispondente alla formulazione giuridica. Ad ogni modo, se la Commissione non avesse nulla da opporre, io non avrei difficoltà ad accettare questo emendamento.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi spiace dover intervenire nuovamente. Io non sono affatto della opinione dell’onorevole Targetti, che, cioè, la frase «di intesa» equivalga a «su conforme parere». È una cosa completamente diversa.

Che cosa s’intende dire quando si dice «di intesa»? Perché, o è un parere vincolativo quello della Commissione, cioè un parere al quale il Ministero deve aderire, ed allora va bene la formula dell’onorevole Targetti; o è semplicemente una espressione che può rimanere platonica, ed allora tanto vale lasciare la formula dell’onorevole Gullo Rocco.

Mi pare che si giochi un po’sulle sabbie mobili del significato delle parole, che possono essere interpretate in un senso oppure in un altro. Assumiamo ciascuno la nostra posizione e votiamo un qualche cosa di chiaro e di vincolativo nell’interesse della Commissione e dello stesso Ministro.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io debbo dire all’onorevole Gullo Rocco che noi non potremo in nessun modo aderire alla sua proposta. Egli deve convenire che, quando si dice: «Il Governo, su proposta della Commissione, procede a provocare un decreto ecc.», non si esclude che questa Commissione proponga e che poi il Governo faccia magari l’opposto; perché proporre non significa creare un obbligo al Governo di accettare; mentre la proposta dell’onorevole Uberti potrebbe trovarci consenzienti.

Alcuni colleghi vorrebbero sostituire alla parola «intesa» la parola «accordo»; ma il significato è quasi lo stesso; e tranquillizzo l’amico onorevole Costantini facendogli osservare che la formula dell’intesa è classica in materia legislativa e non ha mai significato disaccordo. Ha voluto sempre dire che ci vuole l’accordo fra coloro per i quali vige l’obbligo dell’intesa.

Però, se i colleghi facessero anche essi un passo avanti e sostituissero la parola «accordo» ad «intesa» sarebbero anche tranquillizzati tutti gli scrupoli.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Abbiamo ormai constatato che le due questioni sono legate. Io penso che tutti saranno d’accordo per accedere alla proposta dell’onorevole Uberti, se naturalmente si raggiungesse un accordo sull’ordine del giorno Targetti, sui criteri da stabilire per la Commissione.

Se quindi il signor Presidente ci volesse concedere cinque minuti di tempo per metterci d’accordo (Commenti) penso che questo si potrebbe più facilmente raggiungere.

PRESIDENTE. Penso che, mentre il Presidente della Commissione e il Ministro dell’interno esprimeranno il loro parere, trascorreranno appunto cinque minuti e non occorra perciò sospendere la seduta: si potrà nel frattempo cercare l’accordo.

Presentazione di relazioni.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione per le autorizzazioni a procedere. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione per le autorizzazioni a procedere. Mi onoro presentare le relazioni sulle richieste di autorizzazione a procedere contro i deputati Zappelli, Longhena, Zanardi, Gonella, Patrissi, Laconi, Labriola, Tomba, Covelli, Motolese.

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Norme per l’elezione del Senato della Repubblica. (61).

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di esprimere il parere della Commissione in merito agli emendamenti e all’ordine del giorno presentati.

MICHELI, Presidente della Commissione. Se la Commissione deve pronunciarsi sopra l’intesa relativa a quella frase, mi pare che essa possa essere esonerata per le ragioni che ho già esposte.

Se, invece, dobbiamo parlare sull’ordine del giorno Targetti, giacché egli ha accennato a notevoli possibilità nell’applicazione, facciamo osservare che, per rendere meno difficile il compito della Commissione, sarebbe bene che tale criterio possibilista espresso in due punti con le dizioni «in linea di massima» o «più rigorosamente possibile» fosse messo in testa, in modo che comprendesse tutti i punti: «…con i seguenti criteri da applicarsi secondo le compatibili possibilità». Ciò perché effettivamente l’applicazione contemporanea di tutti questi criteri non può avvenire.

Della cosa abbiamo parlato tre sedute or sono ed allora abbiamo avvertito che, per esempio, ci sono unità provinciali che non possono essere rispettate per intero; dati i 200.000 abitanti obbligatori per ciascun collegio, restano sempre dei relitti che si devono pur collocare in qualche parte.

Così altri elementi che qui sono detti non si possono seguire costantemente; ma bisogna applicarli tutte le volte che è possibile.

Concludo che, se in testa a tutti i quattro o cinque punti fosse scritto: «da applicarsi secondo le compatibili possibilità», il sistema diverrebbe di più facile applicazione e si potrebbe avere la possibilità di lavorare con maggiore sicurezza di fare opera buona, di fare opera meno soggetta a ragionevole critica.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Io penso onorevoli colleghi che, forse, qualche chiarimento preliminare potrà proficuamente ricondurre il problema nei suoi termini concreti.

V’è innanzi tutto una prima questione, ed è quella che io ho avuto più volte occasione, durante la discussione della legge elettorale, di dichiarare, cioè che l’impossibilità di fare circoscrizioni elettorali omogenee costituiva per me la difficoltà maggiore che si opponeva all’attuazione del collegio uninominale classico o tradizionale.

Debbo infatti far presente che l’eterogeneità di questi collegi è balzata evidente a tutti e, per la prima volta, com’è naturale, al Ministro dell’interno, il quale perciò può concordare, in linea di massima, con alcune osservazioni che sono qui state fatte. Mi corre però l’obbligo di ricordare altresì all’Assemblea che essa ha preso due importanti deliberazioni, le quali riducono notevolmente la importanza delle circoscrizioni regionali.

La prima di queste deliberazioni è costituita dalla perequazione delle circoscrizioni stesse, attraverso i voti da attribuirsi ai candidati; cosicché il problema del numero degli abitanti delle singole circoscrizioni elettorali perde oggi qualsiasi valore dopo questa deliberazione che colloca tutte le circoscrizioni sullo stesso piede di parità.

La seconda è il quorum del 65 per cento, che rende assai rara l’ipotesi della proclamazione del candidato singolo. Anche per questa ragione l’importanza delle circoscrizioni elettorali è oggi di molto attenuata; ridotta com’è all’ipotesi, piuttosto difficile, cui ho or ora fatto cenno, del candidato che raggiunga il 65 per cento.

Ho già detto che io condivido alcune delle critiche mosse alla formazione delle circoscrizioni. Ma la colpa non è dovuta alla malizia degli uomini: essa è, per così dire, nelle cose. Si è detto: avete istituito collegi di 140 mila abitanti ed anche di 90 mila abitanti invece di 200 mila. Rispondo che l’osservazione è fuor di luogo, perché i collegi di 140 mila o di 90 mila abitanti hanno la loro base nella stessa Costituzione. I colleghi debbono ricordare che la disposizione dell’articolo 57 non si applica nei confronti delle regioni che hanno una popolazione inferiore a quella necessaria per assicurare il minimo di 6 senatori per regione.

Prendiamo l’ipotesi della Lucania. La Lucania ha una popolazione di 594 mila abitanti e i seggi assegnati sono sei. Suddividendo per sei 594.000 risulta che la popolazione media di un collegio è di 99 mila abitanti. Noi ci allontaniamo dai 200 mila abitanti, ma in osservanza di una precisa disposizione di legge. Quindi, se ci si obietta che abbiamo fatto dei collegi di 99 mila abitanti invece che di 200 mila, l’osservazione non ha alcuna fondatezza. L’eguaglianza dei collegi va attuata nell’ambito della regione. Ecco il problema.

I criteri per la formazione delle circoscrizioni elettorali suggeriti ai prefetti, incaricati di fare proposte concrete, sono i seguenti: primo: osservare il limite stabilito dalla legge: 200 mila abitanti, con uno scarto in più o in meno che non superi il 10 per cento – perché questa mi sembra una percentuale sopportabile – ; secondo criterio: rispettare le continuità territoriali; terzo criterio: rispettare, per quanto possibile, le unità economico-sociali.

Le proposte fatte dai singoli prefetti sono state vagliate dai prefetti della regione riuniti collegialmente e sottoposte al Ministero dell’interno. Si capisce che le proposte fatte dai prefetti delle singole provincie e dai prefetti riuniti regionalmente non erano perfette; essi stessi, dopo le prime comunicazioni e decisioni, tenuto conto di osservazioni, obiezioni e proteste pervenute, hanno mandato altre proposte e modifiche, di cui in parte si è potuto tener conto e in parte no.

Per quanto riguarda i criteri indicati dall’onorevole Targetti, debbo dichiarare lealmente che nessun criterio aprioristico a carattere imperativo, assoluto, è possibile accettare; perché nessun criterio può essere attuato rigorosamente e matematicamente. Lo dimostro subito.

Per quanto si riferisce al n. 1°), l’onorevole Targetti dice che bisogna rispettare il criterio dei 200 mila abitanti. Ho già detto come questo criterio è contrario alla legge costituzionale. Non possiamo rispettare il numero di 200 mila abitanti, ma dobbiamo parlare di media regionale.

Rispettare le unità provinciali. Onorevoli colleghi, noi abbiamo cercato di fare questo sforzo, ma è nella legge stessa, nelle cose, l’impossibilità di aderire a questo criterio che appare, a prima vista, naturale. Vi citerò un caso: la Calabria. L’onorevole Gullo, che è qui presente, conosce certamente la situazione. La Calabria ha diritto a dieci seggi ed è composta di tre provincie: Catanzaro, con 694 mila abitanti, Cosenza, con 669 mila abitanti, Reggio 642.000.

Se volessimo osservare il criterio provinciale avremmo tre collegi di 200.000 abitanti per ogni provincia, con un resto; e poiché la provincia di Catanzaro avrebbe il resto maggiore si potrebbe assegnare ad essa il 4° collegio.

Ed. ecco le conseguenze: Catanzaro avrebbe quattro collegi di 173.000 abitanti, mentre Cosenza avrebbe tre collegi di 223.000 abitanti. Quindi non solo si regalerebbe a una provincia un senatore in più, ma si verrebbe a spostare la base dei collegi sulla media di 173.000 abitanti in una provincia e 223.000 in un’altra.

Alle stesse conclusioni si perviene se si esaminano altri esempi concreti.

Quindi, quando voi ci dite di rispettare l’unità provinciale, ci dite cosa che noi ci siamo proposta, ma che la realtà obiettiva porta a non poter rispettare, senza incorrere in sperequazioni nel seno della stessa regione e con quozienti differenti da provincia a provincia.

Ecco perché dicevo che la malizia non sta negli uomini, onorevole Costantini.

COSTANTINI. In qualche caso no, ma in altri sì.

SCELBA, Ministro dell’interno. Si tratta di applicare in primo luogo la Costituzione, e di stabilire collegi uguali nell’interno della regione. Ciò porta alla necessità di assegnare un certo numero di comuni di una provincia ad un’altra provincia.

COSTANTINI. Non sono neanche i confinanti di quella Provincia.

SCELBA, Ministro dell’interno. Verrò subito alla sua osservazione, onorevole Costantini.

Si è detto: bisogna mantenere intatta in linea di massima l’unità cittadina. Credo che si sia fatto ogni sforzo per mantenere questa unità, e non vi è nessun caso in cui si sia distaccato una parte di una città per assegnarla ad altra circoscrizione. Il criterio indicato nel numero 3 dell’ordine del giorno Targetti non ha ragion d’essere.

FOGAGNOLO. Verona è stata divisa in due. Ecco come avete rispettato il mantenimento dell’unità cittadina!

SCELBA, Ministro dell’interno. Il numero 4 dell’ordine del giorno Targetti dice: «suddividere le città con popolazione superiore a 400.000 abitanti tenendo conto della loro particolare configurazione topografica, ed, in mancanza di questa, procedendo a suddivisione con criteri omogenei».

Ecco il caso di Roma. Possiamo seguire due criteri: o si segue il sistema dei cerchi concentrici o il sistema della raggiera o della torta. Ma tanto l’uno che l’altro criterio ha dell’arbitrario, indiscutibilmente; perché non vedo, per esempio, perché il cittadino di Acqua Acetosa debba votare insieme con quello di San Paolo quando la distanza fra Acqua Acetosa e San Paolo è molto maggiore di quanto non sia quella, per esempio, dai Parioli ad Acqua Acetosa.

Comunque, ogni criterio ha in sé la contraddizione, cioè ha in sé la possibilità di critica.

Dice l’onorevole Costantini: scegliete un criterio e adottatelo per tutte le città.

Sono perfettamente d’accordo con lui; ma se i prefetti, sentite le autorità locali, hanno adottato criteri diversi, segno è che la situazione locale consigliava valutazioni diverse. D’altro canto una cosa è una città di 400 mila abitanti, e un’altra cosa una città che ha due milioni di abitanti, e non credo che si possa adottare lo stesso criterio e lo stesso sistema per due città con popolazioni così differenti.

Vi sono poi situazioni politiche molto delicate.

Per esempio, quando voi trovate che in Piemonte è stata creata la circoscrizione di Biella con 170 mila abitanti e Torino Fiat con 244 mila abitanti, voi, onorevole Costantini, dovete darmi atto che le due circoscrizioni corrispondono a unità amministrative o sociali ben determinate. Il circondario di Biella rappresenta un’unità organica, economica e sociale; ha aspirazioni ad esser fatto provincia, per cui lo spostamento d’un determinato comune avrebbe creato del malumore con Vercelli. Si è dovuto adottare il criterio di creare una sproporzione di 74 mila abitanti tra Torino Fiat e Biella, perché aggiungere o togliere qualche cosa per avvicinarsi a 200 mila abitanti avrebbe determinato altre complicazioni e controversie peggiori del male che si sarebbe voluto evitare.

COSTANTINI. E Montevarchi…

SCELBA, Ministro dell’interno. Se lei, onorevole Costantini, mi parla di particolari, io non sono in grado di rispondere, perché io non ho presente tutte le circoscrizioni coi rispettivi comuni e la rispettiva posizione topografica. Concludendo, ripeto: primo, che l’importanza delle circoscrizioni elettorali è oggi notevolmente diminuita, quasi annullata dal fatto che si è operata per i candidati una perequazione dal punto di vista della popolazione; per cui, se Torino Fiat ha 244 mila abitanti e Biella 174 mila la cosa è priva di importanza: il candidato di Biella e il candidato di Torino Fiat si trovano in condizione di parità.

Secondo: l’importanza della circoscrizione è anche attenuata dal fatto che la circoscrizione esercita una sua importanza soltanto nell’ipotesi che il candidato raggiunga il 65 per cento dei votanti: ipotesi che a mio modesto avviso, e credo ad avviso di tutta l’Assemblea Costituente, è molto limitata.

Alcuni errori nelle circoscrizioni dipendono dal fatto che esse sono state redatte prima dell’approvazione della legge: perché, se noi avessimo saputo che l’Assemblea Costituente avrebbe variato i criteri del disegno di legge, ne avremmo tenuto conto nella preparazione delle circoscrizioni.

Quindi tutti i criteri che si vogliono indicare non possono essere accettati che come raccomandazione da parte della Commissione e da parte del Governo. Accetto i criteri che vengono suggeriti, nel senso di tenerne conto nel massimo possibile, ma senza che questo costituisca un imperativo categorico per la Commissione, perché nessuna Commissione potrebbe soddisfare in pieno e totalmente a qualsiasi criterio venisse adottato; anche perché ve ne sono altri degni di considerazione quello per esempio della contiguità territoriale, la facilità di comunicazione col capoluogo di provincia, la viabilità, ecc.; non si può prescindere da queste condizioni. Questi tre criteri devono essere tenuti presenti ed hanno un valore non inferiore ad altri. Le cose dette tolgono valore anche al problema di chi dovrà formare definitivamente le circoscrizioni elettorali. Dovrà essere la Commissione, dovrà essere il Governo, si deve essere d’accordo? Io mi permetto richiamare i precedenti della materia. I precedenti della materia sono molto semplici.

Legge del 1882, scrutinio di lista. Le circoscrizioni vennero determinate nella legge stessa. Allora si aveva molto tempo, non ci si riduceva all’ultimo minuto a fare queste cose. Elezioni uninominali. I collegi creati nel 1891 durano fino al 1913, salvo adattamenti e modifiche 1919, proporzionale. Che cosa deliberò la Camera in quell’occasione? Io non mi riferisco all’ultima deliberazione del 1946, perché la situazione era diversa: allora non esisteva la Camera, ed era ovvio che le circoscrizioni le facesse il Governo.

Nel 1919 fu votato dalla Camera del tempo questa norma: articolo 126: «Per la prima attuazione della legge, le tabelle delle circoscrizioni elettorali e la designazione dei rispettivi capoluoghi saranno stabilite con decreto reale promosso dal Ministro dell’interno, udita una Commissione presieduta dallo stesso Ministro e composta di 14 deputati eletti dalla Camera».

Cioè, la Camera elesse una Commissione, ma fece presiedere questa Commissione dal Ministro dell’interno. Il che conciliava in sostanza le due esigenze. Se noi diciamo che il Ministro dell’interno deve accettare le deliberazioni della Commissione, noi scartiamo il Governo come tale. Lasciamo da parte la questione se il Governo ha interessi come partito. Gli interessi li faranno valere i rappresentanti del partito del Governo nella Commissione parlamentare, e non il Governo.

Il Governo può dare il suo contributo, visto che la formazione delle circoscrizioni non si improvvisa. Allora, mi pare che la esigenza che il Governo sia presente in seno alla Commissione si possa conciliare, facendo partecipare il Governo in seno ad essa con voto. Se le deliberazioni della Commissione sono prese con il voto del Ministro, il Governo si atterrà alle deliberazioni della Commissione.

La questione si potrebbe quindi conciliare in questa maniera: rimettiamo alla Commissione parlamentare della legge per il Senato la formazione di questi collegi. A questa Commissione parteciperà il Ministro con voto, e le decisioni saranno impegnative per il Governo. Con questo si supera ogni questione, tanto più che la materia ha scarsa portata politica per effetto del quorum del 65 per cento e della perequazione delle circoscrizioni elettorali.

PRESIDENTE. L’onorevole Moro ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’articolo 2:

«I collegi stessi avranno come capoluogo i centri più popolosi compresi nell’ambito della circoscrizione».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORO. Rinuncio a svolgerlo, ma vorrei sapere se può essere preso in considerazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Moro dichiara che non svolge il suo emendamento; ma vuole conoscere se la Commissione e il Ministro aderiscono ad esso.

L’onorevole Gullo Fausto ha facoltà di esprimere il giudizio della Commissione.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Noi non accettiamo questo emendamento; piuttosto, pensiamo che si possa ricorrere ad un altro accorgimento: cercare di far coincidere il capoluogo con una sede di tribunale, cosa che credo possibile in tutta Italia. Questo mi pare un concetto da accogliere, ma, s’intende, non in senso assoluto. Mi rimetto a quello che ha detto l’onorevole Presidente poco fa.

Tutti questi criteri si devono intendere in senso relativo.

PRESIDENTE. L’onorevole Micheli ha facoltà di esprimere il suo giudizio.

MICHELI, Presidente della Commissione. Sono d’accordo, ma vorrei verificare il caso in cui in un collegio vi siano due tribunali.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. È già stato deciso: prevale il tribunale del centro più popoloso.

PRESIDENTE. L’onorevole Scelba ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Posso accettare come raccomandazione: anche questo è uno dei criteri che potrà essere seguito.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Se viene accettato come raccomandazione, il mio emendamento all’articolo 2 diventerebbe uno dei criteri indicati nell’ordine del giorno.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Ritengo che la proposta fatta dal Ministro dell’interno, di partecipare con diritto di voto alle sedute della Commissione, possa essere accettata dall’Assemblea, come garanzia di poter giungere tra il Ministro, che rappresenta il Governo, e la Commissione, che rappresenta l’Assemblea, ad un accordo seduta stante. Siccome è indispensabile accelerare questi lavori, non possiamo rimetterci ad uno scambio di comunicazioni tra Commissione e Ministero dell’interno; comunicazioni che potrebbero anche diventare inesatte.

Pertanto, propongo che all’ordine del giorno Targetti venga aggiunto questo comma:

«Il Ministro dell’interno partecipa ai lavori della Commissione con diritto di voto».

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Comunico all’Assemblea una nuova formulazione del mio ordine del giorno, che trova l’adesione anche di colleghi rappresentanti altri Gruppi:

«L’Assemblea Costituente afferma che la tabella delle circoscrizioni debba essere formulata secondo i seguenti criteri:

1°) attenersi il più rigorosamente possibile alla norma costituzionale, per la quale deve essere eletto un senatore per ogni duecentomila abitanti;

2°) rispettare la contiguità territoriale, quando possibile, le unità provinciali.

(Abbiano messo «quando possibile» perché ci sono casi in cui questa possibilità non esiste. Quando nella popolazione di una provincia rimane un residuo che non basta a costituire una circoscrizione, è giocoforza che questo residuo vada a sommarsi ad un certo numero di abitanti della provincia vicina. Quello che conta è che non si possa rompere l’unità provinciale, quando c’è la possibilità di rispettarla);

3°) mantenere, in linea di massima, intatte le unità cittadine;

4°) suddividere, se necessario, le città secondo i comuni criteri di omogeneità topografica».

FIORITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FIORITTO. Io mantengo l’aggiunta all’ordine del giorno Targetti, che è stata già accettata dalla Commissione e sulla quale desidererei sentire il parere del Governo, cioè che tra i caratteri speciali da attribuire ai vari collegi si tenga presente la composizione dei vecchi collegi uninominali, per i quali esiste una tradizione, che ha superalo il periodo della proporzionale e del fascismo.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Per questo criterio ripeto ciò che ho detto per gli altri. Anche questo si può tener presente come uno dei criteri per la formazione dei collegi, ma non può essere un criterio rigoroso. Si tratta infatti di uno dei tanti criteri che si potrà attuare, per quanto è possibile naturalmente, purché non sia in contrasto con gli altri.

FIORITTO. Raccomanderei di tenerlo presente come una direttiva generale.

PRESIDENTE. Desidero chiedere all’onorevole Gullo Rocco se conserva la sua formulazione o se aderisce al testo Targetti concordato con i rappresentanti di altri Gruppi.

GULLO ROCCO. Aderisco alla nuova formulazione Targetti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 2, del seguente tenore:

«In ogni Regione sono costituiti tanti collegi quanti sono i senatori assegnati alla Regione».

(È approvato).

Passiamo al comma aggiuntivo proposto dal Governo, che è del seguente tenore:

«Le sezioni elettorali che interessano due o più collegi, si intendono assegnate al collegio nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio elettorale di sezione».

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, è un problema pratico questo. Le sezioni elettorali sono state già fatte da tanto tempo. Per esempio, a Piazza di Pietra v’è una sezione elettorale; se Roma fosse un solo collegio, la sezione sarebbe del collegio; ma essendo Piazza di Pietra di un determinato collegio non è indifferente chi vota in essa. Come risolvere il problema? Se volessimo rifare tutte le sezioni elettorali, per adattarle ai collegi, sarebbe una cosa impossibile per tempo e per denaro. L’espediente pratico è che coloro che sono assegnati a quella sezione si intendono elettori di quel collegio.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’emendamento Targetti, che è sostitutivo del secondo comma dell’articolo 2. Ne do ancora lettura:

«La tabella delle circoscrizioni sarà stabilita con decreto presidenziale promosso dal Ministro dell’interno d’intesa con la Commissione parlamentare per la legge sul Senato».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Segue l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Fuschini, del seguente tenore:

«Il Ministro dell’interno partecipa alla Commissione col diritto di voto».

Faccio presente che questa proposta rappresenta lo sviluppo della formulazione ora approvata; per facilitare cioè il rapido raggiungimento dell’intesa per la presentazione delle tabelle.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Noi non abbiamo nessuna difficoltà ad aggiungere un membro alla Commissione, ma vorrei far notare all’onorevole Fuschini che mi pare una cosa senza senso, se si stabilisce che vi deve essere un’intesa fra Commissione e Governo. Il fatto che il Ministro diventi membro della Commissione mi pare che crei delle difficoltà invece che facilitare.

FUSCHINI. No, facilita.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Circa la proposta Fuschini, a quanto ricordo io, non è mai accaduto che un Ministro facesse parte della Commissione parlamentare… (Interruzioni al centro).

FUSCHINI. L’ha anche presieduta.

TARGETTI. Qui mi sento fare un riferimento alla Commissione dell’19, ma è una questione del tutto diversa. Oggi noi abbiamo inteso di dare un potere maggiore alla Commissione, data la maggiore importanza che hanno le circoscrizioni in confronto a quella che avevano allora, perché allora si trattava di applicare il sistema proporzionale che non attribuisce alcuna influenza alla diversa composizione delle circoscrizioni. Oggi si tratta di stabilire le tabelle, per l’esecuzione di una legge che, sia pure in partibus, segue un criterio uninominalista. Questo non potete essere voi, colleghi della Democrazia cristiana, a negarlo, voi che avete varato questo sistema sostenendo che era compatibile con l’obbligo dell’Assemblea di adottare per la formazione del Senato un sistema elettorale a collegio uninominale. Non potete esser voi a disconoscere questa differenza sostanziale fra il sistema in questione e quello del 1919: diversità che porta ad aumentare l’importanza politica della delimitazione della circoscrizione e porta anche a rendere l’opera della Commissione più subordinata alla volontà dell’Assemblea. Tant’è vero che il nostro emendamento, che è già stato approvato, dà una delega alla Commissione, che prima il Parlamento non aveva dato.

Quindi, in questa nuova forma di partecipazione dell’Assemblea mi sembra che l’inclusione del Ministro nella Commissione non abbia giustificazione mentre la sua facoltà di partecipare a parte dei suoi lavori non ha bisogno di essere stabilita perché questa possibilità al Ministro non manca mai.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Fuschini se insiste.

FUSCHINI. Io insisto nella mia proposta che ha, soprattutto, un valore pratico.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io vorrei precisare all’onorevole Fuschini una cosa: se l’onorevole Fuschini insiste, noi possiamo anche votare, ma faccio notare che in questa riunione di Commissione il Ministro viene ad avere il 50 per cento dei voti…

FUSCHINI. Non è vero.

LACONI. Sì, perché è stabilito che ogni deliberazione deve essere presa d’intesa col Governo.

Evidentemente il Ministro viene ad avere, così, gli stessi voti della Commissione. Ora, il dargli per di più un voto come commissario mi pare sia cosa senza ragione. (Commenti al centro).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Pregherei l’onorevole Fuschini di non insistere su questo emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha facoltà di dichiarare se insiste nel suo emendamento dopo le dichiarazioni testé fatte dall’onorevole Ministro dell’interno a nome del Governo.

FUSCHINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Passiamo all’ordine del giorno Targetti, nella sua ultima formulazione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’onorevole Targetti non era presente quando ho fatto la mia dichiarazione. Non posso che confermare che, per quanto mi riguarda (naturalmente il problema interessa più la Commissione che il Governo, perché ad essa è demandata la formazione delle circoscrizioni elettorali), accetto l’ordine del giorno solo come raccomandazione e come criterio direttivo. Posso pertanto accettare anche le parole «il più rigorosamente possibile», di cui al primo alinea, qualora il proponente vi dia il significato di raccomandazione, di direttive generali.

TARGETTI. Accetto questa interpretazione.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’ordine del giorno Targetti.

(È approvato).

Vi è ora l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Fioritto:

«Dopo il n. 1°) aggiungere: tener presente la composizione dei vecchi collegi uninominali».

Lo pongo in votazione.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole Rivera:

«Rispettare le unità regionali storico-tradizionali».

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Vi è, infine, l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Moro:

«I collegi stessi avranno come capoluogo il centro più popoloso compreso nell’ambito della circoscrizione».

Lo pongo in votazione.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Onorevoli colleghi, penso che sarebbe opportuno che fosse indicato un termine entro il quale la Commissione deve ultimare i lavori dei quali l’Assemblea le ha dato carico, perché è evidente che dalla conclusione di essi dipende la data di pubblicazione della legge.

Mi limito a porre il problema e chiedo se qualche collega non ritenga opportuno di proporre un termine.

FUSCHINI. Entro il 5 febbraio.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. Proporrei che si indicasse invece il termine entro il quale deve essere emanata la legge. Mi pare si potrebbe stabilire il 10 febbraio.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Mi associo alla proposta dell’onorevole Fausto Gullo.

PRESIDENTE. Poiché le questioni sono due e diverse, pongo anzitutto ai voti la proposta dell’onorevole Fuschini che la Commissione incaricata di redigere, d’intesa con il Ministro dell’interno, le tabelle delle circoscrizioni, debba ultimare i suoi lavori entro il cinque febbraio.

(È approvata).

FANTONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FANTONI. Nella tabella A si parla della Regione Venezia Giulia-Friuli: ho presentato un emendamento perché tale dizione sia corretta in conformità con la dizione usata nella Costituzione: cioè «Friuli-Venezia Giulia».

PRESIDENTE. Onorevole Fantoni, tutto ciò che si riferisce alle tabelle è stato deferito alla Commissione.

MICHELI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI, Presidente della Commissione. Dobbiamo chiudere raccomandando ai colleghi di farci pervenire le loro osservazioni tempestivamente e per iscritto anziché a voce, perché si possa avere a disposizione tutti gli elementi necessari.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Desidero far presente, onorevole Presidente, che la proposta dell’onorevole Fantoni si riferisce all’articolo 1, nel quale si fa cenno della tabella A. È nella tabella A che si è incorsi nell’errore, non nella tabella B. È quindi nella tabella A che l’errore deve essere corretto.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevoli colleghi, l’onorevole Fausto Gullo ha posto una seconda questione: quella del termine entro il quale la legge deve essere pubblicata. Possiamo metterla in relazione senz’altro con l’articolo 28, ultimo del disegno di legge, nel quale sono indicate appunto le norme relative all’entrata in vigore, e che è del seguente tenore:

«La presente legge entra in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

L’onorevole Fausto Gullo propone che si deliberi che questo giorno deve essere il 10 febbraio.

Onorevole Gullo, la prego di voler spiegare i motivi a sostegno di questa proposta.

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. La proposta tende a evitare ritardi nei riguardi della data del 18 aprile, dal momento che fra il giorno della pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali e quello delle elezioni devono intercorrere almeno settanta giorni.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. In questo caso la data del 10 febbraio non è sufficiente. Si dovrebbe indicare 1’8 febbraio.

PRESIDENTE. L’8 febbraio cade in domenica.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ritengo che la proposta sia fuori del normale, perché, a quanto credo, da quando esiste lo Stato italiano, non è mai stato posto in una legge un termine di questa natura. Non .possiamo dire che una legge deve essere pubblicata entro un dato giorno, perché per la sua pubblicazione occorre anche la firma del Capo dello Stato, e noi non possiamo ipotecare la volontà e anche la possibilità, di ordine fisico e materiale, del Capo dello Stato. Devo, perciò oppormi alla proposta dell’onorevole Fausto Gullo.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, conserva ella la sua proposta?

GULLO FAUSTO, Relatore per la maggioranza. La ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo allora in votazione l’articolo 28 ed ultimo, del quale do nuovamente lettura:

«La presente legge entra in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

(È approvato).

L’onorevole Mortati ha fatto pervenire alla Presidenza la seguente proposta di emendamento aggiuntivo:

«All’articolo 9, dopo il secondo comma, inserire:

«L’accettazione della candidatura deve essere accompagnata da apposita dichiarazione, dalla quale risulti che il candidato non ha accettato candidature in collegi di altre Regioni. La candidatura della stessa persona in più di una Regione importa nullità della elezione».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere questa proposta.

MORTATI, Relatore per la minoranza. Questa proposta tende a colmare quella che mi sembra sia una lacuna in cui siamo incorsi involontariamente ieri. Mi pare fosse unanime l’intenzione di escludere la candidatura in più Regioni. Data questa intenzione, dovrebbe essere consacrata in qualche modo una sanzione per i casi di candidatura in più Regioni.

PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Abbiamo già stabilito che la candidatura può essere presentata in una sola Regione è in non più di tre collegi della Regione stessa. Si tratta dunque soltanto delle conseguenze pratiche che dovrebbe avere l’infrazione della norma. Concordo con l’onorevole Mortati nel senso di stabilire la nullità di tutte le candidature presentate, perché non è ammissibile che un candidato ignori le norme relative alla presentazione della candidatura, ed è quindi giusta una comminatoria nel caso in cui l’irregolare presentazione si verifichi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la norma aggiuntiva all’articolo 9 proposta dall’onorevole Mortati e accettata dal Governo.

(È approvata).

Il disegno di legge, del quale abbiamo testé ultimato la discussione, sarà votato nel suo complesso a scrutinio segreto all’inizio della seduta pomeridiana, che è fissato per le 16.

La seduta termina alle 13.30.