Come nasce la Costituzione

Come nasce la Costituzione
partner di progetto

ANTIMERIDIANA DI SABATO 31 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXXIV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 31 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Marinaro

Per la morte di Gandhi:

Binni

Presidente

Risposte scritte ad interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Deliberazioni in merito all’emblema della Repubblica italiana:

Presidente

Medi

Di Fausto

Cremaschi Carlo

Corsini

Marchesi

Spallicci

Perassi

Bettiol

Laconi

Conti, Relatore

Lucifero

Disegno di legge costituzionale (Discussione):

Testo coordinato dello statuto speciale per la Sicilia (65).

Presidente

Cevolotto, Relatore

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Ambrosini

Finocchiaro Aprile

Li Causi

Bellavista

Gullo Rocco

Covelli

La seduta comincia allo 9.30.

MEDI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

MARINARO. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINARO. Signor Presidente, il periodo conclusivo della relazione Ciampitti sulla proposta di concessione dell’autorizzazione a procedere contro l’onorevole Giannini, ha dato luogo ad errate interpretazioni e soprattutto ad una certa speculazione di stampa.

Il periodo conclusivo è quello che dice: «Per tali motivi la Commissione all’unanimità esprime il parere, ecc.».

Ora, io tengo a sottolineare che la Commissione, nella seduta del 27 gennaio, era costituita soltanto da sei membri e che io ero assente. Se fossi stato presente, mi sarei opposto alla proposta di concessione dell’autorizzazione a procedere, dissentendo per ragioni giuridiche e per considerazioni politiche dal pensiero espresso dai presenti, che non rappresentavano maggioranza – sei su quindici – della Commissione, ed avrei fatto una regolare relazione di minoranza.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Per la morte di Gandhi.

BINNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BINNI. Credo di interpretare l’animo concorde di tutti i deputati italiani e di tutti quegli italiani che si sentono, nel senso più ampio e pieno della parola, veramente cittadini del mondo, ricordando qui tra noi quell’altissima vita che ieri una mano folle o prezzolata ha voluto delittuosamente troncare; ricordando che se, in India, turbe infinite di uomini e donne piangono ancora oggi la scomparsa del loro capo spirituale, anche in altre parti del mondo, anche nell’Europa occidentale, altri uomini hanno provato ieri, all’annuncio di quel triste avvenimento come un improvviso crollo, un’improvvisa, un’infinita tristezza. Un’immensa tristezza, e vorrei dire in queste brevissime parole, anche quasi un senso di infinito orgoglio: l’orgoglio che si prova noi uomini quando, nella nostra condizione umana, fra lotte e vergogne infinite, sentiamo delle voci pure ed altissime elevarsi, vediamo atti di sacrificio e di abnegazione; perché io credo veramente che, se la cosa più difficile per un uomo è l’accordo tra un’azione rinnovatrice ed efficace e il rispetto assoluto per ogni vita umana, questo accordo è stato veramente raggiunto dal Mahatma Gandhi. Egli ci ha dato l’esempio che vale meglio convincere che vincere; egli ci ha dato l’esempio che è cosa più alta essere martire che assassino.

Quando noi vediamo ciò che accade nel nostro mondo sconvolto, quando sentiamo ancora le vecchie apologie dei risultati della forza, dei successi della forza, ebbene, noi, di fronte a quest’uomo, così modesto che addirittura era diventato, per certi cinismi occidentali, quasi una figura grottesca, noi sentiamo invece che il valore più alto che l’umanità può raggiungere non sono tanto gli imperi sanguinosi e fastosi, non sono le grandi costruzioni, spesso edificate sulle lacrime e sul sangue, ma invece il gesto più intimo e più solitario, più assoluto, il gesto di un’eroica e sublime bontà, di cui egli, veramente «grande anima», ci ha voluto dare l’esempio. (Applausi).

PRESIDENTE. Credo che l’onorevole Binni abbia interpretato il pensiero e – più che il pensiero – il sentimento di tutta l’Assemblea, pronunciando le parole a ricordo di Gandhi e ad esecrazione dell’orribile tragedia, nella quale è stata spenta una vita che era preziosa non soltanto per il popolo indiano nel suo complesso, ma per tutti i popoli del mondo.

Gandhi ha impersonato, mi pare, essenzialmente la volontà ferma è tenace di liberazione del suo popolo, o anzi, di tutti i popoli che parevano, per una condanna secolare, destinati ad eterna oppressione e schiavitù; ed ha saputo portare per vie nuove alle prime tappe della liberazione non solo il suo popolo, ma, coll’esempio di questo, tutti gli altri popoli che giacevano nella stessa triste e deprecata condizione di vita.

Nello stesso tempo però egli ha saputo impersonare quell’aspirazione irresistibile alla fraternità umana, che nel popolo indiano pareva, per un’antica tradizione di rapporti sociali e per la sempre rinnovata politica coi suoi dominatori, destinata a non mai realizzarsi; e con ciò egli ha gettato ponti non più distruggibili fra parte e parte del suo popolo, facendo sì che esso si presentasse compatto e omogeneo di fronte ai padroni che lo opprimevano.

Ma vorrei aggiungere che, se questi sono stati i grandi meriti di Gandhi nei confronti delle virtù civili, egli ha lasciato in più al mondo un insuperato insegnamento morale: che non può comprendere la sofferenza degli altri chi non soffra egli stesso. Questo il significato maggiore di quei digiuni ricorrenti, che ai facili spiriti potevano apparire oggetto di derisione. Lo ripeto: Gandhi ha voluto con essi ammonire che senza soffrire non si può comprendere la sofferenza; ed egli imponeva a se stesso fisicamente e moralmente un patimento, per porsi sul piano stesso di coloro che egli voleva difendere e salvare dal dolore. È questo il luminoso messaggio che egli ha lasciato a tutti i popoli della terra: «vane e senza significato sono le parole di solidarietà con la sofferenza, di coloro che non conoscono il soffrire. Per capire la sofferenza e confortarla bisogna avere sofferto!».

E proprio perché noi italiani abbiamo come popolo tanto sofferto e ancora tanto soffriamo, che comprendiamo il dolore vivo e profondo che oggi ha colpito il popolo indiano! (Vilissimi, generali applausi).

Risposte scritte a interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che sono state trasmesse dai Ministri interessati risposte scritte ad interrogazioni. Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.

Deliberazione in merito all’emblema della Repubblica Italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Deliberazione in merito all’emblema della Repubblica italiana.

E stata distribuita, sia pure in questo ultimo breve margine di tempo, la riproduzione dell’emblema che la Commissione, nominata dalla Presidenza su incarico dell’Assemblea, ha ritenuto fosse da prescegliere fra i molti che sono stati inviati da artisti italiani, in seguito all’appello che era stato a questo scopo lanciato.

Vi è una breve relazione scritta dell’onorevole Conti ed è quindi inutile – mi pare – aggiungere parole. Si tratta di prendere una decisione e chiedo all’Assemblea di volersi esprimere in proposito.

MEDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MEDI. Dalla considerazione sulla figura che ci è stata presentata – come opinione personale – io non ritengo che si debbano adottare uno schema e un disegno di questo tipo, sia per ragioni estetiche, data la sua complessità, sia anche per ragioni simboliche, dato che questa ruota non si comprende bene quale significato possa avere, malgrado la spiegazione della didascalia annessa.

Quindi, senza fare lunghi discorsi e come opinione personale credo di non ritenere accettabile, come emblema della Repubblica, questo che ci è stato proposto.

DI FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI FAUSTO. La prima Commissione (della quale feci parte) per l’esame dei progetti di emblema della Repubblica espresse ampie riserve sul risultato.

Devo mantenere queste riserve sul risultato di questo secondo esame.

Io ritengo che un emblema della Repubblica italiana non possa non essere cosa di alto significato sintetico e di altissimo gusto.

Proporrei, quindi, all’Assemblea di rinviare la decisione alla futura Assemblea, che avrà maggior tempo per risolvere la questione.

CREMASCHI CARLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CREMASCHI CARLO. Mi associo alla proposta dell’onorevole Di Fausto, anche perché avevo espresso giudizio completamente negativo sugli altri emblemi che ci erano stati posti in visione.

Non mi pare che vi sia la sinteticità necessaria per dare il simbolo dell’Italia, in questo emblema.

Si rimandi ancora, e speriamo che gli artisti italiani trovino la possibilità di darci un simbolo che sintetizzi ed esprima l’idea di rinascita del popolo italiano.

CORSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORSINI. Anch’io concordo pienamente con quanto hanno detto gli altri oratori.

Mi pare che questo simbolo che ci viene offerto sia una cosa comune, misera, come se ne son viste centinaia e centinaia in tutti i paesi e in tutti i villaggi.

Credo che il simbolo dell’Italia debba essere qualche cosa di più completo e di più originale.

MARCHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCHESI. Mi associo anch’io pienamente alle parole dell’onorevole Di Fausto e degli altri colleghi.

Ritengo che il nuovo emblema della nuova Italia non debba essere così copiosamente ghiandifero (Si ride) come quello che ci è stato presentato. È vero che in Italia ce ne sono, ma non è necessario che le ghiande abbondino qui.

Mi associo, quindi, pienamente alla proposta dell’onorevole Di Fausto e spero che si riesca a trovare un emblema veramente degno eli questa nuova Italia.

SPALLICCI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SPALLICCI. Penso anche io che sia molto difficile ridurre in un emblema così schematico tutto lo spirito della nostra Costituzione, e penso che una Commissione debba indubbiamente esaminare nuovamente il progetto. D’altra parte, una Nazione di artisti come è la nostra, dovrebbe avere un simbolo che potesse ispirarsi alla natura e all’arte italiana.

Ora, dal momento che la casa Medici, per esempio, ebbe il fiore del giglio, i Malatesta di Rimini ebbero una rosa, perché gli artisti italiani non potrebbero pensare a stilizzare un fiore?

Questo lo dico come spunto da prendere in esame da parte della Commissione.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Io non posso che associarmi alle malinconiche considerazioni che sono state svolte la diversi colleghi sulla scarsa fantasia degli artisti italiani che hanno presentato dei bozzetti. Ma vorrei soprattutto aggiungere un’osservazione. Questo emblema, quale che possa essere in definitiva, ritengo che sia da considerarsi destinato soltanto a formare il sigillo dello Stato, e non un emblema da mettersi sulla bandiera, nel bianco del tricolore. La Costituzione ha stabilito che la bandiera della Repubblica è il tricolore italiano e con questa espressione ha voluto intendere quel tricolore italiano che ebbe origine nel 1797. Gradirei che si avessero chiarimenti ed assicurazioni in tal senso.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Io penso che il problema dello stemma della Repubblica non sia un puro e semplice problema di natura artistica, da rimettersi alla fantasia bizzarra degli artisti, i quali di politica non capiscono quasi niente. È una scelta di carattere politico e quindi dev’essere rimessa all’Assemblea Costituente, la quale dovrebbe cercare quel minimo comun denominatore di carattere politico che oggi unisce tutti gli italiani nella fede democratica e repubblicana. Scelto il criterio da parte dell’Assemblea Costituente, allora possiamo rimetterci all’accesa fantasia degli artisti, altrimenti, fra qualche mese, ci ritroveremo ah punto di partenza, senza stemma e senza nessuna possibilità di scegliere fra bozzetti sodisfacenti.

PRESIDENTE. Mi pare che il problema si faccia più complicato, man mano che se ne ritarda la soluzione.

Desidero soltanto far presente che il 2 giugno è lontano ed è veramente assai strano e dal punto di vista morale e dal punto di vista delle esigenze pratiche, che un popolo non sia riuscito, nel corso di oltre un anno e mezzo, ad esprimere da sé qualche simbolo della sua nuova volontà, della sua nuova vita nazionale. E tuttavia questa è la realtà di fatto. È evidente che gli artisti o le fantasie del nostro popolo non attendono segno o richiamo per creare qualche cosa, se in essi c’è qualche cosa che si svolge. E nel corso di questi diciotto mesi molte volte è avvenuto di ricevere ed esaminare progetti per questo emblema, tutti però senza valore. Sta però di fatto che, quando l’appello è stato lanciato ufficialmente, qualcosa che abbia sodisfatto non è mai giunto. Voglio porre all’Assemblea questo interrogativo: riteniamo che si possa trovare, ad un certo momento, un simbolo sul quale tutte le scelte concordino? Sappiamo per esperienza, non solo personale, ma di carattere collettivo, che ogni raffigurazione artistica incontra sempre e plausi e critiche. Se riteniamo che possa divenire emblema della Repubblica soltanto quell’opera che raccolga il cento per cento dei voti, la nostra Repubblica non avrà mai un emblema.

Non è una cosa tragica: l’importante è che vi sia la Repubblica. Ma è anche necessario che la Repubblica abbia un proprio simbolo rappresentativo. Avviene ogni giorno che noi, leggendo corrispondenze ufficiali, siamo colpiti dal fatto che ancora si adoperino vecchi timbri e vecchi emblemi. Evidentemente bisognerebbe continuare a fare così, se non si prende oggi una decisione.

Questa è la ragione per cui ritengo di poter dire che, malgrado la validità delle argomentazioni portate, tutti dimenticano la cosa essenziale: che a un certo momento bisogna concludere, e che fra sei mesi potremo trovarci – in attesa di decidere sulla base di un consenso unanime – allo stesso punto di oggi. Si alzerà sempre da qualche banco qualche collega, che abbia o non abbia senso artistico, e proporrà un nuovo rinvio e un nuovo concorso.

Per questo mi pare che dobbiamo porre un po’ il freno alle nostre ambizioni del bello. Credo che qualunque emblema, quando ci saremo abituati a vederlo riprodotto, finirà con l’apparirci caro; e questa è la cosa essenziale. D’altra parte, sono state fatte delle proposte di rinvio. Stiamo seguendo una procedura di occasione. Non è un disegno di legge che abbiamo dinanzi a noi. Si tratta, in questo momento, di prendere una decisione che non richiama per nulla le norme regolamentari. Si tratta di dire un sì o un no; e se il sì sarà in maggioranza, con rammarico per coloro – ed anche per me – che avrebbero desiderato qualcosa di più estetico, questo sarà l’emblema della Repubblica. Se si dice no, i nostri successori o il Governo penseranno al da farsi.

Perciò non porrò ai voti la proposta di rinvio, ma l’accettazione di questo bozzetto.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei sapere se la votazione ci vincola al tema generale o a questo particolare disegno.

Il torto del Governo, che credo responsabile…

PRESIDENTE. In questo caso non è responsabile.

LACONI. Chiunque sia, il torto del responsabile di questa iniziativa è di avere affidato l’esecuzione di questo disegno ad un professore di ornato.

PRESIDENTE. Non è stato affidato. Sia almeno al corrente dei nostri ultimissimi lavori. Dieci giorni fa, forse in sua assenza, si è presa la decisione di lanciare un appello a tutti, artisti o non artisti. E lei, che è ascoltatore della radio, oltre che «fine dicitore», dovrebbe aver sentito appunto trasmettere questo appello. I risultati sono stati: 197 disegni affluiti all’Assemblea Costituente. La Commissione, nominata per la scelta, ha prescelto questo.

LACONI. Ho sbagliato nella forma, ma non nella sostanza. Non critico la scelta della Commissione per il simbolo che è stato scelto, né per la composizione generale del disegno. La ruota, la quercia e l’ulivo, sono tutti simboli che possono inquadrarsi sullo stemma della Repubblica. Ma questo disegno è stato fatto da un tipico professore di ornato (Commenti), con criteri professionali, senza impronta artistica.

Penso che dovremo votare sulla struttura generale del disegno, salvo a perfezionarlo nei particolari, in modo che ne risulti qualcosa di migliore.

PRESIDENTE. Sarebbe opportuno essere al corrente anche delle piccole cose.

La Commissione, nominata dall’Assemblea, e della quale, quindi, volente o nolente, è responsabile anche lei, onorevole Laconi, ha, su proposta dell’onorevole Maffi, dato il tema del disegno. Questo disegno, perciò, è svolto intorno al tema suggerito dall’onorevole Maffi ed accettato dalla Commissione. Pertanto, la cosa è ben definita.

CONTI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI, Relatore. Mi pare che diamo uno di quegli spettacoli che siamo soliti dare (Commenti), cioè, facciamo molti discorsi anche su cose che non hanno nessuna importanza. Questo interessamento ai simboli, alle cifre, alla esaltazione di un segno qualsiasi, dovrebbe finire nel nostro Paese.

Siamo in un Paese di retori; questa è la verità dolorosissima.

Io non so che farmene dei simboli; a me interessa la Repubblica; il simbolo sia quello che sia (Commenti a sinistra): qualunque cosa.

Ha detto molto bene il nostro Presidente: si possono bandire mille concorsi; all’esito di ogni concorso ci saranno sempre diverse opinioni, perché ognuno ha il suo gusto, la sua preferenza. Anche poco fa il collega Medi ha fatto pervenire un suo disegno che, evidentemente, risponde al suo sentimento: egli propone di adottare come simbolo la croce.

I comunisti, naturalmente, vorrebbero la falce ed il martello; i socialisti vi aggiungerebbero il libro; il mio Gruppo vorrebbe l’edera; io personalmente proprio niente.

I monarchici hanno avuto il coraggio civile di proporre che si lasci il vecchio simbolo. L’onorevole Condorelli ha detto che quello è storico e bisogna tenerselo. Noi abbiamo risposto, con tutta la cortesia possibile, che lo rifiutavamo.

Insomma, io dico: decidiamo, non perdiamo tempo intorno a queste cose, proprio all’ultimo giorno. Diamo la sensazione che ci preoccupiamo di cose essenziali, non dei simboli!

Propongo, pertanto, che si respinga la proposta di rinvio e che si passi ai voti.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi associo, in linea di massima, a quello che ha detto l’onorevole Conti.

Un simbolo deve avere non solo un suo significato, ma anche una nota estetica, principalmente nel nostro Paese, che ha una tradizione artistica.

Il disegno in esame non ha questa nota estetica; non mi pare che risponda a quello che deve essere il simbolo della Repubblica.

Ritengo che la proposta più semplice sia quella di lasciare la bandiera del Risorgimento, coi tre colori, senza nessun simbolo, perché il simbolo della Patria è nel cuore di tutti noi e non ha bisogno di essere espresso diversamente. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Mi permetto di riassumere i precedenti. Non è qui questione di bandiera; la bandiera è stabilita dalla Costituzione, non c’è più nulla da dire. Vi è l’articolo 12, il quale dice: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni».

LUCIFERO. Io non alludevo alla bandiera, ma al sigillo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, in data 19 giugno 1946, con solerzia lodevole, il Governo provvedeva ad emanare un decreto che dice all’articolo 7: «Il Presidente del Consiglio dei Ministri nominerà una Commissione incaricata di studiare il modello del nuovo emblema dello Stato». Più oltre il decreto dice: «fino a quando l’Assemblea Costituente non avrà approvato il nuovo emblema e gli uffici non siano provvisti dei sigilli formati in base all’emblema stesso, sono usati i sigilli attualmente esistenti». Ecco perché – mi perdonino i colleghi monarchici – noi siamo obbligati ancora a vedere i sigilli che portano lo stemma monarchico, in quanto finora non abbiamo dato esecuzione a questa norma che si riferisce, non alla bandiera, ma ai sigilli. E mi permettano ancora i colleghi monarchici, i quali parlano di estetica e di arte: era veramente poi, da un punto di vista artistico, una di quelle bellezze trascendentali cui essi ci richiamano sempre quando dobbiamo trattare questi argomenti, il sigillo dello Stato usato fino al 2 giugno? Io non contesto il valore storico della croce sabauda, del panneggio di ermellino e delle altre cose che lo componevano. Ma era veramente quello stemma un’opera d’arte? Era il sigillo dello Stato, tutti ci eravamo abituati a vederlo e non lo discutevamo più.

Onorevole Laconi, quando lei riceverà un foglio bollato, con sovraimpresso questo sigillo, lei si preoccuperà del contenuto della carta bollata, non certo del disegno che vi è stampato. (Approvazioni).

Onorevoli colleghi, pongo ai voti l’accettazione di questo sigillo, secondo la relazione presentata dalla Commissione, che l’Assemblea Costituente ha pochi giorni fa eletto attraverso la delega data al Presidente.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello Statuto speciale per la Sicilia. (65).

PRESIDENTE. Il secondo punto dell’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge costituzionale: Testo coordinato dello statuto speciale per la Sicilia. (65).

L’onorevole Cevolotto, Relatore, ha facoltà di parlare.

CEVOLOTTO, Relatore. Onorevoli colleghi! La questione della statuto siciliano è più semplice e al tempo stesso più complicata di quella degli altri statuti delle Regioni speciali. Più semplice e al tempo stesso più complicata perché non dobbiamo mai perdere di vista questo punto fondamentale: che la Sicilia ha già uno statuto speciale che è in vigore e che quindi costituisce un punto fermo che, dal punto di vista giuridico e dal lato politico, non si può in nessun caso trascurare.

Il decreto legislativo del 15 maggio 1946, che approvò lo statuto della Regione siciliana, dice all’articolo unico: «Lo statuto predetto sarà sottoposto all’Assemblea Costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato». Se la Costituzione avesse riportato questa formula o se avesse comunque ad essa fatto riferimento, noi oggi ci troveremmo di fronte ad un problema limitato, cioè soltanto al problema del coordinamento dello statuto vigente con la Costituzione dello Stato.

Senonché, l’articolo 116 della Costituzione dice qualcosa di diverso: «Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali». Quindi, anche per la Sicilia, l’Assemblea Costituente deve adottare uno statuto speciale. Adottare uno statuto speciale vuol dire, evidentemente prendere in esame e quindi anche, se si crede, formare in un modo nuovo questo statuto.

Però, ripeto, la Commissione che doveva provvedere a preparare lo Statuto per la Regione siciliana, si è trovata di fronte al dato di fatto che vi è già uno statuto in vigore. Sebbene non fosse, secondo il parere della maggioranza della Commissione, dubbio che l’articolo 116 doveva unicamente essere preso in considerazione, in quanto il decreto legislativo del 15 maggio 1946 non aveva ormai che un valore indicativo, ma non vincolante per l’Assemblea Costituente, sebbene questo fosse secondo il parere della Commissione, evidente, pur tuttavia essa non poteva prescindere dalla situazione di fatto.

Vi è una parte della Commissione che non è stata di questo parere e che invece ha ritenuto che, malgrado l’articolo 116 della Costituzione, non si potesse e non si dovesse fare altro che coordinare il testo dell’attuale statuto della Regione siciliana con le norme della Costituzione. Devo dire però che anche i membri della Commissione che erano di questo parere, e specialmente l’amico e collega Ambrosini, hanno cercato in tutti i modi, con uno sforzo di comprensione e di adattamento del quale non si può non tener conto, di avvicinare il più possibile la loro idea a quella della maggioranza. E di questo sforzo e di questa comprensione si deve dare atto.

D’altra parte la Commissione di fronte alla situazione di fatto, ha dovuto considerare questi punti: lo statuto della Regione siciliana del 15 maggio 1946 è stato dalla Consulta approvato, o quanto meno la Consulta ha dato parere favorevole senza nessuna eccezione; il Governo del tempo lo ha adottato; questo statuto è in vigore dal 1946, e non vi è dubbio che l’entrata in vigore di esso ha eliminato una serie di malintesi che si erano venuti sempre più acuendo tra la Sicilia e lo Stato, del quale la Sicilia fa parte e vuole far parte.

Una distensione su molti punti si è avuta in conseguenza dell’entrata in vigore dello statuto del 1946, che ha portato indubbiamente dei benefìci. Trascurare questa realtà politica, sarebbe stato indubbiamente un errore.

D’altra parte noi abbiamo ritenuto nostro dovere (dal momento che vi è uno statuto in vigore, ed in base a questo statuto è stato nominato un Consiglio regionale che funziona, e vi è un governo regionale in azione) di sentire la Commissione di questo Consiglio regionale per procedere d’accordo. Perché, lo statuto del 1916 non è stata certo un’arma, né per la Sicilia, per separarsi dalla madrepatria, né per lo Stato, per accentuare divisioni impossibili con l’Isola.

È stato un elemento di concordia e di coesione. Lo statuto che si adotterà come statuto speciale deve essere anch’esso uno strumento di concordia e di coesione e non deve essere diretto a creare nuovi dissensi o a favorirli; e qualunque sforzo si faccia in questo senso sarà uno sforzo benemerito.

Di qui la necessità di agire sempre in relazione con il Consiglio regionale siciliano e con i suoi esponenti; e dobbiamo dire che nelle lunghe conversazioni che abbiamo avuto coi rappresentanti del Consiglio regionale siciliano abbiamo notato un intento di cordialità e di avvicinamento, che abbiamo constatato più volte con viva soddisfazione. Del resto è cosa naturale: siamo tutti italiani e vogliamo tutti essere italiani.

Noi cerchiamo, nel formare lo statuto speciale, di fare il bene della Sicilia: in Sicilia, se domandano qualche cosa, lo fanno per il bene non soltanto della Sicilia, ma anche dell’Italia. Era logico che, pure negli inevitabili dissensi, si procedesse con la massima cordialità e comprensione. Però la delegazione siciliana, anche per il mandato che aveva avuto, è rimasta in sostanza ferma sul suo principio: per essa lo statuto della Regione siciliana del 1946 è un fatto; questo statuto si potrà adeguare in alcuni punti alla Costituzione, si potrà coordinare; ma nel complesso deve rimaner fermo. Anche per ragioni di forma, nella deliberazione che la Costituente deve prendere si deve procedere, non nel senso di formare uno statuto nuovo, e nemmeno nel senso – secondo la delegazione siciliana – di adottare quello del 1946; ma nel senso di dare semplicemente vigore di legge costituzionale allo statuto vigente.

Su questo punto la Commissione, anche per l’interpretazione che ha dato all’articolo 116, non è stata precisamente dello stesso avviso. Ha pensato che, per rimanere nei termini dell’articolo 116, sia necessario adottare uno statuto che può anche essere, con le inevitabili e necessarie modificazioni, lo statuto del 1946; ma che non sia possibile dare semplicemente valore di legge costituzionale a quello statuto.

In altre parole la Commissione ha ritenuto che sia necessario che la Costituente sancisca un proprio statuto speciale, magari dando il crisma di quella che nella formula dell’articolo 116 è indicata come «adozione» dello statuto vigente, cioè facendolo proprio in tutto e nelle sue varie parti.

Però la Commissione, rendendosi conto della necessità di mantenere non soltanto sostanzialmente (perché nessuno vuole toccarla dal punto di vista sostanziale) ma formalmente e nell’apparenza, l’autonomia che si è già concessa all’Isola, anche per la considerazione che si deve evitare che apparenze, che non sono realtà, si prestino a speculazioni di vario genere, ha creduto di proporre (non perché questo derivasse da un obbligo di legge, ma proprio per una considerazione politica) come proprio metodo, come metodo che essa intendeva liberamente scegliere, quello del semplice coordinamento dello statuto vigente con la Costituzione.

Quindi, noi ci siamo limitati al coordinamento non, ripeto, perché secondo noi questo fosse necessario per legge, ma perché l’abbiamo ritenuto politicamente opportuno e conveniente.

Ecco perché, come dicevo in principio, se questo metodo è approvato dalla Costituente, il problema dello statuto siciliano si restringe, si limita. Il che è opportuno anche per considerazioni di tempo che non possono sfuggire ad alcuno.

Posta in questi termini la questione, noi però, nel coordinare lo statuto alla Costituzione, abbiamo anche voluto cercare (perché anche questo è coordinamento, anche questo è ciò che si fa quando si coordinano ad esempio testi successivi di leggi in un testo unico) di sistemare lo statuto siciliano avvicinandone per quanto possibile l’ordine – senza alterarne la sostanza e la forma – agli altri statuti che la Costituente ha già votato.

In quest’opera di riordinamento oltre che di coordinamento abbiamo potuto anche venire incontro (come proposta, perché l’Assemblea deciderà) al desiderio della rappresentanza siciliana, che fossero aggiunte alcune norme che avevano avuto posto negli altri statuti, nello statuto sardo, nello statuto dell’Alto Adige, nello statuto della Valle d’Aosta, e che non erano comprese nel testo originario dello statuto siciliano. Noi crediamo che così facendo non si esca dall’ambito del coordinamento, perché, anche se strettamente e formalmente non è coordinamento con la Costituzione, in sostanza lo è, in quanto queste norme dipendono sempre da principî della Costituzione e il coordinamento con gli altri testi, con le altre leggi costituzionali che contengono gli statuti speciali, è in fondo un coordinamento di tutta la materia; e rientra quindi in quel coordinamento che noi stessi abbiamo posto come limite alla nostra opera.

Abbiamo limitato il nostro esame a quei punti nei quali è sembrato che lo statuto siciliano del 1946 fosse in netto contrasto con i principî della Costituzione, non, quindi, con singole norme della Costituzione di carattere non essenziale. La Costituzione nostra ha molte norme che non hanno carattere essenziale; alcune sono persino norme quasi regolamentari. Ora, quando si dice che alla Regione siciliana si dà uno Statuto speciale con «particolari forme di autonomia», è evidente che si può prescindere da tutte quelle che nella Costituzione non sono norme fondamentali. Non vi è nessun motivo fondato per ritenere necessario di coordinare lo statuto siciliano con quelle norme che non hanno carattere essenziale.

In questo senso abbiamo ravvisato i punti, dirò così, di frizione, i punti di contrasto fra lo statuto siciliano del 1946 e la Costituzione, in quattro sole questioni. Il resto non è che coordinamento formale o modificazione qualche volta di parola o di forma, che non ha importanza. Quattro sono stati i punti nei quali abbiamo individuata la necessità di adeguare lo statuto siciliano alla Costituzione. Non è che già non siano risultate dalle nostre indagini altre materie nelle quali si potrebbe discutere di coordinamento anche costituzionale, ma abbiamo ritenuto che queste fossero meno essenziali. E quindi abbiamo ritenuto, almeno per quanto ci riguarda – l’Assemblea, naturalmente, farà sempre quello che crede – che non fosse il caso di insistervi.

Così, per esempio – non so se rientri o non rientri nella questione costituzionale (lo vedrà l’Assemblea) – noi abbiamo lasciato immutati alla lettera tutti gli articoli che si riferiscono alla finanza della Regione. Qui parecchi di noi hanno avuto dei dubbi, delle perplessità non indifferenti; ma da un lato non è sembrato alla maggioranza della Commissione che questa fosse una questione di coordinamento costituzionale, dall’altro – confessiamolo – ci siamo trovati di fronte ad una ristrettezza di tempo che non consentiva un accurato esame di così difficile materia. L’esame dell’arduo problema della finanza regionale avrebbe reso necessari un approfondimento e presso i Ministeri competenti e presso il Governo dell’Isola di dati di fatto che noi non avevamo; avrebbe reso necessario di domandare almeno quindici o venti giorni di tempo per poter giungere a conclusioni sicure. L’abbiamo perciò sorvolato.

I punti che ho chiamato di frizione sono dunque quattro. Il primo è questo. L’articolo 14 – ora ha un’altra numerazione – dello statuto siciliano vigente dice:

«L’Assemblea nell’ambito della Regione e nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano, ha legislazione esclusiva sulle seguenti materie». E segue un’elencazione delle materie. Confini di questa legislazione esclusiva: «nell’ambito della Regione e nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato». Noi abbiamo ritenuto necessario che questi limiti fossero meglio precisati, e abbiamo proposto di aggiungere: «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato e dei principî dell’ordinamento giuridico».

Noi crediamo che non tutti i principî dell’ordinamento giuridico derivino esclusivamente dalla Costituzione e siano compresi nella Costituzione.

Abbiamo ritenuto d’altra parte che una legislazione esclusiva non possa andare oltre quei principî dell’ordinamento giuridico che sono comuni a tutto lo Stato.

Abbiamo pensato che, non soltanto per una ragione di sostanza, ma – arrivo a dire – anche per una ragione ideale, si debba affermare che la legislazione siciliana è una parte dell’ordinamento giuridico dello Stato, non prescinde da quella che è nei suoi lineamenti essenziali, la legislazione di tutta la Nazione. Si deve riconoscere, insomma, che anche in questo la Sicilia è parte dell’Italia.

Riteniamo che la mancata indicazione del limite dei principî dell’ordinamento giuridico sarebbe un errore. Da parte della delegazione siciliana su questo punto non vi è stato il consenso.

Abbiamo poi aggiunto anche il rispetto degli impegni internazionali che lo Stato avesse assunto, perché è evidente (e su questo non vi è eccezione) che se domani lo Stato assume un obbligo internazionale, l’obbligo in materia di legislazione del lavoro di includere determinate norme nella sua legislazione particolare, quest’obbligo dev’essere rispettato anche dalla Sicilia. E su questo non vi è stato e non vi può essere contrasto.

Secondo punto di diversità.

L’articolo 21 dello statuto siciliano dice: «Il presidente e capo del governo regionale rappresenta la Regione»; l’ultimo comma aggiunge: «Col rango di Ministro partecipa al Consiglio dei Ministri con voto deliberativo nelle materie che interessano la Regione».

Lasciamo da parte la questione del rango di Ministro, che non ha importanza. La Delegazione siciliana spiega, con criterio logico, che la formula è stata adottata per dare un determinato rango al presidente della Regione, perché fosse chiaro quale era il suo posto rispetto alle altre autorità dell’Isola e rispetto alle autorità dello Stato. Non è quindi una questione di precedenza. E su questo non c’è niente da dire. Sono questioni senza importanza costituzionale.

Ma ha importanza la questione della partecipazione al Consiglio dei Ministri con voto deliberativo, perché qui, sì, noi abbiamo rilevato un contrasto con la Costituzione.

I Ministri non possono essere nominati – neanche uno – da un Consiglio regionale. I Ministri sono scelti come la Costituzione stabilisce; e non vi può essere voto deliberativo da parte di uno che non sia Ministro scelto in quel determinato modo, perché così si creerebbe per la Sicilia un Consiglio dei Ministri diverso dal Consiglio dei Ministri che governa e deve governare tutto lo Stato.

D’altra parte vi è poi una eccezione giuridica assoluta: i Ministri rispondono davanti al Parlamento. Vi sarebbe un Ministro che non risponde davanti al Parlamento, ma davanti a un Consiglio regionale. È evidente che non è possibile ammettere una simile disposizione, e quindi abbiamo proposto di modificarla.

Da parte della Delegazione siciliana vi è stata una evidente comprensione di questi argomenti. Ma vi è stata anche la preoccupazione ed il dubbio che la modificazione proposta sminuisse la figura che oggi ha il presidente della Regione. Quindi, sebbene io abbia avuto la sensazione che le nostre argomentazioni fossero capite e valutate da parte della Delegazione siciliana, non ho avuto su questo punto un esplicito consenso.

Terza questione, anche essa di una importanza notevole, è quella relativa all’articolo 31, relativo alla polizia.

Dice l’articolo 31 dello statuto del 1946: «Al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il presidente regionale a mezzo della polizia dello Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente per l’impiego e la utilizzazione dal Governo regionale. Il presidente della Regione può chiedere l’impiego delle forze armate dello Stato. Tuttavia il Governo potrà assumere la direzione dei servizi di pubblica sicurezza a richiesta del Governo regionale, congiuntamente al Presidente dell’Assemblea, ed in casi eccezionali, di propria iniziativa quando siano compromessi gli interessi generali dello Stato e la sua sicurezza. Il Presidente ha anche il diritto di proporre con richiesta motivata al Governo centrale la rimozione o il trasferimento fuori dell’Isola dei funzionari di polizia».

Noi abbiamo chiesto, e qui abbiamo avuto il consenso della rappresentanza regionale, una modificazione: «Il presidente della Regione, nella sua qualità di rappresentante del Governo, provvede alla tutela dell’ordine pubblico per mezzo della polizia dello Stato che da lui dipende per l’impiego. Può chiedere l’intervento delle Forze armate dello Stato».

La modificazione non è importante nella forma, ma è notevole nella sostanza. In altre parole, noi abbiamo voluto accentuare che il presidente della Regione, quando provvede alla tutela dell’ordine pubblico, provvede nella sua qualità di rappresentante del Governo, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Ultimo punto di discussione è stato quello relativo alla Corte costituzionale. Voi sapete che nello statuto siciliano nel 1946 è prevista un’Alta Corte costituzionale, che è stata già nominata e già funziona, la quale provvede e giudica sulla costituzionalità (articolo 25) delle leggi emanate dall’Assemblea regionale, delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato rispetto allo statuto e ai fini dell’efficacia dei medesimi nei confronti della Regione. Ci è sembrato, ed in questo abbiamo avuto anche la comprensione da parte della Delegazione siciliana, che quando si costituisce una Corte costituzionale dello Stato, così come è stata costituita con la nostra Costituzione, non abbia più ragion d’essere la Corte costituzionale particolare della Regione. Sarebbe semplicemente assurdo che coesistessero due Corti costituzionali, una per la Sicilia ed una per lo Stato, e sarebbe non meno assurdo che mentre funziona una Corte costituzionale dello Stato, la questione di costituzionalità, sia pure relativamente all’applicazione in Sicilia delle leggi dello Stato, fosse deferita alla Corte costituzionale siciliana, non alla Corte dello Stato. Anche per questo abbiamo avuto la comprensione della Delegazione siciliana.

Anche qui resta però un punto sul quale devo richiamare l’attenzione dell’Assemblea. La Corte costituzionale delle leggi approvate dall’Assemblea regionale, dovrà decidere delle leggi e degli atti aventi forza di legge emanati dallo Stato quando ledano la competenza della Regione, o quando si pretenda che ledano la competenza della Regione; e nei conflitti di attribuzione fra Stato e Regione e fra Regione ed altre Regioni. E questo noi abbiamo aggiunto, perché è fra le funzioni dell’Alta Corte dello Stato per i Ministri – ed è fra le funzioni della corte siciliana – anche il giudizio sui reati commessi dal presidente e dagli assessori regionali nell’esercizio delle loro funzioni su accusa dell’Assemblea regionale o del Commissario dello Stato.

Ipotesi che non si avvererà mai, ma che in una Carta costituzionale bisogna prospettare. Si è chiesto – e noi riteniamo che possa essere accordato – che per quel che riguarda questo ultimo punto, analogamente a ciò che è stabilito nella Costituzione per i giudizi penali relativi a ministri accusati, sia prevista nello statuto l’integrazione della Corte, con un numero di cinque o sei membri nominati dal Consiglio regionale all’inizio di ogni legislatura. La proposta è sembrata conforme all’ordinamento che noi abbiamo dato nella Costituzione a questa materia.

Però la Delegazione siciliana ha chiesto che, anche per quel che riguarda le altre materie, sia stabilita una analoga integrazione della Corte. In altri termini: quando la Corte costituzionale dovesse giudicare su questioni che riguardano la Sicilia, si vorrebbe che fosse integrata da un certo numero di assessori, di membri estranei, nominati dalla stessa Assemblea regionale. Il criterio da cui parte la Delegazione siciliana ha il suo peso. Essa dice: nella Corte costituzionale un terzo dei membri è nominato dal Parlamento. Per analogia, quando vengano trattate questioni siciliane, pare opportuno che vi sia qualche altro membro nominato dall’Assemblea regionale. La questione che si pone ha una sua logica, dalla quale non si può prescindere; ma alla maggioranza della Commissione è sembrato che vi sia un ostacolo assoluto, costituito dal fatto che i membri della Corte costituzionale sono nominati per dodici anni, con determinati criteri, che creano dei veri e propri magistrati, aventi continuità di funzione e responsabilità, ed anche una posizione particolare. Per esempio, se sono avvocati, devono abbandonare la professione; se sono giudici, vengono messi fuori organico. Hanno insomma una figura di magistrati stabili.

I pretesi assessori, nominati all’infuori di queste regole e senza queste condizioni, possono essere presi in considerazione per quanto riguarda i processi penali, perché diventano una specie di giudici popolari: ma non avrebbero la stessa giustificazione nella costituzione dell’Alta Corte per i giudizi di costituzionalità.

D’altra parte, sorgerebbe un altro problema: se pure in misura minore, anche le altre regioni speciali avrebbero diritto di chiedere qualcosa di simile. Allora si avrebbe una Corte costituzionale con composizione troppo variabile, a seconda delle circostanze.

Parve per questo alla Commissione di non potere aderire, almeno come suo parere, alla domanda della Delegazione siciliana.

Questi i punti di frizione. Come vedete, ci siamo molto avvicinati ed abbiamo cercato di eliminare i punti di contrasto.

Crediamo di avere ricondotto lo statuto siciliano nell’ambito della Costituzione, senza ledere comunque l’autonomia di cui la Sicilia gode.

La nostra coscienza ci dice di non aver fatto cosa, che possa ritenersi lesiva dell’autonomia siciliana; anzi abbiamo esteso alla Sicilia alcune norme più favorevoli già approvate per altri Statuti.

Credo che, così, come è stato proposto, lo statuto non possa dispiacere al popolo siciliano e che debba essere accettato.

Le modificazioni apportate mirano a creare l’accordo con lo Stato ed eliminano o correggono disposizioni che avrebbero potuto determinare il disaccordo o il contrasto con l’interesse generale dello Stato, senza nessun vantaggio per l’autonomia dell’Isola.

Come si presenta il problema della legge di approvazione di questo statuto?

Poiché noi proponiamo di adottare lo statuto siciliano vigente, col coordinamento necessario, non si prospetta più la necessità di approvare lo statuto articolo per articolo. Si presenta, invece, il problema della formula, con la quale si potrà adottare lo statuto. Rimanendo aderenti, anche nelle parole, all’articolo 116, abbiamo proposto un disegno di legge che, secondo noi, viene incontro anche al desiderio della Delegazione siciliana che sia una esplicita conferma ed un’accettazione, sia pure con modifiche, dello statuto ora vigente. La nostra formula è questa: «Il vigente statuto della Regione siciliana» (abbiamo detto «vigente» per dare conferma del vigore che attualmente ha lo statuto siciliano e della giuridicità della sua applicazione fino al momento in cui sarà sostituito da quest’altro statuto adeguato) «approvato con decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, è adottato con la presente legge costituzionale quale statuto speciale per la Sicilia, con le modificazioni che risultano dall’allegato, che costituisce il testo coordinato dello statuto stesso». Ci sembra che questa formula corrisponda esattamente all’articolo 116 della Costituzione. Quanto alle disposizioni e i punti particolari la Commissione è a disposizione della Assemblea Costituente per tutte le spiegazioni che occorreranno.

Come impostazione della questione, credo che non occorra aggiungere altro. Abbiamo incontrato da tutte le parti il più vivo desiderio di creare uno strumento di concordia e di coesione fra lo Stato e l’Isola, che sono la stessa cosa, che non sono e non possono essere nell’intenzione di nessuno separati. Abbiamo cercato di smussare tutti gli angoli e di venire incontro a tutte le preoccupazioni. Talvolta abbiamo rinunciato a qualche cosa che avremmo voluto chiedere, ma abbiamo compreso che se dall’altra parte ci si rispondeva di no, non era perché non si volesse cedere a proposte giustificate, ma era perché si temeva che una cattiva interpretazione, magari artificiosa, di certe situazioni, avrebbe nuociuto all’intento di concordia che tutti ci animava. Dovrei dire – per amore di franchezza – che questo non appare il momento più opportuno per trattare un argomento della portata di quello che ci occupa. Se la discussione dello statuto siciliano avesse potuto farsi – per esempio – dopo l’aprile di quest’anno, le cose si sarebbero svolte con più facilità. Ma nella situazione in cui ci troviamo dobbiamo tener conto anche del particolare momento nel quale noi agiamo. Ripeto, affidiamo alla Costituente questo nostro sforzo con la certezza di aver compiuto opera politicamente adeguata, anche dove giuridicamente potrebbe dar luogo a qualche riserva. Preghiamo la Costituente di tener conto della situazione politica: molte volte, anche le questioni giuridiche debbono essere considerate qui sotto l’aspetto politico e molte volte quelle che sarebbero le ragioni determinanti di una conclusione dal punto di vista giuridico, possono essere modificate dalle ragioni determinanti di un atteggiamento politico. Ci auguriamo che questo statuto sia una nuova ragione di unione, di coesione e di concordia fra la Sicilia e l’Italia. (Applausi).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo ha riconosciuto che lo statuto è sostanzialmente in vigore, procedendo alle elezioni: l’Assemblea a suo tempo ne ha preso atto, riservandosi di attuare più tardi, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali, il coordinamento.

In tale occasione fu espressa da molte parti specie da questo banco la fiducia che prima ancora che si riunisse l’Assemblea regionale, l’Assemblea Costituente avrebbe deliberato sulla forma di tale coordinamento o adozione, cioè sul carattere e sulla misura del suo intervento. Tale speranza non trovò compimento, anzi la procedura si protrasse così a lungo, che oggi all’Assemblea riesce difficile deliberare all’ultima ora. L’Assemblea tuttavia, accolse la proposta del Governo di nominare la Corte costituzionale. Nel frattempo il Governo ha fatto quanto poteva per applicare lo statuto, sia pure con la riserva delle deliberazioni dell’Assemblea, e la Amministrazione regionale, pur estremamente gelosa delle sue prerogative, ha dimostrato la volontà di procedere in buona armonia col Governo dello Stato.

Ma non è lecito nascondersi – e sarebbe irresponsabile il non farlo – che l’interpretazione delle disposizioni dello statuto e la loro pratica attuazione hanno incontrato numerose difficoltà e sollevate molte obiezioni.

Le obiezioni più difficili a superare sono venute dalla Amministrazione finanziaria. Si obietta che essendo la Regione siciliana, secondo la interpretazione della sua rappresentanza, completamente arbitra di stabilire il sistema tributario che preferisce (salvo i monopoli, le dogane e le imposte di produzione) ne possono nascere perturbamenti nell’economia italiana. Si pensi, ad esempio, alle disposizioni sulla nominatività dei titoli, alla diversa interpretazione di quanto lo statuto prevede per le dogane, alle norme valutarie dell’articolo 13, che, spinte alle loro estreme conseguenze, porterebbero a creare alla lira italiana un valore diverso in Sicilia e nel resto del Paese; una forte resistenza devesi superare anche per quanto riguarda la costituzione in Sicilia delle sezioni della Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti; e tutti ricordiamo specialmente l’unanime atteggiamento della Suprema Corte di cassazione. Tutto questo dimostra che per attuare completamente lo statuto secondo lo spirito autonomistico, ma anche politicamente unitario dei siciliani, occorre un nuovo sforzo di cooperazione fra la rappresentanza della Regione e lo Stato, rappresentato da quest’Assemblea e dal Governo che da essa promana.

Il Governo per parte sua, mentre deve rimettersi alla Costituente per quanto riguarda l’esercizio del coordinamento, cioè modo e misura dell’adozione prevista dall’articolo 116, darà tutto il suo concorso per l’attuazione di proposte o procedure che assicurino e regolino la necessaria collaborazione fra Stato e Regione, in modo da superare ogni divergenza ed attuare lo statuto, in base ai dati dell’esperienza.

Personalmente ho sempre avuto fiducia in tale collaborazione e annunciando nel maggio 1946 alle popolazioni siciliane che il Governo manteneva il suo impegno in favore del regime autonomo, ho aggiunto che tale spirito di comprensione e di collaborazione è assolutamente necessario da entrambe le parti per dare vita ed efficacia ad un vero regime autonomo nell’unità della Patria.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare all’esame del testo dello statuto.

Gli onorevoli Bertola, Tega, Bernini, Lizier, Silipo, Galati e Franceschini, hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente;

considerato che l’ordinamento giuridico amministrativo degli insegnanti dei ruoli dello Stato è una conquista delle categorie interessate e che il mantenimento di esso è vivamente sollecitato dagli insegnanti della Sicilia, non meno che da quelli delle altre Regioni d’Italia, afferma che lo Statuto regionale siciliano dovrà essere coordinato in modo da non intaccare tale conquista».

Ritengo che questo ordine del giorno, il quale pone un problema comune a tutti gli statuti speciali, non abbia bisogno di essere svolto e votato poiché è stato già approvato per lo statuto di altre Regioni.

Per quanto io abbia disposto che fosse pubblicato, ritengo che i colleghi presentatori sapranno apprezzare il senso di comprensione di cui ho dato prova e si accontenteranno che l’Assemblea ne prenda visione.

Il testo che dobbiamo esaminare è costituito da un disegno di legge e da un allegato. Procediamo ora all’esame del disegno di legge, che consta dei seguenti articoli:

Art. 1.

«Il vigente Statuto della Regione siciliana, approvato con decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, è adottato con la presente legge costituzionale quale Statuto speciale per la Sicilia, con le modificazioni che risultano dall’allegato, che costituisce il testo coordinato dello Statuto stesso».

Art. 2.

«La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzella Ufficiale della Repubblica».

Gli onorevoli Ambrosini, Castiglia e Montalbano hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 1 e 2 col seguente articolo unico:

«Lo Statuto della Regione siciliana, approvato con regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’articolo 116 della Costituzione.

«Le modifiche, che in base all’esperienza derivante dall’applicazione dello Statuto fossero ritenute necessarie dalla Regione o dallo Stato, saranno approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, di intesa con l’Assemblea regionale della Sicilia».

L’onorevole Ambrosini ha facoltà di svolgerlo.

AMBROSINI. Onorevole signor Presidente, onorevoli colleghi! Non nascondo che sono emozionato nel prendere la parola, perché viene il momento di una risoluzione che per la Sicilia ha un’importanza storica.

E sono stato tanto più perplesso ed emozionato, in quanto, per la benevola fiducia dei colleghi e della seconda Sottocommissione, fui io a proporre questo sistema degli statuti speciali, che, dopo lunga ponderazione, in considerazione della situazione speciale della Sicilia, credetti di sottoporre all’esame ed all’approvazione dei colleghi, perché, attraverso al sistema dello «statuto speciale», poteva evitarsi che lo statuto già concesso alla Sicilia venisse inficiato nella sua stessa essenza.

All’onorevole De Gasperi, Presidente del Consiglio, dobbiamo dare atto del suo appoggio decisivo per l’approvazione dello statuto proposto dall’Alto Commissario Aldisio e dalla Consulta siciliana e per la reiezione della mozione che tendeva a rinviare alle calende greche l’elezione dell’Assemblea regionale della Sicilia, e, se siamo tutti nella linea dell’assoluta onestà, dobbiamo soffermarci sulla portata delle osservazioni da lui testé fatte; alle quali osservazioni vanno aggiunte alcune chiose per precisare la posizione della Sicilia. Egli, infatti, ha ripetuto che lo statuto siciliano ha forza operante; ha detto che aveva espresso la speranza che prima che si addivenisse alle elezioni dell’Assemblea siciliana, l’Assemblea Costituente avesse proceduto al coordinamento dello statuto. Ma ha anche soggiunto che circostanze indipendenti dalla volontà dell’Assemblea hanno ciò impedito; ragione per la quale oggi ci troviamo nella necessità di prendere una decisione definitiva. Quale decisione?

Le osservazioni che ha fatto riguardo alla questione finanziaria, riguardo ai problemi che si riferiscono ad un istituto, al quale i siciliani tengono moltissimo, cioè all’istituzione di una Sezione della Corte di cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e ad altri punti subordinati, mi hanno dato l’impressione che bisogna insistere sulla proposta di articolo unico che io ed i miei colleghi di minoranza della Sottocommissione abbiamo presentato all’Assemblea. Giacché io debbo dire in tutta coscienza che non vorrei che si ripetesse oggi quello che avvenne alla Consulta nazionale, cioè che si approvi lo Statuto con riserve mentali.

Bisogna su questo punto essere chiarissimi. Ed io lo sono con tutta onestà, dicendo quale fu il punto di dissenso fra noi della minoranza della Sottocommissione e la maggioranza della Commissione, alla quale diamo atto di tutti gli sforzi fatti per andare incontro alle richieste della delegazione siciliana.

L’onorevole Presidente del Consiglio ha accennato alla necessità, comunque, che ci sia una salda e intima cooperazione fra i rappresentanti della Regione e il Governo centrale. Io credo di poter affermare che questa salda ed operosa e volonterosa collaborazione non è sicuramente mancata da parte dei rappresentanti del Governo regionale.

Io domando ai miei egregi e cari colleghi della Commissione dei Diciotto quale impressione hanno avuto, quando il Presidente Alessi, l’assessore per le finanze Restivo, l’onorevole Napoli, l’onorevole Li Causi ed altri membri della Delegazione siciliana parlavano innanzi a loro. Se non mostravano tutta la comprensione possibile per quelle che sono le esigenze dello Stato e tutta la volontà di arrivare ad una soluzione che fosse di pieno accordo. Quindi io posso arbitrarmi, in questo momento, direi, supremo, di dire al Presidente del Consiglio e al Governo e all’Assemblea, che mai mancherà da nessuna parte della rappresentanza siciliana questo spirito di franca, leale, completa collaborazione con gli organi centrali dello Stato. (Approvazioni).

Per la chiarezza delle situazioni aggiungo. Io, che da un anno e mezzo elaboro tutta questa materia in continuo contatto coi colleghi che se ne occupano, pressato dagli incitamenti più contrastanti, sento il bisogno che qui si faccia un chiarimento psicologico.

Noi siciliani siamo stati sotto l’incubo di una accusa persistente, quasi di un rimbrotto e di una larvata minaccia, in quanto ci è stato detto in maniera più o meno tassativa e precisa (e quando non era tassativa e precisa era anche più grave!) che questo fu uno Statuto che l’Alto Commissario Aldisio aveva strappato al Governo, il quale aveva ceduto per debolezza, per ragioni elettorali.

Noi ci ribelliamo, e respingiamo questo modo di riguardare la questione.

Forse vi fu da parte dell’Alto Commissario e della Consulta siciliana una richiesta, anche pressante; ma il Governo e il Presidente del Consiglio e tutti i rappresentanti dei vari partiti che facevano parte di quel Gabinetto assolsero ad un loro dovere, fecero opera – dal punto di vista politico – giusta, che soltanto chi sappia guardare la complessa realtà delle cose può apprezzare nella sua giusta misura! Essi approvarono un provvedimento indispensabile, senza del quale il turbamento profondo che esisteva nella coscienza dei siciliani sarebbe rimasto, con conseguenze sicuramente non liete per noi stessi siciliani e per la Patria comune!

Ebbene, sia detto e ripetuto chiaramente, che quello Statuto non fu strappato, anche se la Consulta nazionale se ne lavò le mani rimandando il provvedimento alle Commissioni senza assumere la responsabilità e con la riserva mentale che lo Statuto sarebbe caduto o sarebbe stato frantumato durante la via!

Noi sapevamo la gravità della situazione e sappiamo che qualcuno degli articoli di questo Statuto abbisogna di una qualche modifica, aggiungerò, nell’interesse della Sicilia. Noi abbiamo sempre detto che non stiamo qui a barattare, che non vogliamo prendere lo Stato in un momento di debolezza per attribuirci delle prerogative e dei privilegi, ma che vogliamo onestamente, in base alla situazione preesistente e alle esigenze attuali, avere quello che è giusto che alla Sicilia si dia, non solo e non tanto – direi – (permettetemi, onorevoli colleghi) nell’interesse dei siciliani, quanto nell’interesse della Patria comune.

Bene, per rispondere a quello che diceva l’onorevole Presidente del Consiglio: egli si lamentava che si è arrivati ora all’ultimo momento a proporre le modifiche, che è mancata la collaborazione coi vari Ministeri interessati.

Io da varî mesi ho chiesto formalmente ai colleghi della Commissione che si chiamassero gli alti funzionari dello Stato, che rappresentano la continuità della vita dell’amministrazione. A parte lo Statuto del Trentino-Alto Adige preparato da una Commissione governativa, soltanto alla fine dei lavori della Commissione dei Diciotto si ebbe l’apporto di funzionari competenti e autorizzati per quanto si riferisce alla parte finanziaria, e limitatamente agli Statuti della Sardegna e della Valle d’Aosta.

Per l’altro rilievo dell’onorevole Presidente del Consiglio, osservo, che non da mesi, ma da un anno e mezzo, a tutti coloro che mormoravano e, peggio ancora, denigravano lo Statuto siciliano, io ed i miei colleghi della Sicilia abbiamo detto: noi non ci rifiutiamo a nessuna conversazione, noi siamo desiderosi di avere le osservazioni, di avere i vostri lumi per migliorare quello che esiste. Poi ho invocato (lo possono testimoniare tutti i colleghi) che oltre alle critiche generiche, venissero fatte critiche specifiche e avanzate proposte.

Egregi colleghi, nessuno può lamentarsi: io credo di potere asserire con assoluta onestà, e con fermezza egualmente assoluta, che alcuna proposta concreta è stata presentata a noi siciliani, non solo a quelli del grande pubblico, non solo ai competenti dell’Assemblea regionale siciliana, ma nemmeno a noi della Commissione. Così siamo venuti a trovarci al punto in cui siamo; ed è questa la ragione per cui il 16 gennaio, in una riunione della Commissione dei Diciotto, presieduta dal Presidente di questa Assemblea, onorevole Terracini, che ha dato un apporto veramente generoso all’istradamento ed alla soluzione di questa questione, quando mi accorsi che era se non impossibile, difficile arrivare, fra la maggioranza della Commissione dei Diciotto e la Delegazione dell’Assemblea regionale siciliana, ad un accordo completo sui singoli punti (accordo che io mi sforzai di far raggiungere) proposi quel progetto di articolo unico che oggi si trova di fronte all’Assemblea.

La questione nacque in seno alla Commissione. Nella Commissione i punti di vista erano diversi e naturalmente erano punti di vista rispettabilissimi, non solo dal lato giuridico, ma anche da quello politico. Noi non siamo stati avversari nella Commissione; ma abbiamo avuto notevoli divergenze di sostanza e di procedura.

Di sostanza: in quanto noi della minoranza, rappresentata da me e dagli onorevoli Castiglia e Montalbano, ritenevamo che lo Statuto approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946 dovesse rimanere quale era, perché non esisteva in esso alcuna norma che in modo insuperabile contrastasse con le norme della Costituzione. Indubbiamente, ve ne erano, e ve ne sono tante, che diversificano; ma appunto in ciò consiste lo spirito della formula «Statuto speciale». Non vi sono norme che beneficiano l’essenza dello Stato unitario. Basta la proposizione dell’articolo uno di questo Statuto, nel quale solennemente si proclama che la Sicilia con le isole è costituita in Regione autonoma entro l’unità politica dello Stato italiano, per troncare qualsiasi dubbio. Naturalmente, nell’applicazione possono nascere tante e tante divergenze. Certo, onorevole Ministro della giustizia, per quel che si riferisce al sistema tecnico, al congegno della legislazione, possono nascere tanti e tanti contrasti, come nacquero nell’interno della seconda Sottocommissione, ai Settantacinque, e in questa Assemblea. Ma nessuno, onorevoli colleghi, si meraviglierà se, ad esempio, nello Statuto siciliano quell’articolo 14, trasportato ora in un altro articolo del nuovo testo, prevede tre forme di legislazione. Dissi di fronte all’Assemblea che, se la prima si chiama «esclusiva», bisognerebbe badare alla sostanza e non ai termini. E posso ripeterlo.

Credo che quella parola «esclusiva» non sia appropriata, perché una legislazione è esclusiva quando non può essere limitata da nulla; mentre qui, con molta saggezza, la Consulta siciliana aveva proposto (è l’antico articolo 14 sostanzialmente ripreso dalla Commissione) che «l’Assemblea nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente, ha la legislazione esclusiva nelle seguenti materie». Ora, qui, non debbiamo fare questioni teoriche: perché altrimenti rischieremmo di perderci in discussioni quasi bizantine.

Dobbiamo vedere la sostanza, e non impressionarci di una parola, che alla sensibilità di qualche studioso o di qualche uomo politico possa sembrare non appropriata. E allora, se ci accordiamo nella sostanza, quale divergenza resta fra di noi? La divergenza che ci fu in seno alla Commissione dei Diciotto, presieduta il 16 gennaio dall’onorevole Presidente Terracini, riguardo una questione, direi quasi, pregiudiziale. La maggioranza della Commissione riteneva che bisognasse rifare tutto lo Statuto dal punto di vista formale. Il relatore, onorevole Cevolotto, qui ha detto chiaramente, riaffermando un principio al quale l’onorevole Persico l’altro ieri aveva accennato riguardo allo Statuto sardo, che lo Statuto siciliano non aveva di per se stesso forza costituzionale; mentre questa forza costituzionale poteva essergli impressa dall’Assemblea Costituente; e che per ciò fosse necessario che tutti gli articoli dello Statuto siciliano venissero trascritti (anche se non cambiati) in un nuovo testo, il quale doveva essere approvato articolo per articolo e, formalmente, parola per parola da parte dell’Assemblea Costituente. Era a questo indirizzo teorico, che io credetti di non addivenire, per ragioni teorico-giuridiche, che non espongo, perché esse, in ogni caso, sono sopravanzate da considerazioni politiche di carattere assolutamente prevalente e decisivo.

Qual è la considerazione politica non discordante da quella giuridica? Che lo Statuto ormai da anni è in applicazione, che il riesame di tutti gli articoli significherebbe non solo dare l’impressione che lo Statuto si metta in forse, ma offrire anche la possibilità concreta di addivenire, con l’esame e la discussione – perché l’esame e la discussione non si sa dove possono portare – alla modifica eventuale di tutto lo Statuto.

Ed allora io ritenni che fosse politicamente conveniente e giuridicamente accettabile una approvazione dello Statuto, ai sensi e per effetti dell’articolo 116 della Costituzione.

Non era necessario procedere all’esame dei singoli articoli, perché le parole «sarà adottato» adoperate nell’articolo 116, non importano affatto necessità di procedere al riesame specifico di tutti gli articoli.

L’altro ieri l’onorevole Presidente dell’Assemblea, dando delucidazioni all’onorevole Persico, l’ha esplicato chiaramente. Ed io insistetti, indirettamente, a proposito dello Statuto sardo. Né qui mi ripeto.

Interessante era questo: evitare che si portasse la discussione di tutti gli articoli, e, dal punto di vista psicologico – perché non parlar chiaramente? – evitare che in un articolo, che andasse a decidere definitivamente di una materia così infiammabile, si adoperasse una formula che avrebbe potuto ferire la suscettibilità anche di uno solo.

Allora dissi: se abbiamo la possibilità di evitare che si ferisca la suscettibilità di qualsiasi persona, se nella sostanza arriviamo ad essere d’accordo, perché non adottare un sistema ed una formula più generica, che vada incontro a tutte le esigenze e che permetta una rapida e felice soluzione di tutte le questioni?

Su questo punto non ci accordammo, e su questo punto resta il dissenso, fra minoranza e maggioranza della Commissione.

Ripeto, non che io non creda che qualche modifica possa apportarsi. Per esempio, io personalmente non credo utile che si adotti per l’elezione di tutti i deputati il sistema elettorale a suffragio universale diretto; io sopprimerei la parola «diretto», perché ritengo che, specialmente nelle Assemblee ragionali, sia non solo opportuna, ma necessaria una rappresentanza mista, composta, cioè, non solo di rappresentanti eletti direttamente dagli elettori indifferenziati, ma anche di rappresentanti eletti dalle varie forze della produzione: agricoltori, commercianti, industriali, ecc. Cioè, sul piano della formazione delle Assemblee regionali, ritengo che l’adozione di un sistema elettorale misto sia più conveniente del sistema unico previsto nello Statuto. Potrebbe indicarsi qualche altro punto che costituirebbe materia di discussione. Ma come può farsi a proporre modifiche ora, all’ultimo momento, affrettatamente, e senza che siano state preventivamente esaminate – parlo chiaramente – dall’Assemblea siciliana? Perché, credetemi, onorevoli colleghi, l’Assemblea regionale siciliana ha tanta comprensione e tanto buon senso che verrebbe assolutamente incontro e sarebbe venuta completamente incontro alle giuste richieste, se fossero state formulate in tempo opportuno, come io da un anno e mezzo non mi stanco di richiedere.

Quindi non restava che approvare lo Statuto. Il sistema adottato dalla Commissione non ci sodisfa, per due ragioni. In primo luogo per ragione di forma. Voi avete sentito i sardi. Quando la Consulta nazionale nel maggio 1946 propose di estendere lo Statuto siciliano ai sardi, i sardi non lo vollero. Qualcuno mi dirà: si tratta di suscettibilità. Ma i popoli hanno la loro psicologia; ed in questo campo la rappresentanza siciliana, come aveva elaborato ed approvato lo Statuto mandandolo al Governo centrale, così attraverso nuovi organi (la nuova Assemblea regionale, che indubbiamente ha più autorità politica e più forza rappresentativa, in quanto proviene dalle elezioni) avrebbe ben desiderato di avere queste proposte e di esaminarle apertamente sul vecchio testo dello Statuto siciliano. È una suscettibilità? Ma allora, io vi faccio osservare: gli inglesi, i quali non hanno mai voluto modificare formalmente i loro pochi testi costituzionali, sono accusabili di suscettibilità? Ed i siciliani (voi lo sapete, sono il popolo che ebbe il primo Parlamento d’Europa e quindi hanno una certa conoscenza ed una certa sensibilità speciale nella materia) avrebbero voluto essere intesi e deliberare prima. Quindi i siciliani tengono al loro testo dello Statuto per una ragione psicologica. Non sarà sicuramente l’insieme dei membri della vecchia consulta siciliana, né l’Alto Commissario Aldisio, che per una ragione personale vorranno conservare proprio il testo dello Statuto così come fu allora stilato; ma è la popolazione siciliana, la quale vide in quello Statuto, nel contrasto gravissimo che vi era in quel momento, una conquista, e la conquista vuole mantenere, così come fu fatta.

Ho sentito dall’onorevole Cevolotto tutte le osservazioni fatte a proposito dello Statuto, ma io mi permetto di dire che di incongruenze fra lo Statuto e le norme della Costituzione può esservene qualcuna, ma aggiungerei – e molti colleghi ben lo sanno – che nella Costituzione, vi sono alcune norme che danno luogo a casi di incongruenza maggiore di questi che si possono notare tra le norme dello Statuto siciliano e quelle della Costituzione. Non starò a indicarle, per brevità. Peraltro i popoli, lo diceva l’onorevole Orlando in uno dei suoi discorsi più appassionati, non stanno alla lettera della legge, ma alla sostanza. Il diritto pubblico si evolve a seconda che le necessità lo impongano; e questo Statuto siciliano potrebbe benissimo restare così com’è, perché si andrebbe adattando a tutte le necessità. I rappresentanti della Sicilia infatti hanno mostrato di avere comprensione e buon senso sufficienti per riconoscere queste necessità. Ma, egregi colleghi, io domanderei quali sono questi punti di contrasto che ora sono prospettati come di semplice frizione fra l’attuale Statuto siciliano e il testo proposto dalla Commissione.

Onorevoli colleghi, io non starò a leggere gli articoli, ma riguardo all’articolo 14, che è stato il primo incriminato, io vi dico che la formula proposta dalla Commissione varia di poco da quello che è il testo dell’esistente Statuto siciliano. Essa apporta una aggiunta sulla quale, se non sbaglio, si soffermarono l’assessore alle finanze Restivo e il presidente Alessi avanti alla nostra Commissione dei Diciotto, facendo presente che l’aggiunta non è necessaria, perché il suo contenuto esiste nell’articolo 14, combinato con l’articolo 1 dello Statuto, le cui disposizioni devono guardarsi nel loro sistema complesso e specialmente nello spirito che le anima.

Quale è l’altra modifica? Egregi colleghi, è proprio una questione di forma. A proposito del presidente della Regione, si dice che egli partecipa al Consiglio dei Ministri con voto deliberativo. Ma, il presidente Alessi disse alla Commissione – e d’altra parte era ben chiara – quale era la portata effettiva di questa disposizione. Ed il testo nuovo proposto dalla Commissione, quando parla del presidente della Regione col rango di Ministro, mi pare proprio che cambi poco. Anche qui, per altro, mi riferirei, per gli eventuali mutamenti, a quella che è la prassi costituzionale dei popoli che vivono in libertà da secoli e che cambiano il loro diritto in base alle necessità, senza ricorrere ad ogni costo a leggi di abrogazione o innovative. Basterebbe, per indicare un esempio di portata più generale, fare riferimento all’Inghilterra, dove il Primo Ministro è nato senza essere riguardato da nessuna legge che ne prevedesse la costituzione. Fino a qualche anno fa il rango di primo grado non apparteneva al Primo Ministro e si dovette ricorrere all’espediente di attribuirgli un’altra carica che comportava la precedenza nelle cerimonie.

NITTI. Questo non entra nella questione!

AMBROSINI. Mi perdoni, illustre Maestro, ma c’entra. Ella tante volte ha fatto riferimento al diritto inglese, e proprio sentendo la sua voce nella mia mente si è richiamato il sistema generale da lei più volte ricordato. C’entra per questa ragione: perché le norme costituzionali o di diritto pubblico in generale si evolvono e si adattano a seconda delle circostanze; a secondo le circostanze potrà assumere nuova veste il Presidente della Regione.

Comunque, egregi colleghi, a me pare proprio che non varrebbe la pena di andare ad apportare una modifica facendo un coordinamento sostanziale a quello che era l’antico testo.

Passiamo all’articolo 31, che si riferisce alla polizia. Non sto ad intrattenere l’Assemblea sui singoli testi; ma badate: la differenza di dizione tra il testo proposto dalla Commissione e quello dell’attuale Statuto siciliano è lieve se non lievissima. Qual è raggiunta? Che il presidente della Regione esercita questo potere quale rappresentante del Governo centrale. Ma questo, se non è detto espressamente nel testo attuale dello Statuto siciliano, è nel complesso degli articoli. Si tenga presente che il presidente della Regione siciliana, per un verso rappresenta la Regione e per tutte le altre materie, che non siano riservate completamente allo Stato, come per esempio la giustizia, la difesa, l’aeronautica e le ferrovie, rappresenta il Governo.

Quindi, nella struttura dello Statuto lieve è la variante fra il vecchio e il nuovo testo. La modifica introdotta dalla Commissione si attiene soltanto alla forma e poco varia nella sostanza.

L’ultimo punto, innovato dalla Commissione è notevole; ma anche per esso si potrebbe sostenere che il vecchio testo non è in tale contrasto con la Costituzione, si da intaccare l’unità politica dello Stato.

L’onorevole Persico vede che io cerco di adoperare termini misurati. È il punto che si riferisce alla Corte costituzionale.

La grave divergenza si riferisce al numero di membri della Corte, che dovrebbero essere nominati dall’Assemblea regionale siciliana.

Mi permetta, caro collega Cevolotto, che le dica che noi non vediamo nemmeno in questo un irriducibile contrasto con la Costituzione. Ne volete una riprova? La nostra Assemblea adottò invero, nel suo testo definitivo, un sistema diverso; ma, sostanzialmente soltanto per pochi voti, non passò la proposta dell’amico Perassi di comporre la Corte costituzionale con un numero di giudici predeterminati e con l’aggiunta di giudici inviati dalle Regioni quando venisse in contestazione una qualche causa che si riferisse al loro interesse specifico.

Allora io mi domando: se in questa Assemblea fu sostenuto il sistema di introdurre nella Corte costituzionale dei rappresentanti della Regione, e se questo sistema non fu approvato soltanto per pochi voti, come può sostenersi che il sistema dello Statuto siciliano, che ha con quello una analogia, sia talmente contrastante con la Costituzione da interferire col principio basilare dell’unità politica dello Stato? E se non c’è questo contrasto assoluto, credete voi che sia conveniente affrontare oggi affrettatamente l’esame della questione? Prima di finire debbo fare qualche considerazione sulla natura costituzionale dell’attuale Statuto siciliano. Questo carattere è stato negato, ed è stata inoltre sollevata la questione della stessa costituzionalità del decreto legislativo che lo approvò. La Corte dei conti lo registrò con riserva; e l’eccezione venne ad essere esposta in questa Assemblea quando si discusse la mozione che tendeva a far ritirare dal Governo il decreto col quale aveva indetto le elezioni per l’Assemblea regionale.

Rispondo che la Costituente ha già dato due volte il crisma costituzionale a questo Statuto, la prima volta quando confermò il decreto col quale s’indicevano le elezioni, la seconda volta quando nominò i membri dell’Alta Corte costituzionale per la Sicilia. A proposito delle questioni portate avanti all’Alta Corte io esprimo il voto, sia pur a titolo personale, che esse vengano composte con trattative dirette. I rappresentanti della Sicilia hanno tanta comprensione e i rappresentanti del Governo devono averne a loro volta tanta da potere arrivare ad un accordo.

Vado alla conclusione.

A che cosa tendeva e tende l’articolo unico che ho proposto insieme ai miei colleghi onorevole Castiglia e onorevole Montalbano? Ad eliminare una discussione sui singoli articoli, che potrebbe protrarsi a lungo sollevando forti contrasti. Può darsi che tutti i colleghi approvino i singoli articoli uno per uno; e naturalmente questo sarebbe la cosa migliore. Ma chi ci dà questa garanzia? E noi dobbiamo insistere sulle nostre situazioni…

RUSSO PEREZ. La garanzia viene dal fatto che la Democrazia cristiana ed i comunisti sono d’accordo per l’autonomia siciliana. Quindi possiamo essere sicuri.

AMBROSINI. Debbo dire questo per chiarezza di esplicazione dell’articolo proposto: che durante quella seduta del 16 gennaio, nella quale io presentai lo stesso articolo che viene ora all’esame dell’Assemblea, si levò l’onorevole Fabbri che parve sostenere un sistema uguale. E parecchi lo credettero; ma io onestamente dovetti subito osservare che il sistema dell’onorevole Fabbri non importava l’approvazione definitiva dello Statuto. Io dissi che su questo punto non doveva restare dubbio e che occorreva essere chiari ed espliciti: il comma prima dell’articolo, che io allora proposi e che ora onestamente e francamente ripropongo, importa la integrale conferma completa di tutto lo Statuto siciliano ai sensi e per gli effetti dell’articolo 116 della Costituzione.

Una voce. Parola per parola?

AMBROSINI. Sì, parola per parola. Per altro quest’articolo ha un secondo comma, onorevoli colleghi, che prevede la possibilità di apportare allo Statuto quelle modifiche che l’esperienza suggerirà; e ciò senza bisogno di ricorrere alla procedura lunga della revisione costituzionale, ma per mezzo di una legge ordinaria da emanare di intesa con l’Assemblea regionale della Sicilia.

Adunque il primo comma è chiaro: per noi deve importare approvazione integrale e definitiva, senza possibilità di equivoci, di tutto lo Statuto siciliano esistente.

Onorevoli colleghi, permettetemi di dirvi che troppo noi siamo stati sotto l’incubo dei rimbrotti e delle accuse e insinuazioni che da tante parti sono state lanciate contro lo Statuto e a volte contro la Sicilia.

Noi abbiamo sentito dire che la Sicilia quasi vuole vivere a spese del capitale italiano, che la Sicilia vuole ricorrere, attraverso il Fondo di solidarietà nazionale, a risorse che non sono sue, che la Sicilia potrebbe incrinare l’unità dello Stato. Io non voglio ritornare su questi argomenti, ma mi preme dire che noi siciliani abbiamo creduto e crediamo con perfetta lealtà e coscienza di poter assolvere al nostro compito autonomistico nel quadro dell’unità politica dello Stato. La Sicilia, onorevoli colleghi, non è quella che spesso, purtroppo, apparve nelle rappresentazioni di Giovanni Grasso.

La Sicilia è quella ritratta da Giovanni Verga e da Luigi Pirandello. È la terra dei lavoratori, di coloro che col progresso hanno il culto della tradizione. Cito un nome rappresentativo, il nome d’un deputato defunto, che onorò questa Assemblea, il nome di Empedocle Restivo, che diede impulso a tante opere di progresso in Sicilia e che fu nello stesso tempo il più geloso custode delle tradizioni dell’Isola. Sicuramente sarebbe stato l’uomo più adatto per reggere l’autonomia della Sicilia. Il destino vuole che suo figlio, Franco Restivo, abbia una funzione fondamentale di governo nell’autonoma Regione siciliana.

La Sicilia è la terra dei lavoratori, degli umili contadini, che hanno saputo in Africa – specialmente nel Nord Africa – accomunarsi al lavoro con le popolazioni locali, degli emigranti che hanno apportato il contributo della loro opera e del loro sacrificio in tutte le parti del mondo. La Sicilia è la terra del popolo che ha sentito sempre forte, fortissimo il palpito dell’unità della Patria. (Interruzioni).

BERNINI. Che c’entra questo con l’ordinamento giuridico della Sicilia?

AMBROSINI. C’entra, perché l’Assemblea deve ora prendere una grave decisione di carattere politico e deve…

BERNINI. Questa è retorica!

AMBROSINI. Non è retorica, sono fatti storici di cui l’Assemblea deve tenere conto prima di decidere. La Sicilia è il paese antesignano dell’unità d’Italia. Noi diamo affidamento che mai lo Stato unitario avrà a temere dalla Sicilia. La Sicilia fece la prima rivoluzione nel 1848, e la prima Costituente italiana. Sapete quale proclama fu lanciato al popolo? Mi dispiace di non avere il testo, ma ricordo benissimo che esso così terminava: «Viva la Sicilia, viva i fratelli italiani!». (Commenti – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Ambrosini, non raccolga le interruzioni.

AMBROSINI. Mi rivolgo all’egregio Presidente. Egli sa che non ho mai interrotto nessuno, egli sa che sono abituato a discutere nello stretto rigore della logica giuridica e dei fatti giuridici. Potevo quindi ben fare quella asserzione per dimostrare il sentimento eminentemente italiano che ha animato sempre la Sicilia.

Il proclama emanato dal Comitato provvisorio nella sua prima riunione del 17 gennaio 1848 finiva, ripeto, con le parole: «Viva la Sicilia, viva i fratelli italiani!».

E nel General parlamento siciliano, alla Camera dei Pari fu avanzata da parte di un certo canonico, mi pare si chiamasse Calcara, la proposta di dichiarare a tutti gli Stati italiani che la Sicilia all’inizio stesso della sua rivoluzione aveva affermato di volere fare parte della Confederazione italica, mentre alla Camera dei Comuni La Masa ed altri proponevano l’invio di armati in Lombardia nella guerra contro l’Austria.

MAZZONI. Dante Alighieri non era siciliano. Manca il senso della misura!

AMBROSINI. Il senso della misura credo di averlo avuto abbastanza col non soffermarmi a lungo (Commenti), come era mio diritto, sui singoli articoli del progetto di legge che è dinanzi all’Assemblea, alla cui saggezza faccio appello in questo momento decisivo.

E concludo: gli onorevoli colleghi possono approvare lo Statuto della Regione siciliana così come fu approvato col decreto legislativo del 15 maggio 1946, senza che abbiano a temere che questo Statuto infranga minimamente l’unità politica e la compattezza del Paese! (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Finocchiaro Aprile e Gallo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 1 e 2 del disegno di legge col seguente articolo unico:

«Lo statuto della Sicilia, promulgato con decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, è legge costituzionale e continuerà ad avere vigore.

«Eventuali modifiche potranno essere introdotte con legge ordinaria dello Stato, ma sempre su voto dell’Assemblea siciliana, espresso da almeno tre quarti dei suoi componenti».

L’onorevole Finocchiaro Aprile ha facoltà di svolgerlo.

FINOCCHIARO APRILE. Signori deputati, io parlerò brevemente a sostegno dell’emendamento da me proposto, unitamente all’onorevole Gallo, diretto a dichiarare lo statuto della Sicilia, ora vigente, legge costituzionale che dovrà continuare ad avere vigore; e a prescrivere che eventuali modifiche potranno essere introdotte con legge ordinaria dello Stato, ma sempre su voto del Parlamento siciliano, espresso da almeno tre quarti dei suoi componenti.

Quando, alla fine di maggio del 1946, l’onorevole Presidente del Consiglio venne a Palermo ad annunziare la concessione dello statuto della Sicilia, vi furono molti che pensarono che questa potesse essere una speculazione elettorale. Noi indipendentisti non escludemmo ciò, di fronte ad un provvedimento emesso alla vigilia dei comizi; ma la cosa non ci fece nessuna impressione. Avesse o non avesse il provvedimento carattere di speculazione elettorale, certo era che finalmente l’autonomia siciliana, sia pure in forma molto imperfetta, era decretata dalla classe dirigente italiana; e noi indipendentisti ne fummo lieti, per quanto fossimo stati esclusi dalla Consulta regionale e quindi, non chiamati a partecipare alla redazione dello statuto, alla quale saremmo, comunque, rimasti estranei.

Dichiarammo fin dal primo momento, e ripetemmo in quest’Aula e in cento occasioni, che per noi l’autonomia non era e non è fine a se stessa, ma mezzo al fine, quello dell’elevazione della Sicilia a Stato libero e sovrano; ma accettammo l’autonomia così come ci era stata concessa, e lealmente, nel Parlamento siciliano, abbiamo data, come meglio ci era consentito lealmente, la nostra collaborazione per il successo del nuovo sistema.

Io credo che il Parlamento siciliano abbia dato prova di alta nobiltà e di comprensione assoluta dei compiti che gli sono stati attribuiti. Esso non ha smentito la tradizione di dignità e di prestigio ed il magistero di saggezza irradiatosi dalle gloriose istituzioni parlamentari dell’Isola. Però (e alcuni colleghi me ne sono testimoni), appena pubblicato lo statuto, noi dichiarammo alle masse siciliane: «Non vi fate illusioni; l’autonomia vi è stata concessa ora; l’autonomia sarà presto revocata». Parlava in noi la dura esperienza di 87 anni di promesse non mantenute e di danni subiti; parlava in noi il senso diffuso di incomprensione notato dovunque in Italia e ch’io stesso ebbi ad avvertire nella Commissione per la Costituzione, dalla quale, appunto per ciò, io che ne facevo parte non tardai ad estraniarmi.

Onorevoli deputati, parliamoci chiaro! Noi abbiamo sentito qui l’esposizione dell’onorevole Cevolotto e l’esposizione dell’onorevole De Gasperi. Permettetemi di dire con grande sincerità che la nostra impressione è stata veramente penosa. È stata penosa soprattutto, ed imbarazzata, l’esposizione dell’onorevole De Gasperi, che ha provocato in noi molta amarezza. Egli si deve essere accorto che le sue parole sono cadute pesantemente sull’Assemblea.

Siamo stati tutti alquanto sorpresi delle sue parole, che hanno rivelato nel Capo del Governo uno stato d’animo completamente mutato, così diverso da quello euforico e lusingatore ch’egli ebbe a manifestare al tempo della concessione dell’autonomia alla Sicilia. Egli ha detto non essere lecito nascondersi che l’interpretazione delle disposizioni dello statuto e la loro pratica attuazione hanno finora incontrato difficoltà e sollevato obiezioni, specie da parte dell’Amministrazione finanziaria; e che una forte resistenza devesi superare anche per le sezioni della Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. E l’onorevole De Gasperi ha soggiunto che tutto questo dimostra che, per attuare completamente lo statuto, occorre un nuovo sforzo di cooperazione tra la rappresentanza della Regione e lo Stato.

Ora queste non sono davvero parole di colore oscuro: il loro significato è ben chiaro ed è che non si vuole dare completa attuazione allo statuto e che si vuole tornare indietro. A me pare che ciò non possa, né debba permettersi. Sarebbe un oltraggio alla Sicilia; la quale, onorevole De Gasperi, non farà mai alcuna delle rinunzie che lei desidererebbe.

Si è discusso, onorevoli deputati, sulla portata dell’articolo 116 della Carta costituzionale, che è bene leggere. Dice l’articolo 116: «Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli, alla Venezia Giulia è alla Val d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali».

Evidentemente questo articolo non tenne conto del fatto che vi erano statuti già approvati ed anche in esecuzione, e statuti che avrebbero dovuto essere adottati. Questa distinzione è stata richiamata più volte dal nostro illustre Presidente. Ora io penso che lo statuto siciliano, emanato da quegli organi dello Stato che allora avevano tutti i poteri per emanarlo, avesse già sin dall’origine ed abbia tuttavia valore costituzionale, alla stessa stregua che ha valore costituzionale la legge dalla quale l’Assemblea Costituente ripete i propri poteri.

È chiaro, pertanto, che i nuovi statuti, cioè quelli della Sardegna, del Trentino-Alto Adige e del Friuli (perché anche il Friuli fu compreso fra le Regioni aventi diritto allo statuto speciale ed è a deplorarsi che questo statuto non ci sia stato presentato) debbano essere adottati dall’Assemblea Costituente; mentre gli statuti della Sicilia e della Val d’Aosta, già emanati ed in attuazione, debbano essere semplicemente coordinati. Nel decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, con cui fu approvato lo statuto della Sicilia, si dice che questo sarà sottoposto all’Assemblea Costituente, per essere non adottato, ma coordinato con la nuova Costituzione dello Stato. «Coordinamento». Io mi riferisco, onorevoli deputati, al significato, al carattere, alla natura della parola «coordinamento». Essi sono ben precisi ed inequivoci per chi abbia pratica giuridica e legislativa. Ma da quello che voi avete sentito, traete forse la convinzione che si stia facendo e si voglia fare un coordinamento? Non vi pare che si tratti, invece, di un vero sovvertimento? Del vecchio statuto, secondo le proposte della Commissione e gli intendimenti del Governo, non dovrebbe rimanere più quasi nulla. Io vi richiamo a questo vostro dovere costituzionale di effettuare esclusivamente il coordinamento. Nel nuovo statuto io leggo disposizioni completamente nuove; e, quel che è peggio, leggo – ed è questa la ragione della mia maggiore preoccupazione – emendamenti presentati all’ultimo momento, in relazione a quello che ha detto testé il Capo del Governo, i quali, se accolti, sconvolgerebbero completamente il sistema su cui poggia lo statuto, e ne annullerebbero la parte essenziale. Sono emendamenti con i quali si tenta di restringere sino a sopprimerli i poteri della Sicilia in materia di tributi e di valute pregiate.

Quando l’onorevole De Gasperi parlava, l’onorevole Ministro del bilancio faceva circolare due sue proposte dell’ultima ora, sulle quali io debbo richiamare tutta l’attenzione dell’Assemblea. Giudicate voi, onorevoli deputati, se con esse non si distrugga in pieno l’autonomia siciliana. Noi abbiamo il sacrosanto diritto alla nostra autonomia tributaria, onorevole Einaudi; ad essa non rinunzieremo mai, a qualunque costo. Se lo ricordi! (Commenti al centro).

Ebbene, leggiamo il primo emendamento:

«Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della medesima e col gettito di tributi propri che essa rimane autorizzata a deliberare.

«Sono riservate allo Stato le imposte di fabbricazione e le entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto.

«Salvo quanto disposto dal secondo e terzo comma dell’articolo 39, sono altresì riservati allo Stato i tributi doganali.

«Le altre imposte erariali ordinarie sono disciplinate dalla legge dello Stato sentita la Regione, per quanto attiene alla applicazione nel suo territorio, e del relativo gettito riscosso nel territorio stesso è attribuita alla Regione una quota da determinarsi annualmente dallo Stato sentita la Regione».

Che cosa significa ciò? Significa, in primo luogo, che il Parlamento siciliano non dovrebbe avere più il diritto di deliberare su qualunque tributo, ad eccezione delle imposte di fabbricazione e delle entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto, a norma dello statuto vigente, in quanto le imposte erariali ordinarie dovrebbero tornare ad essere di competenza dello Stato, al quale sarebbero anche riservati i tributi doganali. Ma anche i tributi doganali sono dallo statuto siciliano attribuiti alla Sicilia, dappoiché lo statuto stabilisce che il regime doganale dell’Isola è di competenza dello Stato, ma non già che i proventi doganali appartengano allo Stato.

Ben a ragione, pertanto, il Parlamento siciliano con l’articolo 3 della legge sull’esercizio provvisorio del bilancio, ha tenuto conto del ricavato di tutti i tributi, comprese le entrate delle dogane. E voi oggi ce li volete togliere? Badate, per toglierci questi tributi, dato e non concesso che la loro appartenenza alla Sicilia sia discutibile, il Governo, in base allo statuto che è già in attuazione, avrebbe dovuto ricorrere all’Alta Corte costituzionale siciliana e averne riconosciuto il diritto. Non lo ha fatto: ha fatto decorrere i termini dell’impugnativa. Non essendo riuscito per questa via, onorevole Einaudi, lei pretende di raggiungere lo scopo, revocando addirittura per legge, il potere della Sicilia di legiferare in materia di tributi, comprese le entrate doganali, non più limitando il potere dello Stato alle sole imposte di fabbricazione ed alle entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto. Tutto ciò è veramente enorme.

Non è dubbio che l’attribuzione alla Sicilia di tutte indistintamente le imposte, ad eccezione di quelle testé specificate, non fu fatta da gente che avesse la testa nel sacco, ma fu fatta molto ponderatamente, ciò rispondendo alle precise richieste delle rappresentanze siciliane. Oltre l’onorevole De Gasperi firmarono lo statuto gli onorevoli Nenni, Cianca, Romita, Togliatti, Scoccimarro, Corbino, Gasparotto e via dicendo; tutti uomini forniti di senso di responsabilità, che non avrebbero data la loro adesione, se non fossero stati convinti della necessità della concessione della autonomia tributaria. Ed oggi, onorevole Einaudi, in sede di coordinamento, lei pretende di riattribuire allo Stato quelle imposte delle quali lo Stato volontariamente si è spogliato! Ma si rende conto il Ministro del bilancio delle conseguenze di questo ritorno al passato?

E v’è un’altra cosa di molta gravità sulla quale io desidero di intrattenere brevemente l’Assemblea Costituente. Ai fini del nuovo assetto economico della Sicilia, noi ci siamo basati sul ricavato delle nostre esportazioni che sono molto vantaggiose; e lei, onorevole Einaudi, lo sa. Lei sa che l’eccedenza dei valori delle esportazioni nel 1945 fu di circa 10 miliardi di lire; lei sa che nel 1946 fu di oltre 15 miliardi, di cui uno con l’estero e che nel primo semestre del 1947 l’eccedenza fu di circa 13 miliardi, di cui circa 4 con l’estero. Io non ho i dati del secondo semestre, ma solo che si raddoppino le cifre del primo semestre, ché certo saranno per il secondo semestre superiori, si avrà per il 1947 un’eccedenza di 26 miliardi, di cui circa 8 con l’estero. Le previsioni per il 1948 saranno certo superiori.

Orbene, che cosa fa l’onorevole Einaudi? Sotto la preoccupazione, già accennata dal Presidente del Consiglio, che cioè la lira italiana possa avere in Sicilia un valore superiore in confronto della lira nella Penisola, eventualità della quale noi siciliani ci compiacciamo, perché ci darà, in un giorno che ci auguriamo non lontano, la possibilità di creare utilmente una nostra valuta, l’onorevole Einaudi sbocca in una proposta che noi nettamente respingiamo, ed è questa: «Sinché permane il regime vincolistico delle valute, sarà provveduto, d’accordo tra lo Stato e la Regione, e con l’osservanza delle convenzioni internazionali, affinché le valute estere, provenienti dalle esportazioni siciliane, dalle rimesse degli emigrati, dal turismo e dal ricavo dei noli delle navi iscritte nei compartimenti siciliani, siano assegnate in relazione alle esigenze delle importazioni siciliane».

No, onorevole Einaudi, la sua proposta è assolutamente inaccettabile. Per la Sicilia non deve valere alcun regime vincolistico di valute. Ben comprendiamo che le valute pregiate, frutto del nostro lavoro, del sudore dei nostri operai e dei nostri contadini, facciano gola a molta gente. Noi siamo decisi a difenderle, perché ci sono indispensabili per quel risorgimento economico che la classe dirigente italiana vuole ancora ostacolare. Lei, onorevole Einaudi, vuole togliere alla Sicilia quello che le è assolutamente necessario, per dare corso al suo programma di formazione e di sviluppo industriale. Le industrie siciliane, onorevole Einaudi, sono anemiche ed agonizzanti; il suo provvedimento, che concede crediti soltanto alle grandi industrie (come la Fiat, la Pirelli, la Montecatini) ha reso impossibile il finanziamento delle medie e piccole industrie che vanno verso la rovina. A queste bisognava pensare prima ancora di quelle, perché queste, ben più di quelle, sono la spina dorsale dell’economia italiana e dell’economia siciliana. Ma io non voglio affrontare, in questa sede, argomenti di natura tecnica. A me interessa il lato politico della questione.

Onorevoli deputati, voi che siete unitari – io sono per un’unità diversa da quella che voi volete mantenere; io sono per l’unità confederale dei liberi Stati italiani – credete che questa discussione e soprattutto lo spirito che è alla base di essa, cementino l’unità d’Italia? Io credo che avreste fatto molto bene a parlare ed agire ben diversamente. Siete per avventura voi che recate danno all’unità. Vi soggiungo che io amo troppo l’Italia per speculare su questo vostro esiziale errore e su questa vostra grande debolezza.

Noi deputati siciliani – e non mi riferisco soltanto ai miei amici indipendentisti, ma a tutti i colleghi delle altre correnti politiche di Sicilia, ai democristiani, ai comunisti, ai socialisti, ai liberali, ai repubblicani, perché siamo tutti concordi in questo – pensavamo che il coordinamento dovesse essere di carattere formale, non sostanziale, non, cioè, un coordinamento che scardinasse, come si vorrebbe fare, lo statuto siciliano. Noi pensavamo che fosse pensiero del legislatore che lo statuto, già approvato ed in esecuzione, dovesse essere annesso, inserito nella Costituzione, sia pure con le lievi modifiche di forma richieste dal coordinamento. E noi indipendentisti chiedemmo che lo statuto dovesse far parte integrante, come allegato, della Costituzione, perché ci sembrava che così lo statuto corresse minori pericoli e vi fossero minori probabilità di riforma, trattandosi di una Costituzione rigida. Ma ciò non si è voluto fare e si è colta l’occasione per tentare di mandare tutto all’aria. Il procedimento della Commissione è stato veramente anomalo. Essa non ci ha nemmeno fatto distribuire, perché noi potessimo fare i necessari confronti, il testo dello statuto siciliano, ed ha presentato un testo completamente nuovo; nuovo nella forma e nuovo nella sostanza. Vanamente, onorevoli colleghi della Commissione, voi credete di illuderci, dicendo: «ma, insomma, non c’è nulla di sostanzialmente modificato, tutto è come prima, e tutto va bene. Non abbiamo fatto che dei ritocchi. Siamo d’accordo persino coi rappresentanti della Regione»! Ma vivaddio, signori miei, non siete d’accordo niente affatto, perché i rappresentanti della Regione sono rimasti desolati di quel che avete combinato e, anzi, hanno notato una cosa – non abbiatevene a male, se io ve la riferisco – che cioè il vostro atteggiamento è stato avverso allo statuto siciliano e ostile, come sempre, alla Sicilia. (Vivi rumori al centro).

CEVOLOTTO, Relatore. No! Anzi hanno dichiarato apertamente di prender atto della comprensione e della amicizia con cui abbiamo trattato con loro.

FINOCCHIARO APRILE. Infatti, per protesta, se ne sono andati via, come gli onorevoli Germanà e Leone Marchesano, deputati al Parlamento siciliano!

Cosicché è venuto non l’auspicato coordinamento formale, ma il coordinamento sostanziale, e si è fatto un altro statuto.

Onorevoli colleghi, io vorrò soffermarmi un poco sulle modificazioni essenziali…

PRESIDENTE. La pregherei di non entrare in un esame particolareggiato delle varie proposte, perché altrimenti tanto varrebbe passare all’esame degli emendamenti. Resti alla esemplificazione.

FINOCCHIARO APRILE. Sta bene. Ma su quattro punti fondamentali qualche parola è necessario che io dica; e di essi il primo riguarda l’articolo 14.

Con questo articolo 14 dello statuto del 1946, vigente, la Sicilia ha la legislazione esclusiva su svariate materie, nel limite delle leggi costituzionali dello Stato. Noi abbiamo lealmente accettato ed applicato questa disposizione; ma non così ha fatto la Commissione la quale l’ha trasformata completamente; e noi dichiariamo nel modo più reciso di non potere aderire a tale arbitraria trasformazione. Il coordinamento non ha nulla a che vedere con quello che avete fatto; perché, quando voi aggiungete nell’articolo 2 del nuovo testo proposto le parole: «In armonia con la Costituzione e i principî dell’ordinamento giuridico dello Stato, col rispetto degli obblighi internazionali e senza pregiudizio delle riforme agraria ed industriale della Repubblica», voi fate cadere di peso il potere di legislazione esclusivo già sancito per la Sicilia, lo riducete a nulla, perché, ove nell’ordinamento giuridico dello Stato vi sia un complesso di leggi organiche riguardanti i vari rami dell’Amministrazione, noi non avremo più nessuna libertà, ma dovremo adattare il nostro potere normativo a queste leggi, anche quando la Sicilia si trovasse nella condizione di avere delle particolari ed imprescindibili esigenze. Ciò è molto grave e distrugge alla base il sistema autonomistico siciliano.

Il secondo punto riguarda l’articolo 21; ed io mi domando: perché avete voluto togliere al presidente della Regione – lasciamo stare il rango di Ministro, ché questa è cosa di carattere formale e di poca importanza – il diritto di intervento nel Consiglio dei Ministri con voto deliberativo e pretendete di dargli soltanto voto consultivo? I rilievi e le osservazioni fatte dall’onorevole Cevolotto sono inconsistenti e non toccano la sostanza delle cose. Bisogna rifuggire dall’eccesso di formalismo; e, in verità, non v’è proprio nulla di strano, né di incostituzionale, che vi sia nel Consiglio dei Ministri un membro non nominato come gli altri, ma designato a farne parte, soltanto per argomenti particolari, da un organo diverso da quello dal quale quelli ripetono la loro origine. Nella storia costituzionale sono numerosi gli esempi del genere. Non vi fu un tempo, ad esempio, nel quale il Ministro per l’Irlanda non era nominato in Gran Bretagna dal re? Perché, dunque, tanto misoneismo a proposito della Sicilia?

La determinazione di fare intervenire nel Consiglio dei Ministri il presidente della Regione con voto deliberativo fu atto di grande accorgimento politico, rispondente ad un vivo desiderio del popolo siciliano, espresso in varie occasioni. L’intervento con semplice voto consultivo non rappresenta niente, sminuirebbe l’autorità ed il prestigio del presidente della Regione e tanto varrebbe sopprimerlo.

Permettetemi ora di esprimervi il mio pensiero sulle modifiche proposte all’articolo 24, per quanto riguarda l’Alta Corte. Noi tenevamo molto, e teniamo molto, a questa nostra Alta Corte. Ha detto benissimo l’onorevole Ambrosini: l’Assemblea Costituente ha già virtualmente convalidato, in due occasioni, l’Alta Corte siciliana, eleggendo i rappresentanti dello Stato in essa, così come abbiamo fatto noi al Parlamento siciliano. Ora ci si viene a dire che quest’Alta Corte dovrà funzionare solo temporaneamente, fino a che non entrerà in carica la Corte costituzionale italiana. Non è, né può essere così. Si tratta di istituzioni diverse nella loro struttura e nelle loro finalità: compito limitato e circoscritto è quello dell’Alta Corte siciliana; compito vasto e complesso quello della Corte costituzionale italiana. Inoltre, nella prima la Sicilia ha la sua diretta rappresentanza, nella seconda no. Vi è, poi, fra esse disparità di poteri per cui l’una non potrebbe assorbire l’altra, senza snaturare il differente criterio che ha guidato il legislatore nell’istituirle. Vorrei dire che vi è fra le due Corti un essenziale contrasto che va mantenuto. Il mio amico Calamandrei, che come cultore eminente di diritto privato è forse meglio dei pubblicisti della Commissione in condizione di rilevare questa antitesi, vi dirà, forse, che quello che avete fatto deve essere, anche nell’interesse giuridico e processuale, assolutamente annullato.

L’Alta Corte per noi siciliani aveva ed ha veramente un significato particolare, un significato tutto nostro, anche in relazione ai contrasti fra lo Stato e la Regione. La Corte costituzionale italiana potrà servire a dirimere i conflitti fra lo Stato e le Regioni regolate normalmente dalla Costituzione; non i conflitti fra lo Stato e le Regioni a statuto speciale, che abbisognano di un ente speciale quale è appunto l’Alta Corte siciliana. Questa, pertanto, deve essere mantenuta.

Vengo finalmente all’ultimo punto, e cioè alla polizia, cui si riferisce l’articolo 31. Credevamo di aver ottenuto una cosa da noi siciliani insistentemente richiesta e sollecitata, quella che la polizia sia alle dirette dipendenze del presidente della Regione. Ripetutamente in quest’Aula, da me e dal collega Gallo, fu deplorato il funzionamento della polizia in Sicilia e furono invocate riforme sostanziali che la mettano, nell’Isola, al livello delle più progredite polizie del mondo. Lo Stato non è riuscito in questa opera e noi confidiamo di riuscirvi.

Ma, oltre a ciò, non vi è autonomia che possa concepirsi e che possa funzionare, senza che il governo della Sicilia abbia nelle sue mani uno strumento così delicato come la polizia. In caso contrario il governo sarebbe alla mercé del Ministro dell’interno italiano, privando il governo siciliano della sua libertà di azione.

L’insistenza con la quale si pretende di restringere notevolmente, se non di sopprimere i poteri del governo siciliano è molto sospetta e noi non possiamo non ribellarci a questo tentativo.

In ultimo debbo rilevare che le tardive e non disinteressate obiezioni di ceti giudiziari e forensi romani, accennate dall’onorevole De Gasperi, alla costruzione in Sicilia di sezioni della Corte di cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti non hanno alcun serio fondamento. Se le sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti sono tecnicamente necessarie in Sicilia, dato l’introdotto sistema dell’autonomia, la sezione della Corte di cassazione è indispensabile. Non si obietti essere ciò contrario all’uniformità della giurisprudenza. Io ho sempre pensato che questa uniformità, da taluni decantata, sia un grave danno, non solo per l’amministrazione della giustizia, ma anche per il progresso degli studi giuridici. L’unificazione delle Corti di cassazione distrusse in Italia parecchi centri di cultura che avevano potentemente contribuito all’evoluzione del pensiero giuridico. Fra questi centri primissimo fu quello di Palermo.

La Corte di cassazione siciliana, che può considerarsi risalente ai tempi di Federico II di Svevia, fu invero la maestra di tutte le altre. Io ricordo che i conflitti di giurisprudenza venivano quasi sempre decisi dalla Corte palermitana. Ed aggiungo che vi sono materie connesse a superstiti istituti giuridici feudali ed ecclesiastici che hanno bisogno di una particolare sensibilità, che non può avere che il supremo giudice siciliano, più adatto, del resto, all’interpretazione e all’applicazione della legge in un paese che ha sue speciali esigenze ed una propria mentalità. Si è tardato fin troppo a creare nell’Isola la sezione della Corte di cassazione, e le sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. La Sicilia attende che lo Stato assolva questo suo impegno a onore.

Concludendo, io dichiaro di non accettare nulla del nuovo statuto. Non lo accetto, non solo perché la Commissione è andata assai oltre le funzioni assegnatele e ha compiuto un eccesso di potere, ma perché dire laggiù che è stato sostituito lo statuto siciliano e fare sapere che si sono soppressi molti dei poteri già attribuiti alla Regione, significherebbe turbare profondamente e con gravi conseguenze il sentimento del popolo siciliano.

Io non voglio usare, onorevoli deputati, parole grosse. Nell’Isola si dice già che qui si vuole tradire il popolo siciliano con questi provvedimenti che voi avete proposti. Io mi auguro che l’Assemblea Costituente, con alto senso di responsabilità, respingerà unanime tutte le proposte lesive di diritti ormai acquisiti e che accoglierà l’emendamento che io ho avuto l’onore di presentare e che si avvicina molto a quello del mio amico Ambrosini, al quale avete tolto la legittima soddisfazione di riferire sullo statuto siciliano. Avete fatto molto male! Anche questo è stato vivamente deplorato in Sicilia.

Chiudo, esortandovi ad operare ognora in modo che la Sicilia guardi sempre benevolmente e fraternamente all’Italia.

LI CAUSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LI CAUSI. Onorevoli colleghi, credo che tutti abbiamo l’impressione che stiamo discutendo e vogliamo risolvere un problema che implica enormi responsabilità; e che non è possibile sfuggire a questa responsabilità.

E non basta che da parte di coloro che in questa Assemblea sono sinceramente antiautonomisti – ed in particolare antiautonomisti nei confronti della Sicilia – vi siano riserve ed avversioni per il nostro statuto.

La Commissione dei Diciotto toglie qualche cosa; il Governo ce ne toglie qualche altra; vedremo certamente sorgere in questa Assemblea qualcuno che si preoccupa di qualche altro aspetto dello statuto siciliano e vorrà togliercelo; a compimento interverranno i giuristi puri, coloro che vogliono che la legge sia unica per lo Stato; che i sommi principî, e principî fondamentali non soffrano offese e si ripeterà l’errore funesto del 1860: la legislazione unica, imposta dall’alto per tutto il Paese.

Oggi però la situazione non è più quella del 1860; allora la classe dominante ebbe la forza di imporre la soffocante uniformità. Oggi le classi dominanti sentono di non averla più questa forza, ed ecco perché si è perplessi in questa Assemblea e si cerca, beninteso per l’amore verso la Sicilia, di darci lo zuccherino. Si dice: «Nell’interesse del Paese noi facciamo questo; non possiamo rinunciare a determinate cose; vediamo se ci sono contrasti giuridici, ecc.».

No, la verità è proprio questa: politicamente si vuole imporre una legislazione unica; si vuole sottrarre più che sia possibile alla Regione siciliana la legislazione esclusiva; si vuole vanificare gli statuti speciali; si vuole impedire alla Sicilia e alla Sardegna di svilupparsi rapidamente.

Se i deputati siciliani si mostrano in questa Assemblea, indipendentemente dal loro colore politico, schierati su un unico fronte è perché hanno una base comune, obiettiva di lotta, cioè la difesa dello statuto siciliano. Su questa base si è creata l’unità del popolo siciliano ed oggi qui i suoi rappresentanti politici, di tutti i settori, sono concordi nel difendere lo statuto che non è una concessione largita dall’alto, ma una conquista del popolo siciliano. Lo statuto dell’autonomia siciliana è il risultato di una lotta, di un travaglio, di una esperienza che non è maturata in questi ultimi anni, anche se la crisi sociale e politica, anche se il cataclisma che abbiamo vissuto ha esasperato le contraddizioni che in periodo normale, attraverso l’esercizio del potere, vengono compresse.

Io devo associarmi a moltissime considerazioni che sono state svolte dall’onorevole Finocchiaro Aprile, le ritengo giuste e credo che siano giuste per tutti i deputati siciliani che sono qui.

Indipendentemente da quelle che possono essere le legittime preoccupazioni dei rappresentanti delle altre Regioni presenti in questa Assemblea, indipendentemente dalla preoccupazione di chi, come noi, ha il dovere di vedere il quadro generale in cui inserire questo problema, v’è un problema essenziale, il problema dell’autonomia speciale siciliana, che si racchiude nell’articolo 14 dello statuto.

Ma come? Non vi bastano i limiti che le leggi costituzionali dello Stato pongono alla nostra autonomia? Quali altri limiti volete che vi siano? Se l’autonomia deve essere una cosa seria, essa ha già i limiti nettamente segnati da una parte dalla Costituzione, dall’altra dallo statuto siciliano. Di qui non possiamo muoverci.

Cosa vuol dire aggiungere all’articolo 14 i limiti di «principî fondamentali dell’ordinamento giuridico»? Che significato hanno queste parole? Ognuno le interpreta a modo suo e voi vedreste che ad ogni momento l’attività legislativa della nostra Assemblea regionale sarebbe paralizzata, perché chi ha interessi contrari al popolo, in ogni legge dell’Assemblea regionale favorevole al popolo vedrebbe una violazione ai principî fondamentali dell’ordinamento giuridico. E voi sapete benissimo come queste cose possono dare adito a discussioni, a lunghe controversie; ed è perciò che si vogliono cacciare nello statuto siciliano proprio per impedire che questo statuto abbia la efficacia che deve avere.

Tutti sappiamo cosa sono le leggi costituzionali dello Stato; sappiamo cos’è lo statuto siciliano; abbiamo due limiti certi; rimaniamo in questi limiti; ma se vogliamo introdurre frasi, affermazioni vaghe che possano prestarsi alle più svariate interpretazioni e possano fare impugnare l’attività legislativa dell’Assemblea regionale, vuol dire che si vuole proprio svigorire l’autonomia della Sicilia.

La Commissione dei Diciotto pur nella forma più corretta e più alta ha assolto al compito di sminuire il vigore e il contenuto della nostra autonomia e ha presentato a questa Assemblea un nuovo statuto. Ma non vi sono stati rapporti men che cordiali tra la delegazione siciliana e la Commissione. Abbiamo discusso lungamente, duramente nella sostanza; ma la forma è sempre stata della massima cordialità. E devo soggiungere che v’è stato uno sforzo di comprensione reciproca.

Il collega Cevolotto, anti-autonomista convinto, essendo un uomo politico sa perfettamente che quando svolge argomentazioni giuridiche tiene conto che quella che sta trattando è una questione politica, non una questione di puro diritto; ed è naturale che egli, attraverso i contatti e le discussioni che ha avuto con la delegazione siciliana, si sia reso conto della legittimità e bontà delle nostre richieste.

Non v’è dubbio su questo; ma non v’è dubbio – e va denunciato – che la Commissione vuol togliere qualche cosa allo statuto della Sicilia. L’orientamento di taluni Gruppi di questa Assemblea e dello stesso Governo è appunto di voler togliere qualche cosa alla Sicilia; difatti, mentre non si è discusso assolutamente da parte della Commissione il gruppo degli articoli che riguardano il problema finanziario della Regione, all’ultimo momento il Ministro Einaudi – fiero oppositore delle autonomie – si è presentato con i suoi emendamenti per silurare lo statuto siciliano. Commissione dei Diciotto, gruppi determinati dell’Assemblea, Governo tutti concordi, anche se non di concerto, per silurare lo statuto siciliano, l’autonomia siciliana.

E ci spieghiamo quindi perché gli appelli che qui sono stati elevati di giusto riconoscimento di ciò che in Sicilia i grandi partiti politici unitari hanno fatto per distendere la situazione, non hanno trovato eco. Se gli onorevoli colleghi delle altre Regioni si fossero rifatti alla situazione siciliana di qualche anno fa, e non esclusivamente nel senso negativo, diciamo così, per opera di Finocchiaro Aprile; o nel senso positivo, per opera di Aldisio, – perché né Finocchiaro Aprile può creare dal nulla il movimento separatista, né Aldisio può frenarlo se non vi sono delle forze in moto su cui basarsi – oggi sarebbero convinti che non per l’intervento di Governo, ma essenzialmente col concorso del popolo siciliano e delle forze più vive di esso quella critica situazione ha potuto sanarsi.

Volete forse onorevoli colleghi, proprio oggi per le prospettive che ci stanno dinanzi e per quello che rappresenta la Sicilia nel Mediterraneo stuzzicare la Sicilia, dare l’impressione ai siciliani che qui il loro problema non è sentito, il problema dell’autonomia, che ci permette di poter dire la prima volta nella storia, non ci prendete più in giro, o signori del Governo centrale, non permetteremo più ai nostri deputati che facciano i rivoluzionari in Sicilia e gli ascari a Montecitorio? (Applausi all’estrema sinistra).

Noi stiamo sanando questa situazione, e venite qui voi altri e volete che questa situazione si riacutizzi, si perpetui! Questo non è più possibile che avvenga, non avverrà più. E non è iattanza la nostra, il popolo siciliano è in movimento con la coscienza della propria forza, del proprio diritto storico e politico, con la coscienza critica che quello che è avvenuto nel ’60, nel ’66, nel ’70, nel ’94, nel 1919 non avverrà più. Non vi sarà più un potere centrale che nomini le solite commissioni di studio che riconoscano che la Sicilia ha diritto ad un determinato trattamento, ma che poi non se ne fa nulla per non turbare gli interessi di quei gruppi che non vogliono assolutamente che la Sicilia risorga e non rimanga una terra di sfruttare.

Teniamo conto che la sensibilità del popolo siciliano è data proprio dalla sua storia e dalla sua posizione geografica; teniamo conto che viviamo in una situazione politica gravida di pericoli, e che proprio in questo momento bisogna saldare il popolo siciliano con tutto il Paese e saldarlo non in modo meccanico o in base a principî astratti di diritto, ma creando in Sicilia condizioni favorevoli al suo sviluppo. Come potete evitare che in questo modo il popolo siciliano non senta l’urto di questa incomprensione, di questa ostilità? Lo statuto siciliano, è una conquista del popolo siciliano; con esso ha fatto le elezioni dell’Assemblea regionale, con esso le sue prime leggi sociali progressive.

Nell’ottobre scorso quando a Roma è venuta una delegazione della Regione a conferire col Capo dello Stato, col Presidente dell’Assemblea Costituente, coi capi partito, tutti, compreso l’onorevole Nitti antiautonomista, hanno dovuto riconoscere che l’esperimento siciliano è un esperimento positivo, perché l’autonomia, così come nell’Assemblea regionale siciliana incomincia ad essere attuata con la partecipazione, si può dire, di tutto il popolo, ha dato impulso alla creazione di una moderna coscienza democratica della Regione che non vedrà più i suoi problemi deformati o attenuati dalla distanza che v’è tra Palermo e Roma, o peggio misconosciuti per la prevalenza di sordidi interessi particolari.

Il popolo siciliano, partecipando direttamente alla formazione delle sue leggi, compie enormi progressi sulla via della democrazia, dà un contenuto progressivo all’autonomia affinché corrisponda agli interessi del popolo siciliano, cioè a quelli di tutto il Paese.

Allora, poiché il problema è posto non solo nei suoi termini storici, ma in quelli politici attuali, vorreste qui assumervi la responsabilità di acuire il contrasto fra la Sicilia e il resto del Paese, contrasto già attenuatosi e in via di composizione?

Vogliate invece contribuire a rinsaldare questa unità, non meccanicamente, non esteriormente sulla base di astratti principî, ma sulla considerazione del reale interesse particolare della Regione e generale del Paese.

Il popolo siciliano non permetterà che il suo avvenire sia compromesso per il prevalere di interessi particolari. Esso vuol contribuire con tutte le sue forze a quell’opera di risanamento, di unificazione concreta del Paese che deve basarsi sul riconoscimento dei diritti storici e politici della Regione siciliana. (Applausi all’estrema sinistra).

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi, faccio queste mie brevi dichiarazioni dopo gli appassionati interventi degli onorevoli Ambrosini, Finocchiaro Aprile e Li Causi; e voi, unendo ai precedenti gli interventi di altri siciliani che certamente mi seguiranno, avrete senza dubbio l’impressione che a noi, deputati siciliani all’Assemblea Costituente, sia arrivata, con circa duemila anni di ritardo, la lettera di Paolo di Tarso ai Corinzi. Perché noi, in realtà, di questo oggi essenzialmente ci ricordiamo e ci preoccupiamo, al di fuori di ogni divisione politica: di essere siciliani, e di difendere gli interessi dell’Isola nostra.

C’è meraviglia del resto? L’onorevole Bordon è uno solo ed è valdostano; e gli è stato, per conseguenza, più facile essere coerente con se stesso.

L’altro ieri abbiamo visto in quest’Aula uno schieramento compatto di sardi, che faceva veramente onore all’Isola e agli interessi per i quali i rappresentanti del popolo sardo si battevano.

A che cosa si riduce questa questione, che non solo è di pura forma, ma che è, certamente, anche di sostanza? A questo: che se ci potevano essere delle preoccupazioni del genere di quelle sollevate dagli onorevoli Ambrosini e Finocchiaro Aprile avanti il progetto della Commissione, ormai, con gli emendamenti che sono piovuti qui in Assemblea l’un dopo l’altro come «messi di sventura» di Longwy, le preoccupazioni si rivelano più che mai fondate, perché si intacca non soltanto una questione meramente sistematica (sotto il profilo sistematico debbo riconoscere che il progetto della maggioranza della Commissione ha una plastica migliore che non il vecchio progetto), ma si intaccano nella sostanza alcuni diritti che erano ormai acquisiti alla simpatia e agli interessi del popolo siciliano. Forse erano le uniche cose che il popolo siciliano apprezzava!

Per dare un piccolo esempio, c’è un emendamento che riguarda la Corte di cassazione e che ce la nega. Ma questa della Cassazione è un’aspirazione che dura da lustri e lustri e che ha fatto mettere in sciopero le categorie forensi di tutta l’Isola. E l’emendamento porta la firma dell’onorevole Persico che anche in sede costituzionale si è battuto contro le Cassazioni regionali.

Tutto questo ci deve fare preoccupare e ci deve fare riflettere. In sostanza noi, contentandoci di quello che fu promesso e concesso e che ha rappresentato da mesi e mesi un’opera viva della nuova vita politica siciliana, rinunciamo a qualche vantaggio che il nuovo progetto offre.

Un esempio per tutti. All’articolo 23 del progetto della Commissione, a maggiore garanzia politica per la rappresentanza regionale, che il vecchio statuto non contemplava affatto, è estesa ai rappresentanti dell’Assemblea siciliana l’immunità parlamentare di cui all’articolo 68 della Costituzione.

Però gli emendamenti che attaccano la parte finanziaria, senza la quale l’autonomia diventa stolida e vana parola, ci fanno preoccupare e sono tali da fortificarci nell’impressione che bisogna appoggiare quell’emendamento, che funge da preclusione, e che sostanzialmente è identico nelle varianti di Ambrosini e di Finocchiaro Aprile.

Non si speri su eventuali dissensi fra noi, onorevoli colleghi! Dissensi nel merito o nei particolari ve ne potranno, per avventura, essere, ma la ragione superiore fa sì che noi dobbiamo superarli per salvare quanto più è possibile una garanzia preziosa per il popolo siciliano.

Non voglio avere debolezze retoriche, ma quando vi fu la guerra dei Vespri, in tutta la Sicilia, un solo piccolo paese, Sperlinga, disertò la prova: «sola Sperlinga negavit quod Siculis placuit». Ma io rassicuro i colleghi siciliani che nessuna Sperlinga è oggi presente fra noi. (Applausi).

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Avevo presentato anche io emendamenti al testo del disegno di legge. Dichiaro ora di aderire a quello dell’onorevole Ambrosini. Dirò molto brevemente, cercando di evitare qualsiasi altro riferimento, quale, a parer mio, è la situazione giuridico costituzionale in cui noi ci veniamo a trovare in questo momento. È inutile che io ricordi all’Assemblea quali sono i compiti cui essa è stata chiamata per la legge 16 marzo 1946. Li conosciamo tutti. Sono compiti ben delimitati.

Ora io sostengo che accanto a questi compiti assegnati all’Assemblea Costituente dalla legge istitutiva del 16 marzo 1946 ve ne è un altro assegnato da un’altra legge che ha la stessa origine, e che ha la stessa legittimità: la legge del 15 maggio 1946. Noi avremmo forse potuto, all’inizio della nostra vita di Assemblea, invocando la nostra sovranità, dire che non tenevamo in alcun conto le leggi che precedettero la nascita di questa Assemblea. Non l’abbiamo fatto e quando siamo stati costretti dallo stato di necessità ad infrangere una delle disposizioni della legge 16 marzo 1946 abbiamo nel tempo stesso salvato la forma e abbiamo giustificato questa infrazione con la necessità di dover infrangere in caso diverso un’altra disposizione perché ci trovavamo al bivio: o interrompere i nostri lavori costituzionali o prorogare i poteri. Noi abbiamo in quell’occasione riaffermato la forza e la legittimità della legge costitutiva 16 marzo 1946. Ora domando: quale differenza vi è dal punto di vista costituzionale fra la legge 16 marzo 1946 che assegnava a noi determinati compiti e l’altra legge 15 maggio 1946, anche essa legge dello Stato, la quale assegnava all’Assemblea Costituente l’altro compito del coordinamento dello statuto siciliano già approvato con legge dello Stato e di cui il coordinamento era appunto devoluto all’Assemblea Costituente?

Ora, ma solo ora, ci si viene a dire che l’articolo 116 della Costituzione, da noi approvato, dichiara che per la Sicilia, come per le altre Regioni, gli statuti speciali di autonomia devono essere emanati mediante legge costituzionale, e si vorrebbe con questo, confondendo la situazione della Sicilia con quella delle altre Regioni per cui sono stabilite forme particolari di autonomia, tenere in nessun conto la legge del 15 maggio 1946 e considerarla superata dalla norma costituzionale.

Mi permetto ricordare ai colleghi dell’Assemblea che la questione fu altra volta sollevata, e precisamente nella seduta del 13 giugno 1947, a proposito di un ordine del giorno che portava le firme degli onorevoli Bonomi Ivanoe, Laconi e altri, in cui a chiusura della discussione sul titolo delle Regioni si diceva appunto che per le Regioni di cui all’articolo 108 del progetto – che erano la Sicilia, la Sardegna, la Val d’Aosta, il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige – dovevano emanarsi norme costituzionali che avrebbero approvato determinati e speciali statuti. Qualcuno si oppose all’ordine del giorno chiedendo precise spiegazioni; e queste spiegazioni vennero. Si disse allora che con l’ordine del giorno non si intendeva assolutamente mettere in discussione ciò che era un fatto storico ormai acquisito, e cioè lo statuto già emanato per la Regione siciliana.

Non intendo infliggervi letture, né tanto meno la lettura di un discorso da me fatto allora e che sarebbe poco interessante, ma in quella domanda che feci in termini precisi ai presentatori di quell’ordine del giorno intendevo appunto chiarire se con quell’ordine del giorno (la dizione poi modificata fu trasportata nell’articolo 116) si intendesse parlare di nuove norme costituzionali, e se non si volesse tener conto che per la Sicilia vi era una situazione speciale creata con l’emanazione della legge 15 maggio 1946. Ricordo che l’Assemblea fu in quell’occasione un po’ intemperante, perché da taluno si voleva che queste richieste di spiegazioni fossero inutili; tanto è vero che l’onorevole Laconi, presentatore dell’ordine del giorno, ebbe a dire (ed ora gli di atto della sua coerenza): «già previsto il coordinamento con la legge costituzionale: questi sono discorsi completamente inutili».

Per quanto la interruzione non fosse stata molto cortese, fui lieto allora (e sono lieto ora rileggendola) di questa frase che interpretava il pensiero di vaste zone dell’Assemblea Costituente. Perché con questa frase s’intendeva dire che la mia preoccupazione era infondata e che non si voleva infirmare l’autorità, il valore, la legittimità dello statuto già accordato con legge dello Stato alla Sicilia. La preoccupazione svaniva di fronte all’affermazione che lo statuto siciliano era un fatto acquisito e che per tale statuto doveva esservi soltanto il coordinamento. Allora potevamo acquietarci a questa interpretazione, tanto più che un’altra interpretazione autorevolissima venne da parte del primo presentatore dell’ordine del giorno: dall’onorevole Bonomi il quale, se non è a capo di un numeroso Gruppo di deputati, è uno degli uomini più eminenti di questa Assemblea e del Paese.

In quell’occasione l’onorevole Bonomi ebbe a dire: «Mi permetta l’Assemblea brevi parole per rispondere all’interrogazione che mi ha rivolto l’onorevole Gullo Rocco. Mi ha domandato se noi, con il nostro ordine del giorno, intendevamo mettere in dubbio l’autonomia siciliana chiedendo che per lo statuto della Sicilia l’autonomia dovrà essere data attraverso una legge costituzionale. Rispondo che nessuno dei presentatori dell’ordine del giorno ha messo in dubbio che si voglia revocare l’autonomia siciliana».

L’ordine del giorno conteneva tre punti, di cui solo l’ultimo riguardava le autonomie speciali. Con i primi due si andava contro l’opinione della maggioranza dell’Assemblea (che si era manifestata per le autonomie regionali), in quanto si proponeva un sistema di semplice decentramento. E l’ordine del giorno non fu approvato a motivo soltanto dei due primi punti.

Comunque, le spiegazioni che allora furono chieste e furono date, nell’assenso di tutti coloro che parlarono, e nel silenzio di tutti gli altri, significarono proprio questo: che con le parole «speciali autonomie da adottarsi mediante norme costituzionali» non si intendesse mettere nel nulla lo statuto siciliano e la legge che questo statuto approvava, ma si intendesse (specie con la parola «adozione», che poteva ugualmente riferirsi sia agli statuti esistenti sia a quelli da farsi) non porre in dubbio quello che era un fatto compiuto e una legge dello Stato.

Io ebbi a dire allora: vi può essere il pericolo che qualcuno più tardi venga a parlare di statuto concesso con legge reale o luogotenenziale. Infatti l’altro giorno ho sentito una osservazione di questo genere.

In sostanza, quando si discusse a proposito delle Regioni, queste osservazioni non furono fatte.

Ecco perché, quando si discusse e si approvò l’articolo 116, nessuno, neppure io, sentì il bisogno di rimettere in discussione questo punto, perché si era raggiunto l’accordo nel ritenere lo statuto siciliano come un fatto compiuto, e come legge dello Stato, da doversi rispettare, la legge 15 maggio 1946, che questa Assemblea era tenuta soltanto a coordinare.

Oggi abbiamo sentito dalla parola autorevole dell’onorevole Cevolotto che la maggioranza della Commissione non ha voluto accettare il punto di vista del semplice coordinamento; ma si è aggiunto: se questo punto di vista non è accettato giuridicamente, è accettato politicamente.

Se le cose stessero così – e forse stanno così, nella buona fede e nella buona volontà, indiscutibili, della maggioranza della Commissione – noi siciliani avremmo potuto acchetarci e dire: non facciamo questione di parole o di formule; noi siamo per il coordinamento, inteso nel suo significato letterale o giuridico, cioè adeguamento, eliminazione dei punti di eventuale contrasto o dissonanza con la Costituzione della Repubblica; ma poiché anche voi, Commissione, pur non accettando questo punto di vista giuridico, lo accettate poi sostanzialmente per considerazioni di carattere politico, è inutile che da parte nostra si discuta a lungo; mettiamoci d’accordo ed approviamo questo testo, se non differisce sostanzialmente dallo statuto siciliano.

Ma vi è il pericolo additato da altri colleghi siciliani, per cui noi siamo costretti a mantenere il nostro punto di vista mentre, se le cose fossero rimaste nella sfera già delimitata dalla maggioranza della Commissione e per essa dall’onorevole Cevolotto, avremmo potuto facilmente venire ad un’intesa, perché non volevamo essere formalisti. Io avevo sostenuto in una delle riunioni di siciliani che era inutile fare questione di parole e di formule e che occorreva metterci d’accordo, chiamando noi coordinamento e la Commissione in altro modo quello che di fatto era la stessa cosa.

Ma il pericolo è stato indicato ed è presente, attraverso il nuovo testo che non devo discutere, ma che indubbiamente è quanto di meglio poteva fare la maggioranza della Commissione, dal suo punto di vista. Si aprono delle braccia, attraverso cui penetrano già insidiosi cavalli di Troia. Ed abbiamo altri emendamenti, di cui non dobbiamo parlare, perché spero che non abbiano ingresso nella discussione; perché vi è una vera e propria preclusione che sorge dalla legge, che non abbiamo mai messo in dubbio, del 15 maggio 1946, che è legge dello Stato, come è legge dello Stato la legge 16 marzo 1946.

Onorevoli colleghi, dovrebbe farvi e vi farà certamente impressione il fatto che tutti i deputati siciliani, a qualunque parte politica appartengano, vi parlano oggi lo stesso linguaggio.

La prima volta che io ebbi l’onore di parlare in quest’Assemblea fu per affermare il mio punto di vista unitario contro certe affermazioni dell’onorevole Finocchiaro Aprile, che ritenevo non rispondessero al pensiero della grande maggioranza, anzi della quasi totalità dei siciliani.

Gli indipendentisti, nei miei riguardi, raggiunsero in quell’occasione il primato delle ingiurie, ma, in questa occasione, non posso che condividere il punto di vista di tutti i siciliani, compreso l’onorevole Andrea Finocchiaro Aprile, e vi dico che in questo momento, abbandonando completamente qualunque forma di retorica volontaria e involontaria, io invoco la coerenza, la coerenza del Governo che – è perfettamente vero – ha emanato questa legge e l’ha emanata e firmata coi nomi degli uomini migliori di questa Assemblea; e questa legge è stata non soltanto promessa ma già emanata per la Sicilia, la quale l’ha accettata. Questa legge costituiva il punto d’incontro fra le aspirazioni siciliane e quanto il Governo centrale poteva fare per l’Isola. Invoco la coerenza dal Governo e la coerenza da questa Assemblea, che non ha mai messo in dubbio la portata e la legittimità della legge 15 maggio 1946 e che, in occasione delle elezioni, contro il parere di una minoranza rispettabilissima che non avrebbe voluto creare il fatto compiuto nei riguardi dell’autonomia siciliana, volle invece che si facessero le elezioni. Se questa Assemblea è coerente, come certo è, non può che continuare a fare quel che ha fatto. In omaggio alla coerenza – ripeto, abbandonando qualsiasi forma di retorica volontaria e involontaria – e, debbo dire, anche in omaggio al sacro sentimento di unione della Sicilia con l’Italia, io invoco che oggi venga considerato come vigente lo statuto siciliano. (Applausi).

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Cade di proposito in questa occasione, prima di esprimere il nostro parere sull’emendamento Ambrosini, fare una dichiarazione che possa servire all’opinione pubblica italiana.

Eravamo perfettamente convinti che il primo risultato negativo della Repubblica dovesse esser quello che si sta consumando in questi giorni in quest’Assemblea. (Rumori).

Ma vengo alla Sicilia. Lo spietato regionalismo di marca preminentemente democristiana… (Rumori al centro).

CINGOLANI. Ce ne vantiamo!

CARONIA. È titolo di onore!

COVELLI. Ve lo auguro, nell’interesse del Paese. Io esprimo il punto di vista del Partito nazionale monarchico. Ebbene, questo spietato regionalismo di marca, insisto, preminentemente democristiana, è il sintomo di quella disintegrazione dell’unità d’Italia che noi avevamo paventato già prima del 2 giugno. (Rumori).

Resti acquisita agli atti questa dichiarazione dei monarchici italiani. (Interruzione del deputato Aldisio). Io non credo, o meglio non credevo, che la potenza delle elezioni potesse portare qui dentro a questa fiera di alibi e di demagogia per cui si vedono oggi tornar di moda l’onorevole Finocchiaro Aprile e l’onorevole Li Causi e niente di meno stretti fra loro i democristiani, i comunisti, Finocchiaro Aprile e tutto il resto. (Commenti).

Dopo quanto è stato detto per gli statuti che hanno preceduto la Sicilia, oso permettermi ricordare agli onorevoli colleghi che quello che chiede la Sicilia è ben poca cosa di fronte a quello che è stato concesso nei giorni scorsi alle altre Regioni. (Commenti al centro).

Signori, quando si subordina, in uno degli statuti, la lingua italiana a quella francese (Interruzioni), quando in un altro statuto si parla di maggioranza austriaca e di minoranza italiana, ebbene, la Sicilia, che occupa il migliore posto nella migliore storia d’Italia, non credo che possa trovare giudici – non ne deve trovare – severi alle sue legittime aspirazioni. (Interruzione del deputato Fuschini).

Ho la ventura di rappresentare qui i deputati del Partito nazionale monarchico del Parlamento siciliano e credo, in questa materia, di soffrire un po’ più degli altri un tormento intuibile, anche se inespresso.

Sia chiaro, come credo è chiaro, che proprio perché percepiamo che la maggioranza della Sicilia è decisamente monarchica… (Commenti).

Voci a sinistra. No!

COVELLI. …noi non abbiamo alcun timore, essendo unitari ad oltranza, di essere vicini a tutte le aspirazioni dei siciliani, perché sappiamo benissimo che i monarchici della Sicilia, maggioranza assoluta (Commenti) ancora oggi e più di ieri, i quali pure si sono messi al passo con tutti gli altri, anzi devo dire che sono andati al di là delle richieste degli altri nell’interesse della Sicilia, sapranno più degli altri, più avanti degli altri, nel giorno in cui venisse minacciata l’unità d’Italia, riprendere il loro posto di battaglia, riprendere la battaglia del definitivo risorgimento italiano.

Perciò, ferma restando la nostra riserva nei confronti dell’opinione pubblica italiana, il Partito nazionale monarchico prende posizione netta a favore dell’emendamento Ambrosini (Commenti), non per fare, come hanno fatto gli altri, la gara per non rimanere indietro nella varia demagogia che sarà spiegata in tutti i lembi della Sicilia, ma perché ritiene prima di tutto di rimanere coerente e ligio a quello che già il nostro re aveva sancito a favore della Sicilia, quando firmò un decreto che concedeva alla Sicilia l’autonomia nei termini dello statuto così come è richiesto qui oggi. I monarchici sono poi convinti che la Sicilia merita più di tutte le Regioni cui sono stati, in questi giorni, concessi statuti speciali: e ciò in considerazione del maltrattamento che ha avuto da molti degli uomini che oggi, qui, fanno i ciceroni sprecati delle varie amarezze e dei tormenti siciliani; e meriti soprattutto un trattamento di favore per quello che è l’apporto di sacrificio e di eroismo che la Sicilia ha dato in ogni tempo all’Italia. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.

La seduta termina alle 13.30.