Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI SABATO 29 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 29 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Bozzi

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Laconi

Targetti

Rossi Paolo

Interrogazioni urgenti (Svolgimento):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Marina

Bellavista

Clerici

Gasparotto

Mariani Francesco

Scoccimarro

Parri

Mastrojanni

 

La seduta comincia alle 11.

 

MATTEI TERESA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

 

Congedo.

 

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Cotellessa.

(È concesso).

 

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

All’articolo 127 gli onorevoli Bozzi e Persico hanno proposto il seguente emendamento al primo comma dell’articolo 127 del testo Conti, Monticelli, Leone Giovanni ed altri:

«Alle parole: dal Consiglio Superiore della Magistratura, sostituire le altre: dalle supreme Magistrature dell’ordine giudiziario ed amministrativo».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgere l’emendamento.

BOZZI. Rinuncio allo svolgimento.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta senza altro l’emendamento Bozzi e Persico.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Laconi, Togliatti, Barontini ed altri colleghi hanno presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma dell’articolo 127 sostituire il seguente:

«I giudici della Corte sono nominati per un terzo dalla Camera dei deputati, per un terzo dal Senato e per un terzo dalle Assemblee regionali».

L’onorevole Laconi ha facoltà di svolgerlo.

LACONI. Ieri ho pregato l’Assemblea di volersi concedere un po’ di tempo, per poter riconsiderare attentamente le proposte sulle quali era chiamata a votare. Mi pare, infatti, che, passando dal progetto originario alla proposta ultimamente presentata dal Comitato di redazione, sia stato snaturato il carattere fondamentale della Corte costituzionale. Si è passati infatti da un organo, che era definito e configurato come tecnico-politico, ad un organo che si vuol rendere prevalentemente od esclusivamente tecnico.

L’Assemblea ha già stabilito, nel primo articolo di questo Titolo, le funzioni che sono deferite alla Corte costituzionale: mi pare che non vi sia dubbio che queste funzioni non sono unicamente di carattere tecnico, ma sono, fatalmente, anche di carattere politico. Invito i colleghi a considerare soprattutto che noi abbiamo introdotto nella Carta costituzionale alcuni principî ed alcuni elementi programmatici entro cui dovranno muoversi le Assemblee legislative ed i Governi di domani. Vero è che vi era una parte considerevole di questa Assemblea contraria alla introduzione di questi principî nella Carta costituzionale, ma il voto della maggioranza ha stabilito questo dato di fatto: che oggi nella nostra Costituzione figurano elementi di orientamento per le Assemblee ed i Governi di domani. Io mi chiedo: quando domani le Assemblee legislative ed i Governi che succederanno alla nostra Assemblea ed all’attuale Governo, dovranno muoversi entro la sfera di discrezionalità che è loro consentita nell’ambito di quei principî, è possibile che un organo giurisdizionale, intervenendo per assicurare le costituzionalità di questi atti, possa limitarsi unicamente ad un controllo di legittimità e non debba fatalmente sconfinare anche nel merito? Questo mi chiedo. Quando si vada a stabilire se una determinata riforma di carattere sociale ed economico rientri negli orientamenti generali tracciati nella Costituzione, si potrà dare di questi atti legislativi un giudizio puramente tecnico o non anche un giudizio che, sia pure involontariamente, debba essere riferito anche all’orientamento politico e motivato politicamente? Di qui la necessità, riconosciuta dalla Commissione dei Settantacinque e confermata attraverso dibattiti che durarono oltre un anno, di dare a questo organo supremo giurisdizionale del nostro Paese una configurazione, che risponda nel contempo alle esigenze di carattere tecnico e politico. Questo era il nostro intendimento quando configurammo la Corte costituzionale sotto un duplice aspetto: le demmo sì una fonte politica, è vero, ma genuinamente democratica; ma le demmo anche una composizione tecnica, in quanto stabilimmo che i giudici della Corte costituzionale dovessero essere scelti entro determinate categorie, le quali davano un certo affidamento. È evidente che da questa composizione scaturiva per l’Alta Corte un duplice carattere, rispondente al duplice aspetto della sua funzione giurisdizionale. Ci contenevamo nei limiti della legalità democratica più schietta, ma contemporaneamente realizzavamo le garanzie di competenza che, penso, siamo tutti d’accordo nel ritenere necessarie per una buona composizione dell’organo chiamato a dare giudizi su una materia così delicata.

Ieri l’Assemblea ha respinto la soluzione che era prevista nel progetto di Costituzione. Rimaneva, ieri, soltanto dinanzi a noi il progetto ulteriormente elaborato dalla Commissione.

Onorevoli colleghi, io penso che noi dobbiamo mettere le cose nei termini più chiari. Noi possiamo, dinanzi al progetto della Commissione, nascondere o mascherare il nostro pensiero e le nostre reali intenzioni parlando di esigenze tecniche, di combinazioni di poteri, di necessità che gli organi supremi vi siano in qualche misura rappresentati, ma sta di fatto che attraverso il progetto che è stato presentato ultimamente dal Comitato di coordinamento, i due terzi della Corte costituzionale non hanno se non una indiretta e lontanissima derivazione popolare: un terzo, anzi, non ne ha affatto, è avulso completamente dalla vita del Paese e rimesso alla scelta di un organo, come il Consiglio Superiore della Magistratura, che non risente in alcun modo della volontà popolare. Per un altro terzo, i membri sono nominati dal Presidente della Repubblica, il quale ha una derivazione indubbiamente indiretta, e soltanto per un terzo sono rimessi alla scelta delle Camere.

Ora, è questa la Corte costituzionale che noi intendiamo preporre al controllo dei supremi poteri dello Stato? In sostanza, a questa Corte noi abbiamo dato la funzione di interprete della nostra volontà di costituenti. Come possiamo pensare che legittimamente interpretino la nostra volontà e giudichino in base alle norme da noi sancite, uomini che sono eletti dal Consiglio della Magistratura il quale non ha nessuna derivazione popolare? Possiamo pensare che essi possano interpretare domani quello spirito innovatore che noi abbiamo infuso nella Costituzione? Io chiedo questo agli amici della Democrazia cristiana e a tutti coloro che hanno con noi sancito questo principio. Possiamo noi pensare che questo spirito profondamente innovatore, dal punto di vista sociale ed economico, che noi abbiamo infuso nella Costituzione, possa essere inteso nel suo significato reale e nella sua reale portata da uomini che siano sottratti completamente a qualunque elezione popolare, ed anche al più lontano riflesso delle elezioni popolari? Non credo che questo possa accadere.

È per questa ragione che proposi ieri all’Assemblea, a nome del mio Gruppo, che riprendesse in esame il suo atteggiamento, ed è per questa ragione che il mio Gruppo presenta un nuovo emendamento che tende a sciogliere alcune riserve che hanno forse concorso al voto contrario che l’Assemblea ha dato ieri sulla formula originaria del progetto. Io penso che, quando ieri l’Assemblea ha votato contro la formula originaria del progetto, vi sia stata anche presente, in questa votazione, quella corrente regionalistica, che si è fatta tanto sentire in una serie di dibattiti, e che, legittimamente preoccupata di veder chiamato un organo esclusivamente unitario a decidere anche le controversie fra le Regioni e lo Stato, ha ritenuto di dover respingere la proposta Lami Starnuti per questo suo carattere. Ma io penso che questa medesima corrente di opinioni, che è stata così decisa in altre occasioni, oggi si risveglierà dinanzi al nostro emendamento il quale rimette, in unione alle Camere, l’elezione dei giudici della Corte costituzionale alle Assemblee regionali. Attraverso il mio emendamento vengono assicurate, io penso, tre garanzie: innanzitutto una garanzia di ordine politico generale sulla natura schiettamente democratica dell’organo, e, quindi, anche una garanzia, direi, di struttura, in quanto vengono pure sodisfatte le esigenze delle diverse regioni. Infine è anche garantita l’esigenza tecnica, in quanto il mio emendamento non preclude in nessun modo la possibilità che i giudici dell’Alta Corte vengano scelti entro determinate categorie.

Io posso assicurare la Camera che, qualora il nostro emendamento venga approvato, noi non abbiamo niente in contrario a prendere in considerazione una formulazione sodisfacente, attraverso la quale, venga stabilito che i giudici della Corte costituzionale debbano essere scelti entro categorie qualificate dal punto di vista tecnico.

Invito, quindi, la Camera a rendersi conto del fatto che, se noi aderissimo al testo presentato dalla Commissione, noi compiremmo invece un grave atto di lesa democrazia e creeremmo un organo che non darebbe alcun affidamento alle forze democratiche di interpretare quell’indirizzo progressivo che noi abbiamo voluto imprimere al nuovo Stato repubblicano. (Applausi all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ed altri hanno presentato il seguente emendamento al testo accettato dalla Commissione:

«Al primo comma, sostituire il seguente:

«Il Presidente della Repubblica nomina un terzo dei componenti della Corte, gli altri due terzi sono nominati per metà dalla Camera dei deputati e per metà dal Senato della Repubblica».

«Al secondo comma, dopo la parola: giudiziario, aggiungere le parole: di grado non inferiore a consigliere di Corte d’appello».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TARGETTI. L’emendamento di cui ha dato lettura il Presidente l’ho presentato a nome mio, e quindi non so se interpreto anche il pensiero dei miei colleghi di Gruppo che non ho potuto interpellare. Il mio emendamento non ha bisogno di una larga illustrazione. La votazione che ieri ebbe luogo sull’emendamento Lami Starnuti dimostra che la Camera è tutt’altro che proclive a demandare la nomina di tutti i componenti la Corte ai due rami del Parlamento; ma questa manifestazione di volontà, contraria all’elezione totale della Corte da parte del Parlamento, non credo che debba essere interpretata come una contrarietà anche ad una larga partecipazione del Parlamento stesso a tale nomina. È per questo che io ho presentato la proposta di attribuire la facoltà alla Camera dei deputati e al Senato di nominare la metà dei componenti la Corte costituzionale.

La nomina dell’altra metà è demandata al Capo dello Stato. Mi sembra inutile confutare quelle obiezioni che da qualche parte si sentono muovere contro la nomina da parte delle Assemblee legislative di un corpo giudicante, o di parte di esso.

Queste obiezioni, a parer mio, partono da una errata concezione di quella che deve essere e non può non essere la Corte costituzionale. Non si tratta di decidere le modalità della nomina di una magistratura che stia al di sopra della Corte di cassazione; ma quella della nomina dei componenti un organo che giudica dal lato giuridico, ma giudicherà anche e, forse molto spesso, dal lato politico, la conformità delle leggi alla Costituzione.

Noi abbiamo una Carta costituzionale, che, oltre a stabilire delle direttive nel campo giuridico, stabilisce anche delle direttive in un campo squisitamente e prettamente politico. Se questo non fosse, non sarebbe sorta a nessuno l’idea di creare un organo, non dico al di sopra, ma diverso dalla Cassazione. Si fosse trattato soltanto di una Carta costituzionale che avesse prescritto delle norme la cui violazione non potesse rappresentare altro che la violazione di norme giuridiche, evidentemente sarebbe venuta a mancare ogni ragion d’essere della creazione di questo ente diverso dalla Cassazione.

Perché, onorevoli colleghi, la grande maggioranza di noi, cioè tutti quelli che hanno votato contro l’emendamento soppressivo dell’onorevole Nitti, ha ritenuto necessaria la creazione di questa Corte Costituzionale? Senza dubbio perché è stata persuasa dalle ragioni addotte contro la competenza in questa materia della Corte di cassazione. E non è, onorevoli colleghi, che questo atteggiamento, questo modo di apprezzare la questione sia stato influenzato da una maggiore o minore fiducia che si possa avere nella Corte Suprema. Non lo è stato né doveva esserlo, giacché sarebbe stato un grave errore se nello statuire su quest’argomento, come su tutto quello che si riferisce al potere giudiziario, ci si fosse fatti guidare da considerazioni, da impressioni relative all’attuale funzionamento dell’amministrazione della giustizia. La Magistratura, con tutti i suoi difetti – ma anche con tutti i suoi pregi – la Magistratura è perfettibile e dovrà migliorarsi e l’opera della giustizia sarà all’altezza del compito, quando lo Stato ne avrà riconosciuto sotto tutti i riguardi l’importanza e le esigenze.

Io dico, così per incidenza, che se non ho messo la mia firma all’ordine del giorno presentato dall’onorevole Mastino e da altri colleghi, è stato perché quell’ordine del giorno limitava i voti dell’Assemblea alla questione del trattamento economico dei magistrati. (Interruzione del deputato Mastino Pietro).

Veda, onorevole Mastino, forse qui sono ben pochi i colleghi che possano aver dato, anche nel passato, prove più chiare di quelle che posso aver dato io del convincimento che la Magistratura è stata sempre trattata, non soltanto nel periodo fascista, ma anche nel periodo antifascista, da tutti i Governi che si sono succeduti in Italia, ed anche dal lato economico, in modo che c’è da meravigliarsi che abbia dato, nel suo complesso, quello che ha dato, e non molto di meno, ed abbia presentato soltanto le manchevolezze che le si possono rimproverare.

L’onestà del magistrato è stata messa a prove così dure, da richiedere la virtù non dell’uomo comune, ma dell’asceta. E la grande maggioranza dei magistrati queste virtù le ha avute.

Bisogna riconoscerlo, anche se si è costretti a deplorare ogni giorno di più l’atteggiamento, il comportamento di molti magistrati, specialmente dei gradi superiori, nelle cause di carattere politico. Ma se deve essere approvato da tutti il voto che la nuova Camera assicuri al magistrato il trattamento economico che gli è dovuto, occorre anche che tutto quanto concerne l’amministrazione della giustizia, dalla condizione dei cancellieri a quella degli ufficiali giudiziari e degli uscieri; dai locali all’arredamento degli uffici, e via dicendo; tutto deve essere oggetto di solleciti provvedimenti da parte dello Stato se veramente si vuole assicurare al Paese una giustizia degna della sua nuova vita. (Applausi).

Chiudendo la parentesi di cui chiedo scusa all’Assemblea, è dunque per la natura del compito che a questa Corte Costituzionale è commesso, che l’Assemblea ha ritenuto che i giudizi di sua competenza non possano essere logicamente demandati alla Corte di cassazione e che legittimino, anzi impongano, la costituzione di questo nuovo organo.

Se noi dunque riconosciamo che la ragion d’essere di questa Corte Costituzionale sta nella necessità che, dato il carattere della nostra Costituzione, si eserciti un controllo sullo stesso potere legislativo affinché non vengano emanate norme che vadano contro i principî giuridici, morali, politici, fondamentali della Carta costituzionale, bisogna anche riconoscere la necessità che l’organo a cui questo controllo è affidato sia, almeno in parte, in gran parte, emanazione, sia pure indiretta, della volontà popolare.

Per l’altro mio emendamento, mi limiterò a dire che tende ad escludere la possibilità, sia pure lontana, che venga nominato a far parte della Corte anche un magistrato all’inizio della sua carriera.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Rossi Paolo a pronunciarsi, a nome della Commissione, sugli emendamenti presentati dagli onorevoli Laconi, Togliatti, Barontini ed altri, e Targetti.

ROSSI PAOLO. Non intendo affermare che gli emendamenti or ora menzionati dall’onorevole Presidente siano poco chiari, ché anzi sono limpidissimi; ma, per la verità, si tratta di emendamenti presentati all’ultimo momento. Noi non abbiamo pertanto avuto agio di esaminarli, perché la Commissione non si è riunita.

Poiché quindi non siamo preparati a pronunciarci in merito, dobbiamo insistere sul nostro testo, tranne che per l’emendamento Bozzi e Persico, di natura formale, che viene accolto.

Svolgimento di interrogazioni urgenti.

PRESIDENTE. Il Ministro dell’interno risponderà ora alle interrogazioni presentate ieri sui fatti di Milano, e alle seguenti interrogazioni, successivamente pervenute.

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti ha adottato per reprimere gli incresciosi fatti di Milano tendenti ad esautorare lo Stato nei fondamentali suoi diritti e doveri.

«Mastrojanni, Capua, Perugi».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti il Governo intenda adottare per superare la situazione creatasi a Milano.

«Parri».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere:

1°) quali ragioni lo abbiano indotto a decidere la sostituzione del prefetto di Milano dottor Troilo, in un momento e in forme tali per cui si sapeva che il provvedimento avrebbe significato atto di ostilità per la grande maggioranza della popolazione milanese;

2°) per quali ragioni, nella presunta carenza del prefetto, sia stato invitato ad assumere i poteri prefettizi il Comandante militare e non un funzionario civile, suscitando il grave sospetto di una dichiarazione di stato di assedio;

3°) quali provvedimenti intenda prendere per riportare alla normalità la grave situazione determinatasi, anche per quanto riguarda le dimissioni della Giunta comunale di Milano e di altre numerose Amministrazioni locali della provincia».

«Scoccimarro»

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, il prefetto Troilo da parecchio tempo aveva chiesto al Governo di essere sostituito nell’incarico di prefetto di Milano, sollecitando contemporaneamente di essere destinato ad altro incarico di suo gradimento, e cioè di passare nei quadri della diplomazia.

Queste sollecitazioni fatte dal prefetto Troilo furono rinnovate anche di recente con una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio, in data 18 ottobre. In questa lettera il prefetto Troilo metteva formalmente a disposizione il posto di prefetto di Milano e chiedeva di essere sostituito, sollecitando appunto il nuovo incarico.

Nella lettera del 18 ottobre, diretta al Presidente del Consiglio, dopo averlo ringraziato dell’accoglienza fattagli, l’avvocato Troilo diceva testualmente: «La prego di voler considerare a sua disposizione da oggi, 18 ottobre 1947, il posto che occupo, anche perché il massacrante lavoro e le gravissime responsabilità che ho dovuto quotidianamente sopportare e fronteggiare, mi hanno letteralmente esaurito. Non ho difficoltà, signor Presidente, di assicurarle che questa mia dolorosa, ma necessaria decisione sarà resa nota solo quando ella avrà avuto la possibilità di provvedere alla mia sostituzione. Grato fin d’ora della sua benevola intenzione di affidarmi altro incarico, e ben lieto se dalla sua fiducia mi sarà ancora concesso di servire il Paese in patria e fuori, con la dedizione e devozione di sempre, ecc.».

Ci preoccupammo subito di sodisfare nel modo più confacente alle attitudini del prefetto Troilo, anche in considerazione dei suoi meriti passati, la sua aspirazione.

Soltanto verso il 20 di questo mese il ministro Sforza poté trovare una soluzione adeguata.

Chiamato a Roma il prefetto Troilo, gli fu comunicato il nuovo incarico ed egli accolse con gratitudine la sistemazione che gli veniva fatta e il Governo si riservò di provvedere al più presto.

Nella seduta del Consiglio dei Ministri del 27 scorso, due giorni fa, mentre io mi trovavo in Consiglio, venivo informato che il prefetto Troilo aveva telefonato al Sottosegretario Brusasca, pregando che la sua posizione venisse definita, e che mi si comunicasse questo suo divisamento.

Quel giorno stesso il Consiglio dei Ministri, benché ancora non fosse preparata la sua sostituzione, perché io desideravo personalmente chiedere al successore – che sarebbe arrivato nel pomeriggio – se gradiva l’incarico oneroso che gli veniva assegnato, deliberò sulla sostituzione del prefetto Troilo, dando mandato al Presidente del Consiglio ed a me di tutto definire in merito alla sostituzione. Fu soltanto nella sera tarda che poté essere definita la situazione dopo un colloquio col prefetto Ciotola, che accolse l’invito con disciplina, dichiarando di ben conoscere la gravità del compito che gli veniva affidato.

Nella tarda notte la notizia fu diramata alla stampa; e la mattina il Governo dava comunicazione dei provvedimenti adottati nei loro riguardi a tutti i prefetti interessati. Come di consueto, la sostituzione o il trasferimento di un prefetto non hanno carattere immediato, perché occorre dargli il tempo materiale per predisporre la sua situazione anche di carattere familiare.

Così il decreto, approvato dal Consiglio dei Ministri per tutti e quattro i prefetti, prevedeva che il trasferimento dei nuovi titolari sarebbe avvenuto il giorno 6 dicembre.

Ecco ad ogni modo il testo del telegramma inviato il mattino successivo al Prefetto di Milano, nello stesso tempo che a tutti gli altri prefetti: «Con decreto in corso Vostra Signoria è stata, a sua domanda, collocata a disposizione di questo Ministero per assumere altro incarico, a decorrere dal 6 dicembre prossimo venturo. La sostituisce costà il prefetto dottor Ciotola».

Questi i precedenti.

Il giorno dopo pervennero le prime notizie dell’agitazione che si era manifestata nella città di Milano, a seguito della pubblicazione fatta dai giornali; sembra anzi che i giornali non avessero riferito del nuovo incarico che veniva dato al prefetto Troilo.

Mi soffermo su questo punto perché, da notizie pervenute al Ministero, pare che il particolare abbia giocato una parte non indifferente nella situazione creatasi.

Comunque, a seguito di questa comunicazione, le maestranze alle ore 10 abbandonavano il lavoro per fare una manifestazione di solidarietà e di protesta: di protesta contro il Governo per la sostituzione, considerata come un atto offensivo verso il prefetto Troilo e di solidarietà verso il prefetto stesso.

Della situazione di Milano il prefetto non comunicò nulla al Governo per tutta la mattinata e fino alla sera.

Verso le 12,30 una telefonata dell’onorevole Pajetta Giancarlo all’onorevole Andreotti annunciava che un Comitato cittadino aveva assunto i poteri prefettizi a Milano, occupato la Prefettura di Milano insieme ai partigiani (Commenti a destra) e che tutti i funzionari erano stati allontanati.

Successivamente analoga comunicazione veniva fatta al Sottosegretario onorevole Marazza e al mio capo di gabinetto a cui avevo dato incarico di telefonare alla Prefettura di Milano per avere notizie dirette. Al telefono rispondeva l’onorevole Pajetta che confermava le dichiarazioni. E, avendo il mio Capo di Gabinetto chieste notizie del Viceprefetto, perché del prefetto Troilo non si conosceva quale fosse la situazione personale – l’onorevole Pajetta rispondeva che il Viceprefetto era dimissionario e che il Capo di gabinetto si era allontanato. E faceva al mio Capo di gabinetto formale invito di comunicare al Ministro dell’interno che questa era la situazione.

Altre notizie pervenivano al Ministero circa i fatti o il fatto particolare che interessava più direttamente, direi, il Ministero dell’interno: cioè della occupazione della Prefettura e della costituzione del comitato cittadino.

Di fronte a questa situazione, Milano rimaneva senza un’Autorità governativa: il Sindaco si era dimesso e aveva comunicato al Comandante del presidio di Milano (confermando con ciò che l’Autorità prefettizia non esisteva, perché diversamente questa comunicazione l’avrebbe dovuta fare al Prefetto, che restava incarica solo per gli affari di ordinaria amministrazione).

Di fronte a questa notizia e alla mancanza di un’Autorità prefettizia locale e di fronte al fatto che non c’era altra Autorità civile (perché, come ho detto, secondo le informazioni dell’onorevole Pajetta, il Prefetto doveva considerarsi dimissionario e quando si telefonava alla Prefettura rispondeva un’autorità che non era governativa), il Governo si vide costretto ad inviare a Milano un’autorità che lo potesse rappresentare. E, in mancanza di un’altra autorità civile adeguata e data la situazione grave che si presentava per l’ordine pubblico, d’intesa col Comando militare, decideva di affidare al generale Comandante la divisione «Legnano» l’incarico di assumere i poteri prefettizi nella città di Milano, non essendoci altra autorità che potesse sostituire il Prefetto dimissionario.

Il comandante militare veniva investito esclusivamente delle funzioni di prefetto, in attesa dell’arrivo del rappresentante del Governo centrale, Sottosegretario Marazza, che partiva immediatamente da Roma per potere assumere eventualmente l’esercizio dei poteri governativi.

Questi i compiti affidati al Comandante della divisione «Legnano».

Nel pomeriggio venivo informato da autorevole personalità, che era in rapporto col comitato cittadino, che la pretesa presa di possesso della Prefettura di Milano e la sostituzione del prefetto Troilo non corrispondevano alla realtà dei fatti e che il prefetto Troilo doveva considerarsi ancora nelle sue piene funzioni.

Benché fino a quell’ora io non avessi avuta nessuna comunicazione da parte del prefetto Troilo – anzi avevo avuto quella tale comunicazione telefonica – mandai un telegramma al prefetto Troilo riferendo le precedenti comunicazioni telefoniche, pregandolo di volermi ragguagliare sulla situazione ed alle ore 17 il Prefetto Troilo mi telegrafava in questo senso: «Sono qui in piena libertà e in attesa arrivo onorevole Marazza. Ordine pubblico normale nonostante sciopero generale in atto».

A seguito di questa comunicazione la Prefettura fu chiamata al telefono e questa volta rispose il prefetto Troilo in persona, confermando il telegramma. Immediatamente presi contatto con le autorità militari pregando di comunicare al generale che era stato investito dei poteri prefettizi che, accertata la veridicità delle comunicazioni che venivano fatte dal Prefetto di Milano, non desse corso alla sostituzione del prefetto, perché per noi il Prefetto di Milano fino al 6 dicembre prossimo, secondo la deliberazione del Consiglio dei Ministri, è il prefetto Troilo.

Presidenza del Presidente TERRACINI

SCELBA, Ministro dell’interno. Il comandante militare, informatosi della situazione ed accertato che il prefetto Troilo, sia pure assistito dal comitato cittadino e nonostante che la Prefettura fosse invasa da elementi partigiani, si riteneva libero di esercitare le sue funzioni, secondo le istruzioni impartitegli non prese possesso delle funzioni prefettizie, limitandosi soltanto a prendere quelle misure necessarie per la tutela dell’ordine pubblico.

In serata, lo stesso Comandante militare e la Questura comunicavano che la Prefettura era stata sgomberata dagli elementi partigiani che l’avevano occupata la mattina e che le forze dello Stato presidiavano la Prefettura stessa.

L’onorevole Marazza, partito, come ho detto, per Milano, alle due di ieri, stamane mi ha informato che la situazione si è presentata all’incirca come io ho riferito.

Ha avuto contatti con i vari comitati i quali hanno presentato i loro desiderata, della cittadinanza o di particolare corrente politica, in ordine alla sostituzione; da quanto risulterebbe, il problema della sostituzione del prefetto Troilo, cioè a dire della cessazione dall’incarico del prefetto Troilo, non sarebbe in discussione. L’unica questione che verrebbe posta sarebbe quella del sostituto, ritenendosi questi comitati in diritto di fare qualche osservazione in materia.

Il prefetto che noi avevamo nominato, il dottor Ciotola, occupa da oltre due anni la Prefettura di Torino con piena soddisfazione della cittadinanza e della provincia, perché mai da nessuna parte, da nessun partito, ci è pervenuta nessuna lamentela sulla sua attività. Anzi è notorio il senso di obiettività, la sua preparazione culturale e soprattutto il suo interessamento continuo per i problemi del lavoro, tanto che egli mi diceva: Io, a Torino, non faccio il prefetto, ma faccio il segretario della Camera del lavoro, perché in questo momento i problemi della classe operaia, della classe lavoratrice sono così preminenti nell’azione politica, che comprendo perfettamente come il prefetto che si trovi in una città eminentemente industriale ed operaia sia occupato da mane a sera a derimere controversie o ad occuparsi di problemi del lavoro.

Fra i vari funzionari e prefetti che noi avevamo, anche per l’importanza che assumeva Torino, parve al Governo che fosse il più adatto a sostituire il prefetto di una città come Milano, che rappresenta certamente il centro più importante della vita economica e sociale italiana.

È stato annunciato che una Commissione è partita da Milano – e credo che sia già arrivata – per esprimere al Governo suoi desiderata. Io dichiaro che il Governo ascolterà questa Commissione ed esaminerà con la più ampia comprensione le richieste che questa Commissione intende fare. Ma oso sperare che al Governo non verrà fatta nessuna proposta che possa, non dico offendere il prestigio di un Governo – che pure è cosa notevole – ma il prestigio stesso dell’esercizio dei poteri costituzionali democraticamente attribuiti, perché, se l’esercizio dei poteri statutari dovesse essere compromesso, non ne verrebbe compromesso il prestigio del Governo, ma l’autorità stessa dello Stato e questo sarebbe l’incentivo a nuovi turbamenti e a nuovi disordini, e non può essere intendimento del Governo di venir meno al suo dovere che è quello di far rispettare l’autorità dello Stato. (Vivi applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Marina ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARINA. Onorevoli colleghi. Come milanese sono veramente mortificato nel sentire che nella mia città, che considero la capitale del lavoro d’Italia, avvengono fatti che, se sono esatte le parole dette in. questo momento dal Ministro dell’interno, fanno pensare agli uomini comuni che Milano sia non una città di un grande Stato civile, ma una città di quelle repubbliche dell’America del Sud che noi ben conosciamo ove per un nonnulla avvengono delle rivoluzioni. (Rumori a sinistra).

Mi sono chiesto, vedendo questi gravi turbamenti derivati dalla sostituzione di un prefetto così come sono pubblicati sui giornali romani, che cosa ci fosse di così grave in questa sostituzione, chi fosse costui, perché io devo confessare che non ho mai avvicinato l’avvocato Troilo nelle sue funzioni di prefetto, perché non ho avuto occasione di farlo nello svolgimento del mio lavoro politico. E mi sono posto il quesito se la sostituzione di un prefetto potesse far crollare tutta una situazione di tranquillità qual è quella della provincia di Milano, e far sì che si addivenisse ad uno sciopero generale. Se volete tradurre in denaro il danno della mezza giornata di tempo perduto, vi posso dire che essa equivale a mezzo miliardo. Non so se questo sia un fatto di poca importanza e non so se l’avvocato Troilo valga più o meno di questo mezzo miliardo. (Rumori e proteste a sinistra).

Io ho detto che faccio queste mie osservazioni perché non conosco se vi siano altre ragioni (che verranno forse esposte da qualche altro oratore) per cui la sostituzione del Prefetto Troilo possa dar luogo ad agitazioni di così grave importanza.

Mi sarebbe sembrato logico eventualmente pensare che delle Commissioni rappresentanti di tutte le categorie dei cittadini milanesi si fossero presentate al Governo e avessero detto: «Guardate, voi sbagliate a sostituire il prefetto Troilo!» ma mettere in sciopero tutti gli operai della provincia di Milano non ritengo sia cosa che noi possiamo passare sotto silenzio, e si possa tacere il grave fatto che la sostituzione di una persona, per quanto essa possa valere (ripeto, non la conosco), possa dar luogo a gravi danni quali sono quelli inflitti a una città come Milano.

Premesso questo, mi sono pure domandato chi fosse eventualmente il suo sostituto perché dal punto di vista politico potesse nascere da questo fatto un risentimento così forte nella cittadinanza milanese.

Abbiamo sentito dalle parole dell’onorevole Scelba che il sostituto è un Prefetto che ha delle qualità; perché, fare il Prefetto per due anni in una città come Torino che io ben conosco, è certamente un titolo di grande merito. Abbiamo sentito dalle parole dell’onorevole Scelba che il Prefetto non si è limitato a fare il Prefetto, ma ha fatto il segretario della Camera del lavoro di Torino.

Effettivamente devo riconoscere che in città come Torino e Milano i Prefetti devono in questo momento, e certamente ancora per lungo tempo, fare prevalentemente i segretari della Camera del lavoro. E allora io mi domando: se Troilo non è così importante, per quale motivo si è arrivati ad una agitazione di questa grandiosità e gravità? Se il sostituto è persona che dovrebbe essere benvista anche alle cosiddette classi lavoratrici, per quale motivo si è arrivati a questa situazione, a questi danni e, oserei dire, a questa degradazione della città di Milano?

Fra i capintesta parrebbe ci sia oltre l’onorevole Pajetta (abbiamo visto la figura che ha assunto costui nella città di Milano) anche il sindaco Greppi. I milanesi, che qualche volta sono ironici dicono dell’amministrazione Greppi che è «la guerra che continua», nel senso che non abbiamo pace, non abbiamo un’amministrazione degna di una città grande e laboriosa come Milano. (Interruzioni e rumori all’estrema sinistra – Commenti).

Questa è la nostra impressione di milanesi: l’amministrazione Greppi è la guerra che continua, coi suoi danni relativi.

Il sindaco Greppi e la sua amministrazione, per quanta volontà abbiano, non sono all’altezza dei loro compiti. (Interruzioni all’estrema sinistra).

SCOCCIMARRO. Le vada a dire a Milano queste cose.

MARINA. Non mi sono mai mosso un minuto da Milano. Stia tranquillo che non ho affatto paura di dire quanto possa servire per il benessere e per la pace della mia città! Ho detto che fra i perturbatori di questo ordine, almeno da quanto riferiscono i giornali, è certamente anche il sindaco, che si dimette senza un motivo plausibile. (Interruzioni all’estrema sinistra).

Ora, se la sostituzione del Prefetto è avvenuta con altro Prefetto, che realmente ha dato prova di saper fare, non capisco perché questa situazione di grave disturbo debba perdurare e come, chiamiamoli così, i responsabili di questa situazione e coloro che specialmente ritengono di essere i rappresentanti del popolo milanese non debbano intervenire per far cessare immediatamente uno stato di agitazione, che è inutile.


Come mai dei cittadini scorrazzano per Milano armati? Ci sono dei nemici così pericolosi in Milano? Non c’è la forza pubblica, che può tutelare qualsiasi disordine? Parrebbe di no, perché dei semplici cittadini si sono armati e fanno il bello e il brutto tempo.

Una voce a sinistra. Sono i fascisti che scorrazzano armati.

MARINA. Ed allora mi sto domandando: questo dovrebbe essere altro forte motivo per sostituire subito l’avvocato Troilo, oltre che per la sua richiesta, se questo signore permette che in Milano al 28 novembre del 1947 girino ancora dei cittadini costituiti in bande armate. Io non so se questo sia o no un grave perturbamento dell’ordine pubblico e se questo ordine pubblico possa o no essere ristabilito.

Io sono personalmente d’avviso che la vita dei cittadini è cosa sacra e deve essere difesa contro chiunque e con qualsiasi mezzo.

Una voce a sinistra. Ci sono i fascisti.

MARINA. Lasciateli perdere i fascisti (Commenti a sinistra); non ci sono; li cercate voi; sono dei fantasmi che create per vostra comodità!

Ho detto che, per me, la vita del cittadino è sacra, talché mai devono essere usate le armi, neppure da parte della Polizia.

La Polizia deve essere organizzata in modo tale che possa, come in tanti altri paesi d’Europa, adoperare dei mezzi sufficienti per sgomberare qualsiasi assembramento di persone. Basterebbe per esempio in Milano per quelle poche centinaia di scorrazzanti adoperare in questo momento gli idranti; vi assicuro che scapperebbero come tanti conigli!! (Interruzioni, rumori a sinistra).

Basterebbero altri mezzi di poca importanza quali le bombe lagrimogene. Quello che importa è che realmente l’autorità dello Stato sia ristabilita, comunque, perché la vita di una città come Milano non venga turbata da mestatori dell’ordine pubblico, quali sono quelli che in questo momento, dirigono le così dette formazioni cittadine. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Bellavista ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BELLAVISTA. È di prammatica che l’interrogante si dichiari sodisfatto o meno, in seguito alla risposta del Ministro. Ma, se dovessi dare una qualifica psicologica allo stato misto di soddisfazione e di insoddisfazione, a seguito della vostra risposta, onorevole Ministro, dovrei ricorrere alla psicologia equina, perché io sono sodisfatto né più né meno del cavallo della carrozza di Don Ferrante, per rimanere a Milano.

Non ve ne faccio colpa, onorevole Ministro; voi lavorate in tempi veramente difficili e duri e c’è una collaborazione veramente ammirevole per rendere più duri e difficili questi tempi. Né faccio causa contro il prefetto Troilo. Secondo me l’onorevole Marina ha sbagliato: noi difendiamo Troilo, difendiamo le evoluzioni di carriera di Troilo, le ambizioni di Troilo, noi vogliamo difendere Troilo che finalmente dimostra di possedere della diplomazia, perché del diplomatico ha se non altro l’arte recisa e finale dell’ultimatum, che prelude la dichiarazione di guerra. (Si ride). Noi difendiamo Troilo, si vera sunt exposita, se cioè sono vere le lettere lette, se non sono apocrife come certi telegrammi di Padova che mi tornano in questo momento alla memoria. (Si ride). Come dubitarne, visto che egli ha concessa un’intervista alla United Press, che ora corre per il mondo, intervista in cui ha confermato i fatti ed ha detto: il Governo doveva mantenere la promessa; perché nel dare la comunicazione della mia sistemazione in modo diverso, del collocamento a riposo o del trasferimento non so dove, non comunicava che io sarei stato inviato quale rappresentante all’O.N.U.? In sostanza, se ancora ha da valere un principio (e non posso dubitare della serietà di Troilo, perché la sua diplomazia non significa che sia sleale o double face: se Troilo voleva, il posto e lo ha chiesto, non posso dubitare della sua lealtà) Troilo non voleva più rimanere a Milano. Dunque egli è fuori causa, se ancora vale la regola: volenti non fit iniuria, se vale ancora questa regola noi con Troilo da questo punto di vista non possiamo prendercela. Ma c’è un altro Troilo che di conseguenza deve rispondere, ed è quel Troilo che non ha la necessaria lealtà di fare le comunicazioni che dovrebbe fare. Perché io distinguo tra la simpatia che le masse hanno diritto di nutrire verso qualsiasi pubblico funzionario e le conseguenze aberranti cui può portare questa simpatia che respingo, perché a nessuno è lecito assaltare l’autorità del Governo e della Repubblica. (Vivi applausi al centro e a destra).

Aveva certamente il prefetto Troilo l’obbligo di fare quel che non ha fatto, perché se l’avesse fatto, certamente l’Unità ne avrebbe dato comunicazione: perché non ha comunicato la lettera che ha indirizzato al Presidente del Consiglio De Gasperi e perché non comunica l’urgente telefonata che fa uscire il Sottosegretario Brusasca da Palazzo Chigi e lo fa andare precipitosamente al Consiglio dei Ministri e dire: Troilo afferma che si vuol speculare sul suo nome. Ma egli aveva l’obbligo invece di esporre al Sindaco Greppi (sul quale non la penso come il mio collega Marina, perché forse Greppi pensava di poter salvare Milano dallo sciopero generale con le sue dimissioni) ed ai centocinquantotto sindaci la sua reale situazione e dire: Sono io che me ne voglio andare! E poteva dire: sapete chi mi sostituisce? È un prefetto che un Ministro ed un deputato socialista intelligente e capace (al quale siamo debitori del referendum) ha scelto per Torino. È un prefetto di primo ordine! Forse che il Ministro Romita avrebbe scelto per Torino un prefetto non di primo ordine?…

ROMITA. Io i prefetti non li cambiavo e non li nominavo in questo modo. (Applausi all’estrema sinistra – Rumori e commenti al centro e a destra).

BELLAVISTA. Prendo atto di questa dichiarazione dell’onorevole Romita. Allora è stata soltanto una casuale coincidenza che il Prefetto scelto dal Ministro piemontese per la capitale del Piemonte si sia rivelato sotto ogni aspetto un ottimo Prefetto! (Si ride al centro e a destra).

Ma allora diciamo francamente la verità. Si abbia il coraggio di dirla, e la lealtà e la correttezza di sopportare i tempi che sono difficili, perché superior stabat lupus, inferior agnus! (Rumori e proteste a sinistra). Questa è la verità: si va a caccia di pretesti, ed io non ignoro che questo fatto preoccupa quelle persone che non dico sono benpensanti, ma che hanno cervello, che hanno il senso della realtà, che hanno affetto ed amore per questa Repubblica.

Noi abbiamo inteso la foga giovanile dell’oratore Pajetta Giancarlo tuonare e minacciare. Era il suo legittimo diritto. Saremmo insorti in sua difesa se chicchessia avesse tentato di ostacolarlo; ma qui, nell’Assemblea, volevamo sentire l’onorevole Pajetta Giancarlo non sapere che ha telefonato al Ministro dell’interno dalla Prefettura di Milano, in nome di tutti i cittadini. Questa, in termini giuridici, è usurpazione dei pubblici poteri. (Applausi a destra e al centro).

Ma, il cavallo di Don Ferrante ha superato la calca. In sostanza, tutto è bene quel che finisce bene, ma noi vogliamo che si trovi la strada giusta senza giungere a questi estremi. Noi non possiamo tollerare ed ammettere certe cose.

Ieri l’altro dicevo, a proposito di un emendamento, che era stato dato un colpo letale alla democrazia italiana, a proposito della votazione sulla Suprema Corte costituzionale. Ma, ci sono colpi letali ben più gravi che si danno, attualmente in piena flagranza. Ma che opinione mai deve avere il mondo di noi, se a Milano accade quel che è potuto accadere, se è possibile a un rappresentante del popolo andare in Prefettura – e mi compiaccio che non vi sia stata violenza – usurpando i poteri pubblici, tentando di scavalcare l’autorità dello Stato, che si esprime attraverso il Governo?

Non voglio fare esame di merito – sarebbe superfluo – dopo che Troilo chiede di andarsene, di migliorare la sua posizione di carriera. Ma rendiamoci conto che si attenta veramente alla Repubblica, se si tollera che in una città grande ed illustre come Milano si possa scavalcare il resto d’Italia.

Troilo è un brav’uomo, ma lo Stato, il Governo, non interessa chi sia, ha ancora un dovere: quello di non sentire. Si ascoltino le rappresentanze, si parli e si collabori con loro, si convincano, ma, onorevole Ministro, non transiga sul punto: è il Governo che nomina i prefetti, non gli operai, che possono nominare i Consigli di gestione, ma non i prefetti. I prefetti della Repubblica, voi dovete nominarli. (Vivi applausi a destra e al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CLERICI. Onorevoli colleghi, debbo intervenire in questo dibattito come milanese e come deputato della provincia di Milano, ma assai più come deputato che rappresenta, insieme a tutti i colleghi, l’intera nazione. Desidero considerare un punto che è già stato toccato dall’onorevole Bellavista circa i fatti incresciosi della mia città, dei quali non sappiamo ancora tutti i particolari. Io, del resto, più che fermarmi sui particolari dei fatti, tengo a sottolineare un punto politico, che mi pare importante e che per ciò debba essere affermato da questa Assemblea, e che ritengo debba esser fatto proprio dal Governo: i lavoratori, i cittadini in genere hanno indubbiamente il diritto di esprimere le proprie opinioni, i propri voti, le proprie critiche, le proprie lagnanze, i propri reclami, al Governo, ma debbono farlo normalmente attraverso i loro rappresentanti all’Assemblea nazionale dei deputati; e così tutti o una parte dei sindaci di una provincia possono, con l’autorità morale, che loro viene data dalla carica ricoperta e dalla fiducia da cui trae origine la loro elezione, farsi interpreti in ogni maniera di codesti voti, di codeste lagnanze presso il Governo. Questo è giusto e legittimo; ma ogni cosa deve avere un limite, ed il limite si ha nell’ordinamento della Repubblica e per la garanzia stessa della libertà dei cittadini, delle pubbliche libertà, che devono essere rispettate in ogni momento e da chiunque. Perché l’ordinamento costituzionale di questa Repubblica, come di ogni democrazia, è questo: che la sovranità del popolo praticamente sta in noi che, fino a prova contraria, siamo i rappresentanti del popolo italiano intero. Quindi io ritengo inammissibile ogni forma di protesta che varchi questo limite, che cerchi, per speculazione politica o per propaganda di partito o per altri fini, di varcare o di sovvertire questi limiti; altrimenti si porta il disordine nell’ordinamento dello Stato repubblicano e quindi si attenta alla libertà dei cittadini ed alla sovranità popolare.

Bisogna distinguere la democrazia dalla demagogia: la vera democrazia sta nella sovranità del popolo, ed è questa Assemblea che esclusivamente rappresenta il popolo e la sovranità popolare, che rappresenta la nazione intera.

Noi non possiamo ammettere che Commissioni o Comitati (creati, sia pure in un momento di esuberanza, in un momento in cui agiscono gli effetti psicologici derivati da una lunga tirannia ventennale, da una eroica lotta per la liberazione, da uno stato di emergenza) possano arrogarsi il diritto di sovrapporsi alla volontà di una Assemblea come la nostra. E così dicasi per quei sindaci di una provincia, fossero molti o anche tutti, ma i quali non possono sostituire la loro volontà a quella che è la volontà del popolo e che si esprime soltanto attraverso la nostra Assemblea. È l’Assemblea che deve giudicare del Governo e della sua azione.

Ritengo quindi che il Governo debba continuare nella via che ha intrapreso, cioè tener conto di tutte le voci che giungono ma non dimenticare mai che a lui spetta giudicare e decidere, perché è soltanto esso che ha la responsabilità di nominare i prefetti, ed ha un solo dovere preciso: quello di rendere conto a noi; e soltanto in noi sta la possibilità di giudicarlo ed eventualmente di condannarlo. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Gasparotto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GASPAROTTO. Di fronte a certe notizie corse all’estero in questi giorni e che tanto danno possono portare all’economia ed al buon nome del nostro Paese, cerchiamo tutti di frenare gli impeti e di misurare le stesse parole, e cerchiamo, soprattutto, di salire dall’esame dell’episodio a più alte preoccupazioni e considerazioni.

Se è vero, dunque – ed è vero – che il prefetto Troilo non ha tardato a riprendere il suo posto, è bene. Forse sarebbe stato meglio che non l’avesse mai lasciato, nemmeno per un minuto, perché Ettore Troilo, che ha comandato una brigata alla quale, dal Garigliano al Po, ha impresso uno spirito tale di disciplina da costituire un esempio, un mirabile esempio, nella storia della guerriglia partigiana, il prefetto Troilo sa certamente meglio di noi che un funzionario, in ogni evenienza, non deve mai cedere il suo posto e, comunque, deve subito riprenderlo, anche a rischio di personale suo sacrificio. Se lo ha ripreso, bene.

Se è vero che non ci furono trapassi di poteri dall’Autorità civile all’Autorità, militare, anche questo è bene: forse meglio ancora sarebbe stato se alle funzioni prefettizie non fosse stato chiamato un generale, per quanto degnissimo.

Onorevole Ministro dell’interno, Milano, che è più rispettosa dell’Autorità di quello che non si possa credere, ha una sua particolare sensibilità e, in materia di generali chiamati a sostituire il potere politico, ricorda pur sempre, a tanta distanza di tempo, i fatti luttuosi del 1898. (Applausi a sinistra).

Non vi sono allusioni politiche (Commenti a destra e al centro), sono preoccupazioni di carattere tecnico ed altro, più alto e generale, in quanto che è buon costume che i generali siano lasciati al loro compito e non siano tuffati nel gorgo della vita politica. È bene che l’esercito sia lasciato alle sue vere funzioni e, quando mai vi sia estrema necessità di impiegarlo nella difesa dell’ordine pubblico – il che riconosco che in certi casi è inevitabile – la responsabilità del comando deve appartenere pur sempre al potere politico.

L’esercito nostro è ormai ridotto a così piccola mole che non deve essere impiegato nei servizi di ordine pubblico, se non per estreme esigenze. Ma, in ogni caso, le funzioni di comando e di responsabilità delle conseguenze degli ordini, devono essere attribuite ai rappresentanti del potere politico.

In questo momento che gli animi, per fortuna, vanno placandosi, ogni uomo in quest’Aula ed ogni partito deve assumere la propria responsabilità e rispondere delle conseguenze di questi penosi episodi, per la parte che riguarda ciascuno.

Veda quindi il Capo del Governo – che considero presente per quanto sia assente, e al patriottismo del quale non mi sono mai rivolto invano – veda se in questo momento difficile non sia il caso di accogliere le voci che sono venute in questi giorni da più parti, per poter arrivare ad una conciliazione e ad una maggiore collaborazione, nel senso di impegnare la responsabilità di tutti nel ristabilimento dell’ordine e soprattutto della libertà, perché il Paese, questo povero Paese, uscito ferito dalle rovine della guerra, ha in sé un grande tesoro: la volontà di lavorare e di lavorare sempre di più. Cerchiamo di non sciuparlo, questo tesoro. Di fronte ai nostri figli, noi dovremmo sentirne il rimorso. Sentano i partiti un maggior senso di responsabilità, perché altrimenti le responsabilità del disordine morale ed economico che minaccia il Paese finirebbero col cadere, prima di tutti, su di noi. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mariani Francesco ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARIANI FRANCESCO. Onorevoli colleghi, io non concordo con l’esposizione del Ministro Scelba e non vi nascondo che sono pervaso da un senso di mortificazione, perché, più che da un Ministro, il quale mostrasse di avere una visione ampia del problema politico che interessa il nostro Paese, mi è parso di udire il rapporto di un modesto funzionario di polizia di mentalità reazionaria. Non è questione della persona del Prefetto Troilo; se vogliamo osservare il fenomeno del Prefetto di Milano, non possiamo non riandare con il pensiero alle parole dell’onorevole De Gasperi, in un discorso pronunziato molti mesi or sono e che ripeto testualmente. Egli disse: «Sono arrivato a Milano e ho trovato il fatto compiuto di un decreto del Prefetto».

Nelle parole dell’onorevole De Gasperi vi era, onorevoli colleghi, la condanna del Prefetto di Milano. (Proteste al centro). Orbene, che cosa aveva compiuto questo Prefetto? Aveva accolto il voto unanime – dico unanime – del Consiglio comunale e, con suo decreto, non importa ora indagare se questo sia stato operante o inoperante ai fini della auspicata diminuzione dei prezzi, con squisita sensibilità politica, aveva impedito l’insurrezione popolare in un momento in cui gli operai delle fabbriche non avevano pane. Il Prefetto di Milano ha avuto questo merito grande.

Egregi colleghi, da quel momento ha avuto origine il conflitto tra Prefetto e Governo; quest’ultimo, mosso da un puntiglioso spirito burocratico di autorità, ha accusato il Prefetto di Milano di assumere troppi poteri di tendere a costituire quasi una specie di repubblica milanese, con una politica personale, scavalcando il Governo.

Questo, onorevoli colleghi, significa ridurre il problema, non intelligentemente, su un piano puramente d’autorità. In una situazione di emergenza, un Prefetto che abbia senso di responsabilità, ha il dovere di agire, in casi urgenti, anche se non abbia tempo per consultare il Governo, specie quando questa sua azione dà per risultato di pacificare una città e calmare le masse operaie, alle quali si dava pane ammuffito, mentre nei negozi vi era la più sfacciata ostentazione di ogni abbondanza.

Milano, universalmente riconosciuta come la città operosa e disciplinata, è stata offesa e colpita…

DOSSETTI. Da che cosa? (Rumori a sinistra).

MARIANI FRANCESCO. …dal fatto che il Ministro dell’interno non ha tenuto conto dei voti che da ogni parte gli giungevano da questa grande città. Li ha anzi ostentatamente ignorati. Di qui il risentimento e l’insurrezione di spiriti liberi come il Prefetto Troilo. Egregi colleghi, ci vuole poca intelligenza per capire che quando si determinano certe situazioni, un Prefetto come quello di Milano, che avrebbe la volontà di adempiere con sacrificio il proprio mandato, sia anche indotto a chiedere di essere sostituito, perché gli si rende la vita impossibile. (Interruzioni e rumori a destra e al centro).

PRESIDENTE. Non interrompano, per favore, onorevoli colleghi!

MARIANI FRANCESCO. A scongiurare l’allontanamento del Prefetto di Milano sono intervenuti a suo tempo tutti i partiti, e questo vi dica con quale considerazione era valutata l’opera del Prefetto stesso in una grande città come Milano, in un momento di tensione come questo, momento pericolosissimo; non so cosa avverrà a Milano dico oggi, in quest’ora, in questo minuto… quando gli operai dell’Isotta Fraschini, della Cemsa ed altri ancora sono letteralmente ridotti alla fame. (Commenti al centro).

Una voce al centro. Non è vero! Cosa c’entra? È una speculazione!

MARIANI FRANCESCO. Evidentemente se v’è una speculazione è quella degli industriali, che voi proteggete, perché la democrazia voi valutate solamente dalla vostra pancia piena. (Rumori al centro). Quello che dite in quest’Aula bisognerebbe anche che voi aveste il coraggio di dirlo agli operai che hanno fame… (Approvazioni a sinistra).

Senza, voler manomettere l’autorità del Governo, v’è una prassi che va rispettata e che il Governo ha invece voluto calpestare: prassi di sana democrazia… (Commenti a destra e al centro)

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio, per favore!

MARIANI FRANCESCO. …che dà a noi il diritto di esigere che il Governo ascolti il pensiero e i voti – e ne tenga conto – di una grande città come Milano.

Una voce al centro. Nessuno lo ha mai negato.

Una voce a sinistra. Lo negate coi fatti!

CAPUA. Milano è la città primogenita del fascismo!

PRESIDENTE. Onorevole Capua, non interrompa!

MARIANI FRANCESCO. Badate che le dimissioni del sindaco di Milano, seguite da quelle degli altri sindaci democratici di tutta la provincia, è un indice significativo che vi deve far seriamente riflettere.

Il sindaco di Milano si è assunto la responsabilità del proprio atto, del proprio gesto, indipendentemente dalla valutazione di quella che è stata la deliberazione delle masse.

Alla deliberazione di sciopero generale si sono associati i partigiani.

Una voce a destra. Quali? Quali? (Rumori a sinistra – Scambio di apostrofi tra la destra e l’estrema sinistra – Richiami del Presidente).

MARIANI FRANCESCO. Il sindaco di Milano aveva indirizzato una lettera la cui nobiltà è fuor di dubbio, e vogliate avere la pazienza di sentirla. La lettera, indirizzata all’onorevole De Gasperi, dice: «Signor Presidente, la Giunta, nella sua riunione di ieri, mi ha delegato, con voto unanime, ad esprimere la preoccupazione dell’amministrazione comunale per l’annunciata destituzione del prefetto Troilo dal suo incarico.

«Questa preoccupazione ha assunto presso la popolazione un aspetto e un carattere non meno insolito e significativo, dei quali ella è certamente informata. Né alcuno potrebbe meravigliarsi, conoscendo la situazione milanese e soprattutto i meriti dell’avvocato Troilo, che giustificano del tutto la grande simpatia e fiducia che lo circondano.

«È dunque naturale e doveroso che io chieda a lei e al Governo, nel supremo interesse cittadino, che una così penosa iattura sia risparmiata. Questa mattina sono venute da me le rappresentanze di quasi tutti i partiti democratici (Interruzioni) e tutti mi hanno pregato di farmi interprete presso il Governo dei loro voti che includono e riflettono le loro stesse preoccupazioni e gli stessi motivi morali già noti.

«In una parola, signor Presidente, è la città, nel suo spirito più sensibile e nella espressione della più seria responsabilità, che si rivolge a lei per essere compresa ed esaudita. Ed a questo si induce, pur riconoscendo l’importanza delle nuove mansioni che all’avvocato Troilo secondo le notizie pervenute, verrebbero affidate. La prego considerare l’estrema delicatezza della situazione di Milano, soprattutto alla vigilia di un inverno che si profila pieno di miseria e di incognite. Non si tratta di una situazione esclusivamente locale, se è vero che questo è il centro di una così complessa attività commerciale, industriale, sindacale, politica e spirituale; onde si può dire, senza orgoglio, che gli avvenimenti che qui si determinano hanno una grande influenza sulla vita di tutto il Paese.

«E non mi ritenga indiscreto se mi permetto di affermare con la cittadinanza che Milano merita, oggi più che mai, di conservare l’impegno, la saggezza, l’energia del prefetto Troilo.

«D’altronde, tanto meno sarebbe giusto e meritato il nostro sacrificio, quando si consideri che, se in questi faticosi e tribolatissimi anni di ricostruzione abbiamo dato, soprattutto per effetto di una rara unità di spiriti e di una severa concordia di sforzi, un esempio apprezzabile di disciplina e di responsabilità, questo è dovuto appunto in misura decisiva al prefetto Troilo.

«Abbiamo anche motivo di ritenere che il suo nuovo ufficio non comporterebbe la sostituzione immediata. Da ciò una ragione di più perché ci sia conservata una preziosa e – me lo lasci dire – troppo difficilmente sostituibile attività.

«Le ho parlato nel nome di Milano. Voglio credere che Milano sarà ascoltata».

Questa lettera del sindaco di Milano non ha avuto risposta.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Presidente del Consiglio gli ha mandato un telegramma la stessa notte.

MARIANI FRANCESCO. E abbiamo appreso con sbigottimento che l’unica risposta gliela davano i giornali: il trasferimento del prefetto di Milano!

Milano è una città sensibile, e reclama il diritto di essere ascoltata! (Interruzioni a destra e al centro). Milano rifiuta un governatore qualsiasi! (Interruzioni al centro e a destra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio!

MARIANI FRANCESCO. Anche in questa occasione il Governo ha applicato il sistema che applica in altri settori: fare appello alla nostra collaborazione, per poi rifiutarla, respingendo la rappresentanza delle masse popolari. (Rumori al centro e a destra).

Perciò noi, data la situazione particolarmente difficile, rivendichiamo il diritto di chiedere al Governo di essere ascoltati prima di procedere alla nomina di un nuovo prefetto! (Rumori al centro e a destra).

Questo diritto pretendiamo, questo diritto noi rivendichiamo in omaggio a sani criteri di democrazia; ma se il Governo non vuole e non intende tener conto di queste legittime aspirazioni, in modo particolare di quelle della massa dei lavoratori (Commenti a destra e al centro), è lo stesso Governo che spinge i lavoratori alla opposizione decisa ed all’azione contro il Governo stesso. (Rumori al centro e a destra – Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Vorrei richiamare certe parole dette dall’onorevole Clerici. L’onorevole Clerici ha sottolineato che, se fuori di qui si deve cercare di porre alle proprie parole e alle proprie argomentazioni un certo limite, quest’Aula è invece il posto in cui ciascuno può esprimere interamente le proprie opinioni e le proprie idee. È quindi opportuno che non lo si impedisca; perché, se non lo si potesse qui, allora vorrei sapere in quale luogo i rappresentanti del popolo potranno parlare come ritengono sia il loro dovere. (Approvazioni).

L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SCOCCIMARRO. Io avevo posto al Ministro dell’interno tre quesiti. Devo constatare che a nessuno di tali quesiti è stata data risposta.

Avevo chiesto, innanzi tutto, perché (senza entrare nel merito del provvedimento che riguarda il prefetto Troilo) quel provvedimento è stato preso in un momento, con una procedura ed in forma tale, che si sapeva a priori sarebbe stata interpretata come un atto di ostilità verso la grande maggioranza della popolazione milanese.

Chiedevo poi perché di fronte a una presunta carenza del prefetto di Milano si invita il comandante militare ad assumere tutti i poteri invece di rivolgersi a un funzionario civile. (Rumori al centro). E poi, infine, chiedevo al Ministro dell’interno come pensa di rimediare alla grave situazione determinatasi, per cui la Giunta comunale di Milano e 156 amministrazioni locali sono oggi dimissionarie.

ZERBI. Non tutta la Giunta di Milano.

SCOCCIMARRO. Questi sono i termini della questione che a me interessavano. Ora, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ministro, è rimasta una certa perplessità, perché in quelle dichiarazioni non ho trovato una spiegazione (badate, non dico la vera spiegazione, la giusta spiegazione, ma una spiegazione qualsiasi) di quanto è accaduto a Milano.

Non si comprende come mai una piccola questione (lo ha rilevato un altro collega che mi ha preceduto) possa avere portato a uno sciopero generale e possa aver determinato una situazione tale da indurre la Giunta comunale di una città come Milano a rassegnare le dimissioni in atto di protesta contro il Governo. (Rumori al centro).

Non c’è corrispondenza fra causa ed effetto. (Rumori al centro – Applausi a sinistra).

Stando alle dichiarazioni del Ministro non si comprende il perché di quanto è avvenuto. Eppure un motivo esiste ed è necessario vederlo chiaramente. (Rumori al centro).

Evidentemente a Milano non c’era sottomano un bandito Giuliano sul quale riversare la responsabilità di quello che accadeva. (Applausi all’estrema sinistra – Commenti al centro e a destra).

Ed allora, onorevoli colleghi, si è ridotto un fatto politico grave, che ha una importanza politica nazionale, ad un episodio di ordinaria amministrazione. Ma se tutto si riduce a questo che ci ha detto il Ministro, comprendereste voi quello che sta accadendo a Milano?

Evidentemente no. È la domanda che si è posto l’onorevole Bellavista ed anche l’onorevole Marina. Evidentemente tutti voi vi attendevate dal Ministro qualche cosa di più, sia di approvazione o condanna, ma qualche cosa di più. E questo qualcosa di più esiste, ma non è stato detto. (Interruzione del deputato Condorelli).

È questa reticenza, che crea le nostre preoccupazioni; è questa reticenza di fronte all’Assemblea, che solleva in noi degli interrogativi preoccupanti. Perché? (Rumori al centro). Perché, in verità, qui ci si è soffermati sulle apparenze esteriori, mentre ognuno intuisce che al di là di tali apparenze c’è una sostanza ben diversa: c’è un obiettivo a cui si tende e che non si dice. Noi chiediamo al Governo qual è questo obiettivo, qual è il motivo che lo ha condotto a provocare a Milano una situazione così grave, quando si poteva evitarla senza compromettere per nulla l’autorità del Governo. (Rumori al centro).

Permettete, qui si è parlato di lealtà del prefetto Troilo. Io non ho legami particolari col prefetto Troilo. Io lo ricordo nei giorni duri in cui certa gente non gridava tanto come fa oggi. (Applausi a sinistra). Lo ricordo, quando, come Ministro dell’Italia occupata, ricevevo il comandante Troilo che veniva dalla Majella, nella sua divisa lacera di combattente, a prendere accordi per la sua attività e gli aiuti per i suoi partigiani. Io ricordo quell’uomo, che in quei giorni era onorato da tutti, rispettato, ricevuto in Vaticano. Oggi, si pone qui in discussione persino la sua lealtà.

Vi è una lettera del prefetto Troilo a De Gasperi, Presidente del Consiglio, ma vi è pure una sua dichiarazione apparsa sui giornali di oggi, e mi permetto credere, senza fare offesa a nessuno, che egli non abbia detto il falso.

Troilo dice: il comunicato reso di pubblica ragione stamane dai giornali è alquanto impreciso e sorpassato. (Si tratta del comunicato del Ministero dell’interno). Poiché, se è esatto che circa quattro mesi or sono io ebbi a rimettere al Ministro dell’interno il mandato di rappresentante del Governo a Milano, tuttavia tale mia intenzione deve ritenersi assolutamente sorpassata dai fatti, in quanto dieci o quindici giorni fa, nel corso di numerosi colloqui avuti col Ministro dell’interno, col Presidente del Consiglio e con lo stesso Ministro degli esteri, si era convenuto che avrei lasciato la Prefettura di Milano dopo la nomina a capo della sezione stampa presso la delegazione italiana all’O.N.U. (Rumori al centro e a destra).

In uno dei Consigli dei Ministri sarebbe stato reso di pubblica ragione il nome del prefetto chiamato a sostituirmi, nomina che si era convenuto che sarebbe stata concertata di comune accordo. (Rumori al centro).

Il provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri di ieri…

SCELBA, Ministro dell’interno. È falso quello che afferma il prefetto Troilo, che il successore sarebbe stato concordato con lui.

SCOCCIMARRO. Permetta che finisca.

Il provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri di ieri non tiene conto di tali accordi e suona quindi come un provvedimento di punizione, tanto che tale provvedimento è stato da me appreso sui giornali.

Ora, il Ministro dell’interno dice che tutto ciò è falso, che non v’erano accordi di concertare la nomina del sostituto.

SCELBA, Ministro dell’interno. Con nessuno! (Rumori all’estrema sinistra).

SCOCCIMARRO. Io constato dei fatti. Constato una contraddizione: e se lei onorevole Scelba ha diritto di essere creduto, anche il prefetto Troilo ha questo diritto.

Ora, se c’è qualche cosa che non è chiara, se si è lasciata sussistere un’ombra equivoca che poteva portare a conseguenze così gravi, vuol dire che si è commesso un grave errore di cui il Ministro è responsabile.

Si è detto che è stato lo stesso prefetto Troilo a domandare di non essere più prefetto di Milano. Onorevole Scelba, può lei assicurare che non c’è stata nessuna pressione per provocare tale domanda? Può lei dire che non c’era nei criteri amministrativi e politici del prefetto Troilo qualche cosa che non piaceva al Ministro dell’interno, e che quindi si tendeva a creare l’occasione per cambiarlo?

Una voce. È naturale.

SCOCCIMARRO. È evidente; ma allora il problema che sorge è un altro. C’è poi la dichiarazione del Sottosegretario agli interni onorevole Marazza, il quale dice che «è increscioso che il collocamento a disposizione del prefetto Troilo sia stato interpretato in modo tale da determinare lo sciopero generale. Tale provvedimento si accompagna con il conferimento di un altro importantissimo incarico diplomatico, dallo stesso prefetto accettato e gradito».

Ora io mi domando: vi è stato errore di forma o negligenza da parte di qualcuno? Quando tali errori determinano situazioni come quella che si è creata a Milano, allora l’Assemblea ha il dovere di accertare le responsabilità.

Ora, io mi domando: perché il prefetto Troilo viene tolto proprio ora da Milano? Perché ha tanta fretta quando l’Italia non è ancora ammessa all’O.N.U. per cui prima che il prefetto Troilo possa assumere il nuovo incarico passerà ancora del tempo? Avevate una lettera del sindaco di Milano, che diceva: non precipitate le cose, lasciate ancora Troilo, perché ci serve a superare la difficoltà del momento. Voglio credere che Milano sarà ascoltata.

Il Governo non ha ascoltato Milano! Perché si è agito in tal modo?

UBERTI. Pajetta è il Prefetto di Milano.

SCOCCIMARRO. In questa politica c’è non solo noncuranza, ma dispregio della volontà popolare. È vero che noi rappresentiamo qui il popolo e la volontà popolare; ma non bisogna dimenticare che al di là di Montecitorio esiste pure il popolo italiano, che a un certo momento fa sentire la sua opinione. (Interruzioni – Rumori).

BELLAVISTA. No, il popolo è qui dentro! (Rumori – Interruzioni al centro e a destra – Richiami del Presidente).

MICHELI. Certe eresie non si possono ascoltare senza protestare.

Una voce. È un’offesa all’Assemblea.

PRESIDENTE. Non esageriamo; non è offesa all’Assemblea. (Commenti al centro e a destra). Ritengo sia esagerato identificare nelle parole che l’onorevole Scoccimarro ha creduto di dire, una offesa all’Assemblea.

SCOCCIMARRO. Non saremmo in questa sala divisi in diversi settori politici, se le nostre opinioni coincidessero esattamente. Noi abbiamo della democrazia una concezione diversa dalla vostra. (Rumori al centro ed a destra).

Una voce a destra. La democrazia della piazza.

SCOCCIMARRO. La differenza fondamentale consiste proprio in questo: che la democrazia, come la concepite voi, lascia la porta aperta al fascismo. (Proteste al centro e a destra). La democrazia, come la concepiamo noi, rende impossibile ogni ripresa fascista. (Interruzioni al centro e a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, la prego, resti all’argomento.

SCOCCIMARRO. Io non mi scandalizzo quando sento esprimere opinioni diverse dalla mia, non vedo perché gli altri non possano fare altrettanto.

Ritorniamo pure all’argomento: una questione da porre è questa: dopo aver deciso l’immediato trasferimento del prefetto Troilo pur senza che vi fosse motivo di urgenza, di fronte alla situazione che si è creata, perché ricorrere immediatamente ad un comandante militare? Si voleva forse con questo atto dare un esempio? Si voleva compiere uno di quei gesti di forza coi quali si crede, erroneamente, di salvare l’autorità dello Stato?

Ed allora, io vi dico: signori, badate che questa politica è estremamente pericolosa, poiché è una politica di provocazione. (Rumori vivissimi a destra). Questo giudizio non è avventato: sono i fatti che lo suggeriscono.

Ad esempio, perché in tutta la giornata di ieri il Ministero dell’interno, che doveva essere al corrente della situazione in tutti i suoi aspetti, non ha chiarito all’opinione pubblica, specialmente a Milano, come stavano le cose, se veramente esse si ponevano nei termini in cui sono state riferite qui oggi? Perché solo alle 23 di ieri è stato diramato il comunicato ufficiale del Ministero dell’interno? Si attendeva forse che il Generale comandante la piazza di Milano prendesse tutti i poteri? (Interruzioni al centro).

Ma qui affiora pure un diverso concetto dell’autorità dello Stato. L’autorità dello Stato che si affida alla forza armata ed alle baionette è un’autorità debole. (Rumori e interruzioni al centro e a destra). L’autorità dello Stato è tale solo in quanto abbia radici nel consenso popolare. (Applausi a sinistra – Interruzioni a destra).

Una voce al centro. E Tito? (Rumori all’estrema sinistra).

Una voce a sinistra. Che c’entra Tito?

SCOCCIMARRO. Verrà il giorno, onorevoli colleghi, in cui, visitando quei paesi, tutte le prevenzioni che voi oggi avete e che sono create dalla vostra fantasia, cadranno di fronte alla realtà! (Commenti al centro e a destra). Vedrete allora cose che ora non immaginate nemmeno. Comunque, quel diverso concetto dell’autorità dello Stato si riflette nella politica interna. Onorevole Scelba: un forte Ministro degli interni non è quello che dispone di molte baionette, e perciò crede di poter sfidare la collera popolare; è forte invece quel Ministro che sa conquistare il più largo consenso di popolo e su questo fonda la sua autorità.

Una voce al centro. Scelba lo ha già!

SCOCCIMARRO. Questa è la questione che è alla base delle divergenze del Ministro col prefetto Troilo, perché Troilo ha vissuto la guerra di liberazione e nella sua attività di prefetto – ve lo dicono tutte le amministrazioni e quella comunale in particolare – ha cercato di interpretare i bisogni, le esigenze, le aspirazioni delle masse popolari e di andare incontro ad esse in tutti i modi. Bisogna dire, per le notizie che mi dava ieri sera il Ministro dell’interno, che ha avuto dal Ministero dell’interno, in una certa misura, i mezzi necessari. Il prefetto Troilo non fondava la sua autorità sulle forze che poteva mettere a sua disposizione il Comando militare. Troilo rappresenta un capitale prezioso per le Autorità responsabili di Milano e per il Governo, perché una sua parola può calmare centinaia di migliaia di lavoratori, mentre voi questo non potete farlo. (Commenti al centro e a destra).

E noi dobbiamo assistere a questa stranezza: in una città come Milano, alla vigilia di un inverno che si profila particolarmente duro, vi è un prefetto che ha il consenso della grandissima maggioranza della popolazione: il Governo dovrebbe esserne lieto e fare di tutto per mantenerlo a quel posto. Invece pare che il Governo abbia gran fretta di mandarlo via e non veda l’ora di sbarazzarsi.

GIANNINI. Che le importa delle sciocchezze del Governo? È nel vostro interesse che sbagli! (Si ride).

SCOCCIMARRO. L’episodio di Milano non è isolato. Se noi dovessimo considerare soltanto questo episodio e giudicare da esso la politica interna del nostro Paese, potremmo anche dire che si tratta di un disgraziato accidente. Ma l’episodio di Milano è l’ultimo di una serie che caratterizza la politica interna dell’attuale Governo. Noi avevamo chiesto al Ministro dell’interno lo scioglimento del Movimento sociale italiano, la soppressione dei giornali apertamente fascisti e la repressione delle organizzazioni neofasciste. Cosa abbiamo avuto come risposta? Abbiamo avuto un atto di ostilità verso le masse popolari. Abbiamo chiesto altre volte che agli atti criminosi delle forze reazionarie – che in Sicilia nel volger di pochi mesi hanno assassinato ben diciannove organizzatori sindacali – venisse posto termine. Che risposta abbiamo avuto? Che si trattava di reati comuni, rifiutando il Ministro di riconoscerne il carattere politico. Una cosa analoga si fa oggi con i fatti di Milano riducendoli ad un problema di ordinaria amministrazione, svuotandoli del loro significato politico. Si è protestato contro il «Comitato cittadino», e c’è chi ha avuto parole di irrisione e di scherno. Ma quel Comitato, egregi colleghi, ha mantenuto l’ordine e la disciplina a Milano, invece di lasciare che la reazione popolare si scatenasse senza controllo. Quel Comitato ha questo potere e questa autorità. (Commenti al centro).

Quello che è avvenuto ieri desta in noi serie preoccupazioni. Quando abbiamo appreso la notizia del passaggio dei poteri al comandante militare, abbiamo pensato allo stato di assedio, e la stessa cosa ha pensato anche il popolo di Milano. Il popolo milanese, onorevole Scelba, ha visto sorgere alle vostre spalle l’ombra di Bava Beccaris. (Commenti al centro). C’è dell’incoscienza, se non capite questo. Ma c’è una differenza, egregi signori: oggi le cose sono un po’ diverse di 50 anni fa, e la conclusione oggi, dopo la guerra di liberazione, non sarebbe più quella di allora.

Solo la coscienza civica ed il senso di disciplina e responsabilità della popolazione di Milano ha impedito che la vostra politica potesse avere conseguenze funeste. Il popolo di Milano ha dimostrato di avere coscienza della propria forza ed ha saputo reagire con la calma e la disciplina dei forti: non si è turbato per la presenza di un generale, che d’altronde ha dato prova di spirito di comprensione e senso di responsabilità più di quanto non si sia fatto a Roma.

Le dimissioni di 156 amministrazioni con a capo l’amministrazione di Milano, suonano un severo monito al Governo. E lo invitano a ricordarsi che quando si nomina un prefetto, non ci si pone contro la volontà della maggioranza del popolo di una grande città, volontà manifestata in modo chiaro ed aperto. (Commenti al centro).

Taluno ha parlato di sedizione, ma il Ministro ha ricevuto comunicazione che in Prefettura i partigiani ed il Comitato dei cittadini collaborano con il Prefetto per mantenere l’ordine. (Commenti al centro). Questa è la realtà.

Io concludo, onorevoli colleghi. (Commenti al centro). Questo vocìo non vi fa onore. Quello che è accaduto a Milano è un monito grave per tutti, non bisogna prendere tanto alla leggera avvenimenti di questo genere. Noi non siamo affatto contenti della situazione che avete provocato a Milano.

Una voce al centro. Proprio lei lo dice?

SCOCCIMARRO. Sì, proprio io. Voi non potete dubitare che queste parole siano espressione di timore o di viltà; voi sapete che ciò non risponderebbe alla realtà. Noi non temiamo la lotta: di ciò abbiamo dato sufficienti prove. Noi organizziamo in tutto il Paese la opposizione alla politica del Governo, perché non crediamo che essa risponda agli interessi nazionali del nostro Paese. (Commenti – Interruzioni al centro).

Ma questa opposizione noi la organizziamo sul piano legale: se questo non comprendete e spingerete il popolo per altre vie, la colpa sarà tutta vostra. Qui si è biasimato il popolo di Milano, si sono pronunziate parole di deplorazione e di condanna. Noi, alla protesta dei milanesi, uniamo da questi banchi la nostra protesta. (Approvazioni a sinistra). In questo episodio del prefetto Troilo si è fatto il tentativo evidente di violentare la volontà popolare. Questo tentativo è fallito.

Onorevole Scelba, per gli avvenimenti di Milano lei porta una grave responsabilità. Dopo quanto è accaduto, lei ha una sola cosa da fare: dare le dimissioni e andarsene. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Parri ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PARRI. In nome del Gruppo per il quale io parlo intendo portare su questo episodio della vita politica italiana un punto di vista tanto più sereno e oggettivo, quanto più esso è apparso controverso e di difficile giudizio, come dimostra la passionalità stessa di questa discussione. Ci sembra, pertanto, ancor più necessario e doveroso per noi d’intervenire in questa discussione, nella quale interessa non tanto la vertenza sulla sostituzione del prefetto Troilo, quanto il complesso degli avvenimenti che ne sono seguiti. Io credo che si debba dare atto al Ministro della sua ricostruzione cronologica la quale chiarisce alcuni lati ch’erano rimasti oscuri. Questo fatto increscioso è intessuto, evidentemente, di equivoci tanto da una parte che dall’altra, equivoci che l’hanno oscurato e l’hanno complicato.

Per quanto riguarda l’azione del Governo, da parte nostra consideriamo esservi stato un errore di valutazione di quella che è l’effettiva situazione psicologica del popolo di Milano. E di questa occorre tener conto come elemento di fatto: il Governo governa non situazioni immaginarie ma situazioni di fatto che esso non può ignorare ricorrendo comunque per dominarle ai mezzi più appropriati. E qui debbo dire che anche a noi (e son sicuro di non poter essere tacciato di demagogia) ha fatto un’impressione preoccupante il ricorso che il Governo ha fatto, così in extremis forse sotto la pressione dell’allarme del momento, all’autorità militare. Di questa impressione vi ha detto anche l’amico Gasparotto, che rappresenta un pensiero, come voi sapete, ponderato e sereno. Su questo punto insisto perché in questo momento l’interesse e la sollecitudine del Paese vogliono che tutti intendano, così la democrazia cristiana, come i movimenti di destra, che situazioni di questo genere, l’attuale e le situazioni che si potranno produrre, non possono essere certamente affrontate, non possono essere dominate coi metodi che alcuni giornali propugnano, coi metodi militari alla Bava Beccaris; assolutamente no.

Ma devo dire che a nostro nettò giudizio la reazione della parte popolare ha passato i limiti del legittimo. Dico «limiti» perché non credo, come voi mostrate di credere, che si tratti soltanto di una agitazione a comando, montata per ordine di un partito. V’era qualche cosa di più: la lettera del sindaco Greppi dovrebbe farvene capaci. Ma la reazione popolare pur sincera e spontanea è arrivata a limiti ed ha assunto modi e forme che sono oggettivamente pericolosi per tutti i partiti, che qualunque partito si ponga come partito di Governo deve giudicar pericolosi. Anche questo noi dobbiamo fermamente deplorare.

Io credo che, in sé, la vertenza riguardante la sostituzione del prefetto Troilo – escludendo qualunque addebito si possa fare a questo valoroso compagno, come alla buona fede del Ministro Scelba – possa essere abbastanza facilmente risolta, se da entrambe le parti non ci si irrigidisca in una linea di intransigenza formale.

Ma tutta l’Assemblea sente che non è l’episodio del prefetto Troilo che in questo momento interessa; non è esso che getta gli uni contro gli altri, con una virulenza che per noi non potrebbe essere più angosciosa e più preoccupante; sotto l’urto vostro passionale, io vedo il sospetto e la paura dell’uno verso l’altro. Situazione psicologica ben pericolosa. E voi forse (Si rivolge ai banchi del centro), anzi senza forse, non interpretate esattamente i fatti di Milano se li ritenete semplicemente un pretesto di partito, un’agitazione a comando ed artefatta.

Badate, un episodio come questo è diventato più che un pretesto; io lo chiamerei «un’occasione». Un’occasione per lo sbocco, lo sfogo di un’eccitazione, di una tensione politica che agita gran parte d’Italia. Di queste occasioni possono ripresentarsene facilmente molte altre, e voi – badate – dovete intenderle come un indice, una sveglia, un campanello di allarme perché, al fondo, pongono il problema non dico solo del Governo, ma della stessa possibilità di un Governo, e della paralisi quindi della vita pubblica e privata del Paese e, più in là ancora, della scelta tra un regime bulgaro o un regime greco.

Bisogna fermarsi in tempo.

Io raccolgo l’invito che era stato già rivolto dall’amico Gasparotto: ma non può più essere un semplice e patetico invito alla concordia degli animi, che non troverebbe certamente il terreno fertile, il terreno adatto. È un invito stringente, formale, a considerare il problema fondamentale del Governo, che in questo momento così delicato, internazionalmente ed elettoralmente, è il problema stesso della possibilità di governare l’Italia. Ed è il problema, in definitiva, della possibilità stessa di una pacifica convivenza in Italia, che la discussione dell’Assemblea di questa mattina ha posto in modo così acuto, così urgente.

Ed è questo l’appello che sorge dal cuore di tutti noi che non siamo classificati in questi due settori in lotta l’uno contro l’altro; di tutti noi che vogliamo salvare, direi, noi stessi, perché dall’approfondimento, che è già arrivato al limite di questo fossato, saremmo noi stessi travolti e con noi la nostra ragion d’essere, la nostra ragione politica di operare.

L’appassionata difesa della nostra stessa posizione in questo momento può veramente coincidere con l’avvenire d’Italia. È su di esso che chiamiamo a riflettere tutti i colleghi. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Mastrojanni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MASTROJANNI. Onorevoli colleghi! La gravità dei fatti non consente alcun dubbio per presentarli con la maschera, o con il vero volto. Come è mio costume, parlerò apertamente richiamando le parole dell’onorevole Pajetta, il quale, interrompendomi reiteratamente allorché, non molti giorni or sono, intervenivo per gli stessi fatti di cui oggi si discute, si meravigliava che io potessi presumere come vero il fatto che si fosse tentato a Milano di impadronirsi di quella Questura.

Rappresentavo allora, con tutta l’energia che il caso richiedeva, al Ministro dell’interno la gravità di quel tentativo e gli domandavo, per l’ipotesi che quell’invasione fosse riuscita, che cosa sarebbe avvenuto. È strano che oggi, nonostante che l’onorevole Pajetta avesse decisamente fugato allora ogni mio sospetto, oggi, dico, è strano, che si ripeta in Milano un fatto di proporzioni ben più vaste e ben più gravi.

In proporzioni ben più vaste e ben più gravi anche per i riflessi avuti in questa Assemblea e precisamente nei settori di sinistra dove, anziché recriminare le violenze e le usurpazioni dei poteri, si sono ammannite giustificazioni che non solo sono puerili, ma sono addirittura inopportune. Ella, onorevole Scoccimarro, ha – almeno se ho ben compreso dal contesto del suo discorso – formulato addirittura accuse contro il Governo che, per la sua insensibilità politica, avrebbe provocato i fatti che oggi lamentiamo a Milano!

Mi domando se sia lecito, nel 1947, confondere ancora l’autorità e la persona dello Stato con la individuazione di questa o di quella determinata persona fisica ed in considerazione della simpatia per l’una anziché per l’altra. Mi domando se sia possibile credere che la vera, nobile, industre, civile città di Milano voglia giustificare la sua opposizione al Governo per il fatto che il prefetto di quella città si identifichi in Troilo o in altra persona fisica; se sia lecito in altri termini subordinare il riconoscimento dell’autorità statuale al gradimento della persona fisica chiamata a rappresentarla.

MOLINELLI. Non si tratta di persone; si tratta di un partigiano al quale vogliono sostituire un clericale. Questo è il fondo.

PREZIOSI. Un clericale scelto da Romita!

MASTROJANNI. A me non interessa l’una né l’altra persona; mi dolgo semplicemente che si perpetui il malvezzo di nominare prefetti persone che non provengono dalla carriera.

MOLINELLI. Non ve n’erano prefetti di carriera quando si combatteva contro i nazisti ed i fascisti; erano scappati.

PRESIDENTE. Onorevole Molinelli, la prego!

MASTROJANNI. Noi riconosciamo a chiunque i suoi meriti e gli rendiamo gli onori cui ha diritto, ma non affidiamo funzioni così complesse e così gravi a persone le quali, valorose in altri settori, nessuna prova hanno dato di saper dirigere la cosa pubblica in settori tanto gravi e tanto delicati.

Una voce a sinistra. E gli altri, che prova hanno dato?

MOLINELLI. Faremo a meno dei prefetti; sarà meglio!

MASTROJANNI. Onorevole Ministro dell’interno, l’interrogazione che ho avuto l’onore di presentarvi non si riferisce a richiesta sulle causali dei fatti, ma è diretta a conoscere i provvedimenti che avete adottati o adotterete per i gravi fatti che si sono verificati, sia nei confronti dei funzionari che non hanno interpretato con senso profondo di responsabilità i loro compiti, sia nei confronti di tutte le altre autorità, le quali hanno permesso che l’autorità dello Stato fosse disintegrata, calpestata, offesa! (Approvazioni a destra). Noi non possiamo tollerare che il tutto si accomodi come in una transazione fra privati. Il fenomeno è così grave, è di così vasta portata, è di ripercussioni così imponenti, per cui noi legittimamente pretendiamo di conoscere dal Ministro dell’interno, e di conoscere dal Governo quali provvedimenti s’intendono adottare, ad incominciare dal prefetto Troilo, il quale deve rispondere del suo comportamento e del suo atteggiamento, e deve dichiarare e dimostrare perché ha ceduto il potere della cosa pubblica a lui affidato a chi non era, né poteva essere investito di tali poteri. (Commenti a sinistra).

Noi chiediamo al Ministro della giustizia onorevole Grassi, che ci informi prontamente sulle azioni del Procuratore della Repubblica in Milano, contro coloro che hanno violato il Codice penale, nel quale si identificano i reati contro la personalità interna dello Stato. Noi chiediamo al Governo di prontamente riferire a questa Assemblea Costituente se il fenomeno grave ed offensivo per tutti i cittadini italiani sarà stroncato e se saranno perseguiti e puniti sì che il diritto leso sarà reintegrato e l’equilibrio dell’autorità statuale ripristinato.

A noi non interessano le causali che hanno determinato questi gravi fatti; in questo momento è l’autorità dello Stato che pretendiamo sia difesa e tutelata!

I lavoratori hanno diritto di scioperare quando e come credono, e scioperino pure finché vogliono, ma nessuno ha il diritto di impossessarsi violentemente della cosa pubblica e di disconoscere le autorità costituite dello Stato. Coloro che con atti perfettamente rivoluzionari hanno tentato di disintegrare la cosa pubblica e di impadronirsi del potere devono essere prontamente puniti se vogliamo riconoscere nello Stato il presidio supremo che garantisca l’interesse e il diritto dei singoli e della collettività. (Applausi a destra).

Concordo col Ministro dell’interno, per avere in queste gravissime contingenze affidato in linea provvisoria la cosa pubblica all’Autorità militare, l’unica che possa, in contingenze così gravi ed eccezionali, ripristinare l’autorità e imporsi contro le aggressioni di chiunque. L’Autorità dello Stato e la libertà dei singoli e della collettività sempre e comunque devono essere difese, mantenute e garantite. (Applausi a destra).

Agli onorevoli colleghi che ammonirono il Ministro dell’interno che maggiore prestigio e maggiore autorità ha lo Stato quanto meno si serve della forza pubblica, io domando: se questa è la serafica concezione che essi cullano per garantire l’equilibrio nella cosa pubblica, fra i diversi elementi che la compongono, perché essi fanno al contrario affidamento esclusivo nelle manifestazioni violente della forza, per il perseguimento e l’affermazione dei loro principî e delle loro ideologie politiche. (Applausi a destra – Rumori all’estrema sinistra).

Si è che la ragione e il diritto, dovunque essi siano, possono esser fatti valere solo attraverso l’usbergo della forza. Ma la forza deve risiedere solamente e unicamente nelle mani dello Stato! Nessuno deve farsi ragione da sé. Solo attraverso il presidio della legge è lecito far valere diritti ed interessi.

Onorevole Ministro, mentre io plaudo alle vostre saggie iniziative, vi esorto e vi eccito a perseverare nel vostro comportamento, a mantenere fermo e sicuro il prestigio dello Stato, a garantire sempre meglio il diritto sacrosanto dei cittadini di vivere in una società libera e ordinata, come in questa Assemblea abbiamo consacrato nel progetto di Costituzione quasi ultimato! (Vivi applausi a destra).

PRESIDENTE. Le interrogazioni sono così esaurite.

La seduta termina alle 13.50.