Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI LUNEDÌ 22 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI LUNEDÌ 22 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana:

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Orlando Vittorio Emanuele

Approvazione del processo verbale della seduta:

Presidente

La seduta comincia alle 17.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi, con la seduta di poche ore fa il compito dell’Assemblea Costituente può dirsi adempiuto. Ecco il testo definitivo della Costituzione, che mi appresto a consegnare al Presidente dell’Assemblea.

Era un compito difficile e faticoso. Il Comitato di redazione è apparso molte volte quasi una mitica unità; i suoi membri si sono divisi ed hanno combattuto fra loro; ma dopo tutto vi è stato, e si rivela oggi, uno spirito comune, uno sforzo di unità sostanziale; ed oggi il Comitato compatto sente la responsabilità e la solidarietà del suo lavoro, ed è orgoglioso di averlo portato a termine. Questo io devo dichiarare, a suo nome, all’Assemblea e ringraziarla di aver sanzionato l’opera nostra.

Questa è un’ora nella quale chi è adusato alle prove parlamentari, chi è stato in trincea, chi ha conosciuto il carcere politico, è preso da una nuova e profonda emozione. È la prima volta, nel corso millenario della storia d’Italia, che l’Italia unita si dà una libera Costituzione. Un bagliore soltanto vi fu, cento anni fa, nella Roma repubblicana di Mazzini. Mai tanta ala di storia è passata sopra di noi.

E ciò avviene in una congiuntura non ancora definita, in un processo di trasformazione ancora in cammino, in cui alcuni istituti vecchi non sono ancor morti, ed altri nuovi non sono ancora interamente vivi. Esistono due crepuscoli tra il giorno e la notte: questo che ora scorgiamo sarà per la nostra Italia crepuscolo di aurora e non di tramonto.

Dobbiamo darci la nostra Costituzione in una situazione tragica; dopo la disfatta; dopo l’onta di un regime funesto. Dobbiamo cercare di costruire qualche cosa di saldo e di durevole, mentre viviamo in piena crisi politica, economica, sociale. Ebbene, vi siamo riusciti. L’Italia darà un’altra prova di ciò che è stato il segno della sua storia e la rende inconfondibile con le altre nazioni: l’Italia è la sola che abbia saputo e saprà, risorgendo, rinnovare e vivere fasi successive ed altissime di nuove civiltà.

Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa, e che sparirà presto. No! abbiamo la certezza che durerà a lungo, e forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle esigenze dell’esperienza storica. Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, come richiede la tutela delle libertà democratiche, abbiamo consentito un processo di revisione, che richiede meditata riflessione, ma che non la cristallizza in una statica immobilità. Vi è modo di modificare e di correggere con sufficiente libertà di movimento. E così avverrà; la Costituzione sarà gradualmente perfezionata; e resterà la base definitiva della vita costituzionale italiana. Noi stessi – ed i nostri figli – rimedieremo alle lacune ed ai difetti, che esistono, e sono inevitabili.

Critiche sono venute anche da questo banco; ma non ci dobbiamo abbandonare ad un abito di auto-denigrazione, che sembra talvolta un tristo retaggio italiano. Nessuna Costituzione è perfetta. Tutte le volte che se n’è fatta una, sono risuonati lamenti e deprecazioni fra i costituenti. Ciò è avvenuto, anche subito dopo che a Filadelfia fu votata, un secolo e mezzo fa, la Costituzione nord-americana; che ora è giudicata la migliore di tutte!

Un giudizio pacato sui pregi e sui difetti della nostra Carta non può essere dato oggi, con esauriente completezza. Difetti ve ne sono; vi sono lacune e più ancora esuberanze; vi sono incertezze in dati punti; ma mi giungono ormai voci di grandi competenti dall’estero, e riconoscono che questa Carta merita di essere favorevolmente apprezzata, ed ha un buon posto, forse il primo, fra le Costituzioni dell’attuale dopoguerra. Noi, prima di tutti, ne riconosciamo le imperfezioni; ma dobbiamo anche rilevare alcuni risultati acquisiti.

I «principî fondamentali» che sono sanciti nell’introduzione, e che possono sembrare vaghi e nebulosi, corrispondono a realtà ed esigenze di questo momento storico, che sono nello stesso tempo posizioni eterne dello spirito, e manifestano un anelito che unisce insieme le correnti democratiche degli «immortali principî», quelle anteriori e cristiane del sermone della montagna, e le più recenti del manifesto dei comunisti, nell’affermazione di qualcosa di comune e di superiore alle loro particolari aspirazioni e fedi.

Nella enunciazione dei diritti e doveri dei cittadini, se la Francia, che ha una tradizione superba di tali dichiarazioni, ha potuto rimettersi ad esse, noi, che non l’abbiamo, siamo tenuti a formulare noi, per la prima volta, questi diritti e doveri. Lo abbiamo fatto non senza vantaggi e passi avanti; e qui le esigenze etico-politiche hanno ceduto il posto alla tecnica più precisa e concreta. Nessuna altra Carta costituzionale contiene un sistema così completo e definito di garanzie di libertà, ed alcuni istituti non sono privi di novità; mi hanno segnalato appunto la nullità delle misure di polizia non comunicate e convalidate subito dalla Magistratura, ed il diritto di associazione, inteso nel senso che chi ha diritto di svolgere singolarmente un’attività può farlo anche in forma costituzionale. Per il suo tecnicismo giuridico-costituzionale (e per la struttura e l’architettonica dell’intera Costituzione) la nostra Carta è una cosa seria.

Nessuno si deve scandalizzare se nei testi costituzionali è entrata – ormai da tempo – la nota dei rapporti economici. Le direttive che noi abbiamo formulato aprono, con la maggior adeguatezza possibile, la via a progressive riforme verso quella che deve essere ormai, lo abbiamo detto nel primo articolo, la democrazia basata sul lavoro; e nel tempo stesso escludono, proprio per lo sforzo di tracciare concreti istituti, i metodi rivoluzionari e violenti.

La seconda parte della Costituzione – ordinamento della Repubblica – ha presentato gravi difficoltà. Si tenga presente che nell’edificare la nostra Repubblica non abbiamo trovato, come in altri paesi, continuità di tradizione. Avevamo tutto da fare. Non abbiamo risoluto con piena soddisfazione tutti i problemi istituzionali. Ad esempio, per la composizione delle due Camere ed il loro sistema elettorale, rimesso del resto alla legge ordinaria. Ma in complesso si è seguita una linea media ed equidistante dai due estremi. Da un lato, dalle suggestioni, talvolta inconsapevoli, in cui cadono certuni che hanno sempre davanti agli occhi i congegni del passato, e non si sono ancora persuasi che il potere del re è per sempre caduto. Dallo opposto lato, dalle visioni degli estremisti che idealizzano un governo di assemblea e di convenzione, di cui tutti gli altri poteri sarebbero semplici commessi ed appendici. Ne ho parlato qui più volte; anche oggi confermo che le soluzioni adottate erano, dopotutto, le sole possibili, in attesa che l’esperienza indichi ulteriori processi ed adattamenti. Certo è che – pur non entrando nella via, almeno parziale, di alcuni poteri riservati al Capo dello Stato senza correlativa responsabilità ministeriale – il Presidente della Repubblica italiana è tutt’altro che un fantoccio. Certo è che, mantenendo la indeclinabile condizione della fiducia delle Camere, si è cercato di evitare le sorprese e la soverchia instabilità dei governi. E certo è – per ritornare alla parte tecnica – che più di ogni altra Costituzione la nostra definisce e precisa gli istituti del decreto-legge, del decreto legislativo, della formazione e della gerarchia delle leggi.

Per quanto concerne la magistratura, vi possono essere rilievi e riserve; ma in sostanza si è fatto un passo decisivo, il solo possibile, non ancora raggiunto in molti altri paesi, verso la unicità della giurisdizione, con l’obbligo di trasformare in sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari le attuali giurisdizioni speciali, esclusi soltanto per necessità imprescindibili delle loro funzioni il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti.

La nostra Costituzione affronta lo spinoso problema dell’ordinamento regionale. Molti sono i dubbi; e vi possono essere inconvenienti; ma non si poteva non andare incontro ad una irresistibile tendenza; vi sono riforme storiche che non si possono evitare; e si sono di fatto predisposti i nuovi istituti in modo che la prova concreta e l’adattamento della esperienza consentirà di dare ad essi maggiore o minore ampiezza, salvaguardando in ogni caso la necessità suprema della unità ed indivisibilità della patria.

Perdonatemi se ho creduto necessario rivendicare non solo le ombre, ma le luci della Costituzione. Si è fatto il possibile: nessuna altra Carta ebbe una più minuta preparazione; nessuna fu più a lungo discussa; per nessuna si è fatto con maggior completezza il punto, e si è condotto quasi un esame di coscienza di tutti i problemi più gravi del momento. È un eccesso? Sì; ma non è senza significato che un popolo, nell’accingersi ad un rinnovamento, abbia voluto compiere quest’esame di coscienza.

La formulazione della nostra Costituzione non poteva che svolgersi con metodi democratici. Noi abbiamo assistito – foggiandolo noi stessi – a ciò che è un processo di formazione democratica e cioè collettiva. Una Costituzione non può più essere l’opera di uno solo, o di pochissimi. Deve risultare dalla volontà di tutti i rappresentanti del popolo; e i rappresentanti del popolo non si conducono con la violenza; l’unico modo, in democrazia, di vincere è di convincere gli altri. Che cinquecentocinquanta individui prendano parte (e tutti credono di aver eguale competenza) nella formulazione degli articoli di una Costituzione, ha fortissimi inconvenienti; non si fa così per i codici; ma come si fa a delegare la stesura della Costituzione? Con molta pazienza la tecnica riesce a farsi comunque strada; ed a rimediare, se non a tutti, a molti inconvenienti. Ciò avverrà sempre più, con l’autolimitazione volontaria e la maggior educazione politica di domani. Intanto vi è anche un vantaggio: che tutti i rappresentanti del popolo, tutte le correnti del popolo da essi rappresentate possono dire: questa Costituzione è mia, perché l’ho discussa e vi ho messo qualcosa.

Onorevoli colleghi, l’esigenza dell’opera collettiva, della collaborazione di tutti, in democrazia è l’inevitabile, ed è la forza stessa della democrazia. E vi è un’altra cosa inevitabile, una conseguenza di questa stessa esigenza: la Costituzione, come ogni opera collettiva, non può che essere, come si dice in senso deteriore, un «compromesso». Preferisco dire con il purissimo Cattaneo che non può essere se non «una transazione», come è tutta la storia. Ed è «equilibrio»; questa è la caratteristica della nostra Costituzione; un equilibrio realizzato, come era possibile, fra le idee e le correnti diverse. Mi si dica in quale altro modo – forse con una prevalenza forzata, forse con un totalitarismo costituzionale – si sarebbe potuto fare una Costituzione democratica. Anche le altre Costituzioni storiche, che oggi ci sembrano monolitiche, furono sempre il risultato di transazioni e di equilibri.

Quando oggi voteremo, il largo suffragio che daremo alla nostra Costituzione attesterà che, malgrado i dissensi e le lacerazioni, è scaturita dalle viscere profonde della nostra storia, la convergenza di tutti in una comune certezza; il sicuro avvenire della Repubblica italiana. (Vivissimi, generali applausi).

Con queste dichiarazioni mi onoro consegnare al Presidente dell’Assemblea Costituente il testo definitivo della Carta costituzionale. (L’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, generali, prolungati applausi – Da una tribuna un gruppo di garibaldini intona l’inno di Mameli, ripreso dall’Assemblea e dal pubblico delle tribune – Rinnovati, vivissimi applausi).

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Ruini della consegna del testo definitivo della Costituzione, al cui perfezionamento di forma e di sostanza egli ha dato opera diuturna ed appassionata fino, possiamo ben dirlo, a poche ore fa. Ancora stamane noi lo abbiamo udito mentre forniva a noi tutti gli ultimi chiarimenti che ci erano necessari per metterci in condizioni di procedere ora al voto definitivo.

Credo che non ci fossimo resi conto tutti, in un primo momento, della gravità e dell’importanza del compito che avevamo affidato al Presidente della Commissione dei Settantacinque. È certo che molti di noi forse ancora non conoscono la somma di fatiche che il suo assolvimento ha imposto all’onorevole Ruini.

Voglio esprimere la mia riconoscenza personale all’onorevole Ruini, senza la cui valida collaborazione io stesso non avrei potuto rispondere alla fiducia riposta in me dall’Assemblea. E credo che se esprimo all’onorevole Ruini anche il ringraziamento dell’intera Assemblea, questa darà alle mie parole plauso e consenso. (Vivissimi generali applausi).

Indico la votazione a scrutinio segreto sulla Costituzione della Repubblica italiana.

Si procederà alla votazione a scrutinio segreto con appello nominale. Pertanto ogni singolo deputato, il cui nome sarà chiamato, verrà a deporre nell’urna il suo voto.

Si faccia la chiama per ordine alfabetico, cominciando dalla lettera A.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la votazione – Quando il Presidente Terracini si reca a votare l’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, prolungati, generali applausi cui si associano i giornalisti delle tribune della stampa).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto. Invito gli onorevoli Segretari a numerare i voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Proclamo il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     515

Maggioranza           258

Voti favorevoli        453

Voti contrari                        62

(L’Assemblea approva – L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi, generali, prolungati applausi cui si associano i giornalisti delle tribune della stampa – Si grida: Viva la Repubblica! – Nuovi, prolungati applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Ayroldi – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caroleo – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michells Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – La Gravinese Nicola – La Malfa – Lami Starnuti – Landi– La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Matteotti Matteo – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Motolese – Murdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Selvaggi – Sereni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terracini – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Vallone – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vigorelli – Vilardi – Villabruna – Villani – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Canepa – Carmagnola – Cavallari.

Jacini.

Merlin Umberto.

Preziosi.

Ravagnan.

Trulli.

Vanoni – Vernocchi.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi! È con un senso di nuova profonda commozione che ho pronunciato or ora la formula abituale con la quale, da questo seggio, nei mesi passati ho, cento e cento volte, annunciato all’Assemblea il risultato delle sue votazioni. Di tutte queste, delle più combattute e delle più tranquille, di quelle che videro riuniti in un solo consenso tutti i settori e delle altre in cui il margine di maggioranza oscillò sull’unità; di tutti questi atti di volontà che, giorno per giorno, vennero svolgendosi, con un legame non sempre immediatamente conseguente – in riflesso di situazioni mutevoli non solo nell’Aula, ma anche nel Paese – quest’ultimo ha riassunto il significato e gli intenti, affermandoli definitivamente e senza eccezione come legge fondamentale di tutto il popolo italiano.

Ed io credo di potere avvertire attorno a noi, oggi, di questo popolo l’interesse fervido ed il plauso consapevole e sodisfatto. Si può ora dirlo; vi è stato un momento, dopo i primi accesi entusiasmi, nutriti forse di attese non commisurate alle condizioni storicamente maturate ed in loro reazione, vi è stato un momento nel quale come una parete di indifferenza minacciava di levarsi fra questo consesso e le masse popolari. E uomini e gruppi, già ricacciati al margine della nostra società nazionale dalla prorompente libertà – detriti del regime crollato o torbidi avventurieri di ogni congiuntura (Applausi) alacremente, e forse godendo troppa impunità, si erano dati ad approfondire il distacco, ricoprendo di contumelie, di calunnie, di accuse e di sospetti questo istituto, emblema e cuore della restaurata democrazia. (Vivi applausi).

Onorevoli deputati, è col nostro lavoro, intenso e ordinato, è con lo spettacolo ad ogni giorno da noi offertogli della nostra metodica, instancabile applicazione al compito affidatoci, che noi ci siamo in fine conquistati la simpatia e la fiducia del popolo italiano. Il quale, nelle sue distrette come nelle sue gioie, sempre più è venuto volgendosi all’Assemblea Costituente come a naturale delegata ed interprete e realizzatrice del suo pensiero e delle sue aspirazioni. E le centinaia, le migliaia di messaggi di protesta, di approvazione, di denuncia, di richieste giunti alla Presidenza nel corso dei diciotto mesi di vita della Costituente, testimoniano del crescente spontaneo affermarsi della sua autorità, come Assemblea rappresentativa. È questo un prezioso retaggio morale che noi lasciamo alle future Camere legislative della Repubblica.

Ho parlato di lavoro instancabile. Ne fanno fede le 347 sedute a cui ci convocammo, delle quali 170 esclusivamente costituzionali; i 1663 emendamenti che furono presentati sui 140 articoli del progetto di Costituzione, dei quali 292 approvati, 314 respinti, 1057 ritirati od assorbiti; i 1090 interventi in discussione da parte di 275 oratori; i 44 appelli nominali ed i 109 scrutini segreti; i 40 ordini del giorno votati; gli 828 schemi di provvedimenti legislativi trasmessi dal Governo all’esame delle Commissioni permanenti ed i 61 disegni di legge deferiti all’Assemblea; le 23 mozioni presentate, delle quali 7 svolte; le 166 interpellanze di cui 22 discusse; le 1409 interrogazioni, 492 delle quali trattate in seduta, più le 2161 con domanda di risposta scritta, che furono sodisfatte per oltre tre quarti dai rispettivi Dicasteri.

Lavoro instancabile; sta bene. Ma anche lavoro completo? Alla stregua del mandato conferitoci dalla nostra legge istitutiva, sì. Noi consegniamo oggi, a chi ci elesse il 2 giugno, la Costituzione; noi abbiamo assolto il compito amarissimo di dare avallo ai patti di pace che hanno chiuso ufficialmente l’ultimo tragico e rovinoso capitolo del ventennio di umiliazioni e di colpe (Applausi), e, con le leggi elettorali, stiamo apprestando il ponte di passaggio, da questo periodo ancora anormale, ad una normalità di reggimento politico del Paese nel quale competa ad ogni organo costituzionale il compito che gli è proprio ed esclusivo: di fare le leggi, al Parlamento; al Governo di applicarle; ed alla Magistratura di controllarne la retta osservanza.

Ma, con la Costituzione, questa Assemblea ha inserito nella struttura dello Stato repubblicano altri organi, ignoti al passato sistema, suggeriti a noi dall’esperienza dolorosa o dettati dalla evoluzione della vita sociale ed economica del Paese. Tale la Corte delle garanzie costituzionali, sancita a difesa dei diritti e delle libertà fondamentali, ma non a preclusione di progressi ulteriori del popolo italiano verso una sempre maggiore dignità dell’uomo, del cittadino, del lavoratore. Tale il Consiglio nazionale della economia e del lavoro, che – rimuovendo gli ostacoli dovuti a incomprensione o ad ignoranza delle altrui esigenze – eviterà le battaglie non giustificate, disperditrici di preziose energie, dando alle altre, necessarie invece ed irreprimibili in ogni corpo sociale che abbia vita fervida e sana, consapevolezza di intenti e idoneità di mezzi.

Ma forse, sì, non taciamolo, onorevoli colleghi, molta parte del popolo italiano avrebbe voluto dall’Assemblea Costituente qualcos’altro ancora. I più miseri, coloro che conoscono la vana attesa estenuante di un lavoro in cui prodigare le proprie forze creatrici e da cui trarre i mezzi di vita; coloro che, avendo lavorato per un’intera vita, fatti inabili dall’età, dalla fatica, dalle privazioni ancora inutilmente aspettano dalla solidarietà nazionale una modesta garanzia contro il bisogno; coloro che frustano i loro giorni in una fatica senza prospettiva, chiudendo ad ogni sera un bilancio senza residui, utensili pensanti e dotati d’anima di un qualche gelido mostruoso apparato meccanico, o forze brute di lavoro su terre estranee e perciò stesso ostili: essi si attendevano tutti, che l’Assemblea esaudisse le loro ardenti aspirazioni, memori come erano di parole proclamate e riecheggiate. (Approvazioni).

Noi lo sappiamo, oggi, che ciò avrebbe superato le nostre possibilità. Ma noi sappiamo di avere posto, nella Costituzione, altre parole che impegnano inderogabilmente la Repubblica a non ignorare più quelle attese, ad applicarsi risolutamente all’apprestamento degli strumenti giuridici atti a sodisfarle. La Costituzione postula, senza equivoci, le riforme che il popolo italiano, in composta fiducia, rivendica. Mancare all’impegno sarebbe nello stesso tempo violare la Costituzione e compromettere, forse definitivamente, l’avvenire della Nazione italiana. (Vivissimi, generali applausi).

Onorevoli colleghi, ieri sera, quasi a suggello simbolico apposto alla Carta costituzionale, voi avete votato un ordine del giorno col quale raccomandate e sollecitate dal Presidente della Repubblica un atto generoso di clemenza e di perdono.

Già al suo primo sorgere, la Repubblica volle stendere le sue mani indulgenti e volgere il suo sguardo benigno e sereno verso tanti, che pure non avevano esitato a straziare la Patria italiana; ad allearsi con i suoi nemici, a colpirne i figli più eroici. Il rinnovato gesto di amistà, del quale vi siete fatti promotori, vuole oggi esprimere lo spirito che ha informato i nostri lavori, in ognuno di noi, su qualunque banco si sedesse, a qualunque ideologia ci si richiami. L’Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui essa lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. (Approvazioni). E noi stessi, onorevoli deputati, colleghi cari e fedeli di lunghe e degne fatiche, conclusa la nostra maggiore opera, dopo avere fatta la legge, diveniamone i più fedeli e rigidi servitori. (Approvazioni). Cittadini fra i cittadini, sia pure per breve tempo, traduciamo nelle nostre azioni, le maggiori e le più modeste, quegli ideali che, interpretando il voto delle larghe masse popolari e lavoratrici, abbiamo voluto incidere nella legge fondamentale della Repubblica.

Con voi m’inchino reverente alla memoria di quelli che, cadendo nella lotta contro il fascismo e contro i tedeschi, pagarono per tutto il popolo italiano il tragico e generoso prezzo di sangue per la nostra libertà e per la nostra indipendenza (Vivissimi, generali applausi), con voi inneggio ai tempi nuovi cui, col nostro voto, abbiamo aperto la strada per un loro legittimo affermarsi.

Viva la Repubblica democratica italiana, libera, pacifica ed indipendente! (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Si grida: Viva la Repubblica! – Viva il Presidente Terracini! – Nuovi vivissimi, generali applausi).

In quest’ora così solenne della nostra storia non poteva mancare a noi ed al popolo italiano la parola alta, serena, saggia del Presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, il quale ha seguito ed illuminato la nostra fatica, vigile ad ogni passo lungo la strada che condurrà la Repubblica dall’abisso in cui sorse fino alla posizione che le compete di Stato libero, e rispettato nel mondo.

Do lettura del messaggio di Enrico De Nicola:

Roma, 22 dicembre 1947 – ore 18.30.

«La ringrazio vivamente, illustre Presidente, di avermi comunicato con cortese sollecitudine l’approvazione della Costituzione della Repubblica italiana.

«Il mio pensiero, reverente e devoto, si rivolge, in questo momento di sincera commozione, all’Assemblea Costituente, che – sotto la Sua incomparabile e indimenticabile Presidenza – ha compiuto un lavoro di cui gli storici daranno certamente un giudizio sereno, che onorerà il nostro Paese, per la profondità delle indagini compiute, per l’altezza dei dibattiti svoltisi, per lo zelo coscienzioso costantemente osservato nella ricerca delle soluzioni più democratiche e nella formulazione rigorosamente tecnica dei principî fondamentali e delle specifiche norme costituzionali – e all’Italia nostra, amata e martoriata, che dalle sventure sofferte e dai sacrifizii affrontati, saprà trarre ancora una volta, nella concordia degli intenti e delle opere dei suoi figli, le energie necessarie per il suo sicuro avvenire, offrendo al mondo un nuovo esempio di eroiche virtù civili e un nuovo incitamento al progresso sociale».

(Vivissimi, generali, prolungati applausi, cui si associa il pubblico delle tribune).

Giunga il nostro riverente affettuoso pensiero ad Enrico De Nicola, che oggi acclamiamo primo Presidente della Repubblica Italiana. (Nuovi, vivissimi, generali applausi).

Si dia lettura di un telegramma giunto in questo momento dal Sindaco della città di Venezia.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Alla odierna solenne seduta della Assemblea Costituente convocata per l’approvazione della nuova Carta costituzionale che sancisce i diritti del popolo e la Repubblica, sogno di tanti martiri del primo Risorgimento italiano, meta raggiunta a prezzo di tanti sacrifici e di sangue in questo secondo Risorgimento, dopo che la monarchia, con la sua guerra antinazionale e col suo tradimento delle libertà popolari, ha dimostrato anche ai più increduli la legittimità di quel sogno di veggenti, l’amministrazione comunale di Venezia, che si prepara a ricordare con cerimonie che resteranno memorabili la seconda Repubblica di San Marco, vuole far pervenire la sua voce di plauso per la Repubblica italiana e per la nuova Carta costituzionale, augurando che da essa procedano leggi innovatrici del diritto e del costume, affinché il popolo italiano prostrato da tanti lutti, risorga davvero arbitro del proprio destino. – Il Sindaco Gianquinto».

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. (Vivi applausi al centro).

Iniziando questa mia brevissima dichiarazione, sento il dovere di associarmi al ringraziamento espresso dal Presidente dell’Assemblea e alle parole di ammirazione da lui usate per Enrico De Nicola, per l’opera sua di vigile tutela e di collaborazione, che con la sua saggezza giuridica e l’esperienza parlamentare, ha dato non solo all’elaborazione della Costituzione, e, in genere, ai lavori legislativi, ma anche al Governo, con i suoi illuminati consigli.

Il Governo si associa all’augurio che il primo Presidente della Repubblica italiana possa continuare la sua opera per un lungo periodo ancora, e a lui noi tutti del Governo tributiamo sempre quell’ossequio e quell’obbedienza che sono la base fondamentale dell’autorità repubblicana.

Aggiungo il mio ringraziamento all’Assemblea, e in modo particolare alla Presidenza, per la collaborazione, che non era espressamente riservata alla sua attribuzione dalle leggi, ma con la quale pure ha recato un contributo prezioso alle iniziative del Governo, attuandole o modificandole con opportuni emendamenti.

Non fu senza un certo senso di invidia che noi vedemmo i nostri colleghi delle Commissioni legislative occuparsi dei grandi problemi della Costituzione, direi, gettando le grandi arcate della Costituzione, mentre noi, dalle esigenze di tutti i giorni, eravamo costretti ad occuparci dei piccoli particolari.

Io vi rinnovo l’espressione di ringraziamento profondo per questa vostra collaborazione. Questi nostri ringraziamenti vanno soprattutto ai membri della Commissione per la Costituzione e in modo particolare al suo Presidente, onorevole Ruini, che con tanto zelo ha diretto i lavori della Commissione stessa.

Il Governo ora, fatta la Costituzione, ha l’obbligo di attuarla e di farla applicare: ne prendiamo solenne impegno. Noi tutti però sappiamo, egregi colleghi, che le leggi non sono applicabili se, accanto alla forza strumentale che è in mano al Governo, non vi è la coscienza morale praticata nel costume. A distanza di cento anni, mi giunge all’orecchio come l’eco del programma mazziniano, che suonava:

«La Costituente nazionale, raccolta a Roma, metropoli e città sacra della Nazione, dirà all’Italia e all’Europa il pensiero del popolo e Dio benedirà il suo lavoro».

Valga tale auspicio anche per questa Assemblea del nuovo Risorgimento; il soffio dello spirito animatore della nostra storia e della nostra civiltà cristiana passi su questa nostra faticosa opera, debole perché umana, ma grande nelle sue aspirazioni ideali, e consacri nel cuore del popolo questa legge fondamentale di fraternità e di giustizia, sicché l’Europa e il mondo riconoscano nell’Italia nuova, nella nuova Repubblica, assisa sulla libertà e sulla democrazia, la degna erede e continuatrice della sua civiltà millenaria e universale. (Vivissimi, prolungati applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Orlando Vittorio Emanuele. (L’Assemblea in piedi applaude lungamente).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Onorevoli colleghi, non so a che cosa io debba questo onore e questa responsabilità di essere chiamato a parlare, quasi direi di ufficio; d’ufficio, perché non l’ho chiesto, e non l’ho chiesto per una duplice ragione: l’una, contingente, della persistente deficienza dei mezzi miei di comunicazione verbale; l’altra, sostanziale, della immensa gravità, della solennità eccezionale dell’ora. Perdonatemi, quindi, in anticipo, se, per l’una e per l’altra ragione, io sarò (e non è artifizio retorico od oratorio) inferiore a quello che dovrebbe essere il mio compito ed alla vostra aspettazione.

Mi correggo. Ho detto di non sapere a che cosa debba questo onore: indubbiamente lo debbo al titolo della mia maggior vecchiezza. Ma, forse, nel caso presente più che il computo numerico degli anni, può valere a conferirmi questo titolo l’essere io rappresentante estremo delle tre generazioni, che hanno fatto l’Italia. Qui, dunque, vi parlo meno come un collega che come un antenato. E quando, a questo medesimo titolo, inaugurai i lavori dell’Assemblea Costituente, credetti di poter riassumere tutto il mio animo solidale con voi in un augurio, che era anche una benedizione del vecchio. Ora, parlo per concludere, come allora parlai per cominciare. Oggi, noi siamo al vertice dell’opera raggiunta; onde possiamo, guardando sotto di noi, considerare la strada che abbiamo percorsa, e in un certo senso quest’Assemblea può esser fiera del lavoro compiuto, pur attraverso contrasti, pur rasentando precipizi – e l’avvenire dirà se li abbiamo sempre felicemente evitati –, pur trovandoci di fronte a bivii e l’avvenire dirà se sempre abbiamo saputo scegliere la buona strada, ed io auguro che si possa dire che si è scelta la buona.

Per merito di chi? Di tutti: attraverso i dissensi, malgrado i contrasti, ognuno di noi ha contribuito a quest’opera. E vi è solidarietà, unità, anche fra coloro che hanno sostenuto le tesi più diverse e più opposte, perché in ciò sta la bellezza della libertà parlamentare (Approvazioni): nella discussione, che è il mezzo più razionale e più elevato per raggiungere quella verità relativa, che agli uomini può essere consentita. Un po’ di merito l’abbiamo, dunque, tutti. Ma io non posso insistere su questo punto, perché sarebbe come lodarci da noi stessi. È vero che è cosa che gli uomini politici fanno ed è tollerata; ma, in un’occasione così eccezionale, è meglio prescinderne.

Non posso insistere sui meriti nostri come Assemblea; ma forse è bene, parlando in nome dell’Assemblea, ricordare e additare alla gratitudine nostra coloro che sono stati – direi – il simbolo di questo lavoro, e due al di sopra di tutti.

In primo luogo, quell’uomo a cui ben spetta – e non l’ha chiesto – di trasformare il titolo che gli ricordava la provvisorietà (come, in certi ordini monastici, v’è chi ricorda che si deve morire) il titolo – dico – della provvisorietà in quello effettivo e definitivo di Presidente, il primo Presidente della Repubblica italiana (Vivissimi, generali applausi), ed egli è tal uomo da augurare con la più profonda sincerità, con il più sereno ottimismo patriottico che coloro che gli succederanno siano sempre degni di succedergli. (Applausi).

Enrico De Nicola appartiene a quella categoria di uomini politici, che ha per sé la vera grandezza, cioè servire per dovere. Alieno (e dalla mentalità parlamentare leggermente degenerata gliene si faceva rimprovero come di un difetto!), alieno dall’aspirare ai poteri, desideroso di mettersi a disposizione se ricercato, modesto sempre, di giusto giudizio, la cooperazione di lui nella formazione di questo atto costituzionale non è nota, ma credo che tutti noi, più che saperla, la sentiamo essere stata assidua, alacre, feconda.

Ad Enrico De Nicola, dunque, innanzi tutto esprimerò i nostri ringraziamenti; e poi a questo nostro Presidente (L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi, prolungati applausi) a questo nostro Presidente, che mi ha dato la grande consolazione di infliggermi una solenne smentita. Per sopravalutare questa classe parlamentare cui appartengo – è naturale: io sono l’homo parlamentaris per eccellenza! (Si ride)per sopravalutare, dunque, questa classe cui appartengo (e me ne vanto!) io pensavo ed affermavo: badate, se Cicerone dice che poeta nascitur, orator fìt, per il parlamentare occorrono entrambe queste condizioni: bisogna nascerci, avere la vocazione; ma bisogna poi aver vissuto la vita, avere acquistato l’esperienza. Orbene, questo nostro Presidente mi ha mortificato nel dimostrare che una delle due condizioni non è necessaria: in lui v’è una vocazione formidabile, la quale ha sostituito l’esperienza, perché negli ultimi anni della fortunosa e mirabile sua vita egli non ha potuto più frequentare aule universitarie, non ha più potuto studiare precisamente quei regolamenti e quelle fonti di diritto, da cui si formano poi gli atti costituzionali. (Applausi generali).

Egli si è dimostrato veramente straordinario! E quando un momento fa sfilavano le diecine e le centinaia di emendamenti (altro che la «selva selvaggia ed aspra e forte!»), egli ci si muoveva con una padronanza assoluta, aveva presente tutto, sapeva conciliare la fermezza di un’autorità che s’impone con la bonarietà di un collega che trova l’arguzia per comporre un dissenso, un contrasto, che ad altri sarebbe, forse, apparso addirittura insormontabile! Egli è stato veramente un gran Presidente e – direi – un Presidente nato perfetto! (Vivissimi, generali applausi).

E così dunque, sotto questi auspici, si è compiuta quest’opera.

Che cosa vale?

Io, tutte le volte che ho parlato, ho dichiarato così frequentemente e così manifestamente una mia diversità di pensare e di sentire a proposito di una legge costituzionale che sarebbe ipocrisia, se ora ad un tratto volessi usare della spugna di Leibnitz e cancellare quelle che erano e sono le mie idee. La verità è che qui sono venute di fronte due diverse maniere di concepire l’intervento del legislatore nel fissare l’ordinamento giuridico di un popolo. Io potrei, per deferenza a voi, dire che il mio punto di vista era quello antico e che il vostro era quello moderno. No, la verità è che così l’uno come l’altro sono antichi quanto l’uomo, antichi quanto il legislatore. Da un lato, si ha l’imposizione di una regola attraverso una volontà consapevole: io comando – dice il legislatore, soprattutto se è dell’ordine costituzionale, questa mia volontà io la esamino, la concreto diligentemente, me ne rendo conto, metto dalla mia parte tutte le ragioni per cui si possa presumere che si legifera bene; ma, dopo tutto, questa è la mia volontà. Una tale tenenza è antica quanto l’uomo, ed i primi legislatori la loro volontà la fecero passare addirittura per quella di Dio. Dall’altro lato, invece, il diritto viene concepito non come una imposizione dall’esterno, ma come una qualche cosa di organico, che si sviluppa da sé: pianta, che mette nella terra le sue profonde radici, che alimenta il suo tronco, i suoi rami, le sue foglie, anche le più alte, raccogliendo dall’aria, dalla luce, dalla profondità dell’humus le ragioni della sua esistenza.

Ecco i due punti di vista in contrasto: concezioni, che non restano nell’astrattezza della teoria, ma si scontrano, si urtano, si contendono nella viva e ardente realtà. Io ho sempre seguito la seconda di queste concezioni, donde il dissenso abbastanza profondo con l’altra parte. Ma, badate, in questo momento, io ben posso di tutto cuore accompagnare quest’atto, che deve reggere la vita collettiva del popolo italiano, con un augurio fiducioso, con un augurio pieno: e ciò, appunto perché quella scuola giuridica, cui appartengo, riconosce che alle leggi si applica larghissimamente il motto che dice che la soma si accomoda per via. E, difatti, è quella stessa forza spontanea, quella forza organica, direi, in certo senso naturale, da cui dipende lo sviluppo delle istituzioni, che opera, se occorre, anche indipendentemente da un testo scritto e lo viene adattando a quelli che sono i veri bisogni storici. Quindi, non mi metto in contraddizione con me stesso, se esprimo questo augurio, pur restando fermo al mio punto di vista. Dopo di che? Ebbene, dopo di che, se già l’ho lodato, torno a lodare il dissenso il contrasto come il mezzo più idoneo per scoprire la verità o per avvicinarci ad essa il più che sia possibile: verità, come ho detto poc’anzi, naturalmente di un valore del tutto relativo.

Ma da questo momento tutto ciò è finito. Ora, la Costituzione ha avuto la sua consacrazione laica. Essa è al di sopra delle sue discussioni. Noi dobbiamo ad essa obbedienza assoluta, perché io non so concepire nessuna democrazia e nessuna libertà se non sotto forma di obbedienza alle leggi, che un popolo libero si è date. (Applausi).

E un auspicio si può trarre, oggi, dalla coincidenza, per cui la Costituzione entra in vigore il primo dell’anno, che compie il centenario del 1848. Vedete se era retorica la mia quando vi dicevo or ora di sentirmi di tanto inferiore al compito, perché in questo momento occorrerebbe come si dice che avvenga agli asfittici, i quali, nell’attimo che passa fra la preagonia e la morte, vedrebbero sfilare rapidamente tutta la loro vita – occorrerebbe vedere sfilare qui, in una visione complessiva, totale, sintetica, un secolo intero. Il sorgere di questo secolo vide l’Italia divisa ed il tramonto di esso è sembrato che dovesse ancora vederla divisa; ma il popolo italiano ha resistito alla immane bufera, ed abbiamo superato questo punto. Vedete, questo nuovo centenario comincia con un’affermazione superba. L’Italia ha ormai passato la sua prova. L’Italia, a cui si poteva rimproverare, e non per colpa sua, la brevità della sua vita nazionale, ora ha attraversato le più tremende vicende; e se le ha superate, è stato perché da sé sola, con le proprie intime forze, ha rimediato a tutti i guai ed a tutte le ingiustizie sofferte. (Applausi).

Un nuovo centenario comincia. Voi comprendete il fervore dell’augurio di questo vecchio. Che cosa ci riserba l’avvenire? Che cosa ci riserba il mondo? Io sono convinto – nel campo scientifico, non politico – (e non lo dico ora; l’ho già detto in scritti precedenti) che questa rivoluzione non è – mi si permetta la espressione – una rivoluzione di ordinaria amministrazione; non è una semplice rivoluzione, per cui una Repubblica succeda ad una monarchia od una monarchia succeda ad una Repubblica; non è la formazione di uno Stato o la separazione di uno Stato da un altro o il dissolvimento di uno Stato in una pluralità di Stati: insomma, non è una delle tante rivoluzioni, attraverso cui l’umanità è progredita. No, qui è un’era che succede ad un’altra; è un tipo di Stato che si sovrappone ad un altro. Fino ad oggi abbiamo innanzi agli occhi lo Stato nazionale, originato nel secolo XVI, subito dopo il medio evo, sulla base della sovranità esclusiva, dei rapporti interni, dei rapporti internazionali: abbiamo, dunque, una comunità di Stati senza che fra essi esista un vero e proprio coordinamento giuridico. Ora, per effetto di questa tremenda rivoluzione che stiamo attraversando, questo tipo di Stato va a tramontare; e vi si sostituirà una forma di superstato. Quale? Non si fa l’indovino nella storia. Tante incognite pendono: a crearlo sarà la forza o sarà l’accordo o sarà qualche cosa tra l’uno e l’altra? E sarà esso in un senso continentale o sarà in un senso razziale? Chi potrebbe dirlo? Misteri della storia futura!

Di fronte a questo nuovo tipo di Stato che sorge l’Italia è preparata a tutti i sacrifici, anche a quello della orgogliosa affermazione della sovranità assoluta; ma – sia detto ben alto! – ad una sola condizione: alla condizione, cioè, che questi limiti debbano valere pure per gli altri, per tutti gli altri. Ed allora, che sarà di questo nostro attaccamento a questo Paese nostro? A me ha potuto bastare di amare l’Italia; forse a voi occorrerà un’altra forma di attaccamento. V’è già chi dice: «Io mi sento europeo»; un altro: «mi sento africano»; un altro: «mi sento asiatico»; un altro: «mi sento slavo, anglosassone, germanico». Qualcuno arriva perfino a dire: «mi sento cittadino del mondo». Ma tutto ciò è prematuro.

Orbene, anche quando questi destini che oggi si annunciano si compiranno, il nuovo sentimento, che potrà nascere, non sopprimerà l’antico; ed è questo il lato, direi, mistico di questa evoluzione creatrice dell’umanità. Della umanità la prima cellula fu la famiglia; ma lo sviluppo dell’evoluzione, che ha ridotto la famiglia ad una cellula contenuta in una forma associativa, quale lo Stato, tanto più diffusa, tanto più complessa, incomparabilmente più estesa, ha forse soppresso l’attaccamento alla famiglia? Si può dire che il sentimento, l’affetto come padre o come fratello sia oggi minore di quello che sentivano gli antichi romani, che mandavano a morte i loro figli e ne traevano anche vanto? Allorché la famiglia si estese e si complicò in forma di comunione, di villaggio, l’attaccamento ad essa forse venne meno? E quando si arrivò alla città, si attenuò questo sentimento? E quando lo sviluppo dello Stato feudale, riunendo in un tutto campagne e città, creò la terra che ora si chiama regione, forse quell’attaccamento nostro si spense? Ed oggi, il mio attaccamento per la Sicilia si frappone, forse, a quello per l’Italia, o non piuttosto lo ingigantisce? Questo ho voluto dire, perché, quali che siano gli eventi futuri, l’amore e la devozione verso la Madre di ogni vita, questa antica, gloriosa, veneranda Italia, questi sentimenti non verranno mai meno; e dagli stessi contrasti potranno, anzi, esser resi più intensi. Onde, se io, vecchio, posso morire col nome di Italia sulle labbra, voi, giovani, – ce ne siete qui tanti – potrete, un giorno, avvertire altri sentimenti di adesione, di attaccamento, di amore per una qualche assai più ampia forma di vita statale; ma anche allora, voi vi sentirete italiani, come questo vecchio, anche allora amerete questa Madre comune, e sarete appassionatamente, fieramente italiani. Ed è in questo pensiero che io concludo, rivolgendo un appello, che, al di sopra dei dissensi e dei conflitti quotidiani, tutti ci congiunga in un sentimento ed in un nome: Viva l’Italia! Dio salvi l’Italia! (Vivissimi, generali, prolungati applausi).

Approvazione del processo verbale della seduta.

PRESIDENTE. A conclusione di questa seduta, che ha avuto contenuto e significato del tutto particolari, diamo immediatamente lettura, per la sua approvazione, del relativo processo verbale.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta.

ZAGARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZAGARI. Poiché, per ragioni indipendenti dalla mia volontà, non ho potuto partecipare alla votazione finale della Costituzione, dichiaro che, se fossi stato presente, avrei votato a favore.

(Il processo verbale è approvato – Vivissimi, prolungati applausi).

PRESIDENTE. L’Assemblea sarà convocata a domicilio.

La seduta termina alle 19.30.

ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 22 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 22 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Per il rimpatrio dei prigionieri italiani ancora trattenuti all’estero:

Presidente

Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Codacci Pisanelli

La Pira

Togliatti

Marchesi

Calamandrei

Coppa

Nitti

Meda

Annunzio di nomina di Sottosegretari di Stato:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Presidente

Relazione della Commissione d’inchiesta sulle accuse mosse al deputato Chieffi:

Presidente

Dugoni

Gasparotto, Presidente della Commissione

Bertini

Foa

Calamandrei

Cifaldi

Lussu

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 12.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Per il rimpatrio dei prigionieri italiani ancora trattenuti all’estero.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli De Maria, Dominedò ed altri hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, nell’atto di formulazione della Carta costituzionale, che per il popolo italiano è documento e norma di vita democratica, e, quindi di fraterna solidarietà con gli altri popoli, fa voti perché il Governo svolga ogni azione tendente ad ottenere il rimpatrio degli italiani che vivono ancora in terra straniera, scontando le conseguenze di un periodo doloroso, per il popolo italiano definitivamente superato».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo esaminare le questioni che, in sede di riunione della Commissione delegata ieri dai rappresentanti dei Gruppi, non è stato possibile risolvere.

L’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione ha facoltà di riferire in proposito.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Farò come dice il nostro Presidente. E sarà, dopo altre centinaia di mie relazioni, quella conclusiva e finale. Mi duole soltanto di essere obbligato a parlare di cose minute e tecniche, in un’ora così solenne per la storia del nostro Paese. Ma è necessario; bisogna essere precisi ed esatti; vi prego di tenere sott’occhio il fascicoletto del testo coordinato che è stato distribuito in questi giorni, e di seguire le variazioni di cui renderò conto, che si sono concordate nella adunanza di stamane del Comitato e dei capigruppo, in seguito ai rilievi ed alle proposte di rinvio al testo originario, presentati all’ultima ora da colleghi dell’Assemblea.

Annuncio subito che si è realizzato un quasi universale consenso, in quanto una parte delle proposte è stata accolta, e per le altre i presentatori vi hanno rinunciato, così che, tranne per pochissimi punti, non si dovrà addivenire a votazione.

Voi ricordate quale era il compito di revisione e di coordinamento che l’Assemblea aveva affidato al Comitato di redazione. Per alcuni articoli, più di una decina, l’Assemblea ha conferito un espresso mandato di rifare interamente il testo. Si è detto: badate, noi votiamo questa norma, perché dobbiamo votare qualcosa; ma voi avete le mani libere per il rifacimento, avendo riguardo alla discussione avvenuta; l’Assemblea giudicherà poi sul testo che avrete riveduto e coordinato. Vi sono state inoltre le raccomandazioni; fin da principio, quando riferiva il vicepresidente Tupini, e poi sempre in seguito con gli altri relatori, non pochi presentatori di emendamenti li trasformarono in raccomandazioni, che l’Assemblea segnalò al Comitato; ed il Comitato si impegnò a prenderle in esame. Vi è infine il mandato generale di rivedere e di coordinare tutto l’insieme del testo, venuto fuori, in notevole parte, da una pioggia di emendamenti votati a distanza di mesi. Appena si è avuto davanti tutto il materiale, si è imposta la necessità di una sua sistemazione, per adeguarlo sempre meglio agli intenti manifestati dall’Assemblea.

Il faticoso e non facile compito che ci avete affidato è compiuto. Gli ultimi articoli li avete votati due o tre giorni fa; ma già di mano in mano io avevo predisposto il lavoro, e comunicato ai colleghi; ci siamo già da tempo dedicati nelle nostre riunioni ad un riesame che è stato da ultimo ripreso e rapidamente, ma meditatamente, ultimato.

Quali sono stati i criteri della revisione e del coordinamento? La revisione stilistica si è ispirata ad intenti di correttezza linguistica, di semplificazione – desiderabilissima in un testo costituzionale – e di chiarificazione dei concetti che hanno determinata l’adozione delle formule della Costituzione. Abbiamo sentito il parere di alcuni eminenti scrittori e letterati; poi abbiamo cercato di avvicinarci, per quanto era possibile, ad una certa omogeneità di espressione e di stile. Vi ho atteso personalmente e ne assumo la responsabilità. I colleghi del Comitato han riesaminato pazientemente, parola per parola, il testo. Un miglioramento senza dubbio vi è; sono lieto che ciò sia generalmente riconosciuto, come mi han detto deputati di ogni parte dell’Assemblea. Ma non è possibile raggiungere – nonché la perfezione – una soddisfazione piena. Vi è una inevitabile incontentabilità; ciascuno ha una forma, un modo di esprimersi proprio, e non può rinunciarvi. Ed è capitato ad un grandissimo, il Manzoni, che avendo svolto un tema per un suo nipote, ebbe dal professore una votazione meschina. Una Costituzione non deve essere un capolavoro letterario; ci basta che il testo che vi presentiamo sia più chiaro, più fluido, e migliore di prima.

Ritoccando ove era indispensabile la forma, abbiamo rispettato la sostanza delle disposizioni votate dall’Assemblea. Soltanto dove vi è contrasto e contradizione fra due disposizioni, si deve – secondo la prassi parlamentare e le norme del nostro regolamento – armonizzare il testo della Costituzione. Così abbiamo fatto in pochissimi casi, di scarso rilievo, sui quali si è richiamata la vostra attenzione nelle «osservazioni» allegate al testo coordinato; e vi è stata al riguardo la unanimità del Comitato; né venne presentata da voi una sola proposta di rinvio al vecchio testo; così che non occorre alcuna ulteriore spiegazione.

Altro è di casi – più importanti – nei quali non si può ravvisare un vero e proprio contrasto di norme; ma qualcosa che è stata chiamata incongruità logico-giuridica; disarmonia piuttosto che contradizione. Se non vi fosse neppure questa incongruità o disarmonia, non si potrebbe affatto tornare sulle deliberazioni dell’Assemblea. Quando vi sia, è sembrato – almeno ad una parte del Comitato, e le posizioni sono mutate a seconda dei vari temi – che si possa proporre la questione all’Assemblea, e chiederle se crede di procedere ad una decisione. Naturalmente, perché una modificazione potesse avvenire, occorrerebbe sempre che vi fosse l’unanimità, o quasi, dell’Assemblea, e l’assenso delle varie correnti, che vi sono rappresentate. I punti su cui alcuni del Comitato, or da un lato or dall’altro, hanno sostenuto esservi questione d’incongruità, sono cinque: il sequestro di polizia dei periodici (che si è sostenuto non in armonia con lo spirito delle altre norme sulla stampa), la diversa durata delle due Camere (mentre in altri articoli si parla di legislatura e sembra presupporsi una durata eguale), l’elezione dei Consigli regionali (che, a differenza di quanto si è stabilito pel Parlamento, non si prescrive che avvenga a suffragio universale e diretto), la composizione del Consiglio superiore della magistratura (il cui vicepresidente deve essere eletto fra le categorie in minoranza al Consiglio), la mancata indicazione di criteri per i ricorsi alla Corte costituzionale (e qui per verità si è fatta questione non solo di incongruità, e di lacuna, ma di inammissibilità del rinvio alla legge, giacché si era prima respinta la proposta di togliere dalla Costituzione la norma).

Fatto sta che, nell’adunanza di questa mattina, non si è raggiunto il consenso dei rappresentanti dei Gruppi; ed è parso impossibile portar le questioni all’Assemblea, perché non si sarebbe realizzata una sua ampia adesione.

Un altro ordine di questioni è stato sottoposto alla riunione di stamane; in relazione ad alcuni articoli o parti di articoli che contengono mere indicazioni di materie a cui deve rivolgersi la cura della Repubblica e delle sue leggi (tali sono i temi del paesaggio, della ricerca scientifica e della sperimentazione tecnica, delle provvidenze per le zone montane e per l’artigianato, di alcuni particolari impieghi del risparmio popolare). L’Assemblea, ad un dato punto dei suoi lavori, è entrata nell’idea che simili indicazioni, non aventi carattere costituzionale, hanno miglior sede in ordini del giorno, coi quali si impegna la Repubblica a provvedere per date materie.

Così si è fatto per i mutilati ed invalidi di guerra, per i danni da calamità pubbliche e per altri casi. L’Assemblea si riservò di applicare eguale criterio, per ragioni di uniformità ed in sede di revisione e di coordinamento, ad altre materie già inserite nel testo costituzionale. Senonché, portata la questione all’adunanza dei capigruppo, non si è neppure qui realizzato un sufficiente consenso; ed è risultato inutile portare siffatto problema davanti all’Assemblea.

Il che può non piacere ad alcuni, tra cui chi vi parla, che ha sempre vagheggiato una «deflazione» del testo costituzionale; ma sgombra il terreno da questioni e riduce il lavoro di questa seduta di Assemblea. Lo stesso risultato si è ottenuto per l’opposta via, e cioè pel consenso anziché pel dissenso, in altri campi ai quali dobbiamo ora accennare.

La Commissione dei settantacinque aveva, con voto di massima, riconosciuto l’opportunità di collocare in un preambolo le disposizioni che non hanno una portata strettamente giuridica e concretamente normativa, ma sono piuttosto affermazioni di principî e direttive generali, che hanno altissimo valore etico-politico più ancora che giuridico, e si svolgono, è stato detto, nella zona dove il diritto si incontra con la morale nella vita politica e sociale. L’Assemblea ha rinviato la decisione, e bisogna definire ora la questione in sede di revisione e di coordinamento. Per rinviare le obiezioni sollevate che il rinviare ad un preambolo criteri fondamentali, che sono sempre norme, sia pure generalissime ed anche metagiuridiche, faccia perdere di efficacia e di forza nell’attuazione, il Comitato ha ritenuto che non si debba fare un preambolo a sé, ma collocare all’inizio della Costituzione, in un gruppo di articoli che appartiene alla Costituzione, ma precede le sue due «parti», alcune altre disposizioni che erano prima compreseo nelle due «parti», e che, nella nuova collocazione, andandosi incontro a proposte avanzate in Assemblea e rinviate al coordinamento, servono a meglio delineare con «principii fondamentali» i caratteri e, come è stato detto, il «volto» della Repubblica. Questa soluzione ha avuto l’unanime consenso, non solo del Comitato, ma dei capigruppo, e non è stata presentata alcuna proposta in senso contrario.

Vengo ora a passare in rassegna, ad una ad una, le proposte che sono state presentate in tempo utile, ossia, come aveva fissato l’Assemblea, prima delle ore 10 di oggi.

Articolo 3: il testo votato dall’Assemblea parlava di «pari dignità sociale» di tutti i cittadini. Il Comitato aveva all’unanimità ritenuto di mettere soltanto «pari dignità»; per due ragioni: perché nell’articolo vi era quattro volte la parola «sociale; e perché sembrava che «dignità» senz’altro avesse maggior ampiezza e solennità. Se oggi da taluno si è insistito per ritornare ad un’espressione che avrebbe un valore specifico, che si intende sottolineare, il Comitato, desideroso di rispettare il testo originario, quando non vi sono ragioni essenziali per staccarsene, aderisce a questa prima proposta. Resta dunque «pari dignità sociale».

Articolo 4: circa l’obbligo di svolgere un’attività che concorra al progresso della società, vi è la proposta di tornare a «progresso materiale o spirituale» invece che «a progresso materiale e spirituale». Non è che un errore, che era già stato corretto, di stampa. Molto diligenti sono stati i colleghi nel riscontro del testo stampato dal coordinamento; ma, per fortuna, i loro rilievi vanno spesso non al Comitato, ma alla stamperia, del resto diligentissima nel suo febbrile lavoro.

Articoli dal 7 all’11: il Comitato ed i capi gruppo riuniti stamane hanno, nel testo già stampato, introdotto spostamenti di ordine e di numerazione, che rispondono ad un criterio logico di coordinamento. Gli articoli 7 e 8 del testo che avete sott’occhio diventano rispettivamente 9 e 10; e gli articoli attuali 9 e 10 diventano 7 ed 8. Non vi è bisogno di maggiori spiegazioni. Vi è poi una lievissima modifica, di mera forma, per tornare nell’articolo 8 (già 10) a «in quanto» invece di «sempre che». Nell’articolo 11 si è creduto opportuno riassumere in una espressione più breve e sintetica le indicazioni per la tutela del paesaggio e per la ricerca tecnica e scientifica, che, come ho detto, non sono state rinviate ad ordini del giorno, e che, insieme con la tutela del patrimonio storico ed artistico e col concetto aggiunto dello sviluppo culturale in genere, si possono prestare a giustificare (io dico fino ad un certo punto) il richiamo, che ha speciale valore per l’Italia, ad uno stato di cultura e di tutela dell’eredità di storia e di bellezza del nostro Paese.

Continuiamo. Perdonatemi; ma desidero essere, più che possibile, completo. Anche a costo di essere noioso. Non occorre che insista, a proposito degli articoli 13 e 15, sulla soppressione di due incisi del testo originario, che contenevano disposizioni che in parte contrastano ed in parte sono duplicazioni di altre. Le «osservazioni» che sono state distribuite ne danno chiara ragione; se ne sono persuasi gli originari proponenti; ed oggi non vi sono affatto proposte di tornare al vecchio testo.

All’articolo 20: il Comitato aveva creduto di apportare alcune migliorie di forma. È stato proposto ora di tornare alla dizione di prima, nel dubbio che «ente» si riferisca anche ad «associazione». Sebbene il dubbio non ci appaia consistente, non facciamo opposizione.

All’articolo 21: pei sequestri della stampa periodica, si è proposto di tornare ad «ufficiali di polizia giudiziaria» e di non mettere «autorità di pubblica sicurezza», come aveva fatto il Comitato per ragioni di euritmia con l’articolo 13. Sta bene; vi possono essere ragioni di diversità; torniamo al testo già approvato. Sempre all’articolo 21, è da avvertire che il Comitato, col consenso di tutti, e senza proposte in contrario, ha riparato ad una lacuna, prescrivendo – come è nella linea generale di questi articoli di tutela delle libertà civili – che, se l’autorità giudiziaria non li convalida entro un dato termine, i provvedimenti provvisori di polizia perdono ogni efficacia e s’intendono revocati.

Nell’articolo 25, pel quale nessuno può essere colpito se non in forza di una legge «in vigore prima» del fatto compiuto, si è proposto di mettere «al tempo» del fatto compiuto, ma non sarebbe un ritorno al testo primitivo. Il giusto e necessario ritorno è invece quello, cui si riferisce un’altra proposta, al testo «legge entrata in vigore prima del fatto compiuto». La parola «entrata» era scomparsa (anche qui si tratta di un errore di stampa) fin dall’articolo approvato dall’Assemblea. Ora la ripeschiamo, e, rimettendola qui, tutti sono accontentati.

Perdonatemi, ripeto, questo lavoro minutissimo di intarsio e di intaglio. Si tratta alle volte di sfumature pressoché insignificanti d’espressione, come all’articolo 30 dove, in caso di incapacità dei genitori, si diceva nel testo coordinato che lo Stato provvede «all’adempimento» dei loro compiti. No, dice ora una controproposta, è meglio tornare: «a che siano assolti» i loro compiti. I futuri ricercatori dei precedenti parlamentari si potranno meravigliare del punto a cui si è giunti di formalismo e di pesatura, parola per parola, sul bilancino dell’orafo. Per conto nostro, pur ritenendo non giustificata la controproposta, non vogliamo provocare votazioni e ritardi!

Nello stesso articolo 30: un’altra proposta, che colpisce… un altro errore di stampa, per l’omissione di «membri» della famiglia. Ed ecco all’articolo 31 un altro scrupolo. Per gli istituti di protezione della maternità ed infanzia il Comitato aveva messo – con un binomio od endiade che si trova in altre parti della Costituzione – «la Repubblica promuove e favorisce…». No, si contropropone, non mettiamo «promuove» per non spingere troppo innanzi la ingerenza statale. È proprio giusto? Ma sia; non faremo per ciò battaglie; torniamo al semplice «favorisce» di prima.

All’articolo 33, per l’esame di Stato, una diligente ed oculatissima proposta vuol rimettere un «o»; era già di fatto rimesso, perché ci eravamo già accorti che si trattava di un’omissione di stampa. Allo stesso articolo accontentiamo i proponenti, che vogliono nel quarto comma rimettere: la legge «deve assicurare», invece che «assicura» parità di trattamento alle scuole private. Il presente indicativo è la forma classica delle norme imperative di legge; «deve assicurare» non occorre; ma sia pure: il Comitato vuole una volta ancora dimostrare che, se ha fatto variazioni lievissime e soltanto formali, a scopo di miglioramento stilistico, ed è lieto se nessuno (come avviene per quasi tutti gli articoli) si oppone, è disposto a tornare al vecchio testo, anche quando non è convinto di tale opportunità.

Una sola proposta si ha per i rapporti economici. Pieno consenso vi è pel rimanente; così per l’articolo 36 dove il Comitato ha riparato ad un’evidente svista del testo originario, che, per la regolazione con legge della giornata lavorativa, parlava di «durata» e non di «durata massima»; e così per altre migliori e di forma, come quella che all’articolo 38 richiama i diritti dei lavoratori alla previdenza ed all’assicurazione. L’unica proposta per rapporti economici si riferisce all’articolo 47, nel quale si era, all’ultima ora di discussione d’Assemblea, immessa un’indicazione di impieghi del risparmio popolare, che a mio avviso è sempre inopportuna, se non altro perché mette in disparte quali secondari tutti gli altri possibili investimenti. Il Comitato ha stralciato tale immissione, e ridato al primo comma una più limpida linearità. Se si vuol, nel secondo comma, tornare alla dizione, in verità poco felice, del testo d’Assemblea, sia pure. La responsabilità non sarà del Comitato; che però, d’altra parte, non vuole impuntarsi e dar luogo a ritardi.

Nessuna controproposta pel titolo dei rapporti politici; dove è dunque approvata, e non poteva essere diversamente, l’aggiunta all’articolo 51 di un secondo comma; col quale – giusta un esplicito mandato ricevuto dall’Assemblea – abbiamo, con la formula che c’è sembrata migliore, parificato ai cittadini, per l’accesso agli impieghi ed alle cariche elettive, gli italiani non appartenenti alla Repubblica. È una giusta integrazione di criteri già in parte vigente, ed un doveroso riconoscimento di solidarietà ai nostri fratelli pur di recente strappati alla madre Italia.

Veniamo alla seconda parte della Costituzione sull’ordinamento della Repubblica. Le proposte di ritornare al testo originario sono ancor meno numerose che per la prima parte.

Hanno avuto pieno consenso, sia per mancanza di controproposte, sia per esplicita disamina coi capigruppo, le variazioni introdotte dal Comitato, ad esempio per non inserire nella Costituzione, ma rinviare alla legge, il riferimento ai censimenti pel numero dei deputati e senatori (era l’articolo 57 del testo originario). All’articolo 77 il Comitato, attenendosi anche qui al mandato dell’Assemblea, ha messo le mani, e riordinato e precisato il tema dei decreti-legge. Credo che vi siamo riusciti; per i decreti-legge, come per i decreti legislativi, ed in generale per le norme – e per la gerarchia delle norme – aventi valore di legge, la nostra Costituzione è tecnicamente superiore alle altre. Vi è però una proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli, la prima che non possiamo accettare (e per ciò faccio il nome del proponente, per pregarlo di ritirarla). Non so perché si dovrebbe tornare a quel testo originario, che l’Assemblea riconobbe assolutamente imperfetto e votò soltanto come base di rifacimento da parte del Comitato.

Nessuna proposta contro il testo coordinato per il Titolo sul Presidente della Repubblica. Sono lieto che si siano riconosciute giuste ed opportune le precisazioni che si sono fatte all’articolo 87 per le funzioni del Capo dello Stato, dando esplicita espressione a ciò che era implicito, in alcuni punti, ed inquadrando così, meglio, la figura di chi non è certamente un presidente-fannullone nel nostro sistema costituzionale.

All’articolo 90, per la messa in accusa del Presidente della Repubblica, l’Assemblea fece ogni riserva sulla formula di deferimento, oltrecché per alto tradimento, «per violazione della Costituzione». Si osservò che era troppo poco; si pensò di mettere violazione «grave» o «dolosa»; ma si trovò che anche questa non era sodisfacente, e si incaricò il Comitato di trovare una migliore formulazione. Esaminati tutti i lati della questione, noi riteniamo di ricorrere all’«attentato alla Costituzione», che era nello statuto italiano, ed in tante altre Carte. Il consenso, nell’adunanza dei capigruppo, e qui dell’Assemblea, è pieno e senza obiezioni.

Nel Titolo sul Governo, all’articolo 92, l’onorevole Codacci Pisanelli vorrebbe tornare al testo originario; ma credo che si accontenterà della modifica che abbiamo adottata nella riunione di Comitato e capigruppo di stamane, mettendo che il Governo è composto di un Presidente del Consiglio e di Ministri, che formano insieme il Consiglio dei Ministri. Va bene così?

Nel Titolo sulla magistratura, si propone all’articolo 107 di tornare al testo originario, per quanto concerne l’inamovibilità dei magistrati. Non è possibile; quel testo rendeva possibile l’equivoco che, col semplice consenso dell’interessato, il Guardasigilli potesse trasferire il magistrato, senza intervento del Consiglio Superiore. Il Comitato precisa, come era nell’intento dell’Assemblea, che sempre, anche quando c’è il consenso, occorre la decisione del Consiglio Superiore. Tenuto fermo questo punto, si sono apportate alcune secondarie modifiche di forma, che hanno accontentato i proponenti del rinvio.

All’articolo 112, per le norme sulla giurisdizione, il Comitato aveva ritenuto opportuno rimettere la proposizione «l’azione penale è pubblica», a cui aveva rinunciato nella discussione già avvenuta all’Assemblea, e l’Assemblea, senza votare espressamente contro la formula, aveva aderito. Sembra ora che convenga, per rinforzare l’articolo iniziale della sezione, rimettere detta proposizione. Così ha ritenuto, unanime, la riunione di questa mattina; ed i suoi compagni di Gruppo si sono impegnati a pregare l’onorevole Leone di non insistere sulla proposta di tornare al testo precedente.

Accontentatissimo, invece, l’onorevole Leone per le due virgole che propone di aggiungere all’articolo 112. Non daremo battaglia, e non voteremo sulle due virgole dell’onorevole Leone.

All’articolo 113 troviamo ancora l’onorevole Codacci Pisanelli, che vuol ritornare al testo originario; e non ricorda che, proprio qui, in base ad un emendamento dell’onorevole Calamandrei, l’Assemblea impegnò il Comitato a studiare appunto la questione della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, agli effetti anche di una eventuale annullabilità di tali atti. Questione non facile; ma è stata esaminata con molta attenzione, da tutti gli aspetti, ed è stata risoluta nella riunione di questa mattina in una forma che, tenendo conto delle preoccupazioni dell’onorevole Codacci Pisanelli, ritocca in alcuni punti il testo che vi è stato distribuito. Si è voluto togliere la interpretazione (del resto non giustificata) che, col testo coordinato, ogni autorità giudiziaria, anche un pretore, potesse annullare gli atti dell’Amministrazione. No: il testo diceva che ciò avviene «nei casi e nei limiti stabiliti dalla legge»; e per casi e limiti si intendeva anche la possibilità di escludere dal potere di annullamento una parte, la maggior parte, delle giurisdizioni ordinarie. Il potere di annullamento potrebbe opportunamente essere riservato agli organi giurisdizionali che, come il Consiglio di Stato ed alcune sezioni specializzate e miste della magistratura ordinaria (ad esempio il Tribunale delle acque) posseggono speciali attitudini e competenza per la delicata valutazione degli atti amministrativi. D’altra parte, sembra giusto considerare che, se è, con le debite cautele, ammesso l’annullamento degli atti amministrativi nei ricorsi per violazione di interessi legittimi, non si può escludere l’annullamento per violazione di diritto: la miglior soluzione è di modificare l’articolo togliendo dal primo comma le ultime parole «che possono annullare gli atti dell’amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge», aggiungendo invece come terzo comma che «la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti dell’amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge». È una variazione minima, che mette in luce quello che era effettivamente, senza alcun dubbio, l’intento del testo coordinato. Poiché poi nel primo comma si mette già la disposizione, in via generale, per la tutela giurisdizionale verso la pubblica amministrazione, è inutile ripetere l’affermazione generica nel comma che diventa ora secondo. Questo è il nuovo testo, or ora formulato, dell’articolo 113. Prego l’onorevole Codacci Pisanelli di non insistere sulla sua controproposta.

Nel Titolo delle Regioni, si è proposto di aggiungere al secondo comma (tornando al testo dell’Assemblea) la disposizione per la promulgazione e l’entrata in vigore delle leggi regionali dichiarate d’urgenza. Il Comitato non aveva creduto necessaria la disposizione ma, pel suo criterio costante di non opporsi a ciò che non è irragionevole, consente di ripristinare la norma.

Mi sembra di non aver così, altro da dire, sulle proposte presentate…

Una voce. C’è l’articolo 117.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Non vi è stata nessuna proposta di rinvio per tale articolo, o – se c’è stata – non venne presentata in tempo utile. Il Comitato non ha potuto esaminare che le proposte trasmessegli dalla Presidenza dell’Assemblea. Del resto, per l’articolo 117, il testo coordinato è il solo ammissibile, in quanto l’ultimo inciso dell’elenco delle materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni: «altre materie indicate da leggi speciali» si riferiva, nelle formulazioni a mano a mano elaborate nelle Sottocommissioni e nella Commissione dei Settantacinque, ai minori gradi di competenza legislativa, di semplice integrazione, conferita alla Regione. Sarebbe un assurdo riferirlo a quella competenza più spinta (ormai diventata unica) per la quale si è tanto discusso sulla categoria di materie che vi debbono essere comprese. Basterebbe una legge speciale per rovesciare tutto il sistema stabilito. Occorre invece, ad aggiungere altre materie, una legge costituzionale. Resta sempre, beninteso, come è nell’ultimo comma, che le leggi dello Stato possono deferire alla Regione di emanare norme per la loro attuazione. Qui si potranno aggiungere altre materie, quante si vorranno, ma nei limiti dell’attuazione, che del resto non è semplice facoltà regolamentare e può implicare in certo senso l’integrazione. Che non vi possa essere dubbio sulla soluzione data a questo argomento dal Comitato, hanno riconosciuto concordemente tutti i membri del Comitato, anche i più accesi regionalisti. La proposta, anche tempestivamente presentata, avrebbe dovuto essere respinta.

Una voce. C’è l’articolo 136.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa dell’articolo 136, e cioè la questione dei ricorsi da presentare alla Corte costituzionale, è questione che intendo riservare per ultima, insieme all’altra dell’articolo 123 sull’approvazione degli statuti regionali, perché son le due questioni a cui potranno limitarsi il contrasto e la votazione dell’Assemblea.

Lasciatemi intanto trattare delle Disposizioni transitorie e finali. Non parlo del numero III, nel quale l’onorevole Cappi ha proposto una variante, che non è rinvio al testo originario, e quindi non so se il Presidente della nostra Assemblea potrà darvi corso. Al numero IV, che concerne il Molise nella prima elezione del Senato, l’onorevole Colitto si era accontentato della formulazione più rapida e sostanzialmente sufficiente adottata dal Comitato. Ora si ricrede, e domanda di tornare alla disposizione originaria. Sia pure. Al numero VI vi è un semplice errore di riferimento; è l’articolo 112 che bisogna richiamare.

Siate buoni testimoni che ho cercato di eliminare tutte le questioni, e vi sono riuscito, tranne per alcune richieste dell’onorevole Codacci Pisanelli e dell’onorevole Leone Giovanni, per le quali, tuttavia, essendovi il consenso di tutti i membri del Comitato, si può ancora sperare che coloro che le hanno avanzate desistano. Ho lasciato sospese due questioni, su cui è più profondo il dissenso, in seno allo stesso Comitato, e difficilmente potremo evitare la votazione.

La prima questione riguarda gli statuti delle Regioni ad autonomia normale, di cui al secondo comma dell’articolo 123. Il testo originario stabiliva che per l’approvazione – e conseguentemente per la modificazione – di tali statuti occorreva, dopo la deliberazione a maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio regionale, una legge della Repubblica. Quando questo punto venne all’esame dell’Assemblea, l’onorevole Perassi rilevò che il procedimento era troppo macchinoso e non necessario, ed avanzò l’idea di sostituire all’approvazione con legge della Repubblica l’approvazione con decreto del Presidente della Repubblica, sentita una Commissione di deputati e senatori che l’Assemblea aveva già deciso di istituire per altri compiti attinenti alle Regioni, e più particolarmente per lo scioglimento dei Consigli regionali. Io dichiarai che il Comitato avrebbe trattato la questione in sede di coordinamento, e l’Assemblea ce ne diede mandato. Dobbiamo dunque decidere.

Vi esporrò obiettivamente le ragioni addotte a favore e contro la tesi del collega Perassi. Egli sostiene che gli statuti delle Regioni ad autonomia normale sono raccolte di norme relative al funzionamento interno dell’amministrazione regionale e non riguardano rapporti con lo Stato e con i suoi poteri. Posto ciò, appare eccessivo che, per un’eventuale lieve modificazione di una disposizione affatto secondaria, si debba mettere in moto la macchinosa formazione di una legge dello Stato. Può bastare, con piena garanzia, il procedimento, già acquisito alla Costituzione, del decreto presidenziale, sorretto dal parere del Comitato interparlamentare per le questioni regionali. A questi argomenti viene dall’altra parte contrapposto non potersi escludere che in uno statuto regionale non si riflettano anche rapporti con lo Stato; occorre pertanto non un semplice decreto del Presidente, che si riduce in sostanza ad un atto di governo, ma una vera legge votata dal Parlamento. Si aggiunge che con la formula Perassi si verrebbe a diminuire d’importanza lo statuto regionale.

Ecco gli argomenti. Il Comitato, dopo qualche incertezza, ha accolto a maggioranza la formula Perassi; e non può aderire alla proposta avanzata da varie parti di tornare al testo originario che, come dissi, fu votato solo provvisoriamente. Dovrà, senza dubbio, decidere una votazione dell’Assemblea.

Il secondo tema di maggior dissenso concerne la Corte costituzionale, agli articoli 136 e 137. Era sembrato necessario, nel testo portato alla discussione dell’Assemblea, che vi fossero fissate le linee fondamentali per l’essenza stessa della Corte, indicando quali sono i ricorsi che si possono presentare per l’illegittimità costituzionale. Senonché un emendamento Arata, votato un po’ improvvisamente, stabilì di rinviare ogni determinazione ad una legge ordinaria. Come ho già accennato al principio di questo mio intervento, siffatta decisione ha sollevato vive obiezioni, sostenendosi che essa non poteva essere presa, giacché poco prima l’Assemblea aveva respinto un emendamento che voleva sopprimere le norme per i ricorsi. Al che si controrisponde che altro è sopprimere, altro rinviare ad una legge ordinaria. L’onorevole Moro ed altri tenacemente risollevano la questione, ribadendo che non è concepibile una lacuna come quella costituita dalla mancanza, nella Costituzione, di un riferimento ad un punto così squisitamente costituzionale. Chiedono dunque l’inclusione di una disposizione, che il Comitato ha già elaborato, e tiene pronta nell’ipotesi che prevalga l’idea di tornare ad una determinazione nel testo delle basi di ricorso. Questo testo risulta dalle osservazioni che vi sono state distribuite. Ve lo rileggo: «La questione di legittimità costituzionale, che nel corso d’un giudizio, sia rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti e non ritenute dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione. Il cittadino o l’ente che ritenga leso in modo diretto ed attuale un suo diritto o interesse legittimo può promuovere direttamente il giudizio di legittimità costituzionale davanti alla Corte. Tale giudizio può essere altresì promosso, nell’interesse generale, dal Governo o da un quinto dei componenti d’una Camera o da tre Consigli regionali». Sono tre comma che contemplano le tre specie basilari di ricorsi: l’incidentale che sorge dal corso d’un giudizio, quello che si promuove direttamente davanti alla Corte dalla persona privata o pubblica che sia lesa in modo diretto ed attuale in un diritto o interesse legittimo (nel qual caso ha ragione di poter proporre la questione, senza attendere che sorga come incidente d’un altro giudizio); ed infine il ricorso, diremo così, del tipo di azione popolare affidato nel pubblico interesse, anche se non vi sia lesione diretta ed immediata d’un diritto o interesse legittimo, ad organi e ad espressioni dell’ordinamento costituzionale.

Il Comitato è pronto a sostenere questa formulazione, se si superano le pregiudiziali. Ad ogni modo l’onorevole Moro ed i suoi colleghi hanno dichiarato che, in via subordinata, sarebbero disposti a ripiegare sopra un’altra proposta, nel senso di modificare l’articolo 137, rinviando le norme sulla proponibilità dei ricorsi (e gli eventuali termini da stabilirsi al riguardo) non ad una legge ordinaria, ma ad una legge costituzionale; così che verrebbe eliminato l’inconveniente del silenzio in un testo costituzionale. Tale legge, aggiungono, potrebbe e dovrebbe essere approvata (come consentono le norme transitorie per la prorogatio della Costituente) entro gennaio; ad evitare che la formazione d’una legge di valore costituzionale, dopo le elezioni, richieda lungo termine, più di un anno, durante il quale la Corte non potrebbe funzionare ancora. Si aggiunge che è desiderabile che la Corte funzioni subito, anche prima delle elezioni, per garanzie contro eventuali violazioni di costituzionalità nelle leggi promosse in questo periodo dal Governo; né è da tacere che sono già in piedi questioni controverse e spinose per leggi già emanate, ad esempio, in materia penale di sanzioni contro il fascismo, sulle quali sarebbe opportuno che si pronunziasse la sola Corte costituzionale.

Avete davanti a voi le considerazioni necessarie per procedere ad una votazione con cognizione di causa.

Avrei finito, se non fosse stata presentata una proposta dell’onorevole Calamandrei, che diverrebbe il numero XVI delle disposizioni transitorie; perché entro un anno si proceda alla revisione ed al coordinamento di precedenti leggi costituzionali, che non siano state finora esplicitamente o implicitamente abrogate. Lo statuto albertino non era di tipo rigido; ma vi sono state, specialmente nel tempo fascista, leggi che avrebbero carattere costituzionale, e che non sono ancora abrogate. Occorre quindi compiere la revisione. Il Comitato non si oppone a che la proposta Calamandrei sia accolta.

Un ultimo accenno; l’onorevole Dossetti desidera che io ricordi una proposta da lui avanzata perché al primo comma del numero VIII delle disposizioni transitorie il termine di un anno per la convocazione delle elezioni dei Consigli regionali sia portato ad almeno diciotto mesi, non essendo materialmente possibile che basti un anno per tali elezioni, data la necessaria preparazione e gli altri compiti, come per l’elezione delle due Camere, cui si deve attendere in questo periodo. L’onorevole Dossetti ha rinunciato alla sua proposta; ma crede opportuno che se ne faccia menzione.

Onorevoli colleghi, ho finalmente finito. Sono stato noiosissimo, minuto, pedante forse, ma mi darete atto che sono riuscito ad evitare molte difficoltà. (Vivissimi applausi).

Ho assunto come mio dovere che la promessa di votare entro oggi la Costituzione fosse mantenuta. Vi sono riuscito. (Vivissimi, reiterati, generali applausi).

Onorevoli colleghi, l’Assemblea è ormai in grado di adempiere il suo compito e di dare all’Italia la sua Carta costituzionale. È necessaria ed urgente. L’approvazione della Costituzione assume oggi un altissimo significato. Noi viviamo ora un momento decisivo per la vita dell’Italia e per la coesistenza internazionale. In questo momento nel quale si agitano all’orizzonte fantasmi di guerra, che certamente saranno deprecati, ma tengono tutta la vita e tutti gli animi sospesi; in questo momento in cui le difficoltà economiche sono sempre gravi, e, per quanto l’Italia abbia fatto passi notevoli, si trova in una preoccupante congiuntura in cui la deflazione creditizia e produttiva coesiste con l’inflazione monetaria, e non si tende risolutamente ad una stabilizzazione generale; in questo momento nel quale vi sono ardenti lotte di parte (badate: sempre minori e così voglia il cielo che siano sempre minori che in altri paesi); in questo momento in cui tutto è in sussulto e tutto anela alla sicurezza, alla pace, alla ricostruzione; in questo momento la Repubblica sente il bisogno di una Costituzione, che rappresenta per lei qualche cosa di più saldo, qualche cosa che esce dal provvisorio, qualche cosa che è auspicio e fiducia che anche tutto l’altro sarà vittoriosamente consolidato. (Vivissimi applausi).

Finora, qui dentro, ci siamo divisi, urtati, lacerati nella stessa discussione del testo costituzionale. Ma vi era uno sforzo per raggiungere l’accordo e l’unità. Ed ora io sono sicuro che nell’approvazione finale il consenso sarà comune ed unanime, e dirò che al di sotto di una superficie di contrasto vi è una sola anima italiana. L’Italia avrà una Carta costituzionale, che sarà sacra per tutti gli italiani, uniti nell’evviva alla Repubblica ed alla sua Costituzione. (Il Presidente e i deputati sorgono in piedi – Vivissimi, prolungati applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo ora esaminare le poche questioni ancora rimaste in sospeso, dopo che stamane, sotto la direzione, come sempre efficace, dell’onorevole Ruini, siamo riusciti a superare il maggior numero dei piccoli ostacoli che erano sorti a proposito della redazione finale del testo della Costituzione.

Vi sono alcune proposte da parte dell’onorevole Codacci Pisanelli, al quale io domando se intenda sottoporle all’Assemblea.

CODACCI PISANELLI. Non ho difficoltà a ritirare le mie proposte, eccetto quella che riguarda l’articolo 113, che corrisponde al 103 approvato dall’Assemblea.

Desidererei sottoporre questa questione alla votazione dell’Assemblea, perché si è introdotta una profonda innovazione nel nostro sistema di giustizia amministrativa, consentendosi – almeno implicitamente – ai giudici ordinari di annullare gli atti amministrativi.

Questa è la ragione per cui proporrei all’Assemblea di tornare al testo originario, che non introduceva un’innovazione così profonda e che il Comitato, secondo me, non avrebbe potuto introdurre.

PRESIDENTE. L’articolo 103 nel testo approvato era del seguente tenore:

«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso gli atti della pubblica amministrazione è disposta dalla legge in via generale, e non può essere in nessun caso soppressa o limitata a particolari mezzi di impugnativa, o esclusa per determinate categorie di atti».

Il Comitato di redazione lo ha sostituito col seguente articolo 113:

«Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa, che possono annullare gli atti dell’amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge.

«Tale tutela giurisdizionale è disposta dalla legge in via generale e non può essere in alcun caso esclusa o limitata per particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere del Comitato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In sostanza l’onorevole Codacci Pisanelli propone di mantenere il secondo comma dell’articolo 113 come era nel testo originario, e di sopprimere il primo comma, che è stato recentemente aggiunto nella formulazione ultima che ho precisata, e che non contiene i pericoli che preoccupano l’onorevole collega. Ho anche detto le ragioni per cui il Comitato prega di respingere la proposta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli di tornare al testo primitivo.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Vi è ora una proposta dell’onorevole Cappi, del seguente tenore:

«L’accettazione della nomina a deputato, qualora non si rinunzi entro cinque giorni dalla proclamazione, implica la rinunzia al diritto di nomina a senatore».

Poiché si tratta di una proposta la quale contraddice ad una deliberazione già votata dall’Assemblea, vi ha preclusione a che sia posta in votazione.

L’onorevole Leone Giovanni ha proposto, per quanto riguarda l’articolo 111 del testo coordinato, di tornare al primo comma dell’articolo 101 approvato dall’Assemblea. L’articolo 111 del testo coordinato è il seguente:

«L’azione penale è pubblica.

«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla».

La formula primitiva era invece del seguente tenore:

«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere del Comitato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può, dopo la decisione unanime di questa mattina, cui hanno aderito anche i colleghi di Gruppo dell’onorevole Leone, venire in contrario avviso, né pensa che la questione sia preclusa da una precedente deliberazione dell’Assemblea, che non ha respinto, ha soltanto creduto di prescindere da una formulazione, che ora nel Coordinamento si può riprendere. Ad ogni modo non daremo battaglia, ci rendiamo conto degli scrupoli teorici del collega Leone, e lasciamo all’Assemblea di decidere in un senso o nell’altro.

PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni desidera che si faccia presente che la formulazione del testo di coordinamento, della quale egli chiede la rinuncia per ritornare al testo primitivo, corrisponde a una formulazione che l’Assemblea aveva, respinto con una votazione. E, pertanto, pare all’onorevole Leone che non si tratti semplicemente della scelta fra un testo coordinato ed un testo iniziale, ma che in realtà si tratti della scelta fra un testo già respinto con una votazione dell’Assemblea ed un altro che l’Assemblea aveva approvato. L’onorevole Leone pensa che la Commissione non possa proporre di tornare ad un testo che non era stato accettato dall’Assemblea.

Poiché il Comitato di redazione ha conservato unanime la vecchia formulazione, nonostante le osservazioni dell’onorevole Leone, credo che debba l’Assemblea decidere in merito.

Pongo pertanto in votazione la proposta dell’onorevole Leone Giovanni di ritornare alla formula del primo comma dell’articolo 101, approvato dall’Assemblea.

(È approvata).

Passiamo all’articolo 123 del testo coordinato, del seguente tenore:

«Ogni Regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

«Lo statuto è deliberato dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ed è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, sentita una Commissione di deputati e senatori costituita per le questioni regionali nei modi stabiliti con legge della Repubblica».

Pongo in votazione la proposta di tornare al testo originario, articolo 124:

«Ogni Regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione, all’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione ed alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

«Lo statuto è adottato con legge deliberata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi membri, ed è approvato con legge della Repubblica».

(È approvata).

Onorevoli colleghi, passiamo al quesito relativo alla Corte costituzionale.

L’articolo 128 votato dall’Assemblea è il seguente:

«La legge stabilirà i modi e i termini per i giudizi sulla incostituzionalità della legge.

«Quando la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata alle Camere, perché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali».

A questo testo corrisponde l’articolo 137 del Comitato di redazione:

«La legge stabilisce le condizioni, le forme e i termini dei giudizi di legittimità costituzionale, le norme per il regolamento dei conflitti di attribuzione, e quant’altro riguarda la costituzione e il funzionamento della Corte e le garanzie d’indipendenza dei suoi componenti.

«Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione».

V’è la proposta di sostituzione col seguente:

«Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme e i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, nonché le garanzie d’indipendenza dei componenti la Corte.

«Con legge ordinaria sono stabilite tutte le norme necessarie per il funzionamento della Corte».

Pongo in votazione la nuova formulazione.

(È approvata).

Passiamo alla seguente proposta aggiuntiva dell’onorevole Calamandrei, già illustrata dall’onorevole Ruini:

«Entro un anno dall’entrata in vigore della presente Costituzione si provvederà alla revisione e al coordinamento con essa delle precedenti leggi costituzionali che non siano state prima esplicitamente abrogate o che non siano compatibili con la presente Costituzione».

La pongo in votazione.

(È approvata).

Abbiamo così esaurito l’esame di tutte le questioni da sottoporre all’Assemblea per la soluzione definitiva.

LA PIRA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA PIRA. Come i colleghi sanno, ieri sera ho presentato alla Presidenza una proposta, che il testo costituzionale sia preceduto da una brevissima formula di natura spirituale, una formula che dicesse: «In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione». (Commenti a sinistra).

Devo dire, per sincerità, che, prima di presentare questa formula, io ne ho parlato a quasi tutti voi, perché non fosse la mia proposta una novità assoluta. E fra l’altro ho avuto questa preoccupazione, che si trattasse, cioè, di una formula sulla quale tutti potessero concordare, cioè non di una espressione politica, ma di una frase sulla quale ci fosse il consenso interiore e totale dell’Assemblea. Con questa intesa, la formula fu presentata ieri sera, e spero che con questa stessa intesa si possa pervenire alla sua approvazione, perché mi pare che in Dio tutti possiamo convenire. Non è una professione di fede specifica, quindi possono tutti convenire: i mazziniani, per la loro formula «Dio e Popolo»: infatti si direbbe «in nome di Dio il popolo si dà la costituzione»; i liberali, perché c’è anche un neoliberalismo che accetta questo punto, e c’è anche nel marxismo una corrente notevole, la quale disancora il materialismo dialettico da quello storico. Voglio dire, in sostanza, che c’è un punto di convergenza per ogni creatura, c’è sempre una realtà superiore, e quindi, per questa ragione, se noi potessimo concordemente, al di sopra di ogni questione politica, ancorarci a questa formula, sarebbe veramente uno spettacolo di fede.

Il popolo è il soggetto, non ci sarebbero quindi questioni da sollevare, ed io pregherei pertanto tutta l’Assemblea, se fosse possibile, di votare per acclamazione, o unanimemente, la formula da me proposta. Non è, ripeto, una iniziativa di partito, anzi, siccome la questione era sorta fra vari amici, si è detto: la presenterò io, in modo che non possa dar luogo e non possa rappresentare una discussione di carattere politico. Per queste ragioni, mi son permesso fare questa proposta, sperando che possa essere accettata. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. La proposta dell’onorevole La Pira mi era già stata presentata dall’onorevole La Pira stesso ieri sera, non ancora formalmente, ma per conoscere il mio avviso in proposito.

Ho fatto all’onorevole La Pira una prima osservazione: che la sua proposta poneva una questione di principio, quella del preambolo della Costituzione.

La questione è stata, non dirò conclusa in modo preciso dall’Assemblea, ma è stata dibattuta frequentemente nel corso dei nostri lavori; e non soltanto in sede di discussione generale, ma anche successivamente, man mano che sono venuti presentandosi temi o argomenti che a qualche collega parevano più adatti ad essere inseriti in un preambolo che formulati in un articolo.

Si era poi rimessa la questione, in definitiva, al Comitato di redazione, il quale, dopo lunga ed ampia discussione, ha respinto il concetto della inserzione di un preambolo nella Costituzione. Si poteva riaprire questa discussione già conoscendosi la profonda diversità di pareri?

Ho fatto poi presente all’onorevole La Pira che sarebbe stato opportuno presentare la sua proposta un po’ prima dell’ultimo termine dei lavori, e ciò proprio per la sua importanza e per la delicatezza dei temi che avrebbe proposto ai singoli e all’Assemblea nel suo complesso. Infine, ho detto all’onorevole La Pira, che se vi fosse stato il consenso di una grande maggioranza – se non dell’unanimità dell’Assemblea – ciò avrebbe potuto probabilmente far superare le prime due difficoltà, ma che mi sarebbe occorso saperlo in precedenza.

Questa mattina ho fatto presente all’onorevole La Pira che, da notizie mie, risultava che questa grande maggioranza non vi sarebbe stata: non solo, ma che se il problema si fosse posto, altre formulazioni diverse e non concilianti sarebbero state presentate per il preambolo.

L’onorevole La Pira, obbedendo ad un impulso della sua coscienza, ha ritenuto ugualmente suo dovere di porre il problema. Io tuttavia non posso dimenticare le obiezioni che già gli avevo significate.

Alcuni colleghi hanno chiesto di parlare sull’argomento. La questione ha una delicatezza di contenuto in sé, e più è delicata per le ripercussioni che essa certamente avrà, nell’animo di tutti coloro che la conosceranno (e la conosceranno tutti gli italiani). Le parole siano dunque adeguate. Il che significa in primo luogo, onorevoli colleghi, parlare brevemente. Si evitino le parole inopportune, e si tratti per ora la questione pregiudiziale, senza contrapporre argomenti di merito ad argomenti di procedura.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevole Presidente, è un fatto che stamani, quando ci siamo alzati, faceva freddo, ma non ostante questo, quando abbiamo visto brillare il sole nel cielo di dicembre, abbiamo sperato che almeno per noi, membri dell’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, esso avrebbe brillato su una giornata di unità e di concordia. Siamo venuti qui con la convinzione di compiere un atto di unità, anzi con il deliberato proposito di scartare in questo giorno tutte le questioni, che potessero dividerci, aprire o riaprire solchi, elevare barriere. Anche quelle divisioni, che esistettero nei precedenti nostri dibattiti, volevamo che scomparissero davanti alla Nazione, perché tutti sentissero che l’atto solenne, che oggi compiamo, è un atto nel quale ci sentiamo tutti uniti. Ognuno di noi vede chiaramente nella Costituzione, che stiamo per approvare con voto solenne, l’apporto che egli ha dato e l’apporto che hanno dato gli altri. Ognuno di noi è libero di intendere l’atto che oggi si compie, a seconda della sua particolare ideologia e della sua posizione politica, in confronto e col passato e col futuro, che ognuno condanna o esalta, auspica o depreca a seconda dell’animo suo, delle sue speranze, dei suoi orientamenti. Non ostante questo, però, vi è qualcosa oggi, che ci unisce tutti, ed è il voto comune che stiamo per dare all’atto che sarà obbligatorio per tutti noi.

Io vorrei pregare tutti i colleghi di non staccarsi da questa atmosfera elevata. Vorrei pregare tutti i colleghi di non risollevare discussioni, le quali hanno già avuto luogo in sede di Commissione davanti all’Assemblea e davanti alla pubblica opinione, e che oggi non devono essere più qui riprese.

Se dovessimo aprire il dibattito sulla proposta dell’onorevole La Pira, non ci troveremmo uniti. Questo è un fatto certo. Anzi: scaveremmo tra di noi quel solco ideologico, che a proposito di altre questioni abbiamo voluto e saputo evitare. L’onorevole La Pira, del resto, ne ha convenuto, quando ha parlato con noi. La sua formula si richiama a determinate ideologie, ne respinge altre. Non so nemmeno se in campo cattolico una posizione, la quale faccia della fede qualcosa di collettivo e non soltanto personale, possa essere accolta da tutti. Comprendo come l’onorevole La Pira arrivò a questa posizione, partendo da determinate dottrine, ma non posso dimenticare che anche recentemente e da altissima sede queste dottrine sono state oggetto di attento esame e hanno dato luogo a critiche alquanto preoccupate. Anche nel suo campo, quindi, l’onorevole La Pira potrebbe non trovare tutti i consensi che vorrebbe. Certo è che egli non potrebbe trovare tutti i consensi dell’Assemblea, se si aprisse un dibattito sulla sua proposta e dovessimo schierarci a favore o contro di essa. In questo caso saremmo di fronte alla necessità di discutere e, quindi, di dividerci. Compiremmo una manifestazione, che sarebbe in contrasto con lo spirito unitario, col quale abbiamo voluto venire qui oggi e col quale vorremmo che il lavoro nostro di questa giornata venisse condotto fino alla fine.

Per questi motivi, prego l’onorevole La Pira di volere desistere dalla sua proposta.

MARCHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCHESI. Onorevoli colleghi, come ho detto poc’anzi ai colleghi di quel settore (democristiano), nessuno, dico nessuno che mi conosca, potrà accusarmi di irriverenza verso le fedi religiose o di professione di ateismo.

Ho sempre respinto nella mia coscienza la ipotesi atea, che Dio sia una ideologia di classe. Dio è nel mistero del mondo e delle anime umane. È nella luce della rivelazione per chi crede; nell’inconoscibile e nell’ignoto per chi non è stato toccato da questo lume di grazia. Ho detto testé al collega La Pira che questo mistero, questo supremo mistero dell’universo non può essere risoluto in un articolo della Costituzione, in un articolo di Costituzione, che riguarda tutti i cittadini, quelli che credono, quelli che non credono, quelli che crederanno.

Fate, colleghi, che non ci siano dissensi e divisioni tra noi, in questo ultimo giorno, così solenne per la nostra Carta costituzione.

Fate che oggi su questi banchi non siamo noi soli i fedeli servitori del Signore; fate che non soltanto noi siamo oggi gli osservatori del secondo comandamento. Io mi associo alla proposta ed alla preghiera che l’onorevole Togliatti rivolgeva ai colleghi: qui nessuno può dire di essere contro Dio, perché non sarebbe un bestemmiatore, sarebbe uno stolto. Questa nostra Carta costituzionale ha certamente grande importanza per la storia del nostro Paese, per gli sviluppi che successivamente avrà nella futura legislazione, ma facciamo in modo che non cominci con una parola grande che susciti il dissidio dei piccoli mortali.

Invito perciò il collega La Pira a ritirare la sua proposta.

CALAMANDREI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALAMANDREI. Ho chiesto la parola, onorevoli colleghi, come uno di coloro che avevano intenzione di presentare la proposta di alcune parole introduttive da premettere come epigrafe alla nostra Costituzione; ma, avendone parlato al Presidente della nostra Assemblea, mi sono sentito addurre, per non insistere in questo proposito, ragioni, di fronte alle quali mi sono inchinato. Quindi io sono d’accordo col nostro Presidente nel ritenere che ragioni procedurali impediscano ormai di prendere in considerazione questo punto.

Ma sono d’accordo anche con quanto hanno detto i colleghi Togliatti e Marchesi; sulla necessità, cioè, di non immiserire in una discussione, in cui potrebbe darsi che sui particolari non tutti fossimo d’accordo, questa grande idea di Dio. Non sono però in dissidio neanche col collega ed amico La Pira; perché, se il punto al quale siamo arrivati nei nostri lavori non ce lo avesse vietato, avrei anch’io desiderato che all’inizio della nostra Costituzione si trovasse qualche parola che volesse significare un richiamo allo Spirito. Perché, colleghi, alla fine dei nostri lavori, talvolta difficili e perfino incresciosi, talvolta immiseriti, diciamo, in questioni grettamente politiche, alla fine dei nostri lavori vi è però nella nostra coscienza la sensazione di aver partecipato in questa nostra opera a una ispirazione solenne e sacra. E sarebbe stato opportuno e confortante esprimere anche in una sola frase questa nostra coscienza, che nella nostra Costituzione c’è qualcosa che va al di là delle nostre persone, un’idea che ci ricollega al passato e all’avvenire, un’idea religiosa, perché tutto è religione quello che dimostra la transitorietà dell’uomo ma la perpetuità dei suoi ideali.

Io avevo pensato – e ve lo dico unicamente perché desidero che questo rimanga agli atti della nostra Assemblea – proporvi che questa invocazione allo Spirito e all’eternità fosse consacrato in un richiamo sul quale credo che tutti noi ci saremmo trovati concordi; in un richiamo cioè ai nostri Morti, a coloro che si sono sacrificati, affinché la grande idea per la quale hanno dato la vita, si potesse praticamente trasfondere in questa nostra Costituzione che assicura la libertà e la Repubblica. Forse, questa nostra Costituzione in pratica, per taluni aspetti, è inferiore alla grandezza della loro idea; ma tuttavia ad essa ha voluto ispirarsi. Per questo io avevo in animo di proporre che la nostra Costituzione incominciasse con queste parole: «Il popolo italiano consacra alla memoria dei fratelli caduti per restituire all’Italia libertà e onore la presente Costituzione». Questo non si può più fare, ha detto il Presidente, per ragioni di procedura. Ma tuttavia la nostra intenzione e il nostro proposito, e il fatto che nel chiudere i nostri lavori noi abbiamo pensato a coloro senza il sacrificio dei quali noi non saremmo qui, questo io spero che rimarrà scritto negli atti della nostra Assemblea. (Applausi a sinistra).

COPPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPA. È strano che in un’Assemblea del popolo italiano abbiamo sentito tre voci contrarie alla proposta La Pira. Qui c’è della gente… (Interruzioni a sinistra).

La parola gente è latina e ha il suo significato.

PRESIDENTE. Onorevole Coppa, le sarei grato, ed ella lo farà certamente, se il suo intervento restasse sullo stesso piano di quello dei colleghi che l’hanno preceduto.

COPPA. Scendo dalla stratosfera della filosofia alla pratica, perché intanto rilevo che un atto di unità limitato soltanto alla superficie non giova a nulla. Noi vogliamo dare la vernice che deve nascondere le crepe, che si trovano, che hanno il substrato nella profonda differenza delle idee che si professano. Se è efficace questa vernice, sia data pure.

Rilevo intanto la contradizione che esiste fra le affermazioni fatte dall’onorevole Calamandrei e la dichiarazione di atto sacro quale è la Costituzione.

Una Costituzione è nella vita civile di un popolo quanto di più alto si possa immaginare, e nessuna espressione più degna di quella proposta dall’onorevole La Pira potrebbe precedere come preambolo la Costituzione di un popolo che nella stragrande maggioranza professa una religione, e che avrebbe il diritto di vedere la sua Costituzione con la stessa introduzione che si è data il popolo irlandese; perché, se non erro, il popolo irlandese non ha avuto né la ipocrisia, né la vergogna di mascherare i suoi sentimenti, ed ha invocato la Santissima Trinità.

Ora si parla di maggioranza dell’Assemblea e si dimentica la maggioranza che è nel Paese. (Applausi all’estrema destra). E voialtri (Accenna all’estrema sinistra) il giorno in cui avete sostenuto la necessità di votare l’articolo 7, avete portato argomenti diversi da quelli che avete portato oggi. (Commenti – Interruzioni).

Io vi richiamo alla coerenza di quel voto e faccio mia la proposta dell’onorevole La Pira, qualora egli la dovesse ritirare. (Interruzioni all’estrema sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. Era facile prevedere che porre la questione significava creare il contrasto. Si può esprimerne rammarico, ma evidentemente, onorevoli colleghi, di fronte alle affermazioni di libertà di coscienza contenute nella Carta costituzionale, che oggi voteremo, penso che da nessuna parte si possano sollevare recriminazioni nei confronti del pensiero che altri nutre ed altri vuole servire. Ed era questa la ragione per la quale, con argomenti procedurali – perché io non debbo adoperarne altri – avevo cercato di convincere l’onorevole La Pira a non porre la questione.

L’onorevole La Pira ha preferito porla, ma è evidente, onorevoli colleghi, che le ragioni procedurali che l’onorevole La Pira non ha accolte, non perdono per questo di efficacia. (Interruzione del deputato Fuschini).

Onorevole Fuschini, lei che ha seguito così attentamente i nostri lavori, sa che l’Assemblea non ha accettato preamboli. Né vale usare oggi altro termine, come intitolazione, dedica, epigrafe. Quando l’onorevole La Pira, in un suo non dimenticabile discorso in sede di discussione generale, aveva auspicato che la Costituzione avesse un preambolo, si era già valso promiscuamente di questa parola come delle altre, dedica o intitolazione. Ma la sua proposta non era ugualmente stata accolta, e non perché non vi fossero molti in quest’Aula che condividessero la sua opinione, ma proprio per le ragioni che poco fa qualche membro dell’Assemblea ha voluto ricordare.

Se la procedura talvolta serve a qualche cosa, questo è il caso, onorevoli colleghi; essa ci aiuta oggi, infatti, ad evitare una discussione pericolosa, perché nulla di peggio vi sarebbe se su questa proposta in questo momento, l’Assemblea si dividesse. Ed ognuno di noi sa già in precedenza che si dividerebbe.

È questa la ragione per la quale, escludendo assolutamente ogni valutazione di merito e di sostanza, che non mi competono, e dalle quali tuttavia in questa sede rifuggirei, proprio per evitare che quella divergenza, che purtroppo si è ritenuta di dover stimolare, maggiormente si affermi, prego l’onorevole La Pira di accedere al criterio della inammissibilità della sua proposta.

Noi, onorevoli colleghi, abbiamo accettato un Regolamento per i nostri lavori: si potrebbe dire che l’estrema delicatezza della questione ora posta travalica lo stesso Regolamento; ma, superando il Regolamento, si creerebbe una profonda divergenza nella nostra Assemblea. Perciò ora più che mai il Regolamento non può essere ignorato.

Per questo, dico all’onorevole La Pira, e all’onorevole Calamandrei che, pur con vivo rammarico, dal momento che il Comitato di redazione ha già reso conto di tutto il suo lavoro dall’Assemblea e questa ha votato sulla materia che era all’ordine del giorno, non ritengo più proponibile nessuna richiesta o istanza.

GUERRIERI FILIPPO. Senza Dio non si costruisce!

LA PIRA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA PIRA. Onorevoli colleghi, vorrei dire che la mia proposta ha voluto essere – per le ragioni che ora spiegherò – una proposta di unione e non di divisione. Siccome prevedevo che la questione sarebbe sorta in Assemblea, allora, per evitare ogni dissenso politico e per trovare un punto di identità, mi sono permesso di parlarne in ultimo. Proprio per questa ragione unitaria e non per uno scopo di scissione: questo, del resto, è anche il mio temperamento, che cerca sempre di fare ponti e suture.

Quindi, le parole nobili dell’onorevole Togliatti e quelle calde, interiori degli amici Marchesi e Calamandrei, non sono in contrasto con quanto ho detto, perché, siccome prevedevo e sapevo che la questione sarebbe sorta in Assemblea, per evitare una scissione e per evitare che la questione avesse assunto un carattere politico – cioè di aderenza a questo o a quel partito – mi sono permesso di assumere la responsabilità di presentare quella proposta. V’era già un’altra proposta, infatti, e proprio per trovare un punto di unione, ho fatto la mia, non per scindere, ma per unire. Ora, come si fa, dico io, ad eliminare la questione, se la questione c’è ed è sorta, ed è sorta già all’epoca delle dichiarazioni dell’onorevole Lucifero, il quale disse: «accantoniamo il problema; lo riprenderemo al termine dei nostri lavori»?

Quindi, pregherei vivamente di riflettere su questo punto, per evitare quella divisione alla quale nessuno di noi vuole andare incontro. Pregherei vivamente gli onorevoli Togliatti, Basso, Nenni, Marchesi e tutti gli altri amici di vedere di trovare questo punto d’incontro.

In fondo, se ben consideriamo, con la formula «Il popolo in nome di Dio si dà la Costituzione» facciamo una constatazione di fatto. (Commenti a sinistra).

Io pregherei vivamente di considerare la questione.

Se potessimo unificare le due formule, quella dell’onorevole Calamandrei e quella presentata da me, non sarebbe cosa veramente opportuna? Le più grandi, le più importanti tappe hanno sempre questa affermazione: tutte le Costituzioni americane, quella svizzera, tutte le Costituzioni che derivano dalla Rivoluzione francese, quella del Venezuela del 4 luglio 1897: tutte recano all’inizio questa affermazione.

L’importante è di non fare una specifica affermazione di fede, come è nella Costituzione irlandese: «In nome della Santissima Trinità»; ma perché rifiutarci di dire: «In nome di Dio»? Prego quindi vivamente i colleghi di tutti i settori di voler riflettere su ciò; perché, se la questione è sorta, come si può eliminarla?

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. In Inghilterra è abitudine, nelle grandi occasioni, alla fine dei lavori legislativi, e il principio di essi, che tutti i deputati vadano nella Cappella di Westminster a pregare. E vi si recano deputati di ogni parte, che sono anglicani, cioè terribilmente antipapisti, cattolici e rappresentanti di religioni non ariane ed anche rappresentanti di religioni semitiche dell’Asia.

Io non trovo dunque strana questa proposta, né che tutti secondo la propria fede vadano a pregare per la patria comune. E sopra tutto dove i Parlamenti esistono per antica tradizione. Anche in monarchie antiche e tradizionali si pregava o non si pregava secondo situazioni particolari.

Manifestazioni comuni avvenivano. Avvenivano sopra tutto in paesi protestanti. Da noi, nei vecchi parlamenti, per quanto io sappia, non vi erano preghiere in comune. Non so se nel Parlamento subalpino per lo Statuto durato dal 1848 a ora si facevano preghiere in comune.

Non credo, comunque, che questa consuetudine profondamente cristiana possa diventare in Parlamento ragione di divergenze politiche: questa è materia su cui vi possono essere ragioni di divergenza spirituale, non politica. Iddio è troppo grande, Iddio è al disopra di tutte le cose, e tutte le anime credenti debbono impiegarsi a servirlo nel comune desiderio del bene dell’umanità.

Dunque non è la proposta che trovo strana, ma trovo strano che essa venga sottoposta in questo momento a voto, quando reca qui dentro – e noi sapevamo che dovesse recare – una divisione profonda. Perché ci dovremmo dividere sul nome di Dio? Il nome di Dio è troppo grande e le nostre contese sono troppo piccole.

Io ho sofferto molto che questa proposta sia stata avanzata: io soffrirò anche di più se questa proposta verrà respinta.

L’idea di Dio è talmente grande e universale che non può essere materia di controversie politiche. Far discendere Dio in controversie di un’aula parlamentare è umiliare la dignità dello spirito. Il nome di Dio non deve essere nominato in contrasti politici, che non hanno niente di grande.

Tutte le anime credenti, sia pure in forma diversa, servono Dio nel desiderio del bene dell’umanità.

Nel Parlamento subalpino, in occasione della Costituzione del 1848, che è vissuta fino ad ora, non avvennero speciali funzioni, benché vi fosse una monarchia molto religiosa e il Parlamento fosse composto di uomini educati e vissuti nella religione: ma non vi furono solennità religiose speciali.

Si farebbe equivoco di cosa che non esiste, la divisione fra credenti e non credenti, e si potrebbe speculare su di essa.

Insediando questa Assemblea Costituente non vi è stata alcuna invocazione religiosa né alcuna preghiera in comune. Perché ora, alla fine dei suoi lavori, l’Assemblea deve mutare? Che cosa è mutato in essa?

Per molti anni dopo il 1870 la Chiesa Cattolica è stata in Italia in dissidio politico con lo Stato, ma anche dopo gli Accordi Lateranensi le funzioni parlamentari non hanno dato luogo a funzioni religiose.

Mancava la tradizione e non ve ne è stata la necessità.

La proposta che ora si fa da persona rispettabilissima e che è anche e sopra tutto un’anima credente, non è discutibile per le intenzioni, ma per la opportunità.

Data la divisione degli spiriti e non essendovi la tradizione, la discussione inevitabile finirebbe con avere carattere politico e sarebbe materia di divisione.

Dividerci e non essere concordi nel nome di Dio, cioè nella espressione più alta dello spirito umano, è umiliazione. Le nostre contese sono troppo piccole e il nome di Dio è troppo grande, perché vadano assieme.

Io ho sofferto quando questa proposta è stata fatta, ma soffrirei ancor più se non fosse accolta da unanime consenso e avesse anzi non pochi dissensi.

Io ho potuto anche questa volta ammirare la saggezza del nostro Presidente. Egli si è studiato di evitare una discussione e forse una contesa deplorevole al momento della chiusura dei nostri lavori. La discussione turberebbe l’Assemblea inutilmente, e creerebbe forse un dissidio che non deve esistere.

Le ragioni dette dal Presidente non entrano nel merito della idea religiosa, che non deve essere discussa. Sono però tali dal punto di vista parlamentare, che provano non solo la opportunità, ma il danno di una inevitabile e irritante discussione. (Vivi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole La Pira, l’impulso che l’ha mossa, tutti lo sappiamo, e l’onorevole Nitti nelle sue ultime parole lo ha rilevato in modo mirabile, è stato di unità e di concordia.

Ma a volte possiamo sbagliare sulle conseguenze delle nostre azioni e sui fini che si intendono raggiungere. Prendendo la sua iniziativa ella non aveva forse valutato tutte le conseguenze che avrebbe determinato.

Dopo questa breve, composta e degna discussione, io credo che lei si sia reso conto che in realtà non con un atto di unità si concluderebbe la nostra seduta, se insistesse nella sua proposta, indipendentemente dall’inammissibilità. Per non incrinare, sia pure soltanto la superficie (onorevole Coppa, certe volte anche la conservazione di un ultimo velo di unità può costituire una grande garanzia), occorrerebbe che ella, con quello stesso impulso di bontà che l’ha mossa a fare la proposta, ci dicesse (perché dispiacerebbe giungere alla stessa conclusione per altra via) che comprendendo, accetta di ritirarla. (Approvazioni).

MEDA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ho pregato l’onorevole La Pira di ritirare la sua proposta; prego quindi i colleghi di non allargare la discussione.

MEDA. Chiedevo di parlare solo per dire una parola di concordia.

PRESIDENTE. Credo di potere interpretare il silenzio dell’onorevole La Pira come adesione al mio invito deferente e cortese. (Vivi applausi a sinistra).

LA PIRA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA PIRA. A me non resta che partire dal presupposto e dal punto di vista dal quale mi ero mosso, e cioè che vi fosse una unità, un consenso in tutta l’Assemblea. Ma evidentemente se questo consenso non vi fosse, e vi dovessero essere motivi di screzio profondo, di disunione fra gli animi, non so veramente cosa dire, perché ciò va contro il punto di vista dal quale ero partito. Ripeto: perché ho presentato quella proposta? Perché sapevo che sarebbe stata presentata in altro modo e avrebbe allora provocato un profondo dissenso in seno all’Assemblea Costituente. E allora mi sono fatto portatore di pace e di unità. Ma se la pace e l’unità non si possono raggiungere, che cosa devo dire?

COPPA. La procedura sbarra il passo a Dio! (Commenti animati a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, prego! Onorevole La Pira, prosegua.

LA PIRA. Francamente, se tutto questo dovesse produrre la scissione nell’Assemblea, io per conto mio non posso dire che questo: che ho compiuto secondo la mia coscienza il gesto che dovevo compiere. (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Molte congratulazioni).

Annunzio di nomine di Sottosegretari di Stato.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ho l’onore di informare l’Assemblea Costituente che il Capo Provvisorio dello Stato, con decreto 22 dicembre 1947, su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dall’onorevole generale Luigi Chatrian dalla carica di Sottosegretario di Stato per la difesa.

Con altro decreto, in pari data, sentito il Consiglio dei Ministri, sono stati nominati Sottosegretari di Stato per:

la grazia e giustizia: l’onorevole avvocato Vittorio Badini Confalonieri, deputato all’Assemblea Costituente;

il tesoro (Danni di guerra): l’onorevole avvocato Antonio Cifaldi, deputato all’Assemblea Costituente;

la difesa: l’onorevole avvocato Ugo Rodinò, deputato all’Assemblea Costituente;

la pubblica istruzione: l’onorevole avvocato Giuseppe Perrone Capano, deputato all’Assemblea Costituente;

i lavori pubblici: l’onorevole Emilio Canevari, deputato all’Assemblea Costituente;

l’agricoltura e foreste: l’onorevole avvocato Giovanni Cartia, deputato all’Assemblea Costituente;

le poste e telecomunicazioni: l’onorevole dottor Francesco De Vita, deputato all’Assemblea Costituente;

il lavoro e previdenza sociale: l’onorevole Luciano Magrini, deputato all’Assemblea Costituente;

la marina mercantile: l’onorevole avvocato Nicola Salerno, deputato all’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Presidente del Consiglio di questa comunicazione.

Relazione della Commissione di indagine sulle accuse mosse al deputato Chieffi.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, come l’Assemblea ricorda, alcuni giorni or sono, su richiesta dell’onorevole Chieffi, a norma dell’articolo 80-bis del Regolamento ho proceduto alla nomina di una Commissione incaricata di esaminare il fondamento di talune accuse che gli erano state mosse.

La Commissione ha compiuto il proprio lavoro e l’onorevole Gasparotto, Presidente, ha chiesto di potere riferire all’Assemblea.

Rendo noto che contemporaneamente mi è stato consegnato il testo di una relazione di minoranza e il testo di una dichiarazione personale di uno dei membri della Commissione, che ha espresso il desiderio di poter dichiarare le ragioni per le quali non ha aderito né alle conclusioni di maggioranza né a quelle di minoranza.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Io credo che, data la solennità della seduta alla quale stiamo partecipando, dato anche il breve spazio di tempo che ci è concesso, sia opportuno rinviare la lettura delle relazioni alla ripresa dei lavori in gennaio.

Una voce al centro. V’è di mezzo l’onore di un collega.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, fa proposta formale in questo senso?

DUGONI. Sì.

SCOCA. Non possiamo rinviare.

PRESIDENTE. L’onorevole Gasparotto ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

GASPAROTTO, Presidente della Commissione. La Commissione non può che rimettersi all’Assemblea.

DUGONI Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Credevo di trovare concorde l’Assemblea su questo punto; ma se l’Assemblea non è concorde ritiro la mia proposta.

PRESIDENTE. Sta bene. Ha facoltà di parlare l’onorevole Gasparotto.

GASPAROTTO, Presidente della Commissione. L’Assemblea Costituente, onorandoci della sua fiducia, ci ha conferito il mandato di giudicare, a norma dell’articolo 80-bis del Regolamento, sul fondamento delle accuse mosse, nella seduta del 13 dicembre 1947, dai deputati Cianca e Lussu al deputato Chieffi.

La Commissione, innanzi tutto, ha sentito gli onorevoli Cianca e Lussu. Il primo ha dichiarato che l’accusa di «collaboratore dei tedeschi», lanciata contro l’onorevole Chieffi, «traeva origine dalle notizie riferite dal settimanale Il Solco (organo del Partito sardo di azione) e, più particolarmente, dal giudizio espresso dal procuratore generale e dal giudice istruttore nel processo contro Del Fante, nonché da voci riferitegli da qualche deputato sardo». L’onorevole Lussu ha dichiarato che l’accusa di «fornitore di donne ai tedeschi», da lui lanciata contro l’onorevole Chieffi, «si rilevava da una istruttoria provocata dallo stesso onorevole Chieffi contro persone che questi riteneva potessero nuocergli», istruttoria della quale aveva data notizia il settimanale Il Solco. Aggiungeva che, al momento in cui aveva lanciato l’accusa, era a conoscenza della querela sporta dall’onorevole Chieffi contro detto giornale.

La Commissione, pur non avendo i due accusatori presentato documenti autentici a fondamento delle accuse, ha creduto di richiamare, a mezzo del Ministro di grazia e giustizia, gli atti di due precedenti processi penali e di poter portare su di essi la sua indagine, nonché di raccogliere, anche direttamente, altri elementi di valutazione a mezzo di testimoni.

Di tali due procedimenti uno è a carico di tal Del Fante per il delitto di collaborazione con il tedesco invasore, e si è concluso con sentenza istruttoria di proscioglimento «perché il fatto non sussiste»; il secondo è a carico dell’onorevole Chieffi e di altri per lo stesso delitto di collaborazione e si è concluso, nei riguardi dell’onorevole Chieffi, su conforme richiesta del procuratore generale, «per non aver commesso il fatto», con sentenza istruttoria di proscioglimento, contenente valutazioni apologetiche per l’attività partigiana da lui svolta.

L’esame di tutti gli atti processuali ha confermato la inesistenza del fatto della collaborazione da parte dell’onorevole Chieffi.

Senza ripetere le considerazioni del giudice penale, svolte sulla base di prove acquisite con ampio esercizio dei poteri di indagine, l’esame obiettivo degli atti del processo e degli elementi accertati direttamente ha portato la Commissione a ritenere per fermi i seguenti punti:

1°) La permanenza dell’onorevole Chieffi, per altro saltuaria, durante il periodo dell’occupazione nazista di Roma, nel suo impiego amministrativo presso la Società Stacchini, requisita e controllata militarmente dai tedeschi, fu consentita – come ha testualmente dichiarato avanti alla Commissione uno dei membri del Comitato esecutivo antifascista e come sorge, con ampio conforto di prove, dagli atti del processo penale – dal Comitato supremo militare della resistenza in Roma. Nell’esercizio della sua attività nell’interno della Società Stacchini, l’onorevole Chieffi agì di concerto con i due eroici generali dell’aeronautica Lordi e Martelli, dirigenti tecnici della medesima società, tratti in arresto nel gennaio 1944 dalle SS. tedesche per la loro opera di sabotaggio e, quindi, trucidati alle Fosse Ardeatine; egli consegnò alle forze partigiane quantitativi di esplosivi e ragguardevoli somme di denaro, derivanti gli uni e le altre dalla ditta Stacchini, e comunicò al Comando alleato piani dello stabilimento stesso. L’onorevole Chieffi fu materialmente estraneo ad ogni rapporto di collaborazione, risultando, tra l’altro, che sinanco alcuni ordini di servizio intimanti agli operai l’osservanza dell’obbligo di lavoro furono firmati dallo Stacchini e non da lui, ed egli si prestò a recarsi a Milano per conto della ditta Stacchini, in unione al maresciallo tedesco addetto al controllo della medesima e alla interprete, per riscuotere una somma spettante alla Società, allo scopo di poter effettuare un viaggio, altrimenti assai difficoltoso, che gli era necessario per poter assolvere a Parma, sede del Tribunale speciale, una missione di salvataggio, che fu coronata da successo, missione affidatagli da autorevoli membri del Fronte della resistenza, in favore dei patrioti onorevole Angelucci e dottor Intersimone.

2°) Nell’attività dell’onorevole Chieffi non può riscontrarsi l’ipotesi maliziosa del cosiddetto «doppio gioco» – secondo l’accusa fatta innanzi alla Commissione dall’onorevole Lussu – poiché questo si è verificato quando l’attività è stata diretta indifferentemente al raggiungimento della vittoria nazista e al trionfo partigiano con simulazioni e dissimulazioni e senza che l’agente si sia decisamente impegnato, con rischio suo e dei suoi, in una delle due cause; laddove l’onorevole Chieffi ha esposto – come sorge da univoche e numerose testimonianze di varia fonte politica e militare – se stesso e i suoi familiari a pericoli concreti di rappresaglia nazista, dalla quale si salvò non senza difficoltà, e che lo costrinsero più volte alla macchia.

3°) All’unanimità è rimasta esclusa l’accusa mossa dall’onorevole Lussu di aver fornito donne ai tedeschi.

Tutto ciò considerato, la Commissione, a maggioranza di sette membri, e nell’assenza giustificata di due: Della Seta e Cacciatore; dissidenti, gli onorevoli Foa e Reale Eugenio, ha concluso che le accuse di collaboratore dei tedeschi e di fornitore di donne agli stessi, lanciate, durante il tumulto della discussione, contro l’onorevole Chieffi rispettivamente dagli onorevoli Cianca e Lussu, sono senza fondamento sotto ogni profilo. Esse sono state mosse dagli onorevoli Cianca e Lussu sulla traccia di una pubblicazione del settimanale Il Solco riportante, non sempre con assoluta fedeltà al testo, apprezzamenti non favorevoli all’onorevole Chieffi contenuti nella requisitoria e nella sentenza istruttoria del procedimento a carico di Del Fante, apprezzamenti smentiti in pieno dalla successiva requisitoria e dalla sentenza nel procedimento a carico dell’onorevole Chieffi, nonché dalle indagini compiute dalla Commissione.

BERTINI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTINI. Onorevoli colleghi, bisogna essere rigidamente osservanti del Regolamento quando in specie si tratta di questioni che implicano la dignità personale dei colleghi. Quindi, ho l’obbligo, anche per quella esperienza parlamentare che ho acquistato nell’assistere a discussioni di questo tipo, di far rilevare, a chi volesse prenderne l’iniziativa, che discussioni di carattere individualistico sono contrarie alla prassi parlamentare.

Anzitutto, poniamo i termini della questione, distinguendo fra quella che fu la discussione fatta all’Assemblea in seguito alla relazione della Commissione degli Undici e quella che, suppongo, si vorrebbe fare oggi sulla relazione dell’onorevole Gasparotto a proposito del caso dell’onorevole Chieffi.

Rilevo – e lo ha già detto l’onorevole Presidente esattamente, allorché ha introdotto la discussione su questo argomento – che la relazione dell’onorevole Gasparotto si basa sull’applicazione dell’articolo 80-bis del Regolamento della Camera. Da quest’articolo, si deduce che l’Assemblea – ed è detto esplicitamente – ha una sola facoltà, quella di prendere atto o non prendere atto delle conclusioni della Commissione. E perché? Non tanto, perché vi sia di mezzo una questione di delicatezza personale, sulla quale delle discussioni potrebbero essere avventate o odiose, ma per un’altra ragione di più alto conto: quella che attiene al contenuto giuridico e alla competenza della Commissione nominata a termini dell’articolo stesso.

Voi osserverete esattamente – e non v’è altra interpretazione che possa farsi – come l’articolo 80-bis equipari il mandato, che si affida a questa Commissione nominata dall’Assemblea nel caso specifico, ad un vero e proprio giurì. Il che vuol dire che il giurì di per sé ha due caratteri: il carattere della collegialità ed il carattere di riservatezza che si impone a tutti, nel senso che non si possa evadere da quelli, che sono gli stretti confini della natura e della portata di un giurì di onore.

Ora, o signori, se v’è una collegialità, vi deve essere anche una decisione, la quale, presa all’unanimità o a maggioranza, porta con sé la qualità di giudici in coloro che deliberano sull’oggetto deferito alla Commissione.

Sarebbe strano che dei giudici, dopo aver preso parte ad un giudizio collegiale, successivamente durante una discussione qualsiasi, magari in un giudizio di appello o davanti allo stesso tribunale, mentre il presidente dà conto della sentenza, venissero su a dire: noi vogliamo far sapere come abbiamo votato o vogliamo far sapere che dissentiamo per queste ragioni dalla decisione collegiale.

Sarebbe una mostruosità giuridica e sarebbe poi, dico di più, una mostruosità morale. (Vivi applausi al centro ed a destra).

Vi è un precedente, che è l’ultimo e notevolmente dibattuto nella legislatura 25a; a quel dibattito ebbi, per i miei anni, opportunità di assistere. Si trattava dell’inchiesta sul caso dell’onorevole Vacirca. Anche in quel caso fu fatto appello all’articolo 80-bis del Regolamento e si ebbe una relazione di un magistrato, di un magistrato altissimo, l’onorevole Marracino. Sorse allora la stessa questione davanti alla Camera, letta la relazione dall’onorevole Marracino, come, mi pare, si vorrebbe fare ora da parte di coloro che hanno chiesto di parlare. E la Camera allora affermò nettamente, per bocca del Presidente della Commissione, onorevole Tedesco, che la Camera stessa aveva una sola facoltà, quella di prendere o non prendere atto delle conclusioni della Commissione. Il resto viene abbandonato al segreto della collegialità.

Perché, in sostanza, o signori, si avrebbe un ripercuotersi di diversivi, i quali non sono da ammettersi in una questione come questa, la quale è stata esaminata con tutta serenità da una Commissione presieduta da un uomo come l’onorevole Gasparotto; e si darebbe a credere che si voglia fare un dibattito su una questione nella quale soltanto ci affidano e il concetto di competenza, riconosciuto alla Commissione, e, in secondo luogo, la natura tutta riservata e collegiale del deliberato preso. Il discutere, o signori, sarebbe un’onta che noi faremmo al galantomismo dei componenti della Commissione e alla solidarietà ed al rispetto che dobbiamo avere verso di loro. (Vivi applausi al centro e a destra). Mi oppongo pertanto a qualsiasi proposta che esca dai termini della mozione d’ordine da me richiamata.

FOA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

FOA. Sulla mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Sta bene. Faccio però presente che per il richiamo al Regolamento (così interpreto le dichiarazioni dell’onorevole Bertini) possono parlare soltanto un oratore contro e uno a favore. Vorrei che l’onorevole Bertini precisasse, per la chiarezza. Egli ha parlato di discussione. Vorrei che egli precisasse se intende come discussione la lettura di una relazione di minoranza. Infatti, onorevole Bertini, nel precedente da lei invocato – e che è perfettamente corrispondente alla realtà – la Camera si trovò di fronte a una relazione di unanimità della Commissione; da parte di deputati che non facevano parte della Commissione si richiese la possibilità di discutere, ed è su questa richiesta che la Camera deliberò in senso negativo.

Il problema, ora, si presenta in modo diverso, perché la Commissione non è stata unanime e sono state presentate due relazioni: una di maggioranza e una di minoranza. Prego pertanto l’onorevole Bertini di voler precisare i termini della sua pregiudiziale.

BERTINI. La mia pregiudiziale è nel senso che, trattandosi di un giudizio – secondo la funzione della Commissione nominata dall’onorevole Presidente – collegiale, per il significato, da interpretarsi restrittivamente, dell’articolo 80-bis, sulla relazione della Commissione non può offrirsi alla Camera altra soluzione che questa: prendere atto o meno delle conclusioni della Commissione.

CALAMANDREI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A favore o contro la tesi dell’onorevole Bertini?

CALAMANDREI. Contro.

PRESIDENTE. Occorre che si metta d’accordo con l’onorevole Foa.

FOA. Rinunzio a parlare, a favore dell’onorevole Calamandrei.

PRESIDENTE. L’onorevole Calamandrei ha facoltà di parlare.

CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, sono d’accordo con l’onorevole Bertini nel ritenere che, di fronte al risultato di una Commissione d’inchiesta comunicato alla Camera, la Camera non possa far altro che prenderne atto o non prenderne atto. Ma qui, se ho ben capito, la questione è un’altra.

Si tratta di vedere se, prima di decidere se prender atto o meno delle conclusioni della Commissione, l’Assemblea abbia non solo il diritto, ma il dovere di essere informata pienamente delle resultanze delle indagini affidate alla Commissione, di conoscere cioè non soltanto la opinione della maggioranza della Commissione, ma anche le opinioni della minoranza, consacrate in un’apposita e separata relazione.

Ritengo che questo diritto e dovere dell’Assemblea, di essere informata appieno, non sia affatto in contrasto con la lettera e con lo spirito dell’articolo 80-bis. Evidentemente, se i deputati hanno il potere di non prender atto dei risultati della relazione della Commissione, hanno anche il diritto e il dovere di conoscere le ragioni che possono spingerli a non prenderne atto. (Commenti al centro).

Ma mi pare che la questione abbia, oltre che un aspetto giuridico, anche un aspetto politico e, direi…

BETTIOL. Non ha un aspetto politico!

CALAMANDREI. …un aspetto morale. Come è possibile che di fronte ad accuse gravi, come quelle che sono state lanciate contro un nostro collega, noi possiamo in coscienza prendere una decisione e dare un voto pro o contro questo collega, pro o contro i colleghi che lo hanno accusato, quando si sappia che esistono notizie e considerazioni tenute segrete, che l’Assemblea non conosce, e che hanno persuaso ad andare in opinione diversa da quella della maggioranza di colleghi egualmente rispettabili, egualmente insospettabili come imparziali inquirenti, quali sono i colleghi della Commissione rimasti in minoranza?

Il collega Bertini ha detto che è inconcepibile che la risposta di un collegio giudiziario possa lasciare apparire in pubblico l’opinione della minoranza. Devo ricordare all’onorevole Bertini che le varie legislazioni processuali svizzere, tanto penali quanto civili, consentono che nei collegi giudiziari, quando vi sono componenti che dissentono dal parere della maggioranza, questi facciano un voto di minoranza che viene pubblicato insieme con la sentenza. Anche nella procedura giudiziaria l’idea che l’opinione dei dissenzienti sia manifestata pubblicamente non è un’assurdità.

BERTINI. La incaricheremo di fare un nuovo Codice di procedura civile, come quello che ha già fatto. Ella ha contribuito a fare quel bel Codice di procedura civile che abbiamo oggi!

CALAMANDREI. Onorevole Bertini, parlo dei codici svizzeri, e non credo che ella possa ritenermi responsabile della legislazione svizzera. Stia bene attento a quel che dico.

BERTINI. Parlo di quello italiano e non di quello svizzero.

CALAMANDREI. Qui noi non ci troviamo… (Interruzione del deputato Bertini).

Onorevole Bertini, vedo che lei continua a parlare di me e mi addita ai suoi compagni. Se ha qualche cosa da dirmi quando si esce me lo dica ed io le risponderò; ma eviti di introdurre qui argomenti che non hanno senso! (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Prosegua, onorevole Calamandrei.

CALAMANDREI. Stavo dicendo che anche se non ci fossero nelle legislazioni esempi di voti di minoranza ai quali si dà pubblicità anche nei giudizi ordinari, qui bisogna ricordarci che non ci troviamo di fronte al responso di un organo giudicante. La relazione della Commissione è soltanto la relazione di un organo istruttorio; sui dati istruttori che la Commissione ci fornisce è l’Assemblea che deve deliberare e decidere. L’efficacia deliberante, giuridica e politica, siamo noi che dobbiamo conferirla a questi materiali istruttori che ci vengono forniti. Ed allora, se ci vengono forniti materiali istruttori, è giusto, è opportuno, è necessario che noi conosciamo, per la nostra coscienza e nell’interesse stesso dell’inquisito, il parere della minoranza, cioè una parte di quei dati istruttori sui quali noi dobbiamo avere un’opinione completa. È lo stesso inquisito che non può desiderare che noi decidiamo conoscendo soltanto una parte della verità. (Commenti al centro).

CIFALDI. Chiedo di parlare, in favore della pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Onorevoli colleghi, credo che non possiamo non tener conto della natura del giudizio sul caso Chieffi, che è il giudizio di una Commissione d’inchiesta adottato con una decisione collegiale. Ed io ritengo che, trattandosi di una decisione collegiale, non è possibile poter guardare in che modo si è giunti alla decisione finale, cioè non è possibile voler chiedere di nuovo la ricostruzione dei vari apprezzamenti e delle varie valutazioni per arrivare a questo unicum che rappresenta la decisione collegiale.

La decisione emessa dalla Commissione di inchiesta non ha potuto non tener conto delle ragioni che i colleghi con opinione diversa da quella della maggioranza espressero appunto in sede di Commissione; e vorrei dire all’onorevole ed illustre maestro Calamandrei che di queste ragioni è stato tenuto conto indubbiamente nella motivazione della decisione. Come egli sa, da maestro, tutte le sentenze, quando vengono espresse nella loro parte motivata, contengono argomenti a favore della tesi prevalente accolta dal collegio nella sua decisione finale, e contengono anche le ragioni in contrario ma che sono contradette, vittoriosamente contradette, dalla decisione terminale. Sicché l’Assemblea conosce non solo le ragioni che hanno indotto la Commissione a giungere alla conclusione favorevole all’onorevole Chieffi ma anche quelle che sono state affacciate in contrario. Così noi abbiamo potuto apprendere, ad esempio, da quanto l’onorevole Gasparotto ci ha detto in merito, il viaggio fatto dall’onorevole Chieffi, mi pare, a Parma, in compagnia di un maresciallo delle «S.S.», ciò che poteva farlo figurare come un collaborazionista (Interruzioni all’estrema sinistra), mentre è poi risultato che l’onorevole Chieffi si valse di quella compagnia per poter giungere a Parma ed espletarvi un incarico per la lotta clandestina.

Essendo pertanto la decisione a carattere collegiale, non è consentito ai componenti del collegio i quali abbiano dissentito dalle conclusioni della maggioranza di voler ripetere il dibattito in quest’Aula. Della decisione collegiale l’Assemblea deve prendere atto, senza che sia possibile per essa riprendere la discussione di merito.

PRESIDENTE. Sul richiamo al Regolamento dell’onorevole Bertini, il quale sostiene che, per l’articolo 80-bis, udita la relazione di maggioranza letta dall’onorevole Gasparotto, l’Assemblea non possa che limitarsi a prenderne atto senza udire ulteriori interventi, sia di altri commissari come di estranei alla Commissione, hanno parlato, a tenore dell’articolo 85 del Regolamento, un deputato a favore e uno contro.

Devo ora porre in votazione il richiamo al Regolamento.

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto (Proteste al centro – Commenti prolungati).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio! Ad ogni proposta vi sono sempre almeno cento deputati che ritengono, vociando, di esprimere il loro avviso. Quale libertà ed autorità lasciano in tal modo alla Presidenza?

Onorevole Lussu, in questa sede non sono ammesse dichiarazioni di voto, perché il Regolamento fissa con precisione il numero di coloro che possono parlare e la dichiarazione di voto è un intervento.

LUSSU. È un’altra cosa!

PRESIDENTE. È la stessa, precisa cosa.

Una voce al centro. E poi, l’onorevole Lussu non può votare! (Commenti).

LUSSU. Onorevole Presidente! Abbiamo sempre parlato per dichiarazioni di voto! La prego di leggermi il testo del Regolamento che dice questo. (Commenti al centro). Durante tutte le sedute abbiamo sempre parlato per dichiarazioni di voto.

ALDISIO. È una questione di sensibilità morale, onorevole Lussu. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Aldisio, la prego!

Onorevole Lussu, l’articolo 88 dice:

«Chiusa la discussione generale, ai Ministri è data facoltà di parlare per semplici dichiarazioni a nome del Governo e ai deputati per una pura e succinta spiegazione del proprio voto».

Noi, salvo errore, non ci siamo trovati a fare una discussione generale: ci siamo trovati di fronte a un richiamo al Regolamento, per il quale il Regolamento stesso fissa con precisione all’articolo 85 che possono parlare un deputato a favore e uno contro.

Non si tratta di una discussione generale. E si stabilisce anche, per la maggior precisione, che la votazione avvenga per alzata e seduta.

Tutto è previsto e regolato. E pertanto procediamo a norma dell’articolo 85.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Per che cosa? Vuole fare anche lei un richiamo al Regolamento?

LUSSU. Sì.

PRESIDENTE. Parli, onorevole Lussu!

LUSSU. L’articolo 85 del Regolamento parla esclusivamente del diritto a parlare prima della votazione. Per togliere a un deputato il diritto di specificare le ragioni del proprio voto è necessaria una esplicita norma di Regolamento: e una siffatta norma non v’è; il Regolamento dice che possono prendere la parola due deputati per discutere a fondo; ma non vieta le semplici dichiarazioni di voto. Mai si è impedito a un deputato di esprimere succintamente il suo voto. Non c’è nessun Regolamento né qui, né al Senato, né in Inghilterra, né in Francia che stabilisca questo! (Commenti al centro e a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, il Regolamento specifica quando è ammesso il diritto di fare la dichiarazione di voto: dopo di che non è evidentemente più necessario dire quando questo diritto non sussiste, perché è chiaro che, in tutti i casi in cui non è ammessa, la dichiarazione di voto è impedita. E poiché il Regolamento parla di dichiarazione di voto dopo una discussione generale, è evidente che in tutti gli altri casi non è ammessa.

Poiché comunque, onorevole Lussu, lei ha fatto appello al Regolamento, l’appello al Regolamento le dà diritto che la questione sia risolta dall’Assemblea, per alzata e seduta.

Devo porre pertanto in votazione il richiamo al Regolamento fatto dall’onorevole Lussu: se prima della votazione sul precedente richiamo al Regolamento, quello dell’onorevole Bertini, si possono fare dichiarazioni di voto.

LUSSU. Signor Presidente, ella sottopone il mio diritto all’arbitrio di una maggioranza politica! Non può farlo! (Rumori al centro e a destra).

PRESIDENTE. Il diritto di tutti, onorevole Lussu, non soltanto il suo; e in un’Assemblea, in ultima istanza, è sempre la maggioranza che decide.

LUSSU. Signor Presidente, preferisco rimettermi a lei, piuttosto che sottostare alla maggioranza.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Lussu: la prego allora di accettare per buona l’interpretazione che io le ho data ora del Regolamento, non permettendole di fare la sua dichiarazione di voto. Ciò potrà essere spiacevole per lei; un’altra volta – i nostri lavori riprenderanno a gennaio – potrà essere spiacevole per qualcun altro.

Devo pertanto porre in votazione il richiamo al Regolamento dell’onorevole Bertini.

GASPAROTTO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO, Presidente della Commissione. I componenti la Commissione si astengono dal voto.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione il richiamo al Regolamento dell’onorevole Bertini.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Do atto all’onorevole Gasparotto della presentazione all’Assemblea della relazione della Commissione nominata a norma dell’articolo 80-bis del Regolamento per indagare sulla validità delle accuse mosse contro l’onorevole Chieffi. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se sono stati identificati e denunciati gli autori degli atti di violenza perpetrati a Canicattì (Agrigento), a Gela e a Mazzarino (Caltanissetta).

«A Canicattì una colonna di scioperanti avrebbe assaltato un caffè il cui proprietario non intendeva soggiacere all’imposizione di scioperare, ferendo un tenente dei carabinieri, tre militi ed alcuni cittadini.

«A Gela sarebbero state fatte esplodere alcune bombe a mano.

«A Mazzarino gruppi di attivisti avrebbero ostruito con grossi massi la strada per interrompere le comunicazioni tra il capoluogo e il paese, avrebbero reso inservibile un autocarro sul quale viaggiavano dei carabinieri; avrebbero ferito un maresciallo dei carabinieri, un milite, un agente di pubblica sicurezza e cinque civili; avrebbero assaltato il circolo dei civili occupandolo; avrebbero saccheggiato la sede dell’Uomo Qualunque; avrebbero lanciato alcune bombe a mano.

«Si chiede di conoscere quali provvedimenti intenda adottare il Governo per mettere fine a questo regime di provocazione e di attentato alla libertà e alla incolumità dei cittadini che le forze del disordine tentano di instaurare in Sicilia.

«Castiglia».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro di grazia e giustizia, per considerare se di fronte al dilagare nella stampa di accuse e diffamazioni a danno dei cittadini, che si risolvono in processi che vengono definiti con la condanna degli imputati a pene inadeguate all’entità del reato, non credano opportuno di promuovere la modifica dell’articolo 595 del Codice penale, ritornando alle sane tradizioni del Codice del 1889; e ciò nell’interesse stesso della stampa, che si manterrà tanto più libera quanto consapevole della propria responsabilità.

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se – in relazione agli affidamenti dati in risposta a una recente interrogazione in proposito presentata dall’onorevole Canevari – siano state superate le difficoltà opposte da alcuni Ministeri per la emanazione dei provvedimenti atti a consentire alle cooperative, agli Enti mutualistici, agli Enti locali, alle organizzazioni, ecc., la possibilità di ricuperare i beni di cui furono spogliati dal regime fascista. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Segala, Persico».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intenda promuovere un provvedimento legislativo, in virtù del quale coloro, che – essendo stati dichiarati maturi in un concorso a professore universitario di ruolo entro l’anno 1940 – furono richiamati o trattenuti alle armi e rimasero in qualità di militari in zona di operazioni od in prigionia di guerra o in deportazione per un periodo di tempo, anche non consecutivo, non inferiore nel complesso a quattro anni, possano essere nominati professori ordinari di Università in soprannumero, quando le Commissioni giudicatrici dei concorsi universitari della materia ne facciano formale proposta ad unanimità e la proposta sia approvata dal Consiglio Superiore dell’istruzione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bettiol, Colitto, Firrao, Di Fausto, Condorelli, Crispo, Fusco».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 15.15.

POMERIDIANA DI DOMENICA 21 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLV.

SEDUTA POMERIDIANA DI DOMENICA 21 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegno di legge (Seguito e fine della discussione):

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

Presidente

Scoccimarro, Presidente della Commissione

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Perassi

Morelli Renato

Uberti

Fuschini, Relatore per la maggioranza

Merighi

Sansone

Russo Perez

Longhena

Micheli

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Per un provvedimento di clemenza nell’atto in cui si approva la nuova Costituzione:

Presidente

Mazza

Gronchi

Parri

Boldrini

Leone Giovanni

Castiglia

Ghidini

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Fresa

Mastrojanni

Coppa

Sardiello

Rubilli

Lussu

Di Gloria

Laconi

Russo Perez

Per la festa nazionale della Repubblica italiana:

Presidente

Bacciconi

Per la pubblicazione delle nuove norme sull’epurazione:

Castelli Avolio

Presidente

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Tonello

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 18.10

LEONE GIOVANNI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48). Ricordo che gli onorevoli Morelli Renato, Badini Confalonieri, Rescigno ed altri hanno proposto di inserire, al titolo VIII, prima dell’articolo 85, un altro articolo del seguente tenore:

«L’elettore incluso definitivamente nell’elenco degli astenuti senza giustificato motivo è sottoposto, con decreto dell’Intendente di finanza, al pagamento della somma di lire 500 se non è iscritto nei ruoli delle imposte complementari di reddito, di lire 2000, se iscritto nei detti ruoli».

A questo testo è stato ora proposto dalla Commissione di sostituire il seguente:

«Le norme che stabilissero nella legge elettorale per il Senato della Repubblica nuove sanzioni a carico di coloro che si astengano dal voto, saranno applicate anche per l’elezione della Camera dei deputati».

In sostanza, con questo secondo emendamento si vuole rimettere alla legge per l’elezione del Senato ogni decisione sulla proposta dell’onorevole Morelli.

L’onorevole Presidente della Commissione ha facoltà di parlare.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. A proposito dell’emendamento presentato dall’onorevole Morelli, relativo alle sanzioni per coloro che non votano, la Commissione all’unanimità ha convenuto di proporre all’Assemblea un articolo aggiuntivo, come norma transitoria, il cui significato è questo: che del problema non si discuterà ora, ma in sede di legge elettorale per il Senato e le decisioni, che verranno prese in merito, escludendo o ammettendo sanzioni, per la legge del Senato, varranno anche per la legge elettorale relativa alla Camera dei deputati.

In sostanza si rinvia tutto il problema alla discussione della futura legge elettorale del Senato, convenendo che le decisioni che si prenderanno per il Senato avranno valore anche per la Camera dei deputati. Resteranno così impregiudicate le diverse tesi dei vari Gruppi e per il momento si inserisce come norma transitoria questa proposta della Commissione, sulla quale tutti i membri della stessa hanno convenuto, compreso l’onorevole Renato Morelli, presentatore dell’emendamento.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo è d’accordo.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Non ho nessuna difficoltà a che si rinvii; ma resta inteso che tutte le questioni rimangono impregiudicate, compresa quella della pregiudiziale che questo articolo o articoli analoghi non sono compatibili con l’articolo 48 della Costituzione.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Dichiaro che ritiro il mio emendamento a questa condizione: che resti impregiudicata anche la mia opposizione alla questione proposta dall’onorevole Perassi.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Circa l’osservazione fatta dal collega Perassi, siamo dell’intesa che la norma così stabilita ha un suo valore nella legge per l’elezione della Camera dei deputati, per cui quelli che ritengono che la preclusione non esista in nessun modo, hanno pienamente diritto di far valere che non ha nessun fondamento. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo proposto dalla Commissione:

«Le norme che stabilissero, nella legge elettorale per il Senato della Repubblica, nuove sanzioni a carico di coloro che si astengono dal voto, saranno applicabili anche per le elezioni della Camera dei deputati».

(È approvato).

Gli onorevoli De Martino, Sullo, Damiani, Caronia, Delli Castelli, Cassiani, Firrao, Froggio ed altri hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente delibera che negli ospedali e nei ricoveri di invalidi con almeno cento elettori saranno istituite sezioni elettorali il cui seggio potrà ricevere il voto dei ricoverati, se necessario, anche presso il letto dei medesimi, e del personale relativo. (Rumori a sinistra).

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. In un ordine del giorno si deve dire: «fa voti», non «delibera». Propongo formalmente tale modifica.

PRESIDENTE. Sta bene. Chiedo il parere della Commissione su questa proposta.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Non trattandosi di un emendamento, la Commissione non intende esprimere un parere.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Mi rimetto all’Assemblea.

MERIGHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MERIGHI. Faccio osservare che non tutti gli ospedali costituiscono un tutto unico ove si possa stabilire un seggio elettorale. Molti ospedali sono costituiti in padiglioni, delle volte separati parecchio l’uno dall’altro. Occorrerebbe quindi stabilire, per questi ammalati dei singoli padiglioni, un seggio per ogni padiglione. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ordine del giorno testé letto con la modifica proposta dall’onorevole Fuschini.

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, è approvato).

Si dia lettura dell’ultimo articolo del disegno di legge.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«La presente legge entra in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

L’onorevole Perassi ha proposto di sostituire la intitolazione della legge con la seguente:

«Norme per l’elezione della Camera dei deputati».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere la sua proposta.

PERASSI. La modifica del titolo che io propongo mi pare sia giustificata dal contenuto della legge. E poiché, a quanto mi risulta, la Commissione non avrebbe difficoltà ad accettare la sostituzione, ritengo inutile svolgere le ragioni di questa proposta.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione non si oppone alla proposta dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente intitolazione proposta dall’onorevole Perassi per il disegno di legge in esame:

«Norme per l’elezione della Camera dei deputati».

(È approvata).

È stato presentato il seguente ordine del giorno dagli onorevoli Sansone ed altri:

«L’Assemblea, preso atto dell’ordine del giorno De Martino testé votato, fa voti che sia ammessa la propaganda elettorale negli ospedali ed istituti di cura». (Commenti al centro e a destra).

Una voce al centro. Non è una cosa seria.

PRESIDENTE. L’onorevole Sansone ha facoltà di svolgere l’ordine del giorno.

SANSONE. Onorevoli colleghi, mi ha sorpreso il modo con cui è stato accolto lo ordine del giorno che ho presentato, perché ho sentito dire da qualcuno che non è una cosa seria.

Non comprendo, però, se non è serio l’ordine del giorno che ho presentato io, o se non è serio, invece, quello che abbiamo votato poco fa.

Di qui non si esce: se è serio l’ordine del giorno votato prima, è molto serio che anche negli ospedali si possa fare una giusta propaganda elettorale. (Commenti al centro e a destra). Noi non possiamo lasciare alle amorevoli cure di qualcheduno la coscienza degli elettori che sono negli ospedali; ma è necessario che queste amorevoli cure siano ampie da parte di tutti: noi non possiamo ammettere che vi sia da una parte un monopolio di queste amorevoli cure. A buon intenditor, poche parole. (Commenti).

Se pertanto noi abbiamo la sincera intenzione di fare delle cose serie e non delle cose che abbiano sapore di faziosità, io penso che l’Assemblea, in tutta coscienza, debba accogliere l’emendamento da noi presentato. (Commenti).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Poiché immagino che si tratti di una proposta avanzata con serietà, io vi dichiaro che l’attuazione pratica di questa proposta non è possibile, perché, mentre è possibile l’attuazione di quell’ordine del giorno che abbiamo approvato, che cioè vi siano delle sezioni elettorali le quali, invece di funzionare, per esempio, in una scuola, funzionino in un ospedale, perché gli ammalati possono abbandonare il proprio letto, la propria camerata ed andare a votare nello stesso stabile dove sono ricoverati, non so invece come si possa immaginare una propaganda elettorale. (Commenti).

LONGHENA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LONGHENA. Io mi rivolgo a tutti i colleghi e dichiaro loro che come ho approvato il primo ordine del giorno approvo anche il secondo. (Commenti).

Abbiate pazienza: permettete che, all’ultimo momento, in una questione che interessa me personalmente come presidente di ospedali, io dica quello che è il frutto della mia esperienza nelle passate elezioni politiche ed amministrative, in occasione delle quali io ottenni dal Presidente della Corte d’appello di Bologna che in un ospedale fosse istituita una Sezione elettorale. (Commenti).

Piuttosto che gli ammalati fossero portati con pericolo della loro vita in altra sede, ritenni opportuno che compissero il loro dovere di cittadini nello stesso ospedale. E non solo, ma ho anche permesso – non credendo con ciò di venir meno né ai miei doveri di presidente né ai miei doveri di cittadino – che nel sanatorio dipendente da me ed anche in altri ospedali, tutti i partiti facessero propaganda prima delle elezioni.

Soltanto, io ho raccomandato che a ciò venissero delegati uomini dotati di un certo senso di delicatezza, affinché non si verificassero quegli attriti e quegli scontri che avrebbero potuto essere pregiudizievoli alla salute dei degenti. Ed io posso dichiarare che, con tutta la propaganda che fu fatta, nessun inconveniente mai si verificò.

Perciò, mentre ho concesso il mio voto all’ordine del giorno di prima, do ora, altrettanto sinceramente, il mio voto a questo secondo ordine del giorno.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io sono lieto che il mio concittadino professor Mario Longhena, nella sua qualità di Presidente di un ente ospedaliero, abbia ricordato qui come la vecchia legge permetteva che gli ammalati negli ospedali potessero votare, e che effettivamente il voto al quale i colleghi di sinistra hanno creduto di contrastare era una cosa che era già consentita nella legge antica, e quindi non meritava tutto il clamore col quale esso è stato accolto, tanto è vero che il nostro collega Longhena ci ha narrato come nel suo grande ospedale la Sezione si sia organizzata ed abbia funzionato.

E allora noi che cosa abbiamo fatto col voto precedente? Abbiamo completato semplicemente la cosa, integrando legislativamente col garbo opportuno, quanto pel passato era meno ampiamente stabilito. Permettete che io mi riferisca al passato legislatore, perché qualche piccola parte in esso pure io l’ho avuta. (Approvazioni al centro).

Ora, se questo è e se la situazione di fatto si determinava anche prima in questo modo, come il collega Longhena ha testimoniato (e sono lieto che lo abbia testimoniato lui, perché, se avessi accennato io a quella possibilità, forse qualcuno di voi (accenna a sinistra) sarebbe stato più dubitoso nell’accettare le mie parole), ecco che per quanto riguarda l’ordine del giorno presentato dal collega Sansone, sorto improvvisamente in mezzo a tanti filistei, seppure è una cosa seria (perché io non dubito mai della serietà dei colleghi che parlano in quest’Aula anche perché non voglio che essi dubitino mai della mia) penso che forse egli ignorasse i precedenti, perché è arrivato in ultimo, perché le possibilità consentite dalla vecchia legislazione non conosceva, perché non c’era quando abbiamo discusso nel 1946, e quando abbiamo discusso della stessa questione in altre leggi elettorali antecedenti. Quindi egli si è trovato in quella gioconda ingenuità che pure spesso investe molti di noi, di fronte a nuovi problemi che sorgono improvvisamente. Così egli è partito in quarta, presentandoci questo ordine del giorno, il quale non sarebbe in fondo necessario in quanto che, chiunque ammetta la libertà di voto, non può negare quel tanto di propaganda che è necessaria perché la libertà di voto si esplichi. E noi siamo fra questi.

Ma se noi vogliamo invece solennemente affermarla in un ordine del giorno, se vogliamo sottolineare in modo cospicuo una affermazione di questo genere, allora noi apriamo tutte le porte, non dirò dei padiglioni– cui accennò il collega Merighi, avvertendo che gli ospedali sono formati da tanti padiglioni – ma delle corsie addirittura. E allora avremo non solo un propagandista per padiglione, ma un propagandista per corsia, e arriveremo anche ad un propagandista per letto. E allora, dove andiamo a finire? (Rumori a sinistra).

Permettete, o colleghi, che aggiunga come poco per volta bisognerà arrivare a consentire il contradittorio, ad ogni letto avremo un agit-prop della parte vostra, il nostro rappresentante e forse anche il rappresentante dell’onorevole Sansone perché il suo partito resterà distinto; ed il povero ammalato finirà per turbarsi e forse anco passare a miglior vita in anticipo, se questi nostri bravi propagandisti vorranno insistere a propinargli ciascuno la propria verità politica e sociale.

Ecco perché noi dobbiamo lasciare le cose come sono state sistemate con il nostro ordine del giorno votato prima attraverso tanti clamori di divisione ecc., inutili certo, se i nostri bravi colleghi avessero ben compreso come le cose non variavano troppo da quelle che erano possibili nel buon tempo antico, che consentivano le Sezioni ospedaliere come quella accennata dal Presidente degli ospedali di Bologna onorevole Longhena, per istanza del quale il Presidente di quella Corte di Appello ha consentito che si formasse la Sezione elettorale. Perché qui è l’altro punto debole. La Sezione elettorale funziona soltanto il giorno in cui si vota, mentre, se prevalesse l’ordine del giorno Sansone, si tratterebbe di svolgere la propaganda in tutto il periodo precedente la campagna elettorale. Quanti giorni? Con quali limiti? Ora, che le piazze d’Italia sono libere per questo sta benissimo, ma starebbe male se questa incontrollata possibilità fosse trasportata negli ospedali: ne deriverebbe una confusione fra ammalati, infermieri e medici, tale da determinare veramente una cosa poco seria, e non ammissibile fra gente minorata che deve essenzialmente restare tranquilla.

Per queste ragioni io pregherei il collega Sansone, dopo aver udito quanto ha detto l’onorevole Longhena, di voler ritirare la sua proposta, perché contrastante a quei sentimenti stessi che hanno ispirato le sue parole. (Approvazioni al centro e a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Presidente della Commissione è invitato ad esprimere il suo parere.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione, come non ha espresso il suo parere sul precedente ordine del giorno, non lo esprime su questo. Fa soltanto l’augurio che gli ammalati siano lasciati in pace.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Mi dichiaro contrario.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Sansone già letto.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto sul complesso del disegno di legge.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati:

Presenti e votanti     357

Maggioranza           179

Voti favorevoli        275

Voti contrari            82

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Andreotti – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barontini Anelito – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Calosso – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carboni Enrico – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Detti Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giacometti Giordani – Giua – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Giovanni – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo –Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti.

Maffi – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Marazza – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Marinetti – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Parri – Pat – Pecorari – Pella – Pera – Perlingieri – Perrone Capano – Pesenti – Petrilli – Piemonte – Pignatari – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sapienza – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Selvaggi – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valian, – Vallone – Valmarana – Varvaro – Venditti – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Villabruna – Villani – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Canepa – Carmagnola – Cavallari.

Jacini.

Merlin Umberto.

Preziosi.

Ravagnan.

Trulli.

Vanoni – Vernocchi.

(La seduta, sospesa alle 19.35, è ripresa alle 20.10).

Presidenza del presidente TERRACINI

Comunicazione dei Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, avendo l’onorevole Abozzi rinunziato, per motivi di salute, a far parte della Commissione speciale incaricata di esaminare il disegno di legge per l’elezione del Senato della Repubblica, ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Capua.

Per un provvedimento di clemenza nell’atto in cui si approva la nuova Costituzione.

PRESIDENTE. Comunico che sono stati presentati i seguenti ordini del giorno:

«L’Assemblea Costituente, nell’atto in cui si approva la Costituzione della Repubblica italiana, sicura di interpretare il sentimento unanime degli italiani, auspica un atto di clemenza per i reati politici e per quelli comuni.

«Mazza».

«L’Assemblea Costituente invita il Governo a prendere, in occasione della promulgazione della Costituzione, un provvedimento di clemenza nei confronti di coloro che, avendo attivamente partecipato alla lotta di liberazione, sono stati condannati o sono imputati di reati sia per il fine, sia per le circostanze, di natura politica.

«Calamandrei, Parri, Longo, Scotti, Arcaini, Boldrini, Gasparotto».

«L’Assemblea Costituente, nell’atto in cui approva la Costituzione della Repubblica, sicura di interpretare il sentimento unanime degli italiani, auspica provvedimenti di clemenza per i reati politici e per quelli ad essi connessi, con particolare riguardo ai reati, il cui movente si ricollega allo spirito della lotta di liberazione nazionale.

«Gronchi».

L’onorevole Mazza ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.

MAZZA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, non credo di dover illustrare il mio ordine del giorno. In una occasione come quella di domani mi pare che il meno che si possa fare sia un atto di clemenza verso quegli italiani che per un loro atto di fede abbiano commesso dei reati politici o dei reati comuni. (Commenti). Mi pare che questa richiesta venga da tutta l’opinione pubblica. Quindi, mantengo il mio ordine del giorno rimettendomi alla volontà dell’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Gronchi ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.

GRONCHI. Basteranno poche parole a chiarire il movente, che ha ispirato questo ordine del giorno.

Non è un puro atto di convenienza o di ritualità, quello che noi chiediamo nel momento solenne nel quale l’Assemblea si appresta ad approvare la nuova Costituzione, ma un atto di clemenza, che deve significare la sollecitudine dell’Assemblea stessa verso gli ancora numerosi o imputati o condannati per reati, i quali hanno avuto nella loro natura politica una ispirazione che si connette con quello spirito della lotta di liberazione nazionale, la quale è stata una delle vie, forse la via maggiore, attraverso cui l’Italia ha ritrovato i suoi ordinamenti democratici che oggi si appresta a consacrare nella Costituzione.

Ritengo che in questi sentimenti ed in questa sollecitudine tutti i settori della Camera, senza esclusione, potrebbero e dovrebbero essere concordi. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Parri ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.

PARRI. Il nostro ordine del giorno traeva origine da quello analogo presentato dall’onorevole Maffi. Premesso che da parte nostra non vi può essere nessuna intenzione a frapporre ostacoli a provvedimenti che possono giovare a ridurre le frizioni tra i partiti politici in questa congiuntura così delicata della vita nazionale, noi non abbiamo chiesto e non cerchiamo di sapere a quante categorie di delitti intendesse provvedere l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Maffi, ma sapevamo bene che una notevole ragione di risentimento nasceva a causa di quei detenuti per reati comuni, commessi dopo la lotta di liberazione, ai quali ora ha accennato l’onorevole Gronchi, quei detenuti per reati comuni, che però una più equa, una più comprensiva e, credo, anche una più obiettiva valutazione da parte dei magistrati avrebbe potuto far comprendere come reati politici. Perché la natura delle circostanze di quel periodo avrebbe potuto farli rientrare nella categoria dei reati politici. In presenza dell’ordine del giorno Gronchi, con lo spirito che deriva dalle sue stesse parole, credo che i sottoscrittori del nostro ordine del giorno non abbiano difficoltà ad associarsi all’ordine del giorno Gronchi stesso, che credo possa essere accolto con unanimità di consensi dalla Assemblea.

BOLDRINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOLDRINI. Non ho nulla in contrario ad associarmi all’ordine del giorno Gronchi, ma vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulle ragioni che ci hanno spinto a presentare il nostro ordine del giorno.

Credo che non sia da sottovalutare il ricordo di come è avvenuta la smobilitazione del C.V.L. Molti volontari della libertà, dopo la smobilitazione del Corpo, che avvenne in sette giorni, non regolata da alcuna legislazione, senza organizzazione assistenziale, e senza la possibilità per i comandanti di seguire i loro volontari, si sono trovati improvvisamente nella crisi di passaggio dalla illegalità alla legalità. Questa crisi morale ha portato molti giovani a commettere reati; ma se questi reati sono stati compiuti, forse la responsabilità non ricade in parte anche su di noi, che dovevamo indubbiamente preparare questi giovani, dopo anni di guerra spietata, dopo due anni e più di montagna, ad entrare nella vita civile?

 

Voi, con l’amnistia, avete tesa una mano ai fascisti; ebbene penso che con lo spirito nel quale l’onorevole Gronchi ha presentato il suo ordine del giorno, l’Assemblea possa invocare un atto di clemenza, anche per questi giovani. Se con la destra noi abbiamo colpito giustamente i volontari, i quali avevano peccato, con la sinistra noi dobbiamo dar loro la possibilità di riprendere il loro ruolo nella vita civile. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea fa voti al Governo perché emani amnistie e condoni per reati politici commessi precedentemente all’armistizio e per i quali precedenti amnistie e condoni non siano operativi».

Ha facoltà di svolgerlo.

LEONE GIOVANNI. Onorevoli colleghi, dirò solo due parole su questo mio ordine del giorno. Poiché gli ordini del giorno presentati finora vogliono essere elogiabile espressione di un particolare stato d’animo che mira alla pacificazione degli italiani, io penso che occorra segnalare – può darsi benissimo che nei precedenti ordini del giorno questa mia preoccupazione sia espressa, ma io ho voluto sottolinearla, salvo poi al Governo stabilire come la può tradurre in una forma legislativa – la preoccupazione che restino fuori da questo provvedimento, che vuole essere espressione di pacificazione degli animi, alcuni particolari giudicati, che sono certamente non rispondenti alla nostra coscienza giuridica. Mi riferisco a tutte quelle forme di reati che sono stati commessi in epoca anteriore alla data dell’armistizio e che sono stati puniti o sono stati ripresi in esame per effetto di una serie di leggi retroattive, le quali non rispondevano allora, ma non rispondono soprattutto oggi, alla nostra coscienza giuridica, se è vero che abbiamo scritto nella Costituzione un articolo per cui la legge non può avere effetto retroattivo.

Queste forme di reati, che sono stati compiti con leggi di carattere retroattivo, sono stati in gran parte coperti dall’amnistia successiva al referendum del 2 giugno. Senonché, quell’amnistia e quel condono, ponendo delle eccezioni, per alcuni casi molto limitati, non ha avuto un’applicazione in senso universale, come completa opera di pacificazione.

D’altra parte, accanto a questo elemento che ho sottolineato, cioè necessità di non permanere nella applicazione di una legge con effetto retroattivo, la quale, nel momento in cui votiamo la Costituzione, si pone in drastico contrasto con una norma posta nella Costituzione stessa, va segnalato un altro profilo, ed è questo: che l’amnistia del giugno del 1946, scritta bene o male, ha portato comunque nella sua applicazione, come più volte avete deplorato in questa Assemblea, alla conseguenza che moltissimi maggiori responsabili del fascismo e della disfatta sono tornati in circolazione, mentre dei piccoli uomini, che nel 1919, 1920, 1921, 1922 hanno commesso reati politici, per i quali non è stata operativa l’amnistia o il condono, sono restati sotto il peso delle sentenze di condanna e sono tuttora nel carcere.

Ed allora, se quest’ansia sentiamo (questo non è un problema politico, ma un problema di coscienza e di giustizia) di fronte all’applicazione dell’amnistia o del condono per i più eminenti rappresentanti del regime fascista, di fronte ad una legge ad effetto retroattivo, la quale non risponde alla coscienza giuridica italiana, soprattutto nel momento in cui votiamo la Costituzione, è opportuno invitare il Governo, se un provvedimento di amnistia dovrà emettere, ad inserirvi la copertura definitiva di tutte quelle condanne che sono state inflitte per effetto di leggi retroattive, concernenti però reati precedenti all’armistizio, quei reati cioè che sono stati commessi dal 1919 in poi e che sono stati ripescati dalla sepoltura di una amnistia o di una assoluzione, per essere riportati in giudizio, con un discredito evidente della norma della irretroattività della legge penale, e soprattutto con un discredito della norma per cui il tempo opera come risanamento di tutte le ferite prodotte da ogni forma delittuosa.

Se questa mia preoccupazione è espressa negli altri ordini del giorno, è evidente che il mio resta assorbito; ma se non è espressa, io ritengo che debba essere sentita da tutti i settori dell’Assemblea, se questa Assemblea vorrà sentire l’appello per la pacificazione degli spiriti in un momento solenne, nel quale, applicando la Costituzione italiana, vogliamo chiudere una pagina triste, anche per la storia del nostro diritto. (Applausi al centro).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. L’onorevole Leone ha detto che avrebbe pronunciato brevi parole. Io dirò veramente brevi parole, non soltanto a nome mio, ma anche a nome dei colleghi del Gruppo dell’unione nazionale.

La nostra non è che una raccomandazione al Governo, perché il Governo trasmetta questo nostro desiderio al Capo dello Stato.

Onorevoli colleghi, in Italia non vi è mai sicurezza del diritto, perché è il Paese in cui si promulga il più gran numero di amnistie.

Tuttavia, se in questa occasione l’Assemblea desidera che un atto di clemenza venga, noi certamente non saremo dissenzienti; però, non nell’ordine di idee esposte dall’onorevole Gronchi, ma, se mai, nell’ordine di idee esposte dagli onorevoli Mazza e Leone. Noi tutti diciamo di perseguire uno scopo nobilissimo, quello della pacificazione degli italiani, ma poi, in atto, noi non facciamo quanto occorre perché la pacificazione ci sia. L’onorevole Mazza ha detto: reati politici in genere; l’onorevole Gronchi ha detto: una determinata qualità di reati politici. Quindi l’atto di clemenza ben venga, ma che sia rivolto a tutti coloro che hanno peccato per servire una qualsiasi ideologia.

PRESIDENTE. L’onorevole Castiglia ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, nell’atto in cui a compimento dei suoi lavori consegna al Popolo italiano la sua nuova Carta costituzionale

fa voti

perché il Governo faccia le opportune pratiche perché i Governi alleati consentano a che vengano estesi i provvedimenti di amnistia e condono ai reati commessi in danno delle forze militari alleate o di un loro componente, e a quelli giudicati dai tribunali militari alleati».

Ha facoltà di svolgerlo.

CASTIGLIA. Non si tratta di un ordine del giorno che contempli i reati politici, ma si riferisce ai molti condannati, e anche molti detenuti, per reati che, se fossero stati commessi in danno di cittadini italiani o delle amministrazioni italiane, sarebbero stati coperti o da amnistia o da condono, mentre per il fatto di essere stati commessi in danno delle forze militari alleate o di appartenenti alle forze militari alleate, o per essere stati giudicati dalle Corti alleate, non sono stati coperti né da amnistia né da condono. La ragione è nota, perché il Governo alleato si oppose, quando vennero le amnistie del Governo italiano e del Capo dello Stato, a che l’amnistia venisse estesa a questo genere di reati.

Mi pare che, in questo momento, in cui il popolo italiano, attraverso la sua Carta costituzionale, vuole intraprendere una nuova via, che è anche la via della sovranità nazionale, sia opportuno che il Governo faccia i necessari passi presso i Governi alleati, perché consentano a che i decreti di amnistia precedenti vengano estesi anche a questi reati. Mi pare che la questione, pur investendo categorie di reati comuni, abbia anche un certo sapore politico, che incide sulla sovranità dello Stato e del popolo italiano.

GHIDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Onorevoli colleghi, io volevo soltanto fare una raccomandazione; sono perfettamente d’accordo che questo atto di clemenza debba riguardare principalmente i partigiani, i reati politici ed altri. Ma io lo vorrei possibilmente più esteso. Parlo in linea di massima e non intendo fissare né i reati né i criteri da adottare. Osservo solo che vi sono molti reati comuni – per i quali sarebbe più appropriato l’istituto dell’indulto che non quello della amnistia – i quali meritano speciale considerazione; sono reati che sono stati indubbiamente commessi e che rispondono a quella che è la struttura giuridica fissata dal nostro codice penale. Però, almeno per nove decimi, sono il frutto dello sconvolgimento morale che si è verificato nel nostro Paese, specialmente a seguito della guerra.

Ci sono dei giovani che si sono mantenuti costantemente sulla retta via, i quali d’un tratto hanno commesso reati di una gravità eccezionale; parlo di omicidi, reati contro la proprietà, rapine, ecc. e ciò senza aver percorso quel tirocinio che tutti percorrevano una volta prima di commettere questi reati. Questi reati esistono, ma veramente non esiste il delinquente che corrisponde a queste figure di reati: sono il frutto dell’ambiente particolare e dello sconvolgimento morale che si è verificato con la guerra. E com’è difficile la ricostruzione materiale del nostro Paese per le strade distrutte, per i ponti sconvolti, è altrettanto difficile la ricostruzione morale.

Di questo, però, dobbiamo tener conto, ed io auspico che in quell’atto di clemenza che dovrà essere compiuto si tenga conto, in quella proporzione che si crederà, anche di questi reati comuni che meritano un’indulgenza ed una comprensione speciale. (Applausi a sinistra).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, io non ho presenti i testi degli ordini del giorno presentati dai diversi colleghi; però è opportuno che informi l’Assemblea dell’attuale situazione giuridica.

Per quanto si riferisce ai reati politici, è opportuno che l’Assemblea tenga presente che sono intervenuti diversi provvedimenti, e, per quanto si riferisce particolarmente ai partigiani, un provvedimento stabilì che tutti i reati commessi durante la guerra di liberazione fossero ritenuti reati politici e quindi amnistiati.

C’è stato, poi, un provvedimento – che chiamiamo Parri – il quale, per tutti i reati commessi dal 22 ottobre 1922 fino al 25 giugno 1943, elargì un’amnistia.

Finalmente c’è l’amnistia ultima, quella Togliatti, del giugno 1946, che fu estesa a tutti i reati politici dall’8 settembre 1943 al 22 giugno 1946.

Quindi i reati, comunque qualificati, purché di natura politica, sono stati largamente coperti da oblio per l’esigenza del Paese di ricomporsi attraverso una pacificazione. Quindi, i reati politici veri e propri fino all’epoca del referendum del 1946 sono amnistiati.

Si tratta di considerare ora i reati politici commessi da quell’epoca ad oggi, i quali solo potrebbero essere presi in considerazione. C’è un’altra categoria, quella dei reati connessi ai reati politici, che possono essere di una gamma infinita, ma che sono connessi ai reati politici e per i quali anche l’amnistia del giugno 1946 ha provveduto sotto la figura del condono, con l’articolo 9, secondo le diverse condanne: pena di morte, ergastolo, reclusione per trenta anni, per venti anni e via di seguito.

Sia, quindi, nel campo dei reati politici, sia in quello dei reati connessi, bisogna riconoscere che sono state larghe le disposizioni prese dal Governo, a favore della pacificazione italiana. Questo invito da parte dell’Assemblea è comunque un suggerimento, che potrà avere il suo peso, e che anzi certamente lo avrà, specie se espresso unanimemente al Capo dello Stato, in occasione dell’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana.

Io ho sentito tuttavia il dovere di farvi considerare che si tratta di situazioni già delimitate, nelle quali si potrà, sì, intervenire: ma il campo è stato tuttavia già molto arato. Se, ad ogni modo, questa vostra affermazione verrà e se, soprattutto, verrà in maniera concorde e in maniera rispondente a questo alto sentimento con cui voi guardate alla pacificazione del Paese, il Governo sarà, da parte sua, ben lieto di proporre al Capo dello Stato di usare atti di clemenza.

PRESIDENTE. Dobbiamo allora, onorevoli colleghi, passare alla votazione di questi ordini del giorno. Faccio osservare che nei confronti di alcuni di essi è possibile trovare un punto di incontro, per giungere ad un’unica formulazione, per altri, invece, poiché pongono questioni particolari, ciò non sarà possibile.

Mi pare, pertanto, che fra gli ordini del giorno presentati dagli onorevoli Mazza, Gronchi e Parri, vi sia qualche cosa di comune. Prego pertanto i firmatari di questi ordini dei giorno di volermi far conoscere se ritengono di potere addivenire ad una formulazione unica dei loro ordini del giorno.

MAZZA. Onorevole Presidente, il mio ordine del giorno mi sembra il più ampio e mi pare risponda anche al desiderio or ora espresso dall’onorevole Ministro.

PRESIDENTE. Sta bene. Gli onorevoli Parri, Calamandrei e Boldrini e gli altri firmatari dei loro ordini del giorno mi hanno fatto in questo momento conoscere che aderiscono all’ordine del giorno presentato dall’onorevole Gronchi.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Nel mio primo intervento non ho preso in esame i particolari. Per quello che si riferisce alla proposta dell’onorevole Castiglia, non credo sia il caso che egli insista con un suo ordine del giorno particolare, in quanto si tratta di reati commessi contro le forze armate. Non sarebbe peraltro opportuno che noi ci rivolgessimo agli alleati. Se intendiamo di usare al riguardo un atto di clemenza, usiamolo: ma è evidente che dovrà trattarsi di un atto di nostra assoluta sovranità.

Del resto, in tutti questi casi, io ho proposto quasi sempre la domanda di grazia. Non sarebbe, comunque, mai il caso di accettare la proposta dell’onorevole Castiglia; ossia, che noi ci adoperassimo per ottenere dagli Alleati il permesso di usare un atto di clemenza, il quale costituisce invece una esclusiva competenza del Capo dello Stato italiano.

PRESIDENTE. Onorevole Castiglia, lei mantiene il suo ordine del giorno?

FRESA. Dichiaro a nome dell’onorevole Castiglia, dopo le spiegazioni date dall’onorevole Ministro Guardasigilli, che egli ritira il suo ordine del giorno.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora restano gli ordini del giorno Gronchi, Leone Giovanni e Mazza.

La differenza sostanziale fra queste formulazioni è la seguente: che l’ordine del giorno Mazza e quello Leone Giovanni contemplano anche i reati comuni, mentre l’ordine del giorno Gronchi limita la richiesta di un atto di clemenza ai reati politici, nell’accezione più larga di questo termine, cioè riferendosi a reati connessi a reati politici.

Ciò premesso, passiamo alla votazione.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Se bene ho interpretato il pensiero dell’onorevole Gronchi, e soprattutto quello dell’onorevole Ministro, a me pare che il mio ordine del giorno si ponga non in rettifica né in ampliamento di quello Gronchi; ma che voglia segnalare al Governo la necessità di distinguere quel complesso di reati commessi venti o venticinque anni fa, al momento dell’instaurazione del fascismo, e per i quali occorre una particolare maggiore benevolenza, dato il decorso del tempo e dato tutto quello che ho detto prima, dal complesso di reati commessi dopo l’8 settembre.

Sotto questo aspetto, siccome il Ministro diceva che è un particolare che egli prenderà in considerazione, senza impegno di volerlo risolvere favorevolmente, in sede di formulazione del testo unico delle amnistie – perché mi pare che si miri in fondo ad un testo unico delle amnistie e dei condoni politici – mantengo il mio ordine del giorno, pur aderendo a quello dell’onorevole Gronchi, nel quale io ritengo che il mio sia compreso, come una particolare segnalazione.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Chiedo all’onorevole Gronchi se ha difficoltà ad omettere l’ultima parte «il cui movente si ricollega allo spirito della lotta di liberazione».

GRONCHI. La mantengo.

RUSSO PEREZ. Allora chiedo che sia posto in votazione prima quello dell’onorevole Mazza, perché è più largo.

PRESIDENTE. Sta bene. L’ordine del giorno Mazza è del seguente tenore:

«L’assemblea Costituente, nell’atto in cui si approva la Costituzione della Repubblica italiana, sicura di interpretare il sentimento unanime degli italiani, auspica un atto di clemenza per i reati politici e per quelli comuni».

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Chiedo che sia votato per divisione: reati politici e reati comuni. C’è una differenza enorme.

MASTROJANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTROJANNI. Onorevoli colleghi, il Guardasigilli ha fatto opportunamente rilevare che molti provvedimenti di amnistia e indulto si sono susseguiti per i reati politici; però, sta di fatto che alcuni reati politici di maggiore gravità sono rimasti esclusi dai provvedimenti di clemenza.

Poiché vi sono diversi ordini del giorno, alcuni dei quali, come quello presentato dall’onorevole Mazza, intendono implicitamente che si estenda l’eventuale atto di clemenza ai reati per i quali non è stato possibile di applicare alcun decreto di amnistia e di indulto, prego l’Assemblea Costituente di considerare se i reati politici esclusi fino ad oggi dai provvedimenti di clemenza che si sono susseguiti, debbano in questa occasione essere presi in considerazione, perché anche ad essi si estenda il provvedimento di clemenza.

Una voce a sinistra. Quali sono?

MASTROJANNI. Sono i reati consumati dal 1922 in poi e per alcuni dei quali, intendo riferirmi anche ai reati di sangue, non sono stati applicati provvedimenti di clemenza.

Chiedo pertanto che si precisi l’intenzione dell’Assemblea, e cioè se si vuol rimediare all’inconveniente per il quale leggi retroattive sono state applicate a reati che nell’epoca in cui furono consumati non erano previsti da alcuna disposizione di carattere penale, o se tali reati debbono essere esclusi; e se il provvedimento di clemenza che sarà per essere emanato debba riferirsi esclusivamente ai reati politici consumati dal 1943 in poi, e per i quali i precedenti provvedimenti di clemenza non hanno avuto alcun riferimento.

Ritengo che l’Assemblea Costituente, se effettivamente, come l’onorevole Russo Perez ha auspicato, intende sollecitare questa pacificazione generale nel momento in cui entra in vigore la nuova Costituzione, deve estendere il provvedimento di clemenza a tutti i reati di natura politica che comunque fino ad oggi non sono stati coperti né da amnistia né da indulto.

COPPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPA. Vorrei fare una proposta. Dato che l’atto che noi chiediamo al Governo deve avere un particolare significato per la nuova storia d’Italia che comincia con la nuova Costituzione, sarebbe opportuno che l’Assemblea non fosse divisa su questo argomento. Proporrei pertanto che i capi Gruppo si riunissero per formulare un testo che raccolga il consenso di tutta l’Assemblea.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Io potrei accedere ad aggiungere al mio ordine del giorno un comma separato, la cui formulazione tuttavia sul momento non riesco a concretare, ma che fosse press’a poco questa:

«L’Assemblea auspica inoltre che l’atto di clemenza possa estendersi anche ai reati comuni di minore rilievo»; (Commenti all’estrema sinistra) oppure si potrebbe dire: «tenuto presente che in taluni di essi ha contribuito lo sconvolgimento morale» o altra frase del genere.

Comunque bisognerebbe fare un comma separato.

PRESIDENTE. Onorevole Parri, lei è d’accordo?

PARRI. Sono d’accordo.

PRESIDENTE. Onorevole Mazza, ella conserva il suo ordine del giorno o accetta il testo Gronchi così modificato?

MAZZA. Non ho difficoltà ad accettare questo testo, ritirando il mio.

PRESIDENTE. Allora la formulazione aggiuntiva potrebbe essere la seguente:

«L’Assemblea Costituente esprime il desiderio che un atto clemenza possa essere disposto anche a favore dei reati comuni di minore entità». (Commenti all’estrema sinistra).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, desidero ricordare alla Assemblea che i Parlamenti sorsero per difendere i cittadini dalle tasse; poi, questo principio fu capovolto e i Parlamenti finirono con l’aumentare sempre le tasse a carico dei cittadini! (Si ride).

Noi abbiamo voluto dare, nella nuova Costituzione, alle Assemblee legislative la difesa della prerogativa, che è sovrana, dell’amnistia e dell’indulto; non vorrei però che l’Assemblea facesse una gara a chi più concede, a chi più dà. (Applausi al centro).

Non esageriamo! V’è un fine politico che bisogna raggiungere, e dinanzi al quale dobbiamo tutti inchinarci; ma che si possa allargare questa concessione ai reati comuni contro i quali deve essere vigile il senso della difesa sociale, non credo sia il caso. (Applausi). Quindi penso che sia prudente dare un suggerimento al Capo dello Stato per i reati che possano collegarsi a finalità politiche, che possano portare ad una pacificazione, ma non esageriamo fino ad arrivare ai reati comuni per non andare contro il principio della difesa sociale della quale tutti dobbiamo essere gelosi custodi. (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Sardiello e Candela hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, nell’atto di approvare la Costituzione della Repubblica, fa appello al Governo perché emani un opportuno atto di clemenza, nello spirito della pacificazione degli animi pei reati politici e pei comuni meno gravi».

Invito i colleghi a considerare l’opportunità, per non intralciare i nostri lavori, di non presentare altri testi, che finiscono poi con l’essere tutti più o meno simili, ma di accordarsi su un testo concordato. Comunque, l’onorevole Sardiello ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno.

SARDIELLO. Penso vi sia qualche cosa di diverso, ed è questo; che mentre dalle altre parti dell’Assemblea o, meglio, negli altri ordini del giorno si auspica un determinato provvedimento, nel senso di segnarne precisamente da ora i limiti, l’ordine del giorno proposto da me e dall’onorevole Candela tiene conto delle dichiarazioni dell’onorevole Grassi, perché non può sfuggire all’Assemblea la somma di motivi, la rilevanza di preoccupazioni che sono in fondo al pensiero enunciato dal Ministro della giustizia. Ecco perché io, anziché proporre un determinato atto di clemenza, formulo genericamente un voto dell’Assemblea, la quale, nell’atto di approvare la Costituzione della Repubblica, fa appello al Governo perché sia emanato un opportuno atto di clemenza per la pacificazione degli animi sia per i reati politici che per i reati comuni meno gravi. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Sardiello, dopo quanto ella ha detto mi convinco sempre più che il suo testo non si discosta per nulla, ad esempio, da quello dell’onorevole Mazza.

GHIDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Ghidini, le sue proposte sono state accolte in quel secondo comma che l’onorevole Gronchi ha dichiarato di essere pronto a includere nel suo ordine del giorno.

GHIDINI. Mi pare che l’ordine del giorno modificato dall’onorevole Gronchi parli di reati di minore rilievo: è su questo punto che non mi trovo d’accordo.

PRESIDENTE. Voterà contro, specialmente dopo le dichiarazioni del Ministro Grassi che ha sollevato obiezioni anche per questi minori reati.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Ho chiesto di parlare per una dichiarazione di voto molto semplice e sobria. Io credo che un solo concetto debba essere affermato dall’Assemblea. Non condivido il pensiero dei vari proponenti di ordini del giorno, i quali vorrebbero quasi tracciare uno schema di progetto di amnistia. Ritengo soltanto che, nel momento solenne in cui si approva la Costituzione, un solo desiderio ed un solo voto debba partire da noi: fare appello, a mezzo del Governo, al Capo dello Stato perché voglia sanzionare meglio la solennità dell’approvazione della legge costituzionale con un atto di clemenza che tenda ad una maggiore pacificazione degli animi. E basta: vedrà il Governo, e meglio ancora vedrà il Capo dello Stato in quali limiti e fino a qual punto creda opportuno di spingere il suo atto di clemenza. (Vivi applausi).

Noi non dobbiamo dare suggerimenti né formulare proposte. Esprimiamo solo il voto che alla Costituzione si associ la clemenza con la concordia. Il resto non è opera nostra; i limiti e la portata di un’eventuale amnistia dipendono dal Governo, e di più dal Capo dello Stato. (Applausi).

Quindi approvo per queste semplicissime considerazioni solo la prima parte dell’ordine del giorno Gronchi, se su questo si vota, e non approvo il resto.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Chiedo la votazione per divisione. Nell’ordine del giorno Gronchi vi è un periodo di cui non condivido i principî, cioè il punto in cui si auspica un provvedimento che sia particolarmente clemente per una certa categoria di cittadini e per una certa categoria di reati. (Commenti).

Questo noi non vogliamo: noi vogliamo che cessi il sistema delle preferenze per alcune categorie di cittadini. Occorre andare dal particolare al generale, dalla divisione all’unificazione. (Commenti).

PRESIDENTE. Sull’ordine del giorno Gronchi è stata chiesta la votazione per divisione. Voteremo prima la seguente parte.

«L’Assemblea Costituente, nell’atto in cui approva la Costituzione della Repubblica, sicura di interpretare il sentimento unanime degli italiani, auspica provvedimenti di clemenza»;

poi voteremo la frase:

«per i reati politici e per quelli ad essi connessi»;

infine v’è da aggiungere:

«con particolare riguardo ai reati, il cui movente si ricollega allo spirito della lotta di liberazione nazionale».

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io non voterò la prima parte dell’ordine del giorno Gronchi, che parla di reati politici in generale; voterò solamente i reati politici connessi alla lotta partigiana.

Sento il dovere di dichiarare che in coscienza non mi sembrerebbe di potere aderire ad una richiesta di amnistia, che comprendesse anche i reati commessi da fascisti. (Commenti).

Ho l’impressione che in materia la democrazia repubblicana abbia già fatto il massimo che potesse fare.

Una voce a destra. Bella pacificazione!

LUSSU. Seguendo il discorso dell’onorevole Giovanni Leone, ho avuto l’impressione che, se si ascoltasse il suo suggerimento, verrebbero anche amnistiati gli assassini di Matteotti e di Carlo Rosselli.

MANCINI. …e di Amendola!

LUSSU. Io penso che questo non sia possibile. Parlo con sincero spirito di pacificazione, ma questa pacificazione deve essere intesa come tale; perché, per quel principio generale, per cui gli estremi si incontrano, noi abbiamo pacificato talmente, che i pacificati si sono rivolti contro di noi con spirito di guerra. Per cui dico: basta! (Applausi alla estrema sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Di Gloria mi ha fatto pervenire il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, nell’accingersi ad approvare la Carta costituzionale, prega il Governo di farsi interprete presso il Capo dello Stato perché voglia promulgare un provvedimento di amnistia e di condono al precipuo scopo di conseguire la pacificazione nazionale».

Onorevole Di Gloria, rammarico che la mia preghiera di poco fa non l’abbia convinta, tanto che, dopo tutti gli ordini del giorno presentati e modificati, ella me ne fa pervenire un altro. Vorrei sperare che ella dichiarasse di non conservarlo, tanto più che il concetto contenuto in questo suo ordine del giorno è rispecchiato nella prima parte dell’ordine del giorno Gronchi.

Votandosi per divisione, ella può perfettamente affermare il suo pensiero votando a favore della prima parte di questo ordine del giorno e contro le altre.

DI GLORIA. Mi sembrava di avere bene interpretato, con il mio ordine del giorno, il concetto espresso dall’onorevole Rubilli. Visto che l’Assemblea aveva manifestato molto palesemente la sua approvazione al concetto espresso dall’onorevole Rubilli, ho creduto di fissarlo, senza delimitare il campo di applicabilità, che verrà esaminato dal Capo dello Stato.

PRESIDENTE. La prima parte dell’ordine del giorno Gronchi dice per l’appunto ciò che dice tutto il suo ordine del giorno, onorevole Di Gloria.

Peraltro l’onorevole Rubilli mi fa pervenire quest’altro ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente fa appello al Capo dello Stato, a mezzo del Governo, perché, nel momento in cui si approva la Costituzione, provveda ad un atto di clemenza nei limiti che crederà più opportuni, e specialmente per i reati politici, allo scopo di concorrere alla maggiore pacificazione degli animi». (Applausi al centro e a destra).

L’onorevole Ghidini inoltre propone di aggiungere il seguente periodo all’ordine del giorno Gronchi:

«L’Assemblea ritiene che l’atto di clemenza potrebbe estendersi a quei reati comuni che traggono origine dal disordine morale derivato dalla guerra». (Commenti al centro e a destra).

Onorevoli Gronchi, accetta questa aggiunta al suo ordine del giorno?

GRONCHI. Non mi oppongo all’aggiunta di queste parole.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’ordine del giorno Gronchi:

«L’Assemblea Costituente, nell’atto in cui approva la Costituzione della Repubblica, sicura di interpretare il sentimento unanime degli italiani, auspica provvedimenti di clemenza».

(È approvata).

Seguono le parole: «per i reati politici e per quelli ad essi connessi».

MASTROJANNI. Chiedo formalmente che si voti per divisione, perché noi approviamo la parte relativa ai reati politici, ma non quella riguardante i reati ad essi connessi.

PRESIDENTE. Sta bene.

LUSSU. In tal modo mi si mette in condizione di non poter votare così come io ho detto poco fa.

PRESIDENTE. Ella ha udito che io mi sono posto ad alta voce il quesito del come disporre la votazione per poter rispondere al problema da lei posto, ma debbo dire che non vedo veramente come si possa fare diversamente, da come si è fatto; come si possa cioè non accedere alla richiesta di votare per divisione.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. A me sembra, sommessamente, che questa seconda parte del mio ordine del giorno mal si presti ad una divisione, perché costituisce un tutto unico, e se noi lo dividiamo, rischiamo veramente di dare a una parte un significato che il proponente e, credo, la maggior parte del mio Gruppo – se non la totalità – non può accettare. Pertanto propongo di votare integralmente questa seconda parte. (Commenti a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Gronchi, quando v’è una richiesta di votazione per divisione bisogna procedervi. I colleghi cerchino di votare sulle singole parti in maniera che il loro pensiero risulti nel complesso espresso il più chiaramente possibile.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Credo che si potrebbero sodisfare le varie esigenze ponendo in votazione anzitutto le parole: «per i reati politici»; poi, invece che le altre parti separatamente, tutto il testo comprese anche le parole «per i reati politici». In tal modo, coloro i quali non desiderano votare per una sola parte si asterranno dalla votazione e voteranno, eventualmente, in un secondo momento, per il tutto.

PRESIDENTE. La proposta sarebbe allora, tradotta in termini concreti, questa: di votare dapprima la formulazione «per i reati politici»; poi quest’altra: «per i reati politici con particolare riguardo ai reati il cui movente si ricolleghi allo spirito della lotta di liberazione nazionale», ed infine: «e per quelli ad essi connessi».

In questo modo si muta un po’ l’ordine con cui è stato redatto l’ordine del giorno, ma indubbiamente si va incontro alle varie esigenze.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io chiedo scusa, ma siccome la confusione l’abbiamo fatta una volta con l’amnistia, desidererei non farla una seconda volta. Sento che non posso votare… (Commenti – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, lei ha già fatto la sua dichiarazione di voto.

LUSSU. Se io votassi questa formulazione, sarebbero compresi tutti i reati politici. (Interruzioni al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, proponga lei una formula.

LUSSU. La mia formula è:

«Per i reati politici il cui movente si ricolleghi allo spirito della lotta di liberazione nazionale».

PRESIDENTE. Ella la propone come emendamento; e come tale quindi la porremo ai voti.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Mi permetto di dire ancora che l’ordine del giorno è concettualmente unico e difficilmente separabile. Perciò, la procedura proposta dall’onorevole Laconi mi pare la migliore. Il mio Gruppo si asterrebbe dal votare la prima parte isolata, poi voterebbe la seconda, e poi tutto insieme, in maniera che il voto venga espresso con la maggiore chiarezza possibile.

PRESIDENTE. Sta bene.

Tuttavia, ora, per dare corso alla richiesta dell’onorevole Lussu, dovrò porre in votazione la sua formulazione, che è sostitutiva di tutta la seconda parte del testo dell’onorevole Gronchi.

Pongo pertanto in votazione la seguente formula proposta dell’onorevole Lussu:

«Per i reati politici il cui movente si ricolleghi allo spirito della lotta di liberazione nazionale».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione le parole, esclusive di tutto il resto dell’ordine del giorno Gronchi:

«per i reati politici».

(Non sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«per i reati politici con particolare riguardo ai reati il cui movente si ricolleghi allo spirito della lotta per la liberazione nazionale».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«e per quelli ad essi connessi».

(Sono approvate).

Segue la proposizione aggiuntiva proposta dall’onorevole Ghidini, del seguente tenore:

«L’Assemblea ritiene che l’atto di clemenza potrebbe estendersi a quei reati comuni che traggono origine dal disordine morale derivato dalla guerra».

Su questa formulazione sono state mosse obiezioni dal Ministro di grazia e giustizia.

L’onorevole Ghidini ha facoltà di dichiarare se la mantiene.

GHIDINI. La mantengo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione proposta dall’onorevole Ghidini, della quale ho dato testé lettura.

(Non è approvata).

Chiedo ora all’onorevole Leone Giovanni se mantiene il suo ordine del giorno, che è già stato svolto.

LEONE GIOVANNI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione, dandone nuovamente lettura:

«L’Assemblea fa voti al Governo perché emani amnistie e condoni per reati politici commessi precedentemente all’armistizio e per i quali precedenti amnistie e condoni non siano operativi».

(Non è approvato).

Per la Festa nazionale della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. È stato presentato il seguente ordine del giorno, firmato dagli onorevoli Maffi, Rossi Maria Maddalena, Carpano Maglioli, Longo, Cianca, Sardiello, Corbino, Mancini, Binni, Parri, Preti, Bibolotti, Molinelli, Di Vittorio e Cevolotto:

«L’Assemblea Costituente, allo scopo di solennizzare l’avvento della Costituzione repubblicana e di celebrare i principî politici e sociali che sono a fondamento di essa, dichiara il 2 giugno di ogni anno Festa nazionale della Repubblica italiana».

Pongo in votazione questo ordine del giorno.

(L’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, prolungati applausi).

Dichiaro l’ordine del giorno approvato per acclamazione.

Altri ordini del giorno di contenuto identico erano stati proposti ma devono considerarsi assorbiti.

BACCICONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BACCICONI. Formulo una raccomandazione al Governo perché, nel giorno della ricorrenza della Festa nazionale della Repubblica, a tutti i lavoratori dell’industria privata, sia impiegati che operai, e ai dipendenti dello Stato sia accordata, secondo la prassi sindacale, la doppia giornata di retribuzione.

PRESIDENTE. Questa raccomandazione sarà portata a conoscenza dei Ministri competenti.

Per la pubblicazione delle nuove norme sull’epurazione.

CASTELLI AVOLIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI AVOLIO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi! Dinanzi la prima Commissione per i progetti di legge è all’esame il progetto contenente le nuove disposizioni sull’epurazione.

Quella che io rivolgo al Governo e all’Assemblea è una semplice raccomandazione: e cioè che le norme per l’epurazione, che da un paio di mesi sono state annunziate dai giornali, per contribuire all’auspicata opera di generale pacificazione degli animi, vengano pubblicate al più presto possibile. E siccome a me consta che i lavori della prima Commissione già trovansi a buon punto, la mia raccomandazione è che queste norme siano approvate e pubblicate al più presto ed entrino in vigore subito dopo la pubblicazione e l’entrata in vigore della Costituzione.

PRESIDENTE. Assicuro l’onorevole Castelli Avolio che di questa sua raccomandazione sarà tenuto il debito conto.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, oggi pomeriggio sono cominciate ad affluire le proposte relative al testo della Costituzione risultante dai lavori del Comitato di redazione e di coordinamento. In una lunga riunione tenuta oggi pomeriggio, presso la Presidenza, dai rappresentanti autorizzati di tutti i Gruppi sono stati presi alcuni accordi che mi fa debito di comunicare all’Assemblea. Il maggior numero di esse – e si attengono tutte alla norma, e cioè propongono tutte di ritornare dal testo del Comitato a quello votato in Assemblea – a un primo esame hanno rivelato la possibilità di un immediato accordo. E pertanto domattina nelle prime ore, prima che si inizi la seduta, un ristretto Comitato procederà alla loro valutazione. È prevedibile che solo poche non potranno essere risolte. Per queste si chiederà il giudizio dell’Assemblea. Si tratta, in realtà, di questioni non sostanziali ma di formulazione, per le quali può sembrare che sia stato sfiorato il margine della sostanza.

È opportuno che per la seduta pomeridiana non vi siano più questioni sospese. E pertanto domani mattina, alle 11.30, si terrà una seduta per l’esame di quelle piccole superstiti questioni che fosse ancora necessario dirimere..

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. L’onorevole Ministro delle finanze aveva promesso che avrebbe risposto, almeno di sfuggita, a una mia interrogazione relativa alla imposta di famiglia. Chiedo che voglia compiacersi di farlo ora, poiché è presente.

PRESIDENTE. Onorevole Tonello, trasformi la sua interrogazione in interrogazione con richiesta di risposta scritta e l’onorevole Ministro Pella sollecitamente le darà risposta.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere:

1°) in considerazione dello stato di precarietà in cui si trovano da tempo in Sicilia gli uffici provinciali di sanità pubblica e la Direzione regionale, quali sono i motivi per i quali ancora, dopo 4 anni, il personale continua a gravare sul bilancio dello Stato con una assegnazione forfetaria, devoluta esclusivamente per il mantenimento dei servizi sanitari e non specificamente a titolo di pagamento degli stipendi e competenze relative al personale dipendente;

2°) nell’eventualità che la nuova riforma sanitaria in atto allo studio, non dovesse

riconoscere ed estendere alle altre provincie d’Italia l’ordinamento sanitario stabilito in Sicilia con decreto 23 ottobre 1943, in applicazione all’ordinanza n. 9 del Governo militare alleato, quale sarebbe la sorte degli impiegati nuovi assunti e la posizione del personale proveniente dagli Enti assorbiti;

3°) se, in via eccezionale, così come è stato praticato per altri Enti, quali gli uffici provinciali del lavoro e l’U.P.S.E.A., non si creda opportuno provvedere con urgenza, analogamente, con apposito decreto, ad un adeguamento dei gradi e gruppi corrispondenti a quelli dell’Amministrazione statale in conseguenza delle funzioni disimpegnate, per evitare il danno economico ed il disagio in cui versano in atto le categorie in questione.

«Patricolo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se e come sono stati chiesti ai titolari delle cattedre universitarie, pareri e giudizi sulla istituzione di centri di ricerca amministrati dal Consiglio nazionale delle ricerche.

«In particolare ciò si chiede per quanto concerne lo statuto e l’organizzazione del centro di geofisica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Barontini Anelito».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri degli affari esteri e dei trasporti, per conoscere i motivi che hanno determinato il divieto di transito sul territorio nazionale di autopullman svizzeri con conseguenze dannose al turismo.

«Per sapere inoltre se non credano assolutamente urgente e necessario promuovere disposizioni per un regime dei trasporti automobilistici nazionali e internazionali più rispondente alle esigenze del progresso e della economia nazionale.

«Le linee automobilistiche nazionali e internazionali devono potersi sviluppare in reazione agli accresciuti bisogni del traffico commerciale e turistico con la soppressione degli ostacoli esistenti e che si concretano in fatto in un grave danno d’ordine generale e in un intollerabile monopolio di imprese private. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Pera, Canepa».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare perché venga efficacemente prevenuta ed effettivamente impedita la proiezione di pellicole cinematografiche contrarie al buon costume. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Codacci Pisanelli»

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non creda opportuno ricondurre alla originaria funzione l’Opera nazionale combattenti, istituita per l’assistenza ai combattenti e reduci fin dal 1919, potenziandone la Sezione sociale, e ripristinandone l’amministrazione ordinaria con gli organi e le rappresentanze previste nell’atto di costituzione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musotto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della marina mercantile, per conoscere se non ritenga socialmente e politicamente utile modificare il decreto fascista sull’istituzione delle compagnie portuali, onde interrompere un monopolio di lavoro reso più aspro dallo speciale periodo di emergenza che sta attraversando la nostra economia..

«L’interrogante è convinto che l’apertura dei ruoli degli operai portuali cosiddetti obbligati o medaglionati, entro limiti e condizioni stabiliti da apposita legge, sanerebbe una ingiustizia grave che dura da anni e permetterebbe ai cosiddetti operai facoltativi di compiere cogli altri i doveri ed i diritti del comune lavoro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caso».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno; le altre saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.25.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11,30:

Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 17:

Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI DOMENICA 21 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLIV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI DOMENICA 21 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Sul processo verbale:

Gasparotto

Congedi:

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

Presidente

Gullo Rocco

Russo Perez

Martino Gaetano

Nobile

Lami Starnuti

Badini Confalonieri

Corbino

Miccolis

Marina

Donati

Preti

Cevolotto

Fuschini, Relatore per la maggioranza

Scelba, Ministro dell’interno

Uberti

Caroleo

Morelli Renato

Patrissi

Damiani

Fabbri

De Vita

Perrone Capano

Scoccimarro, Presidente della Commissione

Selvaggi

Bubbio

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Maffi

Stampacchia

Coppa

Mortati

Dominedò

Rossi Paolo

Targetti

Minio

Giannini

Bartalini

Mazza

Perassi

Carpano Maglioli

Togliatti

Lussu

Cianca

Di Vittorio

Dossetti

Bellavista

Sampietro

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 10.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dichiaro che se fossi stato presente alla seduta pomeridiana di venerdì avrei votato l’ordine del giorno Cappi.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale s’intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Canepa, Merlin Umberto, Trulli.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

Nella relazione della Commissione e nel progetto ministeriale non si proponeva alcuna modificazione dell’articolo 62 del decreto legislativo 10 marzo 1946, mentre numerosi emendamenti sono stati presentati in questa sede a tale articolo. E, pertanto, passiamo al loro esame. L’articolo 62 si riferisce ai calcoli che devono essere eseguiti dall’ufficio centrale nazionale, che procede all’accertamento dei seggi non attribuiti in tutte le circoscrizioni elettorali e alla somma dei voti residuati, in tutti i collegi circoscrizionali a favore delle singole liste collegate con quelle del Collegio unico nazionale.

L’onorevole Gullo Rocco ha presentato il seguente emendamento:

«Qualora in una stessa lista del Collegio unico nazionale vengono a spettare più di due posti, quelli esuberanti saranno attribuiti alla circoscrizione nella quale le liste collegate hanno raggiunto la minore differenza tra i voti residuati e il rispettivo quoziente».

Io mi permetterei di fare osservare, onorevole Rocco Gullo, che questa sua proposta è in contrasto con la decisione presa ieri sera, attraverso la quale l’Assemblea ha voluto esprimere la propria volontà in relazione al numero dei quozienti che possono essere attribuiti alle liste nazionali. Aumentando di tre, così come è stato deciso, il divisore valido a stabilire il quoziente per le circoscrizioni territorialmente delimitate, l’Assemblea ha deliberato che non si possa ulteriormente intaccare il numero dei posti assegnati così alla lista nazionale.

Pertanto mi pare che la sua proposta non possa essere accolta. Ad ogni modo ha facoltà di svolgerla.

GULLO ROCCO. La mia proposta era stata presentata non ieri, ma ieri l’altro, quando furono presentata gli ordini del giorno relativi alla lista nazionale, e quando è stato presentato l’ordine del giorno dell’onorevole Martino, poi ritirato, che intendeva sopprimere la lista nazionale, pur non sopprimendo l’utilizzazione dei resti in sede nazionale.

In quella occasione la mia proposta, che non veniva a riferirsi all’articolo 62, ma veniva ad essere un ordine del giorno sussidiario a quello dell’onorevole Martino, intendeva ridurre al minimo quelli che, secondo alcuni di noi, rappresentavano gli svantaggi della lista nazionale.

Il mio emendamento non fu discusso ieri, quando, come il Presidente ha osservato, l’Assemblea ha cercato, soprattutto nell’ultima votazione, di ridurre al minimo il numero dei seggi attribuiti al Collegio unico nazionale.

A me pare che non vi sia contrasto fra quanto è stato stabilito dall’Assemblea e quello che io propongo, in quanto ieri si trattava soltanto di stabilire approssimativamente quanti dovevano essere i posti risultanti dai resti, e l’Assemblea cercò di fare in modo, attraverso l’emendamento Donati, che il numeroso contingente di deputati eletti in lista nazionale venisse ridotto almeno alla metà. Calcolo approssimativo, perché noi lo facciamo sulle cifre delle elezioni passate, ma non sappiamo se le elezioni che si faranno in primavera, per l’afflusso degli elettori, e per il numero delle liste presentate, potranno portare a conseguenze diverse.

Ad ogni modo, ieri ci siamo preoccupati di ridurre il numero dei seggi da assegnarsi alla lista nazionale.

Il mio emendamento si ispira ad un criterio diverso. Io ho sempre detto, e con me altri colleghi che mi hanno seguito in questa che mi son permesso di chiamare la battaglia delle fanterie, di non essere contrario alla utilizzazione dei resti in sede nazionale, tanto è vero che parecchi di noi, ed io stesso, abbiamo votato contro emendamenti che intendevano ridurre troppo l’utilizzazione dei resti.

Noi siamo per l’utilizzazione dei resti in sede nazionale. Ma insistiamo ancora una volta sul criterio che questa utilizzazione dei resti in campo nazionale non serva a determinate persone, le quali vengono indicate dai Comitati centrali, ma serva alle liste collegate con lo stesso simbolo alla lista nazionale. Io non posso più insistere nel negare qualsiasi funzione alla lista nazionale, perché su questo punto si è formata quella tale maggioranza mobile, la quale non ha accettato la lista nazionale, ma non ha neppure accettato l’abolizione della lista nazionale. Ed allora la mia proposta è una proposta sussidiaria, una proposta intermedia, transattiva. (Interruzione del deputato Russo Perez). Io speravo che da parte della Commissione, dalla quale invoco tutta la benevolenza… (Interruzione del deputato Fuschini). In un momento di distrazione avete tolto il voto a 100 mila ciechi!

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. L’avete presentata voi quella proposta!

GULLO ROCCO. L’abbiamo ritirata; intendevamo anzi, con un emendamento aggiuntivo…

PRESIDENTE. Quella soppressione è stata votata dall’Assemblea alla unanimità. (Commenti).

Si può dire alla unanimità, perché raramente un voto è stato dato da questa Assemblea in sede di esame di questa legge, con tanto consenso diffuso, tanto è vero che dopo da numerose parti si è verificata la resipiscenza e la presentazione di emendamenti che cercano di riparare quello che veniva avvertito come il risultato della precipitazione del momento. Ma non eleviamone colpa a nessuno.

GULLO ROCCO. Evito di parlarne; voglio solo richiamare l’attenzione, perché ciò è accaduto ieri per mancanza di attenzione, colpa in cui possono cadere tutti ed io per primo.

Dicevo, che a proposito della lista nazionale invocavo tutta la benevola attenzione della Commissione e dei colleghi per arrivare ad una formula la quale non sia transattiva, ma sia una formula di temperamento di ciò che è stato fatto e che è stato fatto contro la volontà di metà dell’Assemblea, non di metà più uno, ma di metà dell’Assemblea.

C’è chi vuole la lista nazionale a qualunque costo; c’è chi non la vuole a nessun costo. È avvenuta quella tale votazione che ha lasciato le cose come stavano dal punto di vista morale, se non formale, ed allora noi diciamo: accettiamo il principio della lista nazionale, però cerchiamo di mitigarne gli effetti, cioè attribuiamo alla lista nazionale un numero limitato di collegi e di questi collegi diamone solo una parte ai candidati prescelti dai comitati centrali presentatori della lista. Il criterio potrebbe essere anche diverso da quello indicato da me. Potrebbe qualcuno suggerire: metà alla lista nazionale, metà alle circoscrizioni locali. Per conto mio ritengo che la cosa migliore sarebbe assegnare ai candidati indicati nella lista nazionale, secondo l’ordine di preferenza assegnato dai partiti, un numero fisso di posti, ad esempio, due.

Se vi saranno eventualmente altri posti, altri quozienti risultanti dal conteggio dei resti, questi posti vadano alle liste circoscrizionali che portano lo stesso simbolo e vengano assegnati a quelle di esse che hanno riportato il maggior numero di resti, anzi, secondo la proposta Grilli, che hanno raggiunto la minore differenza fra i voti residuali ed il quoziente e siano proclamati eletti i candidati che hanno avuto il maggior numero di voti preferenziali.

Questa mia proposta, ripeto, parte da coloro che erano decisamente contrari alla lista nazionale, ma rappresenta un riconoscimento del fatto compiuto, come ieri accennava l’onorevole Giannini, e nel tempo stesso rappresenta una proposta di temperamento di ciò che è stato fatto. Io prego la Commissione, prego coloro che hanno votato per la lista nazionale di rendersi conto che non si deve esagerare nella vittoria che hanno ottenuta, e noi sappiamo come, e di accettare questo emendamento. (Interruzione del deputato Fuschini).

Stavo per finire quando da un democristiano mi si dice: la lista nazionale è ridotta a niente. Sta bene. Se questo numero di due che ho indicato non potrà essere superato, questo mio emendamento non potrà far male, ma può anche darsi che, nonostante ciò che abbiamo votato ieri, vi sia qualche lista che possa ottenere 4, 5, 6, 8 posti, ed allora io dico: diamoli alla lista nazionale, diamoli ai prescelti dei comitati centrali presentatori della lista, ma una parte ritorni alle circoscrizioni, e ancora una volta facciamo in modo che il risultato della votazione si avvicini alla volontà degli elettori. Se noi queste questioni le portassimo davanti al corpo elettorale, probabilmente a favore della lista nazionale avreste in tutto il Paese quei 198 voti che avete avuto dall’Assemblea, perché non c’è dubbio che la grande massa degli elettori è contraria a questo sistema e vorrebbe avere la soddisfazione di vedere andare al Parlamento quei candidati a cui ha dato il voto.

Ora, siccome avevo l’intenzione di chiedere sul mio emendamento lo scrutinio segreto e poiché in questo momento la domanda di scrutinio segreto potrebbe portare quelle conseguenze facilmente intuibili, mi rimetto a ciò che deciderà l’onorevole Presidente, sull’opportunità di fare in questo momento la votazione che avrebbe la conseguenza di accertare la mancanza del numero legale. Si potrebbe, quindi, rimandare la votazione a quando sarà presente un numero maggiore di colleghi.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facendo l’ipotesi che l’emendamento dell’onorevole Gullo Rocco fosse stato accolto prima della discussione che abbiamo fatto ieri in relazione al coefficiente di aumento per il calcolo dei quozienti nelle circoscrizioni regionali o interprovinciali, tutta la discussione relativa al detto coefficiente di aumento in relazione al calcolo dei residui per la lista nazionale non si sarebbe più fatta. Una volta stabilito che non più di due nomi per ogni lista nazionale potessero essere dichiarati eletti, è chiaro che non c’era più da ricercare altre limitazioni.

Il problema si presenta oggi capovolto. Ieri si è deciso un determinato modo di limitazione adottando un coefficiente di aumento. Quel coefficiente di aumento ha stabilito il sistema per limitare il numero degli eletti delle singole liste nazionali. La proposta Gullo costituisce una nuova proposizione nello stesso senso, che, se accettata, verrebbe in realtà a modificare la volontà espressa ieri dall’Assemblea.

Se accettassimo di porre in votazione altri sistemi destinati a diminuire ulteriormente quel determinato numero che si raggiunge con l’applicazione del coefficiente tre, sarebbe come riporre in votazione la proposta che fu respinta, del coefficiente quattro, o 15 per cento, o altre che ieri l’Assemblea ha respinto. Pertanto ritengo che non si possa procedere alla votazione della proposta Gullo.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Onorevole Presidente, mi rammarico che non sia stato sempre applicato il suo punto di vista. L’illustre Presidente deve ricordare che, in materia di esclusioni attive e passive dal diritto di voto, si è ripreso cento volte l’argomento; e non deve neanche dimenticare che, dopo che l’Assemblea si era pronunciata per l’elettività dell’intero Senato, è avvenuto quel che è avvenuto.

Mi dolgo di non aver potuto prendere parte alla discussione: non mi trovavo a Roma. Se fossi stato presente, avrei protestato per tante ragioni; ed anche per questa: che si riprende una materia su cui l’Assemblea aveva già deciso.

MORELLI RENATO. Per la verità, era rinviata.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Onorevole Presidente, io vorrei permettermi sommessamente di esprimere un avviso diverso dal suo, circa la possibilità o meno di porre in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Gullo. A me pare, onorevole Presidente, che l’analogia fra la proposta Gullo e la votazione ieri avvenuta circa il coefficiente da aggiungere al divisore per la determinazione del quoziente, non sia così rigorosa come a lei sembra.

È vero che sia il mezzo dell’aggiunta di un coefficiente (2 o 3), sia la proposta Gullo, in realtà portano ad una diminuzione del numero dei seggi assegnati alla lista nazionale; ma le conseguenze sono fondamentalmente diverse. Se si fosse votato prima sulla proposta Gullo, io credo che si sarebbe dovuto votare poi anche in merito all’altra questione ieri decisa; perché, con la proposta Gullo i resti non ritornano alle stesse circoscrizioni dalle quali essi provengono; vanno assegnati a quelle circoscrizioni dove la differenza fra resto e quoziente è minore. In quel caso, invece, si fa in modo che un maggior numero di seggi venga assegnato alle stesse circoscrizioni, cioè che in loco, nelle singole circoscrizioni, vengano al massimo possibile utilizzati i medesimi resti.

Sono due questioni diverse. La proposta Gullo non esclude l’altra questione, quella decisa ieri; e la questione, che è stata decisa ieri, non esclude la proposta Gullo.

Prego l’onorevole Presidente di voler considerare con attenzione la cosa; e sono convinto che egli si persuaderà della giustezza della mia argomentazione e che vorrà porre in votazione la proposta Gullo.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vogliamo proseguire in questi tentativi di manomettere i risultati di parecchie votazioni precedenti?

Il Collegio nazionale oggi, dopo la votazione di ieri sera, è ridotto a 35 deputati, cioè a circa un deputato per ogni circoscrizione. Evidentemente, non val la pena di continuare nelle riduzioni.

PRESIDENTE. Onorevole Martino, alla argomentazione da lei esposta io contrappongo le argomentazioni, con le quali, per due sedute di seguito, tutti coloro che hanno presentato proposte analoghe a quelle dell’onorevole Gullo, le hanno giustificate.

Si possono sempre aggiungere nuove argomentazioni a quelle già svolte a condizione però che le nuove non contraddicano le precedenti e non appaiano di occasione, escogitate per sostenere una determinata tesi. La sua tesi in questo momento è di ottenere quella votazione e le sue argomentazioni non mirano già a sorreggere il merito della proposta Gullo ma solo ad assicurare la votazione cui ella tiene.

L’onorevole Gullo ha presentato l’emendamento con questa argomentazione fondamentale: di diminuire il numero dei seggi assegnati alla lista nazionale; ed è per questo che io ho osservato – e credo che nessuno possa contestarlo – che da questo punto di vista la proposta Gullo è nello stesso ordine di idee e ha gli stessi obiettivi delle proposte, che ieri sera l’Assemblea ha respinto. Questa è la ragione della contraddizione e quindi della impossibilità di procedere alla votazione.

MARTINO GAETANO. Io mi sono permesso di segnalare un altro lato della proposta Gullo.

PRESIDENTE. Lo ha segnalato ma sarebbe occorso che l’onorevole Gullo non riaffermasse energicamente che scopo della sua proposta era proprio di impedire che le direzioni dei partiti scegliessero i candidati. Questa è l’argomentazione fondamentale adoperata ieri da tutti coloro, che hanno sostenuto proposte dirette ad includere coefficienti maggiori di quello adottato dall’Assemblea.

Pertanto, mi pare che sia chiara la simiglianza dei motivi e quindi la impossibilità di riproporre ciò che l’Assemblea ha deciso di respingere.

L’onorevole Lami Starnuti aveva presentato un emendamento in sede di articolo 3; si fece presente che la sede opportuna sarebbe stata l’articolo 62. L’emendamento è il seguente:

«L’utilizzazione dei voti residuali si farà sul piano regionale prima che sul piano nazionale».

Questa proposta è in relazione con la seguente altra già presentata dallo stesso onorevole Lami Starnuti:

«Sostituire l’articolo 62 del decreto, col seguente:

«L’Ufficio centrale regionale, costituito presso la Corte d’appello, procede alla somma dei seggi non attribuiti nelle varie circoscrizioni elettorali della regione e alla somma dei voti residuali nelle circoscrizioni a favore delle singole liste collegate.

«Divide la somma dei voti residuali di tutte le liste per il numero dei seggi da attribuire. Il risultato costituisce il quoziente elettorale per il Collegio regionale.

«Divide poi la somma dei voti residuali di ogni lista per tale quoziente: il risultato rappresenta il numero dei seggi da assegnarsi a ciascuna lista.

«Detti seggi saranno assegnati alle circoscrizioni nelle quali la lista ha ottenuto la minor differenza tra i voti residuali e il rispettivo quoziente.

«Proclama quindi eletti quei candidati che hanno ottenuto maggiori voti individuali».

Anche all’onorevole Lami Starnuti desidero far presente che la sua proposta è in contraddizione con le decisioni dell’Assemblea, secondo le quali i residui vengano utilizzati su scala nazionale, sia pure con determinate limitazioni. Se l’emendamento Lami Starnuti significa che bisogna invece utilizzarli prima sul piano regionale – e non può significare altro – è evidentemente in contraddizione con quanto è stato deliberato dall’Assemblea.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Sono, di massima, d’accordo con lei, onorevole Presidente, e quando svolsi l’emendamento mi riservai di ritirarlo, qualora l’Assemblea avesse accolto l’emendamento proposto dall’onorevole Donati: l’emendamento Donati, essendo stato ieri accolto dall’Assemblea, mi pare che per debito di lealtà verso le deliberazioni della Assemblea medesima sulla lista nazionale, io debba ritirare il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Badini Confalonieri ha presentato il seguente emendamento:

«Non possono utilizzare i resti in lista nazionale i partiti che non abbiano raggiunto il quoziente in almeno cinque collegi territoriali».

Ha facoltà di svolgerlo.

BADINI CONFALONIERI. Ieri l’onorevole Fuschini, in una replica anticipata al nostro emendamento, ha pregato i partiti di minoranza di considerare il loro interesse, e poiché appartengono ad un partito di minoranza, a cui non appartiene il collega Fuschini, sono lieto di ringraziarlo di questa considerazione fatta nei nostri confronti. Anche noi pensiamo al nostro interesse, ma pensiamo anche che, al di sopra del nostro interesse, ci sia un dovere di affermare in questa legge dei principî che sono dei principî veramente democratici, come quello che ogni eletto non rappresenti soltanto se stesso, che ogni eletto non vada raccogliendo il ciarpame di voti incerti e dispersi a destra e a sinistra, ma abbia alle sue spalle una corrente politica ed ideologica che abbia effettiva consistenza nel Paese. Sia poi essa di maggioranza o di minoranza, non importa: ma, se di minoranza, di una minoranza che dia effettivamente a lui un mandato che qualcosa significhi nel Paese, «minoranza qualificata», come ieri la chiamava l’onorevole Lucifero. Posso personalmente essere stato contrario alla lista nazionale, la quale è stata approvata e c’è; ma essa c’è ed ha ragione di essere sotto questo profilo: che possano utilizzare i resti in lista nazionale quei partiti che hanno efficienza sul piano nazionale, perché questa soltanto è la ragione determinante dell’aver costituita la lista nazionale. Quindi partiti di maggioranza o di minoranza, ma non movimenti a carattere, direi, semplicemente individuale, di piccole consorterie che non possono assurgere alla dignità di partiti. Tutti i partiti hanno diritto ad esprimere liberamente la loro voce ed è giusto che la esprimano, in quanto effettivamente corrispondono ad una corrente ideologica o politica, non in quanto movimenti individuali o piccole consorterie.

D’altra parte, se questo poteva non valere al riguardo della Costituente, nel senso che fosse giusto che tutte le voci potessero esservi ascoltate, è chiaro che questo deve valere a proposito delle future Camere legislative, in quanto nelle future Camere legislative dovrà funzionare una maggioranza che governa ed un libero gioco di minoranze, ma di minoranze che siano effettivamente qualificate. D’altronde, già a questo proposito, nella legge elettorale per la Costituente si era fissata una norma nel senso che non potessero utilizzare i resti in lista nazionale quei partiti che non avevano presentato la lista in almeno sei collegi circoscrizionali. Se non che, l’esperienza ci ha insegnato che parlare di presentazione di lista non significa nulla, e non significa nulla perché è molto facile, anche quando non vi sia in un determinato collegio territoriale una effettiva consistenza, creare artificiosamente una lista. Quel che conta non è già aver presentato una lista, ma aver raggiunto determinati quozienti. Però, quella limitazione, che vi era al riguardo della legge elettorale per la Costituente, di sei quozienti, pare eccessiva e mi pare invece equo ridurla a cinque collegi. Equo anche in base all’esperienza da noi qui fatta; perché tutti i partiti che qui sono rappresentati, di maggioranza come di minoranza, hanno, quanto meno nel complesso del piano nazionale, raggiunto cinque quozienti in collegi circoscrizionali. Unica eccezione è quella alla quale aveva fatto accenno l’onorevole Grilli ieri, e cioè quella del Partito d’azione. Ma, proprio da questa eccezione noi possiamo trarre un argomento a favore della nostra tesi, perché se il Partito d’azione, che pur aveva delle nobile tradizioni non è durato fino alla fine di questa legislatura, ciò lo si deve al fatto che il Partito d’azione non aveva consistenza in nessun collegio territoriale. Ad evitare siffatti inconvenienti, chiediamo che, quanto meno, una qualche consistenza in qualche collegio circoscrizionale vi sia, perché si possa parlare di un partito, di una corrente politica, di un movimento di idee che abbia il diritto di essere rappresentato e di far sentire la sua voce alla Camera. Perché – e concludo – la democrazia mi pare che sia questione di misura in questo campo; non deve essere avvilimento delle minoranze, ma sostegno di quelle minoranze, che sono minoranze qualificate, di quelle minoranze che hanno un volto, non di quelle che sono soltanto apparenti o addirittura fittizie. (Applausi).

PRESIDENTE. Seguono gli emendamenti presentati dall’onorevole Grilli:

«Al secondo comma dell’articola 61, sopprimere le parole: e l’indicazione della lista del collegio unico nazionale alla quale ogni singola lista ha dichiarato di collegarsi per la utilizzazione dei voti residuali».

«Al primo comma dell’articolo 62, sopprimere le parole: collegate con quelle del collegio unico nazionale, e sostituire le parole: il risultato costituisce il quoziente elettorale per il collegio unico nazionale, con le parole: il risultato costituisce il quoziente elettorale per l’utilizzazione dei voti residuali».

«Sostituire il secondo, il terzo, il quarto e il quinto comma coi seguenti:

«Divide poi la somma dei voti residuali di ogni lista per tale quoziente: il risultato rappresenta il numero dei seggi da assegnarsi a ciascuna lista.

«Detti seggi saranno assegnati alle circoscrizioni nelle quali la lista ha ottenuto la minor differenza fra i voti residuali e il rispettivo quoziente.

«Proclama quindi eletti quei candidati che hanno ottenuto maggiori voti individuali.

«Si applica infine, anche per questi eletti, il disposto dell’articolo 60».

«Sopprimere il secondo comma dell’articolo 63».

Questi emendamenti, collegati col problema della abolizione della lista nazionale, si intendono decaduti.

Gli onorevoli Corbino e Martino Gaetano hanno presentato il seguente emendamento:

«Al quarto comma dell’articolo 62, aggiungere:

«L’ordine dei candidati nella lista nazionale sarà stabilito sulla base dei voti di preferenza ottenuti dai candidati nella lista circoscrizionale».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Sono il primo a pensare che si possa eccepire la preclusione anche per questo emendamento.

PRESIDENTE. No, onorevole Corbino, l’emendamento non viene ad inficiare l’esistenza della lista nazionale. Dato che si è già votato che non si può essere inclusi nella lista nazionale se non lo si è anche in una circoscrizionale, il suo emendamento può perfettamente restare, salvo l’Assemblea accoglierlo o meno.

CORBINO. La mia preoccupazione deriva dal fatto che io non ricordo esattamente se la votazione che abbiamo fatto sulla seconda parte dell’ordine del giorno Martino si riferisca a quella lista nazionale che sarebbe stata formata da tutte le liste circoscrizionali, oppure a quella dell’articolo 15. Mi rimetto a lei, onorevole Presidente.

PRESIDENTE. Dica pure, onorevole Corbino.

CORBINO. Mi pare che se ho il diritto di considerare l’emendamento come ancora discutibile, credo che esso non richieda un lungo svolgimento. È sempre in lotta il principio della lista rigida contro la lista che deriva dal risultato di una elezione. Con il mio emendamento si afferma che l’ordine con cui i candidati della lista nazionale possano essere dichiarati eletti non debba essere quello fissato all’atto della presentazione della lista, ma quello che risulta dal numero dei voti di preferenza che ciascun candidato ha riportato nella sua circoscrizione.

Rispetto al criterio determinante dell’ordine, si possono evidentemente scegliere varî dati di classificazione: ci può essere il voto di preferenza in senso assoluto; ma, siccome i voti di preferenza sono anche in funzione del numero dei votanti, in ogni circoscrizione si potrebbe eventualmente accettare un criterio matematicamente più logico, cioè a dire sostituire al voto di preferenza puro e semplice, il rapporto fra i voti di preferenza ed il quoziente elettorale.

GULLO ROCCO. O il numero dei seggi.

CORBINO. Oppure si potrebbe riferire il voto di preferenza al voto di lista. Secondo me (e questa è una questione da affrontarsi in un secondo momento) la mia proposta pone due problemi: primo, il problema di principio, se cioè la lista nazionale debba essere rigida o ordinata in una forma diversa; secondo, quale elemento aritmetico dovrebbe giuocare per stabilire l’ordine dei candidati.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Miccolis così formulato:

«Sostituire il penultimo comma dell’articolo 62, col seguente:

«Risultano eletti nella lista nazionale i candidati che hanno riportato il maggiore numero di voti preferenziali nella propria circoscrizione elettorale».

L’onorevole Miccolis ha facoltà d i svolgerlo.

MICCOLIS. È stato, si può dire già svolto dall’onorevole Corbino, perché il mio emendamento è identico al suo.

MARINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINA. Io sono contrario alla proposta fatta dagli onorevoli Corbino e Miccolis, perché nelle circoscrizioni del Nord è poco in uso assegnare i voti di preferenza ai candidati, cosicché vi è una sproporzione tra il Nord e il Sud, tale che porta a favorire quelle circoscrizioni dove il voto di preferenza viene dato. Quindi, solo se si potesse avere un coefficiente unico di carattere nazionale, si potrebbe prendere in esame la proposta dell’onorevole Corbino; altrimenti questa diversità porta evidentemente una sperequazione tra Nord e Sud.

PRESIDENTE. L’onorevole Donati ha presentato il seguente emendamento:

«All’articolo 62, quarto capoverso, alle parole: i candidati secondo l’ordine che hanno nella lista stessa, sostituire le parole: i candidati che avranno ottenuto il maggior quoziente individuale. Detto quoziente si otterrà dividendo la cifra individuale riportata da ciascun candidato nelle rispettive circoscrizioni ai sensi dell’articolo 57, per il numero dei deputati assegnati dalla legge alla circoscrizione stessa».

Ha facoltà di svolgerlo.

DONATI. Il mio emendamento non ha altra funzione che quella di essere un correttivo all’emendamento Corbino qualora questo venisse approvato. Ma siccome l’onorevole Corbino ha già dichiarato che non si ferma sul principio delle preferenze assolute qualora venga approvato il suo emendamento, accetto anche che questo calcolo venga fatto in funzione dell’ampiezza del collegio con qualunque sistema che determini questa proporzionalità, sia dividendo il numero delle preferenze per la cifra elettorale raggiunta dalla lista, sia dividendo per il quoziente o per il numero dei seggi. Per me è accettabile qualunque criterio. L’importante è che qualora si accolga l’emendamento Corbino non si faccia una sperequazione tra grandi collegi da un lato e piccoli e medi collegi dall’altro.

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Devo dichiarare che concordo con l’onorevole Donati perché ho proposto il mio emendamento in linea di principio; ma ritengo che per i voti di preferenza si debba riportarsi ai quozienti.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti propone di aggiungere all’emendamento Corbino il seguente comma:

«Sulla base del rapporto tra i voti di preferenza ottenuti dai candidati nelle singole circoscrizioni ed il numero dei voti delle rispettive liste».

L’onorevole Preti ha facoltà di svolgere il suo emendamento aggiuntivo.

PRETI. Io ho creduto di completare la formulazione dell’onorevole Corbino evitando le sperequazioni fra grandi e piccoli collegi, in quanto prima sarebbero riusciti tutti i candidati delle grandi circoscrizioni, mentre adesso riusciranno quelli che avranno ottenuto un voto proporzionalmente maggiore nelle loro circoscrizioni.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Vorrei fare una osservazione sull’emendamento Preti.

Se in un collegio una lista non ha ottenuto il quoziente per soli 100 voti, col sistema Preti potrebbe darsi che il candidato, che in quella lista ha avuto il maggior numero di voti, in lista nazionale si trovi posposto ad altro candidato che invece nella sua lista abbia avuto una votazione di qualche migliaio di voti in meno e ciò perché le preferenze possono essere proporzionalmente maggiori.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Scusi, signor Presidente, mi pare che per ragioni di ordine dobbiamo chiarire. Io ho sentito svolgere, se non sbaglio, dall’onorevole Badini Confalonieri un emendamento di tutt’altra natura di quello che è stato proposto dall’onorevole Preti e dagli altri che hanno posto la questione ed hanno assecondato la proposta dell’onorevole Corbino.

Quale emendamento dobbiamo discutere adesso, signor Presidente?

PRESIDENTE. Dobbiamo esaminare tutti gli emendamenti. Esprima l’avviso su quello proposto dall’onorevole Badini Confalonieri e poi eventualmente sugli altri.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. In merito alla proposta di stabilire una graduatoria della lista nazionale col sistema della valutazione delle preferenze che i candidati della lista nazionale hanno ottenuto nelle circoscrizioni, osservo che tale proposta è una specie, dirò così, di ritorno ad un sistema misto, ibrido, come avevo dichiarato anche in sede di esame della proposta dell’onorevole Grilli. Il sistema della legge del 1946 si basa su questi principî fondamentali: lista circoscrizionale con le preferenze, lista nazionale senza preferenze.

È evidente che qualsiasi correttivo si voglia adottare per modificare questo duplice indizio, non potrebbe se non creare degli imbarazzi e delle confusioni di carattere tecnico. Del resto occorre tener presente che il candidato nella lista nazionale ha già subito un vaglio particolare, quello del suo partito, a mezzo dei presentatori della lista.

Abbiamo poi cercato di aumentare il numero dei presentatori di lista, imponendo che ci siano dieci circoscrizioni collegate invece di sei. Si tratta di un numero ingente di elettori che in effetti presentano le liste nazionali. La lista deve seguire il suo sistema rigido. Le preferenze che si danno nelle circoscrizioni non si possono comparare fra di loro, perché le circoscrizioni sono per entità numerica diverse l’una dall’altra e sarebbe una valutazione errata quella che si appoggiasse alle preferenze per determinare la graduatoria della lista nazionale. Se voi vorrete dare adito ad una simile proposta vi dirò allora che sarebbe più corretto e sincero dire: non vogliamo l’utilizzazione dei resti, ma vogliamo il collocamento di tutti i seggi in sede circoscrizionale.

Sarebbe stato un sistema semplice: insistere invece, con simile proposta vuol dire distruggere il collegio nazionale nei suoi presupposti e quindi nelle sue conseguenze.

La valutazione, il peso specifico delle diverse preferenze può dar luogo a discussioni interminabili per i dati eterogenei da cui provengono.

La Commissione non viene meno alla sua direttiva, e non intende assumere la responsabilità delle conseguenze che deriverebbero da una tale proposta. Non ho altro da aggiungere al riguardo e prego l’onorevole Corbino di non insistere.

Circa poi la proposta dell’onorevole Badini Confalonieri, secondo cui non possono utilizzare i resti le liste che non abbiano raggiunto il quoziente almeno in cinque collegi elettorali, debbo far presente che, quando si trattò della legge elettorale per l’Assemblea Costituente, una proposta analoga venne in discussione e siccome si trattava delle legge elettorale per l’Assemblea Costituente, che doveva essere l’espressione vera e reale delle correnti politiche e delle ideologie che pervadono il Paese, si applicò una grande larghezza su questo punto e si ammise che anche le correnti o tendenze politiche che non avevano una consistenza tale da potere ottenere almeno un quoziente circoscrizionale, potessero utilizzare i loro voti in sede nazionale.

Ora noi siamo in sede di legge elettorale per la elezione dei deputati. La Camera dei deputati, come tale, non ha un compito ideologico, come ha avuto in gran parte la Costituente, perché la Costituzione ha dovuto affermare dei principii in base ai quali si dovrà costruire la nuova legislazione italiana. Ma in sede di legge elettorale per la nomina della Camera dei deputati, non vi è più bisogno di tener conto di queste ideologie in senso stretto o in senso, dirò così, completo, come era necessario in sede di Costituente. I criteri quindi di larghezza che si sono adottati per la elezione dei deputati costituenti, non possono essere applicati per la Camera dei deputati, nella quale le correnti di pensiero è necessario abbiano una maggiore concretezza di espressione.

Il principio contenuto nell’emendamento Badini Confalonieri è in massima accettato dalla Commissione, pur dissentendo circa il numero che vi è indicato. Per mio conto, affermo che il numero di cinque è eccessivo, perché si impedirebbe forse la rappresentanza di quella minoranza che con l’utilizzazione dei resti in campo nazionale si è voluto particolarmente consentire. La Commissione, qui consultatasi in questo momento, sarebbe d’accordo sul numero di tre. Comunque, una volta accettato il principio, l’Assemblea potrà accordarsi credo su un numero che sia, secondo me, inferiore a quello proposto.

PRESIDENTE. Onorevole Scelba, vuole esprimere il parere del Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare anzitutto alla votazione dell’emendamento Badini Confalonieri, di cui do nuovamente lettura:

«Non possono utilizzare i resti in lista nazionale i partiti che non abbiano raggiunto il quoziente in almeno cinque collegi territoriali».

L’onorevole Fuschini, a nome della Commissione, ha dichiarato che, pur potendo accettare il principio che è a base di questo emendamento, la Commissione ritiene che sia forse troppo alto il numero di cinque collegi in esso indicato. Il Ministro dell’interno ha dichiarato a sua volta di rimettersi all’Assemblea. .

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. A nome del mio Gruppo dichiaro che voteremo a favore dell’emendamento Badini Confalonieri.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Dichiaro che voterò contro l’emendamento Badini Confalonieri perché esso in sostanza, tende ad attribuire un privilegio ai partiti di massa a svantaggio dei partiti di minoranza. Non mi pare – me lo consenta l’onorevole Badini – che questo sia un principio ispirato al liberalismo.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Voterò contro perché ritengo che ai nuovi movimenti di idee si debba lasciare la possibilità di essere rappresentati in Parlamento.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Io voterò a favore perché ritengo che l’emendamento Badini Confalonieri non sia in contraddizione coi principî liberali, in quanto la lista nazionale è congegnata in modo tale da favorire una rappresentativa democratica. Né, d’altra parte, è esatto che nessuna possibilità si lascerebbe ai nuovi movimenti ideologici e alle minoranze esigue, di avere in Parlamento propri rappresentanti, perché è stato approvato per il Senato il collegio uninominale.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Voterò contro perché sono fra quelli che disperano di essere eletti con la lista nazionale. (Si ride – Commenti).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Rilevo che non è ben chiaro se si tratta di un quoziente in cinque collegi oppure di cinque deputati.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Io vorrei proporre al presentatore di venire incontro al dubbio manifestato dall’onorevole Corbino, in quanto anche con sette od otto deputati un determinato partito rischierebbe di non aver diritto all’assegnazione di posti nel collegio nazionale, in quanto due, tre, quattro deputati potrebbero essere eletti nella stessa circoscrizione.

Quindi sarei disposto, personalmente, a votare in favore se la dizione fosse modificata nel senso che si parlasse di cinque deputati comunque eletti nelle varie circoscrizioni.

BADINI CONFALONIERI. Accetto la modifica.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Anche la Commissione accetta, salvo beninteso il numero.

PRESIDENTE. L’emendamento risulterebbe così formulato:

«Non possono utilizzare i resti in lista nazionale i partiti che non abbiano raggiunto nel complesso delle circoscrizioni almeno cinque quozienti».

PATRISSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRISSI. Vorrei chiedere ai presentatori di emendamenti: i voti attribuiti alla lista che non abbia conseguito i cinque quozienti od ottenuto i cinque deputati a chi saranno attribuiti?

PRESIDENTE. Secondo la proposta a nessuno.

DAMIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DAMIANI. Ho assistito finora, senza intervenire, a questo pugilato tremendo. (Commenti a sinistra). Sì, tremendo, perché gli inesorabili attaccanti hanno escogitato tutto l’escogitabile, secondo l’acutezza del loro ingegno, per cercare di ridurre a zero il collegio unico nazionale, che si è salvato, fino a questo momento per merito non so di chi, forse per merito della divina Provvidenza. La prima votazione: 198 voti favorevoli e 198 contrari ha lasciato al collegio unico nazionale appena un filo di vita; su questo filo di vita si è accanita in modo feroce l’avversione di tutti i liberali che hanno ripetuto implacabilmente i loro assalti su ogni parola ovirgola, dei vari punti della legge, che offrisse la possibilità di un qualsiasi emendamento atto a svuotare o sgretolare il Collegio unico nazionale.

Io dico semplicemente questo: le elezioni non si possono svolgere mai in un modo perfetto perché la perfezione non è mai raggiungibile, quindi si svolgono in un modo approssimativo. In questa approssimazione bisogna dar peso a tutti i fattori possibili di correzione e di riequilibrio, perché questi fattori, giocando in diverso modo e con diverso peso, possano dare un risultato più aderente alla realtà. I partiti grandi o piccoli sono delle forze rappresentative della volontà del popolo.

Ora, le preferenze vengono date in un modo tanto strano.

Infiniti fattori di incompetenza, impreparazione, improvvisazione, disorientamento, analfabetismo, suggestione, asservimento, giocano sul voto di preferenza, pregiudicandone, o impedendone del tutto, la libera e sincera espressione. Milioni di analfabeti non possono esprimere alcuna preferenza; se essi potessero chiaramente esprimerla si avrebbero, senz’altro, spostamenti notevolissimi nei risultati.

Davanti a questo cumulo di imperfezioni volete voi dare alle direzioni dei partiti la possibilità di scegliere quegli uomini che sono degni di rappresentare l’idea per la quale è sorto un partito, per la quale un partito vive? Volete dare a queste direzioni dei partiti un po’ di fiducia? No, perché pensate che in dette direzioni si possano compiere azioni scorrette ed allora questa sfiducia per le direzioni dei partiti è sfiducia per i partiti stessi che esprimono la volontà del popolo. Quindi bisogna difendere questo diritto delle direzioni dei partiti ad avere un piccolo peso; piccolo, perché ormai, ridotto ai minimi termini, il collegio unico nazionale ha un peso minimo. Nello stesso tempo i grandi partiti di massa di fronte all’emendamento dell’onorevole Badini e di fronte agli altri emendamenti presentati, anche dall’onorevole Corbino, non sentono eccessive preoccupazioni. Perché, per lo meno cinque deputati i grandi partiti li avranno certamente. Quindi per loro, non è una preoccupazione questa.

Ma l’emendamento dell’onorevole Badini, se fosse approvato, segnerebbe, invece, la morte dei piccoli partiti o per lo meno, la loro esclusione a partecipare alla campagna elettorale.

I piccoli partiti sono nati nella miseria e vivono nella povertà, non hanno i mezzi per far sentire la loro voce e per fare la loro propaganda, pur sostenendo una grande idea, come la sostengo io, che è quella della Federazione mondiale, che è una cosa seria e non da prendere in burletta. Tanto seria che spontaneamente, una grande quantità di Nazioni ha aderito a Montreux, nell’agosto scorso, al primo congresso federalista mondiale dove si radunarono più di cinquecento delegati di venti nazioni di tutti i continenti, per propugnare gli Stati Uniti del Mondo. E questa è un’idea che è degna di essere rappresentata, in un parlamento. Voi, se voterete l’emendamento dell’onorevole Badini, non darete la possibilità al mio Movimento e ai piccoli partiti di ottenere una rappresentanza e questo accanimento contro i poveri, contro i deboli e contro gli umili è oppressione e non libertà. (Applausi a destra – Congratulazioni).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro di votare contro l’emendamento Badini Confalonieri poiché nel sistema proporzionale, i voti sono voti di lista e se una lista raggiunge eventualmente quattro quozienti in tutto lo Stato e quindi non ha diritto di utilizzare la lista nazionale in quanto non rappresenta una corrente degna di essere presa in considerazione nel sistema proporzionale, io mi domando perché i quattro deputati che sono stati eletti hanno il diritto di venire a dire nell’Assemblea la loro opinione in base a dei voti di lista e per quale motivo non devono venirvi gli altri, dal momento che i resti non vengono attribuiti a nessuno?

Se venissero attribuiti ad altri, potrei figurarmi una competizione di interessi, ma dal momento che non vengono attribuiti a nessuno, dico che o non è legittima la funzione dei 3-4 eletti, oppure se quella funzione è legittima, deve essere rispettata in tutti gli esponenti di quella corrente.

Per questo motivo voto contro perché trovo il sistema assolutamente assurdo e contraddittorio con il sistema proporzionale.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Dichiaro di votare contro la proposta in esame perché contrasta con i principî della lista nazionale. Gli uomini sono sempre illustri anche se la lista non raggiunge 4, 5 o 6 quozienti.

PERRONE CAPANO. Domando la chiusura della discussione.

PRESIDENTE. Chiedo se sia appoggiata.

(È appoggiata).

Pongo in votazione la proposta di chiusura.

(È approvata).

PRESIDENTE. Porrò in votazione l’emendamento dell’onorevole Badini Confalonieri con le modifiche proposte dall’onorevole Gullo Rocco:

«Non possono utilizzare i resti in lista nazionale i partiti che non abbiano raggiunto nel complesso delle circoscrizioni almeno cinque quozienti».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Propongo di votare per divisione ponendo ai voti prima il principio e poi il numero dei quozienti necessari per la utilizzazione dei resti.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di. parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione vorrebbe completare le dichiarazioni fatte dall’onorevole Fuschini proponendo di ridurre da 5 a 4 il numero dei quozienti. (Commenti).

MARINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINA. Propongo di ridurre a tre i quozienti.

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Propongo che si riducano a due.

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Propongo un solo quoziente.

SCELBA, Ministro dell’interno. Mi dichiaro favorevole al numero più basso proposto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Badini Confalonieri con le modifiche proposte dall’onorevole Gullo Rocco:

«Non possono utilizzare i resti in lista nazionale i partiti che non abbiano raggiunto nel complesso delle circoscrizioni almeno».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Io ritiro la proposta dei cinque quozienti e mi associo alla proposta della Commissione di quattro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Selvaggi che maggiormente si allontana dal testo proposto:

«un quoziente».

(È approvato).

Si tratta ora di esaminare il problema, posto con numerosi emendamenti, tendente a stabilire l’ordine di elezione dei candidati della lista nazionale.

Alcuni propongono di stabilire questo ordine soltanto in base alle preferenze ottenute dai singoli candidati, nelle liste circoscrizionali.

Secondo altre proposte occorre legare al numero delle preferenze i voti delle liste nella circoscrizione.

Infine altre proposte mettono anche in giuoco il quoziente elettorale.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Relatore per la maggioranza. Osservo che non è attuabile praticamente quanto viene affermato nei vari emendamenti che si riferiscono alle preferenze.

Noi abbiamo sostenuto il sistema della scheda rigida e su questo insistiamo.

PRESIDENTE. Voteremo prima sulla questione di principio. Pongo in votazione l’emendamento presentato dagli onorevoli Martino Gaetano e Corbino:

«Al quarto comma dell’articolo 62, aggiungere:

«L’ordine dei candidati nella lista nazionale sarà stabilito sulla base dei voti di preferenza ottenuti dai candidati nelle liste circoscrizionali».

Su questa votazione è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Miccolis, Russo Perez, Galioto, Abozzi, Colitto, Perrone Capano, Corbino, Lucifero, Fusco e altri.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sull’emendamento proposto dagli onorevoli Martino Gaetano e Corbino.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto.

Presenti e votanti     327

Maggioranza           165

Voti favorevoli        161

Voti contrari                        166

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Barontini Anelito – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Benvenuti – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomi Ivanoe – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cevolotto – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Codacci Pisanelli – Colitto – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Donati – Dossetti – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghiaietti – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giordani – Giua – Gortani – Gotelli Angela – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

La Gravinese Nicola – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro.

Pallastrelli – Paolucci – Parri – Pastore Giulio – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Pera – Perlingieri – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Santi – Sapienza – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Scoccimarro – Scotti Francesco – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tonello – Tonetti – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vigorelli – Vilardi – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zerbi.

Sono in congedo:

Arata.

Canepa – Carmagnola – Cavallari.

Jacini.

Merlin Umberto.

Preziosi.

Ravagnan.

Trulli.

Vanoni – Vernocchi.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi è la seguente proposta di un articolo 9-bis presentata dall’onorevole Perassi:

«Il Governo della Repubblica è autorizzato a coordinare in un testo unico le disposizioni del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, e quelle della presente legge».

Penso non vi sia bisogno di svolgimento.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione lo accetta.

PRESIDENTE. Sta bene. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Vi è ora la seguente disposizione transitoria proposta dall’onorevole Bubbio:

«Per le elezioni che si verificheranno nel 1948 le indennità fissate nei precedenti articoli per i presidenti, i segretari e gli scrutatori delle sezioni elettorali sono ridotte alla metà, quando i percipienti hanno residenza nel Comune in cui ha sede la sezione alla quale sono destinati».

L’onorevole Bubbio ha facoltà di svolgerlo.

BUBBIO. Il mio emendamento è unicamente giustificato da una ragione di economia: noi parliamo sempre di nuove spese, mai di economia. Ora bisogna pensare anzitutto che attualmente i comuni che debbono anticipare queste indennità, le quali anche in via assoluta toccano limiti abbastanza ragguardevoli, si trovano quasi tutti in condizioni di cassa veramente disastrose, sicché anche la sola anticipazione rappresenta un problema non lieve per essi. A quel proposito debbo domandare alla Commissione e all’onorevole Marazza, Sottosegretario per l’interno, la conferma, anzitutto, che queste spese sono a carico dello Stato, come già l’articolo 30 del decreto legislativo 10 marzo 1946 disponeva; tale disposizione dovrebbe rimanere integra, nel senso che le spese per il funzionamento dei seggi elettorali sono a carico dello Stato, rimanendo ben fermo che i comuni non debbono fare, non possono fare che una operazione di anticipazione per conto dello Stato.

Ma, se anche lo Stato, e noi qui rappresentiamo lo Stato, deve sostenere questo non lieve onere, è nostro dovere di cercare di contenerlo; il che mi pare non sia stato tenuto presente dai redattori del progetto.

Ho fatto un calcolo sommario; in base agli onorari previsti dal progetto di legge che stiamo discutendo, vi è fissato l’onorario, di 1.500 lire al giorno per ogni scrutatore, di 2.000 lire al giorno per il presidente e di 1.800 lire al giorno per il segretario di ogni seggio od ufficio elettorale. Se è vero che le sezioni sono 15 mila, si arriva a più di 700 milioni di soli onorari, senza contare tutte le spese di indennità di missione e di trasferta. Sono cifre, quindi, che hanno anche in senso assoluto un certo peso. Di qui la ragione d’essere dell’articolo aggiuntivo da me proposto, nel senso che per quei presidenti, scrutatori e segretari che risiedono nel comune ove ha sede la sezione a cui sono addetti, questi onorari siano ridotti alla metà, e cioè ad una misura, che nella fattispecie può e deve ritenersi adeguata.

Invero non è più il tempo in cui gli scrutatori dovevano essere quasi minacciati da gravi sanzioni per essere indotti ad assumere la funzione; né si deve dimenticare che essa costituisce l’adempimento di un pubblico dovere. Nel 1946 abbiamo visto che c’era una vera ressa di aspiranti, e tutti volevano essere scrutatori, segretari o presidenti, perché allettati da un’indennità notevole. Ora, è giusto che quanto meno, quei segretari, scrutatori e presidenti che abitano nel comune dove sono le sezioni a cui sono applicati, e che non sostengono spesa alcuna né subiscono particolare disagio, in quanto non si trasferiscono, abbiano a percepire soltanto la metà dell’indennità. Ed è già gran cosa, perché l’indennità di uno scrutatore sarebbe in questo caso di 750 lire (la metà di 1.500), e conseguentemente per due giorni 1.500 lire, ciò che rappresenta una cifra che costituisce già un compenso idoneo.

Se inoltre si aggiunge la considerazione che in gran parte questi presidenti, segretari e scrutatori sono tutte persone che sono già impiegati pubblici o privati, o sono medi professionisti, che continuano a percepire tutto il loro stipendio, si ha la conferma che l’onorario dimezzato rappresenta sempre una soluzione per essi ben vantaggiosa.

Dai miei calcoli risulta che, con la disposizione da me proposta, si possono risparmiare circa 300 milioni a carico dello Stato. Quindi, in un momento in cui si parla solo di nuove e maggiori spese, confido che la mia proposta di economia potrà essere accolta.

Voglio fare ancora una considerazione – ed è l’ultima – cioè che queste funzioni andrebbero riguardate come un vero e proprio munus publicum. Pensate che ai testimoni, ai giurati, ai periti, si dà un nonnulla: un medico è obbligato a fare un’autopsia per lire 37,50.

Una voce al centro. Malissimo! Occorre rimediare!

BUBBIO. D’accordo, rimediamo! Ma dimezzare per intanto questa spesa cospicua, credo sia dovere nostro. In questo senso propongo che, non soltanto per il 1948 ciò venga fatto, ma che si stabilisca una norma generale, per cui le indennità fisse e nelle cifre che ho detto, siano diminuite o comunque ridotte quando gli scrutatori, i presidenti, i segretari agiscono nel comune in cui risiedono. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, vuole esprimere il parere della Commissione?

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. La Commissione è favorevole all’accettazione del principio generale espresso dalla proposta dell’onorevole Bubbio, cioè quello di ridurre più che sia possibile le spese.

D’altra parte la disposizione dell’articolo 30 del decreto legislativo luogotenenziale del 1946 non può essere misconosciuta, vale a dire che non si deve dimenticare, che le spese inerenti a tutte le operazioni elettorali non sono a carico dei comuni, ma a carico dello Stato, per cui i comuni non fanno altro che anticipare, e fare il servizio, dirò così, di cassa. Questa è stata l’interpretazione che si è data all’articolo 30.

Comunque, per quanto riguarda la riduzione dell’indennità, questa non è materia di competenza della Commissione, ma tocca al Governo esprimere il suo parere.

PRESIDENTE. Onorevole Marazza, vuole esprimere il parere del Governo.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo non può dichiararsi contrario a nessuna proposta che tenda a limitare le spese. Nel caso specifico sarebbe, poi, particolarmente propenso ad aderire alla proposta dell’onorevole Bubbio, anche per il concetto da lui ultimamente espresso, cioè che si tratta di un munus publicum vero e proprio, e quindi, di un dovere che spetta al cittadino, e per il quale il cittadino dovrebbe semplicemente essere rimborsato delle maggiori spese che gli possano derivare.

Però, non può, tuttavia, rinunciare a far presente come nelle prossime elezioni, trattandosi d’un lavoro particolarmente grave e delicato, come quello che comporta, oltre la nomina dei deputati al Parlamento, anche la nomina dei senatori, il Governo, francamente, non sa se questa, che è stata definita «politica della lesina», debba essere applicata proprio in questo momento.

Il Governo perciò si rimette all’Assemblea alla quale, peraltro, non può non far presente come queste prestazioni, siano particolarmente delicate e doverose, e come, forse anche per i residenti nel comune, dovendo eventualmente protrarsi il loro lavoro nelle ore notturne, si possa verificare un disagio che giustifica questo particolare riconoscimento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo con carattere di disposizione transitoria proposta dall’onorevole Bubbio:

«Per le elezioni che si verificheranno nel 1948 le indennità fissate nei precedenti articoli per i presidenti, i segretari e gli scrutatori delle sezioni elettorali sono ridotte alla metà, quando i percipienti hanno residenza nel comune in cui ha sede la sezione alla quale sono destinati».

(Non è approvato).

Passiamo all’articolo 8-ter, proposto dalla Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«All’articolo 64 è aggiunto il seguente comma:

«Se il caso di sostituzione si verifichi nella lista nazionale e il candidato subentrante sia già deputato nella lista circoscrizionale avente lo stesso contrassegno, si applicherà il capoverso dell’articolo 63».

PRESIDENTE. Il capoverso dell’articolo 63 è il seguente:

«Il deputato che sia eletto nel collegio unico nazionale ed in uno o più collegi circoscrizionali, appena convalidato, si intenderà eletto nel collegio unico nazionale e nella sua lista circoscrizionale prenderà il suo posto il primo dei non eletti».

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore per la maggioranza.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Non è altro che un chiarimento alle già esistenti disposizioni, e richiesto dalla Giunta delle elezioni.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 8-ter proposto dalla Commissione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 9 nel testo della Commissione.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Alle dizioni: Regno, Capo provvisorio dello Stato, Assemblea Costituente, Costituente, Segreteria provvisoria dell’Assemblea Costituente, usate negli articoli del decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, sono rispettivamente sostituite le seguenti: Repubblica, Presidente della Repubblica, Camera dei deputati, Camera, Segreteria della Camera dei deputati».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 9.

(È approvato).

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. All’articolo 24 del decreto legislativo 10 marzo 1946, si parla del modello descritto nella tabella B. Ora, siccome il modello della nuova scheda è contenuto in tre allegati, bisogna correggere quella disposizione, che parla di modello descritto nella tabella B, e dire invece:

«con le caratteristiche essenziali dei modelli descritti nelle tabelle B, C e D, allegate alla presente legge».

PRESIDENTE. Pongo in votazione questo emendamento dell’onorevole Fuschini.

(È approvato).

Nella seduta pomeridiana di ieri l’Assemblea ha deliberato di sopprimere il secondo e terzo comma dall’articolo 42 del decreto legislativo del marzo 1946, che si riferivano alla facoltà di far esprimere il loro voto da un elettore di loro fiducia concessa agli elettori, i quali, secondo la dizione di quell’articolo, per impedimento fisico evidente o validamente dimostrato all’ufficio fossero nella impossibilità di votare. Successivamente, numerosi colleghi hanno ripreso in esame la questione ed hanno presentate varie proposte.

Se questa richiesta fosse venuta soltanto da un collega o da un solo settore, evidentemente avrei dovuto restare fermo alla votazione, la quale non poteva essere ritoccata; ma poiché emendamenti mi sono pervenuti da colleghi di diversi settori, ritengo che le proposte si possano prendere in esame, non per un completo annullamento della votazione di ieri, ma per una rettifica che renda il testo adeguato alla vera intenzione dell’Assemblea.

Gli onorevoli Ferrario, Angelucci, Dossetti, Cappi ed altri hanno presentato la seguente proposta:

«Tutti gli elettori ciechi, mutilati degli arti superiori o affetti da minorità fisica tale da impedire il diretto esercizio del voto, possono partecipare alla votazione mediante l’ausilio di altro elettore da essi prescelto».

L’onorevole Lami Starnuti e l’onorevole Rocco Gullo hanno presentato la seguente proposta:

«I ciechi, i mutilati delle mani e delle braccia e coloro che per consimile assoluto impedimento fisico evidente siano nella impossibilità di votare, sono ammessi dal presidente a far esprimere il voto da un elettore di loro fiducia, in loro presenza».

Gli onorevoli Mortati, Dominedò e Gui hanno presentato la seguente proposta:

«I ciechi, gli amputati delle mani, gli affetti da paralisi e quelli che, a causa di evidenti e gravi impedimenti fisici, non possono esprimere da sé il voto, esercitano il diritto elettorale con l’aiuto di un elettore della propria famiglia o, in mancanza, di un altro elettore volontariamente scelto come accompagnatore. Questo accompagnatore consegna il certificato elettorale del suo mandante, la Commissione accerta, con apposita interpellazione, se l’elettore abbia scelto liberamente il suo accompagnatore e ne conosca il nome e cognome, e registra nel verbale, a parte, questa specie di votazione, indicando il motivo specifico di questa assistenza nella votazione, il nome dell’autorità che abbia eventualmente accertato l’impedimento ed il nome dell’elettore delegato».

L’onorevole Nobile infine, ha presentato la seguente proposta:

«I mutilati di ambedue le mani ed i ciechi sono ammessi dal Presidente a far esprimere il voto da un elettore di loro fiducia e in loro presenza».

Credo che il voto di ieri sera non si debba attribuire a distrazione o incomprensione, ma bensì al fatto che Assemblea ha voluto affermare che, se un’autorizzazione deve essere concessa per i minorati fisici, ciò deve farsi con estrema cautela, per modo che non si rimetta al giudizio puramente soggettivo, di singoli componenti del seggio, la valutazione dell’impossibilità fisica dell’espressione del voto. E perciò, in queste nuove proposte, che, ripeto, prendiamo in considerazione per il loro carattere unanime ritengo che occorra sopprimere ogni termine generico, e ci si debba riferire nel modo più stretto a indicazioni tassative.

A questa stregua, pregherei la Commissione di volere, in base alle varie proposte, definire un testo, che possa essere accettato da tutta l’Assemblea.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Potremmo rispondere subito a questa sua richiesta. Questi emendamenti contengono, nella sostanza, lo stesso concetto; ma l’emendamento dell’onorevole Mortati è più preciso e circostanziato. Noi avevamo pensato che la disposizione, che fu ieri soppressa, fosse troppo generica; e che sia appunto opportuno specificare meglio i casi in cui l’elettore, trovandosi in determinate situazioni di carattere fisico, non sia in grado di votare. Precisare quali siano queste specificazioni mi sembra sia opportuno. L’emendamento Mortati risponde a questa esigenza, ed è più completo e aderente alla realtà, per cui la Commissione vorrebbe che la discussione avvenisse su di esso. Bisognerà poi reinserire l’altra disposizione, che cioè, in questi casi i seggi devono tener conto in verbale di tutti gli elementi che risultano dal fatto che l’elettore si fa accompagnare in cabina da una persona di sua fiducia.

Desidero infine richiamare l’attenzione sull’accompagnatore. A proposito dell’accompagnatore, l’onorevole Mortati propone che si aggiunga «una persona di famiglia». È un’aggiunta che non si trova negli altri emendamenti. Nel caso che l’elettore non possa essere accompagnato da un membro della sua famiglia, può essere accompagnato da una persona di sua fiducia. Certamente è questa una forma di garanzia per l’elettore che non può esprimere da sé la propria volontà. L’onorevole Nasi domanda se chi accompagna deve essere elettore nella circoscrizione. Io ritengo necessario che sia elettore nel comune.

PRESIDENTE. Pregherei gli onorevoli colleghi che hanno presentato altre formulazioni di dichiarare se, accedendo al desiderio espresso dall’onorevole Relatore, fanno propria la formulazione Mortati, salvo alcune modificazioni parziali.

LAMI STARNUTI. Aderisco alla formulazione Mortati.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Se ho bene inteso, nel testo Mortati si parla di un accompagnatore membro della famiglia.

PRESIDENTE. Non è obbligatorio.

NOBILE. Raccomanderei il mio testo, data la sua semplicità, ed anche perché considera i soli casi che costituiscono vero impedimento a votare, cioè quando si è ciechi e quando non si abbiano le due braccia.

MAFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Io non ho una formula precisa da proporre, ma vorrei che la Commissione non si lasciasse guidare da elementi sentimentali, di fronte ad una questione così delicata, che il voto, cioè, corrisponda realmente alla volontà libera ed autocontrollata dell’elettore.

Se noi concedessimo il diritto al voto a persone, che hanno il sistema nervoso totalmente alterato, specie dal punto di vista della responsabilità, o si trovino nella impossibilità fisica di controllare il voto, commetteremmo errore gravissimo.

La qualità di familiare non garantisce la corrispondenza del voto depositato nell’urna alla volontà dell’elettore.

Io, che non potrò mai essere sospettato di non aver tenuto in considerazione i ciechi di guerra, perché li ho tutelati durante l’altra guerra e l’altro dopoguerra, io che sono stato il loro sostenitore durante la discussione dei disegni di legge per il conferimento della pensione e per la loro tutela, legittima, giustificata, doverosa, da parte dello Stato, io, che non posso essere sospettato di questo, ritengo che l’individuo, il quale non vede la scheda che si pone nell’urna, è in condizione di minorazione fisica e mentale…

Una voce. Mentale, no.

COPPI. I ciechi sono eleggibili a deputati; e non possono votare?

MAFFI. Io non discuto sul fatto se siano eleggibili. Dico che Del Croix non poteva avere importanza politica, perché chi lo guidava era sua moglie.

Io ritengo anche che bisogna essere molto cauti nel concedere il diritto di voto a quegli ammalati, che, essendo da lungo sotto assistenza affettuosa, captante, sono portati a votare sotto quella influenza. Sarebbe opportuno adottare una scheda per ciechi; ma tale scheda, per la sua consistenza tattile, è distinguibile, in modo che verrebbe ad indicare il nome dell’elettore, ed il voto non sarebbe più segreto.

Se non v’è il mezzo tecnico per concedere il voto a tutte queste categorie di cui si è occupato l’articolo che abbiamo votato, io consiglio alla Commissione di essere molto cauta nel passare su quello che abbiamo votato.

PRESIDENTE, Leggo due proposte aggiuntive legate allo stesso problema.

L’onorevole Coppa propone l’istituzione di seggi volanti con rappresentanti di tutti i partiti per raccogliere i voti dei ricoverati in luoghi di cura o di mendicità.

Gli onorevoli De Maria e Sullo propongono: «La minorazione fisica deve essere accertata dall’ufficiale sanitario o da un medico condotto che ne rilascia un certificato».

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Credo che noi dobbiamo cercare di riparare al grave torto che si è fatto ai minorati, impedendo loro l’esercizio del diritto di voto.

COPPI. Violando la Costituzione!

RUSSO PEREZ. Certamente, come ha detto il collega Maffi, vi sono inconvenienti nel sistema escogitato dai proponenti di questo emendamento, e, cioè, che la persona, la quale accompagna il minorato, possa non eseguire la volontà di lui. Ma ognuno, naturalmente, sceglierà la persona cara nella quale ha fede. A volte ad una persona cara si dice: «tu sei la pupilla degli occhi miei!». Naturalmente una moglie od una figlia sarà la pupilla del cieco. Domando: ammesso che ci siano degli inconvenienti nel consentire che un sano accompagni il minorato e lo aiuti a votare, non pensa il collega Maffi che sia un male maggiore impedirgli di votare? Si dice: fra due mali scegliere il minore.

MAFFI. Se diverrò cieco non voterò!

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Siamo assai sensibili – io e il mio Gruppo – alle ragioni per le quali viene avanzata la proposta in discussione. Pertanto non eccepiamo, come potremmo, che proprio ieri l’Assemblea stabilì che non si può tornare sulle decisioni prese. Si aggiunga che il divieto, che torna in discussione, fu votato a grande maggioranza. Lo scopo per cui si votava quella disposizione non c’induce tuttavia a richiamare il predetto divieto, e non l’abbiamo eccepito e non l’eccepiamo. Pure è da tener presente che la disposizione che vieta ai minorati e agli infermi di votare a mezzo di loro fiduciario fu votata a larga maggioranza e, potrei dire, fu votata alla quasi unanimità. Essa aveva per fondamento: impedire i brogli e le pastette che in passato si sono fatte, facendo figurare infermi coloro che non erano infermi e mettendo accanto a loro – come fiduciario – colui che doveva vigilare, perché l’elettore votasse nel modo in cui era stato stabilito da chi aveva ideata e voluta la pastetta.

Ma, ripeto, vi è una questione di sentimento, per cui i deputati di tutti i settori hanno dato la firma, consentendo che si tornasse su quella deliberazione. Noi non eccepiamo che non si possa tornare su di essa, ma solo in omaggio a motivi sentimentali che premono sull’animo nostro. Questo sentimento, però, non deve spingerci al di là di quella che è stretta necessità, e non deve servire a fare rientrare dalla finestra ciò che abbiamo solennemente cacciato dalla porta, cioè la possibilità delle pastette in questa materia. Ed allora, a quelle tali infermità che si improvvisano, bisogna tener serrate le porte, e dobbiamo quindi rigorosamente fermarci ai mutilati di ambo le mani ed ai ciechi. Dissento però dalla proposta del mio caro amico e compagno Maffi, di istituire speciali schede di votazione pei ciechi.

Poiché abbiamo una massa enorme di cittadini che la guerra ha minorato – la massa dei mutilati degli arti superiori e dei ciechi – riteniamo che sarebbe poco generoso, sarebbe poco umano negare a coloro che hanno sacrificato la vista, a coloro che hanno sacrificato l’integrità della loro persona alla Patria, la possibilità di partecipare alla vita politica del Paese, di esprimere il loro voto.

Uno dei colleghi che hanno già parlato in argomento, ha ricordato che anche costoro sono eleggibili. Ed allora, non si capisce, sarebbe anzi incongruenza, che, pur essendo eleggibili, non potessero di fatto essere elettori. È giusta, aggiungo e conchiudo, l’osservazione, la proposta dell’onorevole Mortati, il quale richiede che costoro siano accompagnati da persone familiari, ed io aggiungerei, dalla famiglia vera e propria e non già in genere da congiunti più o meno lontani, e ritengo pur giusto impedire che qualcuno, nel giorno delle elezioni, funzioni da fiduciario di molti minorati che sono impossibilitati a stilare il voto personalmente.

Una voce al centro. Se non hanno la famiglia?

STAMPACCHIA. Noi non dobbiamo risolvere il caso singolo, preoccuparci del caso eccezionale.

Circa i seggi volanti, che sono stati proposti, essi non dànno nessun affidamento; non solo, ma potrebbero essere fonte di quei tali brogli, che, col voto di ieri, abbiamo voluto impedire. Ed ho finito.

COPPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPA. Io vorrei chiarire perché ho proposto di creare dei seggi volanti. È una questione di ordine pratico, perché noi abbiamo visto il disagio che hanno affrontato gli infermi per andare a votare il 2 giugno ed anche nelle elezioni amministrative. Il sistema da me proposto è più semplice, non solo per quanto riguarda l’identità personale, che è uno dei coefficienti da tener presente, ma anche per stabilire se l’infermo possieda la capacità di intendere e di esprimere la propria volontà, perché, essendo ricoverato in un luogo di cura, il corpo medico può dire se quell’infermo è in grado, o non, di esprimere la sua volontà.

Quanto a quello che ha detto l’onorevole Maffi, io mi permetto di osservare che entro certi limiti noi tocchiamo anche la questione dell’analfabetismo, che non è risolta attraverso il simbolo della lista, perché il voto porta di conseguenza il voto preferenziale, e l’analfabeta per difetto di educazione si trova in uno stato pari a quella infermità, che noi chiamiamo cecità verbale.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Ma non è un difetto fisico.

COPPA. La cecità verbale ha le stesse conseguenze di un difetto fisico. Non saper dare un contenuto ad un simbolo grafico, noi chiamiamo cecità verbale.

L’analfabeta si trova nelle condizioni del cieco, col solo vantaggio di poter identificare il simbolo, ma di essere incapace di dare il voto al candidato che preferisce, e per conseguenza è nelle stesse condizioni in cui si trova il cieco, perché deve fare un atto di fede sul numero cui corrisponde il nome del suo candidato.

Voci. Chiusura! Chiusura!

PRESIDENTE. È stata chiesta la chiusura. Domando se è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo ai voti.

(È approvata).

L’onorevole Sullo ha dichiarato di ritirare la sua firma dall’emendamento testé letto, firmato anche dall’onorevole De Maria. Non essendo questi presente, l’emendamento si intende decaduto.

Chiedo all’onorevole Maffi se insiste nella sua proposta.

MAFFI. Tenuto conto di tutte le possibilità tecniche che potessero consentire ai ciechi di votare, ho accolto alcune proposte concrete che mi sono state fatte, e le ho riassunte nella seguente formulazione:

«Saranno organizzate sezioni di voto per i ciechi dove il voto sarà espresso con schede speciali che permettano ai ciechi di controllare il loro voto col metodo Braille». (Commenti) .

Non siate inquieti quando si cerca di risolvere un problema così delicato. Perché, se v’è un metodo concreto per far votare i ciechi di guerra io ne sento tutta l’importanza.

PRESIDENTE. Mi perviene ancora un emendamento aggiuntivo, a firma dell’onorevole Minio, del seguente tenore:

«Nessun elettore potrà esercitare la funzione di accompagnatore per più di un invalido. Sul tagliando del suo certificato elettorale verrà fatta apposita annotazione dal presidente del seggio nel quale assolve tale funzione.

«I presidenti del seggio devono richiedere il tagliando degli accompagnatori per constatare se essi abbiano già in precedenza esercitato tale funzione».

La Commissione ha facoltà di esprimere il proprio parere.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Non ho potuto interpellare gli altri membri della Commissione che, del resto, non sono nemmeno tutti presenti.

Personalmente sono favorevole all’emendamento proposto.

NOBILE. Chiedo che si voti per divisione sulla elencazione degli invalidi.

PRESIDENTE. Sta bene. Abbiamo, quindi, il testo dell’onorevole Maffi, che però non esclude quello Mortati che resta valido per tutte le altre categorie di invalidi.

Darò comunicazione al momento del voto di piccole modificazioni apportate a questo ultimo testo dal suo proponente.

Infine, v’è l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Minio, che mira a circondare di particolari cautele il riconoscimento dell’esercizio del voto agli invalidi.

Pongo intanto in votazione la formulazione proposta dall’onorevole Maffi, testé letta.

(Non è approvata).

Do ora lettura della prima parte del testo dell’onorevole Mortati, modificato secondo il parere della Commissione, sul quale si voterà per divisione, secondo la richiesta Nobile:

«I ciechi, gli amputati delle mani, gli affetti da paralisi e quelli che, a causa di evidenti e gravi impedimenti fisici, non possono esprimere da sé il voto, esercitano il diritto elettorale con l’aiuto di un elettore della famiglia o, in mancanza, di un altro elettore che sia iscritto nel comune e che sia stato volontariamente scelto come accompagnatore».

Votiamo per divisione l’elencazione degli invalidi ai quali si concede questa particolare facoltà.

Pongo in votazione le parole:

«I ciechi».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«gli amputati delle mani».

(Sono approvate).

Passiamo alle parole:

«gli affetti da paralisi».

Non so se questa minorazione abbia riferimento alla votazione già avvenuta che si riferiva agli amputati delle mani: prego qualche collega medico di darci delle indicazioni.

COPPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COPPA. Si potrebbe dire: «i colpiti da paralisi degli arti superiori che impedisca l’esercizio della scrittura».

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Se mi permette, onorevole Presidente, vorrei esprimere la mia alta meraviglia che si discuta di una siffatta questione.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, non esprima nessuna meraviglia, la prego; faccia piuttosto delle proposte concrete.

MORTATI. Desidero osservare che vi possono essere dei casi di paralisi, per esempio degli arti inferiori, che rendano necessario l’accompagnamento sino nella cabina elettorale. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Coppa, testé formulato.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Pongo ora in votazione la formulazione dell’onorevole Mortati:

«gli affetti da paralisi».

(È approvata).

Passiamo all’altro impedimento considerato:

«e quelli che, a causa di evidenti e gravi impedimenti fisici, non possono esprimere da sé il voto».

Mi permetto di osservare, onorevoli colleghi, che si riprende qui una formulazione quasi analoga a quella che l’Assemblea ieri sera ha deliberato di sopprimere; a parte il rilievo che l’elencazione precedente poteva essere evitata, quando si aggiunge questa formula che la comprende.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Mi permetta, signor Presidente, ma ritengo che vi sia un duplice motivo che sorregge la necessità di votare questo inciso:

1°) si sottolinea così la gravità dell’ipotesi contemplata, in quanto connessa, e perciò richiamantesi, anche per analogia, alle precedenti ipotesi di specifica gravità;

2°) è connesso l’articolo proposto a tutte quelle garanzie sul controllo obiettivo dell’infermità o del grave impedimento fisico, per cui v’è un’innovazione rispetto al testo di ieri sera.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Propongo che si dica: «o altro impedimento evidente di analoga gravità».

TARGETTI. Signor Presidente, v’è anche un mio emendamento, aggiuntivo della parola «permanente».

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Targetti.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. La ragione per cui possiamo – a mio avviso – tornare sull’emendamento già votato è che noi intendiamo di precisare la volontà dell’Assemblea, che non si è espressa, o anzi è stata travisata dal voto.

Questa volontà era di ammettere al voto i ciechi e coloro che per essere amputati degli arti superiori non possono materialmente esprimere il voto. (Commenti al centro).

Tutto il resto non volevamo ammetterlo; ed è in questo senso che abbiamo votato.

Non intendiamo affatto di tornare sul voto; intendiamo di chiarirlo. La formula molto elastica proposta dall’onorevole Mortati, permette, invece, di ripristinare la formula che abbiamo voluto escludere.

Per questa ragione io voterò contro lo emendamento Mortati.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Aderisco, anche a nome del mio Gruppo, e quindi anche dell’onorevole Mortati, all’emendamento Rossi.

PRESIDENTE. Desidero far presente che i motivi espressi da molti colleghi, che si occupano particolarmente del problema, si riassumono in questo argomento principale, che vi sono cioè delle categorie come quelle dei ciechi e dei mutilati di guerra, che non possano essere colpite dalla privazione del diritto di voto.

È pacifico che si tratta di mutilazioni e di invalidità permanenti. Il cieco di guerra è purtroppo sempre cieco; il mutilato alle braccia è purtroppo sempre mutilato; pertanto mi pare che l’emendamento Targetti risponda a questa esigenza.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza, Ella, onorevole Presidente, ha fatto una specificazione: si è riferito ai ciechi di guerra e ai mutilati di guerra. Si può rilevare che esistono anche i ciechi ed i mutilati sul lavoro. Quindi è bene non fare specificazioni.

PRESIDENTE. Non ho voluto fare una specificazione, ma soltanto giustificare la ragione dell’inciso proposto dall’onorevole Targetti con gli argomenti adoperati a giustificarlo.

È evidente che la stessa considerazione dei ciechi di guerra meritano anche gli altri ciechi.

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. Mi devo richiamare a quanto l’onorevole Presidente ha detto, cioè non doversi tornare su quanto deliberato. Ritengo, pertanto, che non si debba votare la successiva frase dell’emendamento Mortati.

PRESIDENTE. Onorevole Minio, la preclusione si solleva all’inizio della discussione e non all’atto della votazione.

MINIO. Si è solo parlato di categorie.

PRESIDENTE. Col concorso che ella, onorevole Minio, ha dato alla formulazione, ha dimostrato di non voler sollevare un problema preclusivo. Tutta la discussione che si sta facendo è diretta allo scopo di restare il più aderenti possibile alla decisione di ieri sera.

Pongo in votazione la formulazione dell’onorevole Rossi Paolo, accettata dall’onorevole Mortati.

«o altro impedimento evidente di analoga gravità».

(È approvato).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Targetti di aggiungere l’aggettivo «permanente» alla parola «impedimento».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione le seguenti altre parole della prima parte dell’emendamento Mortati:

«esercitano il diritto elettorale con l’aiuto di un elettore della famiglia o, in mancanza, di un altro elettore che sia iscritto nel comune».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le seguenti ultime parole:

«e che sia stato volontariamente scelto come accompagnatore».

(Sono approvate).

A questo punto si inserisce la proposta dell’onorevole Minio, il cui primo comma è del seguente tenore:

«Nessun elettore potrà esercitare la funzione di accompagnatore per più di un invalido».

La pongo in votazione.

(È approvata – Rumori al centro – Commenti).

Voci al centro. Controprova! (Commenti all’estrema sinistra).

Una voce all’estrema sinistra. Non si vota due volte. (Proteste al centro).

PRESIDENTE. Non ho nulla in contrario ad indire la controprova.

(Segue la controprova).

Mi rammarico di dover dire che per constatazione personale mia e dei Segretari, numerosi colleghi hanno votato due volte, prima a favore e poi contro. (Commenti).

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Io ho assistito a diverse votazioni e a diversi commenti senza prendere la parola a nome della Commissione, ma non posso tacere il mio stupore per ciò che è accaduto. Io faccio presente che su questo punto il primo voto è stato un voto di maggioranza; era un voto valido e pertanto non v’era bisogno di un nuovo voto.

UBERTI. Non si è avuto un nuovo voto! (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Non interrompa, onorevole Uberti.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Io non so se la Presidenza intenda ritornare sul voto già dato, ma desidero esprimere il parere unanime della Commissione che l’emendamento dell’onorevole Minio è stato approvato.

UBERTI. Unanime no!

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Venga qui a sentirlo.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, mi permetta che glielo dica. Se fra di noi i rapporti devono essere di carattere amichevole, e lo sono, e me ne compiaccio, non bisogna pensare che in Assemblea ci si possa condurre come in un crocchio di amici. Se vuol far valere i suoi diritti di commissario segga al banco della Commissione, anche se ciò la obbliga a trascurare i compiti di segretario del suo Gruppo.

Partecipi ai lavori della Commissione, li segua anche durante la discussione, ma non pretenda di funzionare contemporaneamente come segretario del Gruppo e membro della Commissione. In questo momento la Commissione per l’Assemblea è quella che siede all’apposito banco, e l’onorevole Scoccimarro ha fatto la sua dichiarazione in nome della Commissione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Non sono d’accordo con quanto ha asserito il Presidente, poiché non ho trovato nessun articolo del regolamento che imponga ai membri della Commissione di sedere al banco delle Commissioni. Poiché i membri della Commissione elettorale sono 24 mancherebbe anche il posto materiale per sedere a quel banco.

Ora, il Presidente della Commissione poteva dire: la Commissione a maggioranza. Ma l’onorevole Scoccimarro ha detto: «all’unanimità». Questa frase egli non la poteva dire.

Non solo, ma io non trovo nel regolamento nessuna incompatibilità fra le funzioni di segretario di Gruppo parlamentare e le funzioni di commissario. Quindi protesto contro questa prassi che si vuole introdurre. (Rumori all’estrema sinistra). Una votazione è compiuta con la controprova, che pertanto rappresenta una seconda fase, una riprova della votazione, non una votazione a sé stante. Se la controprova mette in dubbio la prima fase, non si può respingere la controprova, né dichiararla una seconda votazione.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la controprova ha dimostrato che vi sono troppi colleghi che o per distrazione, o per incomprensione, o per disattenzione, quando si vota non sanno che cosa votano, tanto che votano e per il sì e per il no. Poco fa, troppi colleghi hanno votato l’una volta e l’altra, ma la votazione non si può rifare, perché sarebbe pregiudicata da ciò che è avvenuto.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Sarò brevissimo. Ella ha accennato a deputati che hanno votato due volte. Mi trovo all’incirca in questo caso, perché non ho votato né la prima né la seconda volta: sono rimasto sempre seduto, perché non avevo capito bene la questione, e quindi mi sono astenuto.

Mi permetto di esprimere questo mio parere personale: che chi ha votato la prima volta senza rendersi conto di come votava, ha torto; per cui, secondo me, la prima votazione deve essere ritenuta valida e non già la seconda, la quale ha avuto luogo dopo che chi ha votato si è accorto di avere sbagliato. (Commenti).

È accaduto precisamente questo: che moltissimi che non avevano capito, o perché distratti o per altre ragioni, hanno votato senza sapere bene che cosa votavano, senza pensare ad astenersi come ho fatto io. Ora, votare senza sapere che cosa si vota, è un errore: si paghino, dunque, le conseguenze di questo errore, e si ritenga valida la prima votazione per la serietà dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Sta bene. Non rimane, dunque, che confermare l’esito della prima votazione, già annunziato.

Pongo in votazione il secondo comma dell’emendamento Minio, del seguente tenore:

«Sul tagliando del suo certificato elettorale verrà fatta apposita annotazione dal presidente del seggio nel quale assolve tale funzione. I presidenti del seggio devono richiedere il tagliando degli accompagnatori per constatare se essi abbiano già in precedenza esercitato tale funzione».

(È approvato).

Proseguiamo nell’emendamento Mortati che nei commi successivi, seguendo le proposte della Commissione, è stato così modificato:

«Questo accompagnatore consegna il certificato elettorale del suo mandante, la commissione accerta, con apposita interpellazione, se l’elettore abbia scelto liberamente il suo accompagnatore e ne conosca il nome e cognome, e registra sul verbale, a parte, questa specie di votazione, indicando il motivo specifico di questa assistenza nella votazione, il nome dell’autorità che abbia eventualmente accertato l’impedimento e il nome dell’elettore delegato.

«Il certificato medico eventualmente esibito deve essere allegato al verbale».

Il Governo ha facoltà di esprimere il proprio parere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo accetta anche questa nuova formulazione.

PRESIDENTE. Sta bene. La pongo in votazione.

(È approvata).

Onorevole Coppa, mantiene la sua proposta sopra i seggi volanti?

COPPA. La mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. La proposta Coppa è del seguente tenore:

«Sono istituiti seggi volanti con rappresentanti di tutte le liste per raccogliere i voti dei ricoverati in luoghi di cura e di mendicità».

La pongo in votazione.

(Non è approvata).

Su altra questione, discussa, ma non portata a conclusione, l’onorevole Minio propone il seguente emendamento:

«Il numero delle preferenze è di tre, se i deputati da eleggere sono fino a 15, di quattro, da 16 in poi».

L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione in maggioranza ritiene che l’Assemblea ha deciso che si debbano ammettere i voti di preferenza, ma non ha ancora deciso sui particolari.

Accetta pertanto la proposta presentata dall’onorevole Minio.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Io voterò per la vecchia norma, perché per i piccoli collegi tre voti di preferenza sono troppi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta Minio, testé letta.

(È approvata).

Comunico che gli onorevoli Fiore e Bartalini hanno proposto la seguente formulazione:

«Sarà consentito ai naviganti di votare nel porto di armamento».

L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Abbiamo già esaminato attentamente la questione e constatato la difficoltà di stabilire un metodo idoneo. In altre parole, la Commissione non è riuscita a trovare una soluzione tecnica. I competenti uffici dei Ministeri dell’interno e della marina mercantile ci hanno dichiarato che un simile problema, in questo momento, non è solubile, come non era solubile nel 1946, quando lo stesso problema fu prospettato in sede di Consulta Nazionale. Con lo studio e con gli accorgimenti che potranno essere escogitati in momenti di maggior calma, questo diritto dei naviganti potrà essere sodisfatto: ma ancora non v’è la possibilità di realizzarlo.

BARTALINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BARTALINI. La difficoltà, a cui si allude, sussiste soltanto nel caso che si vogliano far votare i naviganti sulle navi. Per farli votare a terra non c’è alcuna difficoltà, perché basta consentir loro di votare nella circoscrizione del porto di armamento. Essi hanno infatti i libretti di navigazione e il certificato elettorale e quindi sono in regola.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Faccio una semplice osservazione: se non sono naviganti possono anche votare nella circoscrizione alla quale appartengono.

BARTALINI. Ma non fanno in tempo a recarsi dal porto di armamento alla circoscrizione a cui appartengono. Se sono, ad esempio, di Messina o di Torre del Greco, potranno votare a Genova, secondo il nostro emendamento; se invece dovranno recarsi da Genova a Torre del Greco o a Messina non faranno a tempo.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Partiranno ventiquattro ora prima.

PRESIDENTE. Sarebbe necessario che i tecnici della materia ci spiegassero la situazione. Tutti però sappiamo che i marittimi sono iscritti nei registri di un determinato porto in cui sostano pressoché in permanenza in attesa dell’imbarco.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ogni marittimo è un cittadino elettore iscritto in una lista elettorale. Egli si può trovare a terra; o imbarcato su una nave che si trova in un porto dello Stato; oppure, infine, su una nave la quale si trova fuori dei porti dello Stato. Se si trova a terra, egli è nella condizione degli altri che non sono marittimi. Se è fuori della sua circoscrizione elettorale, si trova nella condizione di tutti i cittadini che sono fuori della propria circoscrizione elettorale. E qui, tutt’al più, si potrebbe concedere a coloro che sono imbarcati il diritto di votare dove si trovano, come si è fatto per i carabinieri e per altri. Nel caso non dei naviganti (i naviganti non possono votare) ma di persone imbarcate a bordo di navi che si trovino, nel giorno della votazione, nei porti dello Stato, esse potrebbero votare dove si trovano. Il porto di armamento non c’entra, perché una nave si può trovare a Barletta, il suo porto di armamento è Savona, il marittimo è di Venezia ed è inscritto nelle liste elettorali di Pozzallo. Ci sono tutti questi casi da tener presenti. (Commenti).

MAZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZA. I marittimi che, ad esempio, si trovino nel porto di armamento di Genova e votano a Genova, per quale lista votano? Per quella presentata a Genova o per quella della loro circoscrizione?

PRESIDENTE. Secondo la proposta dell’onorevole Bartalini, essi votano per la lista della circoscrizione del porto di armamento.

MAZZA. Se è così, voterò contro questa proposta.

BARTALINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BARTALINI. Modifico il mio emendamento dicendo:

«nel porto in cui si trovano».

PRESIDENTE. Pongo ai voti questa formulazione:

«Sarà consentito ai marittimi di votare nel porto in cui si trovano».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Vi sono ora due proposte che si riferiscono ad una votazione già avvenuta, concernenti l’elencazione degli esclusi dal diritto elettorale passivo. La prima proposta è stata presentata dagli onorevoli Perassi, Carboni Angelo, Crispo, Bellavista, Condorelli, Pignatari, Villabruna, Salerno, Meda, Di Gloria, Musotto, Reale Vito, Candela, Perrone Capano, Dominedò, Bozzi, Bonino e Sapienza:

«Sono eccettuati dalla esclusione della eleggibilità, per le cause di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 8 dell’articolo 2-ter, coloro che, avendo ricoperto le cariche e gli uffici ivi previsti prima del 3 gennaio 1925, abbiano poi fatto parte della Consulta Nazionale o dell’Assemblea Costituente».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere questa proposta.

PERASSI. L’emendamento che ho presentato insieme con colleghi di diversi gruppi ha una portata estremamente modesta. D’altra parte mi sembra che l’eccezione, nei limiti di cui è proposta, sia giustificata, in quanto il fatto che persone indicate nell’articolo 2-ter siano poi state comprese nella Consulta Nazionale o siano state elette all’Assemblea Costituente permette di consentirne la eleggibilità. Faccio presente che l’eccezione riguarderebbe soltanto coloro che hanno ricoperto cariche minori e le hanno ricoperte prima del 3 gennaio 1925.

Date queste limitazioni e dato soprattutto che, a quanto risulta da indagini fatte, la portata concreta dell’eccezione è estremamente piccola, mi pare che la proposta possa trovare accoglimento da parte dell’Assemblea.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Soltanto per un chiarimento: l’indagine sul passato politico di coloro che furono ammessi a far parte della Consulta Nazionale fu rigorosissima, e mi ricordo – essendo stato Commissario governativo a quei tempi – che noi si permise di entrare in quella Assemblea ad alcune persone che abbiamo poi viste in questa Assemblea. Quindi io voterò a favore.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta dell’onorevole Perassi, della quale ho dato testé lettura.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Segue una proposta di disposizione transitoria dell’onorevole Mortati, del seguente tenore:

«Coloro i quali prima dell’entrata in vigore della presente legge abbiano ottenuto una pronunzia di proscioglimento da parte della speciale Commissione per le sanzioni elettorali di cui al decreto legislativo luogotenenziale 2 aprile 1945, n. 149, non incorrono nelle sanzioni di cui alla presente legge».

Pongo in votazione questa proposta.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Occorre ora esaminare una proposta presentata dall’onorevole Morelli Renato, tendente a fare includere nella legge il seguente articolo aggiuntivo:

«L’elettore incluso definitivamente nell’elenco degli astenuti senza giustificato motivo è sottoposto, con decreto dell’intendente di finanze, al pagamento della somma di lire 200 se non iscritto nei ruoli dell’imposta complementare sul reddito e di lire 2000 se iscritto nei detti ruoli».

L’onorevole Morelli ha facoltà di svolgere la sua proposta.

MORELLI RENATO. Mi pare che la mia proposta sia di un’estrema semplicità. Si tratta di trarre tutte le conseguenze da un principio che abbiamo già votato nella Costituzione, nella quale si è dichiarato che l’esercizio del voto è un dovere civico. In questa legge, poi, che abbiamo esaminato, è già consacrata, all’articolo primo, l’obbligatorietà del voto.

C’è anche una procedura per accertare la giustificazione o meno dell’assenza. Evidentemente, si tratta di trarne la logica conseguenza di applicare una sanzione pecuniaria che è, del resto, minima. Mentre lo Stato affronta spese fortissime per le elezioni, è giusto che siano sottoposti a sanzione coloro che in nessun modo intervengano alla votazione.

Aggiungo che altro è l’obbligatorietà del voto e altro è l’obbligatorietà della presenza alle urne elettorali: gli assenti non possono neanche esercitare il diritto di astensione, che si esercita lasciando la scheda in bianco.

PRESIDENTE. Invito la Commissione a esprimere il proprio parere.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione non ha avuto la possibilità di esaminare questo emendamento. Dei colleghi qui presenti alcuni si dichiarano favorevoli, altri contrari; io personalmente ritengo che non sia logico gravare quella che già era una sanzione d’ordine morale che si stabilì nella prima legge e che a molti pareva già eccessiva e che obiettivamente lo era.

Stupisce oggi sentire un liberale che vuol coartare la libertà dell’elettore e fargli pagare una multa se non vuol votare. (Commenti).

CARPANO MAGLIOLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARPANO MAGLIOLI. Desidero dichiarare che noi siamo contrari all’emendamento proposto dall’onorevole Morelli, giacché anche l’esercizio del voto in senso passivo – ossia con l’assenza dalle urne – è pur sempre un diritto. Noi voteremo pertanto contro l’emendamento proposto dall’onorevole Morelli Renato.

CORBINO Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Poiché dovremo approvare la legge per l’elezione dei senatori, propongo che la questione relativa al voto obbligatorio si discuta in quella sede, rimanendo inteso che la soluzione che le sarà data varrà anche per la elezione dei deputati. (Commenti).

PRESIDENTE. Mi pare che si debbano intanto chiarire i termini della questione. In questo momento, con la proposta dell’onorevole Morelli, non si pone in principio il problema del voto obbligatorio se non nei limiti in cui l’Assemblea ha creduto di doverlo risolvere e lo ha in effetti risolto in sede costituzionale. Si tratta invece di aggravare le sanzioni che la legge per la elezione della Costituente stabiliva in termini di carattere meramente morale. Poiché, però, io prevedo, onorevole Morelli, che la discussione sarebbe ugualmente amplissima, veda se non le sia possibile aderire alla richiesta dell’onorevole Corbino, in maniera tale che, se discussione dovrà esserci, sia una discussione che abbia quella sostanza e quella fondatezza che le sono necessarie.

MORELLI RENATO. Concordo pienamente con l’esatta interpretazione dei limiti della questione data dall’onorevole Presidente. Per non abusare della pazienza dell’Assemblea, mi ero astenuto dallo svolgere ampiamente la mia proposta. Mi permetta solo, onorevole Presidente, di rispondere all’onorevole Scoccimarro che di noi liberali si dice a volte che concepiamo astrattamente la libertà e poi si urla contro di noi quando invece dimostriamo di averne una concezione concreta, che si accompagna a quella della solidarietà sociale.

Per noi intervenire nella votazione è un dovere e rispondo al collega onorevole Carpano Maglioli che ci si può astenere dal voto anche mettendo nell’urna la scheda in bianco (e allora l’interpretazione dell’astensione è univoca). Se viceversa l’astensione risulta dalla semplice assenza, essa assume un aspetto equivoco, perché può essere anche conseguenza di pigrizia, di infingardaggine, di scarso senso di dovere verso la società.

Ciò premesso, non posso aderire al pensiero del Presidente, e ciò per ragioni tecniche.

Sono un modesto studioso di diritto, e mi ripugna che noi oggi variamo una legge, nella quale, dopo aver affermato un principio, non se ne traggono le logiche e giuridiche conseguenze.

PRESIDENTE. Le conseguenze sono state tratte; che non siano state tratte tutte è un’opinione.

MORELLI RENATO. Dicevo, appunto, che non tutte sono state tratte.

PRESIDENTE. Infatti, perché una sanzione è stata già prevista.

Su questa proposta dell’onorevole Morelli Renato è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto. (Commenti).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Io chiedo che su questa questione, che è in enorme gravità, si discuta a fondo, e dichiaro che farò un discorso non breve. (Commenti). Non è possibile far passare la questione del voto obbligatorio, mutando la semplice sanzione morale della legge in una sanzione pecuniaria, senza discuterla. Fare questo alle 14.10 non è lecito e non è serio.

Domando, quindi, se l’onorevole Morelli insiste, che si rimandi ad altra seduta un’ampia discussione su questo problema.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Mi dichiaro d’accordo con l’onorevole Cevolotto. Non è possibile votare su una questione così importante senza una previa discussione, mentre con una richiesta di scrutinio segreto si impediscono perfino le dichiarazioni di voto. In queste circostanze, il nostro Gruppo si astiene dal voto.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Mi associo alle considerazioni e alle conclusioni dell’onorevole Togliatti.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Aderisco alle considerazioni e alle conclusioni degli onorevoli Cevolotto e Togliatti.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Chiedo formalmente che la questione sia rinviata alla Commissione.

PRESIDENTE. Se questa proposta fosse accolta, la Commissione dovrebbe poter riferire sul problema sollevato fra due ore, all’inizio della seduta pomeridiana.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo che il problema venga deferito alla Commissione, ma non posso assumere l’impegno di portare fra due ore il parere della Commissione. Questo è un problema che anche in Commissione sarà discusso a lungo prima di arrivare a una decisione. Quando avremo finito di discutere in Commissione porteremo il nostro parere. Non posso prendere impegni di tempo. (Commenti prolungati).

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Occorre richiamarsi alle norme di procedura di fronte all’atteggiamento di alcuni colleghi. Che il problema sia importante siamo d’accordo; che si possano avere idee in contrasto siamo pure d’accordo; ma non è giusto e legittimo che si venga a fare un ricatto di fronte… (Proteste – Rumori).

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, la prego di considerare con maggior rispetto i suoi colleghi.

DOSSETTI. …di fronte alla questione che ci è sottoposta. Forse la parola da me usata è eccessiva. Ritengo comunque che si tratti di pressioni. E noi diciamo che ove ci si voglia valere di queste pressioni per costringere l’Assemblea a non trarre tutte le conseguenze che è giusto trarre, domani non si potrà prendere la decisione finale. (Rumori).

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Io ho l’impressione che vi siano partiti che hanno la preoccupazione che i loro aderenti abbiano bisogno di una sanzione per dover votare, mentre vi sono altri partiti, più disciplinati, ai cui aderenti basta la preghiera della direzione del partito per indurli a esercitare il diritto di voto. La questione è tutta qui.

Ma ora non si può affrontare la discussione. Ci troviamo in uno scorcio di tempo e di lavori per cui una discussione di tal fatta sarebbe impossibile. Si potrà invece discutere quando si dovrà esaminare la legge per l’elezione del Senato. Altrimenti adesso ci sarà la minaccia di prorogare i lavori di oggi e di domani.

Io proporrei dunque, se possibile, di rinviare la discussione sulle sanzioni a carico di coloro che non votano a quando dovremo affrontare lo stesso argomento per l’elezione del Senato.

PRESIDENTE. Evidentemente l’onorevole Giannini accede alla proposta già fatta dall’onorevole Corbino.

GIANNINI. Perfettamente. È meglio che ci atteniamo a quella proposta, perché adesso, con questo nervosismo, si rischia di metterci tutti di cattivo umore e d’infirmare l’importanza della seduta di domani.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la richiesta della Commissione non è un arbitrio, ma deriva da un diritto. L’articolo 90 del Regolamento dice che la discussione di un articolo aggiuntivo o emendamento proposto nella stessa seduta sarà rinviata all’indomani quando lo chieda la Commissione competente. Il rinvio è stato chiesto e non lo si può rifiutare.

Vorrei aggiungere che domani si terrà, comunque, la seduta per la votazione a scrutinio segreto della Costituzione. Questa legge non ha nulla a che fare con la votazione della Costituzione, e se qualcuno volesse mescolare le due questioni occorre che si ricreda. A nessuno può venire in mente di compromettere la seduta di domani, sia pure per una questione importante come quella delle sanzioni per l’assenza dalle urne.

Detto questo, poiché la Commissione ha chiesto il rinvio e il rinvio non può essere rifiutato, mi pare che non vi sia altro da aggiungere. L’alternativa è solo questa: ritrovarci oggi o ritrovarci domani mattina. Se la Commissione oggi non ha nulla da portarci (la Commissione ha diritto a 24 ore), non ci resta che rinviare i nostri lavori a domani mattina.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Chiedo al Presidente se, accettandosi di rinviare questa votazione e in attesa della deliberazione della Commissione, la legge si intende senz’altro approvata ed oggi vada posta in votazione a scrutinio segreto, oppure se tutto rimane sospeso. Desidererei una risposta esplicita.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Non si contesta, signor Presidente, il diritto della Commissione. Ma io propongo all’attenzione dell’onorevole Presidente questo quesito: vero è che generalmente la Commissione parla per bocca del suo autorevole Presidente, ma, nella fattispecie che ci interessa, vorrei sapere se il Presidente della Commissione ha riunito i membri della medesima per sapere – perché la Commissione è un collegio e decide a maggioranza – se si tratti di opinione personale del Presidente oppure della maggioranza della Commissione.

PRESIDENTE. Comunque, occorre sospendere la discussione, per dare la possibilità alla Commissione di riunirsi.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Il rinvio alla Commissione si intende che non pregiudica in alcun modo la eccezione di preclusione in relazione all’articolo della Costituzione nel quale sono definiti i caratteri del voto.

SAMPIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SAMPIETRO. Per l’articolo 90 deve essere la Commissione a chiedere il rinvio. Ora, invece, ci si trova di fronte soltanto alla proposta di un collega, il quale chiede che l’esame della questione sia preliminarmente demandato alla Commissione.

PRESIDENTE. Non sottilizziamo in questa maniera. Intanto è certo che in questo momento non possiamo votare. D’altra parte, onorevole Sampietro, ella sa che è sufficiente che vi siano dieci colleghi nell’aula che facciano questa richiesta perché la richiesta debba essere accolta.

Dato che è stato chiesto il rinvio, motivato del fatto che l’emendamento è stato presentato nel corso della stessa seduta, bisogna aderire a questa richiesta.

Onorevole Uberti, mi perdoni se non rispondo alla sua domanda, perché si risponde alle domande che sono giustificate; ella che segue tanto attentamente i nostri lavori sa che dobbiamo ancora approvare l’ultimo articolo della legge in esame; e fino a quando non sarà approvato l’ultimo articolo non si potrà passare alla votazione finale a scrutinio segreto.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Osservo che la sensibilità di alcuni Gruppi può sembrare eccessiva, dal momento che la stessa Assemblea ha approvato l’obbligo della firma di presenza per i deputati e la sanzione del non pagamento dell’indennità per coloro che non siano presenti alle sedute, o, meglio, che non prendano parte alle votazioni.

Tuttavia, perché non sembri che si voglia profittare oggi della circostanza di molti deputati assenti, mi dichiaro d’accordo per il rinvio della discussione della mia proposta a stasera o a domani.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, rimane stabilito che il seguito della discussione è rinviato alla seduta pomeridiana, se la Commissione avrà pronta la sua conclusione, oppure alla seduta di domani mattina.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 14.25.

POMERIDIANA DI SABATO 20 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 20 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Targetti

Mortati

Lussu

Bellavista

Bordon

Grassi

Giannini

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

Presidente

Scoccimarro, Presidente della Commissione

Nobile

Lucifero

Colitto

Rescigno

Grilli, Relatore per la minoranza

Fuschini, Relatore per la maggioranza

Scelba, Ministro dell’interno

Corbino

Piccioni

Badini Confalonieri

Martino Gaetano

Uberti

Marina

Mazza

Fabbri

Togliatti

Mattarella

Cifaldi

Miccolis

Cevolotto

Crispo

Giannini

Numeroso

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Gullo Rocco

Treves

La Malfa

Rossi Paolo

Cappa

Perrone Capano

Donati

Caronia

Basile

Arcangeli

Morelli Renato

Pignatari

Patrissi

Mastino Gesumino

De Martino

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Sull’ordine dei lavori:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MAZZA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo all’Assemblea che stamani si è sospesa la discussione sulla sesta norma transitoria, in attesa che ne fosse concordato il testo fra i presentatori degli emendamenti.

Comunico che è stato presentato il seguente testo che dovrebbe costituire il primo comma della sesta norma transitoria già proposta dall’onorevole Mortati e da altri:

«L’Assemblea Costituente sarà convocata dal suo Presidente per deliberare entro il 31 gennaio 1948 sulla legge elettorale del Senato della Repubblica e sugli statuti regionali speciali».

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Vorrei chiedere all’onorevole Mortati se non avrebbe nulla in contrario ad aggiungere in questo comma anche l’indicazione della legge sulla stampa.

MORTATI. Aderisco alla proposta del collega Targetti.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Vorrei soltanto fare una considerazione sull’ordine di discussione di questi argomenti.

PRESIDENTE. Questa elencazione non ci impegna a seguire un ordine prestabilito, ma semplicemente l’indicazione delle materie.

LUSSU. Proprio su questo problema desideravo attirare l’attenzione dell’Assemblea. Noi, se avessimo avuto la possibilità di farlo, avremmo certamente discusso ed approvato i quattro statuti delle Regioni particolari, perché debbono far parte della Costituzione. Ora, mi pare che, non avendo avuto tempo di far questo, noi faremmo bene fin da adesso a stabilire che il primo problema che verrà posto in discussione nel mese venturo, quando l’Assemblea verrà riconvocata, sarà quello degli statuti regionali speciali. Dopo discuteremo la legge elettorale del Senato ed infine – se l’Assemblea lo crederà opportuno – anche la legge sulla stampa. Il mio parere è che fin d’ora dobbiamo fissare questo ordine dei lavori, vale a dire dare la precedenza, come nostro obbligo, agli statuti particolari che formano materia costituzionale.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Non mi sembra fondata la preoccupazione dell’onorevole Lussu in relazione al progetto che viene al nostro esame, poiché non si tratta di stabilire un ordine di precedenza nella discussione, che deve essere – a mio parere e secondo la palese parola della proposta – completamente esaurita. Vale a dire: «e per il coordinamento degli statuti e per la legge elettorale del Senato e per la legge sulla stampa», senza con questo che un argomento od una proposta esaminata in precedenza escludano la possibilità del completamento di decisioni nei confronti degli altri argomenti.

Perciò le preoccupazioni – che d’altra parte potrebbero essere fondate – del collega Lussu vengono eliminate. Si dovranno esaminare non soltanto i coordinamenti degli statuti regionali speciali, ma anche la legge sulla stampa e la legge elettorale del Senato.

LUSSU. Ma gli statuti sono leggi costituzionali!

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Pregherei l’onorevole Mortati di voler aderire alla proposta fatta dall’onorevole Perassi di non fissare una data o quanto meno di voler mettere: «prima della convocazione dei comizi elettorali».

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Mi pare che siamo d’accordo su quello che il Presidente dell’Assemblea ha detto. Questa è una indicazione, non è una elencazione: sono argomenti che dovranno venire tassativamente all’ordine del giorno dell’Assemblea, ma l’Assemblea, come sempre, è sovrana, è padrona del suo ordine del giorno e lo formerà, volta per volta, come crederà. L’importante è stabilire che gli argomenti della prossima tornata di lavori dell’Assemblea saranno quelli indicati nella norma transitoria della Costituzione.

BORDON. Vorrei sapere se aderisce alla mia proposta.

GRASSI. Non possiamo aderire.

PRESIDENTE. Onorevole Bordon, se riesco a interpretare la sua preoccupazione, essa è questa: che gli statuti particolari, ed in particolare quello della Val D’Aosta, siano al più presto votati.

BORDON. Volevo far presente la necessità di aver una maggiore disponibilità di tempo. Siccome stiamo coordinando gli statuti ed abbiamo coordinato lo statuto sardo, per cui restano ancora da coordinare gli altri tre statuti, sarebbe bene avere dinanzi a noi il massimo tempo possibile e quindi fissare una data oltre il 31 gennaio, quale potrebbe essere almeno il 7 o 1’8 febbraio.

PRESIDENTE. Onorevole Bordon, l’onorevole Mortati dichiara che non è d’accordo con la sua proposta. Ne fa una proposta formale?

BORDON. Sì. Bisognerebbe arrivare almeno alla data di convocazione dei comizi elettorali.

PRESIDENTE. Allora, si potrebbe dire: «fino alla data del decreto di convocazione dei comizi elettorali».

Passiamo alla votazione. Il primo comma è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente sarà convocata dal suo presidente per deliberare, entro il 31 gennaio 1948, sulla legge elettorale del Senato della Repubblica, sugli statuti regionali speciali, sulla legge per la stampa».

L’onorevole Bordon propone di sostituire all’indicazione «31 gennaio 1948», la seguente frase;

«sino alla data del decreto di convocazione dei comizi elettorali».

Votiamo quindi per divisione. Pongo in votazione le parole:

«L’Assemblea Costituente sarà convocata dal suo Presidente per deliberare».

(Sono approvate).

Pongo in votazione l’emendamento Bordon al testo Mortati:

«fino alla data del decreto di convocazione dei comizi elettorali».

(Non è approvato).

Pongo in votazione le parole:

«entro il 31 gennaio 1948».

(Sono approvate).

Pongo in votazione l’ultima parte del primo comma:

«sulla legge elettorale del Senato della Repubblica, sugli statuti regionali speciali e sulla legge per la stampa».

(È approvata).

Dobbiamo ora passare al primo comma – che diviene ora secondo – del testo Mortati, del seguente tenore:

«Fino al giorno delle elezioni delle nuove Camere, l’Assemblea Costituente potrà essere riconvocata, quando vi sia necessità di deliberare sulle materie attribuite alla sua competenza dagli articoli 2, commi primo e secondo, e 3, commi primo e secondo, del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98».

TARGETTI. Chiedo di parlare sull’ordine della votazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi sembrerebbe il caso, prima di passare a questo secondo comma, di porre in votazione il comma corrispondente del nostro emendamento.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Mi sembrava che avessimo discusso a lungo su questa questione e ci fossimo trovati d’accordo nel votare come seconda parte l’articolo proposto dall’onorevole Mortati ed altri.

Non possiamo accettare la formulazione dell’onorevole Targetti, perché l’articolo 58 della Costituzione prevede il funzionamento normale del potere legislativo e quindi ciò che succede fra una legislatura e l’altra. Qui, invece, ci troviamo di fronte ad una Assemblea Costituente, ossia ad un organo eccezionale che finisce i suoi poteri, e dobbiamo creare i nuovi organi del potere legislativo. Pertanto, non si tratta di applicare l’articolo 58, ma di fare qualche cosa di analogo. E questo qualche cosa di analogo l’abbiamo risolto in questa maniera: stabilendo un periodo – che va sino al 31 gennaio 1948 – nel quale saranno approvati determinate leggi e provvedimenti. Inoltre, in via del tutto eccezionale, stabiliamo che l’Assemblea potrà rivivere – oltre che per le facoltà interne di Commissioni e di potere ispettivo che le diamo – come Assemblea, soltanto nei casi stabiliti dall’articolo 2, comma primo e secondo – rielezione del Presidente della Repubblica – e dall’articolo 3, che riguarda le materie costituzionali o legislative che il Governo intenda presentare all’Assemblea.

Non possiamo riallacciarci ad una questione che si svolgerà quando il potere legislativo sarà normalmente stabilito, ma dobbiamo fare una disposizione ponte, una disposizione transitoria che possa risolvere qualche caso di emergenza che potrebbe presentarsi da oggi fino alle prossime elezioni.

PRESIDENTE. Allora pongo in votazione dapprima la formulazione proposta dall’onorevole Targetti:

«In applicazione della norma di cui al secondo comma dell’articolo 58 della Costituzione, i poteri dell’Assemblea Costituente sono prorogati dalla data del suo scioglimento sino al giorno delle elezioni delle nuove Camere».

(Non è approvata).

Pongo in votazione il secondo comma, testò letto, della formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

(È approvato).

Il terzo comma è invece simile nei due testi, salvo alcune lievi modificazioni formali.

Pongo in votazione il terzo comma nel testo Mortati:

«In tale periodo le Commissioni permanenti restano in funzione. Quelle legislative rinviano al Governo i disegni di legge, ad esse trasmessi, con eventuali osservazioni e proposte di emendamento. I deputati possono presentare al Governo interrogazioni con richiesta di risposta scritta».

(È approvato).

L’ultimo comma si presenta con formulazione e con sostanza diverse rispettivamente nelle due proposte Targetti e Mortati. Propone l’onorevole Targetti:

«L’Assemblea Costituente può, in tale periodo, essere convocata in via straordinaria dal suo Presidente su richiesta o del Governo o di almeno 200 deputati».

Propone invece l’onorevole Mortati:

«L’Assemblea Costituente, agli effetti di cui al secondo comma del presente articolo, è convocata dal suo Presidente su richiesta motivata del Governo o della metà più uno dei suoi membri».

Prego di tener presente che vi sono due diversità: la prima è quella che si riferisce ai poteri dell’Assemblea eventualmente riconvocata; la seconda, quella che si riferisce al numero dei deputati che devono fare la richiesta perché il Presidente proceda alla riconvocazione.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Osservo che avendo già noi approvato il secondo comma del testo Mortati, in base al quale l’Assemblea può essere convocata per deliberare soltanto sulle materie di cui agli articoli 2 e 3, commi primo e secondo, del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, appare superflua la votazione sulla prima parte del testo Targetti.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, data la votazione che abbiamo già fatta del secondo comma – che costituiva in precedenza il primo comma del testo dell’onorevole Mortati – come giustamente ha osservato l’onorevole Grassi, non è possibile mettere in votazione la formulazione della prima parte dell’ultimo comma dell’onorevole Targetti, la quale lascia indeterminata la materia.

E pertanto, su questa prima parte dell’ultimo comma non v’è da porre in votazione che la formulazione dell’onorevole Mortati. Resta aperta, invece, alla votazione la seconda parte dell’emendamento Targetti, per quanto si riferisce al numero dei deputati che può richiedere la convocazione.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Per un chiarimento, onorevole Presidente. Forse ricordo male, ma mi sembrava ci fosse una proposta dell’onorevole Giannini che fissava il quorum in un terzo; noi avevamo inteso col nostro emendamento di andare incontro a chi proponeva la metà, elevando il terzo a 200.

GIANNINI. Non v’è stato un regolare emendamento.

PRESIDENTE. Non so se l’onorevole Giannini intenda fare adesso una proposta formale.

GIANNINI. V’è stata una proposta verbale; ma la differenza con l’emendamento Targetti è di così poco rilievo che non mette conto di fare una proposta apposita.

PRESIDENTE. Allora, pongo in votazione la prima parte dell’ultimo comma nel testo Mortati:

«L’Assemblea Costituente, agli effetti di cui al secondo comma del presente articolo, è convocata dal suo Presidente su richiesta motivata del Governo».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte, secondo la proposta dell’onorevole Targetti:

«o di almeno duecento deputati».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, è approvata).

La sesta norma transitoria risulta, nel suo complesso, così approvata:

«L’Assemblea Costituente sarà convocata dal suo Presidente per deliberare, entro il 31 gennaio 1948, sulla legge elettorale del Senato della Repubblica, sugli statuti regionali speciali e sulla legge per la stampa.

«Fino al giorno delle elezioni delle nuove Camere, l’Assemblea Costituente potrà essere riconvocata, quando vi sia necessità di deliberare nelle materie attribuite alla sua competenza dagli articoli 2, commi primo e secondo, e 3, commi primo e secondo, del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98.

«In tale periodo le Commissioni permanenti restano in funzione. Quelle legislative rinviano al Governo i disegni di legge, ad esse trasmessi, con eventuali osservazioni e proposte di emendamento. I deputati possono presentare al Governo interrogazioni con richiesta di risposta scritta.

«L’Assemblea Costituente, agli effetti di cui al secondo comma del presente articolo, è convocata dal suo Presidente su richiesta motivata del Governo o di almeno 200 deputati».

Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946 n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

Ieri mattina avevamo sospeso la discussione per dar modo alla Commissione di presentare all’Assemblea un testo che sodisfacesse almeno in parte i presentatori dei vari emendamenti circa l’utilizzazione dei resti. Chiedo all’onorevole Presidente della Commissione di riferire in proposito.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione si è riunita con i presentatori degli emendamenti, ma non si è arrivati ad una decisione comune su tutte le questioni controverse; su alcune sì e su alcune no. Perciò, quando le singole questioni verranno in discussione, la Commissione comunicherà le sue decisioni.

PRESIDENTE. Darò allora la parola ai presentatori degli emendamenti all’articolo 3-bis. L’onorevole Nobile ha proposto il seguente emendamento:

«Al primo comma dell’articolo 15, alla parola «dodici», sostituire la parola «quattro».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Ho proposto sostanzialmente una riduzione. Non è che insisto sul numero di quattro: potrebbe essere anche di sei. Però mi sembra conveniente favorire i piccoli partiti. Ecco perché propongo una riduzione.

Nella passata legge erano 12 le circoscrizioni nelle quali era necessario aver presentato una lista perché si fosse ammessi nel Collegio nazionale. Ora, proporrei che invece di dodici si parlasse di quattro o sei. Ad ogni modo, insisterei per una riduzione di quel numero.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Lucifero e Condorelli:

«Sostituire il terzo comma dell’articolo 15 col seguente:

«Nessuno può essere candidato nel Collegio unico nazionale se non è candidato in un collegio circoscrizionale. Nessuno può essere eletto nel Collegio unico nazionale se non è stato eletto in un collegio circoscrizionale».

L’onorevole Lucifero ha facoltà di svolgerlo.

LUCIFERO. Signor Presidente, la lista nazionale ha sollevato moltissime discussioni; tante discussioni che solo per un pelo essa è passata anche nella nuova legge. Le osservazioni sono state di vario genere, ed hanno un carattere di diversa natura, che deve essere esaminato.

Evidentemente, con la nuova Costituzione – ed io prego gli onorevoli colleghi di fare attenzione per l’avvenire a quanto io dico – la lista nazionale, come fu congegnata nel passato, non può assolutamente reggere. Del resto, anche nella nuova legge si dice che la lista nazionale viene stabilita ai soli fini della utilizzazione dei resti: cioè, la lista nazionale non può avere altra funzione ed altro fine che quelli di impedire che si disperdano i resti.

Qualunque altra funzione esorbiterebbe dalle espresse intenzioni del legislatore. Faccio notare che la nostra Costituzione, sotto il regime della quale, essendo stato respinto il concetto del referendum, dovrebbero svolgersi le prossime consultazioni e con la quale la legge elettorale deve essere in perfetta sincronia, anche se sarà votata e approvata prima della Costituzione, stabilisce all’articolo 45, secondo capoverso, che il voto è personale. Ora, è evidente che nella lista nazionale, così come sarebbe congegnata nell’attuale progetto di legge che riproduce il precedente, il voto non sarebbe personale. Il voto sarebbe nettamente impersonale, perché i voti andrebbero alle persone alle quali quei voti non erano destinati: persone le quali non erano comprese nella lista. Ma non basta. L’articolo 53 della Costituzione stabilisce che la Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.

Ora non vi è dubbio che, così come è congegnata la legge oggi, così come fu congegnata la legge ieri, la lista nazionale rappresenti un sistema di elezione indiretta. Perciò, due volte incostituzionale sarebbe la lista nazionale, se rimanesse tale quale è stata congegnata.

Noi siamo stati dei costituenti e siamo stati dei costituenti in un clima spesso rovente e non sempre sereno; e certe volte abbiamo giocato un po’ troppo con la nostra Costituzione e con le nostre stesse deliberazioni. Ma io vi parlo da uomo il quale pensa che, con l’approvazione della Costituzione e con la sua entrata in vigore, certo clima rovente e certe mancanze di serenità abbiano a cessare in Italia. E vi parlo anche con la triste esperienza di chi è stato membro della Giunta delle elezioni, cosa che, vi assicuro, non mi capiterà più. Non mi posso dimettere, ma potrò pregare di non esserci messo.

Ad ogni modo io sono convinto che l’Assemblea Costituente correggerà la lista nazionale, in modo che essa diventi strumento di democrazia e non rimanga strumento di partitocrazia.

Ma, se essa dovesse restare tale quale essa è, la Giunta delle elezioni e la Corte costituzionale avranno da divertirsi; perché non ci saranno dei cavilli, ma ci saranno dei legittimi motivi di diritto costituzionale, per ricorrere contro certe elezioni. E noi ci troveremo non solo di fronte ad una serie di contestazioni, ma ci troveremo di fronte a tutta una serie di elezioni annullate e di fronte al modo di risolvere i problemi, che da questi annullamenti sorgeranno.

Allora, sorge la necessità di inquadrare la lista nazionale nel nostro diritto.

A questo tende l’emendamento che l’onorevole Condorelli ed io abbiamo presentato. Questo emendamento vuole legittimare costituzionalmente ed anche moralizzare democraticamente l’esistenza, ormai consacrata, di questa lista nazionale.

La prima parte di esso, da me già proposta in sede di Consulta, fu approvata allora ed è stata depennata dalla legge attuale; ma c’era nella precedente. È quella che stabilisce che nessuno possa essere eletto nella lista nazionale, se non si è presentato agli elettori in liste circoscrizionali. Ed abbiamo visto – i colleghi della Giunta delle elezioni lo possono confermare – che in sede di certe contestazioni questo periodo ci è servito di guida per interpretare la legge e ci ha dato modo di chiarire alcune situazioni.

Ma io qui ripresento l’emendamento quale lo presentai allora, perché non avrebbe senso comune esigere da un individuo che si presenti in lista circoscrizionale, se poi non si esigesse anche la sua elezione nella lista circoscrizionale perché egli possa essere proclamato nella lista nazionale.

È un po’ difficile dire certe cose; ma io sono uomo franco; spero che nessuno si adonterà.

Noi abbiamo avuto dei candidati in liste circoscrizionali che hanno sfiorato la elezione, avendo ottenuto migliaia e migliaia di voti preferenziali; mentre abbiamo visto entrare nella Costituente persone, egregissime e rispettabilissime, fra le quali ho anche qualche carissimo amico, le quali in tre collegi erano riuscite sì e no a racimolare 400 voti; cioè persone che il Corpo elettorale aveva rifiutato. È spiacevole dire questo; ma la democrazia, purtroppo, è fatta di scelta di popolo e non di elezione di élites e noi non possiamo ammettere che le segreterie di partito, che già costituiscono delle élites, nominino deputati per loro conto e spesso contro la volontà del popolo. Per questo pensiamo che la prima parte vada integrata con la seconda, e cioè sia necessario affermare che, come è obbligo per ciascun candidato della lista nazionale il presentarsi in lista circoscrizionale, così nessuno possa essere eletto nella lista nazionale se non è stato eletto nella sua circoscrizione. L’opzione obbligatoria è già nella legge precedente ed il concetto affermato nella legge era cioè che chi era stato eletto nella circoscrizione ed apparteneva alla lista nazionale doveva andare ope legis nella lista nazionale per far posto al suo successore immediato nella lista circoscrizionale. Si tratta di consacrare questo principio. Si può fare una sola obiezione a questo principio: cosa facciamo, se nessuno sarà eletto? Ebbene, onorevoli colleghi, se un movimento politico nell’epoca moderna della democrazia organizzata non riesce ad avere un eletto, io sono molto in dubbio se debba entrare in Parlamento, perché intendiamoci bene: rappresentanza di minoranze sì – ed io qui sono una rappresentanza di minoranze e parlo come minoranza – ma rappresentanza di minoranze qualificate; perché se vogliamo raggiungere frazionamenti fino all’individuo, allora ciascuno di noi è minoranza e potrebbe reclamare la sua rappresentanza.

In secondo luogo, un’altra osservazione si può fare: che cosa faremo se alla lista nazionale venissero più quozienti dei candidati eletti nelle circoscrizioni che in essa siano compresi? Questa è un’obiezione matematica la quale non regge alla pratica; obiezione che dimostra una seconda moralizzazione della lista nazionale, perché costringerà i partiti a mettere in lista nazionale non i raccomandati di Tizio o di Caio, o i figli di papà, ma coloro che abbiano già indicazioni e sicurezza nel corpo elettorale. Io credo che la lista nazionale, triste malattia entrata nel sistema elettorale italiano, che la partitocrazia ha imposto per combattere la democrazia, esclusivamente nella legge elettorale italiana, possa essere sanata e moralizzata con questo imperativo: mettervi solo coloro di cui si è convinti che possano avere veramente i suffragi popolari.

Insisto quindi perché questo emendamento venga accolto. Ne guadagnerà la consapevolezza dei partiti, ne guadagnerà il prestigio del Parlamento, ne guadagnerà la democrazia che è fatta di rispetto delle sue regole e che nella lista nazionale vede un altro tentativo con cui la parademocrazia dei partiti, organizzati anche contro la democrazia, cerca di trovare la via di inficiarne il funzionamento onesto, corretto, semplice e morale. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Giannini ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il terzo comma dell’articolo 15, col seguente:

«Non risulteranno eletti, né saranno proclamati, quei candidati inclusi nella lista nazionale che non siano stati eletti almeno in una circoscrizione».

«Al quarto comma dell’articolo 15, alle parole: tre liste, sostituire le parole: cinque liste».

L’onorevole Giannini non è presente.

COLITTO. Li faccio miei e rinuncio a svolgerli, tanto più che il primo è assai simile a quello testé svolto dall’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE. L’onorevole Tumminelli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma dell’articolo 15, col seguente:

«Nel Collegio unico nazionale possono essere eletti i candidati delle liste circoscrizionali che non risultino eletti nella circoscrizione e abbiano riportato il maggior numero di voti preferenziali».

Non essendo egli presente, si intende che rabbia rinunziato a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Alla fine del quinto comma dell’articolo 16, sono aggiunte le parole: e la sua sottoscrizione è nulla».

Ha facoltà di svolgerlo.

RESCIGNO. Il mio emendamento riguarda l’articolo 16 e tende a colmare una lacuna della legge. Invero nell’articolo 16 si stabilisce che «Nessun elettore può sottoscrivere più di una lista di candidati. Il colpevole è punito con la reclusione sino a tre mesi e con la multa sino a lire 10.000». Ma non si dice nulla circa la sorte delle sue sottoscrizioni, se restino valide o siano nulle, come dovrebbe essere. Perciò propongo che si stabilisca espressamente che le sue sottoscrizioni siano nulle.

PRESIDENTE. Seguono gli emendamenti dell’onorevole Grilli, del seguente tenore:

«Al settimo comma dell’articolo 16, sopprimere le parole: e collegarsi col Collegio unico nazionale».

«All’ottavo comma, sopprimere le parole: e a presentare eventualmente la lista dei candidati al Collegio unico nazionale per la utilizzazione dei voti residuali».

Ha facoltà di svolgerli.

GRILLI, Relatore per la minoranza. In seguito alla votazione sul collegio unico nazionale gli emendamenti sono decaduti.

Vorrei dire una parola soltanto sull’emendamento Lucifero. Io sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Lucifero nelle critiche alla lista nazionale, ma, disgraziatamente, queste critiche ormai costituiscono soltanto un elogio funebre al mio emendamento, che è morto ieri mattina.

Era tale la mia speranza che la lista nazionale morisse, che non mi posso assuefare ancora all’idea che sia viva. Però, l’emendamento proposto dall’onorevole Lucifero porterebbe ad un grave inconveniente, danneggerebbe i piccoli partiti, e, badate, non i piccolissimi soltanto, ma anche certi partiti che pur avendo in Italia quasi un milione di voti non riuscissero a raggiungere un quoziente in nessuna circoscrizione. Io vi faccio l’esempio del Partito d’azione che ha portato alla Camera sette deputati per mezzo del collegio unico nazionale.

Il Partito d’azione non ha ottenuto un quoziente in nessuna delle circoscrizioni, ma in tutta Italia ha avuto 600-700.000 voti.

UBERTI. Trecentomila.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Siccome il quoziente più basso è stato quello di Catanzaro di 30.000 voti, voi potete supporre anche che un partito abbia 26-27-28-29.000 voti per ogni circoscrizione e non riesca a raggiungere un quoziente, mentre in tutta Italia potrebbe raggiungere 700-800.000 voti. Ora, un partito che ha 700-800.000 elettori ha ben diritto di avere qui la sua rappresentanza, altrimenti non si rispetta più il principio della rappresentanza delle minoranze. Ed allora, correggiamo la lista nazionale, cerchiamo di renderla più piccola che sia possibile. Ma, col sistema proposto dall’onorevole Lucifero non si rimedia nulla e la lista nazionale diventerebbe soltanto un aiuto per i grandi partiti, mentre costituirebbe la morte dei piccoli partiti. Nell’interesse dei piccoli partiti, e ieri mi si è detto che anche il mio è un piccolissimo partito, nell’interesse dei piccoli partiti sono contrario all’emendamento Lucifero.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere l’avviso della Commissione sopra gli emendamenti.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Circa l’emendamento Rescigno, la Commissione non avrebbe nessuna difficoltà ad accettarlo. È esatto l’emendamento dell’onorevole Rescigno in quanto, la legge del 1946, dopo aver stabilito che non si possono sottoscrivere più liste di una stessa circoscrizione, e chi le sottoscrive cade sotto la sanzione penale di 10 mila lire di multa, non dice poi, come giustamente ha osservato l’onorevole Rescigno, che valore abbia la sottoscrizione che è, direi così, colpevole, come un abuso di sottoscrizione. Quindi, appare giusto l’emendamento dell’onorevole Rescigno e la Commissione non avrebbe difficoltà ad accettarlo.

BUBBIO. Ma se l’elettore non sa che ha sottoscritto più liste?

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Per evitare ogni inconveniente sarà consigliabile di non attenersi ai limiti ristretti indicati dalla legge circa il numero minimo dei presentatori di lista. Basterà far sottoscrivere le presentazioni da più di 500 elettori.

Per quanto si riferisce all’emendamento dell’onorevole Lucifero, devo far presente all’Assemblea che egli non ha fatto altro che riecheggiare qui le resistenze che egli già fece in sede di Consulta nazionale, quando si trattò della lista nazionale.

Ora, la Commissione della Consulta non propose che colui che è in lista nazionale debba per obbligo essere iscritto candidato in una circoscrizione: fu il Consiglio dei Ministri che propose questa inserzione…

LUCIFERO. La proposi io.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Ma non fu accolta dalla Consulta.

LUCIFERO. Ma era nella legge.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Era nella legge, ma vi fu messa dal Consiglio dei Ministri.

A parte questo e la giustissima osservazione dell’onorevole Grilli, credo che si debba tener presente tutto il congegno che fa capo al Collegio unico nazionale ad alla lista nazionale.

L’onorevole Lucifero ha detto che si vien meno alla Costituzione. Ora, io penso che l’onorevole Lucifero prescinda dal sistema elettorale proporzionale. Nel sistema elettorale proporzionale si vota una lista e non un nome. Poi si è aggiunto il congegno delle preferenze; ma questa aggiunta della preferenza non ha alcuna influenza sul valore dei voti ottenuti dalla lista: il valore della lista è determinato dai voti sul contrassegno, cioè dal voto di lista.

Ora, l’elettore non vota solo la lista per i candidati che trova nella lista della sua circoscrizione. La legge ha stabilito un insieme di misure perché venga a notizia dell’elettore che mentre dà il voto di lista, egli vota non solo per la lista della sua circoscrizione e può dare preferenza ad alcuni candidati della stessa lista, ma vota anche per la lista nazionale dello stesso contrassegno, collegata con la lista circoscrizionale. Della lista nazionale si dà notizia a tutti per mezzo della Gazzetta Ufficiale; e nelle sale elettorali è affissa, oltre alla lista circoscrizionale, anche ogni lista nazionale.

Per quanto si riferisce al voto di preferenza, il voto di preferenza è esclusivamente ammesso per la lista circoscrizionale. Ma per la lista nazionale la legge ha stabilito che non vi è preferenza, vale a dire che si tratta di una scheda rigida.

Ora, non mi pare che si possa sostenere che queste disposizioni offendano il principio costituzionale che il voto deve essere personale o diretto.

No, non va contro alle disposizione della Costituzione, perché l’elettore esprime il suo personale divisamento sulla lista circoscrizionale votando prima di tutto il contrassegno e scegliendo, o non scegliendo anche uno o più candidati. Se fosse esatta l’eccezione dell’onorevole Lucifero si dovrebbe concludere che il sistema proporzionale sarebbe contrario alla norma costituzionale, mentre invece l’Assemblea Costituente ha ritenuto, con un suo ordine del giorno, che alla elezione della Camera dei deputati si debba applicare il sistema proporzionale.

Si tratti di sistema proporzionale o di sistema uninominale il voto è sempre personale cioè è l’elettore che lo esprime in persona: se vota una lista o vota un nome singolo il voto è sempre «personale».

L’onorevole Lucifero ha qui ripetuto l’appunto che fu eccepito in sede di Consulta nazionale dal consultore Rizzo, che il voto non sia diretto. Ma è anche questo un errore di interpretazione sul significato della parola «diretto».

Quando si parla di voto diretto, si intende dire che l’elettore deve esprimere definitivamente lui solo la sua scelta. Orbene, il voto che si dà nel sistema proporzionale, sia esso a scheda rigida o a scheda con le preferenze, è sempre un voto diretto dato dall’elettore. Non trovo, quindi, come si possa parlare di voto indiretto. Di voto indiretto si può parlare soltanto nel caso in cui gli elettori siano chiamati a scegliere determinate persone incaricate di esprimere esse il voto definitivo. Questo soltanto può definirsi voto indiretto.

Pertanto, le obiezioni sollevate dall’onorevole Lucifero non hanno alcuna seria consistenza e non possono essere prese in considerazione. L’onorevole Lucifero non vuole poi riconoscere i partiti, ed io sono semplicemente meravigliato che tale misconoscimento ci venga proprio da lui, che è oggi il valoroso segretario del Partito liberale italiano.

Io non comprendo, francamente, come egli possa assumere un atteggiamento contro i partiti, perché in fondo il suo atteggiamento offende – permettetemi se credo di poter parlare così – offende, dicevo, l’interesse del suo stesso Partito: offende l’interesse del suo Partito più che dei grandi partiti, perché il sistema dei resti favorisce essenzialmente i piccoli e medi partiti più che i grandi; e ciò è stato, infatti, lo scopo fondamentale per cui noi abbiamo accettato questa forma di utilizzazione dei resti.

Ho detto che non favorisce certo i grandi partiti. Voi potete, infatti, pensare che il Partito comunista, il Partito socialista, allora unificato, e il Partito democristiano che hanno raccolto sul loro contrassegno le più vaste espressioni della consultazione popolare del 2 giugno 1946, non avrebbero sofferto gran che nella grande cifra della loro rappresentanza, ove fosse mancato questo sistema dei resti.

I medî partiti invece – e ve ne sono ed io mi auguro che crescano non di numero ma di consistenza, specialmente a destra ed a sinistra – i medî ed i piccoli partiti, dunque, si sono giovati del sistema dei resti. Soprattutto i piccoli partiti se ne sono giovati, i piccoli partiti che avevano una qualche significazione politica.

Onorevoli colleghi, partiti medî e piccoli hanno tutto l’interesse a mantenere la lista nazionale per l’utilizzazione dei resti. Se alcuni di voi non si persuadono di questo constatando i risultati elettorali del 2 giugno 1946, ciò dipende evidentemente da una pregiudiziale astratta che nega tutto ciò che proviene dal sistema proporzionale.

Ma la proposta più grave dell’onorevole Lucifero è quella che non siano eletti nella lista nazionale coloro che non sono già stati eletti in una lista circoscrizionale. L’onorevole Lucifero ha il dono di essere costantemente coerente con le sue premesse e con certi suoi determinati principi di carattere politico – lo riconosco apertamente. Ma osservo all’onorevole Lucifero quanto segue: se la lista nazionale per l’utilizzazione dei resti deve contenere degli uomini di partito che abbiano già la sicurezza in partenza di riuscire eletti nelle circoscrizioni, uno dei fini viene a mancare. L’onorevole Lucifero non ignora che uno dei fini della lista nazionale è proprio quello di favorire elementi della vita dei partiti che meritano di sedere in un’Assemblea legislativa (Commenti) e che indipendentemente dalla loro volontà, non sono adatti a sostenere il satanico gioco delle preferenze che si svolge nell’interno di ogni lista. (Commenti a destra).

Ora, noi riteniamo che, pretendere che i candidati della lista nazionale siano riusciti già eletti nelle circoscrizioni, turbi completamente tutta l’euritmia del congegno, che fa capo al Collegio unico nazionale e alla lista nazionale.

Noi abbiamo voluto valorizzare non solo i partiti di minoranza, ma tutti i partiti che sostengono la lotta elettorale; e siccome sono i partiti che dirigono la lotta elettorale, noi riteniamo che i partiti abbiano anche la capacità di fare essi un vaglio degli uomini che possano esser utili alla loro attività nel campo parlamentare. E dobbiamo riconoscere, onorevoli colleghi, che la scelta dei partiti, a parte le incongruenze che vi possono sempre essere, non è certamente inferiore alla scelta che possono fare gli elettori.

Bisogna essere obiettivi e considerare tutti i lati del problema. In questa obiettività voi troverete, io penso, il conforto e l’appoggio per riconoscere che il sistema del Collegio unico nazionale con la lista nazionale rigida è il sistema che conviene maggiormente a tutti per realizzare in giusto modo l’utilizzazione dei resti. Non ho altro da dire.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Il Governo si rimette all’Assemblea per quanto riguarda tutti gli emendamenti, ad eccezione di quello proposto dall’onorevole Rescigno.

Il Governo esprime l’avviso che l’emendamento dell’onorevole Rescigno non possa essere accolto per questi motivi: in base alle disposizioni attualmente vigenti, se un elettore sottoscrive due liste, la sua sottoscrizione è valida, ma l’autore di questa infrazione è punito con una pena pecuniaria.

Con l’emendamento dell’onorevole Rescigno si verrebbe ad annullare la sottoscrizione dell’elettore. Quale ne sarebbe la conseguenza? Una lista che avesse il minimo di elettori – 500 per esempio, vedendosi annullata una sola firma si vedrebbe preclusa la possibilità di agire sul terreno elettorale. Poco male, dite, questo! Ma bisognerebbe accettare l’ipotesi che un partito volontariamente abbia fatto sottoscrivere da un elettore la lista sapendo ch’egli abbia sottoscritto anche un’altra lista. Noi rovesceremmo su un partito o su un Comitato elettorale la responsabilità o la truffa o l’inganno che un elettore potrebbe commettere a danno di un altro partito. Direi di più: vi potrebbe essere anche un tentativo di frode fatto da un partito a danno di un altro, invitando a sottoscrivere la lista di un partito un elettore che abbia sottoscritto un’altra lista.

Ritengo che, data la gravità delle conseguenze che importerebbe questo fatto, l’emendamento dell’onorevole Rescigno non possa, non debba essere accolto, bastando la sanzione a carico dell’elettore di 10.000 lire di multa.

PRESIDENTE. Ricordo che gli onorevoli Martino Gaetano e Corbino hanno proposto il seguente emendamento:

«Al quarto comma dell’articolo, aggiungere:

«L’ordine dei candidati nella lista nazionale sarà stabilito sulla base dei voti di preferenza ottenuti dai candidati nelle liste circoscrizionali».

Evidentemente questo emendamento deve riferirsi all’articolo 15.

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Mi pare che vi sia una questione che noi dovremmo risolvere in linea pregiudiziale votando su una delle proposte della Commissione.

La Commissione all’articolo 3-bis propone la soppressione del 3° comma dell’articolo 15. Ora questa questione coinvolge sia l’emendamento dell’onorevole Lucifero, sia tutti gli altri emendamenti che vogliono subordinare la designazione dei candidati da scegliere nella lista nazionale al fatto che siano o no iscritti nella lista circoscrizionale. Quindi potremmo cominciare da lì. Se decidessimo la soppressione del comma previsto dalla Commissione il nostro emendamento all’articolo 62 decaderebbe.

PRESIDENTE. Non credo che si possa votare per prima la proposta soppressiva della Commissione, perché vi sono altri colleghi che hanno fatto proposte positive, i quali cioè non intendono che manchi un 3° comma, ma desiderano un 3° comma diverso da quello in esame. Pertanto mi pare che si debbano porre prima in votazione le proposte positive. Ove queste non fossero accolte si porrà in votazione la proposta della Commissione, cioè che il 3° comma sia soppresso.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Devo dire due parole di risposta all’onorevole Fuschini che mi ha tirato in ballo anche, in un certo senso, come persona e come funzione. Io ho ammirato lo sforzo dell’onorevole Fuschini per dimostrare l’incostituzionalità non di alcune norme contenute nella legge, ma di tutto il sistema che si vuol mettere nella legge. E devo riconoscere che è riuscito a dimostrarlo molto bene. Ma io non vorrei allargare la discussione su tutto il sistema, e, quindi, non lo seguo su questo argomento. Dico soltanto che la Giunta delle elezioni della prossima Assemblea si accorgerà che cosa significa aver fatto questo. Non invalideranno tutto il sistema, ma determinate norme, e questa norma sì. E faccio notare all’onorevole Fuschini che questa Assemblea, come tutte le precedenti Assemblee italiane che si sono occupate di questo problema, ha sempre respinto il concetto della lista rigida che lui oggi invoca per giustificare un preteso voto diretto di secondo grado che sarebbe dato alla lista nazionale. Noi non possiamo richiamarci a questo perché anche noi abbiamo rifiutato il concetto della lista rigida. Noi abbiamo riconosciuto ai cittadini il diritto di scegliersi loro i propri rappresentanti e non di farli scegliere dai partiti. E d’altra parte, quando un elettore in una circoscrizione vota una determinata lista, sa che di quella lista fanno parte quelle determinate persone quindi, vota per quelle determinate persone.

Lei, onorevole Fuschini, dice che io non voglio riconoscere la funzione di partito, e che questo è strano in un segretario di Partito; ed è proprio come segretario di Partito che io rispondo ed affermo che si deve lasciare la libertà di scelta al cittadino, perché lei non deve dimenticare che io sono segretario del Partito della libertà, cioè del Partito che dalla libertà prende il nome (Commenti – Interruzioni) e quindi deve tutelare la libertà dei cittadini. Questa è la nostra funzione. Noi rivendichiamo questa funzione di difendere la libertà del cittadino anche contro un nostro interesse quando riteniamo che questo sia un interesse nazionale. Ad ogni modo, io richiamo l’attenzione dell’Assemblea su questo emendamento. Lo stesso fatto che la sua discussione sia stata più lunga e più complessa di quella, forse molto più grave, che non ha avuto luogo questa mattina sul referendum sulla Costituzione, dimostra quanti interessi sono toccati da questo argomento. Ora io non credo che si possa sovrapporre la valutazione di una qualunque direzione di partito che, in un certo senso, è un ente pubblico e, in un certo senso è un’associazione privata, alla libera volontà del cittadino elettore. Io non ritengo che i partiti che, per disgrazia o per fortuna, raccolgono una piccola parte dei cittadini elettori, possano invadere il diritto dei numerosissimi elettori che non appartengono a nessun partito. E se in questo momento, come segretario di partito, io sostengo questa tesi, è anche per difendere i diritti di quei cittadini che approfittano di un diritto che ancora esiste e che, se continueremo di questo passo, finirà presto con l’essere negato agli italiani: il diritto di non associazione. (Applausi a destra).

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Io vorrei brevemente chiarire i motivi per i quali son contro l’emendamento Lucifero, e sono motivi che partono dal presupposto del riconoscimento effettivo, sostanziale della libertà dei cittadini. Io dovrei contestare con molta cortesia la qualifica che l’onorevole Lucifero si è assunta di segretario del partito della libertà. Direi che ha ampliato a tal segno la propria funzione da dissolverla interamente per il fatto che la libertà non è più il patrimonio di uno o di un altro partito, ma di molti partiti. Fra questi pongo in prima linea il mio. Detto questo, io vorrei fare delle osservazioni di carattere pratico sul concetto ispiratore e sulla pratica conseguenza dell’eventuale applicazione del concetto contenuto nell’emendamento Lucifero. Il criterio un po’ abusato e un po’ logoro della partitocrazia mi pare non abbia più un corso difendibile, un corso valido, poiché nella vita politica moderna democratica il partito ha una sua funzione insostituibile; e dunque alla (se si può dire una parola barbara) personalitocrazia io preferisco sempre la partitocrazia: cioè, alla vita politica affidata alla discrezione o all’arbitrio di due o tre o più personalità, che possono sembrare anche eccelse, preferisco sempre la vita politica in senso democratico affidata al controllo di associazioni, di formazioni responsabili di carattere politico che organizzano le vaste masse popolari, chiamate ad assumere la maggiore responsabilità in uno o in un altro indirizzo politico.

Questo è il significato della distinzione – l’abbiamo detto più volte – fra la concezione liberale e la concezione democratica. Ma non è poi la partitocrazia intesa nel senso, direi, volgare con il quale si spaccia comunemente. Perché se si vuole arrivare fino in fondo, io dirò che nell’applicazione della proporzionale, così come è prevista, il partito non ha una funzione determinante, decisiva, tale da non consentire più applicazione alcuna allo schema astratto del rispetto dalla libertà individuale di tizio o di Caio. Praticamente, come si dimostra questo? Basta guardare un po’ le cifre delle ultime elezioni del 2 giugno. Io mi riferisco, perché li conosco più da vicino, ai collegi elettorali della Toscana, che ritengo fra l’altro una regione – dal punto di vista politico – giunta ad un livello di maturità notevole. Che cosa è avvenuto?

Che i partiti, cioè la cosiddetta partitocrazia, hanno offerto agli elettori le varie liste messe in votazione in ciascun collegio. E gli elettori come hanno reagito di fronte a questa presa di posizione di ciascun partito? Ve lo dico subito, per dire a che cosa si restringe questo rispetto così esclusivo ed astratto della libertà individuale.

Nel collegio di Firenze e Pistoia vi è stato il Partito comunista, ad esempio, che ha riportato voti di lista 247.798: le preferenze, sono state esercitate da un massimo di 19.000 elettori. Ciò, significa che la volontà individuale dell’elettore per la scelta del candidato si sono esercitate su 19 mila voti; il massimo riportato dal collega onorevole Negarville. Così per gli altri partiti; e così per gli altri due collegi della Toscana.

Che cosa vuol dire questo? Che noi siamo arrivati fortunatamente a questo punto di sviluppo del costume politico nazionale: vuol dire che i cittadini elettori si indirizzano non in funzione dell’una o dell’altra personalità. E qui il discorso diventerebbe assai più interessante e significativo se si portasse l’analisi fino a vedere come gli elettori hanno reagito nei confronti delle maggiori, o presunte tali, personalità del mondo politico italiano.

Hanno reagito nel senso di approfittare di questo diritto, toccare il quale, si vuol dire sarebbe una lesione addirittura intollerabile della sua facoltà di scelta del candidato, lasciando che su 247 mila elettori soltanto 19 mila facessero uso di questo diritto. E gli altri 220 mila come si sono comportati? Hanno seguito il partito, quello che il partito ha stabilito nell’ordine della lista. Quelli che non danno voti di preferenza vuol dire che implicitamente si affidano a quello che ha fatto il partito nella determinazione dell’ordine della lista.

Questo dimostra chiaramente (bisognerebbe stendere l’analisi a tutti i colleghi) che la enorme maggioranza degli elettori non si orienta più – questo è segno di alta civiltà politica e democratica – nei confronti dell’uno o dell’altra personalità, ma si orienta, fortunatamente, nei confronti dell’una o dell’altra direttiva politica, impersonata in partiti responsabili, che formano la lista e la offrono ai propri elettori. Se questo avviene nella circoscrizione territoriale, là dove il diritto ad esercitare la preferenza è molto esteso, non c’è proprio da stracciarsi le vesti per lo sdegno o per lo scandalo, se i partiti – che non sono formazioni improvvisate o interessate di tizio e di Caio, ma formazioni cui sono affidate le sorti, in definitiva, dell’avvenire politico, economico e sociale del Paese – se i partiti, dicevo, i quali hanno questa responsabilità, ad un certo momento dicono agli elettori voi siete liberi di scegliere nella vostra circoscrizione; ma guardate bene, se residuano dei resti nella vostra circoscrizione, essi vengono ammassati al centro e potranno servire ad eleggere deputati in quest’ordine. Questi deputati, fino a prova contraria, sono quasi sempre personalità di partito, che rientrano in una valutazione di quelle personalità che stanno tanto a cuore agli amici liberali.

Ma ha ripugnato forse al Corpo elettorale l’esperimento, che è stato fatto il 2 giugno? Mi sia consentito dire: no; se mai hanno riluttato un po’ ad esso solo alcuni candidati, che si sono visti estromessi, attraverso questa forma, da quest’Aula. C’è forse stato scandalo nel Paese o uno stato d’animo così accorato da dire: non fate la lista nazionale, perché questo pregiudicherebbe le sorti dell’avvenire politico del Paese? Questo mi sembra assolutamente eccessivo.

Aggiungo che l’applicazione pratica dell’emendamento Lucifero porterebbe a questa altra contradizione. Siccome egli prevede, per salvare quel tale principio, di cui ho parlato, che, per essere eletto nella lista nazionale, il candidato deve essere eletto anche in una circoscrizione, e l’eletto nella circoscrizione territoriale è necessariamente obbligato a prender posto nella lista nazionale, questi lascia il posto vacante nella lista circoscrizionale a chi viene dopo; ora, con gli scherzi fatti col gioco di queste preferenze, tanto laudate e tanto celebrate, può accadere, come è accaduto in alcuni Collegi, che da un massimo di quaranta mila o venti mila preferenze, riportate dal candidato, che dovrebbe prender posto nella lista nazionale, si può scendere comodamente a 2000 o a 1800 preferenze, per gli ultimi candidati, quelli che hanno diritto ad entrare, secondo l’ordine del risultato elettorale, la quale cosa non salvaguarda minimamente questo supremo interesse morale e politico del cittadino elettore e produrrebbe, presso a poco, lo stesso scandalo che ha prodotto in qualche raro caso la lista nazionale, di veder sedere in Parlamento un candidato che nella lista circoscrizionale può aver riportato appena due o tremila preferenze nei confronti di chi ne ha riportate trenta o quarantamila. Per questo io sono contro l’emendamento presentato dall’onorevole Lucifero ed aggiungo, a quanto è stato detto dall’onorevole Fuschini, che quando si parla di utilizzazione dei resti in sede nazionale bisogna accettare la lista nazionale, e non industriarsi a modificarla con congegni o con mezzi i quali danno luogo a squilibri ed a concezioni che fanno a pugni con la logica, con l’interesse degli elettori e dei partiti, e, in definitiva, con l’interesse del Paese, inteso come espressione democratica nazionale.

PRESIDENTE. Comunico che è stato presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’articolo 3-bis dagli onorevoli Badini Confalonieri, Caso, Bertola, Bovetti, Morelli Renato, Quarello, Vicentini, Villabruna, Cortese Guido, Geuna, Froggio, Bellavista, Colombo Emilio, Pastore Giulio, Titomanlio Vittoria.

«Non possono utilizzare i resti in lista nazionale i partiti che non abbiano raggiunto il quoziente in almeno cinque Collegi territoriali».

L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Mi sembra che questo emendamento debba essere preso in esame in sede di discussione dell’articolo 62.

BADINI CONFALONIERI. Mi rimetto alla Commissione per la collocazione.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Martino Gaetano ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo e il terzo comma dell’articolo 15 coi seguenti:

«La lista nazionale è composta dei candidati di tutte le liste circoscrizionali aventi il medesimo contrassegno.

«L’ordine dei candidati nella lista nazionale è stabilito dopo le elezioni, sulla base dei voti preferenziali riportati da ognuno di essi nella lista circoscrizionale».

L’onorevole Martino Gaetano ha facoltà di svolgerlo.

MARTINO GAETANO. Onorevoli colleghi, quando io illustrai il mio ordine del giorno, tendente ad escludere la formazione del Collegio unico nazionale al fine dell’utilizzazione dei resti, io ritenni di dover porre la questione su un terreno strettamente costituzionale. Volli evitare ogni considerazione di ordine morale, come quelle che sono state fatte poc’anzi in quest’Aula, perché mi pareva che nessuno fosse qui dentro il quale volesse sostenere il diritto dei partiti di eleggere al Parlamento deputati che non fossero eletti direttamente dagli elettori.

PICCIONI. Li eleggono gli elettori, non i partiti!

MARTINO GAETANO. Questo mi pareva. Quindi non feci alcuna menzione dell’interesse dei partiti o dell’interesse dei piccoli partiti in contrasto con i grandi, come ha fatto testé l’onorevole Fuschini, e poi, dopo di lui, anche l’onorevole Piccioni.

Orbene, io desidero restare nell’ordine di idee nel quale mi trovavo quando illustrai quel mio ordine del giorno. Non è qui il caso di discutere, in nessun modo, la possibilità che i deputati vengano eletti da altri che non siano gli elettori.

PICCIONI. Sono sempre gli elettori che li eleggono.

MARTINO GAETANO. Noi dobbiamo fare in modo che praticamente siano sempre gli elettori ad eleggere i deputati, così come vuole l’onorevole Piccioni. Ora, col sistema che noi adoperammo per le elezioni dell’Assemblea Costituente il 2 giugno 1946, accade che non tutti i deputati vengano eletti, in effetti, dagli elettori. Questo noi dobbiamo assolutamente evitarlo, e non solo per quelle considerazioni di ordine morale che si possono fare e che sono state fatte, ma soprattutto per considerazioni, ripeto, di ordine costituzionale. Noi, signori miei, abbiamo fatto una Costituzione. Noi abbiamo solennemente dichiarato che non vogliamo nemmeno correre il pericolo che questa Costituzione sia violata, ed a questo scopo abbiamo creato un organo giurisdizionale, che si chiama la Corte costituzionale. Vogliamo noi scientemente, deliberatamente, violarla fin d’ora questa Costituzione, prima ancora che la Corte costituzionale sia istituita? Questo io vi domando. Se voi non vi siete accorti che il sistema elettorale che avete escogitato…

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. È il sistema proporzionale.

MARTINO GAETANO. …importa una aperta violazione dell’ordinamento costituzionale, cercate, vi prego, di prestare attenzione alle sommesse considerazioni colle quali appunto mi propongo di illustrare questo punto.

PICCIONI. Questa è una eresia giuridica e politica.

MARTINO GAETANO. Insisto: io prego l’onorevole Piccioni di prestare ascolto alle mie modeste parole, dopo di che sono convinto che egli si persuaderà che non dico eresie.

Che cosa abbiamo stabilito nella Costituzione a proposito dell’elezione dei rappresentanti del popolo, deputati e senatori? Noi abbiamo stabilito che essi saranno eletti con suffragio universale diretto sulla base, rispettivamente, di un deputato ogni 80 mila abitanti e di un senatore ogni 200 mila abitanti. Ora, l’onorevole Fuschini ha testé ricordato un caso di suffragio indiretto, l’elezione di secondo grado; ma, vi sono degli altri casi di suffragio indiretto, ed uno è appunto questo in esame: l’elezione dei deputati attraverso la lista nazionale avviene in modo indiretto. Prima osservazione.

PICCIONI. Non è vero.

MARTINO GAETANO. Non è vero?

PICCIONI. Dimostreremo poi, il perché.

MARTINO GAETANO. Quando, ad esempio, l’onorevole tizio è un deputato eletto nella lista nazionale e non ha riportato voti sufficienti nella sua lista circoscrizionale per essere eletto, o peggio non è stato nemmeno candidato in una lista circoscrizionale, non si può pretendere di sostenere che egli sia stato eletto direttamente dagli elettori. È eletto dagli elettori, ma con voto indiretto: è una forma di elezione indiretta.

Seconda osservazione: Noi abbiamo sanzionato nella Costituzione che il corpo elettorale ha il diritto di scegliere un deputato ogni 80 mila abitanti. Quando noi ora stabiliamo con questo sistema elettorale che nelle singole circoscrizioni venga eletto un numero di deputati inferiore a questo che è stabilito nella Costituzione, cioè, ripeto, uno ogni ottanta mila abitanti – supponiamo: in una circoscrizione nella quale dovrebbero essere eletti 22 deputati, ne sono eletti in realtà 20 o 18 – noi abbiamo violato la Costituzione. Infatti, non avviene più l’elezione diretta di un deputato in ragione di 80 mila abitanti, ma in verità gli elettori eleggono i propri rappresentanti in proporzione diversa. (Interruzione del deputato Minio).

Ora, questa violazione dell’ordinamento costituzionale noi la dobbiamo evitare. Noi avremmo potuto evitarla sopprimendo il Collegio unico nazionale; non l’abbiamo fatto.

Il Collegio unico nazionale è caro al cuore degli italiani – credo che l’Italia sia il solo Paese dove esiste qualche cosa di simile – perché è ormai nelle nostre tradizioni. Fu introdotto nel 1923 dal fascismo, fu consolidato ed esteso nel 1928 dal fascismo; fu poi riprodotto, sotto altra forma, dalla Consulta. Quando c’era un partito unico, i rappresentanti del popolo erano i rappresentanti dell’unico partito. Allora non esistevano tanti partiti, tante direzioni di partiti, tanti parlamentini di partiti: esisteva il gran consiglio del fascismo. Nella legge del 1946 non si parla di gran consiglio del fascismo: i tempi sono cambiati. Ma tuttavia il Collegio unico nazionale resta nel cuore degli italiani.

PICCIONI. Però per forzare la tesi fino a giungere al paragone col gran consiglio del fascismo ci vuole del coraggio! (Commenti).

MARTINO GAETANO. Onorevole Piccioni, questo paragone non è paradossale perché nel 1923 che cosa accadeva praticamente? Quello che accade ora, se pure in misura diversa: che da una parte vi erano dei deputati eletti dal popolo e dall’altra deputati che non erano eletti direttamente dal popolo, ma erano eletti attraverso un particolare meccanismo elettorale: un meccanismo elettorale il quale consente di portare alla Camera persone non scelte dal popolo (Interruzione dell’onorevole Piccioni).

Il sistema era analogo. Comunque, per far piacere all’onorevole Piccioni io rinuncio volentieri a questo paragone. Non è questo che mi interessa. Ciò che mi interessa è affermare che, poiché abbiamo stabilito che un Collegio unico nazionale ci deve essere – e su questo non sono certo io che desidero tornare indietro – e poiché, d’altra parte, noi non vogliamo violare la Costituzione – è vero che non vogliamo questo, onorevole Piccioni?

PICCIONI. Almeno, direi.

MARTINO GAETANO. Noi dobbiamo escogitare un qualche artificio che consenta di mantenere il Collegio unico nazionale senza violare la Costituzione.

PICCIONI. Ho il dubbio che si sia già violata per i senatori; ma questo è un altro problema.

MARTINO GAETANO. Io non posso certamente insegnare a lei che perseverare nell’errore è diabolico. Ma qui non si tratta nemmeno di questo. Io posso agevolmente dimostrarle che in quel caso la Costituzione non è stata violata ed in questo caso, invece, essa viene violata. Perché in quel caso non sottraemmo niente a ciò che spetta per diritto di Costituzione al corpo elettorale (Interruzione del deputato Piccioni – Commenti). Il corpo elettorale eleggerà un senatore ogni 200 mila abitanti; noi abbiamo aggiunto una aliquota di senatori di diritto per la prima legislatura (Interruzione del deputato Russo Perez).

PRESIDENTE. La prego, resti alla Camera, non si interessi del Senato…

MARTINO GAETANO. Obbedisco all’onorevole Presidente e torno all’elezione della Camera.

Dicevo che quelli che come me, molti o pochi che siano in quest’Aula, desiderano non offrire questo scandalo al Paese di violare essi stessi la Costituzione, oggi che è stato già approvato il principio del Collegio unico nazionale, si devono preoccupare della ricerca di un artificio che consenta di mantenere il Collegio unico nazionale senza violare la Costituzione.

Ecco lo scopo dell’emendamento che io ho presentato.

Che cosa avviene col sistema da me proposto? Avviene che le direzioni dei Partiti non presentano candidature in quanto candidati sono tutti coloro che figurano nelle liste circoscrizionali, e che la scelta tra i candidati viene fatta dagli elettori, perché eletti sono in definitiva coloro che riportano un maggior numero di voti nelle liste circoscrizionali.

Detto questo, è pure spiegata la ragione dell’incomprensione verificatasi fra me e l’altro collega firmatario del mio precedente emendamento, onorevole Corbino. L’onorevole Corbino, infatti, non avendo subito rilevato che per il mio emendamento nella lista nazionale dovevano essere compresi tutti i candidati delle liste circoscrizionali aventi il medesimo contrassegno, riteneva che tutta la questione si limitasse all’ordine dei candidati nella lista, cioè, in pratica, che tutto si limitasse alla proclamazione degli eletti. Di conseguenza egli sosteneva che la discussione dovesse farsi in sede di articolo 62 e non di articolo 15. Io ritengo invece che la discussione si debba fare in questa sede (articolo 15), perché gli eletti, a parer mio, debbono tutti concorrere, nella misura del favore popolare di cui essi hanno potuto dimostrare di godere, alla scelta che avverrà nel Collegio unico nazionale. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Io non ho niente da dire, onorevole Presidente: la risposta si trova del resto in quanto ho già detto nella mia relazione circa la proposta dell’onorevole Marinaro.

PRESIDENTE. Domando ai presentatori dei vari emendamenti se li mantengano o meno. Onorevole Nobile?

NOBILE. Lo mantengo, modificando però il numero da 4 a 6.

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero?

LUCIFERO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene i due emendamenti dell’onorevole Giannini, che ha fatto propri?

COLITTO. Non insisto, onorevole Presidente, né sul primo né sul secondo.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Tumminelli, il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Rescigno, mantiene il suo emendamento?

RESCIGNO. Non insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Martino Gaetano?

MARTINO GAETANO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, occorre tener presente il testo dell’articolo 15 del decreto 10 marzo 1946 per rendersi conto del valore degli emendamenti che sono stati presentati e che ora dovranno essere votati. Il primo comma dell’articolo 15 di quel decreto legislativo è del seguente tenore:

«Le liste dei candidati per il Collegio unico nazionale devono essere presentate da non meno di dodici delegati effettivi di liste aventi lo stesso contrassegno che assumerà la lista per il Collegio unico nazionale».

L’onorevole Nobile propone che invece di 12 i presentatori debbano essere sei.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Nobile, non accettata dalla Commissione.

(Non è approvata).

Passiamo all’emendamento degli onorevoli Lucifero e Condorelli, che propongono una modifica al terzo comma dell’articolo 15. Questo terzo comma è del seguente tenore:

«I candidati al Collegio unico nazionale devono essere compresi in almeno una lista circoscrizionale».

Gli onorevoli Lucifero e Condorelli hanno proposto di sostituirlo col seguente:

«Nessuno può essere candidato nel Collegio unico nazionale se non è candidato in un collegio circoscrizionale. Nessuno può essere eletto nel Collegio unico nazionale se non è stato eletto in un collegio circoscrizionale».

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Chiedo che questo emendamento sia votato per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene.

MARINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINA. Mi associo alla richiesta dell’onorevole Uberti.

PRESIDENTE. Sta bene.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Il mio emendamento dovrebbe avere la precedenza su quello dell’onorevole Lucifero, perché riguarda anche il secondo comma dell’articolo.

PRESIDENTE. Allora, onorevoli colleghi, vi è l’emendamento dell’onorevole Martino Gaetano, il quale abbraccia contemporaneamente il secondo ed il terzo comma dell’articolo 15; e pertanto esso deve essere votato per primo.

Il secondo comma dell’articolo 15 è del seguente tenore:

«Ciascuna lista per il collegio unico nazionale deve comprendere un numero di candidati non superiore al numero delle circoscrizioni».

L’onorevole Martino Gaetano ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo e il terzo comma dell’articolo 15 coi seguenti:

La lista nazionale è composta dei candidati di tutte le liste circoscrizionali aventi il medesimo contrassegno.

«L’ordine dei candidati nella lista nazionale è stabilito dopo le elezioni, sulla base dei voti preferenziali riportati da ognuno di essi nella lista circoscrizionale».

MAZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZA. Mi pare che, per l’emendamento Martino, all’attuazione pratica si verificherà questo: che i candidati in una grande circoscrizione, poiché potranno più facilmente raccogliere voti di preferenza nei confronti dei candidati delle piccole circoscrizioni, saranno favoriti.

PRESIDENTE. Lei può avere tutte le ragioni, onorevole Mazza; ma lei ritorna all’esame del merito. Molti dei colleghi avranno probabilmente già pensato quello che pensa lei, ma non riapriamo la discussione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che anche l’emendamento dell’onorevole Martino si debba votare per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Corbino. Io penso che occorra votare prima la prima parte della formulazione dell’onorevole Martino e successivamente esaminare se votare prima l’emendamento Lucifero e poi la seconda parte dell’emendamento Martino o viceversa.

UBERTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Poiché l’emendamento dell’onorevole Martino in realtà è la negazione del voto dato precedentemente, pur senza sollevare la questione della preclusione, dichiaro che voteremo contro l’emendamento dell’onorevole Martino.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Onorevole Presidente, faccio presente che la Commissione ha proposto una modifica al 1° comma dell’articolo 15, che non è stata approvata ancora.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione la proposta della Commissione di elevare da 12 a 20 il numero dei delegati effettivi e di lista che devono presentare la lista dei candidati per il collegio unico nazionale con lo stesso contrassegno. La formulazione resta la seguente:

«Le liste dei candidati per il collegio unico nazionale devono essere presentate da non meno di 20 delegati effettivi di liste aventi lo stesso contrassegno che assumerà la lista per il collegio unico nazionale».

(È approvata).

Passiamo alla votazione della prima parte dell’emendamento Martino Gaetano:

«La lista nazionale è composta di candidati di tutte le liste circoscrizionali aventi lo stesso contrassegno».

MARTINO GAETANO. Domandiamo la votazione a scrutinio segreto.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Di fronte a una domanda di scrutinio segreto, io prego la Presidenza di prendere in considerazione il fatto che la proposta dell’onorevole Martino significa in sostanza abolizione della lista nazionale.

Una voce al centro. No.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Pertanto mi domando se può essere messa in votazione. Rimetto alla Presidenza il giudizio.

MARTINO GAETANO. Non è vero.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Ma come non è vero?

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. È così. Non l’ho detto fino adesso, ma sono costretto ora. Si fa dell’ostruzionismo!

PRESIDENTE. Io vorrei soltanto far osservare che l’eccezione di preclusione non deve essere sollevata come ritorsione ad una richiesta, che può anche apparire esagerata, di qualche collega. Bisogna considerare la proposta dell’onorevole Martino Gaetano in tutta la sua struttura interna. La proposta dell’onorevole Martino non sopprime di fatto una lista nazionale, ma la propone in determinati modi. Vorrei, tuttavia, pregare l’onorevole Martino Gaetano, che ha assistito alla discussione e conosce perfettamente l’atteggiamento della grande maggioranza dell’Assemblea, di considerare l’opportunità di insistere o meno sulla richiesta di votazione a scrutinio segreto.

MARTINO GAETANO. Onorevole Presidente, se il voto di ieri avesse rivelato una grande maggioranza, io non avrei certo presentato la richiesta di scrutinio segreto. La presento e la mantengo proprio perché il voto di ieri non ha rivelato maggioranza di sorta né per l’una né per l’altra tendenza.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desidererei sapere come chiarimento che cosa rappresentano i venti presentatori della lista del collegio nazionale. Se la lista nazionale è rappresentata da tutti i candidati in tutte le circoscrizioni, questi venti presentatori che abbiamo votato poco fa che cosa rappresentano?

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, si può sempre da un punto di vista teorico supporre che vi siano gruppi politici, i quali, pur avendo liste circoscrizionali in. dieci e più circoscrizioni, non vogliono presentare una lista nazionale. Da un punto di vista pratico è un assurdo. Da un punto di vista teorico è pensabile. Quando l’onorevole Martino Gaetano fa la sua proposta che cosa intende significare? Che vi possono essere dei presentatori di liste circoscrizionali i quali non intendono poi presentare liste nazionali. Secondo l’onorevole Martino non deve esservi l’obbligo di presentare la lista nazionale per quei comitati i quali hanno presentato la lista in dieci circoscrizioni.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Se l’onorevole Martino non avesse fatto la sua ultima dichiarazione, noi potevamo, con relativa tranquillità, addivenire a questa votazione. Ma siccome l’onorevole Martino ci ha detto apertamente che egli chiede questa votazione in seguito al voto di ieri, che secondo lui non sarebbe stato chiaro, mi pare che vi sia la preclusione e che quindi non possiamo votare.

PRESIDENTE. Onorevole Togliatti, è evidente che la preclusione non può sorgere dai risultati del voto. La preclusione è nella materia del voto e non nel risultato del voto.

L’onorevole Martino ha voluto esporre una considerazione, che non racchiude altro che una sua speranza; ma il testo che egli ha presentato ci permette di passare a questa votazione. Domando se la richiesta di votazione a scrutinio segreto è appoggiata.

(È appoggiata).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sulla prima parte dell’emendamento Martino. Invito il Segretario a fare la chiama.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     374

Maggioranza           188

Voti favorevoli        173

Voti contrari             201

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bollato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Calosso – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – Dossetti – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foà – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giannini – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

La Gravinese Nicola – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – Lettieri – Li Causi – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortaeti – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pignedoli – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scoca – Scbccimarro – Scotti Francesco – Segni – Selvaggi – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vilardi – Villabruna – Villani – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Carmagnola – Cavallari.

Gasparotto.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, si tratta ora di esaminare l’emendamento proposto al terzo comma dell’articolo 15 dagli onorevoli Lucifero e Condorelli:

«Sostituire il terzo comma dell’articolo 15 col seguente:

«Nessuno può essere candidato nel collegio unico nazionale se non è candidato in un collegio circoscrizionale. Nessuno può essere eletto nel collegio unico nazionale se non è stato eletto in un collegio circoscrizionale».

Su questa proposta è stata chiesta la votazione per divisione. Penso che l’onorevole Lucifero e gli altri firmatari, che hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto su questo emendamento, intendano riferirlo alla seconda parte.

LUCIFERO. Perfettamente. Vorrei dare però un chiarimento. La prima parte c’è per mantenere una continuità storica, diciamo così, dato che la seconda parte è già comprensiva della prima.

UBERTI. Non è comprensiva, è un’altra cosa.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, mi pare che l’osservazione dell’onorevole Lucifero sia valida, perché è evidente che se per essere eletti nel collegio unico nazionale occorre essere stati eletti in un collegio circoscrizionale, ciò significa che per essere in una lista nazionale bisogna essere anche in una lista circoscrizionale.

Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Lucifero-Condorelli sostitutivo del terzo comma dell’articolo 15:.

«Nessuno può essere candidato nel collegio unico nazionale se non è candidato in un collegio circoscrizionale».

(È approvata).

Sulla seconda parte dell’emendamento Lucifero è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto.

MATTARELLA. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTARELLA. Vorrei chiedere un chiarimento all’onorevole Lucifero. Potrebbe darsi il caso che nessuno dei candidati della lista nazionale venga eletto in sede circoscrizionale. E questo può aversi non nella sola ipotesi in cui nessun quoziente venga conquistato dalla rispettiva lista.

Ora, in un’ipotesi di questo genere, che è pure un’ipotesi limite da tener presente, che cosa avverrebbe?

PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero ha facoltà di rispondere.

LUCIFERO. Onorevole Mattarella, evidentemente lei non era presente quando ho svolto il mio emendamento.

MATTARELLA. Ero presente.

LUCIFERO. Io ho parlato proprio di questo e ho detto tranquillamente che queste ipotesi limite – e forse ipotesi oltre il limite – potrebbero essere risolte dai partiti, mettendo nella lista nazionale quelle personalità che veramente rappresentano qualche cosa nel Paese e che quindi avranno la sicurezza di essere elette e non un quidam de populo o de partito oppure de directione, che si voglia imporre senza l’approvazione del corpo elettorale.

MATTARELLA. Proprio perché ero presente, non credevo di poter accettare questa spiegazione dell’onorevole Lucifero, che può essere un suggerimento per le direzioni dei partiti, ma non è un rimedio giuridicamente valido all’inconveniente rilevato.

PRESIDENTE. Comunque, onorevoli colleghi, passiamo a questa votazione sulla seconda parte dell’emendamento Lucifero:

«Nessuno può essere eletto nel collegio unico nazionale se non è stato eletto in un collegio circoscrizionale».

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti                               362

Votanti                                361

Astenuto                 1

Maggioranza           181

Voti favorevoli        149

Voti contrari            212

(L’Assemblea non approva).

 

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencinvenga – Benedetti – Benvenuti – Bernamont – Bernini Ferdinando – Bertola – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – Dossetti – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Ferraresi – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Foresi – Fornara – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Garlato – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giannini – Giordani – Gonella – Gortani – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Gravinese Nicola – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marazza – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mazzoni – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruini Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sapienza – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Segni – Selvaggi – Sicignano – Siles – Silipo – Silone – Simonini– Spataro – Stampacchia – Stella.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Tri- marchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vignai – Vigo – Villabruna – Villani – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotti – Zuccarini.

Si è astenuto:

Gullo Rocco.

Sono in congedo:

Arata.

Carmagnola – Cavallari.

Gasparotto.

Jacini.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seconda parte dell’emendamento dell’onorevole Martino Gaetano:

«L’ordine dei candidati nella lista nazionale è stabilito, dopo l’elezione, sulla base dei voti preferenziali riportati da ciascuno di essi sulla lista circoscrizionale».

CIFALDI. Chiedo la votazione a scrutinio segreto. (Commenti).

PRESIDENTE. Siamo già in votazione e non posso accogliere la sua richiesta.

BADINI CONFALONIERI. Osservo che la domanda di scrutinio segreto doveva intendersi estesa a tutto l’emendamento Martino Gaetano.

MICCOLIS. Ricordo di aver presentato un emendamento identico a quello dell’onorevole Martino Gaetano.

PRESIDENTE. In questo momento votiamo l’emendamento Martino e, se sarà respinto, il voto costituirà preclusione per tutti gli emendamenti simili che saranno presentati, quindi, onorevole Miccolis, è pacifico che gli emendamenti che saranno respinti in sede di articolo 15, non potranno essere ripresentati.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Dichiaro di ritirare il mio emendamento.

CEVOLOTTO. Faccio mio l’emendamento e chiedo che lo si ponga in votazione.

PRESIDENTE. È stata chiesta la votazione a scrutinio segreto sull’emendamento dell’onorevole Martino Gaetano, ma poi è stata chiesta la votazione per divisione. Quando si vota per divisione, l’autonomia delle singole parti si afferma, e la richiesta di scrutinio segreto deve considerarsi, quindi, in relazione alla prima votazione. E l’abbiamo fatto. Poi abbiamo indetto la seconda votazione e solo dopo che era già incominciata è sorta l’idea dello scrutinio segreto anche su questa seconda parte.

Ma poiché eravamo già in votazione non posso accettare la richiesta di scrutinio segreto, che doveva essere presentata prima.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Non è quella la questione che facciamo. È vero che sulla seconda parte dell’emendamento Martino non v’è domanda di scrutinio segreto, ma l’emendamento Martino è stato ritirato, e, quindi, non può essere posto in votazione. Se lei onorevole Presidente lo pone in votazione, perché l’onorevole Cevolotto l’ha fatto suo, allora, noi abbiamo il diritto di chiedere lo scrutinio segreto sull’emendamento Cevolotto.

PRESIDENTE. Se la questione è posta in questi termini, rispondo che, visto che l’onorevole Martino ha dichiarato di ritirare il suo emendamento dopo che già ne avevo indetta la votazione, la sua dichiarazione è inefficace, e pertanto è senza efficacia anche la attuale richiesta di scrutinio segreto.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Ho chiesto di parlare sull’interpretazione che lei ha dato alla norma del Regolamento. Ella sostiene che, votandosi per divisione, su di un emendamento, debba farsi la richiesta di una determinata procedura di votazione, volta per volta. Esprimo il mio dissenso da questa interpretazione. Quando si è presentato l’emendamento, e su di esso si è chiesta la votazione a scrutinio segreto, l’eventuale sdoppiamento dell’emendamento, nel caso di votazione per divisione, non importa – a mio avviso – la conseguenza che si debba rinnovare la richiesta della votazione per scrutinio segreto. La domanda si fa una sola volta.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Non quando si vota punto per punto un articolo o un emendamento.

CRISPO. Non c’è alcuna norma regolamentare che imponga, nel caso di votazione per divisione, di presentare una seconda domanda. La domanda si presenta una sola volta. Per ragioni di opportunità si può sdoppiare l’emendamento; ma la domanda si riferisce a tutto l’emendamento, epperò non si comprende perché essa debba ripetersi.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, le domande d’appello nominale o di scrutinio segreto si debbono presentare volta per volta, così come è sancito dall’articolo 97 del Regolamento,

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Ho presentato un emendamento identico nella forma e nella sostanza a quello dell’onorevole Martino, fatto proprio dall’onorevole Cevolotto. Aderisco a quell’emendamento, ritirando il mio e, poiché avevo già chiesto lo scrutinio segreto, vi insisto.

PRESIDENTE. Ma non v’è nessuna richiesta formale.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Lucifero?

LUCIFERO. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Ha facoltà di parlare..

LUCIFERO. Signor Presidente, ella sa che io sono quanto lei geloso custode del Regolamento. (Commenti).

Mi permetto farle notare, signor Presidente, che quando ci si richiama al Regolamento, occorre tenerlo presente tutto.

Ora, l’articolo 104 stabilisce che, cominciata la votazione, non è più possibile dare la facoltà di parlare ad alcuno. Quindi, la votazione non era incominciata; se no, ella non avrebbe dato la facoltà di parlare ad alcuno. Sicché, si possono fare tutte le richieste.

PRESIDENTE. Io sono il geloso custode del Regolamento, ma loro ne sono i permanenti violatori; io spesso sono solo a difenderlo contro tutti loro. (Vivi, generali applausi).

Comunque, onorevole Lucifero, non si può negare che la votazione fosse stata già indetta.

Desidero, ora, soltanto precisare all’onorevole Miccolis che egli si richiamava al testo presentato stamani dall’onorevole Martino Gaetano, insieme con l’onorevole Corbino, dimenticando o, forse, ignorando che l’onorevole Martino ha sostituito la vecchia con una nuova formulazione. L’onorevole Miccolis riconosce nella formulazione abbandonata dall’onorevole Martino un testo analogo al suo e pertanto la dichiarazione da lui fatta poco fa, di aderire a questa formulazione, è da ritenersi come non fatta. La nuova formulazione è di esclusiva paternità dell’onorevole Martino Gaetano ed in quanto tale deve essere votata.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Se mi consente, onorevole Presidente, vorrei fare una dichiarazione a titolo di chiarimento. Qui v’è stata un’offensiva contro la lista nazionale alla quale ho preso parte anch’io, ma siamo stati sconfitti e la lista nazionale ha prevalso ed è stata approvata. Posso anche dolermi di ciò, poiché sono uno degli sconfitti, ma sono convinto che, avendo l’Assemblea approvato la lista nazionale, tutti gli emendamenti ora presentati siano, se non letterariamente, per lo meno intenzionalmente in contrasto con il criterio della lista nazionale, in quanto tendono a modificarlo.

Una voce. È un correttivo.

GIANNINI. Non è un correttivo. Ripeto che io ho votato contro, in quanto non volevo la lista nazionale, ma se si pongono in votazione degli emendamenti che possono dare alla lista nazionale o un automatismo di formazione, o un automatismo di graduatoria, si viene sempre a vulnerare quel principio, immorale se si vuole, ma sul quale riposa la lista nazionale così come è stata voluta dall’Assemblea. Quindi esprimo un dubbio, non affermo una certezza, sulla legalità della messa in votazione di emendamenti che si troverebbero in contraddizione con quanto stabilito dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Le sono grato, onorevole Giannini, di questa chiarificazione, perché vorrei che essa servisse almeno a questo scopo: a convincere i colleghi, i quali pur vogliono correggere la lista nazionale con questi vari emendamenti, a non accanirsi in questa azione ricorrendo a tutti gli appigli che offre loro il Regolamento.

Pongo, pertanto, ancora in votazione la seconda parte dell’emendamento dell’onorevole Martino Gaetano, del seguente tenore:

«L’ordine dei candidati nella lista nazionale è stabilito dopo le elezioni sulla base dei voti preferenziali riportati da ognuno di essi nella lista circoscrizionale».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Passiamo all’esame degli emendamenti proposti sopra l’articolo 3-ter.

L’emendamento soppressivo dell’articolo 17 proposto dall’onorevole Grilli è decaduto in seguito alla votazione di ieri mattina.

Segue l’emendamento degli onorevoli Adonnino, Salvatore, Bellato, Magrini, Trimarchi, Numeroso, Bonino, Borsellino, Ermini, Caristia e Nicotra Maria, del seguente tenore:

«È abrogato il n. 5°) dell’articolo 8, e sostituito dal seguente:

Le liste sono identificate soltanto mediante il contrassegno, eliminando qualsiasi numerazione che le accompagni».

Domando chi, fra i numerosi firmatari, desidera svolgerlo, in assenza dell’onorevole Adonnino.

NUMEROSO. Lo svolgo io.

PRESIDENTE. Sta bene. Ne ha facoltà.

NUMEROSO. La opportunità di questo emendamento risulta dagli inconvenienti che si sono verificati nelle ultime elezioni, allorché molti elettori hanno scambiato il numero della lista con quello del candidato. Non avrei difficoltà anche a modificare questo emendamento, nel senso di contrassegnare le liste con lettere alfabetiche, perché il solo scopo è quello, ripeto, di eliminare degli inconvenienti.

PRESIDENTE. L’onorevole Scoccimarro ha la facoltà di esprimere il parere della Commissione.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione ha esaminato questo emendamento e, pur riconoscendo che alcuni degli inconvenienti denunciati si sono verificati, ha tuttavia constatato che, accettandolo, si creerebbero inconvenienti ancora maggiori di quelli che si vogliono eliminare, perciò la Commissione esprime parere contrario.

PRESIDENTE. Ed il Governo?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il Governo si associa alla Commissione.

PRESIDENTE. Chiedo al Relatore se la Commissione insiste nella sua proposta di articolo 3-ter, del seguente tenore:

«L’ultima parte del primo comma dell’articolo 17, dalle parole: e l’attestazione della cancelleria, ecc. è soppressa».

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. No; dopo l’approvazione della prima parte dell’emendamento Lucifero bisogna mantenere fermo tutto l’articolo 17.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo allora in votazione l’emendamento Adonnino-Numeroso testé letto.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Segue l’articolo 1-quinquies, proposto dagli onorevoli Paris, Gullo Rocco, La

Malfa, Corsi, Treves e Persico, del seguente tenore:

«Sopprimere il secondo e il terzo comma dell’articolo 42 del decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74».

Do lettura, per meglio chiarire la proposta, del secondo e terzo comma dell’articolo 42 del decreto legislativo 10 marzo 1946:

«Gli elettori che, per impedimento fisico evidente o validamente dimostrato all’ufficio, siano nell’impossibilità di votare, sono ammessi dal presidente a far esprimere il voto da un elettore di loro fiducia in loro presenza.

Il segretario indica nel verbale il motivo specifico dell’impedimento e il nome dell’elettore che ha assistito il votante».

In assenza dell’onorevole Paris ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Gullo Rocco.

GULLO ROCCO. Questo emendamento porta come prima firma quella dell’onorevole Paris, e pertanto non posso disporne. Tuttavia ritiro la mia firma.

Con l’occasione ricordo che v’è un mio emendamento che potrebbe essere collocato sia in questa sede quanto in sede di articolo 62.

PRESIDENTE. Sta bene.

Prego gli altri firmatari di dichiarare se conservano o meno la loro firma all’emendamento.

TREVES. Ritiro la mia firma.

LA MALFA. Anch’io ritiro la firma.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione aveva accettato questo emendamento. Dichiaro pertanto che, se i firmatari lo ritirano, la Commissione lo fa suo.

PRESIDENTE. Sta bene. Lo pongo, pertanto, in votazione.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, io avevo presentato tempestivamente – tanto che figura stampato nel fascicolo – un emendamento all’articolo 3-bis, emendamento che, in mia assenza, è stato dichiarato decaduto. Io effettivamente ero impegnato alla Commissione del teatro.

Il collega onorevole Tumminelli del mio Gruppo aveva accettato di far suo e di svolgere questo mio emendamento, tuttavia, quando è venuto in discussione, anch’egli era assente.

Si tratta di una proposta, a mio avviso, di una certa importanza; chiedo pertanto se sia consentito, anche in via eccezionale, di riproporlo per metterlo in votazione.

PRESIDENTE. Onorevole Giannini, poiché non è stata fatta alcuna votazione che possa essere invocata come preclusiva nei confronti del suo emendamento e poiché la formulazione dell’articolo 15 del decreto del 1946 non è stata messa in causa, personalmente ritengo che, se non vi sono osservazioni in contrario, si possa aderire alla sua proposta.

Chiedo alla Commissione se si oppone.

SCOCCIMARRO. Presidente della Commissione. La Commissione non si oppone.

PRESIDENTE. Sta bene. L’emendamento Giannini è del seguente tenore:

«Al quarto comma dell’articolo 15, alle parole: tre liste, sostituire le altre: cinque liste».

L’onorevole Giannini ha facoltà di svolgerlo.

GIANNINI. Signor Presidente, questo mio emendamento mira ad offrire, così ai grandi come ai piccoli partiti, la possibilità, il vantaggio di portare da tre a cinque le circoscrizioni in cui un singolo candidato può presentarsi. Ciò allo scopo di far sì che candidati di gran nome, come Togliatti, De Gasperi…

Una voce. Giannini! Giannini!

GIANNINI. …e perché no? anche Giannini, possano aiutare i loro partiti presentandosi in più circoscrizioni.

Non v’è ragione per cui debba necessariamente limitarsi la presentazione in sole tre circoscrizioni.

Con questo mi sembra di avere esposto tutte le ragioni del mio emendamento, il quale è vantaggioso e non è dannoso in nessun modo, perché non recherebbe nessun intralcio e non comporterebbe nessun inconveniente.

PRESIDENTE. La Commissione ha facoltà di esprimere il proprio parere sull’emendamento dell’onorevole Giannini.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. La Commissione non ha per conto proprio nessuna difficoltà ad accettare la proposta dell’onorevole Giannini; però si rimette all’Assemblea.

PRESIDENTE. E il Governo?

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Il Governo si rimette all’Assemblea.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Dichiaro che voterò contro l’emendamento, ricordando che il principe Luigi Bonaparte è stato eletto in sette dipartimenti, e poco dopo v’è stato il colpo di Stato. (Commenti).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Voterò contro, perché l’emendamento dell’onorevole Giannini non è giusto. Se un candidato di grande nome – si è fatto l’esempio nientemeno che dell’onorevole De Gasperi – si porterà candidato in cinque circoscrizioni, guadagnerà probabilmente un quoziente per ogni collegio, con voti dati a lui personalmente, non al suo partito o alla sua lista e potrà cedere il posto al secondo della lista che si avvantaggerà così dei voti di lista non dati per lui, e che senza la presenza del primo eletto non avrebbe mai ottenuto.

GIANNINI. Sta bene, ma sono immediatamente seguenti!

CEVOLOTTO. La influenza personale che un grande nome esercita, e che dovrebbe poter esercitare in un solo collegio (e la legge gli consente di esercitarla in tre!) verrebbe estesa a cinque collegi. Mi pare troppo; credo che sia opportuno mantenere il precedente limite di tre.

CAPPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPA. Sono contrario anche per i motivi addotti dal collega Rossi Paolo, perché in questo modo si potrebbero fare delle designazioni plebiscitarie.

Ma sono contrario anche per un’altra ragione, perché se noi consentiamo ad un candidato di essere eletto in cinque collegi andiamo contro l’interesse del partito che rappresenta, perché prima che la Giunta delle elezioni avrà convalidato l’elezione di questo candidato e quelle degli altri quattro che ne prendono il posto nei collegi cui deve rinunziare, passerà molto tempo, e intanto quel partito non potrà’ disporre alla Camera di quei quattro voti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Giannini, testé letta.

(Non è approvata).

Passiamo alle proposte di articolo 8-bis riguardanti modifiche all’articolo 57 del decreto. La Commissione aveva proposto il seguente testo:

«Al quarto comma dell’articolo 57, alle parole: più uno, sono sostituite le altre: più due, e alle parole: più due, sono sostituite le altre: più tre».

L’onorevole Nobile a sua volta ha proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il quarto e il quinto comma dell’articolo 57, con i seguenti:

«Le cifre elettorali servono di base all’assegnazione del numero dei deputati a ciascuna lista. Per questo effetto i presidenti degli uffici centrali circoscrizionali comunicano immediatamente le cifre elettorali della propria circoscrizione all’ufficio centrale nazionale costituito presso la Corte di cassazione, di cui al successivo articolo 62.

«Questo ufficio, ricevute dai vari uffici circoscrizionali le cifre elettorali, le somma insieme facendo così il computo della cifra elettorale nazionale. Indi, dividendo quest’ultima cifra per il numero totale dei deputati da eleggere aumentato di 30, calcola il quoziente elettorale nazionale. Tale quoziente viene dal presidente dell’ufficio centrale comunicato agli uffici centrali circoscrizionali.

«Gli uffici centrali circoscrizionali, conosciuto così il quoziente elettorale nazionale, attribuiranno ad ogni lista tanti rappresentanti, quante volte il quoziente stesso risulta contenuto nella cifra elettorale di ciascuna lista. I seggi che rimangono non assegnati verranno attribuiti al Collegio unico nazionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Onorevoli colleghi, il mio emendamento tende in qualche modo ad applicare meglio il sistema proporzionale che la Costituente ha votato per la Camera dei deputati.

Secondo questo sistema, i gruppi politici dovrebbero avere un numero di seggi proporzionale al numero totale dei voti che i gruppi riportano nelle elezioni.

Nelle elezioni della Costituente vi sono state divergenze notevoli in relazione a questo criterio, per cui è avvenuto che nove seggi che sarebbero spettati a certi gruppi politici sono andati a beneficio di altri gruppi politici.

Non occorre che io specifichi quali siano i gruppi politici che hanno perduto questi seggi a beneficio di altri: non ha importanza. Quello che ha importanza è il principio. Fatto è che nove seggi non sono andati secondo il concetto di proporzionalità ai partiti politici ai quali spettavano.

Ora la ragione principale di questo disguido è dovuta al fatto della grande variabilità del quoziente elettorale. Questo quoziente elettorale, in base al quale nelle singole circoscrizioni si attribuivano i seggi, è variato da un minimo di 30.638 nelle Calabrie fino ad un massimo di 45.078 nel collegio di Torino-Vercelli, senza contare il collegio nazionale, dove si è avuta, nientemeno, la cifra di 50.225. Questo vuol dire che 30 mila voti validi bastarono in Calabria per l’eilzione di un deputato, mentre a Torino occorse il 50 per cento di più, e per il collegio nazionale anche di più. Questa è la ragione principale della divergenza di proporzionalità tra il numero dei seggi attribuiti ed i voti riportati da ciascun gruppo politico.

Se si vuol attuare meglio il sistema proporzionale, se si vuole che i partiti – e questo interessa anche i piccoli partiti – abbiano la rappresentanza che loro competerebbe secondo il numero totale dei voti, il rimedio è semplice: occorre un quoziente unico nazionale.

A questo appunto tende la mia proposta. Secondo essa si stabilisce un quoziente unico nazionale invece di tanti quozienti circoscrizionali. Il procedimento è molto semplice: basta che l’ufficio centrale di Roma sommi tutti i voti validi degli elettori. Dividendo questo per il numero dei deputati da eleggere in tutta Italia si ottiene senz’altro il quoziente unico nazionale.

Se l’Assemblea intendesse perfezionare il sistema proporzionale, dovrebbe logicamente accettare il mio emendamento. Ma io dubito che ciò avverrà, perché mi rendo conto che il metodo da me suggerito avrebbe dovuto essere a fondo studiato. Per conseguenza non vi insisterei.

Una voce a destra. Perché? La proposta è interessante.

NOBILE. Sta bene. La mantengo allora.

In via subordinata propongo un altro emendamento all’articolo 57. E la subordinata consiste in una proposta che non è stampata, ma che è stata esibita alla Commissione e alla Presidenza della Camera, e che stabilisce in sostanza un perfezionamento del sistema attuale.

La mia subordinata è questa: secondo il sistema applicato nelle elezioni della Costituente, che è stato lievemente modificato dalla Commissione, per stabilire il quoziente circoscrizionale si divide il numero totale dei voti validi per numero dei seggi dei deputati da eleggersi aumentato di uno o di due a seconda che il numero dei deputati sia inferiore a venti o superiore a venti.

La Commissione allo scopo di ridurre il numero dei seggi del collegio unico nazionale propone di aumentare a due-tre il coefficiente di maggiorazione dei seggi. Ora questo è un criterio empirico il quale dà luogo a sperequazioni molto gravi nella pratica. Ho voluto fare delle applicazioni ed i risultati a cui sono pervenuto sono i seguenti: se si considera uno stesso numero di voti validi per ogni deputato da eleggere, in questi quattro collegi, Potenza, Genova, Bari e Milano, ad esempio 40.000, applicando i coefficienti due e tre suggeriti dalla Commissione, si giungerebbe a questi risultati: che a Potenza sarebbe eletto un deputato con un quoziente 32.000, a Genova un deputato con un quoziente 36.000, a Bari un deputato con un quoziente 37.200, a Milano un deputato con un quoziente 39.500. Come vedete vi è una differenza enorme. Pur essendo uguali i voti validi per ogni deputato da eleggere, è eletto un numero di deputati assai variabile.

Questo dimostra come sia irrazionale il vecchio sistema; con questo criterio arbitrario si ottengono risultati ben lontani dalla proporzionalità. Quindi propongo che invece di aumentare di due-tre si applichi una diminuzione proporzionale del quoziente ottenuto dividendo il numero dei voti validi nelle circoscrizioni per il numero dei deputati da eleggere. Avrei proposto il 12 per cento. Fatti i calcoli con questo coefficiente il numero dei seggi assegnati al collegio nazionale sarebbe ridotto di molto rispetto al numero attuale. Se l’Assemblea desidera che questo numero sia ridotto a non più di 40-50, dovrebbe approvare il coefficiente di riduzione del 12 per cento del quoziente; se invece la riduzione fosse solo del 10 per cento, allora si avrebbe un numero più alto, forse 70 od 80 prossimo a quello che si ebbe nelle elezioni della Costituente.

Questo in breve quello che ho proposto. Dunque, in linea principale l’adozione di un quoziente nazionale che è molto semplice ad applicarsi nella pratica; in linea subordinata propongo un miglioramento, sebbene non sostanziale, dell’articolo che stiamo esaminando.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei fare questa domanda all’onorevole Nobile, se cioè col sistema che egli propugna non si verifichi che le circoscrizioni, ove si ha un grande assenteismo da parte degli elettori, sottraggano deputati alle regioni dove invece v’è grande affluenza alle urne.

NOBILE. Chiedo di poter rispondere all’onorevole Fabbri.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Ha perfettamente ragione. Il quoziente alto significa quasi sempre una scarsa affluenza alle urne. Così avviene che i corpi elettorali pigri sono premiati e invece i corpi elettorali zelanti eleggono un minor numero di deputati. Questo si evita con la mia proposta principale. Con quella subordinata, la questione non ha alcuna importanza. L’osservazione dell’onorevole Fabbri è giusta, ma solo per la mia proposta principale, quella secondo cui si vorrebbe adottare un quoziente unico nazionale, ma con la subordinata mantengo il quoziente circoscrizionale, e quindi l’osservazione cade.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento che l’onorevole Perrone Capano ha proposto insieme con gli onorevoli De Martino, Selvaggi, Condorelli, Codacci Pisanelli e Monterisi:

«Al quarto comma dell’articolo 57, alle parole: dei deputati a ciascuna lista. Per questo effetto, ecc., e sino alla fine dell’articolo, sostituire:

«Il numero complessivo dei voti riconosciuti validi in ciascuna circoscrizione va diviso per il numero dei deputati da eleggere aumentato di uno.

«I voti validi riportati da ciascuna lista elettorale vanno rispettivamente divisi per il quoziente di cui innanzi, ed il risultato di tale divisione rappresenta il numero dei deputati eletti in ciascuna lista.

«Se il numero dei seggi così attribuiti risulta inferiore al numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, le divisioni di cui innanzi saranno fatte diminuendo il divisore, portandolo sino a quel numero, il più alto possibile, che consenta i quozienti i quali, sommati, formino il numero dei seggi assegnati a ciascuna circoscrizione».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERRONE CAPANO. Lo ritiro perché superato.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’emendamento degli onorevoli Tambroni, Arcangeli, Marinelli, Fabriani, Zuccarini, Bocconi, Filippini, De Caro Gerardo, Turco, Ciccolungo, Stella, Mastino Gesumino, Bovetti, Bulloni, Monterisi, Tozzi Condivi, Raimondi, Firrao, Galati, Manzini e De Martino:

«In relazione all’emendamento precedente, al quarto comma sostituire alle parole: Si divide il totale dei voti validi riportati da tutte le liste per il numero dei deputati da eleggere più uno, quando alla circoscrizione siano assegnati fino a venti deputati, o più due, quando alla circoscrizione siano assegnati oltre venti deputati, le seguenti: Si divide il totale dei voti validi riportati da tutte le liste per il numero dei deputati da eleggere più due, quando alla circoscrizione siano assegnati fino a 16 deputati; più tre, quando alla circoscrizione siano assegnati oltre 16 deputati».

Non essendo presenti i firmatari, s’intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

Segue l’emendamento degli onorevoli Donati, Rivera, Castelli Avolio, Morelli Renato, Lami Starnuti e Dugoni del seguente tenore:

«Al quarto comma dell’articolo 57, alle parole: più uno e più due, sostituire sempre le parole: più tre».

L’onorevole Donati ha facoltà di svolgerlo.

DONATI. Il mio emendamento ha un duplice scopo.

Innanzitutto dal risultato della votazione, a favore e contro la lista nazionale, discende indubbiamente la tendenza a ridurre almeno la portata della lista nazionale. Anche se è preclusa la possibilità di modificarne il principio e le modalità di composizione, perché tutti gli emendamenti al riguardo sono stati respinti, rimane sempre aperta la possibilità di ridurre il numero dei seggi a disposizione della lista nazionale, lasciando quindi il maggior numero di posti possibile a disposizione delle circoscrizioni. Ed in questo senso, già prima della discussione, la Commissione, nel suo progetto, proponeva di elevare da più uno e più due, rispettivamente a più due e più tre il coefficiente di maggiorazione per fare in modo che si passasse da circa ottanta a poco più di cinquantacinque seggi a disposizione della lista nazionale. E sotto questo profilo credo che la discussione ampia ed il risultato della menzionata votazione potrebbe indurre a ridurre ulteriormente il numero dei seggi a disposizione nella lista nazionale, elevando in genere il coefficiente ad un numero superiore.

Ma vi è anche un altro aspetto del problema che l’onorevole Lami Starnuti ha messo in evidenza nella seduta di ieri, ed è che facendo una differenziazione fra i collegi che hanno meno di 20 seggi e quelli che ne hanno più di 20 si crea uno squilibrio fra i primi ed i secondi.

Sono ben 20 i collegi che hanno meno di 20 seggi ed hanno un complesso di 277 deputati; sono soltanto 10 i collegi che hanno più di 20 seggi ed hanno 278 deputati. Vi è dunque una equivalenza del numero dei seggi. Senonché, con il sistema della legge 1946 è accaduto che i grandi collegi hanno dato soltanto 31 posti alla lista nazionale, mentre si può dire che tutti gli eletti della lista nazionale provengono dai grandi collegi. Ed infatti: su 36 seggi Milano ne ha visti sacrificati soltanto due a favore della lista nazionale. Verona, su 29 seggi, soltanto 2; Napoli, su 30, soltanto 3. Che cosa si è verificato per gli altri 20 collegi medi e piccoli? Per esempio ad Aquila su 16 deputati il collegio ha dovuto sacrificare ben 4 seggi; cioè il 25 per cento sono stati sottratti alla circoscrizione naturale per dar luogo ad eletti in lista nazionale. Lo stesso è avvenuto per Ancona 4 su 17 posti: meno del 25 per cento. A Salerno 3 su 15. A Lecce 3 su 15. A Potenza 2 su 7, cioè quasi il 30 per cento.

In sostanza, il maggior contributo, cioè 49 sugli 80 posti a disposizione della lista nazionale, è stato dato dai piccoli e medi collegi, dai quali, tra l’altro, non sono generalmente tratti i candidati della lista nazionale.

Ora, mi domando, per quale ragione questa sperequazione fra i grandi collegi che hanno dato soltanto 31 posti, mentre hanno dato ben più candidati eletti, ed i piccoli e medi collegi che hanno dato 49?

Né con la proposta della Commissione si ottiene un risultato più equo: perché dalla stessa relazione della Commissione risulta che aumentando il coefficiente da due a tre dei grandi collegi si sottraggono soltanto 20 posti a favore della lista nazionale; mentre nei piccoli e medi collegi aumentando da 1 a 2 il coefficiente se ne sottraggono ben 35.

La sperequazione dunque rimane.

Per questa ragione, sia per ridurre i posti a disposizione della lista nazionale, sia per stabilire l’equilibrio fra piccoli e medi collegi da un lato e grandi collegi dall’altro ho proposto che il coefficiente di maggiorazione sia sempre elevato a tre, aderendo con ciò alla proposta della Commissione per i grandi collegi che fornirebbero circa 20 posti alla lista nazionale ma elevando da 2 a 3 il coefficiente proposto della Commissione per i piccoli e medi collegi. In tal modo anche i piccoli e medi collegi verrebbero a dare circa una ventina di seggi a disposizione della lista nazionale.

Se dovesse essere accolta una proposta che elevasse ancora il coefficiente non sarei contrario; ma vorrei in ogni caso che fosse evitata comunque una differenziazione fra piccoli e medi collegi da un lato e grandi collegi dall’altro, che non trova nessuna giustificazione né morale né politica.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia, insieme con gli onorevoli Codacci Pisanelli, Siles, Orlando Camillo, Di Fausto, Ponti, Guerrieri Emanuele, Geuna, Quarello, Scalfaro e Garlato propone di sostituire al quarto comma dell’articolo 57 alle parole: per questo effetto ecc., sino alla fine, la seguente formulazione:

«Il numero complessivo dei voti riconosciuti validi in ciascuna circoscrizione va diviso per il numero dei deputati da eleggere aumentato del 20 per cento.

«I voti validi riportati da ciascuna lista elettorale vanno rispettivamente divisi per il quoziente di cui innanzi, ed il risultato di tale divisione rappresenta il numero dei deputati di ciascuna lista».

L’onorevole Caronia ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CARONIA. Scopo dell’emendamento da me proposto è di cercare di ridurre al minimo gli inconvenienti della lista nazionale, dato che metà dell’Assemblea ha aderito alla forma antidemocratica ed anticostituzionale della lista nazionale.

Il mio emendamento differisce da quello proposto dall’onorevole Donati e si avvicina invece a quello proposto dall’onorevole Nobile.

Differisce da quello dell’onorevole Donati, in quanto non crea disparità fra piccole e grandi circoscrizioni.

Si avvicina a quello dell’onorevole Nobile, nel senso che, qualunque sia il numero dei deputati assegnati alle singole liste, stabilisce una percentuale fissa, in modo che si elimina qualunque disparità tra piccole e grandi circoscrizioni.

Ho fatto dei calcoli in proposito aumentando del 20 per cento il numero dei quozienti da me proposti.

Per esempio, nella prima circoscrizione, quella di Torino, alla quale erano assegnati 27 seggi, si è avuto un totale di 1.332.367; aumentando il numero 27 del 20 per cento si raggiunge la cifra di 32,40; dividendo 1.332.367 per 32,40 si ha un quoziente di 41.730, invece di circa 46.000, quale si è avuto con l’aumento di uno. In questo modo si sarebbe raggiunto il numero di 27 seggi, di meno di quelli di spettanza della circoscrizione, e non la perdita di tre, quale si è avuta.

Applicando il metodo alla circoscrizione di Salerno, che ha un numero minore di seggi, e che nell’ultima elezione ha perduto 3 quozienti, la perdita si sarebbe ridotta ad un solo quoziente. Mi sembra evidente il criterio di giustizia rispetto alle singole circoscrizioni, siano esse grandi o piccole, senza, per questo togliere completamente la utilizzazione dei resti nella lista nazionale, la quale verrebbe ridotta da 80 a 55 secondo la proposta della Commissione, a circa 40 secondo la proposta dell’onorevole Donati e ad una ventina secondo la mia proposta. Poco male! Sarebbe un correttivo in omaggio alla Costituzione che abbiamo votato, ed in omaggio ai principî democratici, che ci dovrebbero ispirare.

Propongo che il mio emendamento sia posto in votazione; nel caso che dovesse essere respinto, aderirei a quello dell’onorevole Nobile.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Reale Vito, del seguente tenore:

«Al quarto comma dell’articolo 57, alle parole: «più uno», ed alle parole: «più due», sostituire le altre: «più quattro».

Poiché non è presente, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Basile ha presentato il seguente emendamento, aggiuntivo al sesto comma dell’articolo 57:

«se il residuo dei voti non raggiunge la metà della cifra del quoziente elettorale».

Ha facoltà di svolgerlo.

BASILE. Il problema dei resti elettorali è questione tecnica che, in un’Assemblea politica, diventa politica.

Ogni lista lascia un residuo di voti, una frazione di deputato. È fuori dubbio che se nel meccanismo della legge il collegio unico nazionale restasse soltanto per l’utilizzazione al centro delle frazioni che non possono utilizzarsi alla periferia, il sistema risponderebbe in modo matematicamente esatto al principio proporzionale integrale. Ma questo sarebbe il problema tecnico puro e semplice. Il collegio nazionale però non è uno strumento per utilizzare i resti, è una risorsa che limita il diritto degli elettori, per dare un premio ai partiti: ciò modifica il carattere della legge. Noi vogliamo anzitutto, soprattutto, che sia rispettata la volontà del suffragio universale. Non ripetiamo l’assurdo della legge che creò quest’Assemblea e ne limitò le attribuzioni, per cui siamo venuti qui senza poteri legislativi, senza diritto di votare i bilanci e discutere, ad esempio, la politica estera, commerciale, o finanziaria del Ministero.

Io mi asterrò da qualsiasi recriminazione politica, limitandomi a dire che noi siamo stati in regime di corso forzoso senza poter discutere l’indirizzo economico e gli abusi monetari del Governo, che invece di ridurre il disavanzo e ridurre il debito ha creduto di risolvere tutti i problemi rifiutando di pagare i debiti dello Stato e riducendo il credito bancario, di cui non hanno bisogno soltanto l’alta banca e l’alta industria. Chiudo la parentesi e torno al tema.

Io vorrei fare appello ai colleghi di ogni settore perché in questo dibattito vogliano interpretare anzitutto la volontà del corpo elettorale. È vero, è certo che gli elettori di ogni collegio preferiscono di non trasferire nessun seggio al collegio nazionale, e di aver come propri deputati quelli di cui conoscono le idee, il nome, il passato.

Ciò è un sentimento così naturale, così umano, che rende preferibile, per la psicologia elettorale di ogni cittadino, veder eletto un deputato noto localmente, anziché uno sconosciuto di altre circoscrizioni. Chi lo negherebbe?

E allora se vogliamo interpretare veramente la volontà degli elettori – e questo è il caposaldo della mia tesi – la decisione non ha alternative.

Bisogna ridurre al minimo i seggi che resteranno al collegio nazionale. Primo punto. Ma anzitutto i candidati del collegio nazionale non possono esser sottratti al vaglio degli elettori, senza violare il principio della rappresentanza politica.

L’abolizione dei voti di preferenza, proposta all’articolo 3-bis della Commissione, è un’eresia, una impossibilità. Essa nasconde soprattutto una certa paura del popolo e della sua volontà sovrana. Ma per noi il solo sovrano è il suffragio universale. Ecco il principio semplice, il principio elementare, ma decisivo che condanna il vostro sistema e il vostro progetto. Se voi accettaste questa mostruosità, voi commettereste un errore che colpirebbe la legge di un discredito contro il quale non si potrebbe più reagire. Il voto è il diritto più importante della vita politica e il Paese chiede una legge che renda giustizia a questo diritto e alla libertà elettorale dei cittadini.

Soltanto a una condizione il vostro sistema sarebbe possibile, se cioè la designazione dei candidati fosse fatta da tutti gli elettori iscritti in ciascun partito politico, con un sistema di votazione regolato della legge elettorale.

Questo è infatti il sistema degli Stati Uniti d’America, dove però la designazione dei candidati è una elezione preliminare, ma pubblica, eseguita con lo stesso procedimento, le stesse garanzie delle elezioni finali, sia per la stampa delle schede, che per la convocazione degli elettori, sia per lo scrutinio dei voti, che per la proclamazione dei risultati. Ma neanche questo sistema risolve le difficoltà.

Infatti ogni partito ha una scheda e la consegna agli elettori, che al momento della iscrizione dichiarano di appartenere al partito. Questa norma è stabilita per impedire che i membri di un partito avversario votino la scheda dei candidati di un altro partito, per far riuscire candidati deboli che poi restino sconfitti nelle elezioni finali.

Ma in pratica avviene che l’elettore vota i candidati di un partito nelle elezioni dei candidati e poi, nella segretezza del voto, vota per altri nomi alle elezioni dei deputati.

È evidente che se il sistema si potesse applicare senza questo inconveniente, l’elezione primaria dei candidati potrebbe valere come elezione finale, perché l’elezione primaria decide in gran parte quella finale e può quindi sostituirla, come si fa negli Stati del sud per evitare la frode nella designazione dei candidati. In altri Stati, come in California, Minnesota, North Dakota, oltre che eleggere i candidati, si eleggono contemporaneamente le cariche provinciali e nazionali del partito.

Ma questa designazione dei candidati può farsi in un ordinamento che ha il presupposto del riconoscimento giuridico dei partiti o quando i partiti sono fortemente organizzati.

È impossibile applicare questo sistema in un paese in cui, su trenta milioni di elettori, otto milioni non votano; e quasi un quarto dei votanti è iscritto nei partiti politici.

Questo fenomeno dell’astensionismo elettorale è preoccupante. Io ne ho parlato a lungo in quest’Aula, dimostrando quali sono le cause che possono spiegarlo. Certo è che una di queste cause è la lista bloccata che limita la libertà politica degli elettori, la loro libertà di scelta, perché gli elettori non possono modificare la lista, e devono accettarla in blocco. Teoricamente, nessuno lo negherà, l’elettore di una circoscrizione che elegge trenta deputati, come la Sicilia, come la Lombardia, avrebbe diritto di scegliere e di votare i nomi non di tre o quattro soltanto, ma di trenta candidati. Io sono disposto ad ammettere che una parte degli elettori sarebbe forse anche imbarazzata a scegliere un tal numero di candidati. Ma mi vorrete concedere che quegli altri elettori che vogliono invece esercitare per intero il loro diritto e votare per trenta candidati che ispirano loro fiducia o anche perché hanno idee opposte e vogliono farli incontrare in Parlamento, ne hanno facoltà, ne hanno il diritto inviolabile e voi non potete confiscarlo, non potete limitarlo, perché altri elettori vi rinunciano e voi pensate che debbano rinunciare sempre di esercitarlo. Sarebbe una prima conquista del buon senso per portare più libertà e più giustizia nelle battaglie politiche. È innegabile che nella gran maggioranza, l’elettore vuol votare almeno pei candidati che conosce, almeno per quelli della sua provincia e di quelli che hanno una certa notorietà. L’elettore è spogliato del suo diritto di scelta quando è obbligato a subire una lista di trenta nomi e dare soltanto tre o quattro preferenze che non può neanche esprimere nell’ordine della sua preferenza.

Con la legge irlandese che adotta il sistema Hare, l’elettore indica la preferenza, segnando l’ordine preferenziale accanto ai nomi dei candidati.

Torno al problema centrale: l’utilizzazione dei resti. Vi sono tanti metodi, tanti sistemi, da quello del quoziente a quello del D’Hondt.

Sono tutti metodi di approssimazione, ma il metodo D’Hondt risolve la questione, perché non dà possibilità che rimangano seggi non attribuiti. Perché non scegliere questo metodo che fu già adottato in Italia dalla legge elettorale del 1919? Il sistema è semplice. La somma dei voti ottenuti è divisa successivamente per tanti numeri cardinali quanti sono i candidati da eleggere.

Col sistema del quoziente invece la somma dei voti si divide per il numero dei seggi. Ma il sistema, da voi malamente adottato, di Hagenbach-Bischoff serve a correggere l’approssimazione in maniera perfetta. Il coefficiente di maggiorazione si può aumentare quanto si vuole da più uno a più due all’infinito. Perché il progetto ministeriale si ferma a più due e la Commissione a più tre?

Quanto più aumenta il coefficiente di maggiorazione tanto più si abbassa il quoziente: e ciò favorisce i partiti più deboli. Voi fate proprio il contrario. Ora è questo precisamente che noi vogliamo eliminare.

Se voglio spingere più avanti il mio ragionamento, sono obbligato a dire che i grandi partiti non nascondono la loro volontà di ridurre al minimo il diritto degli elettori e quello degli eletti del suffragio universale. Io concepirei invece il collegio unico nazionale come un sistema di scrutinio per eleggere candidati di larga fama, anche senza partito, dando all’elettore la possibilità di votare per candidati non compresi in nessuna lista. Così degli uomini indipendenti avrebbero diritto di essere candidati e porsi al servizio del Paese.

Il vostro sistema invece del collegio unico nazionale, che abolisce i voti di preferenza, è il sistema più illogico, più antidemocratico che si possa concepire.

È la prima volta che una legge elettorale in Italia fa riferimento ai partiti; ma quel che è ingiusto, lo fa per dare un premio proprio ai partiti più forti. Nei regimi democratici è il contrario che fa la legge. La legge americana, ad esempio, rende possibili le designazioni di gruppi politici che non raggiungono la consistenza numerica richiesta dalla legge per un partito.

Eppure si tratta di un paese che ha un ordinamento in cui i partiti sono fortemente organizzati. Ma questa è un’affermazione e una garanzia di libertà.

In Inghilterra, dove è tradizionale la divisione in due grandi partiti, bastano dieci firme per la presentazione di una candidatura e un deposito di garanzia di 150 sterline che si perde soltanto se il candidato non abbia raggiunto un ottavo dei voti necessari. Nel sistema elettorale danese, la proposta di candidatura deve essere sottoscritta da 25 e non più di 50 elettori.

Queste sono le garanzie che l’elettore chiede alla legge che deve tutelare tutti è rispettare soprattutto i diritti delle minoranze. Ma dare un premio ai partiti più forti che, avversi o uniti, sono perciò onnipotenti in quest’Assemblea, è un abuso della forza. Quest’onnipotenza dei partiti, voi sapete come si chiama; io non voglio pronunciare la parola per cortesia, ma, è il meno che si possa dirne, è un pericolo per la democrazia.

Io non mi voglio fermare su altri argomenti minori e concludo. La mia proposta è una tesi di conciliazione che potrebbe essere accolta come una transazione accettabile dalle due correnti opposte.

Quando il resto superi la metà della cifra del quoziente, si utilizza nella circoscrizione, se invece non la superi viene trasferito al collegio nazionale.

Con la mia proposta, il collegio unico nazionale serve all’utilizzazione integrale dei resti, senza ferire il principio democraticon che deve restare il criterio fondamentale della legge: dare solo agli elettori il diritto di eleggere i propri rappresentanti politici in nome della sovranità del suffragio e cioè, della sovranità popolare. (Applausi).

ARCANGELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARCANGELI. Ricordo che v’è anche un emendamento a firma Tambroni, di cui io sono confirmatario.

PRESIDENTE. L’ho già annunziato in assenza di tutti i firmatari. Pertanto ho dichiarato che si intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

ARCANGELI. Ma è susseguente a quello dell’onorevole Caronia e pertanto avrebbe dovuto essere annunziato ora.

PRESIDENTE. Non facciamo di queste sottigliezze; non v’è un ordine obbligatorio per lo svolgimento degli emendamenti. Comunque, ha facoltà di svolgere il suo emendamento di cui è stata data lettura poco fa.

ARCANGELI. Poche parole. Da attenti calcoli dei resti relativi alle elezioni del 2 giugno risulta che il coefficiente di scarto fra i voti utilizzati nei collegi e quelli inviati alla lista nazionale sarebbe presso a poco uguale per ciascun collegio, solo che il più 2 o il più 3 si sposta dai collegi con più di 20 candidati a quelli con più di 16.

Se si opera invece come altrimenti è stato proposto, si avrebbe, per tre o quattro collegi, una situazione di svantaggio rispetto agli altri.

Conseguenza dello spostamento da 20 a 16 è il minor numero di deputati che verrebbero eletti con la lista del collegio unico nazionale, valutabile da 4 a 6 deputati.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha facoltà di esprimere l’avviso della Commissione.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. La materia che si discute con questi emendamenti poteva essere discussa precedentemente. L’obiezione più grave contro il collegio nazionale è quella dell’assorbimento di troppi seggi, con la conseguenza di togliere alle circoscrizioni seggi in proporzioni diverse fra i collegi piccoli e quelli grandi. Resomi conto della importanza di questa obiezione e fatti eseguire da esperti i calcoli elettorali, ho potuto constatare che effettivamente uno squilibrio fra le grandi e le piccole circoscrizioni si è verificato.

Dicono gli oppositori che si sono dati troppi seggi al collegio nazionale; e noi abbiamo appunto accolto questa osservazione esposta da molte parti. Quindi, in linea di massima, i membri della Commissione sono concordi nel diminuire l’attribuzione dei seggi al collegio unico nazionale. Sono stati escogitati una quantità di sistemi, come quelli che voi avete sentito esporre dagli onorevoli Nobile, Donati, Caronia e altri che non ricordo. Vi prego, quindi, di considerare le osservazioni che intendo esporvi come conclusione.

Noi abbiamo fatto la proposta, come Commissione, che il più uno e il più due di cui parla l’articolo 57 siano aumentati e che si adottino invece il più due e il più tre. Alcuni hanno trovato che ciò è insufficiente o che non corrisponde ad un criterio giustamente proporzionale. Così ha rilevato l’onorevole Nobile, il quale propone un altro emendamento, che trasforma il più due e il più tre in una diminuzione percentuale del quoziente ottenuto dividendo i voti validi per il numero dei seggi. Ottenuto il quoziente normale, questo dovrebbe essere diminuito del 10 o del 12 per cento. A proposito del quoziente devo osservare che la prima proposta Nobile non può essere accolta, perché evidentemente fare un quoziente unico per tutte le circoscrizioni, dividendo tutti i voti validi espressi in tutte le circoscrizioni per il numero dei deputati di cui si compone la Camera, vorrebbe dire rendere uguale per forza ciò che invece è disuguale. In pratica la proposta sarebbe specialmente dannosa pei collegi del Mezzogiorno nei quali, per ragioni complesse e obiettive, la percentuale dei votanti sugli iscritti è sempre inferiore a quella dei collegi del Settentrione.

Ognuno comprende come questa proposta del quoziente unico, generale per tutte le circoscrizioni, non sia ammissibile e non possa essere accolta.

Invece, l’altro emendamento dell’onorevole Nobile, cui ho già accennato, e che mira a sostituire alla maggiorazione del numero dei seggi la sottrazione di una percentuale del quoziente al quoziente stesso, per renderlo più basso, è una operazione che ci lascia perplessi, perché non sembra che le due formule si equivalgano. D’altra parte la Commissione non ha potuto fare eseguire calcoli esatti al riguardo e perciò non può ora accoglierlo. Per venire invece incontro alle varie proposte che sono state qui fatte per diminuire ancora il numero dei seggi da attribuire al collegio unico, personalmente parlando mi sento disposto a qualche ulteriore concessione purché, fermo restando il principio fondamentale del collegio unico nazionale, non ne venga poi diminuito il contenuto in maniera tale che non rappresenti più nulla.

Questa concessione potrebbe essere quella di applicare il più tre a tutte le circoscrizioni. Con questo coefficiente applicato ai dati del 2 giugno 1946, al collegio unico nazionale sarebbero stati attribuiti appena la metà dei seggi che furono allora assegnati.

Però bisogna aggiungere, come ho dichiarato nella mia relazione, che i calcoli aritmetici fondati sulla posizione elettorale del 1946 non offrono dati definitivi: i dati saranno probabilmente diversi nelle elezioni future. E, quindi, faremo un nuovo esperimento. Evidentemente non si potrà accusare la Commissione dell’Assemblea Costituente di non avervi richiamato a considerare che la mutevolezza dei resti non può essere guidata da una norma che esattamente rispecchi la volontà del legislatore. (Commenti).

Faccio presente che, se si fosse applicato il più tre ai dati del 2 giugno 1946, le circoscrizioni che avevano fino a venti seggi avrebbero trasferito complessivamente diciannove seggi al collegio unico e le circoscrizioni che avevano oltre venti seggi ne avrebbero attribuiti venti allo stesso collegio unico nazionale. Più equilibrata sarebbe stata la posizione tra piccole e grandi circoscrizioni.

Concludo, pertanto, dichiarando che la Commissione è ferma nelle sue posizioni salvo a proporre il più tre per tutte le circoscrizioni se non fosse accolta la sua proposta.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. A nome della minoranza della Commissione dichiaro che noi aderiamo all’aumento del coefficiente a tre per tutte le circoscrizioni.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Avevo presentato un emendamento nel senso di aumentare i coefficienti previsti dalla Commissione da due a tre e da tre a quattro. Dal punto di vista puramente aritmetico, sono più logici l’emendamento Caronia da una parte e l’emendamento Nobile dall’altra, nel senso che uno aumenta il divisore, e quindi riduce il quoziente, e l’altro invece riduce addirittura il quoziente di una percentuale fissa, perché l’inconveniente più grave del dato costante due e tre è che in una circoscrizione come quella, ad esempio, della Basilicata, con sette seggi, dando il sette più tre si viene praticamente a ridurre del cinquanta per cento il quoziente che corrisponderebbe altrimenti in senso aritmetico; mentre, lasciando il 3 per una circoscrizione come quella, ad esempio, di Milano, o come una, poniamo, della Sicilia, con 36 o 38 deputati, si viene a realizzare una diminuzione del quoziente pari soltanto al dieci per cento.

La logica aritmetica porterebbe, quindi, ad adottare o il metodo Caronia o il metodo Nobile. Io non credo sia veramente un’operazione tanto difficile sottrarre il dodici per cento da un quoziente o aumentare del trenta per cento il divisore per determinare il quoziente unico nazionale.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Questo è più difficile.

CORBINO. Ma, ad ogni modo, il risultato che si vuole raggiungere, sul quale anche la Commissione concorda – e sul quale credo che siamo tutti d’accordo – è quello di contenere al minimo possibile il numero dei posti destinati alla lista nazionale. (Approvazioni). Questo è il vero terreno di tutte le discussioni fatte fino a questo momento.

E allora, se non volete seguire la logica matematica, che vi porterebbe a dare il vostro appoggio o alla tesi Caronia o alla tesi Nobile, che sono perfettamente identiche e che soltanto si invertono come operazione aritmetica, accediamo al criterio della Commissione, mettendo, invece che più due e più tre: più tre e più quattro, ciò che sarebbe la cosa più logica.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, la prego di dirmi se mantiene entrambe le sue proposte o se una sola delle due e quale.

NOBILE. La prima proposta senza dubbio è logica, razionale, e tende a perfezionare il sistema proporzionale. Però, date le ragioni, contingenti esposte dall’onorevole Fuschini, la ritiro.

Quanto alla seconda proposta, la ritengo opportuna; tuttavia quella analoga dell’onorevole Caronia, sebbene meno semplice nell’applicazione pratica, appare più razionale, mentre la variazione suggerita testé dall’onorevole Fuschini non farebbe che aggravare gli inconvenienti che l’onorevole Caronia ed io abbiamo rilevati e che ha riconosciuti anche l’onorevole Corbino. Quindi, per semplificare, rinuncio anche a questa mia proposta e aderisco a quella dell’onorevole Caronia.

PRESIDENTE. Onorevole Arcangeli mantiene ella il suo emendamento?

ARCANGELI. Lo ritiro e aderisco a quello Caronia.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino?

CORBINO. Il più tre per tutte le circoscrizioni, in coscienza, non posso accettarlo, e pertanto mantengo la mia proposta.

PRESIDENTE. Onorevole Donati?

DONATI. Mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Pignatari?

PIGNATARI. Aderisco all’emendamento dell’onorevole Donati e mi riservo, in sede di dichiarazione di voto, di spiegare il perché. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Basile, mantiene ella il suo emendamento?

BASILE. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Caronia?

CARONIA. Mantengo.

PATRISSI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PATRISSI. Credo esatta la tesi dell’onorevole Nobile e dell’onorevole Caronia, a parte la misura. Perché in fondo la correzione aritmetica per la valutazione del quoziente può mirare a un duplice scopo: o ridurre il numero dei seggi che si riportano al collegio unico nazionale, o anche tentare di ridurre la sperequazione fra le circoscrizioni col numero di seggi inferiore a venti e quelle con un numero di seggi superiore a venti.

Trovo però che come criterio aritmetico, trattandosi appunto di una correzione in funzione lineare, il sistema percentuale più esatto sta nel coefficiente unico di due, o di tre, per tutti i collegi.

Volere aumentare a tre o a quattro non ha senso pratico, perché così facendo si considera il problema con uno specifico riferimento pratico al risultato delle passate elezioni, risultato che può cambiare perché, come mi insegna l’onorevole Corbino, per la legge dei grandi numeri, se supponiamo che il valore dei resti si accentri nel cinquanta per cento, il quoziente medio non varia, e tanto vale il dieci per cento per tutti quanto il venti per cento. Non entro nel merito della quantità. Si adotti uno stesso numero per tutte le circoscrizioni; ma in pratica è opportuno, invece di operare detrazioni od aumenti percentuali, calcolare un coefficiente empirico stabilito una volta per tutte.

MASTINO GESUMINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO GESUMINO. Poiché l’onorevole Morelli ha fatto una dichiarazione di voto a nome della minoranza della Commissione, e poiché io faccio parte di tale minoranza, dichiaro che non sono d’accordo con lui nel fissare a tre il coefficiente.

Sarei invece d’accordo col collega onorevole Caronia, ma lo pregherei di diminuire la percentuale di aumento dal venti al quindici, perché col venti si giungerebbe a una eliminazione del collegio nazionale, mentre col quindici si possono accontentare gli oppositori.

Se l’onorevole Caronia ritiene di poter accettare questa proposta, voterò a favore.

PIGNATARI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIGNATARI. Gli emendamenti proposti si ripropongono un duplice fine: da un lato ridurre il numero dei deputati eletti per la lista nazionale, dall’altro eliminare le sperequazioni che si sono verificate nei piccoli e nei grandi collegi. Mi permetto di far notare che con l’emendamento dell’onorevole Caronia questa sperequazione, che l’onorevole Donati ha documentato, verrebbe ad aumentare invece di diminuire (Commenti). Infatti, tenendo presente, ad esempio, il collegio di Roma cui l’onorevole Caronia appartiene, nel quale vi sono 33 seggi, aumentando il divisore del venti per cento andremmo a 39,60; nel collegio di Potenza, uno dei più piccoli, che io rappresento, il quale su sette seggi ha dato ben due seggi alla lista nazionale, se si aumentasse il divisore del venti per cento avremmo non un aumento del 6,60 come per il collegio di Roma, ma un aumento di 1,60. La situazione naturalmente peggiorerebbe riducendo l’aumento al 15 per cento. Il collegio di Potenza continuerebbe a perdere come ha perduto finora due rappresentanti; ché anzi il divisore sarebbe inferiore anche a quello adottato nelle elezioni del 2 giugno, che era aumentato di due unità. E nelle stesse condizioni si troverebbero tutti gli altri piccoli collegi. Aderisco invece al più logico emendamento presentato dall’onorevole Donati, col quale si verrà ad eliminare la lamentata sperequazione.

DE MARTINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE MARTINO. Mi permetto fare osservare che la conclusione cui giunge il collega non è perfettamente rispondente all’aritmetica. Vanno bene tutte le premesse dell’onorevole Pignatari, ma occorre ricordare che, quando si aumenta il divisore, diminuisce il quoziente. L’onorevole Pignatari dimentica, nel fare il parallelo fra un collegio e l’altro, che il collegio di Potenza si riferisce ad un dividendo di molto inferiore a quello del collegio che egli ha preso in paragone.

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Aderisco alla proposta dell’onorevole Mastino Gesumino, nel senso di ridurre, nel mio emendamento, la percentuale al quindici per cento.

PRESIDENTE. Passiamo alle votazioni. La proposta base è quella della Commissione: elevare il coefficiente di aumento del divisore a due e a tre laddove il decreto del 1946 pone rispettivamente uno e due.

Con questa proposta la Commissione ha cercato di venire incontro alle esigenze manifestate con la presentazione di vari emendamenti. Vorrei ricordare quanto è stato detto da parecchi colleghi nel corso della discussione: poiché l’Assemblea ha accettato con una votazione il collegio unico nazionale e la lista nazionale, bisogna – ed è questo evidentemente un impegno che ogni deputato ha – non svuotare ora la votazione stessa. Se la Commissione ha accettato, venendo appunto incontro a molte richieste, di fare in modo che il collegio nazionale non possa portare alla elezione di un numero troppo grande di deputati, occorre tuttavia, per coerenza con una votazione già fatta, che il collegio nazionale non resti soltanto un nome, ciò che avverrebbe ove qualcuno degli emendamenti su cui dovrà ora votarsi fosse accettato. La Commissione ha dichiarato che attraverso le sue proposte prevede che con il collegio nazionale non potranno aversi, se non mutano i termini generali, più di quaranta eletti, ciò che rappresenta già una notevole riduzione rispetto alle elezioni del 2 giugno. Dico tutto questo perché i colleghi si rendano conto delle conseguenze del voto che stanno per dare.

Restano gli emendamenti: dell’onorevole Donati, ripreso dall’onorevole Pignatari, per il coefficiente fisso di tre; dell’onorevole Corbino, per sostituire nel decreto del 1946 più tre a più uno e più quattro a più due; dell’onorevole Caronia, che propone un meccanismo a tenore del quale si tratta di aumentare del quindici per cento la cifra del divisore, ossia il numero dei deputati da eleggere in ciascun collegio circoscrizionale. Vi è infine l’emendamento Basile il quale non si richiama ad alcun coefficiente, ma presenta una sua particolare struttura.

Ritengo che l’emendamento Basile debba esser messo per primo in votazione. Ne do nuovamente lettura:

«Aggiungere al sesto comma dell’articolo 57: se il residuo dei voti non raggiunge la metà della cifra del quoziente elettorale».

Io confesso che per quanto l’onorevole Basile abbia svolto questo suo emendamento non riesco a vedere il legame che esso ha con la questione che discutiamo e neanche riesco ad afferrarne il meccanismo interno. Comunque i colleghi hanno udito lo svolgimento dell’emendamento Basile e pertanto, mettendolo in votazione, io mi rivolgo a persone che sanno che cosa votano.

Pongo in votazione l’emendamento Basile.

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione l’emendamento dell’onorevole Corbino:

«Alle parole: più due, del testo della Commissione (più uno nel decreto del 1946) sostituire: più tre; e alle parole più tre (più due nel decreto del 1946) sostituire più quattro».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Pongo in votazione l’emendamento Caronia, di cui do nuovamente lettura:

«Al quarto comma dell’articolo 57, alle parole: per questo effetto, ecc., sino alla fine del comma sostituire le parole seguenti:

«Il numero complessivo dei voti riconosciuti validi in ciascuna circoscrizione va diviso per il numero dei deputati da eleggere aumentato del quindici per cento.

«I voti validi riportati da ciascuna lista elettorale vanno rispettivamente divisi per il quoziente di cui innanzi, ed il risultato di tale divisione rappresenta il numero dei deputati di ciascuna lista».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, non è approvato).

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Donati, ripreso dall’onorevole Pignatari:

«Al quarto comma dell’articolo 57, alle parole: più uno e più due, sostituire sempre le parole: più tre».

L’onorevole Fuschini ha dichiarato che, ove non fosse stata accolta la proposta della Commissione, questa avrebbe preferito, fra le altre, quella Donati.

Pongo in votazione l’emendamento Donati.

(È approvato).

DE MARTINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE MARTINO. Voglio fare osservare che quando il collegio fosse piccolissimo, aggiungendosi al numero dei seggi quello di tre può aversi un quoziente che stia nella varie cifre elettorali di ciascuna lista in modo tale da avere un numero complessivo di eletti superiore al numero degli eleggibili (Commenti).

PRESIDENTE. Cosa ne pensa la Commissione?

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Nell’articolo 57 il caso è contemplato ed è previsto il rimedio.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta antimeridiana di domani.

Sull’ordine dei lavori.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno per domani è il seguente: alle 10 seguito della discussione sulle modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati; alle 17, votazione a scrutinio segreto di questo disegno di legge, o, eventualmente, conclusione delle votazioni sui singoli articoli e poi scrutinio segreto; quindi il coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione.

Domani cominceremo a tirare le fila del nostro lungo lavoro e del più lungo lavoro compiuto dal Comitato di redazione. Gli onorevoli colleghi avranno già veduto il fascicolo distribuito stamane. In esso sono contenute alcune annotazioni che prego i colleghi di leggere attentamente prima di esaminare il testo coordinato. In queste annotazioni sono indicate le norme che seguiremo per questo ultimo e definitivo esame dell’intero testo costituzionale. Mi pare che qualche collega non si sia ancora ben capacitato di ciò che ci resta ancora da fare, nel senso che pensa ci sarà ancora grande e ampia discussione. Questi colleghi non hanno presente come abbiamo proceduto quando, esaminando i disegni di legge trasmessici dal Governo o che l’Assemblea ha avocato a sé, eravamo giunti alla conclusione dello scrutinio segreto.

Nell’esame dei disegni di legge allorché, votati gli articoli, uno per uno, si giunge allo scrutinio segreto non sono più consentite né discussione né proposte. Tuttavia, data l’importanza del testo costituzionale, dato che si è affidato al Comitato di redazione il compito del coordinamento, il compito di mettere meglio insieme tutte le norme via via approvate; dato anche che si è affidato a un piccolo comitato, non ufficiale, ma utile, l’incarico di esaminare dal punto di vista letterario, suggerendo i perfezionamenti formali del caso, le norme da noi votate, è comprensibile che si possano fare ancora alcune osservazioni. Ma queste devono avere un carattere ben limitato; e nessuna formula nuova sarà possibile proporre, ma solo il ritorno puro e semplice al testo votato dall’Assemblea. Pertanto i colleghi i quali leggendo il testo definitivo e comparandolo col testo votato in Assemblea avvertiranno eventualmente o che la forma letteraria non sodisfi o che la nuova forma in qualche modo modifichi la sostanza della votazione avvenuta, non possono che proporre il ritorno al testo votato dall’Assemblea.

Questa è la norma. Non possiamo derogarvi. I colleghi devono far pervenire le loro proposte prima che incominci, lunedì, la seduta dedicata a. quest’ultimo lavoro. La Presidenza non potrà accettare nessuna proposta durante la seduta. All’inizio della seduta dovrà già aversi l’elenco completo di queste proposte.

Per alcune questioni, quattro o cinque in tutto, il Comitato di redazione si è riservato una definitiva decisione. Esse si riferiscono a punti della Costituzione per i quali, durante il coordinamento, è apparsa l’opportunità, non per ragioni di forma, ma per incompiutezza o per difetto di formulazione, o per qualche incongruenza o altra ragione, di sottoporre all’Assemblea il quesito di eventuali modificazioni. Il Comitato di coordinamento non ha ancora deciso a questo proposito; si riserva di decidere dopo una riunione che sarà tenuta domattina presso l’ufficio di Presidenza.

Qualora si decidesse che qualcuna di queste questioni debba giungere fino all’Assemblea sarà però sufficiente che anche una piccola parte dell’Assemblea si opponga a che si rivedano nel merito decisioni che sono state prese, perché sia precluso di entrare nel merito. E pertanto per ognuna di queste questioni io porrò la domanda pregiudiziale se l’Assemblea accetta che venga ripresa in esame allo scopo di una modificazione del testo approvato.

Soltanto se l’Assemblea con una maggioranza molto ampia, notevole, deciderà che bisognerà rientrare nell’esame di merito, si discuterà.

Tengano tuttavia presente onorevoli colleghi, che dato che ci rimangono soltanto poche ore per questo lavoro, le proposte devono essere fatte con senso di discrezione, il che vuol dire che ad esempio molte di esse potranno recare numerose firme di deputati che, pur differendo in minute particolarità, sapranno rinunciarvi per unificarsi sul merito. In ogni caso, il Comitato di redazione fornirà una base di discussione.

Sapremo domani pomeriggio se le questioni cui ho accennato saranno portate in Assemblea. In caso affermativo, saranno esaminate nella seduta pomeridiana, in maniera che lunedì non avremo che da assolvere il compito di esaminare le proposte di ritorno dalle formulazioni del Comitato di redazione a quelle già votate, per poi passare alla votazione finale a scrutinio segreto.

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per sapere se è in grado di fornire notizie sul deplorevole episodio verificatosi in Suzzara, provincia di Reggio Emilia, ove due cittadini sono stati aggrediti e percossi nell’interno delle loro abitazioni soltanto perché appartenenti ad un determinato partito politico, e quali provvedimenti ritiene di poter adottare perché i responsabili siano raggiunti e puniti.

«Simonini».

«Al Ministro della difesa, per sapere se nell’attuale delicato momento per la ricostruzione dei quadri dell’Esercito e con particolare riferimento ai gradi più elevati della gerarchia, non ritenga opportuno richiamare l’attenzione del Presidente del Consiglio di Stato, affinché acceleri l’esame dei ricorsi presentati dagli ufficiali ricorrenti avverso al provvedimento di collocamento nella riserva, in difformità del giudizio personale espresso dalla Commissione di avanzamento.

«Quanto sopra, non soltanto per ovvie ragioni morali, ma soprattutto nell’interesse dell’Esercito, che da un eventuale protrarsi del tempo della decisione del Consiglio di Stato sarebbe inevitabilmente danneggiato, così nella efficienza dei quadri, come nel definitivo assetto della carriera per gli ufficiali rimasti in servizio effettivo.

«Marina».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se risponda a verità quanto ha pubblicato l’Unità del 20 dicembre 1947 circa la destituzione di un comandante della polizia di Trapani ordinata dal prefetto e dal questore di quella città su richiesta della Camera del lavoro; e, se vero, come spiega il Governo questa incredibile abdicazione di poteri in netto contrasto con le promesse del Capo del Governo di garantire e proteggere l’imperio della legge e il prestigio dell’autorità.

«Russo Perez, Castiglia, Patricolo».

«Al Ministro dei trasporti, perché esamini la necessità ed utilità di accordare l’orario dell’arrivo e di partenza del rapido Lecce-Roma con quello delle automotrici in servizio nella Lecce-Gallipoli-Maglie: attualmente gli orari differiscono di pochi minuti.

«Si darebbe così la possibilità di fruire del rapido ai viaggiatori di un gran numero di paesi, che restano a sud di Lecce.

«De Maria, Codacci Pisanelli».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere:

1°) per diminuire le spese di riscossione e d’amministrazione dei contributi unificati;

2°) perché si rivedano gli elenchi anagrafici dei lavoratori della terra, onde accertarsi se tutti gli iscritti hanno diritto alle previdenze, cui i contributi sono destinati;

3°) per dare la possibilità di pagare, senza che siano iscritti a ruolo, a tutti quegli agricoltori che non hanno ancora provveduto al pagamento della prima rata degli integrativi del 1947 ed a quella del 1948, essendo in attesa dell’esito dei reclami presentati dalle rispettive organizzazioni;

4°) per dare la possibilità a tutti gli agricoltori di presentare gli eventuali ricorsi come è concesso in tutti gli accertamenti fiscali.

«L’interrogante chiede, inoltre, all’onorevole Ministro:

1°) di sospendere la riscossione dei contributi oltre la prima rata, in attesa della emanazione dei provvedimenti richiesti;

2°) di ristabilire le tessere individuali con le marchette, il che automaticamente selezionerebbe i veri lavoratori della terra, da coloro che si sono abusivamente infiltrati fra di essi, concorrendo con ciò ad adeguare la imposta stessa alla capacità contributiva degli agricoltori.

«Monterisi».

Ne darò notizia al Governo, perché comunichi quando intenda rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere:

1°) quali provvedimenti intenda prendere in seguito ai gravi fatti svoltisi la sera del 18 dicembre 1947 in Caltanisetta, in occasione della seduta del Consiglio comunale, che doveva procedere alla elezione del sindaco e della Giunta, ma non ha potuto, perché il padre di un consigliere comunale democristiano ha estratto nell’aula del Consiglio la pistola, facendo partire alcuni colpi e provocando il panico;

2°) quali provvedimenti intenda adottare a carico dei responsabili materiali e morali dei sanguinosi fatti di Gela.

«Montalbano, Li Causi, D’Amico, Fiore».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se, estendendo la legge Badoglio sulla abrogazione di tutte le leggi razziali e demografiche, e in virtù di un criterio equitativo, non intenda doveroso riconoscere ai celibi vincitori di concorsi universitari, e nominati solo nel 1941 in seguito alla sospensiva nell’applicazione delle leggi stesse, la retrodatazione della nomina alla data effettivamente loro spettante, e che fu attribuita agli altri vincitori di concorsi ammogliati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bonino».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere:

1°) il numero delle case bruciate dai nazi-fascisti nel corso della lotta di liberazione nella provincia di Treviso;

2°) il numero delle case ricostruite con gli speciali mezzi disposti a tale scopo dal Governo;

3°) l’ammontare complessivo dei fondi impiegati e di quelli a disposizione a tal fine nella provincia medesima, affinché risulti come e in quale misura il Governo italiano assolve l’impegno assunto verso le popolazioni delle località duramente colpite dalla feroce rappresaglia nazi-fascista per la loro attiva ed ampia partecipazione alla guerra di liberazione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Ghidetti, Pellegrini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere quali provvedimenti intendano prendere per riportare la tranquillità fra i dipendenti statali, parastatali e i pensionati di tutte le categorie della provincia di Belluno, i quali, malgrado il solenne impegno del Governo di farli beneficiare mensilmente di un pacco AVISS di generi alimentari a integrazione dell’inadeguato trattamento economico fatto loro dallo Stato, sono venuti a trovarsi – ai primi di dicembre e a distanza di mesi dalla prima assegnazione – di fronte alla decisione della Sepral di Belluno, che ha sollevato grave agitazione fra le categorie soprarichiamate e che richiede urgente provvedimento: l’abolizione del pacco AVISS gratuito e distribuzione di un solo pacco, a rimborso spese, composto di mezzo chilogrammo di zucchero, di un chilogrammo di pasta integrale e di mezzo chilogrammo di grasso, il cui prezzo – di quest’ultimo – risulta fortemente superiore a quello praticato dal listino in vigore per i generi alimentari razionati. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Ghidetti, Pellegrini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per invitarlo a dare precise e tassative disposizioni affinché il diritto e la libertà dei cittadini siano dalle autorità costituite tutelati e difesi in Castellammare di Stabia.

«Il 13 novembre 1947, infatti, elementi comunisti, nel corso di una loro manifestazione, penetrarono nella sede del Fronte dell’uomo qualunque in Castellammare di Stabia (Napoli) e la saccheggiarono e devastarono. Successivamente elementi comunisti appartenenti alle maestranze dell’Avis occuparono la sede e facendo valere pretesi diritti inesistenti, la trattengono tuttora con l’indifferenza delle autorità locali che, premurate e sollecitate, trascurano la pratica e permettono la continuazione dell’arbitrio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere:

1°) i motivi per i quali non viene applicata l’amnistia, o proposta la grazia al Capo dello Stato, in favore dei nativi della Venezia Giulia condannati dai Tribunali del Popolo di Trieste e di Pola per i reati di «atti rilevanti» nella costituzione e mantenimento del regime fascista e per collaborazione col tedesco invasore;

2°) se non ritenga opportuno, per ragioni di giustizia ed equità, concedere a detti italiani, rimasti tutti esclusi dall’amnistia e tuttora rinchiusi nelle carceri di Alessandria e Civitavecchia, lo stesso trattamento usato verso coloro che, condannati per il medesimo reato dai Tribunali speciali della Repubblica, sono stati tutti amnistiati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se – tenendo presente la situazione verificatasi nella campagna olearia in corso in provincia di Salerno e concretatasi nei seguenti inconvenienti: a) inadempienza da parte degli enti assegnatari nel ritirare i quantitativi di olio fissati; b) deficiente attrezzatura ammassatoria da parte dell’Ente incaricato che, congiunta all’improvvisa caduta delle olive, ha causato l’arresto della lavorazione ed il deperimento del prodotto – non ritenga opportuno disporre d’urgenza lo sblocco dell’olio nella provincia di Salerno, assegnando ad altre provincie – che ne hanno fatto l’offerta – il contingente per essa assegnato; oppure, in via subordinata, non ritenga conveniente disporre – sempre per la provincia di Salerno – uno sblocco parziale, per i 20.000 quintali di olio attualmente giacenti nei frantoi, in anticipo sulle operazioni d’ammasso che, per la già lamentata mancanza di recipienti, vengono protratte da parte dell’Ente delegato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Falco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere perché mai non abbia provveduto all’assegnazione delle divise al personale subalterno del Provveditorato agli studi di Bologna, mentre il personale delle altre Amministrazioni statali, decentrate nella provincia medesima, compreso quello dell’Intendenza di finanza e della Delegazione del Tesoro, ne è stato da tempo provvisto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tega».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere quali provvedimenti intende prendere nei riguardi dell’Intendenza e dell’Ufficio distrettuale delle imposte dirette e Catasto di Bologna, i quali si rifiutano di applicare le disposizioni di legge relative alle imposte sul patrimonio e sovrimposta straordinaria, afferenti a stabili colpiti e distrutti in buona parte (non inferiore ad un quinto) da offese belliche, e ciò malgrado le circolari e le istruzioni date in proposito anche recentemente dal Ministero.

«L’interrogante fa presente altresì che i detti uffici bolognesi evitano intenzionalmente di portare dinanzi alle competenti Commissioni i ricorsi presentati già da circa tre anni dai numerosi contribuenti che subirono danni nelle anzidette proporzioni e circostanze. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Tega».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa nazionale, per conoscere se non ravvisi l’opportunità di dotare gli uffici dei distretti militari preposti alla compilazione dei fogli matricolari e degli altri documenti interessanti le pensioni di guerra, del personale necessario per un sollecito disbrigo delle pratiche.

«La situazione di detti uffici è, infatti, tale che non si riesce ad evadere giornalmente neanche un quarto delle richieste che pervengono. Si ha, conseguentemente, un elevatissimo numero di pratiche insolute che di giorno in giorno aumentano.

«A Verona, ad esempio, sono in giacenza circa 1600 pratiche, e pervengono quotidianamente, in media, da venti a trenta nuove richieste, mentre l’ufficio, per deficienza di personale, non può evaderne che quattro o cinque. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Burato».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni che lo hanno indotto a limitare la ricostituzione di titoli di Stato al portatore distrutti per eventi bellici, solo per quelli depositati presso le sezioni di tesoreria, creando così una palese disparità di trattamento, che poi si traduce in una pratica ingiustizia a danno di coloro che hanno perduto gli stessi titoli, solo perché depositati presso le aziende private di credito.

«L’interrogante domanda che tali norme siano incluse nel decreto-legge n. 10/49 del 20 agosto 1947, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 235, del 13 ottobre 1947. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni che ritardano gli stanziamenti stabiliti a favore delle nuove scuole elementari da istituire specialmente nell’Italia meridionale (ove è notorio l’alto grado di analfabetismo), scuole che avranno il compito di assorbire gli insegnanti disoccupati e dare ai fanciulli la possibilità di istruirsi in sempre più larga misura. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caso».

PRESIDENTE. La prima di queste interrogazioni sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno; le altre saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 22.

Ordine del giorno per le sedute di domani:

Alle ore 10:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati.

Alle ore 17:

  1. Votazione a scrutinio segreto del disegno di legge:

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati.

  1. – Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI SABATO 20 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 20 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Codacci Pisanelli

Presidente

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Targetti

Mortati

Grassi

Moro

Fabbri

Lucifero

Togliatti

Bozzi

Schiavetti

Perassi

Colitto

Nitti

Crispo

Lussu

Micheli

Cevolotto

Sansone

De Gasperi

Conti

Lucifero

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

Sul processo verbale.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi, ho chiesto la parola sul processo verbale per richiamare l’attenzione sulla questione risolta ieri mattina, cioè sul valore da attribuire alle votazioni che si concludono con risultato di parità. Già un’altra volta presi la parola sull’argomento e l’onorevole Presidente, nella seduta mattutina di ieri, ha ricordato quel che allora esposi e che oggi mi permetto di sottoporre di nuovo all’Assemblea, unicamente perché si rifletta in maniera adeguata prima di stabilire un precedente, che potrà avere notevole importanza non soltanto per le Assemblee legislative, ma anche per tutte le Assemblee che funzionano nel nostro Paese, a cominciare dai Consigli comunali, e, in avvenire, anche per le Assemblee regionali.

La questione del risultato pari nella votazione si è presentata più volte nelle Assemblee deliberanti e ha dato luogo a discussioni. L’onorevole Presidente ha ricordato l’opinione espressa nell’opera del Mancini e del Galeotti (Norme ed usi del Parlamento italiano, Roma 1887), secondo cui, in caso di parità, specialmente quando si tratta di emendamenti, deve ritenersi che l’Assemblea abbia respinto la proposta. Tale opinione, se è confortata da altri autori, come per esempio dallo stesso nostro onorevole Orlando (in Digesto italiano, voce Consigli Comunali, n. 150) e dal Saredo (La legge sull’amministrazione comunale e provinciale commentata, 2a ed., Torino 1907, n. 462 e n. 479 e s.) trova però notevoli contrasti in molti altri autori (v. Cammeo, in Giur. It., 1901, III, 251; Forti, in Studi di diritto amministrativo, Torino 1906, p. 151) e soprattutto non coincide coi più recenti studi sul risultato da attribuire alla votazione pari, nel caso di formazione di un atto collegiale, come è il nostro caso (vedi: Vitta, Gli atti collegiali, Roma 1920, pagine 22, 259 e 270).

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Codacci Pisanelli: in sede di processo verbale si può parlare in quanto, il verbale stesso non riproducendo bene ciò che è stato detto, si renda necessario un chiarimento.

Ieri io ho richiamato, senza però pronunciare il suo nome, alcune dichiarazioni che lei aveva fatto in certa discussione ed in conclusione si è accettato ieri il punto di vista da lei espresso in quella passata occasione. Pertanto non comprendo perché ora lei abbia chiesto la parola. Certamente non può ora esaminare nella sostanza la questione: è assolutamente fuori luogo, onorevole Codacci Pisanelli.

O lei ha da rettificare ciò che è stato detto ieri; o non v’è ragione di suo intervento in sede di processo verbale.

CODACCI PISANELLI. Era appunto questo. Secondo quanto capisco dalle parole che lei dice ora, sembrava che fosse stata accolta la mia tesi nella seduta di ieri; ma non ritenevo che fosse così, perché mi è sembrato che non si fosse d’accordo.

PRESIDENTE. Io ho letto le sue parole. Lei aveva detto: «io sarei d’accordo che la parità di voti prevalga quando si trattasse di emendamenti, ma vi sono contrario quando si tratti di norma costituzionale» e ieri si era in sede di emendamento, e pertanto ieri si è proprio applicato il suo criterio.

CODACCI PISANELLI. Il mio desiderio era di precisare il mio pensiero.

PRESIDENTE. Lei non stava precisando; lei stava esaminando la questione di merito.

CODACCI PISANELLI. Onorevole Presidente, mi permetta, desidero arrivare solo a questa conclusione: lei, molto opportunamente, ieri non mi ha nemmeno nominato, secondo quei principii di correttezza parlamentare che mi augurerei di veder rispettati da tutti in questa Assemblea. Ma il mio desiderio era quello di presentare, come conclusione di quanto affermo, un ordine dei giorno.

PRESIDENTE. Ma, onorevole Codacci Pisanelli, non è questa la sede per la presentazione di simili proposte

Chieda la parola alla fine della seduta.

CODACCI PISANELLI. Il mio pensiero, che di fronte al risultato di parità si debba arrivare alla conclusione che si tratti di un nulla di fatto, è una conclusione a cui sono arrivato studiando la questione successivamente a quelle parole che pronunciai quel giorno e che mi hanno dato occasione di approfondire l’argomento.

In altri termini, preciso che, a mio avviso, si deve arrivare alla conclusione che quando la votazione si conclude con parità di voti, il risultato sia un nulla di fatto. In tali ipotesi bisogna concludere che l’Assemblea nulla ha deliberato. Mi riprometto, a questo scopo, di proporre un ordine del giorno.

PRESIDENTE. Al momento opportuno, onorevole Codacci Pisanelli.

Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Gasparotto e Rivera.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Onorevoli colleghi, si tratta di affrontare finalmente la norma finale e transitoria che avevamo lasciato in disparte allo scopo di trovare una formulazione che raccogliesse il consenso, quanto meno sicuro, di una parte notevole dell’Assemblea. Nel testo originario della Commissione dei Settantacinque, questa norma era del seguente tenore:

«Si applica all’Assemblea Costituente la disposizione del secondo comma dell’articolo 58 della Costituzione».

Il secondo comma dell’articolo 58 è il seguente:

«I loro poteri (delle due Camere) sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere».

In sostituzione della formulazione iniziale della Commissione dei Settantacinque sono state proposte due formulazioni. La prima è quella dell’onorevole Targetti, del seguente tenore:

«Sostituirla con la seguente:

«In applicazione della norma di cui al secondo comma dell’articolo 58 della Costituzione, i poteri dell’Assemblea Costituente sono prorogati dalla data del suo scioglimento sino al giorno delle elezioni delle nuove Camere.

«In tale periodo tutte le Commissioni permanenti restano in carica.

«Quelle legislative rinviano al Governo con le eventuali osservazioni e proposte di emendamento i disegni di legge a loro trasmessi.

«I deputati possono presentare interrogazioni chiedendo risposta scritta.

«L’Assemblea Costituente può, in tale periodo, essere convocata in via straordinaria dal suo Presidente su richiesta o del Governo o di almeno 200 deputati».

L’altra è degli onorevoli Mortati, Moro, Tosato, Grassi, Mastino Gesumino e Bettiol, del seguente tenore:

«Sostituirla con la seguente:

«Fino al giorno delle elezioni delle nuove Camere, l’Assemblea Costituente potrà essere riconvocata, quando vi sia necessità di deliberare nelle materie attribuite alla sua competenza dagli articoli 2, commi primo e secondo, e 3, commi primo e secondo, del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98.

«In tale periodo le Commissioni permanenti restano in funzione. Quelle legislative rinviano al Governo i disegni di legge, ad esse trasmessi, con eventuali osservazioni e proposte di emendamento. I deputati possono presentare al Governo interrogazioni con richiesta di risposta scritta.

«L’Assemblea Costituente, agli effetti di cui al primo comma del presente articolo, è convocata dal suo Presidente su richiesta motivata del Governo o della metà più uno dei suoi membri».

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, intende svolgere l’emendamento?

TARGETTI. Onorevole Presidente, per me è un grande onore avere l’occasione di parlare all’Assemblea, ma mi sembra di avere già svolto i concetti del mio emendamento.

TOGLIATTI. Due volte!

TARGETTI. Questo vuol dire, onorevole Togliatti, che i miei argomenti le hanno fatto tanta impressione che le sono rimasti impressi come se li avesse sentiti due volte.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Ricordo che anche l’onorevole Mortati ha svolto il suo emendamento.

L’onorevole Targetti ha presentato il seguente comma aggiuntivo:

«Dopo l’approvazione del progetto di Costituzione, l’Assemblea Costituente delibererà, entro il 31 gennaio 1948, sugli statuti regionali speciali, sulla legge per l’elezione del Senato e sulla legge per la stampa».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, mentre la prima parte del nostro emendamento riguardava l’estensione all’Assemblea Costituente delle norme di cui all’articolo 58 del progetto di Costituzione da noi approvato, quest’ultimo comma dice qualche cosa di molto diverso. Mentre, com’è noto, la prima parte dell’emendamento si limita ad estendere l’applicazione dell’articolo 58 anche all’Assemblea costituente, cioè a stabilire che anche l’Assemblea costituente, una volta esauriti i propri compiti, proroga i propri poteri, questo comma aggiuntivo stabilisce invece una vera e propria proroga dei poteri ordinari, diciamo così, della Costituente.

Come i colleghi ricorderanno, compito specifico dell’Assemblea costituente era quello di dare all’Italia repubblicana una Costituzione ed inoltre di approvare i trattati e deliberare le leggi elettorali.

Lunedì, dopodomani, siamo sicuri di poter dire di aver adempiuto al compito principale, cioè la compilazione della costituzione. Ma, senza colpa di nessuno, è certo che lunedì non avremo approvato la legge elettorale per la nomina del Senato e non avremo neppure preso deliberazioni (non voglio adoperare altre espressioni per non urtare eventualmente la suscettibilità di colleghi siciliani e sardi), non avremo preso deliberazioni in merito agli statuti regionali sardo e siciliano.

Da qui la necessità di prorogare i nostri lavori, almeno per il termine strettamente necessario all’espletamento di questi compiti ancora rimasti inadempiuti.

Abbiamo ritenuto di dover aggiungere anche l’approvazione della legge sulla stampa, perché ci sembra che detta legge sia come una legge complementare delle leggi elettorali, e quindi non abbiamo paura di aver esagerato nell’estendere la materia cui deve provvedere l’Assemblea Costituente in questa brevissima proroga dei suoi poteri aggiungendo, ripeto, anche la legge sulla stampa.

L’amico onorevole Bordon si è sentito ferito nel suo sentimento filiale verso la Valle d’Aosta, perché qui non ho ricordato questo statuto speciale. È vero che qui ho parlato soltanto degli statuti sardo e siciliano, ma la nostra formula riguarda tutti gli statuti regionali speciali. Quindi l’onorevole Bordon può stare tranquillo che della Valle d’Aosta nessuno si è dimenticato, né intende dimenticarsi.

Mi sembra di non aver altro da aggiungere per spiegare questo emendamento aggiuntivo, che viene a provvedere ad una assoluta ed urgente necessità, perché i colleghi sanno che, senza l’approvazione di questa norma o di altra simile, nel momento stesso in cui l’Assemblea costituente approva il progetto di costituzione, per il decreto legislativo 16 marzo 1946, l’Assemblea costituente viene automaticamente, meccanicamente, ad essere disciolta.

Occorre, quindi, prendere, senza indugi, la deliberazione della proroga dei lavori della Costituente, almeno fino al 31 gennaio.

PRESIDENTE. Anche l’onorevole Mortati ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo:

«L’Assemblea sarà convocata dal suo Presidente per l’approvazione, non oltre la data di convocazione dei comizi elettorali, per la formazione del nuovo Parlamento, per l’approvazione degli statuti regionali speciali, del disegno di legge sull’elezione del Senato della Repubblica e di quello sulla stampa».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento aggiuntivo è suggerito dalla considerazione delle circostanze sopravvenute dopo la presentazione del precedente emendamento. Si sperava allora che entro il 31 dicembre l’Assemblea avrebbe potuto terminare tutto il suo lavoro, non solo costituzionale, ma anche quello relativo alle altre leggi e agli statuti speciali. Le circostanze hanno invece fatto cadere questa aspettativa; ci pare necessario quindi stabilire una disposizione che deroghi da quella precedente.

E, sotto questo punto di vista, mi pare che il mio emendamento presenti una formulazione preferibile a quella dell’emendamento Targetti, in quanto stabilisce, con maggior precisione, che, per le materie attribuite alla sua competenza dagli articoli 2, commi primo e secondo, e 3, commi primo e secondo, del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, l’Assemblea possa essere, in deroga alle norme, riconvocata per iniziativa del Governo o di una certa percentuale di membri della Camera. Esso tuttavia stabilisce anche che, per determinati fini, il Presidente possa prescindere da queste condizioni; e ciò mi pare ovvio stabilire, perché l’iniziativa del Governo o di un determinato quorum di deputati non avrebbe ragion d’essere, trattandosi di una attività normale ed anzi necessaria perché la Costituzione possa entrare in vigore.

L’emendamento quindi, come dicevo, è suggerito da questa esigenza e mi pare pertanto che esso non possa non trovare accoglimento.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. L’Assemblea Costituente, attraverso delle riunioni svoltesi fra i capigruppo, aveva raggiunto un accordo, nel senso di dare la possibilità della chiusura dell’Assemblea Costituente con l’approvazione della Costituzione, ossia della legge basilare della nuova Repubblica italiana. Nel tempo stesso, senza nuove disposizioni di legge, ma con una disposizione transitoria che diventava legge dello Stato, si sarebbe data la possibilità all’Assemblea di potersi convocare per determinate materie.

A tal fine mirano gli emendamenti, sostanzialmente identici, che hanno presentato gli onorevoli Targetti e Mortati, al cui emendamento ho anche aggiunto la mia firma.

Si è creata pertanto questa situazione: si è detto che, per alcune determinate leggi e per alcuni specifici provvedimenti, come quello del coordinamento degli statuti regionali speciali, non ci troviamo di fronte ad una questione che si possa rimandare alla discrezione del governo o ad libitum di un certo quorum perché convochi l’Assemblea. Ed è indispensabile che questi provvedimenti si prendano, perché altrimenti non sarebbe possibile convocare i comizi elettorali. E allora si è cercato di introdurre nella stessa disposizione questa differenziazione, con un comma aggiuntivo.

In altri termini, per questa materia, che è improrogabile, che fa parte della continuità, direi, dei lavori di questa Assemblea, che essa avrebbe dovuto fare se avesse avuto tempo, si dice che l’Assemblea sarà convocata dal Presidente, per assolvere questi suoi impegni speciali e particolari, determinati in modo che non si possa andare oltre quello che è l’obietto e quello che è anche il termine in cui si devono svolgere.

Non ho ben presente l’emendamento Targetti; pare che esso stabilisca il termine al 31 gennaio 1948.

TARGETTI. Precisamente.

GRASSI. In fondo, l’emendamento Mortati si limita quasi a dire la stessa cosa, perché dice «fino al decreto di convocazione dei comizi»; ed ormai, avendo il Governo preso l’impegno di fronte all’Assemblea di proporre al Presidente della Repubblica la convocazione dei comizi non oltre il 18 aprile, credo che le date coincidano, perché, dovendosi per la legge elettorale lasciare liberi 70 giorni, non si potrà andare che ai primi di febbraio al massimo, per il decreto di convocazione dei comizi.

D’altra parte, penso che in una legge, più che precisare un giorno – il che può essere pericoloso, in quanto che non potremmo sorpassarlo – sia preferibile la formula dell’onorevole Mortati, perché lascia quella discrezionalità che rende possibile alla Assemblea di funzionare e di poter assolvere questi tre incarichi, che essa stabilisce a se stessa di dover compiere, ossia l’approvazione della legge elettorale per il Senato della Repubblica, la legge sulla stampa – che riteniamo connessa con tutto ciò che è legge costituzionale, in quanto garantisce la libertà di stampa, che fa parte del nostro sistema costituzionale, specialmente in riferimento al periodo elettorale – nonché quello che è il coordinamento degli statuti speciali, che deve essere fatto dopo l’approvazione della Costituzione.

Per queste ragioni, vorrei pregare l’onorevole Targetti, per quel senso di comprensione che noi tutti dobbiamo avere in queste ultime ore in cui siamo riuniti per deliberare solennemente sulla nostra Costituzione, – poiché sostanzialmente, siamo d’accordo; si tratta solo di trovare la formulazione opportuna – di aderire, se è possibile, all’emendamento Mortati, che rappresenta sostanzialmente la stessa indicazione, ma che lascia una maggiore libertà di azione e una maggiore discrezionalità.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Noi siamo favorevoli ad accettare l’invito dell’onorevole Grassi nel senso di sostituire alla data da noi indicata – 31 gennaio – la data generica, ma al tempo stesso ben determinata dell’emendamento Mortati, cioè fino al momento in cui viene pubblicato il decreto di convocazione dei comizi. Soltanto è la forma – non è la questione della durata di questa proroga di lavori – sulla quale forse noi non ci sentiamo perfettamente d’accordo, giacché dire: «il Presidente convocherà» non ci sembra che esprima proprio il concetto che l’Assemblea Costituente proroga i suoi lavori. E ciò perché in realtà, il Presidente convocherà, se se ne verificheranno le condizioni, l’Assemblea Costituente anche nell’altro periodo. E sono, secondo noi, due periodi molto diversi: c’è un primo periodo in cui l’Assemblea Costituente decide fin d’ora di continuare i suoi lavori, e c’è un secondo periodo, in cui la convocazione dell’Assemblea Costituente è un’eventualità subordinata al verificarsi di determinate condizioni. Quindi mi sembra che la formula Mortati, «il Presidente convocherà», non sia una formula che esprima nettamente diversità di situazioni. Questo è chiaro ed è inutile insisterci. Quello che noi vogliamo non è ispirato da nessun speciale orientamento politico, ma soltanto dettato dalla preoccupazione che questo provvedimento abbia piena ed assoluta validità. Si tratta d’un provvedimento col quale l’Assemblea Costituente prolunga la sua vita ordinaria. Che questa deliberazione, che è di sostanza costituzionale, sia presa sotto la semplice forma della facoltà del Presidente di convocare l’Assemblea non ci sembra del tutto esatto. Quindi vorremmo metterci d’accordo su una formula diversa.

Qui noi abbiamo detto che entro il 31 gennaio 1948 l’Assemblea Costituente delibererà ecc. Si potrebbe dire che l’Assemblea Costituente delibererà sugli statuti speciali, sulla legge sulla stampa e su quella per l’elezione del Senato della Repubblica sino alla data di pubblicazione del decreto che indice i comizi elettorali. Oppure si potrebbe dire che l’Assemblea Costituente stabilisce di continuare i suoi lavori per deliberare sopra queste e queste materie, fino al giorno del decreto di convocazione dei comizi.

PRESIDENTE. Penso, onorevoli colleghi, che prima di votare l’eventuale formulazione concordata – che io auspico – di quest’ultimo comma della sesta norma transitoria, occorra decidere sulla prima parte, perché a seconda che l’Assemblea accoglierà o meno la formulazione Targetti e altra simile, oppure la formula Mortati, si potrà escogitare la formulazione della seconda parte.

Infatti secondo la proposta dell’onorevole Targetti i poteri dell’Assemblea Costituente sono prorogati; secondo quella dell’onorevole Mortati, invece, l’Assemblea «potrà essere convocata» quando dovrà deliberare su date materie.

La seconda parte dell’articolo non può essere formulata che in relazione alla formulazione della prima.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Riterrei opportuno prima deliberare sopra il mio comma aggiuntivo che equivale, come si è rilevato, alla proposta Mortati, e poi deliberare sulla proroga dei poteri a tenore dell’articolo 58.

La differenza fra il nostro emendamento e quello Mortati si trova tanto nella prima parte che nell’ultima. Nella prima, dove si parla dell’applicazione dell’articolo 58, c’è una differenza sostanziale, perché per noi si tratta di una proroga dei poteri in generale, e per l’onorevole Mortati no.

Invece nell’ultimo comma siamo d’accordo sul fatto di prorogare i lavori della Costituente, e il disaccordo è soltanto (ora che si è raggiunto l’accordo sul termine ad quem) sulla formula proposta dall’onorevole Mortati «il Presidente convocherà».

Noi osserviamo che questa dizione ci sembra impropria ed insufficiente trattandosi di significare che si prorogano i lavori della Costituente: i lavori, non i poteri. Implicitamente sono compresi anche i poteri, ma qui si tratta di prorogare i lavori ordinari della Costituente, cioè la sua vita ordinaria.

Perciò, quando noi ci fossimo messi d’accordo sulla espressione di questo concetto, che è comune, questo comma aggiuntivo potrebbe essere approvato senza altra discussione, discutendosi, semmai, la prima parte.

PRESIDENTE. Sarò ben lieto, se si metteranno d’accordo; ma penso che difficilmente si metteranno d’accordo sulla seconda parte se non c’è l’accordo sulla prima.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Chiedo una breve sospensione della seduta per permettere alle diverse parti di concordare su una formula comune.

PRESIDENTE. Non credo vi sia bisogno di una vera sospensione; le varie parti potranno giungere ad un accordo seduta stante.

Dopo le conversazioni private svoltesi nell’Aula, comunico che è stato presentato, dagli onorevoli Targetti, Togliatti e Grassi, il seguente testo concordato:

«L’Assemblea Costituente sarà convocata dal suo Presidente per deliberare entro il 31 gennaio 1948 sui provvedimenti costituzionali e legislativi necessari per l’attuazione della Costituzione.

«Fino al giorno delle elezioni delle nuove Camere, l’Assemblea Costituente potrà essere riconvocata, quando vi sia necessità di deliberare sulle materie attribuite alla sua competenza dall’articolo 2, commi primo e secondo, del decreto legislativo 16 aprile 1946, n. 98.

«In tale periodo le Commissioni permanenti restano in funzione. Quelle legislative rinviano al Governo i disegni di legge, ad esse trasmessi, con eventuali osservazioni e proposte di emendamento. I deputati possono presentare al Governo interrogazioni con richiesta di risposta scritta.

«L’Assemblea Costituente, agli effetti di cui al secondo comma del presente articolo, è convocata dal suo Presidente».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io sono scettico circa la conclusione dei lavori.

Se il termine del 31 gennaio si deve intendere valevole anche per il coordinamento e l’emanazione degli Statuti regionali, penso che non vi sia il tempo sufficiente. Non vorrei che si ripetesse il fenomeno verificatosi finora, nonostante si sia detto che io sognavo, quando sostenevo che i termini precedentemente stabiliti non erano sufficienti.

Perciò ritengo che il termine debba essere spostato dal 31 gennaio almeno al 15 febbraio.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Vorrei assicurare l’Assemblea e specialmente l’onorevole Fabbri, che in una prima formulazione era stato detto: «fino al giorno del decreto della convocazione dei comizi». Infatti bisogna tener presente questa situazione, ormai consacrata con l’impegno preciso assunto dal Presidente del Consiglio, che le elezioni politiche dovranno farsi non oltre il 18 aprile.

Ora, mantenendo fermo questo termine del 18 aprile, accettato ormai dall’Assemblea e quindi considerato come un impegno preso fra il Governo e l’Assemblea, è indispensabile che almeno si disponga di 70 giorni, prima di poter convocare i comizi. Ora, tecnicamente, il decreto dovrà essere emanato nei primi giorni di febbraio, non oltre il 7 o l’8 febbraio, per poter rientrare nei 70 giorni: non si potrebbe accettare quindi la data del 15 febbraio. Ma, di fronte alle osservazioni fatte dall’onorevole Targetti e da altri colleghi, è meglio fissare una giornata precisa in cui si dica che l’Assemblea deve finire questo suo lavoro di attuazione (e lo può finire, perché il giorno di convocazione è rimesso al Presidente, il quale potrà con i suoi poteri discrezionali stabilirlo in relazione ai lavori che eventualmente noi riterremo indispensabili per l’attuazione, quali: la legge elettorale del Senato, senza la quale non si può attuare la Costituzione o formare gli organi legislativi; il coordinamento dei quattro statuti speciali per le Regioni, in quanto questo fa parte dell’ordinamento costituzionale dello Stato ed in fine la legge sulla stampa). Nel periodo di tempo fissato occorre però, che effettivamente terminiamo i lavori, che sarebbero dovuti finire col 31 dicembre o col giorno dell’entrata in vigore della Costituzione. In altre parole, onorevoli colleghi, il punto essenziale, il punto costituzionale è questo: per l’articolo 4 del decreto istitutivo dell’Assemblea Costituente, l’Assemblea stessa dovrebbe sciogliersi di diritto nel giorno dell’entrata in vigore della Costituzione. Ora noi, con questa disposizione, rendiamo possibile che l’Assemblea continui i suoi lavori, senza bisogno di una legge speciale, ma le diamo la possibilità che eserciti le sue funzioni e possa completarle ed attuare le leggi necessarie per la Costituzione. Dobbiamo però mettere anche un limite nel tempo e nell’obietto dei lavori. Mi pare che con la proposta presentata dagli onorevoli Targetti e Togliatti, e da me (ed accettata dal Governo), si sodisfi a queste esigenze.

Noi stabiliamo due limiti: un limite di tempo, che è il 31 gennaio, che coincide presso a poco col giorno del decreto della convocazione dei comizi, e d’altra parte stabiliamo anche quale è l’oggetto dei lavori, senza determinarlo in una forma precisa, ma riferendolo a tutte quelle disposizioni costituzionali e legislative che servono per l’attuazione di questa Costituzione.

Prego l’Assemblea di voler superare le difficoltà in modo che ci si possa avviare verso la fine del nostro lavoro costituzionale.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, nella proposta letta dal nostro onorevole Presidente c’è anche la mia firma, ed io voglio spiegare che ho inteso di apporre la mia firma alla parte relativa a questa proroga dei poteri fino al 31 gennaio, ma non ho inteso di rinunciare ad alcun concetto del nostro emendamento, fra cui quello della autoconvocazione dell’Assemblea. Non mi è stata data al riguardo alcuna risposta. Per la parte che riguarda la proroga dei lavori fino al 31 gennaio va bene, ma io non ho mai pensato di rinunciare alla parte che riguarda l’autoconvocazione dell’Assemblea dopo la fine dei suoi lavori. Questo lo dico anche a nome degli altri colleghi firmatari.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, io sono un po’ perplesso di fronte al testo che ci è stato presentato. Il Ministro Guardasigilli ha detto una frase che non era perfettamente da Ministro Guardasigilli; perché ha detto che l’articolo 4 di quel tanto bistrattato decreto del 1946 stabilisce che l’Assemblea Costituente dovrebbe essere sciolta il giorno dell’entrata in vigore della Costituzione. In verità, l’articolo 4 dice proprio che l’Assemblea Costituente è sciolta il giorno dell’entrata in vigore della Costituzione. E quando io vedo che successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, l’Assemblea Costituente si vuole dare ancora dei poteri e prendere provvedimenti costituzionali, io resto abbastanza perplesso, perché ciò costituisce un atto di violazione della Costituzione. Una volta promulgata la Costituzione, l’Assemblea potrà anche esaminare, se si crede, provvedimenti legislativi necessari all’attuazione della Costituzione, ma provvedimenti costituzionali l’Assemblea non ne può prendere, perché dal giorno in cui abbiamo fatto entrare in vigore la Costituzione, i provvedimenti costituzionali si prendono solo secondo le norme che la Costituzione stabilisce; se no la Costituzione non è praticamente entrata in vigore, cioè le sue garanzie costituzionali non entrano in vigore.

Quindi, chiederei che fosse almeno soppressa la parte che riguarda i provvedimenti costituzionali.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Signor Presidente, chiedo scusa ai colleghi se prendo la parola, in quanto era prevedibile che, dopo l’accordo cui siamo arrivati su quella formula, si potesse giungere al voto senza ulteriori discussioni.

Ma il tema è di tale gravità che, ogni volta che ci mettiamo a riconsiderarlo, troviamo argomenti nuovi che ci inducono ad essere perplessi.

In sostanza, quale è il fondo del problema? Nessuno di noi, in linea di fatto, oggi pensa ad impegnare un dibattito politico o nel mese di gennaio o nel periodo di convocazione dei comizi elettorali, in quei 70 giorni, perché nel mese di gennaio non prevediamo un simile dibattito politico e in quei 70 giorni il dibattito politico si svolge davanti alla massa elettorale, già convocata per esprimere il proprio suffragio.

Però, cosa può accadere in questo periodo di tempo?

Questo è il problema che sta davanti a noi. Possono accadere fatti che vanno al di là delle nostre previsioni normali, umane. Ed allora cosa faremo? Il Governo potrà sempre opporci un testo legislativo dicendo: «no, il dibattito politico non è ammesso». Noi reclameremo il dibattito politico, perché le circostanze nuove saranno tali da richiedere il dibattito politico. Come ce la caveremo?

Per questo la formula presentata era tale che, senza parlare esplicitamente di dibattito politico fino al 31 gennaio, tuttavia non lo escludeva.

Per l’altra formula, riguardante il periodo successivo dei 70 giorni, ha ragione l’onorevole Targetti, che una formula di autoconvocazione ci starebbe bene.

Quanto all’obiezione che solleva adesso l’onorevole Lucifero, ne comprendo la gravità. Costituzionalmente l’onorevole Lucifero ha ragione; però noi dobbiamo ancora votare le leggi o i provvedimenti di coordinamento degli statuti regionali con la Costituzione. Questo, lo dobbiamo fare. Dobbiamo votare le leggi elettorali: la legge elettorale per la Camera sarà votata prima…

LUCIFERO. Questa non è Costituzione, onorevole Togliatti.

TOGLIATTI. Già, ma se lei mi dice che la Costituente è sciolta di diritto, e tale è la formula della legge, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, nemmeno questo potremmo più fare. Mentre invece dobbiamo votare la legge elettorale per il Senato.

Ora, ci troviamo di fronte a contradizioni: dobbiamo trovare una formula nuova e darle un valore tale che superi quello delle formule precedenti. La mia opinione è che, forse, non sarebbe male, signor Presidente, se noi avessimo ancora un’oretta di tempo per consultarci e che rinviassimo la seduta alle ore 16, in modo da avere la possibilità di metterci ancora al tavolo per formulare definitivamente un testo che elimini, nella maggior misura possibile, queste contradizioni che esistono.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, io intendo dire pochissime parole in risposta all’osservazione or ora formulata dall’onorevole Lucifero, al quale mi permetterei di fare osservare che la sua argomentazione non è fondata. Noi qui infatti miriamo a regolare una situazione di passaggio, a formare una norma transitoria. Quello che dice l’onorevole Lucifero sarebbe esatto qualora le Camere esistessero.

Se le Camere esistessero e noi affidassimo il compito di fare norme costituzionali all’Assemblea Costituente, è evidente che violeremmo la Costituzione; ma noi invece le affidiamo il compito di completare la materia costituzionale, perché le Camere non esistono e vi è un necessità di completare il testo costituzionale.

Non perdiamo dunque di vista che si tratta di una norma transitoria, cioè di passaggio fra il regime esistente e quel regime che si dovrà formare. Se infatti una materia costituzionale ancora vi è, per rendere necessario il compimento della Costituzione e la messa in atto della Costituzione medesima, questo lavoro non può evidentemente essere compiuto se non dall’Assemblea Costituente.

Mi sembra dunque che l’obiezione sollevata dall’onorevole Lucifero non abbia alcun fondamento.

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Vorrei sapere se la legge sulla stampa viene giudicata come annoverabile fra quei provvedimenti di legge che si reputano necessari per l’andamento in vigore della Costituzione.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. L’onorevole Bozzi ha già risposto all’osservazione dell’onorevole Lucifero, e non credo che su quel punto sia necessario insistere oltre.

In sostanza, il problema che ci è davanti è questo: con l’entrata in vigore della Costituzione si avrà un periodo di alcuni mesi, durante il quale, non saranno ancora costituiti alcuni organi essenziali per il completo funzionamento della Costituzione: mancheranno in particolare le due Camere.

Esiste d’altra parte una necessità giuridica e politica che, prima che le due Camere siano costituite, si facciano alcune leggi costituzionali espressamente previste dalla Costituzione. Sono queste le leggi costituzionali relative agli statuti speciali per alcune regioni. Ora, la norma transitoria, che si inserisce nella Costituzione, ha l’effetto di utilizzare a questo scopo un organo esistente, L’Assemblea Costituente, facendolo funzionare in luogo di quelli che sarebbero gli organi normali, ossia la Camera e il Senato. Questo dal lato giuridico.

Ma resta ancora una questione su questo punto, mi riferisco particolarmente a quanto ha detto l’onorevole Grassi. Nella norma transitoria, quale viene proposta, si stabilirebbe che l’Assemblea Costituente dovrebbe compiere questo lavoro supplementare, che comprende la deliberazione delle leggi costituzionali concernenti gli statuti ed altre leggi, fra cui quella relativa all’elezione del Senato e forse anche quella sulla stampa, entro un termine determinato: il 31 gennaio 1948.

Ora, io non so se chi ha proposto questa data ha tenuto adeguatamente conto del lavoro che dovrebbe svolgersi entro tale data, con la quale si fissa un periodo che, in concreto, si ridurrebbe a non più di quindici giorni al massimo, se è vero, come pare, che l’Assemblea Costituente non sarebbe convocata prima della metà di gennaio o giù di lì.

A questo riguardo, io mi permetto di parlare tanto a titolo personale quanto nella qualità di Presidente della Commissione, che è incaricata di elaborare le leggi costituzionali concernenti gli statuti regionali. Ricordo all’Assemblea che si tratta dello statuto siciliano, dello statuto sardo, dello statuto per il Trentino-Alto Adige e dello statuto per la Val d’Aosta. Sono quattro leggi costituzionali di una delicatezza che non ha bisogno di essere sottolineata.

Ciò posto, io ritengo in coscienza di dover affermare che mi sembra molto difficile che in un periodo così breve tale lavoro possa compiersi nella maniera con la quale deve essere compiuto.

Perciò io pregherei chi ha presentato quella formula di voler considerare questo punto e di voler togliere o modificare la data che è stata indicata.

GRASSI. Allora, andiamo all’infinito.

PERASSI. No, non si va all’infinito. L’indicazione di quella data non mi sembra necessaria, tanto più che nella stessa norma transitoria si prevede la possibilità che, anche dopo di essa, e fino alla elezione delle Camere, l’Assemblea possa essere convocata su iniziativa del Governo o di un certo numero di deputati.

È perciò che io prego formalmente i presentatori dell’ultima formula della norma transitoria, di cui si tratta, di voler tener conto delle osservazioni, che ho ritenuto doveroso di fare.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, a me viene in mente che per facilitare l’accordo, comunque, per facilitare la consultazione dell’Assemblea, potrebbe essere opportuno distinguere i due argomenti e non fare oggetto di tutti e due gli argomenti lo stesso emendamento, anche per la diversa natura e la diversa portata dell’uno e dell’altro.

Noi dobbiamo risolvere due problemi: il primo, secondo me ancora più importante del secondo, è rappresentato dalla necessità di porre l’Assemblea Costituente in grado di esaurire il suo compito. Perché l’Assemblea ricorda con me che il suo compito non si esaurisce con l’approvazione del progetto di Costituzione, ma occorre che al progetto di Costituzione si unisca la deliberazione – ripeto un’espressione generica, che può comprendere varie forme di decisioni – sopra gli statuti regionali speciali; e inoltre la legge elettorale per la formazione del Senato. E vorrei ricordare all’onorevole Lucifero – quantunque egli non abbia bisogno di questo richiamo – che nel compito specifico dell’Assemblea Costituente era inclusa anche la legge elettorale. Quindi noi abbiamo bisogno di essere investiti – e non possiamo investirci altro che da noi stessi – dei poteri necessari per portare in fondo l’espletamento del compito che la legge costitutiva dell’Assemblea ci ha assegnato.

Per questo occorre fissare una proroga di lavori; lavori, onorevole Lucifero, evidentemente costituzionali; perché, se non si lavora in questa materia costituzionale, rappresentata dalla deliberazione sugli statuti regionali e anche dalla legge elettorale, non si esaurisce il nostro compito. Si aggiunge l’opportunità di deliberare sulla legge per la stampa. Mettiamoci d’accordo per prendere una decisione che può avere o la forma di norma transitoria, o la forma più classica e più giuridicamente esatta di un disegno di legge che proroghi i lavori della Costituente fino al 31 gennaio, come abbiamo indicato, oppure sino alla data di pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali: è questione di intendersi su una data o sull’altra. Ma è bene che il provvedimento sia un vero e proprio disegno di legge che proroghi fino al 31 gennaio o altra data il termine assegnatoci per espletare il nostro compito.

Questo è il primo argomento, da esaurirsi a parte dall’altro.

L’altro è quello della applicazione anche alla Costituente della norma sancita dall’articolo 58 del testo Costituzionale.

Non voglio scandalizzare nessun costituzionalista, ma per me questa norma non sfugge alla taccia di una certa imprecisione. Questa proroga di una Assemblea disciolta costituisce un argomento intorno al quale si potrebbe discutere a lungo, per stabilirne i limiti e lo svolgimento. Comunque, c’è un articolo proposto dalla Commissione dei Settantacinque, che applica l’articolo 58 della Costituzione anche alla Costituente, e quest’articolo non l’abbiamo inventato noi. È la Commissione dei Settantacinque che a suo tempo, senza dar luogo a nessun schieramento di partito, stabilì di accordare questa prorogatio anche all’Assemblea Costituente. Noi abbiamo commesso il peccato di aggiungere la modalità della convocazione dell’Assemblea in questo periodo di proroga. Per primi riconosciamo che si tratta di ipotesi che si possono anche non verificare, ma non si possono certamente escludere.

Occorre quindi fissare la modalità della convocazione. Su questo punto ci può essere dissenso.

Finché si parla della richiesta del Presidente della Repubblica, il dissenso non sorge; e neppure se si aggiunge la richiesta del Governo. Ma rimane la terza ipotesi, quella dell’autoconvocazione, che richiede di stabilire il minimo dei deputati necessario, perché la domanda di convocazione sia efficace. Su questo argomento vorrei invitare i colleghi della Democrazia cristiana, e in genere della nuova maggioranza, ad essere sereni apprezzatori della situazione. Se c’è qualcuno che non deve dubitare che questa maggioranza formatasi ieri avrà vita almeno per questi mesi, che ci dividono dalle elezioni, dev’essere proprio l’onorevole De Gasperi e ognuno che appartenga alla sua nuova maggioranza. L’ipotesi che duecento deputati si accordino per chiedere la convocazione, è un’ipotesi così difficile a verificarsi, che l’onorevole Giannini ha proposto di ridurre il minimo necessario da due al terzo dei componenti l’Assemblea.

Riassumendo, noi proponiamo che i due argomenti rimangano divisi e diano luogo a due votazioni separate.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Desidero esprimere anche io la mia opinione su questo argomento, che è indubbiamente di notevole importanza.

La formazione della Costituzione rappresenta uno dei compiti demandati dal decreto legislativo del marzo 1946 alla Costituente; ma alla stessa, da tale decreto, vennero assegnati altri compiti: approvazione dei trattati e formazione delle leggi elettorali. Può ora l’Assemblea dire di avere esaurito detti compiti?

A questo interrogativo la risposta non è dubbia. L’Assemblea non ha esaurito i compiti demandatile: essa non ha, infatti, ancora provveduto alla approvazione della legge elettorale sul Senato.

Che cosa ora si deve fare, perché l’Assemblea possa esaurire i suoi compiti?

A mio modesto avviso, l’Assemblea non può fare che quello che ha fatto in precedenza e in ciò io concordo pienamente con quello che dianzi diceva l’onorevole Targetti.

Che fece in precedenza? Avrebbe dovuto adempiere ai suoi compiti entro otto mesi. Non li adempì. Prorogò allora il termine. Ma come? Con una legge costituzionale. Passarono gli altri mesi assegnati. Non adempì al suo compito. Provvide di nuovo a prorogare il termine con una legge costituzionale.

È perciò che io penso che, perché l’Assemblea possa adempiere integralmente al mandato commessole in conformità del ricordato decreto legislativo del marzo 1946, non possa fare altro che prorogare i termini precedentemente assegnatile, appunto con una legge costituzionale.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ho chiesto di parlare solo per fare poche osservazioni.

Questa che si vuol fare non è la proroga, ma è la prorogatio, la qual cosa (questa parola latina non tutti riescono a comprenderla) vuol dire proroga. È istituto che esisteva in Austria, paese di diverse nazionalità dove, come in Svizzera, alcuni concetti si preferiva esprimerli in una lingua morta. In Svizzera, quando non si può usare né il tedesco, né il francese, né l’italiano, per una cosa che deve essere capita-da tutti, si usa una lingua morta: sulla moneta non è scritto Schweiz, né Suisse non è scritto Svizzera, è scritto soltanto Helvetia.

Quale è il nostro compito?

Ciò che è assolutamente indispensabile è discutere e decidere la materia costituzionale, la Camera, il Senato e (benché la cosa sia poco verosimile) anche gli statuti delle regioni. Materia spinosa che ci spinge verso l’indefinibile e anche il non realizzabile. Come si regolerà questa materia? E quando? E si regolerà in modo definitivo? Il resto non è necessario.

Io non sono invece molto sicuro di sostenere nella fase attuale il diritto di autoconvocazione, a meno che non si trovi una forma pratica. Prima di tutto bisogna in forma precisa stabilire se l’Assemblea vuole attribuirsi questa prerogativa, in quali casi ciò possa avvenire e le forme stesse dell’autoconvocazione.

Se è necessaria la richiesta di un numero non grande di deputati, vi è pericolo di abusi da parte di piccoli gruppi; se un numero troppo grande è al contrario richiesto, è inutile occuparci dell’autoconvocazione.

Il Governo attuale ha avuto una notevole maggioranza nel voto di fiducia. Il partito democristiano, che è il centro della situazione attuale, forma circa due quinti dell’Assemblea.

Perché l’autoconvocazione abbia luogo occorrono gravissimi avvenimenti e tutti giustificabili. Possono avvenire?

Nessuno può prevedere con sicurezza che cosa potrà accadere anche fra due o tre mesi. La situazione nostra è sempre tale che possono accadere avvenimenti gravi. Ma in questo caso non vi è nessun Governo così folle che si precipiti da solo nell’abisso di situazioni estreme.

In ogni modo il diritto di autoconvocazione non può essere dato altrimenti che limitato a casi precisi e regolati con ogni serietà.

Rimanendo la Costituente attuale nei suoi quadri (uso questa parola impropria) non vedo alcun inconveniente che siano mantenute le interrogazioni nella forma delle risposte scritte. Respingere questa ragionevole richiesta è inutile e mantenerla invece, se non se ne abusa, può essere utile.

Cerchiamo intanto di compiere con serietà il lavoro che ci rimane.

Abbiamo perduto troppo tempo in manifestazioni spesso vane e inutili e soltanto oratorie.

In questi pochi giorni che ci rimangono dobbiamo intensificare il lavoro; non è necessario solennizzare tutte le feste civili e religiose. Anche nella Bibbia si legge che, nell’ora suprema, gli ebrei per salvarsi vollero rompere il sabato sacro e fecero guerra contro i filistei.

Noi dobbiamo agire con senso di sincerità per rendere la vita del paese meno penosa e incerta e, sempre che sia possibile, meno rischiosa.

In questo senso, dunque, io chiedo formalmente che gli argomenti di cui noi dobbiamo trattare siano nettamente definiti e subordinati a quella disciplina che ho indicato e che risponde alla realtà.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. A mio avviso esiste differenza fra la proroga e la prorogatio. La proroga è l’atto col quale si proroga il termine stabilito per la durata dei lavori dell’Assemblea.

La prorogatio, invece, è un istituto di diritto costituzionale, per il quale, ad evitare la vacatio legislativa, si stabilisce che, cessata la funzione delle Camere, i poteri di esse permangono fino all’elezione delle nuove Camere.

Ciò premesso, a mio avviso, la questione da risolvere è una sola. Non si contesta e non si può contestare che possano essere oggi prorogati i poteri dell’Assemblea Costituente. La questione non deve porsi così, e l’obiezione prospettata dall’onorevole Lucifero non mi sembra superabile. La questione è questa: se, approvata la Costituzione, possa ancora sopravvivere l’Assemblea, cioè, l’organo delegato a formare la Costituzione, a mio avviso, è evidente che, promulgata la legge di approvazione della Costituzione, la funzione dell’organo deve intendersi esaurita e cessata. Né mi pare si possa accogliere l’osservazione che praticamente le norme costituzionali non troverebbero modo di entrare in attuazione per mancanza delle Camere legislative.

Difatti, indipendentemente da qualunque attività legislativa, intesa ad attuare talune o la più parte delle norme costituzionali, vi sono principî contenuti nella Costituzione, i quali ope legis cominciano a funzionare con la promulgazione della legge che approva la Costituzione.

Né mi pare abbia valore l’altra osservazione, che, cioè, l’Assemblea debba ancora occuparsi degli Statuti regionali e della legge elettorale. La legge elettorale non è, difatti, materia costituzionale.

Il fatto che sia stato attribuito anche questo compito all’Assemblea non significa che sia trasformato il carattere della legge. Ciò è evidente. Onde, il mio avviso è questo: che si può, bensì, provvedere ad una proroga; ma che tale proroga non possa aver luogo, dopo l’approvazione della Costituzione, tranne che l’Assemblea non sia convocata esclusivamente in funzione legislativa, per adempiere i compiti che non è riuscita ad adempiere nei termini precedentemente stabiliti.

Per queste osservazioni penso che resti ferma l’obiezione prospettata dall’onorevole Lucifero.

LUSSU. Onorevole Presidente mi permetto ricordarle che v’è la mozione d’ordine dell’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE. Io sto attendendo che l’idea dell’onorevole Togliatti sia concretata in forma di mozione, ché altrimenti non potrei proporla all’Assemblea.

Desidero per altro verso rilevare che, a mio avviso, si sta rifacendo una discussione già fatta nel momento in cui i due testi Targetti e Mortati erano stati presentati e svolti. Oggi l’Assemblea avrebbe dovuto soltanto pronunciarsi definitivamente sull’uno o sull’altro.

È, comunque, da rammaricare che, durante i dieci giorni trascorsi non si sia sentito, da parte di coloro che hanno sollevato obiezioni, la necessità di accordarsi su un testo comune.

Ad ogni modo, cerchiamo di sgomberare il terreno dalle cose superflue e veniamo al nocciolo della questione.

Quale può essere la formula? Vi sono tre proposte: la proroga, la prorogatio (perché, se è indiscutibile che nel pensiero di molti o di tutti, in questo momento, la prorogatio non è che una finzione giuridica dietro la quale in realtà si opererebbe come in vera proroga, non v’è dubbio tuttavia che si potrebbe parlare ancora di prorogatio per delimitare le attività che l’Assemblea potrebbe e dovrebbe veramente svolgere); proroga e prorogatio attraverso norme transitorie; ed infine vi è la proposta di tradurre in disegno di legge la richiesta di una proroga che acconsenta una integrale prosecuzione dei nostri lavori.

Bisogna decidersi a stabilire, e scegliere la forma da adottare e non cercare formulazioni in cui, parlando di prorogatio, in realtà ci si offre una proroga, oppure, parlando di proroga, si pensa poi che nel quadro della proroga si debba funzionare come in regime di prorogatio, vale a dire con limitazioni dei poteri dell’Assemblea Costituente. Bisogna decidersi, e pertanto, se l’onorevole Togliatti non presenta una proposta concreta, la formulo io, nel senso di sospendere ogni decisione, invitando coloro che si sono fatti promotori di questa discussione a riunirsi per trovare una formula da proporre all’Assemblea all’inizio della seduta pomeridiana.

Pertanto, se non vi sono osservazioni in contrario, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Comunico, – intanto, un’altra proposta, a carattere di norma transitoria, pervenutami ora e firmata dagli onorevoli Targetti, Costa, Carpano Maglioli e Fedeli Aldo:

«Le elezioni per la formazione del primo Parlamento della Repubblica avranno luogo entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della presente Costituzione».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerla.

TARGETTI. Lo scopo della norma aggiuntiva è chiaro e noi crediamo che debba essere condiviso da tutti, indipendentemente dai vari orientamenti politici.

Abbiamo qui ascoltato la dichiarazione dell’onorevole Presidente del Consiglio, secondo cui il Governo si proporrebbe di convocare i comizi elettorali al più tardi il 18 aprile. È inutile dire che noi non mettiamo in dubbio, neppure lontanamente, la lealtà dell’onorevole De Gasperi. Se egli ha espresso questo suo convincimento, anzi, questo proposito suo e del Consiglio dei Ministri, dobbiamo ritenere che l’espressione di questo proposito corrisponda ad una volontà precisa e debba considerarsi come un impegno.

Ci si domanderà allora perché stabilire quella norma. Noi possiamo ammettere, anche se non corrisponde ai nostri desideri, che questo Ministero di recente costituzione possa arrivare alle elezioni. Però, nessuno può escludere, e nemmeno l’onorevole De Gasperi vorrà escluderla, l’eventualità di un cambiamento di Ministero. L’impegno preso oggi dal Presidente dell’attuale Ministero, certamente non vincolerebbe un altro Presidente del Consiglio, un altro Governo. Mi sembra evidente.

Quando noi proponiamo di stabilire un termine massimo di quattro mesi dalla pubblicazione della Costituzione, pubblicazione che tutti siamo d’accordo dovrà avvenire il primo gennaio, noi non facciamo altro che fissare questo principio, stabilire questa norma: che i comizi per la formazione del primo Parlamento della Repubblica italiana devono essere convocati entro il mese di aprile. Anzi, concediamo vari giorni di più a quello che è stato l’impegno dell’onorevole De Gasperi.

MICHELI. Tanto per cambiare!

TARGETTI. Onorevole Micheli, prima di tutto il cambiare Governo non vuol dire che sia una cosa poco consigliabile. Anzi. Ma questo non c’entra. E siccome non può essere che ella non abbia capito devo essere io che mi sono espresso male. Oggi noi abbiamo un impegno dell’attuale Presidente del Consiglio, ma noi vogliamo avere una norma costituzionale che a qualsiasi Presidente del Consiglio faccia obbligo di non ritardare le elezioni oltre la fine di aprile. Se la nostra Costituzione stabilisce un termine massimo di tempo entro il quale, sciolta una Camera, si deve procedere alle elezioni e se questo termine non vogliamo applicarlo nei riguardi della nostra Assemblea, bisognerà bene fissarne un altro, sulla carta, cioè in una disposizione transitoria. Onorevole Micheli, lei deve convenire che questo è un concetto molto semplice e che non contrasta affatto ma si intona all’impegno preso dall’attuale Presidente del Consiglio. Non mi pare possibile che ella non ne sia persuaso, e quindi concludo col raccomandare anche a lei l’approvazione del nostro emendamento.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Ho chiesto di parlare per spiegare il concetto di una semplicissima mia interruzione con la quale volevo far presente al collega Targetti che effettivamente, data la distanza di così poco tempo, secondo la sua proposta, e quella risultante dalle dichiarazioni del Governo (per quanto non fosse impegno costituzionale, ma esso era pubblico ed accettato), il contratto era completo e non mancava altro.

TARGETTI. E se la parte contraente cambia?

MICHELI. La parte contraente non cambia perché non cambierete voi altri. Bisognerebbe che aumentaste di numero. Ora, aumenterete di numero eventualmente alle prossime elezioni, ma prima non è da ritenerlo possibile. Eventualmente, potreste diminuire. (Ilarità). Lo dico per qualcuno che possa abbandonare il vostro Gruppo, per andare in un altro. (Si ride).

Quindi non vedo la necessità che questa variazione sia esplicata in una proposta particolare, la quale oggi non ha una vera e propria ragion d’essere. È una forma per prolungare le discussioni, per prorogarle, allo scopo di avere una… prorogatio di questi nostri piacevoli conversari (Si ride) che potrebbero, invece, essere dedicati a qualche cosa di meglio. (Commenti).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Credo che la norma proposta dall’onorevole Targetti sia necessaria per questo: nella nostra Costituzione vi è un termine di settanta giorni che decorrono dallo scioglimento della Camera. Si può ritenere che con la promulgazione della Costituzione e con la prorogatio sia, in realtà, sciolta la Costituente per fare le elezioni. Si può dubitare se questo termine sia applicabile anche alla Costituente, ma nel dubbio è opportuno fissare un termine di quattro mesi perché ogni eventuale interpretazione diversa sia esclusa.

Questa è la ragione del termine proposto dall’onorevole Targetti.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, mi sembra che la materia che l’onorevole Targetti vorrebbe inserire nella Costituzione, sia pure nella parte destinata alle norme transitorie, non abbia affatto il contenuto e le caratteristiche proprie delle norme costituzionali.

Io comprenderei che essa potesse essere oggetto di un ordine del giorno, ma non di una norma costituzionale che, per il fatto di essere inserita nella parte transitoria, non cessa di avere natura specifica di norma costituzionale.

Ora, domando: se succede un qualsiasi evento per cui le elezioni, anziché essere fatte prima della fine di aprile si dovessero fare nella prima domenica di maggio, in quale situazione ci verremmo a trovare noi, essendoci obbligati a farle assolutamente entro aprile?

D’altra parte l’osservazione dell’onorevole Cevolotto non mi sembra, dal punto di vista strettamente giuridico e costituzionale, fondata, perché la norma cui egli si richiamava avrà valore per il funzionamento delle Camere previste dalla Costituzione, ma non per la convocazione dei comizi elettorali dopo lo scioglimento di questa Assemblea.

Quindi, pregherei l’onorevole Targetti, tutt’al più, di presentare un ordine del giorno, che potrà essere eventualmente modificato, qualora circostanze sopravvenute rendessero di tutta evidenza che questo termine non possa essere rispettato.

PRESIDENTE. L’onorevole Cevolotto ha presentato un ordine del giorno che contiene gli stessi concetti espressi nella sua proposta dall’onorevole Targetti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. In subordine noi dichiariamo di non avere nulla in contrario a trasformare la norma transitoria in ordine del giorno.

FUSCHINI. Però è un ordine del giorno che suona sfiducia al Governo!

TARGETTI. Desidero tuttavia ricordare all’onorevole Bozzi che, se v’è una norma che ha proprio carattere di norma transitoria, è questa. Qui si tratta, come ha riconosciuto anche l’onorevole Cevolotto, di fare una eccezione a una norma stabilita nella Costituzione; mentre la Costituzione dice che le elezioni debbono avvenire entro settanta giorni, noi diciamo che entro settanta giorni non è possibile.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, non torni sul merito, la prego.

TARGETTI. Subordinatamente quindi, come ho detto, noi siamo disposti anche a trasformare la norma transitoria in ordine del giorno.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Targetti: subordinatamente a che cosa? Subordinatamente all’eventuale esito sfavorevole del voto?.

TARGETTI. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Debbo allora ricordarle che non si può ripresentare sotto forma di ordine del giorno ciò che già è stato respinto sotto forma di articolo.

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. Signor Presidente, poiché è presente nell’Aula il Presidente del Consiglio, potrebbe egli dirci l’opinione del Governo? (Commenti). Un momento: siamo d’accordo che siamo in tema di Costituzione e che non occorre il parere del Governo, ma poiché io penso che l’onorevole Targetti si rifacesse poco fa alle assicurazioni date dal Presidente del Consiglio, a me pare che il Presidente del Consiglio potrebbe adesso dire la sua opinione all’Assemblea sulla proposta dell’onorevole Targetti.

DE GASPERI. Io sono pronto a sodisfare questo desiderio.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Vorrei osservare, aderendo al concetto espresso dall’onorevole Targetti, che, a mio avviso, le norme transitorie non sono norme di carattere costituzionale, anche se inserite nella Costituzione. Si tratta di norme che, per essere transitorie, si applicano una sola volta, ed obbediscono anche ad esigenze di attuazione, come nel caso in esame, occorrendo stabilire come ed entro quale termine debba procedersi all’elezione della Camera legislativa.

Ecco dunque perché, pur non avendo quella in esame un carattere di norma costituzionale, poiché ha, come ho detto, un carattere di norma di attuazione, può essere, a mio avviso, contenuta nella Costituzione.

DE GASPERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI. Poiché si è manifestato il desiderio di udire il mio parere in argomento, dirò che il Governo si è formalmente impegnato dinanzi all’Assemblea per il termine massimo del 18 aprile. L’Assemblea, nel votare ieri sera la sua fiducia nel Governo, ne ha preso atto; e per ciò che riguarda la data del 18 aprile anche l’opposizione non ha sollevato alcuna obiezione, dimostrandosi fiduciosa.

Mi pare quindi che, a questo proposito, vi sia stata quasi, sotto un certo aspetto, l’unanimità. V’è già una norma costituzionale che fissa un termine; v’è un impegno formale del Governo accettato dall’Assemblea. Non v’è ragione di un’ulteriore votazione in materia.

Debbo altresì osservare che le proposte di questa natura hanno sempre un carattere, non semplicemente giuridico, ma anche politico.

Si è detto e si è stampato che non basta l’impegno assunto dal Governo dinanzi all’Assemblea e che occorre un impegno solenne dell’Assemblea stessa dinanzi al Paese. Ora, io dico che nessuna forma più solenne vi è di quella costituita da un impegno preso da Governo dinanzi all’Assemblea, impegno inteso, in certo senso, a tranquillizzare tutti, e che è stato accettato dall’Assemblea nel momento in cui essa ha accordato la sua fiducia al Governo. Come membro dell’Assemblea, vi chiedo di non diminuirvi dubitando del Governo e della maggioranza dell’Assemblea stessa, che hanno preso tale impegno. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, la prego di dirmi se mantiene la sua proposta come norma transitoria.

TARGETTI. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Allora, pongo in votazione la norma transitoria proposta dall’onorevole Targetti, del seguente tenore:

«Le elezioni per la formazione del primo Parlamento della Repubblica avranno luogo entro 120 giorni dall’entrata in vigore della presente Costituzione».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

L’ordine del giorno Cevolotto non può essere posto in votazione, perché ripresenta la medesima questione.

CEVOLOTTO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha proposto la seguente norma aggiuntiva:

«La disposizione dell’articolo 76 della Costituzione, per quanto concerne i trattati internazionali che importano oneri alle finanze o modificazioni di leggi, avrà effetto dalla data di convocazione delle Camere».

Ha facoltà di svolgere la sua proposta.

PERASSI. Secondo l’articolo 76 della Costituzione, il Presidente della Repubblica non può ratificare i trattati rientranti in determinate categorie se non previa autorizzazione delle Camere.

I trattati elencati a tale effetto dalla Costituzione sono: i trattati di natura politica; i trattati di arbitrato o di regolamento giudiziario; quelli che importano variazioni di territorio; quelli che importano oneri alle finanze o modificazioni di leggi.

Che cosa avverrebbe entrando in vigore la nuova Costituzione? Il Presidente della Repubblica non potrebbe ratificare nessuno di questi trattati sino a quando l’autorizzazione da parte delle Camere non sia intervenuta. Ora, vi sono alcuni trattati per i quali questa attesa delle nuove Camere può non presentare alcun inconveniente. Ciò può dirsi in particolare per i trattati di carattere politico, anche perché è estremamente improbabile che se ne facciano in questo periodo, e così pure per i trattati generali o particolari di arbitrato o regolamento giudiziario.

Ma durante questi mesi, che saranno quattro o cinque, è evidente che lo Stato deve poter funzionare anche nei suoi rapporti internazionali. Ora, ai nostri tempi sono frequentissimi gli accordi commerciali od economici, che presentano un certo carattere d’urgenza. Si tratta di accordi internazionali che possono talora importare qualche onere finanziario e talora anche qualche ritocco a norme legislative interne. Il rinviarne la ratifica fino a che le nuove Camere abbiano dato la loro autorizzazione potrebbe riuscire contrario al pubblico interesse.

Data questa esigenza, mi pare che occorra una disposizione che permetta di superare la difficoltà. La formula con la quale si propone di ovviare all’inconveniente che deriverebbe dal non dire nulla è quella di stabilire che l’articolo 76 della Costituzione, limitatamente ad alcune categorie di trattati in esso indicate e cioè per quelli che importano oneri di finanze o modificazioni di leggi interne, sia sospeso e abbia effetto soltanto a decorrere dalla costituzione delle Camere. Questa è la portata pratica dell’articolo aggiuntivo che ho proposto.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Se ho ben capito, l’onorevole Perassi vorrebbe che durante il periodo in cui potrà essere convocata l’Assemblea Costituente questa possa accordare l’autorizzazione alla ratifica di alcuni trattati commerciali. Non mi pare che, per un periodo così limitato quale è quello che si prevede, sia necessario introdurre una nuova norma nella Costituzione. Dato il concetto di attribuire ai lavori della Costituente soltanto argomenti di particolare e immediata necessità, pregherei l’onorevole Perassi di desistere.

PERASSI. Ma non è questo! Vi è un equivoco.

GRASSI. Allora è la norma proposta che non è chiara.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, ella mantiene la sua proposta?

PERASSI. La mantengo.

PRESIDENTE. Metto allora in votazione la norma aggiuntiva proposta dall’onorevole Perassi della quale do nuovamente lettura:

«La disposizione dell’articolo 76 della Costituzione, per quanto concerne i trattati internazionali che importano oneri alle finanze o modificazioni di leggi, avrà effetto dalla data di convocazione delle Camere».

(È approvata).

Do lettura della seguente altra norma aggiuntiva proposta dagli onorevoli Bonomi Ivanoe, Conti e Veroni:

«Il Governo provvedere a far depositare il testo della Costituzione nella sala comunale di ciascun comune della Repubblica, tenendolo ivi esposto per tutto l’anno 1948, affinché ogni cittadino possa prenderne cognizione.

Svolge lei questa proposta, onorevole Conti?

CONTI. Rinunziamo a svolgerla.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Mi dichiaro d’accordo, a nome del Governo, con questa proposta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la norma transitoria proposta dagli onorevoli Bonomi Ivanoe, Conti e Veroni.

(È approvata).

Passiamo alla nona disposizione finale e transitoria del progetto:

«La presente Costituzione sarà promulgata dal Capo provvisorio dello Stato entro cinque giorni dalla sua approvazione da parte dell’Assemblea Costituente».

Gli onorevoli Perrone Capano, Lucifero, Villabruna, Bonino, Morelli Renato, Fusco e Rubilli hanno proposto di sostituirla con la seguente:

«La presente Costituzione sarà promulgata dal Capo provvisorio dello Stato entro cinque giorni dalla data di proclamazione dei risultati del referendum, cui essa sarà sottoposta».

Svolge lei questa proposta, onorevole Lucifero?

LUCIFERO. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, quando si arriva alla fine di un lavoro lungo e complesso come quello che noi abbiamo svolto si pone a ciascuno un problema che non è soltanto politico ma anche morale; che è anche problema di coscienza.

Alcuni partiti, e molti uomini di questi partiti, in sede di elezioni per la Costituente si sono impegnati a chiedere il referendum sulla Costituzione. Fra questi partiti era il Partito liberale italiano; fra questi partiti era il Partito democratico italiano al quale io allora appartenevo e che nel liberale è confluito.

Oggi noi non facciamo che mantenere un preciso impegno che, come altri, avevamo assunto di fronte al corpo elettorale; dolenti che siamo noi soli a mantenere l’impegno che avevamo assunto. (Commenti a sinistra).

Non riguarda voi perché voi questo impegno non avevate assunto.

Una voce al centro sinistra. Nemmeno noi.

LUCIFERO. Excusatio non petita, accusatio manifesta – (Commenti). Ma il fatto che a sinistra si è rumoreggiato dimostra che la nostra proposta non è destituita di fondamento; perché se fossimo tutti sicuri dell’opera che abbiamo compiuta non dovremmo avere esitazione di sottoporla al sovrano, che è il popolo, perché esso la sanzioni e l’approvi.

Del resto noi riprendiamo oggi quanto già i deputati liberali fecero con una mozione a firma Perrone Capano, Badini Confalonieri, Villabruna ed altri fin dall’11 settembre del 1946, cioè quasi all’inizio dei nostri lavori. Noi non vogliamo altro che consacrare il patto popolare che deve fondare il nuovo Stato italiano. Abbiamo una esperienza vicina a noi, ed è quella francese. Il popolo francese è stato chiamato due volte ad esaminare la Costituzione che gli si voleva dare. La prima volta la respinse; la seconda l’approvò. Quella approvazione lega veramente popolo e Stato in quella unità che deve essere fondamento di uno Stato democratico. È una rivendicazione democratica che noi facciamo per uno Stato che vogliamo democratico e che temiamo non tutti vogliano democratico. E vogliamo che il popolo si impegni con noi a rispettare la legge fondamentale che abbiamo dato allo Stato italiano. La nostra esigenza è quindi un’esigenza morale, è un’esigenza politica ed è soprattutto un’esigenza di consolidamento del nuovo Stato che è uscito dalle tragedie italiane, allo scopo di unire tutti, di qualunque provenienza e di qualunque pensiero, di fronte allo Stato.

Respingere la nostra proposta significa porre per chissà quanto tempo di fronte al popolo italiano un punto interrogativo che noi vogliamo non esista nella storia del nostro Paese (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula sostitutiva dell’ultima disposizione finale e transitoria proposta dagli onorevoli Perrone Capano, Lucifero e altri, e della quale do nuovamente lettura:

«La presente Costituzione sarà promulgata dal Capo provvisorio dello Stato entro cinque giorni dalla data di proclamazione del referendum, cui essa sarà sottoposta».

(Non è approvata).

L’onorevole Mortati ha proposto di aggiungere, in fine alla IX disposizione transitoria, le seguenti parole:

«ed entrerà in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione».

Onorevole Mortati, conserva questo emendamento?

MORTATI. Mi rimetto alla Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, quale è il pensiero della Commissione?

PERASSI. La Commissione si rimette all’Assemblea così per questo come per l’emendamento Targetti.

PRESIDENTE. L’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Targetti è del seguente tenore:

«ed entrerà in vigore il 1° gennaio 1948».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Il nostro emendamento ha come scopo anzitutto di togliere ogni possibile discussione sopra la scadenza del termine dell’entrata in vigore, perché, come i colleghi sanno, quando si indica un numero di giorni, può nascere sempre la questione della confusione del giorno. In secondo luogo, ci sembra opportuno che fra la pubblicazione della Carta costituzionale e la sua entrata in vigore vi sia un lasso di tempo, sia pure breve, almeno di un giorno o due, che renda possibile che il cittadino abbia virtualmente la possibilità di conoscere gli obblighi che non deve violare. Mi sembrerebbe una stranezza che una Carta costituzionale che crea obblighi giuridici e morali ai cittadini entrasse in vigore il giorno stesso in cui è resa nota a chi la deve osservare. Per queste considerazioni e per un’altra di particolare significato e che ritengo sarà condivisa da quanti, onorevoli colleghi, porranno mente che il giorno da me indicato è il primo giorno di un anno, il 1948, che di per se stesso rievoca… (Applausi).

Non ho da aggiungere altro per raccomandare all’Assemblea l’approvazione della mia proposta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la IX disposizione finale e transitoria, della quale do nuovamente lettura:

«La presente Costituzione sarà promulgata dal Capo provvisorio dello Stato entro cinque giorni dalla sua approvazione da parte dell’Assemblea Costituente».

(È approvata).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Targetti:

«ed entrerà in vigore il 1° gennaio 1948».

(È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.40.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 19 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXLI.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 19 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

E DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Sul processo verbale:

Laconi

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):

Bruni

Cevolotto

Grilli

Russo Perez

La Malfa

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Corbino

Covelli

Rodi

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Durante la seduta pomeridiana di ieri, dai banchi di questo settore fu rivolta verso un ignoto collega dei banchi di centro la accusa di essere stato in passato istruttore della G.I.L. e insegnante di mistica fascista. L’ignoto collega fatto oggetto di questa precisa accusa non sollevò nessuna protesta. Dai settori della Democrazia cristiana invece, fu pronunciato il mio nome, come volendosi dire che l’accusa che veniva fatta a un collega di quel settore conveniva invece a me ed era da me meritata.

In quel momento io chiesi la parola per fatto personale, ma non ho voluto poi insistere, per non disturbare il corso della discussione.

Tuttavia ho desiderato di prendere la parola in sede di processo verbale, perché il fatto che sia stato pronunciato il mio nome e sia stata lanciata questa accusa nei miei confronti, non è affatto casuale.

Già da qualche tempo sono stati affissi, in diverse parti d’Italia e particolarmente in Roma, a cura della Democrazia cristiana, dei manifesti, nei quali si afferma che io sarei stato insegnante di mistica fascista o avrei comunque precedenti fascisti.

Io sono lieto che questa accusa, dalla oscurità anonima del manifesto murale, sia finalmente giunta a questa Assemblea, nella quale a me è possibile chiamare in causa, non un numero illimitato di persone, ma un gruppo ben individuato di colleghi.

Io quindi, onorevoli colleghi, sfido nel modo più esplicito tutti i colleghi della Democrazia cristiana che ieri hanno pronunciato il mio nome o, se nessuno di essi ritenesse di assumere per proprio conto la responsabilità di queste parole, i colleghi della Democrazia cristiana del collegio sardo: onorevole Mannironi, onorevole Mastino Gesumino, onorevole Carboni Enrico, onorevole Murgia e onorevole Chieffi, sfido questi colleghi ad assumere pubblicamente dinanzi all’Assemblea la responsabilità di quelle parole. Faccio questi nomi – e me ne dispiace – anche se penso che questi colleghi non abbiano nessuna responsabilità diretta nell’incidente, in quanto ritengo che da quella fonte sia stata in qualche modo originata o propalata questa diceria.

Io sfido dunque questi colleghi, e particolarmente quelli che hanno pronunciato ieri il mio nome, se non sono dei vili e dei mentitori, a ripeterlo. (Rumori al centro). Sì, sono nel mio pieno diritto di dire queste parole. Se non sono dei vili e dei mentitori, a ripeterlo e ad assumere la propria responsabilità dinanzi all’Assemblea e nei miei confronti.

Se essi non parlano, né in questo momento, né nella lettura del processo verbale che verrà fatta domani pomeriggio e che darà occasione a qualunque collega di intervenire, io sono nel mio pieno diritto di ritenere che le persone che hanno pronunciato ieri il mio nome con quel particolare significato, sono dei vili e dei mentitori.

Io vorrei aggiungere qualche cosa a questi colleghi e cioè che da certi settori dell’Assemblea non ci si sa abituare all’idea che in questo settore, giovani e vecchi, sono tutte persone oneste e pulite e non hanno niente da nascondere, e non ci si sa abituare all’idea che quando si è fatti oggetto di una precisa accusa si deve rispondere o smentendo o giustificando il proprio operato, e non lanciando accuse indiscriminate o calunniose contro colleghi, i quali hanno un passato del quale possano menare vanto dinanzi all’Assemblea e dinanzi al Paese. (Applausi all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

È iscritto a parlare l’onorevole Bruni. Ne ha facoltà.

BRUNI. In questa circostanza tanto critica della vita nazionale, e alla vigilia della chiusura dei lavori di questa Assemblea, ho creduto di prendere la parola anch’io, unico rappresentante in quest’Aula di una corrente politica.

Ma non per fare un lungo discorso, ché a me non si confà un tale lusso, ma per pronunciare poche parole che dovranno occupare il tempo regolamentare, presso a poco, d’una semplice dichiarazione di voto, di cui intendono avere anche il valore.

Che il quarto Ministero De Gasperi non dovesse arrivare sino alle elezioni nella sua primitiva formazione, era cosa da molti risaputa.

Che ci sarebbe stata un’immissione di repubblicani e socialisti dei lavoratori, era cosa da alcuni prevista, ma da nessuno dei loro amici augurata a repubblicani e socialisti dei lavoratori.

Fallito il primo tentativo dell’onorevole Facchinetti, il cosiddetto tentativo della «tregua» – il solo che sarebbe stato, dirò subito, pienamente accettabile e politicamente producente di reali garanzie democratiche e di reale pacificazione – io ritengo che repubblicani e socialisti dei lavoratori si siano addossati un compito superiore alle loro forze.

La realtà sarà purtroppo assai diversa da quella che le loro promesse ed assicurazioni ci vorrebbero ora dipingere. Sono pertanto del parere che l’ordine democratico e repubblicano, la libertà e l’imparzialità nelle elezioni, non potranno essere garantiti dal Presidente dell’apposito Comitato, onorevole Pacciardi, perché tutto ciò richiederebbe una capacità non solo politica, ma tecnica, una esperienza burocratica che l’onorevole Pacciardi dovrebbe possedere, nonché la sua continua presenza, come dire?, sul cantiere degli uffici di via del Viminale. Dall’alto, forse troppo alto, addirittura sidereo posto, che egli occupa, l’onorevole Pacciardi non sarà in grado (e non se ne offenda) di esercitare un effettivo e sostanziale controllo su quanto il Ministro degli interni fa, mentre su lui e non sul Ministro degli interni saranno forse fatte ricadere tutte le responsabilità dell’ordine pubblico.

Solo il Ministro dell’interno può controllare efficacemente il Ministero dell’interno, e la funzione dell’onorevole Pacciardi, certamente graditissima allo stesso onorevole Scelba, minaccia di risolversi in quella di un grazioso e gratuito avallo delle azioni dell’onorevole Ministro dell’interno.

Non riesco dunque a dar credito a questo Comitato, e neanche a quello pomposamente chiamato «per lo studio delle questioni sociali e per l’assistenza» attribuito all’onorevole Saragat, che temo debbano finire per essere ambedue in realtà vesti senza corpo, parole senza significato concreto, dei semplici flatus vocis, come si esprimerebbe qualche filosofo medioevale di mia conoscenza; poltrone e non mansioni effettive. Queste mansioni ministeriali, esercitate a cooperativa, potranno essere delle figure, escogitate non si sa perché (o si sa troppo perché) ma mai delle realtà operanti. Bisogna riconoscere come un’altra volta l’onorevole De Gasperi abbia furbescamente maneggiata la situazione, e sia riuscito a cloroformizzare anche i suoi nuovi collaboratori, prima che essi si siano affacciati alla soglia dei loro Ministeri.

Veramente, come ha detto l’onorevole Nenni, gli onorevoli Pacciardi e Saragat si sono contentati del dono dei fichi in questo connubio ed hanno anche, praeter intentionem, io credo, ma di fatto, spezzato il fronte democratico e repubblicano, come sottolineava l’onorevole Lussu, e rimandato sempre più alle calende greche la soluzione del famoso problema dell’unità socialista, attorno al quale, in questi ultimi mesi, si accesero tante polemiche e non poche speranze anche da parte dei miei compagni cristiano-sociali.

Gli onorevoli Pacciardi e Saragat, data l’atmosfera infuocata della nostra politica, e non solo della nostra, di fatto si sono messi nell’altra trincea, dove stanno democristiani, liberali, qualunquisti, nazionalisti e sono venuti a perdere ogni contatto con socialisti e comunisti.

Questa e non altra, è la realtà delle cose. Un’altra grave lacerazione è dunque avvenuta nella comunità politica italiana, a causa di questo rimpasto.

Gli onorevoli Pacciardi e Saragat non hanno voluto lasciare che i morti seppellissero i loro morti. E la loro pietà hanno chiamato amor di Patria.

E naturalmente io non voglio colpire le intenzioni, come ho detto, ma solo ascoltare l’eloquenza dei fatti che sono quelli che sono e non quelli che vorremmo che fossero.

In breve, la situazione che deriva da tale rimpasto può essere, a mio parere, riassunta nei seguenti termini:

1°) Ci troviamo di fronte ad un ministero non solo diretto, ma sostanzialmente ancora dominato dalla Democrazia cristiana.

2°) Da esso continuano a rimanere escluse le rappresentanze dei partiti tra i più accreditati presso le masse lavoratrici (le rappresentanze di circa 9 milioni di elettori, come ci ha ricordato l’onorevole Nenni).

3°) Il Governo, in considerazione del fatto che esso possiede anche il potere legislativo e che la mancanza di controllo, già così effimero da parte dell’Assemblea, andrà ancora diminuendo con la fine dei lavori per la Costituzione, continua ad essere un pericoloso elemento di discordia all’interno della nazione e, aggiungerò, di guerra tra le nazioni, a causa della sua politica bloccarda e di dipendenza verso un determinato gruppo di nazioni, dipendenza che l’onorevole Sforza vanamente ieri sera si affannò a smentire.

Passerei, pertanto, per ingenuo, se a questo punto domandassi all’onorevole Facchinetti come mai egli non sia riuscito nel suo nobile tentativo di dare al Paese il progettato Governo della «tregua». Non glielo domanderò.

Gli vorrei, però, domandare perché mai, fallito il tentativo, abbia egli finito per accontentarsi di dare la sua collaborazione, nei termini di questo rimpasto, al Governo democristiano.

Egli sa – e noi tutti sappiamo – come il diniego al suo tentativo non sia venuto dai comunisti, ma dai democristiani, i quali, quanto agiscano in funzione di una reale autonomia del Paese, tutti ormai dovremmo aver chiaro davanti alla nostra mente.

Essendo a conoscenza di ciò, se fossi stato al posto dell’onorevole Facchinetti, mi perdoni l’onorevole Ministro della Difesa questo linguaggio, credo che avrei ragionato press’a poco così: se a negare la collaborazione non sono i comunisti, i repubblicani e socialisti dei lavoratori, andando al Governo, ipso facto diventano corresponsabili di questo diniego e della posizione bloccarda che questo diniego necessariamente include.

Ecco, purtroppo, come si demolisce da sé, almeno sul terreno dei fatti, il proposito di volere aiutare la pacificazione; l’indipendenza del Paese, e quello di aprire una breccia nei blocchi, proposito dichiarato (non senza solennità) nei manifesti lanciati da repubblicani e socialisti dei lavoratori.

Sono pertanto del parere che il loro tentativo di creare una terza forza e di seguire una terza via continuerà ad essere condannato a restare senza efficacia, se non sapranno seguire costantemente ed intelligentemente una tattica di comprensione, capace di attrarre in questa via gli stessi socialisti e comunisti italiani. Lo sforzo va fatto in questa direzione. I cristiano-sociali intendono compierlo in questa direzione.

Con il gesto della loro collaborazione al Governo democristiano, essi hanno fatto scempio di questa possibilità e sono addirittura passati in campo avverso, ed hanno, anzi, aggravato, in un certo senso, la già grave situazione nazionale ed internazionale, in quanto la politica manifestamente bloccarda della Democrazia cristiana è venuta di fatto a guadagnare alla sua causa, con una spesa minima, l’apporto di altre forze, ch’io, non esitando a giudicare meno indiziate di lei, reputo, per ciò stesso, più pericolose. Come vedete, onorevoli colleghi, queste mie poche parole suonano netta opposizione all’attuale rimpasto governativo. E la logica che in esse è contenuta vorrebbe che, qualora si addivenisse ad un voto, io votassi contro il rimpasto. Ma non sarà così. Altre considerazioni mi inducono ad astenermi. (Commenti).

Ci troviamo alla vigilia delle elezioni e forse di grandi avvenimenti internazionali. La lotta tra i gruppi, tra le fazioni, tra i blocchi, è diventata senza quartiere. Ne abbiamo quasi quotidiani esempi in questa stessa Aula. Qualcosa per la democrazia, per la pace, per l’indipendenza del Paese, forse può essere ancora tentata da uomini di buona volontà delle correnti politiche maggiormente responsabili. Finché c’è vita c’è speranza, dice un proverbio popolare, e, sia pure con un solo voto contrario, di minimo peso politico, ma di grandissimo valore morale come io presumo, non intendo contribuire a scavare sempre più profonda una trincea che minaccia d’inghiottire tutti, destre e sinistre.

Il mio voto di astensione vuol dunque avere il significato di un supremo appello agli uomini di buona volontà di tutte le parti, perché sia salvato ciò che ancora rimane da salvare. Si dirà che è un vero lusso ciò che io mi prendo. È vero, proprio così: spes contra spem. Ma è un lusso che forse io – che conto così poco in questa Assemblea e che so di non poter aspirare a successi – mi posso prendere in piena coscienza; e, spero, senza suscitare né invidie, né malintesi.

Spero che il mio atteggiamento odierno non possa gettare dei dubbi sul carattere del tutto rivoluzionario dell’indirizzo dei cristiano-sociali di fronte al disordine della società capitalistica, né essere interpretato come una mezza capitolazione di fronte alle destre, al centro e alle correnti riformiste e conformiste. D’altra parte, spero che l’aver sottolineato, in questa critica circostanza, la fisionomia del tutto propria che il Partito cristiano sociale ha sempre tenuto a mantenere e che continuerà sempre a mantenere tra le sinistre, non possa essere interpretato come un raffreddamento di quella fraterna comprensione che deve esistere tra tutti coloro che hanno di fronte lo stesso nemico da combattere e sono animati dalla stessa passione redentrice verso le masse lavoratrici. Non si tenti, dunque, di travisare il mio gesto odierno, che altro significato non vuole avere che di semplice testimonianza della mia professione cristiana della politica, compiuto in determinate circostanze, del tutto eccezionali della nostra vita pubblica, in cui si corre troppo facilmente il pericolo di vedersi appioppata una patente di guelfo o di ghibellino, senza aver fatto niente per meritarla.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Cevolotto. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Onorevoli colleghi, poche parole, una dichiarazione, più che un discorso, per precisare alcune posizioni che non mi sembrano chiare nella formazione di questo Governo.

Tanto tempo fa, quando si è cominciato a parlare di rimpasto, il Presidente De Gasperi fece delle dichiarazioni che erano molto evidenti, molto precise. Egli disse: il Governo ha una sua maggioranza, ha una sua linea di condotta, un suo programma, che non ha bisogno di cambiare, e non cambia. Se qualche gruppo desidera di entrare a rafforzare la compagine ministeriale nella situazione politica che ha scelto e che mantiene, la porta può essere aperta a questi amici.

D’altra parte, l’onorevole Saragat e i repubblicani, quando hanno incominciato a trattare per il rimpasto, hanno annunciato delle pretese altrettanto precise. L’onorevole Saragat ha detto, in più occasioni: noi vogliamo entrare a far parte del Governo per spostarne l’asse a sinistra. Ed i repubblicani hanno aggiunto: noi vogliamo entrare con lo stesso proposito e anche per garantire che le elezioni si svolgeranno in un clima di assoluta imparzialità. Pretendiamo delle garanzie su questo punto, senza delle quali non accetteremo la collaborazione con la Democrazia cristiana.

Quando abbiamo visto costituito il quinto Gabinetto De Gasperi, ci siamo domandati: evidentemente il Partito socialista dei lavoratori deve aver ottenuto lo spostamento a sinistra dell’asse del Governo, evidentemente ai repubblicani le garanzie devono essere state date. Ma le dichiarazioni che l’onorevole De Gasperi ha fatto in questa sede quando ha presentato il suo quinto Gabinetto, non rispondono alle premesse. L’onorevole De Gasperi ha annunciato che la politica del suo Governo rimane quella che era prima, ha dichiarato che era ben lieto di avere l’appoggio dei nuovi amici e vecchi amici, ma non ha nascosto che erano questi che avevano aderito ad una politica e ad un programma, che restavano sostanzialmente immutati: la politica e il programma del suo precedente Governo. Egli non ha dato affidamenti per il preteso spostamento dell’asse. Perché, intendiamoci, spostamento dell’asse non può significare soltanto una figura topografica nella Camera, cioè che la maggioranza del Governo si estende ad alcuni banchi più a sinistra o più a destra, ma vuol dire spostamento della politica del Governo, mutamento della politica del Governo, accentuazione della politica in un determinato senso; nel nostro caso, a sinistra.

Che cosa è successo allora durante la laboriosa gestione dalla quale è nato questo Gabinetto? Noi aspettavamo delle dichiarazioni dall’onorevole Pacciardi o dall’onorevole Saragat, ed abbiamo letto invece questa mattina una dichiarazione del Partito socialista dei lavoratori italiani dalla quale apparirebbe che il partito ha consentito a partecipare al Governo sub condicione. I lavoratori italiani cioè sentono che la loro posizione non è ben precisata: essi stessi non sono convinti di poter raggiungere quei fini, in vista dei quali hanno trattato con De Gasperi, per cui si riservano – se la loro vita ministeriale non sarà quella che desiderano – anche di rivedere la loro posizione.

Tutto questo è alquanto strano, come è strana la composizione del Governo. Lasciamo da parte i tre Vicepresidenti del Consiglio: noi sappiamo che in questa materia l’onorevole De Gasperi è spregiudicato, perché egli non ha paura di situazioni curiose del genere; e forse anche pensa che gli fanno più comodo tre Vice-presidenti di uno solo. Perché, si sa, l’onorevole De Gasperi ha fatto il suo noviziato nella vita politica come deputato italiano al Parlamento di Vienna, e lì in quel Parlamento, dove si incontravano le correnti di tante nazionalità, i gruppi di provenienze tanto diverse, egli ha imparato mirabilmente l’arte di restare in equilibrio tra spinte opposte e di navigare fra gli scogli dei contrasti delle fazioni, che egli riesce quasi sempre a mettere d’accordo…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Noi eravamo fuori dell’equilibrio. Noi, poveretti italiani, eravamo pochi e quindi non avevamo niente da imparare. (Commenti).

CEVOLOTTO. Ma lei ha imparato non per l’azione sua, bensì studiando quella degli altri.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Già, come osservatore! (Si ride).

CEVOLOTTO. E – come osservatore – ha imparato mirabilmente, perché quella del compromesso è un’arte che lei possiede in sommo grado.

L’onorevole De Gasperi pensa che è sempre meglio tre che uno, come quei genitori che quando hanno un figliuolo il quale ha la disgrazia di avere un’amica si preoccupano che questa amica possa diventare anche una moglie; ma se ne ha tre, magari per la morale sono offesi, ma dal punto di vista della famiglia sono più contenti perché pensano che come è impossibile che tutte e tre le amiche diventino mogli è ben difficile che lo diventi una delle tre. (Commenti – Ilarità).

Così l’onorevole De Gasperi pensa che di tre Vicepresidenti nessuno diventerà sua moglie; e fra i tre, nel contrasto, sarà sempre lui a decidere.

Poi, il Vicepresidente che funzioni ha? Ha le funzioni che vorrà dargli il Presidente. Se il Presidente crede di dover raccogliere a consiglio i Vicepresidenti, li chiamerà; e metterà in opera l’arte che egli sa usare nel metterli di accordo, e se occorre, per metterli in contrasto. Se non li vorrà chiamare a consiglio, i Vicepresidenti dovranno limitarsi ad aspettare che venga la loro volta di sostituire, quando si allontana temporaneamente, De Gasperi sulla poltrona della Presidenza del Consiglio per dieci o quindici minuti.

Abbiamo sempre visto, che i Vicepresidenti contano pochissimo, per la direzione del Governo. Tanto più quando – come ora – hanno anche funzioni specifiche, particolarmente indicate. L’onorevole Pacciardi è «Vicepresidente del Consiglio, presidente del Comitato interministeriale per la difesa delle istituzioni repubblicane e democratiche». È un compito molto vago. (Commenti).

L’onorevole Saragat è «Vicepresidente del Consiglio e presidente del Comitato di studio per la sicurezza sociale». Saragat, dunque, deve studiare, preparare elementi e progetti per la Camera futura; ma quale ingerenza effettiva ha nella direzione politica del Gabinetto? Probabilmente nessuna.

Nella politica interna, dunque, la presenza dei tre Vicepresidenti – a proposito dei quali un collega spiritoso di parte democristiana ha detto che probabilmente la loro istituzione renderà necessario un altro posto, perché si presenterà presto l’opportunità di nominare un nuovo Ministro che coordini l’azione dei tre Vicepresidenti – (Commenti), che influenza potrà avere per orientare la politica interna del Governo? E nel settore della politica economica che cosa ha ottenuto il Partito socialista dei lavoratori italiani? Altra volta, in un’altra crisi, quel Partito si dice abbia chiesto nientemeno che la direzione della politica economica. Per me la richiesta non era fuor di luogo, perché così si sarebbe ottenuto veramente lo spostamento dell’asse del Governo, con la assoluta garanzia di quella che doveva essere la politica democratica del Governo nel campo economico.

Oggi la richiesta non è stata rinnovata e il Partito socialista dei lavoratori italiani si è accontentato di mettere l’egregio e valoroso amico Tremelloni al Ministero dell’industria e commercio. Tremelloni è, a quello che si sa, il pianificatore per eccellenza. Ma la politica economica, finché ci sarà nel Governo un grande maestro, un illustre maestro, quale è Einaudi – che ha una sua scuola – a dirigere il Ministero del tesoro, anche se è Ministro del bilancio; perché, in sostanza, dipendono da lui e il Tesoro e le Finanze e tutta la politica economica, che non si può determinare se non si ha in mano il Ministero del tesoro; finché, dicevo, sarà questa la situazione, l’amico Tremelloni non potrà certamente raggiungere i fini che si propone. Anche perché il concetto che ha della pianificazione l’onorevole Tremelloni e il concetto che ha della pianificazione l’onorevole Einaudi sono in contrasto. Einaudi, che è contrario ai «piani», spiegò che per lui ogni programma è un piano. Ed è vero: ma non è questo il «piano» di cui parla Tremelloni.

Anche qui il Partito socialista dei lavoratori ha accettato una posizione subordinata, che non gli consente di esercitare quell’azione che vorrebbe e che non gli offre le garanzie che aveva chiesto.

Quali sono le ragioni per le quali l’onorevole De Gasperi non ha neppure tentato un rimpasto a più ampio respiro? Penso che la ragione sia solo questa, che, per quanto egli dicesse di avere ancora una sua sicura maggioranza, in realtà il Gabinetto dell’onorevole De Gasperi questa maggioranza l’aveva fino a un certo punto, perché l’onorevole Giannini ha ieri esattamente ricordato che la maggioranza dell’ultima votazione era stata data all’onorevole De Gasperi dai voti dei qualunquisti.

Si sa che la crisi che si è determinata nel Partito dell’Uomo qualunque è stata conseguenza proprio di quella votazione. Era possibile – e anche logico – che per lo meno quei deputati qualunquisti che erano rimasti fedeli a Giannini a un dato momento si voltassero contro il Governo, rendendone assolutamente incerta e malsicura la maggioranza. Perciò l’onorevole De Gasperi aveva bisogno di un’altra base. L’onorevole De Gasperi ha dovuto cercare una maggioranza più sicura, più salda – perché nel precedente voto è dipeso, come ho detto, soltanto dal travaglio interno del partito qualunquista se l’onorevole De Gasperi non è stato rovesciato. Ma egli si è proposto di allargare il meno possibile le basi del Governo, ed ha fatto appello a due partiti che sono – sia detto senza offesa – non molto numerosi in questa Assemblea.

Così i due partiti, entrando a far parte del Gabinetto, non hanno spostato la base del Ministero, perché la maggioranza democristiana è tanto numerosa e salda da imporsi in ogni caso alle nuove forze che vengono ad aggiungersi alla maggioranza.

L’onorevole De Gasperi, nel far questo – e questo è il guaio – ha perseguito un altro scopo e al quale ha sempre teso con grandissima abilità, in tutte le circostanze: lo scopo di evitare l’unificazione delle forze della sinistra, lo scopo di evitare la formazione di un fronte parlamentare di sinistra compatto ed ampio, col quale avrebbe dovuto fare i conti e per ottenere l’appoggio del quale avrebbe dovuto realmente spostare l’asse del Governo. Noi non diciamo che la politica del Governo De Gasperi sia antidemocratica. Non lo sarà tanto più ora, che sono entrati nel Governo Pacciardi, Saragat, i repubblicani e i socialisti dei lavoratori italiani. Diciamo soltanto che il Gabinetto di De Gasperi non ha fatto mai una politica veramente democratica; non avrà fatto politica anti-democratica, ma non ha fatto politica democratica, perché non ha avviato mai il Paese a quelle riforme profonde di struttura nel campo sociale, che nei suoi programmi non sono state mai neanche adombrate. E non farà questa politica nuova, neanche ora che i repubblicani e i socialisti riformisti sono con lui; perché egli ha ancora con sé la destra, che non lo abbandona, che continua ad appoggiarlo. Se la destra è contenta di lui, segno è che è ben sicura che lo spostamento dell’asse non è avvenuto e non avverrà. Destra, vuol dire Confederazione dell’industria, vuol dire, quindi, anche appoggi materiali tutt’altro che disprezzabili; ma vuol dire, soprattutto, un peso dal quale il Governo non si può svincolare e che gli impedisce quelle riforme sostanziali democratiche che non ha attuato fin qui e non attuerà neanche ora, malgrado la spinta dei socialisti saragattiani e dei repubblicani.

Lungi da me il pensiero che il Governo accetti o subisca, non dirò l’imposizione, ma neanche la suggestione o il consiglio di Governi esteri. Certo è che dichiarazioni come quelle di Truman sarebbe meglio non fossero state fatte. Quelle dichiarazioni non possono non preoccuparci fortemente, perché, in parole povere il Presidente Truman ci dice: badate che se dovesse scoppiare disgraziatamente un conflitto fra Oriente e Occidente, noi ci siamo degnati di prendere la vostra terrà come campo di battaglia per la nostra guerra». (Commenti).

Ci toglie così anche l’illusione o la speranza di potere, in caso di conflitto, restare neutrali ed equidistanti tra i due grandi gruppi opposti.

La politica del Governo di De Gasperi, se nei riguardi dell’America è stata imposta da una necessità assoluta – perché, noi non possiamo vivere senza l’aiuto americano – ha avuto atteggiamenti di così evidente e compiaciuta adesione, oltre la lieta constatazione di un appoggio dal quale non possiamo prescindere, che questa apparente dedizione ha impedito allo stesso De Gasperi libertà di manovra, quando anche avesse voluto realmente spostare a sinistra, verso una audace democrazia, l’asse del suo Governo.

Pensiamo che deve esservi stata nel Presidente del Consiglio l’ansia di cercare il modo di arrivare alle elezioni del 18 aprile in quelle condizioni meravigliose in cui si sono svolte le elezioni del 2 giugno; ma pensiamo che questo nobile proposito non abbia avuto estrinsecazione felice nel rimpasto attuale.

Non è così che si può arrivare ad una distensione degli animi. E perciò è strano che faccia parte del Ministero l’amico Facchinetti, che proponeva pochi giorni fa la tregua fra tutti i partiti, basata su ben altri accordi. Mi auguro che l’aver occupato il posto di Ministro della difesa non impedisca all’onorevole Facchinetti di perseguire le alte finalità che lo animavano nel suo tentativo. Ma non so come egli farà ora ad attuare i suoi fini. Con un rimpasto limitato non si può arrivare ad una distensione, ad una pacificazione che consenta di fare le elezioni in clima di tranquillità. E questo ci preoccupa.

La soluzione concreta dell’aspra situazione politica che si è determinata, non si avrà se la democrazia socialista non ritroverà finalmente la sua unità, perché soltanto in essa è la garanzia della pacificazione. Noi auguriamo che la democrazia socialista – tutto il fronte democratico socialista – ritrovi la sua unità, che è la base e la garanzia contro gli estremismi da qualunque parte vengano, che è la garanzia del metodo democratico, del progresso democratico. Questa unità di tutta la democrazia socialista è la garanzia dell’avvenire della patria, sulla quale soltanto si potranno fondare le basi e le fortune della nostra Repubblica. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Grilli. Ne ha facoltà.

GRILLI. Onorevoli colleghi, io ascolto sempre con molta attenzione i discorsi dell’onorevole Togliatti. Posso dire che li ascolto con doppia attenzione perché mi preme di intendere quello che dice, e questo è facile perché parla molto bene, e mi preme d’intendere anche (e questo è un po’ più difficile) quello che pensa.

Quello che ha detto ieri credo di averlo capito. In sostanza egli ha detto che da questo Governo non c’è da attendere niente di buono, ma forse pensava diversamente.

Io credo che pensasse: e se per caso questo Governo riuscisse a fare qualche cosa di buono? Perché, onorevoli colleghi, basterebbe poco, basterebbe qualche cosa ad aprire la speranza al popolo italiano dopo le tante delusioni che gli hanno procurato i Governi passati, compresi quelli spostati all’estrema sinistra. Io non voglio con questo dire che l’onorevole Togliatti non desideri che il Governo faccia del bene al Paese. No! Ma desidererebbe che lo facesse in sua compagnia. Come quando si parla del piano Marshall si dice: c’è il pericolo che l’Italia diventi una colonia dell’America. Ma forse non si pensa questo e si pensa: c’è il pericolo che il piano Marshall riassesti un po’ le cose di questa povera Europa mentre si desidererebbe che il riassetto avvenisse per opera della Russia. Questo Governo è un nuovo Governo con indirizzo nuovo o è il vecchio Governo con una sostituzione di qualche persona? Questo è il primo problema.

L’onorevole Togliatti martedì scorso, riconobbe che si trattava di un nuovo Governo con un nuovo indirizzo, tanto che fondava su questo argomento l’apertura di questa discussione. Ieri ha mutato opinione, calcando le orme dell’onorevole Nenni. Ma io prendo al balzo la prima dichiarazione dell’onorevole Togliatti perché voce dal sen fuggita è più sincera di quella preordinata dopo, a scopo polemico.

E poiché io accetto la dichiarazione e l’opinione dell’onorevole Togliatti, non mi dilungherò a guardare quella dell’onorevole Nenni perché (non se lo abbia a male l’onorevole Nenni) mi hanno insegnato che: ubi major minor cessat. (Si ride).

Se non si trattasse di un Governo nuovo e con nuovo indirizzo, non si comprenderebbe l’asprezza e l’intensità di questa discussione: perché contro il vecchio Governo l’estrema sinistra si era già sufficientemente sfogata nella precedente discussione. Non mi si vorrà far credere che questa discussione sia stata aperta soltanto per tacciare di incostituzionalità questo rimpasto o per chiamare l’onorevole De Gasperi con il titolo di «Cancelliere»? Su questo punto a proposito del cancelliere, risponderà l’onorevole De Gasperi.

Io mi permetto di osservare che questa cosa dipende un po’ dalla situazione di questo Parlamento. C’è, volere o no, un gruppo di 209 deputati: senza questo gruppo non è possibile un Governo. Questo gruppo è al centro di qualunque formazione ministeriale, e finché questo gruppo avrà – come ha oggi – la suprema fiducia nell’onorevole De Gasperi, l’onorevole De Gasperi è condannato a fare la figura del «Cancelliere». (Approvazioni).

Se alle prossime elezioni avverrà quello che l’onorevole Togliatti assicura, cioè a dire il suo blocco prenderà la maggioranza, nella prossima legislatura avremo un cancellierato dell’onorevole Togliatti. (Commenti).

Dunque, onorevoli colleghi, si tratta di un Governo nuovo. Perché? Perché le persone dei nuovi Ministri non sono delle persone qualsiasi portate là per riempitivo o magari per consultazioni di carattere tecnico. Sono degli uomini politici che fino a ieri furono all’opposizione, e alla opposizione di sinistra; che votarono contro il vecchio Governo fin dalla sua formazione; che votarono contro lo stesso Governo una mozione di sfiducia.

È naturale, dunque, che l’ingresso di questi uomini politici, anche se non è stato fatto in bellezza – come sarebbe piaciuto all’onorevole Nitti – necessariamente porti un nuovo orientamento. E poiché non è possibile che uomini che vengono dall’opposizione di sinistra spostino l’asse a destra, è evidente e naturale che lo sposteranno a sinistra. L’onorevole Nenni ci diceva che il vecchio Governo aveva messo al bando i rappresentanti delle classi lavoratrici, per far posto ai rappresentanti del capitale. Sarà anche vero. Ma oggi un correttivo bisogna che ci sia, per forza; perché nessuno potrebbe, nemmeno lontanamente, immaginare di vedere il capitalismo in agguato dietro la veneranda barba di Lodovico d’Aragona.

Tanto è vero che questo è un nuovo Governo, che i nuovi Ministri, prima del loro ingresso, hanno fatto, o meglio, i partiti che li rappresentavano, hanno fatto tutte quelle pattuizioni, che hanno scandalizzato l’onorevole Nitti, ma lo hanno scandalizzato a freddo; perché quelle pattuizioni si facevano anche ai tempi suoi; perché, fin da quando esiste il Parlamento, gli uomini politici che entrano nel Governo, vogliono portarvi il bagaglio della loro personalità politica e delle loro idee.

E allora, se si tratta di un nuovo Governo con nuove direttive, se l’accusa alla quale era sottoposto il vecchio Governo, era quella di essere un Governo di destra, da questa accusa dovrebbe essere liberato il nuovo Governo.

Ed il ragionamento più logico che dovrebbe fare l’estrema sinistra,  – l’estrema sinistra, che si lamentava del vecchio Governo, perché era un Governo di destra – dovrebbe essere questo: uno spostamento o un tentativo di spostamento a sinistra si è fatto, stiamo a vedere quello che succede; vediamo se, per caso, questi nuovi uomini, entrati nel Governo, riuscissero a fare qualche cosa di quello che non siamo riusciti a fare noi nel Governo del tripartito. Ed allora io non comprendo la passione con la quale l’estrema sinistra, che era contro il vecchio Governo, ha investito questo nuovo Governo.

Questa specie di rancore, per quanto riguarda noi e gli amici repubblicani, mi ha tutta l’aria di un rancore di concorrenti. (Commenti).

TOGLIATTI. La risoluzione di stamani del suo partito ce la vuole spiegare?

GRILLI. Onorevole Togliatti, quando lei ieri, da cotesto banco, ha dato a noi dei traditori, io non mi sono commosso tanto…

Non è stato detto e ripetuto fino alla noia: prendete noi e le cose andranno meglio? E si è sentito anche questo linguaggio di mercanti e di imbonitori: ma come, voi mandate via noi, che siamo possenti, che abbiamo la rappresentanza delle classi lavoratrici, che abbiamo milioni di voti, che riscuotiamo il 69 per cento di voti nelle organizzazioni, ecc. (Rumori all’estrema sinistra), per prendere questi quattro gatti che hanno appena due voti a Livorno ed a Reggio Emilia? Come affare questo è un cattivo affare, avete ragionato voi.

FARALLI. Non si tratta di affari, quando si parla di rappresentanza delle classi lavoratrici.

GRILLI. So che mi avete iscritto persino nella lista di proscrizione. (Ilarità all’estrema sinistra).

BARONTINI ILIO. Fuggirai alla prima occasione, come hai già fatto altre volte. (Interruzione del deputato Moranino).

GRILLI. Questo, nei riguardi nostri e degli amici repubblicani.

Nei riguardi della Democrazia cristiana questo rancore mi fa l’impressione del rancore dell’amante tradito. Io non ricordo in quale opera o in quale commedia – forse l’onorevole Giannini, se fosse presente, me lo potrebbe dire – ho assistito a questo episodio: c’è un amante tradito, il quale investe di contumelie la donna che lo ha abbandonato. Contumelie, maledizioni, propositi di vendetta e la donna che lo ha ascoltato in silenzio esclama: «ora capisco quanto tu mi ami!». La Democrazia cristiana potrebbe dire altrettanto ai comunisti e potrebbe aggiungere: «ora capisco anche l’arcano dell’articolo 7!». (Si ride).

Dunque il Partito socialista dei lavoratori italiani ha portato a questo Governo gli ultimi avanzi di un povero partito in agonia, moribondo.

PAJETTA GIULIANO. No, pieno di slancio giovanile!

GRILLI. Perfino l’onorevole Pertini questa mattina, dalle colonne dell’Avanti!, ha dato la partecipazione della nostra morte.

Attenti a fare gli uccelli di cattivo augurio! Voi sapete cosa accadde all’uccello del cattivo augurio!

L’onorevole Pertini, dalle colonne dell’Avanti! – lo dico perché vedo che da un pezzo in qua si discute anche di giornali – dopo di aver annunciato la nostra morte ci maltratta. In verità, una volta si usava dei morti fare l’elogio funebre o, perlomeno, concedere loro una lapide benigna. L’onorevole Pertini annuncia la nostra morte e ci maltratta. Leggendo l’articolo di Pertini questa mattina, mi è tornato alla mente l’episodio di quel tale che seguiva il carro funebre di un suo nemico e brontolava contro questo nemico defunto. Un suo amico gli domandò: «Perché, se è morto, continui a maltrattarlo?» E quello disse: «Ma io non sono mica certo che sia morto. Vengo apposta al cimitero per accertarmi». (Ilarità). Caro Pertini, vieni pure al cimitero il giorno dei morti o dei santi che nel prossimo anno cadrà poco dopo il 18 di aprile. Vieni a vedere. Io non faccio pronostici e non sono un ottimista, come l’onorevole Giannini che ieri sera si è messo senz’altro al terzo posto, e nemmeno come l’onorevole Nenni che è sicuro di passare dal Governo al potere. Io non faccio pronostici. Non so cosa potrà dire questo povero popolo di fronte agli errori che in due anni tutti quanti abbiamo commesso. Io aspetto il responso di questo popolo. Io non ho nessuna simpatia per coloro che credono di essere i monopolisti del favore del popolo e di essere i monopolisti delle masse. Attenti, amici! Abbiamo visto tante greggi ribellarsi al pastore! È vero che il pastore ha la verga, ma il voto, per fortuna, è segreto. (Applausi al centro – Commenti all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Pajetta Giuliano).

Ed ora un punto che sebbene ormai io vada acquistando la insensibilità del vecchio, tuttavia mi commuove un poco. Io dico: certo, che se tutti i socialisti fossero stati uniti, avrebbero potuto portare, in aiuto dello spostamento del Governo a sinistra un peso formidabile. Ma, nonostante la scissione, che per me i fatti e gli episodi posteriori hanno più che giustificato, nonostante la scissione, sarebbe stato possibile ai due gruppi socialisti trovare sul terreno parlamentare una intesa. Noi abbiamo tentato; non è stato possibile perché i socialisti non hanno voluto staccarsi dai comunisti.

In definitiva, noi all’onorevole Nenni cosa abbiamo offerto? Di tornare ad essere il leader del Gruppo socialista. Non ha voluto accettare ed ha preferito i comunisti. Io penso come debba essere potente la seduzione dell’onorevole Togliatti, se l’onorevole Nenni ha rifiutato (Commenti all’estrema sinistra) il bastone di maresciallo del socialismo per rimanere il luogotenente del comunismo. (Proteste all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Nenni).

E questa luogotenenza gli ha fatto perdere un po’ le staffe giorni fa, quando rimproverava a noi di voler mettere nientemeno fuori della legge i comunisti.

Ora, fuori del Ministero, è cosa ben diversa che fuori della legge e fuori della vita civile. L’onorevole Nenni ricordava le persecuzioni crispine contro i socialisti. Ma Crispi i socialisti, onorevole Nenni, li mandava in galera e li faceva bollare di malfattori dai tribunali militari! Santo Dio! Nessuno pensa di mettere fuori della legge, nessuno è così pazzo che possa pensare di mettere fuori della legge e della vita civile i comunisti. (Rumori all’estrema sinistra – Interruzioni del deputato Nenni).

I comunisti hanno tutti i diritti dei cittadini italiani, hanno il loro partito, le loro organizzazioni, la loro stampa e nessuno pensa, nemmeno lontanamente, a diminuire questi diritti.

Si tratta soltanto della miseria di essere, per ora, fuori del Governo. Dico per ora, perché francamente io personalmente non ce li vedrei male al Governo. Ad una condizione, però – non ve l’abbiate a male – che aveste un titolo: il diploma di democrazia. (Applausi a sinistra, al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Togliatti).

Una parola ancora al Governo: Voi, signori, avete un grande compito, che è quello di difendere la libertà di tutti i cittadini. Fra poco ci rivolgeremo al popolo italiano e gli domanderemo il giudizio sulla nostra opera e gli domanderemo l’indirizzo che dovranno prendere i futuri governi. Bisogna che il popolo possa rispondere nella più assoluta e completa libertà, libertà di discussione, libertà di propaganda, libertà di associazione, libertà di stampa. Chi attenta a queste libertà è un nemico del Paese e deve essere colpito inesorabilmente! (Applausi a sinistra, al centro e a destra). Non vi lasciate prendere, o signori, dalla melanconia della popolarità che viene dalla piazza, che sbercia. Il popolo, quello serio, che lavora davvero, non va a sberciare in piazza. (Proteste all’estrema sinistra). Ricordatevi, signori, che un uomo di Stato deve chiedere il giudizio alla storia e non ai demagoghi contemporanei. (Applausi al centro e a destra). E non mi si dica che questa è mentalità di poliziotto, questa è mentalità di cittadino che vuole anzitutto essere libero, libero, libero! (Applausi a sinistra, al centro e a destra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. È una dichiarazione di voto la mia: non si tratta di un discorso. Parlo a nome mio personale, ma sono sicuro d’interpretare esattamente il pensiero di molti amici che mi stanno vicino.

Si ripropone a noi di questo settore, oggi, la questione che alla nostra coscienza era stata posta circa tre mesi fa: la convenienza cioè o meno di appoggiare il Governo.

Abbiamo udito al riguardo ieri sera le dichiarazioni dell’onorevole Giannini. Egli ha ricordato la penultima crisi e ha detto che, a suo avviso, era quello il momento in cui, contribuendo a rovesciare il Governo, egli avrebbe potuto far mettere i galloni al suo partito, avrebbe, cioè, potuto farlo innalzare non so se in potenza o nella pubblica estimazione.

Parecchi di noi in quel momento, pensarono invece che rovesciare il Governo sarebbe stata per noi una degradazione. Della crisi che è avvenuta – e me ne duole molto – nel nostro partito, sono state date parecchie spiegazioni; però, il Presidente del Fronte dell’Uomo qualunque (Vedi «Uomo qualunque» del 5 novembre) ha scritto testualmente: «Debbo ora farvi alcune dichiarazioni sul conflitto scoppiato fra il Presidente del partito e il Gruppo parlamentare. Benché fosse stato deciso d’accordo con Selvaggi di votare contro l’onorevole De Gasperi, una parte del Gruppo parlamentare votò contro la proposta di rovesciare il Governo».

Onorevoli colleghi di questa Assemblea, è falso che fosse stato deciso o dall’Esecutivo del nostro partito, del quale facevo parte, o dal Gruppo parlamentare, che si dovesse votare contro il Governo. Del resto, qui la frase è un po’ equivoca, giacché si dice: «d’accordo con Selvaggi». Ora, io non so se ci sia stata allora in proposito qualche conversazione privata col collega Selvaggi: toccherà all’onorevole Selvaggi di rispondere; ma la questione in seno al Gruppo parlamentare fu risolta dalla maggioranza del Gruppo stesso nel senso che si dovesse appoggiare il Governo.

Come vedeva allora la questione l’onorevole Giannini, del cui successo oratorio di ieri sinceramente mi compiaccio? Egli affermò nel Congresso nazionale del partito che il nemico pubblico numero uno era per noi la Democrazia cristiana. Esattamente così!

Una voce al centro. Esagerato!

RUSSO PEREZ. Sì, ma non sono esagerato io: è stato esagerato Guglielmo Giannini; sono queste le parole testuali del resoconto stenografico.

Si legga il numero del 22 ottobre del settimanale Uomo Qualunque. «Il secondo congresso – vi scriveva l’onorevole Giannini – del Fronte liberale democratico dell’Uomo qualunque ha sancito (sic) che la Democrazia cristiana è il nostro principale nemico». E invece nei confronti del Partito comunista egli al congresso si espresse in questo modo: «Che il Partito comunista si manifesti partito nazionale, e noi lo appoggeremo con tutte le nostre forze».

Quindi Democrazia cristiana, e naturalmente Governo, che ne era e che ne è l’espressione, nemici pubblici numero uno; il Partito comunista, partito da appoggiare con tutte le forze, qualora soltanto si manifesti partito nazionale. Ma il problema della libertà, il problema della dittatura del proletariato? Egli evidentemente allora ci passava sopra. (Commenti).

Si legga il giornale Il Tempo del 17 ottobre: l’onorevole Giannini, intervistato, dichiarò che mirava a qualsiasi costo a rovesciare il Governo. Lo stesso egli disse in una conversazione alla radio il 20 ottobre.

Invece noi pensavamo allora, noi dissidenti, quello che pensiamo anche ora, e cioè che, «con la sua azione balorda e caotica, l’estrema togliattesca non solo non ci convince a votare contro il Governo De Gasperi, ma ci spingerebbe a non votare contro qualsiasi altro Governo che potesse mantenere l’ordine».

Signori dell’estrema sinistra, queste parole – azione balorda e caotica, estrema togliattesca, ecc. – non sono mie; sono scritte nel giornale L’Uomo Qualunque del 26 novembre. Noi le pensavamo due mesi prima; egli le scrive due mesi dopo.

È chiaro che, mentre il pensiero di Guglielmo Giannini era, durante lo svolgersi della penultima crisi, che si dovesse rovesciare il Governo, il nostro era che lo si dovesse appoggiare.

E quando egli ieri si domandava le ragioni per le quali egli è stato escluso da questa nuova formazione governativa e il Governo ha creduto di crearsi una nuova maggioranza spingendosi nel settore di centro-sinistra, non ha pensato all’unica risposta da dare: che cioè proprio il suo atteggiamento incerto e contradittorio (io ricordo quando disse: «Do il voto favorevole al Governo; ma si tratta di una cambiale; non so se la rinnoveremo») abbia largamente contribuito a creare nell’animo dell’onorevole De Gasperi quelle spiegabili preoccupazioni, che, al fine di assicurare al Governo una maggioranza più sicura, gli hanno suggerito lo spostamento verso i saragattiani e i repubblicani anziché verso questo settore dell’Assemblea.

Concludo col dire che, se quindici giorni fa nell’Uomo Qualunque l’onorevole Giannini ha scritto che occorre appoggiare il Governo De Gasperi, se ieri egli ha ripetuto che occorre appoggiarlo, è certo che noi non siamo dei traditori; noi che ciò che Giannini vede adesso abbiamo visto tre mesi fa; noi che abbiamo voluto servire il Paese anche allora, quando abbiamo votato per la Democrazia cristiana e che continuiamo a servirlo adesso, votando ancora per la Democrazia cristiana.

Soltanto che, secondo quanto ha detto ieri il presidente dell’Uomo Qualunque, egli si è deciso a votare adesso per il Governo non si sa bene se per un capriccio di artista oppure per togliere quel tale rossetto a quella vecchia signora che si era tinta per sembrare rossa. Noi, invece, lo facciamo per un motivo più serio: perché ritenevamo allora, e riteniamo oggi che, nell’attuale schieramento politico, nell’attuale realtà della situazione parlamentare, quella croce che splende nell’emblema della Democrazia cristiana dia ancora oggi il maggiore affidamento per la vittoria dello spirito contro la materia; perché oggi quella che si combatte nel mondo è la lotta dello spirito contro la materia. (Applausi a destra e al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Onorevoli colleghi, non avrei preso la parola, avendo parlato per il Gruppo repubblicano il collega Macrelli, se l’impostazione data dall’onorevole Togliatti al problema della costituzione di questo Governo e, direi, l’aspra critica mossa da lui al Partito repubblicano, non mi costringessero ad una replica.

Io sono lieto che l’onorevole Togliatti abbia correttamente riveduto un giudizio, che evidentemente andava oltre le norme che regolano una cortese polemica. Personalmente mi sentirei umiliato – e credo tutto il mio Partito si sentirebbe umiliato – se dovessi discutere di schieramenti politici, esaminare orientamenti politici, concludendo in maniera da sostenere che in un certo momento il Partito comunista abbia tenuto un comportamento tale da ridurre le sue bandiere nel fango. Mi sentirei personalmente umiliato se dovessi accettare una maniera di discutere – e qualche volta è avvenuto in questa Assemblea – che portasse ad affermazioni di questo genere: il partito X è il partito della Russia, il partito Y è il partito dell’America.

Ringrazio l’onorevole Togliatti di avere riveduto il suo giudizio e di consentirmi di riportare la questione ai suoi termini politici. Tuttavia lo prego di prendere atto di questo: che un giudizio del genere di quello che egli ha dato ieri può essere attribuito ad un partito della democrazia italiana solo se tale partito abbia collusioni con il fascismo o con i residui del fascismo. Questo è il solo caso nel quale, dopo la lotta di liberazione, è consentito dare su un partito politico un giudizio della gravità di quello dato ieri.

TOGLIATTI. Quindi, se fa eleggere il sindaco di Roma con i voti del Movimento sociale italiano.

LA MALFA. L’onorevole Togliatti, con questa sua interruzione, mi dà l’occasione di illustrare la gravità della situazione politica alla quale siamo pervenuti; prego intanto gli amici dell’estrema sinistra di considerare che, se noi oggi interveniamo con un peso (l’onorevole Togliatti ce lo ha dichiarato) poco rappresentativo nella lotta politica e nell’attuale schieramento, per alcuni anni il peso politico col quale intervennero i partiti dell’estrema sinistra fu assai notevole.

Se voi volete dare un giudizio sulla nostra azione, amici dell’estrema sinistra, voi dovete prendere come punto di partenza il momento presente e giudicarci a qualche anno da questo momento, come noi oggi possiamo giudicare la vostra condotta a parecchi anni dalla vostra azione politica.

Ora, la verità quale è, o signori? La verità è che la situazione che si è creata in Italia non si è creata per il fatto che alcuni partiti siano usciti dal Governo.

La situazione politica, che si è creata in Italia e si è sviluppata anche quando i partiti di estrema sinistra erano al Governo, dalla lotta di liberazione in poi, e direi anzi, dal Governo Parri in poi, dimostra che la democrazia italiana ha perduto terreno, cioè ha perduto le sue possibilità di sviluppo e di affermazione. E poiché da quella formazione di Governo ad oggi, ripeto, sono stati i partiti di estrema sinistra ad avere quella che essi chiamano la maggiore rappresentatività nel Paese, è anche giusto che noi attribuiamo la responsabilità di questa retrocessione sul terreno democratico a tali partiti. Non hanno tutta la responsabilità, ma una gran parte della responsabilità, e noi non possiamo dire che l’arretramento della situazione dal primo Governo Parri al primo Governo De Gasperi, al secondo, al terzo, al quarto Governo De Gasperi, sia dovuto ai partiti di centro-sinistra o al Partito Repubblicano, come amava sostenere ieri, con qualche contraddizione, l’onorevole Togliatti. In tutti questi Governi, salvo l’ultimo, i partiti dell’onorevole Togliatti e dell’onorevole Nenni sono stati rappresentati. E perché la Democrazia cristiana ha potuto guadagnare una posizione di direzione politica del Paese così importante? Evidentemente c’è un giudizio sull’azione politica di tutti i partiti, e c’è un giudizio sull’azione politica dei partiti di estrema sinistra. Quando una situazione, che poteva avere sviluppi democratici, non ha più tali sviluppi, coloro che dirigono la lotta dei grandi partiti ne assumono la responsabilità.

Vi è un punto fondamentale delle argomentazioni che ha svolto ieri l’onorevole Togliatti, che noi non possiamo accettare. Egli ha accusato il Partito repubblicano di essersi tenuto fuori dalla lotta politica dei Comitati di liberazione nazionale. Ma non è solo il Partito repubblicano che non ha accettato l’impostazione comunista: c’è stato un altro partito, che oggi non è più sulla scena politica, che non l’ha accettata: il Partito d’azione. La verità è che il Partito comunista, quando ha impostato la lotta politica della liberazione, non ha avuto gli stessi obiettivi che noi democratici abbiamo avuto, non ha impostato il problema politico come noi l’abbiamo impostato. C’è stata una differenza assoluta di metodo, di condotta politica, e non credo che l’onorevole Togliatti possa dire di aver avuto ragione, quando è venuto alla soluzione della luogotenenza, fatto retrospettivo, ma che ha importanza sul giudizio che l’onorevole Togliatti dà della situazione. Non credo che abbia avuto ragione.

Se i colleghi vogliono leggere il libro di Ivanoe Bonomi sulla lotta clandestina a Roma, si accorgeranno che l’orientamento dato dal Partito comunista alla lotta contro la monarchia ci avrebbe forse conservato la monarchia, cioè avrebbe determinato una situazione per cui la monarchia sarebbe forse ancora oggi al potere. (Commenti). Io ricordo che quando il collega Negarville – non so se sia presente – venne in Italia per condurre la lotta clandestina contro il fascismo, avemmo una lunga discussione su questo punto. Fin d’allora noi si intendeva impostare la lotta per la repubblica mentre egli ci raccomandava di non mettere avanti la pregiudiziale repubblicana, per non allontanare da noi le schiere monarchiche. Era un’impostazione che io discussi lungamente, ritenendola sbagliata.

Quando l’onorevole Togliatti accusa il Partito repubblicano di essersi tenuto fuori del Comitato di liberazione, io allora, iscritto al Partito d’azione, e componente del Comitato di liberazione, trovavo giusto questo schieramento. Noi potevamo perdere, ed era giusto che l’ideale repubblicano non fosse compromesso in un’azione politica che poteva e non poteva avere successo.

Una voce all’estrema sinistra. Come lo compromettete adesso.

LA MALFA. Questo è uno dei mezzi che uno schieramento politico deve avere per condurre le sue battaglie politiche. Non devo ricordare, quando i colleghi dell’estrema sinistra ci accusano di aver presa la vicepresidenza in questa maniera o in quell’altra maniera, non ho bisogno di ricordare per esempio i discorsi e le impostazioni politiche dell’onorevole Nenni: «Tutto il potere al Comitato di liberazione». Che cosa ne è di questa impostazione politica? Che cosa ne è dell’impostazione politica, per cui l’Italia sarà socialista o non sarà? Cosa è rimasto del cosiddetto «vento del nord»? Non è rimasto nulla. L’onorevole Togliatti ci accusa anche di aver abbandonato il Governo tripartito in un delicato momento della vita di questo. Ma ricorderò agli amici della sinistra che la contraddittorietà della politica del Governo tripartito sviluppava delle forze all’infuori dello schieramento democratico; e questo sviluppo doveva ovviamente preoccupare i repubblicani, il cui compito fermo sarà sempre quello della difesa delle istituzioni repubblicane.

Non contano solo i contatti, i rapporti che noi abbiamo qui dentro fra i vari partiti: conta molto stabilire che cosa avviene nel Paese rispetto alla politica che i partiti fanno. E noi abbiamo osservato, durante il tripartito, che sono sorti o si sono valorizzati dei movimenti, come quello dell’«Uomo Qualunque» – che oggi è andato in frantumi, ed io ne sono lieto – proprio per la politica condotta.

Una voce a destra. Non è vero!

LA MALFA. Con la politica del tripartito quel movimento era stato valorizzato nel Paese. E se alcuni minori partiti, che non potevano aver peso nella direzione della lotta politica, si sono allontanati dal governo, se ne sono allontanati perché nell’opinione pubblica ci fosse una posizione di opposizione democratica valevole per l’avvenire. Se ne sono allontanati per compiere a distanza il solo compito politico che questi partiti potessero avere, e per costituire una copertura dello schieramento democratico.

Io devo dire che conosco molto da vicino l’onorevole De Gasperi; e ovviamente lo considero un uomo assai cauto della democrazia italiana. Ricordo che, per esempio, nel periodo della lotta di liberazione le nostre impostazioni democratiche – direi, la nostra impostazione fermamente repubblicana – destavano in lui qualche preoccupazione. Ma a repubblica fatta, proprio nella formazione del Governo unicolore, che cosa abbiamo visto dal punto di vista politico? La Democrazia cristiana per quattro mesi si è mantenuta in una situazione di equilibrio instabile, quasi per un miracolo. I miracoli che tutti riconoscono ormai all’onorevole De Gasperi! L’onorevole De Gasperi ha tenuto il suo partito in sospeso circa un orientamento che poteva essere decisamente e definitivamente verso la destra; ed ha tenuto una porta aperta, ha tenuto una finestra aperta, verso l’altra parte. È un miracolo!

NENNI. È il classico trasformismo politico italiano.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Quanti trasformismi ha fatto lei!

LA MALFA. Concedendo tutto allo spirito moderato dell’onorevole De Gasperi, desidero affermare che il mantenimento di questa posizione è stata una bella prova di arte politica. Perché, o signori, se la spinta, che si è determinata nel Paese – mi riferisco alle dichiarazioni dell’onorevole Lussu, che trovo da un certo punto di vista esatte – se la spinta, che l’opposizione di estrema sinistra ha dato alla Democrazia cristiana, avesse irrigidito le posizioni, noi avremmo avuto la frattura delle forze politiche del Paese, quasi per sempre. Cioè, a questo punto noi avremmo scavato veramente un solco tra le forze della Democrazia cristiana e le forze che si schierano da questa parte dell’Assemblea fino all’estrema sinistra.

L’onorevole Lussu ha sostenuto che una spinta determina una contro-spinta. Con l’irrigidimento delle posizioni non vi sarebbe più stato possibile costruire un ponte per assicurare l’avvenire della vita democratica italiana.

Questo è il punto fondamentale. Possiamo avere sbagliato; ma abbiamo costruito un fragile ponte. Su questo dovete giudicare, non sul fatto se abbiamo avuto questo o quel Ministero.

Io chiedo: se la frattura tra le nostre forze e la Democrazia cristiana si fosse verificata, non sarebbe stata molto più grave della frattura che volete vedere tra noi e voi dell’estrema sinistra?

Credo che, per le sorti della democrazia, la frattura tra il nostro schieramento e la Democrazia cristiana sarebbe stata funesta.

Se voi volete che fra noi e voi ci sia una frattura così profonda, fate pure. Noi non ne assumiamo la responsabilità. (Applausi).

L’onorevole Togliatti ieri ha rilevato dal manifesto del Partito repubblicano una frase, che devo ricordare: «Noi tenteremo di riannodare i fili dell’unità democratica». Naturalmente, nelle condizioni reali in cui operiamo; perché noi non abbiamo impostazioni astratte e non possiamo averne. Noi dobbiamo operare nelle condizioni in cui è politicamente, dal punto di vista interno e dal punto di vista delle forze internazionali, il nostro Paese. Nel dire quelle parole, abbiamo significato qual è il motivo ideale della nostra azione politica.

Mi pareva che l’onorevole Togliatti avesse rilevato il valore di quella frase.

TOGLIATTI. Con le frasi non si fa una politica.

LA MALFA. Molte volte tali frasi indicano uno stato d’animo ed una politica, onorevole Togliatti, che guarda molto avanti.

TOGLIATTI. Questo è il fatto. Lei confonde le une con gli altri.

LA MALFA. Non bisognava rispondere, onorevole Togliatti, così come ad un certo punto è stato risposto al Partito repubblicano.

Dicevo: noi abbiamo la coscienza di avere impedito una frattura nel punto più pericoloso di rottura della vita democratica.

ALBERGANTI. È lei che vuole produrre la frattura.

LA MALFA. Del resto, per quanti anni il Partito comunista non ci ha detto che questa sarebbe stata la situazione di pericolo per la democrazia italiana? Per quanti anni? Dalla liberazione in poi qualsiasi discorso dell’onorevole Togliatti ha richiamato la nostra attenzione su questo punto fondamentale: non si ricostruisce la democrazia senza la Democrazia cristiana.

Ed allora prendete atto di questo, cioè prendete atto che, con le deboli nostre forze, abbiamo tentato di costruire questo fragile ponte e tentiamo anche di impedire un qualsiasi contatto, che nel tumulto e nella tensione stessa della lotta politica si possa creare, con quello che è stato il male più grave del nostro Paese, il male fascista.

Mi fa piacere, cari amici; che voi abbiate ascoltato le dichiarazioni di ieri dell’onorevole Giannini, quelle di oggi dell’onorevole Russo Perez (mentre son mancate le dichiarazioni dell’onorevole Selvaggi), mi fa piacere, perché, se non altro, quel poco che abbiamo fatto con senso di responsabilità è servito, per la prima volta in due anni dopo la liberazione, a rompere il fronte delle destre, che marciava compatto e con possibilità di successo nel nostro Paese. (Interruzione del deputato Togliatti).

RODI. Era pericoloso forse?

LA MALFA. Ma qual è la sostanza del problema politico, perché è bene che a questo punto ci parliamo chiari, anche sulla sostanza del problema politico. Onorevole Togliatti, coloro i quali siedono in questi banchi hanno un ideale di democrazia, cioè hanno il loro ideale. Noi rispettiamo l’ideale del Partito comunista e non intendiamo affatto di parlarne come partito della Russia o di non so che cosa. Conosciamo il Partito comunista fin dalla lotta clandestina e sappiamo quali sacrifici abbia affrontato nella lotta; ma pretendiamo lo stesso rispetto per il nostro ideale, che è diverso da quello del Partito comunista.

Qual è quest’ideale? Non è l’ideale della democrazia progressiva, onorevole Togliatti e, diciamo la verità, se io volessi esprimermi con un aggettivo – che non avrà certo il fascino dell’aggettivo: «progressiva» – definirei il nostro ideale un ideale di «democrazia istituzionale». Che cosa vuol dire: «democrazia istituzionale»? L’onorevole Togliatti e l’onorevole Nitti ci accusano di esserci qualificati, con la decisione presa, partito di conservazione sociale. Che cosa vuol dire partito di conservazione sociale? Io dico che ci sono due ideali democratici da precisare, e cercherò di precisare il nostro. Che cosa è «democrazia istituzionale»? Noi vogliamo istituti profondi di riforma sociale, ma li vogliamo in una certa maniera, che è la nostra maniera, che è la maniera di un partito di democrazia. Onorevole Togliatti, quando si è cominciato a discutere della Costituzione e si è parlato dell’articolo 1, ricordo che io stesso ho presentato un emendamento, in cui si diceva: «l’Italia è una Repubblica fondata sui diritti di libertà e del lavoro». Ecco una concezione propria di democrazia istituzionale, alla quale – per compiacenza della Democrazia cristiana – è stata contrapposta una definizione rispondente a principî di democrazia progressiva. Cioè, mentre noi volevamo introdurre nella nostra Costituzione concezioni fondamentali, che dovevano reggere la vita del nostro Paese – perché una costituzione regge la vita di un Paese – ci siamo trovati di fronte ad una formula, che era progressiva per il Partito comunista o progressiva per la Democrazia cristiana, non lo so, ma era una formula un po’ da sabbie mobili. E veniamo al famoso articolo 7, che dà luogo a discussioni. Nella nostra concezione di democrazia istituzionale probabilmente noi avremmo avuto un conflitto a fondo con la Democrazia cristiana, per precisare i limiti di questo articolo. In quel caso, la democrazia progressiva ha arretrato e la Democrazia cristiana è avanzata. Ma quanti altri campi! Noi sosteniamo che vogliamo la riforma agraria, come profonda riforma della vita del nostro Paese, ma in una forma attuabile nel nostro Paese, e cioè studiando gli estremi di questa riforma nelle singole situazioni regionali. Se voi ci contrapponete – può darsi che si tratti soltanto di stato di emergenza – un movimento che, come tutti i movimenti, ha qualcosa che non risponde ad un bisogno fondamentale strutturale del nostro Paese, questa sarà democrazia progressiva, ma non è la nostra democrazia.

Una voce all’estrema sinistra. Ed ai contadini che hanno fame cosa date?

LA MALFA. Anche noi parliamo di grandi riforme strutturali industriali, ma, cari colleghi dell’estrema sinistra, la riforma della struttura industriale è una riforma che vuole qualche anno di studio, di preparazione e di maturazione nel nostro Paese. (Interruzioni all’estrema sinistra).

Se voi ci contrapponete l’occupazione delle fabbriche, evidentemente questa sarà democrazia progressiva, ma non è la nostra democrazia.

Una voce all’estrema sinistra. Ed i milioni di licenziati?

PAJETTA GIULIANO. Lei è allo stesso punto in cui erano i democristiani nel 1946! (Interruzione del deputato Pastore Giulio).

LA MALFA. Mi sento interrompere con argomenti che non credo siano pertinenti a quanto stiamo esaminando.

Ma, volevo prendere un altro esempio per mostrare come noi concepiamo certi problemi politici e sociali del nostro Paese. Guardiamo all’imposta patrimoniale. Voi sapete quale è stata la nostra posizione in materia. Noi abbiamo colpito e siamo stati con voi (Indica l’estrema sinistra) nel colpire spietatamente le grosse fortune, come vi abbiamo detto, con estrema sincerità, che un sistema tributario si deve fondare anche sulla piccola proprietà e sui piccoli e medi patrimoni, ed anche sul reddito di questi patrimoni, in quanto non c’è riforma di carattere tributario che abbia valore se non si fondi anche sui contributi dei piccoli patrimoni. Che cosa avete contrapposto a questa posizione? Io ho letto alcuni giornali della Romagna in cui era scritto che La Malfa era contro la piccola proprietà. Questa è la democrazia progressiva? Voi non potete affrontare la riforma tributaria con questi argomenti. (Interruzioni all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, mi pare che lei le stia attendendo le interruzioni. Prosegua.

LA MALFA. Vorrei citare ancora un altro esempio, l’ultimo in questa sede, ed esso riguarda quella che si chiama la politica dell’onorevole Einaudi. Questa politica dell’onorevole Einaudi è la politica della quale abbiamo discusso molto insieme; per un anno, quando noi criticavamo, ed eravamo d’accordo con l’onorevole Scoccimarro e con voi, la politica dell’onorevole Corbino, si criticava questa politica mettendoci dal punto di vista della politica poi fatta dall’onorevole Einaudi. Dirò che questa politica è stata elaborata sui banchi della sinistra e del centro-sinistra. Il controllo del credito, che ha immortalato Einaudi, è stato in primo luogo sostenuto da noi.

Nelle quattro Commissioni legislative – l’onorevole De Gasperi lo ricorderà – nelle quattro Commissioni legislative dell’Assemblea, uomini di centro-sinistra e di sinistra hanno parlato di controllo del credito. Anch’io ne ho parlato e a lungo. Ebbene, l’abbiamo fatta noi tale politica?

Lo schieramento di sinistra ha l’abilità di non fare mai una politica, e anche la politica poi realizzata dall’onorevole Einaudi gli è sfuggita.

Io ho sostenuto che la politica Einaudi è arrivata con un anno di ritardo, è frammentaria, rigida, non ha toccato alcuni punti del problema. Noi, che questa politica abbiamo discussa e meditata, forse ne avevamo una visione più integrale e più giusta.

Ma possiamo contrapporre alla politica dell’onorevole Einaudi la posizione che ha preso Pietro Nenni? L’onorevole Einaudi, in questo momento, ci rappresenta. È un tentativo: egli ha cercato con la sua politica di colpire la speculazione. È dal periodo successivo alla liberazione che i partiti di sinistra insistono per colpire la speculazione. Che cosa vogliamo contrapporre alla politica Einaudi?

Effettivamente quella politica non farà il miracolo di ridurre i prezzi per l’eternità, ma essa ha avuto il merito di far venir fuori le posizioni speculative, in ogni campo, nel campo dei valori e nel campo delle merci. Una politica di questo genere dà risultati, se in tutti i settori della vita economica c’è una politica conseguente. Ma, se nel momento del trapasso da un sistema economico ad un altro, voi iniziate quella che io chiamo un’agitazione su vasta scala – che ha anche le sue ragioni nelle condizioni del Paese, ma che contraddice al sistema di politica che cerca di raggiungere il risultato di frenare l’aumento dei prezzi – tutta la nostra economia minaccia di andare in aria.

Ci possiamo trovare fra tre o quattro mesi in una situazione spiacevolissima per la contraddittorietà di due sistemi, perché l’onorevole Einaudi comprime certi settori, mentre in altri c’è un risucchio di miliardi e miliardi che disarticola la nostra vita economica.

Quando guardo al bilancio dello Stato rispetto alla politica dell’onorevole Einaudi mi viene veramente paura, perché, mentre noi esercitiamo una compressione sull’economia privata, la quale subisce gli effetti di una contrazione di credito e quindi è orientata verso il ribasso, noi dilatiamo le spese statali in una maniera inverosimile.

Ecco gli aspetti, ecco gli esempi di una politica che può avere sviluppi democratici, e non li ha, perché non troviamo il punto giusto.

Voi potete dire: ma tutti questi ideali di politica democratica sono i vostri, non sono i nostri.

Ecco la contraddizione, il conflitto in cui ci troviamo. Questi nostri ideali sono ideali di democrazia, non sono – onorevole Togliatti – ideali di conservazione sociale, sono ideali di sviluppo democratico.

Ma noi come vogliamo realizzare questi ideali? Con il sistema di vita civile rappresentato dalla democrazia dei Paesi occidentali.

Anche nella polemica che ho avuto occasione di sostenere con l’onorevole Nenni, io mi sono sempre riferito a questo elemento. Nei Paesi d’Europa ci sono elementi di vita sociale e spirituale di cui voi dovete tener conto, altrimenti andrete a sfracellarvi e manderete tutto e tutti in rovina, e fatalmente risorgerà lo spettro del fascismo.

Ma il fascismo se c’è per noi, c’è anche per voi. (Applausi al centro). Questo ideale di democrazia che cos’è? In realtà, vedo che nel pensiero dell’onorevole Togliatti c’è molto di Benedetto Croce, c’è molto di un pensiero nostro, c’è molto di una forma mentale che veramente ci appartiene. Quando io sento l’onorevole Togliatti così aspramente e duramente criticarci, chiedo agli amici della Democrazia cristiana – i quali indubbiamente hanno un’aspirazione democratica – se essi non ritengano che questo nostro piccolo apporto abbia pur fatto rifiorire qualche speranza nel nostro Paese. (Vivi applausi al centro).

C’è questo ideale, ed è la tragedia dei nostri Paesi. Io ho premesso che noi rispettiamo il vostro ideale: noi lo rispettiamo umanamente. Questa storia dei russi o non russi non ci piace. Ma dico: dal punto divista internazionale, come voi non sentite che c’è questa aspirazione all’indipendenza nel nostro Paese, come non sentite che nessuno qui da noi vuol diventare un agente di colonizzazione americana? (Approvazioni al centro). Voi non ci farete l’insulto di non credere questo.

Voi ci parlate della dichiarazione Truman: ma tutti i capi di Stato, in periodi simili ai nostri, hanno fatto dichiarazioni. Ciò rientra nell’attuale stato generale delle cose.

All’origine della nostra crisi, non ci sono, onorevole Togliatti, errori del Partito comunista italiano: ci sono errori del Partito comunista francese. Questo ha detto ieri, nel suo intervento, l’onorevole Lussu, e ha detto giusto. Non vi rendete voi conto, quando attaccate la «terza forza», quando attaccate Blum e lo paragonate a Mussolini, non vi rendete conto, dico, che la sola aspirazione della Francia è affermare la sua piena indipendenza?

Ho letto il rapporto di Zdanov: l’ho letto, l’ho meditato, l’ho rimeditato; ho cercato di trovare in esso il significato della politica dei Partiti comunisti. Ma che cos’è questa politica? In un punto del rapporto si dice: «qui il mondo capitalista, là il mondo della democrazia popolare». La Francia è satellite, l’Inghilterra è satellite. Ma in un altro punto di questo rapporto si dice: gli americani non si fidano dell’Inghilterra e della Francia. Ci sono in tali Paesi lieviti di indipendenza.

O voi date valore a questi lieviti di indipendenza, che non contano solo nel vostro partito, ma sono nella coscienza democratica dell’Europa, o non date loro valore. Avvertite che vi è qualche cosa che resiste agli urti e che garantisce voi, o non lo sentite e non gli date valore.

Non c’è una linea di conseguenza in quel rapporto, onorevole Togliatti. Io sono un modesto lettore di documenti politici. Si spiega nel documento come la Russia ha vinto la guerra. Ma perché l’ha vinta? Questa è l’indagine che voi dovete fare. Questo mondo, che oggi voi dite mondo capitalistico, pure s’è diviso; e la Russia ha vinto mercé l’apporto delle sue armi, il valore del suo popolo, i suoi sacrifici, ma ha vinto anche perché il mondo capitalistico non era unito, perché c’erano delle forme di civiltà diverse in quel mondo. E voi vi siete legati ad alcune forme di civiltà che vi erano più vicine.

TOGLIATTI. Questo è l’abbicì.

LA MALFA. Che cosa credete che vi sia in Francia, in Inghilterra, in Italia, se non questo lievito di indipendenza? Quando in tali documenti leggo che la Francia e l’Italia – non voglio con questo far torto a nessun popolo – sono diventate una specie di Indocina… rimango sbalordito. Ma avete dimenticato che cosa sono queste civiltà e quali tradizioni di libertà e di indipendenza esse rappresentano? (Applausi a sinistra, al centro e a destra).

Voi commettete un errore fatale, quando dite che la terza forza è l’anticamera del fascismo. Quante volte nel periodo clandestino mi avete detto che avevate sbagliato, quando avevate dato alla vostra azione questa impostazione politica. Me lo diceva spesso il collega Amendola. Confondere la posizione di Leone Blum, di Pacciardi, di Saragat, con quella di un fascista… quale errore! (Applausi al centro).

 

Allora, cosa volete da noi? Voi credete che noi facciamo passare qui un solo soldato americano per attaccare la Russia? Non sarà mai! Non passerà mai un soldato americano. (Commenti all’estrema sinistra). Voi sapete questo benissimo. Voi sapete che questo non avverrà mai.

Ma c’è una responsabilità di certe forze politiche in un determinato momento, nella vita difficile del nostro Paese. Se noi non vogliamo che il conflitto internazionale venga nel nostro Paese, ci devono essere delle forze che garantiscano voi; non voi, la Russia sovietica come potenza, e che garantiscano gli Stati Uniti. Questo è il nostro scopo. Il nostro sforzo è di cercare di dare questa garanzia. E quando voi parlate di questa terza forza e la disprezzate, voi potete controllare la politica di questa terza forza, ma dovete riconoscere che essa è l’unica forza che vi possa dare una garanzia. Volete di più di questa garanzia. Ma che cosa volete? (Commenti all’estrema sinistra).

Io dico all’onorevole Nenni – perché in questo l’onorevole Nenni, mi scusi, non avrà mai giudizio (Ilarità)io dico: leggendo che la Francia ha rinunciato alla sua opera di mediazione, considero che qualcosa di importante e di fondamentale è finito. Perché la Francia rinuncia? Perché volete spingere questa situazione francese fino agli estremi? Volete fare la politica del «tanto peggio, tanto meglio»? Allora vediamola chiara questa politica; se la vostra politica è la politica del «tanto peggio, tanto meglio», allora diteci: volete trovarvi a contatto col fascismo? Volete sbarazzarvi di noi? (Commenti all’estrema sinistra). Ci potete riuscire, perché noi…

TOGLIATTI. Ha fatto male al partito a cui era iscritto.

LA MALFA. Vorrei che lei potesse far male all’Italia così come io l’ho fatto al mio partito. (Applausi al centro).

Onorevole Togliatti, non desidero ricordare alcuni articoli in cui ella mi ha dato ragione nei riguardi dell’amico Lussu. Quegli articoli mi hanno fatto molto piacere; avendo io una grande stima dell’onorevole Togliatti, e del suo pensiero politico, mi ha fatto proprio piacere che l’onorevole Togliatti mi abbia dato ragione.

TOGLIATTI. Si tratta solo di avere ragione.

LA MALFA. Appartengo alla generazione di coloro che a vent’anni hanno iniziato la lotta antifascista. E devo dichiarare che, come altri giovani, ho cercato di maturare ed elaborare in questi venti anni un pensiero sulla crisi italiana; ho sentito un problema della vita italiana e ne ho cercato le vie di soluzione. Onorevole Togliatti, io ho sentito che il problema del nostro Paese era un problema di democrazia e di ideale democratico. Ho cambiato partito, ma sono sempre rimasto fedele a questo ideale. Ho fatto parte di un partito giovane e vi ho condotto la lotta clandestina, ma dal momento in cui è venuta la Repubblica ho sentito di dover entrare nel partito repubblicano per continuare a servire il mio ideale. Non sono entrato nelle chiese socialiste.

NENNI. Non vi sono chiese.

LA MALFA. Onorevole Togliatti, ho sentito che è una crisi di formazione democratica quella che travaglia il nostro Paese. Del resto quante volte ella non me ne ha dato atto!

L’onorevole Nenni ripetute volte ha dichiarato: l’Europa sarà socialista; il mondo sarà socialista. E l’onorevole Togliatti ha replicato: no, il problema dell’Europa è un problema di democrazia.

L’onorevole Togliatti è stato molto più cauto, e, nella realtà politica, molto più concreto, perché l’ideale dei Paesi occidentali è effettivamente un ideale di vita democratica.

Noi possiamo superare il fascismo realizzando un ideale di democrazia. L’avvenire ci dirà quando sarà concretamente realizzabile il socialismo.

Noi possiamo costruire la democrazia se abbiamo coscienza di che cosa siano i valori della democrazia nei nostri Paesi. E sempre riferendomi al pensiero dell’onorevole Togliatti e dell’onorevole Nenni, quante volte essi hanno dato ragione a questa democrazia, a questa impostazione, a quella che io chiamo democrazia istituzionale! Il nostro problema politico non è quello di strappare una foglia del carciofo alla volta. Se il problema nei nostri Paesi, la cui vita è tremenda, fosse solo di farci scivolare lungo una china, i nostri Paesi vivrebbero in stato di agitazione perpetua e non so quale sarebbe la fine di una tale avventura politica. Potrete vincere voi, potrebbero vincere altri.

Finisco.

Rispetto a questo tema fondamentale che è l’avvenire politico dei Paesi occidentali, voi dovete dare una risposta. Non potete eludere il problema. Una democrazia che sorga nel mondo occidentale ha e deve avere certi caratteri e certe finalità ed in questo quadro voi dovete intendere il piano Marshall. Quando voi dite che il piano Marshall è la via della soggezione, non crediate che un francese si faccia assorbire dal piano Marshall. Se voi mi dite che oggi la Francia minaccia di entrare nell’orbita americana, riflettete se non siete voi a spingere la Francia su tale strada.

TOGLIATTI. La Francia ha Monaco nella sua storia.

Una voce al centro. E la Russia gli accordi con Hitler! (Rumori).

LA MALFA. Onorevole Togliatti, non rispondo chiedendovi che cosa ha la Russia nella sua storia. Dico che pur avendo la Francia avuto Monaco, essa ha riscattato Monaco.

Vedete, amici, voi parlate sempre di isolamento (Rumori all’estrema sinistra) e solete svolgere il vostro pensiero e la vostra azione sulla base classista. Ma tenete conto di quante volte ci avete detto che la classe operaia deve marciare accanto agli altri ceti? E di quante volte ci avete detto che l’isolamento della classe operaia è stato un errore, e ne avete fatto un esame critico? Ma voi credete veramente che tutte le responsabilità per l’isolamento della classe operaia siano della Democrazia cristiana o dei repubblicani? Quante non ve ne sono dei vostri capi! La maniera di condurre la lotta politica lega anche la responsabilità dei vostri capi. Se ad un certo punto si crea una situazione per cui la classe operaia è isolata, è giusto che si dia la responsabilità a coloro che hanno diretto e condotto l’azione.

Notando come oggi l’onorevole Nenni polemizza con l’onorevole Saragat, io dico che le condizioni dell’unità del Partito socialista bisognava esaminarle prima. Le condizioni e le possibilità per tutelare l’unità del Partito socialista dovevano essere viste prima, perché alcuni fatti si creano, alcune scissioni si producono per la cattiva direzione politica di coloro che hanno avuto la responsabilità del partito prima della scissione, e non dopo.

TOGLIATTI. Il Partito socialista è rimasto intatto!

LA MALFA. Se noi ci consideriamo solidali nella difesa democratica, non ci sono errori dell’onorevole De Gasperi che non siano i vostri errori. Abbiate il senso di questa solidarietà. Udendo dire dall’onorevole Cevolotto, che conosco come un vecchio democratico del lavoro (oggi sarei più conservatore dell’onorevole Cevolotto!), che noi abbiamo scavato un solco incolmabile fra il fronte di sinistra ed il fronte di destra, mi sono chiesto quale possa essere l’avvenire di questo nostro Paese. Mi risponda l’onorevole Cevolotto, che fa dei discorsi parlamentari, mi risponda su questo quesito fondamentale della nostra vita democratica: quali sarebbero i rapporti fra destra e sinistra in uno schieramento di rottura, e non faccia combinazioni parlamentari che non riguardano nessuno. Questo è il problema. Quando abbiamo costituito i due fronti contrapposti, che abbiamo fatto? Io ho posto questo problema: il fronte contrapposto porta alla lotta decisiva e finale. Avete il coraggio di condurre questa lotta? Conducetela fino in fondo, ma in questa lotta voi incontrerete un altro ideale di vita; perché non potete pensare che il pensiero repubblicano sia come una appendice del vostro ideale di vita. Siamo un piccolo partito, ma un partito di democrazia, e vogliamo difendere il nostro ideale, fino in fondo.

TOGLIATTI. Sta argomentando contro De Gasperi, non contro di me.

LA MALFA. Le condizioni in cui oggi noi partecipiamo alla responsabilità del Governo sono difficili. Volete che neghiamo queste difficoltà?

Una voce. No!

LA MALFA. Ma le condizioni in cui oggi partecipiamo alla vita democratica sono state rese difficili anche da voi. (Indicando l’estrema sinistra). Noi, come piccola forza, paghiamo anche i vostri errori; paghiamo soprattutto i vostri errori. (Interruzioni all’estrema sinistra).

Una voce all’estrema sinistra. Presentateci il conto!

LA MALFA. Il compito è difficile. Io spero che questo piccolo apporto rappresentativo significhi un arresto nella marcia antidemocratica del popolo italiano: un arresto che da due anni a questa parte non si è mai avuto, sia che al Governo fosse l’onorevole Togliatti, sia che vi fosse l’onorevole Nenni. Spero che ora si raggiunga lo scopo. Possiamo fallire, onorevole Togliatti. Però quando noi dichiariamo che con la Democrazia cristiana avremo molte difficoltà, aggiungiamo che la vita politica è fatta così.

Con la Democrazia cristiana noi abbiamo fatto uno sforzo per riannodare i fili dell’unità democratica. Questa non è una frase; se il nostro passato fra di voi conta come il vostro tra di noi, allora diciamo che non è una frase.

Ed io finisco. Le nostre bandiere, in un momento così difficile della nostra vita nazionale, forse non possono sventolare come quando la democrazia ha vinto la sua battaglia: ma le nostre bandiere «non sono nel fango». (Vivi applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Cappi, Froggio e Uberti hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Governo, le approva e passa all’ordine del giorno».

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Onorevoli colleghi, farò solo poche osservazioni riguardanti il dibattito che si è concluso in questo momento.

La prima riguarda la cosiddetta questione di prassi costituzionale, sollevata dall’onorevole Togliatti, il quale mi pare sia rimasto solo a sostenere la sua tesi.

È chiaro che il regime parlamentare ha una certa elasticità, ma è costituito da due elementi essenziali:

1°) il Presidente del Consiglio e, su sua proposta, i Ministri, sono nominati dal Capo dello Stato;

2°) il Governo deve avere la fiducia del Parlamento ed è obbligato a dimettersi se è investito da un voto di sfiducia.

Questi due principî fondamentali della prassi costituzionale sono stati da me fedelmente seguiti.

Questo ho fatto in tutte le crisi, né mi si può affibbiare il titolo di Cancelliere, quando si ricordi che il Cancelliere era responsabile soltanto di fronte al Capo dello Stato e non anche di fronte al Parlamento.

Nella prassi costituzionale esiste anche la figura del rimpasto che si è sempre avuto dalla morte di Cavour fino ai nostri giorni. Ed ho accennato già a due rimpasti verificatisi nell’altro dopo guerra, nel 1919 e nel 1920, dei quali abbiamo qui in Assemblea gli autorevoli protagonisti, che possono suffragare il mio asserto con la loro testimonianza personale.

Nel 1919, il primo marzo, l’onorevole Orlando, allora presidente del Consiglio, si presenta alla Camera e annunzia una serie di cambiamenti nel Ministero, cambiamenti molto importanti, così giustificandoli:

«Io debbo qui limitarmi ad una dichiarazione di carattere generale e, cioè, che non parve fosse il caso di trasformare le due crisi parziali (si riferiva alle dimissioni di due Ministri) in una crisi generale di Gabinetto e ciò in considerazione e dei motivi stessi dei dissensi e del fatto che essi si erano verificati all’infuori del Parlamento. Aggiungerò poi che nello stesso senso mi induceva la situazione internazionale, sulla quale avrebbe esercitato una influenza assai dannosa quella interruzione di attività e quella incertezza di indirizzo, siano pure transitorie, che dall’evento di una crisi generale son sempre inseparabili».

Fra i Ministri uscenti da quel Ministero era l’onorevole Nitti.

Il 22 marzo 1920 toccava, invece, allo stesso onorevole Nitti di fare il rimpasto. Anche qui un cambiamento di molti Ministri, mi pare sei, e conseguente immissione nel Governo di personaggi con carattere ben specifico.

E l’onorevole Nitti, ritornando da Londra, faceva la seguente dichiarazione:

«Fin da qualche mese fa alcuni membri del Gabinetto, che io ho l’onore di presiedere, avevano messo i loro portafogli a disposizione del Presidente per motivi prevalentemente personali. Io li avevo pregati di desistere dal loro proposito, per non mutare nulla prima della riunione della Conferenza di Londra.

Ma, al ritorno dalla Conferenza, la ricomposizione del Gabinetto divenne una necessità, e, avendo i colleghi rinnovato il loro unanime proposito di cooperare alla soluzione delle difficoltà, mettendo tutti i portafogli a disposizione del Presidente, il Ministero è stato modificato in vista delle nuove esigenze».

Io quindi ho seguito una prassi costante del Parlamento italiano, prassi che del resto avevo seguito anche nella crisi antecedente, perché mi pare si voglia dimenticare che io sono venuto ad annunciare la presentazione delle dimissioni dinanzi al Parlamento italiano. Questo, per la questione costituzionale.

Riguardo alla discussione che si è fatta su questo Ministero, se sia un Ministero nuovo o un Ministero vecchio, io direi che qui non si tratta di una questiono formale, Ministero nuovo o vecchio. Come si svolgerà l’azione sua, come sarà possibile che si svolga, quale sarà il carattere che gli avvenimenti imporranno o le persone imporranno ai problemi che man mano si presentano?

Vi è un fatto nuovo, innegabilmente, ed è questo: l’impegno democratico da parte delle sinistre col centro democratico cristiano ed i liberali, allo scopo:

1°) all’interno, di preordinare e garantire elezioni libere, allo scopo di consolidare la Repubblica e realizzare il suo ordinamento democratico;

2°) nella vita internazionale, di collaborare al piano di ricostruzione economica europea, dovuto all’iniziativa di Marshall sulla linea iniziale stabilita a Parigi e continuata nelle trattative di Washington e, beninteso, nell’assoluta autonomia ed indipendenza del Paese.

Qui, a proposito di questo «piano Marshall», intorno a cui si fa un gran discutere, quasi si trattasse, come ho accennato altrove, di sedute misteriose, debbo dire che non v’è nulla di misterioso: la Conferenza di Parigi ha stampato i suoi verbali; l’onorevole Campilli è tornato ora dall’America ed avrà occasione prossimamente, credo il giorno 29, in una seduta della Commissione di trattati, di riferire sul lavoro compiuto. Comunque, noi siamo ancora allo stadio della preparazione tecnica di questo piano, cioè dell’esposizione del nostro fabbisogno, dei rapporti fra questo fabbisogno ed il fabbisogno di altri Paesi, delle relazioni che possono essere costituite per venire incontro a questo fabbisogno e delle esigenze che l’Europa unita presenta alla America, per poter procedere alla ricostruzione. Nulla di misterioso: l’Assemblea stessa avrà modo, attraverso una sua Commissione, di conoscerne anche i dettagli.

Nessun impegno per parte nostra, che possa riguardare l’indipendenza del Paese. L’impegno democratico, al quale ho prima accennato, garantito dalla partecipazione al Governo, è nuovo, ma il consenso su queste direttive si era rivelato già prima. Ricordate il voto dell’Assemblea in occasione della Conferenza di Parigi, quando il P.S.L.I. ed il P.R.I. avevano sostenuto con noi che la collaborazione al «piano Marshall» era non soltanto una necessità economica dell’Italia, ma anche un mezzo per ricollocare l’Italia in una posizione di autonoma azione e di indipendenza politica. Mi si è fatto il rimprovero che, nelle conversazioni avute prima del rimpasto, non mi sono rivolto anche ai grandi partiti, come Togliatti chiama il partito dell’estrema sinistra. Ma, ditemi, potevo davvero iniziare delle discussioni con speranza di qualche successo rivolgendomi ai comunisti, dopo la campagna che essi avevano fatto contro il «piano Marshall» ed in genere contro il Governo che presiedevo e che si trattava eventualmente di integrare?

Voi ricordate che nel manifesto della direzione del Partito comunista, il Governo che presiedevo veniva detto «Governo dello straniero», «Governo della miseria», «Governo della reazione e della guerra» ed il «piano Marshall» era definito un piano di guerra dell’imperialismo americano. Tutto questo non seguendo una tesi nata e adattata per l’Italia, ma seguendo una tesi di maggiore portata che veniva dall’ispirazione del Cominform, cioè rappresentava una direttiva generale che valeva tanto per la Francia che per l’Italia.

In questa situazione, quale significato avrebbe avuto sia pure uno scambio di idee quando ormai così profonda era la diversità di concezione su questo problema, e direi così profondo anche l’impegno preso da parte del Partito comunista?

TOGLIATTI. Tutto questo è volgare!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non so se possa essere un argomento volgare, onorevole Togliatti, ma io ho ancora la debolezza di credere alla vostra stampa, a quello che voi vi inducete di stampare dopo meditate discussioni. E quando avete pubblicato questo manifesto (Mostra all’Assemblea un manifesto), che era in relazione alle decisioni prese a Bijalistock, voi scrivevate del nostro Governo: «Questo Governo, ribadendo sempre più il suo asservimento all’imperialismo americano, ha riportato la nostra economia sull’orlo della catastrofe». Poi si parla di accettazione senza riserve, da parte del Governo, del «piano Marshall» che subordina tutta l’economia italiana all’economia americana, si parla di dipendenza politica ed economica, si parla di pericolo di trasformare il nostro territorio in territorio di guerra, di politica vaticana, reazionaria ecc. ecc. si parla ancora di un completo asservimento ai gruppi capitalistici interni, e di completo asservimento alla politica americana. (Interruzioni all’estrema sinistra).

Ora, dopo la pubblicazione di questo manifesto, non credo si potesse pretendere che avessi l’ingenuità di rivolgermi poi ai comunisti: «ditemi il vostro parere», e già lo conosco, oppure «ditemi se eventualmente sareste disposti a collaborare con un governo di integrazione democratica».

L’onorevole Togliatti si riferisce sempre ad una certa parola d’ordine, che sarebbe stata lanciata nel Congresso di Napoli, di mettere fuori logge i comunisti. Ora, è vero che ad un certo punto, durante il mio discorso, qualcuno ha gridato: «Fuori legge i comunisti!». Era gente, come mi è stato detto, che era stata vittima di gravi violenze nel proprio paese. (Commenti all’estrema sinistra). Ma è falso che il Congresso, o chicchessia autorevolmente per esso, abbia lanciato questa frase: «Mettete fuori legge i comunisti!». Viceversa, il contrario è vero. L’ho detto chiaramente nel mio discorso, e vi rileggo queste parole: «Contro di voi, dico a questi avversari, ma anche per voi la Democrazia cristiana vuole costituire un centro irresistibile contro le seduzioni della violenza ed il pericolo della tirannia, sia che essa rappresenti un ritorno dell’antico, o che si affacci in veste nuova. Dico anche per voi, per voi cioè avversari, perché noi, persistendo in questa battaglia, non ci battiamo per l’interesse e per il trionfo di una parte, ma per la libertà di tutti. Agite democraticamente nell’Assemblea e nella preparazione elettorale; lasciate le libertà agli altri e nessuno potrà diminuire le vostre». (Vivi applausi al centro e a destra).

Queste dichiarazioni sono così precise che non hanno bisogno di commenti.

La legge uguale per tutti, non fuori legge; la legge uguale per tutti, per noi ed anche per i comunisti. (Commenti all’estrema sinistra).

Noi non difendiamo privilegi, difendiamo la libertà democratica e la difendiamo in primo luogo con larga comprensione sociale, proteggendo le classi più bisognose, intervenendo a conciliare conflitti di categoria…

PAJETTA GIANCARLO. Bastonando! (Commenti all’estrema sinistra – Proteste al centro).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. …come nessun altro Governo ha fatto (Applausi al centro e a destra), combattendo gli abusi del capitale, proteggendo e soccorrendo le industrie per salvare il pane agli operai. Questa attività ha rappresentato il 95 per cento dell’opera del Governo passato e rappresenterà il 95 o il 99 per cento dell’opera del presente Governo. V’è però ancora un uno per cento di necessità assoluta, cioè dedicato all’ordine pubblico…

NEGRO. Ma lei racconta barzellette! (Rumori – Proteste al centro – Scambio di apostrofi fra il centro e l’estrema sinistra – Interruzione del deputato Pajetta Giancarlo).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. …perché noi non possiamo mancare al nostro dovere, al nostro assoluto dovere di Governo democratico, di rintuzzare, quando occorra, anche la violenza e di impedire che facinorosi si impadroniscano dei gangli essenziali dello Stato. (Applausi al centro e a sinistra).

Nessuno è posto o sarà posto fuori legge; ma tutti, in modo uguale, dovranno inchinarsi alla legge, espressione della volontà popolare! (Vivi applausi al centro, a sinistra e a destra – Interruzioni all’estrema sinistra).

L’onorevole Lussu ha parlato, quasi come scusante, che bisogna permettere un certo dinamismo alle masse o ai partiti di massa. Senza dubbio. Ma quando si arriva all’occupazione di municipi o di prefetture, quando si creano e si costruiscono blocchi stradali e si fanno operazioni di sabotaggio (Interruzioni), si fanno ricomparire sulle nostre vie le croci uncinate, i chiodi, come li chiamate voi, che siete più pratici di me… (Proteste all’estrema sinistra) allora noi pensiamo che qualunque sia la diversità dell’indirizzo e la differenza della meta e dell’ideologia, pensiamo e siamo portati a pensare a quei tempi quando, con simili operazioni, si preparavano gli eventi del 1922; siamo portati a pensare che, poiché siamo stati ingenui una volta, la seconda non lo vogliamo essere assolutamente! (Vivi applausi a sinistra, al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra).

Questa cautela e questa azione la svolgiamo su tutti i fronti, come dimostrano gli arresti avvenuti anche ultimamente e sappiamo benissimo che una delle ragioni per cui dobbiamo combattere la violenza di sinistra è perché questa crea fatalmente la violenza di destra, che può riuscire fatale per tutti!

Una voce all’estrema sinistra. Perché non ha sciolto il Movimento sociale italiano? (Proteste all’estrema destra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. In fondo, non chiediamo ai comunisti niente altro di quello che chiediamo ad ogni partito, ad ogni gruppo, cioè che si scelga fra il metodo della violenza in preparazione di un atto rivoluzionario, e quello che è il metodo della democrazia, il metodo dell’applicazione della legge.

L’onorevole Togliatti, nell’ultima parte del suo discorso, dichiara di scegliere il metodo democratico: lo dichiara però di scegliere non come linea assoluta e moralmente obbligata per la sua direttiva; lo sceglie ma aggiunge: «Questo metodo certamente prevedeva uno sviluppo lento, più lento di quello che non potesse essere legato ad una prospettiva, diciamo, rivoluzionaria immediata e più lento per quella graduazione che impone la soluzione dei problemi di collaborazione e lo studio stesso delle soluzioni attraverso il contatto fra tutte le forze democratiche».

Noi siamo molto lieti che egli scelga e proponga in questo momento per l’Italia il metodo democratico…

TOGLIATTI. Non «in questo momento»!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. …ma saremmo più tranquilli se egli ci dicesse che per sempre, definitivamente, ha scelto questo metodo. (Commenti all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Pajetta Giuliano).

Poi senta, onorevole Pajetta: non bisogna che lei esageri troppo con le interruzioni per darsi importanza. (Applausi al centro – Ilarità). Permetta, egregio collega: lei ha tutti i diritti parlamentari, come ciascuno di noi; non bisogna però esagerare.

Quando avviene un deplorevole incidente, in contrasto con la polizia – incidente che il Governo ha il dovere di deplorare, comminando le sanzioni del caso…

Una voce all’estrema sinistra. Non lo ha fatto.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. …voi non dovete esagerare scrivendo sui vostri giornali: «Il deputato Pajetta è stato bastonato a sangue dalla polizia di Scelba. (Rumori prolungati al centro). Ciò dimostra come Scelba e il suo Governo, oltre a non rispettare più la vita dei lavoratori in sciopero, calpestano l’immunità parlamentare e l’incolumità dei rappresentanti del popolo. Ogni onesto italiano condanni con forza questi atti brutali e condanni decisamente i metodi reazionari, antipopolari del governo nero. Echeggi la voce ferma e possente del popolo. Abbasso il governo nemico del popolo, della libertà e della democrazia!». (Applausi all’estrema sinistra – Rumori al centro).

Ma, anche ammettendo il massimo dinamismo nei partiti di massa, questa prova non si può non annoverare nella categoria delle esagerazioni! (Si ride).

Ed ora torniamo al Governo. Io ritengo che la caratteristica essenziale del Governo, di questo Governo – come del precedente, come di qualunque altro Governo che dovesse venire – è la caratteristica della emergenza – parola che ormai è entrata nella nostra lingua e che ha già un significato che facilmente si comprende – cioè un Governo che è obbligato a muoversi su un binario che è imposto dalle circostanze e soprattutto da forze che sono superiori alle possibilità di un Governo e di qualsiasi corpo politico.

La prima è la necessità di assicurare il pane al popolo, ai lavoratori. E voi dimenticate un pochino… L’onorevole Nenni passa sopra con una certa facilità, quando dice: il metodo è sbagliato – e Togliatti lo ha ripetuto ieri nel suo discorso – quello di chiedere dollari e di fare debiti, per poi doverli pagare quando non vi sono denari; si deve invece fare lo scambio delle merci: questo è un metodo sano.

Ma chi vi ha detto che noi chiediamo dollari? Noi abbiamo gratuitamente il grano e il carbone attraverso l’organizzazione americana dell’A.U.S.A., li abbiamo gratis, e noi – noi, Stato italiano – li rivendiamo in Italia contro pagamento in lire. E queste lire sapete dove vanno a finire? In un certo deposito presso la Banca d’Italia, dal quale deposito si traggono i denari per l’assistenza sociale, per l’assistenza ai tubercolotici, in genere per provvidenze sociali che vanno a beneficio delle classi bisognose, soprattutto dei lavoratori.

Abbiamo, quindi, un doppio vantaggio: di avere il pane, che altrimenti mancherebbe, e poi col ricavato (badate che il ricavato è molto meno della spesa che sarebbe di carattere economico, perché sapete che perdiamo cento miliardi circa sul prezzo del pane) questo ricavato va tutto a beneficio dell’assistenza sociale. Questo meccanismo non è poi così complicato; ma pare che il pubblico non lo comprenda. E non si creda che abbiamo mai chiesto dollari a prestito. I 120 milioni di dollari che sono serviti per il pane e che arrivano in forma di pane o di carbone attraverso le navi dell’A.U.S.A., sono dollari messi a nostra disposizione gratuitamente. (Interruzioni all’estrema sinistra).

E voi avete il dovere di spiegarlo chiaramente anche agli operai, se è vero che sono gli operai che vi spingono a degli scioperi inconsulti. Avete la responsabilità di spiegarlo e di dire, per esempio, che se una nave a Civitavecchia non è scaricata a tempo, manca il grano alla città di Roma, come poteva avvenire giorni or sono, in occasione dello sciopero generale, quando abbiamo dovuto affrettarci a raccogliere i rimasugli nei dintorni della città, per evitare, nel caso che quella nave non fosse stata scaricata, di far mancare il grano a Roma. Ora, queste cose dovete dirle. (Interruzioni all’estrema sinistra – Proteste al centro).

Se si crede di poterne fare a meno, allora ci si assuma la responsabilità delle conseguenze; ma se si crede che sia necessario, si riconosca al Governo anche il dovere di fare ogni sforzo perché questi scioperi non avvengano, specialmente quando toccano i gangli essenziali dell’alimentazione.

Così sta la questione che riguarda…

Una voce all’estrema sinistra. Confindustria.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Onorevole interruttore, probabilmente la maggioranza degli industriali avrà da vivere anche se il carbone non arriva giornalmente o mensilmente; ma gli operai, no, non possono avere da sfamarsi se le industrie non hanno il carbone per poter continuare il loro lavoro. (Applausi al centro).

La verità è questa, e bisogna proclamarla chiaramente – e non v’è nessun atto servile in questo: se gli Stati Uniti non ci avessero dato in questo periodo i denari necessari, ed il relativo controvalore in merci per la nostra alimentazione e per le nostre industrie, nessun Governo in Italia avrebbe potuto rimanere in piedi dinanzi alla reazione naturale degli affamati e dei disoccupati. (Applausi al centro).

E ora passo più avanti. Bisogna che le cose siano dette nel modo più semplice possibile, ma anche nel modo più responsabile.

Aggiungo che, passato questo periodo dell’A.U.S.A. che verrà prolungato da quei crediti, da quei contributi che sono stati votati adesso dal Congresso americano – si chiamano i prefinanziamenti – passato questo periodo, che durerà fino a marzo od aprile, dovrebbe venire il momento del «piano Marshall». E allora? Si tratterà di vedere in qual modo gli Stati europei si potranno aiutare fra loro per utilizzare in modo congruo, e in modo che ne approfittino tutti, il prestito americano che ci viene concesso nella misura complessiva di 17 miliardi.

In quel momento voi avrete la possibilità di criticare gli eventuali impegni di carattere economico che possano assumersi da questo o da altro Governo; ma finora non siamo in questa situazione.

A me appare ben chiaro – ed è stato accennato anche dall’onorevole Sforza – che il fatto che l’America cerchi di mettere in piedi l’Europa come forza autonoma, indica evidentemente non una tendenza all’asservimento, ma alla ricostruzione.

Pensate, noi siamo oggi tributari dell’America per il carbone, perché non possiamo servirci in Germania come per il passato, e non possiamo servirci in Inghilterra per le ragioni ovvie che sapete. Ma se il «piano Marshall» riuscisse a farci tornare alla possibilità di acquistare il carbone in Europa, noi saremmo indipendenti dall’America, e saremmo tornati alle condizioni naturali del nostro mercato europeo. Non mi pare sia questa una tendenza di asservimento all’America,

Devo rispondere ad un’altra domanda, posta dall’onorevole Lussu, domanda alla quale egli ha già dato una risposta per conto suo. È vero che l’America abbia imposto l’esclusione dei comunisti dal Governo?

No! L’ho detto molte volte e lo ripeto ancora. Nessuna dichiarazione verbale o scritta esiste in tal senso. Se esistesse, se fosse esistita, essa non sarebbe stata accettata. Mi sono schermito fin dal viaggio in America, non dagli uomini di Stato americani che non mi hanno mai fatto una simile proposta, ma dai giornalisti che cercavano di insinuare l’esistenza di contrasti nel seno del nostro Gabinetto, di cui allora facevano parte i comunisti. Mi sono sempre schermito. Ma è verissimo che l’opinione pubblica americana è estremamente sensibile alle accuse che si sono fatte anche in Italia in occasione del «piano Marshall». Noi abbiamo faticato per convincere deputati e senatori che sono passati per l’Italia che la grande maggioranza del popolo italiano non condivide quegli apprezzamenti. E l’onorevole Togliatti ne sa qualche cosa ricordando gli effetti del suo famoso articolo contro Sumner Welles.

TOGLIATTI. Dovevo lasciarmi insultare?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non entro nel merito, onorevole Togliatti.

Ora, in modo esasperante ed esasperato ieri l’onorevole Togliatti ha parlato della vergogna che si possa porre simile questione e della necessità assoluta di difendere la nostra indipendenza.

È vero, abbiamo questo problema, dobbiamo guardarlo in faccia, dobbiamo essere d’accordo tutti su questo. L’indipendenza di un Paese è sacra; l’indipendenza di un Paese corrisponde alla sua dignità.

Però mi domando: coloro che in questo momento sono così gelosi di tale indipendenza sono sempre stati tali?

TOGLIATTI. Sì. (Rumori al centro).

SCOCCIMARRO. Non avete diritto di fare insinuazioni. Dobbiamo chiederlo a voi.

Una voce all’estrema sinistra. Avete bisogno di un padrone!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ho fatto la domanda e adesso rispondo dando ragione anche del quesito postomi.

Durante l’ultima crisi il Partito comunista si è richiamato alle decisioni tripartite di Mosca dell’autunno del 1943 per chiedere che avessero vigore anche allora (maggio 1947). Si trattava di dichiarazioni dell’ottobre 1943 quando gli Alleati in confronto del Governo Badoglio avevano chiesto l’inclusione di rappresentanti di quei settori del popolo italiano che si erano sempre opposti al fascismo. E questo riguardava anche, e credo anche particolarmente, i comunisti. Questa dichiarazione evidentemente fatta ad hoc per il periodo di guerra e durante la occupazione (il che si comprende benissimo trattandosi di guerra guerreggiata nel nostro suolo) doveva essere secondo il partito comunista impegnativa anche per il maggio 1947 quando noi avevamo già ricostituito la normalità costituzionale, avevamo avuto il plebiscito del 2 giugno, avevamo creato i Governi nazionali completamente indipendenti e quando era già completamente scomparsa la Commissione di controllo e quindi non eravamo più Paese occupato. Questo è stato chiesto ufficialmente. Posso leggere la lettera, onorevole Togliatti.

Il che vuol dire che voi in quel momento non avevate molti scrupoli nel chiedere che anche i comunisti dovevano entrare nel Governo come partito eminentemente antifascista, in base ad una dichiarazione straniera, per quanto alleata, del 1944. (Applausi al centro – Commenti all’estrema sinistra).

MAZZA. Voce dal sen fuggita!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. È verissimo. Se volete posso leggere la lettera.

NEGARVILLE. È a corto di argomenti.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ora, altre osservazioni mi sono state fatte durante il dibattito. Mi si è accusato di avere dichiarato che entrava al Governo una rappresentanza della democrazia socialista. Ora, io voglio spiegare: non intendevo con ciò di dire qualche cosa di esclusivo, di specifico per un dato partito; intendevo dire che entravano al Governo dei socialisti i quali si inquadravano nel principio generale del regime e del metodo democratico. Io spero che ve ne siano molti di più di quelli rappresentati dall’attuale mio Vicepresidente e da altri colleghi. Lo spero, lo desidero vivamente, ma credo di potere onestamente affermare che coloro che fanno parte attualmente del Governo sono dei socialisti democratici; accettano il metodo democratico senza riserve, tendono cioè a far valere i propri postulati socialisti entro il regime democratico parlamentare senza farsi complici di moti insurrezionali e considerano la Repubblica italiana come la casa di tutto il popolo italiano, che i lavoratori hanno interesse e dovere di difendere, e sono consapevoli che anche nella politica internazionale la libertà politica è la premessa necessaria della giustizia sociale. (Applausi al centro e a sinistra).

Non è del resto una novità: è una tendenza europea del socialismo. Non credo che si possa far passare per Santa Alleanza il socialismo di Bevin, Spaak, Ramadier. ecc., il socialismo in genere di tutta l’Europa occidentale, e credo che questi appartengano, almeno nella loro maggioranza, precisamente a questa democrazia socialista.

E vengo al discorso dell’onorevole Nenni il quale ha dato una nuova interpretazione della crisi del maggio. Voi ricordate l’interpretazione data dall’onorevole Nenni l’altra volta? Potrei leggervi i verbali. L’altra volta, l’interpretazione era questa: De Gasperi ha agito per istruzioni o sotto l’impulso o il suggerimento americano. Ha agito con questa visione di politica internazionale, di rapporti con l’America.

Questa era l’interpretazione allora della crisi. Vi ricordate come io ho risposto, richiamandomi cioè, ai fatti, ricordando che il Partito democratico cristiano aveva, in un ordine del giorno, lamentato l’atteggiamento infido di due alleati che stavano nel Governo tripartito ed avevo proclamato la fine del tripartito.

Questo è stato un elemento di politica interna che ha accelerato la crisi, ma io confesso che la crisi era nata in me per una fortissima preoccupazione di carattere economico. Vi ricordate bene che, quando ho presentato le dimissioni, ho su per giù affermato: «Per me, bisogna fare uno sforzo per allargare la base del Governo. Se io come persona posso essere un impedimento, scompaio; ho presentato le dimissioni al Capo dello Stato ed ho pregato il Capo dello Stato di rivolgersi ad altri». La crisi è durata un certo periodo, poi sono ritornati a me. Io ho tentato in quell’occasione di fare un Governo non più di coalizione, ma almeno di rappresentanza di tutti i gruppi. Non vi sono riuscito, e, senza dubbio, mi sono allora dipartito da quella premessa. E qui, a questo riguardo, è esatto (nel pensiero, non nel testo) quello che ho detto in uno o in più Consigli di Ministri, forse anche in quello del 30 aprile. A coloro che mi dicevano: ma che vuoi fare cambiamenti; allargamenti! Siamo i tre partiti più grandi, i tre partiti più numerosi dell’Assemblea e del Paese, abbiamo noi la rappresentanza responsabile della grande maggioranza del popolo italiano, perché vuoi fare allargamenti? Io ho risposto: esiste un quarto partito: è il partito dei risparmiatori, proprio dei piccoli risparmiatori (Si ride all’estrema sinistra) non in grado di controllare la situazione né politica né amministrativa, e sono oggi allarmati. Vedete come ritirano i depositi dalle banche? Come non portano più denaro, attraverso l’acquisto di titoli, allo Stato? Come v’è un allarme straordinario in borsa, come v’è un rialzo terribile nei cambi, come esiste l’imboscamento delle merci? E ho detto: bisogna fare qualche cosa per calmare questo quarto partito che appartiene a tutti gli strati sociali; ma soprattutto riguarda il ceto medio. Ed allora v’era proprio fra le mie previsioni una delle persone le quali potevano rappresentare il mezzo per calmare la preoccupazione: si trattava dell’onorevole Einaudi. Allora parlare dell’onorevole Einaudi era parlare della reazione, era parlare di una persona che ci avrebbe posti sotto il giogo dei grossi plutocrati e industriali. Oggi credo che, onestamente, nessuno in Italia possa pensare una cosa simile, quando si vede la collusione di interessi da parte di grossi industriali e, purtroppo, anche da parte di lavoratori che hanno bisogno di lavorare per vivere, collusione contro la politica di Einaudi, politica deflazionistica che è evidentemente contro la speculazione. (Applausi al centro).

Non è, onorevole Nenni, quel quarto partito, il partito degli speculatori, il partito dei grossi industriali plutocrati: è il partito del ceto medio che aveva bisogno di essere tranquillato al di là di quella che poteva essere la formula del tripartito. (Interruzioni all’estrema sinistra).

NENNI. La tranquillità della morte gli date!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non ho capito bene perché l’onorevole Nenni, che è molto ferace nei paragoni storici… (Ilarità) bisogna leggere l’Avanti! con molto interesse, perché quasi ogni giorno se ne trova uno anche di diverso autore. Ne ho trovato uno con cui mi si paragona a Coriolano…

NENNI. Ho detto che da allora in poi abbiamo visto troppe volte Coriolano.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Confesso, onorevole Nenni, che le ho attribuito un’osservazione che mi pareva molto adatta alla polemica. Gliela presto adesso. Coriolano? Coriolano, secondo la leggenda (le date non combinano), avendo ricevuto una grande quantità di grano dal tiranno di Siracusa per Roma, consigliò il Senato di distribuire il grano a condizione che la plebe rinunciasse ai tributi. Mi rincresce che l’onorevole Nenni non l’abbia ricordato, perché si attagliava evidentemente alla sua tesi. (Ilarità).

Ora, però, io dico che il Governo attuale, come il Governo di ieri, fa il contrario: cerca il grano e lo distribuisce a tutti; e cerca anche che il popolo possa vivere fino al giorno delle elezioni, per riavere i suoi deputati, anche se non sono i tribuni. (Applausi al centro).

Ora, bisogna bene che io affermi, dinanzi ad affermazioni in contrario, con tutta la responsabilità che può avere un uomo di Stato che ha attraversato questi tristi periodi: non v’è speranza per l’Italia se non si crea e non si applica un’azione, non di soccorso ma di ricostruzione in grande dopoché quell’azione di soccorso, che ora già si fa e si sviluppa, avrà finito la sua funzione. Non v’è speranza! E mettersi contro questo, è soffocare le possibilità del popolo italiano, è negare le possibilità del popolo italiano. Ed io vi dico che, se avessi mai da chiedere su una questione dirimente il voto del popolo italiano, direi: «Questa è la situazione; se voi volete mettervi contro, ditelo. Ma, badate, queste sono anche le conseguenze».

Quindi, assumo la responsabilità di dire: o riesce il «piano Marshall» o quel qualunque surrogato che ci metta nella possibilità di riprenderci industrialmente, o noi non salviamo le ragioni di esistenza, nei prossimi anni, del popolo italiano; e soprattutto, non salviamo la vita e l’esistenza del lavoro e dei lavoratori. (Applausi al centro – Interruzioni all’estrema sinistra).

Ringrazio l’onorevole Nitti per la cordialità con cui mi ha fatto i rimproveri di avere accresciuto questa volta il numero dei Ministri.

Accetto di buon animo questo ammonimento, come ho accettato i suoi consigli nel Governo precedente, riducendo più che possibile il numero dei ministri e anche dei sottosegretari.

Devo dire però, a proposito dei ministri, che ho imparato dai maggiori, fra cui l’onorevole Nitti stesso, a conoscere l’istituzione del ministro senza portafoglio. E ho cercato in qualche parte di imitarli. Devo aggiungere che, evidentemente, deve trattarsi di una particolare esigenza del dopoguerra, perché in tutti gli Stati si trovano situazioni simili.

Quanto ai sottosegretari, devo confessare che ho resistito molto, durante il mio quarto Ministero, alle sollecitazioni dei singoli ministri, i quali mi dimostravano che l’aumento delle attribuzioni e delle funzioni, amministrative e burocratiche era tale per cui non potevano fare a meno dei sottosegretari. I colleghi mi sono testimoni che ho ceduto solo nel caso del Ministero delle finanze. Ma devo confessare che vi sono ragioni oggettive che militano in favore delle sollecitazioni dei ministri.

Quanto alle osservazioni sulla tattica seguita dal punto di vista parlamentare, vi confesso che quando ho pensato alla necessità e alla opportunità di integrare il Ministero ho tenuto presenti soprattutto le condizioni del Paese e ho guardato più all’avvenire che al presente.

Non v’era necessità assoluta – ha detto bene anche l’onorevole Giannini – di cercare un’altra base di maggioranza parlamentare. Ma il problema non va posto solo sul piano parlamentare. Occorreva dare al Paese tutto la prova che non è vero che la Democrazia cristiana vuole assolutamente il monopolio della rappresentanza al Governo; e questa prova l’abbiamo data in tale misura che oggi ci siamo messi in minoranza, mentre prima eravamo in maggioranza nel Ministero, nonostante la base parlamentare della Democrazia cristiana sia sempre la stessa. Abbiamo voluto dimostrare, anche imponendo sacrifici a colleghi che non lo meritavano, che non è vero che c’è un cancelliere imposto dalla Democrazia cristiana e che la Democrazia cristiana vuole il monopolio del Governo. Ciò non era vero prima; è men vero oggi; è più chiaro anche oggi che non è vero.

Non è parimenti vero che il Governo non abbia comprensione verso le correnti di sinistra, chiamiamole così, che si occupano e si preoccupano della situazione del popolo e della forma di difesa della Repubblica. Questa comprensione l’avevamo ieri e l’abbiamo oggi; e siamo lieti che nuovi collaboratori vengano ad assumere con noi questa garanzia. Ma, soprattutto, una cosa volevamo che si dimostrasse in forma evidente, palmare: che c’è un patrimonio comune a tutti, a sinistra e a destra, a tutti i partiti, che occorre salvare, ed è la democrazia, è la libertà. (Vivissimi, prolungati applausi al centro, a sinistra e a destra – Si grida: Viva la libertà!).

Se la consultazione popolare sarà libera, si avrà una Repubblica libera. Se sarà fatta nel terrorismo o addirittura impedita, la Repubblica sarà perduta; sarà perduta la democrazia. (Applausi al centro, a sinistra e a destra).

Noi non ci dirigiamo contro questo o quel partito. Noi chiediamo la libertà per tutti e abbiamo il compito e la volontà fermissima di difenderla a qualunque costo. Però, quelli che valgono sono soprattutto i fatti. Lei, onorevole Togliatti, ha provato ieri a stuzzicare l’onorevole Giannini, perché sorgesse a fare un discorso sul tipo di altri suoi passati; non so se l’onorevole Giannini ne avesse voglia o no, ma i fatti lo hanno costretto a protestare, a protestare soprattutto contro le 47 sezioni del proprio partito devastate dalle violenze dei comunisti. (Applausi – Rumori all’estrema sinistra). E se mi domandate in questo momento perché io sia riuscito a formare un Ministero che senza dubbio conta differenze di opinioni e di ideali, anzi se le riserba, perché domani i socialisti avranno la libertà di sostenere davanti ai loro elettori il socialismo e di propugnare idee socialiste, come i liberali avranno lo stesso diritto e così pure i repubblicani (Commenti all’estrema sinistra), vi dirò: tutte le libertà debbono essere veramente attuate. C’è bisogno di una energia e di un impegno comune per salvare tutte le libertà. Queste si salvano se non c’è violenza e se veramente la tattica, alla quale ha accennato l’onorevole Togliatti, sarà quella che prevale nelle organizzazioni e nell’azione del Partito comunista; ché se le cose si svolgeranno diversamente il Governo farà il suo dovere; e la responsabilità sarà di coloro che, in un momento critico in cui con uno sforzo supremo cerchiamo di superare le difficoltà e con la massima comprensione veniamo incontro alle giuste esigenze delle masse lavoratrici e delle masse agricole, non ci danno la possibilità di salvare al popolo italiano la Repubblica (Commenti), una Repubblica democratica, aperta a tutti e pacificatrice. La Repubblica pacificatrice è Repubblica soprattutto indipendente e forte nella sua dignità democratica. (Vivissimi prolungati applausi –(Moltissime congratulazioni – Commenti prolungati all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Invito il Governo a pronunziarsi sull’ordine del giorno Cappi.

DE GASPERI. Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo lo accetta. (Commenti all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Si procederà, quindi, alla votazione sull’ordine del giorno Cappi.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Il Gruppo liberale non ha sentito la necessità di un intervento, diciamo così, largo, nella discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio. Nel Governo esso era già rappresentato dall’onorevole Einaudi, e anche se questa rappresentanza ha avuto sino alla nuova composizione del Ministero solo carattere tecnico, la funzione tecnica assegnata a questo nostro collega era, come è, di tale importanza politica che difficilmente noi avremmo potuto staccare la nostra responsabilità di Gruppo da quella del tecnico Einaudi entro il Ministero dell’onorevole De Gasperi.

Oggi il Ministero da monocolore diventa multicolore.

Una voce all’estrema sinistra. Che arcobaleno!

CORBINO. Ne abbiamo visti di più larghi di arcobaleni. (Si ride).

Vi è stato – dicevo – l’intervento di rappresentanti di partiti che hanno in questo momento accettato la responsabilità gravissima di dare al Paese il Governo che le condizioni politiche dell’Assemblea rendevano il più «possibile» per il compito specifico di fare le elezioni. E oggi, di conseguenza, si muta il carattere della nostra partecipazione al Governo, la quale da tecnico-politica diventa politico-tecnica. Ma le nostre responsabilità non sono accresciute né diminuite, anche se a fianco dell’onorevole Einaudi ci saranno uno, o due, o tre nuovi sottosegretari appartenenti al nostro Gruppo.

Non v’era, e non v’è, motivo alcuno di mutare la nostra posizione, sia rispetto ai problemi generali che il Ministero deve affrontare, sia rispetto al problema che più particolarmente ha formato oggetto di questa discussione parlamentare: il piano Marshall, nei confronti del quale la posizione del Partito liberale era, diciamo così, una posizione prestabilita per definizione, perché il piano Marshall non tende ad altro che a creare quelle condizioni economiche che consentano all’Europa di riprendere il ritmo della sua vita in un quadro di maggiore libertà economica.

L’onorevole Togliatti si duole che nessuno abbia capito cos’è il piano Marshall; io mi dolgo di questa sua doglianza, perché, fuori di qui, che cosa fosse, che cosa sia, che cosa potrà essere il piano Marshall per lo meno uno lo aveva capito subito, ed è stato Molotov, allorché dichiarò che non poteva aderire al piano Marshall. (Si ride – Approvazioni al centro – Commenti all’estrema sinistra). Evidentemente Molotov ne sapeva più di Marshall, se fino a questo momento molti dei negatori di quel piano affermano che neanche Marshall sappia dire esattamente in che cosa esso consista. Io non capirei per quale ragione il signor Molotov abbia dichiarato che il piano Marshall non è nelle sue grazie o nelle sue simpatie.

SCOCCIMARRO. Vada a vedere quello che avviene in Germania, onorevole Corbino! (Commenti).

CORBINO. Purtroppo – e non è certamente per colpa di una parte soltanto – il piano Marshall potrà avere un’attuazione solo parziale, perché rimarrà sul tappeto dei problemi economici europei la questione della Germania. Ma, ripeto, dal momento che questo punto ha formato oggetto centrale della discussione che sta per chiudersi con un voto, evidentemente sia lo svolgimento della discussione che l’argomento medesimo erano fatti apposta per indurci a non modificare la nostra linea di condotta.

Resta ancora un altro punto, sul quale mi permetto di richiamare l’attenzione dei colleghi dell’estrema sinistra. Ed è il punto al quale ha fatto allusione il Presidente del Consiglio alla fine delle sue dichiarazioni odierne: l’atmosfera nella quale dovremo fare le elezioni.

Siamo ormai, si può dire, verso gli ultimi giorni – potrei anche dire le ultime ore – della vita legale della Costituente, considerata come l’organo incaricato di dare la Costituzione al Paese. Per il fatto stesso delle nostre deliberazioni noi dobbiamo fare appello al Paese.

Non credo che possano esservi, dirò, delle illusioni sul punto che l’attuale situazione politico-ministeriale possa ancora essere costituzionalmente modificata. E allora, facciamo uno sforzo di buona volontà, prendiamola per quella che è, e tutti, noi e voi, presentiamoci in condizioni di parità al corpo elettorale dicendo: la Costituzione, buona o cattiva che sia, è stata fatta. Adesso voi elettori eleggete le Camere che dovranno dare alle parti più innovative di questa Carta costituzionale un aspetto concreto, un contenuto positivo, un avviamento, un inizio di realizzazione; cerchiamo di farlo, cerchiamo di combattere questa battaglia dominando le nostre passioni, controllando i nostri interessi, così come abbiamo combattuto negli anni della lotta clandestina e così come con voi, colleghi dell’estrema sinistra, abbiamo lealmente e amichevolmente combattuto per le elezioni della Costituente. Facciamo questo sforzo concorde e mettiamo da parte le offese e le reazioni.

Vorrei che tra i futuri contendenti di domani fosse sempre portata l’immagine della Patria dolorante, perché ciascuno senta, nel ricordo del passato e nelle speranze dell’avvenire, il senso del dovere nella situazione presente. (Vivi applausi al centro e a destra).

COVELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Votammo a favore del Governo De Gasperi nella sua quarta edizione, quando esso rappresentò un atto di coraggio del Partito democristiano e non parve generoso contrastarlo. Sebbene in molti, in troppi punti noi avessimo anche allora modo di dissentire dal partito e dal Governo di De Gasperi, non volemmo allora, non volemmo più tardi, associarci a coloro che negarono il loro voto di fiducia.

Considerammo, con tutta l’obiettività necessaria, i meriti acquisiti dalla Democrazia cristiana come forza equilibratrice nel più accentuato oscillare dei pesi politici della vita nazionale e superammo, non senza difficoltà, in noi, nel nostro Partito, nella massa dei monarchici che guardano la nostra azione qui in quest’Aula, il profondo disagio, il disagio sempre più pesante che colpisce l’opinione dei monarchici, ogniqualvolta essi debbano valutare l’azione dei democristiani, duplice e sleale, svolta nelle giornate del referendum.

Votammo tuttavia la fiducia; non negammo la nostra solidarietà a un gesto di fierezza e di consapevole coraggio. Non altrettanto possiamo dire oggi. L’immorale e arbitraria confisca dei beni di Casa Savoia, le antidemocratiche leggi eccezionali per la difesa della Repubblica (Commenti), all’approvazione dei quali provvedimenti hanno contribuito, in misura determinante, l’onorevole De Gasperi e il suo partito, hanno costituito la più eloquente risposta alla nostra generosa solidarietà. (Commenti).

Il rimpasto attuale, infine, è stata l’ultima delle sensazioni spiacevoli che abbiamo dovuto registrare per mettere a prova il nostro atteggiamento. Unirsi con partiti giustamente qualificati «di generali senza soldati» è, oltre a tutto, uno schiaffo alla logica, onorevole De Gasperi (Commenti).

Per taluno di questi generali o colonnelli che dir si voglia, noi avanziamo intanto, nell’interesse dell’opinione pubblica, le nostre maggiori e più decise riserve. Un Governo siffatto, onorevole De Gasperi, mentre non può garantire – vorremmo sbagliarci – la pace sociale al Paese, per gli italiani della parte nostra costituisce una manifestazione di netta ostilità.

Non sarà l’onorevole Pacciardi, con il suo complesso passato e con tutto il suo presente, a garantire a lei, onorevole Presidente, e al suo partito, quella pacificazione che il rimpasto respinge anziché accentuare. Non saranno gli onorevoli Saragat e Tremelloni a garantire alle masse operaie una politica socialista, del resto inconciliabile con quella liberale che va attuando l’onorevole Einaudi. E allora? Diremo allora che l’opportunità ha indirizzato il criterio dell’onorevole De Gasperi; e potremmo essere d’accordo; ma essa è nata da un calcolo sbagliato.

Il Presidente De Gasperi e la Democrazia cristiana hanno offeso più gente di quanta avrebbero voluto placare. Non ci occupiamo degli altri. Per quanto ci riguarda, diremo che per le azioni del Governo passato, per certa odiosità che vediamo nel Governo presente, l’opinione dei monarchici è stata calpestata, opinione che è ancora largamente diffusa e sentita e viva in larghissimi strati del Paese (Commenti), malgrado le patetiche dichiarazioni di quanti, in quest’Aula solamente, non ancora innanzi ai loro elettori, soltanto nell’intento di accomodarsi meglio nella diligenza, hanno amato confondere la volontà del popolo italiano con quella di Romita (Commenti). Noi respingiamo quest’offesa e, additandola all’opinione degli italiani, faremo il massimo che si può chiedere da noi in questo momento, per la stessa carità di Patria, cui facemmo cenno in altre occasioni: riprendiamo la nostra libertà di azione e ci asteniamo oggi dal voto. (Applausi a destra – Commenti a sinistra).

RODI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Il Gruppo parlamentare dell’Uomo Qualunque, confermando le dichiarazioni fatte ieri dall’onorevole Giannini, voterà a favore del Governo. (Commenti a sinistra).

Ciò non vuol dire, però, che noi diamo al Governo rimpastato la nostra incondizionata fiducia, perché dobbiamo fare ampie le nostre riserve sul suo operato, che dovrà essere rispondente alle reali esigenze attuali del popolo italiano.

Riferendomi a quanto ha detto oggi l’onorevole De Gasperi, ricordando le nostre sedi devastate, desidero ricordargli che l’Uomo Qualunque ha difeso, difende e difenderà la libertà degli italiani. E mi sono questa sera veramente stupito quando ho sentito le parole di un uomo come l’onorevole La Malfa, il quale, parlando dei cosiddetti frantumi del mio partito, si è rallegrato nel senso che egli temeva di veder avanzare questo nostro Fronte, e lo temeva non so perché, egli che, dichiarandosi amante della democrazia, avrebbe dovuto una volta tanto capire che noi marciavamo e marciamo proprio per difendere quella democrazia di cui egli falsamente si chiama interprete.

GIANNINI. Ma lui se ne intende di frantumi: è così frantumato!

RODI. Noi, onorevole La Malfa, abbiamo cominciato in Italia a difendere la libertà democratica e la difenderemo fino a quando ci rimarrà fiato nei polmoni, e non posso ammettere che chiunque si dichiari democratico mostri il suo piacere per certe frantumazioni di un partito che più di tutti si è opposto alla mania rivoluzionaria dei nostri più diretti avversari.

Noi compiamo questo sforzo per la libertà e la democrazia e chiediamo al Governo che sostenga questo nostro sforzo. Esso ha il dovere di farlo; fra l’altro, onorevole De Gasperi, vale la pena di sostenerlo perché ella deve riconoscere che noi abbiamo mostrato al popolo italiano il più fiero volto dell’Italia, della nostra Patria. (Applausi a destra).

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Sono chiuse le dichiarazioni di voto. Si passa dunque alla votazione sull’ordine del giorno Cappi, di cui do ancora una volta lettura:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni del Governo, le approva e passa all’ordine del giorno».

Gli onorevoli Uberti, Moro, Dominedò, Avanzini, Guidi Cingolani Angela, Bosco Lucarelli, Pignedoli, Medi, Monticelli, Castelli Avolio, Cingolani, Notarianni, Zerbi, Valenti, Bubbio, Campilli, Coccia, Borsellino, Recca, Numeroso, Salvatore, Aldisio, Vigo e Burato hanno chiesto la votazione per appello nominale.

Indico pertanto la votazione nominale sull’ordine del giorno Cappi.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Chiaramello. Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

MOLINELLI, Segretario, Fa la chiama.

Rispondono sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellavista – Belotti – Bencivenga – Bennani – Benvenuti – Bernabei – Bertola – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchini Laura – Bonfantini – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carratelli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese Guido – Cortese Pasquale – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Crispo.

Damiani – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Garlato – Gatta – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giannini – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guarienti – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – Lazzati – Lettieri – Lizier – Longhena – Lucifero.

Macrelli – Magrini – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marconi – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Momigliano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Murdaca – Murgia.

Nicotra Maria – Nitti – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pallastrelli – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Ponti – Preti – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Paolo – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sapienza – Saragat – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Segni – Sforza – Siles – Simonini – Spallicci – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Vilardi – Villabruna – Villani – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Rispondono no:

Allegato – Amadei.

Baldassari – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Bei Adele – Benedetti – Bemamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bruno – Bibolotti – Bitossi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bordon – Bosi – Bucci – Buffoni Francesco.

Carpano Maglioli – Cavallotti – Cerreti – Cianca – Corbi – Costa – Cremaschi Olindo.

D’Amico – De Michelis Paolo – Donati – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Gievanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Finocchiaro Aprile – Fioritto – Flecchia – Foa – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giolitti – Grazi Enrico – Grazia Verenin.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Laconi – Landi – Lombardi Carlo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Marchesi – Mariani Enrico – Massini – Massola – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Moranino – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nobili Tito Oro – Novella.

Pajetta Gian Carlo – Paolucci – Pertini Sandro – Pesenti – Pieri Gino – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Silipo – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello.

Varvaro – Veroni – Vigna – Vischioni.

Si astengono:

Binni – Bocconi – Bruni.

Calamandrei – Codignola – Covelli.

Fabbri.

Matteotti Matteo.

Patrissi – Penna Ottavia – Puoti.

Santi – Silone.

Zanardi.

Sono in congedo:

Abozzi – Arata.

Carmagnola – Cavallari.

Jacini.

Lombardi Riccardo.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevole Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti                               435

Votanti                                421

Astenuti                               14

Maggioranza           211

Hanno risposto      303

Hanno risposto no    118

(L’Assemblea approva – Applausi).

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i provvedimenti presi in occasione delle violenze verificatesi contro l’Amministrazione comunale di Ravanusa (Agrigento) e per tutelare i diritti e la libertà degli eletti dal popolo.

«Adonnino, Borsellino».

«Al Ministro dei trasporti, per sapere i motivi per i quali da due giorni alcuni treni della linea Mandela-Roma sono bloccati a monte di Tivoli.

«L’interrogante ritiene che la cosa sia dovuta alla resistenza ingiustificata opposta alle reiterate domande di centinaia di lavoratori costretti a venire giornalmente a Roma per il loro lavoro, i quali hanno chiesto, anche a mezzo dell’interrogante stesso, una modifica di orario e un miglioramento di servizio.

«Giordani».

«Ai Ministri di grazia e giustizia e dell’interno, per conoscere per quali motivi non sia stato dato alcun corso alle denuncie presentate dalla Sepral, dal comando delle guardie di finanza di Roma e dal signor D’Agostino, presidente della Sezione combattenti e segretario della Camera del lavoro di Montorio Romano, contro il sindaco di questo Comune, signor Francesco Fioravanti, per i reati di sottrazione al normale consumo di generi razionati, peculato, falso e altro; e per conoscere come mai, dopo la richiesta della Procura della Repubblica in Roma, non si sia ancora proceduto al proscioglimento delle garanzie amministrative del predetto sindaco, permettendo che egli rimanga ancora in carica con disagio ed indignazione della popolazione amministrata.

«Grazi».

«Al Ministro dell’interno, per chiedere quali provvedimenti abbia presi o intenda prendere in seguito ai gravi fatti svoltisi nella sera del 18 dicembre 1947 in Caltanissetta, in occasione della seduta del Consiglio comunale, che doveva procedere alla elezione della Giunta; per chiedere, ancora, se siano stati presi provvedimenti a carico dei provocatori dei sanguinosi fatti di Gela e di coloro che hanno tentato estorcere rilevanti somme agli agricoltori di quella città.

«Volpe, Aldisio, Medi».

«Al Ministro dell’interno, per chiedere quali provvedimenti abbia presi in seguito all’occupazione violenta del municipio di Ravanusa.

«Volpe, Aldisio».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere a queste interrogazioni.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo si riserva di far conoscere quando risponderà a queste interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritengano anormale ed inammissibile:

  1. a) che lavori di miglioramento fondiario per oltre 323 milioni, regolarmente concessi dallo Stato al Consorzio della grande bonificazione renana a titolo di opere di bonifica, non sono stati eseguiti, con una perdita di circa 130 mila giornate lavorative, nonostante il favorevole periodo estivo, la indilazionabilità dei lavori stessi e la disoccupazione nella zona;
  2. b) che la disciolta Deputazione della grande bonificazione renana – responsabile di quanto detto al punto precedente – in luogo della costituzione di un adeguato fondo scorta nella modestissima somma di lire 150 per ettaro rimborsabili a misura dei versamenti dello Stato (su terreni che, grazie al generoso contributo dello Stato, dànno un reddito netto per ettaro di decine di migliaia di lire), abbia proposto l’alienazione di capitali consorziali, che debbono essere considerati beni pubblici acquisiti col contributo dei cittadini, o la utilizzazione di beneficî di detti capitali per scopi statutariamente non consentiti;
  3. c) che da dodici anni i proprietari del comprensorio della grande bonificazione renana non corrispondono il tributo di manutenzione dovuto per legge;
  4. d) che la predetta Deputazione considerava che l’obiettivo cui indirizzare l’azione amministrativa doveva consistere nella smobilitazione dell’Ente stesso, rischiando di compromettere i risultati già ottenuti, i quali debbono invece essere consolidati con la bonifica della zona montana del comprensorio, da stendersi alle alte valli del Reno, del Setta e del Samoggia;
  5. e) che tale errato orientamento ha prodotto (oltre ad una crisi di cassa che ha costretto il Consorzio a sospendere per un certo periodo ogni attività lavorativa, tanto nelle opere di bonifica, quanto nella ricostruzione) un ritardo nella classifica in comprensorio di 150 mila ettari di territorio collinare e montano della provincia di Bologna, in condizioni tecnico-economiche fra le più deplorevoli, aggravate da danni di guerra fra i più rilevanti d’Italia, e che tale territorio non potrà per conseguenza integralmente usufruire delle recenti assegnazioni fatte dal Governo in materia di bonifica, malgrado l’intervento dei sindaci dei Comuni interessati;
  6. f) che si sia deciso lo scioglimento delle speciali attrezzature, organizzate finora dal Consorzio della grande bonificazione renana per l’assistenza tecnico-amministrativa ai proprietari delle zone di collina e di montagna per la ricostruzione, mediante uffici distaccati, che compilarono oltre 850 perizie per un importo di 250 milioni, relative al ripristino di immobili appartenenti per la quasi totalità a piccoli proprietari e a coltivatori diretti, i quali altrimenti, per la mancanza di tecnici in tali zone distrutte dalla guerra non avrebbero potuto usufruire dei beneficî concessi dalle leggi, né far funzionare i comitati tecnici comunali previsti dalla legge a favore dei senza tetto.

«Per sapere, inoltre, se, considerato quanto precede, non debbasi ritenere giustificato lo scioglimento, disposto per decreto ministeriale, della nominata Deputazione della grande bonificazione renana, eletta al massimo dal 10 per cento dei proprietari interessati.

«Per sapere, altresì, se, considerato quanto sopra detto, non debbasi riscontrare la causa fondamentale del mancato funzionamento della Deputazione della grande bonificazione renana nel modo della sua elezione, che esclude dal voto una elevata percentuale dei proprietari interessati, che stabilisce un voto plurimo (talvolta da uno a 90) in un Ente di diritto pubblico, che lavora con contributi dello Stato, i quali ammontano dal 75 al 100 per cento della spesa.

«E per sapere, infine, se non ritengono rispondente alle regole della democrazia, della giustizia sociale e di una sana amministrazione pubblica che alla direzione di un Ente che utilizza in così larga misura pubblici beni debbano partecipare in adeguata proporzione enti rappresentativi dei cittadini (quali i Comuni) ed associazioni dei lavoratori (quale la Confederterra), in modo che sia posto fine ad un ingiustificabile privilegio per cui il pubblico denaro viene amministrato da privati nel loro particolare interesse.

«Dozza, Colombi Arturo, Montagnana Rita, Grazia Verenin, Tega».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, sul decreto 10 agosto 1947, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 3 settembre, che bandisce concorsi a posti direttivi nelle scuole medie governative. Tale decreto all’articolo 11 determina:

«I professori di ruolo per essere ammessi ai concorsi indicati nei precedenti articoli devono avere almeno otto anni di servizio di ruolo come ordinari effettivamente prestato nelle scuole. È esclusa qualsiasi equipollenza con altri servizi comandati».

«Il provvedimento escluderebbe dall’ammissione al concorso molti che sono stati chiamati alle armi durante la guerra e l’interrogante chiede se non sarebbe giusto che si tenesse conto del servizio bellico compiuto, in aggiunta a quello effettivamente prestato nella scuola col grado di ordinario, che è riconosciuto utile a tutti gli effetti di legge. Solo con tale concessione si potrebbero, a parità di merito, valutare i titoli di partecipazione alla guerra o alla lotta di liberazione (articolo 12 del predetto decreto). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Spallicci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuna l’urgente emanazione di norme per le quali sia regolata ed agevolata la assegnazione dei posti agli insegnanti laureati fuori ruolo e non abilitati; il che potrebbe essere raggiunto coi seguenti provvedimenti:

  1. a) formazione di regolari graduatorie con rigorosa valutazione dei titoli;
  2. b) aumento del numero delle cattedre messe a concorso e che risulta inferiore a quello dei posti vacanti;
  3. c) esenzione dei candidati in via eccezionale dalla prova scritta;
  4. d) formazione di graduatoria ad esaurimento, includendovi tutti quegli insegnanti che nella prova orale abbiano riportato la sufficienza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e degli affari esteri, sul caso patito dall’operaio Isidoro Damonte di Diano Marina (Imperia) il quale lavorando, ora è qualche anno, in uno stabilimento di sapone a Marsiglia, colpito da infortunio, perdette completamente la vista.

«Fino a che risiedette in Francia gli fu corrisposta la rendita per infortunio; ma da quando il povero cieco, trovandosi naturalmente a disagio solo in paese straniero, si ridusse al suo paese nativo, non gli fu più corrisposto niente, ed egli ha dovuto e deve campare di carità.

«Su questo fatto uno degli interroganti ebbe a richiamare, con lettere e interrogazioni l’onorevole Ministro del lavoro, il quale con sua lettera 12 settembre 1947, n. 10864-BG 57, riconobbe che, in base alla vigente convenzione italo-francese in materia, la rendita per indennità di infortunio è dovuta anche quando il lavoratore si trasferisce e dimora in Italia; che la domanda del Damonte all’Istituto nazionale della previdenza è stata trasmessa con i dati e i documenti necessari; che nel caso del Damonte il detto Istituto fin dall’aprile 1946 ebbe a richiedere alla competente Cassa di assicurazione francese conferma della posizione assicurativa del Damonte e l’autorizzazione ad effettuare il pagamento della rendita in Italia ed ebbe a insistere inviando, a prova del diritto del Damonte, il certificato di rendita prodotto dal lavoratore stesso e rilasciato dall’Ente assicuratore francese.

«Concludeva l’onorevole Ministro assicurando che avrebbe sollecitato la pratica.

«Quasi quattro mesi son trascorsi dalla data di quella lettera, la pratica è inevasa e il povero cieco Damonte giace nella più squallida miseria.

«Tutto ciò premesso, gli interroganti chiedono che gli onorevoli Ministri del lavoro e degli affari esteri vogliano con atto di energia porre fine a questa situazione ed ottenere che sia rispettata ed eseguita la vigente convenzione italo-francese sopracitata. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Canepa, Pera».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano urgente la riforma dei contributi agricoli unificati, che gravano in misura insopportabile sull’agricoltura, senza raggiungere il fine di adeguata assistenza e previdenza a tutti i lavoratori dell’agricoltura. Tale riforma è invocata da ogni parte e ogni ulteriore indugio sarebbe altamente riprovevole.

«Canepa, Pera».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.50.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10 e alle 16:

  1. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
  2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 19 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXL.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 19 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei Deputati. (48).

Presidente

Scoccimarro, Presidente della Commissione

Martino Gaetano

Scelba, Ministro dell’interno

Morelli Renato

Gullo Rocco

Mattarella

Fuschini, Relatore per la maggioranza

Camangi

Candela

Piccioni

Nobile

Grilli, Relatore per la minoranza

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Sul risultato della votazione:

Presidente

Bellavista

Candela

Lami Starnuti

Scelba, Ministro dell’interno

Gullo Rocco

Covelli

Perrone Capano

Coccia

Nobile

Corbino

Scoccimarro, Presidente della Commissione

Sui lavori dell’Assemblea:

Taviani

Presidente

Minio

Gullo Rocco

Scoccimarro

De Michelis

Tumminelli

Tonello

Candela

Giannini

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

Ricordo che nella seduta antimeridiana di ieri si doveva stabilire se la precedenza nella votazione spettasse all’ordine del giorno dell’onorevole Martino Gaetano «L’Assemblea Costituente respinge il principio della lista unica nazionale» o a quello dell’onorevole Uberti «L’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale».

Chiedo alla Commissione di pronunziarsi in merito.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Ritengo opportuno chiarire i concetti in base ai quali ieri l’Assemblea era chiamata a votare a proposito del collegio unico nazionale.

Io desidero dire brevemente all’Assemblea come ha proceduto la Commissione su questo problema, perché pare a me che lo stesso sistema si può adottare in Assemblea e arrivare ad una decisione, senza creare quelle confusioni o quegli equivoci che portarono alla situazione determinatasi nella passata seduta.

La Commissione è partita dal principio che il sistema elettorale è il sistema proporzionale (io non riapro la discussione di principio, la ricordo solo perché siano chiare le cose che dirò poi) nel quale oltre alla valutazione personale del candidato, si attribuisce particolare valore al programma, alla corrente ideologica che il candidato rappresenta.

D’altra parte, le masse elettorali sono oggi talmente accresciute, a non consentire più un rapporto diretto fra candidato ed elettore come poteva avvenire in altri tempi: quando appaiono sulla scena politica decine e decine di milioni di elettori, e il sistema di elezioni dà particolare valore al programma che il candidato rappresenta, allora assumono particolare valore i partiti e la funzione dei partiti.

Partendo da queste considerazioni, la maggioranza della Commissione ha adottato il sistema proporzionale e, nell’applicazione pratica di questo sistema, ha riconosciuto ai partiti una particolare funzione. La Commissione, dopo aver affermato il principio generale del sistema proporzionale e del collegio unico nazionale, ha modificato la legge precedente, nel senso di ridurre il numero dei deputati che verrebbero eletti in lista nazionale dal numero di 80 (come fu per il 2 giugno), al numero di 39 o 40.

NASI. Cinquanta!

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Cinquanta! Comunque, c’è una riduzione rispetto al sistema adottato il 2 giugno. Questo è stato fatto per lasciare ai partiti la possibilità di designare un piccolo numero di deputati fra gli eletti, che il partito ritiene possano portare un utile contributo al lavoro dell’Assemblea, mentre, per particolari condizioni, possono non aver raggiunto il quoziente per essere eletti. Da ciò il sistema, che la maggioranza della Commissione ha approvato, di utilizzazione dei resti su scala nazionale e per essi del collegio unico nazionale e della lista nazionale. Per eliminare gli equivoci sorti nell’ultima seduta si può convenire che il voto sul concetto di collegio unico nazionale significa che tutti i resti delle circoscrizioni elettorali si sommano in un unico resto nazionale e su questa base si determina un quoziente nazionale unico. Rimane impregiudicato il problema della lista. Bisogna votare sul primo punto, perché vi sono altre proposte che ammettono la somma nazionale dei resti, ma considerano la determinazione del quoziente differenziato, circoscrizione per circoscrizione. Quando abbiamo votato su questo primo punto, bisogna poi fare una seconda votazione per decidere se il quoziente nazionale si applica ad una lista nazionale oppure lo si applica col sistema suggerito dall’onorevole Grilli, cioè circoscrizione per circoscrizione, ai candidati che si sono di più avvicinati al quoziente.

Ora, perché nella passata seduta è avvenuta della confusione? Perché alcuni colleghi concepivano il collegio unico nazionale come somma di resti, quoziente nazionale e lista nazionale; altri invece concepivano il collegio unico nazionale soltanto come resto nazionale e quoziente nazionale, lasciando impregiudicato il problema della lista. Ora, si può adottare l’una o l’altra concezione, ma si deve sapere con precisione il senso della formula che si vota.

Data la molteplicità di proposte sul modo di utilizzare i resti, a nome della Commissione io propongo che l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Martino venga interpretato nel senso che il collegio unico nazionale significa somma nazionale di tutti i resti circoscrizionali e determinazione di un quoziente nazionale unico, lasciando impregiudicato il problema della lista. Se questa interpretazione ha la maggioranza, passeremo a votare poi sul secondo problema. Perché è necessario fare questo? Perché vi sono proposte che ammettono, come ho già detto, la somma dei resti, ma non il quoziente nazionale unico per la utilizzazione dei resti. Ed allora, risolviamo prima questo problema, poi risolveremo quello della lista e così arriveremo alla conclusione.

Chiarito a questo modo il problema, a me pare che non vi dovrebbe essere più possibilità di confusione e potremmo rapidamente venire ai voti.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Mi pare che eravamo giunti a tal punto per cui dare ancora la parola significherebbe riaprire la discussione. In realtà, stamani si doveva passare, puramente e semplicemente alla votazione. È pacifico che la Commissione ed il Ministro possono sempre parlare, ma non è più il caso di riaprire adesso una discussione da parte dei deputati dell’Assemblea. Ad ogni modo do facoltà di parlare all’onorevole Martino Gaetano.

MARTINO GAETANO. Non ho l’intenzione di riaprire la discussione. Io sono presentatore dell’ordine del giorno al quale ha proposto testé il Relatore della Commissione di dare una determinata interpretazione. Bisogna che io accetti questo pensiero e questa interpretazione della Commissione perché si possa votare sul mio ordine del giorno nel senso proposto dall’onorevole Scoccimarro.

Ieri, che cosa è avvenuto? È avvenuto che io ho presentato un ordine del giorno così formulato: «L’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale». Intendevo con questo respingere il principio della lista nazionale per l’utilizzazione dei resti. Difatti, appena fui invitato da qualche collega a modificare in tal senso il mio ordine del giorno, io immediatamente aderii.

Il mio ordine del giorno avrebbe dovuto essere messo in votazione, senonché l’onorevole Uberti che aveva parlato contro di esso, dichiarò di far proprio il mio testo originario. L’Assemblea non ebbe modo di ascoltare gli argomenti con i quali l’onorevole Uberti avrebbe sostenuto l’ordine del giorno che pochi istanti prima aveva combattuto; ma era evidente che, in sostanza, si voleva contrapporre alla lista nazionale per l’utilizzazione dei resti, il collegio unico nazionale.

Ora io non posso condividere l’interpretazione che vorrebbe dare a questa espressione «collegio unico nazionale» l’onorevole Scoccimarro. Qui bisogna anzitutto intendersi sul significato delle parole. Cos’è un collegio elettorale? È una circoscrizione territoriale dove avviene la presentazione di candidature e la scelta tra i candidati da parte del corpo elettorale. Trattandosi di scrutinio di lista, deve avvenire la presentazione di una lista di candidati. Non può esistere un «collegio unico nazionale» se non esiste la presentazione di una lista di candidati, così come la presentazione di una lista di candidati implica necessariamente l’esistenza di un collegio elettorale.

Questo è il punto che bisogna tener ben chiaro: non c’è contrapposizione tra collegio unico nazionale e lista nazionale per l’utilizzazione dei resti, ma si tratta, al contrario, della medesima cosa.

Qualora noi respingessimo il principio del collegio unico nazionale, automaticamente respingeremmo il principio della presentazione di una lista nazionale per l’utilizzazione dei resti; e qualora noi respingessimo il principio della presentazione di una lista nazionale per l’utilizzazione dei resti, automaticamente respingeremmo il principio della creazione di un collegio unico nazionale.

Il problema che ora pone l’onorevole Scoccimarro è di altra natura; ma su questo punto credo non ci siano contrasti. Io dichiaro, a nome dei deputati liberali, che noi siamo tutti favorevoli all’utilizzazione dei resti. L’utilizzazione dei resti può avvenire o con l’istituzione di un particolare collegio e quindi mediante la presentazione di una particolare lista, che può essere nazionale o regionale o pluricircoscrizionale, ovvero senza la presentazione di una lista e quindi senza l’esistenza di un particolare collegio a questo scopo specificamente destinato. La proposta Grilli, appunto, prevede la utilizzazione dei resti senza creazione di appositi collegi, cioè senza presentazione di apposite liste. Il dire quindi che siamo contrari alla lista nazionale, o che siamo contrari al collegio unico nazionale, non significa affatto dire che noi siamo contrari all’utilizzazione dei resti. Significa dire che noi siamo contrari all’utilizzazione dei resti in quella forma particolare, cioè mediante la creazione di un apposito collegio e la presentazione di un’apposita lista.

Io, dunque, vorrei – per maggiore chiarezza – modificare in questo senso, ancora una volta, il mio ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale con la relativa lista per l’utilizzazione dei resti».

Prego l’onorevole Presidente di voler mettere in votazione questo ordine del giorno.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Circa la questione formale, concordo pienamente col Relatore e non ho compreso, mi dispiace, il ragionamento dell’onorevole Martino.

Secondo me, la questione fondamentale da risolvere è la possibilità dell’utilizzazione dei resti circoscrizionali in sede nazionale. Se noi accettiamo questo principio, si apre la discussione sul modo di utilizzare questi resti; se noi respingiamo questo principio, la questione è definitivamente superata e si tratterà di utilizzare i resti in sede circoscrizionale.

Quindi, dal punto di vista logico, a mio avviso, mi pare abbiano ragione l’onorevole Uberti e l’onorevole Corbino, che sollevò precedentemente la questione, quando sostengono che l’Assemblea debba decidere in primo luogo il principio se s’intendono utilizzare i resti delle circoscrizioni locali sul piano nazionale. Perché, ripeto, risolto questo punto in un senso, la questione sarebbe esaurita totalmente se l’Assemblea respinge il principio dell’utilizzazione dei resti sul piano nazionale. L’interpretazione che dall’onorevole Martino è stata data, nel senso che, per lui, respingendo la lista nazionale, si viene nel tempo stesso a respingere il principio del collegio unico, noi potremmo accettarla, ma solo se non esistesse, come esiste, davanti all’Assemblea una proposta concreta che, mentre non esclude la possibilità dell’utilizzazione dei resti sul piano nazionale, per contro esclude la lista nazionale.

E allora mi pare che, secondo la logica, si dovrebbe votare nel seguente ordine: primo, se l’Assemblea è d’accordo o non è d’accordo sul principio di utilizzare i resti delle singole circoscrizioni sul piano nazionale; secondo, in conseguenza della decisione che si sarà avuta su questo primo punto, esaminare se si debbano considerare questi resti in sede unica nazionale o in sede circoscrizionale.

Mi pare quindi che, in omaggio alla logica, si debba porre a base della nostra votazione la proposta originaria dell’onorevole Martino.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Vorrei sapere cosa precisamente si intenda per utilizzazione dei resti in campo nazionale.

PRESIDENTE. Onorevole Martino, lo si è già detto tante volte. Vuol dire che i resti che rimangono dopo l’assegnazione dei seggi nei vari collegi, non cadono nel nulla, ma vengono invece utilizzati.

MARTINO GAETANO. Mi permetta, onorevole Presidente, ma questo allora è un ammasso di resti, è un unico coacervo: non è l’utilizzazione dei resti in campo nazionale.

PRESIDENTE. Onorevole Martino, la prego: non solleviamo questioni che non esistono. Anche l’onorevole Scelba si è spiegato chiaramente. Nella proposta dell’onorevole Grilli è detto molto chiaramente che, salvo a vedere il modo con cui avverrà la redistribuzione, vi sia l’utilizzazione dei resti su scala nazionale, vista cioè la possibilità di trasferire dall’una parte all’altra del territorio nazionale, a seconda del modo che si stabilirà, la validità dei resti.

È pertanto evidente che, se si vuole escludere che i resti di una circoscrizione possano essere utilizzati in un’altra circoscrizione, non c’è più una loro utilizzazione, dato che nella circoscrizione di origine non possono essere utilizzati. Mi pare una cosa tanto semplice!

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Io trovo logico, onorevole Presidente, e credo sia stato ammesso da tutti, il principio dell’utilizzazione dei resti Bisogna quindi, secondo me, procedere alla votazione nel senso di vedere innanzitutto se noi intendiamo utilizzare questi resti regionalmente o sul piano nazionale.

PRESIDENTE. Presenti un ordine del giorno, onorevole Morelli, in questa forma molto elementare: «L’Assemblea ritiene (o non ritiene) che si debba procedere all’utilizzazione dei resti su scala nazionale». E voteremo su questo senza testa continuare a parlare di liste e di collegio, se queste due parole creano confusione.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Io pongo al Presidente alla Commissione e al Ministro una semplice domanda: quelli che come me – e siamo in molti – intendono col loro voto dire soltanto una cosa, senza pregiudicare poi l’utilizzazione dei resti in sede nazionale, regionale o circoscrizionale, cioè vogliono dire soltanto che non vogliono la lista formata dalle direzioni dei partiti a Roma, come devono votare? (Commenti).

Questa è la domanda che io pongo, perché il problema che è sorto ieri è questo. È la rivolta delle fanterie. Io, a nome delle fanterie, di cui sono rappresentante non soltanto in quest’Aula, ma anche fuori di essa, chiedo come devo fare per affermare col mio voto la mia volontà che vengano alla Camera i deputati eletti dagli elettori e non quelli eletti dalle direzioni dei partiti. (Commenti).

PRESIDENTE. Non complichiamo le questioni, onorevoli colleghi.

Onorevole Gullo Rocco, ciascuno di noi ha dei problemi di coscienza, e deve cercare di risolverli per proprio conto. Quindi formuli lei, che ne sente uno, nel modo che ritiene più opportuno la proposta; ma non si attenda che altri venga incontro ad una sua attesa. Oppure, se non crede di formulare nulla, valuti le proposte degli altri e voti secondo il suo giudizio su queste proposte.

GULLO ROCCO. La mia proposta credo di averla presentata attraverso l’ordine del giorno Martino, che intendeva esprimere molto chiaramente – secondo le parole dello stesso presentatore – questo concetto: siamo contro la lista nazionale, senza pregiudicare l’utilizzazione dei resti in un qualsiasi modo. Con questo significato io do il voto all’ordine del giorno Martino.

Ma non si dica che, votando l’ordine del giorno Martino, si pregiudica l’utilizzazione dei resti. Per conto mio, l’approvazione dell’ordine del giorno Martino significa che noi intendiamo escludere solo la lista nazionale, salvo poi a stabilire il metodo di utilizzazione dei resti, in sede nazionale, regionale, col metodo D’Hondt, o in qualsiasi altro modo.

Noi intendiamo, attraverso l’ordine del giorno Martino – che aveva questo significato preciso di cui ha dato ora la conferma il suo presentatore – votare contro la lista nazionale compilata dai partiti.

MATTARELLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTARELLA. Vorrei solo fare questo rilievo: quale necessità ed opportunità vi è di presentare degli ordini del giorno, quando si potrebbero presentare degli emendamenti alla legge, i quali non postulino la necessità di una interpretazione.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Questo problema del metodo di discussione, ossia dell’esame degli emendamenti o degli ordini del giorno e quindi del principio, è stato già risoluto. Ora, bisogna cercare di evitare equivoci.

Siccome vi sono vari metodi di utilizzazione dei resti, consacrati in altrettanti ordini del giorno, io prego il Presidente di porre in votazione in ordine logico questi ordini del giorno. Siccome ce n’è uno che va votato prima di tutti gli altri, quello che tende a realizzare l’utilizzazione locale e risponde alla legge naturale delle elezioni, facendo in modo che ogni elettore possa eleggere il suo deputato, si metta in votazione prima questo e poi ogni altro.

PRESIDENTE. Lei parla di ordini del giorno che non esistono. Ne abbiamo due di ordini del giorno, che, sino a pochi minuti fa si distinguevano soltanto per una parola; da alcuni minuti, in seguito alla nuova formulazione data dell’onorevole Martino, si distinguono maggiormente. Sono due ordini del giorno sul cui significato, mi permettano, in fondo non riescono neppure a mettersi da accordo coloro stessi che insieme li hanno formulati o firmati.

Riprendendo quello che dicevo poco fa: se si vuole scendere sino al principio più elementare, occorre che qualcuno proponga un ordine del giorno in cui si dica soltanto questo: 1°) se si intende di utilizzare i resti; 2°) se si intende di utilizzarli su scala nazionale 3°) il modo come l’utilizzazione deve avvenire.

Ma non usiamo parole che o vogliono dire troppe cose o non dicono nulla.

Prego dunque di formulare gli ordini del giorno tenendo conto di queste osservazioni logiche.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Credo che si potrebbe risolvere la questione aggiungendo al mio ordine del giorno le parole: «senza pregiudizio per la utilizzazione dei resti».

PRESIDENTE. Ma questa sua proposta implicherebbe la risoluzione di parecchie questioni con una sola votazione; bisogna invece, procedere gradatamente.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Visto che invece di chiarire si rischia di fare nuove confusioni, la Commissione propone che si voti sull’ordine del giorno Martino, ritenendosi implicito che quell’ordine del giorno significa utilizzazione dei resti sul piano nazionale. Per conseguenza, chi vota contro quell’ordine del giorno vota contro la lista nazionale, e chi vota a favore vota per la lista nazionale.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Io vorrei chiarire, se permettono gli onorevoli colleghi, una cosa molto semplice, cioè, quando si dice «collegio unico nazionale» ciò vuol dire che al collegio unico nazionale si attribuisce una lista di carattere nazionale. Non ci può essere equivoco su questo.

La posizione dei diversi progetti degli onorevoli Grilli, Marinaro ed altri porta a questo rilievo, che con tali progetti si vuole fare il computo dei voti in sede nazionale, ma poi si intende fare l’assegnazione dei seggi in sede circoscrizionale.

Noi diciamo che al collegio unico nazionale deve corrispondere la lista nazionale, e che non si può ritornare alle liste circoscrizionali essendo i collegi incomparabili fra loro. Ho detto anche in Commissione che se si vuole che tutti i seggi rimangano alla circoscrizione bisogna seguire un altro sistema che non è quello della utilizzazione dei resti.

Se si vogliono coprire tutti i seggi di un collegio, il metodo D’Hondt è il più idoneo.

Mi pare che ciò sia molto chiaro e preciso. Ritengo che i sistemi ibridi, come quello dell’onorevole Grilli, siano quelli che hanno creato confusione… (Interruzione del deputato Grilli).

Lo dico obiettivamente. (Interruzione del deputato Bellusci).

Onorevole Bellusci, stia bene attento che non c’è nessuna ragione di fare obiezioni. Io intendo chiarire appunto all’Assemblea la posizione dei vari sistemi perché tutto sia chiaro. Quando si vogliono coprire tutti i seggi attribuiti ad una circoscrizione si sceglie per coerenza il sistema D’Hondt; quando invece si vogliono utilizzare i resti non vi è, a mio avviso, altro sistema elastico che quello indicato nella legge 1946, che si presta a correzioni ampie mediante la maggiorazione di più uno, più due, ecc., del numero dei seggi.

Non vi è altro sistema in questo momento. Esso ha fatto la sua prova e non ha fatto nascere inconvenienti. I sistemi elettorali non si improvvisano; si crede di migliorarli con un emendamento. Ma se si studia attentamente ogni emendamento ci si accorge, in ultima analisi, che si rischia di realizzare un peggioramento. Ho esposto nella mia relazione gli inconvenienti che potranno creare i progetti Grilli e Marinaro, e perciò insisto perché si metta in votazione il collegio unico nazionale che importa la lista nazionale. Coloro che non lo vogliono e sono contrari alla lista nazionale voteranno contro.

PRESIDENTE. Fra gli ordini del giorno che in questo momento sono pervenuti, il più complesso resta sempre quello formulato dall’onorevole Martino Gaetano. Tutta la Commissione, per bocca del suo Presidente e del Relatore, ha dichiarato che preferirebbe che si votasse appunto sull’ordine del giorno dell’onorevole Martino, che dirò di prima formazione, restando bene inteso che parlando di «collegio» si parla implicitamente di lista e che non vi è la possibilità di differenziare a questo proposito.

Gli ordini del giorno presentati sono i seguenti:

«1°) L’Assemblea ritiene che i resti elettorali debbano essere utilizzati; 2°) che i resti debbano essere utilizzati su scala nazionale; 3°) che i resti debbano essere utilizzati con lista nazionale».

Nobile.

«L’Assemblea respinge il sistema della lista nazionale lasciando impregiudicata la questione della utilizzazione dei resti».

Treves, Gullo Rocco.

«L’Assemblea Costituente respinge il metodo di utilizzazione dei resti nella forma prevista dall’articolo 15 della legge»

Corbino, Bellusci.

«L’Assemblea Costituente delibera che siano utilizzati i resti in sede nazionale».

Mono, Uberti.

Ora, mi pare che, salvo la forma positiva o negativa, gli ordini del giorno Martino, Moro e Treves, siano analoghi, perché essi propongono all’Assemblea o di accettare o di respingere l’utilizzazione dei resti su scala nazionale.

Chiedo alla Commissione se crede che sia sempre opportuno che la votazione avvenga, comunque, sopra la formulazione iniziale dell’onorevole Martino Gaetano, sottolineando ancora una volta che la discussione diretta a far apparire una diversità di concetto a seconda dell’uso della parola «lista» o «collegio», a giudizio della Commissione, e dopo i chiarimenti di stamane, non ha ragione di esistere.

L’onorevole Scoccimarro ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

SCOCCIMARRO. Presidente della Commissione. La Commissione accetta che sia posto in votazione l’ordine del giorno Martino.

PRESIDENTE. Con questa intesa naturalmente che la distinzione relativa alle due parole «lista» e «collegio» non ha valore. Nel caso che l’ordine del giorno Martino Gaetano sia respinto, resta acquisito che l’Assemblea accetta il principio dell’utilizzazione dei resti con un collegio unico nazionale.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Ritiro il mio ordine del giorno, in quanto il significato che gli attribuisco non è questo.

CAMANGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMANGI. La questione mi pare che sia ben chiara. Qui siamo di opinioni divergenti circa il modo di utilizzazione dei resti dal punto di vista territoriale, ma mi pare che siamo quasi tutti d’accordo sulla questione delle liste non circoscrizionali. Mi sembra che la prima cosa da decidere sia questa e io avrei formulato in proposito quest’ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente afferma il principio che l’utilizzazione dei resti debba essere fatta escludendo, comunque, la presentazione di liste diverse da quelle circoscrizionali».

Che poi i resti debbano – utilizzarsi dal punto di vista territoriale col sistema strettamente locale o nazionale, in un modo piuttosto che in un altro, questo risulterà dalla votazione degli emendamenti, perché abbiamo emendamenti che appunto si riferiscono a questi vari sistemi. L’importante è stabilire questo principio pregiudiziale che non vi debbano essere liste diverse da quelle circoscrizionali.

CANDELA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDELA. Mi associo all’ordine del giorno Gullo Rocco.

COVELLI. Non è serio!

PRESIDENTE. È stato presentato un ordine del giorno dagli onorevoli Morelli Renato, Villabruna, Bellusci ed altri, del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, ritenuto che ogni deputato debba risultare eletto dai suoi naturali elettori, delibera che tutti i seggi vengano assegnati alle circoscrizioni rispettive, in tal modo soltanto utilizzandosi i resti».

Il seguente altro è stato presentato dall’onorevole Basile:

«L’Assemblea afferma che per l’utilizzazione dei resti, si attribuiranno i seggi rimasti alle liste circoscrizionali che hanno ottenuto i resti più alti e, nell’interno della lista, ai candidati che otterranno il maggior numero di voti di preferenza».

Gli onorevoli Scotti e Caroleo hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente ritiene che la utilizzazione dei resti debba essere fatta sul piano nazionale».

Il seguente è dell’onorevole Molinelli:

«L’Assemblea Costituente accetta il principio della lista unica nazionale».

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Io vorrei proporre, per semplificare la discussione e la votazione, di prendere anzitutto in considerazione l’emendamento soppressivo del terzo comma dell’articolo 3 proposto dalla minoranza della Commissione; superandosi, così, tutte le disquisizioni e le sfumature, che ci sono da un ordine del giorno all’altro. Se la maggioranza voterà a favore della soppressione, evidentemente sarà superata la questione del Collegio unico nazionale. Mi pare che questa sia la procedura più semplice ed elementare.

Giacché parlo, se l’onorevole Presidente me lo consente, vorrei rilevare che c’è qualche equivoco sulla valutazione del Collegio nazionale, della lista nazionale, degli interventi delle direzioni dei partiti e di tutto quel che segue, e di cui si è parlato.

Questo deriva dal fatto che noi tutti, nessuno escluso, siamo impegnati a formulare la legge elettorale, che riguarda ciascuno di noi, nessuno escluso. Questo è un difetto, a mio avviso, del sistema democratico. Speriamo che in avvenire, forse molto lontano, si possa correggere questo difetto, nel senso che la legge elettorale di un corpo rappresentativo del Paese sia sottratta nella sua formulazione allo stesso corpo rappresentativo, che ne deve usufruire.

Detto questo, a me sembrano veramente eccessivi gli appunti, le preoccupazioni, le svalutazioni portate contro il Collegio nazionale. Ma, comunque, bisogna decidersi e scegliere tra le due posizioni, di quelli che ritengono di potere utilizzare i resti in sede nazionale (così come io ritengo, per il fatto che io, come ho avuto occasione altra volta di esprimere in questa Assemblea, considero la proporzionale come un perfezionamento della funzionalità del sistema democratico rappresentativo e considero la utilizzazione dei resti in sede nazionale come un perfezionamento della proporzionale), di quelli che la pensano come me e considerano la proporzionale e l’utilizzazione dei resti come perfezionamento del sistema democratico, e, quindi, voteranno per il Collegio unico o per la lista nazionale, o di quelli che sono fermi ad una concezione mista di contaminazione fra il sistema uninominale o liberale o il sistema proporzionale o democratico, per meglio precisare, e che, quindi, inutilmente si rifugiano dietro i palliativi di vario genere per la utilizzazione dei resti (Commenti); mentre dovrebbero invece affermare la loro opposizione al Collegio ed alla lista nazionale ed il loro favore per la utilizzazione dei resti in sede circoscrizionale; perché nessuno contesta, amici miei, che l’utilizzazione dei resti in tutti i modi si fa. (Commenti). Non che si rifiuti l’utilizzazione dei resti: si fa localmente se non si pone il principio della lista e del Collegio nazionale. Nelle elezioni del 1919 e del 1921 c’era la proporzionale: e una certa utilizzazione dei resti ci fu, quale? L’utilizzazione dei resti fu fatta in maniera grezza e rozza, mentre la formula del Collegio nazionale e della lista unica nazionale porta un maggiore perfezionamento all’utilizzazione dei resti ed un perfezionamento alla rappresentatività democratica del Paese, che è qualcosa di diverso dalla rappresentatività puramente locale e circoscrizionale. (Approvazioni). Prego pertanto il Presidente, per uscire da queste difficoltà, di mettere senz’altro in votazione l’emendamento soppressivo proposto dall’onorevole Grilli.

PRESIDENTE. Vorrei conoscere il parere della Commissione e del Governo sulla proposta dell’onorevole Piccioni.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione è d’accordo.

PRESIDENTE. E il Governo?

SCERBA, Ministro dell’interno. Il Governo è d’accordo.

NOBILE. Chiedo di parlare per un chiarimento. (Commenti).

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Credo che votando in questo modo si potranno ingenerare confusioni, perché da quanto ha detto l’onorevole Grilli nell’illustrare la sua proposta soppressiva, e da quanto è stampato nella relazione di minoranza, risulta che egli non nega il collegio unico nazionale, avendo, anzi, insistito nel dire che i resti debbono essere utilizzati nell’ambito nazionale. (Rumori al centro). Perciò, allora, votando in questo modo, si genererà confusione.

PRESIDENTE. Se l’onorevole Grilli propone la soppressione di questo comma vuol dire che è convinto che le proposte ulteriori esigono la soppressione del comma. Non voglio essere più capace di interpretare il pensiero dell’onorevole Grilli di quanto non possa esserlo lui stesso. Poiché la Commissione ed il Ministro hanno dichiarato che accettano che si voti secondo la proposta fatta dall’onorevole Piccioni, mi sembra che non vi sia più nulla da chiarire. È pervenuta una richiesta di votazione a scrutinio segreto, dagli onorevoli Martino Gaetano, Villabruna, Pera, Bellusci, Camangi, Miccolis, Treves, Candela, Gullo Rocco, Di Gloria, Veroni, Bianchi Bianca, Corbino, Patrissi, Mazza, Carboni Angelo, Tripepi, Caroleo, Marinaro, Bonino, Reale Vito, Morelli Renato, Farina.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Qui bisogna intendersi. Io ieri mattina, quando ho parlato, avevo delle idee chiare; la discussione che si è fatta me le ha fatte annebbiare. Volevo ritrovare quella chiarezza. Io ho detto ieri: se per collegio unico nazionale si deve intendere il modo di assommare tutti i resti delle circoscrizioni per fare il quoziente nazionale, per stabilire quanti deputati spettano ancora a ciascuna lista, in questo caso nessuno può essere contrario al collegio unico nazionale. Ma, se per collegio unico nazionale si intende, come intendo io, quell’insieme, quel sistema generale di votazione che permette cioè che si eleggano dei deputati fuori delle circoscrizioni su lista nazionale dai partiti, allora noi siamo contro il collegio unico nazionale. Quindi, se il collegio unico nazionale è soltanto il primo, io non propongo più di sopprimere l’articolo 3.

PRESIDENTE. Onorevole Grilli, siamo arrivati a spiegarci almeno che non è soltanto il primo, perché sul primo siamo tutti d’accordo e non c’è da votare. D’altra parte questo terzo comma dell’articolo 3 fa parte di un sistema completo, al lume del quale esso vuol dire per l’appunto in questa legge lista nazionale. (Commenti).

GRILLI, Relatore per la minoranza. Allora, se siamo d’accordo su questo punto, che sopprimere l’articolo 3 vuol dire sopprimere la lista nazionale, io sono lietissimo di mantenere il mio emendamento. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, procediamo alla votazione a scrutinio segreto sul terzo comma dell’articolo 3 del decreto 10 marzo 1946, n. 74, del quale l’onorevole Grilli ha proposto la soppressione.

Una voce. Sarebbe opportuno votare la soppressione. (Commenti).

PRESIDENTE. Visto che è espressamente richiesta, dobbiamo votare la soppressione. (Approvazioni).

Si tratta dunque di decidere se conservare nel testo fondamentale, cioè nel decreto del 10 marzo 1946, il terzo comma dell’articolo 3, il quale dice: «Il complesso delle circoscrizioni elettorali forma il collegio unico nazionale, ai soli fini dell’utilizzazione dei voti residuali».

Noi diamo a questo comma il senso che esso implica l’esistenza della lista unica nazionale, ed è evidente perciò che chi vota a favore della soppressione di questo comma vuole con ciò significare di essere contrario alla lista nazionale.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta sulla proposta Grilli di soppressione dell’articolo 3 del decreto 10 marzo 1946, n. 74.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Prendono parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bartalini – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellavista – Bellusci –Belotti – Bencivenga – Bennani – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Calamandrei – Calosso – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese Pasquale – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo

Damiani – D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi-– Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grazi Enrico – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Imperiale.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – Lazzati – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrassi – Magrini – Malagugini – Malvestiti – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Giancarlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Pera – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignedoli – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggieri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sapienza – Saragat– Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segni – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Titomanlio Vittoria – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tripepi – Turriminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zannerini – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Arata.

Carmagnola – Cavallari.

Guerrieri Emanuele.

Jacini.

Lombardi Riccardo.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni.

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     396

Maggioranza           199

Voti favorevoli        198

Voti contrari                        198

Sul risultato della votazione.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, i risultati che ho comunicato si deducono dalla numerazione dei voti deposti nell’urna bianca: voti favorevoli 198, voti contrari 198. Nell’urna nera, invece, i voti favorevoli risultano 198, i voti contrari 199.

A tenore del risultato dato dall’urna bianca, l’Assemblea ha respinto l’emendamento soppressivo dell’onorevole Grilli. Infatti, mentre la maggioranza necessaria era di 199 voti, la proposta non ne ha raccolto che 198, e quindi non è accettata.

Nell’urna nera i voti favorevoli sono 198, i contrari 199; di guisa che, anche in base a questo risultato, la proposta non è stata accettata. E poiché la diversità di un voto non muta neanche nei confronti delle singole urne il risultato, credo di poter dichiarare, come risultato conclusivo, che l’Assemblea non approva la proposta soppressiva dell’onorevole Grilli.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevole Presidente, credo che quanto sto per dire debba essere messo in relazione con la gravità politica dell’atto che, a mio parere, ancora non si è compiuto, nel senso che mai, come in questo momento, l’Assemblea Costituente si mostra nettamente, anche per il rigore aritmetico dei suffragi pro e contro, divisa su quello che è il problema, il doppio problema della partitocrazia e della democrazia,

PRESIDENTE. Onorevole Bellavista, in questo momento non è permesso che parlare da un punto di vista di Regolamento, trascendendo da ogni considerazione di merito, sui risultati dei quali ho dato comunicazione.

BELLAVISTA. Accetto e faccio soltanto notare che la mia allusione era un preambolo a quello che sto per dire.

PRESIDENTE. Evitiamo i preamboli.

BELLAVISTA. Ed allora ho cercato negli articoli 97 e 109 del Regolamento la norma che risolva con la chiarezza e la inequivocità necessaria il caso che si presenta. Non l’ho trovata, né si opponga la prassi interpretativa, perché essa avrebbe bisogno, in ogni caso, di una causa di giustificazione razionale, che spiegasse perché in questa situazione di parità non si intenda accettato l’emendamento. Il ripiego della maggioranza 199, mi consentano, è semplicemente formale; non ha nessun valore sostanziale, perché c’è una situazione di parità, e perciò di incertezza nello orientamento dell’Assemblea. Che in un punto di fatto questa incertezza sia aggravala da un’evidente e spero involontaria confusione, per l’unità riscontrata in più nell’urna nera, non c’è ombra di dubbio. Là abbiamo avuto una moltiplicazione non perfettamente biblica di palle nere.

In questo caso io penso che la situazione comporti il ripetersi della votazione. Tante volte in quest’Assemblea, quando si è trattato di argomenti essenziali alla vita della democrazia o di argomenti che comportano un orientamento politico nuovo, si è detto sempre che non è opportuno politicamente che detti determinati atteggiamenti passino per uno, due, tre voti di maggioranza, ma che il Paese sia orientato da questa Assemblea con un voto che abbia rilevanza e consistenza. Io penso che avrebbero maggior vantaggio tutti e due i punti di vista se, ripetendosi la votazione, questo stato di ombra e di incertezza venisse completamente a scomparire.

PRESIDENTE. Onorevole Bellavista, la questione non è nuova alla nostra Assemblea. Gli argomenti che lei adopera in questo momento furono già adoperati da un altro collega nella seduta del 9 ottobre per sostenere la stessa tesi. In quella seduta si procedette ad una votazione, la quale dette un risultato pari: erano presenti e votanti 360; maggioranza 181: voti favorevoli 180, voti contrari 180. Poiché non fu raggiunta la maggioranza a favore della proposta, la Assemblea non approvò.

La pallina in più nell’urna nera onorevole Bellavista, in questo caso viene a consolidare la decisione di respingere. Ed in quell’occasione, il collega che ha sostenuto la tesi che lei sostiene in questo momento, richiamò un’argomentazione che poteva avere una validità, dichiarando che si era trattato di votare una norma costituzionale e che pertanto la necessità di un’affermazione di maggior peso era opportuna. E diceva quel collega in quel giorno: «quando ci troviamo di fronte a emendamenti, sappiamo che, qualora gli emendamenti raggiungono la parità, sono respinti, perché non hanno la maggioranza». Ma trattandosi di un articolo del progetto di Costituzione, allora credeva quel collega che si potesse mutare questa norma. Tuttavia, in quell’occasione non si mutò, e non si mutò perché il risultato delle votazioni è quello che è e non è detto che una votazione, per tesser valida, debba esigere fra maggioranza e minoranza una diversità ingente di voti. Può bastare un voto di differenza. In questo caso nostro anzi, meno ancora di un voto, perché e norma e prassi indicano che la stessa parità dà un suo risultato.

Richiamo ciò che in quella occasione ebbi modo di dire, perché è sufficiente, senza richiamare i precedenti di altre Assemblee, attenerci ai precedenti della nostra Assemblea. Un volume che avevo già richiamato, quello del Mancini e Galeotti, dice a pagina 308, n. 445, che in caso di voti pari la proposta messa in votazione non può ritenersi approvata. Da ciò l’importanza massima di una giusta determinazione della priorità nel concorso di più proposte.

Aggiungo io: da ciò l’importanza massima della precisazione dell’oggetto della votazione.

Comprendo che forse a qualcuno sia ragione di amarezza in questo momento l’avere chiesto a gran voce che si votasse per l’appunto sull’emendamento soppressivo e non sulla conservazione del testo. Questi sono gli scherzi spiacevoli che avvengono anche nelle votazioni. Se noi avessimo votato come io stavo inizialmente proponendo, l’attuale risultato – salvo la questione della maggioranza raggiunta o non raggiunta – avrebbe determinato una soluzione diversa. Il testo non sarebbe stato approvato, e la situazione si presenterebbe capovolta.

Ecco perché è della massima importanza chiarire prima ciò su cui si vota. Ora credo che nessuno abbia dubbi che noi abbiamo, proprio su richiesta esplicita dei proponenti, votato la proposta di soppressione; e questa proposta di soppressione non ha avuta la maggioranza. Non l’ha avuta né nei confronti della maggioranza stabilita aritmeticamente attraverso la divisione del numero dei votanti, né nei confronti dei voti contrari.

Pertanto non mi pare possibile sollevare eccezioni sopra la giustezza dei risultati che ho annunciato.

Onorevole Bellavista, vi sono, è vero delle considerazioni d’ordine politico, che lei chiamava «preambolari», ma la Presidenza non può fare considerazioni preambolari: può giudicare soltanto la questione nei termini concreti in cui si pone.

BELLAVISTA. Una pallina in più!

PRESIDENTE. La pallina in più è sottoposta per l’appunto alla valutazione della Presidenza. L’articolo 106 del Regolamento dice che, quando il numero dei voti risultasse superiore in qualche urna al numero dei votanti, il Presidente, apprezzate le circostanze, potrà annullare la votazione.

Ora, quali sono le circostanze? Sono queste: se la pallina in più che era in una delle due urne avesse spostato il risultato, allora evidentemente le circostanze avrebbero imposto di ripetere la votazione. Ma quella palla in più viene a riconfermare il risultato, cioè che la proposta Grilli non ha avuto la maggioranza. Se mai, la circostanza convince ancora di più a dichiarare il risultato così come io l’ho dichiarato.

CANDELA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDELA. Non per senso di inopportunità o per passione, intervengo; ma per far rilevare come qualche volta il diritto e la moralità non coincidono perfettamente. Se si fosse votato nell’ordine logico delle cose, cioè sul testo, il testo non sarebbe stato approvato con 198 voti. Si è votato sull’emendamento, e l’emendamento non è stato approvato con 198 voti. (Commenti).

La sostanza è questa: che i due risultati opposti si hanno con lo stesso numero di 198 voti. In questo caso penso che il Presidente, nella sua autorità e giudicando equamente del valore del risultato, possa dare un provvedimento che è nella sua giurisdizione e che non è sindacabile da parte di nessuno, far ripetere cioè la votazione; ci tengo a sottolineare il risultato, perché merita di essere sottolineato: che se si fosse votato, cioè, sul testo dell’articolo esso non sarebbe stato approvato con 198 voti. Questo è un dato di fatto dal quale non si può prescindere.

PRESIDENTE. Ritengo che non vi sia da continuare la discussione, e ritengo soprattutto che non vi siano da porre questioni di moralità.

CANDELA. Io mi riferivo alla moralità e al diritto.

PRESIDENTE. Non si formalizzi sulla parola.

Se il risultato fosse stato inverso, forse un altro collega avrebbe sollevato la questione di moralità inversa; il che sta a indicare che non v’è questione di moralità, ma soltanto vi è da accettare il risultato obiettivo della votazione.

E voglio aggiungere: non è che io abbia, quando ho indetto la votazione, accolto, semplicemente per cortesia, di mutare l’oggetto della votazione; perché, nello stesso momento, il Segretario Generale – che è il braccio destro di ogni Presidente, perché conosce molto meglio dei Presidenti, che passano, le norme del Regolamento – mi aveva fatto osservare che in realtà la votazione sarebbe stata meglio indetta, se si fosse impostata così come lei ed i suoi colleghi di opinione hanno richiesto.

Pertanto, si è impostata la votazione come si doveva ed il risultato è quello annunciato.

Onorevoli colleghi, arrendiamoci ai risultati delle votazioni; alcune volte sono favorevoli, altre sfavorevoli al nostro punto di vista.

Allo stato delle cose ritengo che la votazione indetta è regolare ed il risultato è quale io l’ho dichiarato.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Mi pare che la questione presenti due aspetti: uno, sulla validità della votazione, l’altro sulle conseguenze e sul significato della votazione medesima.

Ritengo, come ritiene l’onorevole Presidente, che i risultati non possano essere modificati e che l’annullamento, lasciato alla discrezione dell’onorevole Presidente, sia stato giustamente respinto; ritengo quindi che il Presidente abbia fatto uso regolare del suo potere discretivo di dichiarare valida la votazione.

Ma quali sono le conseguenze ed il significato della votazione medesima?

Mi richiamo ad una parte delle osservazioni fatte dall’onorevole Presidente e dall’onorevole Candela.

Per comodità di votazione, per esigenza di chiarezza, noi abbiamo compiuto la votazione, capovolgendo i criteri normali di tutte le nostre votazioni.

È la prima volta che noi poniamo in votazione un emendamento soppressivo. È stata regola costante di questa Assemblea di non porre in votazione la soppressione di una norma, ma di porre in votazione la norma medesima, dichiarandosi che i favorevoli dell’emendamento soppressivo avrebbero votato contro il mantenimento della norma proposta.

Ora, io voglio trarre da siffatta premessa queste conseguenze e questa conclusione: la proposta di soppressione è respinta ed io non credo di potere sostenere il contrario; ma la conseguenza del voto non può andare al di là del puro respingimento della proposta di soppressione. (Commenti all’estrema sinistra). Io non credo che si possa ritenere che la votazione abbia escluso ogni modificazione al terzo comma del l’articolo 3.

Una voce a sinistra. Ma se non l’ha soppresso!

LAMI STARNUTI. Non l’ha soppresso, ma non l’ha approvato! (Commenti).

UBERTI. Si ricordi che si tratta di una legge esistente.

PICCIONI. Lei sbaglia il presupposto.

LAMI STARNUTI. Mi permettano i colleghi dell’Assemblea: non è né un ragionamento per assurdo, né un cavillo di interpretazione il mio. Se l’Assemblea avesse approvato esplicitamente l’articolo 3, sarebbe chiusa in modo definitivo ogni discussione al riguardo. (Commenti al centro). Ma io ritengo invece che, essendo stata respinta puramente e semplicemente la soppressione dell’articolo, rimangono intatti i diritti dell’Assemblea di proporre emendamenti, che siano modificativi dell’articolo medesimo. Questo lo scopo e l’oggetto delle mie osservazioni convinto come sono che anche il Presidente sia d’accordo con me in questa interpretazione del voto dell’Assemblea. (Commenti al centro).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, a me pare che alla base della discussione sulla legalità o meno della votazione e della precedenza che le è stata data rispetto agli ordini del giorno, v’è questo fatto: noi ci troviamo di fronte ad una legge vigente, quella del marzo 1946.

NOBILI TITO ORO. Era una legge strumentale, non possiamo considerarla una legge vigente; essa esaurì la sua funzione con la elezione dei deputati alla Costituente ed oggi non rimane che un ricordo storico, riesumato dal Governo per farne il disegno della legge elettorale per la prima Camera legislativa.

SCELBA, Ministro dell’interno. Fino a quando questa legge non era modificata da un’altra legge, doveva considerarsi come legge vigente.

Comunque v’era un progetto del Governo il quale si proponeva di conservare intatta la legge, salvo alcune modificazioni; non v’era alcuna modifica riguardante la soppressione del detto articolo della legge del marzo 1946. Secondo me non poteva porsi in votazione se non una proposta concreta, che sopprimesse l’articolo della vecchia legge. Ritengo che essendosi posta in votazione questa proposta, si siano seguiti la legalità e il regolamento, in questo caso specifico. Quindi, per quanto riguarda il Governo, la votazione è perfettamente legale.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Direi, quasi in punto di fatto, che desidero rettificare un’affermazione non esatta dell’onorevole Ministro dell’interno. La legge che comprende l’articolo 3, del quale abbiamo discusso, non è una legge vigente, ma una legge che direi estinta…

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Ma abbiamo già approvato l’articolo primo!

MORINI. Questa è la prova che non esiste la legge. (Commenti al centro).

LAMI STARNUTI. …la legge cioè per l’elezione dei deputati all’Assemblea Costituente. Il progetto di legge la riprende e la richiama, è vero, ma indubbiamente lascia intatto il diritto dell’Assemblea di modificare tutti quegli articoli della legge medesima, che l’Assemblea ritenesse di dover modificare.

PRESIDENTE. Desidero ricordare che prima di procedere alla votazione, poco fa, io ho detto chiaramente (e non è stata sollevata obiezione) che quel terzo comma dell’articolo 3 significava lista nazionale. E pertanto, onorevoli colleghi, è possibile proporre tutti gli emendamenti che si desiderano, salvo però che non modifichino questo dato ormai acquisito, che la lista nazionale è stata approvata.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Onorevole Presidente, noi abbiamo votato un emendamento soppressivo. L’emendamento soppressivo è stato respinto. È possibile presentare emendamenti aggiuntivi o sostitutivi? Se fossero stati presentati contemporaneamente emendamenti soppressivi ed emendamenti aggiuntivi o sostitutivi, sarebbe stato posto per primo in votazione l’emendamento soppressivo. Caduto questo emendamento, io penso che la spiegazione che è stata data prima del voto è stata una spiegazione per semplificare, per chiarire meglio la portata del voto stesso.

Però l’emendamento significa quello che dice, cioè sopprimere completamente quell’articolo. L’interpretazione è lasciata ai posteri, ma qui la maggioranza, o quella che è considerata maggioranza, ha detto che non vuole sia soppresso completamente l’articolo. Questo è l’unico significato che rimane. Ne consegue che si possono presentare tutti gli emendamenti sostitutivi o aggiuntivi.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, io penso che si possono presentare, e quindi accetterò, soltanto quegli emendamenti che non siano in contrasto con la votazione già avvenuta.

Esaminiamo pertanto gli emendamenti presentati alla stregua di queste considerazioni.

L’onorevole Marina propone di sostituire il terzo comma dell’articolo 3 col seguente:

«Il complesso delle circoscrizioni elettorali forma i tre collegi interregionali (Italia settentrionale, Italia centrale e Sardegna, Italia meridionale e Sicilia) ai soli fini della utilizzazione dei voti residuali».

Questo emendamento deve considerarsi decaduto perché implica non una lista nazionale, ma tre liste interregionali.

L’onorevole Grilli ha proposto il seguente articolo 3-bis:

«Sopprimere l’articolo 15».

L’articolo 15 del decreto 10 marzo 1946 riguarda la lista nazionale e pertanto non può accogliersi la proposta di sopprimerlo. Si possono solo accettare proposte che tendono a modificare il sistema della lista nazionale.

A questo proposito l’onorevole Lami Starnuti propone un emendamento aggiuntivo all’articolo 3:

«L’utilizzazione dei voti residuali si farà sul piano regionale oltreché sul piano nazionale».

Lo stesso onorevole Lami Starnuti, oltre all’emendamento del quale ho dato lettura, ne ha presentato un secondo molto sviluppato, nel quale è considerato il modo di utilizzazione regionale dei resti delle circoscrizioni comprese nell’ambito di una stessa regione.

Questo secondo emendamento che per ora non leggo potrà essere eventualmente discusso in sede di articolo 8-bis.

L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgere il suo primo emendamento.

LAMI STARNUTI. Ho fatto pervenire all’onorevole Presidenza il secondo mio emendamento perché l’Assemblea avesse almeno un’impressione generica di quello che io devo dire affermando che l’utilizzazione dei voti residuali si fa sul piano regionale, oltre che su quello nazionale.

È esatto, ed io avevo già fatto a me stesso l’osservazione, che il mio secondo emendamento deve essere collegato con le altre disposizioni di legge circa il collegio unico nazionale, circa la lista per il collegio unico nazionale. Io non ho mai inteso, redigendo e presentando l’emendamento esplicativo per l’utilizzazione dei voti residuali sul piano regionale, di escluderne l’utilizzazione sul piano nazionale.

L’osservazione e l’obiezione della Presidenza assumono quindi, a mio giudizio, un valore puramente formale, cui rimedieremo quando il secondo emendamento verrà in discussione e al momento opportuno sarà collegato con la disposizione di legge per il collegio unico nazionale.

Ma se l’onorevole Presidente ritiene che io debba svolgere sino da ora il mio secondo emendamento, non ho difficoltà a farlo. Se debbo svolgere soltanto il primo emendamento, quello che riguarda l’articolo 3, non mi parrebbe il caso di aggiungere altre parole a quelle contenute nel brevissimo testo. Ed infatti, fermo restando il collegio unico nazionale, ferma restando la lista nazionale, io propongo di far prima un’utilizzazione dei voti residuali sul piano regionale, utilizzando nella Regione i voti residuali delle varie circoscrizioni.

Gli ulteriori voti residuali dovranno andare all’utilizzazione successiva per il collegio unico nazionale.

Nel fare questa proposta, che dirò correttiva o complementare dell’utilizzazione nazionale, io sono stato mosso da alcune considerazioni.

Nelle ultime elezioni politiche, quelle per l’Assemblea Costituente, il collegio unico nazionale ha conseguito ottanta seggi. Sono stati ottanta seggi sottratti alla diretta rappresentanza degli interessi locali. Credo sia opinione generale che il sistema precedente abbia, almeno per questa parte, dato risultati non accettabili, risultati eccessivi. Basterà, si dice, un’operazione la quale modifichi in qualche modo il divisore per ridurre i posti da assegnarsi al collegio unico nazionale. In tal senso vi è un emendamento della Commissione; vi sono poi altri emendamenti che correggono ulteriormente l’emendamento della Commissione. Si chiede infatti che quel + 2 e + 3 proposto dalla Commissione sia unificato in + 3, affinché le circoscrizioni minori beneficino di una maggiore utilizzazione dei loro voti, aumentando il numero dei deputati eletti. Nella Tabella che l’onorevole Commissione ha presentato con la sua relazione, risulta che il maggior sacrificio anche questa volta, con le proposte della Commissione, ricade su quelle che sono le circoscrizioni minori. Da cui la necessità di correggere i criteri della legge elettorale, affinché questo sacrificio sia ripartito fra circoscrizioni minori e circoscrizioni maggiori.

Ora, io non ho difficoltà a dichiarare che, se la Commissione elettorale vorrà modificare ancora le sue proposte, nel senso di ridurre ulteriormente il numero – il numero probabile, naturalmente – dei seggi da assegnarsi al collegio nazionale, io non insisterò nel mio emendamento per l’utilizzazione dei voti residuali nelle circoscrizioni regionali; ma se la Commissione manterrà pienamente il suo punto di vista, se si vorrà ancora portare i seggi da assegnarsi alla lista del collegio nazionale a circa sessanta, poiché io ritengo eccessiva questa cifra, poiché ritengo eccessiva questa riduzione delle rappresentanze locali, io dovrò insistere nell’uno e nell’altro dei miei emendamenti, i quali hanno soprattutto lo scopo di ridurre la quantità dei seggi sottratti alla diretta rappresentanza degli elettori.

PRESIDENTE. Onorevole Lami Starnuti, dopo aver sentito le sue osservazioni, sarebbe forse opportuno modificare l’emendamento, sostituendo alla espressione: «oltre che sul piano nazionale» l’altra: «prima che sul piano nazionale».

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Mi permetto ricordare all’onorevole Presidente quanto egli stesso ha affermato poco fa, cioè che tutti gli emendamenti possono essere accettati, tranne quelli che tocchino il Collegio unico nazionale e la lista nazionale.

La proposta dell’onorevole Lami Starnuti vorrebbe, a mio avviso, fare entrare dalla finestra ciò che già è uscito dalla porta. Allorché è stata approvata la lista nazionale con il collegio unico nazionale, credo che non si possano più votare emendamenti che limitino la lista nazionale stessa. Ogni tentativo fatto in tal senso sarebbe destinato ad inficiare il risultato della votazione già fatta.

Quando l’onorevole Lami Starnuti propone la formula «sul piano regionale oltreché sul piano nazionale», mira allo scopo di togliere molti, se non tutti, dei vantaggi della lista nazionale. Se l’accettassimo avremmo in parte tradito la volontà espressa dall’Assemblea col voto di poco fa.

Se l’onorevole Lami Starnuti avesse dimostrato di poter utilizzare dei resti in sede regionale dopo l’utilizzazione fattane in sede nazionale – cosa che ritengo impossibile – solo in questo caso il suo emendamento avrebbe potuto essere considerato aggiuntivo e quindi posto in votazione.

Ma si tratta di cosa impossibile, ed è impossibile che l’onorevole Lami Starnuti presenti ora un emendamento che è contrario alla votazione già fatta.

Siamo ora di fronte ad un problema non di moralità ma di retta applicazione della procedura.

Non possiamo prestarci ai tentativi di coloro che dopo aver tentato, subito dopo la votazione, di invalidarla, cercano ora di riaprire il dibattito sullo stesso argomento.

Se si è votato contro l’emendamento soppressivo, ciò significa che si è votato non solo per l’articolo ma anche per il meccanismo che è legato all’articolo.

CORBINO. Ma se anche la Commissione proponeva di modificare!

COVELLI. Non importa quello che la Commissione proponeva, perché nella Commissione si sono dibattuti gli stessi argomenti che non credo opportuno si dibattano qui. (Interruzione del deputato Corbino).

Nessuno forse ricorda che il più delle volte, salvo poche eccezioni, i voti che hanno condotto qui dei deputati erano dati ai partiti e ai programmi dei partiti e non a singoli uomini. Vi saranno sì delle lodevolissime eccezioni per persone che hanno un seguito personale. La ragione morale che si vorrebbe invocare oggi, nessuno l’ha però invocata quando ha tradito, quando cioè ha agito in provincia in senso contrario al programma con cui il partito si era presentato nella campagna elettorale. Per cui immorale sarebbe, dopo la votazione di poco fa, ritornarvi su. Tutti i tentativi che si facessero per modificare, per sostituire, comunque per limitare i principi sanciti in quella votazione sarebbero non solo contrari al Regolamento ma, ripeto, contrari alla morale.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Non sono d’accordo con l’onorevole Covelli. La mancata soppressione dell’articolo 3 reca, a mio avviso, evidentemente la conseguenza che vi debba essere un collegio unico nazionale per la utilizzazione di resti.

COVELLI. E la lista nazionale.

PERRONE CAPANO. E vi debba essere una lista nazionale per la utilizzazione dei resti, ma non vi è altresì la conseguenza che debbano esservi per forza dei resti, né la conseguenza che i resti debbano essere utilizzati esclusivamente in un determinato modo. Credo, quindi, che non significhi violare il principio fissato con la mancata soppressione dell’articolo 3 discutere di metodi che possano portare ad eliminare i resti o a ridurre i resti o, in definitiva, a permettere l’utilizzazione dei resti in sede nazionale in una maniera piuttosto che in un’altra.

COVELLI. Se è così, oppongo una pregiudiziale ad ogni emendamento col quale si tenda a modificare quanto è già stato votato.

COCCIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COCCIA. Volevo chiarire un punto. Secondo me, l’emendamento Lami Starnuti non può essere accolto per un motivo tecnico: cioè che vi sono collegi che non fanno parte in modo perfetto della Regione; e allora come potremo utilizzare i residui quando i collegi facessero parte di Regioni diverse? Credo che non sia possibile e che pertanto, anche per questo motivo, l’emendamento Lami Starnuti non possa essere approvato.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Non credo che la pregiudiziale dell’onorevole Covelli possa essere accettata, pur essendo io fautore, come lui, della lista nazionale, perché si può sempre far precedere il terzo comma dell’articolo 3 da altro comma il quale dica che l’insieme delle circoscrizioni elettorali di ogni Regione costituisce il collegio regionale. Però vorrei fare osservare che, in base alla proposta dell’onorevole Lami Starnuti, vi sarebbero Regioni le quali nessun vantaggio ne avrebbero. Per esempio la Calabria, la Sardegna, il Lazio, le Marche, in quanto queste Regioni costituiscono già per se stesse una circoscrizione elettorale. Quindi per queste Regioni non si avrebbe alcun vantaggio dal sistema Lami Starnuti. Se ne avvantaggerebbero solo quelle Regioni che, come il Piemonte e la Lombardia, attualmente divise in due circoscrizioni. Tuttavia, da una sommaria analisi che ho fatto, non ci sarebbero grandi spostamenti. Per esempio, per il Piemonte, se fosse stato adottato nel 1946 il sistema del collegio regionale, sarebbero stati eletti alla Costituente un comunista di più, un democristiano di più, un qualunquista di più.

Ora, data l’esigua variazione che si avrebbe per queste Regioni, e dato che invece ci sono Regioni le quali non avrebbero alcun vantaggio, vale la pena di adottare il sistema Lami Starnuti? A me sembrerebbe di no.

COVELLI. Insisto sulla pregiudiziale.

PRESIDENTE. L’onorevole Covelli ha sollevato in modo formale la questione pregiudiziale sull’ammissibilità dell’emendamento proposto dall’onorevole Lami Starnuti, e pertanto dobbiamo decidere la questione stessa.

CORBINO. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Noi abbiamo già votato nel senso che debbano restare il collegio unico nazionale e la lista nazionale. Ora si tratta di scegliere la maniera con cui dovranno funzionare sia il collegio che la lista. Vi sono varie proposte. Io credo che fra tutti i proponenti sarebbe agevole raggiungere un accordo con la Commissione, in maniera da ottenere il risultato al quale, a mio giudizio, la maggioranza dell’Assemblea tende, cioè: 1°) che sia ridotto al minimo possibile il numero dei posti destinabili alla lista nazionale; 2°) che non sia considerata rigida la lista nazionale ai fini della ripartizione dei seggi che le competono.

Data l’ora e dato il fatto che alle 16 dovremo riprendere la seduta por concludere la discussione sulle comunicazioni del Governo, pregherei il Presidente della Commissione e il Relatore di riunire i presentatori degli emendamenti al sistema del funzionamento del congegno per la lista nazionale. Credo che quasi certamente, in una breve riunione, si potrà raggiungere un accordo sostanziale sui punti principali. Se resteranno due o tre punti sui quali l’accordo non si raggiungerà, nella prossima seduta, che potrebbe aver luogo domani mattina, i punti di dissenso saranno sottoposti alla votazione dell’Assemblea, che deciderà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione ha già esaminato la questione ed a tal proposito ha una sua proposta. In sede di Commissione l’onorevole Uberti aveva fatto una proposta identica a quella dell’onorevole Lami. Starnuti. A sua volta l’onorevole Fuschini ha presentato una sua proposta che, con sistema più semplice, raggiunge lo stesso risultato. Allora l’onorevole Uberti ha ritirato la sua per accettare quella dell’onorevole Fuschini. La Commissione presenta una proposta la cui conseguenza è che, con la lista nazionale, invece che ottanta deputati ne saranno eletti circa la metà. Si può trovare il modo di ridurre ancora: nessuna difficoltà.

Il problema che pone l’onorevole Lami Starnuti è risolto nella proposta della Commissione. Perciò pregherei l’onorevole Lami Starnuti di non insistere.

Circa la proposta Corbino la Commissione è d’accordo. Tutti questi emendamenti in definitiva trattano una cosa sola: stabilire quale deve essere il numero dei candidati eleggibili con la lista nazionale. Chiedo che venga sospesa la deliberazione. La Commissione chiamerà i presentatori di tutti gli emendamenti, tenterà di trovare una soluzione unica e concorde e porterà qui una proposta concreta sulla quale votare.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, la proposta Corbino, cui ha aderito la Commissione, si intende accettata.

(Così rimane stabilito).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Sui lavori dell’Assemblea.

TAVIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TAVIANI. Ieri rimanemmo d’accordo nel senso che avremmo deciso stamane circa i lavori di domenica, e cioè se tener seduta domenica e lunedì, oppure lunedì e martedì.

PRESIDENTE. Bisogna risolvere la questione. È evidente che coloro i quali hanno fatto richiesta di tenere seduta lunedì e martedì devono sapere al più presto se verrà stabilito così, in modo da poter disporre della domenica.

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. Propongo di non tenere seduta la domenica e di terminare i nostri lavori nelle giornate di lunedì e martedì.

Voci. No, no!

MINIO. Vi sono ragioni, che prego gli onorevoli colleghi di volere ascoltare. Anzitutto, bisogna dare ai deputati il tempo necessario per esaminare il testo approntato dal Comitato di coordinamento. In secondo luogo, come il Presidente ha già fatto notare, è opportuno che alla seduta finale, nella quale approveremo il testo della Costituzione, sia presente il maggior numero possibile di deputati, per dare alla seduta stessa la solennità del caso.

Noi riteniamo che nella giornata di lunedì non possa essere raggiunta questa presenza massima di deputati. Il nostro Gruppo desidera che i colleghi tengano presente che vi sono manifestazioni di carattere nazionale: ad esempio, abbiamo molti congressi provinciali del nostro partito. Quindi, noi chiediamo che domenica non si tenga seduta e che la seduta di approvazione della Costituzione sia rimandata a martedì.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Comprendo le ragioni esposte dal collega Minio, ma, d’altra parte, siamo qui per fare la Costituzione e quindi per evitare che vi siano molti di noi i quali saranno costretti a restare la domenica inoperosi, per poi tornare a casa il giorno 23 o il giorno 24 sulle tettoie dei treni. (Interruzione del deputato Malagugini). Per dare un carattere di maggiore solennità alla giornata di lunedì, in cui dovremo approvare la Costituzione, solennità la quale deriva in primo luogo dalla compostezza e quindi dal numero dei presenti, penso che occorra non interrompere i nostri lavori e tenere seduta domenica. Faremo così il nostro dovere, almeno gli ultimi giorni. Terremo seduta, se così stabilirà il Presidente, nella mattinata di domenica e, se occorre, anche di pomeriggio. In modo che potremo approvare con il maggior numero di deputati e con la maggiore compostezza il testo della Costituzione. (Approvazioni al centro).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io desidero far presente che, poiché nelle consuetudini di questa Assemblea non si è mai tenuto seduta la domenica, vi sono colleghi che hanno assunto impegni ai quali non possono mancare. (Commenti al centro). Se lo avessero saputo prima, non li avrebbero assunti. Per cui sono del tutto vane e inutili le perorazioni dell’onorevole Rocco Gullo. Molti colleghi non saranno qui né domenica né lunedì.

DE MICHELIS. Mi sembra che si pospongano i lavori di carattere nazionale agli impegni di partito. (Approvazioni al centro).

TUMMINELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TUMMINELLI. Mi paiono vane le ragioni dell’onorevole Gullo. Noi faremo il nostro dovere ora, negli ultimi tempi, perché lo abbiamo fatto sempre, anche non venendo la domenica. Noi – e concordo con l’onorevole Scoccimarro – abbiamo assunto impegni, per domenica, ai quali non possiamo derogare; saremmo pertanto posti nella condizione di non esser presenti alla seduta solenne solo perché fa comodo ai colleghi democristiani. (Rumori al centro).

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Credo che non esistano impegni dai quali non ci si possa disimpegnare, quando si tratta di compiere qui, in sede di lavori costituzionali, il proprio dovere. Se occorre, lavoreremo di domenica, dobbiamo lavorare di domenica! I signori deputati, se credono di non partecipare a questo supremo dovere, perché suppongono di averne uno maggiore, facciano quello che credono, ma noi dobbiamo assolvere questo compito. Parlo così io, vecchio, che sono stato sempre presente alle sedute. (Vive approvazioni al centro).

CANDELA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANDELA. Propongo che all’esame del testo coordinato della Carta costituzionale e alla votazione definitiva si proceda nei giorni 28, 29 e 30 dicembre (Commenti).

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Onorevole Presidente, io credo che sarebbe forse il caso di far presente ai colleghi un elemento della discussione che abbiamo avuto nella riunione dei presidenti di Gruppo, e cioè che si è pensato di far coincidere la entrata in vigore della Costituzione col primo dell’anno 1948, nel quale ricorre il centenario del 1848, che è così glorioso nella storia d’Italia. Ora, se noi non approviamo la Costituzione entro lunedì, corriamo il rischio di non avere i cinque giorni di tempo fra l’approvazione e la promulgazione; ed allora la Costituzione non sarebbe pronta per entrare in vigore il 1° gennaio. Questa considerazione è stata fatta, ed io mi son permesso di rifarla perché i colleghi possano apprezzare e vedere se è il caso di far coincidere l’entrata in vigore della Costituzione col primo giorno dell’anno, anziché offrire la Costituzione agli italiani come un regalo dell’Epifania, il che avrebbe forse una minore solennità od anche una certa apparenza di giocattolo (Si ride), che non mi pare sia opportuno dare a questo grande documento che ci siamo sforzati di fare.

PRESIDENTE. Vi sono tre proposte: quella Candela per rinviare senz’altro le sedute destinate all’approvazione definitiva della Costituzione a dopo le vacanze natalizie; quella di tenere seduta domenica e lunedì; quella infine di tenere seduta lunedì e martedì.

Pongo ai voti la proposta Candela.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione la proposta di tenere seduta nei giorni di lunedì e martedì.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Resta pertanto inteso che si terrà seduta domenica e lunedì, salvo decidere domani sera l’ordine del giorno per le sedute domenicali.

La seduta termina alle 13.40.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 18 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXXIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 18 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello statuto della Regione siciliana:

Presidente

Risultato della votazione:

Presidente

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):

Togliatti

Zuccarini

Nitti

Giannini

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

Negarville

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana. Estraggo a sorte il nome di 12 deputati che dovranno comporre la Commissione di scrutinio.

Risultano estratti i nomi degli onorevoli Miccolis, Tripepi, Meda Luigi, Musotto, Calosso, Gortani, Sampietro, Guariento, Lucifero, Adonnino, Montagnana Rita e Malagugini.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Avverto che le urne rimarranno aperte.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

È iscritto a parlare l’onorevole Togliatti. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Signor Presidente, signore, onorevoli colleghi, l’altro giorno, immediatamente dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, con alcune rapide, improvvisate battute, ho sollevato una questione, apparentemente di forma, relativa al modo come si è addivenuti alla costituzione di questo Governo, denunciando il fatto che, secondo il mio modo di vedere, esso è stato costituito violando le tradizionali forme di consuetudine del funzionamento di un regime costituzionale e parlamentare.

Non voglio far perdere all’Assemblea più tempo che non sia necessario per parlare di questa questione; debbo però dire che nessuno degli argomenti presentati dal Presidente del Consiglio, a difesa del suo operato, e dalla stampa fuori dell’Assemblea, mi ha convinto che la mia opinione sia errata. Al contrario. Gli esempi portati dall’onorevole Presidente del Consiglio mi hanno convinto della giustezza della mia posizione, perché nel primo dei casi da lui citati si ebbe niente di meno che un reincarico per un rimaneggiamento che ebbe luogo negli stessi settori parlamentari; nel secondo caso, essendo stati esclusi dal nuovo Governo due partiti, uno, il Partito socialista, non poteva essere preso in considerazione né consultato, poiché eravamo nel 1920, in quel periodo in cui il Partito socialista non si poneva sul terreno della collaborazione governativa, mentre l’altro, il Partito popolare, non solo venne consultato, ma prese posizione con una sua risoluzione dopo la consultazione, rifiutando la propria partecipazione.

Questione di forma, si dirà. È vero; nel diritto costituzionale, però, la forma è sostanza. Tutte queste forme sono sancite o in testi o dalla consuetudine, allo scopo di dare determinate garanzie a tutti i partiti dell’Assemblea; garanzia, per esempio, che nel corso della riorganizzazione di un Governo, tutti i partiti possano intervenire, precisando a tempo le loro posizioni; garanzia che vengano tutelati i diritti delle minoranze, e così via.

Ma io non avrei sollevato questa questione se essa non mi portasse a considerare un elemento che è caratteristico di tutta la condotta politica dell’attuale Presidente del Consiglio. Ciò che egli ha fatto questa volta e in cui vi è questo errore di forma, e quindi di sostanza costituzionale, è coerente con ciò che egli ha fatto le volte precedenti. Se esaminiamo con attenzione e con spirito critico la condotta costituzionale dell’onorevole De Gasperi, non possiamo sfuggire alla impressione che nel modo come egli concepisce i rapporti reciproci tra il Parlamento, da una parte, organizzato sulla base dei partiti, e il capo del potere esecutivo ed i membri del Governo dall’altra parte, che escono da questi partiti, vi è qualche cosa che non è conforme alla nostra tradizione costituzionale e democratica e non è nemmeno conforme allo spirito della nostra attuale Costituzione. Affiora in realtà da tutto il modo come l’onorevole De Gasperi imposta, tratta e risolve queste questioni, una figura nuova, la figura del «capo del governo» investito preliminarmente della funzione di essere il capo di qualsiasi Governo riesca a lui di costituire, modificando e la Costituzione e la maggioranza di questo Governo, spostando quest’ultima dall’uno all’altro settore a seconda della convenienza, ma eludendo sia il metodo di provocare un voto del Parlamento quando si tratta di dimissioni, sia la consultazione dei partiti parlamentari quando si tratta di rimpasto.

Una concezione di questo genere affiorò nel dibattito della seconda Commissione costituzionale di questa Assemblea, in alcune proposte che venivano precisamente, credo, da parte democristiana e da parte del partito autonomista o almeno di alcuni dei loro esponenti. Queste proposte tendevano a creare una simile figura di «capo del governo», ma vennero respinte. Quando noi parliamo, a proposito di De Gasperi, di un «cancelliere» non è una insolenza che noi lanciamo, ma una definizione politica corretta. Noi vogliamo con questo termine individuare e mettere in luce questa singolare caratteristica della concezione politica dell’attuale Presidente del Consiglio, nella quale sentiamo non soltanto in germe, ma già in pieno sviluppo una contradizione con quelle che sono le norme fondamentali del regime costituzionale del nostro Paese. «Cancelliere» è effettivamente quell’uomo politico il quale è investito della funzione di dirigere il Governo in qualsiasi condizione e che si maneggia la sua combinazione governativa e la sua maggioranza come gli fa comodo, che apre una crisi facendo un discorso alla radio, che presenta un nuovo Governo senza avere consultato i grandi partiti parlamentari, che si comporta insomma come si è sinora comportato l’onorevole De Gasperi in qualità di Presidente del Consiglio.

Vorrei però che nessuno si spaventasse di questo termine di «cancelliere». Vi sono stati dei «cancellieri di ferro», ma se io penso al modo come questo metodo di degenerazione del regime parlamentare e democratico verrà spazzato dal voto popolare alle prossime elezioni, e se penso inoltre a quella singolare sollecitudine o preoccupazione che l’onorevole De Gasperi dimostra per tutto quello che viene scritto sui giornali, per la informazione di un cronista che secondo lui può determinare una crisi di governo, e così via, mi pare che all’onorevole De Gasperi si addica piuttosto la definizione di «cancelliere di carta», il che vuol dire che senza dubbio assai più facile sarà al popolo italiano liberare il Paese da questa figura che contrasta con tutta la nostra tradizione liberale, democratica e parlamentare. (Applausi all’estrema sinistra – Rumori al centro).

Sempre a proposito di questa singolare concezione antidemocratica dell’attuale Presidente del Consiglio, non posso non esprimere ancora una volta il mio profondo stupore perché, non dico membri del Partito saragattiano, i quali sono disposti a tutto, ma perché il Partito repubblicano, nel quale fino ad ora avevamo constatato l’esistenza di una coerenza democratica, per lo meno nelle dichiarazioni, abbia voluto dare la propria collaborazione e il proprio contributo al perfezionamento di un atto politico, il quale consolida un metodo contrario alle norme della più corretta democrazia parlamentare.

È, del resto, questo metodo che rende difficile, come già nel corso delle precedenti crisi aperte dall’onorevole De Gasperi, di definire esattamente che cosa è avvenuto. L’onorevole De Gasperi ci diceva l’altro giorno: se volete sapere che cosa è accaduto, leggete i giornali e lo saprete. Sui giornali si leggono parecchie cose, ma io ripeto che queste cose vorremmo conoscerle attraverso le corrette forme parlamentari. Sui giornali, per esempio, quando l’onorevole De Gasperi maneggia crisi governative del genere dell’attuale, cominciano ad aver corso curiosissime definizioni delle funzioni a cui vengono chiamati gli uomini che comporranno il Governo presieduto dallo stesso onorevole De Gasperi. Così, per l’onorevole Saragat, abbiamo letto con stupore che egli sarebbe il «Vice Presidente con compiti di consulenza politica per la parte sociale». Bellissima espressione settecentesca! Spero che l’onorevole Pacciardi sia per lo meno «Vice Presidente con compiti di consulenza sociale per la parte politica». (Si ride).

Non c’è da ridere. La ricerca di queste definizioni e la stessa possibilità di esse indica il vizio del sistema. Si è infatti Ministri di qualche cosa: dell’interno, degli esteri, della giustizia: di qualche cosa di cui si risponde. Non esistono, in un regime parlamentare e costituzionale bene ordinato, queste funzioni di Ministri, Vice Presidenti, consiglieri, consulenti del Capo del Governo per questa o per quella cosa. Non esistono, non sono mai esistite nella nostra Costituzione.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Lei non è stato Ministro senza portafoglio?

TOGLIATTI. Onorevole Pacciardi, io ho criticato quel sistema; l’ho sempre considerato come un sistema che disorganizzava l’attività e il funzionamento del Governo, e ho fatto tutto il possibile perché quella figura politica, allora imposta da certe circostanze, scomparisse. Qui si cerca di renderla permanente e ad ogni crisi, ad ogni ricomposizione del Governo vedremo affiorare nuove figure bizzarre, nuove barocche definizioni di questo tipo. E quando cercheremo di capire e andremo a cercare che cosa è avvenuto, ci troveremo veramente nell’imbarazzo.

Ho cercato per conto mio di raffrontare le differenti spiegazioni che sono state date dei motivi per cui questo Governo è stato così composto e degli obiettivi che si propone di raggiungere. Ho trovato una interpretazione del Presidente del Consiglio dei Ministri (o speriamo sia la interpretazione democristiana, per lo meno); ho trovato una interpretazione repubblicana; ho trovato una interpretazione saragattiana: ed esse non coincidono.

Secondo l’onorevole Presidente del Consiglio, il Governo è stato così organizzato (scusate l’espressione senza dubbio tradotta da un altro idioma, ma è De Gasperi che l’adopera) «per accrescerne la funzione rappresentativa». Ma per «accrescere la funzione rappresentativa» di un Governo, e cioè, diremmo noi, per rendere un Governo più rappresentativo, occorre scegliere uomini che facciano parte di partiti i quali abbiano questa «funzione rappresentativa», cioè che rappresentino una parte notevole dell’elettorato, e quindi della massa dei cittadini.

Come stanno invece le cose? Per rendere il suo Governo più rappresentativo l’onorevole De Gasperi cerca gli uomini meno rappresentativi (Commenti); cerca gli uomini come quelli del partito di Saragat i quali in realtà, se andiamo a vedere quali sono le loro basi nel Paese, difficilmente possiamo dire che rappresentino una parte ingente di esso. (Commenti a sinistra).

 Permettetemi, poiché protestate, di darvi la prova documentata delle mie affermazioni. Permettetemi di ricorrere alla statistica, alle cifre. Secondo il Presidente del Consiglio dei Ministri, l’adesione del partito di Saragat a questa sua nuova combinazione dovrebbe significare il contributo dato al suo Governo dalle forze della «democrazia socialista».

Ora, le forze della democrazia socialista sono essenzialmente le forze politicamente organizzate della classe operaia e di quelle classi lavoratrici che più strettamente sono legate alla classe operaia e ai suoi ideali. Da un lato entra in giuoco la tradizione, dall’altro lato l’organizzazione. Ma dove sono in questo caso l’organizzazione e la tradizione? Dove è la classe operaia? Per chi vota la classe operaia? Dietro chi si schiera? Chi rappresenta in questa Assemblea quella classe operaia socialista di cui il Presidente del Consiglio vorrebbe i rappresentanti per «accrescere la funzione rappresentativa» del suo Governo?

SCHIRATTI. In regime parlamentare contano i deputati.

TOGLIATTI. La classe operaia è organizzata nei suoi Sindacati. Orbene, in questi Sindacati la consultazione democratica degli iscritti dà al partito diretto dall’onorevole Saragat l’1,98 per cento dei suffragi; e la stessa percentuale si ripete, anzi cade, nelle singole organizzazioni di mestiere.

Quando poi mi sono preso la curiosità di andare a vedere se per caso non sussistessero ancora alcune di quelle vecchie cittadelle della democrazia socialista, intesa in senso riformista, che una volta esistettero nel nostro Paese e di cui ricordo Livorno e Reggio Emilia, ebbene, nella Camera del Lavoro di Livorno il Partito comunista raccoglie 33.469 voti pari al 69,01 per cento e il Partito socialista dei lavoratori italiani raccoglie due voti. (Ilarità all’estrema sinistra). Due voti, non il due per cento!

SARAGAT, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. E a Molinella quanti?

TOGLIATTI. A Reggio Emilia, già cittadella del movimento socialista riformista, oggi il partito saragattiano è respinto dai lavoratori reggiani, che tengono fede alla tradizione del socialismo e che gli danno il 0,5 per cento di suffragi.

Comprendo che un Governo, ad un certo momento, sia logoro. Il precedente Governo dell’onorevole De Gasperi era certamente logoro. Comprendo che egli cercasse qualche forza vergine per rinfrescarsi. Sono esigenze, che alle volte si sentono nell’esistenza.

L’onorevole Saragat, il quale conosce gli uomini del suo partito, conosce queste cifre, e poiché dicono sia persino conoscitore di letteratura francese, avrebbe potuto ricordare a De Gasperi lo scherzoso distico di Voltaire:

«Monsieur Denys (o Monsieur Alcide, se vogliamo) pour finir-nos querelles

«Cherchez ailleurs, s’il vous plaît, des pucelles».

Cercate altrove la forza vergine rappresentativa! Perché, se vi ostinate ad andare a prendere quei due voti di Livorno o quel 0,5 per cento di Reggio Emilia, voi allora autorizzate una conclusione logica: voi cercate, sì, i socialisti, ma li cercate quando non rappresentano più niente. I «socialisti» che voi cercate non rappresentano più niente, perché sono stati respinti dalla classe operaia e dalla classe lavoratrice. (Applausi all’estrema sinistra). Essi non rappresentano più niente perché essi hanno rinnegato il socialismo. (Applausi all’estrema sinistra – Rumori a sinistra). Ecco quello che voi volete, onorevole De Gasperi. Voi i socialisti li volete, ma solo quando hanno rinnegato il socialismo.

Queste considerazioni, che mi sono dettate da semplici rilievi di fatto, danno un particolare colorito a questa formazione governativa.

Quanto al Partito repubblicano, devo dire che l’interpretazione che esso dà, attraverso la propria direzione, della formazione di questo Governo, differisce da quella che dà l’onorevole De Gasperi.

Il Partito repubblicano dice che si tratta di «riannodare i fili dell’unità democratica, di distendere gli animi, di tranquillizzare gli spiriti, di attutire i contrasti». Lodevolissime intenzioni! Però, tutto questo può essere ottenuto soltanto quando si applichi un determinato metodo politico, che conduca a questi risultati. Non basta la semplice adesione del Partito repubblicano a un Governo, soprattutto nell’attuale situazione del nostro Paese. Voi siete, sì, un partito che rappresenta parte della nostra tradizione nazionale e della cui tradizione riconosciamo la nobiltà. So che voi rappresentate gruppi di popolo raccolti in alcune zone nelle vostre sezioni e attorno ad esse, in Romagna, nella Versilia, in Maremma, a Roma, altrove. Nessuno vi nega questo fatto. Ma si tratta di vedere qual è la politica che voi oggi seguite, dove voi volete portare questi gruppi di popolo, queste masse più o meno numerose che ancora vi seguono, e se la vostra politica corrisponde alla loro volontà. In realtà anche voi, dal 2 giugno in poi, avete diminuito, per dirla ancora una volta con l’onorevole De Gasperi, la vostra «funzione rappresentativa». In tutte le consultazioni elettorali seguite al 2 giugno i vostri voti sono diminuiti da un terzo a una metà, a seconda delle località. Fatto spiegabile: un partito repubblicano in Repubblica è un anacronismo. Il Partito repubblicano, dopo il 2 giugno, era in realtà un partito che doveva spiegarsi, che doveva dire che cosa esso è. È esso un partito di conservazione; è esso un partito di riforma e di progresso sociale?

DE VITA. È un partito di progresso, onorevole Togliatti, nell’ordine e nelle libertà democratiche.

TOGLIATTI. Cercherò di risponderle, onorevole De Vita. Mi pare infatti che l’operazione compiuta da voi in questo momento debba lasciare molto perplessi, non dico voi, ma almeno i vostri iscritti, i membri delle vostre sezioni e i vostri elettori, i quali, per una parte senza dubbio notevole, sono elettori che desiderano un programma di progresso politico e sociale. Non credo che questi elettori possano dichiararsi sodisfatti dell’operazione politica diretta dall’onorevole Pacciardi e da lui realizzata con De Gasperi, perché questa operazione manifesta invece un indirizzo nettamente conservatore del Partito repubblicano e non progressivo, né nel campo politico, né nel campo sociale. (Proteste a sinistra). Voi, colleghi repubblicani, vi sete rifiutati di partecipare al Governo con noi, quando vi dicevamo che la partecipazione al Governo, accantonato il problema monarchico, era un contributo che si doveva dare all’organizzazione della resistenza e della guerra di liberazione.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Era un Governo col re: non potevamo parteciparvi.

TOGLIATTI. Vi ha fatto ombra quel povero luogotenente del regno, quantunque, onorevole Pacciardi, tutti ormai abbiano capito ciò che l’onorevole Sforza e il senatore Croce avevano capito fin dai tempi di Napoli e di Salerno, e cioè che la collaborazione con quel disgraziato luogotenente era l’arma più efficace per sbarazzarsi della monarchia. (Commenti – Interruzione del deputato Mazza).

Perfino l’hanno capito, direi, l’onorevole Benedettini e l’onorevole Covelli. (Ilarità all’estrema sinistra – Rumori a destra). Ad ogni modo voi avete rifiutato allora la vostra collaborazione, quando forti motivi nazionali lo esigevano. Voi la rifiutaste però anche nel gennaio 1947. Umberto era partito; il povero luogotenente non c’era più. Eravamo in regime repubblicano e se voi veramente aveste detto o fatto allora le cose che dite adesso di voler fare e con quel proposito foste venuti al Governo con noi, la vostra partecipazione, col programma che dite di voler difendere e applicare oggi, forse avrebbe contribuito a dare un diverso sviluppo agli avvenimenti politici dell’ultima annata. La vostra partecipazione sarebbe stata, senza dubbio, una cosa positiva. Ma voi l’avete sdegnosamente rifiutata, per motivi che a tutt’oggi io non riesco a capire, né il Paese è ancora riuscito a capire. E voi ora date la vostra collaborazione al Governo democristiano, dopo di che? Dopo il congresso di Napoli della Democrazia cristiana. Questo è un fatto grave. Il congresso di Napoli della Democrazia cristiana è stato infatti un congresso di rottura delle forze democratiche. (Proteste al centro). È stato un congresso tenuto al grido della parola: «Mettete fuori legge i comunisti!». Questo è il significato di quel congresso.

Mi dicono che in quel congresso sarebbero venuti a galla alcuni dirigenti democristiani cosiddetti di sinistra. Ma che si chiamino «di sinistra» a me non importa niente. Io non so riconoscervi gli uni dagli altri, colleghi democristiani di destra e di sinistra, quando guardo alla sostanza. Se l’onorevole Dossetti presenta una mozione determinata e poi entra in una direzione, la cosa per me è priva di valore, poiché so che l’onorevole Dossetti quando riunisce i suoi organizzatori nella provincia di Reggio Emilia dice loro: «Noi vogliamo ritornare al 1919, perché nel 1919 i comunisti erano una piccola setta che si poteva schiacciare. Vogliamo ritornare a quella situazione e schiacciare i comunisti». Non mi importa niente della mozione Dossetti, quando so che questa è la posizione politica di colui che l’ha proposta, una posizione politica esiziale per il nostro Paese, una posizione politica che contiene in germe la provocazione a tutti i conflitti politici e sociali, la provocazione alla guerra civile.

Voi, colleghi del partito repubblicano, avete, aderendo all’attuale Governo De Gasperi, accettato e fatto vostra l’impostazione politica del congresso di Napoli. (Interruzioni a sinistra).

Quello che importa è questo orientamento politico da cui deriva anche l’errore costituzionale fatto dall’onorevole De Gasperi. Come faceva egli a consultarsi con i comunisti e con i socialisti, quando in partenza aveva deciso di creare una situazione in cui socialisti e comunisti fossero messi al margine della democrazia, per cercare poi di farli scivolare al di fuori del terreno democratico? Egli non poteva, e voi Pacciardi, voi Facchinetti, voi colleghi repubblicani, vi siete fatti complici di questa manovra. Questo è il vero significato della vostra partecipazione al Governo attuale.

Ma badate, che in cambio di questa complicità l’onorevole De Gasperi non vi ha nemmeno dato niente, perché chiedevate il Ministero dell’interno e non ve lo ha dato, non vi ha dato il Ministero di grazia e giustizia, non vi ha dato nulla che conti né come prestigio né come possibilità di dirigere una parte dell’apparato dello Stato. Non vi ha dato nulla nemmeno per ciò che si riferisce all’Esercito, perché, se permettete, io ricordo un discorso tenuto qui dall’onorevole Pacciardi in cui egli diceva che al Ministero della guerra, Ministro l’onorevole Facchinetti, la Repubblica finiva al Gabinetto del Ministro, perché il piantone che stava fuori di questo Gabinetto non era repubblicano e il Ministro non era riuscito a mandarlo via dal suo posto.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Purtroppo, anche al Ministero di grazia e giustizia, quando c’era lei.

TOGLIATTI. Voi non avete dunque nemmeno avuto niente. E perché non avete avuto niente? Perché è nel metodo dell’onorevole De Gasperi di collaborare con un partito soltanto dopo averlo umiliato…

Una voce al centro. Non è vero!

TOGLIATTI. …o allo scopo preciso di umiliarlo. Se l’onorevole Giannini prenderà la parola in questo dibattito e se la lunga e asfissiante permanenza sotto quella maleolente tonaca non avrà tolto al pappagallo la sua vecchia e popolaresca abilità di polemista, forse potrebbe confermare la verità di quello che vi dico. (Ilarità). In realtà, da quella parte (Indica la destra) per l’onorevole De Gasperi credo che il giuoco sia su per giù ormai finito. L’onorevole Giannini parlerà qui come l’ombra di quello che molti un anno fa credevano ch’egli fosse.

Ma il Partito liberale ha subito la stessa sorte. Il suo congresso di pochi giorni fa ce ne ha dato la prova, registrando in sostanza la fine di questo partito come formazione politica autonoma, seria, che conti qualcosa. Da quella parte le cose sono regolate.

Ed ora tocca a voi!

GIANNINI. No, adesso è lei che è diventato liberale, onorevole Togliatti! (Si ride).

TOGLIATTI. Voi dovete oggi subire l’umiliazione di una politica che l’onorevole Macrelli ha difeso ieri, con un accento che a tutti fece capire come egli la condanni. (Ilarità all’estrema sinistra – Commenti). Voi dovete aderire a questa politica senza nemmeno poter richiedere e ottenere quel compenso di dignità e, diciamo pure, esercizio di potere, a cui un partito che partecipa ad una formazione governativa ha diritto.

CHIOSTERGI. E quando voi avete approvato l’articolo 7? (Commenti).

TOGLIATTI. Io ho approvato l’articolo 7, anzi, il mio Gruppo lo ha approvato, onorevole Chiostergi, a seguito di una mia dichiarazione di voto, nella quale non era fatta la minima allusione alla circostanza che il nostro partito partecipasse in quel momento al Governo o non vi partecipasse. Il che vuol dire che noi oggi, posti di fronte allo stesso problema, faremmo altrettanto, manterremmo la stessa posizione, indipendentemente dalla nostra partecipazione o non partecipazione al Governo. Comunque, la nostra passata partecipazione al Governo non ha per nulla esercitato influenza sul nostro voto a favore dell’articolo 7. (Commenti).

E veniamo alla spiegazione saragattiana della soluzione della crisi attuale, la quale forse è quella che contiene maggiori elementi di sincerità. Il documento, infatti, col quale il partito dell’onorevole Saragat ha commentato la formazione di questo Governo, letto con attenzione, rivela quale è veramente l’anima del Governo. Il documento non ha nessun carattere costruttivo. È esclusivamente un documento polemico contro il nostro Partito, di cui vorrebbe criticare gli errori. Onorevole Saragat, tra quindici giorni si riunisce il nostro Congresso e i nostri errori, semmai, li discuteremo fra noi. Credo però che, tutto sommato, avremo modo di costatare che il nostro Partito in questi due anni ha avuto più successo del suo, il che vuol dire che, secondo il giudizio dalle masse, noi tanti errori non ne abbiamo commessi.

A parte questo, nel documento dell’onorevole Saragat è un po’ difficile orientarsi, data l’approssimativa lingua italiana in cui è scritto. Vi si parla, per esempio, di una «paralisi» in cui noi ci saremmo «posti», e a un certo punto questa «paralisi» diventa un «peso morto»! Scusi la critica, onorevole Saragat; comprendo d’altra parte che Ella ha dovuto tradurre il suo testo dall’inglese o dall’americano. (Rumori – Interruzioni).

Una voce all’estrema sinistra. Stia zitto, professore di mistica!

Una voce al centro. Dice a Laconi?

LACONI. Onorevole Presidente, chiedo la parola per fatto personale.

PRESIDENTE. La prego, onorevole Laconi.

LACONI. C’è qualche imbecille che sta parlando di me! (Rumori).

TOGLIATTI. A parte la forma, il tono di queste dichiarazioni del partito saragattiano, in sostanza – forse con un po’ più di ipocrisia – esprime lo stesso ordine di idee del Congresso democristiano di Napoli. Si tratta di un manifesto anticomunista, il quale esprime unicamente il proposito – ripeto – di mettere ai margini della vita democratica, ed eventualmente di escluderne, quei partiti che più direttamente, io direi fisicamente, sono legati alla classe operaia. Alla classe operaia italiana, alle classi lavoratrici e a quei gruppi sociali del nostro Paese che comprendono quale è la funzione di guida che oggi spetta alla classe operaia nel mondo moderno. «Fuori legge i comunisti!» Ecco il vostro grido, ecco il grido del congresso di Napoli.

Ridicolo vaneggiamento! Ci vuole altro che un cancelliere di carta per realizzare una simile parola d’ordine.

La forza crescente delle organizzazioni del nostro partito, le adesioni sempre più numerose alla nostra idea e ai nostri programmi di uomini e donne che provengono da tutte le classi sociali, sono tali e tante che noi stessi ne siamo meravigliati. Questa è veramente la marcia del progresso. (Commenti).

RUSSO PEREZ. È la marcia su Roma. (Interruzioni – Commenti).

Una voce al centro. È la marcia del rublo. (Commenti).

TOGLIATTI. No, questa è la resurrezione del popolo italiano. (Approvazioni all’estrema sinistra). È il popolo italiano il quale si leva in piedi e si organizza e lotta per scuotere dalle proprie spalle il giogo di secoli di servitù e di privilegi che hanno pesato su di esso. (Applausi all’estrema sinistra).

Voi non riuscirete mai a far girare all’indietro la ruota della storia. Altri tentarono di farlo e non ci riuscirono. Voi fallirete allo stesso modo. Potete condannare il nostro Paese a una vita tormentata per alcuni anni. Questo potete farlo, sì, avete forse in questo momento la forza materiale, avete certamente l’animo malvagio per farlo. (Proteste al centro – Interruzioni – Rumori).

Ma non potrete mai impedire che questo grande progresso di redenzione di folle, che noi rappresentiamo, venga arrestato, non potrete mai impedire che esso si realizzi come processo di costruzione di una democrazia e di una società nuove. Questo non potrete impedirlo mai! (Commenti – Interruzioni).

Per questo l’onorevole De Gasperi e i pennivendoli ai suoi stipendi, quando vanno in cerca degli argomenti per giustificare l’attuale politica democristiana, sono costretti a costruire, a inventare; ma costruiscono sul falso, su posizioni cioè che non corrispondono né alla verità, né alla realtà, e nemmeno agli interessi della Nazione italiana.

Quali sono del resto, gli argomenti che vengono portati contro di noi e che dovrebbero giustificare il proposito di «metterci fuori legge?» Premetto che dividerò la mia esposizione in due parti: motivi di politica estera, motivi di politica interna. Si dice, prima di tutto, che noi non approviamo il piano Marshall, e come si fa ad accettare in questo Governo, in questa democrazia, coloro che non approvano il piano Marshall? Come si fa a non approvare il piano Marshall? Vade retro Satana! Si tolgano dalla scena coloro che non sono d’accordo con questo Vangelo.

Ma, o signori, io vorrei che si levasse in piedi quello di voi che sa che cosa il piano Marshall significhi per il nostro Paese, e credo che l’ultimo ad alzare la mano sarebbe proprio l’onorevole Sforza.

Quando ci si è parlato del piano Marshall noi abbiamo sollevato una prima istanza di riserva e di opposizione. Abbiamo chiesto che ci dicessero che cosa significa questo piano pel nostro Paese, cioè che ci dicessero quali sono gli impegni che vengono a gravare sulla Nazione, sullo Stato, sull’economia italiana, in corrispondenza all’adesione che, pare, il nostro Governo abbia dato a quel famoso «piano». A questa richiesta non ci è stata data risposta.

La dichiarazione ministeriale dell’onorevole De Gasperi dell’altro ieri avrebbe dovuto almeno contenere un minimo di spiegazione a questo proposito, dal momento che il piano Marshall sembra sia stato la pietra di paragone di cui egli si è servito per determinare la composizione del suo Governo.

Egli ci ha parlato infatti di un dovere di onestà, anzi di un impegno per il quale noi – dissenzienti – non avremmo potuto venire con lui. Ebbene, ci dica che cos’è questo impegno, in che cosa esso consiste. Noi non lo sappiamo, e nessuno in Italia lo sa. Noi dobbiamo faticosamente andar ricercando qualche cosa che lo concerna nei fogli della stampa estera e quando apriamo una discussione sollevando obiezioni di sostanza, ci rispondono che abbiamo bisogno dell’aiuto americano. Giunti a questo punto, tutti i giornali, dal liberale all’indipendente, dal cattolico al saragattiano, dal neo fascista al repubblicano, ci ripetono la stessa solfa: l’aiuto, l’aiuto, l’aiuto!

Ma, signori, questa posizione è falsa; questa posizione è da respingere e noi veramente la respingiamo. Questo modo di porre il problema è antinazionale. Esso contiene in germe il più grave pericolo per la nazione italiana, perché contiene in germe la rinunzia alla nostra libertà e indipendenza economica, e quindi è per ciò stesso la rinuncia all’affermazione dello Stato e quindi della nazione italiana come Stato e Nazione indipendente, la rinunzia per l’Italia ad essere potenza fra le potenze, il che è poi l’obiettivo che dovremmo proporci di raggiungere nell’attuale fase della nostra politica nazionale.

Già l’onorevole Nenni ha nel suo intervento di ieri, difeso una posizione molto giusta trattando di questo tema. Un paese libero scambia merci con merci; un paese sano scambia merci con merci, non scambia merci contro il credito di una moneta che non è in condizione di procurarsi attraverso lo sviluppo normale dei suoi traffici, e che, per studiare il modo di procurarselo, deve ricorrere al gioco di acrobazie intellettuali di cui ci ha dato un esempio ieri l’onorevole Valiani, mentre nessuno dei colleghi prestava attenzione a quanto egli diceva.

Noi siamo già oggi in condizioni di fondare la nostra politica estera sulla base di una politica economica differente. Noi dobbiamo pertanto respingere l’impostazione che vien data da tutta questa stampa prezzolata non so da quale ambasciata, e che umilia il Paese, e avvelena l’opinione pubblica parlando sempre di aiuti e soltanto di aiuti e ancora di aiuti che abbiamo bisogno di ricevere dai generosi americani.

Per questa strada, onorevoli colleghi, non si può andare avanti senza mettere in pericolo l’indipendenza del Paese. Per questa strada si arriva alla dichiarazione di Truman, la quale dichiarazione non è vero, onorevole Sforza, che non accenni a niente di più di quanto non vi sia nel Trattato di pace e nel Patto delle Nazioni Unite. Nel Trattato di pace non vi è nessun richiamo alla nostra sovranità e indipendenza a cui si possa riferire una dichiarazione come quella del signor Truman.

Nel Patto delle Nazioni Unite v’è, sì, un articolo che prevede la garanzia della pace e dell’indipendenza dei popoli. Esso è l’articolo primo, ma la garanzia di cui si parla è una garanzia collettiva; non è e non può essere la garanzia unilaterale di un solo Stato. È quindi inutile, onorevole Sforza che ella venga qui con l’aria del nobile decaduto in una Repubblica che ha soppresso i titoli nobiliari a dirci, col tono dell’uomo altiero: «Da gentil schiatta torno», dovete fidarvi di me.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Parli di cose serie! (Applausi al centro – Commenti all’estrema sinistra).

TOGLIATTI. Onorevole Sforza, mi rincresce che ella debba dirmi che parlo di cose non serie, proprio quando parlo di lei. (Ilarità all’estrema sinistra). Forse è questa la manifestazione di un residuo di autocoscienza che è in lei rimasto; me ne compiaccio.

Il tema di cui parlo, è il più serio che oggi stia davanti al popolo italiano. Ella onorevole Sforza, non ha trovato ancora il minimo di dignità necessario per protestare contro l’attività di un ambasciatore americano, il quale va in giro a organizzare gli industriali per la resistenza contro le classi lavoratrici, e per chiedere la loro adesione al fronte anticomunista. (Proteste al centro). Lei non ha trovato questo minimo di dignità che avrebbe avuto in regime monarchico un qualsiasi Ministro degli esteri di quelli che furono suoi predecessori. (Commenti al centro).

Una voce al centro. Nostalgie monarchiche!

TOGLIATTI. L’indipendenza del nostro Paese noi l’abbiamo riconquistata a fatica; né io voglio escludere che abbiamo bisogno di garanzie internazionali per difenderla, perché parlo realisticamente di politica estera e della situazione dell’Italia d’oggi. Ma una garanzia dell’indipendenza di un Paese, se vuole veramente essere garanzia di indipendenza, sempre deve essere collettiva. Tale fu la garanzia dell’indipendenza belga, che del resto non funzionò; tale è la garanzia dell’indipendenza svizzera, che invece ha funzionato nel corso di due o tre guerre.

Una garanzia unilaterale di indipendenza, è data per di più da quel signor Truman che ha formulato quella dottrina che voi tutti conoscete; da quel signor Truman che, mentre parla della nostra indipendenza, parla in pari tempo della «sicurezza» degli Stati Uniti. Una simile garanzia non è fatta per difendere la nostra indipendenza; anzi, è un atto che esprime soltanto la tendenza a trasformare il nostro Paese in protettorato di una grande potenza imperialista. Ci dica il Governo se quella dichiarazione l’ha sollecitata in qualsiasi modo; ci dica perché non ha protestato contro quella dichiarazione, perché noi non vogliamo che l’Italia diventi un protettorato di nessuno. (Commenti al centro – Interruzioni).

Lasciate dire, colleghi democristiani, qualche cosa da imparare troverete sempre in quello che noi diciamo.

Tutte le volte che in Europa o nel mondo si è costituito un blocco, come oggi si è costituito, di potenze politicamente e socialmente conservatrici, la sorte del nostro Paese è sempre stata legata alla lotta contro questo blocco e alla distruzione di esso. Così avvenne quando si creò, al principio dell’800, il primo blocco reazionario in Europa: la Santa Alleanza. Noi siamo sorti come Nazione in lotta contro la Santa Alleanza. Combattendo per diventare Nazione e Stato indipendente, abbiamo contribuito a distruggere la Santa Alleanza. Un secondo blocco conservatore reazionario fu nella seconda metà dell’Ottocento, la Triplice. Ebbene, anche in questo caso, noi, dopo essere diventati Stato nazionale indipendente, abbiamo incominciato a essere potenza tra le potenze, quando abbiamo incominciato a staccarci dal sistema della Triplice, a lavorare diplomaticamente per disgregarlo, a lottare per distruggerlo. Il merito del liberalismo italiano alla fine dell’ultimo secolo e al principio di questo fu proprio di aver capito che questa era una necessità della nostra vita nazionale. Oggi vediamo davanti a noi il terzo grande blocco reazionario, che è il blocco americano costituito sopra la base della dottrina di Truman. Per l’Italia l’alternativa è oggi come quella di allora. Sotto la protezione di quel blocco l’Italia potrà essere semmai un protettorato, non potrà essere un Paese libero ed indipendente. (Proteste al centro).

Le sorti d’Italia dopo questa guerra, la possibilità che l’Italia torni ad essere come noi vogliamo che torni ad essere, nazione libera fra le nazioni libere, potenza fra le potenze, è che il nuovo blocco reazionario non riesca mai a stabilire sopra il nostro Paese la propria presa, a farci diventare un protettorato. Le sorti d’Italia sono legate alla prospettiva che questo blocco, il quale è un blocco di forze conservatrici e reazionarie, che nella difesa disperata del regime capitalistico raccolgono attorno a sé tutti i residui dei regimi reazionari passati, non riesca mai a stabilire il proprio dominio su nessun popolo libero di nessuna parte del mondo. (Interruzione del deputato Mazza).

BELLAVISTA. Lei c’è stato mai in America?

TOGLIATTI. L’onorevole che testé mi ha interrotto, dell’estrema destra, ha parlato di Stalin, cioè della Russia. Egli mi offre l’occasione di aggiungere a questo proposito qualche considerazione. Leggevo in questi giorni un interessante libretto che ho trovato finalmente in una biblioteca dopo tanto tempo che lo cercavo, e che contiene una serie di rivelazioni sulla vita diplomatica di uno dei nostri migliori diplomatici, Salvatore Contarini, uomo che ho avuto la ventura di conoscere nell’estate del 1944 e col quale ho avuto occasione di scambiare opinioni sul grave problema del destino della Nazione e dello Stato italiano dopo questa guerra e al punto a cui ci ha portato la criminale politica del fascismo. Ho ritrovato in questo libro le idee fondamentali che il Contarini allora mi esponeva e che coincidevano con le mie considerazioni e preoccupazioni.

Tutta la concezione politica di quel diplomatico, che fu uno di quelli che diedero un maggior contributo allo sviluppo di una politica estera italiana autonoma e indipendente, è fondata prima di tutto sulla constatazione che l’Italia per essere un Paese libero indipendente, non deve permettere che si costituiscano grandi blocchi internazionali di potenze imperialistiche, essendo ad essa esiziale questa politica; in secondo luogo, è fondata sulla oggettiva constatazione, che uno dei contributi più grandi alla conquista di un’indipendenza diplomatica e quindi politica del nostro Paese è stato dato proprio da coloro i quali hanno coltivato le nostre relazioni con la Russia. Noi diventiamo potenza fra le potenze quando intacchiamo il blocco della Triplice, e noi intacchiamo per la prima volta seriamente il blocco della Triplice con il patto di Racconigi.

Tutto il problema della politica estera del nostro Paese in questo dopoguerra sta proprio nel ristabilire un nostro contatto, e una collaborazione con quel grande Paese la cui amicizia può consentire all’Italia di riprendere in Europa e nel mondo una posizione di libertà e di indipendenza.

Ma, a questo proposito, tutta la nostra politica estera in questi ultimi anni è stata sbagliata, falsa. Essa ha spinto il nostro Paese in un vicolo chiuso, da cui non vi è via di uscita, perché non è una via di uscita per una nazione come la nostra quella di sollecitare o di esaltare una dichiarazione unilaterale che stabilisce sull’Italia un protettorato americano. Questo, se mai, è l’inizio della fine dell’indipendenza del nostro Paese.

All’onorevole Lussu, il quale ieri ha affermato che non gli risulta sia esistita o esista una pressione straniera per escludere un determinato partito, diciamo il Partito comunista o quello socialista, dal Governo italiano, debbo dire che egli è troppo ottimista. Anzi, egli è un illuso. Legga il collega Lussu la «Voce Repubblicana» del 16 dicembre 1946. Nell’editoriale di questo giornale è detto in tutte lettere che la presenza dei comunisti al Governo ci toglierebbe immediatamente gli aiuti americani.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Era Lowett che lo diceva, non la Voce Repubblicana.

TOGLIATTI. Io non so chi l’ha detto. Io so che qui la cosa è detta con l’autorità di un partito che è al Governo, con l’autorità dei dirigenti di questo partito. Io sono quindi costretto a crederlo. Non voglio credere che si tratti di un’affermazione escogitata da un editorialista per impressionare il Paese. Ci troviamo di fronte a una constatazione seria, che porta la firma di un partito ragguardevole e a cui perciò dobbiamo credere.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Era la dichiarazione di Lowett…

TOGLIATTI. Allora la cosa è vera. E allora, onorevole Pacciardi, se questo è vero, perché lei rimane in quel Governo? Non sente quale fonte di abiezione è per il nostro Parlamento… (Applausi all’estrema sinistra) il fatto che il Governo del nostro Paese, per la prima volta nella storia – (no, per la seconda volta, a Salò pure si faceva così) – venga costituito secondo gli ordini di una potenza straniera? (Rumori). Amici repubblicani, dopo Novara, che fu quella catastrofe che tutti sappiamo, i ministri della monarchia piemontese respinsero con sdegno ogni forma anche lontana di intervento straniero nella politica interna del Paese. Anche nei tempi più oscuri della politica triplicista – di quella politica contro la quale lottò tanto la destra quanto la sinistra quando prima l’una e poi l’altra pensarono che essa fosse legata a un intervento nella nostra politica interna – nemmeno nei tempi più oscuri della politica triplicista, ripeto, si è mai data una cosa simile. E voi, repubblicani, accettate di entrare nel Governo in questo momento e sotto questa insegna!

Vergogna per te, Pacciardi!

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Tu ci sei stato sotto l’occupazione straniera. (Applausi a sinistra, al centro e a destra – Proteste all’estrema sinistra). Hai subito l’umiliazione di stare con il re. (Rumori all’estrema sinistra). Hai controfirmato le clausole dell’armistizio per stare al Governo. (Rumori).

TOGLIATTI. Io dico che per voi è una vergogna, lasciatemelo ripetere. Voi trascinate nel fango le bandiere… (Applausi all’estrema sinistra – Rumori prolungati a sinistra e al centro – Commenti).

BELLAVISTA. Di quale bandiera parla?

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Noi vi impediamo di ritornare al fascismo. (Applausi a sinistra e al centro).

Una voce. Ritiri le parole. (Scambio di vivaci apostrofi – Agitazione – Tumulto – Reiterati richiami del Presidente, che sospende la seduta).

(La seduta, sospesa alle 17.55, è ripresa alle 18.20).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte siciliana. Prego gli scrutatori, il cui nome è stato sorteggiato all’inizio della seduta, di recarsi nella sala apposita per lo spoglio delle schede.

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Zuccarini. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi! Pochi minuti fa l’onorevole Togliatti si è lasciato sfuggire delle parole, che non so se volessero essere offesa particolare al nostro Partito, od offesa ai sentimenti patriottici di tutta l’Assemblea. Egli ha detto, ed i resoconti stenografici non mentono: «Voi trascinate nel fango le bandiere…».

Se questa frase, completata, doveva riferirsi alla bandiera nazionale, io credo che questa espressione sia inammissibile qui dentro. Se voleva riferirsi alle bandiere del nostro partito, io dico ed affermo che mai bandiere più patriotticamente furono sventolate nella lotta politica italiana, ed a nome del mio partito io protesto contro l’affermazione che ci offende e che non corrisponde alla verità storica, la quale dice il contrario. Io prego l’onorevole Presidente di voler invitare l’onorevole Togliatti a ritirare od a spiegare il senso delle sue parole: lo chiedo per l’onore di questa Camera, ma soprattutto per l’onore di quel partito in nome del quale io parlo in questo momento, partito che se ha un merito, è quello di avere in ogni momento sostenuto e difeso gli alti interessi della Patria italiana. (Vivi applausi a sinistra, al centro e a destra).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Togliatti il quale, senza dubbio, riprendendo il suo discorso, chiarirà il significato delle parole che ha pronunciato.

TOGLIATTI. Signor Presidente, colleghi repubblicani, le parole da me pronunciate le ripeto prima di tutto testualmente. Sono queste: «Voi trascinate nel fango le bandiere di quel partito che fu di Alberto Mario e di Giuseppe Mazzini». Queste sono le esatte parole che io ho pronunciato.

MARINELLI. Questo ci offende!

Una voce al centro. Ritiri.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, suppongo che l’onorevole Zuccarini, nel modo più autorizzato e autorevole, ha detto quello che riteneva si dovesse dire nel nome del partito posto in causa e non comprendo perché altri desiderino aggiungere, prima che l’onorevole Togliatti abbia parlato, altre parole a quelle che abbiamo udito poco fa.

Facciano silenzio! Prosegua, onorevole Togliatti

TOGLIATTI. Sono più che disposto, colleghi repubblicani, a dirvi e confermarvi che non vi è in questa espressione nulla che possa essere ritenuto, sia nelle parole sia nelle intenzioni, come offensivo per il vostro partito o per le sue tradizioni. Già ebbi l’occasione di dire, nella prima parte della mia esposizione, che apprezzo le tradizioni del vostro partito, che ritengo essere parte integrante della grande tradizione nazionale italiana. Con questa mia espressione volevo sottolineare unicamente – forse in forma polemica vivace e aggressiva – l’impressione suscitata in me dall’articolo a cui mi riferivo e nel quale riscontravo non solo il riconoscimento, ma la supina accettazione di un intervento straniero nelle cose nostre, e quindi un contrasto stridente con le tradizioni nazionali del vostro partito.

DE VITA. Le discutiamo noi le nostre tradizioni! (Commenti all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, la prego, faccia silenzio.

TOGLIATTI. Onorevole De Vita, quello che lei ha detto non è vero. Quando la tradizione di un partito entra a far parte della tradizione nazionale, tutti la sentono. Io ripeto che non ho voluto e non voglio offendere il vostro partito. Anzi, se mi chiedete di dire una parola di riprovazione per l’eccessivo spirito polemico che mi ha animato, son disposto a farlo, perché non voglio rimanga nemmeno l’ombra in voi del sospetto che io abbia voluto offendere il vostro partito. Sottolineo però, che invariato rimane il mio giudizio politico su una politica che considero in stridente contrasto con le vostre tradizioni.

Passo quindi a esaminare, onorevoli colleghi, i motivi di politica interna che vengono addotti per costruire artificiosamente quella scissione che si vuole creare nel nostro Paese. Questi motivi affiorano in un modo molto evidente e chiaro nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, ma affiorano precisamente in ciò che esse hanno di erroneo, di viziato, di pericoloso e anche di minaccioso per il Paese. Esse affiorano là dove il Presidente del Consiglio parla di «suggestione della violenza e dell’azione diretta» a cui si abbandonerebbero i partiti della sinistra concedendo anche qui alla terminologia provocatoria degli editorialisti della cosiddetta stampa indipendente e neofascista. La violenza, fazione diretta: ho l’impressione che voi, onorevole De Gasperi, evochiate con troppa frequenza e con troppa leggerezza questo fantasma, il quale viene del resto evocato da troppe parti, e all’interno e all’estero. Questo dimostra soltanto una organica incapacità di comprendere quello che sta realmente avvenendo in Italia oggi. Non è preconcetta intenzione di un qualsiasi partito democratico, e soprattutto non lo è dei partiti di questa parte dell’Aula, di provocare la guerra civile. Quale è dunque l’origine delle agitazioni di lavoratori che hanno avuto luogo in questi ultimi mesi? Avete voi studiato queste agitazioni, avete visto quali erano i loro obiettivi, perché sono sorte e come sono finite? Non vi siete mai chiesto perché tutte queste agitazioni – salvo forse pochissime eccezioni; anzi, credo forse che eccezioni non vi sono – tutte sono terminate con la vittoria delle masse lavoratrici? (Commenti – Interruzioni).

Questo che cosa vuol dire? Vuol dire che tra le parti che sono scese in lotta ve ne era una, e non era la parte operaia, non era la parte dei lavoratori, la quale ha provocato le agitazioni e le lotte con la intenzione di provare se dall’altra parte vi fosse capacità di resistenza sufficiente per respingere il sopruso, la violazione di un patto o di un accordo contrattuale.

Prendete lo sciopero dei braccianti, per esempio. Quando cominciò quello sciopero si è mosso persino il Dipartimento di Stato, cioè il Ministero degli esteri americano. Un esponente del Dipartimento di Stato ha ritenuto necessario esprimere in proposito la sua autorevole ma non richiesta opinione, secondo cui quello sciopero era cosa esiziale per la nazione italiana. Detto questo naturalmente, si concludeva con la condanna della parte operaia. Nello stesso modo si esprimeva il partito al Governo, cioè la Democrazia cristiana; ma lo sciopero è terminato con la vittoria, cioè con il riconoscimento generale che le ragioni dei braccianti erano giuste e sacrosante, tanto che a un certo punto voi stessi avete dovuto dire, per bocca dei vostri organizzatori, che aderivate allo sciopero, perché lo riconoscevate giusto e riconoscevate civile il metodo con cui i lavoratori condussero alla vittoria quella grande battaglia.

Fate una statistica delle agitazioni e degli scioperi nelle campagne e vedrete che la maggior parte di esse sono provocate dalla inadempienza della parte padronale rispetto al patto mezzadrile, che porta il nome di «lodo De Gasperi». Chiedete ai nostri organizzatori sindacali dell’Italia settentrionale quali sono i motivi delle nuove agitazioni che si stanno preparando nelle campagne di numerose provincie del nord ed essi vi spiegheranno che il motivo principale sta nel fatto che il patto concluso in seguito al grande sciopero bracciantile non viene rispettato da una delle parti che l’ha firmato, e cioè dalla parte padronale. Questa è la realtà. Cioè la realtà è che noi ci siamo trovati e ci troviamo di fronte al deliberato proposito dei padroni, o per lo meno dei loro gruppi più reazionari, di provocare la classe operaia, prima di tutto nei suoi sindacati e poi nei suoi partiti politici, a una lotta continua, allo scopo di vedere se ci siano punti deboli nel fronte del lavoro e della democrazia più avanzata, per introdurre in quella breccia l’arme della provocazione e della disgregazione.

Ma parecchie delle agitazioni sono state politiche, senza dubbio. È un caso, però, che anche le agitazioni politiche siano terminate tutte o quasi tutte con la vittoria? Questo vuol dire che anche nel campo politico ci siamo trovati di fronte allo stesso proposito di provocare la parte più avanzata della democrazia a determinati combattimenti, nella speranza di riuscire o ad abbatterla oppure ad isolarla dalle più larghe masse dei cittadini, che noi invece vogliamo siano e rimangano saldamente raccolte attorno alle bandiere della democrazia.

Ammetto che molte agitazioni di carattere politico furono molto avanzate e assunsero aspetti che potevano anche sembrare minacciosi. Tali per esempio le agitazioni di Milano e quella recentissima di Pescara.

Ma qui si pone un’altra questione. Voi ci parlate di legalità; ci accusate di voler uscire dalla legalità. Anche ieri il Ministero dell’interno finiva il suo dire con una esaltazione del rispetto della legalità e dell’ordine. Ma che cosa è legalità; che cosa è ordine?

Non crediate (e qui riprendo una tesi che in sede costituzionale è stata difesa proprio da voi) che basti una maggioranza qualsivoglia a dare impronta legale a qualsiasi provvedimento; che basti una maggioranza parlamentare d’occasione a giustificare un sopruso. Occorre qualche cosa di più, occorre prima di tutto il rispetto della legge, e cioè delle forme che sono stabilite dalla legge a tutela della libertà dei cittadini e della sostanza democratica della legge stessa. (Commenti al centro). Quello che il Ministro dell’interno ha fatto nel caso di Pescara, ad esempio, anche se egli ha trovato un Consiglio di Stato che gli ha dato ragione e una maggioranza parlamentare che ha messo una pietra su tutto il suo operato, rimane ad ogni modo un sopruso, un intollerabile sopruso.

Una voce al centro. Ma quale è la legge?

TOGLIATTI. Voi potete con una maggioranza qui dentro legalizzare formalmente qualsiasi sopruso; ma per i cittadini che hanno un senso ormai sveglio dei loro diritti, quello rimane un sopruso, di fronte al quale la coscienza dei cittadini resiste, insorge, si ribella. Questa è la questione. (Commenti – Interruzioni al centro).

PASTORE GIULIO. Onorevole Togliatti, di questa tesi ci serviremo noi in Confederazione! (Applausi al centro).

TOGLIATTI. Faccia quel che vuole; ma se ne serva per ora in Parlamento.

Vi è una parte avanzata della popolazione del nostro Paese, ed essa in regioni intiere è la stragrande maggioranza dei lavoratori, la maggioranza del ceto medio di campagne e di città e una grande parte anche del ceto medio professionista, che non è d’accordo con la vostra politica, che disapprova la vostra politica, che è in contrasto con tutto ciò che voi dite e fate.

Voi dovete tener conto di questo. Questa parte poi è la più attiva della popolazione, non è la parte passiva e arretrata: al contrario. Si crea in questo modo un contrasto profondo, dal quale sgorga l’atmosfera di tensione che dobbiamo oggi lamentare, e in cui si inseriscono i conflitti economici, i conflitti politici, i conflitti sociali che ci dilaniano.

Ed è proprio in questo momento che voi, al vostro congresso, lanciate la parola d’ordine: – Fuori dalla legge i comunisti!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ma non è vero! Nessuno l’ha lanciata. (Commenti).

TOGLIATTI. Nessuno l’ha lanciata, onorevole De Gasperi? Ma la sua stampa giuoca ogni giorno e ad ogni passo con questa parola d’ordine, ne fa una bandiera nei più provocatori dei suoi scritti, i quali sembrano tutti costruiti su un tessuto di ridicole menzogne, allo scopo di far credere che in questa parte del Paese esista una setta tenebrosa che vorrebbe ad ogni costo scatenare la guerra civile, e non una massa di onesti cittadini che vogliono difendere, consolidare, far progredire il regime democratico.

Lei, al Congresso di Napoli, rivolge delle lodi a Di Vittorio perché è andato a portare la pace a Cerignola, ma sul suo giornale pubblica ogni settimana l’immagine di Di Vittorio vestito da bandito. (Commenti). Lei scherza con queste cose, onorevole De Gasperi; ma questo vostro atteggiamento denunzia ispirazioni, che anche questa volta vengono da lontano.

Il primo paese d’Europa cui è stata applicata la dottrina di Truman, il primo paese su cui si è steso quel protettorato americano che voi invocate anche per noi, la Grecia, è oggi un Paese in cui si sta svolgendo un’accanita guerra civile, la cui parola d’ordine iniziale è proprio stata quella di metter fuori dalla legge i partiti della democrazia avanzata e in prima linea i comunisti. Oggi, grazie alla «protezione» del signor Truman, la Grecia intiera è insanguinata dalla guerra civile.

Dieci patrioti comunisti sono stati ieri assassinati, a Salonicco, probabilmente da piombo americano: vada da questa Assemblea un commosso saluto alla loro memoria. (L’estrema sinistra si leva in piedi ed applaude lungamente).

Voci al centro. Viva Petkov! Viva Petkov!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, abbiano almeno rispetto per i morti!

TOGLIATTI. Questo è il proposito, questa la prospettiva con cui voi giocate. Ma particolarmente grave e pericoloso è il giuoco, perché ci troviamo in un Paese – e qui accetto la definizione dei rapporti politici e sociali italiani data dall’onorevole Pacciardi in una conversazione che avemmo insieme con un eminente uomo politico americano alcune settimane or sono – le cui condizioni economiche e sociali sono arretrate, ma in cui esiste ormai un’avanguardia assetata di giustizia e di libertà, che avanza per rinnovare i rapporti politici ed economici, per rinnovare tutta la vita nazionale, per spezzare le catene della feudalità economica, per distruggere i privilegi sociali, per redimere plaghe intiere d’Italia che devono essere redente. In questo Paese, dove sotto le ceneri ardono queste braci, e sono vivi tutti questi problemi, evocare il fantasma della guerra civile, giocare col proposito di mettere al bando le schiere più avanzate della democrazia è un delitto verso la Nazione.

Sappiamo quanto sono gravi le questioni che il popolo italiano dovrà risolvere per riuscire ad avere veramente non soltanto una Repubblica scritta nella Costituzione, ma di fatto un regime repubblicano, cioè un regime di governo del popolo e non delle caste privilegiate, un regime di governo per il popolo e non nell’interesse del ceto plutocratico.

Sappiamo quanto sono gravi questi problemi: la riforma industriale, la riforma agraria, la riforma bancaria, la redenzione di tutta l’Italia meridionale, la redenzione politica e sociale delle isole nostre. È sapendo quanto questi problemi sono gravi, è conoscendo bene qual è l’animo delle nostre classi dirigenti, profondamente reazionarie e pronto a qualsiasi avventura antinazionale pur di sbarrare la strada al progresso politico e sociale, è conoscendo tutto questo che, avvenuta la liberazione, abbiamo proposto, noi comunisti, un metodo per creare in Italia un vero regime di democrazia, quel metodo che è stato chiamato di unità delle forze democratiche progressive.

Questo metodo certamente prevedeva uno sviluppo lento, più lento di quello che non potesse essere legato ad una prospettiva, diciamo, rivoluzionaria immediata; più lento per la gradazione delle soluzioni, per la stessa necessità di studio di esse attraverso il contatto fra tutte le forze democratiche e il contributo che tutte devono dare al progresso del Paese. Noi rimaniamo fedeli a questo metodo. Questo è anche oggi il metodo che proponiamo per l’Italia; questo è il metodo che noi proponiamo ai lavoratori italiani di tutte le categorie: unirsi per far fronte all’avanzata delle forze conservatrici e reazionarie; unirsi per un’opera non soltanto di difesa contro gli attacchi del ceto padronale, come quelli che hanno avuto luogo nell’ultimo tempo; ma per un’opera di costruzione di un’Italia veramente democratica, di un’Italia nuova.

Quanto a voi, comprendo benissimo perché accentuate tutta la vostra azione politica contro il Partito comunista, comprendo benissimo il significato profondo del vostro grido: «fuori legge i comunisti!». Voi, sapendo che oggi in Italia i comunisti sono un’avanguardia decisa, legata a tutti gli strati sociali che hanno bisogno di redenzione, voi vorreste decapitare il movimento democratico italiano di questa avanguardia.

Questo è il piano segreto della borghesia reazionaria italiana e della grande borghesia internazionale, questo è il piano che Mussolini non è riuscito a realizzare. Questo piano non riuscirete a realizzarlo nemmeno voi.

II governo attuale – concludendo – per la sua composizione, per il modo come affronta i problemi di politica estera e per la sua ispirazione di politica estera, per il modo come affronta i problemi di politica interna e per l’ispirazione della sua politica interna, non può essere un governo il quale contribuisca a una distensione dei rapporti politici e sociali, a una pacificazione del nostro Paese. Non può esserlo, perché nonostante dietro al Partito repubblicano vi siano ancora gruppi di lavoratori di determinate regioni d’Italia, manca in esso quella rappresentatività politica e sociale che esso pretende di avere.

Esso non è né un governo di pacificazione per le elezioni, perché tale potrebbe essere solo un governo nel quale fossero rappresentati tutti i settori dell’Assemblea, e nemmeno un governo di pacificazione economica e sociale più larga. Il problema deve essere posto in un modo molto diverso. Il problema è di riprendere la marcia in avanti, la quale ebbe la sua prima tappa con la vittoria del 2 giugno, e la cui seconda tappa deve essere segnata dalla formazione di un governo che affronti decisamente la soluzione delle grandi questioni che stanno davanti al popolo italiano e che richiedono, per una soluzione radicale, un’azione energica di riforma e rinnovamento.

Noi chiamiamo tutti i lavoratori di tutte le categorie, di tutte le regioni d’Italia a unirsi per render possibile quest’opera.

Ci rivolgiamo anche ai repubblicani. Non abbiamo nessuna intenzione di sfasciare le vostre sezioni (Commenti). Io non andrò dai repubblicani di Romagna, non andrò dai repubblicani di Messina, Palermo o Roma, a dir toro di entrare nel Partito comunista. Non andrò a dir ai vostri iscritti e militanti di rinunciare ai loro ideali mazziniani. Io rispetto i vostri ideali mazziniani. Domani, in sede ideologica, cercherò di convincervi, se sarà possibile, ma oggi chiederò alle vostre sezioni di aderire in blocco alla politica che i comunisti propongono al popolo italiano, a una politica di unità di tutte le forze democratiche, di unità di tutto il popolo organizzato e in lotta per una riforma agraria, e per una riforma industriale, per la redenzione del Mezzogiorno e delle isole, per la creazione di un grande fronte di popolo, per la difesa della indipendenza, della pace, del lavoro, della libertà del popolo italiano.

La sola promessa interessante contenuta nella dichiarazione di questo governo è quella delle elezioni al 18 aprile.

Signori del governo, noi avremmo preferito una data più vicina.

PICCIONI. Anche noi.

TOGLIATTI. Voi però siete gli autori del fatto che fino ad oggi non abbiamo avuto le elezioni, mentre le avremmo potute avere. E siccome ci ricordiamo di questo fatto, siccome ci ricordiamo di un’altra promessa fatta da quello stesso banco e da quello stesso uomo, e poi tradita, per questo saremo vigilanti. Poniamo il problema di fronte al Paese. Desideriamo che la promessa di convocazione dei comizi elettorali alla data più vicina possibile diventi impegno solenne assunto non soltanto davanti a questa Assemblea, ma davanti a tutta l’Italia e sancito in un documento di carattere legislativo, se pure non in un documento di natura costituzionale. Noi non abbiamo paura delle elezioni. Andiamo alle elezioni con la certezza della nostra forza. Noi siamo sicuri di rappresentare le forze avanzate della democrazia italiana, e siamo sicuri che dietro alla bandiera dell’unità delle forze democratiche, che noi sventoliamo qui e nel Paese, tutti i lavoratori d’Italia, tutti i buoni cittadini italiani, vorranno raccogliersi. (Vivissimi applausi all’estrema sinistra).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte prevista dall’articolo 25 dello Statuto della Regione siciliana:

Votanti                               402

Hanno avuto voti:

Merlin Umberto       222

Graziadei Antonio   150

Comandini Federico 10

Voti dispersi                         7

Schede bianche        12

Schede nulle                         1

Pertanto ha ottenuto la maggioranza dei voti Merlin Umberto e lo proclamo eletto. (Applausi al centro).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberganti – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertone – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Mercurio – De Micheli Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza – Duroni.

Einaudi.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marchesi – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massola – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – RubiIli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sapienza – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Trulli – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi.

Arata.

Carmagnola – Cavallari.

Guerrieri Emanuele.

Jacini.

Lombardi Riccardo.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni.

Si riprende la discussione sulle comunicazioni dei Presidente dei Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.

NITTI. Io ho sperato fino all’ultima ora che questa modificazione del Ministero non avvenisse. Quando ho avuto l’occasione di parlarne con l’onorevole De Gasperi (egli mi consentirà questa indiscrezione) io ho detto che mi pareva un errore. Avrebbe suscitato aspri desideri e passioni senza nessuno scopo. Gli dissi che egli aveva avuto la fiducia del Parlamento, che le due mozioni che erano state presentate contro di lui erano state respinte, e quindi egli poteva considerarsi sodisfatto, e non vi era necessità di alcuna modificazione ministeriale. Io prevedevo che l’annuncio della modificazione avrebbe aperto le cateratte dei desideri degli uomini vogliosi di avere la responsabilità di Governo. Ed io gli dicevo che vi sono troppi uomini che desiderano andare al Governo anche in quest’ora difficile, in cui nessuno, che abbia coscienza delle difficoltà può desiderarlo. Gli dicevo che vi sarebbero stati troppi aspiranti e ne sarebbe venuta gran confusione. Io mi permisi di avvisarlo (non ho nessuna autorità sull’onorevole De Gasperi) fino alla vigilia, quando ho osato di scrivergli, pregandolo di non fare modificazione alcuna del Ministero. Il Ministero sarebbe stato più vivo e vitale se non avesse avuto nessun cambiamento. Vi era già qualche cosa del Ministero che dava l’aria di essere apprezzabile e dare fiducia. Non vi possono essere in quest’ora Ministeri che godano la fiducia di tutti, ma vi erano movimenti utili e apprezzabili almeno dal punto di vista economico, tali da far concepire speranze. L’onorevole Einaudi aveva cercato di iniziare una politica monetaria, che può essere discussa o essere considerata da tutti i suoi lati in bene o in male; ma infine aveva un serio indirizzo di cui dovremmo attendere i primi risultati. L’onorevole Merzagora è stato il solo Ministro che ha avuto risultati positivi. Aveva, con una abile operazione, fatto rientrare numero e quantità notevoli di dollari in Italia; aveva permesso di comperare all’estero merci, che hanno determinato quel solo movimento di diminuzione dei prezzi che vi è stato in Italia. Io seguivo con interesse questi tentativi, incurante che il Governo fosse di un partito o di un altro (la cosa mi è stata quasi sempre indifferente).

M’interessava non l’equivoco della competizione, ma l’azione economica, politica e sociale nel suo complesso.

Quindi io sentivo la necessità di intensificare i movimenti utili, e devo dire che sono dolente che sia avvenuta questa mutazione ministeriale. Come vedete, almeno in questi due primi giorni, vi è stato rancore all’interno, uno scatenare di passioni, un nuovo urto, un nuovo e più grande dissidio fra le parti che si dividevano il Governo senza avere programma. È cosa deplorevole e che si poteva evitare.

Ho sentito le accuse al partito repubblicano e all’onorevole Pacciardi: e le accuse ai socialisti di parte temperata. Questi due partiti non sono affatto rivoluzionari. Essi sono ora semplicemente partiti moderati, e mi è difficile dire che cosa si propongano. Sono due partiti ormai inevitabilmente annunziatisi come partiti conservatori. Conservatore è chiunque vuole conservare l’ordine politico o l’ordine sociale ed economico esistente. Questi due partiti entrano ormai apertamente nell’orbita dei partiti conservatori, dove già erano quando volevano sembrare rivoluzionari.

Quindi è inutile parlare di movimenti che possono avvenire in senso molto avanzato, se vengono da una parte che è ormai conservatrice. Di ciò io non mi dolgo. Sono più vicini a me, che non desidero né reazione né rivoluzione.

Ormai, dunque, i partiti che entrano nel governo sono passati da questa parte anche più decisamente. Non me ne dolgo. Non accetto nessuna delle gravi accuse mosse dall’onorevole Togliatti ai repubblicani ed ai socialisti del partito dell’onorevole Saragat; ma speravo che nel passaggio vi fosse più grande bellezza o almeno compostezza.

Io speravo, a spiegare l’apparente conversione, da essi una parola alta e sincera. Non c’era nulla di male che i repubblicani entrassero nel Ministero quando ne avevano il desiderio. Siamo oramai tutti repubblicani, tranne, credo, uno o due degli amici di quella parte. (Accenna a destra).

RUSSO PEREZ. Un po’ di più!

NITTI. Dieci forse, compresi quelli che non si dichiarano.

RUSSO PEREZ. Per cortesia, le dirò di sì.

NITTI. Ormai, di repubblica e di monarchia non si discute: è puerile discuterne adesso. Dunque, i repubblicani avevano ben il diritto di desiderare il governo. Non certo però per difendere la Repubblica. Non c’era bisogno del loro intervento. Siamo tutti repubblicani, e in buona fede. Non c’è il caso in Europa di una sola monarchia caduta che sia risorta. Sono cadute quasi tutte le grandi monarchie, tranne in Inghilterra, che è non una monarchia nel senso che intendiamo: una unione libera di repubbliche di cui il capo è il re. Quindi, la situazione del re è più che mai granitica in Inghilterra. Tutti, compresi i laburisti, noi diremmo i socialisti, sono sinceramente monarchici e conservano le antiche forme tradizionali del protocollo monarchico.

Dunque, non mi dolgo dei repubblicani, che desideravano solo il Governo senza nulla mutare. Né mi dolgo di coloro che senza essere più socialisti vogliono sempre apparire socialisti.

Io sono nato in ambiente repubblicano e da famiglia repubblicana da parecchie generazioni. Quando mio padre (questo ricordano ancora i miei concittadini) vide che accettavo di essere Ministro nella monarchia, era così maniaco repubblicano, che la nomina a ministro gli parve vergogna della famiglia. Mio nonno era stato ucciso per la libertà. Era stato carbonaro del 1820; due suoi figli repubblicani erano stati nel 1848 condannati a morte. Si salvarono solo con l’esilio. Nella mia famiglia, quando ero fanciullo, non ho sentito parlare che di repubblica. Io pensavo che la repubblica fosse un grande ideale; e quando ero giovinetto credevo che la repubblica fosse il Governo dei popoli civili. Ho visto poi la realtà. Anche Mazzini aveva aderito nella realtà alla monarchia, quando aveva accettato la formula: «né apostata né ribelle».

La monarchia era stata una necessità per la costruzione dell’Italia: ed è stata la sua fortuna fino al 1920, anno in cui Vittorio Emanuele III perdette la testa, dopo aver avuto un grande inizio nel suo regno, dal 1900 al 1920, periodo in cui furono compiute le più grandi trasformazioni economiche e sociali dell’Italia. Non dobbiamo mentire. Il re Vittorio Emanuele III segue ora il suo crudele destino, è forse l’uomo che più soffre al mondo, l’uomo che forse ha avuto più sventure di ogni altro uomo. Ma quale che sia il giudizio che si vuol dare di lui, bisogna aggiungere che non vi è, ora almeno, più pericolo di monarchia in Italia.

I repubblicani dunque hanno esaurito la loro funzione. Che cosa dovrebbero fare, se non i guardiani della Repubblica?

Siate sicuri che nessuno aggredirà la Repubblica, e non vi è più bisogno di repubblicani professionali, ed essi si dicono storici, forse nel senso che non sono geografici e che non sono destinati a cambiare la storia.

Se, per difendere quella repubblica che non deve difendersi da alcuno, fuori che dai suoi errori i repubblicani di questa Assemblea volevano partecipare al Governo, io speravo però da essi un gesto di bellezza. Essi potevano scegliere per diventare Governo un motivo alto, non un fatto di cronaca di desideri e di speranze.

Nelle monarchie assolute i repubblicani, se possono esistere, sono i più perseguitati: in regime libero e costituzionale, come ora in Italia, si adattano facilmente ed esprimono piuttosto tendenze che idee. In repubblica i repubblicani non hanno ragione di esistere come partito politico, non più che i monarchici in monarchia.

I repubblicani, per spiegare il mutamento in partito di Governo senza programma, dovevano almeno, in mancanza di programma, avere un gesto di nobiltà, non chiedere nulla, non fare questione di vanità, né di compensi. Dovevano dire al Governo: «Noi vi aiutiamo nella vostra difficile opera. E non vogliamo né posti, né onori, né compensi di alcun genere»; non un affare, ma una collaborazione disinteressata.

Questo io speravo. Questo era linguaggio repubblicano…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ce l’hanno detto.

NITTI. Essi, invece, che cosa hanno chiesto? che cosa hanno voluto, al pari e in concorrenza degli amici dell’onorevole Saragat? Hanno voluto posti di Governo, in una forma che non avevo mai vista; hanno voluto posti, situazioni, onori nella più larga misura possibile, discutendo tutti i vantaggi e gli onori, con un dosaggio in cui tutte le situazioni sono state una per una discusse e contestate. Vecchi e giovani, e anche vecchissimi, tutti si sono fatti avanti a chiedere e discutere le situazioni più importanti, e di tutte si è mercanteggiato.

Fra i repubblicani si è fatta la scelta dei benefizi o degli onori. È avvenuto il fatto più inverosimile, che io abbia visto nella storia costituzionale. Si sono discusse non solo le situazioni tecniche, le situazioni che richiedevano uomini di attitudini, ma tutte le situazioni sono state discusse dai repubblicani e dai nuovi Ministri più o meno socialisti entrati nel Governo, così riformato. Mi scusi, onorevole De Gasperi, la frase, che può parere poco rispettosa. Ella è stato insidiato in tutti i modi; per tanti giorni. Qui, nei corridoi non si parlava che di questa borsa di valori, in cui tanti Ministri, tanti Sottosegretari, tante situazioni dovevano essere materia di contrattazioni. Si sono contrattati i vivi e perfino esumati i morti.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Erano chiacchiere, che si facevano nei corridoi.

NITTI. Lo so, ma queste chiacchiere si sono realizzate, perché esprimevano i bisogni e le aspirazioni di persone fisiche e non di idealità astratte ed erano la realtà! E i socialisti che non sono più socialisti hanno agito allo stesso modo.

Il partito dell’onorevole Saragat era diviso in due fazioni: una parte non voleva alcuni uomini, altra ne voleva altri. Non divisioni di idee, ma divisioni di posti: ciò solo interessava. Si è ricorso a vecchi e a giovani. Si è esumato perfino il venerando, il venerabile onorevole D’Aragona, il più vecchio di tutti noi, e nell’aspetto esteriore, anche più vecchio di me. (Si ride). L’onorevole De Gasperi l’aveva già esumato nel Ministero precedente. Era una cosa che non mi attendevo. Si trattava di un vecchio rudere che non aveva in nessun campo particolari attitudini tecniche. L’onorevole De Gasperi da buon cristiano gli aveva detto: Lazare, exi foras. Poi era andato via con le dimissioni del Governo. Ora l’onorevole De Gasperi lo ha per la seconda volta riesumato, ciò che nemmeno Gesù aveva fatto di Lazzaro. (Si ride).

Devo dire, per la dignità del Parlamento e del Governo, che ho molto sofferto nel vedere le strane invenzioni alle quali hanno costretto un uomo di fine ingegno come l’onorevole De Gasperi, ad adottare il paradosso come norma di Governo. I nuovi aderenti gli hanno chiesto perfino l’assurdo di due nuovi posti di Vicepresidente del Consiglio. Signori, questo è veramente uno scandalo oltre che un assurdo. Un posto di Vicepresidente non è necessario, non credo che esista nel diritto italiano. Con la Repubblica ne hanno usufruito un po’ tutti. L’onorevole Nenni ha avuto anche egli il titolo se non la funzione. Esisteva da poco un Vicepresidente, l’onorevole Einaudi. Per la prima volta si verifica nel mondo lo stupido paradosso di tre Vicepresidenti del Consiglio. E chi debbono presiedere questi tre Vicepresidenti della vanità e del nulla? (Ilarità a sinistra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non è la prima volta.

NITTI. È proprio la prima volta e sarà, credo, l’ultima. Che cosa sono e che cosa possono essere tre Vicepresidenti? Non vi è nessuna possibilità che possano presiedere qualcosa; tutto al più potrebbero presiedersi a turno i tre Vicepresidenti! (Si ride) o si potrebbero trattenere in conversazioni amichevoli e sollazzevoli, tanto per avere qualcosa da fare. Io sono esperto in questa materia e non posso che riderne. Nel mio primo Ministero vi erano molti dei più grandi personaggi politici d’Italia, ed erano anche di diversa origine. Vi era il vero capo del partito conservatore, l’onorevole Tittoni, tanti anni Ministro e tanti anni Ambasciatore e, per brevissimo tempo, anche Presidente del Consiglio; e dall’altra parte si giungeva all’onorevole Pantano, che fu il vero capo e il dirigente dell’ostruzionismo parlamentare in un’ora che poteva finire rivoluzionariamente. Tutti i Ministri, tranne uno, il Ministro della marina, erano più vecchi di me.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche allora!

NITTI. In quel Governo tutti, con i criteri che ora prevalgono, avevano diritto di essere Vicepresidenti, perché avevano un grande passato ed erano tutti più vecchi ed esperti di me. Pantano era stato nell’Aula parlamentare colui il quale aveva rovesciato il Governo formidabile, venuto dal tentativo di reazione Pelloux. Luzzatti, Pantano, Tittoni, Mortara ed altri insigni si contentavano di essere con me, più giovane di loro, soltanto Ministri. Nessuno mi chiese di essere Vicepresidente. Non me lo chiese Tittoni, né, quando ebbi a fianco gli uomini maggiori della vita politica, come Luzzatti, Scialoja e altri: nessuno di essi mi chiese questa invereconda cosa, nessuno volle con la richiesta diventare ridicolo. (Si ride).

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Non l’ho chiesta nemmeno io.

NITTI. Forse non l’ha chiesta, ma l’ha gradita e non certo ha pensato e pensa di farne a meno. Discendiamo alla realtà pratica. Ditemi quale paese della terra ha tre Vicepresidenti di un solo Ministero. C’era l’onorevole Einaudi e sta bene, o come meglio vi piace, sta male. Ma perché crearne altri due? Quali sono le loro singolari attitudini di questi due nuovi vicecapi? L’onorevole Saragat può dire, se gli piace, che è Vicepresidente per difendere i lavoratori a suo modo; l’onorevole Pacciardi può ben dire: per difendere la libertà a suo modo. Ma per fare cose simili bisogna essere Vicepresidente del Consiglio? Nessuno vede l’utilità del dilagare di questa istituzione inesistente e balorda e nessuno vede che cosa acquistino con ciò il Parlamento e istituzioni che si dicono democratiche e che, ahimè! contengono ancora nella forma e ahimè! anche nel contenuto tutto il fascismo. (Commenti). Io ho assistito anche in questi giorni a discussioni che mi hanno umiliato. Tutte le volte che sento discutere di orientamenti delle amministrazioni, rimango silenzioso e spesso triste. L’onorevole Gonella, parlando del Consiglio superiore della pubblica istruzione, riferendosi al segretario, diceva… a quale partito esso dovesse appartenere. Io sono stato moltissimi anni al Consiglio superiore dell’istruzione, credo per diciotto anni.

Ero diventato forse il più anziano insieme a Scialoja e a Schupfer, a Dini, ecc. Ebbene, chi era il nostro segretario? Era un funzionario qualsiasi che aveva conoscenza di legislazione e sapeva fare i verbali delle riunioni. E qui ho sentito discutere come di un grande argomento e i nostri colleghi chiedersi seriamente: di quale grado dovrà essere? Forse del 4° o del 5°? Chi aveva fra le persone serie udito nel passato tale linguaggio? Fra le tante cose che mi fanno soffrire qui dentro, la più umiliante è quella di sentir parlare dei gradi dell’Amministrazione: trista invenzione fascista! Questa sciocca e banale classifica non esiste in nessun paese serio. Esistette in piccola parte nell’Austria imperiale, ma poi non è esistito e non esiste in nessun paese che non voglia esser ridicolo. Voi non avete trovato il tempo di abolire questa classifica comica, che è la cosa più assurda del fascismo e che voi conservate ancora. Ora, troppo fascismo c’è ancora, troppa morale fascista, troppa mentalità fascista, anche fra i professionali dell’antifascismo.

Io non sono contento del modo come si è svolta la crisi. Io avrei voluto, da parte dei partiti che si dicevano idealisti, una manifestazione di sentimento. Avrei voluto che l’onorevole Saragat fosse andato insieme all’onorevole Pacciardi a offrire la sua collaborazione disinteressata al Governo standone fuori in questo momento, in cui non ha nulla di serio da fare e in cui l’Italia è minacciata da tanti pericoli. Non vi illudete con parole vane. Noi procediamo fra tutte le difficoltà. Siamo avvolti nella nebbia e camminiamo fra i precipizi. Bisogna avere la mente ferma e il piede sicuro. Noi sappiamo quale è la nostra situazione economica e non la mentiremo.

Noi sappiamo quale rischio corra la nostra moneta, e vediamo che bisogna essere per lo meno seri e che non bisogna faro rollio. Perciò io ho avuto spirito di conciliazione e di realtà. L’onorevole De Gasperi può dire in buona fede se gli ho mai creato il minimo imbarazzo e se piuttosto, quando ho potuto, non ho cercato di coadiuvarlo, senza mai nulla desiderare né chiedere né volere. Quando egli mi pareva in pericolo, facendo figura di uomo che si contradice, ho voluto parlare e votare per lui, perché nei momenti difficili mi pareva un dovere per l’Italia soffocare anche i dissidi.

Non chiedere nulla per collaborare; questo era il dovere che i repubblicani e i così detti socialisti di Saragat dovevano sentire, questa era la linea che dovevano seguire. Essi dovevano presentarsi a De Gasperi e dire: voi potete essere in pericolo, noi siamo una forza, noi stiamo con voi, noi vi portiamo questo programma, vi portiamo soprattutto la nostra passione personale, senza poi distillare punto per punto i favori da ottenere e lo persone da collocare al Governo.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Devo riconoscere che mi hanno fatto la dichiarazione di venire nell’interesse del Paese. (Commenti).

NITTI. Mi permetta, onorevole De Gasperi. Dichiarazione, non azione. Lei è uomo accorto e saggio. Io ho simpatia sincera per lei, perché (non vi scandalizzate!) io credo che lei sia non solo un democristiano e un cattolico di occasione, ma uomo di fede e uomo religioso. Io ho il rispetto degli uomini religiosi, a qualunque parte politica o fede appartengano. Essi, se sono in buona fede e portano profondità di spirito, sono sempre rispettabili. Ma lei stesso doveva parlare un diverso linguaggio. Non faccio accuse a lei. Io voglio constatare che quelli che sono venuti da lei non sono venuti con purità di sentimento, perché hanno portato troppo il senso dell’interesse. (Interruzione del deputato Pacciardi). Senta, onorevole Pacciardi, noi ci conosciamo.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Appunto perché ci conosciamo io mi meraviglio che lei possa dire queste cose.

NITTI. Appunto per questo io parlo così. Io mi attendevo che il Governo avesse l’appoggio di sentimento e la collaborazione disinteressata di repubblicani e di socialisti moderati, se essi avevano idee e sentimenti e non interessi di partito. A ogni trattativa dovevano corrispondere idee e programmi e vi doveva essere sentimento cordiale e disinteressato.

Ora vediamo invece che non solo tutti i posti del Ministero sono stati contesi, ma l’appoggio è stato distillato e discusso punto per punto. Sono stati attribuiti posti per convenienza di partito e di persone: si dice ora perfino che, per accontentare la generosa brama dei nuovi aspiranti, si pensa alla istituzione di sette nuovi Sottosegretari di Stato!

Una voce. Nove!

NITTI. Ancor peggio! E questo è forse l’ideale? Io ho attaccato altre volte duramente questa ridicola istituzione dei Sottosegretari di Stato, che è diventata veramente vergognosa. Perché i Sottosegretari di Stato e in così gran numero? So che si dice che sono necessari. Il Ministro ha tante carte da firmare e tante firme da mettere. I Ministri in gran parte non fanno che mettere firme, e molto spesso non si rendono conto di ciò che firmano. Più è disordine e più si aumenta il disordine. Si crede che bisogna alleggerire il loro lavoro. Ogni Ministero ha tante divisioni, e si vuole crearne altre. Questa è la fatalità dell’amministrazione nostra, che crea nuovi congegni ogni giorno per sviluppare una burocrazia, che ha tanti elementi solidi e di valore, ma che non può funzionare nella generale confusione. Qual è la funzione del Sottosegretario di Stato, se non di essere inciampo fra l’amministrazione e il Ministro? E non si possono abolire i Sottosegretari con vantaggio di tutti e avere un segretario generale amministrativo e non politico in ogni ministero e ridurre tutti gli uffici e abolire gabinetti numerosi e causa di dissidi, se non d’immoralità?

Era stato promesso, dietro mia richiesta, che i Sottosegretari di Stato sarebbero stati aboliti o almeno diminuiti rapidamente. Non sono stati diminuiti e dopo sono stati anzi aumentati. Ora addirittura si vuole passare i limiti del paradosso. Quanto costa un Sottosegretario di Stato? Ma soprattutto quanto disordine crea! Il Sottosegretario di Stato in generale, tranne soltanto pochissime persone, è un uomo che non esce dalla mediocrità. Perché volete ancora aumentarli di 8 o 9? Per contentare altre brame ed altri desideri dei partiti che vogliono dilatarsi e che non si preoccupano che di partiti e di elezioni?

Credete che ciò aumenti il prestigio del Governo? Ahimè! Anche in tempo di pace o di tregua, ai tempi in cui non vi erano elezioni in vista, e governava concorde o discorde la «democrazia progressiva», su automobili del Governo scorazzavano tutte le province, anche la povera mia provincia. Quando non avevano altre cose da fare era per svolgere propaganda più o meno utile al loro partito. I Sottosegretari di Stato non si preoccupavano che di interessi del loro partito, e anche Sottosegretari socialisti e comunisti si valevano di automobili dei loro uffici per propaganda di partito.

L’onorevole Einaudi mi aveva dato affidamento che la questione dei Sottosegretari di Stato e dell’impiego delle loro automobili sarebbe stata regolata. Constato che l’amico Einaudi non ha potuto mantenere finora il suo impegno. Non gli muovo rimprovero. So quanto sia duro il suo cammino, quante cose egli ha da fare che non può fare. Ma spero per lo meno che con la sua autorità ottenga che il male non dilaghi più, in questi giorni. Ciò aumenterebbe il nostro discredito e non c’è bisogno di aumentarlo.

Noi dobbiamo dare in questo momento la prova della serietà di noi stessi. Siamo in gravissime difficoltà. La situazione non migliorerà rapidamente, non può migliorare: io ritengo che per quanto riguarda i consumi più indispensabili, grano, petrolio, carbone, se i nostri rapporti con l’America non saranno improvvisamente mutati, almeno fino al mese di marzo e dopo per qualche mese ancora, abbiamo sicurezza o meglio speranza di averli. Troppe altre cose ci mancano e la situazione monetaria desta profonda inquietudine ed io so quanti sforzi occorre fare per mantenerla. Nessuna cosa che possa turbare la pace noi dobbiamo volere.

Ho sentito dai miei amici di questa parte (Accenna all’estrema sinistra) che noi, volendo aiuti dall’America, ci asserviamo allo straniero.

Io devo dire sinceramente la verità, su questo punto, quale che sia il fastidio che potrà arrecare la sincerità. Non è vero che l’America ci ha imposto una politica o un’altra. L’America non ci ha imposto nessuna politica e nessun programma. L’America segue la sua linea e non ci chiede, e tanto meno ci impone, una condotta politica. Certo non dobbiamo avere alcuna azione che sia contraria all’America. Noi dobbiamo cercare, bensì, di evitare ogni cosa, anche nell’apparenza esteriore, che possa dare occasione a creare equivoci. Noi dobbiamo conservare con il blocco dell’America rapporti sinceri, che sono anche imposti dalla necessità. Noi dobbiamo essere, per quanto riguarda l’America, assolutamente leali e dobbiamo sentire la gratitudine per quanto ha fatto finora per noi.

Se l’America non ci ha proposto e non ci ha chiesto cose che non possiamo dare, non è vero che la Russia possa per convenienza politica darci cosa che essa stessa non ha. L’Italia non deve volere la guerra, da cui appena usciamo. L’Italia deve comunque, depressa come è, essere neutrale, deve volere la pace. L’Italia, ripeto, da una nuova guerra uscirebbe in completa rovina. Quasi inerme come essa è, avendo perduto tanta parte della sua ricchezza, l’Italia ha sopra tutto bisogno di pace.

Devo dare una risposta sincera all’onorevole Togliatti. Si lascia troppo credere dai suoi amici che, rompendo con l’America, o almeno rompendo con lo spirito americano, noi non corriamo alcun pericolo. La Russia potrebbe darci ciò che l’America non ci darebbe. No, se abbiamo questa illusione noi corriamo pericolo di morte.

La Russia è un grandissimo paese, al cui avvenire io credo; ma la Russia non ci può dare né ora né per parecchi anni alcun aiuto. Ha anzi bisogno di altri paesi.

È inutile illusione sperare aiuti russi, anche se volete ragionare col semplice buon senso. Quali erano le esportazioni della Russia fino al 1918 e quali dal 1918 al 1938? Non solo molto inferiori a quelle dell’Italia (cosa enorme, trattandosi di un grande paese di 21 milioni di chilometri quadrati), ma inferiori a quelle di un piccolo paese, come la Svizzera.

Ora, cosa volete che, dopo una guerra così terribile, in cui ha sopportato l’urto del grande esercito tedesco e quindi ha avute tante distruzioni, possa fare la Russia, che ha vista devastata la parte più fertile del suo territorio: cosa volete che ci potrà dare nelle ore difficili? Nulla, assolutamente nulla.

Quanti anni occorreranno perché la Russia riprenda economicamente il suo cammino nel mondo? perché riprenda una situazione di produzione vantaggiosa? Quando potrà esportare seriamente e quando potrà dare credito ad altri, essa che per gran tempo ha bisogno di credito per sé stessa?

Ho ammirato lo sforzo della Russia per vivere e rinnovarsi dopo il 1917. Non bisogna dimenticare ciò che era la Russia zarista e come il popolo viveva miseramente. Nessuno può dimenticare che la rivoluzione russa non poteva compiersi che con l’immenso sacrificio di tutto un popolo.

La Russia subì dopo il 1914 il peso di una enorme guerra e poi di una immensa rivoluzione e poi una guerra civile pagata e sorretta nella parte reazionaria dai grandi paesi europei e sopra tutto dalla Francia.

La Russia mediante il bolscevismo ha potuto man mano lavorare alla sua ricostruzione economica e politica. Ha fatto opere di civiltà in un paese dove esistevano la miseria e l’ignoranza. Dove si parlavano 83 lingue, la civiltà non era penetrata in molta parte del territorio. È stato necessario per diffondere la istruzione dare a molti popoli la grammatica, perfino l’alfabeto. Il Governo bolscevico ha compiuto opera immensa.

Dove anche la civiltà di Bisanzio era arrivata appena, si è diffusa l’opera del bolscevismo, ricostruttiva.

Quando la Russia si incamminava rapidamente verso la ricostruzione è venuta la guerra del 1939. Orribile guerra, in cui la Russia ha avuto più perdite umane e più distruzioni di ogni altro paese europeo. E come potrebbe ora, dopo tante guerre e rovine, essere in migliori condizioni che nel 1938?

So quanto la Russia ha perduto e quanto ha perduto la civiltà, e prevedo quanto in avvenire la Russia, rinnovandosi, potrà ancora dare.

Sono fidente nell’avvenire della Russia, ma lo sforzo che dovrà fare per vivere e riparare alle sue grandi perdite sarà enorme. Non parliamo con poco rispetto della Russia, come vedo fare da certi giornali del nostro Paese, secondo cui la Russia è ancora il paese dei barbari. Sono cose stupide e irritanti. Noi riprenderemo invece i rapporti effettivi con la Russia. Ricordiamo che tutto il ciclo della navigazione commerciale che più c’interessa veniva dal Mar Nero all’Inghilterra e ci dava i bassi prezzi dei noli e di alcune merci essenziali. Avevamo per effetto di ciò, prima del 1919, persino il carbone a buon mercato, spesso più a buon mercato che da alcuni punti della stessa Inghilterra.

Quando io ero Ministro del commercio, mi accorsi che il carbone noi lo pagavamo ad un prezzo più basso di quello che non si pagasse in Inghilterra, e non sapevo spiegarmene il perché. Ma, studiata la cosa, compresi: il ciclo economico della navigazione dall’Inghilterra al Mar Nero, che ora non esiste più, ne era la causa principale. Lasciamo la leggenda che la Russia può darci e non ci vuol dare molte merci, io non credo a tutte queste chiacchiere. (Commenti).

Una voce al centro. Ma la Russia, se volesse, in questo momento, ci manderebbe le materie prime.

NITTI. No, non può, non può farlo, anche se volesse: sono immaginose invenzioni. Pensate che la Russia è il paese che ha avuto non solo il più gran peso della guerra e il più gran numero di morti, ma è anche il paese che ha avuto il maggiore sterminio dei suoi grandi centri di produzione. La Russia ha avuto più morti che l’America, l’Inghilterra, la Francia riunite. Quando pensate che la parte più fertile della Russia è stata devastata, quando pensate che la zona più industrialmente attrezzata è stata in parte distrutta, non dovete credere che la Russia non ci dà pane perché nutre verso di noi malevolenza. Se la Russia non ci dà materie prime è perché la Russia deve pensare a sé stessa, la Russia deve rifare, come noi e assai più di noi, ciò che ha perduto.

Essa stessa è costretta a prendere altrove, in paesi che occupa, con tutti i mezzi più duri, ciò che noi vorremmo desse a noi.

Io credo di aver fatto il possibile per riportare la discussione in un clima di sincerità. Purtroppo qui si discute non pensando che al Governo e alle elezioni: bisogna fare le elezioni, ma non è questo il solo fatto che ci interessa. Dobbiamo non stupidire pensando solo alle elezioni.

Sono io che ho proposto la proroga della Costituente. I poteri erano per scadere. Erano trascorsi gli otto mesi previsti dalla legge, poi erano vicini a scadere gli altri quattro che erano stati previsti dalla stessa legge. Bisognava che qualcuno avesse il coraggio di parlare di nuova proroga. Il Governo fece allora sapere che era disposto a far domandare una proroga fino a settembre.

L’onorevole Nenni, che parlava allora con virulenta passionalità (Si ride), disse: elezioni subito a ogni costo. Io, ostinato, dissi e sostenni: dobbiamo prorogare la Costituente fino al 31 dicembre. Non voleva nessuno persuadersi della necessità. La logica lo impose. Così fu fatto e si è pervenuti a quel termine del 31 dicembre di cui prima avevano tutti riso, siccome di termine troppo lontano.

Ora l’onorevole De Gasperi ha un termine, ma non un termine così breve come si era detto, ed è in rapporto alla data dello scioglimento della Camera.

È il solo termine che ha per le elezioni; ma l’onorevole De Gasperi non ha fretta di fare le elezioni e si regolerà secondo la convenienza e la logica.

Ed ora mi permetto di rivolgergli una domanda. Egli, che è uomo calmo ed abituato alle ricerche, crede proprio che noi esauriremo i nostri lavori entro il 31 dicembre? Poniamoci questo problema, io non posso proporre nuova proroga, perché, quando proposi l’ultima proroga, dichiarai che non sarei stato io a proporne un’altra. Io vorrei che qualcun altro, se crede, la proponesse, dal momento che io non posso farlo. Bisognerà discutere e votare ancora su molti problemi complicati e difficili, riguardanti la Camera e il Senato, e se vi è troppa fretta vi potranno essere votazioni incomposte e contradittorie. Voi avete visto stamattina: quale esaltazione violenta su cose che potevano discutersi pacificamente. Pareva di essere tra dervisci ubriachi; tutti erano eccitati, non si sa perché, se pure il contrasto non era tale da eccitare gli animi.

Noi siamo oggi, mi pare, al 18 dicembre e ci rimangono ancora pochi giorni di lavoro utile. Poi da buoni cattolici voi volete festeggiare il Santo Natale, come volete rispettare tutte le domeniche e le feste comandate.

La Commissione incaricata di coordinare il testo che noi abbiamo preparato, in cui non mancano errori e contradizioni, può fare seriamente il lavoro in tempo? Si è detto: «Noi non vogliamo la proroga» ma si pensava: «noi vogliamo soltanto una prorogatio». (Si ride). Proroga o prorogatio, come più vi piace, una cosa è certa, ed è che non finiremo il lavoro nostro in dicembre e dovremo andare avanti, come si potrà, tutto il mese di gennaio.

Io non faccio nessuna proposta; sono obbligato a non proporre proroga. Voi ponetevi il problema, e se lo ponga anche l’onorevole De Gasperi, il quale, impegnato a fondo, non potrà poi ritrattarsi se qualcuno, oltre la prorogatio, vorrà anche la proroga.

Ho fatto una serie di domande che richiedono risposte. Io sono ancora una volta nella situazione che mi è stata rimproverata: cioè che parlo aspramente e poi concludo amichevolmente. Io non sono contento di questa crisetta ministeriale, e delle modificazioni apportate nel Ministero. Io ne avrei fatto volentieri a meno. Ma subirò ancora questi inutili errori. Io ho parlato contro ciò che si è fatto e che si vuol fare: ma voterò in favore dell’onorevole De Gasperi. (Si ride).

LUSSU. È un errore.

NITTI. No, non è un errore; è soltanto sincerità. La lunga esperienza di qui dentro, dopo tanti anni che sono stato lontano, mi ha mostrato l’abbassamento del costume politico e mi dice che ogni crisi ministeriale peggiora il Ministero, lo rende più numeroso, più costoso, meno efficiente, e, qualche volta, anche meno intelligente. Non credo sia utile e nemmeno onesto parlare di crisi ministeriale: si farebbe quasi certamente peggio.

Io voterò a favore, come è mio dovere di italiano, in un’ora di pericolo, quando non so né meno che cosa sarà dell’Italia fra alcuni mesi e non voglio aumentare il senso di malessere che è in tutti quanti ragionano. Quale triste situazione! Noi siamo avvolti nella nebbia e camminiamo fra i precipizi, senza renderci conto della realtà. Noi dobbiamo lavorare tutti per uscire il meno male da questo difficoltà e avere, oltre a una volontà di lavoro, un massimo di onestà e di buona fede all’infuori dei partiti e degli intrighi che impediscono o rendono difficile ogni opera di ricostruzione.

E con questo auguro che anche la discussione attuale, che in apparenza ha avuto qualche carattere di asprezza, spero non sia stata vana. (Applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi prego di consentirmi innanzitutto di esprimere un giudizio personale su questa nuova formazione governativa. I fatti politici sono creati dalle persone, e dunque può esser consentito d’esprimere un giudizio personale senza impegnare in modo capitale il proprio partito.

A me questo Governo piace straordinariamente (Commenti), ma quando dico straordinariamente forse non dico abbastanza per esprimere tutto e completamente il mio vero e vivo piacere. Non solamente per il Presidente di questo Governo, che è un ottimo Presidente; non solamente per la sua linea politica che io non posso che apprezzare e studiare, perché bisogna sempre imparare; quanto per l’opera sua che vado sempre più ammirando, con l’interesse con cui un critico artista può ammirare una creazione artistica.

In un certo senso io sono parente di questo Governo; ne sono il nonno.

Una voce all’estrema sinistra. Povero nonno!

GIANNINI. Ero il padre del Governo che lo ha preceduto e di cui questo è figlio. È stato precisamente sulla fine della primavera passata che accettando un nostro lungo e annoso consiglio l’onorevole De Gasperi si decise a fare un Ministero di colore.

Noi facemmo, come partito, un importante passo avanti in quell’occasione. Avemmo modo di confermarlo a Bari il 5 giugno, poco dopo la formazione del Ministero; proclamammo a Bari i nostri dieci punti. Eravamo diventati niente meno che un partito di Governo, dopo essere entrati qui come un partito quasi clandestino; avevamo guadagnato una legittimità, avevamo un passaporto.

Fui io a sostenere quella formazione governativa, furono i miei amici, tutti d’accordo nell’idea, onorevole nostro maestro Nitti, di appoggiare il Ministero in cambio di nulla, c semplicemente perché era nostro dovere appoggiarlo, volendo ottenere il risultato politico di estromettere i comunisti dal Governo italiano. Ci riuscimmo e, fatto strano, da quel momento diventammo filo-comunisti (Si ride), e filo-comunisti a un punto tale da correre seri pericoli.

Poi vi furono gravi inconvenienti, come in tutte le cose di questo mondo. Il Governo di colore, partorito con tutte le nostre più affettuose cure, fece quello che fanno tutti i figli: trascurò il padre (Si ride).

È la tragedia di Re Lear che sempre si ripete. A un certo punto si maturò una situazione e io (devo per forza parlare in prima persona, onorevole signor Presidente del Consiglio, perché, ripeto, sto esprimendo un giudizio personale, che forse può non essere approvato dalle mie… falangi) credetti di ravvisare la necessità di cambiarlo quel Governo, di fare la crisi. Ne avevo i mezzi, ne avevo la possibilità. Pensavo che, facendo la crisi, si sarebbe riformato un Governo presieduto da Lei, onorevole Presidente del Consiglio, perché non è possibile pensare che possa esservi un Governo presieduto da altri; formato dalla Democrazia cristiana, ma in sostanza costruito sul Fronte dell’Uomo Qualunque, che era diventato così importante, che aveva avuto un Congresso, il cui successo aveva allucinato il mio elegante nemico Negarville, ammiratissimo dei risultati di quel convegno politico qualunquista. Senonché che cosa è accaduto? È accaduto, forse a causa del successo di quel nostro congresso, forse a causa di chissà quali altri nostri successi in pectore,che a un certo momento questo grande Partito ha cominciato a preoccupare eccessivamente, rivelandosi per il grande, vero terzo partito, che si va affermando tale nelle varie elezioni amministrative, anche nelle sue attuali condizioni. Lei e il suo Ministro dell’interno lo sanno, perché hanno i risultati, i quali sono enormemente superiori a quelli che ha Pacciardi, a quelli che ha Saragat: e maggiori non per una, per due, ma per dieci e quindici volte. Lei le ha queste prove; lei le ha queste cifre, onorevole signor Presidente del Consiglio.

Questo vero grande terzo partito a un certo momento ha dovuto incutere una paura colossale. Certo è che io mi sono trovato improvvisamente in minoranza nel mio Gruppo parlamentare, dopo aver fatto un discorso che l’onorevole Togliatti spesso chiosa dandomi del pappagallo rientrato. Io le dimostrerò che se io sono rientrato come pappagallo, lei, onorevole Togliatti, è forse fallito come stratega. Io ritornerò forse sotto le vecchie cottole, ma lei dove tornare alla scuola strategica di Kutuzoff, perché ha perduto una grande battaglia, glielo dimostrerò: ha perduto una grande battaglia politica! (Si ride).

Proprio nel momento in cui volevo trasformare il mio Partito da Partito di Inverno in Partito che poteva determinare una crisi di Governo e contribuire a formare un Governo, cioè ad aggiungere l’ultimo gallone su un magnifico berretto che avevo potuto donare all’Uomo Qualunque, mi sono trovato nel nostro Gruppo parlamentare a colluttare con elementi monarchici, con esponenti d’una destra almeno a parole rivoluzionaria, con esponenti di ceti ricchi, di ceti industriali, di ceti agrari, che si presentavano in compagnia di qualche altro amico che fa sempre numero. Mi hanno rovesciato. Votarono compatti per il Governo De Gasperi che, difatti, vinse per trenta voti: i nostri. Se io non mi fossi astenuto ne avrebbe avuti trentuno.

A questo punto, qualcuno mi domanderà perché sono tanto contento, come domandava quel turista che, davanti alla gabbia della iena, apprendendo come viveva la iena, di che cosa si cibava, sentendola chiamare iena ridens disse: ma che cos’ha da ridere questo stupido animale?

Perché sono contento? Sono contento, onorevole De Gasperi, perché lei ai miei monarchici ha dato l’onorevole Pacciardi (Si ride), ai miei industriali ha dato l’onorevole Tremelloni, con le sue pianificazioni, a quei ceti i quali mi credevano troppo sinistro lei ha dato il marxismo di Saragat…

Una voce all’estrema sinistra. Non fa paura quello.

GIANNINI. Fa paura anche quello. Comunque io ho visto magnificamente ricompensati coloro che hanno fatto fallire la mia brillante manovra parlamentare, e di questo la ringrazio, onorevole De Gasperi, e le sono profondamente grato; e spero, se l’occasione si presenterà, di renderle lo stesso servigio, perché fra amici bisogna sempre aiutarsi! (Si ride). Lei mi ha dato una grande soddisfazione, e io le dimostrerò questa sera, con il mio discorso, che non è certo di maggioranza, ma d’opposizione, che le sono davvero riconoscente: che ho contratto un debito con lei e che voglio pagarglielo.

A questo punto può finire la mia esposizione di carattere personale e incominciare quella, più grave e meno divertente, di capopartito. Certamente mi si obietterà che sono scontento, come capopartito, di questo rimpasto, perché non ho preso parte alla costituzione del Governo.

SCOCA. Sperava un’altra vicepresidenza!

GIANNINI. No, onorevole Scoca, non ci voleva un’altra vicepresidenza. Noi non ci riteniamo ancora un Partito di Governo dell’importanza del Partito repubblicano e del Partito saragattiano, tale da poter imporre le nostre ideologie in modo assoluto e anzi assolutistico. Ho letto le cronache della crisi, perché l’ho seguita da lontano come vi spiegherò, e come il Presidente del Consiglio potrà confermare: e ho fatto la conoscenza delle varie ideologie sui giornali dei vari partiti interessati. Ho saputo che v’era un’ideologia del petrolio, un’ideologia del carbone, un’ideologia dei Ministeri economici. Mi sembra che queste siano ideologie comuni a tutti i partiti; e quindi anche al nostro.

E allora non comprendo per quale ragione noi siamo stati esclusi dal rimpasto. Forse la ragione è stata quella che noi, obbedendo ancora una volta al precetto dell’onorevole Nitti, avevamo accettato di far parte del Governo unicamente designando un nostro rappresentante in quel famoso Consiglio di presidenza che l’onorevole De Gasperi voleva – e giustamente, lodevolmente – per offrir garanzie ai vari partiti sul modo come dovranno svolgersi le elezioni. A noi le elezioni interessano; noi abbiamo un largo seguito; noi desideriamo aumentarlo: noi avremmo volentieri fatto parte del progettato Consiglio di presidenza, senza però assumere nessun Ministero. Né questa è una favola che vi racconto adesso, perché l’abbiamo espressa in un ordine del giorno regolarmente votato dalla Giunta esecutiva del nostro Partito, approvato dal parlamentino due giorni dopo, e che ha ormai venti giorni di anzianità. Non vi racconto né storie recenti, né ardite invenzioni.

A queste condizioni noi avremmo partecipato al Governo; ma a condizione di modificare lo Stato e panificarlo in tre mesi, come si propone l’onorevole Tremelloni, non avremmo accettato: perché non abbiamo questa capacità e abilità. Attendiamo questi valorosi all’opera per sapere come si fa in novanta giorni a sistemare…

PERSICO. Non se lo è mai sognato l’onorevole Tremelloni.

GIANNINI. Ho qui i vostri giornali, amico Persico, autore dell’Uomo qualunque! Ricordati che fosti tu a crearlo quando lo sopprimesti (Si ride). Era lui il prefetto di Roma che soppresse l’Uomo qualunque e da quella soppressione nacque la fiamma. Gliene sono grato, come sono grato al Presidente del Consiglio. Ho qui l’Umanità, quotidiano dei saragattiani, non voglio dire del pisellismo. «Si richiamano energicamente le classi privilegiate al loro dovere sociale»…

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Questa è la dichiarazione del Governo.

GIANNINI. Ma è in effetti una presa di posizione d’un partito il quale viene a socializzare lo Stato. E ben venga! Vedremo, in questi novanta o cento giorni che ci separano dalle elezioni, che cosa farà, che cosa avrà potuto fare. Noi non ci sentiamo questa forza. Noi siamo più modesti.

Potrei leggere qualche cosa anche della Voce Repubblicana; ma l’ha letta già l’onorevole Togliatti, ed io ho sempre paura di ripetere ciò che fa l’onorevole Togliatti perché ho idea che mi porti sfortuna. (Si ride).

Ora, che cosa è accaduto? È accaduto che ci troviamo di fronte a un Governo diverso da quello al quale noi avremmo partecipato. Noi avremmo partecipato volentieri a un Governo che avesse fatto le elezioni con questo Consiglio di presidenza, nel quale ciascuno si sarebbe dovuto occupare solamente delle elezioni e garantire non soltanto il proprio, ma tutti i partiti. Il Governo democristiano sarebbe rimasto il Governo monocolore, Governo tranquillo, Governo d’ordinaria amministrazione. Poiché, nella nostra inesperienza di «uomini qualunque», noi riteniamo che in questo momento non vi sia nulla di più importante da fare in Italia – oltre, naturalmente, al normale sbarcamento del lunario – che le elezioni. Non crediamo a problemi politici trascendentali.

Dirò, in rapida parentesi che dedico al conte Sforza, che non credo nemmeno alla possibilità d’una politica estera italiana.

Mi stupisco che uomini di ingegno lottino e si lancino pezzi di Patria e di bandiera l’uno sulla faccia dell’altro, per sapere se dobbiamo andare con l’America o con la Russia.

In tema di politica estera credo che il conte Sforza possa darci atto – egli che legge i nostri giornali con attenzione, del che lo ringrazio – che noi abbiamo sempre trattato con pudore la materia, in quanto siamo convinti che un Paese nelle nostre condizioni, e anche Paesi in condizioni apparentemente migliori come la Francia, non possano ancora fare una propria politica estera: debbono necessariamente subirla. Ed allora è forse meglio non parlarne troppo di questo problema, e dovendo piegarsi a un giogo, è nostra opinione che sia forse carità di Patria sceglier quello più lieve e meno doloroso.

Il veder lottare in pro dell’America o in pro della Russia mi dà l’impressione di veder una turba di schiavi che lottino, battendosi con le proprie catene, per sceglier quale padrone debbano servire. Noi ci rifiutiamo di partecipare alla lotta; e in quel pudore in cui ci ammantiamo, riteniamo che di politica estera italiana si debba riparlare solo quando la dignità del nostro Paese permetterà di discorrerne con quella voce alta e con quel tono vibrato che non possiamo ancora assumere.

Sulla politica interna ci è stato assicurato da un uccellino, che ha volato nel Gabinetto dell’onorevole De Gasperi, che egli era molto bene intenzionato nei nostri confronti, e che avrebbe desiderato la nostra collaborazione. Questo usignoletto…

COSTANTINI. Non era un pappagallo?

GIANNINI. Situazione che vai, uccello che trovi. (Si ride). Questo usignoletto ci ha, dunque, informati che l’onorevole De Gasperi era contento di poter avere la nostra collaborazione; e contento perché – io interpreto il suo pensiero, onorevole signor Presidente del Consiglio; non pensi che le voglia attribuire questa intenzione; sono io a interpretare, lei mi può smentire – ho pensato che l’onorevole De Gasperi non volesse far andar in giro la Democrazia cristiana, che è una matrona annosa e decente, con troppo rossetto sulla bocca, e avesse pensato che un’aliquota qualunquista non ci sarebbe stata male per rimediare a quel troppo scarlatto che arroventava le labbra della vecchia signora.

Senonché l’onorevole De Gasperi ha trovato fieri ostacoli nel Partito socialista dei lavoratori italiani e nel Partito repubblicano. Io vorrei sapere – e ne sarei grato a questi due egregi colleghi – se i capi del Partito repubblicano e «pisellista» volessero avere la franchezza di dirmene il perché. Io non so perché il Partito repubblicano debba ritenersi tanto più a sinistra di noi. Forse perché occupa quel settore verso la circa sinistra? Ma io son pronto ad andare a sedermi vicino all’onorevole Cianca! (Viva ilarità). Non credo che una questione politica possa essere semplicemente una questione di seggi.

Io non so che cos’abbia questo Partito repubblicano italiano, con cui ho pure qualche parentela – non è vero Macrelli? – di così straordinariamente sinistro, per cui non si possa mischiare con noi.

Poi v’è questo Partito socialista dei lavoratori italiani, perché evidentemente gli altri Partiti socialisti non sono dei lavoratori. (Si ride). Questo speciale Partito socialista ha pubblicato un programma nel quale abbiamo riconosciuto le nostre idee. (Si ride). Intendiamoci: tali idee, poiché le abbiamo tutti e due prese allo stesso ceppo, si rassomigliano. Abbiamo visto che abbiamo lo stesso programma. Tempo fa ho avuto occasione di scrivere – quando mi si e rivelato il cosmico intelletto dell’onorevole Tremelloni – ch’ero addirittura sbalordito della rivelazione, e che mi domandavo perché egli era rimasto così indietro a quello che noi avevamo progettato.

Poi ho pensato: forse repubblicani e saragattiani non ci vogliono perché siamo ancora sotto un marchio di fascismo, come quando siamo entrati in questa Assemblea con passo clandestino. Ma ho dovuto subito rispondermi di no, perché una dichiarazione di democraticità ci è venuta dalla più autorevole cattedra di democrazia che è in quest’Aula, e precisamente dal settore comunista (Si ride) e per la penna dell’onorevole Togliatti.

E allora quale ha potuto essere la ragione per cui questi due partiti si sono opposti alla nostra partecipazione al Governo? Intendiamoci: sempre limitata alla presenza nel Consiglio di presidenza per sorvegliare le elezioni, non già per assicurarci la direzione del monopolio dei carboni o della benzina o per realizzare altre fruttifere ideologie. (Si ride). Solo per le elezioni, ripeto. Qual è la ragione per cui siamo stati esclusi dalla nobile gara, e messi fuori in tal modo che abbiamo sentito il bisogno – una canzone napoletana dice: «Io so’ signore e tengo ’o core cchiù signore ’e me» – di dichiarare, in un ordine del giorno, che non volevamo di più, e che avremmo partecipato «solo se richiesti», e apertamente richiesti, appunto perché non intendevamo farci mettere alla porta?

Oggi abbiamo il piacere, in questa seduta, di constatare che è stato meglio per noi non far parte di questo Governo di pacificazione (Si ride), che ci ha dato una edificante dimostrazione, con le violente interruzioni lanciate anche dal banco del Governo, di quale pacificazione sia quella a cui andiamo incontro. (Commenti). Mi struggo dal desiderio di sapere da questi due Ministri, che poi, privatamente, sono due buoni amici, perché non ci hanno voluti. Debbo pensare che non ci hanno voluti per ragioni di interesse? No, perché abbiamo tassativamente escluso le ideologie di cui ho parlato prima. (Si ride). Debbo pensare, Pacciardi, che lei aveva paura dei comunisti, che lei Saragat, aveva paura dei comunisti? Debbo pensare che voi non ci avete presi nel vostro Governo perché avevate paura di mettervi contro i comunisti? Se debbo pensare questo, vi dichiaro che sono veramente lieto, davvero contento – è una seconda contentezza, onorevole signor Presidente del Consiglio – di non far parte di questo Ministero in cui sono Ministri che hanno paura.

Ma altra ragione non mi pare vi possa essere. L’esempio di democrazia che ha dato il nostro Partito non lo ha dato nessun partito qui dentro; nessuno dei partiti qui presenti, ha una sua Camera dei deputati interna come ce l’abbiamo noi, il cosiddetto parlamentino. (Si ride – Commenti). Ridete come volete, ma il fatto è innegabile. Nessuno dei vostri partiti ha capi che siano stati eletti più democraticamente dei nostri. E finalmente, nessuno dei vostri partiti è stato capace delle fiere ribellioni di cui siamo stati capaci noi; fiere ribellioni contro forze potenti, che ci hanno attirato la stima dei nostri avversari, forse il disprezzo di qualche amico, o falso amico, ma certamente l’espressa ammirazione di tanta gente che prima ci giudicava con superficialità e sufficienza.

Allora, mancando il primo pretesto, mancando il secondo, mancando il terzo, io non devo fermarmi che sul quarto: ossia debbo pensare che questi due grandi partiti abbiano avuto paura d’urtarsi con i comunisti per noi. E se così è, noi trarremo le nostre conseguenze da questo fatto, e le trarremo alla prima occasione, amico Pacciardi, perché ci son colpi che in politica si possono ricevere solo a patto di restituirli, perché bruciano, e troppo.

Risolta la questione della nostra non partecipazione al Governo e delle ragioni ancora misteriose che l’hanno determinata, noi vorremmo sapere, non a parole ma a fatti, quale è la ragione per cui è stato fatto questo rimpasto. Se non è per le elezioni, se non è per garantire a tutti i partiti la genuinità delle operazioni elettorali, a quale scopo è stato fatto questo cambiamento di Governo? La crisi è durata circa due mesi, cioè a dire dal 4 ottobre all’altro ieri. Una prova di più che era necessario cambiare il Governo è che lo si è cambiato; ma perché lo si è cambiato in questa forma bipolare è quanto non riusciamo a capire. Siamo disorientati da quello che leggiamo sui giornali (la politica ormai si fa sui giornali, non più qui dentro) da alcuni dei quali abbiamo appreso che questo era un Governo tale e quale a quello che v’era prima.

Da giornali di altri partiti abbiamo saputo invece che era stato tutto scombussolato e cambiato. V’è poi l’onorevole Togliatti che ha battuto un vero primato. Egli ci ha innanzi tutto gradevolmente sorpresi presentandosi in veste di costituzionalista. In tale veste egli ci ha dichiarato che questo Governo era incostituzionale, e che era incostituzionale perché era un altro Governo e non si trattava d’un rimpasto. Senonché sull’Unità, giornale con cui io credo che l’onorevole Togliatti abbia intimi rapporti (Si ride), si legge niente di meno che questo: «Il rimpasto è fatto ma il Governo è sempre nero. È il tema delle conversazioni che si terranno giovedì alle ore 19 nelle sessantaquattro sezioni romane del Partito comunista». (Si ride). Debbo pensare che l’onorevole Togliatti è smentito dal suo partito? Badi, onorevole Togliatti, quando capitano questi infortuni è difficile salvarsi come mi son salvato io. (Si ride). Non so dove andrebbe a finire lei. Io me la sono cavata, ma per lei chissà che cosa potrebbe accadere!

Ora, questo Ministero è nuovo o non è nuovo? E se è nuovo che cosa si propone? L’onorevole De Gasperi ce lo ha detto, l’onorevole De Gasperi ci ha parlato di ordine, di disciplina sociale; ci ha detto quelle brevi parole che si dicono – di solito sono parole in libertà, di circostanza – ma effettivamente non ci ha enunciato niente su cui noi potessimo appuntare una critica magari infondata. Praticamente non possiamo criticare questo Ministero, perché non sappiamo che cosa ci darà di nuovo, a meno che la presenza di questi due nuovi partiti nel Governo non voglia imprimere al Governo un andamento rivoluzionario; ma in questo caso noi abbiamo il diritto di chiedere: signori, diteci che cosa voi volete veramente fare, perché, stando a ciò che avete l’aria di prometterci, voi non dovete limitarvi a fare le elezioni in aprile, o ai primi di maggio, come io spero, ma chissà quali miracoli.

Il guaio è, però, che in questo brevissimo lasso di tempo io non so che cosa potete fare, non so che cosa vi permetteranno di fare certi determinati ceti, i quali non sono affatto d’accordo con la pianificazione e la socializzazione; per la qual cosa io mi domando quale è la ragione per cui v’è un Partito socialista in questo Governo, quando è più che evidente che non può realizzare il socialismo. Tanto valeva che se ne stesse sui suoi banchi. Non parliamo poi del Partito repubblicano, il quale, non dovendo realizzare altro che la Repubblica, come giustamente ha osservato l’onorevole Nitti, non può che definirsi Partito repubblicano conservatore o progressista, oppure considerarsi un partito che ha esaurito nobilmente, ma sempre esaurito, il suo compito avendo raggiunto il suo obiettivo.

È anche a questa domanda che noi chiediamo rispettosamente una risposta, onorevole signor Presidente del Consiglio. E ciò con nessuna idea d’intralciarla nel suo lavoro, con nessuna volontà di darle fastidio.

Io credo che, in un certo senso, la sua opera debba esser veramente benedetta da Dio, protetta dal destino, perché lei riesce a far applaudire il mangiamonarchi Pacciardi dai monarchici. (Interruzioni all’estrema destra). Sì, ho udito gli applausi, anzi li ho visti gli applausi. Mi compiaccio, onorevole De Gasperi, perché lei riesce a far applaudire Pacciardi dai monarchici, lei riesce a ottenere il consenso di ceti, oserei dire plutocratici, avendo in casa il marxismo di Saragat, marxismo al quale l’onorevole Saragat non rinunzia. Lei riesce anche ad altro: il solo partito che poteva dar fiera noia al suo è il Fronte dell’Uomo Qualunque, avendo lei massacrato tutti gli altri. Bene: lei è riuscito a farsi cavare questa castagna dal fuoco dall’intelligenza strategica del Partito comunista che ha assalito le nostre sedi: mentre il nostro era l’unico Partito che il comunismo non avrebbe dovuto toccare, perché era ed è l’unico Partito che avrebbe potuto dare e dà fastidio alla Democrazia cristiana. Il comunismo invece ci si è buttato su come, non posso dire un toro, ma come un bue, perché, quando l’azione è stupida, non può avere sesso.

Il comunismo s’è gettato sulle sedi qualunquiste con l’illusione di distrugger l’Uomo Qualunque, ed è riuscito soltanto a rivelare a tutti l’enorme numero di sedi che abbiamo in Italia. Mentre degli altri partiti sono state toccate due, tre, quattro sedi, nell’elenco presentato dal Governo, e che, quindi, è ufficiale, noi abbiamo l’onore di figurare con 49 sedi. Siamo il Partito più numeroso, meglio impiantato, più diffuso, più organizzato, e ce la vedremo alle prossime elezioni, che noi faremo con danaro o senza danaro, con mezzi o senza mezzi; tirando fuori, colleghi dell’estrema sinistra – questo non ve l’ho mai detto, questo non ho voluto dirvelo mai, ma oggi ve lo dico, perché non dovete pensare che qui non si sia pronti – tirando fuori gli stessi vostri metodi ove voi ce ne imponiate la necessità. Noi possiamo scherzare su molte cose, possiamo, per la necessità di persuadere gli Stati Uniti d’America che non siamo totalitari, subire anche qualche prepotenza; ma, in materia di elezioni, no! Con le elezioni non si transige.

Quindi, o cambiate strategia politica e rimandate i vostri generali a imparare dall’ottimo Kutuzoff, o preparatevi a qualche cosa di molto spiacevole che sarete voi ad aver provocato.

Voi, dico: soltanto voi; perché se io mi son sempre rifiutato di fare un blocco di destra e ho subito insidie, combattimenti, perfino attacchi brutali basati sul danaro – di cui m’infischio, perché continuo e continuerò a vivere lo stesso – perché non ho voluto piegarmi a fare quanto voi sapete, voi, con la vostra politica dissennata, respingendo il mio Partito verso posizioni d’estrema destra, sarete i responsabili di ciò che accadrà domani se non cambierete sistema, se non imparerete a vivere come si deve vivere con una parte politica come la nostra, che ha dato lezioni di lealtà a tutti quanti, e non ne ha ancora dovuto ricevere…

TOGLIATTI. Onorevole Giannini, noi vi abbiamo chiesto di liberarvi dai fascisti, niente di più.

GIANNINI. Onorevole Togliatti, si liberi anche lei dei suoi fascisti! (Ilarità – Applausi al centro e a destra). È questo che io le domando: si liberi dei suoi fascisti ed io non richiamerò i miei, perché non ne ho più. Ma è lei che mi costringe a richiamarli, e il giorno che li richiamerò non so cosa accadrà. (Rumori all’estrema sinistra).

PAJETTA GIANCARLO. Male!

GIANNINI. Pajetta, io vengo a Piazza del Duomo a parlare!

Una voce all’estrema sinistra. Qui ci sono i partigiani!

PAJETTA GIANCARLO. Puoi venire a Piazza del Duomo se ti comporti bene!

Una voce a destra. Perché, sei tu il padrone di Piazza del Duomo? (Commenti).

GIANNINI. Non hai idea di ciò ch’è stata l’opera mia per impedire in Italia la guerra civile!

PAJETTA GIANCARLO. Nessuno t’ha mai impedito di parlare!

GIANNINI. Lasciamo andare. Ci siamo capiti, no? (Si ride). Allora, onorevole De Gasperi, e salvo questa piccola parentesi che era dovuta ai colleghi dell’estrema sinistra, io dichiaro che è difficile lottare con lei. Lei riesce, come ho detto, a far applaudire Pacciardi dai monarchici, lei riesce a consolare gli industriali, lei riesce a servirsi del Partito comunista contro il Qualunquismo, lei riesce a tutto! Evidentemente lei è protetto dal destino e io al destino non mi posso ribellare.

D’altra parte, il modo come lei ha trattato l’Assemblea Costituente nemmeno mi dispiace. Certo, vi sarebbe da fare qualche obiezione sulla disinvoltura con cui si è rifatto il Governo, perché, insomma, l’onorevole Togliatti non ha poi tutti i torti quando dice che vuol essere sentito anche lui, ch’è anche lui qualcuno e rappresenta qualche cosa. Ugualmente l’onorevole Nenni rappresenta anche lui qualche cosa; né mi sembra che i due enormi partiti che oggi collaborano con lei rappresentino qualche cosa più di noi, e ne abbiamo continuamente prove confortanti; lo vediamo nel Consiglio comunale di Roma, lo vediamo in tutte lo elezioni amministrative che facciamo.

Ora – è un po’ difficile dir questo con parole acconce – io penso, signor Presidente del Consiglio, che lei abbia un po’ trascurato questa Assemblea; ma non gliene faccio troppo aspro rimprovero, perché forse questa Assemblea merita d’esser trascurata, merita d’esser un po’ presa in giro, di trovarsi a ogni momento di fronte a un Governo nuovo, a qualche situazione nuova.

Lei forse, onorevole Presidente del Consiglio, non è il Duca di Richelieu di questa Italia in ricostruzione, non ne è forse neppure il Cardinale Mazarino: ma ne è certamente l’abate Scarron, il poeta burlesco.

Una voce all’estrema sinistra. Non è poeta, De Gasperi.

GIANNINI. Ma è burlesco. Lei, onorevole De Gasperi, è l’uomo che ci vuole per noi e io la ringrazio di sottoporsi a questa improba fatica di governare. Le dirò che personalmente le prometto il mio voto, e che cercherò di convincere il mio Gruppo – che non vuol votare per lei – a votare per lei. E glielo prometto per ragioni di logica e d’eleganza per distruggere un controsenso. I miei amici di Gruppo, quando con i nostri voti potevamo buttarlo giù, non hanno voluto votare contro di lei; e adesso che lei dei nostri voti non sa assolutamente che farsi, perché ha le falangi saragattiane e pacciardiane, adesso le vogliono votare contro. (Si ride).

Ciò dimostra l’ingenuità, ma anche la purezza, degli uomini qualunque (Viva ilarità), i quali non conoscono l’intrigo. Io però l’ho imparato il mestiere, e so che le elezioni ci daranno altri maestri con cui lei potrà fare altri e migliori conti.

Spero fermamente di raggiungere lo scopo di far votare il mio Gruppo in suo favore, non perché lei ne abbia bisogno, ma perché è necessario che il suo Governo e il suo Partito non si diano troppo vanto del belletto rosso che si son messi sulle labbra e sulle guance. Lei deve passare, ma deve passare e anche coi nostri voti. (Si ride).

Lei deve passare anche con i nostri voti, e non solamente con quelli dei suoi nuovi soci, per i quali, non potendo far loro maggior dispetto, voterò in favore. (Si ride). Spero di non avere un’altra crisi di Gruppo dopo questo discorso… (Applausi a destra – Commenti – Ilarità) a meno che dalle sue prodighe mani non sian piovuti altri impegni, o altre promesse di sottosegretariati: promesse e impegni che lei m’ha dato la grande gioia di non mantenere dopo averli dati. (Commenti). Grazie, onorevole signor Presidente! (Vivi applausi – Moltissime congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevoli colleghi, cercherò di rispondere brevemente, chiaramente e serenamente ai vari punti sollevati dai colleghi in questa discussione, specialmente dagli onorevoli Togliatti, Nenni, Giannini ed altri.

Poiché credo mio dovere riferirvi i fatti come stanno, con assoluta obiettività e chiarezza, senza alcuna passione di parte e avendo riguardo solamente a quelli che sono gli indissolubili interessi dell’Italia e della pace, incomincerò col leggervi nel suo testo integrale la dichiarazione di Truman.

Iniziando il mio dire con questo argomento, rispondo, con suo cortese permesso, anche all’onorevole Negarville, che presentò un’interpellanza sulla dichiarazione Truman.

Truman disse: «Sebbene gli Stati Uniti stiano ritirando le loro truppe dall’Italia, adempiendo così agli obblighi del Trattato di pace, essi continuano ad essere interessati alla preservazione di un’Italia libera e indipendente. Se nel corso degli avvenimenti divenisse evidente che la libertà e l’indipendenza dell’Italia, su cui riposa il Trattato di pace, fossero minacciate direttamente o indirettamente, gli Stati Uniti, quali firmatari del Trattato e quali membri delle Nazioni Unite, sarebbero obbligati a considerare quali misure sarebbero appropriate al mantenimento della pace e della sicurezza».

Questo è il testo della dichiarazione.

L’onorevole Nenni ha asserito che la Carta dell’O.N.U. non può applicarsi ad un Paese che non appartiene alle Nazioni Unite, e che detta Carta non parla in nessun caso di interventi limitatori della dignità di uno Stato da parte di un altro. Ed è stato da taluno affermato che invano si cercherebbe nel Trattato firmato a Parigi e ratificato dalla Costituente la clausola o le clausole alle quali si riferisce il Presidente Truman.

Ecco in realtà le cose come stanno.

La formula di Truman «libertà e indipendenza» trova piena e completa rispondenza sia nel Trattato di pace che nella carta delle Nazioni Unite.

Il primo termine «libertà» riassume in sé l’articolo 15 del Trattato di pace, il quale definisce la libertà nel suo valore estrinseco. L’articolo 15 dice infatti:

«L’Italia prenderà tutte le misure atte ad assicurare a tutte le persone sotto la giurisdizione italiana senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione, il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ivi comprese la libertà di espressione, di stampa e pubblicazione, di culto religioso, di opinione politica e di riunione pubblica».

Vi è chi ha sostenuto che gli articoli del Trattato di intonazione politica si riferirebbero solo alle possibilità di una restaurazione fascista.

Queste possibilità sono menzionate nell’articolo che segue, articolo 17 del Trattato che dice a sua volta:

«L’Italia che, giusta i termini dell’Armistizio, ha preso le misure per dissolvere le organizzazioni fasciste in Italia, non permetterà il risorgere di tali organizzazioni sul suolo italiano, siano esse politiche, militari o semi militari».

La Conferenza della pace ha dimostrato nei suoi vari procedimenti che questi due articoli, il 15 e il 17, si tengono per mano: essi sono stati negoziati uno accanto all’altro. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica furono fra gli Stati che più insistevano.

Cumulativamente i due articoli coprono l’eventualità di nuove dittature, sia di destra che di sinistra. In linea di principio entrambi danno il modo, non solo agli Stati Uniti, ma a qualunque altro firmatario del Trattato, di invocare il Trattato di pace nel caso che l’una o l’altra o entrambe le eventualità avessero a verificarsi.

Il secondo termine della formula di Truman «indipendenza» si ritrova al paragrafo 4° dell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite. Dice l’articolo in parola: «tutti i membri che si asterranno nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato».

Quindi la Carta delle Nazioni Unite copre anche l’Italia, sia essa o no membro dell’O.N.U. Inoltre dal contesto risulta che «indipendenza» è intesa come indipendenza da una minaccia esterna.

La formula di Truman si presenta, quindi, come la classica formula di sicurezza della Carta di San Francisco, la formula «integrità e indipendenza», il cui primo termine è costituito dal «freedom», la integrità rappresentata dagli articoli 15 e 17 del Trattato ed il cui secondo termine «indipendenza» è ulteriormente rafforzato nella specie dalle clausole territoriali del Trattato, all’articolo 2.

Queste del Trattato e della Carta delle Nazioni Unite sono, mi domando, limitazioni o garanzie della vita internazionale?

NENNI. Le più contrarie a noi che possano essere concepite.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Vedremo.

Queste del Trattato e della Carta delle Nazioni Unite, ripeto, sono limitazioni o garanzie della vita internazionale?

Con questa interrogazione che mi pongo, penso appunto di rispondere all’interruzione dell’onorevole Nenni. Sono limitazioni? Lo sono per chi crede a quel mito della sovranità assoluta dello Stato che è stata la ragione prima di tutte le recenti guerre; ma sono una felice garanzia per chi crede nel consorzio internazionale che obblighi i vari Stati ad essere solidali l’uno con l’altro, legati da un comune supremo interesse: la pace. (Approvazioni).

Vorrei ora rispondere all’onorevole Nenni su un altro punto. L’onorevole Nenni richiamò – e non gliene faccio nessuna critica, al contrario, perché certi richiami, certi incoraggiamenti sono sempre utili, anzi necessari – il precedente di Cripps, il Ministro principale dell’attuale Gabinetto britannico per tutto ciò che riguarda questioni economiche, il quale ha fatto e sta facendo una serie di accordi economici, anche con l’Unione Sovietica. Ora, se l’osservazione dell’onorevole Nenni implicava critica a una pretesa accidia o indolenza del Governo italiano, egli aveva torto; aveva torto per quanto riguarda non solo me ma anche lui stesso; fu egli, infatti, che, lodevolmente, quando era mio predecessore agli esteri, nell’inverno 1946, ordinò passi dell’ambasciatore Brosio a Mosca per arrivare a un accordo economico con la Russia.

Quando io ebbi l’onore di succedere all’onorevole Nenni continuai per questa identica strada. Nel maggio del 1947 per mie istruzioni l’ambasciatore Brosio sollecitò che si addivenisse a studi comuni per un accordo economico. Nessuna risposta venne, e nel luglio ripetei (i colleghi lo ricorderanno) questo invito, questa speranza, questa invocazione di un accordo economico con l’Unione Sovietica, proprio qui, in quest’Aula. Il 29 settembre scorso, in seguito a successivi accenni che feci più di una volta con l’onorevole rappresentante in Roma dell’Unione Sovietica, questi mi fece conoscere finalmente che il suo Governo era disposto a entrare in contatto con noi, per questioni economiche. Lo presi subito in parola, espressi vivo compiacimento per questa dichiarazione che egli mi aveva fatto, e feci subito porre allo studio un esame di quelli che potevano essere gli scambi più utili fra noi e l’Unione Sovietica.

E questo feci, perché non volevo mandare immediatamente una missione che parlasse nel vuoto sicché potesse poi dirsi che i negoziati con l’Unione Sovietica erano stati un fiasco. Feci farò uno studio approfondito, su due colonne, di ciò che noi speriamo poter avere dall’Unione Sovietica e di ciò che noi possiamo dare all’Unione Sovietica. Noi precisammo le merci essenziali di cui il nostro Paese ha bisogno, fra le quali primissime il grano e le materie prime essenziali, e offrimmo alla Russia tutta la gamma della nostra produzione tradizionale e anche, in particolari condizioni, la fornitura di macchinari e di attrezzature industriali. Analoghe comunicazioni il Ministero degli affari esteri ha fatto il 3 novembre all’Ambasciatore dell’Unione Sovietica.

Il 9 corrente, proprio pochi giorni fa, telegrafai al nostro Ambasciatore a Mosca di sottolineare al Governo sovietico il nostro desiderio di conoscere al più presto il suo pensiero circa la proposta da noi formulata e tutto l’interesse che noi vi annettiamo; e analoga comunicazione feci all’Ambasciata sovietica in Roma.

Ho il piacere di informare l’Assemblea che, proprio ieri 16 corrente, questa Ambasciata sovietica mi ha fatto sapere che è ora oggetto di attenta considerazione e studio l’insieme di progetti che le avevo fatto pervenire; e che l’Unione Sovietica considera che ciò rende possibile un prossimo inizio di conversazioni fra Roma e Mosca in argomento, e quindi l’invio di una nostra delegazione commerciale a Mosca.

Se, come mi auguro e come farò con lo zelo più vivo – con lo stesso zelo con cui ho combattuto lunghe settimane per arrivare a un accordo commerciale con la Jugoslavia – i negoziati avranno successo, noi saremo felici di aver contribuito a far venire grano russo in Italia, e tanto meglio se ai primi del prossimo anno. (Applausi al centro).

Ma torniamo alle critiche fatte alla formula Truman. Noi crediamo che la prima condizione di progresso internazionale e sociale consiste nel rendere impossibile che chi si presume potente e armato possa osare di scatenare una guerra solo perché è potente ed armato. È per questo, ancora più che per il fatto che un triste passato e un miope trattato ci ridussero disarmati fra super armati, è per questo, dico, che noi dobbiamo vedere, non solo senza sospetto, ma con sollievo qualsiasi manifestazione di volontà di pace che prescinda dai compartimenti stagni nazionalistici delle vecchie frontiere.

L’onorevole Togliatti ha oggi posto lealmente il dito sulla piaga, su questa somma di incomprensioni che avvelenano l’Europa. Parlare della formula Truman e attaccarla non è che un esercizio dialettico di polemica parlamentare. Il vero fondo è il dissidio circa il piano Marshall, ed io mi son sentito sollevato quando ho sentito che l’onorevole Togliatti poneva il problema nei suoi veri termini: che cosa si deve pensare del piano Marshall. Credo che l’onorevole Togliatti, se ben ricordo, ha detto che questo piano Marshall nessuno sa cosa sia. È verissimo. Mi sembra di ricordare (accade spesso che qualche frase di chi ha parlato rimanga nelle proprie orecchie) che l’ultima volta che parlai qui all’Assemblea per l’unione doganale italo-francese, rispondendo a una interrogazione dell’onorevole Persico, mi venne fatto di citare il piano Marshall, e dissi: «Il piano Marshall, anzi mi correggo, il cosiddetto Piano Marshall». È così; e che non lo si veda, mostra quanto sia pericolosa e fatale questa atmosfera di sospetti, di incomprensioni, di gelosie che avvelenano l’Europa e forse anche paesi al di là dei mari.

In realtà, lo ripeto ancora una volta, il vero protagonista dell’attuale politica mondiale non è una volontà di potenza da una parte, né una volontà di attacco dall’altra. È il sospetto, il timore, la incomprensione, la paura che accieca gli spiriti e che rende fatali gli equivoci.

Io aderii, primo fra tutti i Ministri degli esteri europei, alla proposta del piano Marshall, perché avevo sentito come era nato. Quando il Segretario di Stato Marshall parlò all’Università di Harvard, egli non fece affatto una questione di egemonia o di influenza americana in Europa.

Ricordatevi che per gli Stati Uniti il commercio con l’Europa rappresenta circa il cinque per cento dei loro interessi. Pensate quanto interesse hanno gli Stati Uniti economicamente in Europa. Nulla, quasi nulla. Ciò che importa agli Stati Uniti è che non vi siano più guerre; perché le guerre sono una rovina per loro, per le loro industrie e per i loro contribuenti.

Quando dall’America stessa sono sollevati, e si continuano a sollevare, dubbi sulla possibilità di azione e di successo del piano Marshall, non s’intende di fare un confiteor di ciò che essi tentarono con una generosità che un giorno si scoprirà essere stata ammirevole. Ma si lagnano che gli Stati europei non abbiano abbastanza contribuito alla concezione del piano Marshall, quale era sentita in America, e cioè: «Europa aiutati, che noi ti aiuteremo». Ma l’Europa doveva prima aiutarsi da sé.

E se il piano Marshall non ha sortito ancora gli effetti benefici che il Segretario di Stato Marshall si proponeva è perché troppi Stati europei hanno veduto nel piano un mezzo per acquistare piccoli vantaggi per essi soli, senza pensare che l’Europa è ormai a un punto che o noi tutti saremo tollerabilmente prosperi o noi tutti periremo.

E a questo proposito permettetemi di dire (non per me che non conto nulla: ero là per caso; un altro al mio posto avrebbe fatto lo stesso; ma per la Nazione italiana e per questa Assemblea che approvò questi concetti), permettetemi di dire che si riconosce nel mondo e specie in America che l’Italia almeno dette la prova che voleva fare un’azione non egoistica, che non voleva cercare denari per sé, che non voleva prestiti per sé; ma che desiderava l’innalzamento e il miglioramento della situazione europea. Perché noi italiani, consci come siamo della nostra laboriosità e della nostra inventività, sappiamo che in una Europa ricca, prospera e pacifica troveremo sempre la nostra via e la nostra vita. Noi mostrammo fra la stupefazione dell’Europa, alla Conferenza di Parigi, che volevamo dare una prova con i fatti e non con le parole, e quindi chiedemmo si mettesse immediatamente allo studio quella unione doganale italo-francese da cui si potrebbero attendere grandi guadagni economici e morali, per il fatto che il livello di vita sarà migliorato in seguito a maggiore quantità di merce. Spero con tutto il cuore che noi vedremo finalmente questa grande convenzione di carattere europeo che avrà provveduto fra altro al rialzo del livello di vita dei contadini del Mezzogiorno, che da noi del nord hanno avuto finora parole, parole, e mai un fatto. (Approvazioni).

Con questo ho risposto implicitamente anche all’onorevole Giannini. L’onorevole Giannini, in un momento di pessimismo, ha detto che l’Italia non può fare politica estera. Certo, ella ha perfettamente ragione se pensa che un daino o un capriolo possa osare di fronteggiare leoni e tigri. Ma se un daino parlante, se un capriolo parlante di fronte alla brutalità di grossi giganti si esprime e si afferma con idee che sono delle visioni di avvenire, questo, le assicuro, è forse il miglior modo di fare una politica estera. (Applausi al centro).

A questo punto è mio dovere, mio assoluto dovere di Ministro degli esteri, dare un’assicurazione all’onorevole Togliatti, del cui senso di responsabilità politica sono certo, per averne avuto prova più volte, quando fummo colleghi di Gabinetto: l’onorevole Togliatti è stato male informato, quando ha parlato di un ambasciatore estero che va girando nelle varie città d’Italia per provocare non so quali cospirazioni plutocratiche.

TOGLIATTI. Lo dicono i verbali delle riunioni.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Ho letto tutti i discorsi dell’ambasciatore Dunn; vi ho sempre trovato questa frase: «Badate, l’America non fa miracoli; bisogna che vi aiutiate da voi; voi avete talento, laboriosità, attività sufficienti per creare un’Italia piena di ricchezze, sonante di industrie, fiera di un’agricoltura progredita; fate questo e noi vi aiuteremo. Perché voi sapete com’è la razza umana; essa ama aiutare i ricchi».

Questo ha detto l’ambasciatore Dunn. Per questo da questo banco sento il dovere di ringraziarlo. (Applausi al centro).

Non temo affatto un tentativo di egemonia americana in Europa. Se l’America avesse avuto progetti di egemonia in Europa avrebbe fatto proprio il contrario del piano Marshall: avrebbe corrotto a poco a poco i singoli Stati, offrendo agli uni privative, agli altri prestiti. Invece, rivolgendosi all’Europa e dando a tutta l’Europa la possibilità di accordi collettivi, gli Stati Uniti provarono che volevano creare un’Europa forte, prospera, vitale, unita; ed è chiaro che un’Europa forte, prospera, vitale e unita non obbedisce a nessun Paese, a nessun Continente. (Applausi al centro).

Qualcuno può dirmi: «siete così ingenuo, da credere a questi sentimenti evangelici, a questa carità straordinaria fra Stato e Stato?». Non si tratta di questo. La generosità attuale dell’America proviene da due o tre ragioni profondamente realistiche, che vi sottometto brevemente. Una è che l’America ricorda con amarezza e vergogna il lungo periodo in cui il partito conservatore, colà chiamato repubblicano, durante le presidenze di Harding e di Hoover, si disinteressò dell’Europa, non volle dare nessun aiuto all’Europa e si ritirò dai Consigli della Lega delle nazioni e da qualunque attrazione solidale europea.

PAJETTA GIULIANO. Perché Hoover sostiene il piano Marshall? (Commenti al centro).

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Bravo, onorevole Pajetta: ecco la prova di quello che dicevo: che il protagonista avvelenatore del mondo è la paura, il sospetto, la mania di persecuzione. (Applausi al centro). Vuol dire che Hoover ha cambiato idea; vuol dire che, essendo stato sciocco prima, è diventato saggio ora. Anche lei, onorevole Paletta, cambierà idee: ne sia certo. Ella, onorevole Togliatti, è discesa a parlare di me come altezzoso aristocratico italiano. Debbo dirle, onorevole Togliatti, che, fuggendo dalla Francia caduta in balia dei nazi-fascisti, arrivai agli Stati Uniti con quattro o cinque dollari in tasca; mia moglie e i miei figli soffrirono la fame per settimane, finché una grande Università mi invitò a diventare suo professore, e poi passai ad altre. Avendo io vissuto non a Washington e a New York, ma in tutti i gangli vitali di quel Continente – perché è follia credere che si conosca l’America vedendo quattro pettegoli a Washington o quattro uomini d’affari a New York – sono arrivato alla sicura conclusione che gli Stati Uniti perseguono la loro attuale politica perché si ricordano dei brutti anni di Harding e di Hoover, ed anche perché c’è un particolare favore verso l’Italia: è inutile cercare di credere che dell’Italia si voglia fare un bastione strategico. La verità è che, per fortuna, l’elemento italo-americano da qualche decennio è molto aumentato di numero e di potenza. La prima volta che andai negli Stati Uniti – lasciando l’Italia nel 1927 – i deputati e i senatori italo-americani si potevano contare sulle dita di una sola mano, mentre adesso sono due o tre dozzine. Italo-americani sono nella Camera dei rappresentanti, nel Senato, sono sindaci di grandi città, sono un gruppo americano che diventa potente. Essi rappresentano ormai dei milioni compatti di voti. Questi italiani continuano a nutrire un amore profondo per l’Italia; questi italiani desiderano che l’Italia rinasca, ed è anche per questo che l’America fa verso di noi una leale amica politica. (Vivissimi applausi al. centro e a destra).

Io non vi presento come santi gli statisti americani; essi hanno anche bisogno del voto degli italo-americani, e questo ci garantisce simpatie profonde.

Ricordando che la storia ha dei corsi e dei ricorsi, e ricordando l’opprimente periodo dell’isolazionismo negli Stati Uniti, sapendo che sempre pochi sono i convertiti – e fra questi l’ex Presidente Hoover – mentre altri continuano ad avere odio per lo straniero e a mantenere quel senso di superiorità che è il primo segno della decadenza e dicono che l’America deve far da sé e non deve aiutare l’Europa, si ha un bel dire che si tratta soltanto di una minoranza; è certo vero che la grande maggioranza del Paese ha capito che quando si ha la potenza si deve avere anche la responsabilità e si deve compiere il proprio dovere internazionale, nel senso di assicurare la pace. Ma, se gli odî, gli insulti, gli sberleffi continuano all’infinito, non è escluso che gli americani torneranno una volta ancora all’isolazionismo; quel giorno la colpa non sarebbe loro; dovrebbe cercarsi altrove. (Vivi applausi). Ma il giorno – sentite bene, tanto noi concepiamo profondamente l’unità dell’Europa senza divisioni, né ire, né gelosie, né blocchi – il giorno che gli americani tornassero all’isolazionismo, poco tempo dopo, malgrado le fallaci apparenze attuali, tutti i popoli d’Europa, dall’Italia alla Russia, dall’Inghilterra alla Turchia, presto ne pagherebbero il costo. (Vivi applausi a sinistra, al centro e a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Negarville, poiché il Ministro degli esteri, in questo suo intervento, ha risposto anche all’interpellanza da lei presentata nei giorni scorsi, le do la parola per dichiarare se sia sodisfatto.

NEGARVILLE. Mi ritengo dispensato dallo svolgimento dell’interpellanza, la quale ha avuto la possibilità di essere svolta dagli oratori che mi hanno preceduto. Ringrazio l’onorevole Ministro degli affari esteri di avermi voluto rispondere in questo suo intervento. Mi limiterò a toccare solo quei punti che hanno costituito oggetto della mia interpellanza e non mi soffermerò sugli altri aspetti di politica generale.

I documenti a cui si riferisce il Presidente Truman sono il trattato di pace e lo statuto delle Nazioni Unite. Noi avremmo dovuto trovare in questi due documenti qualcosa che ci permettesse di interpretare come plausibile l’intervento del Presidente Truman, l’intervento unilaterale di una qualsiasi potenza straniera negli affari italiani qualora si realizzassero le condizioni previste dagli articoli 15 e 17 del Trattato di pace.

Faccio osservare che tanto lo statuto delle Nazioni Unite quanto il Trattato di pace non parlano mai, né in modo esplicito né implicitamente, di un intervento unilaterale di una qualsiasi potenza. È previsto il caso in cui o il Consiglio delle Nazioni Unite o le quattro potenze firmatarie del Trattato di pace possono intervenire nelle cose italiane, così come è previsto anche per altri Paesi; ma sempre questo intervento è concertato, sempre è o la determinazione di un accordo o la deliberazione del Consiglio generale delle Nazioni Unite.

In quali casi d’altronde è previsto questo intervento? Nei casi in cui l’Italia, che è uscita dal fascismo, che ha fatto la guerra, prima in un senso poi in un altro, non dia garanzie sufficienti per ricostruirsi sul piano della democrazia e del rispetto di quelle libertà per cui la guerra è stata combattuta, per cui si è creato l’organismo delle Nazioni Unite e per cui si sono avuti gli altri strumenti diplomatici precedenti al trattato di pace.

La prima ipotesi di un intervento, sempre collettivo e mai unilaterale, è data dalla possibilità della rinascita del fascismo in Italia. Questo è il primo caso che verrebbe preso in considerazione dalle Nazioni Unite. D’altronde, se si pensa ai documenti precedenti (dichiarazione di cobelligeranza, dichiarazione della prima conferenza di Mosca sull’Italia ecc.), ci si accorge che il problema del fascismo, allora certamente più scottante che non adesso, fu posto come problema principale, nell’interesse delle Nazioni Unite, per la politica interna italiana. Manca ogni allusione alle ipotesi, richiamate dall’onorevole Ministro degli esteri, di una dittatura di sinistra, posta sullo stesso piano di una dittatura di destra; e questo perché nessuno dei firmatari degli strumenti diplomatici – trattato di pace e dichiarazioni ad esso precedenti – ha mai ammesso la possibilità di una rivoluzione di tipo bolscevico in Italia, e quindi la necessità di concertazioni tra i firmatari per parare questo tentativo; la sola ipotesi politica, ripeto, è quella della possibilità di una resurrezione del fascismo.

Questo e soltanto questo si evince dai documenti; ed allora, perché, onorevole Sforza, ella dà una interpretazione che mi pare sia ancora più larga di quella del signor Truman al significato dei documenti e all’applicazione del Trattato di pace?

Ella ha parlato di umiliazione; certamente sarebbe una umiliazione! Se nel trattato di pace vi fosse una clausola con la quale si autorizzasse un intervento unilaterale, di qualsiasi Paese – intendo riferirmi a qualsiasi Paese firmatario del Trattato di pace, un giudizio soggettivo per intervenire nelle cose italiane, l’Italia sarebbe un protettorato.

Né si possono interpretare tutte le clausole politiche del Trattato di pace così come le ha interpretate il Ministro degli esteri, perché sarebbe l’interpretazione più dannosa che si potesse dare, come quella di ricavare dal Trattato di pace una situazione di protettorato sull’Italia, il che non è.

Di fronte a una dichiarazione così grave come quella del Presidente degli Stati Uniti, noi avevamo chiesto che cosa intendeva fare il Governo: se il Governo intendeva cioè, nelle forme diplomatiche dovute, far sapere al signor Truman che il suo intervento, la sua dichiarazione, non poteva essere gradita; oppure (e questa è la situazione che io confesso di avere introdotto nella mia interpellanza) oppure se non fosse stata richiesta e provocata questa dichiarazione…

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mai! Mai! Mai!

NEGARVILLE. Io le sono grato di questa precisazione. (Interruzione del deputato Nenni).

PRESIDENTE. Onorevole Nenni, l’interpellante non è lei.

NENNI. Però abbiamo sottoscritto l’interpellanza anche noi.

NEGARVILLE. Io sono grato al conte Sforza di questa risposta: voi non l’avete dunque richiesto. Si tratta allora dell’intervento di un uomo politico, sia pure Presidente di un grande Paese con cui dobbiamo avere rapporti di amicizia ritenuti dal Governo indispensabili per la Nazione; ci si trova quindi di fronte a un intervento arbitrario di un uomo politico che si richiama a convenzioni stipulate con il nostro Paese, le quali non esistono. Ma, secondo me, si tratta di altre cose: negli ambienti ufficiali degli Stati Uniti si ha una rappresentazione della situazione interna italiana – che è quella cui si richiama, cui fa allusione il Presidente Truman – assolutamente falsa, che nuoce non al Partito comunista italiano ma al Paese. (Commenti – Interruzioni al centro).

Quali sono le fonti d’informazione di questi personaggi ufficiali statunitensi che, secondo una corrispondenza da Washington del 13 scorso, pubblicata da un giornale americano di Roma, dicono che «gli scioperi diretti dai comunisti possono estendersi in tutta Italia, dopo che le truppe americane l’abbiano lasciata»? Mi pare che qui in Italia si trovi la fonte di queste notizie.

Dice inoltre il giornale in parola:

«Essi (cioè questi ambienti ufficiali) considerano lo sciopero generale nella provincia di Roma come un’evidente manovra del Partito comunista italiano per saggiare l’efficacia delle contromisure del Governo. La presenza delle truppe americane impediva ai capi comunisti di avventurarsi in una tale campagna, perché questi disordini prima della partenza delle truppe americane avrebbero potuto in qualche modo prolungare la permanenza delle truppe stesse. Lo sciopero generale dei lavoratori esteso in tutta Italia dalle organizzazioni dominate dai comunisti non sorprenderebbe gli ambienti ufficiali americani. Questi ambienti ufficiali hanno espresso la fiducia che il Governo De Gasperi si prepari ad impedire l’estensione di questi scioperi e che il Governo abbia successo. La strategia comunista sarà nota fra poco tempo».

E il giornale conclude:

«Se i comunisti non si decideranno allo sciopero generale in Francia e in Italia nel prossimo futuro, questo significa che i limiti dell’espansione comunista sarebbero già toccati e raggiunti».

Ho voluto leggere questo, che è un rapporto ufficioso, diciamo, pubblicato da un giornale americano che esce a Roma e che riflette l’opinione degli ambienti ufficiali americani sul nostro Paese, naturalmente come conseguenza di informazioni che partono dall’Italia.

Io ho una breve esperienza del Ministero degli esteri; mi sia concesso di ricordarla. So che quando il Ministro degli esteri desidera informare un Governo sulla situazione del nostro Paese, ed informarlo per correggere le informazioni che si ritengono sbagliate, per far conoscere che certi giudizi debbono essere modificati, ha a sua disposizione molti mezzi, a cominciare dal proprio ambasciatore, dal proprio rappresentante diplomatico.

Ora mi pare che questi giudizi non siano stati modificati e non so se l’opera di informazione sia stata compiuta; e, se compiuta, evidentemente è stata infruttuosa, inefficace, dato che, se si dovesse credere a ciò che si ritiene negli ambienti ufficiali statunitensi, dovrebbe concludersi che in Italia siamo alla vigilia della guerra civile.

Evidentemente è per questa idea della guerra civile che il Presidente Truman dice in sostanza: se non intervengono gli altri, visto che i rapporti internazionali e le conferenze tra le grandi potenze non danno i risultati voluti, vi garantisco che interverremo noi.

Ma, intervento per che cosa? Forse per evitare una guerra civile che non vogliamo (e se c’è qualcuno che la vuole è probabilmente legato a coloro che vogliono intervenire)? (Commenti al centro).

Perché questi annunci di intervento? Anche supposto che i «quattro grandi» non riescano a mettersi d’accordo su un intervento, questo dovrebbe essere determinato da una situazione così grave per il nostro Paese quale non può certo essere rappresentata dalle nostre controversie interne e tanto meno segnalata dalle nostre rappresentanze all’estero.

Credo che il Presidente del Consiglio e il Ministro degli esteri abbiano commesso un errore grave non smentendo, non respingendo pubblicamente la dichiarazione di Truman, perché dietro questa dichiarazione vi è una errata interpretazione del Trattato di pace: errata interpretazione che è stata anche confermata qui dal Ministro degli esteri.

Dietro questa dichiarazione c’è tutta una manovra politica che puzza di provocazione nei nostri confronti (Proteste al centro); c’è il desiderio di determinare in Italia una situazione analoga a quella che già si è determinata in altri Paesi.

Ritengo che il non aver voluto ravvisare nella dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti un grave attentato alla libertà e all’indipendenza del nostro Paese abbia posto il Governo in una situazione difficile non di fronte agli Stati Uniti ma di fronte al popolo italiano, di fronte al popolo del nostro Paese. Si può essere infatti per gli Stati Uniti o contro gli Stati Uniti, per il piano Marshall o contro il piano Marshall, ma qui c’è il tentativo di far derivare dal Trattato di pace una situazione di sudditanza dell’Italia da un altro Paese che noi non possiamo né potremo mai tollerare da parte di questo come di qualsiasi altro Governo.

Ricordo che, quando fu discussa in Assemblea la ratifica del Trattato di pace, molte voci indignate si levarono in quest’Aula per l’umiliazione che ci era inferta. Onorevoli colleghi! Io credo che uguale se non maggiore indignazione si dovrebbe ora levare qui, e da parte del Governo, per questo fatto, in nome dell’Italia, in nome della sua indipendenza e della sua libertà. (Vivi applausi all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se non intenda procedere – occorrendo, previo parere del Consiglio di Stato – allo scioglimento del Consiglio comunale di Ravanusa (Agrigento), per le seguenti ragioni:

1°) grave pericolo di turbamento dell’ordine pubblico;

2°) necessità di assicurare – data l’anormale situazione locale nei confronti dell’ordine pubblico – il regolare funzionamento dei pubblici servizi di Ravanusa, come riconosce esplicitamente il prefetto di Agrigento nel decreto 8 dicembre 1947, col quale provvide alla nomina di un Commissario prefettizio nel comune di Ravanusa;

3°) gravissimi atti di faziosità commessi da quella Giunta comunale.

«Montalbano, D’Amico».

Chiedo al Governo di dichiarare quando intenda rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Farò conoscere domani la data in cui il Governo intende rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e del bilancio, perché vogliano finalmente provvedere alla ricostituzione dell’Amministrazione ordinaria del Banco di Napoli.

«Porzio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché consideri se non sia rispondente ai criteri di equità e di giustizia riassumere in ruolo, reintegrandoli nei loro diritti, gli insegnanti di educazione fisica (poco più di trenta in tutta Italia), già di ruolo prima dell’avvento del fascismo e passati, poi, per effetto della legge Gentile, prima all’Ente nazionale di educazione fisica, poi all’Opera nazionale Balilla ed infine alla G.I.L.

«Essi, forniti di diploma conseguito nei soppressi Istituti di magistero per l’educazione fisica di Roma, Napoli, Torino, che li autorizzava ad insegnare in ogni scuola secondaria di qualsiasi ordine e grado, divennero insegnanti di ruolo a seguito di concorso e subirono ispezioni per divenire ordinari.

«Il provvedimento si impone, ove si consideri che sono stati assunti in ruolo i provenienti dalla Farnesina, che non erano forniti di alcun diploma, non sostennero concorsi e non subirono ispezioni.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere per quali ragioni, dopo che il cognato del deputato Mentasti, professore Augusto De Benedetti, già titolare di una cattedra al liceo scientifico di Venezia, trasferito al liceo-ginnasio Marco Polo della stessa città, rifiutò di impartire le lezioni nella sezione di Lido del detto liceo, abbia ordinato la istituzione di un nuovo corso completo presso la sede centrale del ginnasio-liceo, corso al quale fu destinato il De Benedetti.

«Tonetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per richiamare la sua attenzione sulle recenti manifestazioni di Marrubiu e di Terralba (provincia di Cagliari) e sui gravi fatti di quest’ultimo Comune, nei quali sono da deplorare un morto e parecchi feriti. All’origine di questi fatti è l’inerzia dell’autorità prefettizia, per cui da anni rimangono insolute le controversie attorno alla richiesta di ricostituzione in Comune autonomo della attuale frazione di Marrubiu.

«L’interrogante chiede se il Ministro non ritenga necessario e urgente intervenire, affinché queste controversie siano finalmente risolte, nel rispetto degli interessi dei Comuni e in modo che il comune di Marrubiu riabbia quella autonomia cui ha diritto.

«Chiede, infine, di conoscere se l’impiego delle armi da parte dei carabinieri sia stato giustificato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lussu».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’industria e commercio e dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni per cui non è stata ancora autorizzata la costruzione della centrale termo-elettrica di Palermo, indispensabile per la regolare produzione dell’energia elettrica in Sicilia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’industria e commercio e del lavoro e previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intendono adottare per cercare di migliorare le tristi condizioni nelle quali vivono gli operai della miniera A.B.C.D. di asfalto di Ragusa che prima della guerra dava lavoro a circa 1500 operai, mentre ora ne impiega solamente 400; e per conoscere quali provvedimenti intendono adottare nei riguardi degli attuali gestori della miniera stessa che, sembra, l’abbiano condotta ad un deficit di 90 milioni, mentre l’hanno rilevata con forti stocks di materiali, in perfetta efficienza ed in attivo. Questa cattiva amministrazione ha portato per conseguenza una forte disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se, in attesa che si provveda, secondo le richieste legittime delle categorie interessate, alla elaborazione di un provvedimento generale inspirato a criteri di obbiettività e di perequazione in ordine alla imposizione e al pagamento dei «contributi unificati», non ritengano doveroso concedere l’esenzione totale per i suppletivi 1947 e per gli ordinari 1948 ai comuni del Cassinate e degli altri in provincia di Frosinone, particolarmente danneggiati dagli eventi bellici ed in istato di grave dissesto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga di dover modificare una parte delle condizioni del bando dei concorsi magistrali, quali risultano dalla tabella n. 8720/50 dell’8 luglio 1947, e nella quale, fra i titoli di servizio alla lettera B, quando si parla di servizio militare o assimilato, si precisa che tale servizio deve risultare prestato, dopo il conseguimento del diploma, «dal 1940 al 1945».

«Ora, sta di fatto che numerosi insegnanti furono chiamati o richiamati alle armi, per esigenze anche belliche, fin dal 1938-39 e taluni rimasero continuativamente in servizio fino al 1947. Tale è il caso di coloro che furono fatti prigionieri e, trasportati nei campi dell’Australia, dell’india, del Kenia, ecc., ne poterono tornare, per ragioni di carattere militare e quindi indipendentemente dalla loro volontà, solo nel 1947. È evidente che tali insegnanti, stando alla lettera della tabella suddetta, pur essendo stati in servizio militare per 7, 8 e 9 anni effettivi, vengono a beneficiare di soli cinque punti complessivi, alla stessa stregua di coloro che furono militari per soli cinque anni complessivi (dal 1940 al 1945). Tutto ciò non è giusto. Ogni insegnante dovrebbe beneficiare di tanti punti quanti sono gli anni di servizio militare effettivamente prestato, sia prima del 1940 che dopo il 1945.

«L’interrogante, nell’attesa della risposta, si augura che l’onorevole Ministro vorrà accogliere il rilievo fatto ed apportare le modifiche opportune nel senso proposto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mannironi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se è vero che è in corso un provvedimento legislativo, col quale si autorizza l’assunzione in Magistratura di coloro che hanno esercitato funzioni giudiziarie, loro affidate dagli Alleati, e che ancora le esercitano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere:

1°) se ritenga corrispondente agli interessi degli studi medici l’abolizione della cattedra di ruolo di radiologia, disposta dalla Facoltà medica di Napoli e la istituzione di una cattedra di chimica per i medici, quando già esiste l’insegnamento di chimica generale regolarmente frequentato dagli studenti del primo corso di medicina;

2°) se non gli risulti invece che la istituzione della nuova cattedra risponda, come si afferma negli ambienti universitari napoletani, ad un piano prestabilito, per garantire al suo titolare di chimica per i medici, la successione alla cattedra di chimica biologica;

3°) e se solo questo è stato il motivo della indefinibile sostituzione di cattedre operata dalla Facoltà medica di Napoli, e come intenda il Ministro evitare gli abusi delle Facoltà che creano cattedre e le aboliscono solo per interessi personali, senza curarsi del superiore interesse e della serietà degli studi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Coppa».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.25.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati.

Alle ore 16:

  1. – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio.
  2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati.

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 18 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cccxxxviii.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 18 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Mozioni (Svolgimento):

Presidente

Bonomi Paolo

Persico

Bulloni

Bubbio

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Tonello

Burato

Avanzini

Lagravinese Pasquale

Fusco

Sicignano

Cevolotto

Bellavista

Gavina

Molinelli

Monticelli

Bertone

Carboni Enrico

Pressinotti

Cappi

Basile

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei Deputati. (48).

Presidente

Fuschini, Relatore per la maggioranza

Grilli, Relatore per la minoranza

Corbino

Scoccimarro, Presidente della Commissione

Scelba, Ministro dell’interno

Basile

Bellavista

Morelli Renato

Martino Gaetano

Donati

Nobile

Uberti

Candela

Mazzei

Piccioni

Badini Confalonieri

Targetti

Presentazione di relazioni:

Mastino Gesumino

Presidente

La seduta comincia alle 10.

FROGGIO, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Svolgimento di mozioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento delle seguenti mozioni:

Bonomi Paolo, Micheli, Bertone, Cotellessa, Baracco, Castelli Avolio, Bovetti, Bubbio, Coppa, Giacchero, Stella, Ferreri, Valenti, Monticelli, Perrone Capano, Ferrano Celestino, Camangi, Rapelli, Simonini, Pera, Coppi, Carbonari, Zerbi, Belotti, Sampietro, Villani, Froggio, Camposarcuno, Burato, Valmarana, Schiratti, Restagno, Vicentini, Ferrarese, Raimondi, Cappi, Benedettini, Meda Luigi, Conti, Rodinò Mario, Fabriani, Uberti, Morini e Bosco Lucarelli: «L’Assemblea Costituente, considerando che i conferimenti dei cereali (e particolarmente del grano) agli ammassi hanno raggiunto nel complesso i quantitativi previsti, ed è, conseguentemente, venuta meno la indispensabilità di perseguire anche singole piccole evasioni dovute, non a intenti di speculazione, ma a comprensibili preoccupazioni di alimentazione familiare e di fabbisogno aziendale, ravvisa la necessità di adottare un provvedimento di amnistia a favore dei produttori agricoli, imputati o condannati per mancato conferimento di modeste quantità di cereali. L’atto di clemenza, oltre a costituire un elemento di pacificazione sociale, sarebbe altresì di incitamento all’incremento della produzione cerealicola e all’adempimento dei doveri inerenti al prossimo ammasso per contingente»;

Persico, Cevolotto, Treves, Corbino, Bonino, Perlingieri, Guerrieri Emanuele, Candela, Gasparotto e Basile: «L’Assemblea Costituente invita il Governo a considerare se – dal momento che la legge sull’ammasso per contingente del grano per l’anno 1948 toglie il carattere di reato alle violazioni della legge stessa e commina per tutte le infrazioni esclusivamente penalità di carattere finanziario, e quindi fatti di maggiore gravità di quelli che possano essere stati commessi nel 1947 e negli anni precedenti non portano più a pene restrittive della libertà – non sia giusto ed equo stabilire con un provvedimento di indulto che le condanne a pene restrittive della libertà personale pronunciate e da pronunciare in base alle leggi precedenti siano condonate, ferme restando le pene pecuniarie».

L’onorevole Bonomi Paolo ha facoltà di svolgere la mozione da lui presentata.

BONOMI PAOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione da noi presentata al Governo non è soltanto la richiesta di un atto di clemenza, di un atto di bontà verso i contadini; ma io credo che innanzi tutto debba essere un atto di giustizia verso i produttori italiani di cereali.

Cosa è infatti avvenuto dopo la liberazione del territorio nazionale? Tutti i vincoli, tutti i controlli sono crollati, sono stati tolti: soltanto gli agricoltori sono stati costretti ancora agli ammassi del grano, agli ammassi dell’olio, ai vincoli sul vino, ai raduni del bestiame. Le altre categorie hanno invece potuto fare tutto quello che volevano. È vero che anche per le categorie industriali era rimasto ancora qualche vincolo e qualche controllo; ma la legge contro le evasioni è stata applicata esclusivamente agli agricoltori, e legge severissima. Io non intendo discutere la severità della legge, perché qualunque Governo ci fosse stato, ieri e oggi, aveva il dovere di usare tutti i mezzi per assicurare il pane agli italiani. Per questa ragione la legge era severa, severissima. Quando pensate, onorevoli colleghi, che anche per piccole sottrazioni di grano all’ammasso, di mezzo quintale, di un quintale, non era ammessa la libertà provvisoria, né era ammessa la condizionale! Quest’anno – anzi per il 1946-47 – il Governo era venuto incontro alle nostre richieste: aveva modificato la legge, lasciando la possibilità di dare la libertà provvisoria; ma poi, preoccupato dell’andamento degli ammassi, attraverso circolari aveva cercato di restringere anche quella che era allora la lettera della legge e di impedire che fosse data la libertà provvisoria a contadini colpevoli di aver sottratto uno o due quintali di grano. Legge severissima, che ha buttato in prigione dei contadini che nella loro vita non avevano conosciuto altro che il lavoro. Abbiamo visto anche contadini della nostra montagna, improvvisamente arrestati rimanere in carcere per due, tre, cinque, sei mesi, un anno.

Questa è la situazione. E chi c’è cascato sotto questa legge? Ci sono caduti i piccoli evasori, perché normalmente i grossi non ci incappano. Quando uno non sottraeva un quintale, ma forse qualche centinaio di quintali di grano, sapeva farla franca, non cadeva nella rete della legge, nella rete della giustizia, in un modo o nell’altro, con certi sistemi che non è forse qui il caso di citare. Dunque, ci sono caduti i piccoli.

Ma c’è un altro problema che deve essere da noi considerato. Qualcuno può dire: ma noi, attraverso queste richieste, attraverso queste mozioni andiamo a dare il premio alla borsa nera. E questo potrebbe essere immorale.

Un giorno, in un Comune della provincia di Viterbo trovai un maresciallo, il quale mi disse: «Questa mattina ho portato in prigione cinque contadini che ho trovato col grano. Però – ha aggiunto – oggi nel pomeriggio sono stato a Roma e la mia coscienza si è turbata; e stasera quasi ho un rimorso di coscienza». Perché? – gli ho chiesto. «Perché – ha detto lui – io ho fatto dei posti di blocco, sono andato a fare le perquisizioni nelle case dei contadini, a guardare sotto i letti, a guardare sotto i cassettoni, per vedere se c’era del grano; e sono stato a Roma e ho visto che in tutte le piazze, in tutte le strade si vendono pubblicamente il pane bianco, l’olio, lo zucchero e la farina».

Questa è la ragione importante: se si vuole colpire la borsa nera, bisogna colpirla da tutte le parti. Io non faccio una colpa al Governo di non esser stato capace di stroncare la borsa nera; no. Se qualche volta la Celere interveniva nei vari mercati della borsa nera, bloccava le strade, ecc. i borsari neri scappavano, ma dopo un quarto d’ora erano tutti ancora lì, coi prezzi aumentati, per farsi pagare quello che la Celere aveva loro portato via. Questa era la situazione.

Ma, può pensare o dire qualcuno, questo è un incoraggiamento alla borsa nera. No, perché ad un dato momento io ho il dovere di chiedere una cosa semplicissima; quale categoria produttiva non ha fatto, in questo dopoguerra e durante la guerra, la borsa nera? Non l’hanno fatta forse gli industriali produttori di scarpe, che le hanno prodotte a tremila lire e le vendono oggi ad 8 o 10 mila lire? Non hanno fatto la borsa nera i produttori di tessili, che hanno guadagnato milioni a palate con la esportazione, con la borsa nera della valuta, che hanno prodotto tessuti a mille, duemila lire al metro e ce li fanno pagare a diecimila, dodicimila lire al metro? Ed io chiedo ancora: non hanno fatto la borsa mera quelle fabbriche di concimi che nel 1944-45 nonostante l’intervento del Governo, nonostante l’intervento dei Ministri competenti, hanno continuato a vendere tutta la produzione alla borsa nera perché le commissioni interne hanno detto: o ci lasciate vendere o ci toglierete i mezzi per alimentare le nostre famiglie? Non hanno fatto la borsa nera? Ma io dico: la borsa nera l’hanno fatta un po’ tutte le categorie, ed il contadino del quale ci interessiamo oggi può aver fatto la borsa nera del mezzo quintale o del quintale, o ancora di due, tre quintali di grano. Se dovessimo andare in provincia di Treviso, in provincia di Bergamo dove i contadini sono stati costretti a dare venti, cinquanta chili di granturco, quanto possono aver guadagnato? Qualche centinaio di lire e per questo rischio sono finiti in carcere. Io vorrei chiedere: di quegli industriali e commercianti che con la borsa nera hanno guadagnato non qualche centinaio di lire, ma diversi e svariati milioni, quanti sono andati in prigione?

C’è stata una legge sulla disciplina dei pasti nei ristoranti, legge severissima che doveva imprigionare tutti, che doveva confiscare tutto. Chi è andato in prigione a causa di questa legge? Quali ristoranti sono stati confiscati?

Ma io ho ancora il dovere di dire un’altra parola. Troppo spesso noi portiamo i contadini e gli agricoltori sul banco degli accusati, ma capite che quando si agisce in questo clima dove tutte le categorie fanno tutto quello che vogliono fare, permettete, è forse male che dica questo, ma forse un incitamento a non consegnare veniva da questa situazione. Era nell’animo la convinzione che bisognava fare in questo modo.

Questa è la situazione, perché non dimentichiamo un’altra cosa: che gli agricoltori per venti anni erano stati considerati dei benemeriti quando coltivavano grano, avevano il diploma di benemerenza, avevano le medaglie. Dopo la liberazione, quando coltivavano grano finivano in prigione. Questa è la situazione in cui vivevamo. Ebbene, dico a voi, onorevoli colleghi, guardiamo con simpatia a questa categoria ed è per questa simpatia che noi dovremo votare la mozione e non dimentichiamo un’altra cosa: quale è quella categoria che ha ricostruito senza nessun contributo dello Stato? Io vorrei chiedere ai vari Ministri competenti, dall’agricoltura ai lavori pubblici: dove sono andati i fondi, a chi sono stati elargiti miliardi? – All’agricoltura? – No. Normalmente si elargivano i fondi all’industria. Soltanto l’I.R.I. mangia dalla greppia dello Stato sei, sette, otto miliardi al mese. All’agricoltura si danno le briciole, quando ci sono. Cosa abbiamo dato per ricostruire le case di campagna, per bonificare, per aiutare i contadini delle nostre montagne? – Nulla abbiamo dato. Ma se dovessimo chiedervi invece chi è che paga le imposte e le tasse senza possibilità di sfuggire, senza possibilità di avere un esercito di tecnici, di professionisti preparati ad ingannare il fisco? Sono gli agricoltori, perché i signori industriali, i signori commercianti hanno sempre due bilanci, quello vero e quello per il fisco. Gli agricoltori non hanno due bilanci, ne hanno uno solo, perché la loro terra è al sole e pagano sempre. Sono quelli che pagano di più e ricevono meno degli altri dallo Stato.

Non dimenticate una cosa: questi contadini, per i quali noi chiediamo oggi il provvedimento di amnistia sono quelli che hanno sempre dato in tutte le guerre il maggior contributo. Per loro non c’è l’esonero. Non restano a casa a fare gli esplosivi, le munizioni. Essi sono sempre in prima linea a compiere il loro dovere.

Per queste ragioni io chiedo, onorevoli colleghi, a voi di votare favorevolmente questa mozione, chiedo al Governo di accettarla, di accettarla integralmente, non soltanto in quelle che sono le pene detentive, ma di accettarla anche per quella che è l’ammenda, per quelle che sono le pene pecuniarie che normalmente sono state di venti volte il valore del grano, in quanto dovete pensare che per ogni quintale di grano si è fatto pagare quest’anno una cifra che ha raggiunto le 80-100 mila lire.

Quindi voglia il Governo accettare integralmente questa nostra richiesta, e accettandola l’Assemblea e il Governo compiranno un atto di clemenza, sì, ma, come dicevo inizialmente, un atto di giustizia che si impone per queste categorie. L’Assemblea ed il Governo diranno che ancora guardano con simpatia alla categoria dei coltivatori diretti. E qui vorrei dire al Governo: non intendiamo chiedere soltanto l’amnistia o l’indulto per la sottrazione di grano, ma anche l’amnistia e l’indulto per la sottrazione di tutti i cereali, dal granoturco al risone.

Signori, si avvicina il Natale. Per le famiglie degli agricoltori, dei contadini, il Natale significa qualche cosa. Ebbene, signori del Governo, accettando questa nostra mozione voi farete ritornare in tante famiglie la pace, che sarà sicuro auspicio di tranquillità delle campagne, di maggior lavoro per il domani, perché l’ammasso totale è terminato e siamo di fronte ad un ammasso per contingenti.

Vi assicuro che questo vostro atto di clemenza sarà di incitamento per tutti i contadini a lavorare di più, a seminare di più, a concimare di più, per assicurare il pane a tutto il popolo italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha facoltà di svolgere la sua mozione.

PERSICO. Onorevoli colleghi, sarò brevissimo, anche perché l’onorevole Bonomi Paolo ha svolto con grande ampiezza il problema, e soprattutto l’ha svolto con competenza tecnica, perché egli è il Presidente dei coltivatori diretti.

Io volevo mettere, invece, la questione sotto il profilo giuridico. La mozione trae la sua origine dall’articolo 75-bis della Costituzione, da noi già approvato, quantunque non ancora in vigore, il quale articolo dice che l’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica, dietro delegazione delle Camere. Ecco perché abbiamo portato all’Assemblea Costituente la richiesta di questa delegazione, affinché il Guardasigilli possa farsene interprete presso il Capo dello Stato. Però la mia proposta differisce da quella dell’onorevole Bonomi sotto due profili: differisce, perché egli chiede un’amnistia, mentre io mi limito, anche a nome dei colleghi che hanno sottoscritto la mia mozione, a chiedere un indulto; egli vuole estendere l’atto di clemenza alle pene pecuniarie, mentre io propongo che le pene pecuniarie siano mantenute. Si tratta di un provvedimento sopra tutto di equità. I decreti vigenti fino al 5 settembre 1947, data del decreto attualmente in vigore circa l’ammasso per contingente di cereali del raccolto 1947-48, che hanno regolato la materia, portavano per questi fatti di mancato conferimento all’ammasso pene che nel primo decreto del 22 aprile 1943 arrivavano da tre mesi a tre anni, e che poi furono raddoppiate, spaziando da sei mesi a sei anni.

Non è a dire che sia rimasta sulla carta questa sanzione, perché ci sono in tutta Italia migliaia di poveri contadini, che stanno scontando due, tre e perfino sei anni di reclusione.

Lo stesso identico fatto oggi è punito con una multa che è pari a venti volte il valore dei cereali non conferiti. A identica situazione di diritto, a identica contravvenzione della norma di legge, c’è invece chi sconta sei anni di reclusione, con rovina enorme delle disgraziate famiglie. Si tratta di poveri contadini ignari, che hanno creduto di fare una modesta speculazioncella, vendendo qualche quintale di cereali. Non si tratta dei grandi evasori. L’onorevole Segni sa dove si trovino i grandi evasori. Essi non vengono condannati a tre o quattro anni di reclusione, ma continuano a fare i miliardi senza che nessuno li disturbi! Sono i piccoli evasori che vanno a finire davanti ai tribunali di provincia, dove i giudici hanno applicato con grande severità, talvolta, il massimo della pena.

Bisogna prendere un provvedimento di equità e di giustizia. Diciamo che il Guardasigilli deve essere sensibile a questa richiesta, la quale può ristabilire una situazione di equilibrio, ed evitare un senso di amarezza e di sfiducia nella giustizia, alle famiglie di coloro che stanno scontando delle gravi pene, mentre altri nelle stesse condizioni sono passibili soltanto di pene pecuniarie.

E poiché è presente il Ministro Segni, lo prego di ascoltare questa mia preghiera che può essere, non dico estranea, ma collaterale a quella che rivolgo al Ministro Guardasigilli.

C’è un articolo 5 della legge 30 maggio 1947, che richiede la consegna quotidiana delle bollette di trebbiatura, consegna che è praticamente impossibile, perché la trebbiatura molte volte finisce di sera, mentre gli uffici della U.C.S.E.A. si chiudono alle 14. Chi contravviene a questa norma è esposto a gravi pene. È assurdo che questo obbligo rimanga nel detto articolo 5; almeno si modifichi questo articolo, in modo da renderlo applicabile, senza una palese ingiustizia.

In questo senso confido che il Ministro Guardasigilli, accogliendo la mozione da me presentata, e il Ministro dell’agricoltura, accogliendo la raccomandazione ora fatta, vogliano dare soddisfazione a ciò che è richiesto nel nome dell’equità, che non può mai essere scompagnata dalla vera giustizia.

BULLONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BULLONI. In tema di clemenza per reati in materia di ammassi occorre senz’altro considerare la previsione dell’ultimo comma dell’articolo 20 del Decreto legislativo 30 maggio 1947, che punisce con pene ridotte quando il fatto delittuoso è commesso su esigui quantitativi per sopperire al bisogno famigliare.

È una previsione autonoma, che potrebbe rientrare nei limiti fino ad ora seguiti nella concessione di amnistia per i reati che non superino nel massimo i cinque anni.

La previsione si raccomanda per l’amnistia, attesa la tenuissima entità giuridica e politica del fatto, che non può sicuramente destare alcuna reazione sociale.

Questi fatti sono sempre ispirati da motivi di particolare valore morale e sociale; di sopperire cioè, alle esigenze inderogabili della alimentazione familiare.

Per gli altri casi è invocabile il provvedimento di indulto, che deve estendersi – in questo dissento dall’onorevole Persico – per ragioni di misura e di proporzione anche alle pene pecuniarie.

Basta rappresentarsi la situazione, per convincerci della ineluttabile necessità di rendere omaggio ad un senso di equità e di proporzione, facendo cadere la clemenza anche sulla pena pecuniaria.

I fatti, nella grandissima maggioranza, si sono svolti in questa maniera: agricoltori, preoccupati di costituirsi una prudenziale riserva per le semine e per l’alimentazione dei propri dipendenti, hanno tentato, falsificando gli atti di denuncia, di assicurarsi una disponibilità di 10-15 quintali di grano; per questo fatto essi si sono trovati nella condizione di essere puniti, con una pena non inferiore ai sei mesi di reclusione e con una pena pecuniaria, pari a 10 volte il valore del grano, cioè di 80 mila lire a quintale; per 10 quintali, la multa ammonta ad 800 mila lire. Un senso di proporzione e di misura vuole che la clemenza si estenda anche alla pena pecuniaria.

In proposito, mi permetto di sottoporre alla considerazione del Ministro Guardasigilli questa situazione, agli effetti della eventuale elaborazione del provvedimento di clemenza, quando egli crederà di suggerirlo al Capo dello Stato. Mi riferisco al termine. L’onorevole Ministro dell’agricoltura, con telegramma del 6 ottobre, concedeva la proroga del termine della denunzia e della consegna fino al 20 ottobre, quando il Comitato degli ammassi avesse ritenuto di applicare tale differimento. Si è verificato, in realtà, che in molte provincie, nella mia compresa, il termine di denunzia e di consegna è stato differito al 20 ottobre, colla conseguenza che, per l’efficacia scriminante degli atti amministrativi, in relazione al disposto dell’articolo 8 della legge speciale, i giudici hanno pronunziato delle assoluzioni per fatti commessi prima del 20 ottobre; mentre agricoltori, ancora sub judice o condannati con sentenza divenuta irrevocabile, devono scontare una pena. Credo che l’eventuale provvedimento di clemenza potrà tener conto anche di questa situazione, per riparare alle iniquità ed alle ingiustizie, che si verificano nei confronti di quelli che, condannati prima del 20 ottobre, non hanno avuto la possibilità di invocare il provvedimento ricordato.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. La tesi che intendevo svolgere è quella testé sviluppata dall’onorevole Bulloni. Mi si consenta per altro una breve aggiunta ai validi argomenti svolti dall’onorevole Bonomi, la cui mozione ho firmato tra i primi anche in relazione al fatto che fin dal marzo scorso ho presentato sullo stesso argomento un’interpellanza.

Chi vi parla ha pagato di persona in questa materia; perché ricordo, e lo ricorderà anche l’onorevole Ministro Segni, con cui molte volte ho conferito al riguardo, che proprio nella plaga del Cuneese, che era forse la più pacifica d’Italia, tale è stata la levata di scudi contro gli eccessi della polizia annonaria in materia di cereali, che chi vi parla venne aggredito nella sua città, non da parte dei cittadini, ma da parte di lontane schiere, intervenute ad un comizio da quaranta chilometri di distanza, e questo, è opportuno ricordarlo, perché ciascuno abbia la parte che gli tocca. Fu allora che sollecitai decisamente l’intervento dei Ministri Bertone, Segni e Gullo, e che si poté con fatica varare il decreto dell’ottobre 1946, per cui, per le sottrazioni di piccole quantità di cereali, in relazione alle esigenze familiari, venne concesso il beneficio eventuale della condizionale e della libertà provvisoria. Questa facoltà scomparve però in successivi provvedimenti, per cui si impone la necessità di un atto di clemenza, quale la mozione ha richiesto. Il collega Persico ha voluto invece accomunare il trattamento di clemenza tanto per le grandi quantità come per le piccole, esentando i contravventori dalla pena restrittiva della libertà personale ed applicando soltanto la pena pecuniaria. Ora noi protestiamo contro questo criterio di parificazione; ed invero non c’è paragone fra colui che ha sottratto all’ammasso e cioè al cittadino, che nato a consumere fruges, a causa dei grandi evasori è stato costretto a vivere con 200 ed anche 150 grammi di pane al giorno ed i piccoli contadini, i quali avendo dovuto tener presenti le esigenze familiari data l’insufficienza dell’assegnazione pro capite e quelle degli avventizi che rifiutano di lavorare se non ricevono il vitto da chi li assume, hanno sentito il bisogno di costituire piccole riserve; e ciò anche per far fronte sia al calo naturale, sia a quello artificiale, in dipendenza delle operazioni di macinazione. Si deve quindi tenere ben distinti il caso in cui il contadino non ha commesso l’evasione per un intento di speculazione, ma soltanto per esigenze familiari ed aziendali e colpire invece gli speculatori. Questo dovrebbe essere adunque il criterio distintivo tra l’atto di clemenza sotto forma di amnistia e quello sotto forma di indulto. Mi auguro che questa tesi possa venire accolta e che questo atto di pacificazione possa alfine essere compiuto.

MALAGUGINI. Campagna elettorale!

BUBBIO. Non è campagna elettorale! Bisogna capire la tragedia di tante famiglie e gli eccessi cui si è pervenuti con l’attuale sistema.

GRASSI. Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, le due mozioni presentate dagli onorevoli Bonomi Paolo, Persico e da altri colleghi, per quanto si diversifichino nella richiesta e anche nelle proporzioni della richiesta stessa, hanno un fondamento identico, ossia sono basate sul concetto per cui, essendo finito l’ammasso totalitario e dovendosi per l’avvenire predisporre l’ammasso per contingente, sarebbe opportuno in questa occasione esaminare tutte le contravvenzioni e le infrazioni commesse ai precedenti decreti ed usare verso i contravventori un atto di clemenza, che anzi è stato definito un atto di giustizia. Premessa questa che i Ministri competenti per la alimentazione ancora ritengono che non si sia verificata, specialmente per il grano, risone e granturco (per i quali vige ancora l’ammasso totalitario e non ancora il sistema per contingentamento), in quanto ancora non sono stati raggiunti i quantitativi di cui questi Ministeri avevano bisogno per assicurare al popolo italiano quel minimo che era necessario per l’alimentazione.

Non solo non l’hanno raggiunto, ma sono impegnati anche verso l’estero, il quale deve contribuire. Dobbiamo riconoscere in questa Assemblea che questo contributo è essenziale fino al punto di parificare con la sua generosità quello che i nostri produttori possono dare ai granai del popolo, in quanto che l’ammasso del grano, del granturco e del risone corrisponderà alla metà di quello che occorrerà dare a quella parte del Paese che dev’essere mantenuta e alimentata attraverso la tessera.

Ora, se questo è vero ed è essenziale, considerate la gravità della situazione con cui un atto di clemenza possa essere interpretato all’interno e all’estero. In ogni modo, il Governo non si nasconde che effettivamente delle situazioni del tutto particolari siano venute fuori durante questo periodo di ammasso. Non possiamo disconoscere che, specialmente i piccoli coltivatori si sono trovati di fronte a questa necessità, forse familiare e aziendale, di dover compiere evasioni alle norme della denuncia e del conferimento.

Ci rendiamo conto, ma riteniamo che si debba compiere non un atto di giustizia, sibbene un atto di clemenza, in quanto dovete anche ricordare che c’è stata tutta quella parte di popolazione agricola la quale ha ottemperato agli ordini dello Stato e ottemperando agli ordini dello Stato, ha reso possibile l’alimentazione del popolo italiano. Questo non lo dobbiamo dimenticare e quest’opera di clemenza non deve andare a detrimento di quelli che sono stati ossequienti agli ordini ed hanno reso possibile l’alimentazione italiana.

Quindi, il Governo ha resistito a tutte le richieste di concedere amnistia. Però, d’altra parte, seguendo quell’indirizzo che è stato già deliberato dalle vostre decisioni sull’articolo 75-bis della Costituzione, se vi è da parte dell’Assemblea un suggerimento che possa essere raccolto dal Capo dello Stato, il Ministro che rappresenta oggi la giustizia, non potrà non tener conto del vostro suggerimento per trarne quelle conseguenze che saranno possibili, e preparare le proposte da fare al Capo dello Stato.

Pertanto, non posso prendere impegni assoluti al riguardo tanto più che il provvedimento non è di competenza nostra, ma del Capo dello Stato. Dico, in ogni modo, che qualunque siano le vostre decisioni, io penso che dovreste orientarvi per la concessione dell’indulto e non dell’amnistia, in quanto che qui non si tratta di dare un colpo di spugna e sanare delle situazioni che sono state sempre infrazioni contro leggi fondamentali per l’alimentazione del Paese, ed anche perché con i provvedimenti presi nel 1944 e nel 1946 sono stati concessi soltanto indulti. Inoltre, si tratta tecnicamente di reati che importano pene superanti anche i cinque anni, per i quali non si potrebbe considerare l’ipotesi di una amnistia.

In ogni modo, senza prendere impegni sul futuro trattamento che si potrà fare, il Governo non potrà non ascoltare la voce che è venuta dall’Assemblea e dalle vostre decisioni trarrà i suggerimenti per attuare questo atto di clemenza per questa parte della popolazione italiana. (Applausi).

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Voglio solo dire che mi associo con tutto l’entusiasmo dell’animo a quello che hanno detto gli altri colleghi. Potrei aggiungere tante altre osservazioni e rendere più evidente la giustizia che si compirebbe.

Soprattutto ricorderà l’onorevole Ministro Guardasigilli che, tempo fa, io mi rivolsi a lui per un caso pietoso: dei poveri contadini di una vallata, che non ha comunicazioni, in un paese che non possiede ancora nemmeno il telefono, avevano ritardato di poco tempo a consegnare delle piccole quantità di grano. Ebbene, sono stati condannati a mesi di carcere e a centinaia di migliaia di lire di multa. Non perché avessero sottratto il grano agli ammassi, ma perché avevano ritardato a consegnarlo. E questo accade nella provincia di Treviso, proprio dove esistono i grossi proprietari che fanno il mercato nero e dovrebbero essere tutti arrestati se ci fosse un po’ di giustizia in Italia, perché è gente che fa il contrabbando, e grandi quantità di grano della nostra provincia sono partite per la Jugoslavia, la Francia e la Svizzera.

La verità è questa: vi erano autocarri carichi di questo grano sottratto. E quando il Governo ad una mia protesta disse che aveva mandato delle guardie a sorvegliare, io risi, perché queste guardie, pagate male, sulla strada di confine, si capisce che una piccola manata di carte da cento se la mettono facilmente in tasca.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non è così.

TONELLO. È accaduto, sì, signor Ministro. Quindi fate giustizia per quei disgraziati che hanno ritardato soltanto di qualche giorno a consegnare il grano e non condannateli. Avete voluto infliggere a costoro multe di centinaia di migliaia di lire, rovinando delle povere famiglie, specialmente nel trevigiano dove vi sono tanti piccoli proprietari. Colpite quelli che fanno il commercio e la borsa nera all’ingrosso.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Tutti questi piccoli proprietari hanno già la condanna condizionale.

TONELLO. Sì, ma lei sa bene cosa sia la galera condizionale! (Si ride). Bisogna assolverli e togliere la multa a questa povera gente. Io prego il Ministro della giustizia onorevole Grassi, di insistere presso il Capo dello Stato perché faccia un atto di clemenza per questi piccoli proprietari, per questa povera gente. Stabilisca magari una data somma, per esempio fino a 300 mila lire, nell’applicare il condono, ma questi piccoli contravventori alla legge bisogna assolverli. Perché molti sono stati condannati per un atto di umana pietà: molti hanno dato la loro piccola quantità di grano in più alle famiglie che ne erano senza. Hanno prestato dieci chilogrammi di qua, dieci di là e sono rimasti senza. È inutile che io spenda altre parole, io dico soltanto: colpite i grossi proprietari e lasciate stare i poveri disgraziati. (Applausi a sinistra).

BURATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BURATO. Intendo parlare qui come se non unico, certo raro esemplare in questa Assemblea di quella numerosa specie di cui qui ci interessiamo: i contadini d’Italia. Come tale io porterò qui non il mio sentimento o il mio pensiero, ma il loro sentimento ed il loro pensiero. Qui si è parlato di indulgenza, ho sentito parlare di giustizia nella concessione di questa che dovrebbe essere una amnistia o un indulto. Io dico, onorevole Persico, che se è giusta la vostra tesi nei confronti della legge così come è congegnata, non è meno giusto il pensiero dei contadini quando vogliono con questo significare che a loro un certo grave torto si è fatto, quando si è voluto metterli in una condizione particolare di difficoltà nei confronti delle altre categorie.

Un piccolissimo fatto – mi permetta, onorevole Presidente – spiegherà la situazione com’è. Scendendo un giorno dal treno alla stazione della mia città, venne incontro a me una donna piangente: si disse madre di numerosi figliuoli, il marito era stato arrestato perché trovato in possesso di una o due damigiane di grano che dovevano servire per le riserve alimentari nei momenti critici. Era un produttore. Io mi sono recato, su preghiera di questa donna, dall’autorità competente per vedere se fosse stato almeno possibile ottenere la scarcerazione provvisoria di questo disgraziato. Ma ormai era tardi, gli incartamenti erano arrivati in sede giudiziaria. Mi sono recato dal Procuratore della Repubblica, il quale mi ha detto semplicemente così: «Veda, onorevole, se questo individuo che mi viene a raccomandare non fosse un produttore di cereali, ma un qualunque incettatore di cereali, o fosse stato magari un ladro di cereali, io potrei concedere la libertà provvisoria, ma così, per il solo fatto che egli è un produttore, non posso».

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non è vero questo!

BURATO. Questa è la verità, signori miei! (Commenti).

MASTINO GESUMINO. È la legge che è così.

BURATO. È una legge troppo severa per determinati casi. Quel tale individuo ha subito il carcere preventivo e la conseguente condanna.

Onorevoli colleghi, signor Ministro, io vi domando non un atto di indulgenza, al quale penso i contadini in questo momento sarebbero in grado di ribellarsi, perché verrebbero messi, a causa dell’indulto di cui si è parlato poco fa, sullo stesso piano di coloro che hanno asportato dalla Patria il grano necessario per l’alimentazione del popolo italiano. Ciò non è giusto per coloro che hanno provveduto, per un senso di prudenza, a trattenere piccole quantità di cereali come molti italiani hanno fatto, del resto, e come credo che anche molti di noi abbiamo fatto per supplire le deficienze di razionamento insufficiente; io credo che concedendo a costoro l’amnistia non faremo che un atto di riparazione e di giustizia. (Applausi).

AVANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AVANZINI. Brevi parole per aderire al concetto del Ministro, in dissenso col collega che mi ha preceduto.

A mio avviso, l’atto di clemenza deve consistere nell’indulto e non nell’amnistia. Per questa ragione: volere o no, nelle condizioni del nostro Paese, sarà necessario mantenere l’obbligatorietà del conferimento o per via di ammasso o per contingente, anche per i raccolti futuri.

Ora, l’indulto condizionato porterebbe a questa situazione: che chi ha peccato avrà mille ragioni e una di più per non peccare una seconda volta, onde non pagare il conto nuovo e quello vecchio.

Vorrei fare un’altra proposta, onorevoli colleghi; che l’atto di clemenza, si estenda anche alle pene pecuniarie…

Una voce al centro. Ai piccoli evasori, però.

AVANZINI. Il collega Bulloni ha già detto a quali limiti possono arrivare queste pene pecuniarie: bastano dieci o venti quintali perché si raggiunga o si superi il milione. Ora, le pene detentive sono state quasi tutte espiate completamente, perché tanto il decreto del luglio 1944 quanto il decreto del maggio 1947 vietano la concessione della condizionale, impongono la cattura obbligatoria ed impediscono la libertà provvisoria. Restano dunque soltanto da pagare le pene pecuniarie che rappresentano per gran parte degli agricoltori condannati, veramente la minaccia della rovina delle loro aziende. Esse pertanto, ad ovviare quella minaccia, devono pure venire condonate.

Queste le osservazioni che desideravo di sottoporre all’Assemblea.

LAGRAVINESE PASQUALE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAGRAVINESE PASQUALE. Non ho chiesto di parlare per aggiungere nuova copia di argomentazioni a quanto già altri colleghi hanno detto a favore di questo provvedimento di clemenza. Ho chiesto di parlare soltanto per domandare se dei motivi, alla cui conoscenza non sono ancora pervenuto, sussistano per i firmatari di queste due mozioni da averli indotti a limitarsi a chiedere questi giusti favori della legge nei soli confronti delle evasioni per i cereali e particolarmente per il grano.

Una voce al centro. Per tutti i generi si intende.

LAGRAVINESE PASQUALE. Io desideravo appunto segnalare all’Assemblea l’opportunità di estendere il provvedimento di cui stiamo discutendo, anche, ad esempio, per le evasioni all’ammasso dell’olio.

Una voce. Per tutte, per tutte.

LAGRAVINESE PASQUALE. Quando è così, è inutile che io continui a parlare: il mio intendimento era precisamente quello di pregare che si tenesse in considerazione l’opportunità di estendere il provvedimento anche per l’evasione di altri generi contingentati.

FUSCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCO. Desidero semplicemente rivolgere una viva raccomandazione al Ministro, nella fiducia che egli voglia trarne motivo per una circolare. C’è un abuso che io denunzio all’onorevole Ministro da parte della guardia di finanza. Gli agenti di questo corpo hanno l’abitudine di recarsi nelle case di questi poveri contadini e di sequestrare tutto, anche la scorta alimentare.

Si tratta pertanto, di una situazione veramente eccezionale, anche perché, mentre essi sequestrano, come ho detto, la scorta alimentare, lasciano poi quella per la semina, il che significa sottoporre questa povera gente a un vero supplizio di Tantalo; si tratta quindi, come ognuno facilmente può comprendere, di una situazione veramente deplorevole cui va posto senz’altro rimedio.

Debbo in secondo luogo far presente all’onorevole Ministro che noi abbiamo chiesto, insieme con l’onorevole Persico, l’abolizione dell’articolo 5 che è materialmente impossibile attuare.

Una terza raccomandazione: c’è una disposizione che non sempre i magistrati interpretano a dovere: quella dell’articolo 20, il quale, come è noto, riduce ad un quinto la pena se concorra la circostanza della spontanea consegna all’ammasso. Ora, avviene che i magistrati, in questi casi, non concedono quasi mai la condizionale, ma dispongono per il mandato di cattura.

Chiedo pertanto all’onorevole Ministro di voler provvedere anche a ciò mediante opportuna circolare. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Domando agli onorevoli presentatori delle due mozioni se non credano di unificarle, onde poter procedere ad un’unica votazione.

PERSICO. Onorevole Presidente, io dichiaro per mio conto di essere sodisfatto e mi associo al testo dell’onorevole Bonomi.

SICIGNANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SICIGNANO. Desidero dire chiaramente una cosa: resti ben fermo che i grossi evasori non debbono, in alcun modo e per alcuna ragione, approfittare di questo decreto di amnistia. Questo decreto porterà, del resto, ad una necessaria pacificazione e tranquillità in larghi strati sociali.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Desidero dichiarare che mi associo al testo dell’onorevole Bonomi, insieme con l’onorevole Persico, ma desidererei che fosse specificato che per i casi più gravi viene chiesto soltanto l’indulto per le pene restrittive della libertà personale.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi rivolgo all’Assemblea Costituente, ma specialmente a coloro che hanno firmato le mozioni. Io penso – onorevole Bonomi, mi rivolgo specialmente a lei – penso che nella mozione bisognerebbe parlare di generi contingentati, e non soltanto di cereali, in quanto l’osservazione fatta dall’onorevole Lagravinese è giusta. Se un atto di clemenza deve intervenire, è necessario che sia per tutti i generi contingentati, nei limiti che saranno stabiliti.

Pregherei ancora, l’onorevole Bonomi di parlare nella sua mozione di indulto e non di amnistia, per rendere più facile un provvedimento simile anche perché – come ho detto in precedenza – in questo campo dei reati annonari sono stati concessi sempre indulti e mai amnistie. Non si è pensato mai a far dichiarare estinto il reato, ma soltanto a venire incontro con un atto di clemenza, e ciò in quanto non è possibile non tener conto anche di tutta quella parte della popolazione – ed è stata la maggioranza – che ha ottemperato all’ordine dell’ammasso in un momento difficile della vita nazionale.

Con queste due osservazioni, che credo l’onorevole Bonomi. vorrà accettare, senza stabilire oggi se il provvedimento deve essere limitato soltanto alla libertà personale o comprendere anche le pene pecuniarie, lasciando al Governo e al Capo dello Stato di decidere in merito, io non ho difficoltà ad accettare la mozione. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Onorevole Bonomi, lei accetta le proposte dell’onorevole Ministro della giustizia?

BONOMI PAOLO. Signor Presidente, onorevole Ministro, io non ho niente in contrario, anzi accetto la modifica di allargare il provvedimento a tutti i generi contingentati. Debbo dichiarare però, la mia perplessità per quanto riguarda la modifica della richiesta di amnistia in quella di indulto. E preciso il mio pensiero: normalmente non c’è la libertà provvisoria. Quando – e sono fatti che avvengono ancora in questi giorni – gli agenti vanno in un paese, vanno in una casa di contadini e trovano tre quintali in più di grano o di granone – lo stanno facendo in questi giorni a Bergamo – cosa fanno? Prendono il capofamiglia e lo mettono in prigione. Dopo due o tre, o magari anche quattro mesi, si fa il processo. Se accettiamo di modificare l’amnistia in indulto che cosa succede? Che questa gente va ugualmente in prigione e vi resta tre o quattro mesi. Gli avvocati chiederanno diecine di biglietti da mille, e dopo il processo finalmente, si potrà ottenere questo indulto. (Commenti).

MAZZONI. Se fate così, l’anno venturo non si mangia più. Indulgenza sì, ma incitamento a delinquere no! (Commenti).

BONOMI PAOLO. È una precisazione che chiedo all’onorevole Ministro: se dopo l’emanazione del provvedimento di indulto è implicita la libertà provvisoria per questi reati?

Una voce. Ma è chiaro! (Commenti).

BONOMI PAOLO. Soltanto in questo senso, cioè se potesse essere modificata la legge in modo da concedere in tutti i casi la libertà provvisoria, io accetto di modificare la richiesta di amnistia in quella di indulto. Nel caso contrario, qualora cioè non mi venga data questa esplicita assicurazione, insisto nel chiedere che sia messa in votazione la mozione con la richiesta di amnistia anziché di indulto. (Approvazioni).

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Mi auguro di tutto cuore che il regime vincolistico finisca, con la grazia di Dio, una volta per tutte in Italia.

Ma, stando così le cose, le preoccupazioni dell’onorevole Mazzoni sono più che giustificate e devono farci orientare verso l’indulto e non già verso l’amnistia, perché pel 1948 è preannunciato il contingentamento, che è una forma attenuata di vincolo, ma sempre vincolo è, e non possiamo – per la contradizione che non lo consente – nello stesso tempo continuare la politica di vincolo e incoraggiare l’evasione.

Saremmo però, onorevole Ministro, in caso indiscutibile di amnistia e non già di indulto, se la politica annonaria del Governo per l’anno avvenire fosse indirizzata verso un regime non più vincolistico, perché allora si avrebbe l’abolitio criminis, perché il fatto non sarebbe più considerato reato.

Ma nelle condizioni attuali l’unica forma accettabile è quella della mozione dell’onorevole Persico, che è per l’indulto.

GAVINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GAVINA. Dirò poche parole per vedere di ridurre al pratico la discussione che sta avvenendo qui.

Nel senso pratico la forma può essere o l’indulto o l’amnistia; può essere o l’affamamento di cui parla l’onorevole Mazzoni, o il venire incontro alle necessità delle piccole famiglie.

Io ho presentato a nome del Gruppo comunista e socialista fin dal 22 luglio un’interpellanza per i fatti quali si venivano delineando nelle provincie di Pavia e di Como. L’ho presentata allora e l’abbiamo svolta nella seduta del 6 ottobre, credo con senso pratico perché, egregi colleghi, bisogna tener conto che nella provincia di Como, che io ho percorso per rendermi ragione di tutto ciò che può essere l’interesse dei piccoli proprietari coltivatori diretti, ho trovato che cumuli di grano, sino alla fine di luglio e a metà agosto, giacevano in campagna e non si portavano a casa perché il quantitativo lasciato pro capite ad ogni famiglia di produttori non era sufficiente, e si aspettavano disposizioni più larghe.

Che cosa è avvenuto? Che la Celere, su ordini precisi dati dal centro, e, alle volte nella nostra provincia eseguiti da ispettori che erano forse troppo preoccupati della forma burocratica, faceva dei sopraluoghi e interveniva a constatare una differenza, onorevoli colleghi, tra quella che era stata la resa della macchina e quello che ad occhio si accertava nel granaio. Si tratta di una differenza di misura e di una differenza di entità, perché voi m’insegnate che se il grano è più o meno umido ha un peso specifico diverso. In vista della situazione che in tal modo si determinava il collega Cremaschi ha cercato d’intervenire. Ma contro di lui voi avete ieri l’altro concesso l’autorizzazione a procedere su una non discussa relazione di maggioranza la quale negava l’autorizzazione a procedere.

Su relazione di minoranza dunque, contraria a quella della maggioranza, è stata concessa contro il collega Cremaschi l’autorizzazione a procedere…Voci al centro. Che c’entra?

GAVINA. C’entra, onorevoli colleghi. L’onorevole Cremaschi è stato rinviato a giudizio con la vostra autorizzazione, e gli è stata tolta l’immunità parlamentare, perché al telefono aveva detto a uno di questi ispettori «Guardate che se voi continuate con questi sistemi di accertamento potrete provocare reazioni dei lavoratori». Risultato pratico, articolo 336: minaccia verso il pubblico funzionario. Dicevo, insisto nell’interesse dei piccoli proprietari in quanto si può arrivare a questa incongruenza: di trovare un diversivo di misura anche in rapporto a quella che la trebbia ha denunciato, ed allora avete quello che ha detto l’onorevole Bulloni: si arresta, si porta via, si mette in prigione. Non è questione di indulto. Cosa volete indulgere con tre, quattro, dieci mila lire, con chi ha tre, quattro, cinque, dieci figli in casa da mantenere in confronto a quelli che evadono in grandissima quantità? Allora perché indulto? Voi dovete sanare con l’amnistia nei casi di piccole evasioni di uno, due, tre, cinque quintali, che possono essere trattenuti dalle famiglie numerose per l’alimentazione. Questa è la situazione di fatto ed affermo che non si deve parlare di indulto perché non si può indulgere verso chi non ha commesso un reato nel senso vero della parola, perché non è con questo, amico Mazzoni, che si può affamare, anzi si provvede a sfamare; ma si mette il piccolo produttore, il quale deve dare da mangiare alla famiglia, in condizioni di non avere vessazioni e misure coercitive né conseguenze legali. In questo senso noi aderiamo al concetto dell’amnistia per tutte le piccole quantità che possono andare, a seconda delle zone, da uno a tre quintali.

PRESIDENTE. Onorevole Bonomi, le domando se ha inserito nella mozione quanto è stato suggerito da qualche parte, se cioè ha esteso la sua richiesta per l’evasione di tutti i generi di ammasso.

BONOMI PAOLO. Io avevo chiesto all’onorevole Ministro un’assicurazione esplicita. L’Assemblea mi ha interrotto dicendo che l’assicurazione era implicita. Io questa assicurazione vorrei averla anche dal Ministro.

PRESIDENTE. Lei ha chiesto al Ministro se intende apportare modificazioni all’articolo 15 della legge. Prego il Ministro di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Faccio rilevare che qui non dobbiamo fare il decreto di indulto o di amnistia. Questo è un suggerimento, un invito da parte dell’Assemblea a considerare il problema, ma il Governo non è vincolato dal voto dell’Assemblea. Quindi è inutile scendere nel dettaglio. L’importante è dire nella mozione dell’onorevole Bonomi che per tutti i generi soggetti all’ammasso si compia questo atto, si inviti il Capo dello Stato ad esaminare la possibilità di concedere l’indulto.

Io non voglio entrare nei dettagli della pena e tanto meno nella questione esposta dall’onorevole Bonomi. Mi sono riservato di rispondere a questo dettaglio. L’importante è che si parli di indulto e non di amnistia. Se l’onorevole Bonomi è d’accordo, questo credo facilita il compito: senza perdere tempo, possiamo arrivare alla fase conclusiva.

PRESIDENTE. L’onorevole Molinelli ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo periodo, dopo le parole: quantità di cereali, aggiungere: e per i reati ad esso connessi».

L’onorevole Molinelli ha facoltà di svolgerlo.

MOLINELLI. Poco fa, il collega Gavina ha ricordato un fatto che è stato discusso in questa Assemblea, e che si rifaceva ad una azione svolta da uno dei nostri colleghi durante il periodo della verifica della consegna dei cereali all’ammasso, fatto per il quale è stata concessa da questa Assemblea l’autorizzazione a procedere in giudizio contro di lui. Fatti simili, contro persone che non sono coperte dall’immunità parlamentare, si sono verificati in molte altre circostanze. Si tratta di resistenza alla forza pubblica, si tratta di piccoli reati (Rumori al centro), si tratta di contadini i quali hanno risposto male ad un funzionario, o che hanno tentato di opporsi alla requisizione dei cereali. Io vorrei che anche per costoro fosse concessa l’amnistia, quando il reato è in connessione con il conferimento. (Commenti).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io non posso accettare il principio che altri reati, connessi con quello dell’infrazione all’ammasso, possano essere considerati, perché, altrimenti, allarghiamo troppo la concessione. (Applausi al centro). Noi possiamo accettare questo suggerimento, che riguarda le infrazioni agli ammassi, le omesse denuncie e gli omessi conferimenti, solo limitatamente ad alcune particolari condizioni. Se l’Assemblea esprime un suggerimento in tal senso, esso potrà essere accolto e presentato al Capo dello Stato. Se si vuole estendere il provvedimento a tutta un’altra serie di reati, io dichiaro che il Governo non intende consentire a simili proposte, perché abbiamo presente le conseguenze di amnistie precedentemente concesse.

PRESIDENTE. Onorevole Bonomi, lei accetta il suggerimento del Ministro?

BONOMI PAOLO. Io prego di mettere ih votazione la mia mozione con la parola «amnistia» e non con la parola «indulto».

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene la sua mozione?

PERSICO. In questo caso la mantengo.

PRESIDENTE. Nella mozione Bonomi si sostiene il principio dell’amnistia. La mozione Persico sostiene il principio dell’indulto. L’onorevole Ministro ha dichiarato di non accettare il principio dell’amnistia, ma quello dell’indulto. Ora la mozione Persico deve essere considerata come un emendamento della mozione Bonomi, e va pertanto posta per prima in votazione.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Sulla questione della votazione, mi pare che fra le due mozioni vi sia oltre alla differenza, che il Presidente ha rilavato, anche un’altra: le due mozioni si riferiscono a casi diversi o meglio a casi di estensione diversa, perché la mozione Bonomi si riferisce esclusivamente a piccoli fatti, a piccole evasioni, per necessità familiari, per i quali può essere anche opportuna l’amnistia, senza che per questo cada il principio della mozione Persico, che per tutti i casi, anche i più gravi, vi possa essere un diverso provvedimento, l’indulto, ristretto alle sole pene detentive per il fatto che la nuova legge non considera il reato e non commina pene restrittive per quei fatti. E allora le due mozioni non sono inconciliabili, e non sono l’una emendamento dell’altra.

PERSICO. Si possono approvare tutte e due.

CEVOLOTTO. Si possono approvare tutte e due, in quanto non hanno la stessa estensione e si riferiscono a casi diversi. Sono dispostissimo a votare la mozione Bonomi, cioè l’amnistia per i casi più lievi; e al tempo stesso a votare la mozione Persico, cioè il semplice indulto, con il mantenimento delle pene pecuniarie, per i casi più gravi.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei domandare ai deputati proponenti se, invece di parlare di amnistia e di indulto, tanto più che questa è una prerogativa del Capo dello Stato, siano disposti a usare la dizione atto di clemenza, lasciando al Capo dello Stato, che ha la prerogativa al riguardo, di esercitarlo nella maniera che crederà.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Avanzini e Bulloni, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire nel testo della mozione Bonomi alla parola: amnistia, le parole: atto di clemenza».

L’onorevole Murdaca ha proposto il seguente emendamento aggiuntivo:

«Invita inoltre il Governo a modificare le disposizioni delle leggi annonarie riguardanti il divieto di concessione di libertà provvisoria e di sospensione condizionale della pena».

BONOMI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI PAOLO. Accetto la proposta fatta dall’onorevole Ministro, di parlare di clemenza, anzi di larga clemenza, con questa dichiarazione: che non si può e non si deve usare una clemenza uguale per tutti; con la parola clemenza si deve intendere la possibilità di un’amnistia per i piccoli reati e un indulto per gli altri reati.

PRESIDENTE. Il testo proposto dall’onorevole Bonomi è accettato anche dall’onorevole Persico, con la modificazione proposta dagli onorevoli Avanzini e Bulloni.

Inoltre, l’onorevole Persico ha proposto il seguente emendamento aggiuntivo:

«Per i casi di maggiore gravità si chiede venga concesso il condono della sola pena restrittiva della libertà personale».

L’onorevole Monticelli ed altri hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: produttori agricoli, la parola: evasori».

Onorevole Monticelli, insiste nel suo emendamento?

MONTICELLI. Insisto.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Trovo opportuna la formula, proposta all’ultimo momento, di sostituire la parola generica: «clemenza», alle parole specifiche: «indulto e amnistia», perché così il Governo e il Capo dello Stato avranno maggiore libertà d’azione.

Debbo però far presente che la parola clemenza si riferisce evidentemente ad una pena che deve essere o diminuita o tolta. Ciò che si desidera, come hanno espresso chiaramente diverse parti dell’Assemblea, è questo: che si intervenga in qualche modo per impedire la procedura attualmente vigente. Se la manteniamo nei termini in cui essa è ora, vale a dire, impossibilità di accordare la libertà provvisoria e di concedere la libertà condizionale, gli inconvenienti non saranno eliminati. Pertanto, io stesso ho suggerito una frase da aggiungere – e che mi pare possa essere accolta dai membri dell’Assemblea e dal Ministro Guardasigilli – e cioè: «la clemenza» deve intervenire non soltanto sulla pena, ma anche «sulla procedura preventiva o successiva». Facciamo in modo che ci sia la possibilità di introdurre qualche modificazione nel sistema procedurale attuale, che è più grave, di per sé stesso, della pena inflitta. (Commenti).

PRESIDENTE. Prego il Ministro Guardasigilli di esprimere il suo parere in merito a questa proposta.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi! Mi pare che stiamo divagando. Infatti, qui si tratta di un’affermazione di principio, non di entrare nel dettaglio, per quello che si riferisce alla procedura. Mi pare che, se il Governo proporrà l’atto di clemenza, sia l’amnistia, che estingue il reato, sia l’indulto, che, diciamo così, impedisce l’esecuzione della condanna, interveniamo sempre in modo che ogni preoccupazione circa la procedura diventa superflua. D’altra parte per i piccoli evasori, fin da adesso, in base al decreto del maggio 1947, è concesso quel che non è accordato agli altri, cioè la libertà provvisoria ed il non sequestro dei mezzi usati per la sottrazione dei cereali all’ammasso. Questi in ogni caso sono dettagli, per cui è inutile cercare di apportare delle aggiunte e preoccuparci di esse.

D’importante è l’invito generico, il suggerimento generico, dal quale il Governo potrà muovere per trasmettere poi al Capo dello Stato le proposte che crederà di fare su tale questione. Per ciò direi di non insistere, ma di cercare di riassumere rapidamente in una mozione concordata questo pensiero dell’Assemblea, che, se sarà solidale potrà pesare; se invece sarà diviso, potrà darsi che sia controproducente agli scopi che si proponevano coloro i quali hanno presentato le mozioni.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di esprimere il suo parere sulla proposta dell’onorevole Monticelli, di sostituire all’espressione: «produttori agricoli», l’altra: «evasori».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Non avrei difficoltà ad accettarlo, in quanto gli evasori sono i produttori, ma faccio osservare che attraverso questa formula non si comprendono altri responsabili dell’infrazione, come per esempio coloro i quali contrabbandano le derrate, e che tuttavia non sono evasori. Infatti la espressione «evasori» si limiterebbe ai soli produttori. Non capisco, quindi, la ragione di un simile emendamento, e prego perciò l’onorevole Monticelli di non insistere su questo dettaglio, che non ha molta importanza, perché non saranno certo le intenzioni particolari, che possono spingere qualche proponente a modificare la formulazione, quelle che ispireranno il provvedimento che verrà adottato.

PRESIDENTE. Onorevole Monticelli, insiste nel suo emendamento?

MONTICELLI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Il testo definitivo della mozione Bonomi è il seguente:

«L’Assemblea Costituente, considerando che i conferimenti dei cereali (e particolarmente del grano) agli ammassi hanno raggiunto nel complesso i quantitativi previsti, ed è, conseguentemente, venuta meno la indispensabilità di perseguire anche singole evasioni dovute, non a intenti di speculazione, ma a comprensibili preoccupazioni di alimentazione familiare e di fabbisogno aziendale, ravvisa la necessità di adottare un provvedimento di clemenza a favore degli imputati o condannati per mancato conferimento di modeste quantità di generi di ammasso. L’atto di clemenza, oltre a costituire un elemento di pacificazione sociale, sarebbe altresì di incitamento all’incremento della produzione cerealicola e all’adempimento dei doveri inerenti al prossimo ammasso per contingente».

Passiamo alla votazione di questo testo.

CARBONI ENRICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ENRICO. Dichiaro di votare in favore di questa mozione, soprattutto perché queste leggi hanno avuto in Sardegna un’applicazione particolarmente rigorosa. Chiedo che l’atto di clemenza raggiunga i più vasti limiti della giustizia.

PRESSINOTTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRESSINOTTI. Noi, socialisti e comunisti, voteremo la formula «atto di clemenza», quando questa però sia intesa come amnistia per i piccoli reati e come indulto per i reati di maggiore entità, ferme restando le pene pecuniarie. (Interruzioni al centro).

UBERTI. Niente per i grossi reati!

PRESIDENTE. Pongo in votazione la mozione testé letta.

(È approvata).

Segue l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Persico, così formulato:

«Per i casi di maggiore gravità si chiede che venga concesso il condono delle sole pene restrittive della libertà personale».

L’onorevole Persico ha facoltà di dichiarare se lo mantiene.

PERSICO. Lo mantengo.

GAVINA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GAVINA. Noi voteremo contro, perché risulti chiaro che l’atto che chiamiamo di amnistia e non di clemenza sia valido per le piccole evasioni in rapporto a quanto abbiamo spiegato all’onorevole Bonomi.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Dichiaro che voterò contro l’emendamento Persico, perché ritengo che non si debba far luogo a nessun provvedimento di clemenza.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Persico, testé letto.

(Non è approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole Molinelli così formulato:

«Al primo periodo, dopo le parole: quantità di cereali, aggiungere: e per i reati ad esso connessi».

L’onorevole Molinelli ha facoltà di dichiarare se lo mantiene.

MOLINELLI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Basile così formulato:

«Sono esclusi i casi in cui la sottrazione agli ammassi sia avvenuta per esportarlo all’estero».

L’onorevole Grassi ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io ritengo inutile questo; perché l’atto di clemenza non è invocato per quelli che hanno commerciato sul mercato del grano; noi riteniamo che non sia possibile applicare un atto di clemenza a coloro che hanno speculato sul grano che serviva per il popolo italiano.

PRESIDENTE. L’onorevole Basile ha facoltà di dichiarare se mantiene il suo emendamento, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ministro della giustizia.

BASILE. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Murdaca, così formulato:

«Invita inoltre il Governo a modificare le disposizioni delle leggi annonarie riguardanti il divieto di concessione di libertà provvisoria e di sospensione condizionale della pena».

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Abbiamo così esaurito lo svolgimento delle mozioni.

Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

Passiamo all’esame dell’articolo 3-bis proposto dalla Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«Il primo comma dell’articolo 15 è sostituito dal seguente:

«Le liste dei candidati per il collegio unico nazionale devono essere presentate da non meno di venti delegati effettivi di liste aventi lo stesso contrassegno che assumerà la lista per il collegio unico nazionale».

Il terzo comma è soppresso.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Scusi, signor Presidente. A proposito di questo articolo, faccio presente che l’Assemblea ha già deciso in precedenti sedute di discutere, come se fossero un complesso unico, tutte le disposizioni che si riferiscono al collegio unico nazionale, e quindi alla lista nazionale.

Quindi, questo emendamento dovrà essere svolto nel momento opportuno, quando avremo discusso e deliberato se il collegio unico nazionale e la lista nazionale devono rimanere.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Grilli ha proposto il seguente emendamento:

«Sopprimere l’articolo 15».

Ha facoltà di svolgerlo.

GRILLI, Relatore per la minoranza. L’emendamento che io ho presentato si propone due scopi: primo, l’abolizione del collegio unico nazionale, secondo, elaborazione di un nuovo mezzo per provvedere all’utilizzazione dei voti residuali, o resti che dir si vogliano.

L’onorevole Fuschini, Relatore di maggioranza, qualche giorno fa diceva che il mio emendamento non era contrario al collegio unico nazionale, ma soltanto alla lista nazionale.

È questione d’intendersi: se per collegio unico nazionale si deve intendere soltanto il modo di determinare quel quoziente nazionale in base al quale si stabilisce quanti deputati devono ancora eleggersi per ciascuna lista, allora nessuno è contrario al collegio unico nazionale.

Ma se per collegio unico nazionale si deve intendere – come io intendo – quel sistema per cui possono essere eletti parte di deputati al di fuori delle circoscrizioni ed in base a liste presentate dai partiti, i quali per l’ordine che danno in queste liste ai candidati designano già fin dal primo momento quali devono essere eletti, se per collegio nazionale si intende questo, allora il mio emendamento è contro il collegio unico nazionale, e credo che vi siano contrari molti colleghi di varie parti di questa Assemblea. Quali siano gli errori e i difetti del collegio unico nazionale, è cosa notissima a tutti e sarebbe perdere del tempo a rievocarli e ad enumerarli. A me basta la considerazione che è contenuta nella mia relazione, che cioè sia possibile sottrarre l’elezione di alcuni deputati alla libera scelta del corpo elettorale.

Ho sentito dire, qualche giorno fa, in una discussione, da alcuni deputati, che noi purtroppo abbiamo già incominciato a violare il principio della libera scelta del corpo elettorale quando abbiamo istituito i famosi senatori di diritto, e che quindi non c’è da scandalizzarsi troppo se qualche altra violazione si dovrà commettere ancora. Ebbene, io mi permetto di ragionare in modo precisamente inverso: siccome di queste violazioni ne abbiamo già commesse, è ora di smetterla e di non commetterne più. (Approvazioni).

I deputati debbono essere tutti eletti dai cittadini elettori con il mezzo del voto segreto e non deve esser concessa alcuna altra elezione in modo diverso. È per questo che io non posso accogliere la correzione dell’onorevole Fuschini, correzione la quale aumenta il divisore in quella operazione aritmetica che si fa per trovare il quoziente circoscrizionale e per conseguenza diminuisce il quoziente, sicché aumenta il numero dei deputati che possono essere eletti nelle circoscrizioni e diminuisce quello che può essere eletto nel collegio unico nazionale.

Io non posso accettare queste idee, perché, sebbene gli ottanta deputati eletti nel 1946 con il sistema del collegio unico nazionale verrebbero in tal modo ridotti al solo numero di 55, per me sarebbero ugualmente troppi, e sarebbero troppi anche se fossero soltanto due. Non solo quindi io trovo ingiusto il correttivo proposto dall’onorevole Fuschini, ma respingo qualsiasi altro correttivo, il quale riuscirebbe, sì, a diminuire il numero dei deputati eletti in questa maniera, ma non potrebbe se non correggere, se non diminuire l’errore, senza poter mai totalmente escluderlo, mentre noi riteniamo giusto abolire completamente questo errore.

Nelle elezioni del 1946, cui noi ci riportiamo, l’errore fu questo: che su 80 deputati eletti con il collegio unico nazionale, 41 si erano portati anche candidati in uno, o due, o tre circoscrizioni ed avevano fallito, non erano stati eletti, avevano riportato una scarsissima votazione preferenziale. E abbiamo visto questo – e qui appunto è l’ingiustizia – che della stessa lista, nella stessa circoscrizione, non è stato eletto qualche candidato che aveva raggiunto migliaia di voti preferenziali, mentre viceversa, attraverso il collegio unico nazionale, si è visto arrivare all’Assemblea un candidato della stessa lista e della stessa circoscrizione, il quale aveva riportato un assai minor numero di voti.

Siccome quindi – e ritorno al principio or ora formulato – i deputati debbono essere eletti tutti dai cittadini elettori e soltanto dai cittadini elettori, a me pare che il metodo migliore sia di abolire il sistema del collegio unico nazionale.

Si dice: ma i partiti politici hanno pure dei diritti; i partiti politici hanno oggi una grande importanza nella vita politica: è giusto quindi che essi possano anche assicurare al Parlamento una parte di quegli uomini che stimano come i migliori, i più adatti, ecc.

Ma, se noi concediamo questo diritto ai partiti politici, tanto vale allora accettare la proposta Stampacchia della lista rigida e abolire le preferenze. Ma la proposta Stampacchia della lista rigida è stata respinta da questa Assemblea; e giustamente respinta, perché i partiti politici in Italia hanno sì la loro importanza, ma c’è una grande maggioranza della cittadinanza che non fa politica e che non è iscritta ai partiti; ma si tratta di cittadini che pagano le tasse, che fanno il soldato e che hanno il diritto di dire la loro parola nell’amministrazione della cosa pubblica.

D’altra parte, per quanta importanza possano avere i partiti politici, è certo che il popolo vale qualche cosa di più, perché gli stessi partiti politici valgono in quanto è il popolo che li costituisce, è il popolo che li arricchisce. Il partito che ha molte adesioni di popolo, è un partito forte; quello che non ne ha, è destinato a morire, anche se agita la più bella idea. Per conseguenza, se il popolo soltanto ha il diritto di scegliere i suoi rappresentanti nel Parlamento, bisogna abolire la lista nazionale, e per conseguenza abolire il collegio unico nazionale. (Commenti al centro).

PICCIONI. E i senatori di diritto?

GRILLI, Relatore per la minoranza. Ormai, purtroppo, i senatori di diritto ci sono.

COSTANTINI. E chi li ha fatti? (Commenti).

GRILLI, Relatore per la minoranza. Ho già detto che, se abbiamo sbagliato una volta, sarebbe ora di smetterla.

PICCIONI. Si può correggere l’errore.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Non si deve insistere negli errori.

Ma siccome il collegio unico nazionale aveva lo scopo di utilizzare i resti, i voti residuali, se si abolisce, bisogna naturalmente trovare un altro sistema per utilizzare i voti residuali, perché i resti bisogna utilizzarli, se vogliamo adottare in pieno la rappresentanza proporzionale. Ed io ho proposto un metodo che a me sembra il più semplice e il più giusto. Non dico che sia un metodo perfetto, per amor di Dio; prima di tutto, perché la perfezione non è di questo mondo, e poi perché sarà impossibile trovare la perfezione nei sistemi elettorali. Ma mi pare il meno imperfetto di tutti quelli che sono stati presentati. Il mio sistema mi sembra semplice come l’uovo di Colombo; tanto semplice che per enunciarlo ho speso sette righe soltanto della mia relazione.

Il sistema è questo: una volta accertato col quoziente nazionale quanti deputati si devono ancora eleggere coi resti, e quanti di questi deputati spettino proporzionalmente a ciascuna lista, si attribuiscono i seggi a quelle circoscrizioni le quali hanno raggiunto il maggior numero di resti, nel senso che si sono avvicinati di più al quoziente senza raggiungerlo. I comunisti, per esempio, nel 1946 hanno perduto due quozienti, uno a Genova e uno in un altro posto per tre – o quattrocento voti soltanto. Ora, è più giusto, a parer mio, che venga alla Camera quel primo non eletto, che sarebbe stato eletto se si fosse raggiunto il quoziente, piuttosto che un’altra persona qualsiasi, eletta dalla direzione del partito.

In questo modo, con questo mezzo che io ho proposto, prima di tutto si favoriscono le circoscrizioni più meritevoli, cioè quelle che hanno diritto, perché il deputato se lo sono guadagnato coll’andare più vicini al quoziente; si favoriscono i candidati che hanno avuto più voti individuali, e per conseguenza si obbedisce in pieno al criterio della libera scelta da parte del corpo elettorale.

L’onorevole Fuschini, Relatore di maggioranza, muove alcune obiezioni, che a me pare non abbiano alcun fondamento.

La prima obiezione è che si fa dipendere l’assegnazione dei deputati alle circoscrizioni dal gioco dei resti. Ora, io domando: che cosa è il gioco dei resti? È il giuoco dei voti, perché anche i resti sono voti. E gli altri deputati non sono forse eletti col gioco dei voti? Se hanno voti sono eletti, se non hanno voti restano fuori.

E lo stesso collegio unico nazionale non fa il gioco dei resti? Perché i Partiti, in tanto hanno diritto a più o meno deputati, in quanto nelle circoscrizioni hanno raggiunto più o meno resti.

E a proposito di giochi, egregi colleghi, vi sono giochi leali nei quali vince chi ha punti, e giochi in cui invece si «bluffa» e si vince senza punti. Ora col metodo che io propongo vincono soltanto quelli che hanno voti; invece col collegio unico nazionale, si ha una specie di gioco di poker, in cui può vincere anche chi non ne ha.

La seconda obiezione dell’onorevole Fuschini è che l’assegnazione dei seggi avviene in base ai quozienti regionali che non sono ottenuti tutti con lo stesso criterio.

Ma questa critica, onorevole Fuschini, non deve andare al mio metodo, ma al sistema generale delle elezioni. Non è colpa mia se nel 1946 per essere eletti a Trapani bastavano trentun mila voti mentre a Torino ce ne volevano più di 45 mila. Questo difetto è del metodo generale delle elezioni, non è del mio correttivo. Io prendo questo sistema com’è e lo adotto anche per l’utilizzazione dei resti; invece gli altri lo vorrebbero prendere per le elezioni dei deputati del primo scrutinio, e poi si scandalizzano quando bisogna fare le elezioni coi resti.

Vi è finalmente l’ultima obiezione dell’onorevole Fuschini. Egli ci racconta che nel 1946, nientemeno, Trapani avrebbe avuto un deputato in più.

Io non nego che qualche circoscrizione possa esserne avvantaggiata, e naturalmente a danno di qualche altra, perché i deputati non possono essere più di quelli che spettano per proporzione. Non lo nego, ma mi si deve dimostrare che queste cose non accadono col collegio unico nazionale. Invece col collegio unico nazionale avvengono cose molto più gravi, come adesso vi dirò.

Dunque, sentite le sperequazioni che si hanno col collegio unico nazionale.

Prima di tutto osservo all’onorevole Fuschini che egli usa parole improprie. Egli ci parla di trasferimenti dalle circoscrizioni al collegio unico nazionale, e di ritorni dal collegio unico nazionale alle circoscrizioni.

Ora, questo è sbagliato, perché il collegio unico nazionale non rimanda proprio niente alle circoscrizioni. Il collegio unico nazionale si serve delle circoscrizioni per farsi dare i resti, ma poi elegge chi vuole e potrebbe anche darsi che eleggesse, per esempio, tutti deputati di una circoscrizione, perché nessuno potrebbe impedire ad un partito di portare una lista nazionale di milanesi, torinesi, ecc. Ed allora nel 1946 è avvenuto questo: Genova, che secondo il linguaggio dell’onorevole Fuschini, avrebbe trasferito quattro seggi al collegio unico nazionale e per conseguenza avrebbe dovuto attendersi quattro ritorni; dal collegio unico nazionale ha avuto un deputato solo di ritorno; e Bologna ne ha avuto uno solo; e Benevento e Mantova e l’Aquila e Cagliari uno solo. Queste circoscrizioni, le quali avevano diritto a 93 deputati, in definitiva fra elezioni di primo scrutinio ed elezioni con il collegio unico nazionale hanno avuto 11 deputati in meno, cioè 82, mentre Milano che ne avrebbe trasferiti due se n’è visti ritornare 12 e Firenze 12 e Napoli 13 e Roma 25! (Ilarità – Interruzione del deputato Mazzoni).

Voi prendete tutti i deputati eletti dal collegio unico nazionale (80 deputati) e in questi 80 deputati trovate la bellezza di 25 candidati della circoscrizione di Roma! Dunque, se quel metodo che io propongo può essere di danno a qualche circoscrizione ed a favore di un’altra (speriamo che non avvenga), nel giuoco dei resti nel collegio unico nazionale gli errori sono assai più gravi. Questi scherzi che vi ho detto ora sono fatti dal collegio unico nazionale alle circoscrizioni, mentre col metodo da me proposto i deputati, se li conquistano le singole circoscrizioni con i loro resti, ossia con i loro voti.

Ed ho finito e concludo.

Distribuzione più equa e più logica dei deputati nelle circoscrizioni che, se li vogliono, se li devono guadagnare; selezione più equa dei candidati con la scelta dei più preferiti, rispetto completo della volontà degli elettori.

Ci saranno dei difetti, ma i difetti del collegio unico nazionale sono infinitamente più gravi.

Per questi motivi ho ragione di sperare che la mia proposta sia accolta. (Applausi).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io vorrei fare una mozione d’ordine in questo senso: noi abbiamo una questione di ordine generale, che è quella se conservare o no il collegio unico nazionale, e poi delle questioni subordinate che troveranno la possibilità di una discussione e di una soluzione dopo che noi avremo deliberato sulla questione principale. Quindi, se il Presidente vorrà sottoporla all’Assemblea, la mia proposta sarebbe in questo senso: fare una piccola discussione generale sul problema generale del collegio unico nazionale; votare su questa questione e poi scendere eventualmente alle subordinate che ne derivano.

PRESIDENTE. Mi sembra logico ed opportuno quello che lei propone; occorre però prima sentire la Commissione e il Governo.

CORBINO. Se siamo d’accordo vorrei aggiungere qualche cosa a quello che ha detto l’onorevole Grilli, e così poi non parlerei.

PRESIDENTE. Sta bene. Prego il Relatore di esprimere il parere della Commissione.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione è d’accordo.

PRESIDENTE. Ed il Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Anche il Governo è d’accordo.

PRESIDENTE. Se non sorge opposizione a questo procedimento, possiamo senz’altro passare alla questione generale.

(Così rimane stabilito).

Ha facoltà di parlare l’onorevole Corbino.

CORBINO. Io vorrei aggiungere qualche considerazione a quelle già svolte dall’onorevole Grilli contro la lista unica nazionale. Si è osservato che noi abbiamo deliberato una nomina di diritto di un certo numero di senatori. Non è questo, a mio giudizio, un caso paragonabile con la formazione della lista unica nazionale, perché noi non abbiamo nominato dei senatori prendendoli così a caso, ma abbiamo nominato senatori gente che ha avuto il vaglio di due, tre elezioni, gente che è stata o è alla Costituente e che per questo titolo, quasi esclusivamente, è stata autorizzata a passare al Senato. In ogni caso, il corpo deliberante per questo tipo di senatori di diritto è stata un’Assemblea eletta dal popolo e non le direzioni di partiti che sono accessibili a tutte le possibilità di pressioni dirette o indirette.

La lista unica nazionale, in sede di elezione della Costituente, poteva avere una ragione d’essere, perché, dovendosi preparare la Costituzione, tutte le correnti politiche, anche le più modeste, dovevano avere una rappresentanza diretta nell’Assemblea. Ma d’ora in avanti si tratterà di eleggere Assemblee legislative che dovranno risolvere problemi concreti, rispetto ai quali le formazioni di partiti prevalgono su quella che può essere la formazione delle correnti ideologiche. Ed allora, qual è il tipo di elezione che consente di far avvicinare di più la fisionomia della Camera eletta al corpo elettorale dal quale la Camera promana?

Evidentemente è il tipo di elezione che lascia al corpo elettorale la scelta individuale dei singoli deputati.

Noi abbiamo in Italia il frazionamento dei piccoli partiti. Ora la lista unica nazionale tende ad accentuare la tendenza al frazionamento dei partiti. Non sarà purtroppo evitabile che otto o dieci persone riescano a trovare cinquecento firme in dieci circoscrizioni perché, raggranellando tremila voti per parte, possano raggiungere la cifra necessaria per avere un posto nella lista unica nazionale, ed allora noi avremo la lista unica nazionale per esempio per il partito dei reduci garibaldini, o per coloro che hanno fatto la campagna del 1886 in Africa, o il partito dei medici, o il partito delle levatrici. Avremo tutte le possibili combinazioni atte a consentire ad un gruppo di ambiziosi di venire alla Camera, anticipando soltanto le spese che occorrono per raccogliere cinquecento firme in ogni circoscrizione e pubblicare cinquanta manifesti.

Ora, a me pare che sia interesse di tutti, dal punto di vista politico, che le formazioni politiche si raggruppino nei limiti e nei campi in cui il raggruppamento corrisponda ad una larga affinità di idee e di contenuto programmatico. La lista nazionale ostacola questo processo di raggruppamento, e quindi è uno ostacolo alla chiarificazione della vita politica italiana. (Applausi). Non possiamo appellarci ai precedenti, purtroppo, perché la proporzionale non ha avuto che due realizzazioni concrete, nel 1919 e nel 1921; e, a giudicarne gli effetti immediati, bisognerebbe veramente essere sfiduciati sulla sua possibilità di salvare la democrazia, perché dopo due anni dalla proporzionale noi siamo caduti sotto la dittatura fascista.

Non voglio collegare con un rapporto di causa ed effetto le due cose, ma non v’è dubbio che dobbiamo escogitare dei sistemi, che, non dirò non consentano, ma per lo meno ostacolino maggiormente la possibilità del ripetersi degli avvenimenti del 1919 e 1922. Quindi, ogni circoscrizione elegga i suoi deputati; li elegga con il metodo D’Hondt, o aggiungendo uno, due, tre a quel tale n che rappresenta il numero dei deputati da eleggere, ma si sappia che nella circoscrizione A che deve dare venti deputati vi saranno i venti deputati eletti fra coloro che hanno riportato un maggior numero di voti.

Ecco perché io sono contrario alla lista unica nazionale, e sono del parere che si debba adottare quel sistema elettorale che tolga ai resti qualsiasi valore, perché fino a quando noi daremo al resto un valore superiore a zero indurremo la gente a sommare tante frazioni di unità quante ne occorrono per raggiungere una unità intera in sede di collegio unico nazionale. In questo senso raccomando a coloro che hanno a cuore le future sorti dell’istituto parlamentare di votare contro il collegio unico nazionale. (Applausi).

BASILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASILE. Concentrerò la mia attenzione su due aspetti del problema: il lato giuridico e il lato politico.

Un sistema di scrutinio anzitutto non deve limitare all’elettore la sua possibilità di scelta. Se un elettore vuole scegliere un candidato, nessuno ha il diritto di porsi in mezzo fra loro; non altri elettori, non altri candidati, non altri partiti.

Ora, invece, che cosa fate voi? Presentate all’elettore delle liste già fatte, già preparate in cui l’elettore non può cambiare, non può aggiungere, non può cancellare un nome.

Se il candidato è estraneo ai partiti politici e non accetta il programma di un partito se non trova posto in una lista, l’elettore non può votare il suo nome.

Ora io ho inteso dire che l’elettore era sovrano. Ma che cosa resta di questo principio democratico se voi violate la libertà dell’elettore e la libertà di candidatura?

Si è parlato perfino di abolizione dei voti di preferenza.

Si avrebbero così dei candidati prestabiliti, che diverrebbero presto dei candidati ufficiali. Questo ci ricorda troppo il tempo passato, coi candidati delle liste nazionali. È a questo che si vorrebbe che noi tornassimo?

Noi diciamo: no.

Ora si tratta di fissare una questione di principio. Qui la questione è essenzialmente, anzi esclusivamente politica. Il corpo elettorale attraversa una crisi di astenia, di scoraggiamento, di abbandono, di sfiducia che allarga il numero degli astensionisti. Fermatevi su questa strada pericolosa. Voi sostituite al diritto degli elettori, dei cittadini, un potere arbitrario dei partiti.

Sento dire: volete dunque sopprimere i partiti?

È assurdo pensare che noi vogliamo abolire i partiti che hanno una funzione così importante, così innegabile nella vita politica. E allora di che ci lamentiamo? Che voi limitate le libertà del cittadino, obbligandolo a votare per un partito e poi delegare ad un comitato elettorale il suo diritto di scegliere i candidati.

Ecco dove non siamo d’accordo. Noi vogliamo garantire, oltre di diritto del cittadino di iscriversi in un partito, che esprima i suoi bisogni, i suoi interessi, le sue idealità, anche il diritto di restare fuori di tutti i partiti.

Il diritto di riunione e di associazione è inviolabile quanto il diritto di non riunirsi e di non associarsi.

Su oltre 22 milioni di elettori in Italia la grande maggioranza è fuori dei partiti. Certo è deplorevole.

Ma è tutta colpa degli elettori, o non piuttosto anche dei partiti? Comunque, io sto ai fatti e mi domando se fino a quando vi saranno tanti elettori che restano ancora fuori dei partiti politici si possa costruire un sistema di scrutinio che ha per presupposto proprio l’organizzazione e la distinzione in partiti del corpo elettorale.

Siamo certo lontani dal punto a cui è pervenuta l’Inghilterra dove, ad esempio, il governo e l’opposizione sono sullo stesso piano. Anche noi arriveremo, è fuori dubbio, a questa maturità politica.

Ma la tesi che io vi pongo oggi è che voi dovete rispettare allo stato attuale anche quest’agnosticismo, che ha pure le sue spiegazioni, questa volontà dell’elettore di non legarsi per la vita alle decisioni, alle tendenze, agli accordi che i partiti concludono a sua insaputa, in suo nome e per suo conto, interpretando talvolta arbitrariamente le sue aspirazioni.

Ma questo progetto poi peggiora perfino la legge che servì a eleggere quest’Assemblea.

L’articolo 3-bis contiene infatti una disposizione soppressiva del terzo comma dell’articolo 15 della legge del 1946 il quale stabiliva che, per essere eletto nel collegio unico nazionale, era necessario essere candidato almeno in una circoscrizione: ora voi sopprimete anche questo, cioè senza passare attraverso il vaglio degli elettori di almeno un collegio, si può essere eletti senza voti di preferenza!

Ma così non vi sarebbe più bisogno neanche di essere candidati e si potrebbe essere eletti anche contro il consenso degli elettori che non hanno nessun diritto di cancellare un nome. Tutto questo è contrario al principio della sovranità popolare e spiega la nostra ostilità a questa legge elettorale. Dunque non è vero che noi vogliamo abolire i partiti; siete voi che vorreste abolire l’elettore!

Ma il vostro progetto peggiora la vecchia legge anche su un altro punto essenziale.

Con la legge del 1946 le liste dei candidati per il collegio unico nazionale dovevano essere presentate in dodici circoscrizioni: oggi per l’articolo 3-bis devono essere presentate in almeno 20 delle 31 circoscrizioni.

Vi faccio osservare che se in passato si fosse imposto ai partiti questa necessità di avere una così vasta organizzazione politica, essi non avrebbero potuto né nascere, né svilupparsi. No, voi non avete, noi non abbiamo il diritto di impedire la formazione di nuovi partiti. Questo è contrario alle leggi della democrazia. Questa sarebbe una nuova teorica del possesso a favore dei partiti esistenti per mantenere è consolidare le loro posizioni attuali.

Questo sarebbe un sistema statico. Ma la politica vive di movimento e di battaglia, di maggioranze e di minoranze che consentano magari unioni nate da avvicinamenti di simili o di vicini, ma non connubi di lontani o di contrari, come avviene con questo sistema.

Si è detto che l’organizzazione dei partiti assicura la stabilità dei governi. Ma, abbiamo forse dimenticato il passato più recente? Cinque crisi di governo, in poco più di un anno, in quest’Aula, non sono la prova delle difficoltà derivate da questo sistema che determinò un equilibrio instabile che non poté mantenersi neanche con lo sforzo quotidiano delle concessioni e, scusatemi la parola, dei compromessi che furono tanto spesso dei sacrifici?

Io non avrò l’indelicatezza di enumerare quali sono i risultati pratici di questi connubi politici che la Democrazia cristiana ha celebrato via via e disfatto, prima coi comunisti, socialisti e repubblicani, poi coi liberali e qualunquisti, e ora coi liberali, socialisti autonomisti e repubblicani, che già furono alleati, poi nemici, e oggi alleati di nuovo.

E dopo tutto ciò vorreste venire a dirmi che il sistema dei partiti, della proporzionale – che voi con questa legge elettorale rafforzate ed esasperate, ma solo nell’interesse dei grossi partiti – sia il sistema preferibile, e la soluzione migliore?

So benissimo che non vi sono sistemi perfetti e si tratta solo di evitare il male peggiore.

Ma non mi dite che il male minore sia questa partitocrazia. Qui la questione è ancora esclusivamente politica.

Voi dite che il sistema proporzionale ha uno scrutinio d’idee, un confronto di programmi.

Io non so se non si debba difendere il povero elettore contro i programmi elettorali che si fanno una concorrenza spietata, che promettono mari e monti e anche il paradiso in terra e perfino il paradiso in terra e in cielo.

Comprendo la seduzione che può esercitare il sistema proporzionale, ma anzitutto voi ci date un meccanismo favorevole ai grossi anziché ai piccoli partiti, e questo significa snaturarlo.

Ma il difetto principale del sistema proporzionale, nonostante tutto, è che si basa su questa struttura rigida dei partiti, che hanno tendenza a divenire sempre più dei grandi organismi burocratici, per cui l’elettore vota per un sistema astratto di idee, mentre egli ha soprattutto il desiderio di scegliere gli elettori.

È fuori dubbio che il voto dell’elettore esprimeva meglio la sua volontà quando sapeva per chi votava. Come può infatti l’elettore scegliere meglio gli uomini se non quando li vota uno per uno? In definitiva il corpo elettorale chiede solo il permesso di esprimere la sua volontà, almeno una volta ogni cinque anni! Lasciatemi pensare che questo diritto sia inviolabile.

Col vostro sistema, poi, non v’è posto per l’uomo indipendente, pel giovane ardente, che, anche privo di mezzi, privo ancora di notorietà, ricco solo di fiducia in se stesso e nelle sue idealità, si presenta per chiedere il voto e la fiducia del corpo elettorale. In un paese come il nostro questa possibilità di affermazioni di energie nuove, di giovinezze entusiaste e di uomini di fede provata, è garanzia di moralità che servirebbe ad accrescere la bellezza ideale della lotta politica in Italia.

Quel che mi sembra il pericolo più grave è un processo di disintegrazione e di smembramento dello Stato che delega ai partiti i suoi poteri, la sua autorità. In realtà, spesso, quando i partiti sono usciti dalle elezioni, gli elettori e gli eletti non contano quasi più: contano i partiti.

Formata la Camera dei deputati, il governo si forma con gli accordi fra partiti e partiti che trattano fra loro come nel campo internazionale, da sovrano a sovrano, coi loro plenipotenziari. Tutto è contratto fra i partiti. Lo Stato non v’è più: i partiti diventano potenze che concludono convenzioni, trattati, fanno patti e transazioni continue. L’unità dello Stato è divisa come tra grandi feudatari fra gli stati maggiori dei partiti e delegata ai capi gruppo che sotto l’influenza della direzione dei partiti, decidono della condotta politica dei gruppi e perfino della loro autonomia. Ciò tende a spossessare il corpo elettorale della maggioranza delle sue prerogative e trasforma e falsa il funzionamento della vita parlamentare.

L’Assemblea stessa non legifera più se non in apparenza, perché sui temi più importanti tiene talvolta delle sedute fittizie dove le votazioni, gli orientamenti sono prestabiliti e determinati dalle direzioni dei partiti.

I Ministeri non sono fatti e non sono rovesciati dall’Assemblea, ma dalle crisi interne fra i partiti che li fanno, li disfano, li rimpastano per dissensi che sorgono fra di loro. E allora il sistema proporzionale che era stato creato per affermare l’autonomia dei partiti, li costringe a deformarsi di più.

Questo sistema proporzionale dunque non ha assicurato l’autonomia dei partiti, non il giuoco delle idee, non la stabilità dei Ministeri.

E allora perché ci chiedete tante rinunzie, tanti sacrifizi? La funzione essenziale, invece, delle elezioni è di ottenere una maggioranza politica e di determinare il governo e l’orientamento della legislatura. La vita politica dipende allora dal risultato elettorale e dal responso della volontà della Nazione che può opporsi al pluralismo degli interessi particolari. In realtà, questo pluralismo di interessi coesistenti nello Stato, potrebbe finire solo nell’ipotesi teorica che questi interessi convergessero. Il che praticamente non si verifica. E allora lo Stato dev’essere il compositore dell’equilibrio di questi egoismi contrastanti.

Ora lo Stato, invece di prendere le sue responsabilità, cede sempre più non solo ai partiti, ma agli interessi materiali di gruppi plutocratici e monopolistici di grandi trusts, di grandi organizzazioni che sono in contrasto cogli interessi generali dei cittadini, dei consumatori, che rimangono senza difesa, perché queste forze sovrane, davanti a cui lo Stato non fa che abdicare, si servono anche della corruzione e controllano la stampa, le banche, i servizi di pubblica utilità. Davanti al pericolo che rappresentano per il Paese questi egoismi sconfinati, invece di rafforzare i poteri dello Stato, si cerca di rafforzare l’onnipotenza di queste forze centrifughe e dissolventi della solidarietà dell’unità della Nazione.

Noi non vogliamo una politica di lavori pubblici di plutocrazie e di oligarchie, una politica dell’agricoltura, del commercio, dell’industria, della marina, dell’igiene, dell’assistenza di una parte o di un’altra, di destra o di sinistra, di un trust contro un altro; noi vogliamo che lo Stato rappresenti gli interessi di tutte le classi e di tutti i ceti, di tutti i cittadini e li riassuma nell’armonia del diritto e della giustizia sociale. Così soltanto, sovrano sarà il Paese, di cui lo Stato non può essere che il servitore fedele, per il suo progresso e il suo sicuro avvenire. (Approvazioni)

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Parlerò brevissimamente contro l’articolo 15. Ho anzitutto l’impressione (e non voglio entrare nel campo del collega Morelli, il quale sono sicuro mi dimostrerà di qui a pochi minuti che noi combattiamo contro un morbo nel senso giuridico, costituzionale), che il principio della lista nazionale è stato seppellito dal voto di questa Assemblea.

Mi preoccupo senz’altro di rispondere a quella che è una obiezione che il collega Fuschini non mi sembra abbia fatto nella sua relazione di maggioranza, ma che ho trovato nei resoconti della Consulta, quando il problema venne in discussione e l’onorevole Fuschini fu strenuo difensore di questo principio, che l’orientamento odierno sembra voler rigettare. L’argomento dell’onorevole Fuschini, mi consenta il caro collega, era capzioso; egli diceva: non si può parlare di inesistenza della libera scelta nella lista nazionale, perché, fatta la lista nazionale colui che va a votare la lista circoscrizionale sa che i resti eventuali andranno alla lista nazionale. Invito l’onorevole Fuschini a rispondere a questo interrogativo: è questa mai scelta libera o è scelta coatta? Quale altro mezzo è dato all’elettore per potersi svincolare da questo capestro antidemocratico che voi gli avete imposto, ancor prima che si rechi alle urne? (Approvazioni).

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Onorevoli colleghi! Mi pare che la questione non si sarebbe dovuta addirittura sollevare, perché noi abbiamo già approvato nella Costituzione un articolo 45, in cui si parla di «voto personale e uguale» ed un articolo 53, in cui si parla di «suffragio universale e diretto». Non credo che, osservatori ed interpreti rigorosi come noi dobbiamo essere, ancor più delle future Assemblee legislative, possiamo ammettere che il collegio unico nazionale sia compatibile con le norme costituzionali che ho richiamato. (Approvazioni).

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Onorevoli colleghi, ho presentato un ordine del giorno così formulato: «l’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale». Dirò soltanto pochissime parole.

L’affermata analogia fra il collegio unico nazionale e i senatori di diritto non sussiste, e ciò non soltanto per le ragioni giustissime avanzate dall’onorevole Corbino, ma anche perché in sostanza noi abbiamo aggiunto, ai senatori che dovranno essere eletti, un certo numero di altri senatori. In altri termini, noi non abbiamo sottratto niente al corpo elettorale, noi non abbiamo fatto in modo che il numero dei senatori eletti sia inferiore a quello previsto dalla Costituzione. Invece, nel caso dell’elezione dei deputati, noi abbiamo stabilito nella Costituzione che essi saranno eletti dal popolo in ragione di uno ogni ottantamila. Ora, quando noi vogliamo sottrarre un certo numero di deputati alla elezione diretta da parte del popolo (deputati che faremmo invece eleggere dai partiti), noi veniamo a violare la Costituzione. Questo è il punto. Qui v’è una violazione esplicita, chiara, manifesta, inequivoca della Costituzione. Ora, a che cosa noi dobbiamo andare? Al metodo Grilli o ad altri metodi? Non è questo il punto della discussione. Noi dobbiamo respingere un collegio unico nazionale. Io credo che si dovrebbe andare per ragione di logica al metodo D’Hondt, col quale appunto tutti i deputati sono eletti nella circoscrizione direttamente dagli elettori. Comunque, qualora il metodo D’Hondt non fosse accolto dall’Assemblea, per conto mio, subordinatamente, aderirei al metodo proposto dall’onorevole Grilli.

Noi qui facciamo un gran parlare di democrazia ad ogni momento. Signori miei, mettiamoci d’accordo una buona volta sul significato della parola democrazia. Quando noi ammettiamo il principio che alcuni deputati possono essere eletti dai partiti, noi abbiamo un concetto della democrazia che è diverso da quello usuale. Democrazia, si dice, ed ormai è diventato un luogo comune, che è governo di popolo, voluto dal popolo, esercitato per il popolo. Quando noi escogitiamo questo sistema elettorale, il cui estremo è rappresentato da quella proposta Stampacchia che noi abbiamo respinto ma che aveva una evidente coerenza, noi veniamo in sostanza a dire che per noi democrazia è un governo dei partiti, voluto dai partiti, esercitato per i partiti. (Applausi).

DONATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DONATI. Vorrei chiarire una questione generale. Ho sentito combattere la lista nazionale ed esaltare l’annullamento dei resti in sede circoscrizionale, ma il solo che abbia posto l’accento su una distinzione esatta, è l’onorevole Grilli, il quale ha distinto la lista nazionale dal collegio unico nazionale. In realtà l’antitesi non va posta fra lista nazionale e collegio circoscrizionale, ma va posta nel seguente modo: primo sistema: utilizzazione dei resti sino, come diceva l’onorevole Corbino, ad annullarli in sede circoscrizionale, in tal caso si rispetta fino all’ultimo la volontà degli elettori perché i voti, anche quelli residui, vengono con un sistema o l’altro utilizzati in seno alla stessa circoscrizione nella quale sono dati. Secondo sistema: utilizzazione dei resti in sede diversa da quella della circoscrizione. E, fra gli emendamenti presentati, io noto vari metodi per tale diversa utilizzazione; uno, quello combattuto, è quello della lista unica nazionale; vi è poi l’altro, quello dell’onorevole Grilli, che propone l’utilizzazione dei resti a vantaggio di quelle circoscrizioni che hanno avuto i resti maggiori, e che quindi propone l’abolizione della lista unica nazionale. Vi è poi un terzo metodo – che vedo proposto dall’emendamento Marina – della utilizzazione dei resti in sede interregionale, cioè si avvicina di più alla utilizzazione circoscrizionale, ma è sempre qualcosa che va al di fuori della circoscrizione.

Mi sembra, quindi, che il primo emendamento che si allontana veramente, integralmente dalla proposta della Commissione, sia l’emendamento De Martino.

PRESIDENTE. Adesso, non è il caso di parlarne, perché si tratta di una questione di principio. Ho davanti a me un ordine del giorno che è così redatto:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale».

DONATI. Sì, ma vorrei chiarire che quando si vuole respingere il principio della lista nazionale, e poi si parla invece di collegio unico nazionale, viene respinta anche la proposta dell’onorevole Grilli. Bisogna quindi precisare se si vuole respingere (o meno) il sistema della utilizzazione dei resti fuori della circoscrizione con qualsiasi metodo ovvero soltanto quello mediante la lista nazionale senza pregiudicare metodi diversi da quest’ultimo. Occorre dunque che prima della votazione la distinzione sia ben chiara.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Ritengo necessario rettificare una affermazione dell’onorevole Corbino e dell’onorevole Donati. Quando si paragona, com’essi han fatto, la lista nazionale con l’atto con cui, alcuni giorni or sono, questa Assemblea procedette alla nomina di senatori, si fa un confronto che, secondo me, non ha nessuna possibilità di essere difeso.

Quegli atti di nomina, erano, a mio avviso, fuori dei poteri della Costituente, ed in contrasto con la struttura che l’Assemblea stessa aveva deliberato per il Senato. Sulla loro validità si possono, perciò, legittimamente avanzare dubbi. In quanto, invece, alla lista nazionale bloccata, è vero che con essa sono i partiti a designare alcuni deputati; ma quei partiti, per poter in effetti esercitare tale facoltà, devono aver riportato il suffragio degli elettori. Tutt’al più si potrebbe considerare quel sistema come una elezione di secondo grado.

In quanto alla questione del collegio unico nazionale, mi pare che abbia ragione il collega che mi ha preceduto, perché davanti a noi sono due proposte concrete: da un lato, la proposta Corbino, che vuole soppressa la utilizzazione dei resti, e che quindi è contro qualsiasi collegio nazionale; dall’altro lato, la proposta della Commissione, quella del Governo, e l’altra dell’onorevole Grilli, le quali tutte e tre ammettono il collegio nazionale. La sola differenza tra queste ultime è che nella proposta del Governo e della maggioranza della Commissione si ha anche una lista nazionale, mentre nella proposta Grilli tale lista non vi è, o piuttosto essa è formata dal complesso di tutte le liste circoscrizionali.

Per ora, senza entrare nell’esame delle varie proposte, mi limito ad esprimere l’opinione che quella fatta dall’onorevole Corbino, che mira a togliere ogni valore ai resti, sia da respingere. Essa è illogica, in quanto impedisce che il principio della rappresentanza proporzionale abbia una migliore applicazione, ed è antidemocratica, in quanto è ostacolata la rappresentanza dei piccoli partiti. Mi meraviglia che a sostenere quella proposta siano proprio i colleghi dell’Unione democratica nazionale, che nelle passate elezioni ebbe ben dieci deputati eletti nella lista nazionale. Ciò vuol dire che, se nell’elezione della Costituente non si fossero utilizzati i resti delle circoscrizioni, l’Unione democratica nazionale avrebbe in questa Assemblea ben dieci deputati di meno! In generale può affermarsi che del collegio nazionale si avvantaggiarono specialmente i partili minori. Furono, infatti, eletti in esso, oltre ai dieci dell’unione democratica nazionale, dieci deputati dell’Uomo qualunque e nove repubblicani.

Nel mondo moderno, col sempre più rapido diffondersi delle comunicazioni, si va, a mio avviso, in ogni singola unità nazionale, verso una ripartizione sempre più uniforme delle varie correnti politiche; e potrebbe, perciò, darsi il caso che un gruppo politico determinato, pur non avendo numerose maggioranze locali, abbia centinaia di migliaia di elettori, i quali, ove venisse accolta la proposta Corbino, rimarrebbero senza un loro rappresentante nel Parlamento.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Il collegio unico nazionale rappresenta secondo me il metodo più adeguato per l’utilizzazione dei resti. Negare il collegio unico nazionale vuol dire una riduzione delle possibilità di giustizia elettorale che appunto il sistema della proporzionale con l’utilizzazione dei resti in sede nazionale tende a realizzare, nel modo più completo, per modo che tutti i cittadini siano rappresentati nelle Assemblee politiche.

La ragione opposta dall’onorevole Corbino mi ha profondamente, dirò così, impressionato, perché proprio da un elemento liberale – che dovrebbe dare il maggior peso a quella che è l’espressione dell’individuo – si dà invece una maggiore preponderanza alla questione del territorio, alla questione geografica, anziché alla questione della persona.

Non è il territorio, né la geografia, né la circoscrizione, ma l’individuo che conta, il quale può associarsi per difendere una idea politica insieme con cittadini che possono essere anche nel lembo più lontano del Paese. Il principio di poter esprimere un pensiero indipendentemente dal territorio e da considerazioni geografiche è, secondo me, importantissimo per realizzare la maggiore giustizia e il maggior progresso. (Commenti).

Una voce al centrosinistra. E la volontà degli elettori?

UBERTI. La volontà degli elettori è appunto questa: di poter esprimere il loro pensiero anche indipendentemente dalla circoscrizione. Ora, la forma e la possibilità di un collegio nazionale nel quale possa concretarsi questa situazione mi sembra veramente fondamentale, per cui l’obiezione mossa dall’onorevole Corbino mi sembra antitetica con questa esigenza.

Ma dobbiamo anche distinguere fra lista nazionale e collegio unico nazionale. Sono due problemi completamente diversi. Il collegio unico nazionale può sussistere sia con la proposta della Commissione di una lista nazionale rigida, sia col sistema Grilli, in cui viene attribuita, anziché una lista nazionale prestabilita, l’utilizzazione dei resti ai maggiori resti raggiunti nello singole circoscrizioni, sia col sistema, che avevo proposto in sede di Commissione, dell’utilizzazione dei resti in sede regionale, e dei resti dei resti in sede nazionale, il che avrebbe ridotto la lista nazionale da 80 eletti nelle ultime elezioni ad appena 38 o 39.

Che cosa è infatti, in definitiva, che commuove, nella questione del collegio unico nazionale? Precisamente il fatto che un settimo degli elettori sia sradicato dalla propria circoscrizione. Ma con la proposta Fuschini che aumenta il correttivo del sistema Hagenbach-Bischoff, per cui il divisore nella circoscrizione è aumentato anziché di più uno e di più due, di più due e di più tre, questa eccessiva assegnazione di punti al collegio unico nazionale si riduce a circa cinquanta. Così uno degli inconvenienti più lamentati viene ad essere superato.

Debbo inoltre richiamare l’attenzione anche su un’altra considerazione, che con la lista nazionale si assolve ad una delle esigenze della vita dei partiti, di cui un tempo si lamentava l’assenza.

Ora ammessa come un bene l’organizzazione dei partiti nei quali si articola la vita politica nazionale, i quali hanno il compito di indirizzare l’opinione degli elettori, in rispondenza alla loro funzione, è giusto, mi pare, che vi sia la possibilità, al di fuori dell’elezione nelle singole circoscrizioni, che alcuni determinati rappresentanti siano eletti in una lista nazionale utilizzando i resti che non hanno raggiunto il quoziente in sede circoscrizionale.

Riterrei quindi necessario mantenere il collegio unico nazionale che non si può assolutamente dire abbia fatto cattiva prova. Esso può aver dato, onorevoli colleghi, forse un eccessivo numero di rappresentanti; ma questo inconveniente, con l’emendamento proposto dalla Commissione, viene ad essere superato.

Per queste ragioni noi voteremo a favore del collegio unico nazionale. (Commenti).

CANDELA. Chiusura!

PRESIDENTE. Chiedo se è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

Come ho già preannunziato, è stato presentato dagli onorevoli Martino Gaetano, Corbino e Bellavista il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale».

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Aderendo alla richiesta di alcuni colleghi modifico l’ordine del giorno in questo senso:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio della lista unica nazionale».

PRESIDENTE. Gli altri firmatari sono d’accordo?

MARTINO GAETANO. Sì.

PRESIDENTE. Sta bene. Comunico che su questo ordine del giorno è stata presentata da due gruppi distinti richiesta di scrutinio segreto.

Prima di passare alla votazione, do la parola al Relatore perché esprima il parere della Commissione.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Onorevoli colleghi, mi permetto di osservare che il problema sollevato tormenta molti dei nostri colleghi. Sono compreso della situazione di ciascuno dei colleghi. Questo problema fu discusso ampiamente alla Consulta Nazionale, dove non vi erano eccessive preoccupazioni di carattere elettorale, che giocano molto, ora, nella questione.

PERRONE CAPANO. V’erano le stesse di ora!

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. No! Prego di non interrompermi (Commenti). Sono abituato a tacermi più spesso, anche quando si fanno affermazioni che non rispecchiano l’esattezza delle cose.

Ora debbo rilevare che, quando fu discussa la legge elettorale del 1946, importantissimo fu considerato il problema dell’utilizzazione dei resti. La utilizzazione dei resti deriva dall’esame della situazione elettorale che viene considerata da un punto di vista superiore e da un punto di vista democratico. Si è voluto che tutte le espressioni della volontà popolare fossero tenute presenti nell’attribuzione dei seggi e che la volontà popolare non fosse per nessuna minima parte trascurata. Quindi il principio dell’utilizzazione dei resti fu accolto senza nessuna difficoltà da quasi tutti i componenti la Consulta Nazionale; e fu sancito nel decreto del 10 marzo 1946.

Quando dal principio dell’utilizzazione dei resti si passò al modo di realizzarlo, non si trovò nessun sistema più semplice di quello che si è adottato e che ha dimostrato come tutti i voti espressi dagli elettori, tutti i voti validi, siano stati proporzionalmente attribuiti alle singole liste rappresentanti le correnti politiche. La vostra Commissione ha lungamente studiato le diverse proposte fatte per migliorare il modo di utilizzazione dei resti e ha concluso riconoscendo che il sistema del 1946 è il più idoneo purché sia aumentata la maggiorazione del divisore in modo che al collegio unico nazionale siano attribuiti meno seggi di quanti non ne vennero attribuiti nelle elezioni del 2 giugno 1946. Questa correzione è stata proposta dalla Commissione nella misura del «più due» e «più tre», a seconda che si tratti di collegi con meno o con più di venti seggi.

In questo momento mi sembra però che si debba avere presente la ragione politica che sorregge il collegio unico con lista nazionale. Innanzitutto si è voluto dare valore all’opera dei partiti, i quali esprimono direttive politiche, indirizzi ideologici che è necessario che abbiano la loro rappresentanza in proporzione del loro peso politico elettorale. Non si riesce ad organizzare il suffragio universale, se non vi sono partiti politici fortemente e largamente organizzati. Si può fare appello all’individualità delle persone, al loro prestigio, ma questo non è più sufficiente data la enorme massa degli elettori. Occorre organizzarsi su base nazionale se si vogliono ottenere dal suffragio universale frutti benefici. Non si può quindi non tener conto dei partiti che impegnano intera la loro responsabilità non soltanto nel periodo elettorale ma anche successivamente, dopo le elezioni, per inquadrare e unificare le direttive degli eletti di fronte al Paese.

Aiutare, dandole valore, la organizzazione dei partiti è uno degli scopi fondamentali del collegio unico e della lista nazionale. Infatti, col collegio unico abbiamo potuto trarre dal nulla – dico così perché non avevano ottenuto quozienti in nessuna circoscrizione – correnti politiche di minoranza che altrimenti non avrebbero avuto qui dentro la loro espressione.

Questa valorizzazione dei partiti e delle minoranze fu dunque realizzata, e noi vogliamo che sia mantenuta.

Per quanto riguarda la lista nazionale si osserva che con essa si sfugge alla volontà degli elettori. Onorevoli colleghi, prima di tutto la proporzionale si basa sul concetto fondamentale che si vota in favore di direttive politiche e che non si dànno voti personali: o, per lo meno, c’è prima di tutto un voto di lista, poi un voto personale.

Quanto al voto personale, si è introdotto nei Paesi latini, e specialmente in Italia, il sistema delle preferenze: è una deviazione, anzi una contaminazione, del sistema uninominale nel sistema proporzionale. La proporzionale postula la rigidità della lista. Se non avete il coraggio di accettare la rigidità delle liste circoscrizionali, dovreste avere almeno il coraggio di accettare per un piccolo numero la rigidità della lista nazionale. (Vivi commenti).

DE VITA. È un sistema camorristico. (Rumori).

RUSSO PEREZ. Noi chiediamo di essere eletti dal popolo e non dai capi-partito.

DE VITA. Non c’è il coraggio di dire quello che si pensa.

MALAGUGINI. Però ora volete votare a scrutinio segreto.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Quando si parla di partiti bisogna distinguere fra i partiti che sono democratici e quelli che non lo sono. I grandi partiti democratici rispettano le esigenze della base; le loro direzioni sono elette dalle sezioni, dalle federazioni, dai congressi nazionali annuali. Se queste direzioni di partiti sono costituite secondo quelle che sono le esigenze del partito, cioè democraticamente, non c’è nulla da temere. Non pensate ai partiti di carattere dittatoriale o di carattere individualistico; pensate ai partiti veramente democratici. È sempre con la base che i partiti veramente democratici fanno i conti per la nomina e la responsabilità delle loro direzioni. Nel partito della democrazia cristiana, per esempio, la direzione centrale non può includere candidati nelle liste che non siano stati proposti dagli organi periferici, che hanno piena libertà. E così è in altri grandi partiti, le cui direzioni hanno compiti in questa materia di semplice sorveglianza e pel rispetto delle esigenze di carattere generale.

Ma, onorevoli colleghi, non intendo aumentare la vostra impazienza: vedo che non è possibile anche per l’ora tarda una discussione seria. L’Assemblea faccia quello che crede, come è suo potere. Noi non abbiamo fatto altro che eseguire un compito, quello di esaminare la questione; e la soluzione che abbiamo adottato è questa: teniamo ferma la situazione del decreto del 1946, salvo i correttivi che vi abbiamo proposto. (Applausi al centro).

MAZZEI. Chiedo di parlare a nome della minoranza della Commissione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Gli argomenti addotti dall’onorevole Fuschini a nome della maggioranza della Commissione non hanno consistenza, secondo il giudizio della minoranza. È inutile anzitutto equivocare sulla utilizzazione totale dei resti, la quale vi può essere tanto col sistema della lista nazionale quanto con gli altri sistemi che la minoranza propone. Anzi: la minoranza propone un sistema che utilizza i resti in un modo che si può dire perfetto.

Rimane integra la obiezione pregiudiziale posta dall’onorevole Corbino: se sia possibile che vi siano deputati che vengano in Parlamento designati dai partiti e non dal corpo elettorale.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Poiché l’onorevole Corbino ha modificato il testo del suo ordine del giorno sostituendo alla parola «collegio» la parola «lista», il che muta totalmente la questione, faccio mio l’ordine del giorno Corbino nella sua prima formulazione e chiedo che, poiché è pregiudiziale, venga posto in votazione per primo.

PRESIDENTE. Per orientare l’Assemblea, devo far presente che è stato in un primo tempo dagli onorevoli Corbino, Bellavista ed altri presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale».

In un secondo momento, questo ordine del giorno è stato così corretto:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio della lista nazionale».

Quindi l’onorevole Uberti fa suo il testo primitivo. Evidentemente, quello del collegio unico nazionale è concetto più largo: e pertanto deve essere messo in votazione per primo.

MAZZEI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Occorre chiarire bene il significato delle due espressioni. Ci può essere una utilizzazione dei resti in sede nazionale, senza lista nazionale: esattamente quello che propone la minoranza della Commissione; cioè a dire si ammassano i resti in sede nazionale, ma poi vengono utilizzati con un sistema diverso, che non è quello delle liste indicate dai partiti. Quindi, qualora venga messo in votazione il primo ordine del giorno, è chiaro che coloro che sono contrari alla lista nazionale possono benissimo votare contro, in quanto si può mantenere il collegio unico nazionale, anche senza la lista nazionale.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Io sono sottoscrittore di un ordine del giorno e desidero fare un chiarimento, che è reso necessario dalle dichiarazioni dell’onorevole Uberti. L’ordine del giorno sottoscritto da me e da altri colleghi, fra cui l’onorevole Corbino, contemplava in un primo momento il collegio unico nazionale. Successivamente, e prima che parlasse l’onorevole Uberti, il quale certo per momentanea distrazione non se ne accorse, aderendo alla richiesta formulata da un oratore di questa parte dell’Assemblea, io modificai l’ordine del giorno sostituendo alle parole «collegio unico nazionale» le altre «lista nazionale per l’utilizzazione dei resti».

Ora, questo è un ordine del giorno, non è un emendamento. Io pertanto contesto all’onorevole Uberti il diritto di chiedere che facendo proprio il mio primitivo ordine del giorno egli abbia facoltà di pretendere che questo venga nesso in votazione per primo. Gli argomenti dell’onorevole Uberti avrebbero fondamento qualora si trattasse di emendamenti, più o meno radicali o estensivi. Ma qui si tratta di un ordine del giorno, non già di un emendamento.

Se l’onorevole Uberti ha presentato o presenterà un altro ordine del giorno dopo il mio, la Presidenza potrà metterlo in votazione successivamente; ma il mio ordine del giorno, a norma di regolamento, deve avere la precedenza. (Applausi – Commenti).

PRESIDENTE. Faccio osservare all’onorevole Martino che l’onorevole Uberti con la sua proposta non ha fatto altro che presentare un nuovo ordine del giorno. La votazione deve pertanto avvenire sull’ordine del giorno che ha maggiore ampiezza.

Mi rimetto d’altronde alle decisioni dell’Assemblea.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Mi permetto di richiamare i termini che ritengo esatti della procedura della votazione. All’inizio della discussione, se non erro, l’onorevole Corbino ha giustamente, raccogliendo i consensi dell’Assemblea, distinto i termini essenziali della questione in discussione in questo senso: prima di tutto bisogna decidere un principio fondamentale: quello di sapere se l’utilizzazione dei resti debba o no essere fatta nell’ambito nazionale. Deciso questo, si considera la seconda parte, quella del congegno migliore per la utilizzazione dei resti nell’ambito nazionale. Questa distinzione posta dall’onorevole Corbino e accettata dall’Assemblea pone (mi pare indipendentemente da qualsiasi modificazione del testo dell’ordine del giorno, come vorrebbe l’onorevole Martino) dinanzi all’Assemblea il problema del suo voto sulla utilizzazione o meno dei resti nell’ambito nazionale.

Il primo voto dunque che l’Assemblea è chiamata a dare è questo: se ritiene che i resti debbano essere utilizzati nell’ambito nazionale. Superato questo principio, vi è l’altro della pratica utilizzazione, la quale può avvenire attraverso la lista nazionale (e allora in quella sede si parlerà della lista nazionale); può avvenire attraverso il sistema dell’onorevole Grilli o l’altro sistema che aveva prospettato l’onorevole Uberti, o attraverso quel diverso congegno che ciascuno di noi può proporre. Ma ritengo che l’Assemblea non possa anteporre al voto sul principio la esclusione della lista nazionale.

Infatti anche la questione della lista nazionale non deve essere esaminata così affrettatamente ed in modo un po’ troppo risentito, come è stato fatto in questo scorcio di seduta, ma deve essere esaminata, se mai, comparativamente con altri sistemi e con altri criteri, compreso il sistema Grilli, il quale apparentemente sembra risponda a criterio di maggiore giustizia distributiva elettorale; mentre, analizzato a fondo, si può dimostrare che non significa altro che ricondurre l’utilizzazione dei resti alla utilizzazione del maggior resto nell’ambito della circoscrizione elettorale; il che ò in netta contradizione con la utilizzazione nell’ambito nazionale.

In ogni modo, se questo è esatto o no, non vuol dire; la Assemblea e ciascuno di noi ha il diritto di vagliare i vari sistemi e congegni proposti, non affrettatamente, ma comparativamente, senza preclusioni affrettate.

Per questi motivi ritengo che il Presidente debba mettere ai voti prima d’ogni altra cosa l’accettazione o meno del principio della utilizzazione dei resti nell’ambito nazionale. (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’onorevole Piccioni ha posto la questione nei suoi termini esatti. Secondo me, l’equivoco è nato dal modo di intendere la lista nazionale. Credo che l’onorevole Martino, mettendo nel suo ordine del giorno «lista nazionale», intendesse dire «collegio nazionale». Comunque, è sorta questa confusione, mi pare: alcuni hanno ritenuto che, vietandosi la lista nazionale, si intendesse esclusa senz’altro la utilizzazione in sede nazionale dei resti delle circoscrizioni.

Voci. No, no.

SCELBA, Ministro dell’interno. Questo è il punto della questione. L’onorevole Piccioni, ripeto, ha posto la questione nei suoi termini giuridici esatti, quando ha richiamato la proposta fatta dall’onorevole Corbino e approvata dall’Assemblea di discutere, in primo luogo, il principio della utilizzazione sul piano nazionale dei resti circoscrizionali. Questa la prima questione fondamentale, perché, se il suddetto principio non è accettato, ogni altra questione di lista nazionale è assorbita o superata; se invece è accettato, rimane la modalità di utilizzazione sul piano nazionale dei resti. Bisognerà cioè vedere come utilizzare questi resti: con una lista nazionale o con altre forme. Mi pare che la proposta la decisione della quale risolverebbe radicalmente la questione sia quella formulata dal collega Corbino; secondo me, bisogna dare la precedenza nella votazione alla proposta che tende ad escludere l’utilizzazione sul piano nazionale dei resti circoscrizionali.

PRESIDENTE. In base al Regolamento, sull’ordine della votazione sarà l’Assemblea a decidere. (Commenti al centro).

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Non esiste che un ordine del giorno, per questo motivo: perché l’ordine del giorno dell’onorevole Martino è unico e perché nessuno, né in questo momento né al momento della votazione, può presentare altro ordine del giorno. È l’articolo 87 del Regolamento che così prescrive. La questione fu già sollevata a proposito di un ordine del giorno Togliatti, alcune sedute fa: in sede di votazione non si può sottoporre all’Assemblea alcun nuovo ordine del giorno. (Proteste al centro). Qui non esiste che un solo ordine del giorno, quello dell’onorevole Martino, il quale parla di lista unica nazionale: e su di esso soltanto dobbiamo votare.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Vorrei richiamare l’attenzione dei proponenti questi ordini del giorno sull’opportunità, sulla maggiore utilità pratica di dar vita, senz’altro, a rispettivi emendamenti. (Commenti).

PRESIDENTE. No: ora si deve decidere se debba votarsi prima l’ordine del giorno Uberti o quello De Martino.

TARGETTI. Invito i presentatori degli ordini del giorno a ritirarli facendo loro considerare che noi non siamo qui a stabilire un principio al quale domani un’altra assemblea o noi stessi ci si debba più o meno uniformare. Siamo qui a fare una legge: il principio dell’utilizzazione dei resti sul piano nazionale e l’altro principio contrario si affermino con altrettanti emendamenti. Diversamente perdiamo tempo. (Commenti).

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. A me pare che un problema di tanta importanza non possa essere risolto con la situazione confusa determinatasi nell’Aula. Chiedo, a nome della Commissione, la sospensiva. (Commenti).

PRESIDENTE. La Commissione propone il rinvio della discussione.

Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

Rinvio il seguito della discussione ad altra seduta.

Presentazione di relazioni.

MASTINO GESUMINO. Mi onoro presentare le relazioni sui seguenti disegni di legge:

«Approvazione dei seguenti Accordi conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 21 marzo 1947:

  1. a) Accordo relativo all’immigrazione italiana in Francia;
  2. b) Accordo speciale relativo agli operai che si recano in Francia per la stagione delle barbabietole;
  3. c) Accordo relativo alle condizioni di applicazione della legislazione francese sugli assegni familiari;
  4. d) Scambio di Note».

«Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Norvegia, il 20 luglio 1946».

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite.

La seduta termina alle 13.30.