Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 27 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 27 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Costa

Gabrieli

Mortati

Crispo

Leone Giovanni

Mannironi

Grassi

Targetti

Calamandrei

Della Seta

Persico

Gasparotto

Togliatti

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Bubbio

Mastino Gesumino

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Orlando Vittorio Emanuele

Romano

Dominedò

Rossi Paolo

Colitto

Caccuri

Cortese

Murgia

Villabruna

Macrelli

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Guido

Mastino Pietro

Zotta

Cevolotto

Adonnino

Clerici

Disegni di legge (Presentazione):

Scelba, Ministro dell’interno

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Passiamo all’esame dell’articolo 102. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Contro le sentenze o le decisioni pronunciate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso per cassazione secondo le norme di legge».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. Vi è anzitutto un emendamento soppressivo dell’onorevole Costa. Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Lo ritiro, e ne do ragione: lo ritiro, tenendo conto dell’indirizzo che ha avuto la discussione sull’articolo 101, e tramuto l’emendamento in una raccomandazione alla Commissione, in questo senso: mi sembra che la dizione «contro le sentenze» si possa sostituire con la dizione «contro le decisioni». E ciò anzitutto perché ritengo che nel concetto di «decisione» sia compreso anche quello di «sentenza», in quanto la sentenza non è altro che la esteriorizzazione della decisione. Inoltre, per una ragione che non è soltanto lessicografica, ma che, secondo me, ha anche un addentellato dottrinario, in riferimento alle dispute che si sono avute nei primi tempi di applicazione della legge sulla giustizia amministrativa. Se la Commissione ha redatto il testo intendendo sentenze degli organi ordinari e decisioni delle giurisdizioni speciali, io penso che possa aver fatto questo per eliminare quella disputa che si è avuta allorché si sosteneva (e l’onorevole Orlando era tra coloro che entrarono in questa disputa) che le pronuncie dell’allora quarta sezione non fossero sentenze; e la dottrina prevaleva nel preferire la locuzione «decisione».

Ora, in riferimento a queste dispute dottrinarie, penso sia stato intendimento della Commissione di stabilire la distinzione di cui mi sto occupando.

Ritengo, comunque, che la distinzione fatta nel testo dalla Commissione possa ingenerare l’equivoco, nel senso di far risorgere la disputa; ed ecco la ragione, non soltanto dirò così, lessicografica per cui, quando si dice «decisioni» si debba intendere qualunque pronunzia di ogni autorità che risolva un caso controverso, ivi comprese le sentenze. Conseguentemente raccomanderei alla Commissione la seguente dizione: «Contro le decisioni degli organi giurisdizionali, ecc.».

È mia opinione che questo articolo si potrebbe sopprimere senza danno, ma, ripeto, l’emendamento che tendeva alla soppressione lo ritiro, nella fiducia che basti avere fatta la or accennata raccomandazione di semplificazione e chiarificazione del testo esaminato.

Presentazione di disegni di legge.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi onoro di presentare all’Assemblea i seguenti disegni di legge:

«Norme per la prima compilazione delle liste elettorali nella provincia di Gorizia».

«Norme per la limitazione temporanea del diritto di voto ai capi responsabili del regime fascista».

«Elezione del Consiglio della Valle d’Aosta».

Chiedo che, per il primo, si adotti la procedura di urgenza.

PRESIDENTE. Do atto al Ministro dell’interno della presentazione di questi disegni di legge.

Poiché egli ha chiesto che per il primo si dichiari il procedimento d’urgenza, chiedo all’Assemblea se approva questa richiesta.

(È approvata).

I disegni di legge saranno trasmessi alla Commissione competente.

Si riprende la discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati già svolti i seguenti emendamenti:

«Sostituirlo col seguente:

«Contro le sentenze e le decisioni pronunciate in secondo grado dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali o non soggette ad appello è sempre ammesso il ricorso alla Suprema Corte di cassazione per qualsiasi violazione o falsa applicazione di norme giuridiche sostanziali o procedurali».

«Monticelli».

«Sostituirlo col seguente:

«Contro le sentenze e le decisioni pronunciate dagli organi giurisdizionali in primo o in secondo grado è sempre ammesso ricorso per Cassazione per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto sostanziale o processuale».

«Romano».

«Sostituirlo col seguente:

«Contro ogni decisione di organo giurisdizionale ordinario o speciale è concesso il ricorso per violazione di legge alla Cassazione».

«Colitto».

L’onorevole Gabrieli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 102 col seguente:

«Contro le sentenze e le decisioni pronunziate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali in secondo grado o non soggette ad appello è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto sostanziale o processuale».

Ha facoltà di svolgerlo.

GABRIELI. Onorevoli colleghi, è evidente che, dopo che l’Assemblea Costituente, con l’articolo 95, ha riservato al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti la competenza in materia di giustizia amministrativa e di giustizia in materia contabile, io non posso mantenere l’emendamento nella forma in cui era stato redatto; perché è evidente che è ammesso il ricorso alla Corte di cassazione solamente in caso di difetto assoluto di giurisdizione contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

Non posso neanche mantenere l’emendamento nella forma in cui è redatto, perché l’articolo 95 ha approvato l’esistenza o la sopravvivenza di tribunali militari.

D’altra parte, non posso consentire neanche sulla forma dell’articolo 102, in cui è detto che il ricorso in Cassazione è sempre ammesso.

Vi sono dei casi in cui non è ammissibile il ricorso in Cassazione, ed è il caso, ad esempio, in cui i tribunali militari pronunciano delle sentenze che hanno bisogno di immediata esecuzione. Quando questi tribunali agiscono al seguito di unità operanti, è evidente che in quel caso la sentenza di morte, per esempio, pronunziata per dare un esempio di disciplina a tutto l’esercito che si trova davanti al nemico, ha bisogno di immediata esecuzione e non può attendere le more di un giudizio in Cassazione o di un ricorso al Tribunale Supremo militare, per ottenere quell’adempimento immediato che è nelle finalità e nelle esigenze dell’esercito che opera dinanzi al nemico. Per questa ragione, rinunzio all’emendamento così come l’ho presentato e come figura nel primo testo originario e ne propongo un altro nel quale, togliendo il «sempre», dico: «…è ammesso il ricorso in Cassazione nei limiti stabiliti dalla legge».

PRESIDENTE. L’onorevole Caccuri ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Contro le sentenze o le decisioni pronunziate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso alla Cassazione, per qualsiasi violazione di norme giuridiche, processuali o sostanziali».

Gli onorevoli Mortati e Codacci Pisanelli hanno presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Sostituirlo col seguente:

«Il ricorso in Cassazione è sempre ammesso, secondo le norme di legge, contro le sentenze emesse dagli organi giurisdizionali ordinari.

«La Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Signor Presidente, questo articolo 102 si deve esaminare sotto due punti di vista: non solo, cioè, per il contenuto consacrato nel progetto, ma anche in ordine agli emendamenti che sono stati presentati, così da me come da altri colleghi, circa l’unicità della Cassazione.

Ora, mi pare che queste due parti dovrebbero essere affrontate in due discussioni distinte. La prima infatti di queste due discussioni, quella cioè che riguarda i poteri della Cassazione, sarebbe, a mio avviso, opportuno rinviarla a quando parleremo della Corte costituzionale, perché ci sono evidenti nessi fra i due argomenti. Io, per esempio, ho proposto un emendamento per cui i conflitti di giurisdizione dovrebbero essere prodotti non di fronte alla Cassazione, ma dinanzi alla Corte per le garanzie costituzionali. D’altra parte, altri colleghi hanno proposto la soppressione della parte del progetto riguardante la Corte costituzionale, con che hanno inteso che si attribuisca alla Cassazione il giudizio di costituzionalità delle leggi.

Questo significa dunque che, come dicevo, fra i due argomenti vi sono dei nessi così intimi che il procedere ad un esame distinto potrebbe condurre a delle disarmonie o per lo meno potrebbe farci prolungare oltre l’indispensabile la discussione. La mia proposta sarebbe, pertanto, quella di limitare per ora la discussione alla sola questione relativa all’unicità della Cassazione, rinviando l’altra in sede di esame di tutto ciò che si riferisce alla Corte costituzionale.

Se, pertanto, la mia proposta dovesse venire accolta, mi limiterei, per il momento, a svolgere semplicemente la parte che si riferisce all’unicità della Cassazione.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, non so come si possa prendere in considerazione questa sua proposta. Comunque, dovrà essere l’Assemblea a decidere, giacché la sua proposta è fondata solo su determinate opinioni che ella ha, sul suo modo particolare di considerare il problema.

E pertanto ella potrebbe senz’altro svolgere il suo emendamento anche per quanto riguarda la seconda parte.

MORTATI. Il primo punto del mio emendamento, dunque, riguarda due problemi: quello della competenza della Cassazione e quello della sua unicità. Per quanto riguarda la competenza, devo fare presente che il significato originario dell’articolo, quale era stato proposto dalla Commissione, era quello di impedire che una legge potesse escludere per qualche decisione il rimedio del ricorso in Cassazione. Senonché la sua formulazione si prestava ad una interpretazione secondo cui l’estensione del sindacato della Cassazione dovesse essere la medesima sia per le decisioni dell’autorità giudiziaria ordinaria, sia per quelle delle speciali, il che verrebbe a modificare profondamente il sistema attuale, che, com’è noto, limita il ricorso alla Cassazione contro queste ultime solo al caso del difetto assoluto di giurisdizione. Ci sono infatti degli emendamenti, come quelli dell’onorevole Merlin Umberto, dell’onorevole Romano e di altri che propongono di sancire espressamente questo principio. La mia formulazione ha lo scopo di escludere, nel modo più reciso, tale possibilità, che contrasterebbe non solo con la tradizione, ma con la logica stessa che presiede alla costituzione di giurisdizioni speciali. Infatti, il criterio, la ragion d’essere, il significato della creazione di giurisdizioni speciali sta proprio in questo: nel ritenere, cioè, che il giudice ordinario non abbia quella preparazione, quella forma mentis, quelle attitudini necessarie per interpretare certe disposizioni di legge, ed applicarle a certi rapporti determinati. È questa la ragione per cui si creano, per esempio, i tribunali militari, attraverso i quali si tende a portare nell’applicazione del Codice penale militare la concezione strettamente gerarchica e disciplinare propria dei rapporti fra appartenenti alle forze armate. Questa la ragione per cui si crea il Consiglio di Stato, ritenendosi appunto che per certe controversie che vertono fra l’amministrazione e gli impiegati, il giudice ordinario sia meno idoneo ad interpretare le leggi che si riferiscono a questi rapporti.

Quindi, se questa è la ragione della creazione di giurisdizioni speciali, a me pare che non possa essere ammesso il sindacato sull’interpretazione delle leggi data da tali giurisdizioni da parte della Cassazione, che è un organo della giurisdizione ordinaria.

Insomma, mi pare che creare una giurisdizione speciale e nello stesso tempo sottoporre le decisioni di questa giurisdizione speciale al controllo di un giudice che fa parte dell’ordine giudiziario ordinario, sia pure in grado supremo, sia una contradizione; e che, pertanto, occorra porre nella Costituzione un’affermazione esplicita che escluda tale eventualità.

Non credo neppure che si possa accettare, perché in contrasto con l’ordine di idee esposte, la proposta dell’onorevole Leone che vorrebbe fare distinzione fra alcune giurisdizioni speciali ed altre. Egli ammette che per il Consiglio di Stato e per la Corte dei conti il ricorso in Cassazione sia limitato esclusivamente all’eccesso di potere, inteso come difetto di giurisdizione, ma richiede che per le altre giurisdizioni speciali il sindacato sia più ampio, sia cioè esteso alla violazione di legge.

Una siffatta distinzione non appare in nessun modo fondata, perché se la ragion d’essere – come dicevo poco fa – delle giurisdizioni speciali sta nel presupposto che ci sia un giudice più idoneo di quello ordinario ad interpretare la legge regolativa di certi rapporti, l’esigenza del rispetto di questo presupposto porta ad escludere per tutte le giurisdizioni speciali – e non solo per alcune – il sindacato da parte della Cassazione.

Ribadisco, quindi, che, a mio avviso, tutte le volte che si sia in presenza d’una giurisdizione speciale, il sindacato della Cassazione si debba limitare soltanto all’eccesso di potere giudiziario, cioè alla mancanza o difetto assoluto di giurisdizione. Questo è il primo punto su cui mi pare necessario prendere netta posizione.

Si pone ora un secondo quesito. Il sindacato sul difetto assoluto di giurisdizione, e il giudizio, al primo connesso, sui conflitti di giurisdizione (cioè sui conflitti insorgenti fra la giurisdizione ordinaria ed una giurisdizione speciale, o fra una e un’altra giurisdizione speciale). Questi conflitti, e con essi quelli detti di attribuzione (cioè sorti fra poteri diversi dello Stato), sono stati sempre, dal 1877 in poi, affidati alla Corte di cassazione a Sezioni unite. Il progetto di Costituzione innova a questa situazione per quanto riguarda i conflitti di attribuzione, assegnati dall’articolo 126 alla Corte di giustizia costituzionale.

Il problema che ora sorge è di vedere se vi siano ragioni per attribuire alla stessa Corte anche le questioni sui rapporti fra le varie giurisdizioni. Il mio emendamento propone appunto un’innovazione in questo senso. Quali sono i motivi della deroga suggerita al sistema attuale delle competenze? Questi motivi possono riassumersi in due: anzitutto uno di carattere generale e che fu prospettato largamente in passato, che muove dalla considerazione dell’anomalia di attribuire questi giudizi ad un organo della giurisdizione ordinaria, cioè ad un organo di quel potere che in certo modo è parte in causa, perché il conflitto verte fra gli organi giudiziari ordinari e gli organi di giurisdizione speciali. Quindi era stata fatta la proposta, in passato, di creare un tribunale dei conflitti, formato in modo misto, cioè affidato non solo ai giudici di Cassazione, ma anche ad elementi tratti da altre giurisdizioni.

A me pare che a questo motivo di carattere generale a favore della creazione di un organo di carattere generale se ne sia aggiunto uno nuovo, in base al disposto dell’articolo 95, che è stato già approvato. Infatti nell’articolo 95 abbiamo stabilito l’esistenza di alcuni organi di giurisdizione speciale come il Consiglio di Stato e la Corte dei conti. Ma non solo: siamo andati più in là. Abbiamo sancito nella Costituzione alcune competenze proprie di questi organi: così, abbiamo attribuito alla Corte dei conti la competenza esclusiva sui giudizi di conto; per il Consiglio di Stato abbiamo stabilito, sempre in sede costituzionale, che ad esso spetta il giudizio circa gli interessi legittimi.

L’aver disposto nella Costituzione queste competenze specifiche ad organi di giurisdizione speciale porta a questa conseguenza: che i conflitti in queste materie, per lo meno fra organi giurisdizionali diversi, assumono rilevanza costituzionale. Quindi se un tribunale ordinario giudica in materia di conti, questo eccesso di potere giurisdizionale si traduce in un’alterazione dell’ordine costituzionale dei poteri giurisdizionali, in una violazione di Costituzione.

Il fatto che questo conflitto si svolge nell’ambito dello stesso potere giurisdizionale non modifica la conclusione alla quale io voglio giungere, perché noi abbiamo stabilito una unità non organica, ma funzionale di giurisdizione, unità funzionale che non esclude, anzi implica, secondo il sistema posto, una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi, in sistemi autonomi, ognuno dei quali fa parte a sé, ognuno dei quali ha una propria organizzazione. Quindi l’avere creato i vari sistemi giurisdizionali distinti, averli garantiti costituzionalmente nella loro competenza, nella loro reciproca indipendenza, fa assumere carattere costituzionale ai conflitti che dovessero sorgere in ordine alle rispettive competenze.

Quindi, a me pare che ci sia una ragione maggiore di quella che si adduceva in passato per indurci a sottrarre alla Cassazione i giudizi sui conflitti di giurisdizione e per attribuirli a questo organo nuovo che dovrebbe essere istituito e che, essendo in questo modo al di sopra dei vari poteri, appare il più idoneo a giudicare dei conflitti che vertono fra organi che, pur appartenendo allo stesso potere, sono autonomi nella loro competenza ed autonomi nella composizione ed organizzazione.

Queste, in breve, le ragioni a giustificazione dei due emendamenti, sia di quello che dovrebbe essere inserito nell’articolo 102, sia dell’altro che dovrebbe trovare il suo posto, come aggiunta, all’articolo 126, dove sono contemplate le garanzie costituzionali.

Per quanto riguarda l’altra parte del mio primo emendamento circa la unicità della Cassazione, dirò brevissime parole, anche perché penso che vi saranno molti altri oratori dell’Assemblea che interverranno su questo punto.

Vorrei semplicemente notare che le ragioni che sono state addotte in ordine alla pluralità delle Cassazioni e che sono state desunte dal carattere decentrato che è venuto ad assumere il nostro Stato, non hanno ragione d’essere, non giustificano, non dànno alcuna nuova giustificazione maggiore di quelle tradizionalmente addotte in passato a favore della pluralità delle Cassazioni. Infatti noi abbiamo escluso che il decentramento potesse estendersi alla funzione giudiziaria, il che mi pare trovi la sua ragione d’essere nella considerazione che il decentramento attuato non è un decentramento di carattere federalistico e, quindi, non tocca e non può toccare l’esercizio della funzione giurisdizionale. D’altra parte, se si prendesse a pretesto della moltiplicazione delle giurisdizioni il principio regionalistico, la logica vorrebbe che questo principio fosse esteso a tutte le Regioni, ed ognuna di esse avesse la sua Corte di cassazione.

Ripristinare le quattro vecchie Cassazioni abolite nel 1923 non troverebbe una giustificazione dal riferimento al decentramento regionale.

Questa innovazione nella nostra Costituzione non solo non può essere invocata per giustificare la reintegrazione della pluralità delle Cassazioni ma, a mio avviso, fa sorgere nuovi motivi per rafforzare l’accentramento, divenendo più sentita l’esigenza dell’unità di interpretazione delle leggi. Allora rimangono le altre ragioni, le ragioni che si adducevano in passato contro la unicità e sono ragioni di varia natura. Qualcuno dice che la Cassazione unica accentrata in Roma, e avente il monopolio del diritto, può subire più facilmente delle pressioni da parte del Governo.

Ma queste ragioni non possono più valere dopo le garanzie di indipendenza della Magistratura che abbiamo sancito e che dovrebbero servire a garantire i magistrati da inframmettenze di carattere politico, e soprattutto da parte del potere esecutivo.

Si dice anche che il decentramento della Cassazione può essere utile ad avvicinare questi organi alla coscienza popolare, quale si manifesta nelle varie zone del territorio, e quindi può assicurare una maggiore aderenza di questi organi a quelle che sono le esigenze dello spirito popolare manifestantisi nelle varie parti del territorio. Ma anche questa non mi pare una ragione che possa fare accogliere la tesi criticata, perché questa esigenza, della quale riconosco la grande importanza, di mettere il giudice (che non è una macchina che dice il diritto nel singolo caso, ma un organismo vivente) nella condizione di interpretare le leggi in piena concordanza con lo spirito popolare e, quindi, con piena sensibilità e aderenza alle esigenze popolari, questa esigenza deve essere sodisfatta attraverso la formazione, la scelta, la selezione del giudice e non attraverso lo sparpagliamento di esso nel territorio, in quel momento della pronuncia del diritto che esige il massimo di unità, proprio del giudizio di Cassazione. La molteplicità della Cassazione non trova nessun precedente in nessun paese del mondo, e da noi era stata mantenuta per le ragioni storiche che ben conosciamo. Neppure appaiono fondate le ragioni che sono desunte dalla constatazione del non sodisfacente funzionamento della Cassazione unica di Roma, perché se può essere vero che l’unificazione della Cassazione operata nel 1923 non ha prodotto tutti quei risultati utili che se ne ripromettevano nel senso della uniformità delle pronuncie, ciò può addebitarsi ad un difetto di organizzazione cui si potrebbe facilmente ovviare.

In sostanza, a me pare che il ritorno alle Cassazioni multiple, mentre contrasta con quella che è la prassi di tutta la legislazione moderna, non trova altra vera giustificazione se non l’utilità di qualche gruppo di appartenenti al ceto forense, utilità che, per quanto degna di considerazione, non mi pare che possa ispirare una riforma come quella che si vuole introdurre.

Per questi motivi penso si debba riaffermare il principio della unicità della Cassazione.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Varvaro così formulato:

«Sopprimere le parole: ordinari o speciali».

Non essendo presente l’onorevole Varvaro, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

I seguenti emendamenti sono già stati svolti:

«Alle parole: secondo le norme di legge, sostituire: per violazione di legge».

«Cortese».

«Dopo le parole: secondo le norme di legge, aggiungere: e contro tutte le sentenze penali che infliggono pene detentive – comprese quelle della Corte d’assise – anche l’appello».

«Murgia».

«Aggiungere il seguente comma:

«La Cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica».

«Persico».

Anche il seguente emendamento è stato svolto:

«Aggiungere il seguente commi:

«La Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica, con sezioni distaccate, in materia civile e penale, a Torino, Firenze, Napoli e Palermo».

«Crispo, Badini Confalonieri, Bellavista».

Tuttavia ora l’onorevole Crispo presenta questo emendamento aggiuntivo al suo precedente emendamento:

«La legge determina le forme e gli istituti atti a garantire la uniformità della interpretazione giurisprudenziale».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. Con il mio emendamento aggiuntivo io mi sono proposto una evidente finalità. Fra la tendenza per la quale la Cassazione dovrebbe essere unica e la tendenza radicalmente opposta, che propugna la pluralità delle Corti di cassazione, con il mio emendamento mi pongo nel mezzo, stabilendo, cioè, che, se la Cassazione deve essere unica per tutto lo Stato, questo principio non vieterebbe, ai fini del decentramento della Corte di cassazione, di istituire delle sezioni distaccate. E, preoccupandomi del problema dell’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale, con l’emendamento aggiuntivo propongo di stabilire nella Costituzione che gli istituti, che saranno stabiliti per legge allo scopo di integrare il funzionamento della Corte di cassazione, dovrebbero essere destinati a regolare l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale.

Vorrei permettermi a questo punto di ricordare che questo emendamento ha precedenti innumerevoli. Mi permetto di ricordare il progetto Orlando, che sostenne radicalmente la pluralità delle Corti di cassazione. Nell’articolo 21 del suo progetto, Vittorio Emanuele Orlando, al fine di poter raggiungere l’uniformità della interpretazione giurisprudenziale, stabiliva che ogni certo numero di anni il Ministro di grazia e giustizia dovesse o potesse convocare i presidenti delle varie Corti regionali di cassazione, allo scopo di una intesa sui vari punti discordemente decisi, e ciò allo scopo di poter così raggiungere, attraverso un esame o un riesame dei punti controversi, la finalità di questo organo supremo, dettato a risolvere i contrasti delle magistrature dislocate nelle varie parti del territorio, vale a dire allo scopo di raggiungere l’unità della interpretazione giurisprudenziale. Vorrei anche ricordare il progetto Gianturco-Lessona del 1892 e quello del circolo giuridico di Palermo, e così una serie di progetti con i quali si voleva raggiungere questa finalità; cercare il modo come contemperare la esigenza del principio al quale deve essere informato l’istituto della Cassazione unica con il principio della necessità di decentramento, per evitare questo congestionamento della Cassazione unica.

Ecco perché col mio emendamento, con la modificazione odierna, soggiungo che la legge si preoccuperà di stabilire gli istituti integratori e le forme per la uniformità dell’interpretazione legislativa. Sicché con l’emendamento principale io dico che si mantiene fermo il principio della unità delle Corti di cassazione: la Corte di cassazione unica per tutto il territorio dello Stato, con sezioni distaccate in quelle regioni che erano precedentemente sedi di sezione di Corte di cassazione o di Cassazioni regionali; e propongo che si demandi alla legge il modo di potere, attraverso gli istituti complementari, provvedere alla uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale.

PRESIDENTE. D’onorevole Leone Giovanni ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 102 col seguente:

«Tutte le sentenze pronunziate da giudici ordinari o speciali sono impugnabili presso la Corte di cassazione per violazione di legge.

«La medesima garanzia vale per i provvedimenti di giudice ordinario o speciale concernenti la libertà personale dell’imputato.

«Le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti sono impugnabili in Cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione».

Ha facoltà di svolgerlo.

LEONE GIOVANNI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, il mio emendamento, per quanto concerne il primo ed il terzo comma, è un emendamento interamente sostitutivo dell’articolo 102.

Esso si incontra con l’emendamento Rossi; di tal che in sede di votazione, se l’onorevole Rossi crederà di accettare il secondo comma del mio emendamento, che potrebbe essere introdotto anche come una parte del primo comma, io potrei rinunciare al mio per aderire al suo.

A che cosa mirano i tre commi del mio emendamento?

Il primo comma stabilisce l’impugnabilità in Cassazione di tutte le sentenze pronunciate dal giudice, ordinario o speciale, per violazione di legge. In questo punto non sono d’accordo, come è stato testé rilevato, con l’orientamento di alcuni colleghi, espresso nell’emendamento dell’onorevole Mortati. L’emendamento Mortati sostiene che l’impugnabilità in Cassazione per violazione di legge debba essere consentita soltanto avverso i provvedimenti di giudici ordinari; mentre, per quanto concerne i giudici speciali, l’impugnabilità in Cassazione deve essere limitata soltanto a motivi concernenti il difetto di giurisdizione.

Penso di dover insistere, ad onta delle acute osservazioni dell’onorevole proponente dell’emendamento. Insistere perché? Innanzitutto dovrò ricordare ai colleghi e all’onorevole Mortati che, secondo l’articolo 95 da noi votato, le giurisdizioni speciali nel loro complesso sono cadute.

Il progetto stabiliva la possibilità di mantenere o di introdurre giurisdizioni speciali, con legge votata con particolare maggioranza. Senonché a quel testo del progetto fu sostituito l’emendamento Conti-Perassi, a cui aderii anche io, col quale si diceva che non sono consentite le creazioni di giudici speciali straordinari e si convogliavano tutte le giurisdizioni speciali esistenti o di cui in avvenire si potrà profilare la necessità, in sezioni specializzate, come tali, organi del giudice ordinario.

Sicché, per tutte quelle pronunzie, che saranno emesse da quelli che adesso sono organi giurisdizionali speciali, ma che, in esecuzione della Costituzione, domani saranno sezioni specializzate di un organo ordinario, è chiaro che non si presenti la questione, in quanto che, trattandosi di sezioni di un organo giurisdizionale ordinario, contro le pronunzie delle medesime deve essere ammesso ricorso per violazione di legge, con formula ampia.

Resta il problema per quelle poche giurisdizioni speciali, che abbiamo conservato: i due grossi tronchi di giurisdizioni speciali amministrative, Consiglio di Stato con derivazioni periferiche (quindi tutte quelle giurisdizioni amministrative che confluiscono al vertice nel Consiglio di Stato), Corte dei conti; e, per quanto attiene alla materia penale, i Tribunali militari.

Ora, per il Consiglio di Stato e giurisdizioni periferiche che vi sono connesse, e per la Corte dei conti, è chiaro che non si può stabilire la impugnabilità in Cassazione per violazione di legge, ma che soltanto debba mantenersi il principio vigente della impugnabilità per difetto di giurisdizione o di competenza. Perché la stessa ragion d’essere di questa giurisdizione, lo stesso motivo che ci ha indotti, deflettendo dal principio della unità della giurisdizione dal quale siamo mossi, a mantenere questa giurisdizione, deve valere per limitare il ricorso in Cassazione ai soli casi di difetto di giurisdizione.

La ragione è che queste giurisdizioni incidono con la loro attività nell’atto amministrativo, sicché c’è maggiore aderenza tra queste giurisdizioni e gli atti del potere amministrativo, donde la conseguenza che anche il motivo di violazione di legge è motivo che si radica sull’essenza, sulla finalità, sul motivo di opportunità, che ispirano l’atto amministrativo.

Per questo devo difendere il mio punto di vista nei confronti delle critiche mosse dall’onorevole Mortati, dicendo che ritengo non incoerente il fatto di richiedere che il ricorso in Cassazione per tutte le giurisdizioni ordinarie e speciali sia dato per motivi di violazione di legge e sia soltanto per le giurisdizioni amministrative – Corte dei conti e Consiglio di Stato – delimitato al difetto di giurisdizione.

Resta il terzo tronco di giurisdizioni speciali, che abbiamo mantenuto.

Allo stato di fatto, la situazione è la seguente: giurisdizioni speciali non dovranno più esisterne, tranne questi tre grossi tronchi: Consiglio di Stato, Corte dei conti, Tribunale militare.

I Tribunali militari territoriali sono rimasti. Io ho esposto in altra sede, che essi debbano, anche attraverso una norma, essere organizzati in modo da dare ai loro giudici e al pubblico ministero quelle garanzie di indipendenza dal potere esecutivo, che oggi essi non possiedono, neppure in misura minima.

Sorge il problema nei confronti del Tribunale supremo militare. Quali sono oggi le sue funzioni? Sono eguali alle funzioni della Corte di cassazione, nei confronti delle sentenze dei giudici ordinari; perché al Tribunale supremo militare non si può ricorrere che per motivi di violazione di legge, procedurali o sostanziali. Non siamo più qui, di fronte a questo Tribunale, nell’ambito di un problema particolare di applicazione della legge al caso singolo, per cui si richiede una particolare sensibilità, l’apporto di alcuni elementi estranei agli organi civili ordinari, i quali, per la loro maggiore aderenza alla vita dell’imputato militare, per la maggiore sensibilità a certi interessi, per la maggiore conoscenza dell’ambiente, possono influire nell’applicazione concreta al caso singolo della legge, con particolari vedute che la legge può rispettare.

Qui si tratta soltanto di stabilire, da parte del Tribunale supremo militare, se esistono le determinate violazioni di legge denunziate da un ricorrente.

PERSICO. E le funzioni speciali?

LEONE GIOVANNI. Risponderò più tardi anche per le funzioni speciali. Dapprima voglio confutare quello che l’onorevole Mortati portava come base per la sua critica di carattere generale alla impostazione del problema da me fatta. Il giudice speciale si giustifica, diceva il collega Mortati, per la sua particolare forma mentis, per la sua particolare preparazione, necessaria per interpretare certe norme; onde la conseguenza che se noi, per formare un organo giurisdizionale speciale chiamiamo a comporlo elementi al di fuori degli organi ordinari, perché provvisti maggiormente di questa preparazione, di questa forma mentis, anche nei giudizi di legittimità occorre che sia rispettata questa esigenza. Ma nei giudizi di legittimità, io dico, questa esigenza irrilevante, è estranea e non può presentarsi, perché l’esigenza della partecipazione dell’elemento estraneo alle sezioni specializzate è un’esigenza che si esaurisce nell’indagine concernente la ricerca delle condizioni di fatto in cui la legge va applicata, e concernente la ricerca di taluni particolari motivi e condizioni ambientali, i quali condizionano l’applicazione della legge; ma queste esigenza non possono importare un diverso profilo ed un diverso orientamento per quanto attiene all’interpretazione della legge. Infatti le norme di interpretazione della legge si impongono sia al giudice ordinario che al giudice speciale, tanto al giudice togato, quanto al giudice laico. Lo stesso giurato, che voi avete voluto, e per il quale esprimo augurio uguale a quello formulato per il Tribunale militare, potrà persino portare in maniera incontrollata ed incontrollabile la espressione della coscienza sociale; ma il giurato non si può rifiutare infatti di interpretare le norme di legge in conformità dei tradizionali principî di ermeneutica. Ma dirò di più; cioè che la stessa organizzazione della giuria, secondo il recente decreto Gullo, è impostata sulla base, peraltro molto discutibile, ma assai significativa, della distinzione fra indagine di fatto e indagine di diritto; perché il progetto Gullo e tutta la tradizione sull’organizzazione della giuria distinguono tra giudizio di fatto e giudizio di diritto, assegnando il primo al giudice laico e il secondo al giudice togato. Infatti, se nel giudizio di fatto è bene che si inserisca questo elemento estraneo alla vita del diritto, nel giudizio di diritto occorre invece rispettare rigorosamente le norme della legge e quindi anche i canoni d’interpretazione della legge stessa. Bisogna allora accogliere questa conseguenza: che i giudizi di legittimità debbono essere affidati tutti ad organi che non siano speciali, e per essere più specifico, ad un solo organo di giurisdizione ordinaria, che è la Corte di cassazione, mentre restano come unica eccezione quei soli organi speciali, come la Corte dei conti e il Consiglio di Stato, per cui ho illustrato le ragioni che ci inducono a discostarci dal criterio generale di condurre nell’alveo della Cassazione i ricorsi avverso i giudici speciali, anche per violazione di legge.

Questo soprattutto vale in tema di giurisdizione militare. Ma, mi diceva sottovoce l’amico Persico poco fa: il Tribunale supremo militare ha altre funzioni. Io dico: sono altre funzioni di carattere non giurisdizionale, ma amministrativo, le quali potranno essere domani assegnate a un altro organo. Ci dobbiamo preoccupare, per esempio, che il tribunale militare dà il parere sugli svincoli di dote o su altre pratiche poco importanti? Questi sono controlli di carattere amministrativo che possono essere demandati ad altro organo; non so, affidati, ad esempio, al Consiglio di Stato o al Supremo Consiglio della difesa, od all’Avvocatura dello Stato. Il problema in questo momento si risolve nello stabilire se convenga mantenere nel Tribunale supremo militare l’unico organo giurisdizionale supremo dei vari tribunali militari. Mi pare che, trattandosi dell’esame di motivi concernenti violazione di legge, e quindi involgenti l’interpretazione della legge, non sia necessario formare un particolare organo di legittimità misto. Detta Corte è composta oggi – perché, onorevoli colleghi, è bene ricordare come è composta – così: la Presidenza è affidata a un generale, che, se è stato un buon generale, è certamente privo di qualsiasi cognizione di cose giuridiche; poi vi è un magistrato militare, con funzioni di relatore, il quale, avendo la funzione monopolistica di redigere la sentenza, mette in un certo imbarazzo i consiglieri di Cassazione che vi partecipano, che, se vogliono affermare un principio di maggioranza, non sono idonei a farlo valere nella sentenza; poi, vi partecipano tre consiglieri di Cassazione, altri due militari, quattro tecnici e due non tecnici.

Questa composizione mista non ha ragion d’essere. Con ciò voi avete il diritto di domandarmi se voglio la distruzione del Tribunale supremo militare. No, onorevoli colleghi, non ho nessun interesse a distruggere quest’organo. Dico solo che esso può trasformarsi in un organo di secondo grado per i giudizi militari; perché a me pare che non vi sia alcuna ragione di conservarlo così, non ammettendo il giudizio di appello contro le sentenze pronunciate dal tribunale militare. Il Tribunale supremo militare si potrebbe trasformare in una seconda istanza, oppure si potrebbe conservare la procura generale militare con esigenze particolari e quindi come un organo di pubblico ministero particolare, sedente presso la Cassazione. Ma, i ricorsi avverso ai tribunali militari per motivi di legittimità, per una certa coerenza, dovrebbero essere portati alla Cassazione.

Una sola parola sul secondo comma. Il mio secondo comma esprime una esigenza non avvertita in altri emendamenti e che io ho segnalato anche in privato all’onorevole Rossi. Col mio secondo comma mi sono preoccupato di stabilire nella Carta costituzionale una garanzia, che mi sembra fondamentale, che cioè verso tutti i provvedimenti del magistrato, giudice ordinario e giudice speciale, che concernono la libertà personale dell’imputato, sia consentito il ricorso per Cassazione. Questa esigenza nasce da una conoscenza di carattere pratico e tecnico che del funzionamento della giustizia penale ha il modesto presentatore dell’emendamento. Nel Codice di procedura penale – e questa è la parte che più ha sentito l’influenza dittatoriale – esistono, sì, le norme che consentono il ricorso per Cassazione in materia di libertà provvisoria; ma vi sono altri istituti – e questo lo segnalo soprattutto ai colleghi avvocati di quel settore (Indica. la sinistra), perché sono quelli che forse, anche dal punto di vista personale, hanno più sentito il peso di questo norme che sono contrarie a qualsiasi regime democratico – vi sono altri istituti nei quali l’influenza politica del fascismo è stata così forte da sopprimere il diritto di impugnazione. Tutti i provvedimenti di emissione e di revoca del mandato di cattura sono impugnabili in appello soltanto da parte del pubblico ministero (articolo 263); tutti i provvedimenti sulla scarcerazione per mancanza di indizi (articolo 169) sono appellabili solo dal pubblico ministero e non dall’imputato.

Se noi vogliamo veramente conservare nella Carta costituzionale e potenziare quel principio, che noi abbiamo già votato, e cioè che la libertà personale è garantita anche nei confronti del potere giudiziario, il quale può privare il cittadino della libertà personale solo con provvedimento motivato, una formulazione giuridica corrispondente a questa nostra esigenza politica la potremmo trovare soltanto in questa sede. Se ammettiamo che il provvedimento motivato, che priva il cittadino della libertà personale, sia suscettivo di ricorso in Cassazione, ciò costituirà, se voi lo voterete, una delle più grandi garanzie conquistate da un regime democratico in un Codice di procedura penale che, in questa parte soprattutto, sentì l’influenza del regime dittatoriale. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mannironi ha presentato, insieme con gli onorevoli Carboni Enrico, Trimarchi, Braschi, Fantoni, Mortati, Alberti, Marzarotto, Dominedò, Cappi, Clerici, Uberti, il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Le sentenze delle Corti di assise sono soggette ad appello, nei modi stabiliti dalla legge».

L’onorevole Mannironi ha facoltà di svolgerlo.

MANNIRONI. Nel mio emendamento si afferma il principio della appellabilità dei provvedimenti giurisdizionali.

Penso che preliminarmente ognuno di voi si prospetterà la solita questione: se questa materia abbia un contenuto di carattere costituzionale. Mi pare di poter rispondere che così come stamane, nell’approvare l’articolo 101, noi abbiamo riconosciuto che era materia costituzionale l’obbligo della motivazione dei provvedimenti e dell’esercizio dell’azione penale, così mi pare che possa ritenersi, per ragioni di coerenza, materia costituzionale anche quella che riguarda l’appellabilità degli stessi provvedimenti giurisdizionali. La mia parola oggi è rivolta soprattutto a coloro i quali hanno delle preoccupazioni circa la sorte della giuria popolare. Molti colleghi, che sono contrari alla giuria popolare, non si preoccupano della affermazione del principio della appellabilità, che ritengono, come me, doveroso e necessario nella futura legislazione penale; ma se ne preoccupano coloro che ritengono che l’obbligo della motivazione delle sentenze della Corte di assise, e così pure il principio della appellabilità, svuoti la realtà e l’efficacia della giuria popolare.

Ora, mi pare che questa preoccupazione non abbia ragione di essere. Intanto mi pare opportuno richiamare la vostra attenzione sul contenuto dell’articolo che si è approvato l’altro giorno. L’altro giorno noi non abbiamo approvato puramente e semplicemente il ripristino della giuria popolare quale esisteva in periodi anteriori; noi abbiamo solamente affermato il principio che la legge regolerà i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo alla amministrazione della giustizia.

Questo vuol dire che domani il legislatore ordinario potrà anche non ripristinare la giuria popolare come era nel passato e potrà trovare una forma di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia anche con altre soluzioni, che potrebbero assomigliare a questa forma mista di giuria popolare oggi in vigore.

Comunque, sia nel caso che il legislatore di domani decida di ripristinare integralmente la vecchia giuria popolare, sia nel caso che ritenga di adottare una forma mista, a me pare che nell’un caso e nell’altro sia possibile la motivazione della sentenza, e che, se è possibile tale motivazione, dovrà essere anche possibile l’appello di detta sentenza.

A me pare che quando noi stamane abbiamo approvato il principio che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati, abbiamo creato il presupposto necessario dell’appellabilità; perché altrimenti, se noi non avessimo la possibilità di un riesame del giudizio, a me pare che non avrebbe ragione di essere l’obbligo della motivazione. In tanto si motiva un provvedimento in quanto si deve dare la possibilità di controllare se il giudizio è stato dato in una forma veramente giusta e soddisfacente, dal punto di vista logico e giuridico.

Ora, io ritengo che l’aver affermato stamane l’obbligo della motivazione per tutti i provvedimenti giurisdizionali importi come conseguenza anche l’appellabilità degli stessi provvedimenti.

Io nego che il ripristino puro e semplice della giuria popolare comporti automaticamente ed ineluttabilmente l’antico verdetto popolare classico.

Non è vero che la giuria popolare debba sempre ed assolutamente concludere i propri giudizi con un «sì» o con un «no». Credo che la giuria popolare possa essere messa nella condizione e in obbligo di motivare le sue decisioni.

Ora, se questo è possibile, deve essere possibile anche il riesame di quelle decisioni.

Vi prego di non preoccuparvi del modo con cui potrà svolgersi l’appello dalle sentenze delle eventuali giurie popolari. Lo stabilire le modalità del giudizio di appello deve essere un compito riservato esclusivamente al legislatore di domani, al quale abbiamo anche riservato di decidere entro quali limiti ed in quali forme sarà regolata la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia. L’essenziale è che vi convinciate che è possibile, anche dal punto di vista tecnico, fare un giudizio di appello per le sentenze motivate dei giudici popolari. Quali siano queste forme e queste possibilità non ho bisogno di stare a spiegare. Basterà dire, per esempio, che il riesame di un giudizio popolare potrà esser fatto da un altro giudice popolare di pari grado; oppure basterà ammettere la possibilità che si istituisca un giudice popolare di secondo grado.

Comunque, poiché non siamo in sede di legislazione ordinaria, non stiamo qui a vedere come si potrà fare l’appello dalle sentenze dei giudici popolari; a noi interessa fissare il principio dell’appellabilità delle sentenze.

Qui non è in gioco il principio della sovranità popolare.

Noi abbiamo ammesso che la giustizia viene amministrata, anche dai giudici ordinari, in nome del popolo: i giudici sono degli strumenti indiretti della sovranità popolare. Ma, anche quando avessimo ammesso la possibilità di far partecipare il popolo direttamente all’amministrazione della giustizia, noi ci dobbiamo sempre preoccupare, non di salvaguardare soltanto il principio della sovranità popolare, ma anche di premunirci di fronte alla fallacia di tutti i giudizi umani, perché tutti gli umani sono soggetti ad errare, in qualunque forma e sotto qualunque veste essi diano dei giudizi. Evitiamo di porre questa questione delle giurie popolari e dell’appellabilità delle loro sentenze sul piano politico. Trattasi invece di questione tecnica e giuridica. Se è giusto preoccuparci di salvare il principio della sovranità popolare, è anche doveroso preoccuparci della libertà dei cittadini e della riparabilità di ogni possibile errore. Le due esigenze possono essere armonizzate.

A me pare assurdo, assolutamente illogico ed irrazionale che oggi si sostenga e mantenga ancora la situazione nella quale ci si trova. E la situazione, che è una stortura giuridica, politica e logica, è questa: che, mentre un cittadino condannato, con tutti i possibili benefici di legge, a soli 15 giorni di reclusione, ha diritto di far riesaminare da un altro giudice la sentenza che lo condanna, un altro, invece, che sia stato condannato alla pena capitale, questo diritto non ha. Pensate alla frequenza degli errori giudiziari anche in processi gravissimi e avrete l’idea della gravità delle conseguenze derivanti dalla inappellabilità delle sentenze capitali.

A me pare che questo sia enorme e che cozzi contro la logica, contro le esigenze popolari stesse e contro le legittime aspirazioni del popolo, il quale, attraverso la motivazione della sentenza ed attraverso la pluralità dei giudizi, ha bisogno di convincersi che giustizia sia fatta. Ora, la possibilità di formarsi tale convinzione, che è l’anima e l’alimento della vera giustizia, la toglieremmo, se negassimo il diritto di appellare le sentenze, comprese anche quelle relative a giudizi per reati più gravi. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. I seguenti emendamenti, che erano stati rinviati all’articolo 102, sono già stati svolti in sede di discussione dell’articolo 95:

Art. 95-bis.

«La Corte di cassazione è unica nello Stato ed ha sede in Roma. Essa ha il compito di assicurare la esatta osservanza e la uniforme interpretazione delle leggi da parte degli organi giurisdizionali.

«Il primo presidente ed il procuratore generale della Corte di cassazione sono nominati dall’Assemblea generale della Corte stessa».

«Romano».

Art. 95-bis.

«La Corte di cassazione è unica nello Stato ed ha sede in Roma. Essa ha il compito di assicurare la esatta osservanza e la uniforme interpretazione delle leggi da parte degli organi giurisdizionali».

«Merlin Umberto».

Anche l’onorevole Grassi aveva allora presentato due emendamenti, del seguente tenore:

Art. 95-bis.

«Al Consiglio di Stato ed agli altri organi della giustizia amministrativa è attribuita funzione giurisdizionale per la tutela degli interessi legittimi e anche, in particolari materie specialmente determinate dalla legge, per la tutela di diritti contro gli atti della pubblica amministrazione.

«Alla Corte dei conti è attribuita funzione giurisdizionale in materia di pensioni, di conti e di responsabilità per danni arredati all’erario dello Stato nei casi preveduti dalla legge.

«Le norme sulla Magistratura del Consiglio di Stato e della Corte dei conti e sulle attribuzioni giurisdizionali di questi organi sono stabilite con legge approvata nel modo indicato nell’articolo precedente».

Grassi.

Art. 95-ter.

«La Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica ed ha sede in Roma».

Grassi.

L’onorevole Grassi ha facoltà di svolgerli.

GRASSI. Onorevoli colleghi, io ho inteso il dovere di precisare, e ritengo che sia una di quelle cose necessarie a dirsi in una Carta costituzionale, di fronte ad eventualità di deviazione da una conquista verificatasi nel campo della giurisdizione in Italia, che la Corte di cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica ed ha sede in Roma.

Sembra a me, e credo anche a molti autorevoli colleghi, e forse in questo campo più autorevoli di me, come l’onorevole Calamandrei, il quale ha presentato un emendamento che suona più o meno nello stesso senso, che non sia possibile trascurare in una Carta costituzionale, la quale si occupi dell’organizzazione della giustizia, questo principio fondamentale che, come poc’anzi dicevo, è una grande conquista che si è raggiunta in Italia. Si potrebbe rinviare l’affermazione di questo principio ad altre disposizioni processuali; ma, dal momento che la questione è stata posta con un ordine del giorno presentato in questa Assemblea, che le regioni le quali hanno già degli statuti incominciano a profilare ed a presentare una richiesta concreta di Cassazioni regionali, io ritengo che sia dovere dell’Assemblea Costituente di affrontare il problema e di risolverlo in maniera definitiva.

Non faccio presente a voi, onorevoli deputati, che conoscete la storia della nostra giurisdizione, come il movimento verso l’unificazione, verso una Cassazione unica, tendente a superare tutte le difficoltà che hanno i caratterizzato, anche in questo campo, la unità nazionale, sia stato grave e profondo! Sino dal 1862, non appena cioè questo movimento unitario aveva incominciato a trovare la sua vera consacrazione, nell’epoca in cui – dopo il 1860 – si era incominciato finalmente a considerare che l’unità italiana non era un’espressione geografica o letteraria, ma diventava per forza di pensatori nostri e di uomini d’azione una realtà, questo movimento della Cassazione unificata andò prendendo piede ed un progetto Minghetti, del 1862, proponeva l’unificazione della Cassazione.

In seguito, nel 1863, il grande Ministro Giuseppe Pisanelli, che io ricordo sempre con grande devozione essendo figlio della mia stessa terra, di quel Salento che io sento di onorare e che qui rappresento, presentava il progetto di un nuovo Codice di procedura civile, e nella allegata relazione si legge il proposito di istituire appunto una Corte Suprema regolatrice del diritto in Italia.

Un secondo progetto fu presentato dal Ministro De Falco nel 1872. Siamo adesso alla completa unificazione italiana, al periodo in cui Roma è divenuta effettivamente la capitale d’Italia. In questo progetto, il Ministro De Falco proponeva l’istituzione della Corte di cassazione unica in Roma, salvo a mantenere transitoriamente sezioni ancora a Napoli, a Palermo, a Torino, a titolo temporaneo, per esaurire i ricorsi pendenti.

Quando si dice quindi che è stato il fascismo nel 1923 ad attuare la Cassazione unica in campo civile, si dice un’eresia, perché il movimento della Cassazione unica è stato un movimento coevo al processo dell’unificazione d’Italia.

Si giunse così sino alla ricordata legge del 1875, con la quale il Governo fu autorizzato ad istituire in Roma due sezioni di Corte di cassazione, in attesa che fosse ordinata la suprema Magistratura del nuovo Stato. Con questa legge del 1875 furono create due sezioni di Corte di cassazione, le quali avevano una competenza speciale per tutte le questioni che si riteneva indispensabile che già venissero ad affluire in un unico ordinamento legislativo e giurisdizionale.

Questo è il processo continuo della giurisdizione civile. Per la giurisdizione penale fu più grande ed intenso il bisogno della sua unificazione e, con legge 6 dicembre 1888, in correlazione con la legislazione penale, fu attribuita alla Corte di Roma la competenza a decidere di tutti i ricorsi in materia penale.

Questi sono i precedenti storici del movimento di unificazione. Tale movimento fu appoggiato da tutti i cultori del diritto processuale e principalmente da Lodovico Mortara, che fin dal 1919-20 voleva ottenere l’unificazione della Cassazione civile, che però fu raggiunta soltanto nel 1923.

Ora, come vogliamo rinunciare a tutto quello che è un processo storico che corrisponde ad una esigenza della legislazione, l’esigenza di avere l’unicità della Cassazione? Come possiamo noi pensare di tornare indietro, di tornare a situazioni storiche sorpassate, che furono appunto superate per vincere quegli organismi, quelle incrostazioni di ordine parlamentare ed elettoralistico per cui si mantenevano ancora in vita Cassazioni regionali quando le regioni erano unificate ed era unificata l’Italia?

E un’altra ragione viene a conforto della mia tesi: in nessun Paese del mondo – posso testificarlo! – neanche negli Stati federali, c’è una Cassazione o un ordinamento giudiziario, i quali non abbiano una unità, perché non è possibile che l’ultima parola nel campo del diritto non sia detta dall’ultimo magistrato, che deve essere la Corte regolatrice per tutti!

Questa unificazione si impone di fronte al nuovo volto che abbiamo dato allo Stato italiano, di fronte alla nuova forma repubblicana! Abbiamo cercato di consolidare le Regioni che sono state votate, ma, malgrado queste e con queste, non dobbiamo permettere che la giurisdizione come la legislazione del Paese possano trovare incrinature, perché ciò significherebbe mortificare il diritto e la giustizia e rendere impossibile quella unica linea che il diritto deve avere in un Paese come l’Italia!

Per queste brevi considerazioni (perché io penso che, più che diffondermi in notizie e concetti, è bene precisare questi concetti in maniera chiara e lineare), ritengo che il mio emendamento aggiuntivo debba essere compreso nella Carta costituzionale. (Applausi).

PRESIDENTE. Ricordo che è stato già svolto il seguente articolo 95-bis:

«Sono ripristinate le Cassazioni regionali di Torino, Firenze, Napoli e Palermo».

«Villabruna».

L’onorevole Targetti ha proposto, insieme con gli onorevoli Costa, Fedeli Aldo, Caldera, Faccio, Amadei, Tomba, Bernardi, Merlin Angelina e Pieri il seguente articolo 95-bis:

«La legge sull’ordinamento giudiziario regolerà l’istituto della Corte di cassazione».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TARGETTI. Anzitutto devo scusarmi con l’Assemblea se riprendo ancora una volta la parola nella stessa giornata, ma la colpa non è mia: la colpa è dell’ordine del giorno.

Il mio emendamento propone di rimandare il regolamento dell’istituto della Cassazione alla legge sull’ordinamento giudiziario. Con questo emendamento noi non facciamo altro che ripetere quello che abbiamo sostenuto, e con fortuna, dinanzi alla Sottocommissione incaricata dello studio di questo Titolo della Carta costituzionale. In quella Sottocommissione il nostro egregio collega, egregio nel significato più vero della parola, l’onorevole Calamandrei, aveva incluso nell’articolo 12 un comma che stabiliva la unicità della Corte di cassazione.

Dopo una brevissima discussione, fu lo stesso onorevole Calamandrei che si indusse a ritirare questo comma. Qualcuno potrebbe sentirsi autorizzato a dire: se oggi l’onorevole Calamandrei presenta un emendamento nel senso dell’affermazione della unicità della Cassazione, l’onorevole Calamandrei si contradice. Sarebbe questo un appunto addirittura privo di fondamento. L’onorevole Calamandrei, dinanzi alla nostra proposta di non includere nella Carta costituzionale nessuna statuizione relativa alla Corte suprema, aveva ritenuto di potere ritirare la sua proposta; ma oggi, dinanzi al proposito di molti egregi colleghi di liquidare in quattro e quattr’otto, per alzata e seduta, la Cassazione unica e con la stessa procedura, la stessa celerità, far risorgere le Corti regionali, l’onorevole Calamandrei ha presentato un emendamento che riproduce alla lettera il comma secondo dell’articolo che egli aveva presentato in sede di Sottocommissione. Cioè: «Al vertice dell’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, sta la Corte di cassazione». Noi rimaniamo sulla nostra posizione che non abbiamo mai abbandonato e diciamo: concordiamo interamente con i rilievi fatti dall’onorevole Grassi, quando ha detto che è un’eresia parlare della Cassazione unica come di un istituto di carattere fascista. La Cassazione unica è nata in regime fascista, ma non è certo una creazione fascista, nel senso cioè che la sua creazione sia stata una riforma di carattere fascista. Basta ricordare quello che ha già ricordato l’onorevole Grassi: che cioè i sostenitori della Cassazione unica furono egregi uomini politici, ben noti giureconsulti, vissuti, per loro fortuna, molto prima che il nostro disgraziato Paese conoscesse l’onta dell’invasione fascista, ed altri ai quali non si può certo rimproverare di essere stati fascisti, come Lodovico Mortara, sebbene vissuti in pieno fascismo.

Tutti sanno che la unificazione della Corte di cassazione avvenne dopo che se ne fu discusso, in un senso e nell’altro, per diecine di anni; dopo che la Cassazione penale era stata da più di trent’anni unificata. Quello che si può dire è che il regime fascista creò l’istituto, non certo per la convinzione della sua utilità ma, più che per altro, per sodisfare la sua patologica passione accentratrice. Questo però non può influire sul giudizio da darsi sull’istituto stesso.

D’altra parte, onorevoli colleghi, quando si propone all’Assemblea, prima un ordine del giorno e poi un vero e proprio emendamento, per il quale la Costituzione verrebbe, senz’altro, ad abolire la Cassazione unica ed a ripristinare le Corti di cassazione regionali così come erano, si fa una proposta, me lo permettano gli egregi proponenti, si fa cosa molto affrettata, a parte il merito della questione. Tornare alle Cassazioni regionali, regolandole diversamente? Ma in qual modo?

Vi sono vari sistemi. Vi è il sistema delle Cassazioni regionali del tutto autonome; vi è il sistema delle Cassazioni regionali integrate, alcuni dicono corrette, da un altro istituto che starebbe sopra di loro e dovrebbe avere sede in Roma. Vi sono altri che sostengono che accanto alle Cassazioni regionali vi dovrebbero essere le sezioni unite composte di membri delle varie Corti regionali. Vi sono infine quelli che proporrebbero che la Cassazione avesse delle sezioni in quelle città che furono sedi delle antiche Cassazioni od in altre; sezioni della Corte di Roma, della Cassazione unica.

È inutile far perdere tempo all’Assemblea per illustrare tutte le varietà di soluzioni che comporta questo problema per dimostrare come, prima di dichiarare l’abolizione di un istituto esistente, un istituto di tanta importanza, occorrerebbe avere già preparato un progetto di legge che determinasse con grande precisione che cosa a ciò che si vuole abolire si sostituisce. Il semplice ritorno all’antico è… troppo semplice, in materia così complessa.

Arrivato a questo punto (e mi avvicino a grandi passi alla conclusione) io mi permetto, d’altra parte, di fare qualche osservazione ai sostenitori della Cassazione unica. La Cassazione unica non è da considerarsi come un’arca santa alla quale non ci si possa avvicinare se non con religioso rispetto e della quale non si possa discutere, senza commettere un delitto di lesa maestà giuridica. Evidentemente non è così. Si possono avere pareri diversi. Si è detto per esempio da alcuni che la Cassazione unica è nata unica, ma quando si è riconosciuto la necessità di creare una seconda sezione e quando poi, con l’andare del tempo, si è riconosciuto la necessità di crearne anche una terza, la Cassazione ha seguitato a chiamarsi unica, ma il principio dell’unicità, se non è stato ferito, qualche scalfittura l’ha riportata. Si adducono inoltre degli inconvenienti, che non si possono sdegnosamente negare. Fra gli altri quello di allontanare i litiganti da questo stadio ultimo della giurisdizione, con danno dei più modesti. Quando si dice che la resurrezione delle Cassazioni regionali contribuirebbe ad elevare il livello culturale del foro delle varie città d’Italia, si dice forse cosa non inesatta, e ciò per ragioni intuitive. Basta osservare come nella maggior parte dei fori di città diverse da Roma, gli avvocati cassazionisti, come si usa chiamarli, sono delle eccezioni.

Si dice anche che, mentre si rimproverava alla Corte regionale di subire l’influenza dell’ambiente della loro circoscrizione, questo che si indicava come un difetto, ne era e tornerebbe ad esserne un pregio, giacché l’interpretazione della legge ha tutto da guadagnare se, anche in Cassazione, il giudicato non sia del tutto avulso dalla realtà, dalla vita in mezzo alle quali è sorto il rapporto che ha dato origine alla controversia.

Per concludere, le mie pretese si limitano a chiedere che si lasci impregiudicata una questione che se può avere un lato politico, ha un carattere prevalentemente tecnico-giuridico. (Interruzione del deputato Villabruna). No, onorevole Villabruna, Milano non c’entra. E come potrebbe entrarci? Caso mai Firenze, la mia città natale, da dove il fascismo mi bandì nel 1925 e che ora son tornato qui a rappresentare, potrebbe avere interesse al ripristino delle Cassazioni regionali, essendo stata sede di una delle Cassazioni soppresse; ma il nostro dovere è di esaminare le. questioni di carattere generale, di esaminarle e risolverle nell’interesse nazionale e non in quello di una città o di una regione.

È per questo che io mi rivolgo ai colleghi difensori strenui dell’unicità della Cassazione come ai fautori della pluralità, invitandoli a convenire che la risoluzione della questione non va presa oggi, dopo una discussione affrettata, con una votazione nella quale può prevalere una tesi sull’altra per una differenza di quattro o cinque voti, come altre volte è già accaduto.

È più opportuno che venga presa dopo un esame approfondito di tutti i suoi lati tecnico-giuridici in altra sede, da altre Assemblee. Dal Parlamento, in sede di approvazione della legge sull’ordinamento giudiziario. Così non si pone alcun limite alla volontà del legislatore di domani. Nulla si pregiudica, nulla si compromette, né in un senso né in un altro.

PRESIDENTE. L’onorevole Calamandrei ha proposto, con gli onorevoli Magrassi, Paolucci, Magrini, Macrelli, Schiavetti, Cianca, Mastino Pietro, Valiani e Perassi il seguente articolo 95-bis:

«Al vertice dell’ordinamento giudiziario, unica per tutto lo Stato, siede in Roma la Corte di cassazione, istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale e per regolare le competenze tra i giudici».

L’onorevole Calamandrei ha facoltà di svolgerlo.

CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, ho presentato un emendamento che propone di inserire nella Costituzione un articolo riaffermante l’unicità della Corte di cassazione, solamente perché è stata presentata un’altra proposta di emendamento in senso contrario.

La mia proposta ha avuto quindi un carattere – diciamo così – di rappresaglia; e già questo carattere è stato messo in evidenza dall’onorevole Targetti, il quale è stato una specie di difensore di ufficio del mio emendamento.

Di questo vivamente lo ringrazio, anche perché ha dimostrato così, quasi volendo continuare la discussione svoltasi ieri, che anche i difensori a gratuito patrocinio (poiché io non l’avevo pagato perché mi difendesse) possono essere scelti tra gli avvocati insigni.

Ora, onorevoli colleghi, sulla questione della Cassazione, quelle poche cose che io dirò non le dirò per gli avvocati, che hanno già una loro opinione: una di quelle opinioni che difficilmente si smontano, perché più che sulla ragione sono basate sul sentimento. Molti di noi avvocati, che siamo in questa Aula, abbiamo conosciuto fino al 1924 il funzionamento delle nostre Cassazioni regionali. E quando ricordiamo il modo con cui esse funzionavano, ci sentiamo intenerire. Ricordo come funzionava la Cassazione a Firenze: c’era una udienza la settimana; in ogni udienza c’era soltanto la discussione di un ricorso. Ci si trovava in un’atmosfera tranquilla, discreta, ovattata; l’udienza durava tre ore; ed era quasi un obbligo di buona creanza che gli avvocati discutessero tre ore, perché, se no, quegli egregi magistrati erano dispiacenti di dover andare a casa prima dell’ora consueta. Ma questi ricordi nostalgici lasciamoli da parte.

Ed io, parlando, non agli avvocati, ma a quei colleghi, che, non essendo avvocati, non hanno forse una conoscenza profonda del funzionamento tecnico di questo istituto e, ciò nonostante, hanno tuttavia, alcuni di essi, firmato qualcuno degli ordini del giorno che propongono il ristabilimento delle Cassazioni regionali (è soprattutto a loro che io mi rivolgo), io vorrei fare intendere che il problema della Cassazione unica o regionale è problema che si deve risolvere secondo la ragione o, direi, secondo il senso comune; perché la Cassazione è un istituto, è un meccanismo, la cui struttura è tale che o la Cassazione è unica, ed allora serve a qualche cosa, o non lo è, ed allora non serve più a niente.

La Cassazione è stata inventata in Francia, dopo secoli di lotte tra il potere monarchico centrale e le tendenze centrifughe delle Corti di appello regionali, ognuna delle quali interpretava a suo modo le ordinanze regie; è stata inventata dalla rivoluzione francese proprio allo scopo di unificare il diritto, di difendere lo Stato nella sua unità, in quanto ordinamento giuridico unitario, scegliendo tra le interpretazioni difformi della stessa legge date da diversi magistrati quella più esatta e annullando tutte le altre. A questo serve la Cassazione; e per servire a questo scopo unificatore bisogna, naturalmente, che sia unica. Se non serve a questo, non serve a nulla.

Non so – parlo sempre ai colleghi non avvocati – se avete riflettuto alla singolarità di questo istituto, il quale fa una distinzione (che sotto l’aspetto dell’interesse del litigante non avrebbe senso) tra la questione di diritto e la questione di fatto. Si può ricorrere in Cassazione soltanto per errore di diritto, non per errore di fatto: voi capite che per il litigante che si senta colpito da una sentenza ingiusta, è perfettamente indifferente che tale ingiustizia derivi da un errore di diritto o da un errore di fatto. L’ingiustizia c’è; e per quel che riguarda il suo concreto interesse personale ci sarebbe ugualmente ragione di dare al soccombente un mezzo di ricorso. Ma la ragione per la quale il ricorso si dà soltanto quando l’ingiustizia, di cui il litigante è stato vittima, derivi da errore di diritto, è che in Cassazione non si va per difendere soltanto l’interesse del litigante, quello che gli antichi giuristi chiamavano jus litigatoris, ma altresì per difendere lo jus constitutionis, che è appunto l’interesse pubblico della difesa del diritto e della sua unità, messa in pericolo dalla pluralità delle interpretazioni disformi ed aberranti, le quali sono contagiose anche per l’avvenire. Appunto per evitare questo contagio, è bene che tutte le interpretazioni della norma giuridica, date dai giudici distribuiti sul territorio nello Stato, abbiano un apice, un vertice comune, e ad esso affluiscano per poter essere sottoposte a un controllo, attraverso il quale si possa stabilire quale è la interpretazione più plausibile, destinata a rimanere e a prevalere. In altre parole la Cassazione è un organo istituzionalmente unico, come sarebbe il re nella monarchia od il presidente della repubblica nella repubblica. Non credo che a nessun monarchico, neanche al più convinto e appassionato, all’amico Fabbri, per esempio, verrebbe in mente di sostenere che per meglio attuar la monarchia, dei re ce ne debbano essere cinque, o tanti re quante sono le regioni… Il re è uno: la Cassazione è una. Voler parlare di una Cassazione plurima è una mostruosità!

SICIGNANO. Che c’entra questo con la Cassazione? Sono due cose profondamente diverse!

CALAMANDREI. Io posso essere anche d’accordo nel senso di sopprimere la Cassazione, se si ritiene che la funzione di unificazione del diritto non abbia importanza o che non sia praticamente realizzabile; ma non posso essere d’accordo nel trasformare la Cassazione unica in Cassazione plurima, il che significherebbe dar vita all’uomo con cinque teste, una specie di fenomeno come quelli che si vedono nei baracconi, un fenomeno mostruoso, che non ha alcuna coerenza nel principio giuridico che ispira questo istituto. (Vivi applausi al centro e a destra).

Io capisco che sono logici coloro i quali hanno sostenuto che la divisione fra questioni di diritto e questioni di fatto è una divisione artificiosa, che non può essere praticamente attuata, e che hanno sostenuto per questo l’abolizione del sistema della Cassazione e la sostituzione della Cassazione unica con Corti di terza istanza regionale. Questa sarebbe una proposta coerente. Ma voler mantenere la Cassazione, che vuol dire organo unificatore appositamente costituito per servire a questo scopo di unità, e insieme moltiplicare il numero delle Cassazioni, cioè degli organi istituzionalmente unificatori, è una proposta incoerente ed assurda perché trasforma in strumento ufficiale di disformità della giurisprudenza l’organo creato per unificarla.

Si dice: ma cinque Cassazioni c’erano e sono durate fino al 1924, e funzionavano discretamente; perché non ritornare a quella situazione che c’era prima del 1924? Perché, onorevoli colleghi, le cinque Cassazioni, come già hanno spiegato autorevolmente alcuni oratori che mi hanno preceduto, erano un residuo storico, il residuo di una unificazione non ancora perfettamente compiuta. Al momento della unificazione italiana, ognuno dei piccoli Stati, dai quali venne fuori l’Italia, aveva una sua Corte Suprema, e mal sopportava di vederla abolita. In tale situazione, per procedere gradualmente, si lasciarono sussistere nelle varie ex capitali queste Corti Supreme, trasformandole in Corti di cassazione, le quali dovevano rappresentare uno stadio provvisorio per poi arrivare in un secondo tempo alla unificazione compiuta e definitiva. Tutti i progetti che si susseguirono fino al 1924, e che furono – se non erro – diciannove o venti, furono la espressione di questa provvisorietà che si avvertiva in quella situazione. Si capiva che le cose non potevano continuare così, e che questo stadio transitorio doveva sboccare prima o poi in una soluzione stabile. Tra le varie soluzioni proposte da quei progetti (tra i quali tenne un posto a sé quello presentato dall’onorevole Orlando, quando fu Guardasigilli, che risolutamente proponeva di dare alle Corti regionali esistenza autonoma senza alcun collegamento col centro) alcune ebbero carattere transattivo ed intermedio, in quanto, come ha ricordato l’onorevole Crispo, mantenevano le Cassazioni regionali, ma le coordinavano con una Corte unificatrice al centro. Ma tutti questi progetti a tendenza mediatrice però furono alla fine superati da quelli che miravano decisamente all’unificazione: e chi riuscì a compiere il primo passo deciso verso tale unificazione fu un grande parlamentare, il cui ricordo è caro a tutti gli italiani, Giuseppe Zanardelli, il quale nel 1888 procedette alla unificazione, che si sentiva specialmente urgente, della Cassazione penale. E se poi poté essere unificata nel 1924 anche la Cassazione civile, ciò fu soprattutto per l’insegnamento e per l’opera di un altro grande giurista, ugualmente caro a tutti noi, Lodovico Mortara.

Volete dunque, facendo risorgere le Cassazioni regionali, mandare indietro di cento anni la lancetta della storia, e rimettere in piedi residui, rovine di antiche divisioni di sovranità, sopravvivenze di vecchie Corti locali quali furono le Cassazioni regionali fino al 1924? Ma, si dice, ora c’è una novità, c’è la Regione, lo Stato regionale, il decentramento; e quindi bisogna decentrare anche la Cassazione unica. Orbene, colleghi, l’esistenza delle Regioni e dello Stato regionale è una ragione di più per mantenere e rafforzare la Cassazione unica; è una ragione decisiva per la quale se la Cassazione non fosse unica bisognerebbe proprio oggi unificarla. In proposito esempi istruttivi si trovano negli ordinamenti stranieri a tipo federale. È inutile entrare in particolare: tutti sanno che in Svizzera, nella Germania del secolo scorso, negli Stati Uniti d’America, c’è, al vertice, come necessario complemento e correttivo dell’autonomia che hanno gli Stati componenti la Federazione, un organo giurisdizionale centrale unico (la Corte federale, il Heichsgericht, ecc.) posto come moderatore delle forze centrifughe, e che rappresenta una specie di ingabbiatura giuridica destinata a tenere insieme gli elementi componenti e ad impedire che essi si assumano, attraverso la disformità della giurisprudenza, poteri legislativi più ampi di quelli permessi dalla Costituzione.

Ma si obietta anche che l’unificazione della giurisprudenza è un’utopia. Si dice: voi vi illudete di unificare la giurisprudenza, ma in realtà non la unificate. Ora io mi rivolgo qui anche ai colleghi avvocati: ma è proprio vero che è un’utopia? Bisogna distinguere l’unificazione nello spazio e l’unificazione nel tempo. La giurisprudenza non si unifica nel tempo, e non si deve unificare nel tempo, perché non è bene che la vita del diritto diventi immobile e statica, e si cristallizzi. Il diritto, diceva benissimo qualche giorno fa il collega Gullo, è una forza viva; l’interpretazione delle leggi è un po’ come la critica della poesia: ognuno, leggendo una poesia, ci mette dentro l’anima sua e la interpreta a modo suo e la ricrea. Ogni epoca interpreta e ricrea la stessa legge in modo diverso; per questo, le leggi, rimanendo ferme nella lettera, si evolvono nello spirito ed è appunto l’evoluzione storica delle leggi che naturalmente si rispecchia nella giurisprudenza.

Ma, quello che si deve invece difendere – ed è la Cassazione unica che l’ha difesa e la difende – è l’unicità della giurisprudenza nello spazio; non deve cioè accadere quello che accadeva fino al 1924, che, contemporaneamente, nello stesso giorno, la stessa norma giuridica potesse essere interpretata in maniera diversa in diverse Regioni: il che portava in realtà, a far sì che ogni Regione avesse una propria giurisprudenza e quindi, in sostanza, una propria legislazione, in quanto poteva avvenire, attraverso diverse interpretazioni giurisprudenziali, che lo stesso fatto fosse nello stesso giorno considerato reato in Lombardia, e non in Toscana, o che un certo tipo di contratto fosse considerato valido in Sicilia e non in Sardegna.

Ora, il compito della unificazione della giurisprudenza nello spazio, la Cassazione lo adempie egregiamente, con appositi congegni che gli avvocati conoscono; mentre non adempie, e non deve adempiere, quello della unificazione della giurisprudenza nel tempo. Devo dirvi a questo proposito, onorevoli colleghi, che molto mi meravigliai, qualche giorno fa, quando a sostegno della pluralità delle cassazioni udii parlare il collega Gullo. Non so se l’opinione che egli espresse sia una sua opinione personale o sia l’opinione del suo partito. Se fosse questo, la meraviglia sarebbe anche maggiore, perché durante tutti i lavori della Commissione per la Costituzione ho sentito i colleghi del partito comunista difendere animosamente l’unità dello Stato contro il pericolo della forza centrifuga dell’ordinamento regionale. Essi hanno cercato di limitare il più possibile l’ambito delle materie sulle quali è ammessa una legislazione regionale, e di estendere al massimo il campo della legislazione nazionale, preoccupati soprattutto di tener ferma la compagine unitaria dello Stato. E nonostante questo ho poi sentito dire dal collega Gullo che non si deve conservare la Cassazione unica, e che invece è bene che in ogni Regione ci sia un centro di unificazione giurisprudenziale, una fonte di giurisprudenza regionale, perché è desiderabile che le leggi siano interpretate in modo diverso in ogni Regione, secondo lo spirito e secondo il costume di ciascuna Regione… Ma questo, cari colleghi comunisti, vuol dire ridurre in frammenti non soltanto la giurisdizione ma anche la legislazione; vuol dire dare all’Italia in pratica una legislazione diversa per ogni Regione, cioè fare il contrario di quello che avete sostenuto allorché avete cercato di limitare la legislazione regionale nel modo che ho detto. E poi, se proprio ritenete che sia utile questa libertà di interpretazione delle leggi affidata ai gusti locali, perché volete istituire cinque Cassazioni, e in questo modo creare cinque limitazioni a questa libertà? Abbiamo allora il coraggio di abolire anche queste cinque Cassazioni e lasciamo che ogni Corte d’appello, ogni tribunale, ogni giudice conciliatore, si crei la sua giurisprudenza e che in questa giurisprudenza si espanda e si sbizzarrisca questo spirito, secondo voi benefico, che varia da provincia a provincia, da comune a comune…

Ma ammettereste voi, colleghi comunisti, che questa varietà si possa tollerare in materia penale e che lo stesso fatto possa essere considerato come reato in una regione e non in un’altra? E se non lo ammettete in materia penale (penso che voi ammetterete che almeno le leggi penali debbano essere uniche anche nello Stato regionale) perché vorreste tollerare invece questa pluralità in materia civile?

Il collega Crispo ci ha detto: c’è modo di conciliare tutto: si fanno le Cassazioni regionali e poi sopra di esse la Cassazione unica, e così siamo contenti tutti. Anche questa però è un’esperienza che abbiamo già fatto: perché fino al 1924 c’erano le Cassazioni regionali e c’era insieme anche la Cassazione unica, e le cose si svolgevano in un modo assai singolare, che io voglio descrivere ai colleghi non avvocati, perché lo considerino prima di dare il loro voto. C’era una sentenza di primo grado; contro questa sentenza si ricorreva in appello; contro la sentenza di appello si ricorreva alla Cassazione regionale; poniamo che il ricorso venisse accolto: la causa si rinviava allora ad un altro magistrato di appello. Fase cosiddetta di «rinvio»: poteva darsi che il magistrato di appello a cui la causa era stata rinviata si uniformasse all’opinione espressa dalla Cassazione regionale, e le cose finivano lì; ma poteva anche darsi che il giudice di rinvio «si ribellasse» all’opinione della Cassazione, ed allora contro la sentenza di rinvio che si era ribellata al parere della Cassazione regionale si poteva ricorrere alle Sezioni unite a Roma, le quali Sezioni unite se accoglievano il ricorso (si era già alla quinta fase) annullavano e rinviavano ad un altro giudice di appello che aveva l’obbligo di uniformarsi. Ma se eventualmente nell’uniformarsi incorreva in qualche diverso errore di diritto, di nuovo questa sentenza era soggetta a ricorso dinanzi alla Cassazione regionale, e la trafila ricominciava…

Una voce. Anche adesso avviene la stessa cosa! (Commenti).

CALAMANDREI. Voi vorreste dunque risuscitare questo sistema che da un giurista francese che studiava quaranta anni fa l’ordinamento giudiziario italiano fu definito come il più ridicolo giuoco cinese, chinoiserie, fra tutti gli ordinamenti giudiziari del mondo?

Un’ultima osservazione ed ho finito: e la spesa? Vi rendete conto che cosa vuol dire creare quattro nuove Cassazioni, o forse più, se si parla di Cassazioni regionali?

Il bilancio della giustizia deve avere a disposizione qualche cosa come due o tre miliardi all’anno. Ho calcolato che per istituire quattro nuove Cassazioni ci vorrebbero circa 300 milioni all’anno, in un momento in cui i magistrati, quelli che ci sono, si trovano in quelle condizioni di fame che voi ben conoscete. E invece di impegnarci a trarre da questo bilancio anemico tutto quanto è possibile per migliorare gli emolumenti dei magistrati oggi in servizio, dovremmo pensare a creare nuovi organi, così costosi, che verrebbero ad assorbire più di un decimo del bilancio della giustizia?

Io ho l’impressione, colleghi, che noi qui talvolta ci lasciamo prendere da una specie di residuo delirio di grandezza, in un momento difficile come quello che attraversiamo.

Guardate nelle Università: per far sì che le Università tornino ad insegnare, che si possano avere adeguati mezzi di laboratorio e che gli insegnanti siano retribuiti adeguatamente, bisognerebbe pensare a ridurre, se mai, il numero delle Università o delle facoltà, e non ad aumentarlo. Eppure non c’è Università che non reclami per sé l’istituzione di qualche nuova facoltà…

E i tribunali? Sento dire – mi voglio augurare che non sia vero – che il Ministro della giustizia prepara la ricostituzione ad uno ad uno di quei tribunali anemici di provincia, che opportunamente erano stati aboliti molti anni fa.

Ma, prima di creare questi organi nuovi e di far rivivere quelli da tempo aboliti, pensiamo a mantenere e ad alimentare meno indegnamente quelli che oggi a stento vivono!

Prima di ricostituire cinque Cassazioni, pensiamo a retribuire adeguatamente i consiglieri dell’unica Cassazione che abbiamo, e facciamo in modo che i suoi magistrati possano, senza dover lottare giorno per giorno colla miseria, dedicare con serenità tutte le loro forze alla loro funzione!

Non ricadiamo in quello che è il vizio fondamentale della vita italiana: parere e non essere. Non creiamo questi organi non necessari, che costituirebbero soltanto un lusso burocratico, un fasto apparente concesso alle condizioni locali, e dedichiamo invece tutte le nostre forze alla semplificazione e al rafforzamento degli organi esistenti!

PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, la prego di concludere.

CALAMANDREI. Ho finito. Però, onorevole signor Presidente, la prego di ricordare che da molti mesi non ho chiesto la parola (Ilarità), se mi intrattengo cinque minuti di più, non credo di essere indiscreto.

Ma voglio terminare subito con un ricordo. Quando, nel 1918, alla fine della guerra, ebbi occasione di trovarmi come ufficiale a Bolzano, vi conobbi un magistrato già appartenente all’amministrazione austriaca, e con lui ebbi occasione di parlare di problemi processuali e giudiziari. Mi ricordo che questo magistrato austriaco si divertiva a pungermi beffando la Cassazione italiana, questo mostro a cinque teste, che egli considerava come un fenomeno che faceva ridere…

Vi debbo dire, onorevoli colleghi, che io non riuscivo allora, quando c’erano ancora le Cassazioni regionali, a trovare argomenti per confutarlo; e il vedere questo straniero che rideva delle nostre leggi era una cosa che mi dava un certo disagio. Ebbene, colleghi, io vorrei che la Costituzione, questa Costituzione alla quale stiamo lavorando e a cui ci sentiamo già affezionati, non facesse ridere! (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Della Seta ha presentato il seguente emendamento:

«La Corte di cassazione in materia civile e penale esercita la sua giurisdizione nelle sedi di Torino, Firenze, Roma, Napoli e Palermo».

Ha facoltà di svolgerlo.

DELLA SETA. Parlo a titolo esclusivamente personale. Anch’io, onorevoli colleghi, condanno, con l’onorevole Calamandrei, il delirio di grandezza; anch’io sul parere ho dato sempre la debita prevalenza all’essere. Il che però non mi ha impedito di schierarmi tra i fautori del ripristino delle abolite Corti di Cassazione.

Io non sono né torinese, né fiorentino, né napoletano, né palermitano. Questo per dire che a sostegno della mia tesi non sono stato indotto da nessun personale sentimento prettamente regionalistico.

Modesto cultore anch’io della scienza del diritto non ho mai esercitato, pur potendo esercitarla, la professione dell’avvocatura. Questo per dire che a schierarmi per la pluralità delle Corti non sono stato indotto da nessun larvato interesse di carattere professionale.

E quantunque sia un fatto incontestabile che l’abolizione della Cassazione civile è stato uno dei primi atti della dittatura fascista nella sua politica coerentemente accentratrice. (Commenti).

PERSICO. È stato un caso fortuito.

DELLA SETA. Che fortuito! È stato un caso, se caso può nomarsi, che rientra nella logica della dittatura. Il fatto è il fatto; e il fatto è che fu il fascismo, nel 1923, ad abolire le Corti regionali di Cassazione civile.

PERSICO. Non è neanche vero storicamente.

DELLA SETA. I precedenti storici non cancellano la data storica che segna l’abolizione delle Corti di cassazione civile avvenuta nel clima logicamente favorevole, nell’orientamento accentratore della dittatura fascista. Ad ogni modo questo io volevo dire che a schierarmi tra i fautori del ripristino delle abolite Corti di cassazione, come non sono stato indotto da un personale sentimento regionalistico, né da un larvato interesse professionale, così non sono stato indotto, neppure, per partito preso dal fatto che è stato il fascismo ad abolirle. Quando sono convinto io accolgo le giuste ragioni da qualsiasi parte esse provengano. Le mie sono ragioni molto più serene ed obiettive. (Commenti).

Tralascio le ragioni estrinseche di ordine pratico. Non mi soffermerò perciò a rilevare come, tutto accentrando in Roma, la lontananza della giustizia – con grave dispendio di tempo e di denaro per gli avvocati, per le parti e per gli stessi magistrati – finisca per tradursi in una mancanza di giustizia, questa finendo per divenire un vero privilegio dei ricchi.

A più alte ragioni io mi appello di ordino psicologico, giuridico e storico.

In verità, se, anziché in sede di emendamenti, noi fossimo oggi in sede di discussione generale – e mi dolgo non essere allora intervenuto – allora, sì, avrei tenuto che, più che la mia modesta parola, voi aveste potuto ascoltare quella autorevolissima di un Nicola Amore, di un Emanuele Gianturco, di un Giovanni Bovio, quando il fiore della cittadinanza napoletana, il 21 novembre 1888, partecipò a quella famosa assemblea nella quale, con calda eloquenza e con forti argomentazioni, fu deplorato il provvedimento zanardelliano che, con un tratto di penna, aveva decretato l’abolizione delle Corti regionali di Cassazione penale. (Commenti).

Io dico anzitutto. Una norma è una norma, un Codice è un Codice, non vi possono essere tanti codici per quante le regioni, né tanto meno vi può essere una concezione regionale del diritto. D’accordo. Ma è altrettanto vero – per chi voglia non rimanere alla superficie, ma andare al fondo – è altrettanto vero che nell’applicazione della norma al fatto specifico, nell’applicare la legge ad un dato quesito pratico di diritto, non può, come criterio valutativo, come punto di orientamento, non subentrare un elemento psicologico – cioè una speciale valutazione soggettiva e di ambiente – onde quella che formalmente sembra essere la stessa causa nel fatto si prospetta diversamente secondo che il medio ambiente sia, ad esempio, il Piemonte o la Sicilia.

Ma, oltreché questa psicologica e sociologica, v’è una più alta ragione di ordine giuridico.

La Cassazione unica, si dice, è unità di giurisprudenza. Contesto il fatto, sia nello spazio come nel tempo. Non nello spazio perché, nella medesima sede, sezioni diverse possono dare, e hanno dato, giudicati diversi. Non nel tempo, perché nella medesima sede la stessa sezione può, successivamente, con magistrati diversi, dare diversi giudicati. In realtà, tre essendo oggi le sezioni della Cassazione civile e questa funzionando nei giorni feriali, si hanno oggi, in Roma, non una, ma diciotto Corti di Cassazione.

D’altra parte la unità della giurisprudenza solo si potrebbe conseguire quando fosse raggiunta la unità della scienza. Diverse essendo le dottrine giuridiche non può alla diversità delle scuole corrispondere la uniformità delle interpretazioni.

E sarebbe forse una tale uniformità auspicabile? Lo neghiamo recisamente. Se il diritto è sostanza e non forma semplicemente, se non è morte ma vita, una tale vita non può scaturire da una uniformità di giudicati, che segnerebbe l’inaridirsi, il cristallizzarsi del diritto, ma bensì da quella varietà di esperienze e da quella diversità di interpretazioni e di soluzioni, che segna il processo di elaborazione attraverso il quale il diritto, come pensiero e come prassi, si modifica e si evolve.

V’è poi un’ultima e più alta ragione, una ragione di ordine storico, di ordine storico morale e politico, dovrei dire più precisamente.

Certe Corti supreme di Cassazione si identificano, storicamente, con la stessa vita civile e politica di determinate regioni.

Non parlo della Sicilia per cui dovremmo risalire, forse, all’epoca dello stesso Federico II di Svevia. Parlo di Napoli nobilissima, della Napoli di Vico, di Filangieri, di Pagano e di Vincenzo Coco, di quella Napoli che, nel secolo scorso, fu, con la sua Corte di Cassazione, un faro di sapienza giuridica, che tanta luce irradiò con la mente di un Nicolini, di un Savarese, di un Raffaelli, di un Caravita e di un Cotugno.

Giovanni Bovio, in quel suo memorabile sopracitato discorso del 1888, deplorava melanconicamente come, dopo appena un trentennio di vita italiana, ad altro non si fosse pensato che a soffocare sotto la cappa di piombo di una formale e artificiosa unità quella che doveva essere la mirabile varietà nella comunità italica.

Orbene, anch’io non posso non domandarmi come, in questo primo anno della Repubblica, dopo aver tanto parlato di libertà e di democrazia, dopo aver tanto parlato di decentramento, dopo aver tanto valorizzato l’Ente regione, dopo aver statuito, nella discussione della Costituzione che si trattasse prima della Regione e poi della Magistratura, non posso, dico, anch’io non domandarmi, con quale senso logico, con quale senso storico, con quale senso etico, giuridico e politico, si possa da taluni oggi avere tanta riluttanza ad ammettere, come riconoscimento dell’invocato decentramento, la pluralità delle Corti di Cassazione.

Io non sono sospetto di essere uomo proclive al linguaggio adulatorio. Mi sia concesso perciò con piena serenità il poter dire che se ad Enrico De Nicola, onore e vanto del foro napoletano (Vivi applausi), oggi la Costituente volesse offrire un pegno della sua devozione e gratitudine, altro non dovrebbe fare che restituire alla sua Napoli quella gloriosa Corte di Cassazione, contro la di cui abolizione egli, presente alle manifestazioni del Foro, fu, con spirito antifascista, uno dei primi a protestare (Applausi).

Ho finito. Io, conservando il mio emendamento, dichiaro di votare a favore della pluralità delle Cassazioni. Se sia o non sia consacrata nella Costituzione questa esigenza dipenderà dall’esito della votazione. Ma non sarà da qualche voto di maggioranza o di minoranza che dipenderà la valutazione e la soluzione di un problema di un così alto significato civile. Per me è conforto la coscienza del dovere adempiuto. Per me è conforto aver rivendicato, per talune città nobilissime, un diritto che, consacrato nella storia, si identifica con la stessa causa della libertà e della giustizia. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato due emendamenti all’emendamento dell’onorevole Leone Giovanni:

«Sostituire alle parole: in tempo precedente, le altre: precedentemente alla sua entrata in vigore».

«Dopo il primo comma, aggiungere le parole: la Corte di cassazione formerà una sezione specializzata per i giudizi militari».

LEONE GIOVANNI. Accetto questi due emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mi pare che in questi emendamenti ha tradotto considerazioni che sono state svolte dall’onorevole Leone. Intende svolgerli?

PERSICO. No. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. Lo svolgimento degli emendamenti è così terminato. Resta un emendamento dell’onorevole Rossi Paolo il quale lo svolgerà quando parlerà a nome della Commissione

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Parlo in ordine al testo presentato dalla Commissione; poiché l’onorevole Costa ha creduto prudente ritirare la sua proposta soppressiva, dichiaro di appoggiare l’emendamento dell’onorevole Mortati, perché temo, ove questo non fosse approvato, che l’Assemblea cadrebbe in una grave contradizione. Infatti, giorni or sono, sia pure con una non cospicua maggioranza, noi abbiamo deliberato il mantenimento in vita della giurisdizione speciale militare in materia penale, con un emendamento che diceva che sarebbero mantenuti i tribunali militari, non i soli tribunali «territoriali», ma anche il tribunale supremo militare. Invece, con l’articolo proposto dalla Commissione, tutti gli organi giurisdizionali, sia ordinari, che speciali, e di conseguenza il supremo organo giurisdizionale in materia penale militare, sarebbero soggetti alla censura della Corte di cassazione. Ecco perché, giustamente, l’onorevole Mortati, avvertendo l’evidente contradizione di questo testo con una deliberazione già presa dall’Assemblea, propone che solo le decisioni dei tribunali ordinari siano soggette al supremo magistrato della Corte di cassazione.

Ecco spiegate le ragioni della mia titubanza. Ché se la Commissione potesse suggerire seduta stante una via d’uscita per impedire la grave contradizione che, a mio avviso, non farebbe onore alla nostra Assemblea, sarei lieto di appigliarmi anche a questa uscita. Mi dispiace solo che una materia di tanta delicatezza sia affrettatamente deliberata, mentre poteva essere oggetto di studio da parte di una commissione che preparasse per il futuro una legge speciale.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, sarò breve. La mia intenzione è soltanto di dare una rapida risposta all’invito che ci è stato rivolto dall’onorevole Calamandrei di spiegare come mai il nostro Gruppo abbia manifestato una opinione favorevole alla molteplicità delle Corti di cassazione. Naturalmente, sarò costretto a introdurre nella mia dichiarazione anche qualche elemento di natura personale, e prego il nostro Presidente di considerare semmai questa mia dichiarazione anche come una dichiarazione di voto, nel caso si dovesse addivenire a una votazione su questa questione.

In realtà, anche io sono partito dalle considerazioni che l’onorevole Calamandrei ha testé svolto con parola altrettanto autorevole quanto brillante. Ritenevo anch’io che la Corte di cassazione dovesse essere unica essendo questo un mezzo potente per dare unità non soltanto alla giurisprudenza, ma a tutto il diritto, attraverso la più elevata delle sue interpretazioni. Devo aggiungere che tutti i magistrati, o quasi tutti, con i quali ebbi occasione di intrattenermi su questo problema in qualità di Ministro della giustizia, manifestarono un’opinione analoga a quella dell’onorevole Calamandrei. Non ostante ciò, sono nel dovere di dichiarare che la stessa esperienza fatta da me dell’amministrazione della giustizia mi ha convinto che questa opinione non è giusta e che le argomentazioni che vengono addotte a sostegno di essa non sono esatte né accettabili, perché essendo astratte e formali, non toccano il fondo del problema. L’errore consiste nel riferirsi alla unità in modo esteriore, senza considerare per quale cammino si deve arrivare a realizzare, a che cosa deve corrispondere e a che cosa corrisponde di fatto questa unità del diritto.

Lascio quindi da parte le considerazioni sentimentali e le tradizioni, pur riconoscendo che esse sono pure qualcosa di nobile e glorioso e da non trascurarsi. La traccia lasciata dall’attività delle Corti di Torino, Firenze, Napoli, Palermo è una cosa che difficilmente si potrà cancellare e io ricordo che la facoltà di giurisprudenza di Torino, nella quale ho studiato, ritraeva un lustro particolare dal fatto di risiedere in quella città, dove era una Corte di cassazione.

Ma lasciamo da parte i riflessi e ricordi sentimentali. L’onorevole Calamandrei ha posto al centro del suo intervento questa affermazione: «Si tratta di un residuo del passato». Di quale passato e di quale sorta di residuo? Quando si fece l’unità d’Italia la situazione del nostro Paese, per ciò che si riferisce al diritto e alla sua interpretazione, era molto difettosa. Non vi era unità, poiché esistevano Codici diversi, giurisprudenze diverse, erano organi diversi di interpretazione di diverse legislazioni. Partendo da quella situazione siamo arrivati all’unità. Assieme all’unità dello Stato abbiamo creato l’unità del diritto. Ma chi ha creato questa unità del diritto? L’hanno creata le Cassazioni plurime, non la Cassazione unica, e le Cassazioni plurime hanno potuto creare l’unità del diritto appunto perché erano molteplici, cioè perché la loro attività era direttamente collegata con quelle particolari condizioni di fatto a cui erano legate la differente legislazione, la differente codificazione e la differente giurisprudenza. Lavorando nel diverso, e poiché lavoravano nel diverso, le Corti plurime fecero l’unità. Questo fu il grande merito di queste Corti di cassazione, né credo che se fosse esistita in quel periodo una Cassazione unica avremmo ottenuto nello stesso tempo un risultato così rapido non solo di unificazione, ma anche di arricchimento della scienza giuridica. Fu in quel periodo che sezioni intiere della scienza giuridica sono state sviluppate. Basti pensare agli sviluppi del diritto commerciale che, legati direttamente a quelli dell’industria e dei traffici del Nord, ricevettero notevole impulso dai giudicati delle Corti di appello e della Corte di cassazione settentrionali, mentre tale impulso difficilmente avrebbe potuto essere dato dai giudicati delle Corti di appello e di Cassazione meridionali. Assai diverso era infatti in quel tempo lo sviluppo stesso dell’economia e quindi dei rapporti fondamentali della vita civile nelle diverse parti del nostro Paese.

E qui credo si venga al fondo della questione. Le Cassazioni plurime sono soltanto un residuo del passato, oppure la situazione del nostro Paese è tale che giustifichi anche ora la molteplicità delle Corti di cassazione? Unità, sì! Ma unità non vuol dire sempre unicità, non vuol dire sempre completa uniformità. Ancora adesso, nel nostro Paese, esiste tra una parte e l’altra una grande diversità di sviluppo economico e delle condizioni della vita civile. È inevitabile, ad esempio, che lo sviluppo della giurisprudenza e quindi del diritto sia legato in una parte del Paese in particolare alla industria o al commercio ad essa legato, in altra parte d’Italia invece, sia legato in prevalenza alla elaborazione di quella parte del diritto privato che considera i rapporti di proprietà sulla terra. Questa diversità esiste ancora; non è superata, perché il nostro Paese non è così uniforme, come sono altri Paesi d’Europa, e noi dobbiamo concedere qualche cosa a questa diversità di sviluppo, se vogliamo che il diritto, e quella superiore elaborazione di esso, che è la giurisprudenza della Corte di cassazione, mantenga un legame vivo col popolo.

Si sente dire talvolta, e in senso dispregiativo, che il popolo italiano sarebbe un popolo di legulei. Non credo però si possa considerare con spregio quella qualità del nostro popolo che è l’interesse ch’esso dimostra per i problemi del diritto. Certo è che non solo nel nostro Paese, ma in generale, le questioni giuridiche non possono essere considerate separatamente dallo sviluppo di tutta la vita nazionale, della vita cioè di tutto il popolo. Questo però vuol dire che quanto più noi organizzeremo gli organi della giurisdizione, anche nella sfera suprema, in modo da rendere possibile un loro contatto più diretto con la vita immediata della Nazione, tanto più avremo fatto progredire la elaborazione stessa della scienza giuridica e del diritto in senso unitario. E questo è l’argomento fondamentale.

L’onorevole Calamandrei ci ha terrorizzati, dicendo che in questo modo si ammette che un fatto possa essere reato in una parte d’Italia e non in un’altra parte.

No! Un fatto sarà reato dappertutto dove ha vigore quel Codice, che lo qualifica come reato.

Una voce. C’è l’interpretazione.

TOGLIATTI. Interpretazione di applicazione. E a questo proposito permettetemi di ricordare un episodio della recente nostra attività giurisdizionale: l’esistenza per un periodo di sei mesi circa di una sezione staccata penale della Corte di cassazione, la quale funzionò a Milano, dopo la liberazione, con lo scopo di rivedere in sede di seconda istanza le sentenze pronunziate dalle Corti straordinarie del Nord. Il lavoro era difficile, delicatissimo. Si trattava non solo di temperare, ma di elaborare giuridicamente, sulla base di una legge d’eccezione, quella che in determinati pronunziati di Corti straordinarie era stata spesso soltanto la legittima e spontanea reazione immediata del sentimento nazionale offeso dai crimini fascisti. Opera, ripeto, delicatissima. Ebbene, quest’opera venne compiuta assai bene sino a che quella Corte risiedette a Milano, in condizioni materiali terribili, mentre mancavano i locali, ed era difficile perfino l’approvvigionamento dei magistrati. Quella Corte ad ogni modo adempì brillantemente al proprio compito fino a che risiedette e funzionò in Milano. Non posso dire che lo stesso sia avvenuto, quando quella stessa Corte incominciò a funzionare a Roma. Immediatamente si notò il contrasto fra due ambienti e due mentalità diverse. Venne proseguita l’opera iniziata, ma in uno spirito, che non era più quello di prima, sibbene l’opposto. L’animo del giudice non era più a contatto con l’animo del popolo, da cui erano sorti giudizi che si trattava di rivedere. Ma l’animo del popolo corrispondeva esattamente, invece, all’animo del legislatore, autore delle leggi che si trattava di applicare, mentre lo stesso non si può dire dello spirito che prevaleva in determinati ambienti politici romani.

Si tratta di un episodio, che però dimostra che anche nel campo penale l’esperienza del decentramento di una sezione della Corte non è stata negativa.

Si dice che con la pluralità delle Cassazioni si distruggerebbe l’unità giurisprudenziale. Ma questa unità non esiste nemmeno con la Cassazione unica, perché la giurisprudenza varia da sezione a sezione.

Una voce a destra. No, no!

TOGLIATTI. Senza dubbio.

Una voce a destra C’è il massimario.

TOGLIATTI. Quando la Cassazione non si pronunzia a sezioni unite, la giurisprudenza varia da sezione a sezione e da presidente di sezione a presidente di sezione. Questo sanno tutti coloro che conoscono qualche cosa della evoluzione del nostro diritto.

Ma io sostengo che la diversità di giurisprudenza, la quale si potrà senza dubbio creare esistendo parecchie Corti di cassazione, così come esistette quando le Corti di cassazione erano cinque, sarà qualcosa di positivo, e lo sarà perché rifletterà un’elaborazione giuridica più vicina alla realtà, alle esigenze della vita nazionale. Attraverso questa diversità la giurisprudenza dimostrerà di essere vicina al polso della nazione, dimostrerà che i problemi della terra e dello sviluppo del commercio e dell’industria, e quindi del diritto, saranno sentiti e risolti in relazione con l’ambiente in cui essi sono sorti, e il diritto si svilupperà veramente come deve svilupparsi, cioè a contatto con la vita reale del Paese.

L’argomento della spesa, secondo me, nemmeno ha valore. La spesa deve essere considerata non soltanto nel quadro del bilancio dello Stato, ma nel quadro generale delle spese della nazione. La spesa che deve sostenere un avvocato per venire da Palermo a Roma per patrocinare in Cassazione, è una spesa inutile per la nazione, è un puro passivo per il Paese; le economie che in tal senso si verranno a realizzare, compenseranno ampiamente il passivo che si avrà nel bilancio dello Stato.

C’è infine un altro argomento, che voglio portare, sulla base dell’esperienza. È mia convinzione che la esistenza della Cassazione unica a Roma disorganizza, o per lo meno contribuisce alla cattiva organizzazione della Magistratura italiana. È un fatto innegabile: tutti i magistrati guardano a Roma, tutti, indistintamente, perché vogliono arrivare, com’è legittimo, alla Cassazione. Soltanto quando sono arrivati alla Cassazione i magistrati intelligenti, bravi, valorosi, giustamente ritengono di aver raggiunto quello che è l’obiettivo della loro attività intellettuale e della loro carriera.

Questo crea uno squilibrio nell’organizzazione della Magistratura, uno squilibrio che si manifesta in tutti i campi, come potrebbe confermare, se presente, anche l’attuale Guardasigilli. Si è arrivati al punto che il Guardasigilli si trova in serie difficoltà quando deve trasferire da Roma degli alti magistrati per dirigere una Corte del Nord. Si vuol rimanere a Roma, non perché a Roma sono i Ministeri e nemmeno perché Roma sia il centro della vita politica, ma perché Roma è il centro della Magistratura, dato che qui esiste la Cassazione unica. Questo è un fattore negativo, che pesa su tutta l’organizzazione della Magistratura italiana, e che si fa sentire deteriormente data la struttura del nostro Paese, alla quale non corrisponde l’organizzazione della Magistratura. Il nostro Paese è policentrico. Abbiamo per questo creato l’organizzazione regionale…

Una voce al centro. Anche voi?

TOGLIATTI. Ma sì, anche noi, e vi abbiamo contribuito con più serietà e intelligenza di voi. Il nostro Paese, ripeto, è policentrico. Esso ha quindi bisogno di una organizzazione la quale, riflettendo questa sua struttura, permetta di far aderire alla realtà vivente della vita nazionale non solo l’attività politica e quella amministrativa, ma anche l’evoluzione del diritto attraverso la stessa giurisprudenza. Orbene, la Cassazione unica a Roma non permette di organizzare la Magistratura italiana in modo adeguato allo sviluppo di un’attività giuridica che aderisca alle necessità del Paese.

Questi sono i motivi per i quali personalmente mi sono convinto che è giusto ritornare al sistema delle cinque Corti di cassazione, essendo questo ritorno coerente con tutto l’indirizzo della nostra Costituzione, e coerente soprattutto con la concezione che noi abbiamo del diritto, della sua origine, che è nel popolo, della sua fonte, che è nella coscienza popolare e nello sviluppo delle molteplici attività nazionali.

Per tutti questi motivi il nostro Gruppo darà la sua approvazione agli emendamenti che propongono la restaurazione delle cinque Corti di cassazione. (Vivi applausi a sinistra – Congratulazioni).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Onorevoli colleghi, io debbo insistere su quella mia pregiudiziale, che concerne il retto uso dei suoi poteri da parte dell’Assemblea Costituente. Ciò che noi abbiamo fatto, e continuiamo a fare, potrebbe definirsi la confisca del potere legislativo futuro. Noi dobbiamo fare la Costituzione, che è determinazione degli organi sovrani dello Stato e questa nostra competenza, che è la sola che veramente ci spetta, procede, naturalmente, sub specie aetemitatis, perché ogni forma di regime deve augurare a se stessa una durata indefinita, e quindi tutto quello che tocca la Costituzione in questo senso come la Presidenza della Repubblica, le due Camere, i rapporti fra loro, e così via ha carattere permanente. Ma, poi, c’è tutta la zona legislativa, la quale può mutare ogni momento; mentre noi, invece, pretendiamo – per così dire – di imbalsamarla. Io non so come il futuro potere legislativo si condurrà verso questi limiti che gli sono imposti, per cui ad esso non è riservato altro compito che quello di fare il regolamento, mentre la legge la stiamo facendo noi, per conto di tutti i legislatori di là da venire. Or io non credo che essi si adatteranno; e non lo credo, perché non riconosceranno in noi questa specie di diritto divino di stabilire, per conto loro, quelle norme che hanno la pretesa di essere le linee direttive, obbligatorie, intangibili, della futura legislazione.

Il caso attuale è tipico, non solo perché la Cassazione attiene a quegli ordinamenti che hanno propriamente carattere legislativo, in quanto non derivano dalla Costituzione, di cui fa, invece, parte il potere giudiziario nel suo complesso, ma anche per un’altra ragione: e cioè, che parlare della Cassazione, prescindendo da quello che potrà essere l’ordinamento giudiziario, è un assurdo. Lo diceva molto bene l’onorevole Calamandrei or ora, da quel maestro che è: per intendere l’istituto della Cassazione, bisogna avere una conoscenza dei vari gradi dell’ordinamento giudiziario. Da quel maestro che è, si è scelto l’esempio che più gli è convenuto, naturalmente; e, dicendo che parlava a colleghi non avvocati, ci ha presentato una specie di manuale, a tiro rapidissimo, di procedura civile. Ora, qui noi siamo tutti eguali di fronte alle conoscenze che ci occorrono; dobbiamo essere tutti eguali: non ci sono dotti professionali, né – diciamo – indotti professionali. Però, in fondo, l’onorevole Calamandrei ha ragione in ciò; come si può giudicare di un istituto in cui si assomma l’ordinamento giudiziario, quando si prescinda dalla conoscenza dei vari suoi gradi? E, difatti, egli supponeva una Cassazione come la pensa lui, come la vuole lui, che è un maestro, non solo in genere della procedura civile, ma anche, e soprattutto, in questo argomento speciale, perché un volume fondamentale sulla Cassazione si deve a lui. Ma, d’altra parte, taluno potrebbe osservargli di concepire in modo diverso l’istituto della Cassazione, o addirittura di non crederci affatto. Perché ognuna di queste opinioni dovrebbe trovare un ostacolo pregiudiziale nella Costituzione?

Non sarò, certo, io a sostenere, sul tema della Cassazione alcuna tesi estrema o nichilista: non io. Tutto quello che io valgo in diritto, lo debbo alla Cassazione, e precisamente a quella di Palermo, dalla quale appresi; ma la questione, nondimeno, si pone e s’impone, e la stessa Cassazione consente maniere del tutto diverse di considerarla.

Io ho riportato la curiosa sensazione (almeno, così mi è sembrato nell’ascoltare il discorso del mio amico e collega Calamandrei) che egli vi abbia parlato della Cassazione come di una specie di sublimazione del diritto. Egli vi ha detto – ed altri l’avevano pur detto – che la unificazione della Cassazione è il presupposto della unificazione del diritto, e quindi contribuisce alla unificazione nazionale, ecc.: come se l’unità nazionale, sia pure nel campo del diritto, si potesse raggiungere solo attraverso una riforma voluta ed attuata dal fascismo.

Ora, io, nella realtà concreta, non so separare il diritto dal fatto in maniera così assoluta. Quindi, questa formulazione della Cassazione come una specie di isolamento superbo (quello che in Inghilterra si dice splendid isolation) del diritto, non è nel mio temperamento, né risponde al mio pensiero. Ad ogni modo, prescindiamone. Questo, però, dimostra soltanto come l’argomento si espanda, si irradii, si innalzi o si approfondisca, e tutto questo noi dovremmo condensare e fissare ora con un piccolo emendamento!

Ad ogni modo, a proposito di opinioni sospette o non sospette, mi sia permesso ricordare che io difesi la pluralità delle Cassazioni in una orazione – che fu poi pubblicata, e quindi c’è la data certa – da me pronunciata nell’Aula magna della Università di Palermo, nel 1889 (la maggioranza di voi, a quel tempo, non era ancora nata). Ebbene, allora come ora, io ho sempre avuto questa opinione, apertamente professata, in contrasto con la Cassazione unica.

Per me, quindi, la questione, per se stessa, si presentò da primi come tecnica, non politica. Comunque, su quelli che sono i presupposti tecnici di essa, io non vedo una distinzione di partiti politici. C’è il lato politico, naturalmente, (dove non entra la politica?) e questo fu colto acutamente dall’onorevole Togliatti; ma il problema, per sé, resta squisitamente tecnico, perché in sostanza si tratta di sapere: questo diritto dove si elabora?

Io avrei voluto dirlo, se fossi intervenuto nella discussione, a proposito della giuria: chi veramente crea questo diritto? dove e come nasce? A questo proposito, la mia idea è questa: la tendenza dei giuristi teorici è di rendere il diritto inaccessibile al profanum vulgus. Perciò vi dico: diffidate dei dotti, diffidate dei professori (sono professore anche io e non posso dire di essere con ciò ingeneroso coi miei colleghi); il diritto lo fa il popolo, perché se c’è qualche cosa di squisitamente popolare, è il diritto. Due cose vengono dal popolo immediatamente: il linguaggio ed il diritto. Credere che il diritto si faccia attraverso i cervelli dei grandi maestri, siano dei grandi giureconsulti siano magistrati, è un errore, com’è un errore il credere, che la lingua la facciano gli accademici che redigono il vocabolario della Crusca. Or quanto più vasto è lo spazio, dove si alimentano le radici di questa creazione popolare per eccellenza, e quanto più queste radici si accostano al popolo, in tutti i suoi strati, in tutte le sue forme, in tutte le sue regioni, tanto meglio!

Nel campo tecnico, si parla di unità del diritto, di immobilità o di consolidazione. L’amico Calamandrei, mettendo in giuoco i due concetti di spazio e di tempo, si è preparata sempre la possibilità di darmi torto; perché egli diceva: «Certo, non si deve immobilizzare il diritto; ma questa esigenza non si riferisce già allo spazio, bensì al tempo».

Ma il diritto – rispondo io – si muove e si muove sempre, e nello spazio e nel tempo. Spazio e tempo non sono due elementi separabili. Comunque, l’immobilizzazione o la consolidazione del diritto – che pure è l’argomento principe a favore dell’unità della Cassazione – i tecnici stessi finiscono con l’ammettere che non è poi un assoluto vantaggio, e che, ad ogni modo, non si riesce a conseguirlo. Ma è il caso di aggiungere qualche cosa di più.

È qui – scusatemi – è proprio qui che lo spazio ci giuoca dei tiri veramente birboni. Noi abbiamo a Roma la Cassazione unica: di quanti magistrati si compone? In civile, le sezioni sono tre; ma è un’apparenza; in realtà, saranno sette od otto, perché, dato il numero totale dei consiglieri, essi ragionevolmente, per sopportare il peso del lavoro, debbono fare dei turni nella sezione. Quindi, effettivamente, le sezioni civili, che siedono a Roma, sono sette od otto.

Ebbene, si potrà con piena coscienza affermare che se questi egregi magistrati si riuniscono a Roma in giorni successivi, la certezza del diritto, la giusta unità del diritto è assicurata; mentre, invece, se si riunissero, oltre che a Roma, a Napoli, a Torino, a Firenze, a Palermo, allora addio unità del diritto! Spunterebbe, allora, il mostro a cinque teste.

Certo, quei magistrati che pronunciano sentenze in sedi diverse possono dissentire dall’una all’altra sede; ma, del resto, dissentire possono anche qui a Roma; e, comunque, si possono trovare dei modi di ovviare a tali dissensi, di ricondurre immediatamente il fatto a quella che deve essere la sua giusta regola; sebbene, a tal proposito, è utile e prudente tener presente che ogni figura giuridica corrisponde ad una figura specifica di fatto.

Ora, francamente, io sono un cassazionista, perché – come or ora ho detto – io studiai in Cassazione: è, infatti, là che si apprende il diritto. Quindi, è ben lungi da me la intenzione di mancare di rispetto alla Cassazione unica; però, una constatazione obiettiva mi sia lecito farla. Allorché si determini un dissenso tra Palermo e Torino, passi: è una cosa che si comprende, quantunque contro di essa si scaglino poi gli anatemi degli unitari. Ma quando è la stessa Cassazione unica, questa a cui vi affidate, la quale nello spazio e nel tempo si contraddice, allora l’impressione – diciamo pure – di scandalo è assai maggiore. Io ricordo – e vi partecipai – la battaglia sulla questione della validità della clausola oro. Ebbene, vi fu un procuratore generale, ora morto, magnifica figura di giurista, il quale, di fronte alla manifesta disposizione d’animo dei giudicanti nel senso di modificare quella che era stata la giurisprudenza sino ad un mese prima, ad un certo punto concluse per la conferma della giurisprudenza, che era stata acquisita. E con felice volo oratorio, disse: «Ci fu qualcuno che si affidò a voi. Orbene, c’è, per l’appunto, in questione una gentildonna ungherese, la quale aveva in Italia un mutuo. Poiché v’era stata una sentenza della Cassazione, la quale aveva ritenuto la validità della clausola oro, questa gentildonna è venuta in Italia ed ha fatto grandi concessioni al debitore, perché avesse acconsentito ad inserire nel contratto la clausola. Quale sarà, ora, la sua sorte?».

Fin qui, mi sono intrattenuto sul lato tecnico: e su di esso si può discettare indefinitamente. Sono cose ormai note. Ma c’è pure il lato politico. E quale il lato politico di questa questione? Vi dirò che mi sorprendo, sotto questo riguardo, di quanto ha detto il mio caro amico Grassi: «È un’eresia l’affermare che la Cassazione unica sia di istituzione fascista». Sta bene: non nego che anche prima del fascismo essa fosse stata invocata, fosse stata proposta; ma chi fu ad attuarla? La Cassazione unica, dunque, in senso stretto – ossia, non nella discussione teorica, ma nell’attuazione pratica – è una istituzione fascista.

Ora vediamo: perché lo ha fatto? Una ragione c’è; prima se ne era tanto parlato, e non si era potuta attuare. Si dice: è venuto finalmente il fascismo, che, benemerito, l’ha attuata. Ah, no, amici! La ragione fu politica e fu fascista. Perché? Perché il fascismo fu accentratore e rimproverava di debolezza il Parlamento; quanti rimproveri al Parlamento! È incapace – così lo si accusava – di abolire una Corte d’appello, incapace di abolire un’Università, incapace di abolire una Prefettura, una Provincia, a causa delle pressioni delle clientele locali, per la paura che i deputati hanno del collegio loro, ecc. Si dovrà, dunque, dire che l’abolizione delle quattro Cassazioni fu un atto di coraggio del fascismo? Ah no! E perché? Perché la verità è che nel periodo fascista, a parte la soppressione delle Cassazioni, non fu soppressa una Corte d’appello, non fu soppressa una Prefettura, non fu soppressa un’Università: anzi, furono moltiplicate le Prefetture, le Università e le Corti d’appello. Il motivo fu esclusivamente politico; non fu già di sfrondare, di semplificare, di assicurare il diritto. E quale fu il motivo politico? l’accentramento. Or, sotto questo aspetto, bisogna riconoscere che il mezzo giovava e fu intelligentemente scelto. Però, una così fatta unificazione di pensiero giuridico è contro natura, perché ogni ambiente può foggiare a se stesso le proprie maniere di concezione giuridica, le quali poi, fondendosi, possono dar vita ad una figura nuova. Come in tutte le sue imprese, così anche in questa, e specialmente in questa, la rettorica si prestava a coprire il meditato disegno di un accentramento a fine politico: ci voleva Roma, la via imperiale; Roma, la via dei trionfi; Roma, che deteneva essa questa specie di privilegio, di monopolio rappresentativo del diritto – essa, madre e maestra del diritto. E così fu compiuta una ingiustizia, una ingiustizia assai grave, che si risolveva tutta a danno del diritto.

Il mio amico Calamandrei, con quella sensibilità che lo distingue, ha cominciato il suo dire con un’osservazione giusta: cioè, che questa è materia di sentimento, è una questione sentimentale. Anche io ne convengo: e da parte mia, non ho potuto sentire, senza protestare, che quelle vecchie Cassazioni fossero delle macerie, dei ruderi. Non fo confronti, perché sono odiosi; ma dico e riaffermo che il periodo della Cassazione unica, dal punto di vista del valore dei contributi al diritto ed alla sua scienza, non supera, certo, quello delle soppresse gloriose Cassazioni, attraverso le quali si affermò il progresso giuridico in Italia. In questo breve periodo fascistico non certamente il valore giuridico italiano si è innovato e rafforzato; ché, anzi, è indubbiamente retrocesso. Il progresso del diritto nostro, di cui possiamo essere fieri, non si deve forse – ripeto – proprio a quelle Cassazioni?

Per tutte queste ragioni, per coerenza alle mie convinzioni e per riverenza al nostro glorioso passato, io voterò tutto ciò che meno si allontanerà da questa idea, (perché qui vi è abbondanza di emendamenti e di formule); voterò – ripeto – tutto ciò che si dimostrerà di più avvicinarsi alla ricostituzione di quei centri di cultura.

Badate bene: si dice che le città tengano, e fieramente, a questi loro centri, e perché? Non certo per quella quantità di carne o di pasta, che consumi un ristretto numero di magistrati – modesta gente, ma grande, gloriosa gente – oppure per il numero dei clienti, che arrivano e che possono affollare alberghi e trattorie.

Andiamo: sono città troppo grandi, per essere sospettate di così piccole miserie; ma esse sentono con tutta intensità che là dove c’è la Cassazione, ivi esiste un fecondo, magnifico centro di cultura giuridica. E, veramente, erano centri mirabili di cultura giuridica, veramente, Napoli e Torino, Firenze e Palermo possono vantarsi di essere state, in virtù delle loro Cassazioni, delle grandi scuole di diritto!

Questa illustre tradizione si è rotta; e non è lieve il danno che ne è derivato. Or, è desiderabile ed augurabile che questa tradizione rinasca, che si ricomponga; ma, in ogni modo, è un potente bisogno dell’animo mio, è un solenne, sacro dovere per me che la commossa parola di commemorazione e di rimpianto di questo vecchio riaffermi la sua gratitudine a quei giganti, che furono i magistrati e gli avvocati dei pubblici ministeri delle Cassazioni regionali! (Vivissimi applausi – Congratulazioni).

ROMANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Romano, lei propone di offrire dei chiarimenti sull’argomento. Ma evidentemente si tratta qui non di chiarire la questione, ma di esporre eventualmente su essa la propria opinione personale. Forse, avendo parlato già sostenitori dell’una e dell’altra tesi, ove non si potesse portare qualche nuovo argomento, potremmo considerare la discussione di merito conclusa.

Comunque, ha facoltà di parlare.

ROMANO. Farò brevissime considerazioni. Innanzi tutto, come ebbi a dire in discussione generale, se si dovesse arrivare al ripristino delle Corti di cassazione, noi rivendichiamo anche le Cassazioni di Napoli e Palermo. Ma rilevo questo: che mi pare si sia esagerato, scivolando su un altro argomento molto delicato e che richiede molta ponderatezza.

Abbiamo preso in mano, in uno scorcio di seduta pomeridiana, un istituto delicatissimo, che ha formato oggetto di tanti progetti e discussioni. Quando poi ho inteso parlare di regime fascista, ho sentito il bisogno di dire che la Cassazione unica non può considerarsi istituto fascista, in quanto che la Cassazione unica fu oggetto di numerosi progetti che si riallacciano a nomi come Pisanelli, Pescatore, Martirolo, Quarta, Fadda, Ralli, Minghetti, Taiani, Mortara e di altri. Ora, questi uomini illustri sono per caso divenuti fascisti? Non credo che sia il caso di parlare di fascismo.

E poi, mi pare inesatto parlare di disfunzione della Cassazione unica, perché, prendendo in mano i volumi pubblicati dall’istituto di studi legislativi e che riportano le sentenze emesse dalla Cassazione dal 1943 al 1946, rileviamo come la Cassazione unica funzionò perfettamente. (Commenti).

Sarebbe dunque opportuno soprassedere e considerare più ponderatamente questo istituto così delicato.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io mi asterrò dall’intervenire a questa ora nella discussione, dopo che da altri è stato con tanta autorità ed ampiezza arato il campo della materia. Mi limiterò pertanto ad una sola dichiarazione di voto a nome mio e di numerosi colleghi, che come me sentono l’esigenza giuridica e sociale della Cassazione unica.

PRESIDENTE. Forse la dichiarazione di voto sarà più opportuna dopo che l’onorevole Rossi Paolo avrà espresso il parere della Commissione.

DOMINEDÒ. All’ora parlerò dopo. Sta bene.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Rossi Paolo di esprimere il pensiero della Commissione.

ROSSI PAOLO. L’Assemblea mi darà atto che, se dovessi rispondere, non dico compiutamente, ma appena decorosamente, o se volete un altro avverbio, decentemente, a tutti gli argomenti che si sono svolti, e non oggi soltanto, intorno alla materia contenuta nelle tre o quattro righe dell’articolo 102 proposto dalla Commissione, non mi basterebbe di certo questo ultimo scorcio di seduta, e forse dovrei chiedere alla vostra pazienza di sentirmi per un tempo altrettanto lungo di quello occupato dai difensori del processo di Frosinone: sei o sette sedute. Soccorrono me e soccorrono voi, onorevoli colleghi, due grandi fortune: la prima, che io non sono materialmente in grado, per difetto di preparazione specifica, di rispondere compiutamente e singolarmente a tutte le argomentazioni fatte valere dagli illustri oratori che mi hanno preceduto, su un tema squisitamente tecnico; e la seconda, onorevoli colleghi, che i vari oratori hanno provveduto benissimo e larghissimamente a confutarsi fra sé!

Abbiamo, per esempio, un emendamento dell’onorevole Costa, che domanda la soppressione dell’articolo 102; ne abbiamo diversi altri che propongono la geminazione di questo articolo. L’onorevole Costa non vuole l’articolo; altri colleghi ne domandano due o tre al posto di uno. L’onorevole Leone col suo emendamento ha confutato ampiamente l’onorevole Mortati; i sostenitori delle Cassazioni plurime hanno confutato i sostenitori della Cassazione unica e viceversa.

La Commissione si limita a dichiarare questo: non accetta e non respinge alcuno dei numerosi emendamenti. Tutti gli emendamenti sono stati accolti in parte ma, come suggerimento, come incitamento a uno studio nuovo, come invito a rimeditare questioni difficili.

Dirò a tutti i presentatori di emendamenti, agli onorevoli Costa, Gabrieli. Mortati, Monticelli, Romano, Colitto, Caccuri, Cortese, Murgia e a tutti gli altri, che non posso uno ad uno nominare, che nessuno dei loro emendamenti è stato dimenticato dal Comitato di redazione, che li ha tutti vagliati ed ha cercato, in quanto fosse possibile, di conciliarli.

Il risultato di questo lavoro, onorevoli colleghi, è stato che la Commissione ha emendato il suo medesimo testo; lo ha emendato due volte. L’emendamento che ho avuto l’onore di proporre porta soltanto la mia firma, ma, in realtà, è un emendamento concordato col Comitato di redazione. Successivamente, nella seduta di oggi, dopo aver sentito ulteriori dichiarazioni e spiegazioni da parte dei presentatori di emendamenti, abbiamo ancora introdotto qualche modificazione, e questo specialmente ad opera dell’onorevole Leone, i cui suggerimenti, sono stati in gran parte accettati. La formulazione nuova dell’articolo 102 sarebbe questa (ed è diversa notevolmente dal primo testo):

«Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. (Vedano, colleghi, di quante esigenze si è tenuto contò in questa formulazione).

«Contro le Sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione».

Quali sono stati sommariamente i principî che ci hanno guidato in questa redazione?

Anzitutto il principio fondamentale dell’unicità di giurisdizione. E qui mi dispiace non concordare con l’onorevole Mortati, che ha svolto una delicatissima, finissima questione sistematica. «Il gran desio dell’eccellenza – dirò con Dante – ove il suo cuore intese» muove sempre l’onorevole Mortati a distinzioni di carattere sottile, che mettono talora in imbarazzo i membri della Commissione.

Non abbiamo potuto accettare il suo punto di vista sistematico, per cui quando esistono organi giurisdizionali di carattere speciale, la Cassazione non può intervenire, perché tutta la materia, da capo a fondo, dev’essere demandata agli organi speciali e non può essere, in ultima istanza, controllata dalla Corte di cassazione. Abbiamo invece accettato il criterio – scaturente da molti emendamenti e ordini del giorno – dell’unicità della giurisdizione.

Ci siamo affidati, in secondo luogo, al principio della tutela contro ogni abuso, o contro ogni sopraffazione. Anche in materia amministrativa abbiamo voluto affermare la garanzia della libertà personale, accogliendo l’emendamento dell’onorevole Leone.

Abbiamo voluto stabilire il mantenimento del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

Abbiamo voluto garantire allo Stato una difesa particolare per il tempo di guerra.

E quindi abbiamo stabilito che si possa, di regola, ricorrere, anzi che si possa sempre ricorrere contro tutte le sentenze e contro tutte le decisioni pronunciate da organi giurisdizionali ordinari e speciali. Abbiamo ammesso il ricorso per Cassazione contro tutti i provvedimenti, anche diversi dalle sentenze, che incidano sulla libertà personale. Abbiamo stabilito la deroga soltanto per le sentenze emesse dai tribunali in tempo di guerra, parendo evidente che non sia dato ricorso sospensivo, perché, in guerra, o non serve il ricorso o non serve la sentenza. Se si prevede la sospensione, si frustrano le sentenze; se non si ammette la sospensione, di fronte alle possibili condanne a morte, si rende vano il ricorso.

Abbiamo voluto, poi, precisare in un capoverso dell’articolo 102 della nuova formulazione, che contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, ed eventualmente di altri organi di questo genere (e questo mi pare sia compreso nella prima parte dell’articolo 102) è ammesso ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione. Con ciò, in parte, abbiamo cercato di accogliere il criterio dell’onorevole Mortati.

Secondo la formulazione antica dell’articolo 102 era sempre ammesso il ricorso per Cassazione, secondo le nonne di legge. Quindi si poteva anche concepire un ricorso contro le decisioni del Consiglio di Stato o della Corte dei conti per violazione di legge. Invece si è voluto stabilire che contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti si può ricorrere soltanto per eccesso di potere. Questa disposizione è parsa utile in linea teorica, prevalentemente, perché in linea pratica ci siamo curati di ricercare quante siano state le impugnazioni proposte alle Sezioni unite contro le Sezioni del Consiglio di Stato, e abbiamo constatato che nel ventennio ultimo ci sono state 83 impugnazioni a Sezioni unite contro le sentenze del Consiglio di Stato. Di queste impugnazioni venti erano proposte dalla Amministrazione e sessantatre dai privati. Sedici soltanto sono state accolte. Comunque, anche questa garanzia è stata introdotta, senza che sia violata la giurisdizione speciale del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, perché è stabilito che il ricorso è ammesso soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione.

E vengo adesso alla questione più grave e scottante di cui hanno discusso, oserei dire, senza far torto a nessuno, i più illustri parlamentari italiani: quella della molteplicità o della unicità della Corte di cassazione. Il parere della Commissione, a grande maggioranza, è questo: che non convenga risolvere questa questione nella Carta costituzionale, e che sia meglio votare la proposta dell’onorevole Targetti. Questo, formalmente; sostanzialmente, il parere della maggioranza dei membri della Commissione è che, se si dovesse risolvere la questione, bisognerebbe risolverla con l’affermazione risoluta della unicità della Corte di cassazione. Io ho sentito con estrema attenzione le opinioni svolte in contro dagli onorevoli Togliatti e Orlando. L’onorevole Togliatti ha cominciato con un argomento di ordine sentimentale, dicendoci che la città di Torino, in cui egli era studente, ritraeva un gran lustro dalla presenza a Palazzo Madama (mi ricordo le sale parate di arazzi e di ritratti dei Savoia) della Corte di cassazione.

Con lo stesso argomento l’onorevole Orlando ha chiuso la sua appassionata perorazione. L’uno rimpiangeva la Corte di Torino, che dava lustro alla vecchia città Sabauda; l’altro rimpiangeva la Cassazione di Palermo che dava lustro alla vecchia città borbonica.

Ora, questo argomento – me lo consentano entrambi gli illustri oratori – è di estrema debolezza. Che cosa ha dato lustro alla città di Urbino, che sarebbe altrimenti un piccolo villaggio sperso sui monti? Il fatto che i Duchi di Montefeltro hanno speso una quantità di denaro per costruire una magnifica reggia, dove hanno chiamato i più grandi pittori. Così Lucca, così le sedi di piccoli principati, ducati, signorie da cui principi, duchi e signori hanno dovuto fare valigia e andarsene.

Questi argomenti, mi consentano gli illustri contraddittori, non sono validi per nulla. Sono argomenti che provano il contrario della tesi che vorrebbero dimostrare.

Il secondo argomento dell’onorevole Togliatti è quello della varietà orografica, della varietà economica, della varietà multiforme del nostro Paese, che si snoda così lungo dalle Alpi fino alla Sicilia.

Ora – mi si consenta di dirlo – questo argomento è contraddetto dal fatto. Noi siamo praticamente un piccolo Paese; ci sono Paesi, come l’America, la Russia e l’impero Inglese, infinitamente più grandi della nostra penisola, che si può rapidamente percorrere in qualche ora; e quei Paesi hanno interessi infinitamente diversi: essi si affacciano all’oceano glaciale da una parte, ad un mare tropicale dall’altro; hanno regioni interamente agricole, altre interamente minerarie, altre interamente mercantili; eppure quelle regioni – prego gli onorevoli contraddittori di citarmi un esempio in contrario – nonostante la enorme disparità di condizioni economiche, geografiche e demografiche, hanno tutte una unica Corte di cassazione.

Si è parlato di una maggiore aderenza della giurisprudenza della Corte di cassazione agli interessi locali.

Mi pare che questo sia lo snaturamento completo dell’istituto della Corte di cassazione. In questo delicato momento, in cui si istituiscono le Regioni, ma si vuole fermamente mantenere sovrattutto l’unità nazionale, non ci sarebbe niente di peggio che creare un corpo del diritto commerciale milanese ed un corpo del diritto commerciale napoletano.

Quello che l’onorevole Togliatti mostra di desiderare è per me quello che si deve in tutti i modi e con tutte le nostre forze evitare. Guai se ci fosse un diritto agrario della valle Padana ed un diritto agrario della Capitanata; ed una giurisprudenza diversa da una all’altra regione!

Quale enorme problema, e non soltanto di ordine giuridico, ma anche di ordine politico, potrebbe nascere da una disparità giurisprudenziale fra la Corte palermitana e quella torinese, in materia agraria, al momento di una grande riforma di carattere nazionale!

L’onorevole Orlando, con la sua squisita finezza, con quell’arte di seduttore di Assemblee che egli possiede, ha sviluppato in parte gli stessi argomenti e ne ha aggiunto un altro, veramente contrario all’istituto della Cassazione.

Vogliamo abolire la Corte di cassazione? Vogliamo arrivare al sistema del diritto libero? Vogliamo applicare il common law degli anglosassoni? Io sono personalmente d’accordo – non impegno di certo la Commissione su una questione così grave – con l’onorevole Orlando. Vogliamo che la Corte di cassazione decida prevalentemente del fatto, decida in terza istanza del fatto e della equità? Benissimo. Ma se la Corte di cassazione deve restare quella che è e non può restare altrimenti, deve restare come Cassazione unica.

E perché una Corte di cassazione a Torino, onorevoli colleghi, e non una Corte di cassazione a Milano? È una nobile città, ho sentito dire, Torino; è una nobile città Palermo; e la povera Milano, non ha un piccolo titolo di nobiltà? E la povera Genova e la vecchia Venezia dogale? Mi pare che siano anche queste città degne di essere elette a sedi delle Cassazioni regionali. E perché non anche ad Aosta, dove sono vecchi problemi della Nazione?

Un’ultima osservazione, ed è questa. L’argomento dell’onorevole collega, e – se me lo permette – amico Della Seta e dell’onorevole Orlando, soltanto accennato dall’onorevole Togliatti: l’istituzione della Cassazione unica è di marca fascista. No! La Cassazione unica, sia detto chiaramente e forte, non è di marca fascista, ma è di marca internazionale, perché in tutti i Paesi, che non sono stati disonorati dal fascismo, la Cassazione è unica. La Cassazione unica non è di marca fascista, perché risponde all’antico e costante voto di tutti i giuristi italiani (molti dei quali sono stati pure in prigione, nelle galere borboniche, come i giuristi da voi citati, onorevole Della Seta), perché è il coronamento della unità e dell’indipendenza d’Italia.

La Cassazione unica non è quindi un istituto di marca fascista.

E mi sia consentito un ricordo di Anatole France. Sapete che Bergeret aveva un amico che sistematicamente faceva il contrario di Bergeret. Il suo modo di regolarsi era semplice: cosa ha detto Bergeret? Cosa ha scritto o fatto o pensato Bergeret? Ebbene io dico, scrivo, faccio e penso tutto il contrario di Bergeret! Sapete come conclude France? Siccome Bergeret, fatalmente, non aveva sempre torto, ne conseguiva che il suo amico non avesse sempre ragione!

Questa è la verità. Non ci dobbiamo lasciar ipnotizzare dal fatto che la Corte di cassazione in linea storica sia stata unificata sotto il regime fascista; il regime fascista ha completato fatalmente e necessariamente, forse anche contro delle resistenze regionali, un processo inevitabile sotto qualunque regime.

La vostra Commissione per tutte queste ragioni crede di dovervi proporre: se vi par meglio non affrontare la questione in questa sede, votate la proposta dell’onorevole Targetti; se la discussione si vuole, e si deve, forse, affrontare, vogliate approvare l’emendamento proposto dall’onorevole Ministro Guardasigilli, con quelle sicure, chiare e serie parole con le quali egli l’ha accompagnato.

Mi pare di aver esaurito l’argomento. Se sorgerà qualche altra questione potrò eventualmente rispondere. (Applausi).

PRESIDENTE. Come l’Assemblea ha udito, il nuovo testo dell’articolo 102 proposto dalla Commissione è del seguente tenore:

«Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge.

«Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

«Contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione».

A questo testo l’onorevole Gasparotto ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, aggiungere dopo le parole: e della Corte dei conti, le parole: e del Tribunale supremo militare».

Gli onorevoli Murgia, Mastino Gesumino, Laconi ed altri, hanno proposto un emendamento per cui, nell’ipotesi che siano ripristinate le quattro Cassazioni regionali, sia istituita una Cassazione anche in Sardegna. (Commenti).

Questi due emendamenti non possono essere più svolti.

Chiedo ai presentatori degli emendamenti se li conservano.

L’onorevole Costa aveva ritirata la proposta soppressiva, ma aveva proposto un piccolo emendamento sostitutivo.

COSTA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Monticelli, Romano, Varvaro, Merlin Umberto e Grassi, i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Colitto, conserva i suoi emendamenti?

COLITTO. Non ho ragione di insistere, perché i miei emendamenti sono stati accolti nel nuovo testo.

PRESIDENTE. Onorevole Gabrieli, conserva il suo emendamento?

GABRIELI. Il mio emendamento è stato accolto dalla Commissione là dove dice che il ricorso in Cassazione è ammesso, senza l’avverbio «sempre», perché si ammette che vi possano essere ricorsi in Cassazione per sentenze di Tribunali militari in tempo di guerra. Mi rimetto al testo della Commissione. Però, insieme all’onorevole Gasparotto, ho firmato un emendamento che stabilisce che contro le sentenze dei Tribunali militari è ammesso il ricorso in Cassazione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Onorevole Caccuri, mantiene il suo emendamento?

CACCURI. Aderisco al testo della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Cortese Guido, mantiene il suo emendamento?

CORTESE GUIDO. Aderisco all’emendamento dell’onorevole Leone Giovanni.

PRESIDENTE. Onorevole Murgia, mantiene il suo emendamento?

MURGIA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, mantiene i suoi emendamenti?

CRISPO. Li mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Leone Giovanni, mantiene il suo emendamento?

LEONE GIOVANNI. Poiché è stato riversato nell’emendamento Rossi, al quale pertanto aderisco, rinuncio al mio.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene i suoi emendamenti?

MORTATI. Mantengo i miei emendamenti. Faccio osservare che il mio primo emendamento risulta dalla trasformazione di un emendamento precedente, Nel caso che la mia ultima formulazione non fosse accettata, io chiederei di far rivivere il precedente emendamento, che rappresenta un’attenuazione del principio voluto affermare nell’ultimo. Se il primo non fosse accolto, manterrei il secondo in via subordinata.

La formula della Commissione, che dice di aver adottato l’emendamento Leone Giovanni, in realtà lo ha peggiorato.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, l’onorevole Leone Giovanni, che ha dichiarato questo, è il migliore interprete di ciò che è stato fatto al suo emendamento.

MORTATI. Io farei mio l’emendamento Leone Giovanni.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, quanti emendamenti vuole proporre?

MORTATI. Volevo chiedere alla Commissione se non sia possibile modificare la formula adottata nel senso di affermare nella Costituzione il principio della sottrazione al sindacato della Cassazione, per violazione di legge, delle decisioni dei giudici speciali, e non rinviarlo alla legge, come sembra si voglia fare adoperando la formula: «potrà derogare».

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Qui è detto: «contro la sentenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione». Credo che ci sia un equivoco a questo riguardo.

MORTATI. Comunque, io conservo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, mantiene l’emendamento?

MANNIRONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Villabruna, mantiene l’emendamento?

VILLABRUNA. Lo mantengo, in linea subordinata, perché penso che deve avere la precedenza l’emendamento dell’onorevole Crispo.

PRESIDENTE: Onorevole Targetti. mantiene l’emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, mantiene l’emendamento? L’onorevole Calamandrei è assente, ma essendo l’emendamento sottoscritto da altri firmatari, chiedo loro se intendono mantenerlo.

MACRELLI. In assenza dell’onorevole Calamandrei, mantengo l’emendamento quale firmatario.

PRESIDENTE. Onorevole Della Seta, mantiene l’emendamento?

DELLA SETA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo adesso stabilire in quale modo procederemo alla votazione. Si pone questa questione: l’onorevole Rossi Paolo, ha, a proposito dell’emendamento dell’onorevole Targetti, espresso l’avviso che esso raccoglierebbe il favore di una grande maggioranza della Commissione. Bisogna però che l’onorevole Rossi precisi in maniera chiara se ciò significa che la Commissione intende far proprio questo emendamento. Preciso subito la ragione di questa richiesta: se l’emendamento dell’onorevole Targetti fosse fatto proprio dalla Commissione, è evidente che esso rappresenterebbe la formulazione base e per tanto l’ordine di votazione dovrebbe essere stabilito in relazione agli altri emendamenti.

Se, invece, la Commissione non lo fa proprio, nella valutazione della precedenza delle votazioni potrebbe avvenire che l’emendamento Targetti anziché per ultimo, fosse votato per primo.

È necessario, pertanto, che la Commissione, valutando questi argomenti, dichiari a che titolo ha espresso il suo favore nei confronti di questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è competenza del Comitato stabilire l’ordine di votazione. Il Comitato non può che confermare il suo pensiero: che se è materia costituzionale il principio che vi sia l’istituto del ricorso in Cassazione, non è necessario che la Costituzione dica come la Cassazione deve essere foggiata. L’emendamento Targetti, che rinvia alla legge per l’ordinamento della Cassazione, equivale al silenzio che vi era nel testo della Commissione, e significa la stessa cosa. Fra le proposte ora avanzate di stabilire l’unicità oppure la plurimità della Cassazione, noi concordiamo con l’emendamento Targetti, che è di rinvio; ma accettiamo tale risultato, tenendo fermo il testo del progetto.

PRESIDENTE. Desideravo sapere se la Commissione include questo emendamento nel proprio testo, in modo da considerarlo parte integrante.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Manteniamo la nostra posizione, che è di silenzio; e coincide in sostanza con l’emendamento Targetti, tanto che, se fosse approvato, potrebbe anche togliersi dalla revisione formale e nulla muterebbe nella sostanza.

PRESIDENTE. Allora, la votazione procederà in questo modo: dapprima voteremo sull’emendamento dell’onorevole Targetti; ove questo emendamento non fosse accolto, penso che occorra dare la precedenza all’emendamento il quale propone la ricostituzione delle Cassazioni regionali, perché evidentemente il termine di confronto deve allora divenire la situazione in atto oggi nel nostro Paese, e la formula che porterebbe la trasformazione più profonda deve essere presa in considerazione per prima.

Successivamente si voterebbe quella proposta che prevede la Cassazione unica, ma con sezioni regionali e, infine, la proposta per la Cassazione unica.

Comunico che sull’emendamento presentato dall’onorevole Targetti è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto, dagli onorevoli Scalfaro, Coppi, Nicotra Maria, Bianchini Laura, Calamandrei, Bertola, De Maria, Meda, Caronia, Fabbri, Caso, Bosco Lucarelli, Dominedò, Fantoni e altri.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sul seguente emendamento dell’onorevole Targetti e altri:

«La legge sull’ordinamento giudiziario regolerà l’istituto della Corte di cassazione».

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta sull’emendato dell’onorevole Targetti:

Presenti e votanti     307

Maggioranza           154

Voti favorevoli        211

Voti contrari                        96

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Ayroldi – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bennani – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Buloni Pietro – Buonocore – Burato.

Caccuri – Calamandrei – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Cannizzo – Caporali – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cevolotto – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti– Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Amico – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Labriola – Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Malagugini –Mancini – Mannironi – Marina Mario – Marinaro – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montalbano – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Mortati – Moscatelli – Murdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Platone – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Restagno – Rivera – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Toni – Treves – Turco.

Uberti.

Valenti – Veroni – Vicentini – Villabruna – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Bergamini.

Cairo – Carmagnola – Cavallari.

De Vita – Dugoni.

Ghidini – Gui.

Jacini.

Lizzadri.

Pellizzari – Preziosi.

Ravagnan – Rubilli.

Vanoni – Viale.

Presentazione di un disegno di legge.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi onoro di presentare all’Assemblea il seguente disegno di legge:

«Proroga del termine per la presentazione e conversione in legge dei decreti legge non ancora presentati o convertibili in legge».

PRESIDENTE. Do atto della presentazione di questo disegno di legge, che sarà trasmesso alla Commissione competente.

(La seduta sospesa alle 20.40 è ripresa alle 21.45).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’Assemblea ha approvato l’emendamento Targetti, che ha rimesso alla legge futura la fissazione di questi vari organi della struttura della Cassazione. Decadono pertanto tutti gli emendamenti relativi alla Corte di cassazione.

Restano pochi emendamenti sui quali l’Assemblea si deve pronunziare.

Il testo dell’articolo 102 proposto dalla Commissione è il seguente:

«Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è ammesso sempre ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

«Contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione».

Al primo comma vi è un emendamento sostitutivo dell’onorevole Mortati, del seguente tenore:

«Il ricorso in Cassazione è sempre ammesso secondo le norme di legge contro le sentenze emesse dagli organi giurisdizionali ordinari».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per questo comma la formulazione dell’onorevole Mortati non differisce da quella della Commissione, ma se vogliamo fare una cosa organica prego di attenersi al testo che è stato presentato dagli onorevoli Conti, Rossi Paolo e Leone Giovanni. Se vi può essere in altri punti dissenso di sostanza con l’onorevole Mortati, non è il caso di insistere ove si tratta soltanto di espressioni formali.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Mortati, testé letto.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma nel testo della Commissione:

«Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulle libertà personali pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali è ammesso sempre ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale nonna soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra».

(È approvato).

Gli onorevoli Murgia e Mannironi, hanno presentato due emendamenti aggiuntivi che pongono la stessa questione, pur risolvendola in formulazioni diverse.

L’onorevole Murgia propone di aggiungere:

«Contro tutte le sentenze penali che infliggono pene detentive è ammesso l’appello secondo le norme di legge».

La formulazione del l’onorevole Mannironi è:

«Tutte le sentenze dei giudici ordinari e speciali sono appellabili, salvo le limitazioni poste dalla legge per i giudizi di lieve entità».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente dalla Commissione per la Costituzione. Oltre a quanto riguarda i ricorsi in Cassazione, viene l’altro tema che concerne i ricorsi in appello contro le sentenze. Avevo dichiarato all’onorevole Mannironi che la Commissione era disposta a creare una norma di questo genere, da mettere in ogni caso, naturalmente, prima dei ricorsi in Cassazione. Abbiamo messo tutta la buona volontà; ma non siamo riusciti a trovare una formula sodisfacente. Vi sono – l’onorevole Mannironi lo riconosce – giudizi di così lieve entità, in cui non è ammissibile il ricorso in appello. Né basta; vi sono nelle giurisdizioni speciali ed in avvenire nelle sezioni specializzate, materie tecniche, nelle quali, per varie ragioni, non si possono organizzare giudizi di merito di vari gradi. Per la questione della giuria, da cui era partito l’onorevole Mannironi, è dubbio se possa concepirsi l’appello; comunque la questione non può rientrarvi subito; e va rimandata alla legge, che conformerà l’istituto stesso della giuria in un modo o nell’altro; e ciò potrà influire nella questione dell’appello. Tutto sommato, veda, onorevole Mannironi, la formula che si potrebbe adottare è questa: si può ricorrere contro tutte le sentenze, salvo che la legge disponga altrimenti. È una formula che possa andare?

La proposta dall’onorevole Murgia è analoga, se ho inteso bene, a quella dell’onorevole Leone sul ricorso in Cassazione contro i provvedimenti giurisdizionali in tema di libertà penale. Avendo accolta la proposta Leone si tiene presente anche la sua.

MURGIA. Non la si tiene presente. Io propongo che, contro tutte le sentenze che infliggono pene detentive venga istituito il giudizio di appello.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Allora non avevo inteso bene. Se l’onorevole Murgia si riferisce all’appello, valgono per lui le risposte che ho dato all’onorevole Mannironi; né conviene ammettere espressamente l’appello per certe categorie di sentenze e provvedimenti, tacendo delle altre, che potrebbero sembrare escluse dall’appello.

PRESIDENTE. Onorevole Mannironi, mantiene il suo emendamento?

MANNIRONI. Sì; sarei però disposto ad unificare.

PRESIDENTE. Si tratta della stessa materia, infatti. Onorevole Murgia, mantiene l’emendamento?

MURGIA. Accetto la seconda parte dell’emendamento Mannironi.

PRESIDENTE. La formulazione sarebbe dunque la seguente:

«Contro tutte le sentenze penali, che infliggono pene detentive, è ammesso l’appello, salvo le limitazioni poste dalla legge per i giudizi di lieve entità».

Pongo in votazione l’emendamento Murgia-Mannironi nella formulazione testé letta.

(Non è approvato).

Passiamo al secondo comma del testo della Commissione:

«Contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per le sole materie inerenti alla giurisdizione».

Gli onorevoli Gasparotto e Gabrieli hanno proposto di aggiungere dopo le parole: «della Corte dei conti» le altre: «e del tribunale supremo militare».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei pregare l’onorevole Gasparotto di ritirare il suo emendamento. Il caso del tribunale militare è ben diverso di quello del Consiglio di Stato. Poiché questo è giudice in materia di interessi legittimi, e può annullare gli atti amministrativi, è naturale, ed è fermo nel sistema legislativo che contro le sue sentenze si può ricorrere in Cassazione soltanto per questioni attinenti alla giurisdizione; altrimenti la Cassazione potrebbe essa giudicare di interessi legittimi ed annullare i provvedimenti amministrativi; il che può esser consentito soltanto ad organi giurisdizionali appositamente congegnati come il Consiglio di Stato. Altro è il caso dei tribunali militari, che giudicano in materia penale; e non vi è quindi ragione alcuna di sottrarne le sentenze al ricorso, per la violazione di legge, in Cassazione.

L’onorevole Gasparotto si preoccupa che, in questo modo, venga meno la funzione del tribunale supremo militare, che dovrebbe quindi sparire. Posso assicurarlo che non è questo il pensiero del Comitato, il quale ritiene che il tribunale supremo potrà benissimo essere conservato, diventando giudice di merito in Appello; mentre vi sarà poi il ricorso in Cassazione; e così si avrà un altro grado di giudizio; ed una garanzia maggiore nell’amministrare la giustizia militare. Chiedo all’Assemblea un assenso, sia pur tacito, a questo concetto; e penso che l’onorevole Gasparotto potrà accontentarsi della mia dichiarazione.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. L’argomento è importante. Ritiro il mio emendamento aggiuntivo non per compiacenza, ma per convinzione, dopo quello che ha detto l’onorevole Ruini a nome della Commissione.

La mia preoccupazione era quella di non mettere in contrasto l’articolo 95, già volato, con l’articolo 102, che stiamo per votare, perché con l’articolo 95 si riconosceva l’esistenza del Tribunale Supremo Militare, mentre era in me il sospetto che con l’articolo 102, anche secondo il testo proposto ora dalla Commissione, si passasse sopra a questo organo già deliberato dall’Assemblea nella seduta di due giorni fa. Ma poiché il Presidente della Commissione mi assicura che il Tribunale Supremo Militare resterà, pur trasformandosi in un organo di seconda istanza che giudicherà anche nel merito, mentre alla Cassazione resterà il giudizio di legittimità, mi dichiaro soddisfatto e ritiro pertanto la mia proposta, perché il mio pensiero coincide con le dichiarazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma:

«Contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per soli motivi inerenti alla giurisdizione».

(È approvato).

L’articolo 102 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali è ammesso sempre ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

«Contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso ricorso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

«La legge sull’ordinamento giudiziario regolerà l’istituto della Corte di Cassamene».

L’onorevole Leone Giovanni ha presentato il seguente articolo 102-bis.

«Una legge disciplinerà il ricorso in Cassazione per violazione di legge contro le sentenze inoppugnabili pronunziate in tempo precedente da Tribunali straordinari».

A questo articolo l’onorevole Persico ha proposto di sostituire alle parole: «pronunziate in tempo precedente», le altre: «pronunziate precedentemente alla sua entrata in vigore».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa norma potrà essere inserita eventualmente tra le norme transitorie. La esamineremo in tale sede.

PERSICO. Siamo d’accordo.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

LEONE GIOVANNI. Sulla proposta fatta dall’onorevole Ruini di rinviare l’esame di queste norme alle Disposizioni transitorie.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Sarò brevissimo, perché sono io il primo a sentire il morso dell’ora tarda.

Vorrei sottolineare soltanto ai colleghi la grande importanza di queste norme, ed aggiungere che queste norme si riferiscono in concreto a due soli casi, dei quali uno è stato già risolto legamente, e l’altro resta in questo momento dolorosamente insoluto. Sono due le giurisdizioni penali straordinarie precedenti alla Costituzione. Una, la quale emanava sentenze inoppugnabili, non soggette ad alcuna impugnazione, neppure per difetto di giurisdizione: l’Alta Corte di Giustizia. L’altra giurisdizione è costituita dai tribunali militari straordinari per i reati comuni di rapina giudicati in seguito ad arresto in flagranza.

Per le sentenze dell’Alta Corte, le quali costituirono nell’adunanza plenaria dei Settantacinque motivo di perplessità di fronte ad una mia analoga richiesta, non c’è più materia per discutere, perché, con una legge recente, si è istituito il ricorso per Cassazione.

Quindi, questa prima pagina è chiusa, ed è chiusa anche l’obiezione di carattere politico, che ci rese perplessi in sede di Commissione dei Settantacinque.

Resta un’altra pagina, che, per chi ha esperienza della vita penale in Italia, è dolorosissima. Oggi, in Italia, il reato di rapina, quando vi è l’arresto in flagranza, è giudicato da un Tribunale straordinario militare, composto in un modo veramente singolare: un Presidente generale, un Consigliere d’appello e un Giudice popolare. Questa giurisdizione straordinaria, neppure speciale, emana sentenze che possono importare perfino la condanna alla pena di morte, pena di morte che in questa legge, ad onta di un articolo della Costituzione già votato, resta ancora nella nostra legislazione. Avverso queste sentenze non esiste alcun ricorso, neppure per difetto di giurisdizione; sicché oggi può accadere che questi tribunali straordinari possono giudicare di reati, sui quali non hanno alcuna competenza, senza alcun diritto di reclamo all’imputato.

Ora, è bene che la Costituzione – nel momento in cui riconsacra il principio del divieto dei tribunali straordinari, nel momento in cui si vota il diritto per tutti i cittadini, come garanzia costituzionale, del ricorso di Cassazione per violazione di legge o per difetto di giurisdizione – possa stabilire anche una norma che voteremo in questa sede se sarete d’accordo, e che metteremo nelle norme transitorie, la quale stabilisca, con effetto retroattivo, il diritto di ricorso avverso le sentenze pronunciate da questi tribunali.

Ciò facendo, noi avremo fatto opera di civiltà, e avremo soprattutto consentito alla legislazione italiana di rettificare un gravissimo errore, che segna il disonore della legislazione democratica italiana. (Approvazioni).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ciò che ha detto l’onorevole Leone dovrebbe rendere titubante l’Assemblea. Egli stesso ha detto che erano aperte due pagine ed una di esse è chiusa, perché è venuta una legge. L’altra è ancora aperta, perché non è venuta un’altra legge. Ma anche questa può venire, senza che si ricorra ad una norma costituzionale. Abbiamo proprio bisogno di mettere nella Costituzione questa disposizione? Potremo in ogni modo esaminare più attentamente la questione. Se si volesse deciderla ora, la Commissione si opporrebbe alla proposta Leone.

PRESIDENTE. Vi è la proposta del Presidente della Commissione di rinviare la soluzione di questo problema in sede di disposizioni finali e transitorie.

LEONE GIOVANNI. Accetto La proposta.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Vi sono ora due proposte di articolo 102-bis che ripropongono una questione sulla quale molto si è parlato.

«Lo Stato garantisce l’indipendenza economica del magistrato e dei funzionari dell’ordine giudiziario».

«Mastino Pietro»

«Lo Stato garantisce l’indipendenza economica del magistrato».

«Gabrieli, Scalfaro, Zotta, Mastino Gesumino, Giacchero, De Palma, Adonnino, Corsanego, Bosco Lucarelli, De Maria, Castelli Avolio, De Martino, Benvenuti».

Penso che non sia più necessario aprire la discussione su questi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà..

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto quello che abbiamo già detto altre volte. Questa disposizione non può essere inserita nella Costituzione, per due ragioni: la prima, è che dire di voler garantire l’indipendenza economica non ha un contenuto costituzionale, in nessun modo.

BUBBIO. Neppure morale?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi lasci finire, onorevole collega.

La seconda ragione è che ammettere questo principio soltanto per una categoria, anche se fosse la più degna di tutte, potrebbe essere interpretato dalle altre nel senso che noi non vogliamo pensare alla loro indipendenza economica. Noi dobbiamo pensare all’indipendenza economica di tutti i dipendenti dello Stato. (Applausi).

Aggiungo che sono dispostissimo a fare un ordine del giorno (e mi pare che l’onorevole Leone lo stava stendendo) per affermare chiaramente che si deve provvedere ad un adeguato trattamento economico dei magistrati. Lo voteremo ad unanimità; e non metteremo nella Costituzione un articolo di carattere non costituzionale, e che non suonerebbe bene per gli altri funzionari dello Stato. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?

MASTINO PIETRO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Gabrieli, mantiene il suo emendamento?

GABRIELI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Poiché i due emendamenti dicono in fondo la stessa cosa, basterà metterne in votazione uno.

ZOTTA. Propongo che si voti per divisione. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione la prima parte della proposta di articolo aggiuntivo nella formulazione comune ai due emendamenti presentati dagli onorevoli Mastino Pietro, Gabrieli ed altri:

«Lo Stato garantisce la indipendenza economica del magistrato».

(Non è approvata).

Pongo in votazione la seconda parte dell’emendamento proposto dall’onorevole Mastino Pietro: «e dei funzionari dell’ordine giudiziario».

(Non è approvata).

Passiamo ora all’articolo 103. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso gli atti della pubblica amministrazione è disposta in via generale dalla legge e non può essere soppressa o limitata per determinate categorie di atti».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 103 col seguente:

«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso gli atti della pubblica amministrazione è disposta dalla legge in via generale e non può essere in nessun caso soppressa o limitata a particolari mezzi di impugnativa o esclusa per determinate categorie di atti».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Lo mantengo; e rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Calamandrei ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 103 col seguente:

«Contro gli atti della pubblica amministrazione è dato ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria o agli organi della giustizia amministrativa non solo per la reintegrazione dei diritti soggettivi, ma altresì per la tutela degli interessi legittimi.

«Il giudice competente potrà, per i motivi di legittimità o di merito stabiliti dalla legge, annullare, revocare o modificare l’atto amministrativo impugnato, a meno che la pubblica amministrazione non dimostri in giudizio l’esistenza di una ragione di carattere politico che faccia apparire al giudice preferibile alla reintegrazione specifica del diritto la condanna ai danni dell’amministrazione responsabile.

«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi di fronte alla pubblica amministrazione non può essere in qualsiasi modo soppressa o limitata per determinate categorie di atti amministrativi».

L’onorevole Calamandrei ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CALAMANDREI. Non abbiate paura, onorevoli colleghi, sarò brevissimo.

L’emendamento che ho proposto ha importanza, a mio parere, non tanto per il modo con cui è formulato, e sul quale sono remissivo; ma perché, a parer mio, rivela una vera e propria grave lacuna della nostra Costituzione, la quale ha omesso di assorbire e sistemare quella materia a carattere essenzialmente costituzionale, che già fu oggetto della famosa legge 31 marzo 1865, abolitrice del contenzioso amministrativo. Quella legge introdusse nel nostro diritto, e fu per questo ritenuta una conquista liberale di grande importanza, il principio per il quale, quando un diritto civile o politico viene leso da un atto della pubblica amministrazione, questo diritto si può far valere di fronte all’Autorità giudiziaria ordinaria, in modo che la pubblica amministrazione davanti ai giudici ordinari viene a trovarsi, in questi casi, come un qualsiasi litigante privato soggetto alla giurisdizione.

Questo è il principio fondamentale stabilito da questa legge, alla quale ci si riferisce continuamente davanti ai tribunali; principio che è stato completato poi con l’istituzione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, che, accanto alla tutela dei diritti soggettivi, ha introdotto la tutela degli interessi davanti alle stesse sezioni.

Ora, di tutto questo nel progetto della nostra Costituzione non c’è altro che qualche eco assai vaga, quando si parla di tutela di diritti e di interessi; ma il principio fondamentale dell’unicità della giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione non vi si trova chiaramente enunciato.

Io pongo qui questo problema di carattere generale e mi dispiace di non veder presente l’onorevole Orlando che, in proposito, avrebbe potuto darci i suoi preziosi suggerimenti. Il problema è questo: credete che una volta che si sia votata la Costituzione possano rimanere in piedi leggi di carattere costituzionale precedenti alla Costituzione, alle quali si debba far riferimento, quasi per completare i vuoti della Costituzione; oppure ritenete – come io ritengo – che nella Costituzione tutti i principî fondamentali di carattere costituzionale debbano trovarsi riassorbiti e riassunti, sia pure in modo schematico, sicché a questa Carta presente e non al passato ci si debba riferire?

Se questa è la regola che si deve tener presente, vi prego di considerare che questo è un punto di importanza fondamentale che non può esser lasciato insoluto: perché riguarda niente meno che i rapporti tra la pubblica amministrazione e il potere giudiziario, cioè la estensione dei poteri dell’autorità giudiziaria nei confronti degli atti amministrativi; si tratta di stabilire se i giudici hanno un controllo sull’amministrazione, se possono annullare i suoi atti, se possono condannarla ai danni.

È un punto che riguarda rapporti fra i poteri dello Stato, di importanza certamente costituzionale.

Detto questo, non vi commento il modo con cui avrei proposto di colmare questa lacuna: sono remissivo sul modo, se la Commissione proporrà qualche altro modo più semplice o più idoneo.

Quello che mi pare assolutamente necessario è che questa lacuna sia colmata: e se eventualmente questo mio emendamento verrà respinto e la lacuna rimarrà, io mi riterrò pago di averla rilevata. (Applausi).

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non occorre che ricordi da quali criteri era stata dettata la disposizione. Vi è stata, durante il fascismo, l’abitudine di privare del ricorso giurisdizionale molte categorie di atti dell’autorità amministrativa lesivi degli interessi e dei diritti dei privati. Ad ogni piè sospinto veniva una legge e più spesso un decreto legge fascista che diceva: per questi atti non è ammesso alcun ricorso né davanti ai tribunali né davanti al Consiglio di Stato.

Ciò ha preoccupato la Commissione ed abbiamo di conseguenza stabilito che non si può togliere ai cittadini per segmento di materie e di atti la garanzia del ricorso giurisdizionale. Nessun dubbio che fin qui tutti noi dell’Assemblea siamo d’accordo. L’onorevole Mortati ha presentato un emendamento di forma che rispecchia la sua tendenza mentale a più minute specificazioni. Io sono per le espressioni più schematiche e sintetiche; comunque, non mi oppongo all’emendamento Mortati.

Il problema sollevato dall’onorevole Calamandrei è molto grave, e non credo che lo possiamo ora affrontare e risolvere. L’onorevole Calamandrei ha fatto appello all’autorità di Vittorio Emanuele Orlando; ma, per la verità, mi pare che l’onorevole Orlando sia di un punto di vista opposto. Noi lo abbiamo udito dire che non si debbono includere nella Costituzione norme che non sono assolutamente necessarie come norme costituzionali, e che possono rimandarsi alla legge ordinaria. Io non sono, per tutti i casi, disposto ad aderire alla tesi dell’onorevole Orlando, che si ferma troppo ad una struttura antica delle Costituzioni; ma l’onorevole Calamandrei pecca forse d’una tendenza opposta, proponendo, come ha fatto nella Commissione, di mettere nella Costituzione minute ed estese norme procedurali.

Ma veniamo al problema di cui ora particolarmente si tratta. L’onorevole Calamandrei vorrebbe che, quando un giudice ritiene che un atto amministrativo violi un diritto privato, può annullare, e notate bene, anche modificare l’atto amministrativo. Ciò significa che l’autorità giudiziaria si sostituirebbe a quella amministrativa; e che un semplice pretore potrebbe, nonché annullare, rifare esso decreti e provvedimenti di Governo d’estrema importanza. Non è troppo? Non è cancellare quel principio della distinzione dei poteri, che, se non va inteso meccanicamente e letteralmente, anima del suo spirito lo Stato moderno?

Se nel nostro ordinamento giuridico si ammette che gli atti amministrativi possano essere annullati, ciò avviene soltanto in quanto il compito è affidato ad una Magistratura speciale, che per la sua composizione offre alte e particolari garanzie di competenza amministrativa; e si noti che neppure il Consiglio di Stato può modificare, rifare l’atto amministrativo. Arrivare a ciò non sarebbe giuridicamente ammissibile.

L’onorevole Calamandrei, dando alla Magistratura ordinaria ogni facoltà di annullamento e di modificazione, aggiunge che quando l’amministrazione adduca che si tratta di atto politico, allora il magistrato può condannare soltanto ai danni. Ma cosa sono questi atti politici? Ed è il giudice che deve valutare se sono tali? L’onorevole Calamandrei sa con quale cura il Consiglio di Stato abbia cercato di definire e di eliminare più che sia possibile la categoria degli atti politici sottratti al suo sindacato. Ora tornerebbero sul proscenio con ampiezza e con forza rinnovata.

Ci perdoni l’onorevole Calamandrei; ma il sistema che egli ha abbozzato non può in nessun modo accettarsi. Egli dice bensì, con semplicità e nobiltà, di rimettersi a noi del Comitato perché troviamo una soluzione del problema che ci ha prospettato, dando modo di giungere, anche in tema di violazione di diritti, a quell’annullamento di atti amministrativi che è consentito, con determinate cautele, per violazione di interesse legittimi. In realtà, come ha ben detto l’onorevole Orlando, la soluzione dei problemi giuridici non avviene per disposti improvvisi di legge, ma gradualmente, con l’esperienza viva e concreta. Così è avvenuto per le conquiste del Consiglio di Stato in materia di interessi legittimi. Il Comitato non può impegnarsi a risolvere con un articolo di Costituzione il problema che l’onorevole Calamandrei ha sollevato.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Il problema prospettato dall’onorevole Calamandrei è senza dubbio di importanza somma; e, d’altra parte, quello che dice l’onorevole Ruini è perfettamente giusto e ragionevole; non siamo in grado in questo momento di risolverlo. Ma anche quello che dice l’onorevole Calamandrei, cioè che questo è un punto che sarebbe bene – fra i tanti che vi abbiamo messo senza che fosse necessario – che fosse compreso nella Costituzione, con una soluzione logica e giuridica che si dovrebbe studiare.

Propongo di sospendere l’esame di questo punto, pregando la Commissione di studiare una formula la quale sodisfi l’esigenza manifestata dall’onorevole Calamandrei.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini, ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Cevolotto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho difficoltà a studiare questa questione insieme con i miei colleghi di Comitato; l’onorevole Calamandrei ne fa parte; esamineremo il problema anche col concorso degli altri colleghi dell’Assemblea che crederanno di aiutarci; ma sinceramente non possiamo impegnarci di trovare senz’altro una soluzione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Calamandrei se sia d’accordo con la proposta dell’onorevole Cevolotto.

CALAMANDREI. Sono d’accordo, e basterà, credo, una conversazione di un’ora, in un momento meno stanco di quella attuale, intorno ad un tavolino, per trovare una formula sodisfacente.

PRESIDENTE. Sta bene. Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Poiché l’emendamento dell’onorevole Calamandrei può considerarsi come aggiuntivo, pongo intanto in votazione l’articolo 108, nel testo Mortati accettato dalla Commissione, di cui do ancora lettura:

«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso gli atti della pubblica amministrazione è disposta dalla legge in via generale e non può essere in nessun caso soppressa o limitata a particolari mezzi di impugnativa o esclusa per determinate categorie di atti».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 104. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le sentenze non più soggette ad impugnazione di qualsiasi specie non possono essere annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo i casi di legge penale abrogativa o di amnistia, grazia ed indulto.

«L’esecuzione di una sentenza irrevocabile non può essere sospesa se non nei casi previsti dalla legge».

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Per tutta questa Sezione v’era un emendamento soppressivo dell’onorevole Targetti. La Commissione si era riservata articolo per articolo di rispondere. Ora, per l’articolo 104 accoglierebbe l’emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti. I seguenti sono stati già svolti:

«Collocarlo dopo l’articolo 21 del testo del progetto, con la seguente aggiunta:

«L’azione penale non può essere promossa o proseguita, in alcun caso, quando sia intervenuta una causa estintiva del reato».

«Crispo».

«Sostituirlo col seguente:

«Le sentenze revocabili non possono essere annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo ì casi di revocazione in materia civile e di revisione in materia penale».

«Caccuri».

«Al primo comma, alle parole: salvo i casi di legge penale abrogativa o di amnistia, grazia ed indulto, sostituire le seguenti: salvo i casi di revocazione in materia civile e di revisione in materia penale».

«Crispo».

«Al secondo comma, dopo la parola: sospesa, aggiungere le seguenti: è fatta cessare».

«Crispo».

Segue l’emendamento dell’onorevole Costa:

«In fine del primo comma, alle parole: o di amnistia, grazia ed indulto, sostituire le parole: o di amnistia, indulto, grazia e commutazione di pena».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Colitto ha già svolto il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo la parola: indulto, aggiungere le seguenti: ed i casi di revocazione previsti dalla legge».

Poiché la Commissione ha già espresso il suo avviso, evidentemente risolutivo per tutti gli emendamenti che sono stati presentati, in quanto aderisce alla soppressione di tutto l’articolo, chiedo ai presentatori se conservano i loro emendamenti.

Onorevole Crispo, mantiene i suoi emendamenti?

CRISPO. Se l’articolo sarà soppresso, evidentemente non insisto nel mio emendamento. Ma se si dovesse votare in senso contrario alla soppressione mi permetterei in un secondo momento di dare dei chiarimenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Caccuri non è presente; il suo emendamento, pertanto si intende decaduto.

Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Crispo.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora pongo per prima in votazione la proposta dell’onorevole Targetti, ripresa e fatta propria dalla Commissione, per la soppressione dell’articolo 104.

(È approvata).

Passiamo all’articolo 105. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’Avvocatura dello Stato provvede alla consulenza legale ed alla difesa in giudizio dello Stato e degli altri enti indicati dalla legge.

«Agli avvocati e procuratori dello Stato competono garanzie adeguate per l’esercizio delle loro funzioni».

PRESIDENTE. Su questo articolo non sono state fatte proposte, all’infuori di quella soppressiva, già svolta, dagli onorevoli: Romano, Perassi, Camangi e Costa. Ha, pertanto, facoltà di parlare l’onorevole Rossi Paolo per esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Io rappresento in questo momento soltanto la maggioranza della Commissione.

Vi sono stati dei dubbi, e dirò anzi che una voce autorevolissima, forse la più autorevole della Commissione, si è espressa in senso contrario; viceversa la Commissione nella sua maggioranza ha ritenuto che questo articolo possa essere soppresso.

Nessuno contesta gli eminenti altissimi servizi dati dall’Avvocatura dello Stato e nessuno pensa che essa possa essere soppressa, perché anzi se ne attende un sempre più potente contributo alla giustizia e alla tutela degli interessi statali. Ma non pare che questa materia sia di rilevanza costituzionale. D’altra parte la legge sull’Avvocatura erariale esiste, e nessuno attenta alla sua vita. Perciò la Commissione nella sua maggioranza, con le riserve fatte poco prima, ha dato parere favorevole all’emendamento soppressivo presentato dall’onorevole Targetti.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. La Commissione ha fatto, a maggioranza, una proposta soppressiva dell’art. 105. Io mi permetterò invece di sottoporre all’Assemblea qualche rilievo sul delicato tema, considerando che l’Avvocatura dello Stato, vista nella sua duplice funzione di organo per la difesa e la rappresentanza in giudizio della pubblica amministrazione e di organo di consulenza, appare perfettamente meritevole di menzione costituzionale.

Sotto il primo profilo, quello dell’organo di difesa e di rappresentanza, a me pare che si debba tener presente la crescente importanza che tale funzione ha assunto e va assumendo nella vita contemporanea. A questo proposito, si impone la circostanza che la pubblica amministrazione, per l’estendersi dei compiti tradizionali dello Stato dal piano giuridico sul piano sociale, e quindi per l’allargarsi della stessa funzione sociale dello Stato, trovasi in sempre più largo contatto coi cittadini, onde i rapporti giuridici che vengono ad intessersi fra amministrazione e privati investono una zona sempre più vasta di attività, e importano una sempre crescente sfera di attribuzioni al fine di assicurare l’osservanza del diritto da parte dell’amministrazione.

Se poi si guardi al progressivo estendersi della giustizia nell’amministrazione, attraverso il sindacato degli atti amministrativi che domani sarà allargato a tutta la pubblica attività senza che si possano dare preclusioni per singole categorie di atti sia pur compiuti nell’esercizio del così detto potere politico, se a ciò si guardi, dicevo, anche sotto questo aspetto appare la crescente importanza delle controversie nelle quali sia in giuoco la vita di un atto amministrativo e si tratti quindi di assicurare il funzionamento dello Stato di diritto.

E allora, per questo complesso di funzioni che determina un particolare onere di difesa e di rappresentanza in giudizio da parte di un organo selezionato e munito di apposita attrezzatura tecnica, sembra giusto che sia menzionato nella Carta costituzionale il corpo dei rappresentanti dello Stato, i quali si distaccano dalla figura del consueto patrono, proprio perché al rapporto di prestazione d’opera che sta alla base del normale mandato professionale qui si sovrappone l’assunzione di un pubblico servizio (Commenti a sinistra): sì, assunzione di un pubblico servizio che pone in singolare evidenza la collaborazione alla funzione della giustizia da parte dell’avvocato dello Stato. Cosicché, sotto questo aspetto, non si tratta se non di consacrare nella legge costituzionale una realtà già esistente nella legge ordinaria, la quale, agli effetti della indipendenza, da tempo equipara gli avvocati dello Stato ai magistrati.

Secondo il secondo profilo, quello della funzione di consulenza della pubblica amministrazione, devesi tener presente che l’Avvocatura dello Stato esprime dei pareri i quali giungono ad assumere natura vincolante e per ciò stesso si pongono al di sopra di quelli pronunciati da un normale organo di consulenza, e persino di quelli del Consiglio di Stato il quale è tuttavia contemplato nella Carta costituzionale anche come organo di consulenza amministrativa, per quanto i suoi pareri non siano mai vincolanti.

Sotto questi profili, io debbo ritenere che la menzione nella Carta costituzionale dell’Avvocatura dello Stato sia non solamente atto di opportunità, ma di doverosa correttezza. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

ROSSI PAOLO. Non ho nulla da aggiungere a quanto ho già detto.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo ora alla votazione.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Come è mio costume, sarò breve. Ho chiesto di parlare per associarmi al voto espresso dall’onorevole Dominedò, inquantocché, in questo momento in cui l’Avvocatura difende lo Stato contro tutti coloro (e cioè contro i profittatori) che cercano di evadere ai loro doveri fiscali, io credo che essa vada accresciuta di dignità e di autorità.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di soppressione dell’articolo 105 fatta propria dalla Commissione.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Dobbiamo adesso risolvere alcune questioni lasciate in sospeso relativamente a questo Titolo IV della seconda parte del progetto di Costituzione.

Vi è la proposta dell’onorevole Nobili Tito Oro di sopprimere la distinzione del Titolo in due sezioni.

L’onorevole Nobili Tito Oro non è presente e pertanto la sua proposta s’intende decaduta.

Vi sono ora le proposte relative alla intitolazione.

L’onorevole Romano propone di sostituire la denominazione della Sezione prima: «Ordinamento giudiziario», con l’altra: «Funzione giurisdizionale».

Non essendo presente l’onorevole Romano, la sua proposta si intende decaduta.

Vi è anche una proposta dell’onorevole Grassi del seguente tenore:

«Sostituire la denominazione della Sezione I: Ordinamento giudiziario, con la seguente: Ordinamento giurisdizionale».

Anche l’onorevole Grassi non è presente.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Faccio mia la proposta Grassi sostituendo però: «Ordinamento della giurisdizione» a: «Ordinamento giurisdizionale».

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione preferirebbe la formulazione del progetto; tuttavia non ha difficoltà ad accettare la formula: «Ordinamento giurisdizionale», proposta dall’onorevole Grassi.

PRESIDENTE. L’onorevole Leone accetta?

LEONE GIOVANNI. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’intitolazione accettata dalla Commissione, e cioè:

«Ordinamento giurisdizionale».

(È approvata).

Onorevoli colleghi, all’articolo 99 discusso ieri la Commissione aveva accettato il principio informatore di un emendamento dell’onorevole Adonnino del seguente tenore:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei cittadini idonei che siano chiamati a far parte delle sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari».

osservando, in particolare, trattarsi di una norma di difficile formulazione, ed accettandola con l’intesa che avrebbe dovuto essere coordinata con le altre norme analoghe già stabilite per le giurisdizioni amministrative e la Magistratura militare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le parole del relatore dovevano, secondo l’intendimento del Comitato, intendersi nel senso che, se accettavamo il concetto, ci riservavamo interamente di darvi un’altra espressione, coordinatamente agli altri casi che si dovevano insieme regolare. L’Assemblea ha ritenuto che, così stando le cose, fosse meglio non approvare, neppure provvisoriamente, una formula che dovrà essere certamente modificata. L’onorevole Adonnino insiste perché si voti il suo emendamento. Accontentiamolo pure; ma stia ben fermo che approviamo soltanto un’indicazione, e lo spirito non la forma di una disposizione, che non resterà certamente nella Costituzione ma, non facendo più perno specifico dei membri estranei delle sezioni specializzate, sarà compresa in un’altra più vasta e comprensiva.

PRESIDENTE. A parte la formulazione è bene che l’Assemblea voti sul principio, e credo che l’onorevole Adonnino sarà d’accordo.

ADONNINO. Accetto che si voti sul concetto.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione il principio enunciato dall’onorevole Adonnino nel suo emendamento all’articolo 99, di cui ho dato lettura, con l’intesa che la formulazione Adonnino non è affatto impegnativa.

(È approvato).

Passiamo ora al seguente emendamento presentato dagli onorevoli Clerici, Pignedoli, Franceschini, Bovetti, Foresi, Codacci Pisanelli, Sullo, Mastino Gesumino, De Palma, Coppa e Benvenuti, del seguente tenore:

«La carriera di magistrato, di militare, di funzionario ed agente di polizia e di diplomatico comporta la rinunzia all’iscrizione ai partiti politici».

La votazione su questo emendamento era stata a suo tempo rinviata.

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non ha potuto pronunziarsi. Noi sediamo dalle 9 fino alle 11; poi vi sono due o tre sedute d’Assemblea. Pregherei di rimandare questa proposizione di qualche giorno. Si tratta di una proposizione delicata che va meditata.

PRESIDENTE. Onorevole Clerici, è di avviso che si possa ancora rinviare?

CLERICI. Aderisco al desiderio dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, sui recenti fatti di Caltanissetta ed Agrigento, nei quali vennero assaltate e devastate le sedi di partiti politici. Ed in particolare, se siano stati identificati ed arrestati gli autori del tentato omicidio in danno del vicecommissario di pubblica sicurezza Di Natale, che venne derubato dell’orologio e di altri effetti personali in occasione della grave aggressione subita; se sia stato deferito all’autorità giudiziaria, come responsabile del reato d’istigazione a delinquere, il deputato regionale Gino Cortese; se siano stati identificati ed arrestati i lanciatori di bombe contro la sede del Partito liberale di Agrigento, attentato conclusosi col ferimento di cinque carabinieri.

«Bellavista, Villabruna, Crispo».

«Al Ministro dell’interno, per sapere se, in correlazione con l’odierna distruzione di giornali avvenuta alla periferia di Roma, il Governo sia al corrente delle recentissime deliberazioni dei Sindacati giornalai di Biella, Sampierdarena e Genova, per cui non si procederà al prelievo ed alla vendita dei giornali non ritenuti graditi alla popolazione, a fine di evitare i danni conseguenti alla distruzione di pubblicazioni e di edicole.

«Poiché la decisione si risolve in un grave attentato alla libertà di stampa ed in un arbitrio, nel quale sono coinvolti fra l’altro giornali che hanno costantemente combattuto il neofascismo, l’interrogante chiede quali provvidenze vorrà adottare il Governo per il ristabilimento della normalità nel rispetto dei patti liberamente conclusi.

«Di Fausto».

«Al Ministro del tesoro, perché voglia chiarire con giustizia l’incongruenza della non cumulabilità, per gli statali e parastatali, della indennità di città sinistrata con il massimo del carovita, dei comuni compresi in una fascia di 5 chilometri intorno Napoli.

«Mazza».

«Al Ministro dell’interno, sul contegno tenuto dalla polizia durante la recente manifestazione di protesta dei minatori di Aragona, in Agrigento, e sui provvedimenti che reputa indispensabili adottare per garantire la libertà dei lavoratori nella difesa del loro diritto alla vita.

«Fiorentino, Musotto».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere il pensiero del Governo sulle gravi violenze poliziesche contro un pacifico corteo di lavoratori svoltosi in Agrigento, e quali provvedimenti intenda prendere contro i responsabili.

«D’Amico, Montalbano, Fiore».

«Al Ministro dell’interno, circa i fatti del 24 novembre, che condussero alla devastazione della sede dell’Unione monarchica italiana di Cosenza, circa i provvedimenti preventivi e repressivi adottati, nonché, in generale, sull’esistenza di progetti riparatori, che impediscano che la violenza politica raggiunga l’effetto di eliminare od attenuare l’azione dei partiti contro la quale si dirige.

«Condorelli».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se – considerato: a) che dai contributi unificati venendo umili onestamente colpiti innumerevoli coltivatori diretti che mai hanno necessità di assumere mano d’opera; b) che gli accertamenti per le tassazioni risalgono al 1940, con il risultato di gravare come conduttori in economia molti coltivatori diretti; c) che nessuna pubblicazione di matricole e di ruoli viene effettuata nei singoli Comuni; d) che con il pretesto dei lavori di punta si stabiliscono imponibili assurdi nei riguardi dei piccoli coltivatori: e) che, in seguito ai recenti enormi aumenti dei contributi, gravissima diviene l’agitazione dei coltivatori diretti con minaccia anche di sciopero fiscale – non ritenga di adottare con la massima urgenza provvedimenti atti:

1°) a ristabilire la corretta applicazione della legge ammettendo l’immediata rettifica delle tassazioni in corso nei riguardi dei coltivatori diretti che dimostrino la reale forma di conduzione in atto e l’erroneità degli accertamenti effettuati in precedenza;

2°) a esentare totalmente da contributo le piccole aziende aventi esuberanza di mano d’opera familiare;

3°) a esentare dalle contribuzioni le zone nelle quali è in uso lo scambio di mano d’opera;

4°) a rivedere d’urgenza la legge per emendare la attuale pessima distribuzione del carico contributivo:

5°) a rendere giustizia ai coltivatori diretti, tassandoli solo nei casi in cui venga accertata effettiva assunzione di mano d’opera;

6°) a rendere obbligatoria la pubblicazione, in ogni Comune e in ogni frazione, delle matricole e dei ruoli relativi ai contributi unificati.

«Bonomi Paolo».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e all’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere i motivi che hanno spinto ad elevare il prezzo alla stalla del latte alimentare da lire 28 a lire 45-50 o a lire 55, secondo le zone, aggravando così lo stato di disagio delle popolazioni in un settore alimentare di primissima necessità.

«E se non credono opportuno di mantenere i prezzi già in corso e sufficientemente rimunerativi rispetto a quelli del 1938-39.

«Pressinotti, Sansone».

Avverto che le interrogazioni sull’ordine pubblico saranno riunite alle altre alle quali il Ministro dell’interno risponderà martedì prossimo. Delle altre interrogazioni darò considerazione ai Ministri interessati affinché comunichino quando intendano rispondere.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. Cinque giorni fa io ho presentato una interrogazione sui dispersi in Russia. L’onorevole Andreotti mi aveva promesso che mi avrebbe comunicato la data di discussione dell’interrogazione. Siccome non ho ricevuto alcuna comunicazione, prego la Presidenza di sollecitare.

PRESIDENTE. Informerò il Sottosegretario alla Presidenza di questa sua richiesta.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Io ho rivolto una interrogazione, con carattere di urgenza, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale sui contributi unificati. Desidererei sapere quando sarà discussa.

PRESIDENTE. Onorevole Mastino, questa settimana non abbiamo dedicato alcuna seduta alle interrogazioni: probabilmente nella settimana prossima vi sarà una seduta di interrogazioni ed allora Ella potrà rinnovare la sua richiesta.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se non ritenga opportuno ed urgente fare un passo ufficiale presso il Governo dell’U.R.R.S. per ottenere:

1°) che vengano liberati e rimpatriati i seguenti ufficiali italiani prigionieri di guerra, che fino al 6 giugno 1946 si trovavano al Bunker Lager 70722: tenente colonnello Russo Nicola, da Rionero (Potenza); maggiore Massa Alberto, da Napoli; maggiore Ziggiotti, da Coldoredo (Udine); capitano Magnini Franco, da Mede (Pavia); capitano Iovino Dante, da Napoli; tenente Stagno Italo, da Cagliari; tenente Pennisi Salvatore, da Sant’Alfio (Palermo); sottotenente medico Enrico Pettinato, da Treviso; tenente cappellano Brevi Giovanni, da S. G. Chiesa Cristo Re, Roma; capitano Musitelli, da Trieste; tenente Suppa Domenico e altri soldati o quanto meno conoscere le cause che impediscono eventualmente il loro sollecito rimpatrio;

2°) come si chiamano gli ex combattenti italiani ammalati degenti in luoghi di cura e se sia possibile il loro rimpatrio tramite la nostra Croce Rossa.

«Murgia».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere le ragioni per le quali si disconosce tuttora all’Unione nazionale ferroviaria, sorta nel 1943, ed ora composta di migliaia di aderenti, il diritto alla rappresentanza nel Consiglio di Amministrazione e nelle Commissioni centrali e periferiche delle ferrovie dello Stato; diritto le cui esigenze e la cui necessità sono state riaffermate nel secondo Congresso dei ferrovieri, che ha avuto luogo in Napoli, nei giorni 24, 25 e 26 novembre, col concorso dei rappresentanti di tutti i compartimenti d’Italia.

«Crispo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere i provvedimenti che intendono adottare per i 5000 dipendenti dalle Sezioni provinciali dell’alimentazione per garantire ad essi un preciso stato giuridico nonché stabilità e continuità d’impiego.

«E ciò anche in vista della politica governativa orientata verso l’abolizione di vincoli e razionamenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sansone».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere se non sia possibile disporre che la posta diretta ad Ausonia, in provincia di Frosinone, sia trasportata a Cassino, centro di raccolta, con i treni n. 1929 e 1922, in modo che, secondo il desiderio della popolazione, la distribuzione possa essere effettuata al mattino, anziché, come ora avviene, alla sera. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere

1°) se risponde a verità che l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica nell’indire i concorsi in tutte le provincie d’Italia per i posti di medici condotti si è attenuto al regolamento del 1935 senza alcun aggiornamento, risultando così esclusi da ogni agevolazione i combattenti e reduci della recente guerra;

2°) se non ritiene necessario, anche a seguito delle vive agitazioni verificatesi per ciò tra i medici ex combattenti e reduci, provvedere affinché, come per altri concorsi, venga riservata per medici reduci, ex combattenti e partigiani, una parte dei posti messi a concorso o, quanto meno, che gli anni trascorsi in prigionia e alle armi diano diritto a un punteggio equivalente a quello conseguito dai medici che non hanno svolta attività militare, per pari periodo di tempo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritiene opportuno disporre affinché da parte delle dogane sia usata una maggior tolleranza e comprensione verso quanti ritornano in Patria dalle colonie africane dopo aver già subito colà ogni sorta di umiliazioni e privazioni. Risulterebbe, infatti, che nei posti di sbarco essi sarebbero privati anche di oggetti di modestissimo valore e trattati, in troppi casi, con maniere prive di ogni urbanità. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zaccagnini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, se non ritenga doveroso provvedere alla emanazione di una misura legislativa, la quale assicuri alle minoranze confessionali della Repubblica italiana le stesse provvidenze che sono state da lungo tempo assicurate alla grande maggioranza cattolica in ordine alla ricostruzione delle sedi del culto, tenendo presente la oramai sancita norma costituzionale, che implica la piena eguaglianza di tutte le confessioni davanti allo Stato, ed inoltre il grande olocausto di sangue dato dalle minoranze, specie ebraica, per il riscatto nazionale e politico del nostro Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Minio»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere se non creda urgente concretare le determinazioni accennate nella risposta del 13 agosto 1947 alla precedente interrogazione, in merito al prezzo di vendita del citrato di calcio pel 1946-47, fissato in misura inadeguata all’aumento dei prezzi delle materie prime sostenuto dai produttori, fissando anche il prezzo per la campagna 1947-48 che interessa tutti gli agrumicoltori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quando entreranno in servizio i due nuovi traghetti a tre binari che dovevano esser pronti per il mese di ottobre e che sono indispensabili per migliorare le comunicazioni dello stretto di Messina. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile»

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 23.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.