Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 28 NOVEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cccx.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 28 NOVEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mastino Pietro

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Bertone

Nitti

Mastino Gesumino

Mastrojanni

Perassi

Preti

Codacci Pisanelli

Condorelli

Mortati

Musolino

La seduta comincia alle 11.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Carboni Angelo e Angelini.

(Sono concessi).

Seguito delia discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana,

Comunico che è pervenuto alla Presidenza un ordine del giorno presentato dagli onorevoli Mastino Pietro, Persico, Abozzi, Costa, Priolo, Lami Starnuti, Bellavista, Della Seta, Cevolotto e Scalfaro, del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente,

convinta che l’indipendenza della Magistratura non potrà essere conseguita se non si assicuri al magistrato anche l’indipendenza economica, che gli consenta completa serenità di lavoro,

ritenendo che, data la delicatezza e l’importanza sociale della funzione del magistrato, sia giusto che ciò non venga dimenticato mentre si prepara la Costituzione dello Stato,

indica alla Camera legislativa la necessità dr una concreta soluzione».

L’onorevole Mastino Pietro ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO PIETRO. Penso che bastino poche parole perché credo che quanto è detto nell’ordine del giorno trovi il consenso unanime di tutta l’Assemblea. Quindi, rinunzio a svolgerlo, rimettendomi alla formulazione indicata nello stesso ordine del giorno.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta l’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Allora lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al Titolo VI del progetto di Costituzione: «Garanzie costituzionali». La sezione prima di questo Titolo tratta della Corte costituzionale ed ha inizio con l’articolo 126. Se ne dia lettura.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«La Corte costituzionale giudica della costituzionalità di tutte le leggi.

«Risolve i conflitti d’attribuzione fra i poteri dello Stato, fra lo Stato e le Regioni, fra le Regioni.

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

PRESIDENTE. Sono stati presentati molti emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Bertone:

«Sopprimere l’intera sezione».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Onorevoli colleghi, io mi ero illuso di non dover più interloquire in proposito, perché eguale emendamento, prima di me, era stato proposto dall’onorevole Nitti, e quindi pensavo che dove avrebbe parlato il maestro, l’allievo non aveva più ragione di parlare.

Leggo sul foglio distribuito starnane che l’onorevole Nitti ha convertito il suo emendamento in un altro, inteso ad attribuire senza altro alla Corte di cassazione a sezioni unite tutte le questioni sulla costituzionalità che vengano sollevate in un giudizio.

Io ritengo che con questo egli non abbia rinunciato alla sua opposizione alle altre disposizioni della sezione, perciò io mi limito ad alcune brevi considerazioni che spero dovranno essere accolte benevolmente dall’Assemblea.

Intendo dichiarare subito, a chiarimento immediato del mio pensiero, che io non sono contrario alla istituzione ed a provvedimenti di garanzie costituzionali. Sono molto perplesso sulla forma delle garanzie costituzionali elaborate in questi articoli sottoposti al nostro esame. Onde, se verranno proposti emendamenti che a me sembrino migliori di quelli del testo proposto, io non avrò difficoltà ad accedere ad essi. Certo è una cosa singolare che un argomento di tanta importanza, che io non esiterei a dire fra i più importanti del progetto, abbia avuto così poca attenzione e svolgimento in Assemblea. Fra tutti gli oratori uno solo ha affrontato l’argomento, ed è stato l’onorevole Martino Gaetano. Non so se la discussione in sede di Commissione sia stata molto intensa e minuta; debbo però rilevare che nella stessa Commissione la perplessità è rimasta grave, perché leggo nella relazione della Commissione che «Istituto nuovo è la Corte costituzionale, e scarsi ne sono i precedenti e le prove, cosicché non è facile risolvere i suoi problemi»; ora, questa perplessità della Commissione è quella che domina anche il mio pensiero. Io dirò alcune brevi cose circa i tre aspetti di questo problema: la costituzione della Corte, il suo funzionamento, le materie che sono affidate al suo giudizio. Costituzione della Corte. Credo che l’ideale di una Corte costituzionale sarebbe la sua apoliticità, perché è soltanto nell’assoluta serenità del magistrato che si fonda la persuasione nostra che le leggi saranno ben difese.

Ora, se la Corte costituzionale è direttamente o indirettamente emanazione del Parlamento, essa ne rifletterà i vizi, le virtù, i contrasti e i difetti, onde non vorrei si creasse un doppione.

Secondo il progetto i giudici della Corte costituzionale sono designati in numero triplo dagli ordini giudiziari o forensi o professionali e sono scelti direttamente dal Parlamento. Mi immagino quale sarà la difficoltà del Parlamento di scegliere questi membri della Corte costituzionale; perché ciascun Gruppo politico vorrà avere quelli che sono aderenti alle proprie idee, e – indiscutibilmente – se la nomina è elettiva, la Corte costituzionale finirà col riflettere in qualche modo l’ambiente parlamentare da cui è nata. Questa è la legge della ereditarietà ed è ben difficile che la creatura non abbia i caratteri somatici e non rispecchi le caratteristiche dell’organismo che le ha dato vita.

Ora, se così è, io pongo ai colleghi dell’Assemblea questa domanda: non andiamo noi, per avventura, a vulnerare la sovranità parlamentare, di questo Parlamento della prima Repubblica che rappresenta il popolo? Questo è il principio che tutti abbiamo ripetutamente affermato.

Ora, suppongasi che una legge venga presentata al Parlamento e che vi sia qualcuno dei settori della Camera che sostenga che la legge è contraria alla Costituzione: discussione onesta, leale e possibile. Si discuterà del pro e del contro e la legge sarà approvata. La minoranza, cinquanta deputati, ha il diritto di chiedere alla Corte costituzionale che la legge venga annullata, perché si dice che è contraria alla Costituzione. E supponiamo che la Corte costituzionale accolga questo reclamo: avremo un organo che si è sovrapposto immediatamente al Parlamento, il quale ha espresso la sua volontà specialmente sul terreno politico e vedrà in tal modo vulnerato questo suo diritto sovrano.

Questo è uno solo degli inconvenienti che io mi permetto di accennare; ma ve ne sono altri. Si dice che quando una questione di costituzionalità venga sollevata in un giudizio civile e comune, il magistrato, se la ritenga manifestamente infondata, procede senz’altro al giudizio di merito. Se, viceversa, la ritiene fondata, la rimette alla Corte costituzionale.

Ora, io mi pongo il dubbio: se il magistrato la ritiene così manifestamente infondata da non dare alcuna importanza a questa questione e procede senz’altro all’esame del merito, questo magistrato emetterà la sua sentenza, e questa sentenza è evidentemente impugnabile con i mezzi ordinari di giurisdizione. E, quindi, chi impugnerà questa sentenza avrà il diritto di proporre al giudice di appello l’esame di quella incostituzionalità che il giudice di primo grado non ha ritenuto ammissibile. E il giudice di appello dovrà rispondere sì, o no. È di ieri la nostra deliberazione, il nostro voto, che tutti i provvedimenti emessi in materia giurisdizionale hanno diritto al gravame di appello. Potrà allora accadere che una questione di incostituzionalità la quale sia stata ritenuta infondata dal primo giudice, sia viceversa ritenuta seria dal secondo giudice o dalla Cassazione; e allora, in una delle ipotesi, la Corte costituzionale avrà delibato e avrà dichiarato che c’è incostituzionalità, mentre, nel secondo caso, sarà il giudice ordinario ad averlo dichiarato. Ma, quando si sarà pervenuti al terzo grado, io mi domando come si potrà risolvere questo patente conflitto fra il parere espresso fra il più alto organo giudiziario e quello della Corte costituzionale.

Questo è dunque un altro inconveniente. Ma poi c’è la questione delle materie deferite alla Corte costituzionale. Si dice che essa dovrà risolvere i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, come, per esempio, i conflitti fra il potere amministrativo e il potere giudiziario. Ma essi sono attualmente già regolati dalla legge comune, dal Consiglio di Stato e dalla Corte di cassazione a sezioni riunite. Bisognerà dunque demolire questi edifici che già esistono per crearne uno nuovo?

Si dice ancora che la Corte costituzionale giudicherà dei conflitti di attribuzione fra lo Stato e le Regioni. Ma anche qui gli organi ordinari dello Stato sono già investiti; perché dunque tutte queste questioni noi dobbiamo toglierle al magistrato ordinario ed al Consiglio di Stato che hanno sempre funzionato così egregiamente?

Io credo, quindi, che gli articoli di cui stiamo discutendo, così come sono stati congegnati, servano soltanto a creare perplessità e confusione. Prego, quindi, la Commissione di voler considerare l’opportunità, la esigenza che non venga del tutto dimenticato questo monumento di sapienza giuridica, che in ottanta anni di esperienza in Italia è valso a risolvere tutti i conflitti, a dissipare tutti gli attriti, tutte le frizioni.

E quando la Corte di cassazione a sezioni riunite, che per me rappresenta il più alto grado nel senso più lato della parola, quando, dicevo, la Corte di cassazione a sezioni riunite avrà pronunciato il suo alto parere, avrà emesso il suo giudizio, non si tornerà indietro, come ben difficilmente si è tornati indietro per il passato. Tutte le volte, infatti, che essa ha avuto occasione di pronunciarsi, la sua pronuncia ha costituito sempre l’inizio di un nuovo orientamento della dottrina e della legislazione.

Io dichiaro, quindi, di accostarmi all’emendamento dell’onorevole Nitti, nel senso, cioè, che tutte le questioni di incostituzionalità vengano senz’altro deferite al giudizio della Corte Suprema a sezioni riunite. Per tutte queste ragioni da me brevemente, sinteticamente esposte così da non aver arrecato – voglio almeno sperarlo – noia all’Assemblea, io ripeto che non sono affatto contrario a stabilire garanzie costituzionali; ma non credo che il metodo di garanzie elaborate in questo progetto sia da approvarsi, e in coscienza, così come proposte, non mi sentirei di approvarle.

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire i quattro articoli della Sezione col seguente:

«Quando nel corso di un giudizio è sollevata questione di incostituzionalità di una norma legislativa, la decisione è rimessa alla Corte di cassazione a Sezioni unite.

«La legge determina le norme per il funzionamento della Corte».

Ha facoltà di svolgerlo.

NITTI. Io mi trovo fondamentalmente d’accordo con l’onorevole Bertone. Vado più in là: credo inutile e dannosa la costituzione di una Corte costituzionale. Non farà alcun bene e sarà causa di confusione.

Debbo dire pregiudizialmente che, quando ho esaminato il progetto di nuova Costituzione due cose mi hanno colpito come novità assurde, che non esistono in nessun paese del mondo, e sono: l’Assemblea Nazionale e questa Corte costituzionale, che per la prima volta s’inventa in Italia e che è anche emanazione del pensiero che fu, o dell’assenza di pensiero che è, base dell’Assemblea Nazionale.

Qualche novità io però non mi aspettavo. Ho esaminato con ogni obiettività la materia, e la miglior cosa che io credo si possa fare è la soppressione di tutto questo Titolo, che non ha ragione d’essere e che era in correlazione poi con l’Assemblea Nazionale, che era venuto in mente a qualcuno di creare e che fortunatamente è scomparsa.

PERASSI. Non è esatto; è ricomparsa di nuovo.

NITTI. Dove e come è comparsa? Dovrebbe dunque il nuovo ordinamento della Corte costituzionale essere emanazione dell’Assemblea Nazionale, che nomina una parte dei membri. E l’Assemblea è scomparsa: sarebbe dunque il defunto che crea un vivo.

Tutto questo Titolo è basato su un equivoco, volontario o involontario. Non è ammissibile che un Paese serio segua i procedimenti che si pretenderebbe adottare.

La Corte costituzionale si crea anche sull’equivoco. Vi è chi tenta di far credere che vi sia qualche cosa di analogo in altri Stati. Non esiste invece in alcun altro paese nulla di simile. Non solo non esiste, ma è in contraddizione con le istituzioni di paesi che si crede imitare, come gli Stati Uniti di America, la Germania e la vicina Svizzera.

Nulla dunque di comune con ciò che esiste altrove.

Vere Corti costituzionali come quelle che si vorrebbero imporre e che non si possono, perché basate su concetti e situazioni diversi, non esistono se non in paesi non unitari.

Paesi di struttura differente, Stati Uniti di America, Germania, Svizzera non sono paesi unitari, ma, sotto diversa forma, erano Stati federali.

L’Italia è per sua fortuna un paese unitario. Ma, soprattutto dopo il fascismo accentratore, ha bisogno di decentramento, ma ha bisogno anche di rafforzare la sua unità. Voi, infatti, creando le Regioni, non avete pensato un sol momento a creare un nuovo Stato, composto di differenti Stati, ma a creare una forma decentrata che sviluppi tutte le libertà locali, ma mantenga la compagine dello Stato unitario. In Stati unitari nulla di simile è mai esistito, né può esistere ciò che si vuol fare ora nel nostro Paese.

Cominciamo da quella che pare la cosa più semplice: la Corte costituzionale, qualche cosa che vorrebbe arieggiare la Suprema Corte degli Stati Uniti di America, a qualcuna delle cui sedute io ho avuto occasione di assistere. Niente di comune, nemmeno nelle forme esteriori, con quello che si vuole fare qui. Qui, solo scorrendo gli articoli del disegno di legge, si vede che si crea addirittura come una multiforme Assemblea, una inverosimile mischianza di giudici e di politicanti, di alti personaggi e di curiali (non certo giuristi) che devono accettare o raccattare voti dai partiti per essere eletti.

Il giudice della Corte Suprema in America è un personaggio altissimo, che non è esponente di partiti politici, che non deve far politica.

Così com’è concepita la Corte costituzionale in Italia i giudici nella più gran parte non saranno che un prodotto di combinazioni, di transazioni, di intrighi. Saranno sopra tutto esponenti di partiti e quindi senza autorità.

E chi potrà essere il capo di una simile Assemblea? Non certo un grande giurista, un grande personaggio, ma un modesto individuo che dia affidamento al partito da cui deriva.

Negli Stati Uniti di America, quella Corte, che ha tanta celebrità nel mondo, nessuno pensa possa essere effetto di brighe elettorali. L’elezione non entra per nulla. Né pensa che il capo possa essere un politicante. Ogni giudice (e i giudici sono pochissimi) ha il suo curriculum vitae molto onorevole.

Essere giudice della Corte Suprema è un immenso onore, press’a poco come essere senatore, dove i senatori sono appena 96, in un paese enorme, in cui il Senato ha immensi poteri, e dove gode del più alto prestigio. Il giudice non è eletto, ma è nominato in base alla pubblica designazione, dato il prestigio di cui gode. Chi nomina i giudici è il Presidente della Repubblica, senza nessun controllo, senza alcun intervento dei partiti. Egli deve sceglierli tra gli uomini che hanno raggiunto tale una celebrità, che rappresentino tale un valore, da dare affidamento a tutti.

Io mi trovavo in America quando il Presidente si decise a nominare per la prima volta giudice un ebreo, Brandeis. Che fosse nominato un ebreo non era mai accaduto (in America si giura sui sacri testi!): il Presidente non aveva mai voluto farlo prima d’allora. Ma il Presidente Wilson osò. Si trattava di un uomo di primissimo ordine, di dottrina altissima e assai stimato. I giudici non pensano di far politica e Brandeis non interveniva mai in questioni politiche. Ma aveva gran senso politico. Era forse il gran personaggio americano che aveva meglio compreso il pericolo del fascismo italiano. Quando poteva, con tutta la discrezione che egli aveva e che il suo ufizio gl’imponeva, mi furono comunicati i suoi giudizi, che a Washington avevano gran peso.

I giudici della Suprema Corte in America sono dunque in generale uomini in onorevole situazione, non suscettibili di intrighi.

La Corte costituzionale, come è ora concepita in Italia, è la mischianza più strana di elettoralismo, di praticantismo e quasi certamente, in parte almeno, di incompetenze, e dovrebbe giudicare su tutte le cose: sui conflitti di giurisdizione, sugli interessi dello Stato e sugli interessi degli Enti locali: e tutto questo con una improvvisazione che non ha riscontro.

Non parlo di ciò che è il tribunale di Lipsia, perché si cade in errore attribuendogli funzioni identiche o della stessa natura della Corte di Washington. Esso non ha alcuna funzione politica. Si comprese che essendovi in Germania tanti Stati diversi, prima ancora che vi fosse la corte attuale, ciascuno Stato, godendo di completa sovranità, come la Baviera, la Sassonia, il Württemberg, bisognava che una Corte comune decidesse delle questioni che riguardavano tutti i paesi federati e sopra tutto i maggiori.

La Corte si occupava delle grandi questioni, sopra tutto in materia penale.

Come capo del Governo italiano io mi trovai alla applicazione del trattato di Versailles.

Era un mal connesso trattato, che doveva anche essere male applicato: conteneva nel suo seno quella Società delle nazioni che era il grande equivoco di pace.

Nel trattato di Versailles vi erano, fra le altre assurdità economiche e morali, due disposizioni che erano inspirate a odio piuttosto che a giustizia. Dopo aver stabilito che la Germania sola era responsabile della guerra, si stabiliva che il danno prodotto dalla guerra doveva essere riparato. Ma nello stesso tempo si stabiliva la responsabilità dell’imperatore Guglielmo, che doveva in conseguenza essere deportato a Parigi ed essere giudicato come un pubblico malfattore.

Disposizione contraddittoria e assurda e sopra tutto inapplicabile.

Ma siccome era nel trattato tutti si ostinavano nell’assurdo.

Io fui il solo che mi opposi decisamente e che convinsi per primo Lloyd George a rinunziare à questa assurdità.

La Santa Sede, che allora non poteva intervenire direttamente, aiutò come potette il movimento di reazione all’errore che si produsse.

La mia opposizione aumentò la resistenza dell’Olanda a negare ogni domanda di estradizione, di cui non si potette nemmeno parlare.

La probabile condanna di Guglielmo II, che non avrebbe avuto giudici, ma nemici, parve così mostruosa, che perfino il Re Giorgio V di Inghilterra volle esprimermi il suo compiacimento per avere io impedito un processo così iniquo e assurdo.

In quella occasione ci trovammo di fronte a un’assurdità ancor più grande, determinata da un’altra disposizione del Trattato.

I tedeschi erano accusati di crudeltà in guerra. Certamente ne avevano commesse e anche non poche. La crudeltà in guerra non è eccezione, ma non è mai solo da una parte.

Ma siccome si volevano aumentare le responsabilità dei tedeschi, sopra tutto, e aumentare le riparazioni, le cause di crudeltà non si limitarono a casi isolati, ma assunsero grande estensione. Si parlò per la Germania e l’Austria Ungheria di un numero enorme di condannabili e si preparavano liste di tedeschi da giudicare per crudeltà a centinaia di migliaia.

Bisognava ottenerne la estradizione e poi portarli a Parigi e giudicarli.

Era l’assurdo.

Come si poteva pretendere che i paesi vinti consegnassero ai vincitori centinaia di migliaia di ufficiali e che si mandassero a Parigi per farli giudicare? Come potevano essi piegarsi a questa assurda umiliazione? e come gli Stati vinti potevano consentire?

Erano cose nello stesso tempo assurde e inumane.

Io proposi una soluzione che da principio sollevò obiezioni e anche proteste nella conferenza: ma poi si impose. Era la logica stessa che la imponeva.

Se fossi stato uomo di Governo germanico, io non avrei mai accettato l’errore morale di consegnare al nemico vincitore centinaia di migliaia di ufficiali per farli giudicare da chi non ne poteva avere il diritto né la possibilità di giustizia.

Proposi allora che il giudizio di responsabilità degli ufficiali per atti di crudeltà loro attribuiti fosse dato alla stessa Germania e che la Corte di Lipsia ne fosse investita.

Era la soluzione più logica e che salvava la dignità dei vinti e la serietà dei vincitori.

Posso dunque dire di essere stato il maggior «fornitore» della Corte di Lipsia.

Washington e Lipsia, benché siano anche cose diversissime e hanno potuto corrispondere a situazioni speciali, non hanno dunque nulla di comune con la progettata Corte costituzionale italiana.

Accenno appena al Tribunale di Losanna, che per la Svizzera adempie funzione essenzialmente, se non esclusivamente, giudiziaria.

Che cosa dovrebbe essere la Corte costituzionale italiana? Né Washington, né Lipsia, né Losanna, ma un prodotto di fantasia senza precedenti.

L’articolo 126, l’articolo base che fissa le attribuzioni fondamentali della Corte costituzionale, è un magnifico Liebig di stravaganze che io conosca in questa materia.

«La Corte costituzionale giudica della costituzionalità di tutte le leggi».

Giudica dunque, come si vede in seguito, in permanenza di tutte le leggi.

«Risolve tutti i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, fra lo Stato e le Regioni, fra le Regioni».

Corte di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti, che in realtà compiono seriamente gran parte di queste funzioni, sono di fatto abolite.

Infine vi era una disposizione unica al mondo, io credo, in tutti i paesi civili.

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

Chi sono i componenti della Corte costituzionale?

Solo nell’articolo 127 si apprende che la Corte è composta per metà di magistrati, per un quarto di avvocati e «docenti di diritto», per un quarto di cittadini eleggibili ad ufficio politico (sic).

«I giudici della Corte sono nominati dall’Assemblea Nazionale».

L’Assemblea Nazionale era una mostruosa invenzione concepita come prodotto di elefantiasi di cose ignote in tutto il mondo. Era composta dei membri del Senato e della Camera dei deputati riuniti (circa un migliaio di persone): una superassemblea di natura nuova e imprevedibile.

L’Assemblea doveva fare la scelta dei giudici essendo quasi del tutto incompetente!

Il numero dei componenti la Corte costituzionale era illimitato: venti, cinquanta, duecento?

La disposizione più inverosimile riguarda il Capo dello Stato.

Io non so di nessuna Costituzione di paese rispettabile che stabilisca in precedenza (vorrei dire freddamente) quale magistratura giudica il presidente della repubblica per i suoi delitti!

E in tutto questo la instabilità di tutto, incertezza delle leggi che tutti possono attaccare d’incostituzionalità: il Governo, cinquanta deputati, un consiglio regionale, diecimila elettori, ecc. Data la rissosità ch’è in non pochi partiti e in tutti i gruppi in contesa, quale sicurezza nella solidità delle leggi!

Quali sono le attribuzioni dal lato politico e giuridico che si vogliono viceversa mettere in questa Corte costituzionale? Vi è un po’ di tutto e vi sono cose che non credo possibile adottare senza pericolo. L’idea di una Corte costituzionale che abbia enormi e indefiniti poteri avrebbe per solo effetto di turbare profondamente la vita dello Stato.

La disposizione relativa al Presidente della Repubblica (giudicabile in permanenza) io non ho trovato prima d’ora in nessuna altra Costituzione!

E chi nomina i giudici che hanno tanta autorità che possono giudicare anche il Presidente della Repubblica?

Quando si pensi che negli Stati Uniti l’Alta Corte risulta di poche persone che giudicano! Qui, quanti prima o dopo saranno? E quale strana mischianza di uomini più diversi, dai giudici ai professori o, come si dice «docenti» che vengono delegati dalla Corte e restano in servizio permanente. Si parla di durata così lunga per il loro ufficio! Gli individui preposti a questo importante ufficio come sono scelti? Da chi e in quale numero? È un criterio di parte? Ho cercato invano il numero di essi, perché la prima cosa che dà l’idea della serietà di un tribunale è il numero e la scelta dei giudici.

Se voi avete un tribunale molto numeroso dite a priori che non è un tribunale serio. Qui è un numero indeterminato, perché, evidentemente, con l’idea di sodisfare onesti appetiti o le spiegabili richieste degli uomini che si sentono degni di essere della Corte Suprema, si vuol avere margine sufficiente per la scelta. E questa mancanza di determinazione a quale risultato può portare? Potete fare una Corte Suprema, se volete, con attribuzioni precise, non una Corte numerosa, con compiti indeterminati.

I giudici, dice qui l’articolo 127, sono nominati dall’Assemblea Nazionale. Ora fortunatamente l’Assemblea Nazionale non esiste più…

PERASSI. Ha cambiato nome.

NITTI. No, è soppressa come organo permanente perché era troppo ridicola cosa. Si dà il nome di Assemblea Nazionale quando le due Camere si riuniscono per funzioni determinate e brevi, com’è naturalmente l’elezione del Presidente della Repubblica, la dichiarazione di guerra, come poteva essere (e fortunatamente non sarà più) la concessione dell’amnistia. Qui si tratta di funzioni di carattere permanente o che hanno una lunga durata e questo tribunale dovrebbe essere composto appunto da persone che vi si dedicano durevolmente. I giudici della Corte costituzionale sono nominati dunque dall’Assemblea Nazionale. Per la categoria dei magistrati, avvocati e «docenti di diritto» la nomina ha luogo su designazione in numero triplo di nomi. Si vuole che sia eletto come in alcune Assemblee popolari; si fa una terna e si sceglie. Vedete facilmente come questa mischianza di uomini diversi non ha né una base comune, né idea vera di selezione.

Chi designerà i nomi? Quando avremo tolto di mezzo l’Assemblea Costituente sarà il Senato, la Camera dei deputati o le Camere riunite? Non vi è nessuna indicazione o determinazione.

I giudici durano in carica nove anni, e di che mai potranno occuparsi? Si specializzeranno in permanenza della incostituzionalità delle leggi? e su proposta non solo di magistrati seri e ponderati ma su elementi e persone più diversi.

L’incostituzionalità delle leggi, dunque, non viene dal dubbio del magistrato che, nell’emettere una sentenza, si trova in imbarazzo e può quindi rivolgersi alla Corte Suprema, ma viene da chiunque lo voglia. Perfino se qualche Regione o un certo numero di cittadini vogliono darsi il lusso di far risolvere una questione, possono benissimo far perdere tempo. La Magistratura richiede semplicità, continuità, chiarezza. Basta invece che rappresentanti di Regione si riuniscano e si trovino in dissenso fra loro, per ricorrere immediatamente con un pretesto qualsiasi alla Corte Suprema.

La dichiarazione di incostituzionalità può essere, come abbiamo detto, promossa in via principale dal Governo, da 50 deputati, dai Consigli regionali, da non meno di diecimila elettori, o da altri enti ed organi a ciò autorizzati dalla legge sulla Corte costituzionale.

Ora, come vedete, noi mettiamo ogni momento tutto in discussione. Basta un certo numero di cittadini che vogliono avere la curiosità di risolvere un problema, ed ecco che la Corte costituzionale ne è investita. Come potrebbe rifiutarsi quando la legge è così esplicita? Domani 50 deputati vogliono far risolvere un quesito che piace a loro e vanno alla Corte costituzionale. Ci sono non pochi partiti che non hanno 50 deputati, ma tutti possono trovare diecimila elettori. Anche nei partiti meno numerosi questo numero è facilmente superato.

Alla Corte costituzionale non si deve andare per consultazione, ma per questioni precise e concrete e in casi concreti. Prospettare questioni litigiose per avere il piacere di risolverle in un modo o in un altro, non è cosa seria.

Di questa indeterminata Magistratura, che andiamo a costituire, non sono chiari né la funzione, né il potere, né il funzionamento. Lasciate che questo problema si risolva da sé.

Per questioni che dovrebbero essere proposte alla Corte costituzionale vi sono organi amministrativi come il Consiglio di Stato.

Ora vi sono la Cassazione e il Consiglio di Stato. Perché dobbiamo cercare altre vie se quelle già tracciate non presentano inconvenienti? Dobbiamo al contrario trovare il modo di non creare nulla di fantastico. E però, per rimanere nella realtà e nella logica, io ho proposto di ridurre a un solo articolo di legge tutta la materia di questo Titolo.

E al di fuori di questo articolo bastano le magistrature amministrative ordinarie, senza fantasticherie, ingombranti e dispendiose aggiunzioni.

La forma da me proposta è semplice:

«Quando nel corso di un giudizio è sollevata questione di incostituzionalità di una norma legislativa, la decisione è rimessa alla Corte di cassazione a sezioni unite.

«La legge determina le norme per il funzionamento della Corte».

Questa è funzione essenziale della Corte di cassazione nei paesi dove esiste.

Voi volete che la Corte di cassazione sia libera da ogni influenza e rimanga al di fuori delle controversie politiche. Ciò è necessario ed è cosa che deve esser voluta da tutti. Ma noi dobbiamo dare alla Corte di cassazione (che fortunatamente sarà unica: Dio ci scansi che fossero introdotte diverse Corti di cassazione!) un grande prestigio, che sia garanzia suprema per i cittadini.

Lasciamo dunque da parte le fantasie giuridiche e politiche e le cose vane! Mi auguro che si rinunzi alla discussione di questi articoli, dal 126 al 129.

Mi auguro ed auguro a voi di non impigliarvi in questa selva di contraddizioni, di errori e di visioni strampalate com’è la Corte costituzionale progettata.

Questa Corte costituzionale, inventata non so da chi, sarebbe destinata all’insuccesso; perché è fatua fantasia di cosa che non esiste in nessun paese e che realizzandosi non contribuirebbe al nostro prestigio.

Qui non è nessuna idea politica: si può essere comunisti, democristiani, liberali; si può appartenere a tutte le gradazioni dei partiti, sempre così numerosi e sempre disposti a suddividersi; si può appartenere ad un partito numeroso o piccolo; ma il problema rimane lo stesso. La progettata Corte costituzionale non deve esistere per la nostra serietà.

E noi tutti egualmente dovremmo tenere alla nostra serietà. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mastino Gesumino ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: La Corte costituzionale giudica della, aggiungere la parola: giuridica».

Ha facoltà di svolgerlo.

MASTINO GESUMINO. Naturalmente, onorevoli colleghi, l’approvazione o il rigetto del mio emendamento debbono essere una conseguenza diretta della istituzione nella Costituzione della Corte costituzionale, perché, se eventualmente fosse accolta la tesi prospettata, con la sua grande autorità, dall’onorevole Nitti, e dall’onorevole Bertone, il mio emendamento non avrebbe più ragione di sussistere.

Io infatti tendo, con l’emendamento da me proposto, a far includere nella dizione dell’articolo 126 la parola: «giuridica», in modo che in sostituzione dell’attuale formulazione: «la Corte costituzionale giudica della costituzionalità di tutte le leggi», si dica: «la Corte costituzionale giudica della giuridica costituzionalità di tutte le leggi». Illustrerò molto brevemente le ragioni di questa mia proposta.

Innanzitutto, necessariamente deve essere respinta la tesi della superfluità, dell’assurdità e della dannosità dell’istituzione della Corte costituzionale. Mi permetto di fare una semplice osservazione al riguardo.

Qui si è detto che l’organo che istituiamo nella Carta costituzionale è assolutamente nuovo nel campo del diritto di tutte le nazioni del mondo. Rispondo subito che se questo è parzialmente vero, non è un’obiezione dalla quale si può derivare la negazione della necessità dell’istituzione in Italia di questa nuova formazione organica a tutela del diritto costituzionale Infatti noi in Italia abbiamo, attraverso faticosissimi studi e lunga elaborazione, formato questo istituto a garanzia delle norme fondamentali della Costituzione, che noi stessi abbiamo approvato, perché, amico Bertone, il dilemma non mi sembra affatto superato.

O noi continuiamo a credere nella necessità che la Costituzione da noi approvata debba rimanere rigida, vale a dire inviolabile dal comune Parlamento, oppure adattiamoci ad aderire al concetto che la Costituzione debba rimanere come era già lo Statuto albertino, sottoposta alle variazioni della comune legislazione. Ed allora, in questo secondo caso, sarebbe certamente più opportuna l’istituzione di una Corte la quale garantisse il giudizio della costituzionalità di tutte le leggi.

Ma poiché siamo tutti d’accordo nel riconoscere che il principio informatore di tutta la Costituzione è quello della rigidità delle sue norme, vale a dire il principio che le norme costituzionali fissate debbano essere non violabili dal futuro Parlamento, mi pare inderogabile necessità che a garanzia di questa inviolabilità sia creato un tribunale eccezionale. Perché esattamente l’onorevole Nitti ha detto che si tratta della creazione di un tribunale eccezionale.

Ma è eccezionale la funzione che noi attribuiamo a questo tribunale, perché la obiezione continuamente sollevata che la Magistratura ordinaria abbia in sé la facoltà di controllare la costituzionalità delle leggi – secondo il mio sommesso avviso – contiene un profondo errore. Infatti, finora non è esatto dire che la Magistratura abbia avuto la facoltà giuridica di controllare la costituzionalità delle leggi. La Magistratura ha avuto, perché era nell’essenza stessa della sua funzione averla, la facoltà di controllare la formale costituzionalità delle leggi. Cioè la Magistratura ha avuto quest’unico potere: esaminare se si trovava di fronte ad una legge nel senso formale, cioè una legge che fosse stata approvata dagli organi competenti, promulgata e sanzionata nelle forme costituzionali, ma non aveva nessuna autorità, e non l’ha mai avuta, e nessuna competenza di indagare nel merito della legge, se cioè la legge nel merito, cioè nel senso materiale, come dicono i giuristi, fosse una legge costituzionalmente legittima. Ora, questo enorme potere noi lo diamo o alla Magistratura ordinaria, se si segue la tesi dell’onorevole Bertone, o a questo nuovo istituto, che vogliamo formare, se si segue la tesi del progetto di Costituzione. Ed è un potere che esorbita, dirò così, ontologicamente, dai poteri normali della normale Magistratura, la quale ha il potere, per la sua stessa essenza costituzionale, di applicare la legge, di interpretare la legge, ma non di indagare se la legge è degna o no di essere applicata o se è in contrasto con la Costituzione che domina tutta la comune legislazione.

E mi spiego più semplicemente. Il potere di controllare nel merito la legge parlamentare, consiste in questo potere formidabile: il potere di controllare l’operato del Parlamento. Non mi pare che sia l’essenza della funzione della Magistratura ordinaria questa suprema funzione di controllo. Ora, se noi dessimo alla Magistratura ordinaria, sia pure organata come noi l’abbiamo organata, in autonomia e in sovranità, un potere di controllo su l’opera legislativa del supremo organo dello Stato, mi parrebbe veramente dare alla Magistratura un potere che esorbita dalle sue normali funzioni.

Quindi, in questo senso, da questa considerazione, esurge l’assoluta necessità o di creare nella Magistratura ordinaria un organo diverso, fornito di poteri diversi da quelli naturali, oppure, e mi pare più semplice, creare un organo che abbia il compito esclusivo di giudicare della costituzionalità delle leggi. Soltanto, mi sembra che nella formulazione legislativa dei poteri affidati a questo organo, si sia errato, perché certamente il giudizio sulla costituzionalità di tutte le leggi non può essere un giudizio indeterminato nei fini e nelle competenze, perché il giudizio sulla costituzionalità ha un aspetto formale, di cui ho testé parlato, ed era quel controllo che ha esercitato la Magistratura ordinaria, controllo di pura forma, controllo sulla legalità formale della legge. C’è un secondo controllo, molto più profondo e molto più grave, controllo che tocca le radici stesse della legge, ed è il controllo che riguarda l’adesione della legge alla legge fondamentale da cui deriva e che non può essere violata. In fondo, noi, creando la legge costituzionale, abbiamo creato una legge base, una legge limite per il legislatore. Il compito del controllo costituzionale del futuro organo, si deve limitare all’accertamento se questo limite costituzionale nel merito è stato osservato. Ma, compiuto questo esame, esaminato cioè se la norma della legge futura in qualche cosa contrasti o esca fuori dei limiti fissati dalla legge costituzionale, esaurito questo compito – e vi ripeto che è compito formidabile – quest’organo nuovo costituzionale non può compiere una terza indagine nella quale pure si potrebbe vedere un compito di giudizio costituzionale della legge.

Cioè l’indagine che riguardi una essenza della legge in quanto merito della disposizione, in quanto motivazione, scopo, finalità, che può essere contrastante con l’essenza e la finalità della legge costituzionale.

Concludendo, non essendo possibile ammettere questa indagine ontologica sulla natura della disposizione, l’indagine di questo nuovo ente si deve limitare alla indagine strettamente giuridica tra norma costituzionale e norma legislativa. Quindi, l’indagine sulla costituzionalità delle leggi che noi attribuiamo a questa Corte deve essere di natura giuridica, perché questo è il suo vero scopo.

PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Colitto così formulato:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Corte costituzionale giudica della violazione di tutte le norme costituzionali».

L’onorevole Colitto è assente.

MASTROJANNI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Colitto.

PRESIDENTE. L’onorevole Mastrojanni ha facoltà di svolgerlo.

MASTROJANNI. Riteniamo che la dizione secondo la quale la Corte costituzionale giudica delle violazioni di tutte le norme costituzionali, meglio specifica il carattere, la natura e i compiti della Corte costituzionale stessa; nel testo si dice semplicemente che «giudica della costituzionalità della legge».

Poiché il giudizio nel nostro caso è la conseguenza di una presunta violazione alla Costituzione, sembra a noi che la nostra formulazione risponda meglio allo scopo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento, già svolto, dell’onorevole Colitto:

«Al primo comma, alle parole: di tutte le, sostituire la seguente: delle».

MASTROJANNI. Faccio mio anche questo emendamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Perassi così formulato:

«Al primo comma, dopo le parole: le leggi, aggiungere le parole: e dei decreti aventi valore di legge».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Il mio emendamento consiste nell’aggiungere al primo comma, dopo le parole: «le leggi», le parole: «e dei decreti aventi valore di legge».

Osservo che questo emendamento non ha se non un carattere di forma; perché già la Costituente ha adottato all’articolo 74 una disposizione nella quale si dice: «Per i decreti legislativi valgono le norme stabilite dalla legge in ordine al referendum popolare ed alla Corte costituzionale». Sotto questo aspetto l’emendamento proposto ha soltanto un carattere di redazione. In realtà all’articolo 74 quell’accenno alla Corte costituzionale appare prematuro. Quindi è meglio che dei decreti legislativi si parli qui insieme con le leggi.

C’è poi l’altra figura dei decreti-legge, che si è contemplata in un articolo della Costituzione; da qua la necessità di usare una espressione che preveda, accanto alle leggi, anche gli altri atti aventi valore di legge. Questa è la portata dell’emendamento.

PRESIDENTE. Le faccio osservare, onorevole Perassi, che nell’emendamento presentato dagli onorevoli Condorelli, Rossi Paolo e Cevolotto è stato tenuto conto anche del suo emendamento.

PERASSI. Mi risulta che il Comitato farà propria la formulazione proposta dagli onorevoli Rossi Paolo, Condorelli e Cevolotto, nella quale è incorporato il mio emendamento. Tuttavia, fino a questo momento, il Comitato non lo ha ufficialmente dichiarato. Comunque io non ho altro da aggiungere per quanto concerne il mio emendamento.

Vorrei invece permettermi di utilizzare i pochi minuti che mi sarebbero consentiti come presentatore di un emendamento, per affermare nella maniera più netta che, a mio avviso, questo problema della Corte costituzionale, e in particolare quello del sindacato sulla legittimità delle leggi, sia dello Stato che delle Regioni, è un problema essenziale per la nuova Costituzione. Stabilire la distinzioni tra leggi costituzionali e leggi ordinarie implica, necessariamente, che si preveda il modo come questa distinzione sia praticamente garantita. Ora, questo modo non può essere se non quello di organizzare un controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi. Su ciò non vi può essere dubbio una volta che si è accolto il principio di una Costituzione rigida e non flessibile, e lo si voglia rendere praticamente operante.

Resta il problema dell’organo, al quale si debba attribuire questa funzione di sindacato sulla costituzionalità delle leggi.

E su questo punto anche l’onorevole Nitti è d’accordo, perché anche egli ammette un giudizio sulla costituzionalità delle leggi, non soltanto formale, ma anche sostanziale. Proponendo di attribuire alle sezioni unite della Cassazione questa funzione, l’onorevole Nitti si dimostra meno contrario ad innovazioni di quello che potrebbe apparire dalle sue parole, perché dicendo che la Corte di cassazione giudica della costituzionalità delle leggi, fa un passo innanzi rispetto all’ordinamento preesistente, perché ammette la distinzione tra legge costituzionale e legge ordinaria, ed ammette che un organo giudiziario sindachi il contenuto – come giustamente ha osservato l’onorevole Mastino – della norma legislativa.

Il problema, così posto, in un certo senso, fino a questo punto, non trova, dunque, dissenzienti. La sola questione che rimane aperta è questa: a chi attribuire questa competenza di sindacare la legittimità costituzionale delle norme emanate dallo Stato o da una Regione? Questo è il problema, un problema di organizzazione.

Si vorrebbe, da parte di alcuni, che si attribuisse tale compito all’Autorità giudiziaria ordinaria o, in particolare, secondo la proposta dell’onorevole Nitti, alla Corte di cassazione a sezioni unite. È una tesi; ma una tesi contro la quale sta questa obiezione; che il giudizio sulla costituzionalità di norma giuridica, in particolare di norma giuridica legislativa, è un giudizio che è bensì giuridico (e in questo senso ha ragione l’onorevole Mastino, perché si tratta di confrontare la norma ad un’altra norma) ma è un giudizio che non si può proprio mettere sullo stesso piano di quello sulla validità di un contratto o su un qualsiasi rapporto di diritto civile.

È un giudizio profondamente diverso. Da ciò la necessità di deferirlo ad un organo adatto al carattere particolare della controversia, che ne costituisce l’oggetto.

E qui sorge la questione: giudice ordinario o no? A mio avviso, per le ragioni ora esposte, mi pare che sia assolutamente necessario pensare ad un organo speciale, che per la sua conformazione presenti i requisiti necessari per assolvere alla delicata funzione. E perciò, credo e sono sicuro di interpretare a questo riguardo il pensiero del Gruppo cui appartengo, che sia necessario pensare ad un organo distinto dall’autorità giudiziaria ordinaria, ossia ad una Corte costituzionale.

L’onorevole Nitti, riferendosi alle disposizioni del progetto, ha parlato di assurdità e di equivoco.

Mi permetto di dire all’onorevole Nitti che, forse, qualche equivoco c’è da parte sua, nell’interpretare sia le norme che abbiamo proposte, e sia anche qualche esempio straniero. Aggiungo un’ultima osservazione a sostegno della tesi fondamentale cui noi abbiamo aderito. L’onorevole Nitti propone che il giudizio di legittimità delle leggi sia deferito alla Corte di cassazione a sezioni riunite; però, nel suo testo, non si va oltre a questa norma di competenza e, in particolare, non si dice quale sarebbe l’effetto giuridico della decisione della Corte di cassazione che dichiara l’incostituzionalità di una legge.

Orbene, non dicendosi nulla al riguardo, la conseguenza sarebbe evidentemente che una sentenza della Corte di cassazione a sezioni riunite, secondo i principî generali, non avrebbe effetto se non per il caso concreto; essa avrebbe, al più, il valore di un qualunque precedente giurisprudenziale, ma non avrebbe alcun valore vincolante.

Viceversa, nel progetto nostro, la decisione della Corte costituzionale, in certi casi, avrebbe valore assoluto. Questa la differenza fondamentale.

Ora, a me pare che, per le ragioni dette in principio, non soltanto occorra creare un organo speciale, ma che occorra anche disporre che la dichiarazione di incostituzionalità di una norma, emanata con un atto legislativo dello Stato o di una Regione, importi la cessazione di efficacia della norma stessa.

NITTI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Onorevole Presidente, desidero chiarire che non ho parlato delle cose che mi sono state attribuite. Io non voglio, non desidero la Corte costituzionale in alcuna forma; la mia proposta dice soltanto che, quando nel corso di un giudizio viene sollevata la questione di incostituzionalità, la questione debba esser rimessa alla Corte di cassazione a sezioni riunite.

Il punto principale dunque è questo: non voglio che vi sia un organo, il quale decida genericamente della costituzionalità o meno delle leggi. Io ho detto che, quando nel corso di un giudizio sorga eccezione di incostituzionalità – solo quindi in questo caso – si possa immediatamente ricorrere alla decisione del magistrato; ma, quando vi sia nel corso di un giudizio, non quindi genericamente: non che su ogni questione si possa interrogare intorno alla presunta incostituzionalità.

Mi spieghi l’onorevole Relatore dove esiste questa disposizione per cui su ogni cosa, su qualunque pretesto, su qualunque dissidio, si invoca tale giudizio di incostituzionalità.

BERTONE. Onorevole Nitti, basta estendere all’esame della incostituzionalità gli articoli 37 e 41 del Codice di procedura civile.

NITTI. D’accordo.

PRESIDENTE. Ricordo che sono stati già svolti i seguenti emendamenti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Risolve i conflitti di poteri dello Stato, tra lo Stato e le Regioni e fra le Regioni».

Monticelli.

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Risolve i conflitti di potere fra gli organi costituzionali dello Stato, fra lo Stato e le Regioni, fra le Regioni».

Caccuri.

L’onorevole Grassi ha presentato un emendamento al secondo comma inteso alla soppressione delle parole «fra i poteri dello Stato».

Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Preti ha presentato un emendamento soppressivo dell’ultimo comma. Ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Io ho presentato un emendamento soppressivo dell’ultimo comma, il quale dice:

«Giudica il Presidente della Repubblica ed i Ministri accusati a norma della Costituzione».

Ora, a me sembra che noi già abbiamo cominciato a preparare in Italia il Governo dei giudici, proclamando l’indipendenza, l’autonomia, ecc., della Magistratura.

Una voce al centro. Non esageriamo!

PRETI. Speriamo che io mi sbagli! Comunque, per venire all’argomento, dirò che mi sembra veramente eccessivo, per non dire altro, attribuire ad un organo composto di magistrati il potere di giudicare il Presidente della Repubblica o i Ministri: e di giudicarli – dico – non solamente in ordine alla responsabilità penale, ma, dato il tenore di un articolo in precedenza approvato, anche in ordine alla responsabilità politica. Ora questa assurdità è già stata fatta rilevare dall’onorevole Nitti, e credo che non occorre aggiungere una parola di più. Del resto mi sembra che anche l’onorevole Mortati, che fu uno dei compilatori di questo articolo, si sia convinto che questo comma, così com’è, non può andare.

Aggiungo però un’altra cosa: che ascoltando quanto hanno esposto l’onorevole Bertone prima e poi l’onorevole Nitti, mi sono convinto che in effetto la soluzione da loro proposta è la migliore; e voterò, quindi, a favore dei loro emendamenti. Convengo con essi nel ritenere che la Corte costituzionale rappresenta un pericoloso appesantimento della nostra Costituzione.

L’onorevole Nitti ha proposto che il giudizio di costituzionalità sia deferito alla Corte di cassazione a sezioni unite. Ora, io non ci trovo nulla di strano. (Interruzioni al centro). Naturalmente l’onorevole Perassi ha fatto una giustissima osservazione, da quel grande giurista ch’egli è. Ha, cioè, osservato che la sentenza della Corte di cassazione potrà solamente avere valore per il caso concreto. Ed è logico, perché, se l’efficacia della sentenza della Corte di cassazione potesse estendersi al di là del caso concreto, noi addirittura metteremmo la Corte stessa al di sopra del Parlamento. D’altronde non mi sembra che noi dobbiamo andar oltre, sino a richiedere un giudicato avente efficacia erga omnes. Una volta che la Corte di cassazione abbia pronunciata la incostituzionalità di una legge, spetterà poi al Parlamento, nella sua responsabilità politica, trarne le conseguenze. Il Parlamento, che esprime la sovranità della Nazione, farà come meglio crederà. E se la Suprema Corte di cassazione avrà bene giudicato dell’incostituzionalità della legge, un Parlamento democratico prenderà le opportune decisioni.

PERASSI. E se non le prende?

PRETI. Se poi presupponiamo di essere di fronte ad un Parlamento non democratico, io credo che non valga più né la Corte costituzionale, né la Corte di cassazione, né niente, come dimostrano certi esempi recentissimi.

Però resterebbe da risolvere, naturalmente, un problema: chi giudica cioè dei famosi conflitti fra le leggi dello Stato e le leggi della Regione?

Orbene, sia perché non ho la pretesa di avere una preparazione giuridica tanto notevole da squadernare proposte a tambur battente in tale delicata materia, sia perché mi propongo di essere brevissimo, non voglio stare ad esporre una soluzione di questo problema. Comunque – e faccio un’osservazione che giuristi molto maggiori di me potranno sviluppare – io osservo questo: se le leggi della Regione contrastano con quelle dello Stato – e questo è ammissibile – ebbene, sarà la legge stessa dello Stato ad intervenire, proclamando la nullità delle norme emanate dalle autorità regionali.

Perché non dobbiamo dimenticare che le leggi della Regione sono sì norme legislative, ma norme subordinate nei confronti della legge formale emanata dal Parlamento.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Benvenuti, Bettiol, De Caro Gerardo, Rumor, Vicentini, Cremaschi Carlo, Lazzati, Carbonari, Bianchini Laura, Roselli:

«Aggiungere all’ultimo comma le parole: nonché i ricorsi dei deputati e dei senatori proposti per violazione di legge contro le decisioni di ciascuna Camera in materia di verifica dei poteri».

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. L’onorevole Benvenuti mi ha incaricato di far mio questo suo emendamento. E desidererei parlare prima contro la soppressione dell’intero titolo, e poi sull’emendamento Benvenuti.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, ha facoltà di parlare, nei limiti di tempo consentiti dal Regolamento.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi, come ho detto, mi occuperò innanzitutto della proposta di soppressione dell’intero titolo.

Al termine della nostra attività costituente affiora uno dei problemi più profondamente sentiti nel nostro tempo. Non condivido affatto l’opinione di qualche isolato collega che ha negato l’attualità della questione. Fin dall’inizio dei miei studi giuridici ho notato la preoccupazione degli animi più anelanti alla libertà di giungere a impedire gli abusi del potere legislativo.

I legislatori italiani hanno costantemente mirato a portare la nostra società in condizioni migliori di quelle in cui era nel Medio Evo. Il signore feudale era allora colui che usava ed abusava di ogni potere. Oggi il potere pubblico spetta allo Stato, e, quindi, di fronte allo Stato è necessario poter difendere tutti i cittadini.

Ma se è stato provveduto a impedire gli abusi del potere giudiziario e di quello amministrativo, non sono state ancora trovate garanzie sufficienti contro gli abusi del potere legislativo.

Pongo la mia argomentazione in questi termini: come nel secolo passato si è mirato a realizzare la giustizia amministrativa, così adesso dev’essere nostro compito e nostra fondamentale aspirazione realizzare anche la giustizia legislativa. Dopo avere provveduto a garantire il singolo contro il potere amministrativo dello Stato, dobbiamo preoccuparci di garantirlo contro gli abusi del potere legislativo.

Qui è il problema, qui la sostanza di tutto questo titolo e la ragione per cui noi sosteniamo che l’istituzione di una Corte costituzionale costituisce una garanzia per tutto il sistema, nonostante gli inconvenienti e i difetti che possa presentare il progetto di Costituzione.

Anche quando si trattò di porre un controllo sopra gli atti amministrativi sorsero lo stesso problema e le stesse difficoltà. Difficoltà che adesso esamineremo. Ma come allora si cominciò dall’istituire una quarta sezione del Consiglio di Stato, che ha portato poi allo svolgimento di quel sistema di giustizia amministrativa che oggi viene attentamente studiato da tutti i Paesi del mondo, perché costituisce realmente qualcosa di organico e di completo, così ora propongo di trovare un sistema di giustizia legislativa che possa essere modello anche per i sistemi legislativi delle altre nazioni.

È stato detto che il progetto di Costituzione si è ispirato a modelli stranieri; è stato detto che la Corte costituzionale sarebbe inutile. Respingo l’affermazione secondo cui avremmo imitato ordini costituzionali stranieri.

Noi ci siamo ispirati a quel patrimonio di giurisprudenza, a quel patrimonio di organizzazione giurisdizionale e di legislazione, a cui alludeva il primo oratore che mi ha preceduto stamani. Non vogliamo imitare organizzazioni straniere; vogliamo semplicemente completare il sistema che in Italia può trarre vantaggio dai principî già elaborati in altri rami dell’ordinamento.

Propongo di seguire, per risolvere il problema della giustizia legislativa, un procedimento simile a quello adottato in altri campi, simile a quello che i romani dicevano sistema della fictio, finzione intesa non come menzogna, ma come metodo di plasmare, di fare «come se», secondo il significato latino del verbo «fingere».

Appunto per procedere quasi per analogia mi propongo di esaminare quello che è avvenuto, allorché si è trattato di realizzare la giustizia nell’amministrazione, vedendo se quei principî non possano servirci di insegnamento nel campo legislativo.

Vorrete scusare se qui sollevo in sostanza di nuovo il problema; nella Commissione dei Settantacinque, però, siccome si era vicini al termine, entro cui occorreva completare il progetto, non fu possibile esaminare il problema con tutta la profondità e la tranquillità che l’importanza dell’argomento avrebbe richiesto. Allorché sorse il problema, di ammettere un controllo giurisdizionale sopra gli atti amministrativi, sorse la difficoltà: l’atto amministrativo è atto sovrano; se ammettiamo un controllo su di esso, trasferiamo la competenza a svolgere attività amministrativa in quegli organi che possono sindacare gli atti amministrativi. Si riuscì, tuttavia, a risolvere ugualmente il problema, e in maniera da rispettare il fondamentale principio della divisione dei poteri.

Infatti si utilizzò un organo amministrativo che già esisteva, come il Consiglio di Stato, e gli furono attribuite quelle funzioni di controllo sull’amministrazione che dettero origine alle giurisdizioni amministrative.

Ritengo che, utilizzando gli stessi principî – dei quali si è dimostrata la bontà – noi potremo in maniera analoga fare in modo che sorgano delle giurisdizioni legislative.

Ma la cosa a cui tengo in particolare è che venga affermato il principio: esiste la possibilità di controllo anche sull’esercizio della funzione legislativa.

Senza dubbio sorgono difficoltà, allorché si tratta di stabilire quale sia l’organo che deve essere investito di queste funzioni. A chi attribuire il controllo sulla legislazione?

Innanzi tutto bisogna stabilire di che natura deve esser l’organo. La Corte costituzionale, che noi stiamo per istituire, dovrà – in altri termini – essere organo giurisdizionale o legislativo?

Secondo la mia opinione, per salvare il principio della divisione dei poteri nello stesso modo in cui lo si salvò allorché si trattò di istituire le giurisdizioni amministrative, sarebbe opportuno fare in maniera che i nuovi organi abbiano anch’essi, almeno in un certo senso, natura legislativa. Da qui la necessità che della Corte costituzionale facciano parte anche membri eletti dalle Assemblee legislative.

Questa necessità si desume anche dal fatto che l’organo, a cui si affida la funzione legislativa, normalmente non esercita semplicemente funzioni legislative, ma anche, in un certo senso, un’attività politica intesa come controllo politico. E per controllare la costituzionalità delle leggi è anche necessario l’esercizio di un controllo politico.

È stato detto che non esistono principî di cui la Corte costituzionale debba garantire il rispetto. Ma è proprio su questo punto che sorge il nostro dissenso. Noi abbiamo fede nella esistenza di principî che il legislatore deve semplicemente tradurre in legge.

In altri termini, ci rifiutiamo di aderire alla opinione secondo la quale è legge tutto e soltanto ciò che il legislatore ha positivamente sancito. Abbiamo visto a quali conseguenze abbia portato l’abuso del potere legislativo; e come ogni partito sinceramente democratico si propone di realizzare gli ideali della libertà e della giustizia sociale, così questa giustizia sociale e questa libertà noi vogliamo che vengano garantite anche con un adeguato sistema di giustizia legislativa, che ci garantisca contro gli abusi del potere legislativo.

Senza dubbio gli articoli del progetto presentano alcuni difetti, i quali risentono della rapidità con cui sono stati formulati. Ma i difetti non debbono impedirci di affermare il principio della Corte costituzionale, che ci garantisca appunto contro quel pericolo di statolatria, contro quel pericolo del positivismo giuridico, che ha caratterizzato il secolo scorso, secondo il quale, in base alla concezione hegeliana, il diritto non era altro che la volontà dello Stato. Quello che lo Stato voleva era diritto, anche se in contrasto con le più fondamentali esigenze dell’animo umano. Abbiamo visto nella legislazione razzista le leggi che hanno calpestato i più elementari diritti dell’uomo.

Ho sentito ricordare dall’onorevole Presidente, che ha parlato prima di me, come, alla fine della guerra 1915-1918, si pensasse ai processi per delitti internazionali. Processi che hanno avuto effettivamente luogo dopo la recente guerra mondiale.

Sono stato come osservatore del Governo italiano ai processi che si sono svolti a Norimberga e a Dachau. Ma la mia opinione è diversa dallo scetticismo dell’oratore suddetto, in quanto ritengo che siccome vi sono alcuni fondamentali diritti dell’uomo, che non possono essere violati da abusi della legge, così è necessario che una giurisdizione per difenderli esista. Simile giurisdizione, specialmente all’inizio, avrà i suoi difetti, ma la possibilità di controllo servirà ad impedire abusi futuri e l’abuso delle nostre leggi, l’abuso riscontrabile in alcune leggi, è derivato da questo fatto: che il legislatore si sentiva tranquillo, sentiva che sopra di lui non vi era nessuno in grado di controllare quello che stabiliva essere diritto. Per tale motivo insisto sopra l’affermazione di principio, anche se sarà opportuno limitarsi a pochissime disposizioni. Lasciamo che, come si è evoluto il sistema giurisdizionale amministrativo, così si evolva e perfezioni il nostro sistema di giustizia legislativa.

Come proposta pratica per sanare l’esigenza, cioè per sodisfare l’esigenza del controllo sulla legislazione e sodisfare anche l’esigenza della divisione dei poteri, ritengo sarebbe opportuno fare in maniera che l’organo investito della giurisdizione legislativa fosse emanazione del potere legislativo. Come ottenere simile intento? È un problema che ha le sue difficoltà, ma che potremo risolvere. Mi limito ad esporre una opinione personale che potrà essere studiata, esaminata e sviluppata successivamente. Se per esempio ammettessimo, come nel Belgio, che la Corte dei conti fosse emanazione del potere legislativo, così noi, seguendo un sistema analogo a quello seguito per la giustizia Amministrativa, potremmo istituire una sezione speciale della Corte dei conti, alla quale attribuire appunto le funzioni di Corte costituzionale.

È semplicemente una idea, è un’ipotesi che espongo, una proposta che faccio, appunto perché si tenga presente l’opportunità che l’organo investito della giurisdizione legislativa, per rispettare il principio della divisione dei poteri, venga desunto dallo stesso potere legislativo.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la prego di concludere.

CODACCI PISANELLI. Va bene.

I poteri che devono essere attribuiti alla Corte costituzionale devono essere tali da assicurare effettivamente un controllo. Bisogna distinguere, secondo me, i poteri da attribuire ai giudici ordinari da quelli da attribuire all’Alta Corte. Dovrebbe essere consentito ad ogni giudice ordinario di rilevare l’incostituzionalità di una legge; e, d’altra parte, bisognerebbe anche consentire alla Corte costituzionale di annullare completamente le leggi che risultino incostituzionali. In questa maniera noi arriveremmo a sodisfare nel campo della legislazione quel problema che abbiamo sodisfatto nel campo dell’amministrazione. D’altra parte, se si seguisse il sistema stabilito dal progetto, che cioè, una volta sollevato l’incidente di incostituzionalità, si debba necessariamente andare dinanzi all’Alta Corte, sarebbe facile prevedere la impraticità e dispendiosità del sistema.

In una causa tra persone prive di mezzi finanziari sarebbe necessario rivolgersi all’Alta Corte con perdita di tempo e denaro. Riterrei quindi opportuno consentire al giudice di rilevare l’incostituzionalità, salvo all’Alta Corte di annullare completamente le disposizioni legislative.

Finalmente, fra i poteri da attribuire all’Alta Corte, converrebbe prevedere anche la eventuale competenza a giudicare delle controversie sopra la verifica delle elezioni. Se noi ammettiamo che la verifica delle elezioni sia un atto del Parlamentò – quindi, in un certo senso, un atto di organi legislativi – e se, secondo la mia opinione, si arrivasse a concludere che l’Alta Corte costituzionale deve essere un organo di emanazione del Parlamento, sarebbe essa l’organo più indicato a risolvere simili controversie.

Ma, dalla competenza a giudicare della costituzionalità delle leggi ordinarie si potrebbe poi passare a occuparsi della competenza a esaminare le leggi costituzionali, la stessa Costituzionalità delle leggi costituzionali: problema assai più grave, che dovrebbe essere previsto e bisognerebbe per lo meno consentire un sindacato formale sulle stesse leggi costituzionali alla Corte costituzionale.

In altri termini, ritengo che, per rimediare a quegli abusi che abbiamo visto in un passato molto recente, noi dobbiamo provvedere a garantire il nuovo sistema costituzionale, e, muovendo dalla giustizia dell’amministrazione, dobbiamo giungere alla logica conseguenza delle giurisdizioni legislative. Riprendo, in altri termini, un’aspirazione già sentita in Italia, appunto perché nella legislazione, nell’uso del potere legislativo sono stati frequenti gli abusi.

Molte volte abbiamo sentito uomini di Governo, i quali, a chi gli faceva osservare che il loro operato non era legittimo, rispondevano: «stasera, con un decreto legge vi farò vedere se quello che ho fatto non è legittimo». E se non era il decreto legge, era spesso una vera e propria legge approvata da benevole maggioranze, a trasformare il torto in diritto!

Appunto per impedire questi abusi del potere legislativo, appunto per introdurre nel sistema il controllo sul potere discrezionale degli organi legislativi, i quali devono limitarsi a tradurre in iscritto un diritto che pressiate alla formulazione positiva, appunto per questo ritengo che si possa fare oggi eco al grido che nel 1880 levò Silvio Spaventa; e come egli auspicò «la giustizia nell’amministrazione» così noi oggi, istituendo la Corte costituzionale, possiamo gridare in quest’Aula: «giustizia nella legislazione!». (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli ha proposto di sostituire il secondo comma col seguente:

«Giudica dei conflitti di attribuzione e sulle usurpazioni di potere degli organi costituzionali dello Stato».

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CONDORELLI. Nella discussione di oggi e nelle discussioni precedenti, che a quella di oggi si collegano, è affiorato chiaro che indubbiamente esistono delle funzioni nuove alle quali deve corrispondere un organo nuovo. Perché, indubbiamente, se noi abbiamo predeterminato una Costituzione rigida, vi deve essere il custode di questa Costituzione, cioè chi possa dichiarare che una legge è contraria alla Costituzione. Come anche esiste un istituto nuovo nella nostra legislazione ed è l’istituto della Regione. Sorgeranno quindi conflitti fra Stato e Regioni e conflitti fra Regione e Regione. Dunque, qui il problema non mi sembra sia quello di conservare e sopprimere la Corte costituzionale, ma, se mai, quello dell’organo a cui attribuire queste funzioni, per cui la questione diventa essenzialmente nominale. Certamente la Cassazione, il Consiglio di Stato, come sono oggi previsti nella nostra legge, non sono idonei a risolvere questi conflitti, ad esercitare queste funzioni. Si potrà discutere, in fondo, se queste funzioni bisogna darle ad una Corte costituita tutta da magistrati, come potrebbe essere la Corte di cassazione, ma che ci debba essere un organo che debba esplicare queste nuove funzioni, non si può certamente discutere.

Il nostro emendamento tendeva a due finalità: si voleva prima di tutto aggiungere al controllo della costituzionalità delle leggi quello che è ovvio: il controllo della costituzionalità delle norme giuridiche che hanno il valore di legge. Io non illustro questa parte dell’emendamento, perché è stata già illustrata ampiamente dall’onorevole Perassi. Il nostro emendamento però tende ancora a chiarire e a regolare un punto di una grande importanza, perché per garantire l’osservanza e il retto funzionamento di una Costituzione non basta la dichiarazione di illegittimità sostanziale o formale delle leggi, ma è necessario pure avere un organo che dichiari le usurpazioni di poteri costituzionali. Nel progetto si prevedeva soltanto il conflitto di attribuzioni, ma evidentemente questo non era sufficiente, perché i conflitti di attribuzioni sono o positivi o negativi, a seconda che due organi si ritengano tutti e due competenti a prendere un provvedimento o si ritengano entrambi incompetenti. Questo è il conflitto. Ma vi è una figura più preoccupante di conflitto fra i poteri dello Stato, che è appunto l’usurpazione di poteri, il pericolo maggiore per la stabilità e per la conservazione di una Costituzione. È dunque necessario che la Corte costituzionale, o chi per essa, possa dichiarare l’evento dell’usurpazione, giacché i mezzi pratici attraverso i quali si attaccano le Costituzioni possono essere le leggi, ma comunemente non sono le leggi comuni o costituzionali, ma sono proprio i colpi di Stato, le usurpazioni di poteri, gli straripamenti di poteri.

Dunque l’articolo proposto dal progetto è insufficiente, non provvedendo anche la repressione dell’usurpazione di poteri.

Io vedo sorridere il Presidente, e penso che in lui vi sia l’obiezione che è del resto in me. Questa Corte costituzionale avrà il potere reale di reprimere le usurpazioni di poteri?

Anch’io sono molto scettico su questa possibilità; e l’ho illustrata ampiamente nel discorso fatto in sede di discussione generale sui titoli precedenti. Ma, ad ogni modo, bisogna pure che l’apparato formale sia completo. Io, al punto debito, all’articolo 128, propongo questo: che la Corte costituzionale si possa pronunciare anche di ufficio, senza attendere un ricorso, il quale importa un giudizio che si protrarrebbe nel tempo. Bisogna, appunto, predisporre che la Corte costituzionale possa istantaneamente, con la stessa istantaneità della usurpazione di poteri o del colpo di Stato, dichiarare la illegalità, la incostituzionalità dell’operato del potere straripante o usurpante. Che effetto avrà? Si può essere scettici; ma, comunque, i cittadini avranno indicato precisamente, dall’organo competente, da quale parte sia la illegalità.

Questa io credo sia la portata politica, morale e costituzionale dell’emendamento che noi proponiamo. (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati e Tosato hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 126 col seguente:

«La Corte costituzionale giudica dei ricorsi per violazione di legge costituzionale, escluso qualsiasi sindacato di merito contro gli atti legislativi delle Camere, del Governo e delle Regioni.

«Giudica dei conflitti d’attribuzione, nonché dei conflitti fra Stato e Regioni e fra Regioni».

«Si propone di rinviare la discussione del terzo comma».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Darò brevemente ragione dell’emendamento da me presentato. Anzitutto, si è voluto determinare con esso in modo più specifico di quanto non risulti dal testo del progetto l’ambito di competenza della Corte costituzionale.

Osservo, fra parentesi, che in questo momento io prescindo completamente dai vari problemi che attengono all’organizzazione e al funzionamento di tale organo, sia della sua composizione, sia del procedimento per l’azione di incostituzionalità, sia degli effetti della pronunzia. Noto, fra parentesi, che su questi tre argomenti il progetto è, a mio avviso, gravemente deficiente. Di questo non possiamo fare addebito agli eminenti colleghi che lo hanno elaborato, perché le deficienze in gran parte sono attribuibili sia alle difficoltà della materia, sia alla brevità del tempo concesso per la elaborazione di quest’ultima parte; che, appunto perché ultima, ha subìto una elaborazione meno perfetta, in quanto svoltasi in limiti di tempo più ristretti. La ristrettezza del tempo dedicato, purtroppo, anche a questa discussione in Assemblea – ed i limiti rigidi posti ad essa, limiti che non si sono fatti valere per alcun altro argomento – non potranno certamente giovare al perfezionamento di questo istituto, che pure dovrebbe essere considerato il più importante, perché corona l’edificio ed offre quelle garanzie, in riferimento alle quali si è svolta la nostra ormai lunga attività, rivolta alla elaborazione del testo costituzionale.

Pertanto, richiamata la importanza del problema, notate le deficienze del progetto e riservato ogni parere circa questi punti della composizione del procedimento e degli effetti, il mio emendamento ha lo scopo di delimitare semplicemente la competenza di questo organo, speciale o ordinario (lo vedremo), al quale è attribuita la cognizione della costituzionalità delle leggi, che, come è stato osservato da numerosi oratori, è necessaria in un ordinamento che pone una Costituzione rigida. La Costituzione rigida importa, infatti, un controllo della costituzionalità, anche materiale, e questo potrà essere effettuato in modo diffuso attribuendolo cioè ai giudici di tutti i gradi della giurisdizione, oppure potrà essere concentrato in un solo organo, che a sua volta potrà essere ordinario o speciale. Ma, in corrispondenza alla sensibilità politica della maggioranza dell’Assemblea, la quale nell’elaborare la Costituzione ha inteso attribuire ad essa un carattere di maggiore stabilità nei confronti della legge ordinaria, occorre dar vita ad un congegno il quale assicuri l’osservanza delle norme sancite nella Costituzione. Ora l’emendamento in esame, come dicevo, vuole delimitare in modo più preciso di quanto non faccia il progetto, l’ambito di competenza della Corte, ambito di competenza che, a mio avviso, dev’essere ristretto all’accertamento della violazione di legge costituzionale. Usando quest’espressione in luogo di quella adoperata nel testo del progetto, il quale parla di: «costituzionalità delle leggi», si è voluto rifarsi alla classica distinzione fra violazione di legge ed altri vizi degli atti statali, e così precisare che la violazione sindacabile della Corte è solo quella che si riferisce a norme precise di legge, con esclusione di ogni sindacato di quelle leggi che importino un apprezzamento discrezionale.

Per esprimere con maggiore precisione questo concetto abbiamo aggiunto alle parole: «violazione di legge», l’inciso: «escluso qualsiasi sindacato di merito», sodisfacendo così un’esigenza la quale non era sodisfatta con la generica espressione del giudizio di costituzionalità, adoperata dal progetto che si sarebbe potuto interpretare nel senso di comprendere nel giudizio stesso il sindacato materiale anche delle molte norme elastiche sostenute nella Costituzione, sindacato che importa valutazioni discrezionali, le quali avrebbero trasformato la Corte costituzionale che, secondo il nostro intento, deve essere un organo giurisdizionale, composto quindi di giuristi, in un super Parlamento, vale a dire in un organo politico.

Le stesse esigenze ora fatte valere furono manifestate dall’onorevole Martino in un suo eloquente discorso, e consacrate in un emendamento da lui proposto, e sono stato ribadite in altro emendamento dell’onorevole Mastino Gesumino da lui testé svolto. Ma io penso che fra le tre proposte, quella formulata da me e dall’onorevole Tosato è la più precisa tecnicamente, perché rende meglio il concetto che si vuole esprimere, cioè di escludere dal sindacato materiale della legge quelle norme, rispetto a cui il giudizio di costituzionalità non potrebbe compiersi se non ponendo a criterio precetti e norme di convenienza politica, che non è possibile ed è sconveniente far formulare ad organi giurisdizionali. Inoltre con l’emendamento proposto si vuole precisare che il sindacato è ammesso, oltre che per gli atti legislativi delle Camere, per quelli del Governo (ed in questo ci rifacciamo alla proposta dell’onorevole Perassi, in quanto gli atti legislativi del Governo sono da equiparare alla legge formale) ed anche per le leggi delle regioni. Questa ultima estensione di cui non è traccia altrove, sia nel progetto, che negli emendamenti, è giustificata dal fatto che, secondo l’ordinamento da noi creato, le regioni hanno il potere di legislazione primaria, nei limiti delle direttive generali poste dalle leggi statali. Si sono volute distinguere, secondo il concetto che si è affermato nella Carta costituzionale, le manifestazioni del potere di legislazione primaria delle regioni, dalle altre di carattere regolamentare, e si è infatti parlato dei regolamenti delle regioni, come di atti legislativi secondari in confronto all’attività primaria costituita dalle leggi regionali.

Inoltre, a parte il sindacato di costituzionalità, nei limiti ora visti, la Corte costituzionale dovrebbe giudicare dei conflitti di attribuzione. Ci siamo limitati a riproporre, con questo inciso, la frase classica che si legge nella legge del 1877, che si intitola precisamente ai conflitti di attribuzione. E nella nostra intenzione, la ripetizione di questa dizione, vuole significare che l’esame dei conflitti in parola noi lo vogliamo mantenere nei limiti in cui esso è contenuto dalla legge del 1877. Non credo pertanto di potere aderire alle proposte, formulate or ora dall’onorevole Condorelli, il quale vorrebbe estendere il sindacato della Corte a quelle che egli chiama le usurpazioni di potere di tutti gli organi dello Stato. Questo è un punto molto delicato, sul quale vorrei intrattenere brevissimamente l’Assemblea. Lo stesso onorevole Condorelli, autore della proposta, si è dimostrato scettico sulla possibilità pratica di una effettiva efficienza dell’intervento che fosse in tale materia attribuito alla Corte. Si è dichiarato scettico, e ben a ragione, perché evidentemente, le usurpazioni di poteri, le quali non riescano a trovare, nel giuoco degli organi predisposti per contenere le attività degli organi supremi nell’ambito della loro competenza, i loro naturali freni non potranno certamente trovarli nella pronuncia di un organo giurisdizionale. E neppure può ritenersi che risponda ad una qualsiasi utilità la dichiarazione che si è verificata una frattura della Costituzione. L’onorevole Condorelli ritiene che tale dichiarazione servirebbe ad informare l’opinione pubblica, ma evidentemente, l’opinione pubblica di un paese democratico, non ha bisogno della pronuncia di un consesso di giuristi per apprendere che si è operato, o tentato un colpo di Stato. V’è la opinione pubblica, vi sono i partiti, e tutto quel complesso di istituzioni che in una democrazia devono suscitare le manifestazioni di volontà collettive che determinano le esatte valutazioni sull’attività degli organi costituzionali, e provocano le reazioni necessarie a ristabilire l’ordine. I casi sono due: o queste reazioni vi sono, ed allora non v’è bisogno di una pronuncia da parte dell’organo giurisdizionale, o non vi sono, ed allora la pronuncia rimane lettera morta. Con questa aggravante, che l’affidarsi all’intervento dell’organo giurisdizionale può recare con sé un effetto pratico contro operante, nel senso che induce a rendere meno efficiente quelle resistenze spontanee della pubblica opinione, quelle reazioni politiche che sono le sole veramente idonee a contenere i tentativi di usurpazione di poteri degli organi costituzionali. La fiducia che vi sia un organo il quale decida e tuteli la Costituzione, rende meno efficiente l’azione dei freni politici, perché può indurre nel cittadino che deve azionarli la rinunzia alla diretta osservazione di quelle iniziative ed alla messa in opera di quelle resistenze, che sono le sole, valide a debellare le usurpazioni.

A me pare che, estendere la competenza di un organo costituzionale al caso di conflitti che hanno carattere politico, e che sono espressione di un’alterazione del rapporto delle forze politiche, sia non solo non utile, ma pericoloso, e, quindi, da escludere. L’insufficienza della Corte, al compito che le si vorrebbe attribuire, finirebbe con l’ingenerare il discredito nella sua opera, discredito destinato a ripercuotersi anche sulla parte dell’attività ad essa più propria.

Il mio emendamento, nella sua ultima parte, attribuisce alla Corte anche la conoscenza dei conflitti fra Stato e Regione e fra Regioni, in concordanza, del resto, con il testo della Commissione. Anche questo punto a me pare che abbia una rilevanza costituzionale in conseguenza del carattere di autonomia costituzionale che il progetto ha voluto assicurare alle Regioni. Assumendo siffatta attribuzione di competenza un carattere costituzionale, è giusto la sua garanzia sia affidata all’organo di cui si parla. Mi pare che per questo punto non vi siano quelle ragioni di carattere politico, cui mi sono innanzi riferito.

Circa l’ultimo comma dell’articolo 126, relativo alla questione della competenza pel giudizio sulla responsabilità penale dei Ministri e del Presidente della Repubblica, io faccio osservare che il problema è di una estrema delicatezza. L’Assemblea, a suo tempo, ha rigettato un emendamento Bettiol che tendeva a limitare in un senso strettamente giuridico la responsabilità penale del Presidente della Repubblica. Si è invece approvata una formula, che consente di affermare la responsabilità penale anche per fatti che non costituiscono reati, ai sensi del Codice penale. In questo caso il giudizio cessa di essere strettamente giuridico per assumere carattere di valutazione politica. Ed allora, si rende evidente l’impossibilità di affidare tali valutazioni allo stesso organo, cui si attribuisce la competenza di interpretazione di norme rigide. Le soluzioni possibili sono due: o si integra, per i giudizî di responsabilità, la Corte costituzionale con elementi politici, oppure i giudizî stessi si devono attribuire ad un organo diverso, che garantisca del possesso di una competenza e sensibilità anche politica.

Si rende, pertanto, necessario per questo punto un ripensamento della questione e la presentazione di nuove proposte. Per ora limitiamoci a determinare la competenza ordinaria dell’organo del controllo di costituzionalità, tenendo fermo questo criterio, che quanto più esso si contenga in limiti ristretti, adeguati alle sue possibilità effettive, tanto più si accresce la sua efficienza e si assicura il suo prestigio. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Musolino, del seguente tenore:

«Sopprimere il terzo comma e rinviarlo al Titolo primo, seconda parte del progetto, nel testo seguente:

«Le due Camere, costituite in Alta Corte di giustizia, giudicano il Presidente della Repubblica e i Ministri accusati di reato di alto tradimento».

Ha facoltà di svolgerlo.

MUSOLINO. A me sembra che la Corte costituzionale non debba essere competente a giudicare il Presidente della Repubblica e i Ministri quando siano accusati di reato di altro tradimento, perché la Corte costituzionale, così come è concepita nel progetto, è più un organo tecnico e giuridico anziché politico. Per questo modo la Corte costituzionale non deve giudicare il Presidente della Repubblica che è Primo magistrato della Repubblica; anche perché esso deve essere giudicato, secondo me, dalle Camere che lo eleggono. Infatti il Presidente della Repubblica essendo eletto dalle due Camere riceve il mandato da queste, per cui il reato di alto tradimento, il più grave che possa commettere il Presidente della Repubblica, è di natura squisitamente politica. Ritengo che questa questione sia precisamente di competenza delle Camere riunite in Alta Corte di giustizia. Lo Statuto albertino, nell’articolo 48, prevedeva che i Ministri o i senatori accusati di violazione della Costituzione e di alto tradimento fossero giudicati dal Senato riunito in Alta Corte di giustizia. Noi, trovandoci in caso differente, essendo il Senato e la Camera su parità di costituzione, per essere tutte e due elette dal popolo, tanto i Ministri quanto il Presidente della Repubblica devono essere giudicati dalle due Camere riunite in Alta Corte di giustizia, perché esse, come espressione della sovranità popolare, come organi che eleggono il Presidente e che danno la fiducia ai Ministri, devono avere la competenza di giudicare il Presidente della Repubblica e i Ministri.

Penso che questo comma debba formare un articolo da rimandare al Titolo I, seconda parte del progetto di Costituzione, perché in quella sede si tratta delle due Camere.

La Commissione di coordinamento sarà incaricata di dare il posto dovuto a questo articolo, per cui io raccomando tanto alla Commissione, quanto all’Assemblea di accogliere il mio emendamento.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.15.