Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 30 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXXII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 30 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Colitto

Gasparotto

Di Giovanni, Presidente della Commissione

Lucifero

Giannini

Tonello

Macrelli

Nitti

Parri

Boldrini

Disegno di legge costituzionale (Discussione):

Statuto speciale per la Valle d’Aosta (64)

Lussu, Relatore

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

La prima è contro il deputato Giannini, per il reato di cui all’articolo 595, comma terzo, del Codice penale (diffamazione a mezzo della stampa). (Documento I, n. 21).

La Commissione all’unanimità ha concluso per la concessione dell’autorizzazione a procedere.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevoli colleghi, nella lettera che il Procuratore della Repubblica ha rimesso al Ministro di giustizia si parla di «articoli» e di «note», che sarebbero stati redatti dall’onorevole Giannini e che conterrebbero affermazioni lesive dell’onore e della reputazione dell’onorevole Parri.

Nella relazione, redatta dall’onorevole Ciampitti, non si parla più di «note», ma solo di articoli. Evidentemente, il relatore ha creduto di poter unire insieme articoli e note, considerandoli alla stessa stregua.

Io credo che la Commissione ed il suo relatore non avrebbero dovuto così comportarsi, e il relatore, per la valutazione soprattutto dell’elemento subiettivo del reato, non avrebbe dovuto unire insieme e valutare nella stessa maniera articoli e note. Perché sta in fatto che l’onorevole Giannini scrisse le «note» e non gli «articoli». I fatti dei quali l’onorevole Parri si lamenta erano stati già da altri giornali pubblicati. Nei numeri del Buonsenso, che sono stati allegati alla querela, non si fa che commentare quelle che erano notizie già riportate da altri giornali.

E allora, se noi dobbiamo valutare, o anche soltanto delibare, quelli che sono gli elementi costitutivi del reato, è evidente che non si può parlare di reato nei confronti di chi si è limitato a scrivere una nota di commento a quello che in altri giornali già era stato da più giorni pubblicato.

Tutto ciò acquista anche maggiore importanza, quando si consideri che il commento è di carattere politico e riguarda una persona, che riveste una carica politica.

Per queste ragioni a me sembra che l’Assemblea non possa accogliere la richiesta, che è stata formulata dalla Commissione, di concessione dell’autorizzazione a procedere.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Onorevoli colleghi, nessuno più di me può recare testimonianza dell’opera generosa, infaticata, rischiosa di Ferruccio Parri, sempre conseguente al suo pensiero e alla sua dirittura di vita, perché egli restò in campo armato contro il fascismo ben lungi, ben prima della guerra, e, a guerra dichiarata, nella cospirazione lombarda perseguì quest’opera, e durante la dominazione tedesca organizzò le prime file di coloro che intendevano riabilitare l’Italia e riscattare la grande vergogna.

Nessuno più di me, che ebbi le sue confidenze (quando coprivo l’ufficio di Ministro dell’aeronautica) del vasto programma di solidarietà nazionale che egli intendeva attuare e attuò a favore delle vittime della guerra, nessuno più di me può giudicare come la seconda accusa lanciata dall’onorevole Giannini sia priva di fondamento.

Ma si tratta – a mio avviso – di battute polemiche, e io vorrei augurarmi che, anziché la polemica fosse continuata nel campo giudiziario, fosse risolta qui, oggi stesso, attraverso una franca e leale dichiarazione da parte di colui che dovrebbe essere rinviato a giudizio.

Vorrei fare appello al riconosciuto coraggio, alla franchezza, alla onestà dell’onorevole Giannini, perché accolga l’attestazione che è contenuta nella relazione della nostra Commissione parlamentare e accettando il mio invito, seduta stante, chiuda l’increscioso episodio.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI, Presidente della Commissione. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io sento il dovete di dare ragione all’Assemblea delle considerazioni che hanno condotto la Commissione ad esprimere con unanimità di consensi una proposta favorevole all’autorizzazione a procedere contro l’onorevole Giannini.

I fatti sono di una estrema semplicità. In una campagna giornalistica sul Buonsenso apparvero degli articoli indubbiamente aggressivi della personalità morale dell’onorevole Parri. Si ricondusse la paternità degli articoli all’onorevole Giannini in quanto apparivano tutti siglati con la «G.», secondo l’abitudine dell’onorevole Giannini.

L’onorevole Parri presentò querela accordando ampia facoltà di prova. L’elemento materiale si concretava in due addebiti. Nell’uno si diceva che l’onorevole Parri durante la lotta partigiana se n’era rimasto comodamente appartato a giocare il «tressette»; nell’altro si asseriva che l’onorevole Parri, in unione con Longo e Cadorna, aveva realizzato acquisti di vaste tenute a scopo personale, sia pure nel nome di una cooperativa di partigiani, ma invertendo la destinazione delle somme che dovevano servire ad alimentare la lotta partigiana. Nessuno che fosse curante della propria reputazione, e geloso custode della propria personalità morale, avrebbe potuto rimanere silenzioso di fronte a queste gravissime accuse. Molto meno avrebbe potuto farlo l’onorevole Parri, alta figura di patriota e di parlamentare, circondato da generale stima e che era stato l’animatore strenuo ed infaticabile della lotta partigiana.

La Commissione ha considerato che, se è apprezzabile, ed è lodevole l’opera della pubblica stampa quando tende a moralizzare il costume politico, quando tende a rilevare e condannare gli eccessi, gli abusi, le intemperanze e le malversazioni nelle pubbliche amministrazioni; non altrettanto è apprezzabile quando tende ad aggredire la personalità morale di un galantuomo ed a ferire il suo patrimonio morale, il più sacro, il più geloso da custodire, da chi ha rispetto della propria onestà.

Purtroppo, oggi l’onda delle basse cupidigie in non pochi campi dilaga, come in un rigurgito di cloaca, ed invade le piazze ed i trivi; ed è altamente apprezzabile e lodevole l’opera del giornalismo, che tende a correggere il malcostume politico ed a ripristinare la moralità pubblica offesa, e possono anche essere considerati, sotto questo aspetto e per questa finalità, giustificati gli eccessi delle campagne giornalistiche; ma nella specie è sembrato alla Commissione che si sia varcato ogni limite tollerabile e che l’elemento morale dell’aggressione denigratoria affiori da ogni passo degli articoli incriminati.

In queste condizioni, la Commissione ha ritenuto di non potere arrestare il corso dell’azione penale ed impedire la celebrazione concreta ed ampia del dibattito giudiziario. In quella sede l’onorevole Giannini potrà dimostrare che sia stato assente dal suo pensiero l’animus diffamandi; potrà anche dimostrare, se ritiene possibile e conveniente, la realtà e la verità dei fatti attribuiti, raccogliendo l’invito che gli è stato porto dall’onorevole Parri; ma tutto questo non poteva rientrare nei limiti e nel campo riserbati alla Commissione; la quale, pertanto, ha dovuto concludere per la concessione della autorizzazione a procedere. Devo anche avvertire gli onorevoli colleghi che la Commissione, rendendosi conto delle due personalità in contrasto, notevoli figure di parlamentari entrambe, circondate di stima e di prestigio, ha tentato una dignitosa, onorevole per entrambi, composizione amichevole della vertenza; ma si è imbattuta in resistenze insormontabili. Mi auguro che l’invito rivolto qui oggi dall’onorevole Gasparotto all’onorevole Giannini possa sortire più felice effetto; ma a noi non restava altro compito che presentarvi la relazione con la conclusione favorevole per l’autorizzazione a procedere, e questo abbiamo fatto, nella coscienza di aver adempiuto serenamente ed obiettivamente al nostro dovere.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, non intendo entrare nel merito della questione, ma vorrei sottoporre all’Assemblea una osservazione, direi, di natura politica e di natura umana. L’osservazione di natura politica è questa: purtroppo, nel periodo in cui finalmente la stampa ha potuto riprendere una libertà di espressione, questa libertà di espressione è andata molto spesso al di là della libertà stessa e disgraziatamente anche adesso, molto spesso, va al di là di questa libertà e si trasforma in arbitrio, sovente nel più grave degli arbitrii.

La polemica giornalistica e la polemica politica non hanno tenuto e non tengono quella compostezza che dovevano, soprattutto in un periodo come quello passato  in cui le lotte sono state più acerbe, in cui l’abitudine della lotta democratica non aveva cominciato a rifarsi negli uomini che adoperavano la penna e l’arma della stampa.

Non entro, quindi, nel merito, ma faccio presente semplicemente che non vedo la convenienza politica di continuare a prolungare queste polemiche, a rifarle vive, a ricondurle sul terreno della pubblica discussione, quando il tempo le ha ormai smorzate e proprio alla vigilia del periodo elettorale. Non credo che questo debba avvenire, soprattutto fra persone che meritano un certo rispetto per quello che hanno dato alla Patria, per l’opera loro e per il sacrificio ed i lutti che possono essere stati nelle loro case.

Ritengo, quindi, che i mezzi di difesa per le persone siano nelle persone stesse; e che sarebbe sommamente inopportuno in questa sede riaprire la polemica, sia pure in campo giudiziario. Mi associo, pertanto, alle parole dell’onorevole Gasparotto e dell’onorevole Di Giovanni.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Non avrei mai immaginato di dover difendere me stesso in questa discussione, tanto che mi tenevo pudicamente fuori dell’Aula. Mi è stato riferito che il collega onorevole Gasparotto ha detto delle simpatiche parole, ed ha fatto un invito; ed io ho pensato di entrare per chiarire quello che è adesso e quello che è stato il mio atteggiamento.

Nella mia campagna giornalistica non è stato mai detto (e lo dimostreremo in competente sede) che gli acquisti relativi alle bonifiche venete siano stati fatti a profitto di coloro che hanno operato questi acquisti. Ciò è stato molto chiaramente detto. La prova morale indiretta di questo fatto certo sta in questo: che i cosiddetti accusati erano tre, Parri, Cadorna, Longo. Uno solo di questi tre diffamati ha sentito il bisogno di querelarsi.

MOSCATELLI. Certe cose non si prendono sul serio.

GIANNINI. C’è poi l’atteggiamento politico sull’opera dell’onorevole Parri.

Su tale apprezzamento non posso fare nessuna dichiarazione mentre si discute l’autorizzazione a procedere contro di me. Per cui, fatta questa dichiarazione che riguarda – diciamo – la parte degli acquisti, astenendomi dal fare qualsiasi dichiarazione sulla serietà o meno che l’onorevole Moscatelli mi attribuisce, devo concludere chiedendo che sia concessa l’autorizzazione a procedere. Desidero che il Presidente mi consenta di lasciare l’Aula, perché non mi sembra giusto che io sia presente in questa discussione nella quale si deve parlare contro di me o anche, da parte di amici, a favore di me. Non voglio dar fastidio agli amici, né dare preoccupazioni agli avversari.

Ringrazio i colleghi che si sono preoccupati così benevolmente della mia posizione giudiziaria, giornalistica e politica e prego il Presidente di autorizzarmi a lasciare l’Aula. (Applausi a destra).

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Se nella mia anima ci fosse un lontano dubbio sulla necessità per Ferruccio Parri di difendere il proprio onore davanti ai giudici, sarei il primo a dire: date con tranquillo spirito questa autorizzazione a procedere. Gli è che io ho la profonda convinzione, la quale è convinzione di tutto il nostro Paese, di tutti coloro che hanno conosciuto e conoscono l’opera nobile ed alta di Ferrucci Parri, che egli non ha proprio bisogno di andare davanti ai giudici a dimostrare la sua purezza ed integrità di cittadino.

Come pure, credo che l’imputato, non abbia bisogno, neppur esso, di dimostrare l’impulsività del suo temperamento e la facilità con la quale, nella pratica giornalistica, egli si lascia sfuggire frasi non confacenti alla dignità del giornalismo.

Si tratta di una polemica squisitamente politica, dove non ci sono scandali da mettere alla luce del sole.

Ricorderete che l’Assemblea, quando si fece l’inchiesta, mise in luce e fuori d’ogni sospetto la persona di Ferruccio Parri.

Ricorderete come ci troviamo di fronte a due uomini, i quali, per forza, data la differente, opposta concezione politica e la funzione che essi compivano politicamente nel Paese, sono stati nemici.

Oggi, il tempo è passato ed abbiamo anche sentito dall’onorevole Giannini non dico frasi di scusa, ma quasi di rimpianto, come dire: è stata la passione politica.

Ora, in politica io sono molto facile ad assolvere gli uomini, onorevoli colleghi, perché possiamo dire che la passione politica trascina talvolta anche gli individui onesti a passare i limiti della convenienza e della giustizia.

Perciò, giacché non ci sono scandali da nascondere, giacché tutto è in piena luce, penso che noi dovremmo indulgere e coprire, alla vigilia delle elezioni, con una specie di assoluzione, diciamo così, dal lato giudiziario, la vertenza fra l’onorevole Giannini e l’onorevole Parri.

Farà onore soprattutto a Ferruccio Parri, se egli, che altra volta si contentò del giurì della Camera – e quel giurì fu tale, che mise in luce la sua integrità – sarà onore per lui accettare questa recessione di querela.

L’onorevole Giannini non potrà più sulla sua stampa dire che egli è vittima della persecuzione politica. Se egli ha esagerato, se egli ha mentito, lo sentirà dal giudizio del pubblico italiano, di tutti i cittadini. (Commenti).

Lasciatemi dire! Domani potrei difendere ciascuno di voi per la stessa ragione. Non è il caso di mostrare sdegno sugli errori degli altri, quando anche noi possiamo cadere negli stessi errori. (Approvazioni).

E se io non sono favorevole alla concessione della autorizzazione a procedere, gli è perché so che in tali battaglie si può facilmente errare, tutti, anche certi uomini «caffè-latte» e certe anime che sembrano timide, se toccate nella parte sensibile, vedrete voi come reagiscono. Io non ho bisogno di giustificare e non giustifico certamente l’onorevole Giannini; sono stato suo avversario fin dal principio, ma nello stesso tempo dico: tenete conto dell’ambiente infuocato in cui viviamo da oltre un anno, tenete conto di quante accuse e di quante contumelie sono state pronunciate qui dentro fra colleghi. Eppure, se in questo momento interroghiamo il nostro cuore, vediamo che delle nostre rampogne quasi più nulla è rimasto perché gli uomini, a meno che non siano canaglie, dimenticano e perdonano. Ebbene, esprimo l’augurio che per non portare una polemica davanti agli elettori italiani, l’Assemblea, non per assolvere l’onorevole Giannini, ma per un atto di riconoscente deferenza verso il collega Parri (che non ha bisogno di alcun giudizio che metta in luce il suo valore) non conceda l’autorizzazione a procedere. (Applausi a destra).

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Onorevoli colleghi, rinuncio alla parola, perché il collega Parri mi ha pregato in questo senso, però desidero che egli sappia che in quest’ora, intorno a lui, non sono soltanto gli amici del suo Gruppo e della sua fede politica, ma tutti gli italiani e particolarmente quelli che hanno offerto la vita per la Patria e per la libertà. (Applausi).

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io debbo associarmi alle parole dell’onorevole Tonello. Non credo che l’onorevole Parri abbia bisogno di difesa. L’unica cosa che poteva dar luogo a discutere di questa domanda di autorizzazione, è stata chiarita dalle dichiarazioni dell’onorevole Giannini. La vita dell’amico Parri, per quanto lo riguardi come persona, non è materia di discussione. Non si tratta, come qualcuno può mostrare di credere, di una contesa fra un fascista e un antifascista. Ciò è ridicolo. L’onorevole Parri sa che è cosa ridicola. L’onorevole Giannini può fieramente osservare che egli non è stato imboscato, non nemico, non fascista, ma ha perduto il suo unico figlio in guerra. Ora, fra uomini che hanno servito la Patria per vie diverse, come l’onorevole Parri e l’onorevole Giannini, ma per la stessa fede, mi offende l’idea che si debba arrivare a un contrasto il quale non farà che eccitare le incomposte passioni. Sono sicuro del consenso dell’onorevole Giannini, perché egli non ha alcun rancore, come i giornalisti che spesso, ahimè, si lasciano andare a parole che sorpassano le intenzioni. Non vi è nessuna offesa che non possa essere immediatamente dimenticata. Si tratta di controversie politiche che non bisogna prolungare inutilmente. Ogni polemica deve finire in quest’ora in cui premono così gravi necessità. Invoco l’amico Parri perché metta fine a tutto ciò, in modo che questa polemica inutile possa aver fine.

PARRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARRI. Mentre ringrazio delle espressioni e manifestazioni cortesi di stima, sono dolente di non poter accedere all’invito che mi viene rivolto. (Applausi a sinistra). Ne sono dolentissimo poiché questo invito mi viene rivolto dall’onorevole Nitti, ma né egli né gli onorevoli colleghi conoscono i termini di questa vertenza che, a mio parere, non sono stati esattamente posti neanche dall’onorevole Colitto.

Io non intendo qui affliggere la Camera con questo fatto che considero personale, ma non si tratta di una questione politica, bensì di una questione personale, la quale, pure dopo le considerazioni dell’onorevole Giannini, rimane aperta, apertissima. Ed in queste condizioni, io non mi sento, non posso rinunciare a valermi dell’azione giudiziaria. Chiedo semplicemente alla Camera che approvi la relazione della Commissione delle autorizzazioni a procedere.

BOLDRINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOLDRINI. La querela che l’onorevole Parri ha sporto contro l’onorevole Giannini, non è più la querela dell’onorevole Parri, ma è la querela dei partigiani italiani, perché è vero che si tratta di controversie politiche, ma è vero anche che si è approfittato della controversia politica per porre in non cale il sangue sparso dai partigiani italiani. Una volta tanto si dica nel Paese di chi è la responsabilità dell’insulto. (Applausi a sinistra).

Giorni fa avete votato una legge che stabiliva che il vilipendio contro la resistenza era proibito. Ebbene, oggi avete il dovere sacrosanto di mettere in esecuzione quella legge. L’onorevole Giannini non ha insultato soltanto l’onorevole Parri, ma anche, Longo e Cadorna che sono stati i promotori del Comitato insurrezionale dell’Italia, del movimento insurrezionale che ha portato il 25 aprile.

Per questo chiedo che l’Assemblea dia parere favorevole per procedere contro l’onorevole Giannini. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Pongo in votazione le conclusioni della Commissione.

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato Tonetti per il reato di cui all’articolo 342 del Codice penale (offesa al prestigio di un Corpo amministrativo). (Doc. I, n. 55).

La Commissione ha concluso per la non concessione della richiesta autorizzazione.

Poiché nessuno chiede di parlare, pongo in votazione le conclusioni della Commissione.

(Sono approvate).

Discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Valle d’Aosta. (64).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Valle d’Aosta. (64).

Ha facoltà di parlare il Relatore, onorevole Lussu.

LUSSU, Relatore. Onorevoli colleghi, data l’assenza del collega onorevole Villabruna, anche egli Relatore, adempio al compito precedentemente assuntomi nella Commissione: di fare la relazione su questo disegno di legge riguardante lo statuto speciale per la Valle d’Aosta; e lo faccio in seguito ad una serie di ragionamenti che mi hanno indotto a rinunciare alla mia determinazione di questi ultimi giorni, di disinteressarmi cioè di questi problemi autonomistici, e di lasciare gli statuti delle autonomie speciali in balìa degli iconoclasti, per un certo gusto giovanile di ricominciare daccapo.

Comunque io dico, come autonomista, fra i primi che hanno portato questa aspirazione e questa coscienza nelle masse popolari, dico, con gli autonomisti, che questa grande riforma che noi concepiamo fondamentale, dopo quella della Repubblica, sarà da noi difesa come una prima conquista democratica, e con la stessa lealtà, aggiungerei con lo stesso fanatismo, con cui siamo decisi a difendere la Repubblica. Io mi esprimo – e chiedo scusa al collega onorevole Villabruna assente e a tutti gli altri colleghi della Commissione – io mi esprimo, pur riferendo sulla questione specifica il pensiero dei colleghi della Commissione stessa, evidentemente in termini personali, poiché questi ultimi giorni sono stati, in certo senso, una sorpresa per me.

È evidente che, dopo le scaramucce e le battaglie e le alterne vicende della mischia, diventata alla fine confusamente furiosa, sulla legge per l’elezione del Senato, l’Assemblea, o piuttosto gli ultimi resti dell’Assemblea, si è gettata su questi modesti statuti speciali già da tempo decisi, con irritazione e, pensando all’onorevole Nitti, si può aggiungere con rancore aggressivo.

Egli, per gli scacchi subiti in questi ultimi giorni nella discussione sulla legge elettorale per il Senato – e io dico contro giustizia – si è scagliato in termini sempre più aspri contro queste riforme. Ma un’ingiustizia tira l’altra. Ed io pregherei l’onorevole Nitti, e, poiché vedo che egli non è ora qui presente, pregherei i suoi amici di volerlo invitare, se mai egli dovesse rientrare durante questa discussione, al ventesimo o al trentesimo articolo, a non prendere la parola come ha fatto per lo statuto speciale per la Sardegna, e a non spezzare ancora l’ultima sua lancia a difesa di quella dalla sua parte conclamata unità dello Stato, unità della Nazione: parole retoriche le quali, pronunziate in periodo preelettorale, ci offendono, perché nessuno in quest’Aula ha il diritto – neppure l’onorevole Presidente Nitti, che è maestro a tutti noi – di ricordarci la fedeltà alla Nazione e la realtà dell’unità dello Stato. (Approvazioni).

Il compito della Commissione, d’altronde, era quello di tradurre la volontà dell’Assemblea. La Commissione non si è autoeletta, la Commissione è stata eletta. È stata nominata dall’Assemblea, in rappresentanza dell’Assemblea, per presentare non già statuti generici, ma statuti particolari, i quattro statuti particolari cioè che in parte già esistevano e in parte ancora non esistevano o erano in embrione.

Facendo ciò, questa Assemblea non ha, essa stessa, espresso improvvisamente una sua volontà, ma ha attuato quello che è consacrato nell’articolo 116 della Carta costituzionale della Repubblica. E pertanto, fra la posizione di questa Commissione che costituisce la rappresentanza dell’Assemblea, o comunque dell’immensa maggioranza dell’Assemblea, e l’opposizione dell’onorevole Presidente Nitti e di quanti la pensano come lui, c’è un pieno contrasto, ed io penso che sarebbe veramente tempo che ci venissero risparmiati altri discorsi. Veramente pregherei gli amici dell’onorevole Nitti di dirgli, se rientra, che non parli come l’ultima volta. Io, se non proprio a nome della Commissione, a nome mio personale, dico che i suoi discorsi su questa materia li do per conosciuti, per arciconosciuti e letti e, direi, per imparati a memoria.

Desidererei dire qualche cosa anche ai membri del Governo e in particolare al Presidente del Consiglio. Vi sono degli impegni nella vita politica della Nazione che un Governo prende, assumendosi tutta la sua responsabilità; degli impegni che per il carattere eccezionale che essi acquistano, non rimangono puri e semplici impegni di Governo. Essi diventano permanenti impegni dello Stato; essi toccano la dignità, l’autorità e l’onore dello Stato. E un Governo, succedendo ad un altro Governo, di differente colore politico, rispetta, è obbligato a rispettare, gli impegni dei precedenti. È la continuità della serietà e dell’autorità dello Stato.

L’impegno dal Governo assunto di fronte alla Valle d’Aosta nel 1945 è noto – è l’impegno del primo Governo dei Comitati di liberazione nazionale, che d’altronde si riallacciava, così come tutta la questione autonomistica della Valle d’Aosta si riallaccia, agli impegni del Comitato di liberazione nazionale della Valle d’Aosta, agli impegni del Comitato di liberazione nazionale del Piemonte, agli impegni del Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia, sede centrale a Milano – come sono noti tutti gli impegni assunti durante la lotta della resistenza e della liberazione.

La piccola Valle d’Aosta – e non aggiungo fiori letterari per definirla – oltre che della coscienza dell’universalità dei suoi abitanti, si sente forte per questi impegni.

E pregherei in modo particolare l’onorevole De Gasperi, Presidente del Consiglio, anche nella sua qualità di leader della Democrazia cristiana, di intervenire tempestivamente in senso fiducioso e benevolo, come ieri egli ha compiuto il dovere di intervenire per lo statuto del Trentino-Alto Adige; e che cerchi tempestivamente di frenare nella sua tumultuosa e sempre impaziente fantasia costituzionalista il collega onorevole professore Mortati. (Si ride).

Lo statuto della Valle d’Aosta, in sostanza, non presenta alcuna novità degna di serio rilievo. Esso si riallaccia ai decreti legislativi luogotenenziali e ai decreti legislativi del 1945 e 1946.

La Valle d’Aosta, per questi decreti, ha già in atto una sua struttura organizzativa autonoma, non completa, ma efficiente, con un’esperienza di alcuni anni. Noi abbiamo sentito il bisogno di prendere contatti con questa viva esperienza e abbiamo avuto l’onore di avere in mezzo alla nostra Commissione il rappresentante politico eletto nella Valle d’Aosta, l’onorevole collega Bordon. Io credo di poter dire a nome di tutta la Commissione che la Valle d’Aosta non poteva mandare qui un più nobile e degno rappresentante. Volontario nell’altra guerra del 1915, iscritto ad un partito socialista, internazionalista, facente parte del grande movimento dei partigiani della Valle d’Aosta e del Piemonte durante la guerra di resistenza e di liberazione, egli era il più adatto a portare in mezzo ai rappresentanti dell’Assemblea, nella Commissione la voce particolare della sua Valle, senza dissociarla dalla visione degli interessi nazionali e più vasti, che egli ha sempre presentato dinanzi a noi e visti come problemi inscindibili di vita sociale moderna e democratica.

E abbiamo anche potuto sentire (non naturalmente con la possibilità che noi tutti avremmo desiderato, perché il tempo stringeva) i rappresentanti dell’attuale organizzazione amministrativa provvisoria della Valle con il loro Presidente. Essi conoscono tutto quanto si è realizzato in questi anni e sono i più direttamente indicati ad esprimere con autorità proposte, correzioni, modifiche.

In coscienza, noi siamo arrivati a questa nostra fatica, che può certamente essere suscettibile di critica, ma che rappresenta da ogni punto di vista, locale, nazionale, generale, un risultato soddisfacente per tutti.

Dimodoché, onorevoli colleghi, che con una certa asprezza e perfino – in taluni – con una certa quale strana irrisione, ignorando la profonda coscienza che anima queste aspirazioni, criticate i disegni di statuti speciali per queste Regioni, io credo che si debba arrivare ad una buona conclusione: approvazione nella sua sostanza di questa autonomia, di modo che si chiuda e non si riapra una pagina.

Dirò brevemente su questo statuto che abbiamo l’onore di presentarvi, e mi fermerò solo sui punti essenziali, che meritano un rilievo o che comunque obbligano noi a sottolinearli fin da adesso.

Sul Titolo I – Costituzione della Regione – niente di notevole da dire. Abbiamo solo creduto opportuno non accettare le richieste della Valle sullo stendardo da mettere a fianco della bandiera nazionale. Naturalmente è un diritto. In pratica avviene già, come avviene un po’dovunque. Ma siccome questo non l’abbiamo contemplato come un diritto in nessuno degli articoli che riguardano gli statuti particolari, abbiamo creduto opportuno ometterlo anche per la Valle d’Aosta. La Valle può di suo pieno diritto presentare il suo emblema, esporlo e, se vuole, in forma più solenne, farlo approvare – come la Costituzione ammette all’articolo 123 – con legge dello Stato.

Sul Titolo II – Funzioni della Regione– quasi nulla da osservare, all’infuori di questo punto, che rilevo solo per i colleghi dell’estrema sinistra e per quanti vedono con preoccupazione gli sviluppi sociali della nostra democrazia. Qui, nel preambolo dell’articolo 2, non si parla né di riforme sociali e industriali, né di riforme agrarie e sociali, come si parla nello statuto per la Sardegna, nello statuto per il Trentino-Alto Adige e nello statuto per la Sicilia. Negli statuti per la Sardegna, e il Trentino-Alto Adige, è contenuto questo inciso: «col rispetto… delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica», e nello statuto siciliano questo inciso: «senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali della Repubblica».

Abbiamo taciuto, perché siccome il problema agrario in un paese montagnoso a piccolissime proprietà coltivatrici non è sentito come un problema fondamentale, metterlo qui avrebbe assunto una espressione ampollosa e quasi retorica. Però la Commissione tutta è d’accordo nel ritenere che ogni norma che riguarda la riforma sociale, agraria o industriale debba rientrare, come rientra, nei principî dell’ordinamento giuridico dello Stato indicati nel preambolo stesso della Costituzione. D’altronde nessuna Regione, particolare o no, può sottrarsi a quest’obbligo, che è consacrato nei principî fondamentali della Carta costituzionale.

Non c’è altro da dire, all’infuori che segnalare alla soddisfazione dell’onorevole Ministro della pubblica istruzione che le antichità e le belle arti sono qui collocate per l’articolo 3, fra le materie per le quali la Regione ha potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica.

Sul Titolo III c’è qualche cosa da osservare. Qui tocchiamo subito il problema economico fondamentale della Valle d’Aosta, il problema delle acque. Prima di questa data il regime delle acque nella Valle d’Aosta era regolato col decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1915, n. 546, per cui le acque erano regolate in questi termini. Le acque pubbliche (escluse quelle già date in concessione che vedremo subito) date in concessione alla Regione per 99 anni, rinnovabili. Rimanevano le acque ad uso potabile e di irrigazione incluse in queste acque pubbliche. Queste appartenevano al patrimonio dello Stato. Col decreto legislativo esse potevano esser date in concessione per 99 anni. La Commissione ha ritenuto di modificare questa sistemazione e di attribuire queste acque ad uso di irrigazione e potabili al patrimonio della Regione. La Commissione ha creduto di compiere così un atto di giustizia necessaria. Queste opere, che riguardano le acque ad uso di irrigazione e potabili, sono il risultato degli sforzi pazienti di molte centinaia d’anni che la popolazione montana della Valle d’Aosta ha compiuto senza interruzioni. È suo lavoro, suo esclusivo lavoro. E a ciò si aggiunge che, verso la fine del XVIII secolo, tutti i comuni, consorziati o no, hanno riscattato dai signori locali il diritto esclusivo di queste acque, pagandole con una cifra che oggi ammonterebbe a parecchi miliardi.

La Commissione ha ritenuto giusto attribuire queste acque per sempre al patrimonio della Regione. E in fondo questa concessione di 99 anni rinnovabile, senza alcun canone alla Regione, significava la stessa cosa. La Commissione ha creduto di potersi assumere la responsabilità di questa modificazione; e la raccomanda all’Assemblea.

Rimangono le altre acque pubbliche: il 30 per cento di quelle esistenti, che sono ancora patrimonio dello Stato. La Commissione aggiudica senz’altro queste acque al patrimonio regionale. È una piccola, esigua rimanenza delle maggiori acque sfruttate; ed è troppo giusto che la Valle possa in pieno e sovrano diritto (rispettando naturalmente tutte quelle che sono le norme legislative dello Stato in materia di acque) amministrarle a proprio profitto e con la sua iniziativa.

Noi riteniamo che anche questa sia una giusta decisione, e preghiamo l’Assemblea di volerla rispettare.

Vi sono le acque escluse (e sono le acque date in concessione prima del 7 settembre 1945). Queste acque sono in sfruttamento, sono cioè quelle che costituiscono oggi i maggiori impianti idroelettrici e quelle che, essendo state date in concessione, non sono ancora state sfruttate. Per quelle che non sono state sfruttate e la cui concessione può scadere da un momento all’altro, la Commissione ha creduto di aggiudicarle al patrimonio della Regione.

È troppo giusto che queste acque (che una serie di uomini di affari è riuscita ad avere in concessione per poi rivenderle e che per mancanza di operazioni vantaggiose, sono ancora senza sfruttamento) passino alla Regione. Abbiamo dato al Presidente della Giunta regionale il diritto d’intervenire con gli atti necessari per provocare la decadenza di queste concessioni, che possono dirsi senz’altro affaristiche.

Rimane il problema delle acque concesse che sono in attuale sfruttamento. Qui si tratta dei maggiori centri idroelettrici. Con la precedente disposizione del decreto legislativo luogotenenziale del 1945, che ho citato, lo Stato ridiventava il titolare, appena le concessioni fossero scadute. Noi abbiamo creduto di modificare la disposizione in questi termini: «alla cessazione dell’uso (articolo 7, ultimo comma) o della concessane di tali acque, la Regione subentra nella concessione, salvo che lo Stato non intenda farne oggetto di un piano d’interesse nazionale».

Quindi il diritto dello Stato è sempre salvo in qualsiasi momento; può intervenire e far piegare il regime locale delle acque a quello che può essere un piano d’interesse generale. Ma, salvo questo diritto, a noi è apparso legittimo che la valle succedesse nei diritti patrimoniali. E anche questo è un punto delicato, che la Commissione raccomanda all’attenzione ed alla simpatia dell’Assemblea. Le altre questioni di materia non vale la pena che siano messe in rilievo, perché non hanno nessuna importanza notevole di fronte alla Carta costituzionale; sono dettagli secondari, su cui, se mai, darò chiarimenti, se richiesti.

Passiamo al regime delle miniere: articolo 11.

L’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 7 settembre 1945, diceva:

«Su domanda della Valle saranno a questa date in concessione gratuita per 99 anni le miniere esistenti nel territorio della Valle. Tale concessione potrà essere rinnovata. Dalla concessione sono escluse le miniere a sfruttamento, ecc.».

Noi abbiamo rispettato la stessa esclusione, cioè di quelle miniere, per le quali vi è tutta una serie di azioni industriali; la Cogne, per esempio. Ma, per le altre miniere abbiamo creduto opportuno inserire all’articolo 11 la stessa norma del decreto legislativo luogotenenziale: «Le miniere esistenti nella Regione sono date in concessione gratuita alla Regione per 99 anni. La concessione potrà essere rinnovata».

Sicché, il titolare del patrimonio minerario demaniale rimane sempre lo Stato, il quale può dare la concessione.

Anche su questa questione delle miniere vi sono dettagli, che non hanno alcun rilievo d’interesse; non vale la pena soffermarcisi.

Titolo III. Gli articoli 12 e 13 riguardano le finanze.

Abbiamo avuto una serie di conversazioni con i rappresentanti della Valle ed abbiamo lungamente discusso sull’ordinamento finanziario da attribuire a questa.

Ci siamo trovati di fronte a questi progetti: uno presentato dagli uffici del Ministero delle finanze; uno presentato dal Consiglio della Valle ed il terzo elaborato dalla nostra Commissione.

Siamo arrivati alla conclusione che nessuno di questi tre progetti poteva essere efficiente; comunque nessuno ha riscosso l’approvazione unanime della Commissione e degli interessati.

Il progetto del Ministero delle finanze era tale, per cui appariva anche benevolo rispetto alla Valle; ma la Commissione si è trovata concorde nel ritenere che, se quel progetto fosse stato adottato ed inserito nello statuto, il vero presidente della Valle sarebbe stato, non il presidente eletto dalla Giunta regionale, ma un capo Divisione del Ministero delle finanze.

Alla Commissione è parso che questo progetto non rispettasse, in alcun modo, le esigenze autonomistiche, che devono costituire l’essenza di questo statuto.

Il progetto presentato dalla Giunta della Valle non è stato dalla Commissione accolto favorevolmente. Devo dire che, tranne una difesa fatta, per onor di firma, dal collega onorevole Bordon, la Commissione ad unanimità non l’ha potuta accettare.

Il progetto elaborato dalla Commissione si ispirava ai principî esposti l’altro giorno in sede di discussione dello statuto per la Sardegna.

Tirate le somme, io credo che la Commissione si debba compiacere di essere arrivata a questo risultato: di trasferire, cioè, negli articoli 12 e 13 dello statuto gli articoli del decreto legislativo luogotenenziale 7 settembre 1945; li abbiamo ricopiati integralmente. Certo questo è un sistema non organico, è la negazione di un sistema di organizzazione finanziaria in regime di autonomia, anzi è l’assoluta contraddittorietà delle esigenze autonomistiche, ma non vi era altra soluzione. Questo modus vivendi che noi proponiamo è quello che attualmente già esiste, cioè sin dal 1945, ed attraverso il rispetto di queste norme del decreto legislativo luogotenenziale si è iniziata una ricostruzione di vita autonoma: contenti quelli della Valle, e credo, ancora di più contento il Ministero delle finanze. Ma non può essere che provvisorio. Cioè rinviamo al futuro Consiglio elettivo, alla futura Giunta, il problema di studiare a fondo, ricchi dell’esperienza e della pratica di questi due anni e mezzo, perché si elabori, d’accordo col Ministero delle finanze, un piano organico finanziario per la Valle. Perciò abbiamo inserito, nelle norme transitorie, all’articolo 53, questa disposizione, al primo comma: «entro due anni. dall’elezione del Consiglio della Valle sarà stabilito, a modifica degli articoli 12 e 13, un ordinamento finanziario della Regione con legge dello Stato in accordo con la Giunta regionale». Non si è creato, quindi, nulla di improvvisato e tanto meno di cervellotico. All’ultimo momento, mentre stavo per prendere la parola, l’onorevole Ministro del bilancio, Vicepresidente del Consiglio, mi ha presentato due emendamenti che non ho avuto ancora il tempo di leggere. Finita la relazione sarà mio dovere leggerli attentamente e comunicarli alla Commissione per poter dare una risposta comune.

Titolo IV: Zona franca. L’articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1945, n. 546, diceva che «Il territorio compreso nella circoscrizione della Valle è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca». Seguono delle disposizioni in conseguenza, abbastanza complicate. Ad unanimità abbiamo creduto di non definire in modo risolutivo la questione della sistemazione della zona franca concessa: per ciò abbiamo inserito nell’articolo 14 dello statuto la seguente definizione: «Il territorio della Valle d’Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca», ripetizione questa del testo del decreto luogotenenziale più volte citato. Segue poi: «Le modalità d’attuazione della zona franca concessa. alla Regione saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato». Credo che abbiamo ben fatto a decidere in questo senso. Questa concessione, se attuata, deve affrontare e risolvere una serie di difficoltà che sono lungi dall’essere semplici. Bisognerebbe, anzitutto, non solo sbarrare il passo del Piccolo San Bernardo od il passo del Gran San Bernardo, ma anche sbarrare la strada principale della Valle che sbocca poco a nord di Ivrea, a Pont Saint-Martin ed affrontare altre complicazioni ancora. Presentemente la Giunta della Valle, d’accordo col Ministero delle finanze, va studiando tutta una serie di attuazioni che saranno rese definitive in seguito e poi saranno adottate, come l’articolo 14 propone, con legge dello Stato concordata con la Regione.

Titolo V: Organi della Regione. Contiene una sola cosa notevole, che rileverò. Nell’articolo 15 abbiamo trasformato quello che era la denominazione degli organi rappresentativi della Valle, secondo il regime attuale ispirato al decreto legislativo luogotenenziale del 1945, ed abbiamo chiamato tutti gli organi con gli stessi nomi con cui sono stati definiti negli altri statuti particolari, cioè «Consiglio della Valle», Presidente del Consiglio, «Giunta regionale» e Presidente della Giunta; denominazioni queste più conformi all’espressione adottata dalla Carta costituzionale, di modo che si sa che in ogni Regione le denominazioni degli organi sono le stesse.

Ho un’osservazione da fare sull’articolo 31. Nell’articolo 31 è fatto riferimento, per inciso, alla Commissione di coordinamento. Infatti, il primo comma dell’articolo 31 dice: «Ogni legge, approvata dal Consiglio della Valle è comunicata al rappresentante del Ministero dell’interno, presidente della Commissione di coordinamento, preveduto dall’articolo 46 che, salvo il caso di opposizione, deve vistarlo nel termine di trenta giorni dalla comunicazione».

Noi della Commissione abbiamo adottato, deferendo alle considerazioni dei nostri costituzionalisti, fra cui primo il Presidente della nostra Commissione, di cambiare il nome che a questo organismo era dato nel decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1945. In esso si chiamava «Comitato di coordinamento»; adesso, nel nostro testo è chiamato invece «Commissione di coordinamento». Questa Commissione, come vedete, all’articolo 46 del nostro progetto, è composta da un funzionario del Ministero dell’interno, che ne è il Presidente, da un funzionario del Ministero delle finanze e da un membro eletto dalla Valle. La Commissione di coordinamento, come voi potete agevolmente controllare, sostituisce il cosiddetto Commissario che v’è nelle altre Regioni. La Valle ha ritenuto opportuno conservare questa organizzazione, che ha dato eccellenti risultati, senza mai provocare reazioni né al Ministero delle finanze, né al Ministero dell’interno, né negli organi rappresentativi della Valle. Ha dato così eccellenti risultati che tutti concordemente chiedono che sia conservata. Noi riteniamo che, facendo un lieve strappo a quelle che erano le nostre concezioni costituzionali in materia, possiamo conservarla intatta, come tutti desiderano.

Sul Titolo VI – «Lingua e ordinamento scolastico» – dirò poche cose. L’articolo 37 del nostro testo dice che nella Valle d’Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana. Abbiamo cioè corretto la dizione adoperata nell’articolo 17 del decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1945. Questo articolo 17 diceva testualmente: «Nella Valle d’Aosta è consentito il libero uso della lingua francese nei rapporti con le autorità politiche, amministrative e giudiziarie». Poi, aggiungeva: «Gli atti pubblici possono essere redatti in lingua francese, eccettuate le sentenze dell’autorità giudiziaria». Poiché è consentito il libero uso della lingua francese in tutti questi atti, tanto valeva adottare la definizione nostra per cui la lingua francese è parificata a quella italiana. Esprimiamoci, quindi, chiaramente, senza alcuna forma di perifrasi: così si sa esattamente quale è, secondo questo statuto, la situazione giuridica rispetto alla lingua. «Gli atti pubblici possono essere redatti – dice il nostro testo – nell’una e nell’altra lingua, eccettuati i provvedimenti dell’autorità giudiziaria, che sono redatti in lingua italiana». E nella dizione dell’articolo 17 del decreto legislativo sopra citato, si diceva: «Gli atti pubblici possono essere redatti in lingua francese, eccettuate le sentenze dell’autorità giudiziaria».

Alla Commissione è parso opportuno di non rendere la lingua italiana obbligatoria soltanto per le sentenze, ma per tutti gli atti giudiziari, per un razionale rispetto della procedura giudiziaria.

V’è il problema delle scuole; questo problema è stato affrontato e risolto dal Ministro Gonella e reso esecutivo in seguito al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato dell’11 novembre 1946.

L’articolo 18 del decreto luogotenenziale legislativo del 7 settembre 1945 annunciava già una riforma in materia. Noi abbiamo rivisto tutto l’insieme ed inserito questa materia in alcuni articoli che fanno parte di questo titolo.

Di sostanziale, oltre a quanto ho fatto notare sulla lingua, non v’è niente che meriti un particolare rilievo: abbiamo riprodotto quasi integralmente le varie disposizioni esistenti.

Il Titolo VII riguardante «L’ordinamento degli uffici di conciliazione» è anch’esso un titolo inserito in seguito alla legislazione esistente. Il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, infatti, dell’11 novembre 1946, regola questa questione.

Noi l’abbiamo riprodotto quasi integralmente, tranne qualche punto che non merita alcun rilievo.

Titolo VIII. Per quanto riguarda gli enti locali non v’è niente da dire, perché tutto è in perfetta rispondenza alla Carta costituzionale.

Titolo IX: «Rapporti tra lo Stato e la Regione». L’articolo 45 è il punto evidentemente più delicato, ed io pavento, con una certa trepidazione, che l’onorevole collega professor Mortati, che ci ha portato nei giorni scorsi nella Repubblica di Babele del collegio uninominale, che è poi anche collegio plurinominale, difficilmente rinuncerà ad intervenire. Egli considererà questo punto come il dente cariato dello statuto della Val d’Aosta; per cui io penso che egli possa far proporre all’Assemblea che questo dente sia estratto.

Io mi permetto di dire, a nome della Commissione, che noi desideriamo conservare questo dente, che è sanissimo e che preghiamo i colleghi di questa Assemblea perché rinuncino a farsi complici operatori di estrazione.

Per la Val d’Aosta ci troviamo di fronte ad una situazione particolare, perché, già nel decreto luogotenenziale legislativo del 7 settembre 1945 era detto: «Il Presidente del Consiglio della Valle esegue le deliberazioni del Consiglio, ed ha la rappresentanza della Valle.

«Ad esso spettano tutte le attribuzioni che le leggi vigenti conferiscono al Presidente della deputazione provinciale, in quanto non rientrino nella competenza del Consiglio della Valle».

E poi: «Il Presidente è responsabile verso il Governo dell’esercizio dei poteri che per legge restano riservati allo Stato. Il Governo segnala ecc.».

Per cui, oltre ad avere inserito questo concetto che il Presidente della Giunta rappresenta il Governo dello Stato, ne abbiamo derivato la conseguenza che possa anche essere il responsabile dell’ordine pubblico, e quindi mantenere l’ordine pubblico con la polizia dello Stato attribuita alla direzione del Presidente della Giunta regionale, tranne i casi in cui il Governo può avocare a sé anche questa direzione.

Devo dire che anche questo punto è contemplato all’articolo 8 del decreto legislativo più volte citato:

«Al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il Presidente del Consiglio della Valle a mezzo di reparti della polizia dello Stato e della polizia locale, secondo le direttive del Governo, verso il quale egli è responsabile».

Stando così le cose, giuridicamente e di fatto per una concessione legislativa già avvenuta e già attuata, con qual senso di responsabilità politica si vorrebbe abolire questa disposizione? Noi crediamo che realmente non lo si possa ed ecco perché io prego in modo particolare il Presidente del Consiglio di vigilare su questo punto e di esprimere, anche in caso di controversia, il suo giudizio: noi dobbiamo risolvere definitivamente una questione politica che è stata già risolta; non la possiamo complicare all’ultimo momento.

D’altronde che cosa è questo Presidente della Giunta regionale, in una piccola Valle come quella della Val d’Aosta? È un presidente il quale è obbligato ad un’infinità di atti amministrativi, esecutivi per la difficoltà delle comunicazioni dell’amministrazione stessa in paesi sperduti sulla montagna. Bisogna che egli provveda a tutto; egli è il solo responsabile dell’ordine pubblico, per la capacità che egli dimostrerà o non dimostrerà (speriamo che casi negativi mai si verifichino) nell’esecuzione dei compiti che derivano dal suo ufficio.

Ed allora, attribuiamo pure questa direzione della polizia, la quale peraltro non è mai direttamente comandata dal Presidente della Giunta regionale, perché la polizia è comandata sul posto da un questore e da commissari di pubblica sicurezza che hanno una polizia organizzata, preparata, istruita, armata, disciplinata dagli organi dello Stato, dal Ministero dell’interno; è quindi tutta una organizzazione legata alla volontà, alla capacità, al tecnicismo del Governo centrale. Possiamo, quindi, senza nessuna preoccupazione conservare le cose come sono e dare ad esse veste giuridica definitiva.

Sull’articolo 46 non mi soffermo neppure, perché in esso è contemplato precisamente quell’istituto della Commissione di coordinamento, di cui ho parlato poc’anzi.

All’articolo 48 sono contemplati i provvedimenti eccezionali che la Giunta può prendere.

Siccome ho avuto, e la Commissione ha avuto, parecchi rilievi su questo punto, io ritengo che probabilmente converrà conservare il testo originario, così come risulta dal decreto legislativo del 7 settembre 1945. Niente di più. Infine, nelle disposizioni transitorie vi è di notevole l’articolo 53, che ho già sottolineato a proposito della finanza.

Ecco un rapido esame, che è stato fin troppo lungo rispetto all’esiguità del numero dei presenti in quest’Aula, ma che era necessario come espressione del lavoro e del desiderio che ha animato i componenti la Sottocommissione per gli statuti regionali. Noi crediamo di aver agito con la massima onestà politica, resistendo a richieste che non ci sembravano giustificate e viceversa aderendo ad altre che ci pareva legittimo dovessero ormai essere accolte.

È quindi con spirito fiducioso che la Commissione, a mio nome, vi affida questo statuto. Date a questa Valle che è alle porte di Torino, abbandonata da secoli, la possibilità di crearsi un ordinamento semplice e civile. Basta vederla, questa Valle, onorevoli colleghi, e confrontarla con le Regioni che stanno di là dai monti, oltre il Piccolo San Bernardo e il monte Bianco, nella Savoia, oltre il Gran San Bernardo, nella Vallata del Rodano, per rendersi conto dell’immensa differenza di questa Regione abbandonata da quella unità dello Stato centralizzato che tanti magnifici paladini tirano ancora in ballo.

Date dunque a questa Regione, a questa piccola conca montana, la possibilità di realizzare una sua vita moderna.

Io sento che la questione è estremamente seria e ringrazio la Commissione di avermi affidato l’onore di presentare a voi e di difendere una causa così giusta, una così giusta causa nazionale. (Applausi).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche se l’onorevole Relatore non avesse direttamente fatto appello alla mia persona, io mi sarei sentito egualmente tenuto a fare alcune dichiarazioni introduttive.

Debbo dir subito però che, di fronte alle singole disposizioni che sono qui articolate, il Governo, come tale, non può avere una sua tesi, perché non ha potuto evidentemente disporre del tempo necessario per discutere e assumere un determinato atteggiamento al riguardo. Ieri abbiamo discusso su un progetto di elaborazione governativa, in gran parte accolto dalla Commissione; oggi invece ci troviamo di fronte a un progetto di elaborazione parlamentare, nei confronti del quale evidentemente la responsabilità del Governo è molto diversa.

Non voglio con ciò, s’intende, attenuare la nostra collaborazione alla discussione del disegno di legge. Almeno in linea di principio, il Governo è favorevole all’autonomia della Valle d’Aosta e fino dal 1945 la concesse nel campo amministrativo, attribuendo al Presidente della Valle tutti i poteri del prefetto. Non potevamo naturalmente dargli la possibilità di decidere circa i problemi politici afferenti alla Valle. Cercammo di tranquillizzare la Valle relativamente ai suoi diritti linguistici e conseguentemente scolastici, relativamente insomma a tutto quanto poteva costituire oggetto delle sue giuste esigenze. Con un successivo decreto si disciplinò il regime delle acque, e anche qui il Governo tenne conto delle esigenze locali della Valle d’Aosta. Ora si entra in un altro campo, ora si entra nel campo politico della vera e propria autonomia, sulla traccia di quanto già si è fatto per altre Regioni a statuto speciale Non vi sono contradizioni fra quello che si è fatto allora per decreto e quanto ha fatto ora la Commissione; vi sono soprattutto alcune integrazioni. Politicamente parlando – e qui esprimo naturalmente un parere personale – non ho alcuna eccezione da fare al disegno di legge e volentieri collaborerò per il suo perfezionamento aderendo al desiderio della Commissione.

Ho soltanto qualche obiezione di carattere formale da fare. Non so, per esempio, come avete risolto la questione toponomastica, che sembra apparentemente una questione secondaria, ma che invece ha molta importanza. Avete visto per lo statuto dell’Alto Adige quale attenzione è stata dedicata alla questione. Allegato al disegno di legge v’è un elenco di comuni con nomi solamente francesi, mentre nel decreto del 1945 accanto a quelli francesi v’erano anche i corrispondenti nomi italiani. Non so se questa omissione sia dovuta al caso, cioè se questo allegato abbia soltanto un valore incidentale; in tale ipotesi non ho nessuna obiezione da sollevare.

Un’altra osservazione – che mi riservo di sviluppare al momento opportuno – riguarda la data di entrata in vigore dello statuto. Mi pare che con gli altri statuti abbiamo adottato il termine di sei mesi: termine alquanto problematico, specialmente per gli statuti che entrano in vigore in seguito a una legge elettorale che è affidata al nuovo Parlamento. Se le elezioni si faranno il 18 aprile, la Camera verrà convocata venti giorni dopo. Quindi alle soglie dell’estate. È difficile pensare che immediatamente, con la formazione del nuovo Governo, con la discussione generale, ecc., la Camera possa occuparsi delle leggi elettorali per le Regioni, e dubito assai quindi che il termine di sei mesi si possa mantenere.

Un’altra osservazione vorrei fare ancora riguardo alla toponomastica. All’articolo 2, fra le materie per le quali la Regione ha potestà legislativa, vi è anche la toponomastica. E qui converrebbe introdurre la stessa affermazione che si è fatta nella legge votata ieri: «fermo restando l’obbligo della bilinguità». E con ciò stesso si risolverebbe il problema, al quale accennavo prima, dell’elenco dei comuni.

La bilinguità, vista dal punto di vista dei cittadini di lingua francese, è un diritto, ma vista dal punto di vista degli italiani è un obbligo, perché anche la lingua italiana deve essere ufficialmente usata. Nello statuto per il Trentino-Alto Adige abbiamo inserito un richiamo alla lingua italiana come lingua ufficiale. Per la Valle d’Aosta si può fare o non fare analogo richiamo, purché ci sia l’obbligo della bilinguità. Ciò potrebbe sembrare una cosa superflua, ma non lo è.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 12.50.