ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCCVII.
SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Commemorazione:
Nobili Tito Oro
Presidente
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Federici Maria
Musolino
Grassi
Bettiol
Perrone Capano
Targetti
Colitto
Manntroni
Adonnino
Fabbri
Leone Giovanni
Nobile
Romano
Rossi Paolo
Caccuri
Carboni Angelo
Mastino Pietro
Dominedò
Carpano Maglioli
Filippini
Monticelli
Persico
Uberti
La Rocca
Platone
Bubbio
Coppi
Moro
Interrogazioni con richiesta di urgenza (Annunzio):
Presidente
Di Fausto
Presentazione di una relazione:
Paratore
Presidente
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 17.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Commemorazione.
NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILI TITO ORO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, amorosamente assistito dai familiari e circondato dall’affetto religioso dei compagni, conchiudeva ieri l’altro in Assisi la sua travagliata giornata l’onorevole Giuseppe Sbaraglini, sindaco di quella città, già consigliere comunale di quel Comune e del Comune di Perugia. Presidente dell’ultimo Consiglio provinciale dell’Umbria e deputato per la circoscrizione dell’Umbria e della Sabina per le legislature del 1919 e del 1921, oratore fecondo e penalista insigne. Egli discendeva da illustre famiglia di Assisi, preclara per civiche benemerenze e soprattutto per aver dato insieme con un largo parentado, noto anche nel mondo letterario, cospicuo contributo di sostanze e di sacrifici alla causa della indipendenza e dell’unità d’Italia. Erede di questa tradizione generosa, quando il moto del popolo verso un avvenire più degno si trasferì dal settore politico e patriottico al settore economico e sociale, egli, giovinetto ancora, ne subì il fascino e lo seguì, prima da osservatore, fuori di ogni disciplina politica, goliardicamente, poi da simpatizzante e da assertore, affiancando il movimento dell’Internazionale dei lavoratori, e ne propugnò i principî e ne curò l’organizzazione.
E quando nel 1892 fu costituito il Partito socialista italiano, egli ne accettò il programma e fu fra i fondatori della Sezione socialista di Assisi e di quella di Perugia.
Appena si fu laureato in giurisprudenza, il suo professore di diritto penale, Francesco Innamorati, lo affidò alle cure dell’avvocato Bianchi, celebre assistista del tempo, il quale lo assunse nel proprio studio, prima come praticante e poi come sostituto. Le prime prove che egli dette di cultura, di preparazione, di eloquenza e di accorgimento ne fecero un avvocato degno di partecipare, come partecipò, a fianco dei maestri, ai più clamorosi processi che in quel periodo si celebrarono nell’Umbria e nelle Regioni vicine. In breve egli raggiunse quella rinomanza che lo fece considerare alla pari dei suoi maestri, inserendolo nella triade dei «miracolisti». Di questo suo magico potere di difensore egli fece generosamente e disinteressatamente sempre larga concessione al Partito e ai compagni in tutti i processi politici che si vennero svolgendo, finché poté attendere all’esercizio professionale. E al Partito dette l’autorità della sua voce, per la elevazione delle masse, per il loro miglioramento economico, nei comizi, nelle conferenze e in ogni altra manifestazione politica e sindacale.
La sua elevata parola fu sempre una propaganda di amore e di fratellanza fra i lavoratori e i cittadini di qualsiasi tendenza, da tradursi nella auspicata fratellanza dei popoli coll’abbattimento del «regno della guerra» e delle «barriere scellerate». Nei Consigli del Comune e della Provincia egli profuse sempre i tesori dalla sua saggezza e della sua fede; e quando infierì la più spaventosa delle reazioni, che doveva soffocare nel sangue e nella rovina del Paese l’anelito del popolo aspirante a un po’di giustizia sociale, la sua voce si levò potente in Parlamento, per segnalare la crescente sedizione dei poteri contro la legge, per denunziare coloro che avevano finanziato e organizzato il movimento dei nuovi lanzi, e per reclamarne il disarmo.
Membro della Commissione per le autorizzazioni a procedere, nel luglio 1921 fu relatore della richiesta contro il compagno onorevole professor Agostinone per offese al Re, per incitamento alla disobbedienza e alla guerra civile, e precisò il proprio pensiero sulle responsabilità della monarchia, proponendo alla Camera, che ne accolse le conclusioni, di rifiutare l’autorizzazione.
Ma il campo in cui più rifulsero il suo carattere e la sua fede, fu quello della metodica, eroica resistenza opposta alla ferocia del fascismo umbro, che fece spietatamente di lui, come di tutti i deputati socialisti della Regione, il bersaglio dei colpi più inumani e più audaci. Nessuna violenza gli fu risparmiata: dalle pubbliche manifestazioni di beffa, sotto l’occhio pure beffardo dei commissari di pubblica sicurezza, alle violenze personali, agli assalti alla abitazione, allo studio,… e quando gli furono rese insostenibili anche le condizioni della vita fisica, per non essere causa di ulteriore compromissione per alcuno, egli, generosamente, abbandonò la propria residenza e trasferì altrove l’attività professionale, svolta sempre nella probità più assoluta e nella più scrupolosa austerità della vita.
Giuseppe Sbaraglini ha avuto bensì l’incommensurabile conforto di vedere il tramonto dell’esecrato regime, ma quale tramonto! Già colpito dal male, egli si trovò fisicamente impossibilitato a partecipare al moto sollecitatore degli eventi; così che poté dire, come Virgilio di sé: Libertas sera tamen me respexit inertem. Oggi egli raggiunge lo stuolo dei compagni deputati dell’Umbria, caduti prima di lui: dall’indimenticabile Maestro, Pietro Farini, padre del nostro collega Carlo, a Francesco Ciccotti morto come lui in esilio, al professor Arsenio Brugnola, a Ferdinando Innamorati… Oggi è la volta di Sbaraglini; domani, in un imminente domani sarà la volta dell’ultimo sopravvissuto ormai stanco e carico del fardello delle più irreparabili sciagure…
Onorevoli colleghi, mentre i lavoratori dell’Umbria e della Sabina inchinano abbrunate le purpuree bandiere di fronte alla salma del fiero combattente caduto, il Gruppo Parlamentare Socialista porge ai familiari, all’Amministrazione Comunale di Assisi e alle sezioni di Assisi e di Perugia l’espressione di un cordoglio che non ha confine e la promessa che Giuseppe Sbaraglini sarà ricordato, finché sia santo il sacrificio sofferto per un’idea! (Applausi).
PRESIDENTE. Esprimo la sincera partecipazione dell’Assemblea Costituente al profondo cordoglio in occasione della morte dell’onorevole Giuseppe Sbaraglini.
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
È stato presentato alla Presidenza il seguente ordine del giorno, firmato dagli onorevoli Federici Maria, Delli Castelli Filomena, Rossi Maria Maddalena, Mattei Teresa, Titomanlio Vittoria, Rapelli, Rivera, Storchi, Bellato, Cremaschi Carlo, Salvatore, Raimondi, Firrao:
«L’Assemblea Costituente, considerato che l’articolo 48 garantisce a tutti i cittadini di ambo i sessi il diritto di accedere alle cariche elettive e agli uffici pubblici, in condizione di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, afferma che per quanto riguarda l’accesso della donna alla Magistratura l’articolo 48 contiene le garanzie necessarie per la tutela di questo diritto».
FEDERICI MARIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FEDERICI MARIA. Onorevole Presidente, desidero fare una dichiarazione. Non intendo illustrare l’ordine del giorno, perché dovrei ripetere gli argomenti già esposti stamattina.
Desidero dichiarare, però, che le vicende della votazione di stamattina a proposito dell’articolo 98 e precisamente del comma aggiuntivo, respinto con votazione a scrutinio segreto, impongono una messa a punto circa gli orientamenti di tutti i settori sulla questione che riguarda l’accesso delle donne alla Magistratura.
Poiché ho ragione di ritenere che l’Assemblea abbia respinto l’emendamento aggiuntivo perché formulato in senso generico, propongo all’Assemblea di votare un ordine del giorno che è quello appunto da lei, onorevole Presidente, testé letto.
Non ho altro da dichiarare.
PRESIDENTE. Pongo in votazione questo ordine del giorno.
(È approvato).
Passiamo all’esame dell’articolo 99. Se ne dia lettura.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«I magistrati sono inamovibili.
«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, retrocessi, trasferiti o destinati ad altra sede o funzione se non col loro consenso o con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura, per i motivi e con le garanzie di difesa stabiliti dalle norme sull’ordinamento giudiziario.
«I magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di gradi.
«Il pubblico ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati».
PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati numerosi emendamenti. il primo è dell’onorevole Romano, il quale lo ha già svolto:
«Sostituire l’articolo 99 col seguente:
«I magistrati sono inamovibili.
«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, trasferiti o destinati ad altra sede o funzione se non con il loro consenso o con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura per i motivi e con le garanzie stabilite dall’ordinamento giudiziario.
«Il pubblico ministero gode di tutte le garanzie stabilite per gli altri magistrati.
«I magistrati non possono essere privati della libertà personale se non previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto per il quale sia obbligatorio il mandato di cattura.
L’onorevole Rossi Paolo ha presentato il seguente emendamento, che ha già svolto:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«I magistrati, sia giudicanti che appartenenti al pubblico ministero, sono inamovibili.
Gli onorevoli Musolino e Gavina hanno presentato il seguente emendamento:
«Inserire fra il primo e il secondo comma il seguente:
«La inamovibilità dei magistrati non può durare oltre i cinque anni».
L’onorevole Musolino ha facoltà di svolgerlo.
MUSOLINO. Lo ritiro.
PRESIDENTE. L’onorevole Grilli ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire il secondo comma con i seguenti:
«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio o retrocessi se non con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura per i motivi e colle garanzie di difesa stabiliti dalle norme sull’ordinamento giudiziario.
«Non possono essere trasferiti o destinati ad altra sede o funzione se non col loro consenso».
Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
L’onorevole Grassi ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«Le deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura concernenti la dispensa, la sospensione, il trasferimento e la destinazione ad altra funzione possono essere prese soltanto per i motivi e con le garanzie di difesa stabiliti dalle norme sull’ordinamento giudiziario».
Ha facoltà di svolgerlo.
GRASSI. L’emendamento all’articolo 99 da me proposto si riferisce esclusivamente all’ultimo comma, in quanto, in seguito ad un nuovo testo presentato dal Comitato che tiene presente le osservazioni fatte, così come mi è stato assicurato, io non ho ragione di insistere sulle altre parti dell’articolo 99. Rimane soltanto quella parte che fu rinviata in sede di discussione sull’articolo 97, perché si voleva, prima di fissare la competenza del Consiglio Superiore nei riguardi della Magistratura requirente, stabilire se la Magistratura requirente debba avere tutte le garanzie della Magistratura giudicante.
È questo il concetto espresso nell’ultimo comma del testo della Commissione. Ora, io non so quale sia al riguardo il pensiero della Commissione: mi è stato detto che qualche autorevole componente di essa avrebbe presentato un emendamento in un senso anche più largo di quello che non abbia fatto io. Ciò ad ogni modo vuol dire che la Commissione è divisa su questo punto, né potrebbe essere altrimenti, data la grande importanza che il problema riveste.
Secondo il mio emendamento, per quanto si riferisce ai magistrati del pubblico ministero, le garanzie sono stabilite dall’ordinamento giudiziario. Si tratta, in altri termini, di una disposizione che non pregiudica in modo definitivo le eventuali future modifiche che la legge ordinaria potrà apportare all’ordinamento giudiziario.
La Camera sa infatti che nel testo dell’ordinamento giudiziario originario era stabilito che il pubblico ministero fosse alle dipendenze del Ministro della giustizia; e l’onorevole Togliatti – quando fu Guardasigilli – modificò la disposizione nel senso che il pubblico ministero fosse semplicemente sotto la vigilanza del Ministero della giustizia. Si era così, in tal modo, trovata certamente la formula migliore per rendere possibile il raccordo tra potere giudiziario e potere esecutivo. Inutile infatti che io ricordi a voi che, anche se il pubblico ministero ha dei rapporti con l’autorità giudiziaria, tuttavia le sue preminenti funzioni sono di esecuzione. Il pubblico ministero è quello che promuove l’azione penale, è quello che perseguisce l’azione penale con l’istruttoria, anche con mezzi di polizia, e rappresenta sempre la difesa dello Stato, la difesa della società nel procedimento penale.
Ma non soltanto nel processo penale: anche nel processo civile il pubblico ministero interviene nell’interesse dello Stato e nell’interesse della società, in tutti quei processi in cui questo interesse può essere in gioco e può essere anche prevalente: così, per i giudizi di stato, i giudizi di patrimonio, i giudizi di interdizione, i giudizi in cui, diciamo così, tutto lo stato civile della persona può essere in gioco e in discussione. In questi giudizi è indispensabile l’intervento del pubblico ministero, il quale non interviene come magistrato giudicante, ma interviene come parte in difesa della società e della legge.
Il pubblico ministero interviene in tanti altri casi: in tutti i giudizi di delibazione; interviene in tutte le materie di processo civile in cui è prevalente questo interesse pubblico. E allora non è possibile, con questa vigilanza che il pubblico ministero esercita, anche attraverso la Direzione generale del Ministero responsabile, che esso possa essere trattato alla stessa stregua del giudicante. La legge francese espressamente dice che quelle garanzie, inamovibilità, ecc., sono date soltanto per i magistrati au siege, ossia giudicanti, ma non per quelli che rappresentano il pubblico ministero.
Ora, in conformità a questi principî, i quali sono effettivamente inderogabili – perché, oltre quello che riguarda il processo penale e il processo civile, il pubblico ministero interviene in tutte le altre attività attinenti all’esecuzione, come in tutto il sistema carcerario, come nella vigilanza su tutta l’amministrazione della giustizia nel nome dello Stato – non è possibile che il pubblico ministero non abbia rapporti con le autorità del potere esecutivo.
La formula oggi adottata dalla legge delle guarentigie, ossia che il pubblico ministero è sotto la vigilanza del Ministro della giustizia e che i trasferimenti di sede e i provvedimenti per le attribuzioni di funzioni devono essere fatti, sentito il parere del Consiglio Superiore, il cui parere non è peraltro vincolante, in modo che il Ministro è libero di disporre per i magistrati del pubblico ministero, è una disposizione ch’io ritengo fondamentale per un ordinamento, il quale non vuole staccare completamente la Magistratura dal potere esecutivo, formandone un’entità a sé, da quello completamente avulsa.
D’altra parte, se noi abbiamo stabilito il principio che l’organizzazione e il funzionamento della giustizia dipendono dal Ministro della giustizia, che ne è responsabile di fronte al Parlamento, vorrei sapere di quale responsabilità egli potrebbe essere caricato, se nessuna possibilità di controllo e di vigilanza gli verrà affidata in merito all’ordinamento della giustizia.
Per queste considerazioni, affido all’Assemblea l’importanza di questo emendamento, dal quale può dipendere il funzionamento della giustizia in Italia. Io non credo che alcuno possa preoccuparsi di questa pretesa invadenza del potere esecutivo nel campo giudiziario.
Anche recentemente qualche mio predecessore si è trovato nella necessità di dover prendere dei provvedimenti nei riguardi di funzionari del pubblico ministero; ma di fronte al parere del Consiglio Superiore, pur non essendo questo vincolante, si è fermato, per rispetto della volontà del Consiglio stesso. Questo prova che effettivamente non si abuserà mai di questo potere che il Ministro ha, in quanto che, specialmente in un regime democratico, ogni attività del potere esecutivo è controllata, non solo dalla pubblica opinione, ma anche dal Parlamento, di fronte al quale il Ministro è responsabile. (Approvazioni).
PRESIDENTE. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:
«Al secondo comma sopprimere la parola: retrocessi».
«Monticelli».
«Al secondo comma, sopprimere la parola: retrocessi».
«Colitto».
«Al secondo comma, sopprimere la parola: retrocessi».
«Persico».
«Al secondo comma, sopprimere la parola: retrocessi».
«Castiglia».
«Al secondo comma, sopprimere la parola: retrocessi, e aggiungere: Salvo il caso di flagrante delitto, per cui sia obbligatorio il mandato di cattura, non possono essere privati della libertà personale, se non previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura».
«Caccuri».
«Dopo il secondo comma, aggiungere:
«Non possono essere privati della libertà personale, se non previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto, per cui sia obbligatorio il mandato di cattura».
«Colitto».
«Aggiungere al secondo comma, il periodo seguente:
«Non possono essere privati della libertà personale, se non previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto per cui sia obbligatorio il mandato di cattura».
«Castiglia».
«Sopprimere l’ultimo comma».
«Rossi Paolo».
L’onorevole Bettiol ha presentato il seguente emendamento:
«Sopprimere l’ultimo comma».
Ha facoltà di svolgerlo.
BETTIOL. Ho proposto la soppressione dell’ultimo comma perché non ritengo opportuno che in sede di Costituzione si adotti un principio su cui la dottrina è tanto profondamente divisa. Le funzioni del pubblico ministero non devono essere incapsulate accanto a quelle del giudice, ma devono essere tenute distinte. È proprio dei regimi totalitari il concetto di voler considerare il pubblico ministero come un organo della giustizia, mentre in tutti i regimi liberali esso è considerato come un organo del potere esecutivo.
Quindi insisto su questa proposta di soppressione dell’ultimo comma dell’articolo quale risulta nel progetto di Costituzione.
PRESIDENTE. L’onorevole Grassi ha presentato il seguente emendamento:
«Sopprimere l’ultimo comma».
Ha facoltà di svolgerlo.
GRASSI. Rinunzio a svolgerlo.
PRESIDENTE. Sono stati svolti i seguenti emendamenti:
«Sostituire l’ultimo comma col seguente:
«Il pubblico ministero è organo del potere esecutivo.
«Un particolare corpo di polizia giudiziaria è posto alla sua esclusiva dipendenza».
«Subordinatamente, sopprimere il comma».
«Leone Giovanni».
«All’ultimo comma, alle parole: dei magistrati, sostituire le parole: degli altri magistrati».
«Caccuri».
«Aggiungere, in fine, il seguente comma:
«I magistrati non possono essere arrestati o altrimenti privati della libertà personale, se non previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto per il quale sia obbligatorio il mandato di cattura».
«Carboni Angelo, Lussu, Fietta».
L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire l’ultimo comma col seguente:
«I magistrati addetti al pubblico ministero godono di tutte le garanzie degli altri».
Non essendo l’onorevole Costa presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
Segue l’emendamento dell’onorevole Perrone Capano:
«Aggiungere il seguente comma:
«I magistrati non possono essere privati della libertà personale senza la previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, salvo il caso di flagrante delitto per il quale sia obbligatorio il mancato di cattura».
L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerlo.
PERRONE CAPANO. Questo emendamento mi sembra che opportunatamente integri l’affermazione di indipendenza della Magistratura, in quanto pone il magistrato sullo stesso piano dei deputati nel campo della libertà personale. Il che è apprezzabile, a mio avviso, ed è giusto, in quanto i magistrati, oltre a costituire un ordine superiore al quale abbiamo appunto riconosciuto un assai ampio prestigio con le decisioni di ieri, sono in fondo coloro che dovranno interpretare ed applicare le leggi che il Parlamento avrà deliberato.
PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi hanno presentato il seguente nuovo testo dell’articolo 99, accettato dal Comitato di redazione:
«I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né trasferiti ad altra sede od ufficio, se non dal Consiglio Superiore della Magistratura, in base al loro consenso od a deliberazione del Consiglio per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario.
«Il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare.
«I magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di grado.».
Vi sono ora emendamenti presentati nel corso della seduta antimeridiana o all’inizio di questa seduta. Ne do lettura.
L’onorevole Targetti propone anch’egli la soppressione dell’ultimo comma. Egli sottopone poi all’approvazione dell’Assemblea il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente ritiene che, fino a quando non sia meglio definita la natura delle funzioni e quindi la figura del pubblico ministero, debbano essere integralmente mantenute le garanzie che per il pubblico ministero stabilisce la legge 31 maggio 1946.
L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere questo suo ordine del giorno.
TARGETTI. Onorevoli colleghi, nella Sottocommissione che elaborò il Titolo della Magistratura, quando fu approvato l’ultimo comma dell’articolo in esame, io ebbi a dichiarare che facevo le mie riserve in considerazione del mio convincimento che la posizione del pubblico ministero si può o no equiparare, per ciò che riguarda le garanzie di cui gode di fronte al potere esecutivo, a quelle dei magistrati e dei giudici, solo quando sia stata ben definita la figura che il pubblico ministero ha nel nostro sistema procedurale.
L’Assemblea m’insegna che, in conseguenza della promiscuità delle funzioni che al pubblico ministero sono attribuite, la sua figura non ha oggi contorni precisi.
I precedenti legislativi che si possono richiamare confermano quest’incertezza della sua posizione nell’ordinamento giudiziario.
Basta ricordare che con la legge antica del 1865 i magistrati del pubblico ministero costituivano un ruolo a sé, distinto da quello degli altri magistrati. Poi venne l’unificazione del ruolo, poi venne la formula del testo unico del 1923 ricordato dall’onorevole Grassi, per la quale il pubblico ministero era alle dipendenze del Ministro; ed infine, la disposizione molto più liberale dell’onorevole Togliatti, che è consacrata nel testo vigente dell’ordinamento giudiziario, per la quale il pubblico ministero è sotto la sorveglianza del Ministro e gli viene accordata una seria garanzia di indipendenza dal potere esecutivo, se pure non identica a quella assicurata ai magistrati della giudicante.
L’Assemblea m’insegna che le funzioni del pubblico ministero, così come sono fissate nella procedura vigente, si può dire che siano di carattere misto. Se il pubblico ministero non avesse funzioni giurisdizionali, allora potremmo anche convenire che il pubblico ministero esercita una funzione che molto lo avvicina al potere esecutivo, col quale deve di conseguenza sentirsi, in qualche modo, legato.
Ma quando, come è oggi, il pubblico ministero ha anche dei veri e propri poteri di giurisdizione, quando può decidere di un arresto emettendo un ordine di cattura (si dice ordine e non mandato, ma è perfettamente identico essere arrestati con un ordine o con un mandato); quando – dicevo – si attribuisce al pubblico ministero facoltà di concedere la libertà provvisoria, facoltà di rinviare al giudizio, chiunque comprende che questo magistrato esercita molte delle funzioni che lo parificano, in questo, al magistrato della giudicante. Funzioni che devono portare ciascuno di noi a riconoscere la necessità di garantirne il più possibile l’indipendenza dal potere esecutivo. Ma al tempo stesso, anzi prima di stabilire norme tassative in questo punto, occorre definire la figura di quest’importantissimo magistrato.
In questo senso ho proposto in sede di Commissione e torno a proporre oggi l’abolizione dell’ultimo comma dell’articolo 99, il quale comma dà per risoluta una questione che è ancora da risolvere.
Quando io propongo di togliere: «Il pubblico ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati» non intendo in nessun modo auspicare – mi piace ripeterlo – che il pubblico ministero non goda il massimo possibile di garanzie, ma mi rifiuto ad una equiparazione che, stando le cose come stanno, non mi sembra giustificata.
Questa affermazione precisa ed impegnativa (perché è di carattere costituzionale) sopra l’equiparazione, ai fini delle garanzie, del pubblico ministero con i magistrati giudicanti, non tiene conto di una necessità che dovrebbe essere da tutti riconosciuta, cioè della urgenza – e se non della urgenza, della necessità – di rivedere le norme della nostra procedura. Sarà questa una funzione delle norme di procedura che definiranno la vera figura del pubblico ministero, risolvendo la questione cui alludeva con grande competenza l’onorevole Bettiol, questione che si dibatte nella dottrina; e bisogna riconoscere che nella dottrina una opinione prevalente è quella che il pubblico ministero è magistrato, nel senso di giudice, più che un esecutore di ordini del potere esecutivo. Ma finché questa questione non sarà decisa, a me sembra che non sia da pregiudicare la posizione del pubblico ministero nei riguardi delle garanzie.
E perché non si sospetti che la soppressione di questo comma voglia significare un minore amore alla indipendenza del magistrato, anche dell’inquirente, io propongo – come il Presidente ha ricordato – l’approvazione di un ordine del giorno che metta bene in chiaro che, finché questa definizione definitiva della figura del pubblico ministero non si avrà attraverso le norme di procedura e le disposizioni della legge, restino in vita integralmente (e mi piace insistere sull’avverbio integralmente) tutte le garanzie che al pubblico ministero attribuisce la vigente legge sull’ordinamento giudiziario.
Mi sono permesso di dilungarmi un po’ troppo nell’esposizione delle ragioni che spiegano il mio emendamento, per timore che gli venisse data una interpretazione che si allontani dal concetto e dal proposito a cui è inspirato.
COLITTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLITTO. Dichiaro di aderire al primo comma del nuovo testo presentato dagli onorevoli Conti, Perassi e Leone Giovanni, riservandomi libertà di giudizio per gli altri due commi.
PRESIDENTE. Sta bene.
Gli onorevoli Mannironi, Caccuri, Guerrieri Filippo, Quintieri Adolfo, Romano, Benvenuti, Ferreri, Carboni Enrico, Ponti e Cappi, hanno presentato i seguenti emendamenti al testo formulato dagli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi:
«Al secondo comma, alle parole: od ufficio, sostituire: né destinati ad altre funzioni».
«Nello stesso comma, alla parola: stabilite, sostituire: stabiliti».
L’onorevole Mannironi ha facoltà di svolgerli.
MANNIRONI. Vorrei che i presentatori dell’emendamento, Conti, Leone Giovanni, Perassi, aderissero alla mia proposta e mi dispensassero dall’illustrare quella che è l’evidente necessità di sostituire a quella generica frase: «dispensati o sospesi dal servizio, né trasferiti ad altra sede od ufficio» la seguente: «destinati ad altre funzioni», che precisa meglio quale sia il compito riservato al Consiglio Superiore della Magistratura nel regolare il problema.
PRESIDENTE. L’onorevole Adonnino ha proposto, insieme con gli onorevoli Mortati, Uberti, Nicotra Maria, Salvatore, Gotelli Angela, Conci Elisabetta, Dominedò, Federici Maria, Giordani e De Unterrichter Jervolino Maria, il seguente emendamento:
«Aggiungere il seguente comma:
«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei cittadini idonei che siano chiamati a far parte delle sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari».
L’onorevole Adonnino ha facoltà di svolgere l’emendamento.
ADONNINO. Io mi sono preoccupato, onorevoli colleghi, di queste sezioni speciali che noi aggiungiamo alla Magistratura ordinaria.
Col passo fatto in avanti dalla Commissione, in sostanza, siamo venuti a creare la Magistratura ordinaria con le sezioni specializzate e così le giurisdizioni speciali sono eliminate; non se ne potranno creare più. Quelle che ci sono dovranno essere eliminate. Si mantengono soltanto, come sapete, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e la giurisdizione militare. Per il Consiglio di Stato e la Corte dei conti e per la giurisdizione militare ci siamo preoccupati di fare in modo che queste giurisdizioni speciali abbiano le garanzie necessarie di indipendenza. Ma allora io mi sono preoccupato anche dei cittadini esterni, esperti, che vengono a far parte dei collegi giudiziari della Magistratura ordinaria. Avremo dei collegi composti da magistrati ordinari e da cittadini esperti. Per di più: non è detto in che proporzione gli uni e gli altri saranno; perciò c’è anche da prevedere la possibilità che i cittadini esperti saranno in maggioranza rispetto ai magistrati togati. Io mi preoccupo sempre della giurisdizione tributaria, della materia fiscale e ricordo che nella materia fiscale vi sono le commissioni distrettuali che sono in ogni piccolo paese, piccolo paese in cui di magistrati non vi è altro che il pretore. Dunque volendo formare delle sezioni speciali fiscali si verrà alla conclusione che il pretore sarà in minoranza rispetto ai commissari. Ed allora è di importanza somma il problema. Questi commissari chi li designerà? Questi commissari, questi cittadini idonei, questi esperti, che garanzia di indipendenza avranno? Perché se garanzia di indipendenza non ne avessero nessuna, allora noi avremmo fatto entrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta, cioè non avremmo più la garanzia di questi collegi speciali, malgrado essi facciano parte della Magistratura ordinaria.
Mi si potrà dire che è difficile creare queste condizioni di vera indipendenza, poiché questi cittadini esperti non sono di carriera, ma saranno scelti, così, fra i cittadini comuni. Io però posso rispondere che una garanzia fondamentale, per lo meno, è possibile; cioè che il legislatore futuro potrà dare la garanzia fondamentale di farli designare non dal potere esecutivo, non dal Governo, ma di farli designare dal Consiglio Superiore della Magistratura, a mo’ di esempio, per dimostrare che qualche garanzia di indipendenza è possibile che il legislatore ordinario dia anche ad essi. Appunto perciò mi sono permesso di sottoporre a voi questo punto, che cioè, in sostanza, questi magistrati speciali siano indipendenti e che anche essi abbiano le garanzie di assoluta indipendenza.
Ho posto qui questo emendamento perché in questo articolo 99 mi pare che vi siano delle disposizioni relative alla indipendenza dei magistrati. È opportuno poi forse che questo mio emendamento sia armonizzato e conglobato con le altre disposizioni che garantiscono l’indipendenza delle altre magistrature speciali. In questo senso e per queste ragioni io ho proposto il mio emendamento.
FABBRI. Chiedo di parlare perché desidererei un chiarimento.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
FABBRI. L’emendamento dell’onorevole Adonnino mi pare faccia una certa confusione fra le giurisdizioni amministrative, quali per esempio appunto le commissioni fiscali cui egli si è esplicitamente riferito, e le sezioni speciali della Magistratura ordinaria. Io non penso che la Costituente abbia deliberato di sopprimere proprio tutte le infinite commissioni e giurisdizioni amministrative che non fanno parte della Magistratura ordinaria. Quindi egli prospetta una ipotesi che in gran parte non risponde alla realtà delle nostre deliberazioni.
PRESIDENTE. Forse l’onorevole Adonnino, nello svolgimento del suo emendamento, ha allargato il suo concetto. Infatti il testo dell’emendamento proposto riguarda solo «le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dei cittadini idonei che sono chiamati a far parte delle sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari».
Rimane ancora da svolgere l’ultimo emendamento presentato dagli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi.
Ha facoltà di parlare, a nome della Commissione, l’onorevole Leone Giovanni per esprimere il pensiero della Commissione sugli emendamenti presentati e per illustrare il nuovo testo dell’articolo 99, accettato dal Comitato di redazione.
LEONE GIOVANNI. Onorevoli colleghi, a nome della Commissione risponderò brevemente agli emendamenti che sono stati presentati. Nella medesima sede, per non abusare del vostro tempo, mi occuperò dell’emendamento Conti-Perassi, al quale ho avuto l’onore di apporre la mia firma. Io constato che su molti dei punti disciplinati nell’articolo 99 vi è accordo in tutti i settori; e l’accordo principalmente verte sul principio di riconsacrare nelle garanzie costituzionali l’inamovibilità del giudice che noi abbiamo anche articolato nei confronti dei vari movimenti che può subire la carriera del magistrato. Preferisco pertanto, ai fini del tempo, occuparmi degli emendamenti sui quali la Commissione esprime dissenso o qualche riserva.
Il primo emendamento è quello dell’onorevole Perrone Capano per quanto concerne l’immunità, da fissare in sede costituzionale, dei magistrati. Qui io non prospetto il mio punto di vista personale, per il quale rimando al mio discorso pronunciato il 14 dinanzi a questa Assemblea. Ma, a nome della Commissione, dichiaro che essa è contraria alla consacrazione in sede costituzionale di questo principio che, così come è formulato, sembra non opportuno fissare in questo momento. Noi riteniamo d’altra parte, però, che occorre stabilire in sede propria (e vedremo da qui ad un istante la sede più idonea) le particolari garanzie circa la possibilità di arresto o fermo del giudice, garanzie tali da assicurare e potenziare la sua indipendenza. Ora, queste garanzie potrebbero essere sufficientemente disciplinate in quel settore della legislazione comune o della legislazione procedurale penale e amministrativa che stabilisce particolari condizioni di procedibilità nei confronti di taluni funzionari dello Stato durante l’esercizio delle loro funzioni. Mi riferisco in particolare agli agenti della forza pubblica per i reati commessi in servizio, o al sindaco durante l’esercizio delle proprie funzioni.
Ora, una norma di questa struttura, di tale genere, congegnata in modo da stabilire alcune garanzie per l’indipendenza del giudice – senza assurgere ad una immunità personale vera e propria, per la quale esistono solo pochissimi casi, – ci sembra che sia la soluzione migliore del problema. Sicché la Commissione si fa interprete del vostro sentimento a questo riguardo, nel segnalare al legislatore di domani questa esigenza, rispondente alla necessità di formulare una norma opportuna.
Per quanto concerne l’emendamento Grassi, l’ultimo emendamento al quale ho avuto l’onore di apporre anche la mia firma dopo quella dell’onorevole Grassi, la Commissione esprime il parere di accettare questo emendamento. Io personalmente avrei un altro punto di vista, ma ritiro quel mio emendamento, anzi mi pare che si salvi il mio punto di vista personale in perfetta coerenza con quello dell’onorevole Grassi, che è condiviso anche dalla Commissione. In altri termini io sostenevo che il pubblico ministero dovesse essere ritenuto organo del potere esecutivo; ma lo condizionavo ad una revisione totale di tutto l’ordinamento giuridico e giudiziario italiano. Nella struttura attuale del pubblico ministero, in considerazione delle funzioni attuali del pubblico ministero, stabilire nella Carta costituzionale che è un organo del potere esecutivo, significa una cosa fuori luogo. Sono d’accordo con la Commissione e con l’onorevole Targetti nella dichiarazione che fino a quando esiste questa struttura, questo sistema di diritto sostantivo e processuale civile e penale, è opportuno che restino quelle parziali garanzie che la legge Togliatti ha conquistato al pubblico ministero. Quindi, non tornare indietro nei confronti della legge 31 maggio 1946, fino a quando dura l’attuale sistema giudiziario, nel quale si inserisce il pubblico ministero oggi. Domani, in una integrale riforma di tutto il complesso giudiziario, il legislatore sarà costretto a rivedere le funzioni del pubblico ministero: se deve conservare l’attuale natura anfibia, nella quale le funzioni giurisdizionali sono prevalenti nei confronti delle amministrative, o assegnargli funzioni esclusivamente amministrative ed esecutive. Ricorderò che nel Congresso giuridico forense di Firenze, il professor Delitala accennò all’idea di organizzare il processo penale sul tipo anglosassone, nel quale il pubblico ministero appare come organo di polizia, come l’organo che raccoglie le prime prove. Ora, queste diverse prospettive, che si presentano dinanzi a noi e sulle quali non possiamo fermarci neppure per delibarle, ma che saranno oggetto di una vasta riforma, ci dicono che allo stato attuale non possiamo togliere al pubblico ministero le garanzie conquistate, perché, avendo funzioni sia amministrative che giurisdizionali, non può essere organo del potere esecutivo. Non può essere considerato organo giurisdizionale – e quindi come tale accompagnato da tutte le garanzie del giudice – perché ha punti di contatto con il potere esecutivo. Deve perciò conservare quel parziale complesso di garanzie che egli ha conquistato con la legge 31 maggio 1946; donde quindi l’esattezza della formula proposta dall’onorevole Grassi alla quale, rinunciando al mio emendamento soppressivo, ho aderito anche io e spero che così faccia pure l’onorevole Bettiol.
Mi sono permesso di suggerire all’Assemblea di rimandare alla legge sull’ordinamento giudiziario lo stabilire quali saranno le garanzie del pubblico ministero; e poiché la legge sull’ordinamento giudiziario dovrà essere congegnata in perfetta armonia con la riforma del Codice civile, con la riforma del processo penale ed eventualmente con la riforma del processo civile, quella sarà la sede più opportuna perché, premessa la determinazione delle funzioni future del pubblico ministero, si possa stabilire se aumentare le garanzie o abolirle o ricorrere ad un sistema intermedio.
Per quanto riguarda l’emendamento Mannironi, che chiede che nel fissare l’inamovibilità del giudice si preveda anche il divieto di assegnarlo ad altre funzioni, la Commissione accetta questo emendamento, perché ritiene che sia una chiarificazione di quello che era nella formula della legge abbastanza sufficientemente espresso. Cioè, inamovibilità non soltanto sotto l’aspetto, topografico ma anche sotto l’aspetto funzionale.
Per quanto concerne l’emendamento Adonnino, la Commissione è d’accordo con l’onorevole Adonnino, che occorre indubbiamente formulare una norma. Difficile è formularla, ma occorre. Occorre che si stabiliscano garanzie nei confronti dei membri estranei all’ordine giudiziario. Ora è chiaro che non possiamo chiedere, per gli elementi estranei alla Magistratura, le stesse garanzie dei magistrati, perché quando la legge sente il bisogno di affidare talune funzioni giudiziarie ad elementi estranei, vuol dire che sente la necessità di affidarsi ad elementi che portino quella duttilità e quel minor senso di attaccamento alla stretta formula giuridica che non si può chiedere ai magistrati. Donde l’impossibilità di accompagnarli con tutte le garanzie del magistrato. E, d’altra parte, bisogna mettere in condizioni la società di vedere in costoro i propri giudici, cittadini che, non tanto per l’aspetto della idoneità quanto per l’aspetto della indipendenza morale, la quale si può articolare nelle forme più diverse, possano assicurare la convinzione che questi giudici, tolti dalla società ed immessi negli ordini giudiziari, possano portare il massimo di serenità e di imparzialità.
Accettiamo il principio informatore della formula proposta dall’onorevole Adonnino, con l’intesa che dovrà essere coordinato con le altre norme analoghe, predisposte in altra sede.
Richiamo l’articolo che noi votammo a proposito del Consiglio di Stato e della Corte dei conti: la legge assicura e garantisce le condizioni per l’indipendenza di tali organi nei confronti del Governo.
Con una formula più recente, a proposito dei tribunali militari, volevamo dire lo stesso: che non si può richiedere per la giustizia militare il complesso di garanzie che si richiedono per la giustizia ordinaria; ma occorre stabilire che questo corpo della giustizia militare possa essere garantito nella sua indipendenza funzionale, nei confronti del potere esecutivo, e specificatamente nei confronti del Ministero della difesa.
Questa ulteriore formula proposta dall’onorevole Adonnino sarà congegnata insieme alle altre due, in modo che ne esca una formula unitaria, la quale esprima, sia pure con sfumature di diverse gradualità, questa esigenza che è nell’animo di tutti: affidarsi per talune particolari funzioni giurisdizionali anche ad elementi estranei, ma richiedendo garanzie di serenità e di imparzialità.
NOBILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. Desidero un chiarimento. L’ultimo comma del nuovo testo Conti stabilisce che i magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di grado.
Ora, ad un profano come me, sembrerebbe che questo significhi che per i magistrati non debbano esservi i gradi come per gli altri funzionari dello Stato. È esatta questa mia interpretazione?
PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di rispondere per la Commissione.
LEONE GIOVANNI. Questa formula esprime questa nostra opinione: che, essendosi creato l’ordine giudiziario, nel seno di questo ordine occorre una gerarchia di funzioni. Così la Corte di cassazione è la competenza più alta rispetto agli organi inferiori di merito; ma in questa gerarchia non devono giocare i gradi come per gli impiegati dello Stato. Non occorre per la Magistratura mantenere quella diversità di gradi che, se non erro, è dovuta al fascismo, cioè la equiparazione ai gradi militari. Occorre cominciare a sgretolare questo sistema di equiparazione, di gradi. Occorre sovrattutto esprimere questo desiderio e questa aspirazione: che in seno alla Magistratura non si discuta di gerarchia di gradi (non ci sia un grado IX; inferiore all’VIII, rispetto al quale deve mantenere un particolare contegno di obbedienza e di subordinazione), ma che ci siano diversità di funzioni, cioè di attribuzioni di organi, che possono essere maggiori o minori, ma esprimono maggiore o minore ampiezza di giurisdizione, non di grado.
PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori degli emendamenti se, dopo le considerazioni fatte dall’onorevole Leone Giovanni a nome della Commissione, li mantengono.
Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento.
ROMANO. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Rossi Paolo?
ROSSI PAOLO. Rinunzio ai miei emendamenti, aderendo a quelli dell’onorevole Grassi.
PRESIDENTE. Non essendo l’onorevole Grilli presente, il suo emendamento s’intende decaduto.
L’emendamento dell’onorevole Grassi è stato accettato dalla Commissione.
Gli emendamenti degli onorevoli Monticelli, Colitto, Persico e Castiglia relativi alla soppressione al secondo comma della parola «retrocessi», sono stati accettati dalla Commissione.
Onorevole Caccuri, mantiene i suoi emendamenti?
CACCURI. Per quanto riguarda la proposta di soppressione della parola: «retrocessi», essa è stata accolta dalla Commissione. Mi rimetto alla formula dell’onorevole Targetti, per quanto concerne i magistrati del pubblico ministero.
Rinunzio, poi, al mio emendamento aggiuntivo.
PRESIDENTE. Poiché gli onorevoli Colitto, Castiglia e Costa non sono presenti, i loro emendamenti si intendono decaduti.
Onorevole Bettiol, mantiene l’emendamento?
BETTIOL. Lo ritiro.
PRESIDENTE. L’onorevole Carboni mantiene il suo?
CARBONI ANGELO. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Leone non vi insisto.
PRESIDENTE. E lei, onorevole Perrone Capano?
PERRONE CAPANO. Non insisto.
PRESIDENTE. Lei, onorevole Mannironi?
MANNIRONI. Il mio testo è stato per una parte accettato dalla Commissione; per l’altra parte lo mantengo.
PRESIDENTE. Onorevole Targetti, insiste nel suo ordine del giorno?
TARGETTI. Lo mantengo.
LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. Tenendo conto delle osservazioni formulate in Assemblea, poiché, per quanto a mio avviso erroneamente, potrebbe dubitarsi del vero significato delle parole: «e non di gradi» e poiché intendo esprimere, come ho detto testé, che c’è una gerarchia nella Magistratura, ma si tratta di una gerarchia di funzioni giurisdizionali, senza peraltro rinnegare quel minimo d’interna gerarchia amministrativa che è indispensabile in seno a ciascun collegio, la Commissione ritiene di poter sopprimere le ultime parole: «e non di gradi». Di modo che la formulazione del comma verrebbe ad essere la seguente: «i magistrati si distinguono soltanto per diversità delle funzioni». (Approvazioni).
MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MASTINO PIETRO. Avevo presentato un emendamento relativo all’arresto dei magistrati da limitare ai casi di flagranza di delitto, ed alla possibilità di inserire questa disposizione in un articolo 100-bis ma siccome questo argomento è stato già discusso, dichiaro di ritirare il mio articolo aggiuntivo, anche perché l’onorevole Leone Giovanni ha detto che l’argomento sarà esaminato in sede legislativa.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del testo degli onorevoli Conti, Leone Giovanni e Perassi, accettato dalla Commissione.
GRASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI. Sarebbe meglio, a mio parere, votare sul testo originario della Commissione.
Infatti c’è una differenza, che in un primo tempo non avevo notato, fra l’uno e l’altro testo.
PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni ha detto che la Commissione accetta che si voti su questo nuovo testo.
GRASSI. Io avevo accettato il testo della Commissione ed avevo presentato un emendamento all’articolo 97, che poi fu rimandato in questa sede; ossia, in merito al trasferimento su domanda del magistrato. Il quesito è se sia sempre necessario il parere deliberante del Consiglio Superiore della Magistratura. Secondo il testo originario, non ve ne era bisogno e i trasferimenti si potevano fare, o su domanda, o senza domanda, da parte del Consiglio Superiore che assicurava le garanzie necessarie. Invece, nel nuovo testo della Commissione si dice che i magistrati «non possono essere trasferiti ad altra sede o ufficio», mentre sarebbe stato meglio dire «ad altra sede o funzione».
LEONE GIOVANNI. Ma abbiamo accettato questa formulazione.
PRESIDENTE. Onorevole Grassi, c’è un emendamento accettato dalla Commissione a tenore del quale, invece di dire «o ufficio», si dice «né destinati ad altre funzioni».
GRASSI. E questo era un punto importante. Poi ve ne è un altro sostanziale. Dice il testo: «se non dal Consiglio Superiore della Magistratura, in base al loro consenso»; sicché la Commissione ritiene che anche quando vi sia il consenso da parte del magistrato, sia sempre necessario domandare il parere del Consiglio Superiore. Questa può essere una tesi, ma può essere anche una tesi superflua, nel senso che questo non fa che creare impaccio a quelle numerose proposte di trasferimento che vengono su domanda, per cui io non capisco la necessità di sentire il parere del Consiglio Superiore.
L’onorevole Presidente della Commissione ha detto che è sempre bene che i trasferimenti siano fatti sotto la direzione del Consiglio Superiore, perché vi potrebbero essere domande di due o più magistrati per la stessa sede. Può esser vero questo, ma normalmente assicuro che una delle preoccupazioni continue, giornaliere per le necessità di servizio, è quella di poter adibire i funzionari magistrati in sedi meno ambite e meno richieste. E se specialmente in questo caso capita una domanda da parte di un magistrato non credo che vi sia la necessità di dover ricorrere al parere del Consiglio Superiore.
Io ho esposto il mio punto di vista. La Commissione dirà se mantiene o no la sua formula. PRESIDENTE. Onorevole Grassi, vi è l’emendamento Romano il quale appunto, fra l’altro, offre all’Assemblea una decisione in ordine alla questione che lei ha posto. La Commissione ha esaminato tutti gli emendamenti ed è venuta alla determinazione di proporre un’altra formula. Io la sottoporrò all’Assemblea per la decisione, ma ritengo che allo stato dei fatti sia inutile chiarire ancora un punto che è stato sufficientemente chiarito. Ma se l’onorevole Leone Giovanni lo ritiene necessario, lo autorizzo ancora a parlare.
LEONE GIOVANNI. Faccio osservare all’onorevole Grassi che stamani mi sono già occupato di questo problema e che la Commissione ha espresso quel parere che adesso rinnova mediante la mia modesta persona, che cioè non si possa accettare nessun altro emendamento di questo genere. E ciò per due ragioni: una di carattere strutturale ed una di carattere sostanziale. Di carattere strutturale: perché, avendo noi congegnato il Consiglio Superiore come l’organo di governo della carriera del magistrato (che incomincia con le assunzioni, salvo a vedere se il decreto lo firma il Ministro o il Capo dello Stato, e finisce col collocamento a riposo), costituirebbe una rottura dell’armonia di questo governo del Consiglio Superiore il volere sottrarre al Consiglio Superiore stesso la facoltà di provvedere al trasferimento su domanda.
Di carattere sostanziale: perché sembra alla Commissione che sia questa la materia in cui possano intervenire interferenze di carattere politico. Per un primo aspetto, infatti, vi può essere una pluralità di domande inerenti alla stessa sede e toccherà all’organo competente di prescegliere. Cosicché assegnare al Ministro il potere di scegliere tra le diverse domande, significa restituire al Ministro quella possibilità di discrezionalità che noi abbiamo voluto togliere al Ministro e dare ad un organo apposito. Inoltre, occorre, anche se esiste una sola domanda, un giudizio di opportunità per quella determinata sede, dato in base alla idoneità del magistrato che vi aspira; occorre cioè anche che l’organo che deve trasferire ritenga che quel magistrato per i suoi precedenti di carriera, ecc., possa ricoprire quella determinata funzione in quella determinata sede.
Ora, questo giudizio di merito che noi vogliamo dare al Consiglio Superiore, può essere un giudizio suscettibile di carattere personale, politico ecc. La questione era quindi quella di sottrarre o meno la carriera del magistrato alla influenza del potere esecutivo. E perciò, la Commissione ritiene di non accettare l’emendamento proposto e prega l’Assemblea di votare sulla formula della Commissione stessa.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 99.
Pongo in votazione il primo periodo del primo comma così formulato:
«I magistrati sono inamovibili».
(È approvato).
Passiamo al secondo periodo del primo comma:
«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né trasferiti ad altra sede, né destinati ad a tre funzioni se non dal Consiglio Superiore della Magistratura in base al loro consenso o a deliberazione del Consiglio, per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario».
L’onorevole Romano ha proposto il seguente emendamento:
«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, trasferiti o destinati ad altra sede o funzioni se non con il loro consenso o con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura».
DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMINEDÒ. Dichiaro che noi voteremo per il testo della Commissione, e quindi contro l’emendamento, cioè facendo capo al concetto per cui il provvedimento deve sempre promanare dal Consiglio Superiore della Magistratura.
PRESIDENTE. Pongo in votazione allora, la parte introduttiva di questo periodo, che è comune al testo della Commissione ed all’emendamento dell’onorevole Romano. La formulazione è la seguente:
«Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né trasferiti ad altra sede, né destinati ad altre funzioni».
(È approvato).
Pongo in votazione la formulazione dell’onorevole Romano, nella parte che modifica il testo della Commissione:
«se non con il loro consenso o con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura».
(Non è approvata).
Pongo in votazione la formulazione della Commissione:
«se non dal Consiglio Superiore della Magistratura, in base al loro consenso od a deliberazione del Consiglio per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario».
(È approvata).
Pongo in votazione il secondo comma nel testo della Commissione:
«Il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare».
(È approvato).
Pongo in votazione l’ultimo comma nel testo della Commissione quale risulta modificato con l’inclusione degli emendamenti accettati dalla Commissione:
«I magistrati si distinguono soltanto per diversità delle funzioni».
(È approvato).
Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Grassi e Leone Giovanni, accettato dalla Commissione:
«Il pubblico ministero gode le garanzie stabilite dall’ordinamento giudiziario».
(È approvato).
Passiamo all’emendamento presentato dall’onorevole Mastino Pietro:
Art. 99-bis.
«Ogni magistrato esercita in modo autonomo le proprie funzioni. Ai capi spetta la direzione amministrativa degli uffici giudiziari e la sorveglianza circa la condotta e le attitudini dei magistrati e dei funzionari ed ausiliari dell’ordine giudiziario».
L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
LEONE GIOVANNI. La Commissione ritiene che questa non sia la sede opportuna per inserire una norma di tal genere. Il principio è già introdotto nel comma testé votato. È chiaro che l’organizzazione della Magistratura è su quella base; l’organizzazione amministrativa dei Corpi e Collegi sarà disciplinata dalla legge sull’ordinamento giudiziario.
PRESIDENTE. Onorevole Mastino Pietro, conserva il suo emendamento?
MASTINO PIETRO. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Passiamo all’ordine del giorno presentato dall’onorevole Targetti.
TARGETTI. Dato il tenore dell’emendamento aggiuntivo Grassi-Leone votato dall’Assemblea, ritiro l’ordine del giorno da me proposto.
PRESIDENTE. Sta bene. L’articolo 99 risulta, nel suo complesso, così approvato:
«I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né trasferiti ad altra sede, né destinati ad altre funzioni se non dal Consiglio Superiore della Magistratura in base al loro consenso o deliberazione del Consiglio per i motivi e con le garanzie di difesa stabiliti dall’ordinamento giudiziario.
«Il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare.
«I magistrati si distinguono soltanto per diversità delle funzioni.
«Il pubblico ministero gode le garanzie stabilite dall’ordinamento giudiziario».
Passiamo all’articolo 100. Se ne dia lettura.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«L’autorità giudiziaria può disporre direttamente dell’opera della polizia giudiziaria».
PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha proposto di sopprimerlo. Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgere l’emendamento.
Gli onorevoli Carpano Maglioli e Targetti hanno anch’essi presentato un emendamento soppressivo. L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerlo.
CARPANO MAGLIOLI. Rinunzio, per mio conto, a svolgerlo.
PRESIDENTE. Onorevole Targetti?
TARGETTI. Rinunzio anch’io a svolgerlo.
PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La polizia giudiziaria dipende esclusivamente e direttamente dall’autorità giudiziaria».
Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
Sono stati già svolti i seguenti emendamenti:
«Sostituirlo col seguente:
«L’autorità giudiziaria dispone direttamente dell’opera della polizia giudiziaria e può richiedere l’intervento delle forze armate dello Stato».
«Monticelli».
«Sostituirlo col seguente:
«È istituito un corpo speciale di polizia giudiziaria, posto alla diretta ed esclusiva dipendenza dell’autorità giudiziaria. A questa spetta, inoltre, il controllo sul funzionamento degli istituti di prevenzione o di pena».
«Romano».
«Sostituirlo col seguente:
«L’autorità giudiziaria ha alle sue dirette dipendenze un corpo specializzato di polizia giudiziaria».
«Persico».
«Sostituirlo col seguente:
«La polizia giudiziaria per la repressione dei reati e per l’esecuzione delle pronuncie giurisdizionali è posta alla diretta dipendenza dell’autorità giudiziaria».
«Caccuri».
«Sostituirlo col seguente:
«L’autorità giudiziaria dispone dell’opera della polizia giudiziaria, che è alle sue dirette dipendenze.
«Può anche disporre di ogni altro corpo di polizia e può richiedere l’intervento delle forze armate dello Stato».
«Castiglia».
Gli onorevoli Ghidini, Filippini e Rossi Paolo hanno presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La polizia giudiziaria dipende direttamente dalla autorità giudiziaria».
In assenza dell’onorevole Ghidini, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Filippini.
FILIPPINI. Dirò poche parole per spiegare la portata e il valore del nostro emendamento. E ciò non tanto ai fini del voto, ché anzi, se altri colleghi i quali hanno presentato un emendamento simile – starei per dire uguale – non lo ritireranno, io sarei disposto a ritirare il mio.
Il nostro emendamento intanto mi pare abbia il pregio della brevità e della chiarezza. Il testo del progetto, all’articolo 100, reca: «L’autorità giudiziaria può disporre direttamente dell’opera della polizia giudiziaria». Noi, con il nostro emendamento, diciamo invece molto semplicemente che la polizia giudiziaria dipende esclusivamente dall’autorità giudiziaria.
Ora, mi pare evidente che il testo proposto dal progetto porti ad una confusione di poteri tra l’autorità giudiziaria e il potere esecutivo. Non si sa bene infatti, secondo questo testo, se tale organo di polizia giudiziaria dipenda dall’una oppure dall’altro e mi sembra che questo inconveniente, che questa ambiguità, vada senz’altro evitata, anche se non si può considerare questa una questione di gran rilievo.
Che la polizia giudiziaria sia disciplinata, sia regolata, sia pagata dal potere esecutivo, non ha grandissima importanza. A mio avviso, l’importanza maggiore sta invece nel fatto di sapere se la polizia giudiziaria prenda norma, indirizzo, impronta, dall’un potere o dall’altro.
Ora, onorevoli colleghi, a me sembra che una risposta sarebbe quasi implicita nella definizione di questo organo, che è chiamato appunto di «polizia giudiziaria», e che si potrebbe quindi venire senz’altro alla conclusione che esso debba dipendere dall’autorità giudiziaria.
Ma oltre a questo io vi prego di considerare che quest’organo di polizia giudiziaria non deve essere confuso eventualmente con altre Forze armate dello Stato, che possono essere chiamate talvolta a difendere l’ordine pubblico. Quest’organo di polizia giudiziaria deve essere considerato come la prima ruota della macchina della giustizia. In sostanza, è un organo che si mette immediatamente, starei per dire improvvisamente a contatto con la libertà dell’individuo, del cittadino; e può avere il diritto di sopprimere anche questa libertà individuale del cittadino. Io debbo ricordare che noi abbiamo già approvato in questo progetto di Costituzione delle disposizioni, nelle quali è già considerato l’intervento di questo organo. Esso interviene, ad esempio, per quello che riguarda la disposizione contenuta nell’art. 8 del testo approvato della Costituzione; interviene anche per la disposizione contenuta nell’articolo 16 dello stesso testo, e che si riferisce precisamente all’opera che questo organo di polizia giudiziaria deve espletare, sia pure in un primo tempo soltanto e per breve tempo. Anzi, si dirà a questo proposito che la cosa non ha molta importanza, in quanto l’organo di polizia giudiziaria agisce per poco, per 48 ore, dopo di che deve cedere il suo potere all’autorità giudiziaria.
Ma, anche a questo proposito, io trovo che questo è un argomento di più a favore della nostra tesi. Se c’è questa correlazione di opera tra l’organo della polizia giudiziaria e l’autorità giudiziaria, mi pare che sia di tutta evidenza rendere interdipendenti tanto l’organo di polizia giudiziaria come l’autorità giudiziaria.
Ma v’ha di più. Come ho già accennato, la polizia giudiziaria interviene nei primi atti del procedimento penale, per la scoperta del latto delittuoso, per la scoperta anche delle prove del delitto che è stato commesso. E allora, nelle prime 48 ore, può arrestare, può entrare nel domicilio, può operare delle perquisizioni, può procedere all’interrogatorio dell’imputato, sia esso colpevole o innocente. Si tratta di atti preliminari, ma che possono essere anche definitivi.
E allora, così stando le cose, è evidente che il problema che si pone è questo: con quale indirizzo, sotto quale responsabilità questo organo di polizia giudiziaria compie l’opera sua? Chi ne risponde?
Abbiamo detto, nell’articolo 8 già votato dall’Assemblea, che questi primi atti per la scoperta del reo devono avvenire senza usare minimamente violenza o fisica o morale. Ricordo anche la disposizione dell’articolo 16; quando si tratti, ad esempio, di reati di stampa, è consentito a questo organo di polizia giudiziaria, quando l’autorità giudiziaria in sé e per sé non possa intervenire, in un primissimo tempo di arrivare anche al sequestro preventivo della stampa periodica. Ora, si tratta di atti di notevole importanza, e si tratta, quindi, di stabilire se l’organo della polizia giudiziaria debba rispondere di ciò con una propria responsabilità e di sapere, finalmente da quale organo superiore esso dipende. Questo organo di polizia giudiziaria dipende dal potere esecutivo? Dipende dal potere o dall’autorità giudiziaria?
Secondo il testo della legge non dipende né dall’uno né dall’altro, e allora si verificano più che mai degli arbitrî in un momento così grave come quello al quale vado accennando.
È quindi questione non di piccoli rilievi ma di problemi che attingono proprio alla nostra sensibilità e responsabilità per l’ordinamento democratico della nostra Costituzione.
Si tratta di sapere se quest’organo di polizia giudiziaria abbia da dipendere da un potere o dall’altro. In questo caso diciamo che esso deve dipendere direttamente ed esclusivamente dall’autorità giudiziaria. Non arriveremo con questo ad eliminare gli inconvenienti, a rendere perfetta l’opera di questo istituto che in questo momento, in questo punto della nostra Costituzione noi andiamo ad affermare. Ma pare a me che bisogna uscire dall’equivoco, che bisogna rendere chiaro e preciso il funzionamento della polizia giudiziaria.
Ecco perché noi abbiamo proposto questo emendamento sul quale attiriamo l’attenzione dell’Assemblea. Se noi diremo che questo organo dipende dal potere esecutivo, a mio avviso non avremo fatto un passo innanzi; probabilmente ne avremo fatto uno indietro. Se invece faremo dipendere l’organo di polizia giudiziaria dalla stessa autorità giudiziaria che all’indomani dei primi atti dovrà raccogliere e coprire con la propria autorità quanto è stato compiuto, io credo che avremo fatto qualcosa che si intona al migliore spirito della Costituzione; avremo contemperato meglio i diritti dello Stato e quelli del cittadino della nuova Repubblica. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue un emendamento dell’onorevole Varvaro, del seguente tenore:
«Sostituirlo col seguente:
«La polizia giudiziaria dipende esclusivamente e direttamente dall’autorità giudiziaria».
Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
Prego ora l’onorevole Leone Giovanni di esprimere il pensiero della Commissione sugli emendamenti.
LEONE GIOVANNI. Per quanto concerne gli emendamenti che sono stati presentati sull’articolo 100, la Commissione si è trovata presente a due ordini di emendamenti di diversa essenza.
Un primo gruppo è quello in cui possono rientrare quelli degli onorevoli Romano, Persico, Varvaro, e quello dell’onorevole Filippini.
Questo primo gruppo di emendamenti chiederebbe, sia pure con una diversa gradualità, la istituzione di un corpo di polizia giudiziaria particolare alle dipendenze della autorità giudiziaria.
Ora, la Commissione sente in misura notevole la importanza e l’urgenza di questo problema. Chi ha cognizione diretta del funzionamento del magistero penale in Italia deve dolorosamente constatare come l’autorità giudiziaria spessissimo si trovi in condizioni di assoluta impotenza di fronte agli organi di polizia.
Esiste una disposizione nel nostro ordinamento processuale per cui la polizia giudiziaria dipende dal pubblico ministero. Ma questa norma non funziona, in quanto, di regola, la polizia acquisisce i primi elementi che sono i più importanti e li porta all’autorità giudiziaria in un momento così tardivo da rendere infruttuoso e insufficiente il suo intervento.
Quindi noi formuliamo in questo momento l’augurio, in maniera veramente calorosa, che l’Italia si trovi in condizioni, anche sotto l’aspetto economico, da poter istituire un corpo di polizia giudiziaria speciale, autonomo, e come tale soltanto alle dipendenze dell’autorità giudiziaria, senza l’interferenza di nessun altro organo amministrativo.
Ma in questo momento ci sembra che non si possa inserire nella Costituzione una formula di questo genere, a meno che non si voglia inserire una formula inattuale. Se vogliamo congegnare formule costituzionali esponenti aspirazioni ed auguri; e in tal caso la Costituzione diventa qualche cosa che vive nel nostro animo, ma è inattuale nella realizzazione. Ma, se dobbiamo esprimere formule che rispecchino le possibilità attuali e concrete, non possiamo andare oltre l’affermazione contenuta nel secondo gruppo di emendamenti.
Quindi, partendo dal concetto espresso da noi, è opportuno inserire nel testo costituzionale la formulazione contenuta nel secondo gruppo di emendamenti, che fanno capo a quello che porta le firme degli onorevoli Ghidini, Filippini e Rossi Paolo, nel quale emendamento non si parla di dipendenza esclusiva della polizia giudiziaria dall’autorità giudiziaria, ma di dipendenza diretta.
Non potremmo in questo momento dire dipendenza esclusiva, ma ribadiamo la dipendenza diretta, sia pure migliorando la formula del progetto: formula che esprima questo vincolo di dipendenza diretta della polizia giudiziaria, senza alcuna ingerenza o interferenza di altri organi, dall’autorità giudiziaria.
Le leggi, che saranno informate ed elaborate in ossequio alla Costituzione che stiamo votando, dovranno tener conto di questa attuale formulazione per ribadire, sia pure nei limiti delle possibilità dell’amministrazione italiana, questa diretta dipendenza della polizia giudiziaria dall’autorità giudiziaria.
È quindi ovvio che la Commissione accetta la formula dell’emendamento Ghidini-Filippini-Rossi Paolo: «La polizia giudiziaria dipende direttamente dall’autorità giudiziaria».
PRESIDENTE. Non essendo presenti gli onorevoli Costa, Carpano Maglioli, Targetti, Rescigno, Castiglia e Varvaro, i loro emendamenti si intendono decaduti.
Domando all’onorevole Monticelli se insista nel suo emendamento.
MONTICELLI. Insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Romano, mantiene il suo emendamento?
ROMANO. La Commissione ha accettato la formula dell’onorevole Ghidini, sostanzialmente identica alla mia. Quindi non insisto.
PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?
PERSICO. Lo ritiro e lo trasformo in un ordine del giorno così formulato:
«L’Assemblea Costituente fa voti per la creazione di un corpo specializzato di polizia alle dirette dipendenze dell’autorità giudiziaria».
PRESIDENTE. Onorevole Caccuri, mantiene il suo emendamento?
CACCURI. Aderisco alla formula dell’onorevole Ghidini, che sostanzialmente è simile alla mia.
PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni ha dichiarato che la Commissione accetta la formula degli onorevoli Ghidini, Filippini e Rossi Paolo nel seguente testo: «La polizia giudiziaria dipende direttamente dall’autorità giudiziaria». Ora l’onorevole Ghidini ha proposto che la parola «direttamente» sia sostituita dall’altra: «esclusivamente». Pertanto il testo dovrebbe essere il seguente: «La polizia giudiziaria dipende esclusivamente dall’autorità giudiziaria».
ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROSSI PAOLO. Io, quale altro firmatario dell’emendamento Ghidini, mantengo la parola «direttamente».
LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. Ripeto che la Commissione fa sua la formula: «La polizia giudiziaria dipende direttamente dall’autorità giudiziaria».
PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Ghidini, si intende che decade questa sua modificazione a meno che non vi insista l’onorevole Filippini.
FILIPPINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FILIPPINI. Avrei preferito la parola «esclusivamente» come nella proposta dell’onorevole Ghidini. Comunque, non insisto.
UBERTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UBERTI. Vorrei domandare alla Commissione che cosa intenda con la parola «direttamente»; se intenda che si debba costituire un corpo di polizia nuovo, o no.
PRESIDENTE. L’onorevole Leone ha facoltà di rispondere.
LEONE GIOVANNI. La Commissione preventivamente ha già chiarito il suo punto di vista che proprio accetta «direttamente», respingendo «esclusivamente», perché non ritiene che in questo momento sia configurabile un corpo di polizia giudiziaria che sia alle dipendenze dell’autorità giudiziaria. Segnala questo «esclusivamente» come un voto di prossima realizzazione per la formazione di un corpo di polizia giudiziaria particolare, speciale, che, come tale, sganciato dalle altre amministrazioni statali, possa mettersi anche alle esclusive dipendenze dell’autorità giudiziaria, così come è nella formula dell’ordine del giorno testé presentato dall’onorevole Persico.
PRESIDENTE. Resta, pertanto, l’emendamento dell’onorevole Monticelli, già svolto, e che risulta del seguente tenore:
«Sostituirlo col seguente:
«L’autorità giudiziaria dispone direttamente dell’opera della polizia giudiziaria e può richiedere l’intervento delle forze armate dello Stato».
MONTICELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MONTICELLI. Vorrei precisare che in seguito ad un più attento esame mi pare che la formula Filippini-Ghidini raggiunga di più lo scopo a cui volevo arrivare, cioè che fosse messo un corpo di polizia giudiziaria a disposizione dell’autorità giudiziaria. Ritiro quindi il mio emendamento.
NOBILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. Vorrei chiedere un chiarimento. Con la dizione che viene adottata, secondo cui la polizia giudiziaria dipende direttamente dall’autorità giudiziaria, si viene implicitamente ad ammettere che l’ordinamento di questa polizia giudiziaria sia di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura o no?
PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di rispondere, a nome della Commissione.
LEONE GIOVANNI. È ovvia la risposta di carattere negativo al dubbio formulato dall’onorevole Nobile. Il Consiglio Superiore della Magistratura, così come lo abbiamo votato, dispone soltanto della carriera del magistrato. Tutte le funzioni amministrative, che concernono l’amministrazione dei servizi della giustizia, restano al Ministro della giustizia. Anzi c’è un articolo che è stato votato, in cui è chiaramente espresso che la organizzazione dei servizi dell’amministrazione della giustizia resta al Ministro della giustizia. Quindi è chiaro che l’organizzazione di questo corpo non è alle dipendenze del Consiglio Superiore della Magistratura, che dispone solo della carriera del magistrato, ma è alle dipendenze del singolo ufficio del magistrato.
NOBILE. Alle dipendenze del Ministro della giustizia.
LEONE GIOVANNI. La polizia giudiziaria oggi è composta da carabinieri, pubblica sicurezza e guardia di finanza.
Ora, ciascuno di questi tre organismi dipende per proprio conto dalla propria amministrazione. I carabinieri dipendono, in condominio, dal Ministero dell’interno e dal Ministero della difesa; la guardia di finanza, dal Ministero della difesa e dal Ministero delle finanze; la pubblica sicurezza soltanto dal Ministero dell’interno.
Ora, per quanto attiene alla disciplina, alla carriera, al personale di questi tre organi, sono i tre Ministeri testé citati che dispongono del destino di questi tre corpi.
Per quanto attiene alle particolari funzioni della polizia giudiziaria, che sono una aggiunta alle altre attribuzioni, queste particolari funzioni saranno espletate alla dipendenza dell’autorità giudiziaria, nel senso che gli organi di polizia giudiziaria hanno il dovere di obbedire agli ordini dell’autorità giudiziaria solo nei limiti delle attribuzioni della polizia giudiziaria. Di conseguenza non pare che l’autorità giudiziaria possa avere alcun potere disciplinare verso questi organi. A questo punto si ricollega l’esigenza innanzi espressa, di un particolare organo, esigenza che si può tradurre in un ordine del giorno.
NOBILE. Chiarisco: intendevo chiedere se dipendeva dal Ministro di grazia e giustizia, non dal Consiglio Superiore.
UBERTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UBERTI. Le spiegazioni date attualmente dall’onorevole Leone a me sembra siano a conforto, non del nuovo testo che la Commissione ha accettato, ma del suo primitivo testo: perché dire «dipende» non è solo stabilire una dipendenza funzionale, ma anche gerarchica. Invece quando si dice «può disporre», vi è la dipendenza funzionale, cioè la disposizione a poter comandare determinati compiti, ma non la dipendenza gerarchica. Si potrebbe anche arrivare a migliorare la formula dell’articolo primitivo, si potrebbe cioè mettere invece di «può disporre», la parola «dispone», che mi sembra sia molto più chiara e molto meno dubbia dell’altra «dipende». Per togliere ogni equivoco è meglio ritornare alla primitiva formula. Pertanto se la Commissione non fa proprio il suo primo testo, lo faccio mio questo primo testo della Commissione, modificando il «può disporre» in «dispone».
PRESIDENTE. Abbiamo dunque da una parte il testo base, accettato dalla Commissione, costituito dall’emendamento degli onorevoli Filippini e Rossi Paolo:
«La polizia giudiziaria dipende direttamente dall’autorità giudiziaria».
Dall’altra vi è il testo dell’onorevole Uberti:
«L’autorità giudiziaria dispone direttamente dell’opera della polizia giudiziaria».
Pongo in votazione questa seconda formulazione che rappresenta un emendamento.
(È approvata).
Pongo ora in votazione l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Persico:
«L’Assemblea Costituente fa voti per la creazione di un corpo specializzato di polizia alle dirette dipendenze dell’autorità giudiziaria».
(Dopo prova e controprova, è approvato).
Passiamo all’esame dell’articolo aggiuntivo proposto dagli onorevoli La Rocca, Amendola, Bosi, Lombardi Carlo, Bibolotti, Molinelli, del seguente tenore:
«Lo Stato assicura, con una sua avvocatura, la difesa ai non abbienti, in ogni grado di giurisdizione».
L’onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.
LA ROCCA. Onorevoli colleghi, nella parte del testo costituzionale già approvato – all’articolo 19 – è solennemente affermato il principio che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. È anche detto che tutti possono far valere le loro ragioni e difendere i loro interessi legittimi in giudizio.
Ma il fondamento di una Costituzione improntata ad una democrazia conseguente non può restringersi a questo: a fissare i diritti formali del cittadino, senza preoccuparsi delle condizioni che garantiscono il godimento, l’uso di questi diritti, delle possibilità di esercitarli, dei mezzi per esercitarli.
Il tratto caratteristico di una Costituzione veramente democratica deve consistere nel non accontentarsi dell’affermazione, della proclamazione dei diritti formali del cittadino, ma nello spostare il centro di gravità sulla garanzia di questi diritti, sui mezzi per l’esercizio di questi diritti.
Nel caso concreto, non basta proclamare che la difesa è un diritto inviolabile e che tutti possono far valere le loro ragioni e tutelare i loro interessi legittimi. Occorre, invece, assicurare realmente la possibilità di questa difesa, dare il modo di esercitare questo diritto, stebilendo una sanzione legislativa al fatto che ognuno dev’essere assistito, convenientemente, in giudizio.
In sede di discussione generale sulla Magistratura, è stata più volte tirata in campo, a torto o a ragione, l’autorità di Shakespeare, se non come conoscitore delle peccata, come espertissimo degli umani vizi e del valore. Sia consentito anche a me citare Shakespeare, ricordando il suo monito: che la spada della giustizia trapassa facilmente gli stracci e si spezza contro le lamine d’oro.
E, di solito, proprio gli stracci sono chiamati a saldare i conti; gli stracci che avvolgono disperazioni dispregiate o non conosciute, che coprono ragioni non illuminate, non ricercate, non comprese, da chi sarebbe tenuto a farlo, e per vari motivi.
Se ci proviamo a ridurre in cifre nude la miseria umana, la demenza umana, la colpa umana, l’immensità della sciagura umana, ci convinciamo che alle spalle del delitto, vi è una spinta, una forza motrice, che sorpassa talvolta l’individuo e lo fa preda delle circostanze: che il delitto non è semplicemente squallore o brivido di raccapriccio, sangue a terra e fango in faccia o anche dell’altro, quando non ha l’impronta di una specie di rivolta contro tutto ciò che opprime l’uomo, come nel dramma famoso: ci convinciamo che il delitto può essere espressione d’infermità, sciagura e maledizione di gente malnata, ma è, quasi sempre, prodotto di determinate condizioni d’ambiente e di rapporti sociali, che è un frutto vermiglio che sboccia sopra una certa pianta, in un dato terreno; che esso si sviluppa sopra una data base. E le vittime, nel più gran numero, sono i miserabili: i miserabili a cui è negato dalla sorte di far sentire, nelle aule giudiziarie, tutte le loro ragioni.
In una vita, che ha l’intelligenza per suo fuoco centrale, è o dovrebbe essere, pur sempre, maestra colei che non fu concepita nel buio delle visceri, nelle tenebre della matrice, sì bene nei lampeggiamenti del cervello maschio. Ma anche l’occhichiara, che dalla mano infallibile lasciava cadere il sasso, per assolvere o condannare, anche Pallade, l’occhichiara, aveva bisogno, nelle questioni più delicate e complesse, di essere soccorsa dalla presenza del nume che incarnava la luce, che era il sole vestito di membra umane.
E se la giustizia, secondo una definizione luminosa ripetuta nei secoli, è la costante volontà di dare a ognuno quello che gli è dovuto, essa si dimostra, troppe volte una grossa bilancia collocata sopra un vecchio tavolo, dove i tarli scavano i loro labirinti dubitosi: bilancia che pencola e crolla dalla parte dove si gitta di più, anche di cavilli e di parole.
Ora, accade che la difesa manchi là dove sarebbe più necessaria. È questo il punto su cui richiamo l’attenzione dell’Assemblea, perché la formulazione dell’articolo 19 assolutamente non soddisfa alcuno.
Il povero, in giudizio, deve avere qualcuno che lo sostenga, con calore, con fede. E questo bisogno è stato sentito e tradotto in formule giuridiche, in tutte le legislazioni, nelle più antiche. Non occorre fare scavi archeologici. Potremmo rimetterci alla testimonianza aristotelica e vedere che uno degli arconti assiste il povero o l’incapace. Per la legislazione romana, una favola triste suona, secondo la quale l’esercizio forense sarebbe stato una spoliazione e una rapina: esso era honorificum munus; e sorse come insegna e come scudo del diritto, finché, per abusi intervenuti, la famosa legge Cinzia proibì il compenso e impose il gratuito. L’avvocato (vir bonus, dicendi peritus) era chiamato dalla voce dell’affetto o del sangue, accanto al reo, nell’ora della sciagura.
E il rostro, da cui si dilatava la musica verbale dei grandi oratori, era un po’ la casa sicura dei più deboli.
Del resto, le condizioni di Roma erano particolari. La grande massa dei non abbienti costituiva il piedistallo passivo della lotta politica, che si svolgeva nel seno e nel cerchio di una piccola minoranza privilegiata: tra patrizi e cavalieri e plebei liberi. E il proletariato, per intenderci, viveva a spese della società, mentre la società moderna vive a spese del proletariato.
Il patrono, il ricco, era proprietario di schiavi; ma era tenuto a nutrirli e a difenderli, anche in giudizio.
Un riflesso del diritto romano si ritrova in tutta la legislazione barbarica e carolingia. Carlo Magno spediva i suoi messi a proteggere, e senza spese, i poveri del regno; e nell’età di mezzo, accanto al fiore della cavalleria, c’è la difesa gratuita del miserabile, come un obbligo morale, che poi acquista il rilievo e i lineamenti di un vero e proprio istituto giuridico, che si perfeziona con precise norme, al tempo di Paolo V. Il diritto canonico dà vita all’advocatus pauperorum, advocatus deputatus et stipendiatus pro pauperibus.
Il concetto cristiano si è attuato in altri istituti di carattere legislativo. Non abbiamo che da innestarci sul tronco della più schietta tradizione italiana, delle nostre Repubbliche, dei Comuni: di Vercelli, di Alessandria, di Cuneo, di Novara, di Torino, di Milano, di Bologna, di Firenze, di Parma, di Mantova e soprattutto di Venezia che, nel suo «Statuto», considera espressamente il caso, dicendo che «occorre istituire un’avvocatura speciale e stipendiata, perché la ragione del povero e del miserabile non cada per mancanza di pecunia». D’altra parte, senza uscire dai confini del nostro paese e rifarci a Enrico IV o alla Rivoluzione francese, in cui vediamo in embrione un’avvocatura dei poveri, basta risalire all’alba del nostro Risorgimento per trovare, con netti contorni, un organo di difesa gratuita, come funzione sociale. Giuseppe Mazzini, prima del suo arresto, esercitava nel Foro genovese l’avvocatura dei poveri. Nel 1859, con la legge Rattazzi sull’ordinamento giudiziario, abbiamo avuto questa avvocatura come istituto di Stato, una carriera simile a quella del pubblico ministero, quanto mai diversa dal gratuito patrocinio, che è molto meno di una formalità: che è una lustra, e si risolve in una frase vuota per i giudicabili. Non si pratica il monito di Verlaine: di torcere il collo all’eloquenza, ma semplicemente si abolisce la difesa. Non si domanda più al delitto; perché? Si chiederai delitto: quanto? Sovrasta il rigore. Ma dopo la sentenza, c’è un dirugginio di cardini, uno sbattere di porte, e l’uomo è buttato in una cella, con un’inferriata fra lui e la società, fra lui e il sole, senza che nessuno, praticamente, si sia piegato sulla sua sventura, a conoscere, a intendere il suo caso. Credo che l’Assemblea Costituente, ricollegandosi alle tradizioni romane ed italiane in particolare, voglia trovare il modo di trasformare l’istituto del gratuito patrocinio in una avvocatura che sia particolarmente incaricata di assistere e difendere i poveri, con gli accorgimenti del caso, in ogni grado e stadio del procedimento, in modo che i derelitti, i miserabili vedano che, nell’incominciare la nostra vita nuova, il diritto della difesa è una realtà anche per loro, e non si sentano, in sede giudiziaria, delle ragioni misconosciute, delle povere fonti calpestate. (Applausi).
PERSICO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERSICO. Onorevoli colleghi, ignoravo che il collega La Rocca e gli altri suoi compagni avessero presentato questo emendamento, ma sono assai lieto che l’abbiano fatto, perché mi ricorda l’inizio della mia vita professionale. Il mio amico Conti forse ricorderà quando i vecchi avvocati romani, Bindi, Randanini e gli altri, convocarono un gruppo di giovani, dei quali mi onoravo di far parte, per costituire in Roma l’«Associazione penale per la difesa gratuita dei poveri», associazione che ancora esiste e funziona, sia pure con forze assai modeste.
È uno spettacolo veramente doloroso quello che provano, non soltanto gli avvocati, ma anche i profani della giustizia, quando entrando in un’aula assistono a questa scena: il Presidente domanda all’imputato: «Lei ha il difensore?» L’imputato risponde: «No». Al banco c’è un avvocato, che, forse per caso, sta sfogliando un suo fascicolo. Il Presidente dice: «Lei sarà il difensore». L’avvocato continua a sfogliare attentamente il suo fascicolo. Il dibattito termina. Il Presidente dà la parola alla difesa, e l’avvocato nominato di ufficio dice: «Mi rimetto alla giustizia». E la causa finisce. Questo è uno spettacolo triste che vediamo continuamente, e che produce un senso di enorme disagio morale per tutti coloro che si trovano presenti nell’aula. Tutte le volte che mi è capitata una simile occasione, mi son fatto dare il fascicolo del processo ed ho cercato di studiare alla meglio la causa e di fare il mio dovere, anche improvvisando.
E così, in Cassazione. Si mandano agli avvocati degli avvisetti rossi o verdi, con i quali vengono nominati difensori di ufficio. Ho visto diversi colleghi stracciare questi avvisi all’atto della consegna, senza neanche leggerli. Di modo che, in Cassazione, abbiamo centinaia e centinaia di processi che si fanno senza l’assistenza dell’avvocato. Eppure, spesso, specialmente nei primi anni del mio esercizio, ho trovato in questi processi motivi di ricorso così fondati da far accogliere i ricorsi, pur senza avere nessun rapporto con l’imputato.
Quindi, la proposta La Rocca colma una lacuna nella nostra Costituzione. Una lacuna che si ricollega proprio a quell’articolo 19 che abbiamo già approvato, perché è inutile proclamare dei principî astratti, quando poi concretamente non vi è nessuna possibilità di realizzarli. È vero che tutti hanno diritto di agire in giudizio per la difesa dei loro diritti, è vero che la difesa è diritto inviolabile, ma se questo diritto non è assicurato, rimane un diritto astratto, privo di ogni sanzione e di ogni realizzazione pratica.
Però, mi permetta l’onorevole La Rocca, di dissentire da lui su un punto. Se non ho mal compreso leggendo l’emendamento, egli vuole che si costituisca un’avvocatura di Stato ad hoc. Per carità, non costituiamo un’altra avvocatura. Vi sarebbero difficoltà enormi per farla funzionare, e noi vediamo come oggi funziona male il gratuito patrocinio civile e quello penale. Quello penale non funziona affatto; quello civile funziona attraverso difficoltà enormi, perché c’è l’ostruzionismo di tutto l’organismo giudiziario verso la difesa ufficiosa, di modo che le prove non si raccolgono, le sentenze non si pubblicano, gli atti non si notificano, se non attraverso enormi difficoltà e ritardi.
Se dovessimo costituire un’avvocatura, ci sarebbe già l’avvocatura dello Stato, che funziona benissimo, ed una sezione specializzata potrebbe essere adibita per la difesa civile e penale dei meno abbienti. Ma, poiché l’onorevole La Rocca ha ricordato quello che è il glorioso retaggio della nostra tradizione giuridica, cioè le benemerite avvocature dei poveri, che in Piemonte e negli Stati sardi soprattutto hanno avuto vita floridissima di cui è ancora vivo il ricordo, malgrado che la legge non la preveda più, io credo che si potrebbe istituire un’avvocatura per i poveri. In che modo? Rendendo obbligatorio per tutti i professionisti, come titolo onorifico e come corrispettivo di tutte le cause che sono pagate dagli abbienti, di assumere a turno, secondo le specializzazioni, la difesa dei poveri.
Naturalmente, bisognerà tutelare il lato economico, e bisognerà stabilire che il beneficio deve essere soltanto pei non abbienti, perché altrimenti, come mi diceva poco fa il collega Ivan Matteo Lombardo, nessuno si farebbe più difendere dall’avvocato di fiducia e tutti andrebbero dall’avvocato dei poveri. L’avvocato dei poveri dovrà essere il difensore di coloro che non hanno mezzi sufficienti per poter iniziare un giudizio, o per poter difendere i loro diritti. Tutto questo sarà stabilito con una legge che sarà emanata a suo tempo, e che sarà attentamente studiata nei suoi particolari. Però, diamo anche a questi avvocati dei poveri la possibilità di un compenso; cioè lo Stato dovrebbe costituire un fondo attraverso il quale le spese di giustizia (copia dei processi, notifica degli atti, ecc., insomma tutte quelle spese che non rientrano nell’opera professionale), potrebbero venir rimborsate dallo Stato. Io direi così, se il collega La Rocca lo consente: «Lo Stato assicura, con la istituzione della avvocatura dei poveri, la difesa dei non abbienti in ogni grado di giurisdizione».
Noi potremo così tutelare praticamente il diritto delle classi non abbienti ad ottenere giustizia. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
ROSSI PAOLO. Alla Commissione dispiace dissentire delle argomentazioni svolte così bene dai colleghi, le quali in realtà non rispondono all’esperienza che si è fatta; l’avvocatura dei poveri c’è stata ed è risultato che la legge del gratuito patrocinio rappresenta rispetto ad essa un vero progresso.
Vogliamo vedere, per la tutela dei diritti di ordine patrimoniale e civile, come funzionava l’avvocatura dei poveri e come ha funzionato, successivamente, l’istituto del gratuito patrocinio? L’avvocatura dei poveri esaminava il reclamo; e la decisione se convenisse dar seguito giudiziario all’istanza del povero era inappellabilmente rimessa al placito del funzionario che aveva letto più o meno attentamente quel dato fascicolo e che diceva sì o no.
Come funziona l’istituto del gratuito patrocinio? Funziona con garanzie infinitamente superiori: intanto la parte ricorre all’avvocato in cui ha fiducia, e se si imbatte in un avvocato che non sia d’accordo con la sua tesi ne può cercare altri quattro o cinque, finché non trova l’avvocato che sia persuaso della bontà del diritto che si intende far valere. Tutti gli avvocati d’Italia possono essere consultati dal povero, ed il povero può ottenere il concorso di uno, o di molti avvocati, mentre il solo avvocato dei poveri poteva dire: no, non intendo che l’avvocatura dei poveri dia seguito a questo ricorso.
Poi ci sono due gradi: dalla Commissione davanti al tribunale si può adire alla Commissione istituita presso la Corte d’appello.
Le decisioni di rigetto non fanno stato. Se eventualmente la Commissione di primo grado ha detto «no» e la Commissione di appello ha detto «no», il povero può lasciar passare tre mesi, aspettare che la composizione delle Commissioni sia mutata, e riprendere la questione.
Io sono stato scelto fra i membri della Commissione per dire questa cosa che sembra non piacere ai colleghi, proprio perché sono ligure, e noi del Regno sardo abbiamo fatto l’esperienza più a fondo di tutti gli altri e sappiamo come l’avvocatura dei poveri funzionasse contro il povero e ne paralizzasse spesso l’iniziativa, mettendo le cause in mano di un freddo ed indifferente funzionario, che poteva, a suo placito, impedire di fatto l’azione del povero.
Resta la questione molto più grave della tutela penale. Mi permettano l’onorevole La Rocca e l’amico onorevole Persico una semplice osservazione.
Se si trova spesso un avvocato che non sente il suo dovere, un avvocato d’ufficio che stancamente pronuncia le parole «mi rimetto», quando è incaricato della difesa di un povero, credete voi che un qualunque avvocato funzionario, che abbia questo ufficio, non agirebbe alla stessa maniera? Molti di voi hanno sentito tante volte il pubblico ministero limitare la sua arringa a quest’espressioni: «mi rimetto» oppure «rinunzio alla parola», oppure «domando l’applicazione della pena di legge». E come il pubblico ministero, che è un funzionario, si limita spesso a dire «chiedo la condanna», così farebbe pure l’avvocato dei poveri, il quale sarebbe un funzionario freddo, indifferente, senza il calore di simpatia che viene dalla libera scelta che il cliente ha fatto del suo difensore. Anch’egli direbbe «mi rimetto», oppure «chiedo l’assolutoria», e non più.
Per queste ragioni e per tutte le ragioni dette a suo tempo, quando si creò la legge sul gratuito patrocinio, la Commissione ritiene di non poter aderire all’emendamento La Rocca.
NOBILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. Io sono rimasto impressionato da ciò che ha detto specialmente l’onorevole Persico, e non sono rimasto convinto dalle dichiarazioni fatte dall’onorevole Rossi a nome della Commissione.
Quindi io voterò l’articolo aggiuntivo La Rocca; soltanto vorrei proporre che, anziché parlare di «non abbienti», si parlasse di una «avvocatura dei poveri».
PRESIDENTE. L’onorevole Platone ha proposto la seguente formula:
«Lo Stato garantisce la difesa ai non abbienti e se ne assume il carico».
L’onorevole Platone ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
PLATONE. Secondo me anche i rilievi che ha fatto l’onorevole Persico manifestano una lacuna nelle attuali disposizioni di legge. Siamo tutti d’accordo che lo Stato deve provvedere alla difesa dei non abbienti; si tratta di trovare però, il mezzo più efficace.
Oggi abbiamo già teoricamente assicurato questa difesa, però praticamente non funziona.
BUBBIO. Non è vero che non funziona! Basta fare il proprio dovere!
PLATONE. Questa è un’illusione. Potrà farlo l’onorevole Bubbio il suo dovere, potrò farlo anche io, ma non possiamo pretenderlo da tutti. Dobbiamo convenire che non tutti sentono questo dovere.
Che cosa si verifica, in pratica, quando si tratta di difendere un povero? Si verifica appunto che un avvocato può essere occupato in una difesa per più udienze; alle volte può, alle volte non può, ed allora trascura questa difesa.
Io credo che praticamente il problema debba essere risolto in questo modo: anziché istituire una avvocatura, si può semplicemente assicurare e pretendere una valida difesa dei non abbienti attraverso un congruo compenso per ogni seduta della difesa. In questo modo noi avremo molti avvocati che, oltre a sentire il dovere di compiere questa difesa, sentiranno anche lo stimolo di compierlo.
Io credo che con questa proposta si concili quello che tutti quanti stiamo cercando di ottenere. (Applausi all’estrema sinistra).
BUBBIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BUBBIO. Desidero soltanto aggiungere una considerazione che mi pare sia stata in parte dimenticata dai colleghi che mi hanno preceduto. Noi abbiamo in sostanza una legge sul gratuito patrocinio e chi fa anche modestamente l’avvocato sa bene come basti saperla e volerla applicare, per rendersi conto che essa è pienamente sufficiente ed efficiente alla bisogna. Ciò che occorre è che ognuno senta il senso di responsabilità nell’esplicazione del mandato di cui è investito. In materia civile ognuno sa come sia tutelato il diritto dei poveri.
PLATONE. Ma da chi?
BUBBIO. Come da chi? È tutelato dal patrono ufficioso formalmente nominato; solo non bisogna dimenticare che si tratta di un onere cui egli è per legge ed in coscienza tenuto.
In materia penale, poi, c’è un’altra considerazione da fare. Invero qui si è dimenticato che il difensore d’ufficio non viene nominato al momento dell’udienza, ma viene nominato al momento della citazione a giudizio (Rumori a sinistra), e tanto l’imputato quanto il difensore sono quindi in tempo preavvertiti della nomina.
Sta quindi all’avvocato di sentire il proprio dovere, al Consiglio dell’Ordine di chiamarlo, al pubblico ministero di esigere che il mandato sia effettivamente esplicato. (Rumori a sinistra). È una questione di coscienza. Facciamo un voto solenne, perché questo dovere sia sentito e perché gli organi di controllo esplichino la loro funzione; ma non si crei una vera e propria avvocatura dei poveri, che costituirà una nuova costosa burocrazia, la quale offrirà di certo assai minori garanzie di quello che non offra l’attuale ordinamento, solo che sia regolarmente attuato. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la seguente nuova formulazione dell’articolo 100-bis è stata concordata dagli onorevoli La Rocca, Persico, Nobile:
«La Repubblica assicura, mediante apposite istituzioni, la difesa ai non abbienti in ogni grado di giurisdizione e soprattutto in sede penale».
COPPI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COPPI. Dichiaro che io e altri colleghi del mio Gruppo voteremo a favore della prima parte della formulazione La Rocca, per la quale chiediamo, quindi, la votazione per divisione, in quanto non troviamo giustificato che in tale articolo si dica che la difesa del povero deve essere assicurata specialmente in sede penale. La difesa del povero deve essere assicurata egualmente, sia in sede civile che in sede penale. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Sta bene.
LA ROCCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA ROCCA. Aderisco pienamente alle osservazioni del collega. In fondo la difesa del non abbiente era sentita con maggiore necessità in sede penale: ma poiché riconosco la giustezza delle considerazioni fatte, sono di accordo di modificare in questo senso la mia proposta:
«La Repubblica assicura, mediante apposite istituzioni, la difesa ai non abbienti in ogni grado di giurisdizione».
DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMINEDÒ. Dichiaro, anche a nome dei miei amici di Gruppo, che noi voteremo a favore della norma proposta, con una sola riserva per quanto riguarda il suo collocamento. Probabilmente la nuova formula potrebbe essere inserita nell’articolo 19 della Costituzione, laddove si contempla il diritto alla difesa e conviene quindi assicurarne l’effettivo esercizio.
PRESIDENTE. Sta bene; non è questione di immediata importanza.
CARPANO MAGLIOLI. Chiedo di parlare
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARPANO MAGLIOLI. A nome del mio Gruppo dichiaro di aderire alla proposta dell’onorevole La Rocca, perché, se è vero che la difesa del povero è un dovere ed è un onore per noi avvocati, non è men vero che, come si garantisce ai poveri una retribuzione sia pure modesta, l’assistenza sanitaria ecc., è giusto che una garanzia, sia pure modesta, si dia per quanto riguarda l’assistenza legale. Occorre evitare lo sconcio al quale assistiamo quotidianamente nei tribunali, dove la difesa d’ufficio si riduce ad una pura apparenza esteriore, e dove raramente l’avvocato dà quello che deve dare, anche perché vi sono delle esigenze che lo impediscono. (Approvazioni a sinistra).
PRESIDENTE. Il testo risulta così formulato:
«La Repubblica assicura mediante apposite istituzioni la difesa ai non abbienti in ogni grado di giurisdizione».
Invito la Commissione ad esprimere il suo avviso.
ROSSI PAOLO. La Commissione può accettare questa nuova formula; anzi, l’accetta volentieri. È contraria all’istituzione dell’avvocatura dei poveri, non certo al principio della difesa assicurata per tutti!
PRESIDENTE. Pongo in votazione il testo testé letto e che la Commissione ha dichiarato di accettare.
(È approvato).
Vi è ora da passare alla seconda Sezione: «Norme sulla giurisdizione».
Gli onorevoli Targetti e Carpano Maglioli hanno proposto il seguente emendamento:
«Sopprimere l’intera Sezione (articoli 101-105)».
LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. A me sembra che la discussione su un emendamento di soppressione integrale di una Sezione del testo del progetto sia inutile, perché occorrerà sempre, anche in una discussione preliminare, esaminare ciascuno degli articoli di cui si chiede la soppressione. A mio avviso, bisognerebbe passare subito all’articolo 101: così si guadagnerebbe tempo. Vuol dire che l’onorevole Targetti e gli altri colleghi potrebbero ripresentare per ciascuno degli articoli la proposta di soppressione. Io stesso ho presentato qualche proposta di soppressione di taluni commi.
PRESIDENTE. Onorevole Leone, io ritengo che tutti coloro che hanno presentato una proposta di soppressione integrale abbiano diritto di svolgere in modo preliminare il loro emendamento. Evidentemente questi colleghi sanno che non devono approfondire l’esame di tutti gli articoli, ma svolgerlo rapidamente sfiorandone il contenuto.
L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgere l’emendamento.
TARGETTI. Per calmare ogni apprensione premetto che non intendo in nessun modo di discendere all’esame particolareggiato dei vari articoli, anche perché questo porterebbe come conseguenza un prolungamento inutile della discussione in materia.
In sostanza, mi limiterò a fare quello che accennava il Presidente, cioè esporre le ragioni d’indole generale per le quali penso che l’Assemblea potrebbe senz’altro decidere di non passare all’esame di nessuno di questi articoli, ritenendo che la materia trovi la sua più logica e normale regolamentazione in altre sedi.
Mi basta accennare al tenore delle norme contenute nei vari articoli.
L’articolo 101 contiene norme che troverebbero la sede più acconcia e logica nel Codice di procedura penale, perché quando si stabilisce come devono essere motivate le sentenze (e a questo proposito osservo per incidenza come affermare che tutte le decisioni devono essere motivate andrebbe contro una decisione già presa dall’Assemblea che apre la via all’istituzione della giuria popolare) si invade il campo delle leggi procedurali.
UBERTI. V’è il principio fondamentale.
TARGETTI. Sì, v’è un principio fondamentale, ma che non possiamo approvare perché abbiamo già approvato il principio opposto, cioè la possibilità che si dia vita ad una Magistratura…
MASTINO PIETRO. Ma perché opposto? È una diversa concezione. (Commenti).
TARGETTI. Potrei rispondere subito a queste interruzioni, ma se lo facessi non potrei tener fede alla mia promessa della massima brevità. Però, su questo punto, non posso fare a meno di osservare che col principio dell’obbligo della motivazione di qualsiasi pronunciato giurisdizionale si verrebbe a limitare all’Assemblea legislativa di domani la scelta delle varie forme di intervento diretto del popolo nell’amministrazione della giustizia. (Interruzione del deputato Uberti).
Per la ragione che ho detto non posso raccogliere neppure le sue interruzioni, onorevole Uberti, che, però, non mi dispiacciono giacché, se ella non interrompesse, vorrebbe dire che ella non godrebbe perfetta salute giacché, normalmente, ella deve interrompere. (Ilarità).
Passando all’altro articolo, ci si trova di fronte ad una norma di procedura civile, mentre il successivo articolo 103 si riferisce alla giustizia amministrativa, affermando anche questo articolo un principio molto lato, il cui accoglimento dovrebbe dar luogo necessariamente ad una preventiva lunga discussione: se cioè contro qualsiasi atto della pubblica amministrazione sia possibile ammettere come obbligatoria la concessione dell’esercizio della tutela giudiziaria.
Qualche segno di dissenso dell’illustre maestro, l’onorevole Orlando, dimostra la gravità del problema che, per essere risolto, richiederebbe ripeto una lunga discussione.
Quando poi si passa all’articolo 104 (e l’Assemblea può essere tranquilla nell’ascoltarmi perché sa che ho solo poche parole da dire) vi si trova affermato il principio che nessuna legge può non rendere più irrimediabile un giudicato definitivo.
Io non so neppure a quale ipotesi ci si può riferire oltre quelle ammesse, in via d’eccezione, dallo stesso articolo della legge penale abrogativa: della grazia, dell’indulto e dell’amnistia. Io non concepisco l’ipotesi di un’Assemblea legislativa che fa una legge per rendere non più definitiva una determinata sentenza!
Infine, un’ultima osservazione riguardo all’Avvocatura dello Stato. Io ho il massimo rispetto verso l’Avvocatura dello Stato; ma non capisco per quale ragione essa debba fare il suo ingresso nella Carta costituzionale. Si è detto spesso (certe volte, anche in mancanza di argomentazioni più serie) che il nostro progetto di Costituzione esagera nelle previsioni. Quando ci si presenta l’occasione di ridurre, senza nessun inconveniente e con ragione, di uno, tre, cinque il numero degli articoli della Carta costituzionale, mi pare che potrebbe essere cosa lieta per tutti di approfittarne! (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Leone Giovanni ad esprimere il parere della Commissione.
LEONE GIOVANNI. Lo farò brevemente. A me pare che l’Assemblea non debba affrettarsi a pronunciare un giudizio di soppressione o di mantenimento totale degli articoli da 101 a 105; perché io posso condividere parte delle preoccupazioni espresse dall’onorevole Targetti, ma su altre sono dissenziente.
Già nei miei emendamenti si trova proposta qualche soppressione: per esempio, quella del primo comma dell’articolo 101. Potrei successivamente, meditando più a lungo la materia, ritenere di potere accettare l’emendamento soppressivo di un’altra norma; ma una soppressione totale di questi articoli non si può decretare in questo momento senza scendere nel vivo della materia attraverso l’esame di ciascun articolo.
E, a proposito di questo esame, dirò che vi sono negli articoli dal 101 al 105 delle garanzie che sono certamente di carattere costituzionale, di talché noi le troviamo formulate in quasi tutte le Costituzioni del mondo. Ad esempio: pubblicità delle udienze. In gran parte delle Costituzioni di tutti i Paesi troviamo scritto che le udienze sono pubbliche. Perché è una garanzia costituzionale? Perché il giudizio del magistrato, del giudice popolare, circa lo svolgimento, circa la acquisizione delle prove, circa il rispetto della garanzia della difesa deve essere fatto pubblicamente, cioè sotto il controllo dell’opinione pubblica. Altra garanzia di carattere costituzionale, che troviamo in moltissime Costituzioni estere, è costituito dall’obbligo della motivazione. Salvo a vedere se e fino a dove la vogliamo. Perché in tanto una sentenza di giudice speciale od ordinario si può imporre alla coscienza dei cittadini, può avere valore, può penetrare nella coscienza dei cittadini, in quanto il magistrato, giudice speciale o giudice popolare, attraverso una motivazione, sia pure sommaria, empirica o anche sgrammaticata, dia conto alla società di un giudizio che ha pronunziato, che convinca non solo le parti, ma soprattutto la società della fondatezza del giudizio.
Una terza garanzia di carattere costituzionale, e che esiste in altre Costituzioni, è quella del ricorso per cassazione. La Cassazione in tutti i Paesi in cui è configurata come supremo organo regolatore della interpretazione, della unità della interpretazione del diritto, sta a significare la possibilità per tutti i cittadini di potere, per quanto attiene alla interpretazione della legge, attingere a questo supremo organo a cui deve essere consentito l’accesso a tutti i cittadini nei confronti di tutte le decisioni del giudice ordinario e speciale.
Per queste ragioni io penso che noi non ci possiamo affrettare a dare un giudizio sul mantenimento di tutte le norme o sulla soppressione di tutte le norme. Basterà dire che da un certo banco molto autorevole e da un altro banco altrettanto autorevole si è chiesto che si esamini e risolva il problema della Cassazione regionale. Questo è un problema di carattere costituzionale perché importa il collegamento con tutte le organizzazioni dello Stato secondo la Carta costituzionale, che andiamo elaborando.
Allora penso che non ci dobbiamo affrettare a decidere sulla proposta dell’onorevole Targetti, che deve segnalare una tendenza a ridurre, con maggiore rigore di forbici, le norme ivi formulate; non una proposta complessiva che, se noi votassimo, potrebbe importare da parte nostra una votazione non meditata e non responsabile.
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Anch’io sono di opinione che non si possa sopprimere in blocco questa serie di articoli perché vi sono effettivamente alcuni principî di carattere nettamente costituzionale. Uno, per esempio, è quello che non può essere soppressa la garanzia di giurisdizione contro determinati atti del potere esecutivo.
Durante il periodo fascista era divenuta quasi una clausola di stile, ogni qual volta il potere esecutivo prendeva delle deliberazioni arbitrarie, nel senso della loro illegittimità rispetto all’ordinamento giuridico, di iscrivere nella legge che contro i provvedimenti della tale direzione generale o della tal’altra determinata commissione non sono ammessi ricorsi e impugnative di qualsiasi genere né in linea giurisdizionale, né in linea amministrativa.
Ora, se si crede, come io penso, di affermare il principio di cui all’articolo 103 del progetto è indiscutibile che il suo posto è quello della Carta costituzionale.
Si domandava ancora l’onorevole Targetti come potrebbe mai accadere che ad una sentenza divenuta definitiva si togliesse il suo carattere di atto esecutivo. Io non so se sia assolutamente impossibile il formulare molte ipotesi, ma la prima, proprio degli ultimi mesi, di quest’ultimo periodo di tempo, è quella per cui molte sentenze di sfratto, divenute perfettamente esecutive e non più suscettibili di alcun rimedio, sono state dichiarate sospese nella loro efficacia ed annullate nella loro sostanza da provvedimenti di legge successivi, solo perché non fossero state ancora eseguite. Ed è divenuto normale che si dica: se l’affittuario, se l’inquilino è ancora in possesso del fondo o della casa, anche la sentenza di sfratto perde ogni valore e si applicano le disposizioni della presente legge.
Ora, se eventualmente la Carta costituzionale risulterà giuridicamente rigida e costituirà un vincolo anche per il legislatore, in determinati casi, questi esempi spiccioli che ho ricordato in contraddizione del valore della sentenza definitiva saranno resi impossibili proprio dalle garanzie costituzionali congegnate in questa Carta.
MORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Non voglio discutere se a norma di Regolamento si possa chiedere la soppressione di una intera sezione, ma io vorrei domandare all’amico onorevole Targetti se dopo che abbiamo discusso tutta la Costituzione e di volta in volta abbiamo effettivamente disposto per l’eliminazione di alcuni articoli, o di alcune parti di articoli, perché mai proprio e solo per questi cinque articoli noi dobbiamo rifiutarci di fare una serena discussione dalla quale per taluni potrà derivare la soppressione richiesta mentre per altri potrà risultare l’opportunità di mantenerli. Vorrei rivolgere un caldo invito all’onorevole Targetti perché ritiri la sua proposta con l’intesa che giudicando i singoli articoli voteremo la soppressione dove essa possa sembrare opportuna.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Targetti se conserva la sua proposta.
TARGETTI. La ritiro senz’altro, perché l’avevo presentata con la speranza (che è andata subito delusa) che incontrasse il parere, non dico unanime, perché tanto non si può pretendere, ma per lo meno di gran parte dell’Assemblea. Devo però dire che in questa opposizione mi è sembrato vederci come l’attribuzione di un secondo proposito, nel senso cioè che la mia proposta fosse inspirata da contrarietà al contenuto di tutte queste norme. Ebbene questo non corrisponde a verità. Tant’è vero che io mi proponevo di presentare all’approvazione dell’Assemblea un ordine del giorno che spiegasse come il ritiro di questi articoli non significava in nessun modo sconfessione di alcuni principî che negli articoli stessi sono consacrati.
Ma vedendo che nell’insistere nella mia proposta di abbreviare la Carta costituzionale corro il rischio senz’altro di allungare, intanto, la discussione, la ritiro.
PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 11.
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, sui recenti fatti di Calabria.
«Silipo, Gullo Fausto, Musolino, Mancini, Priolo».
«Al Ministro dell’interno, sui fatti di Bisignano in provincia di Cosenza, dove un morto e parecchi feriti sono stati vittime del terrore premeditatamente diffuso dagli agrari più arretrati e più gretti della provincia.
«È davvero doloroso che all’ostinata trascuranza del Governo nei rapporti di quelle popolazioni patriottiche e tranquille si aggiunga ora la violenza e lo spargimento di sangue, che crea lutti, spreme lacrime e scava solchi profondi di irritazione e di protesta.
«Mancini, Priolo, Gullo Fausto, Silipo».
«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere che cosa intenda fare di fronte alla vasta agitazione di insegnanti medi ed elementari, pur sinceramente repubblicani, i quali lamentano che l’articolo 3 della legge 13 dicembre 1946 imponga ad essi una formula di giuramento che non tiene nessun conto della particolare posizione dell’insegnante e lo eguaglia agli impiegati amministrativi dello Stato, mentre per i professori universitari, che pur svolgono la stessa missione, è addirittura escluso il giuramento.
«Preti, Binni».
Interesserò i Ministri competenti affinché facciano sapere al più presto quando intendano rispondere a queste interrogazioni.
DI FAUSTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DI FAUSTO. Chiedo quando il Governo intende rispondere ad una mia interrogazione urgente sulle condizioni degli italiani in Albania.
PRESIDENTE. Il Ministro degli esteri mi ha comunicato che risponderà non appena sarà in possesso di elementi di giudizio sui fatti denunciati.
Presentazione di una relazione.
PARATORE. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PARATORE. Mi onoro di presentare la relazione al seguente disegno di legge:
«Approvazione dello scambio di Note relative ai danni di guerra e all’articolo 79 del Trattato di pace effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947».
PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, per conoscere per quali motivi non si dispone il sollecito ritiro, da parte dell’industria interessata, dell’olio al solfuro, dato che gli stabilimenti che producono tale olio hanno nei loro depositi notevoli quantità – che costituiscono immobilizzo di forti somme – mentre non possono continuare la produzione sia per mancanza di capitali che per insufficienza dei loro depositi. Di conseguenza non viene ritirata la sansa con grave danno anche per gli olivicoltori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Scotti Alessandro».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere quali provvedimenti sono stati presi o si ritiene doveroso di prendere per aiutare le piccole e medie industrie in questa particolare congiuntura economica al fine di salvare l’efficienza di tali industrie e di non licenziare la mano d’opera impiegata. Tali fini debbono essere raggiunti contemporaneamente se si vuole per un verso tutelare l’ordine pubblico e per un altro assicurare una necessaria continuità al nostro ritmo produttivo.
«È chiaro che solo mantenendo costante tale ritmo di produzione o rafforzandolo si potranno condurre a buon fine gli effetti derivanti dalla presente politica economica anti-inflazionistica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Di Gloria».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere – a seguito della risposta data il 21 novembre 1947 con prot. D. 4543/A34/131 a precedente interrogazione – se ritenga conforme ad una pratica democratica e regolare il fatto che non si sia dato corso all’insediamento del dottor Giorgio Segre nelle funzioni di presidente della Giunta della Camera di commercio di Vercelli, cui fu nominato con decreto ministeriale del 10 maggio 1947, in base a generiche segnalazioni che non hanno riscontro, né riferimento in alcun fondato motivo; e per sapere se non ritenga gravemente pregiudiziale alle norme della democrazia e al prestigio del suo Ministero la linea di condotta adottata, che, in base alle dichiarazioni stesse dell’onorevole Ministro, non può supporsi fondata su altro che sulla posizione politica del dottor Segre, il quale, essendo in possesso di tutti i requisiti per la nomina, cui si fece luogo con decreto ministeriale del 10 maggio 1947, non sembra possa essere ritenuto inadatto per il fatto di essere notoriamente esponente del Partito socialista italiano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Jacometti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se ed in che modo intende provvedere perché le pratiche per la liquidazione delle pensioni siano definite con maggiore sollecitudine.
«La maggior parte di coloro che hanno inoltrato la domanda di pensione vivono in gravi ristrettezze e lamentano la lentezza con la quale le pratiche sono decise. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Camposarcuno».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se, in dipendenza degli assalti e saccheggi che, ad opera dei partiti di sinistra, si sono svolti nella provincia di Imperia contro le sedi del Partito dell’uomo qualunque di Porto Maurizio, San Remo e Bordighera:
1°) sono stati presi provvedimenti nei riguardi del questore, il quale non ha assunta alcuna iniziativa per prevenire le delittuose azioni ed ha lasciato tranquillamente transitare per ore camions carichi di faziosi armati, senza tempestivamente intervenire per evitare le devastazioni e senza preoccuparsi, dopo, di rintracciare e punire i responsabili facilmente identificabili;
2°) se si ritiene giusto e ammissibile che lo stesso questore abbia fatto ritardare per tre giorni la pubblicazione del manifesto che invitava i qualunquisti a non reagire alla violenza con la violenza, esortandoli alla calma e ad usare la sola arma della scheda contro gli avversari, mentre veniva immediatamente dato il consenso per l’affissione di un manifesto compilato dai partiti di sinistra, praticamente incitante a nuove violenze e reazioni ed incitante gli aderenti ai partiti di sinistra contro il Governo e gli altri partiti ed, in specie, l’Uomo qualunque. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rodinò Mario».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per indurre la società «Sita» a ripristinare il servizio automobilistico San Fele-stazione Bella-Ulmo.
«L’interrogante fa presente che diversi paesi, per il mancato ripristino di detto servizio, sono privi di ogni mezzo di collegamento con la linea ferroviaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Pignatari».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, sull’episodio di intimidazione e di violenza verificatosi il 23 novembre nel comune di Taglio di Po, dove qualche centinaio di facinorosi irrompeva nei locali del municipio durante la seduta del Consiglio comunale ed imponeva al sindaco e ai consiglieri di allontanarsi dall’aula, tentando anche di imporre le dimissioni del sindaco.
«L’interrogante chiede, inoltre, di sapere quali provvedimenti siano stati adottati dall’autorità prefettizia e di pubblica sicurezza e quali quelli che intendono adottare per prevenire l’eventuale e prevedibile ripetersi di ulteriori episodi di violenza, evidentemente delittuosi, miranti ad impedire il legittimo funzionamento di una amministrazione democraticamente eletta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Villani».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali temperamenti intenda adottare nei confronti dell’attuale sistema di tassazione dei contributi unificati in agricoltura, i quali – per la loro onerosità – spingono all’evasone e favoriscono la disoccupazione, ed inoltre considerano quali datori di lavoro molti piccoli proprietari o mezzadri, che non soltanto non assumono mai salariati, ma che prestano essi stessi saltuariamente la loro opera presso terzi, e sono ingiustamente a carico dei concedenti il fondo anche qualora siano assunti dai mezzadri, ai quali invece in quota dovrebbero essere accollate le spese di assicurazione. Sperequazioni, infine, di notevole entità si riscontrano nelle ripartizioni per ettaro-coltura, senza tener conto dei minori redditi relativi alle zone collinari e montane; e nel riferimento che per la tassazione si fa a ruoli non aggiornati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Badini Confalonieri».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga opportuno intervenire nei confronti della ditta concessionaria della tramvia Cuneo-Borgo San Dalmazzo-Demonte, che pur avendo dovuto e potuto a suo tempo rinnovare il materiale rotabile antidiluviano, che è ancora attualmente in funzione, non provvede neppure a quelle spese di ordinaria amministrazione, che consentano almeno un minimo di sicurezza e di comodità per i viaggiatori. Detta linea serve una delle più ridenti vallate del Cuneese, il cui sviluppo turistico ne rimane inceppato, mente un aumento di corse giornaliere e un miglioramento del materiale non graverebbe le spese di esercizio, che si potrebbero facilmente ammortizzare anche per il notevole flusso di trasporti di legname dalla zona montana verso la pianura, che oggi debbono effettuarsi quasi esclusivamente mediante autocarri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Badini Confalonieri
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.
La seduta termina alle 20.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 11 e alle 16:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.