Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 28 GENNAIO 1948

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCLXVIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 28 GENNAIO 1948

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Congedo:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Disegno di legge costituzionale (Discussione):

Statuto speciale per la Sardegna (62)

Presidente

Di Vittorio

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Mattarella

Bellavista

Medi

Corbino

Aldisio

Mastino Pietro

Persico

Perassi, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali

Ambrosini, Relatore

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Abozzi

Disegni di legge (Presentazione):

Scelba, Ministro dell’interno

Presidente

La seduta comincia alle 10.

LACONI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Villabruna.

(È concesso).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato a far parte:

della seconda Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge gli onorevoli Scoccimarro e Molinelli, in sostituzione degli onorevoli Assennato e Cavallari, dimissionari;

della quarta Commissione permanente l’onorevole Massini, in sostituzione dell’onorevole Ferrari, dimissionario.

Discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Sardegna. (62).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Sardegna (62).

Onorevoli colleghi, prima di iniziare l’esame degli statuti speciali, avverto che è stato presentato un ordine del giorno che reca le firme degli onorevoli Di Vittorio, Lizzadri, Rapelli, Fiorentino, Li Causi. Veramente gli ordini del giorno si esaminano normalmente alla fine della discussione, ma quello presentato non si riferisce in particolare a nessuno dei quattro statuti che dovremo esaminare, ma pone una questione d’indole generale.

Do pertanto la parola all’onorevole Di Vittorio per svolgere il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente,

nell’atto di prendere in esame gli Statuti regionali, riafferma il principio della continuità e della unicità dello stato giuridico e del trattamento economico dei lavoratori statali di ogni categoria, mediante il mantenimento dei ruoli unici nazionali.

«L’Assemblea afferma che le leggi che saranno emanate dal Parlamento, dirette a regolare i molteplici rapporti che sorgono fra lo Stato e gli Enti regionali, debbono ispirarsi al principio di contemperare le esigenze di ciascuna Regione con i diritti acquisiti dai dipendenti statali».

DI VITTORIO. L’ordine del giorno che ho avuto l’onore di presentare con i colleghi Lizzadri, Rapelli, Fiorentino, Li Causi non ha bisogno di una lunga illustrazione: a me pare che sia abbastanza chiaro di per se stesso.

Quest’ordine del giorno tende a placare vive preoccupazioni che sono sorte fra i dipendenti statali, i quali temono che, con la costituzione dell’Ente regione, possa essere minacciato, o comunque vulnerato, il loro stato giuridico, possano essere menomati i diritti che essi hanno acquisiti nei confronti dell’Amministrazione dello Stato.

E bisogna dire che, in alcuni degli statuti regionali che l’Assemblea dovrà esaminare, vi sono alcuni articoli che potrebbero prestarsi ad interpretazioni suscettibili di menomare i diritti acquisiti dei dipendenti statali di ogni categoria.

Se l’Assemblea dovesse procedere all’esame analitico di questi statuti, noi saremmo entrati nel merito dei varî articoli, ed avremmo proposto quelle modifiche che riteniamo necessarie. Ma poiché un tale esame non vi sarà, l’ordine del giorno tende a riaffermare un principio che dia garanzia e tranquillità ai dipendenti statali.

Bisogna dire che le preoccupazioni di questi lavoratori sono così vive, che se ne sono interessate le organizzazioni sindacali rispettive. Tutte le Federazioni sindacali dei dipendenti statali e la stessa Confederazione del lavoro hanno esaminato a fondo la questione e sono giunte alla conclusione che è necessario che l’Assemblea Costituente, nel momento stesso in cui questi statuti regionali entrano a far corpo della Costituzione, affermi il principio della continuità e della unicità dello stato giuridico e del trattamento economico dei dipendenti statali di ogni categoria, in qualsiasi regione d’Italia essi siano destinati a lavorare.

L’ordine del giorno è redatto in modo da tener presenti le esigenze tanto della Regione, quanto dei dipendenti statali. Io riconosco legittima la preoccupazione dei governi regionali di avere un corpo di funzionari e d’impiegati a propria disposizione per assicurare i servizi che ne dipendono; ma credo che nessun collega in quest’Aula non vorrà riconoscere altrettanto legittimi i diritti acquisiti dei dipendenti statali.

Si tratta contemperare le due esigenze e perciò nell’ordine del giorno si afferma che le leggi che saranno emanate dal Parlamento per regolare i rapporti di ogni natura che sorgono fra lo Stato italiano e le singole regioni devono cercare, comunque, di contemperare queste esigenze.

Se noi non affermassimo questo diritto e rendessimo così possibile, da parte di qualche governo regionale, di intaccare, in qualsiasi maniera o forma lo stato giuridico dei dipendenti statali, questo fatto costituirebbe un passo indietro per questi lavoratori e né i professori, né gli insegnanti di ogni grado, né i ferrovieri né i funzionari intendono tornare indietro. Io sono perciò sicuro che l’ordine del giorno presentato dai colleghi che ho citato e da me, verrà approvato dall’Assemblea Costituente, quale affermazione del principio che i diritti acquisiti dai dipendenti statali di ogni grado e categoria non possono essere in alcun modo vulnerati e che lo stato giuridico degli stessi lavoratori statali deve conservare la sua continuità e la sua unicità mediante il mantenimento dei ruoli unici nazionali per ciascuna delle categorie interessate.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro di grazia e giustizia ad esprimere il parere del Governo su questo ordine del giorno.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Desidero richiamare l’attenzione dei proponenti e dell’Assemblea tutta sulla circostanza che già nella VIII disposizione transitoria della Costituzione è previsto che le leggi della Repubblica debbono regolare il passaggio alle regioni di funzionarî e di dipendenti dello Stato, anche delle amministrazioni centrali, ove ciò si renda necessario. Nell’articolo stesso è detto infine: «per la formazione dei loro uffici le regioni devono, tranne che in casi di necessità, trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali».

Mi pare quindi che la preoccupazione dell’onorevole Di Vittorio e degli altri colleghi, sotto questo riguardo, non esista, nel senso cioè, appunto, che nelle disposizioni transitorie della Costituzione è già previsto il passaggio dei dipendenti statali alle Regioni. Ciò è d’altra parte da considerarsi come assolutamente inevitabile, perché sarebbe veramente assurdo che restasse tutta l’impalcatura statale, quando debbono subentrare nei varî servizi le amministrazioni locali.

Circa poi quella che potremmo chiamare la prima questione dell’ordine del giorno Di Vittorio, mi pare sia assolutamente impossibile il mantenimento di un ruolo unico nazionale. Così per i segretari comunali, come per tanti e tanti altri impiegati, questa forma nazionale, accentrata, sarebbe in netta contradizione con il nuovo volto che l’amministrazione della Repubblica deve assumere, cioè con il sistema regionalistico.

Circa invece i diritti acquisiti, mi pare che si tratti di una raccomandazione che ben opportunamente si possa fare: è ovvio infatti che questi diritti debbano essere tutelati e garantiti. Ritengo quindi, a nome mio personale e a nome del Governo, che questa seconda parte dell’ordine del giorno debba senz’altro venire accettata e confido anzi che l’Assemblea sia su questo punto concorde.

Per la prima parte invece, come ho già detto e spiegato, io mi pronuncio sfavorevolmente e prego gli onorevoli presentatori di non volere insistere.

MATTARELLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTARELLA. Il problema, per quello che riguarda la prima parte, mi pare sia molto complesso, e sembra che sia necessario andar molto cauti, anche per il fatto che l’ordine del giorno presentato e illustrato dall’onorevole Di Vittorio non distingue categoria da categoria, né fa salva la possibilità per la Regione di avere organici e ruoli per i suoi servizi essenziali.

Ora, se l’onorevole Di Vittorio volesse insistere anche per la accettazione della prima parte del suo ordine del giorno, io dichiaro sin d’ora, che mi riservo di fare formale richiesta perché esso sia rinviato alla Commissione per un più attento e approfondito esame, che tenga conto delle esigenze della autonomia, la quale postula per la Regione possibilità e necessità di un suo personale, e di quelle legittime degli impiegati statali, che tutti abbiamo a cuore e che tutti vogliamo difendere e tutelare.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi, in realtà l’ordine del giorno Di Vittorio, Lizzadri ed altri postula due principî diversi, dei quali il primo nell’ordine è un po’ il mezzo per affermare – e in questa parte merita incondizionata adesione – quello che è un principio generale del diritto, cioè l’intangibilità dei diritti acquisiti. I lavoratori statali che passano alle dipendenze delle Regioni non possono subire una reformatio in peius: indietro non si può tornare. Su questo punto, penso che non si possa assolutamente discutere: esso merita completa adesione. Ma il principio di cui alla prima parte, servirebbe, nell’idea dei proponenti, come mezzo per garantire questa impossibilità del ritorno indietro, con la unicità del ruolo nazionale. E io non vedo questa corrispondenza di mezzo a fine.

In sostanza, mi pare che il ruolo unico nazionale non sia, per se stesso, una garanzia per gli impiegati statali passati o da passare nei ruoli regionali, ma che la garanzia si trovi in questo principio che afferma il vostro ordine del giorno, e cioè che non ci possa essere un peggioramento nella situazione, ma se mai un miglioramento o il mantenimento dello status quo ante. Non certamente nel fatto del ruolo unico nazionale, il quale urterebbe anche – come ha osservato giustamente il Ministro Guardasigilli – contro le disposizioni già approvate della Costituzione sulla Regione, la quale deve avere un proprio corpo di funzionari.

Penso pertanto che si possa fare a meno di rinviarlo alla Commissione e che l’ordine del giorno possa venire accettato per questa sua seconda parte, che è essenziale ed è finalistica, rimanendo per me la prima come mezzo ordinato allo scopo di garantire la seconda.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Sono obbligato ad insistere, cioè a mantenere il mio ordine del giorno. È vero che nella parte delle disposizioni transitorie della Costituzione si parla di regolare il passaggio dei funzionari e degli impiegati dallo Stato alle Regioni; ma il fatto della regolamentazione di questo passaggio non implica necessariamente la garanzia che gli statali legittimamente chiedono, cioè la garanzia della continuità e dell’unicità dei diritti da loro acquisiti. Perciò questo ordine del giorno si propone, in fondo, di affermare tale principio. Non è che con questo ordine del giorno si pretenda di risolvere la questione. No. Si tratta, per ora, di non pregiudicarla. Perciò il mio ordine del giorno è volutamente generico, si limita ad affermare dei principî (Interruzioni dei deputati Medi e Uberti) perché non dice quali sono queste garanzie in modo concreto e preciso. Se leggessi i memoriali presentati alla Confederazione del lavoro da tutte le categorie di dipendenti statali, senza nessuna esclusione, allora avreste veramente la sensazione di che cosa sia la concretezza in materia.

Qui si tratta di affermare un principio, e di affermarlo in questo momento, perché non si possa dire domani che un articolo dello Statuto regionale, essendo stato approvato dall’Assemblea Costituente, e ritenuto quindi una norma di carattere costituzionale, non possa essere modificato se non con la procedura lunga e difficile di ogni modifica che si debba apportare alla Costituzione stessa. Quindi, si tratta per il momento di non pregiudicare la questione, e di lasciare facoltà alla prossima Assemblea legislativa, che dovrà necessariamente affrontare il problema della regolamentazione concreta di questi rapporti, di poterlo fare con maggiore libertà, con maggiore elasticità, e anche d’accordo con le organizzazioni sindacali; perché il modo di contemperare effettivamente le esigenze e del Governo regionale e dei lavoratori statali è bene sia studiato d’accordo coi rappresentanti sindacali.

Il problema non interessa soltanto i dipendenti statali delle quattro Regioni di cui dovremmo esaminare lo Statuto, ma interessa tutta l’Italia, perché le preoccupazioni che ho esposto non sono limitate regionalmente.

Perciò, dato che questo ordine del giorno non tende a legare le mani ai governi regionali, non tende a regolamentare oggi la materia, ma vuol lasciar libera la prossima Assemblea legislativa, mi pare possa essere approvato senza alcuna preoccupazione.

Comunque, se i colleghi desiderano che esso venga rinviato per l’esame alla Commissione, io non mi oppongo, ma faccio appello all’Assemblea affinché voglia fare l’affermazione categorica di principio che, in fatto di riconoscimento dei diritti quesiti degli statali, l’Assemblea è unanime e non si può tornare indietro.

Una voce al centro. Siamo d’accordo.

DI VITTORIO. Preferirei che questo accordo fosse espresso nella votazione del mio ordine del giorno.

Una voce al centro. La seconda parte sta bene, ma non la prima.

DI VITTORIO. E la prima parte che cosa ha di non accettabile? Il problema è questo: oggi vi è un ruolo nazionale degli impiegati statali, supponiamo degli ingegneri del genio civile, come del resto di qualsiasi altra categoria di impiegati statali.

Domani, un ingegnere di grande valore avrà la possibilità, affermandosi col suo lavoro e col suo ingegno, di ascendere ai posti più importanti, di carattere nazionale, o dovrà essere condannato a rimanere nell’ambito della Regione?

Evidentemente deve avere quella possibilità.

Ora, io non vorrei entrare nei dettagli del modo come mantenere la continuità dello stato giuridico e del modo come mantenere i ruoli nazionali, contemperandoli con le esigenze dei governi regionali, perché questa non è la sede per risolvere tale problema. Ma appunto perciò il mio ordine del giorno tende a lasciare impregiudicata la questione ed io faccio appello ai colleghi di volerlo approvare.

MEDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE Ne ha facoltà.

MEDI. Voteremmo la seconda parte dell’ordine del giorno presentata dall’onorevole Di Vittorio, o se si preferisce, saremmo anche d’accordo nel rinviare alla Commissione per l’esame di tutto l’ordine del giorno.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei pregare l’onorevole Di Vittorio di trovare una soluzione, tanto più che un ordine del giorno non impegna le leggi future.

Ora nella Costituzione si è già stabilito che una parte dei funzionari dello Stato e dei dipendenti statali devono passare alle Regioni, col passaggio dei relativi servizi. I limiti del passaggio dipenderanno da quello che avverrà e sono dunque da stabilirsi caso per caso. Il legislatore di domani resterà libero di fare tutto quello che crederà opportuno per dare soddisfazione alle preoccupazioni esposte dall’onorevole Di Vittorio.

Ciò significa che se domani ci sarà un passaggio di alcuni funzionari o dipendenti statali alla Regione si vedrà se sarà possibile mantenere un ruolo unico oppure se vi saranno ruoli regionali regolati dalla Regione secondo la nuova legge. In altri termini, il dipendente che passa alla Regione può essere trasferito da quella Regione ad un’altra Regione? Non credo che sia possibile.

Quelli che sono obbligati allo Stato, quelli che dipendono da organi centrali, seguono il ruolo nazionale, ma quelli che dipendono dalla Regione avranno il loro ruolo regionale. Non ci sarebbe una ragione di passaggio. Invece, per il trattamento economico…

DI VITTORIO. Così sono divisi in compartimenti stagni!

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevole Di Vittorio, mi pare che non si possa cambiare la Costituzione, la quale è quella che è. Abbiamo stabilito che esistono le Regioni, ed esisteranno anche i ruoli della Regione. La Regione potrà fare dei ruoli per conto suo o ottenere il passaggio di dipendenti dello Stato alla Regione. Ma il giorno in cui il passaggio è avvenuto e la legge lo regolerà vi sarà un ruolo regionale per quei dipendenti dalla Regione.

DI VITTORIO. Ma è lo Stato italiano che è garante dei diritti dei dipendenti statali ed è lo Stato, come tale, che deve rimanere garante e difenderli, anche quando i funzionari sono a disposizione del Governo regionale; se no, questa garanzia da parte dello Stato viene a cessare, ciò che moralmente e giuridicamente non è ammissibile! (Commenti).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. La questione non è pregiudicata. Domani la legge potrà stabilire questo, ma non possiamo impegnare il legislatore di domani. Quello che riguarda il trattamento economico, come concetto fondamentale e come raccomandazione, si può accettare, nel senso che il trattamento economico non può essere diminuito, perché si tratta di un diritto quesito del cittadino, inquantoché, se lo Stato, che l’ha assunto, ottiene, attraverso la legge, il passaggio alla Regione, deve garantire all’individuo il suo contratto, il suo trattamento economico.

Rimane la questione del ruolo unico. Può rimanere unico di fronte ai ruoli regionali? Questo quesito lo vedrà la legge futura, se potrà. Ma non possiamo stabilirlo noi oggi.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che si possano conciliare le opposte tesi, mettendo una piccola limitazione alla prima parte dell’ordine del giorno dell’onorevole Di Vittorio, cioè: «mediante il mantenimento dei ruoli unici nazionali, ove ciò sia tecnicamente possibile».

Io accetto il principio della unicità del trattamento economico, perché di regola in questi organismi regionali vi è una tendenza ad aumentare le competenze dei funzionari, attribuendo loro gradi e stipendi molto più alti di quelli dei corrispondenti uffici dell’Amministrazione statale.

Quindi io accetto il principio, con un significato opposto a quello con cui l’accetta lei, caro onorevole Di Vittorio: io voglio mettere un limite al trattamento economico dei funzionari delle Regioni…

DI VITTORIO. Ed io una remora in senso opposto.

CORBINO. Ecco, lei tenterà il senso opposto; io mi preoccupo della finanza delle Regioni e della finanza dello Stato, in base all’esperienza che tutti abbiamo avuto (e anche lei lo ricorderà) per esempio dagli uffici regionali del lavoro, in cui avevamo direttori e funzionari con stipendi superiori a quello del Presidente della Cassazione.

Accetto quindi il principio della unicità del trattamento economico e anche il principio della possibilità del mantenimento dei ruoli unici nazionali, quando questo sia tecnicamente possibile.

È evidente che per le amministrazioni puramente regionali il ruolo unico nazionale non ci potrebbe essere.

DI VITTORIO. Perché questa limitazione?

ALDISIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALDISIO. Io desidero che questa questione resti impregiudicata, rinviandone alla nuova Camera la disciplina. Faccio perciò questa formale proposta: «L’Assemblea Costituente, nell’atto di prendere in esame ecc., riafferma il principio della continuità e della unicità dello stato giuridico e del trattamento economico dei lavoratori statali di ogni categoria ed afferma che le leggi che saranno emanate dal Parlamento ecc.».

DI VITTORIO. Se dopo questa discussione e dopo le dichiarazioni del Ministro Grassi fosse soppressa quella frase, ciò avrebbe il significato che non si debbono mantenere assolutamente i ruoli nazionali.

ALDISIO. Io tengo a riaffermare i due principî, senza nulla compromettere.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. I lavoratori dello Stato, le loro organizzazioni sindacali e la stessa Confederazione del lavoro, unanimemente hanno riconosciuto legittima questa rivendicazione, cioè di mantenere i ruoli unici nazionali in modo che la circolazione dei funzionari e degli impiegati, nei limiti in cui è possibile e desiderabile sia per la Regione che per lo Stato, possa continuare ad avvenire su tutto il territorio nazionale e non sia limitata nell’ambito ristretto di ogni Regione. Voler togliere questo punto fondamentale è come svuotare del contenuto essenziale l’ordine del giorno che abbiamo presentato.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Ho chiesto la parola perché tengo a dichiarare, come rappresentante di una Regione che dovrà avere uno statuto speciale, cioè la Sardegna, che è nel nostro intendimento che venga mantenuta la continuità e l’unicità dello stato giuridico e del trattamento economico dei lavoratori statali di ogni categoria. Circa il mantenimento dei ruoli unici nazionali mi pare che non vi sia una grande diversità fra la tesi sostenuta dall’onorevole Di Vittorio e l’affermazione dell’onorevole Corbino. L’onorevole Di Vittorio si è dichiarato per il mantenimento, nei limiti del possibile, dei ruoli unici nazionali…

DI VITTORIO. Se è possibile la circolazione.

MASTINO PIETRO. La circolazione è anch’essa in rapporto alla regolamentazione dei ruoli unici nazionali, il che potrà esser fatto, in modo pratico e sistematico, rimettendo alle Assemblee legislative questa pratica sistemazione.

MEDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MEDI. Ho l’impressione che stiamo discutendo un problema fuori tempo. Qui dobbiamo ancora affrontare l’esame degli statuti, o di quanto sarà proposto dalla Commissione su una linea generale, e già ci fermiamo a discutere dei problemi particolari, benché siano importanti. Io credo che si debba rimandare questo ordine del giorno all’esame della Commissione e intanto procedere all’analisi degli statuti seguendo una linea più logica, per non affrontare la questione fuori tempo e sconvolgere la serie logica e razionale dei nostri lavori.

Propongo formalmente di rinviare l’ordine del giorno all’esame della Commissione.

PRESIDENTE. Prima di tutto alle Commissioni si rimandano gli emendamenti, e non gli ordini del giorno. In secondo luogo, questo ordine del giorno soltanto con un grande sforzo logico può apparir tale da essere sottoposto alla Commissione che oggi ci riferisce sugli statuti speciali.

Il problema proposto dall’onorevole Di Vittorio non si limita a questo ambito. Se mai, dovrebbe essere un’altra Commissione ad esaminare la questione che appare di carattere generale.

MEDI. Riguarda anche gli statuti speciali.

PRESIDENTE. Anche gli statuti speciali, ma non solo detti statuti.

MEDI. Allora si dovrebbe dire, secondo la sua giusta interpretazione, che questa questione non interessa la materia di discussione oggi, e quindi l’ordine del giorno non può essere messo in votazione perché riguarda un campo più vasto della materia posta all’ordine del giorno dei lavori odierni dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Interessa anche, ma non solo.

MEDI. Allora il mio «anche» era giusto.

PRESIDENTE. Sta bene.

Gli onorevoli Di Vittorio e Corbino si sono messi d’accordo?

DI VITTORIO. Accetto l’emendamento Corbino.

PRESIDENTE. Allora vi è la proposta di un emendamento aggiuntivo degli onorevoli Di Vittorio, Corbino e Mastino Pietro al primo comma dell’ordine del giorno: «ove non ostino ragioni di carattere tecnico».

Vi è poi la proposta dell’onorevole Aldisio di sopprimere l’ultima frase del primo comma.

ALDISIO. Vi rinuncio.

PRESIDENTE. Pongo quindi in votazione l’ordine del giorno nella seguente definitiva formulazione:

«L’Assemblea Costituente,

nell’atto di prendere in esame gli Statuti regionali,

riafferma il principio della continuità e della unicità dello stato giuridico e del trattamento economico dei lavoratori statali di ogni categoria, mediante il mantenimento dei ruoli unici nazionali, ove non ostino ragioni di carattere tecnico.

«L’Assemblea afferma che le leggi che saranno emanate dal Parlamento, dirette a regolare i molteplici rapporti che sorgono fra lo Stato e gli Enti regionali, debbono ispirarsi al principio di contemperare le esigenze di ciascuna Regione con i diritti acquisiti dai dipendenti statali».

(È approvato).

Presentazione di disegni di legge.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi onoro di presentare all’Assemblea Costituente i seguenti disegni di legge:

«Modificazione alla legge 7 ottobre 1947, n. 1058, per la prima elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica».

«Norme per la formazione delle liste elettorali della provincia di Bolzano».

Trattandosi di due disegni di legge di carattere estremamente urgente, che devono essere approvati dall’Assemblea Costituente prima della fine dei suoi lavori, per consentire che le elezioni possano aver luogo nei termini fissati facendovi partecipare il maggior numero di cittadini, chiedo che l’esame di essi sia deferito alla Commissione già incaricata dell’esame del disegno di legge per la elezione del Senato, con facoltà di riferire oralmente all’Assemblea Costituente nella seduta di domani.

PRESIDENTE. Do atto della presentazione dei due disegni di legge.

Se nessuno si oppone alla proposta del Ministro dell’interno di deferirli alla stessa Commissione che ha esaminato il disegno di legge per la elezione del Senato, per modo che riferisca oralmente nella seduta di domani, si intende che così rimane stabilito.

(Così rimane stabilito).

Si riprende la discussione del disegno di legge: Statuto speciale per la Sardegna. (62).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, ho domandato di parlare unicamente per ottenere due chiarimenti che riguardano le direttive per la discussione degli statuti speciali. Io non voglio cambiare queste direttive, anzi dico che noi dovremo seguirle e le seguiremo, però c’è una frase che urta la realtà obiettiva delle cose, direi quasi la suscettibilità giuridica della Assemblea. Si dice: «da ciò discende che non è dato all’Assemblea l’esame di merito dei singoli articoli dello statuto siciliano…». Ora, è vero che noi abbiamo il regio decreto-legge (uno dei pochi regi decreti-legge che ci siano) del 15 maggio 1946, il quale nell’articolo unico, al capoverso, dice che «lo statuto predetto (cioè quello della Regione siciliana) sarà sottoposto all’Assemblea costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato», e secondo questo articolo unico effettivamente l’Assemblea Costituente avrebbe solo da fare un lavoro di coordinazione; ma questo articolo del regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455 è stato superato in pieno dall’articolo 116 della Costituzione, il quale alla Sicilia, alla Sardegna, alla Val d’Aosta, ecc. attribuisce «forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con legge costituzionale». Quindi questi statuti sono adottati o dall’Assemblea Costituente, o dalle future Camere con leggi costituzionali. Ed allora noi non possiamo dire, anche per dovere della nostra coscienza, che non è dato a noi esaminare articolo per articolo gli statuti speciali. Avremmo invece il dovere di farlo. Se l’ora incalza, e se potremo trovare formule più abbreviative per arrivare alla conclusione, troviamole pure, pazienza, ma non affermiamo a priori che non ci è dato fare quello che l’articolo 116 della Costituzione ci obbliga di fare.

Secondo punto è questo. Dicono le «direttive» che, nei limiti indicati, le proposte di emendamenti devono essere presentate non più tardi delle 24 ore dall’inizio della seduta dedicata all’esame di ogni singolo Statuto. Questo presuppone che i membri dell’Assemblea Costituente abbiano cognizione del testo dello Statuto. Quindi a me pare che forse sarebbe più opportuno dire: 24 ore dal deposito e dalla distribuzione, ai singoli membri dell’Assemblea, del progetto di Statuto; se no, non sappiamo come far decorrere queste 24 ore. Se per esempio la discussione si esaurisce in una mattinata, non ci sarebbe più la possibilità di far decorrere questo termine, cioè si annullerebbe tutto il termine. Io direi quindi: 24 ore dalla distribuzione all’Assemblea Costituente degli schemi degli Statuti. In tal modo soltanto avremo un termine preciso. Io richiamo perciò, su queste precisazioni l’attenzione dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, se poniamo ora in discussione le direttive, cominciamo a gettar via molte delle poche ore che restano a nostra disposizione. Queste direttive sono state concordate in una riunione dei capigruppo e sarebbe bene che fossero accettate senz’altro. Evitiamo di contestare sempre l’autorità di un organo che regolamentarmene esiste! Vorrei pregarla, onorevole Persico, di adattarsi a quanto è stato già concordato.

Sul primo punto devo dire comunque che la questione è stata sollevata almeno dieci volte in sede di discussione delle autonomie ed anche nelle riunioni dei capigruppo. Ed ogni volta si è giunti alla conclusione che, quando ci troviamo di fronte agli statuti già in attuazione, in realtà non è possibile materialmente, e nemmeno giuridicamente, accettare il criterio di un riesame articolo per articolo. Basterebbe rileggere i processi verbali delle discussioni fatte al momento in cui si è votato l’articolo 116, per rendersi conto che l’Assemblea in quel momento sapeva dell’esistenza di uno statuto siciliano, e che partiva dalla considerazione che di questo statuto non c’era che da fare un adeguamento costituzionale. Questo è stato già riconosciuto da numerosi colleghi.

Per quanto riguarda la valutazione giuridica dell’articolo 116 esso dice che alla Sicilia, alla Sardegna al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia, alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali. Ciò non significa che l’Assemblea Costituente debba rifare la legge già esistente in materia, ma, se mai, vuol dire che l’Assemblea Costituente deve dare ad essi statuti, con la sua approvazione, il carattere costituzionale.

In questo caso l’Assemblea si sostituisce a quella funzione dei futuri Parlamenti che, nei confronti dei vari decreti legge e delle misure legislative emanate dall’attuale Governo, dovranno provvedere appunto a dare un crisma definitivo trasformandoli in leggi.

Una stessa norma transitoria della nostra Costituzione attesta che la Costituente ha già esercitato una tale funzione per un decreto, quello che determinava le funzioni del Governo fino al momento in cui le Camere saranno costituzionalmente elette; così, quel decreto è divenuto legge, anzi ha acquistato il carattere di legge costituzionale.

Per quanto riguarda lo statuto siciliano vigente, l’Assemblea Costituente approvandolo, per questo solo fatto lo trasforma in una legge costituzionale.

A rigor di termini, volendo, può modificarlo, come avrebbe potuto modificare quel decreto cui ho accennato poco fa. Ma, per una valutazione del tempo che ci resta e della opportunità politica, l’esigenza fatta presente dall’onorevole Persico, non è assoluta, e pertanto l’Assemblea potrà non avere rimorsi se, a proposito dello statuto siciliano, si preoccuperà di questo solo: di renderlo tale che non sia in conflitto con le norme della Costituzione. In quanto poi alla questione dei termini, siamo ormai abituati a transigere; le 24 ore non la spaventino, onorevole Persico. L’essenziale è di non intervenire con una proposta improvvisa.

Premesso questo, do la parola all’onorevole Perassi, Presidente della Sottocommissione per gli statuti regionali.

PERASSI, Presidente della Sottocommissione per gli Statuti regionali. Io vorrei, anzitutto, fare qualche riserva sulle dichiarazioni fatte in questo momento dall’onorevole Presidente, per quanto concerne i limiti della funzione che l’Assemblea Costituente è chiamata a svolgere nei riguardi di taluni degli statuti regionali di cui deve occuparsi.

Credo che qui vi siano due punti di vista, i quali devono essere contemperati, senza tuttavia negare o attenuare eccessivamente le esigenze di uno di essi.

Mi pare che, dal punto di vista giuridico costituzionale, quanto ha detto l’onorevole Persico non possa essere contestato. Del resto, lo stesso Presidente ha detto che, volendo, l’Assemblea Costituente può, esaminando anche gli atti esistenti, introdurvi delle modificazioni.

Lo farà, non lo farà? E con quali misure? Qui interviene il criterio politico e certamente questo criterio sarà tenuto presente. Ma è bene che il punto di vista costituzionale non sia sacrificato.

Ciò premesso per quanto riguarda in particolare alcuni di questi statuti, vengo al problema di oggi. Il disegno di legge costituzionale che abbiamo presentato all’Assemblea è il primo d’un gruppo che la Commissione è stata incaricata di elaborare. Esso riguarda la Sardegna.

La situazione della Sardegna è questa: per essa non esite, come per la Sicilia e per la Valle d’Aosta, un ordinamento regionale già stabilito precedentemente. Io ricordo solo che quando alla Consulta nazionale venne presentato il progetto di statuto che era stato elaborato dalla Consulta siciliana, la Consulta nazionale propose al Governo di estendere lo Statuto siciliano alla Sardegna.

Per l’esattezza storica conviene ricordare che gli stessi sardi non hanno ritenuto opportuno aderire a questa idea. E fu un gesto che si può dire, nel medesimo tempo, di fierezza e di saggezza. Di fierezza perché la Sardegna riteneva, evidentemente, che dovesse essere considerata in sé e per sé, come Regione con propria individualità e con esigenze particolari e che quindi non fosse il caso che le fosse puramente esteso un ordinamento adottato per un’altra Regione. Questo il lato di fierezza.

Ma fu anche atto di saggezza. La Consulta sarda, che venne istituita in seguito alla creazione in Sardegna – come era avvenuto in Sicilia – di un Alto Commissariato, venne ad un certo momento invitata dal Governo a formulare delle proposte per l’ordinamento regionale. E la Consulta Sarda effettivamente elaborò un progetto di statuto per la Sardegna, che venne inviato al Governo e all’Assemblea Costituente. La Commissione, alla quale questo progetto pervenne, constatò, anzitutto, che presentava notevoli diversità rispetto a quello siciliano, e con compiacimento, constatò che alcuni problemi delicati erano stati visti in maniera un po’ diversa.

La Commissione aveva per compito, rispetto a tutti gli statuti, di fare ciò che l’articolo 116 della Costituzione prevede, ossia di elaborare i disegni di legge costituzionali concernenti gli statuti speciali delle singole Regioni indicate in quell’articolo come Regioni alle quali sarebbero state attribuite forme e condizioni particolari di autonomia. Nell’accingersi a questo compito, per quanto concerne la Sardegna, la Commissione ha lavorato prendendo per base il progetto elaborato dalla Consulta sarda. Aggiungo che la Commissione ha ritenuto opportuno non soltanto di udire su questo progetto la voce di eminenti rappresentanti sardi che sedevano nel suo stesso seno, esponenti di diversi partiti, quali l’onorevole Lussu, l’onorevole Laconi ed anche l’onorevole Giua che, pur non essendo deputato della Sardegna è anch’esso sardo; ma ha ritenuto di fare anche di più, di sentire cioè direttamente una Commissione di delegati della Consulta sarda.

Abbiamo avuto con essi un franco ed ampio scambio di idee ed abbiamo potuto apprezzare non soltanto la preparazione degli uomini che la Sardegna ha inviato qui per questo compito, ma anche il senso di moderazione, di comprensione, che questi uomini hanno dimostrato. Desidero dire che da questa discussione noi tutti della Commissione abbiamo riportato l’impressione che la Sardegna ha in sé tutti i requisiti necessari per aspirare ad un ordinamento autonomo e per realizzarlo con forze proprie.

Il risultato di questo lavoro è il progetto che vi abbiamo presentato e che i relatori onorevoli Ambrosini e Fabbri illustreranno, dando su di essi tutte quelle spiegazioni che potranno venir richieste da qualche collega su determinati punti.

Io, per quanto mi concerne, non ho altro da aggiungere. Solo, prima di finire, mi sia permessa una nota personale. Quaranta anni fa, io, piemontese, studente a Pavia, ebbi a scrivere un rapido profilo di un singolare, gagliardo pensatore sardo, dimenticato: Giambattista Tuveri. Uno spirito libero; si potrebbe quasi dire, in certo senso, il Carlo Cattaneo della Sardegna. Scrivendo con giovanile ardore quel lavoro, io mi auguravo che il popolo di Sardegna operasse la sua redenzione armato del pensiero civile di Giambattista Tuveri.

Il caso ha voluto che l’oscuro studente di quaranta anni fa si trovasse ad avere una certa responsabilità nel dirigere i lavori di questa Commissione e proprio per quanto concerne la Sardegna. In questa qualità, io ho dovuto spesso fare la parte di colui che tende a salvaguardare alcuni principî della Costituzione, partendo dal concetto che gli statuti speciali, come ogni diritto speciale, non possono non inquadrarsi nei principî generali dell’ordinamento costituzionale. Talora, in questo atteggiamento, direi, di can di guardia dei principî costituzionali, ho potuto forse dare l’impressione di essere un po’ duro; e l’amico Lussu qualche volta ha avvertito questa rigidezza. Mi consenta però di dire, l’amico Lussu, che anche in questa funzione io agivo con la stessa fede di quaranta anni fa, la fede nella forza del principio autonomistico, la fede che la Sardegna, attraverso questo ordinamento, saprà forgiarsi un migliore domani.

Questa carta che noi diamo alla Sardegna è un’arma. Noi dobbiamo avere tutta la consapevolezza della forza di quest’arma; ma la consegniamo ad un popolo, il quale ha dato all’Italia i fanti della «Brigata Sassari». E quando un popolo ha dato questi fanti, si può essere sicuri che saprà maneggiare anche quest’altra arma civile e repubblicana, e mediante essa lavorare per il suo avvenire e per la sua prosperità sociale, nell’interesse suo e nell’interesse dell’Italia, perché la Sardegna e l’Italia non sono nel nostro pensiero se non una unità indivisibile. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ambrosini, Relatore per lo Statuto sardo.

AMBROSINI, Relatore. Onorevoli colleghi, prima di parlare dello Statuto sardo, sento il bisogno di dire due parole sull’osservazione di natura pregiudiziale fatta poc’anzi dall’onorevole Persico, alla quale il nostro illustre Presidente, onorevole Terracini, ha già dato, io credo, esauriente risposta. Non concordo con l’onorevole Persico perché l’articolo unico del provvedimento legislativo, col quale fu approvato lo Statuto siciliano, non è stato per nulla abrogato o modificato dall’articolo 116 della Costituzione; e ciò non solo dal punto di vista politico, che basterebbe da solo, in questa sede, a troncare ogni discussione, ma anche dal punto di vista giuridico.

L’onorevole Terracini lo ha detto: chi scorre tutte le discussioni che si fecero nella Sottocommissione, nella Commissione dei Settantacinque e nell’Assemblea sull’articolo 116, vedrà chiaramente che esso contempla ipotesi diverse, perché le quattro Regioni alle quali si riconosce uno Statuto speciale, si trovavano in una condizione diversa: la Sicilia, e, per un certo verso la Val d’Aosta, nella condizione di avere già l’autonomia con uno Statuto, per cui deve soltanto procedersi al coordinamento; e invece le altre due: la Sardegna e il Trentino-Alto Adige, per le quali si deve adottare uno Statuto ex novo.

Con la parola «adozione», – che, come tutti gli egregi colleghi possono testimoniare, fu la più torturata nei vari stadî dell’elaborazione dell’articolo 116, si tenne appunto conto di questa diversa situazione. Si stabilì in sostanza che per lo Statuto siciliano, che già esisteva, si sarebbe operato il coordinamento di cui al secondo comma dell’articolo unico del provvedimento legislativo 15 marzo 1946, che l’aveva approvato, mentre per la Sardegna, il Trentino e l’Alto Adige si sarebbe proceduto ad una elaborazione ex novo di tutto l’ordinamento autonomistico.

Detto questo, vengo subito ad occuparmi della materia sulla quale devo riferire.

La brevità del tempo e l’urgenza di arrivare in modo assoluto ad una conclusione per tutti e quattro gli statuti speciali, entro il 31 di questo mese, ha impedito di presentare una relazione scritta. Quella orale sarà breve, perché ritengo che ormai la materia sia da tutti tanto conosciuta, che non occorre spendere parole per illustrarla ulteriormente.

Sono stati avanzati dei dubbi da parte di qualche eminente collega. Mi sforzerò di dissiparli, riandando ai precedenti della questione e ridando ulteriori delucidazioni.

Noi non possiamo non tener presente che, se la riforma regionalistica è adottata da questa Assemblea di sua iniziativa per tutte le Regioni, per la Sardegna la riforma era richiesta da tempo dalla popolazione dell’isola. Erano le condizioni particolari della Sardegna, era la sua storia, erano le sue esigenze caratteristiche, che portavano il popolo sardo e i suoi esponenti a fare un’affermazione regionalistica autonomistica, quando per altre Regioni sarebbe sembrato quasi un assurdo e una follia pronunziare quelle parole come programma concreto da realizzare.

Fu dopo l’altra guerra che il partito autonomista sardo s’in pose all’attenzione di tutta l’Italia. Si ebbe un’affermazione anche in Sicilia, per circostanze storiche ed esigenze comuni o analoghe. Ma il movimento fu spento da tutto quello che appresso successe. E quindi, invece di andare incontro alle esigenze e richieste delle due isole, e invece di mantener fede alla parola che si era data alle popolazioni delle nuove provincie rientrate nel seno della patria, che già godevano dell’autonomia sotto il regime austriaco, si attuò un ordinamento completamente diverso.

L’Italia è ritornata dopo la seconda guerra mondiale sulle posizioni del 1918-19, nei riguardi della Sardegna e della Sicilia. Questo fu fatto prima che fosse convocata l’Assemblea Costituente, nel periodo che possiamo chiamare di emergenza, quando il Paese era scosso da avvenimenti che lo travagliavano e minacciavano di portarlo alla rovina. Il Governo del tempo credette opportuno, per la Sardegna e la Sicilia, di adottare un ordinamento che sostanzialmente può considerarsi autonomistico, per quanto, dal punto di vista giuridico, possa prospettarsi come un larghissimo decentramento amministrativo. Infatti con un decreto luogotenenziale del 16 marzo 1944 si istituì un Alto Commissariato per la Sardegna, e immediatamente dopo, il 18 marzo, un Alto Commissariato per la Sicilia. Il decreto riferentesi alla Sardegna porta il numero 90, quello per la Sicilia il numero 91. La sorte delle due isole è intimamente legata!

Che cosa si stabilì con questo primo ordinamento speciale dato alle due isole? Si stabilì di dare al rispettivo Alto Commissario tutte le attribuzioni delle amministrazioni statali, eccetto talune espressamente indicate.

In Sardegna, come in Sicilia questo nuovo ordinamento venne immediatamente attuato; accanto all’Alto Commissario, furono istituite le rispettive consulte regionali; i quali organi agirono nello spirito degli interessi regionali ed insieme di quelli unitari di tutta la Patria!

Questa, o colleghi, è la realtà! Questa è la testimonianza che, mentre ci accingiamo ad approvare questi statuti, noi abbiamo il dovere di rendere alla Sicilia e alla Sardegna, perché in quelle Assemblee regionali nessuna voce sorse che avesse potuto compromettere la Patria!

Invece, tutti gli sforzi furono volti ad adempiere i compiti che il Governo unitario dello Stato aveva loro attribuiti, e – fra questi – quello di elaborare il progetto di statuto regionale.

Bisogna ricordare che – urgendo maggiormente le necessità in Sicilia – l’Alto Commissario onorevole Aldisio presentò alla Consulta regionale un progetto di statuto, che la Consulta discusse e rielaborò, approvandone il testo definitivo il 23 novembre 1945, e lo stesso onorevole Aldisio trasmise lo statuto sollecitandone l’adozione al Governo, il quale lo inviò alla Consulta Nazionale; dopo di che il Governo lo adottò nel testo integrale che era stato presentato da Aldisio.

Io ho sentito da varie parti – e mi pare che quanto diceva dianzi l’onorevole Persico sia l’eco, forse fondata (anzi, direi, fondata giacché noi dobbiamo dire la verità!) di quelle voci – ho sentito spesso da varie parti che la Consulta Nazionale non volle discutere il problema e addivenne, per mezzo delle sue Commissioni, ad un’approvazione pura e semplice, fatta (e questo fu il grave, egregio onorevole Persico!)…

PERSICO. È vero!

AMBROSINI, Relatore. …fatta con riserva mentale, che fu dannosa assai e che la saggezza dei siciliani ha saputo fronteggiare e superare con molto tatto, evitando conseguenze spiacevoli!

Fu una riserva mentale per la quale ho sempre protestato –anche in occasione della mozione per il rinvio delle elezioni per l’Assemblea regionale siciliana – e protesto ora affermando che non è lecito a nessuna Assemblea di procedere come avrebbe fatto, secondo le voci suddette, quella Consulta, senza assumersi tutte le responsabilità di sostanza!

Noi italiani abbiamo bisogno di riaffermare questo senso di responsabilità!

Noi dicemmo, in occasione della discussione della mozione sul rinvio delle elezioni, che non era lecito scrollare le spalle e disdire un impegno che lo Stato aveva assunto. Gli organi dello Stato hanno vita continuativa e debbono rispettare gli impegni presi.

Per la stessa ragione per la quale mi opposi al rinvio delle elezioni siciliane – rinvio che avrebbe importato il ripudio dell’impegno assunto dallo Stato, sia pure con riserve mentali – io credo di dover dissentire da quanto l’onorevole Persico ha detto in principio di questa seduta.

Per la Sardegna, fortunatamente, il fatto lamentato non è avvenuto. Quando la Consulta nazionale rimandò alle Commissioni, per evitare di decidere in seduta plenaria, lo Statuto siciliano, i rappresentanti della Sardegna chiesero che quello stesso statuto fosse esteso senz’altro alla loro isola. Nel verbale della seduta delle Commissioni del 7 maggio, uno dei più autorevoli rappresentanti della Sardegna motivò la richiesta, aggiungendo che lo statuto adottato per la Regione siciliana doveva estendersi alla Sardegna «con gli opportuni adattamenti»; ed in questo senso decisero le Commissioni della Consulta Nazionale. Nell’ordine del giorno finale si espresse parere favorevole all’estensione dello Statuto siciliano alla Sardegna. Senonché, successe quello che l’egregio collega Perassi ha detto, che per un senso di giusto orgoglio i sardi avvertirono che poteva esserci qualche, sia pur lieve, differenza di situazione riguardo alla Sicilia, e che comunque – questa è la verità – volevano avere la soddisfazione di elaborare da se stessi la loro creatura, il proprio Statuto.

Perciò non avvenne l’estensione delle norme dello Statuto siciliano alla Regione sarda; e la Sardegna continuò la sua vita embrionalmente autonomistica sotto il regime dell’Alto Commissario e della Consulta regionale sarda. I quali però – bisogna dirlo a loro grande onore – non hanno perduto il proprio tempo. Cominciarono a lavorare sul terreno concreto delle provvidenze che occorreva chiedere, elaborare e, possibilmente, attuare nei campi specifici. E fecero quello che aveva fatto la Consulta siciliana, elaborando il loro statuto. Vennero certo a trovarsi, egregi colleghi, in una situazione di grande vantaggio, perché l’esperienza siciliana era in atto. C’era il testo dello statuto siciliano, e vi erano le discussioni, d’importanza veramente notevole, che da parte dei varî esponenti delle correnti politiche della Sicilia erano state fatte nel seno della Consulta regionale a Palermo. Ed era avvenuta la discussione nel grande pubblico.

La nostra Assemblea, attraverso l’opera della Commissione, aveva iniziato (rammentiamolo, questo fu il primo argomento che venne in discussione appena si riunì la Commissione dei Settantacinque) la discussione di questo argomento, che nella seconda Sottocommissione fu messo a fuoco; e per cui si costituì subito un Comitato speciale, da me presieduto, che lavorò a presentare il primo progetto, che io approntai, di riforma regionale per tutte le regioni in generale. Ed allora i consultori sardi, che avevano l’orgoglio di elaborare la propria creatura, ma che non sono affatto dominati da vedute particolaristiche e che, pur chiusi nella loro isola, tengono gli occhi aperti all’orizzonte del mondo, fecero tesoro delle esperienze, delle discussioni e dei contrasti avvenuti anche all’Assemblea Costituente; e cominciarono a redigere ed hanno poi redatto un progetto di statuto «speciale», alla cui redazione definitiva nella Commissione dei Diciotto sono orgoglioso di avere cooperato. I consultori sardi, nell’affermare le esigenze dell’isola, tennero conto, come ne avevano tenuto i siciliani, della esigenza unitaria della Patria.

Dal punto di vista formale e giuridico accolsero gli accorgimenti diretti a conciliare questo due esigenze, ed arrivarono veramente alla costruzione di un solido ed armonico edificio.

Egregi colleghi, è questo il progetto di Statuto presentato al vostro esame. È bene si tenga presente che i consultori sardi, nell’elaborarlo, hanno sentito la necessità della collaborazione dei deputati sardi all’Assemblea Costituente, e che, dopo questa collaborazione, essi sono venuti dinanzi alla nostra Commissione ad esporre i loro punti di vista e a discutere con noi sui dettagli del progetto; arrivando così alla definizione di un insieme di norme, che sono state approvate all’unanimità dalla Consulta sarda, dai deputati sardi ed anche dalla Commissione, a nome della quale io ho l’onore di parlarvi.

Qual è la struttura di questo progetto? Esso, nella massima parte, riporta con qualche modifica le norme della Costituzione e contiene in più, delle norme di portata più ampia, in grazia alla facoltà che l’articolo 116 della Costituente consente.

Coll’articolo 116, infatti, si prevede la possibilità che alcune regioni, e precisamente la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta, potessero, in considerazione della loro particolare situazione, avere un ordinamento non uguale a quello stabilito nelle norme della Costituzione per tutte le altre regioni in generale.

È questa la spiegazione della formula, tanto torturata e tanto criticata, ma opportuna ed espressiva di «Statuti speciali» inserita nell’articolo 116.

Noi oggi per la Sardegna vi presentiamo uno «Statuto speciale». Siccome sarebbe superfluo e fuor d’opera illustrare tutte le norme, che sono uguali a quelle della Costituzione, mi limiterò a segnalare quelle altre che sono state adottate in considerazione della particolare situazione dell’isola, e che pur non essendo uguali, non contrastano con le norme della Costituzione.

Quali sono? Anzitutto la legislazione.

La Consulta sarda ha creduto che era opportuno mantenere il sistema primitivo adottato dalla seconda sottocommissione, di distinguere le facoltà legislative del Consiglio regionale sardo in tre tipi di legislazione; e questo è stato fatto con gli articoli 3-4 e 5.

Devo aggiungere, a tranquillare le coscienze più scrupolose, che in testa all’articolo 3, che prevede il tipo di legislazione più ampia, la Commissione ha arrecato al testo proposto dalla Consulta sarda qualche piccola aggiunta, che è sufficiente ad eliminare le obbiezioni ed i timori da qualcuno avanzati. Infatti, mentre si diceva: «In armonia con la Costituzione ed i principî dell’ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi nazionali», la Commissione, ha ampliato la formula dicendo: «In armonia con la Costituzione, ecc., ecc., e nel rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economiche e sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie».

Ritengo che non sia necessario soffermarsi ad illustrare il sistema dei tre tipi di legislazione. Noi dobbiamo presto concludere i nostri lavori, a data fissa, e siamo costretti a procedere avanti con rapidità.

Oltre alla modifica suaccennata, la Commissione ne ha apportata qualche altra al progetto sardo.

Gli onorevoli colleghi potranno controllarle riguardando i due testi del Titolo II.

Passando al Titolo III, che riguarda la finanza, il demanio e il patrimonio, faccio presente che proprio qui è più operante il sistema dell’articolo 116 della Costituzione, che prevede gli statuti speciali. Partendo dal principio fondamentale della Costituzione, che è quello dell’articolo 119, si è passati nel campo concreto ad indicare in modo particolareggiato le entrate finanziarie della Regione. Noto che, senza autonomia finanziaria, vano ed assurdo sarebbe parlare di autonomia. Allora dovremmo avere l’onestà e il coraggio di parlare di decentramento amministrativo. Se l’Assemblea, che ha adottato il sistema dell’autonomia, non vuole fare un passo indietro (e non lo potrebbe), se non vuole smentire se stessa, deve stabilire come si attua l’autonomia finanziaria. Ciò si comincia a fare nello Statuto sardo con una larghezza di vedute rispondente alle necessità particolari dell’Isola. Con l’articolo 8, che è così ben congegnato che vorrei augurarmi venga adottato in qualche altro Statuto speciale, si provvede in modo adeguato e più adatto ai bisogni della Regione di quanto non sia stato fatto nella norma correlativa di qualche altro statuto speciale.

Il Titolo III, che va dall’articolo 7 all’articolo 15, tende a disciplinare tutto il campo economico e finanziario. Vi sono dello disposizioni di notevole importanza, come quella dell’articolo 13, che prevede che saranno istituiti nella Regione punti franchi. Noto che qualche collega manifesta delle apprensioni.

Bisogna tranquillarlo, amico Persico, mettendo in rilievo che il regime doganale nella Regione resta di esclusiva competenza dello Stato. Potranno stabilirsi i punti franchi, ma da parte dello Stato, su richiesta, e comunque, si intende, d’accordo con la Regione.

La Commissione mi ha autorizzato a fare questa dichiarazione esplicita circa la portata del secondo comma dell’articolo 13. L’elemento locale deve intervenire, perché l’organo centrale, pur essendo rappresentato dalle persone più illuminate, può non avere la completa o la piena comprensione dei bisogni locali così come la hanno i nativi del luogo. Quindi è evidente che, per conciliare le varie esigenze, occorre che il provvedimento debba essere preso dallo Stato, ma d’accordo con gli esponenti della Regione sarda. (Interruzione del deputato Persico).

Onorevole Persico, io credo che sarebbe più conveniente che, mentre io parlo, lei prenda gli appunti e poi proponga eventualmente gli emendamenti aggiuntivi.

Dunque, dicevo, i punti franchi possono essere stabiliti con provvedimento del Governo centrale, d’accordo però con la Regione sarda.

Debbo aggiungere, per tranquillare altri timori che, nell’articolo 15, dove si dice: «La Regione, nell’ambito del suo territorio succede ai beni patrimoniali dello Stato ecc.» si propone di aggiungere una esclusione sulla quale tanto discutemmo nella Commissione, e cioè: «escluso il demanio marittimo».

Di notevole importanza sono gli articoli 11 e 12, con i quali, non in contrasto con la Costituzione, ma in aggiunta alle sue norme ed in grazia della clausola dell’articolo 116 che dà alla Sardegna uno Statuto speciale, si dà facoltà alla Regione di disporre, nei limiti della propria competenza tributaria, esenzioni e agevolazioni fiscali per nuove imprese.

Si tratta di una Regione illustre, ma povera, che bisogna in tutti i modi aiutare. Naturalmente, queste agevolazioni fiscali non saranno il toccasana, ma certamente potranno dare un qualche apporto per spingere l’Isola sulla via della costruzione di un nuovo assetto industriale e di un progresso dell’agricoltura. In proposito molto possono agire le disposizioni dei comma 3, 4, 5 dell’articolo 13.

E, ancora, si è data facoltà alla Regione di emettere prestiti interni, da essa esclusivamente garantiti. I rappresentanti della Consulta sarda si dichiararono, con quell’orgoglio che è proprio di questa gente fiera e valorosa, che essi volevano far da se stessi e che, per i prestiti da emettere, non chiedevano la garanzia di nessuno. La Commissione accolse senz’altro la loro proposta.

Per chiudere su questo punto, aggiungerò qualche parola sulla disposizione dell’articolo 14, il quale dice: «Lo Stato, col concorso della Regione dispone un piano organico di opere pubbliche per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola».

Debbo mettere in rilievo la comprensione dei rappresentanti della Sardegna: essi non esitarono a dire che, dato che lo Stato concorreva alla spesa, doveva necessariamente intervenire anche nella formulazione del piano; ed espressamente ebbero il coraggio di dirlo senza ricorrere a riserve mentali, a quelle riserve mentali alle quali ho accennato all’inizio del mio discorso e che sono dannose agli individui, alle Assemblee, ai popoli che le fanno.

Il Titolo IV si occupa degli organi della Regione.

Non esistono quasi divergenze rispetto alle norme stabilite dalla Costituzione, salvo che, in riguardo alla legge elettorale (articolo 177) per la elezione del Consiglio regionale, per cui si stabilisce l’adozione del suffragio universale, diretto, uguale e segreto e del sistema proporzionale.

Forse (esprimo il mio avviso personale) sarebbe stato meglio non pregiudicare in tutto il sistema elettorale. Ma, giacché la Consulta sarda lo ha proposto, giacché sono partito sempre dal presupposto di accettare quello che proponeva la Consulta sarda fino a quando non contrastasse con la Costituzione, non ho fatto obiezione all’articolo 17, anche per la parte che personalmente non avrei preferito.

Vi è un altro punto che occorre, per dovere di coscienza, sottoporre all’attenzione degli onorevoli colleghi: è quello dell’articolo 18, in cui si parla della condizione dell’elettorato attivo e passivo. È un articolo, egregi colleghi, che forse molti possono sorpassare, ma che io ritengo di non lieve importanza. Il primo comma dell’articolo dice: «È elettore ed eleggibile al Consiglio regionale chi è iscritto nelle liste elettorali della Regione». Ora, qual è la portata di questa disposizione che io, nel mio scrupolo, sento il dovere di sottoporre particolarmente all’attenzione dell’Assemblea?

La portata di questa disposizione è questa, che, se un sardo o un italiano di altre Regioni, il quale ami la Sardegna con la stessa intensità di un sardo, volesse domani, avendo il favore di tutta la popolazione sarda, proporre la propria candidatura per il Consiglio regionale della Sardegna, egli non potrebbe farlo se non fosse iscritto nelle liste elettorali della Sardegna.

Io ritengo che questo sia un inconveniente; io ho presente il nome di altissime personalità sarde, che illustrano la Sardegna, ma che certamente non sono iscritte nelle liste elettorali della Sardegna. Orbene, se taluna di queste personalità volesse dare il contributo della propria esperienza offrendosi ad entrare nel Consiglio regionale, non potrebbe farlo. Ciò, ritengo, sia un grave inconveniente.

Sugli altri articoli non mi soffermo. Notevole l’articolo 24 che si riferisce alla formazione della legge. Il sistema è quasi completamente uguale a quello adottato dal corrispondente articolo 127 della Costituzione, con la sola differenza che le leggi votate dal Consiglio regionale della Sardegna, non sono comunicate ad un Commissario del Governo in Sardegna, ma sono inviate direttamente al Governo nazionale.

Riprenderò questo punto brevemente quando accennerò al sistema speciale di rapporti esistente fra la Regione sarda e lo Stato.

Passando ora all’organo amministrativo della Regione, cioè al Presidente e alla Giunta regionale, io ho l’obbligo di segnalare all’Assemblea il sistema diverso che la Consulta sarda ha proposto riguardo alla norma votata dalla Costituzione. La Commissione ha accolto la proposta sarda, in quanto ha ritenuto che essa non presenti contrasto con la Costituzione.

Il sistema diverso – quale risulta dagli articoli 37, 38, 39 e 41 – è questo, che il Consiglio regionale procede all’elezione del Presidente della Regione, ma che – e qui debbo notare due differenze rispetto alle norme sancite dalla Costituzione – ma che, dicevo, non è contemporanea la elezione del Presidente regionale e degli assessori, dei membri cioè della Giunta regionale, in quanto la prima elezione avviene sulla persona del Presidente, ed in un secondo tempo su quella degli assessori i cui nomi sono proposti dal Presidente regionale al Consiglio. È questa la norma dell’articolo 38; e si ha qui la prima differenza di fronte alla norma della Costituzione.

La seconda differenza – che risulta indirettamente, ma in modo certamente non equivoco dalle disposizioni degli articoli 39 e 41 – è che i membri della Giunta regionale possono essere persone che non fanno parte del Consiglio regionale.

Debbo in proposito, per dovere illustrativo, dire che da alcuni è stato osservato che si tratta di disposizione che ferisce quasi un’isola illustre come la Sardegna ed il suo Consiglio regionale in quanto lascerebbe pensare che possa non esserci nel seno al Consiglio un numero sufficiente di persone tali da tenere l’amministrazione della Regione. D’altra parte si è osservato che, siccome l’amministrazione deve essere tenuta normalmente dalla maggioranza, e siccome, per particolari condizioni, possono, se non mancare, trovarsi in questa maggioranza persone che per il loro ufficio e per il loro lavoro abituale non sentano o non possano portare la loro cooperazione all’amministrazione attiva, allora è saggio prevedere la possibilità che la carica di assessore regionale sia affidata a persone che non facciano parte del Consiglio regionale. Ad ogni modo il sistema proposto dalla Consulta sarda non contrasta con la Costituzione, e la Commissione lo ha accettato.

Il Titolo V riguarda gli enti locali. Abbiamo qui una lieve differenza rispetto alle eventuali modifiche al numero, alla circoscrizione, alla funzione e alla struttura delle province, giacché, mentre l’articolo 133 della Costituzione stabilisce che per il mutamento delle circoscrizioni e l’istituzione di nuove province occorre una legge della Repubblica, col secondo comma, invece, dell’articolo 44 del progetto di Statuto sardo, questa facoltà è affidata alla Regione. Infatti esso dice:

«Con legge regionale possono essere modificati il numero, la circoscrizione, le funzioni e la struttura delle province, in conformità alla volontà delle popolazioni di ciascuna delle province interessate espressa con referendum».

Debbo notare che l’innovazione è notevole. Però l’ultima parte di questo secondo comma dell’articolo 44 attenua di molto, e forse fa scomparire, quella che qualcuno potrebbe prospettare come divergenza di fronte alla norma della Costituzione, giacché la legge regionale può, sì, invece che la legge dello Stato, procedere alle modificazioni previste, ma a condizione che vi sia la conforme volontà delle popolazioni locali. Cosicché non potrà mai darsi il caso – e credo che il collega onorevole Abozzi, che tante volte ha insistito su questo punto, possa essere sodisfatto – che la provincia di Nuoro o quella di Sassari o quella di Cagliari possano essere con un colpo di mano, anche di tutta la maggioranza delle altre due province attraverso i loro esponenti nel Consiglio regionale, essere costrette a far parte di un’altra provincia.

ABOZZI. E tanto meno scomparire.

AMBROSINI, Relatore. Se non può essere modificata, naturalmente non può scomparire. Dobbiamo ripetere quella storiella che il nostro Presidente dei Settantacinque, onorevole Ruini, ci ha raccontato e a cui ha fatto ricorso per rispondere implicitamente a quesiti propostigli: che una volta v’era un tale che voleva far passare da un muro un asino e un cane. Quando ebbe fatto nel muro un buco abbastanza grande da far passare l’asino, si sentì chiedere: e per il cane? L’onorevole Ruini ha fatto ogni tanto ricorso a questa storiella. Evidentemente se passava l’asino passava anche il cane.

ABOZZI. Anche sugli asini e sui cani è sempre bene precisare. (Si ride).

AMBROSINI. Relatore. Quando è possibile operare le modifiche solo con l’approvazione delle popolazioni interessate voi avete una salvaguardia completa, che forse non avreste con le leggi della Repubblica. Giacché secondo l’articolo 44 dello statuto sardo che avrà valore costituzionale, e che quindi una legge ordinaria non potrà modificare, voi siete molto più salvaguardati che con la norma dell’articolo 133 della Costituzione, che invece dà la competenza di modificare le province con legge ordinaria senza bisogno dei consenso delle popolazioni interessate.

Vado rapidamente all’altro titolo, ugualmente importante, dei rapporti fra lo Stato e la Regione.

Devo qui dire all’Assemblea che la Commissione ha lungamente discusso, in quanto i consultori sardi hanno insistito in modo irremovibile su alcuni punti. Quali? Innanzi tutto questo: non vogliono un Commissario del Governo, non lo vogliono assolutamente. E quindi, come vi ho detto, per l’articolo 34 nel quale è previsto il modo di formazione delle leggi regionali, le leggi votate dal Consiglio regionale sono trasmesse direttamente al Governo centrale.

In sostanza sarebbe lo stesso, perché un rappresentante del Governo centrale in loco, difficilmente adotterà una deliberazione così importante senza consultare il Governo.

Certo qui è notevole la differenza con la norma della Costituzione. Ma ci troviamo di fronte ad una suscettibilità dei sardi che dobbiamo comprendere e rispettare, perché, dico francamente, non ne deriva nessun danno, nella sostanza.

Naturalmente bisogna che il Governo centrale sia vigile, perché altrimenti il meccanismo non funzionerebbe.

Io capisco che un Commissario del Governo in loco può più accuratamente seguire la discussione che su un progetto di legge avvenga nell’Assemblea regionale. Ma credete voi che sia il caso di impuntarci di fronte ad una richiesta così precisa della Consulta sarda, quando, in sostanza, non si sposta l’asse del sistema della Costituzione per la parte che riguarda la formazione delle leggi regionali?

Insemina il Governo centrale ha sempre il diritto di rimandare una legge approvata dall’Assemblea regionale all’Assemblea stessa, e, nel caso che questa insista, di fare l’impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale quando si tratta di questioni di legittimità, e dinanzi al Parlamento quando si tratta del merito.

Dico la verità: io ho insistito presso i rappresentanti della Consulta sarda, perché su questo punto si seguisse completamente la Costituzione. Ma, di fronte alla loro non adesione e alla loro insistenza, io e la Commissione abbiamo ritenuto che non fosse il caso d’impuntarci e che si potesse accettare la loro proposta.

Per tranquillizzare l’Assemblea faccio rilevare che alla fine, dopo le nostre insistenze, i colleghi sardi hanno finito per accettare l’introduzione nello Statuto di una norma che prevede la presenza nell’Isola di un rappresentante diretto del Governo, per quanto non dotato di alcuna ingerenza relativamente alla formazione delle leggi regionali. È la disposizione dell’articolo 50, con la quale si dice che un rappresentante del Governo sovraintende alle funzioni amministrative dello Stato non delegate e le coordina con quelle esercitate dalla Regione.

Vedete, egregi colleghi, che così gran parte della sostanza della correlativa norma della Costituzione è inserita nello Statuto sardo. Semplicemente il nome non v’è: la parola di «commissario» è eliminata. Noto dei dissensi, ma osservo insomma, quando si dice «un rappresentante del Governo», si può, per la sostanza, essere tranquilli. Questo rappresentante del Governo avrà poi la denominazione che i letterati e quelli che hanno un’inventiva adeguata sapranno meglio trovare.

L’interessante è che possiamo arrivare all’approvazione dello Statuto senza quei dissensi da parte dei sardi, che potrebbero portarci lontano nella stessa discussione.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Era il termine usato dalla Costituzione!

AMBROSINI, Relatore. Egregio onorevole Andreotti, l’ho detto chiaramente. Ma di fronte a questa sensibilità dei sardi che non credono di accettare la parola «Commissario», che cosa dovevamo fare noi? Presentare un progetto che non fosse completamente accettato dai sardi semplicemente per una sola parola?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Allora le altre regioni dovrebbero fare la stessa cosa.

AMBROSINI, Relatore. Io prego l’onorevole Sottosegretario di tener sott’occhio l’articolo 50. Vi si dice: «un rappresentante del Governo».

MASTINO GESUMINO. Potremmo chiedere al Sottosegretario perché ha tanta simpatia per la parola: «Commissario»?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Perché è stato votato dalla Costituente.

AMBROSINI, Relatore. Onorevole Mastino Gesumino, non è il caso di fare una polemica per la parola! Ma passiamo all’articolo 51 che merita di essere esaminato.

Io ho dato all’Assemblea la spiegazione delle ragioni per cui abbiamo ritenuto opportuno di accogliere la insistente richiesta e proposta della Consulta sarda e dei colleghi deputati sardi all’Assemblea Costituente.

LUSSU. E non accoglierne tante altre!

AMBROSINI, Relatore. Ecco, l’onorevole Lussu già protesta perché dice che non se ne sono accolte tante altre! No, onorevole Lussu, qualcuna era eccessiva, e per ciò stesso non sarebbe stata vantaggiosa alla Regione! Credo di poterle affermare con sicura coscienza; se io (io posso parlare esprimendo il mio personale parere), se io avessi ritenuto che quella qualche proposta era favorevole alla Regione, io la avrei votata, anche a costo di restare solo. Ho sempre dichiarato all’onorevole Lussu e agli altri colleghi che pregiudizialmente andavo sempre incontro a tutte le richieste della Consulta sarda.

Comunque, se si ha la fortuna di arrivare a presentare un progetto che ha raccolto l’unanimità, perché andare a fare disquisizioni che potrebbe portare all’incrinatura di questa unanimità?

Passo all’articolo 51. Prego gli onorevoli colleghi di tenere sott’occhio il testo. In questo articolo si attribuisce al Presidente della Regione un potere che non avranno i Presidenti delle altre Regioni, ad eccezione del Presidente regionale della Sicilia, che già ha tale potere. Io prego gli egregi colleghi di consentirmi di non dare molte illustrazioni su questo punto perché, da che mondo è mondo, i paragoni sono odiosi; ed io non devo farli, e la Commissione non li ha fatti.

La disposizione è questa: «Il Presidente della Giunta regionale, nella sua qualità di rappresentante del Governo, provvede alla tutela dell’ordine pubblico e sovraintende alla sicurezza pubblica, dispone della polizia di Stato e può richiedere l’impiego delle forze armate».

Sarebbe puerile non confessare che su questo punto non vi sono stati gravi dissensi e discussioni. Non occorre indicarne i termini, giacché sono facilmente intuibili. Per mio conto ho dichiarato nella Commissione, e dichiaro, che ho votato questo articolo perché un articolo corrispondente v’è nello Statuto della Sicilia. Siccome, ho sempre detto, io ho accomunato la situazione giuridica delle due isole, non potevo perciò né volevo rifiutarmi di approvare questo articolo. Aggiungerò che le eventuali titubanze possono essere colmate quando si tenga sott’occhio la disposizione del secondo comma dello stesse articolo che dice: «Il Governo della Repubblica può, in via temporanea, esercitare direttamente tali funzioni».

Adunque, normalmente la funzione appartiene al Presidente della Regione; eccezionalmente – quando lo ritenga utile, opportuno o necessario – il Governo può assumerla. La Commissione, anche su questo punto delicatissimo, ha aderito all’unanimità alla richiesta della Consulta sarda.

Non si è dissimulata la gravità della disposizione; però ha ritenuto che l’affidare questo compito al Presidente della Regione sarda non deve preoccupare, in quanto il Presidente della Regione sarda, come il Presidente della Regione siciliana, avranno sempre tale senso di giustizia e tale coscienza dell’unità della Patria che saranno guardinghi nell’esercizio del potere in questione e che in nessun caso, metteranno in pericolo la compagine dello Stato.

Credo di poter mettere le mani sul fuoco, di garantire quasi con la mia vita, che gli amministratori della Sardegna e gli amministratori della Sicilia non tradiranno mai il loro compito.

Ad ogni modo, v’è la salvaguardia; ed è costituita dal secondo comma dell’articolo 51 col quale si dà al Governo la facoltà di intervenire.

Per tranquillizzare altri scrupoli, farò un accenno alle disposizioni dell’articolo 53.

Anche su questo punto, onorevole Persico, la Commissione propose all’ultimo momento un’aggiunta alla richiesta dei consultori sardi.

La Consulta sarda non solo aveva sempre chiesto di poter presentare proposte di legge alle Assemblee nazionali, ma aveva sempre insistito, adducendo il motivo della lontananza dal centro e mettendo in rilievo le condizioni particolari dell’isola, che fosse consentito alla Giunta regionale di sospendere l’applicazione di quella qualche legge della Repubblica, che eventualmente ferisse troppo gravemente, nel campo economico e sociale, gli interessi della Sardegna.

Abbiamo discusso a lungo, onorevole Paratore; creda pure che il nostro scrupolo non è stato assolutamente minore del suo. Ed abbiamo finito sempre, per conservare l’unanimità, con l’accettare la richiesta, con gli accorgimenti però necessari, perché non fosse infranto il sistema fondamentale della Costituzione.

Il secondo comma dell’articolo 53 diceva: «La Giunta regionale, quando constati che l’applicazione di una legge o di un provvedimento dello Stato in materia economica o finanziaria risulti manifestamente dannosa all’Isola, può chiederne la sospensione al Governo della Repubblica, il quale, constatata la necessità e l’urgenza, può provvedervi».

Io stesso feci delle riserve. Riconosco quanto mi si obiettava, che la Giunta regionale non farebbe proposte avventate, e che comunque il Governo centrale non aderirebbe alle proposte della Giunta senza constatare l’esistenza della necessità e dell’urgenza. Ma restava una obiezione, che col testo approvato nel primo momento dalla Commissione appariva sempre insuperabile, giacché in base a quel testo si sarebbe data al Governo una potestà che va al di là dei suoi poteri costituzionali, cioè la potestà di sospendere l’applicazione della legge ed in concreto di abrogarla. Mi ero opposto per ciò al secondo comma dell’articolo 53, che era stato approvato da tutti i componenti della Commissione, dichiarando che, pur rimanendo solo, non avrei potuto approvarlo. I colleghi della Commissione vennero incontro ai miei scrupoli ed accettarono la mia proposta di aggiunta. Devo dire ad onore dei deputati sardi che anche essi la accettarono completamente. Io suggerii di completare la disposizione, dicendosi espressamente che il Governo può, sempre che ricorrano le condizioni previste, provvedervi «avvalendosi ove occorra della facoltà di cui all’articolo 77 della Costituzione».

In conseguenza, quando si tratta di provvedimenti del potere esecutivo, il Governo ne ha la competenza, e può senz’altro emanare la disposizione di sospensione. Quando invece si tratta di leggi, il Governo può provvedere, avvalendosi della facoltà prevista dall’articolo 77 della Costituzione, a mezzo cioè di ordinanze di urgenza da sottoporre subito alla ratifica del Parlamento.

Egregi colleghi, vi sarebbero in verità osservazioni da fare su altri punti dello statuto; ma è tardi e non debbo continuare più a lungo il mio discorso.

Ho detto che questo progetto di statuto sardo è il frutto di una lunga elaborazione. Credo che possiamo votarlo con completa fiducia anche nelle disposizioni che possono apparire più delicate. Non posso sottrarmi alla suggestione di quanto l’egregio Presidente della Commissione onorevole Perassi disse alla fine del suo discorso: rammentiamoci che i sardi sono i fanti della Brigata Sassari. Quando se ne è presentata la necessità, sono corsi per primi a difendere la Patria. Bisogna avere fiducia completa negli isolani; essi sentono che qualsiasi attentato alla Patria per primi colpirebbe loro e rischierebbe di estraniarli da quell’afflato comune che è sempre esistito nel nostro Paese, anche quando era diviso, che si è rafforzato con la prima guerra mondiale, che è diventato ancora più forte, più affettuoso, più saldo, dopo la sventura della disfatta, e che gli isolani intendono, attraverso l’autonomia regionale, riaffermare, perché essi considerano l’autonomia come uno strumento di valorizzazione delle energie locali e di cooperazione maggiore per il benessere e per il progresso della Patria comune. (Vivi applausi – Molte congratulazioni).

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Le ricordo, onorevole Persico, che sul disegno di legge in esame non v’è discussione generale.

PERSICO. Vorrei proporre soltanto brevissimi emendamenti su pochi articoli.

PRESIDENTE. Li mandi alla Presidenza, onorevole Persico, dopo averli formulati per iscritto, se intende che siano fatti conoscere all’Assemblea.

PERSICO. Sta bene, signor Presidente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente del Consiglio per esprimere il parere del Governo.

DE GASP ERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Voglio limitarmi a una dichiarazione di carattere generale: il Governo è molto lieto che si affermi il principio delle autonomie, in modo particolare per quella di cui si tratta ora, ed è con spirito di adesione, in via di massima, che partecipa, come può partecipare, alla discussione.

Dico onestamente che avrei desiderato una più intensa collaborazione fra il Governo e la Commissione. E questo non soltanto per taluni importanti problemi, come quello della autonomia finanziaria, ma anche per le questioni più generali.

Il Titolo VI del disegno di legge, ad esempio, parla dei rapporti fra lo Stato e la Regione. Sarebbe stato opportuno che questo problema fosse stato discusso, se non in contradittorio, almeno in uno scambio dialettico di argomenti anche con i rappresentanti dell’amministrazione centrale.

Se confrontate (questo è il primo momento in cui prendo visione del disegno di legge) gli articoli 48 e 49, vi accorgete di una diversità di dizione, che deve essere frutto – lo capisco bene – di un laborioso compromesso, ma che lascia un po’ perplessi. All’articolo 48 si dice che «il Presidente della Giunta regionale rappresenta il Governo dello Stato»; e questo è un fatto grave. All’articolo 49 si dice che «il Presidente della Giunta regionale dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo»; e ciò rettifica e in parte tranquillizza; ma forse la forma poteva essere più felice.

All’articolo 50, poi, si introduce il rappresentante del Governo che sovraintende alle funzioni amministrative dello Stato. Come ho sentito e come mi posso immaginare, si tratta di sostituire il titolo, non popolare in Sardegna, di «commissario» con quello di «rappresentante del Governo».

Posso comprendere queste suscettibilità, ma non l’evidente contradizione fra l’articolo 48, per cui il Governo è rappresentato dal Presidente della Giunta, e l’articolo 50, per cui il Governo è rappresentato da un proprio rappresentante.

Oltre a ciò, si dice all’articolo 49 che «Il Presidente della Giunta regionale dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo». Mi pare che la dizione sia ancora suscettibile di qualche elaborazione e di qualche miglioramento.

Quanto all’articolo 51, secondo il quale il Presidente della Giunta regionale provvede alla tutela dell’ordine pubblico e sovraintende alla sicurezza pubblica, dispone della polizia di Stato e può richiedere l’impiego delle forze armate, deve essere ben chiaro che si tratta di potere delegato, tanto è vero che poi si dice che il Governo della Repubblica può in via temporanea (cioè quando occorra, in caso di necessità o di urgenza) esercitare direttamente tale funzione. Comunque l’articolo 51 è alquanto oscuro. Ma non voglio fermarmi su ciò, perché non possiamo pretendere da uno statuto regionale l’esattezza e la piena conformità, quando difficilmente le possiamo raggiungere nei lavori dell’Assemblea.

In via generale il Governo – in quanto gli spetti di partecipare a questa discussione, poiché si tratta di statuti speciali da approvarsi con leggi costituzionali, ossia di materia di competenza dell’Assemblea – parteciperà alla discussione con spirito di adesione al progetto e con eguale spirito farà le sue osservazioni e le sue proposte. (Approvazioni).

ABOZZI. Chiedo di parlare per una breve dichiarazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Onorevoli colleghi, consentitemi una brevissima dichiarazione. I miei conterranei conoscono perfettamente le ampie riserve che ho creduto di fare quando si è discusso il Titolo V della Costituzione, sulla autonomia regionale, che a me pareva non potesse giovare all’interesse della Sardegna. Tuttavia, mi asterrò dal fare una proposta radicale concreta che, d’altra parte, per più di una ragione, sarebbe votata al più clamoroso e al più sicuro degli insuccessi. Ho la piena coscienza di essere il solo fra i deputati sardi e quasi il solo in quest’Aula a pensare come penso. Tuttavia, qualunque sia il mio pensiero, io vorrei, onorevoli colleghi, vorrei fortemente che il pessimismo regionalistico fosse un mio gravissimo errore, e sarei il primo a farne ammenda. Vorrei, fermamente vorrei, che la Sardegna rinascesse, che trovasse quella strada di popolo felice che non le tracciarono i secoli del suo doloroso cammino.

Se l’isola vincerà la sua battaglia – credetelo – sarà sacro anche per me il segno nel quale avrà vinto. E se questo non dovesse avvenire, non sarò tra quelli che si consoleranno dei mali della Patria con la trista soddisfazione di aver bene preveduto.

I qualunquisti e i liberali della Sardegna collaboreranno nella più utile delle forme: prendendo parte alle elezioni e difendendo nell’assemblea regionale gli interessi dell’isola, che sono quelli di ciascuna delle sue province, e che debbono essere sempre superiori a qualunque interesse di dottrina o di partito.

Prima di finire, mi corre l’obbligo di ringraziare l’onorevole Ambrosini dell’interpretazione data all’articolo che riguarda gli enti autarchici territoriali. La formulazione dell’articolo mi pareva abbastanza sicura e precisa; tuttavia lo ringrazio della interpretazione autentica. Non opporrò la incostituzionalità della norma, che lo stesso onorevole Ambrosini riconosce opponibile, perché penso che in un tempo lontano un Governo potrebbe proporre l’abolizione delle province: ma in nessun tempo, o vicino o lontano, Sassari rinunzierà alla sua provincia.

LUSSU. Non si sa mai: potrebbe anche darsi.

ABOZZI. No.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.

La seduta termina alle 12.50.