Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 18 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXXIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 18 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello statuto della Regione siciliana:

Presidente

Risultato della votazione:

Presidente

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (Seguito della discussione):

Togliatti

Zuccarini

Nitti

Giannini

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

Negarville

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana. Estraggo a sorte il nome di 12 deputati che dovranno comporre la Commissione di scrutinio.

Risultano estratti i nomi degli onorevoli Miccolis, Tripepi, Meda Luigi, Musotto, Calosso, Gortani, Sampietro, Guariento, Lucifero, Adonnino, Montagnana Rita e Malagugini.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Avverto che le urne rimarranno aperte.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

È iscritto a parlare l’onorevole Togliatti. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Signor Presidente, signore, onorevoli colleghi, l’altro giorno, immediatamente dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, con alcune rapide, improvvisate battute, ho sollevato una questione, apparentemente di forma, relativa al modo come si è addivenuti alla costituzione di questo Governo, denunciando il fatto che, secondo il mio modo di vedere, esso è stato costituito violando le tradizionali forme di consuetudine del funzionamento di un regime costituzionale e parlamentare.

Non voglio far perdere all’Assemblea più tempo che non sia necessario per parlare di questa questione; debbo però dire che nessuno degli argomenti presentati dal Presidente del Consiglio, a difesa del suo operato, e dalla stampa fuori dell’Assemblea, mi ha convinto che la mia opinione sia errata. Al contrario. Gli esempi portati dall’onorevole Presidente del Consiglio mi hanno convinto della giustezza della mia posizione, perché nel primo dei casi da lui citati si ebbe niente di meno che un reincarico per un rimaneggiamento che ebbe luogo negli stessi settori parlamentari; nel secondo caso, essendo stati esclusi dal nuovo Governo due partiti, uno, il Partito socialista, non poteva essere preso in considerazione né consultato, poiché eravamo nel 1920, in quel periodo in cui il Partito socialista non si poneva sul terreno della collaborazione governativa, mentre l’altro, il Partito popolare, non solo venne consultato, ma prese posizione con una sua risoluzione dopo la consultazione, rifiutando la propria partecipazione.

Questione di forma, si dirà. È vero; nel diritto costituzionale, però, la forma è sostanza. Tutte queste forme sono sancite o in testi o dalla consuetudine, allo scopo di dare determinate garanzie a tutti i partiti dell’Assemblea; garanzia, per esempio, che nel corso della riorganizzazione di un Governo, tutti i partiti possano intervenire, precisando a tempo le loro posizioni; garanzia che vengano tutelati i diritti delle minoranze, e così via.

Ma io non avrei sollevato questa questione se essa non mi portasse a considerare un elemento che è caratteristico di tutta la condotta politica dell’attuale Presidente del Consiglio. Ciò che egli ha fatto questa volta e in cui vi è questo errore di forma, e quindi di sostanza costituzionale, è coerente con ciò che egli ha fatto le volte precedenti. Se esaminiamo con attenzione e con spirito critico la condotta costituzionale dell’onorevole De Gasperi, non possiamo sfuggire alla impressione che nel modo come egli concepisce i rapporti reciproci tra il Parlamento, da una parte, organizzato sulla base dei partiti, e il capo del potere esecutivo ed i membri del Governo dall’altra parte, che escono da questi partiti, vi è qualche cosa che non è conforme alla nostra tradizione costituzionale e democratica e non è nemmeno conforme allo spirito della nostra attuale Costituzione. Affiora in realtà da tutto il modo come l’onorevole De Gasperi imposta, tratta e risolve queste questioni, una figura nuova, la figura del «capo del governo» investito preliminarmente della funzione di essere il capo di qualsiasi Governo riesca a lui di costituire, modificando e la Costituzione e la maggioranza di questo Governo, spostando quest’ultima dall’uno all’altro settore a seconda della convenienza, ma eludendo sia il metodo di provocare un voto del Parlamento quando si tratta di dimissioni, sia la consultazione dei partiti parlamentari quando si tratta di rimpasto.

Una concezione di questo genere affiorò nel dibattito della seconda Commissione costituzionale di questa Assemblea, in alcune proposte che venivano precisamente, credo, da parte democristiana e da parte del partito autonomista o almeno di alcuni dei loro esponenti. Queste proposte tendevano a creare una simile figura di «capo del governo», ma vennero respinte. Quando noi parliamo, a proposito di De Gasperi, di un «cancelliere» non è una insolenza che noi lanciamo, ma una definizione politica corretta. Noi vogliamo con questo termine individuare e mettere in luce questa singolare caratteristica della concezione politica dell’attuale Presidente del Consiglio, nella quale sentiamo non soltanto in germe, ma già in pieno sviluppo una contradizione con quelle che sono le norme fondamentali del regime costituzionale del nostro Paese. «Cancelliere» è effettivamente quell’uomo politico il quale è investito della funzione di dirigere il Governo in qualsiasi condizione e che si maneggia la sua combinazione governativa e la sua maggioranza come gli fa comodo, che apre una crisi facendo un discorso alla radio, che presenta un nuovo Governo senza avere consultato i grandi partiti parlamentari, che si comporta insomma come si è sinora comportato l’onorevole De Gasperi in qualità di Presidente del Consiglio.

Vorrei però che nessuno si spaventasse di questo termine di «cancelliere». Vi sono stati dei «cancellieri di ferro», ma se io penso al modo come questo metodo di degenerazione del regime parlamentare e democratico verrà spazzato dal voto popolare alle prossime elezioni, e se penso inoltre a quella singolare sollecitudine o preoccupazione che l’onorevole De Gasperi dimostra per tutto quello che viene scritto sui giornali, per la informazione di un cronista che secondo lui può determinare una crisi di governo, e così via, mi pare che all’onorevole De Gasperi si addica piuttosto la definizione di «cancelliere di carta», il che vuol dire che senza dubbio assai più facile sarà al popolo italiano liberare il Paese da questa figura che contrasta con tutta la nostra tradizione liberale, democratica e parlamentare. (Applausi all’estrema sinistra – Rumori al centro).

Sempre a proposito di questa singolare concezione antidemocratica dell’attuale Presidente del Consiglio, non posso non esprimere ancora una volta il mio profondo stupore perché, non dico membri del Partito saragattiano, i quali sono disposti a tutto, ma perché il Partito repubblicano, nel quale fino ad ora avevamo constatato l’esistenza di una coerenza democratica, per lo meno nelle dichiarazioni, abbia voluto dare la propria collaborazione e il proprio contributo al perfezionamento di un atto politico, il quale consolida un metodo contrario alle norme della più corretta democrazia parlamentare.

È, del resto, questo metodo che rende difficile, come già nel corso delle precedenti crisi aperte dall’onorevole De Gasperi, di definire esattamente che cosa è avvenuto. L’onorevole De Gasperi ci diceva l’altro giorno: se volete sapere che cosa è accaduto, leggete i giornali e lo saprete. Sui giornali si leggono parecchie cose, ma io ripeto che queste cose vorremmo conoscerle attraverso le corrette forme parlamentari. Sui giornali, per esempio, quando l’onorevole De Gasperi maneggia crisi governative del genere dell’attuale, cominciano ad aver corso curiosissime definizioni delle funzioni a cui vengono chiamati gli uomini che comporranno il Governo presieduto dallo stesso onorevole De Gasperi. Così, per l’onorevole Saragat, abbiamo letto con stupore che egli sarebbe il «Vice Presidente con compiti di consulenza politica per la parte sociale». Bellissima espressione settecentesca! Spero che l’onorevole Pacciardi sia per lo meno «Vice Presidente con compiti di consulenza sociale per la parte politica». (Si ride).

Non c’è da ridere. La ricerca di queste definizioni e la stessa possibilità di esse indica il vizio del sistema. Si è infatti Ministri di qualche cosa: dell’interno, degli esteri, della giustizia: di qualche cosa di cui si risponde. Non esistono, in un regime parlamentare e costituzionale bene ordinato, queste funzioni di Ministri, Vice Presidenti, consiglieri, consulenti del Capo del Governo per questa o per quella cosa. Non esistono, non sono mai esistite nella nostra Costituzione.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Lei non è stato Ministro senza portafoglio?

TOGLIATTI. Onorevole Pacciardi, io ho criticato quel sistema; l’ho sempre considerato come un sistema che disorganizzava l’attività e il funzionamento del Governo, e ho fatto tutto il possibile perché quella figura politica, allora imposta da certe circostanze, scomparisse. Qui si cerca di renderla permanente e ad ogni crisi, ad ogni ricomposizione del Governo vedremo affiorare nuove figure bizzarre, nuove barocche definizioni di questo tipo. E quando cercheremo di capire e andremo a cercare che cosa è avvenuto, ci troveremo veramente nell’imbarazzo.

Ho cercato per conto mio di raffrontare le differenti spiegazioni che sono state date dei motivi per cui questo Governo è stato così composto e degli obiettivi che si propone di raggiungere. Ho trovato una interpretazione del Presidente del Consiglio dei Ministri (o speriamo sia la interpretazione democristiana, per lo meno); ho trovato una interpretazione repubblicana; ho trovato una interpretazione saragattiana: ed esse non coincidono.

Secondo l’onorevole Presidente del Consiglio, il Governo è stato così organizzato (scusate l’espressione senza dubbio tradotta da un altro idioma, ma è De Gasperi che l’adopera) «per accrescerne la funzione rappresentativa». Ma per «accrescere la funzione rappresentativa» di un Governo, e cioè, diremmo noi, per rendere un Governo più rappresentativo, occorre scegliere uomini che facciano parte di partiti i quali abbiano questa «funzione rappresentativa», cioè che rappresentino una parte notevole dell’elettorato, e quindi della massa dei cittadini.

Come stanno invece le cose? Per rendere il suo Governo più rappresentativo l’onorevole De Gasperi cerca gli uomini meno rappresentativi (Commenti); cerca gli uomini come quelli del partito di Saragat i quali in realtà, se andiamo a vedere quali sono le loro basi nel Paese, difficilmente possiamo dire che rappresentino una parte ingente di esso. (Commenti a sinistra).

 Permettetemi, poiché protestate, di darvi la prova documentata delle mie affermazioni. Permettetemi di ricorrere alla statistica, alle cifre. Secondo il Presidente del Consiglio dei Ministri, l’adesione del partito di Saragat a questa sua nuova combinazione dovrebbe significare il contributo dato al suo Governo dalle forze della «democrazia socialista».

Ora, le forze della democrazia socialista sono essenzialmente le forze politicamente organizzate della classe operaia e di quelle classi lavoratrici che più strettamente sono legate alla classe operaia e ai suoi ideali. Da un lato entra in giuoco la tradizione, dall’altro lato l’organizzazione. Ma dove sono in questo caso l’organizzazione e la tradizione? Dove è la classe operaia? Per chi vota la classe operaia? Dietro chi si schiera? Chi rappresenta in questa Assemblea quella classe operaia socialista di cui il Presidente del Consiglio vorrebbe i rappresentanti per «accrescere la funzione rappresentativa» del suo Governo?

SCHIRATTI. In regime parlamentare contano i deputati.

TOGLIATTI. La classe operaia è organizzata nei suoi Sindacati. Orbene, in questi Sindacati la consultazione democratica degli iscritti dà al partito diretto dall’onorevole Saragat l’1,98 per cento dei suffragi; e la stessa percentuale si ripete, anzi cade, nelle singole organizzazioni di mestiere.

Quando poi mi sono preso la curiosità di andare a vedere se per caso non sussistessero ancora alcune di quelle vecchie cittadelle della democrazia socialista, intesa in senso riformista, che una volta esistettero nel nostro Paese e di cui ricordo Livorno e Reggio Emilia, ebbene, nella Camera del Lavoro di Livorno il Partito comunista raccoglie 33.469 voti pari al 69,01 per cento e il Partito socialista dei lavoratori italiani raccoglie due voti. (Ilarità all’estrema sinistra). Due voti, non il due per cento!

SARAGAT, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. E a Molinella quanti?

TOGLIATTI. A Reggio Emilia, già cittadella del movimento socialista riformista, oggi il partito saragattiano è respinto dai lavoratori reggiani, che tengono fede alla tradizione del socialismo e che gli danno il 0,5 per cento di suffragi.

Comprendo che un Governo, ad un certo momento, sia logoro. Il precedente Governo dell’onorevole De Gasperi era certamente logoro. Comprendo che egli cercasse qualche forza vergine per rinfrescarsi. Sono esigenze, che alle volte si sentono nell’esistenza.

L’onorevole Saragat, il quale conosce gli uomini del suo partito, conosce queste cifre, e poiché dicono sia persino conoscitore di letteratura francese, avrebbe potuto ricordare a De Gasperi lo scherzoso distico di Voltaire:

«Monsieur Denys (o Monsieur Alcide, se vogliamo) pour finir-nos querelles

«Cherchez ailleurs, s’il vous plaît, des pucelles».

Cercate altrove la forza vergine rappresentativa! Perché, se vi ostinate ad andare a prendere quei due voti di Livorno o quel 0,5 per cento di Reggio Emilia, voi allora autorizzate una conclusione logica: voi cercate, sì, i socialisti, ma li cercate quando non rappresentano più niente. I «socialisti» che voi cercate non rappresentano più niente, perché sono stati respinti dalla classe operaia e dalla classe lavoratrice. (Applausi all’estrema sinistra). Essi non rappresentano più niente perché essi hanno rinnegato il socialismo. (Applausi all’estrema sinistra – Rumori a sinistra). Ecco quello che voi volete, onorevole De Gasperi. Voi i socialisti li volete, ma solo quando hanno rinnegato il socialismo.

Queste considerazioni, che mi sono dettate da semplici rilievi di fatto, danno un particolare colorito a questa formazione governativa.

Quanto al Partito repubblicano, devo dire che l’interpretazione che esso dà, attraverso la propria direzione, della formazione di questo Governo, differisce da quella che dà l’onorevole De Gasperi.

Il Partito repubblicano dice che si tratta di «riannodare i fili dell’unità democratica, di distendere gli animi, di tranquillizzare gli spiriti, di attutire i contrasti». Lodevolissime intenzioni! Però, tutto questo può essere ottenuto soltanto quando si applichi un determinato metodo politico, che conduca a questi risultati. Non basta la semplice adesione del Partito repubblicano a un Governo, soprattutto nell’attuale situazione del nostro Paese. Voi siete, sì, un partito che rappresenta parte della nostra tradizione nazionale e della cui tradizione riconosciamo la nobiltà. So che voi rappresentate gruppi di popolo raccolti in alcune zone nelle vostre sezioni e attorno ad esse, in Romagna, nella Versilia, in Maremma, a Roma, altrove. Nessuno vi nega questo fatto. Ma si tratta di vedere qual è la politica che voi oggi seguite, dove voi volete portare questi gruppi di popolo, queste masse più o meno numerose che ancora vi seguono, e se la vostra politica corrisponde alla loro volontà. In realtà anche voi, dal 2 giugno in poi, avete diminuito, per dirla ancora una volta con l’onorevole De Gasperi, la vostra «funzione rappresentativa». In tutte le consultazioni elettorali seguite al 2 giugno i vostri voti sono diminuiti da un terzo a una metà, a seconda delle località. Fatto spiegabile: un partito repubblicano in Repubblica è un anacronismo. Il Partito repubblicano, dopo il 2 giugno, era in realtà un partito che doveva spiegarsi, che doveva dire che cosa esso è. È esso un partito di conservazione; è esso un partito di riforma e di progresso sociale?

DE VITA. È un partito di progresso, onorevole Togliatti, nell’ordine e nelle libertà democratiche.

TOGLIATTI. Cercherò di risponderle, onorevole De Vita. Mi pare infatti che l’operazione compiuta da voi in questo momento debba lasciare molto perplessi, non dico voi, ma almeno i vostri iscritti, i membri delle vostre sezioni e i vostri elettori, i quali, per una parte senza dubbio notevole, sono elettori che desiderano un programma di progresso politico e sociale. Non credo che questi elettori possano dichiararsi sodisfatti dell’operazione politica diretta dall’onorevole Pacciardi e da lui realizzata con De Gasperi, perché questa operazione manifesta invece un indirizzo nettamente conservatore del Partito repubblicano e non progressivo, né nel campo politico, né nel campo sociale. (Proteste a sinistra). Voi, colleghi repubblicani, vi sete rifiutati di partecipare al Governo con noi, quando vi dicevamo che la partecipazione al Governo, accantonato il problema monarchico, era un contributo che si doveva dare all’organizzazione della resistenza e della guerra di liberazione.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Era un Governo col re: non potevamo parteciparvi.

TOGLIATTI. Vi ha fatto ombra quel povero luogotenente del regno, quantunque, onorevole Pacciardi, tutti ormai abbiano capito ciò che l’onorevole Sforza e il senatore Croce avevano capito fin dai tempi di Napoli e di Salerno, e cioè che la collaborazione con quel disgraziato luogotenente era l’arma più efficace per sbarazzarsi della monarchia. (Commenti – Interruzione del deputato Mazza).

Perfino l’hanno capito, direi, l’onorevole Benedettini e l’onorevole Covelli. (Ilarità all’estrema sinistra – Rumori a destra). Ad ogni modo voi avete rifiutato allora la vostra collaborazione, quando forti motivi nazionali lo esigevano. Voi la rifiutaste però anche nel gennaio 1947. Umberto era partito; il povero luogotenente non c’era più. Eravamo in regime repubblicano e se voi veramente aveste detto o fatto allora le cose che dite adesso di voler fare e con quel proposito foste venuti al Governo con noi, la vostra partecipazione, col programma che dite di voler difendere e applicare oggi, forse avrebbe contribuito a dare un diverso sviluppo agli avvenimenti politici dell’ultima annata. La vostra partecipazione sarebbe stata, senza dubbio, una cosa positiva. Ma voi l’avete sdegnosamente rifiutata, per motivi che a tutt’oggi io non riesco a capire, né il Paese è ancora riuscito a capire. E voi ora date la vostra collaborazione al Governo democristiano, dopo di che? Dopo il congresso di Napoli della Democrazia cristiana. Questo è un fatto grave. Il congresso di Napoli della Democrazia cristiana è stato infatti un congresso di rottura delle forze democratiche. (Proteste al centro). È stato un congresso tenuto al grido della parola: «Mettete fuori legge i comunisti!». Questo è il significato di quel congresso.

Mi dicono che in quel congresso sarebbero venuti a galla alcuni dirigenti democristiani cosiddetti di sinistra. Ma che si chiamino «di sinistra» a me non importa niente. Io non so riconoscervi gli uni dagli altri, colleghi democristiani di destra e di sinistra, quando guardo alla sostanza. Se l’onorevole Dossetti presenta una mozione determinata e poi entra in una direzione, la cosa per me è priva di valore, poiché so che l’onorevole Dossetti quando riunisce i suoi organizzatori nella provincia di Reggio Emilia dice loro: «Noi vogliamo ritornare al 1919, perché nel 1919 i comunisti erano una piccola setta che si poteva schiacciare. Vogliamo ritornare a quella situazione e schiacciare i comunisti». Non mi importa niente della mozione Dossetti, quando so che questa è la posizione politica di colui che l’ha proposta, una posizione politica esiziale per il nostro Paese, una posizione politica che contiene in germe la provocazione a tutti i conflitti politici e sociali, la provocazione alla guerra civile.

Voi, colleghi del partito repubblicano, avete, aderendo all’attuale Governo De Gasperi, accettato e fatto vostra l’impostazione politica del congresso di Napoli. (Interruzioni a sinistra).

Quello che importa è questo orientamento politico da cui deriva anche l’errore costituzionale fatto dall’onorevole De Gasperi. Come faceva egli a consultarsi con i comunisti e con i socialisti, quando in partenza aveva deciso di creare una situazione in cui socialisti e comunisti fossero messi al margine della democrazia, per cercare poi di farli scivolare al di fuori del terreno democratico? Egli non poteva, e voi Pacciardi, voi Facchinetti, voi colleghi repubblicani, vi siete fatti complici di questa manovra. Questo è il vero significato della vostra partecipazione al Governo attuale.

Ma badate, che in cambio di questa complicità l’onorevole De Gasperi non vi ha nemmeno dato niente, perché chiedevate il Ministero dell’interno e non ve lo ha dato, non vi ha dato il Ministero di grazia e giustizia, non vi ha dato nulla che conti né come prestigio né come possibilità di dirigere una parte dell’apparato dello Stato. Non vi ha dato nulla nemmeno per ciò che si riferisce all’Esercito, perché, se permettete, io ricordo un discorso tenuto qui dall’onorevole Pacciardi in cui egli diceva che al Ministero della guerra, Ministro l’onorevole Facchinetti, la Repubblica finiva al Gabinetto del Ministro, perché il piantone che stava fuori di questo Gabinetto non era repubblicano e il Ministro non era riuscito a mandarlo via dal suo posto.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Purtroppo, anche al Ministero di grazia e giustizia, quando c’era lei.

TOGLIATTI. Voi non avete dunque nemmeno avuto niente. E perché non avete avuto niente? Perché è nel metodo dell’onorevole De Gasperi di collaborare con un partito soltanto dopo averlo umiliato…

Una voce al centro. Non è vero!

TOGLIATTI. …o allo scopo preciso di umiliarlo. Se l’onorevole Giannini prenderà la parola in questo dibattito e se la lunga e asfissiante permanenza sotto quella maleolente tonaca non avrà tolto al pappagallo la sua vecchia e popolaresca abilità di polemista, forse potrebbe confermare la verità di quello che vi dico. (Ilarità). In realtà, da quella parte (Indica la destra) per l’onorevole De Gasperi credo che il giuoco sia su per giù ormai finito. L’onorevole Giannini parlerà qui come l’ombra di quello che molti un anno fa credevano ch’egli fosse.

Ma il Partito liberale ha subito la stessa sorte. Il suo congresso di pochi giorni fa ce ne ha dato la prova, registrando in sostanza la fine di questo partito come formazione politica autonoma, seria, che conti qualcosa. Da quella parte le cose sono regolate.

Ed ora tocca a voi!

GIANNINI. No, adesso è lei che è diventato liberale, onorevole Togliatti! (Si ride).

TOGLIATTI. Voi dovete oggi subire l’umiliazione di una politica che l’onorevole Macrelli ha difeso ieri, con un accento che a tutti fece capire come egli la condanni. (Ilarità all’estrema sinistra – Commenti). Voi dovete aderire a questa politica senza nemmeno poter richiedere e ottenere quel compenso di dignità e, diciamo pure, esercizio di potere, a cui un partito che partecipa ad una formazione governativa ha diritto.

CHIOSTERGI. E quando voi avete approvato l’articolo 7? (Commenti).

TOGLIATTI. Io ho approvato l’articolo 7, anzi, il mio Gruppo lo ha approvato, onorevole Chiostergi, a seguito di una mia dichiarazione di voto, nella quale non era fatta la minima allusione alla circostanza che il nostro partito partecipasse in quel momento al Governo o non vi partecipasse. Il che vuol dire che noi oggi, posti di fronte allo stesso problema, faremmo altrettanto, manterremmo la stessa posizione, indipendentemente dalla nostra partecipazione o non partecipazione al Governo. Comunque, la nostra passata partecipazione al Governo non ha per nulla esercitato influenza sul nostro voto a favore dell’articolo 7. (Commenti).

E veniamo alla spiegazione saragattiana della soluzione della crisi attuale, la quale forse è quella che contiene maggiori elementi di sincerità. Il documento, infatti, col quale il partito dell’onorevole Saragat ha commentato la formazione di questo Governo, letto con attenzione, rivela quale è veramente l’anima del Governo. Il documento non ha nessun carattere costruttivo. È esclusivamente un documento polemico contro il nostro Partito, di cui vorrebbe criticare gli errori. Onorevole Saragat, tra quindici giorni si riunisce il nostro Congresso e i nostri errori, semmai, li discuteremo fra noi. Credo però che, tutto sommato, avremo modo di costatare che il nostro Partito in questi due anni ha avuto più successo del suo, il che vuol dire che, secondo il giudizio dalle masse, noi tanti errori non ne abbiamo commessi.

A parte questo, nel documento dell’onorevole Saragat è un po’ difficile orientarsi, data l’approssimativa lingua italiana in cui è scritto. Vi si parla, per esempio, di una «paralisi» in cui noi ci saremmo «posti», e a un certo punto questa «paralisi» diventa un «peso morto»! Scusi la critica, onorevole Saragat; comprendo d’altra parte che Ella ha dovuto tradurre il suo testo dall’inglese o dall’americano. (Rumori – Interruzioni).

Una voce all’estrema sinistra. Stia zitto, professore di mistica!

Una voce al centro. Dice a Laconi?

LACONI. Onorevole Presidente, chiedo la parola per fatto personale.

PRESIDENTE. La prego, onorevole Laconi.

LACONI. C’è qualche imbecille che sta parlando di me! (Rumori).

TOGLIATTI. A parte la forma, il tono di queste dichiarazioni del partito saragattiano, in sostanza – forse con un po’ più di ipocrisia – esprime lo stesso ordine di idee del Congresso democristiano di Napoli. Si tratta di un manifesto anticomunista, il quale esprime unicamente il proposito – ripeto – di mettere ai margini della vita democratica, ed eventualmente di escluderne, quei partiti che più direttamente, io direi fisicamente, sono legati alla classe operaia. Alla classe operaia italiana, alle classi lavoratrici e a quei gruppi sociali del nostro Paese che comprendono quale è la funzione di guida che oggi spetta alla classe operaia nel mondo moderno. «Fuori legge i comunisti!» Ecco il vostro grido, ecco il grido del congresso di Napoli.

Ridicolo vaneggiamento! Ci vuole altro che un cancelliere di carta per realizzare una simile parola d’ordine.

La forza crescente delle organizzazioni del nostro partito, le adesioni sempre più numerose alla nostra idea e ai nostri programmi di uomini e donne che provengono da tutte le classi sociali, sono tali e tante che noi stessi ne siamo meravigliati. Questa è veramente la marcia del progresso. (Commenti).

RUSSO PEREZ. È la marcia su Roma. (Interruzioni – Commenti).

Una voce al centro. È la marcia del rublo. (Commenti).

TOGLIATTI. No, questa è la resurrezione del popolo italiano. (Approvazioni all’estrema sinistra). È il popolo italiano il quale si leva in piedi e si organizza e lotta per scuotere dalle proprie spalle il giogo di secoli di servitù e di privilegi che hanno pesato su di esso. (Applausi all’estrema sinistra).

Voi non riuscirete mai a far girare all’indietro la ruota della storia. Altri tentarono di farlo e non ci riuscirono. Voi fallirete allo stesso modo. Potete condannare il nostro Paese a una vita tormentata per alcuni anni. Questo potete farlo, sì, avete forse in questo momento la forza materiale, avete certamente l’animo malvagio per farlo. (Proteste al centro – Interruzioni – Rumori).

Ma non potrete mai impedire che questo grande progresso di redenzione di folle, che noi rappresentiamo, venga arrestato, non potrete mai impedire che esso si realizzi come processo di costruzione di una democrazia e di una società nuove. Questo non potrete impedirlo mai! (Commenti – Interruzioni).

Per questo l’onorevole De Gasperi e i pennivendoli ai suoi stipendi, quando vanno in cerca degli argomenti per giustificare l’attuale politica democristiana, sono costretti a costruire, a inventare; ma costruiscono sul falso, su posizioni cioè che non corrispondono né alla verità, né alla realtà, e nemmeno agli interessi della Nazione italiana.

Quali sono del resto, gli argomenti che vengono portati contro di noi e che dovrebbero giustificare il proposito di «metterci fuori legge?» Premetto che dividerò la mia esposizione in due parti: motivi di politica estera, motivi di politica interna. Si dice, prima di tutto, che noi non approviamo il piano Marshall, e come si fa ad accettare in questo Governo, in questa democrazia, coloro che non approvano il piano Marshall? Come si fa a non approvare il piano Marshall? Vade retro Satana! Si tolgano dalla scena coloro che non sono d’accordo con questo Vangelo.

Ma, o signori, io vorrei che si levasse in piedi quello di voi che sa che cosa il piano Marshall significhi per il nostro Paese, e credo che l’ultimo ad alzare la mano sarebbe proprio l’onorevole Sforza.

Quando ci si è parlato del piano Marshall noi abbiamo sollevato una prima istanza di riserva e di opposizione. Abbiamo chiesto che ci dicessero che cosa significa questo piano pel nostro Paese, cioè che ci dicessero quali sono gli impegni che vengono a gravare sulla Nazione, sullo Stato, sull’economia italiana, in corrispondenza all’adesione che, pare, il nostro Governo abbia dato a quel famoso «piano». A questa richiesta non ci è stata data risposta.

La dichiarazione ministeriale dell’onorevole De Gasperi dell’altro ieri avrebbe dovuto almeno contenere un minimo di spiegazione a questo proposito, dal momento che il piano Marshall sembra sia stato la pietra di paragone di cui egli si è servito per determinare la composizione del suo Governo.

Egli ci ha parlato infatti di un dovere di onestà, anzi di un impegno per il quale noi – dissenzienti – non avremmo potuto venire con lui. Ebbene, ci dica che cos’è questo impegno, in che cosa esso consiste. Noi non lo sappiamo, e nessuno in Italia lo sa. Noi dobbiamo faticosamente andar ricercando qualche cosa che lo concerna nei fogli della stampa estera e quando apriamo una discussione sollevando obiezioni di sostanza, ci rispondono che abbiamo bisogno dell’aiuto americano. Giunti a questo punto, tutti i giornali, dal liberale all’indipendente, dal cattolico al saragattiano, dal neo fascista al repubblicano, ci ripetono la stessa solfa: l’aiuto, l’aiuto, l’aiuto!

Ma, signori, questa posizione è falsa; questa posizione è da respingere e noi veramente la respingiamo. Questo modo di porre il problema è antinazionale. Esso contiene in germe il più grave pericolo per la nazione italiana, perché contiene in germe la rinunzia alla nostra libertà e indipendenza economica, e quindi è per ciò stesso la rinuncia all’affermazione dello Stato e quindi della nazione italiana come Stato e Nazione indipendente, la rinunzia per l’Italia ad essere potenza fra le potenze, il che è poi l’obiettivo che dovremmo proporci di raggiungere nell’attuale fase della nostra politica nazionale.

Già l’onorevole Nenni ha nel suo intervento di ieri, difeso una posizione molto giusta trattando di questo tema. Un paese libero scambia merci con merci; un paese sano scambia merci con merci, non scambia merci contro il credito di una moneta che non è in condizione di procurarsi attraverso lo sviluppo normale dei suoi traffici, e che, per studiare il modo di procurarselo, deve ricorrere al gioco di acrobazie intellettuali di cui ci ha dato un esempio ieri l’onorevole Valiani, mentre nessuno dei colleghi prestava attenzione a quanto egli diceva.

Noi siamo già oggi in condizioni di fondare la nostra politica estera sulla base di una politica economica differente. Noi dobbiamo pertanto respingere l’impostazione che vien data da tutta questa stampa prezzolata non so da quale ambasciata, e che umilia il Paese, e avvelena l’opinione pubblica parlando sempre di aiuti e soltanto di aiuti e ancora di aiuti che abbiamo bisogno di ricevere dai generosi americani.

Per questa strada, onorevoli colleghi, non si può andare avanti senza mettere in pericolo l’indipendenza del Paese. Per questa strada si arriva alla dichiarazione di Truman, la quale dichiarazione non è vero, onorevole Sforza, che non accenni a niente di più di quanto non vi sia nel Trattato di pace e nel Patto delle Nazioni Unite. Nel Trattato di pace non vi è nessun richiamo alla nostra sovranità e indipendenza a cui si possa riferire una dichiarazione come quella del signor Truman.

Nel Patto delle Nazioni Unite v’è, sì, un articolo che prevede la garanzia della pace e dell’indipendenza dei popoli. Esso è l’articolo primo, ma la garanzia di cui si parla è una garanzia collettiva; non è e non può essere la garanzia unilaterale di un solo Stato. È quindi inutile, onorevole Sforza che ella venga qui con l’aria del nobile decaduto in una Repubblica che ha soppresso i titoli nobiliari a dirci, col tono dell’uomo altiero: «Da gentil schiatta torno», dovete fidarvi di me.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Parli di cose serie! (Applausi al centro – Commenti all’estrema sinistra).

TOGLIATTI. Onorevole Sforza, mi rincresce che ella debba dirmi che parlo di cose non serie, proprio quando parlo di lei. (Ilarità all’estrema sinistra). Forse è questa la manifestazione di un residuo di autocoscienza che è in lei rimasto; me ne compiaccio.

Il tema di cui parlo, è il più serio che oggi stia davanti al popolo italiano. Ella onorevole Sforza, non ha trovato ancora il minimo di dignità necessario per protestare contro l’attività di un ambasciatore americano, il quale va in giro a organizzare gli industriali per la resistenza contro le classi lavoratrici, e per chiedere la loro adesione al fronte anticomunista. (Proteste al centro). Lei non ha trovato questo minimo di dignità che avrebbe avuto in regime monarchico un qualsiasi Ministro degli esteri di quelli che furono suoi predecessori. (Commenti al centro).

Una voce al centro. Nostalgie monarchiche!

TOGLIATTI. L’indipendenza del nostro Paese noi l’abbiamo riconquistata a fatica; né io voglio escludere che abbiamo bisogno di garanzie internazionali per difenderla, perché parlo realisticamente di politica estera e della situazione dell’Italia d’oggi. Ma una garanzia dell’indipendenza di un Paese, se vuole veramente essere garanzia di indipendenza, sempre deve essere collettiva. Tale fu la garanzia dell’indipendenza belga, che del resto non funzionò; tale è la garanzia dell’indipendenza svizzera, che invece ha funzionato nel corso di due o tre guerre.

Una garanzia unilaterale di indipendenza, è data per di più da quel signor Truman che ha formulato quella dottrina che voi tutti conoscete; da quel signor Truman che, mentre parla della nostra indipendenza, parla in pari tempo della «sicurezza» degli Stati Uniti. Una simile garanzia non è fatta per difendere la nostra indipendenza; anzi, è un atto che esprime soltanto la tendenza a trasformare il nostro Paese in protettorato di una grande potenza imperialista. Ci dica il Governo se quella dichiarazione l’ha sollecitata in qualsiasi modo; ci dica perché non ha protestato contro quella dichiarazione, perché noi non vogliamo che l’Italia diventi un protettorato di nessuno. (Commenti al centro – Interruzioni).

Lasciate dire, colleghi democristiani, qualche cosa da imparare troverete sempre in quello che noi diciamo.

Tutte le volte che in Europa o nel mondo si è costituito un blocco, come oggi si è costituito, di potenze politicamente e socialmente conservatrici, la sorte del nostro Paese è sempre stata legata alla lotta contro questo blocco e alla distruzione di esso. Così avvenne quando si creò, al principio dell’800, il primo blocco reazionario in Europa: la Santa Alleanza. Noi siamo sorti come Nazione in lotta contro la Santa Alleanza. Combattendo per diventare Nazione e Stato indipendente, abbiamo contribuito a distruggere la Santa Alleanza. Un secondo blocco conservatore reazionario fu nella seconda metà dell’Ottocento, la Triplice. Ebbene, anche in questo caso, noi, dopo essere diventati Stato nazionale indipendente, abbiamo incominciato a essere potenza tra le potenze, quando abbiamo incominciato a staccarci dal sistema della Triplice, a lavorare diplomaticamente per disgregarlo, a lottare per distruggerlo. Il merito del liberalismo italiano alla fine dell’ultimo secolo e al principio di questo fu proprio di aver capito che questa era una necessità della nostra vita nazionale. Oggi vediamo davanti a noi il terzo grande blocco reazionario, che è il blocco americano costituito sopra la base della dottrina di Truman. Per l’Italia l’alternativa è oggi come quella di allora. Sotto la protezione di quel blocco l’Italia potrà essere semmai un protettorato, non potrà essere un Paese libero ed indipendente. (Proteste al centro).

Le sorti d’Italia dopo questa guerra, la possibilità che l’Italia torni ad essere come noi vogliamo che torni ad essere, nazione libera fra le nazioni libere, potenza fra le potenze, è che il nuovo blocco reazionario non riesca mai a stabilire sopra il nostro Paese la propria presa, a farci diventare un protettorato. Le sorti d’Italia sono legate alla prospettiva che questo blocco, il quale è un blocco di forze conservatrici e reazionarie, che nella difesa disperata del regime capitalistico raccolgono attorno a sé tutti i residui dei regimi reazionari passati, non riesca mai a stabilire il proprio dominio su nessun popolo libero di nessuna parte del mondo. (Interruzione del deputato Mazza).

BELLAVISTA. Lei c’è stato mai in America?

TOGLIATTI. L’onorevole che testé mi ha interrotto, dell’estrema destra, ha parlato di Stalin, cioè della Russia. Egli mi offre l’occasione di aggiungere a questo proposito qualche considerazione. Leggevo in questi giorni un interessante libretto che ho trovato finalmente in una biblioteca dopo tanto tempo che lo cercavo, e che contiene una serie di rivelazioni sulla vita diplomatica di uno dei nostri migliori diplomatici, Salvatore Contarini, uomo che ho avuto la ventura di conoscere nell’estate del 1944 e col quale ho avuto occasione di scambiare opinioni sul grave problema del destino della Nazione e dello Stato italiano dopo questa guerra e al punto a cui ci ha portato la criminale politica del fascismo. Ho ritrovato in questo libro le idee fondamentali che il Contarini allora mi esponeva e che coincidevano con le mie considerazioni e preoccupazioni.

Tutta la concezione politica di quel diplomatico, che fu uno di quelli che diedero un maggior contributo allo sviluppo di una politica estera italiana autonoma e indipendente, è fondata prima di tutto sulla constatazione che l’Italia per essere un Paese libero indipendente, non deve permettere che si costituiscano grandi blocchi internazionali di potenze imperialistiche, essendo ad essa esiziale questa politica; in secondo luogo, è fondata sulla oggettiva constatazione, che uno dei contributi più grandi alla conquista di un’indipendenza diplomatica e quindi politica del nostro Paese è stato dato proprio da coloro i quali hanno coltivato le nostre relazioni con la Russia. Noi diventiamo potenza fra le potenze quando intacchiamo il blocco della Triplice, e noi intacchiamo per la prima volta seriamente il blocco della Triplice con il patto di Racconigi.

Tutto il problema della politica estera del nostro Paese in questo dopoguerra sta proprio nel ristabilire un nostro contatto, e una collaborazione con quel grande Paese la cui amicizia può consentire all’Italia di riprendere in Europa e nel mondo una posizione di libertà e di indipendenza.

Ma, a questo proposito, tutta la nostra politica estera in questi ultimi anni è stata sbagliata, falsa. Essa ha spinto il nostro Paese in un vicolo chiuso, da cui non vi è via di uscita, perché non è una via di uscita per una nazione come la nostra quella di sollecitare o di esaltare una dichiarazione unilaterale che stabilisce sull’Italia un protettorato americano. Questo, se mai, è l’inizio della fine dell’indipendenza del nostro Paese.

All’onorevole Lussu, il quale ieri ha affermato che non gli risulta sia esistita o esista una pressione straniera per escludere un determinato partito, diciamo il Partito comunista o quello socialista, dal Governo italiano, debbo dire che egli è troppo ottimista. Anzi, egli è un illuso. Legga il collega Lussu la «Voce Repubblicana» del 16 dicembre 1946. Nell’editoriale di questo giornale è detto in tutte lettere che la presenza dei comunisti al Governo ci toglierebbe immediatamente gli aiuti americani.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Era Lowett che lo diceva, non la Voce Repubblicana.

TOGLIATTI. Io non so chi l’ha detto. Io so che qui la cosa è detta con l’autorità di un partito che è al Governo, con l’autorità dei dirigenti di questo partito. Io sono quindi costretto a crederlo. Non voglio credere che si tratti di un’affermazione escogitata da un editorialista per impressionare il Paese. Ci troviamo di fronte a una constatazione seria, che porta la firma di un partito ragguardevole e a cui perciò dobbiamo credere.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Era la dichiarazione di Lowett…

TOGLIATTI. Allora la cosa è vera. E allora, onorevole Pacciardi, se questo è vero, perché lei rimane in quel Governo? Non sente quale fonte di abiezione è per il nostro Parlamento… (Applausi all’estrema sinistra) il fatto che il Governo del nostro Paese, per la prima volta nella storia – (no, per la seconda volta, a Salò pure si faceva così) – venga costituito secondo gli ordini di una potenza straniera? (Rumori). Amici repubblicani, dopo Novara, che fu quella catastrofe che tutti sappiamo, i ministri della monarchia piemontese respinsero con sdegno ogni forma anche lontana di intervento straniero nella politica interna del Paese. Anche nei tempi più oscuri della politica triplicista – di quella politica contro la quale lottò tanto la destra quanto la sinistra quando prima l’una e poi l’altra pensarono che essa fosse legata a un intervento nella nostra politica interna – nemmeno nei tempi più oscuri della politica triplicista, ripeto, si è mai data una cosa simile. E voi, repubblicani, accettate di entrare nel Governo in questo momento e sotto questa insegna!

Vergogna per te, Pacciardi!

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Tu ci sei stato sotto l’occupazione straniera. (Applausi a sinistra, al centro e a destra – Proteste all’estrema sinistra). Hai subito l’umiliazione di stare con il re. (Rumori all’estrema sinistra). Hai controfirmato le clausole dell’armistizio per stare al Governo. (Rumori).

TOGLIATTI. Io dico che per voi è una vergogna, lasciatemelo ripetere. Voi trascinate nel fango le bandiere… (Applausi all’estrema sinistra – Rumori prolungati a sinistra e al centro – Commenti).

BELLAVISTA. Di quale bandiera parla?

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Noi vi impediamo di ritornare al fascismo. (Applausi a sinistra e al centro).

Una voce. Ritiri le parole. (Scambio di vivaci apostrofi – Agitazione – Tumulto – Reiterati richiami del Presidente, che sospende la seduta).

(La seduta, sospesa alle 17.55, è ripresa alle 18.20).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte siciliana. Prego gli scrutatori, il cui nome è stato sorteggiato all’inizio della seduta, di recarsi nella sala apposita per lo spoglio delle schede.

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Zuccarini. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi! Pochi minuti fa l’onorevole Togliatti si è lasciato sfuggire delle parole, che non so se volessero essere offesa particolare al nostro Partito, od offesa ai sentimenti patriottici di tutta l’Assemblea. Egli ha detto, ed i resoconti stenografici non mentono: «Voi trascinate nel fango le bandiere…».

Se questa frase, completata, doveva riferirsi alla bandiera nazionale, io credo che questa espressione sia inammissibile qui dentro. Se voleva riferirsi alle bandiere del nostro partito, io dico ed affermo che mai bandiere più patriotticamente furono sventolate nella lotta politica italiana, ed a nome del mio partito io protesto contro l’affermazione che ci offende e che non corrisponde alla verità storica, la quale dice il contrario. Io prego l’onorevole Presidente di voler invitare l’onorevole Togliatti a ritirare od a spiegare il senso delle sue parole: lo chiedo per l’onore di questa Camera, ma soprattutto per l’onore di quel partito in nome del quale io parlo in questo momento, partito che se ha un merito, è quello di avere in ogni momento sostenuto e difeso gli alti interessi della Patria italiana. (Vivi applausi a sinistra, al centro e a destra).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Togliatti il quale, senza dubbio, riprendendo il suo discorso, chiarirà il significato delle parole che ha pronunciato.

TOGLIATTI. Signor Presidente, colleghi repubblicani, le parole da me pronunciate le ripeto prima di tutto testualmente. Sono queste: «Voi trascinate nel fango le bandiere di quel partito che fu di Alberto Mario e di Giuseppe Mazzini». Queste sono le esatte parole che io ho pronunciato.

MARINELLI. Questo ci offende!

Una voce al centro. Ritiri.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, suppongo che l’onorevole Zuccarini, nel modo più autorizzato e autorevole, ha detto quello che riteneva si dovesse dire nel nome del partito posto in causa e non comprendo perché altri desiderino aggiungere, prima che l’onorevole Togliatti abbia parlato, altre parole a quelle che abbiamo udito poco fa.

Facciano silenzio! Prosegua, onorevole Togliatti

TOGLIATTI. Sono più che disposto, colleghi repubblicani, a dirvi e confermarvi che non vi è in questa espressione nulla che possa essere ritenuto, sia nelle parole sia nelle intenzioni, come offensivo per il vostro partito o per le sue tradizioni. Già ebbi l’occasione di dire, nella prima parte della mia esposizione, che apprezzo le tradizioni del vostro partito, che ritengo essere parte integrante della grande tradizione nazionale italiana. Con questa mia espressione volevo sottolineare unicamente – forse in forma polemica vivace e aggressiva – l’impressione suscitata in me dall’articolo a cui mi riferivo e nel quale riscontravo non solo il riconoscimento, ma la supina accettazione di un intervento straniero nelle cose nostre, e quindi un contrasto stridente con le tradizioni nazionali del vostro partito.

DE VITA. Le discutiamo noi le nostre tradizioni! (Commenti all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, la prego, faccia silenzio.

TOGLIATTI. Onorevole De Vita, quello che lei ha detto non è vero. Quando la tradizione di un partito entra a far parte della tradizione nazionale, tutti la sentono. Io ripeto che non ho voluto e non voglio offendere il vostro partito. Anzi, se mi chiedete di dire una parola di riprovazione per l’eccessivo spirito polemico che mi ha animato, son disposto a farlo, perché non voglio rimanga nemmeno l’ombra in voi del sospetto che io abbia voluto offendere il vostro partito. Sottolineo però, che invariato rimane il mio giudizio politico su una politica che considero in stridente contrasto con le vostre tradizioni.

Passo quindi a esaminare, onorevoli colleghi, i motivi di politica interna che vengono addotti per costruire artificiosamente quella scissione che si vuole creare nel nostro Paese. Questi motivi affiorano in un modo molto evidente e chiaro nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, ma affiorano precisamente in ciò che esse hanno di erroneo, di viziato, di pericoloso e anche di minaccioso per il Paese. Esse affiorano là dove il Presidente del Consiglio parla di «suggestione della violenza e dell’azione diretta» a cui si abbandonerebbero i partiti della sinistra concedendo anche qui alla terminologia provocatoria degli editorialisti della cosiddetta stampa indipendente e neofascista. La violenza, fazione diretta: ho l’impressione che voi, onorevole De Gasperi, evochiate con troppa frequenza e con troppa leggerezza questo fantasma, il quale viene del resto evocato da troppe parti, e all’interno e all’estero. Questo dimostra soltanto una organica incapacità di comprendere quello che sta realmente avvenendo in Italia oggi. Non è preconcetta intenzione di un qualsiasi partito democratico, e soprattutto non lo è dei partiti di questa parte dell’Aula, di provocare la guerra civile. Quale è dunque l’origine delle agitazioni di lavoratori che hanno avuto luogo in questi ultimi mesi? Avete voi studiato queste agitazioni, avete visto quali erano i loro obiettivi, perché sono sorte e come sono finite? Non vi siete mai chiesto perché tutte queste agitazioni – salvo forse pochissime eccezioni; anzi, credo forse che eccezioni non vi sono – tutte sono terminate con la vittoria delle masse lavoratrici? (Commenti – Interruzioni).

Questo che cosa vuol dire? Vuol dire che tra le parti che sono scese in lotta ve ne era una, e non era la parte operaia, non era la parte dei lavoratori, la quale ha provocato le agitazioni e le lotte con la intenzione di provare se dall’altra parte vi fosse capacità di resistenza sufficiente per respingere il sopruso, la violazione di un patto o di un accordo contrattuale.

Prendete lo sciopero dei braccianti, per esempio. Quando cominciò quello sciopero si è mosso persino il Dipartimento di Stato, cioè il Ministero degli esteri americano. Un esponente del Dipartimento di Stato ha ritenuto necessario esprimere in proposito la sua autorevole ma non richiesta opinione, secondo cui quello sciopero era cosa esiziale per la nazione italiana. Detto questo naturalmente, si concludeva con la condanna della parte operaia. Nello stesso modo si esprimeva il partito al Governo, cioè la Democrazia cristiana; ma lo sciopero è terminato con la vittoria, cioè con il riconoscimento generale che le ragioni dei braccianti erano giuste e sacrosante, tanto che a un certo punto voi stessi avete dovuto dire, per bocca dei vostri organizzatori, che aderivate allo sciopero, perché lo riconoscevate giusto e riconoscevate civile il metodo con cui i lavoratori condussero alla vittoria quella grande battaglia.

Fate una statistica delle agitazioni e degli scioperi nelle campagne e vedrete che la maggior parte di esse sono provocate dalla inadempienza della parte padronale rispetto al patto mezzadrile, che porta il nome di «lodo De Gasperi». Chiedete ai nostri organizzatori sindacali dell’Italia settentrionale quali sono i motivi delle nuove agitazioni che si stanno preparando nelle campagne di numerose provincie del nord ed essi vi spiegheranno che il motivo principale sta nel fatto che il patto concluso in seguito al grande sciopero bracciantile non viene rispettato da una delle parti che l’ha firmato, e cioè dalla parte padronale. Questa è la realtà. Cioè la realtà è che noi ci siamo trovati e ci troviamo di fronte al deliberato proposito dei padroni, o per lo meno dei loro gruppi più reazionari, di provocare la classe operaia, prima di tutto nei suoi sindacati e poi nei suoi partiti politici, a una lotta continua, allo scopo di vedere se ci siano punti deboli nel fronte del lavoro e della democrazia più avanzata, per introdurre in quella breccia l’arme della provocazione e della disgregazione.

Ma parecchie delle agitazioni sono state politiche, senza dubbio. È un caso, però, che anche le agitazioni politiche siano terminate tutte o quasi tutte con la vittoria? Questo vuol dire che anche nel campo politico ci siamo trovati di fronte allo stesso proposito di provocare la parte più avanzata della democrazia a determinati combattimenti, nella speranza di riuscire o ad abbatterla oppure ad isolarla dalle più larghe masse dei cittadini, che noi invece vogliamo siano e rimangano saldamente raccolte attorno alle bandiere della democrazia.

Ammetto che molte agitazioni di carattere politico furono molto avanzate e assunsero aspetti che potevano anche sembrare minacciosi. Tali per esempio le agitazioni di Milano e quella recentissima di Pescara.

Ma qui si pone un’altra questione. Voi ci parlate di legalità; ci accusate di voler uscire dalla legalità. Anche ieri il Ministero dell’interno finiva il suo dire con una esaltazione del rispetto della legalità e dell’ordine. Ma che cosa è legalità; che cosa è ordine?

Non crediate (e qui riprendo una tesi che in sede costituzionale è stata difesa proprio da voi) che basti una maggioranza qualsivoglia a dare impronta legale a qualsiasi provvedimento; che basti una maggioranza parlamentare d’occasione a giustificare un sopruso. Occorre qualche cosa di più, occorre prima di tutto il rispetto della legge, e cioè delle forme che sono stabilite dalla legge a tutela della libertà dei cittadini e della sostanza democratica della legge stessa. (Commenti al centro). Quello che il Ministro dell’interno ha fatto nel caso di Pescara, ad esempio, anche se egli ha trovato un Consiglio di Stato che gli ha dato ragione e una maggioranza parlamentare che ha messo una pietra su tutto il suo operato, rimane ad ogni modo un sopruso, un intollerabile sopruso.

Una voce al centro. Ma quale è la legge?

TOGLIATTI. Voi potete con una maggioranza qui dentro legalizzare formalmente qualsiasi sopruso; ma per i cittadini che hanno un senso ormai sveglio dei loro diritti, quello rimane un sopruso, di fronte al quale la coscienza dei cittadini resiste, insorge, si ribella. Questa è la questione. (Commenti – Interruzioni al centro).

PASTORE GIULIO. Onorevole Togliatti, di questa tesi ci serviremo noi in Confederazione! (Applausi al centro).

TOGLIATTI. Faccia quel che vuole; ma se ne serva per ora in Parlamento.

Vi è una parte avanzata della popolazione del nostro Paese, ed essa in regioni intiere è la stragrande maggioranza dei lavoratori, la maggioranza del ceto medio di campagne e di città e una grande parte anche del ceto medio professionista, che non è d’accordo con la vostra politica, che disapprova la vostra politica, che è in contrasto con tutto ciò che voi dite e fate.

Voi dovete tener conto di questo. Questa parte poi è la più attiva della popolazione, non è la parte passiva e arretrata: al contrario. Si crea in questo modo un contrasto profondo, dal quale sgorga l’atmosfera di tensione che dobbiamo oggi lamentare, e in cui si inseriscono i conflitti economici, i conflitti politici, i conflitti sociali che ci dilaniano.

Ed è proprio in questo momento che voi, al vostro congresso, lanciate la parola d’ordine: – Fuori dalla legge i comunisti!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ma non è vero! Nessuno l’ha lanciata. (Commenti).

TOGLIATTI. Nessuno l’ha lanciata, onorevole De Gasperi? Ma la sua stampa giuoca ogni giorno e ad ogni passo con questa parola d’ordine, ne fa una bandiera nei più provocatori dei suoi scritti, i quali sembrano tutti costruiti su un tessuto di ridicole menzogne, allo scopo di far credere che in questa parte del Paese esista una setta tenebrosa che vorrebbe ad ogni costo scatenare la guerra civile, e non una massa di onesti cittadini che vogliono difendere, consolidare, far progredire il regime democratico.

Lei, al Congresso di Napoli, rivolge delle lodi a Di Vittorio perché è andato a portare la pace a Cerignola, ma sul suo giornale pubblica ogni settimana l’immagine di Di Vittorio vestito da bandito. (Commenti). Lei scherza con queste cose, onorevole De Gasperi; ma questo vostro atteggiamento denunzia ispirazioni, che anche questa volta vengono da lontano.

Il primo paese d’Europa cui è stata applicata la dottrina di Truman, il primo paese su cui si è steso quel protettorato americano che voi invocate anche per noi, la Grecia, è oggi un Paese in cui si sta svolgendo un’accanita guerra civile, la cui parola d’ordine iniziale è proprio stata quella di metter fuori dalla legge i partiti della democrazia avanzata e in prima linea i comunisti. Oggi, grazie alla «protezione» del signor Truman, la Grecia intiera è insanguinata dalla guerra civile.

Dieci patrioti comunisti sono stati ieri assassinati, a Salonicco, probabilmente da piombo americano: vada da questa Assemblea un commosso saluto alla loro memoria. (L’estrema sinistra si leva in piedi ed applaude lungamente).

Voci al centro. Viva Petkov! Viva Petkov!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, abbiano almeno rispetto per i morti!

TOGLIATTI. Questo è il proposito, questa la prospettiva con cui voi giocate. Ma particolarmente grave e pericoloso è il giuoco, perché ci troviamo in un Paese – e qui accetto la definizione dei rapporti politici e sociali italiani data dall’onorevole Pacciardi in una conversazione che avemmo insieme con un eminente uomo politico americano alcune settimane or sono – le cui condizioni economiche e sociali sono arretrate, ma in cui esiste ormai un’avanguardia assetata di giustizia e di libertà, che avanza per rinnovare i rapporti politici ed economici, per rinnovare tutta la vita nazionale, per spezzare le catene della feudalità economica, per distruggere i privilegi sociali, per redimere plaghe intiere d’Italia che devono essere redente. In questo Paese, dove sotto le ceneri ardono queste braci, e sono vivi tutti questi problemi, evocare il fantasma della guerra civile, giocare col proposito di mettere al bando le schiere più avanzate della democrazia è un delitto verso la Nazione.

Sappiamo quanto sono gravi le questioni che il popolo italiano dovrà risolvere per riuscire ad avere veramente non soltanto una Repubblica scritta nella Costituzione, ma di fatto un regime repubblicano, cioè un regime di governo del popolo e non delle caste privilegiate, un regime di governo per il popolo e non nell’interesse del ceto plutocratico.

Sappiamo quanto sono gravi questi problemi: la riforma industriale, la riforma agraria, la riforma bancaria, la redenzione di tutta l’Italia meridionale, la redenzione politica e sociale delle isole nostre. È sapendo quanto questi problemi sono gravi, è conoscendo bene qual è l’animo delle nostre classi dirigenti, profondamente reazionarie e pronto a qualsiasi avventura antinazionale pur di sbarrare la strada al progresso politico e sociale, è conoscendo tutto questo che, avvenuta la liberazione, abbiamo proposto, noi comunisti, un metodo per creare in Italia un vero regime di democrazia, quel metodo che è stato chiamato di unità delle forze democratiche progressive.

Questo metodo certamente prevedeva uno sviluppo lento, più lento di quello che non potesse essere legato ad una prospettiva, diciamo, rivoluzionaria immediata; più lento per la gradazione delle soluzioni, per la stessa necessità di studio di esse attraverso il contatto fra tutte le forze democratiche e il contributo che tutte devono dare al progresso del Paese. Noi rimaniamo fedeli a questo metodo. Questo è anche oggi il metodo che proponiamo per l’Italia; questo è il metodo che noi proponiamo ai lavoratori italiani di tutte le categorie: unirsi per far fronte all’avanzata delle forze conservatrici e reazionarie; unirsi per un’opera non soltanto di difesa contro gli attacchi del ceto padronale, come quelli che hanno avuto luogo nell’ultimo tempo; ma per un’opera di costruzione di un’Italia veramente democratica, di un’Italia nuova.

Quanto a voi, comprendo benissimo perché accentuate tutta la vostra azione politica contro il Partito comunista, comprendo benissimo il significato profondo del vostro grido: «fuori legge i comunisti!». Voi, sapendo che oggi in Italia i comunisti sono un’avanguardia decisa, legata a tutti gli strati sociali che hanno bisogno di redenzione, voi vorreste decapitare il movimento democratico italiano di questa avanguardia.

Questo è il piano segreto della borghesia reazionaria italiana e della grande borghesia internazionale, questo è il piano che Mussolini non è riuscito a realizzare. Questo piano non riuscirete a realizzarlo nemmeno voi.

II governo attuale – concludendo – per la sua composizione, per il modo come affronta i problemi di politica estera e per la sua ispirazione di politica estera, per il modo come affronta i problemi di politica interna e per l’ispirazione della sua politica interna, non può essere un governo il quale contribuisca a una distensione dei rapporti politici e sociali, a una pacificazione del nostro Paese. Non può esserlo, perché nonostante dietro al Partito repubblicano vi siano ancora gruppi di lavoratori di determinate regioni d’Italia, manca in esso quella rappresentatività politica e sociale che esso pretende di avere.

Esso non è né un governo di pacificazione per le elezioni, perché tale potrebbe essere solo un governo nel quale fossero rappresentati tutti i settori dell’Assemblea, e nemmeno un governo di pacificazione economica e sociale più larga. Il problema deve essere posto in un modo molto diverso. Il problema è di riprendere la marcia in avanti, la quale ebbe la sua prima tappa con la vittoria del 2 giugno, e la cui seconda tappa deve essere segnata dalla formazione di un governo che affronti decisamente la soluzione delle grandi questioni che stanno davanti al popolo italiano e che richiedono, per una soluzione radicale, un’azione energica di riforma e rinnovamento.

Noi chiamiamo tutti i lavoratori di tutte le categorie, di tutte le regioni d’Italia a unirsi per render possibile quest’opera.

Ci rivolgiamo anche ai repubblicani. Non abbiamo nessuna intenzione di sfasciare le vostre sezioni (Commenti). Io non andrò dai repubblicani di Romagna, non andrò dai repubblicani di Messina, Palermo o Roma, a dir toro di entrare nel Partito comunista. Non andrò a dir ai vostri iscritti e militanti di rinunciare ai loro ideali mazziniani. Io rispetto i vostri ideali mazziniani. Domani, in sede ideologica, cercherò di convincervi, se sarà possibile, ma oggi chiederò alle vostre sezioni di aderire in blocco alla politica che i comunisti propongono al popolo italiano, a una politica di unità di tutte le forze democratiche, di unità di tutto il popolo organizzato e in lotta per una riforma agraria, e per una riforma industriale, per la redenzione del Mezzogiorno e delle isole, per la creazione di un grande fronte di popolo, per la difesa della indipendenza, della pace, del lavoro, della libertà del popolo italiano.

La sola promessa interessante contenuta nella dichiarazione di questo governo è quella delle elezioni al 18 aprile.

Signori del governo, noi avremmo preferito una data più vicina.

PICCIONI. Anche noi.

TOGLIATTI. Voi però siete gli autori del fatto che fino ad oggi non abbiamo avuto le elezioni, mentre le avremmo potute avere. E siccome ci ricordiamo di questo fatto, siccome ci ricordiamo di un’altra promessa fatta da quello stesso banco e da quello stesso uomo, e poi tradita, per questo saremo vigilanti. Poniamo il problema di fronte al Paese. Desideriamo che la promessa di convocazione dei comizi elettorali alla data più vicina possibile diventi impegno solenne assunto non soltanto davanti a questa Assemblea, ma davanti a tutta l’Italia e sancito in un documento di carattere legislativo, se pure non in un documento di natura costituzionale. Noi non abbiamo paura delle elezioni. Andiamo alle elezioni con la certezza della nostra forza. Noi siamo sicuri di rappresentare le forze avanzate della democrazia italiana, e siamo sicuri che dietro alla bandiera dell’unità delle forze democratiche, che noi sventoliamo qui e nel Paese, tutti i lavoratori d’Italia, tutti i buoni cittadini italiani, vorranno raccogliersi. (Vivissimi applausi all’estrema sinistra).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte prevista dall’articolo 25 dello Statuto della Regione siciliana:

Votanti                               402

Hanno avuto voti:

Merlin Umberto       222

Graziadei Antonio   150

Comandini Federico 10

Voti dispersi                         7

Schede bianche        12

Schede nulle                         1

Pertanto ha ottenuto la maggioranza dei voti Merlin Umberto e lo proclamo eletto. (Applausi al centro).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberganti – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertone – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Cortese Pasquale – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Mercurio – De Micheli Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza – Duroni.

Einaudi.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fioritto – Firrao – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mannironi – Marchesi – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Marinelli – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massola – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – RubiIli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sapienza – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Trulli – Turco.

Uberti.

Valenti – Valiani – Valmarana – Varvaro – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi.

Arata.

Carmagnola – Cavallari.

Guerrieri Emanuele.

Jacini.

Lombardi Riccardo.

Preziosi.

Ravagnan.

Vanoni.

Si riprende la discussione sulle comunicazioni dei Presidente dei Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.

NITTI. Io ho sperato fino all’ultima ora che questa modificazione del Ministero non avvenisse. Quando ho avuto l’occasione di parlarne con l’onorevole De Gasperi (egli mi consentirà questa indiscrezione) io ho detto che mi pareva un errore. Avrebbe suscitato aspri desideri e passioni senza nessuno scopo. Gli dissi che egli aveva avuto la fiducia del Parlamento, che le due mozioni che erano state presentate contro di lui erano state respinte, e quindi egli poteva considerarsi sodisfatto, e non vi era necessità di alcuna modificazione ministeriale. Io prevedevo che l’annuncio della modificazione avrebbe aperto le cateratte dei desideri degli uomini vogliosi di avere la responsabilità di Governo. Ed io gli dicevo che vi sono troppi uomini che desiderano andare al Governo anche in quest’ora difficile, in cui nessuno, che abbia coscienza delle difficoltà può desiderarlo. Gli dicevo che vi sarebbero stati troppi aspiranti e ne sarebbe venuta gran confusione. Io mi permisi di avvisarlo (non ho nessuna autorità sull’onorevole De Gasperi) fino alla vigilia, quando ho osato di scrivergli, pregandolo di non fare modificazione alcuna del Ministero. Il Ministero sarebbe stato più vivo e vitale se non avesse avuto nessun cambiamento. Vi era già qualche cosa del Ministero che dava l’aria di essere apprezzabile e dare fiducia. Non vi possono essere in quest’ora Ministeri che godano la fiducia di tutti, ma vi erano movimenti utili e apprezzabili almeno dal punto di vista economico, tali da far concepire speranze. L’onorevole Einaudi aveva cercato di iniziare una politica monetaria, che può essere discussa o essere considerata da tutti i suoi lati in bene o in male; ma infine aveva un serio indirizzo di cui dovremmo attendere i primi risultati. L’onorevole Merzagora è stato il solo Ministro che ha avuto risultati positivi. Aveva, con una abile operazione, fatto rientrare numero e quantità notevoli di dollari in Italia; aveva permesso di comperare all’estero merci, che hanno determinato quel solo movimento di diminuzione dei prezzi che vi è stato in Italia. Io seguivo con interesse questi tentativi, incurante che il Governo fosse di un partito o di un altro (la cosa mi è stata quasi sempre indifferente).

M’interessava non l’equivoco della competizione, ma l’azione economica, politica e sociale nel suo complesso.

Quindi io sentivo la necessità di intensificare i movimenti utili, e devo dire che sono dolente che sia avvenuta questa mutazione ministeriale. Come vedete, almeno in questi due primi giorni, vi è stato rancore all’interno, uno scatenare di passioni, un nuovo urto, un nuovo e più grande dissidio fra le parti che si dividevano il Governo senza avere programma. È cosa deplorevole e che si poteva evitare.

Ho sentito le accuse al partito repubblicano e all’onorevole Pacciardi: e le accuse ai socialisti di parte temperata. Questi due partiti non sono affatto rivoluzionari. Essi sono ora semplicemente partiti moderati, e mi è difficile dire che cosa si propongano. Sono due partiti ormai inevitabilmente annunziatisi come partiti conservatori. Conservatore è chiunque vuole conservare l’ordine politico o l’ordine sociale ed economico esistente. Questi due partiti entrano ormai apertamente nell’orbita dei partiti conservatori, dove già erano quando volevano sembrare rivoluzionari.

Quindi è inutile parlare di movimenti che possono avvenire in senso molto avanzato, se vengono da una parte che è ormai conservatrice. Di ciò io non mi dolgo. Sono più vicini a me, che non desidero né reazione né rivoluzione.

Ormai, dunque, i partiti che entrano nel governo sono passati da questa parte anche più decisamente. Non me ne dolgo. Non accetto nessuna delle gravi accuse mosse dall’onorevole Togliatti ai repubblicani ed ai socialisti del partito dell’onorevole Saragat; ma speravo che nel passaggio vi fosse più grande bellezza o almeno compostezza.

Io speravo, a spiegare l’apparente conversione, da essi una parola alta e sincera. Non c’era nulla di male che i repubblicani entrassero nel Ministero quando ne avevano il desiderio. Siamo oramai tutti repubblicani, tranne, credo, uno o due degli amici di quella parte. (Accenna a destra).

RUSSO PEREZ. Un po’ di più!

NITTI. Dieci forse, compresi quelli che non si dichiarano.

RUSSO PEREZ. Per cortesia, le dirò di sì.

NITTI. Ormai, di repubblica e di monarchia non si discute: è puerile discuterne adesso. Dunque, i repubblicani avevano ben il diritto di desiderare il governo. Non certo però per difendere la Repubblica. Non c’era bisogno del loro intervento. Siamo tutti repubblicani, e in buona fede. Non c’è il caso in Europa di una sola monarchia caduta che sia risorta. Sono cadute quasi tutte le grandi monarchie, tranne in Inghilterra, che è non una monarchia nel senso che intendiamo: una unione libera di repubbliche di cui il capo è il re. Quindi, la situazione del re è più che mai granitica in Inghilterra. Tutti, compresi i laburisti, noi diremmo i socialisti, sono sinceramente monarchici e conservano le antiche forme tradizionali del protocollo monarchico.

Dunque, non mi dolgo dei repubblicani, che desideravano solo il Governo senza nulla mutare. Né mi dolgo di coloro che senza essere più socialisti vogliono sempre apparire socialisti.

Io sono nato in ambiente repubblicano e da famiglia repubblicana da parecchie generazioni. Quando mio padre (questo ricordano ancora i miei concittadini) vide che accettavo di essere Ministro nella monarchia, era così maniaco repubblicano, che la nomina a ministro gli parve vergogna della famiglia. Mio nonno era stato ucciso per la libertà. Era stato carbonaro del 1820; due suoi figli repubblicani erano stati nel 1848 condannati a morte. Si salvarono solo con l’esilio. Nella mia famiglia, quando ero fanciullo, non ho sentito parlare che di repubblica. Io pensavo che la repubblica fosse un grande ideale; e quando ero giovinetto credevo che la repubblica fosse il Governo dei popoli civili. Ho visto poi la realtà. Anche Mazzini aveva aderito nella realtà alla monarchia, quando aveva accettato la formula: «né apostata né ribelle».

La monarchia era stata una necessità per la costruzione dell’Italia: ed è stata la sua fortuna fino al 1920, anno in cui Vittorio Emanuele III perdette la testa, dopo aver avuto un grande inizio nel suo regno, dal 1900 al 1920, periodo in cui furono compiute le più grandi trasformazioni economiche e sociali dell’Italia. Non dobbiamo mentire. Il re Vittorio Emanuele III segue ora il suo crudele destino, è forse l’uomo che più soffre al mondo, l’uomo che forse ha avuto più sventure di ogni altro uomo. Ma quale che sia il giudizio che si vuol dare di lui, bisogna aggiungere che non vi è, ora almeno, più pericolo di monarchia in Italia.

I repubblicani dunque hanno esaurito la loro funzione. Che cosa dovrebbero fare, se non i guardiani della Repubblica?

Siate sicuri che nessuno aggredirà la Repubblica, e non vi è più bisogno di repubblicani professionali, ed essi si dicono storici, forse nel senso che non sono geografici e che non sono destinati a cambiare la storia.

Se, per difendere quella repubblica che non deve difendersi da alcuno, fuori che dai suoi errori i repubblicani di questa Assemblea volevano partecipare al Governo, io speravo però da essi un gesto di bellezza. Essi potevano scegliere per diventare Governo un motivo alto, non un fatto di cronaca di desideri e di speranze.

Nelle monarchie assolute i repubblicani, se possono esistere, sono i più perseguitati: in regime libero e costituzionale, come ora in Italia, si adattano facilmente ed esprimono piuttosto tendenze che idee. In repubblica i repubblicani non hanno ragione di esistere come partito politico, non più che i monarchici in monarchia.

I repubblicani, per spiegare il mutamento in partito di Governo senza programma, dovevano almeno, in mancanza di programma, avere un gesto di nobiltà, non chiedere nulla, non fare questione di vanità, né di compensi. Dovevano dire al Governo: «Noi vi aiutiamo nella vostra difficile opera. E non vogliamo né posti, né onori, né compensi di alcun genere»; non un affare, ma una collaborazione disinteressata.

Questo io speravo. Questo era linguaggio repubblicano…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ce l’hanno detto.

NITTI. Essi, invece, che cosa hanno chiesto? che cosa hanno voluto, al pari e in concorrenza degli amici dell’onorevole Saragat? Hanno voluto posti di Governo, in una forma che non avevo mai vista; hanno voluto posti, situazioni, onori nella più larga misura possibile, discutendo tutti i vantaggi e gli onori, con un dosaggio in cui tutte le situazioni sono state una per una discusse e contestate. Vecchi e giovani, e anche vecchissimi, tutti si sono fatti avanti a chiedere e discutere le situazioni più importanti, e di tutte si è mercanteggiato.

Fra i repubblicani si è fatta la scelta dei benefizi o degli onori. È avvenuto il fatto più inverosimile, che io abbia visto nella storia costituzionale. Si sono discusse non solo le situazioni tecniche, le situazioni che richiedevano uomini di attitudini, ma tutte le situazioni sono state discusse dai repubblicani e dai nuovi Ministri più o meno socialisti entrati nel Governo, così riformato. Mi scusi, onorevole De Gasperi, la frase, che può parere poco rispettosa. Ella è stato insidiato in tutti i modi; per tanti giorni. Qui, nei corridoi non si parlava che di questa borsa di valori, in cui tanti Ministri, tanti Sottosegretari, tante situazioni dovevano essere materia di contrattazioni. Si sono contrattati i vivi e perfino esumati i morti.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Erano chiacchiere, che si facevano nei corridoi.

NITTI. Lo so, ma queste chiacchiere si sono realizzate, perché esprimevano i bisogni e le aspirazioni di persone fisiche e non di idealità astratte ed erano la realtà! E i socialisti che non sono più socialisti hanno agito allo stesso modo.

Il partito dell’onorevole Saragat era diviso in due fazioni: una parte non voleva alcuni uomini, altra ne voleva altri. Non divisioni di idee, ma divisioni di posti: ciò solo interessava. Si è ricorso a vecchi e a giovani. Si è esumato perfino il venerando, il venerabile onorevole D’Aragona, il più vecchio di tutti noi, e nell’aspetto esteriore, anche più vecchio di me. (Si ride). L’onorevole De Gasperi l’aveva già esumato nel Ministero precedente. Era una cosa che non mi attendevo. Si trattava di un vecchio rudere che non aveva in nessun campo particolari attitudini tecniche. L’onorevole De Gasperi da buon cristiano gli aveva detto: Lazare, exi foras. Poi era andato via con le dimissioni del Governo. Ora l’onorevole De Gasperi lo ha per la seconda volta riesumato, ciò che nemmeno Gesù aveva fatto di Lazzaro. (Si ride).

Devo dire, per la dignità del Parlamento e del Governo, che ho molto sofferto nel vedere le strane invenzioni alle quali hanno costretto un uomo di fine ingegno come l’onorevole De Gasperi, ad adottare il paradosso come norma di Governo. I nuovi aderenti gli hanno chiesto perfino l’assurdo di due nuovi posti di Vicepresidente del Consiglio. Signori, questo è veramente uno scandalo oltre che un assurdo. Un posto di Vicepresidente non è necessario, non credo che esista nel diritto italiano. Con la Repubblica ne hanno usufruito un po’ tutti. L’onorevole Nenni ha avuto anche egli il titolo se non la funzione. Esisteva da poco un Vicepresidente, l’onorevole Einaudi. Per la prima volta si verifica nel mondo lo stupido paradosso di tre Vicepresidenti del Consiglio. E chi debbono presiedere questi tre Vicepresidenti della vanità e del nulla? (Ilarità a sinistra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Non è la prima volta.

NITTI. È proprio la prima volta e sarà, credo, l’ultima. Che cosa sono e che cosa possono essere tre Vicepresidenti? Non vi è nessuna possibilità che possano presiedere qualcosa; tutto al più potrebbero presiedersi a turno i tre Vicepresidenti! (Si ride) o si potrebbero trattenere in conversazioni amichevoli e sollazzevoli, tanto per avere qualcosa da fare. Io sono esperto in questa materia e non posso che riderne. Nel mio primo Ministero vi erano molti dei più grandi personaggi politici d’Italia, ed erano anche di diversa origine. Vi era il vero capo del partito conservatore, l’onorevole Tittoni, tanti anni Ministro e tanti anni Ambasciatore e, per brevissimo tempo, anche Presidente del Consiglio; e dall’altra parte si giungeva all’onorevole Pantano, che fu il vero capo e il dirigente dell’ostruzionismo parlamentare in un’ora che poteva finire rivoluzionariamente. Tutti i Ministri, tranne uno, il Ministro della marina, erano più vecchi di me.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche allora!

NITTI. In quel Governo tutti, con i criteri che ora prevalgono, avevano diritto di essere Vicepresidenti, perché avevano un grande passato ed erano tutti più vecchi ed esperti di me. Pantano era stato nell’Aula parlamentare colui il quale aveva rovesciato il Governo formidabile, venuto dal tentativo di reazione Pelloux. Luzzatti, Pantano, Tittoni, Mortara ed altri insigni si contentavano di essere con me, più giovane di loro, soltanto Ministri. Nessuno mi chiese di essere Vicepresidente. Non me lo chiese Tittoni, né, quando ebbi a fianco gli uomini maggiori della vita politica, come Luzzatti, Scialoja e altri: nessuno di essi mi chiese questa invereconda cosa, nessuno volle con la richiesta diventare ridicolo. (Si ride).

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Non l’ho chiesta nemmeno io.

NITTI. Forse non l’ha chiesta, ma l’ha gradita e non certo ha pensato e pensa di farne a meno. Discendiamo alla realtà pratica. Ditemi quale paese della terra ha tre Vicepresidenti di un solo Ministero. C’era l’onorevole Einaudi e sta bene, o come meglio vi piace, sta male. Ma perché crearne altri due? Quali sono le loro singolari attitudini di questi due nuovi vicecapi? L’onorevole Saragat può dire, se gli piace, che è Vicepresidente per difendere i lavoratori a suo modo; l’onorevole Pacciardi può ben dire: per difendere la libertà a suo modo. Ma per fare cose simili bisogna essere Vicepresidente del Consiglio? Nessuno vede l’utilità del dilagare di questa istituzione inesistente e balorda e nessuno vede che cosa acquistino con ciò il Parlamento e istituzioni che si dicono democratiche e che, ahimè! contengono ancora nella forma e ahimè! anche nel contenuto tutto il fascismo. (Commenti). Io ho assistito anche in questi giorni a discussioni che mi hanno umiliato. Tutte le volte che sento discutere di orientamenti delle amministrazioni, rimango silenzioso e spesso triste. L’onorevole Gonella, parlando del Consiglio superiore della pubblica istruzione, riferendosi al segretario, diceva… a quale partito esso dovesse appartenere. Io sono stato moltissimi anni al Consiglio superiore dell’istruzione, credo per diciotto anni.

Ero diventato forse il più anziano insieme a Scialoja e a Schupfer, a Dini, ecc. Ebbene, chi era il nostro segretario? Era un funzionario qualsiasi che aveva conoscenza di legislazione e sapeva fare i verbali delle riunioni. E qui ho sentito discutere come di un grande argomento e i nostri colleghi chiedersi seriamente: di quale grado dovrà essere? Forse del 4° o del 5°? Chi aveva fra le persone serie udito nel passato tale linguaggio? Fra le tante cose che mi fanno soffrire qui dentro, la più umiliante è quella di sentir parlare dei gradi dell’Amministrazione: trista invenzione fascista! Questa sciocca e banale classifica non esiste in nessun paese serio. Esistette in piccola parte nell’Austria imperiale, ma poi non è esistito e non esiste in nessun paese che non voglia esser ridicolo. Voi non avete trovato il tempo di abolire questa classifica comica, che è la cosa più assurda del fascismo e che voi conservate ancora. Ora, troppo fascismo c’è ancora, troppa morale fascista, troppa mentalità fascista, anche fra i professionali dell’antifascismo.

Io non sono contento del modo come si è svolta la crisi. Io avrei voluto, da parte dei partiti che si dicevano idealisti, una manifestazione di sentimento. Avrei voluto che l’onorevole Saragat fosse andato insieme all’onorevole Pacciardi a offrire la sua collaborazione disinteressata al Governo standone fuori in questo momento, in cui non ha nulla di serio da fare e in cui l’Italia è minacciata da tanti pericoli. Non vi illudete con parole vane. Noi procediamo fra tutte le difficoltà. Siamo avvolti nella nebbia e camminiamo fra i precipizi. Bisogna avere la mente ferma e il piede sicuro. Noi sappiamo quale è la nostra situazione economica e non la mentiremo.

Noi sappiamo quale rischio corra la nostra moneta, e vediamo che bisogna essere per lo meno seri e che non bisogna faro rollio. Perciò io ho avuto spirito di conciliazione e di realtà. L’onorevole De Gasperi può dire in buona fede se gli ho mai creato il minimo imbarazzo e se piuttosto, quando ho potuto, non ho cercato di coadiuvarlo, senza mai nulla desiderare né chiedere né volere. Quando egli mi pareva in pericolo, facendo figura di uomo che si contradice, ho voluto parlare e votare per lui, perché nei momenti difficili mi pareva un dovere per l’Italia soffocare anche i dissidi.

Non chiedere nulla per collaborare; questo era il dovere che i repubblicani e i così detti socialisti di Saragat dovevano sentire, questa era la linea che dovevano seguire. Essi dovevano presentarsi a De Gasperi e dire: voi potete essere in pericolo, noi siamo una forza, noi stiamo con voi, noi vi portiamo questo programma, vi portiamo soprattutto la nostra passione personale, senza poi distillare punto per punto i favori da ottenere e lo persone da collocare al Governo.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Devo riconoscere che mi hanno fatto la dichiarazione di venire nell’interesse del Paese. (Commenti).

NITTI. Mi permetta, onorevole De Gasperi. Dichiarazione, non azione. Lei è uomo accorto e saggio. Io ho simpatia sincera per lei, perché (non vi scandalizzate!) io credo che lei sia non solo un democristiano e un cattolico di occasione, ma uomo di fede e uomo religioso. Io ho il rispetto degli uomini religiosi, a qualunque parte politica o fede appartengano. Essi, se sono in buona fede e portano profondità di spirito, sono sempre rispettabili. Ma lei stesso doveva parlare un diverso linguaggio. Non faccio accuse a lei. Io voglio constatare che quelli che sono venuti da lei non sono venuti con purità di sentimento, perché hanno portato troppo il senso dell’interesse. (Interruzione del deputato Pacciardi). Senta, onorevole Pacciardi, noi ci conosciamo.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Appunto perché ci conosciamo io mi meraviglio che lei possa dire queste cose.

NITTI. Appunto per questo io parlo così. Io mi attendevo che il Governo avesse l’appoggio di sentimento e la collaborazione disinteressata di repubblicani e di socialisti moderati, se essi avevano idee e sentimenti e non interessi di partito. A ogni trattativa dovevano corrispondere idee e programmi e vi doveva essere sentimento cordiale e disinteressato.

Ora vediamo invece che non solo tutti i posti del Ministero sono stati contesi, ma l’appoggio è stato distillato e discusso punto per punto. Sono stati attribuiti posti per convenienza di partito e di persone: si dice ora perfino che, per accontentare la generosa brama dei nuovi aspiranti, si pensa alla istituzione di sette nuovi Sottosegretari di Stato!

Una voce. Nove!

NITTI. Ancor peggio! E questo è forse l’ideale? Io ho attaccato altre volte duramente questa ridicola istituzione dei Sottosegretari di Stato, che è diventata veramente vergognosa. Perché i Sottosegretari di Stato e in così gran numero? So che si dice che sono necessari. Il Ministro ha tante carte da firmare e tante firme da mettere. I Ministri in gran parte non fanno che mettere firme, e molto spesso non si rendono conto di ciò che firmano. Più è disordine e più si aumenta il disordine. Si crede che bisogna alleggerire il loro lavoro. Ogni Ministero ha tante divisioni, e si vuole crearne altre. Questa è la fatalità dell’amministrazione nostra, che crea nuovi congegni ogni giorno per sviluppare una burocrazia, che ha tanti elementi solidi e di valore, ma che non può funzionare nella generale confusione. Qual è la funzione del Sottosegretario di Stato, se non di essere inciampo fra l’amministrazione e il Ministro? E non si possono abolire i Sottosegretari con vantaggio di tutti e avere un segretario generale amministrativo e non politico in ogni ministero e ridurre tutti gli uffici e abolire gabinetti numerosi e causa di dissidi, se non d’immoralità?

Era stato promesso, dietro mia richiesta, che i Sottosegretari di Stato sarebbero stati aboliti o almeno diminuiti rapidamente. Non sono stati diminuiti e dopo sono stati anzi aumentati. Ora addirittura si vuole passare i limiti del paradosso. Quanto costa un Sottosegretario di Stato? Ma soprattutto quanto disordine crea! Il Sottosegretario di Stato in generale, tranne soltanto pochissime persone, è un uomo che non esce dalla mediocrità. Perché volete ancora aumentarli di 8 o 9? Per contentare altre brame ed altri desideri dei partiti che vogliono dilatarsi e che non si preoccupano che di partiti e di elezioni?

Credete che ciò aumenti il prestigio del Governo? Ahimè! Anche in tempo di pace o di tregua, ai tempi in cui non vi erano elezioni in vista, e governava concorde o discorde la «democrazia progressiva», su automobili del Governo scorazzavano tutte le province, anche la povera mia provincia. Quando non avevano altre cose da fare era per svolgere propaganda più o meno utile al loro partito. I Sottosegretari di Stato non si preoccupavano che di interessi del loro partito, e anche Sottosegretari socialisti e comunisti si valevano di automobili dei loro uffici per propaganda di partito.

L’onorevole Einaudi mi aveva dato affidamento che la questione dei Sottosegretari di Stato e dell’impiego delle loro automobili sarebbe stata regolata. Constato che l’amico Einaudi non ha potuto mantenere finora il suo impegno. Non gli muovo rimprovero. So quanto sia duro il suo cammino, quante cose egli ha da fare che non può fare. Ma spero per lo meno che con la sua autorità ottenga che il male non dilaghi più, in questi giorni. Ciò aumenterebbe il nostro discredito e non c’è bisogno di aumentarlo.

Noi dobbiamo dare in questo momento la prova della serietà di noi stessi. Siamo in gravissime difficoltà. La situazione non migliorerà rapidamente, non può migliorare: io ritengo che per quanto riguarda i consumi più indispensabili, grano, petrolio, carbone, se i nostri rapporti con l’America non saranno improvvisamente mutati, almeno fino al mese di marzo e dopo per qualche mese ancora, abbiamo sicurezza o meglio speranza di averli. Troppe altre cose ci mancano e la situazione monetaria desta profonda inquietudine ed io so quanti sforzi occorre fare per mantenerla. Nessuna cosa che possa turbare la pace noi dobbiamo volere.

Ho sentito dai miei amici di questa parte (Accenna all’estrema sinistra) che noi, volendo aiuti dall’America, ci asserviamo allo straniero.

Io devo dire sinceramente la verità, su questo punto, quale che sia il fastidio che potrà arrecare la sincerità. Non è vero che l’America ci ha imposto una politica o un’altra. L’America non ci ha imposto nessuna politica e nessun programma. L’America segue la sua linea e non ci chiede, e tanto meno ci impone, una condotta politica. Certo non dobbiamo avere alcuna azione che sia contraria all’America. Noi dobbiamo cercare, bensì, di evitare ogni cosa, anche nell’apparenza esteriore, che possa dare occasione a creare equivoci. Noi dobbiamo conservare con il blocco dell’America rapporti sinceri, che sono anche imposti dalla necessità. Noi dobbiamo essere, per quanto riguarda l’America, assolutamente leali e dobbiamo sentire la gratitudine per quanto ha fatto finora per noi.

Se l’America non ci ha proposto e non ci ha chiesto cose che non possiamo dare, non è vero che la Russia possa per convenienza politica darci cosa che essa stessa non ha. L’Italia non deve volere la guerra, da cui appena usciamo. L’Italia deve comunque, depressa come è, essere neutrale, deve volere la pace. L’Italia, ripeto, da una nuova guerra uscirebbe in completa rovina. Quasi inerme come essa è, avendo perduto tanta parte della sua ricchezza, l’Italia ha sopra tutto bisogno di pace.

Devo dare una risposta sincera all’onorevole Togliatti. Si lascia troppo credere dai suoi amici che, rompendo con l’America, o almeno rompendo con lo spirito americano, noi non corriamo alcun pericolo. La Russia potrebbe darci ciò che l’America non ci darebbe. No, se abbiamo questa illusione noi corriamo pericolo di morte.

La Russia è un grandissimo paese, al cui avvenire io credo; ma la Russia non ci può dare né ora né per parecchi anni alcun aiuto. Ha anzi bisogno di altri paesi.

È inutile illusione sperare aiuti russi, anche se volete ragionare col semplice buon senso. Quali erano le esportazioni della Russia fino al 1918 e quali dal 1918 al 1938? Non solo molto inferiori a quelle dell’Italia (cosa enorme, trattandosi di un grande paese di 21 milioni di chilometri quadrati), ma inferiori a quelle di un piccolo paese, come la Svizzera.

Ora, cosa volete che, dopo una guerra così terribile, in cui ha sopportato l’urto del grande esercito tedesco e quindi ha avute tante distruzioni, possa fare la Russia, che ha vista devastata la parte più fertile del suo territorio: cosa volete che ci potrà dare nelle ore difficili? Nulla, assolutamente nulla.

Quanti anni occorreranno perché la Russia riprenda economicamente il suo cammino nel mondo? perché riprenda una situazione di produzione vantaggiosa? Quando potrà esportare seriamente e quando potrà dare credito ad altri, essa che per gran tempo ha bisogno di credito per sé stessa?

Ho ammirato lo sforzo della Russia per vivere e rinnovarsi dopo il 1917. Non bisogna dimenticare ciò che era la Russia zarista e come il popolo viveva miseramente. Nessuno può dimenticare che la rivoluzione russa non poteva compiersi che con l’immenso sacrificio di tutto un popolo.

La Russia subì dopo il 1914 il peso di una enorme guerra e poi di una immensa rivoluzione e poi una guerra civile pagata e sorretta nella parte reazionaria dai grandi paesi europei e sopra tutto dalla Francia.

La Russia mediante il bolscevismo ha potuto man mano lavorare alla sua ricostruzione economica e politica. Ha fatto opere di civiltà in un paese dove esistevano la miseria e l’ignoranza. Dove si parlavano 83 lingue, la civiltà non era penetrata in molta parte del territorio. È stato necessario per diffondere la istruzione dare a molti popoli la grammatica, perfino l’alfabeto. Il Governo bolscevico ha compiuto opera immensa.

Dove anche la civiltà di Bisanzio era arrivata appena, si è diffusa l’opera del bolscevismo, ricostruttiva.

Quando la Russia si incamminava rapidamente verso la ricostruzione è venuta la guerra del 1939. Orribile guerra, in cui la Russia ha avuto più perdite umane e più distruzioni di ogni altro paese europeo. E come potrebbe ora, dopo tante guerre e rovine, essere in migliori condizioni che nel 1938?

So quanto la Russia ha perduto e quanto ha perduto la civiltà, e prevedo quanto in avvenire la Russia, rinnovandosi, potrà ancora dare.

Sono fidente nell’avvenire della Russia, ma lo sforzo che dovrà fare per vivere e riparare alle sue grandi perdite sarà enorme. Non parliamo con poco rispetto della Russia, come vedo fare da certi giornali del nostro Paese, secondo cui la Russia è ancora il paese dei barbari. Sono cose stupide e irritanti. Noi riprenderemo invece i rapporti effettivi con la Russia. Ricordiamo che tutto il ciclo della navigazione commerciale che più c’interessa veniva dal Mar Nero all’Inghilterra e ci dava i bassi prezzi dei noli e di alcune merci essenziali. Avevamo per effetto di ciò, prima del 1919, persino il carbone a buon mercato, spesso più a buon mercato che da alcuni punti della stessa Inghilterra.

Quando io ero Ministro del commercio, mi accorsi che il carbone noi lo pagavamo ad un prezzo più basso di quello che non si pagasse in Inghilterra, e non sapevo spiegarmene il perché. Ma, studiata la cosa, compresi: il ciclo economico della navigazione dall’Inghilterra al Mar Nero, che ora non esiste più, ne era la causa principale. Lasciamo la leggenda che la Russia può darci e non ci vuol dare molte merci, io non credo a tutte queste chiacchiere. (Commenti).

Una voce al centro. Ma la Russia, se volesse, in questo momento, ci manderebbe le materie prime.

NITTI. No, non può, non può farlo, anche se volesse: sono immaginose invenzioni. Pensate che la Russia è il paese che ha avuto non solo il più gran peso della guerra e il più gran numero di morti, ma è anche il paese che ha avuto il maggiore sterminio dei suoi grandi centri di produzione. La Russia ha avuto più morti che l’America, l’Inghilterra, la Francia riunite. Quando pensate che la parte più fertile della Russia è stata devastata, quando pensate che la zona più industrialmente attrezzata è stata in parte distrutta, non dovete credere che la Russia non ci dà pane perché nutre verso di noi malevolenza. Se la Russia non ci dà materie prime è perché la Russia deve pensare a sé stessa, la Russia deve rifare, come noi e assai più di noi, ciò che ha perduto.

Essa stessa è costretta a prendere altrove, in paesi che occupa, con tutti i mezzi più duri, ciò che noi vorremmo desse a noi.

Io credo di aver fatto il possibile per riportare la discussione in un clima di sincerità. Purtroppo qui si discute non pensando che al Governo e alle elezioni: bisogna fare le elezioni, ma non è questo il solo fatto che ci interessa. Dobbiamo non stupidire pensando solo alle elezioni.

Sono io che ho proposto la proroga della Costituente. I poteri erano per scadere. Erano trascorsi gli otto mesi previsti dalla legge, poi erano vicini a scadere gli altri quattro che erano stati previsti dalla stessa legge. Bisognava che qualcuno avesse il coraggio di parlare di nuova proroga. Il Governo fece allora sapere che era disposto a far domandare una proroga fino a settembre.

L’onorevole Nenni, che parlava allora con virulenta passionalità (Si ride), disse: elezioni subito a ogni costo. Io, ostinato, dissi e sostenni: dobbiamo prorogare la Costituente fino al 31 dicembre. Non voleva nessuno persuadersi della necessità. La logica lo impose. Così fu fatto e si è pervenuti a quel termine del 31 dicembre di cui prima avevano tutti riso, siccome di termine troppo lontano.

Ora l’onorevole De Gasperi ha un termine, ma non un termine così breve come si era detto, ed è in rapporto alla data dello scioglimento della Camera.

È il solo termine che ha per le elezioni; ma l’onorevole De Gasperi non ha fretta di fare le elezioni e si regolerà secondo la convenienza e la logica.

Ed ora mi permetto di rivolgergli una domanda. Egli, che è uomo calmo ed abituato alle ricerche, crede proprio che noi esauriremo i nostri lavori entro il 31 dicembre? Poniamoci questo problema, io non posso proporre nuova proroga, perché, quando proposi l’ultima proroga, dichiarai che non sarei stato io a proporne un’altra. Io vorrei che qualcun altro, se crede, la proponesse, dal momento che io non posso farlo. Bisognerà discutere e votare ancora su molti problemi complicati e difficili, riguardanti la Camera e il Senato, e se vi è troppa fretta vi potranno essere votazioni incomposte e contradittorie. Voi avete visto stamattina: quale esaltazione violenta su cose che potevano discutersi pacificamente. Pareva di essere tra dervisci ubriachi; tutti erano eccitati, non si sa perché, se pure il contrasto non era tale da eccitare gli animi.

Noi siamo oggi, mi pare, al 18 dicembre e ci rimangono ancora pochi giorni di lavoro utile. Poi da buoni cattolici voi volete festeggiare il Santo Natale, come volete rispettare tutte le domeniche e le feste comandate.

La Commissione incaricata di coordinare il testo che noi abbiamo preparato, in cui non mancano errori e contradizioni, può fare seriamente il lavoro in tempo? Si è detto: «Noi non vogliamo la proroga» ma si pensava: «noi vogliamo soltanto una prorogatio». (Si ride). Proroga o prorogatio, come più vi piace, una cosa è certa, ed è che non finiremo il lavoro nostro in dicembre e dovremo andare avanti, come si potrà, tutto il mese di gennaio.

Io non faccio nessuna proposta; sono obbligato a non proporre proroga. Voi ponetevi il problema, e se lo ponga anche l’onorevole De Gasperi, il quale, impegnato a fondo, non potrà poi ritrattarsi se qualcuno, oltre la prorogatio, vorrà anche la proroga.

Ho fatto una serie di domande che richiedono risposte. Io sono ancora una volta nella situazione che mi è stata rimproverata: cioè che parlo aspramente e poi concludo amichevolmente. Io non sono contento di questa crisetta ministeriale, e delle modificazioni apportate nel Ministero. Io ne avrei fatto volentieri a meno. Ma subirò ancora questi inutili errori. Io ho parlato contro ciò che si è fatto e che si vuol fare: ma voterò in favore dell’onorevole De Gasperi. (Si ride).

LUSSU. È un errore.

NITTI. No, non è un errore; è soltanto sincerità. La lunga esperienza di qui dentro, dopo tanti anni che sono stato lontano, mi ha mostrato l’abbassamento del costume politico e mi dice che ogni crisi ministeriale peggiora il Ministero, lo rende più numeroso, più costoso, meno efficiente, e, qualche volta, anche meno intelligente. Non credo sia utile e nemmeno onesto parlare di crisi ministeriale: si farebbe quasi certamente peggio.

Io voterò a favore, come è mio dovere di italiano, in un’ora di pericolo, quando non so né meno che cosa sarà dell’Italia fra alcuni mesi e non voglio aumentare il senso di malessere che è in tutti quanti ragionano. Quale triste situazione! Noi siamo avvolti nella nebbia e camminiamo fra i precipizi, senza renderci conto della realtà. Noi dobbiamo lavorare tutti per uscire il meno male da questo difficoltà e avere, oltre a una volontà di lavoro, un massimo di onestà e di buona fede all’infuori dei partiti e degli intrighi che impediscono o rendono difficile ogni opera di ricostruzione.

E con questo auguro che anche la discussione attuale, che in apparenza ha avuto qualche carattere di asprezza, spero non sia stata vana. (Applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Giannini. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi prego di consentirmi innanzitutto di esprimere un giudizio personale su questa nuova formazione governativa. I fatti politici sono creati dalle persone, e dunque può esser consentito d’esprimere un giudizio personale senza impegnare in modo capitale il proprio partito.

A me questo Governo piace straordinariamente (Commenti), ma quando dico straordinariamente forse non dico abbastanza per esprimere tutto e completamente il mio vero e vivo piacere. Non solamente per il Presidente di questo Governo, che è un ottimo Presidente; non solamente per la sua linea politica che io non posso che apprezzare e studiare, perché bisogna sempre imparare; quanto per l’opera sua che vado sempre più ammirando, con l’interesse con cui un critico artista può ammirare una creazione artistica.

In un certo senso io sono parente di questo Governo; ne sono il nonno.

Una voce all’estrema sinistra. Povero nonno!

GIANNINI. Ero il padre del Governo che lo ha preceduto e di cui questo è figlio. È stato precisamente sulla fine della primavera passata che accettando un nostro lungo e annoso consiglio l’onorevole De Gasperi si decise a fare un Ministero di colore.

Noi facemmo, come partito, un importante passo avanti in quell’occasione. Avemmo modo di confermarlo a Bari il 5 giugno, poco dopo la formazione del Ministero; proclamammo a Bari i nostri dieci punti. Eravamo diventati niente meno che un partito di Governo, dopo essere entrati qui come un partito quasi clandestino; avevamo guadagnato una legittimità, avevamo un passaporto.

Fui io a sostenere quella formazione governativa, furono i miei amici, tutti d’accordo nell’idea, onorevole nostro maestro Nitti, di appoggiare il Ministero in cambio di nulla, c semplicemente perché era nostro dovere appoggiarlo, volendo ottenere il risultato politico di estromettere i comunisti dal Governo italiano. Ci riuscimmo e, fatto strano, da quel momento diventammo filo-comunisti (Si ride), e filo-comunisti a un punto tale da correre seri pericoli.

Poi vi furono gravi inconvenienti, come in tutte le cose di questo mondo. Il Governo di colore, partorito con tutte le nostre più affettuose cure, fece quello che fanno tutti i figli: trascurò il padre (Si ride).

È la tragedia di Re Lear che sempre si ripete. A un certo punto si maturò una situazione e io (devo per forza parlare in prima persona, onorevole signor Presidente del Consiglio, perché, ripeto, sto esprimendo un giudizio personale, che forse può non essere approvato dalle mie… falangi) credetti di ravvisare la necessità di cambiarlo quel Governo, di fare la crisi. Ne avevo i mezzi, ne avevo la possibilità. Pensavo che, facendo la crisi, si sarebbe riformato un Governo presieduto da Lei, onorevole Presidente del Consiglio, perché non è possibile pensare che possa esservi un Governo presieduto da altri; formato dalla Democrazia cristiana, ma in sostanza costruito sul Fronte dell’Uomo Qualunque, che era diventato così importante, che aveva avuto un Congresso, il cui successo aveva allucinato il mio elegante nemico Negarville, ammiratissimo dei risultati di quel convegno politico qualunquista. Senonché che cosa è accaduto? È accaduto, forse a causa del successo di quel nostro congresso, forse a causa di chissà quali altri nostri successi in pectore,che a un certo momento questo grande Partito ha cominciato a preoccupare eccessivamente, rivelandosi per il grande, vero terzo partito, che si va affermando tale nelle varie elezioni amministrative, anche nelle sue attuali condizioni. Lei e il suo Ministro dell’interno lo sanno, perché hanno i risultati, i quali sono enormemente superiori a quelli che ha Pacciardi, a quelli che ha Saragat: e maggiori non per una, per due, ma per dieci e quindici volte. Lei le ha queste prove; lei le ha queste cifre, onorevole signor Presidente del Consiglio.

Questo vero grande terzo partito a un certo momento ha dovuto incutere una paura colossale. Certo è che io mi sono trovato improvvisamente in minoranza nel mio Gruppo parlamentare, dopo aver fatto un discorso che l’onorevole Togliatti spesso chiosa dandomi del pappagallo rientrato. Io le dimostrerò che se io sono rientrato come pappagallo, lei, onorevole Togliatti, è forse fallito come stratega. Io ritornerò forse sotto le vecchie cottole, ma lei dove tornare alla scuola strategica di Kutuzoff, perché ha perduto una grande battaglia, glielo dimostrerò: ha perduto una grande battaglia politica! (Si ride).

Proprio nel momento in cui volevo trasformare il mio Partito da Partito di Inverno in Partito che poteva determinare una crisi di Governo e contribuire a formare un Governo, cioè ad aggiungere l’ultimo gallone su un magnifico berretto che avevo potuto donare all’Uomo Qualunque, mi sono trovato nel nostro Gruppo parlamentare a colluttare con elementi monarchici, con esponenti d’una destra almeno a parole rivoluzionaria, con esponenti di ceti ricchi, di ceti industriali, di ceti agrari, che si presentavano in compagnia di qualche altro amico che fa sempre numero. Mi hanno rovesciato. Votarono compatti per il Governo De Gasperi che, difatti, vinse per trenta voti: i nostri. Se io non mi fossi astenuto ne avrebbe avuti trentuno.

A questo punto, qualcuno mi domanderà perché sono tanto contento, come domandava quel turista che, davanti alla gabbia della iena, apprendendo come viveva la iena, di che cosa si cibava, sentendola chiamare iena ridens disse: ma che cos’ha da ridere questo stupido animale?

Perché sono contento? Sono contento, onorevole De Gasperi, perché lei ai miei monarchici ha dato l’onorevole Pacciardi (Si ride), ai miei industriali ha dato l’onorevole Tremelloni, con le sue pianificazioni, a quei ceti i quali mi credevano troppo sinistro lei ha dato il marxismo di Saragat…

Una voce all’estrema sinistra. Non fa paura quello.

GIANNINI. Fa paura anche quello. Comunque io ho visto magnificamente ricompensati coloro che hanno fatto fallire la mia brillante manovra parlamentare, e di questo la ringrazio, onorevole De Gasperi, e le sono profondamente grato; e spero, se l’occasione si presenterà, di renderle lo stesso servigio, perché fra amici bisogna sempre aiutarsi! (Si ride). Lei mi ha dato una grande soddisfazione, e io le dimostrerò questa sera, con il mio discorso, che non è certo di maggioranza, ma d’opposizione, che le sono davvero riconoscente: che ho contratto un debito con lei e che voglio pagarglielo.

A questo punto può finire la mia esposizione di carattere personale e incominciare quella, più grave e meno divertente, di capopartito. Certamente mi si obietterà che sono scontento, come capopartito, di questo rimpasto, perché non ho preso parte alla costituzione del Governo.

SCOCA. Sperava un’altra vicepresidenza!

GIANNINI. No, onorevole Scoca, non ci voleva un’altra vicepresidenza. Noi non ci riteniamo ancora un Partito di Governo dell’importanza del Partito repubblicano e del Partito saragattiano, tale da poter imporre le nostre ideologie in modo assoluto e anzi assolutistico. Ho letto le cronache della crisi, perché l’ho seguita da lontano come vi spiegherò, e come il Presidente del Consiglio potrà confermare: e ho fatto la conoscenza delle varie ideologie sui giornali dei vari partiti interessati. Ho saputo che v’era un’ideologia del petrolio, un’ideologia del carbone, un’ideologia dei Ministeri economici. Mi sembra che queste siano ideologie comuni a tutti i partiti; e quindi anche al nostro.

E allora non comprendo per quale ragione noi siamo stati esclusi dal rimpasto. Forse la ragione è stata quella che noi, obbedendo ancora una volta al precetto dell’onorevole Nitti, avevamo accettato di far parte del Governo unicamente designando un nostro rappresentante in quel famoso Consiglio di presidenza che l’onorevole De Gasperi voleva – e giustamente, lodevolmente – per offrir garanzie ai vari partiti sul modo come dovranno svolgersi le elezioni. A noi le elezioni interessano; noi abbiamo un largo seguito; noi desideriamo aumentarlo: noi avremmo volentieri fatto parte del progettato Consiglio di presidenza, senza però assumere nessun Ministero. Né questa è una favola che vi racconto adesso, perché l’abbiamo espressa in un ordine del giorno regolarmente votato dalla Giunta esecutiva del nostro Partito, approvato dal parlamentino due giorni dopo, e che ha ormai venti giorni di anzianità. Non vi racconto né storie recenti, né ardite invenzioni.

A queste condizioni noi avremmo partecipato al Governo; ma a condizione di modificare lo Stato e panificarlo in tre mesi, come si propone l’onorevole Tremelloni, non avremmo accettato: perché non abbiamo questa capacità e abilità. Attendiamo questi valorosi all’opera per sapere come si fa in novanta giorni a sistemare…

PERSICO. Non se lo è mai sognato l’onorevole Tremelloni.

GIANNINI. Ho qui i vostri giornali, amico Persico, autore dell’Uomo qualunque! Ricordati che fosti tu a crearlo quando lo sopprimesti (Si ride). Era lui il prefetto di Roma che soppresse l’Uomo qualunque e da quella soppressione nacque la fiamma. Gliene sono grato, come sono grato al Presidente del Consiglio. Ho qui l’Umanità, quotidiano dei saragattiani, non voglio dire del pisellismo. «Si richiamano energicamente le classi privilegiate al loro dovere sociale»…

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Questa è la dichiarazione del Governo.

GIANNINI. Ma è in effetti una presa di posizione d’un partito il quale viene a socializzare lo Stato. E ben venga! Vedremo, in questi novanta o cento giorni che ci separano dalle elezioni, che cosa farà, che cosa avrà potuto fare. Noi non ci sentiamo questa forza. Noi siamo più modesti.

Potrei leggere qualche cosa anche della Voce Repubblicana; ma l’ha letta già l’onorevole Togliatti, ed io ho sempre paura di ripetere ciò che fa l’onorevole Togliatti perché ho idea che mi porti sfortuna. (Si ride).

Ora, che cosa è accaduto? È accaduto che ci troviamo di fronte a un Governo diverso da quello al quale noi avremmo partecipato. Noi avremmo partecipato volentieri a un Governo che avesse fatto le elezioni con questo Consiglio di presidenza, nel quale ciascuno si sarebbe dovuto occupare solamente delle elezioni e garantire non soltanto il proprio, ma tutti i partiti. Il Governo democristiano sarebbe rimasto il Governo monocolore, Governo tranquillo, Governo d’ordinaria amministrazione. Poiché, nella nostra inesperienza di «uomini qualunque», noi riteniamo che in questo momento non vi sia nulla di più importante da fare in Italia – oltre, naturalmente, al normale sbarcamento del lunario – che le elezioni. Non crediamo a problemi politici trascendentali.

Dirò, in rapida parentesi che dedico al conte Sforza, che non credo nemmeno alla possibilità d’una politica estera italiana.

Mi stupisco che uomini di ingegno lottino e si lancino pezzi di Patria e di bandiera l’uno sulla faccia dell’altro, per sapere se dobbiamo andare con l’America o con la Russia.

In tema di politica estera credo che il conte Sforza possa darci atto – egli che legge i nostri giornali con attenzione, del che lo ringrazio – che noi abbiamo sempre trattato con pudore la materia, in quanto siamo convinti che un Paese nelle nostre condizioni, e anche Paesi in condizioni apparentemente migliori come la Francia, non possano ancora fare una propria politica estera: debbono necessariamente subirla. Ed allora è forse meglio non parlarne troppo di questo problema, e dovendo piegarsi a un giogo, è nostra opinione che sia forse carità di Patria sceglier quello più lieve e meno doloroso.

Il veder lottare in pro dell’America o in pro della Russia mi dà l’impressione di veder una turba di schiavi che lottino, battendosi con le proprie catene, per sceglier quale padrone debbano servire. Noi ci rifiutiamo di partecipare alla lotta; e in quel pudore in cui ci ammantiamo, riteniamo che di politica estera italiana si debba riparlare solo quando la dignità del nostro Paese permetterà di discorrerne con quella voce alta e con quel tono vibrato che non possiamo ancora assumere.

Sulla politica interna ci è stato assicurato da un uccellino, che ha volato nel Gabinetto dell’onorevole De Gasperi, che egli era molto bene intenzionato nei nostri confronti, e che avrebbe desiderato la nostra collaborazione. Questo usignoletto…

COSTANTINI. Non era un pappagallo?

GIANNINI. Situazione che vai, uccello che trovi. (Si ride). Questo usignoletto ci ha, dunque, informati che l’onorevole De Gasperi era contento di poter avere la nostra collaborazione; e contento perché – io interpreto il suo pensiero, onorevole signor Presidente del Consiglio; non pensi che le voglia attribuire questa intenzione; sono io a interpretare, lei mi può smentire – ho pensato che l’onorevole De Gasperi non volesse far andar in giro la Democrazia cristiana, che è una matrona annosa e decente, con troppo rossetto sulla bocca, e avesse pensato che un’aliquota qualunquista non ci sarebbe stata male per rimediare a quel troppo scarlatto che arroventava le labbra della vecchia signora.

Senonché l’onorevole De Gasperi ha trovato fieri ostacoli nel Partito socialista dei lavoratori italiani e nel Partito repubblicano. Io vorrei sapere – e ne sarei grato a questi due egregi colleghi – se i capi del Partito repubblicano e «pisellista» volessero avere la franchezza di dirmene il perché. Io non so perché il Partito repubblicano debba ritenersi tanto più a sinistra di noi. Forse perché occupa quel settore verso la circa sinistra? Ma io son pronto ad andare a sedermi vicino all’onorevole Cianca! (Viva ilarità). Non credo che una questione politica possa essere semplicemente una questione di seggi.

Io non so che cos’abbia questo Partito repubblicano italiano, con cui ho pure qualche parentela – non è vero Macrelli? – di così straordinariamente sinistro, per cui non si possa mischiare con noi.

Poi v’è questo Partito socialista dei lavoratori italiani, perché evidentemente gli altri Partiti socialisti non sono dei lavoratori. (Si ride). Questo speciale Partito socialista ha pubblicato un programma nel quale abbiamo riconosciuto le nostre idee. (Si ride). Intendiamoci: tali idee, poiché le abbiamo tutti e due prese allo stesso ceppo, si rassomigliano. Abbiamo visto che abbiamo lo stesso programma. Tempo fa ho avuto occasione di scrivere – quando mi si e rivelato il cosmico intelletto dell’onorevole Tremelloni – ch’ero addirittura sbalordito della rivelazione, e che mi domandavo perché egli era rimasto così indietro a quello che noi avevamo progettato.

Poi ho pensato: forse repubblicani e saragattiani non ci vogliono perché siamo ancora sotto un marchio di fascismo, come quando siamo entrati in questa Assemblea con passo clandestino. Ma ho dovuto subito rispondermi di no, perché una dichiarazione di democraticità ci è venuta dalla più autorevole cattedra di democrazia che è in quest’Aula, e precisamente dal settore comunista (Si ride) e per la penna dell’onorevole Togliatti.

E allora quale ha potuto essere la ragione per cui questi due partiti si sono opposti alla nostra partecipazione al Governo? Intendiamoci: sempre limitata alla presenza nel Consiglio di presidenza per sorvegliare le elezioni, non già per assicurarci la direzione del monopolio dei carboni o della benzina o per realizzare altre fruttifere ideologie. (Si ride). Solo per le elezioni, ripeto. Qual è la ragione per cui siamo stati esclusi dalla nobile gara, e messi fuori in tal modo che abbiamo sentito il bisogno – una canzone napoletana dice: «Io so’ signore e tengo ’o core cchiù signore ’e me» – di dichiarare, in un ordine del giorno, che non volevamo di più, e che avremmo partecipato «solo se richiesti», e apertamente richiesti, appunto perché non intendevamo farci mettere alla porta?

Oggi abbiamo il piacere, in questa seduta, di constatare che è stato meglio per noi non far parte di questo Governo di pacificazione (Si ride), che ci ha dato una edificante dimostrazione, con le violente interruzioni lanciate anche dal banco del Governo, di quale pacificazione sia quella a cui andiamo incontro. (Commenti). Mi struggo dal desiderio di sapere da questi due Ministri, che poi, privatamente, sono due buoni amici, perché non ci hanno voluti. Debbo pensare che non ci hanno voluti per ragioni di interesse? No, perché abbiamo tassativamente escluso le ideologie di cui ho parlato prima. (Si ride). Debbo pensare, Pacciardi, che lei aveva paura dei comunisti, che lei Saragat, aveva paura dei comunisti? Debbo pensare che voi non ci avete presi nel vostro Governo perché avevate paura di mettervi contro i comunisti? Se debbo pensare questo, vi dichiaro che sono veramente lieto, davvero contento – è una seconda contentezza, onorevole signor Presidente del Consiglio – di non far parte di questo Ministero in cui sono Ministri che hanno paura.

Ma altra ragione non mi pare vi possa essere. L’esempio di democrazia che ha dato il nostro Partito non lo ha dato nessun partito qui dentro; nessuno dei partiti qui presenti, ha una sua Camera dei deputati interna come ce l’abbiamo noi, il cosiddetto parlamentino. (Si ride – Commenti). Ridete come volete, ma il fatto è innegabile. Nessuno dei vostri partiti ha capi che siano stati eletti più democraticamente dei nostri. E finalmente, nessuno dei vostri partiti è stato capace delle fiere ribellioni di cui siamo stati capaci noi; fiere ribellioni contro forze potenti, che ci hanno attirato la stima dei nostri avversari, forse il disprezzo di qualche amico, o falso amico, ma certamente l’espressa ammirazione di tanta gente che prima ci giudicava con superficialità e sufficienza.

Allora, mancando il primo pretesto, mancando il secondo, mancando il terzo, io non devo fermarmi che sul quarto: ossia debbo pensare che questi due grandi partiti abbiano avuto paura d’urtarsi con i comunisti per noi. E se così è, noi trarremo le nostre conseguenze da questo fatto, e le trarremo alla prima occasione, amico Pacciardi, perché ci son colpi che in politica si possono ricevere solo a patto di restituirli, perché bruciano, e troppo.

Risolta la questione della nostra non partecipazione al Governo e delle ragioni ancora misteriose che l’hanno determinata, noi vorremmo sapere, non a parole ma a fatti, quale è la ragione per cui è stato fatto questo rimpasto. Se non è per le elezioni, se non è per garantire a tutti i partiti la genuinità delle operazioni elettorali, a quale scopo è stato fatto questo cambiamento di Governo? La crisi è durata circa due mesi, cioè a dire dal 4 ottobre all’altro ieri. Una prova di più che era necessario cambiare il Governo è che lo si è cambiato; ma perché lo si è cambiato in questa forma bipolare è quanto non riusciamo a capire. Siamo disorientati da quello che leggiamo sui giornali (la politica ormai si fa sui giornali, non più qui dentro) da alcuni dei quali abbiamo appreso che questo era un Governo tale e quale a quello che v’era prima.

Da giornali di altri partiti abbiamo saputo invece che era stato tutto scombussolato e cambiato. V’è poi l’onorevole Togliatti che ha battuto un vero primato. Egli ci ha innanzi tutto gradevolmente sorpresi presentandosi in veste di costituzionalista. In tale veste egli ci ha dichiarato che questo Governo era incostituzionale, e che era incostituzionale perché era un altro Governo e non si trattava d’un rimpasto. Senonché sull’Unità, giornale con cui io credo che l’onorevole Togliatti abbia intimi rapporti (Si ride), si legge niente di meno che questo: «Il rimpasto è fatto ma il Governo è sempre nero. È il tema delle conversazioni che si terranno giovedì alle ore 19 nelle sessantaquattro sezioni romane del Partito comunista». (Si ride). Debbo pensare che l’onorevole Togliatti è smentito dal suo partito? Badi, onorevole Togliatti, quando capitano questi infortuni è difficile salvarsi come mi son salvato io. (Si ride). Non so dove andrebbe a finire lei. Io me la sono cavata, ma per lei chissà che cosa potrebbe accadere!

Ora, questo Ministero è nuovo o non è nuovo? E se è nuovo che cosa si propone? L’onorevole De Gasperi ce lo ha detto, l’onorevole De Gasperi ci ha parlato di ordine, di disciplina sociale; ci ha detto quelle brevi parole che si dicono – di solito sono parole in libertà, di circostanza – ma effettivamente non ci ha enunciato niente su cui noi potessimo appuntare una critica magari infondata. Praticamente non possiamo criticare questo Ministero, perché non sappiamo che cosa ci darà di nuovo, a meno che la presenza di questi due nuovi partiti nel Governo non voglia imprimere al Governo un andamento rivoluzionario; ma in questo caso noi abbiamo il diritto di chiedere: signori, diteci che cosa voi volete veramente fare, perché, stando a ciò che avete l’aria di prometterci, voi non dovete limitarvi a fare le elezioni in aprile, o ai primi di maggio, come io spero, ma chissà quali miracoli.

Il guaio è, però, che in questo brevissimo lasso di tempo io non so che cosa potete fare, non so che cosa vi permetteranno di fare certi determinati ceti, i quali non sono affatto d’accordo con la pianificazione e la socializzazione; per la qual cosa io mi domando quale è la ragione per cui v’è un Partito socialista in questo Governo, quando è più che evidente che non può realizzare il socialismo. Tanto valeva che se ne stesse sui suoi banchi. Non parliamo poi del Partito repubblicano, il quale, non dovendo realizzare altro che la Repubblica, come giustamente ha osservato l’onorevole Nitti, non può che definirsi Partito repubblicano conservatore o progressista, oppure considerarsi un partito che ha esaurito nobilmente, ma sempre esaurito, il suo compito avendo raggiunto il suo obiettivo.

È anche a questa domanda che noi chiediamo rispettosamente una risposta, onorevole signor Presidente del Consiglio. E ciò con nessuna idea d’intralciarla nel suo lavoro, con nessuna volontà di darle fastidio.

Io credo che, in un certo senso, la sua opera debba esser veramente benedetta da Dio, protetta dal destino, perché lei riesce a far applaudire il mangiamonarchi Pacciardi dai monarchici. (Interruzioni all’estrema destra). Sì, ho udito gli applausi, anzi li ho visti gli applausi. Mi compiaccio, onorevole De Gasperi, perché lei riesce a far applaudire Pacciardi dai monarchici, lei riesce a ottenere il consenso di ceti, oserei dire plutocratici, avendo in casa il marxismo di Saragat, marxismo al quale l’onorevole Saragat non rinunzia. Lei riesce anche ad altro: il solo partito che poteva dar fiera noia al suo è il Fronte dell’Uomo Qualunque, avendo lei massacrato tutti gli altri. Bene: lei è riuscito a farsi cavare questa castagna dal fuoco dall’intelligenza strategica del Partito comunista che ha assalito le nostre sedi: mentre il nostro era l’unico Partito che il comunismo non avrebbe dovuto toccare, perché era ed è l’unico Partito che avrebbe potuto dare e dà fastidio alla Democrazia cristiana. Il comunismo invece ci si è buttato su come, non posso dire un toro, ma come un bue, perché, quando l’azione è stupida, non può avere sesso.

Il comunismo s’è gettato sulle sedi qualunquiste con l’illusione di distrugger l’Uomo Qualunque, ed è riuscito soltanto a rivelare a tutti l’enorme numero di sedi che abbiamo in Italia. Mentre degli altri partiti sono state toccate due, tre, quattro sedi, nell’elenco presentato dal Governo, e che, quindi, è ufficiale, noi abbiamo l’onore di figurare con 49 sedi. Siamo il Partito più numeroso, meglio impiantato, più diffuso, più organizzato, e ce la vedremo alle prossime elezioni, che noi faremo con danaro o senza danaro, con mezzi o senza mezzi; tirando fuori, colleghi dell’estrema sinistra – questo non ve l’ho mai detto, questo non ho voluto dirvelo mai, ma oggi ve lo dico, perché non dovete pensare che qui non si sia pronti – tirando fuori gli stessi vostri metodi ove voi ce ne imponiate la necessità. Noi possiamo scherzare su molte cose, possiamo, per la necessità di persuadere gli Stati Uniti d’America che non siamo totalitari, subire anche qualche prepotenza; ma, in materia di elezioni, no! Con le elezioni non si transige.

Quindi, o cambiate strategia politica e rimandate i vostri generali a imparare dall’ottimo Kutuzoff, o preparatevi a qualche cosa di molto spiacevole che sarete voi ad aver provocato.

Voi, dico: soltanto voi; perché se io mi son sempre rifiutato di fare un blocco di destra e ho subito insidie, combattimenti, perfino attacchi brutali basati sul danaro – di cui m’infischio, perché continuo e continuerò a vivere lo stesso – perché non ho voluto piegarmi a fare quanto voi sapete, voi, con la vostra politica dissennata, respingendo il mio Partito verso posizioni d’estrema destra, sarete i responsabili di ciò che accadrà domani se non cambierete sistema, se non imparerete a vivere come si deve vivere con una parte politica come la nostra, che ha dato lezioni di lealtà a tutti quanti, e non ne ha ancora dovuto ricevere…

TOGLIATTI. Onorevole Giannini, noi vi abbiamo chiesto di liberarvi dai fascisti, niente di più.

GIANNINI. Onorevole Togliatti, si liberi anche lei dei suoi fascisti! (Ilarità – Applausi al centro e a destra). È questo che io le domando: si liberi dei suoi fascisti ed io non richiamerò i miei, perché non ne ho più. Ma è lei che mi costringe a richiamarli, e il giorno che li richiamerò non so cosa accadrà. (Rumori all’estrema sinistra).

PAJETTA GIANCARLO. Male!

GIANNINI. Pajetta, io vengo a Piazza del Duomo a parlare!

Una voce all’estrema sinistra. Qui ci sono i partigiani!

PAJETTA GIANCARLO. Puoi venire a Piazza del Duomo se ti comporti bene!

Una voce a destra. Perché, sei tu il padrone di Piazza del Duomo? (Commenti).

GIANNINI. Non hai idea di ciò ch’è stata l’opera mia per impedire in Italia la guerra civile!

PAJETTA GIANCARLO. Nessuno t’ha mai impedito di parlare!

GIANNINI. Lasciamo andare. Ci siamo capiti, no? (Si ride). Allora, onorevole De Gasperi, e salvo questa piccola parentesi che era dovuta ai colleghi dell’estrema sinistra, io dichiaro che è difficile lottare con lei. Lei riesce, come ho detto, a far applaudire Pacciardi dai monarchici, lei riesce a consolare gli industriali, lei riesce a servirsi del Partito comunista contro il Qualunquismo, lei riesce a tutto! Evidentemente lei è protetto dal destino e io al destino non mi posso ribellare.

D’altra parte, il modo come lei ha trattato l’Assemblea Costituente nemmeno mi dispiace. Certo, vi sarebbe da fare qualche obiezione sulla disinvoltura con cui si è rifatto il Governo, perché, insomma, l’onorevole Togliatti non ha poi tutti i torti quando dice che vuol essere sentito anche lui, ch’è anche lui qualcuno e rappresenta qualche cosa. Ugualmente l’onorevole Nenni rappresenta anche lui qualche cosa; né mi sembra che i due enormi partiti che oggi collaborano con lei rappresentino qualche cosa più di noi, e ne abbiamo continuamente prove confortanti; lo vediamo nel Consiglio comunale di Roma, lo vediamo in tutte lo elezioni amministrative che facciamo.

Ora – è un po’ difficile dir questo con parole acconce – io penso, signor Presidente del Consiglio, che lei abbia un po’ trascurato questa Assemblea; ma non gliene faccio troppo aspro rimprovero, perché forse questa Assemblea merita d’esser trascurata, merita d’esser un po’ presa in giro, di trovarsi a ogni momento di fronte a un Governo nuovo, a qualche situazione nuova.

Lei forse, onorevole Presidente del Consiglio, non è il Duca di Richelieu di questa Italia in ricostruzione, non ne è forse neppure il Cardinale Mazarino: ma ne è certamente l’abate Scarron, il poeta burlesco.

Una voce all’estrema sinistra. Non è poeta, De Gasperi.

GIANNINI. Ma è burlesco. Lei, onorevole De Gasperi, è l’uomo che ci vuole per noi e io la ringrazio di sottoporsi a questa improba fatica di governare. Le dirò che personalmente le prometto il mio voto, e che cercherò di convincere il mio Gruppo – che non vuol votare per lei – a votare per lei. E glielo prometto per ragioni di logica e d’eleganza per distruggere un controsenso. I miei amici di Gruppo, quando con i nostri voti potevamo buttarlo giù, non hanno voluto votare contro di lei; e adesso che lei dei nostri voti non sa assolutamente che farsi, perché ha le falangi saragattiane e pacciardiane, adesso le vogliono votare contro. (Si ride).

Ciò dimostra l’ingenuità, ma anche la purezza, degli uomini qualunque (Viva ilarità), i quali non conoscono l’intrigo. Io però l’ho imparato il mestiere, e so che le elezioni ci daranno altri maestri con cui lei potrà fare altri e migliori conti.

Spero fermamente di raggiungere lo scopo di far votare il mio Gruppo in suo favore, non perché lei ne abbia bisogno, ma perché è necessario che il suo Governo e il suo Partito non si diano troppo vanto del belletto rosso che si son messi sulle labbra e sulle guance. Lei deve passare, ma deve passare e anche coi nostri voti. (Si ride).

Lei deve passare anche con i nostri voti, e non solamente con quelli dei suoi nuovi soci, per i quali, non potendo far loro maggior dispetto, voterò in favore. (Si ride). Spero di non avere un’altra crisi di Gruppo dopo questo discorso… (Applausi a destra – Commenti – Ilarità) a meno che dalle sue prodighe mani non sian piovuti altri impegni, o altre promesse di sottosegretariati: promesse e impegni che lei m’ha dato la grande gioia di non mantenere dopo averli dati. (Commenti). Grazie, onorevole signor Presidente! (Vivi applausi – Moltissime congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Ministro degli affari esteri. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Onorevoli colleghi, cercherò di rispondere brevemente, chiaramente e serenamente ai vari punti sollevati dai colleghi in questa discussione, specialmente dagli onorevoli Togliatti, Nenni, Giannini ed altri.

Poiché credo mio dovere riferirvi i fatti come stanno, con assoluta obiettività e chiarezza, senza alcuna passione di parte e avendo riguardo solamente a quelli che sono gli indissolubili interessi dell’Italia e della pace, incomincerò col leggervi nel suo testo integrale la dichiarazione di Truman.

Iniziando il mio dire con questo argomento, rispondo, con suo cortese permesso, anche all’onorevole Negarville, che presentò un’interpellanza sulla dichiarazione Truman.

Truman disse: «Sebbene gli Stati Uniti stiano ritirando le loro truppe dall’Italia, adempiendo così agli obblighi del Trattato di pace, essi continuano ad essere interessati alla preservazione di un’Italia libera e indipendente. Se nel corso degli avvenimenti divenisse evidente che la libertà e l’indipendenza dell’Italia, su cui riposa il Trattato di pace, fossero minacciate direttamente o indirettamente, gli Stati Uniti, quali firmatari del Trattato e quali membri delle Nazioni Unite, sarebbero obbligati a considerare quali misure sarebbero appropriate al mantenimento della pace e della sicurezza».

Questo è il testo della dichiarazione.

L’onorevole Nenni ha asserito che la Carta dell’O.N.U. non può applicarsi ad un Paese che non appartiene alle Nazioni Unite, e che detta Carta non parla in nessun caso di interventi limitatori della dignità di uno Stato da parte di un altro. Ed è stato da taluno affermato che invano si cercherebbe nel Trattato firmato a Parigi e ratificato dalla Costituente la clausola o le clausole alle quali si riferisce il Presidente Truman.

Ecco in realtà le cose come stanno.

La formula di Truman «libertà e indipendenza» trova piena e completa rispondenza sia nel Trattato di pace che nella carta delle Nazioni Unite.

Il primo termine «libertà» riassume in sé l’articolo 15 del Trattato di pace, il quale definisce la libertà nel suo valore estrinseco. L’articolo 15 dice infatti:

«L’Italia prenderà tutte le misure atte ad assicurare a tutte le persone sotto la giurisdizione italiana senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione, il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ivi comprese la libertà di espressione, di stampa e pubblicazione, di culto religioso, di opinione politica e di riunione pubblica».

Vi è chi ha sostenuto che gli articoli del Trattato di intonazione politica si riferirebbero solo alle possibilità di una restaurazione fascista.

Queste possibilità sono menzionate nell’articolo che segue, articolo 17 del Trattato che dice a sua volta:

«L’Italia che, giusta i termini dell’Armistizio, ha preso le misure per dissolvere le organizzazioni fasciste in Italia, non permetterà il risorgere di tali organizzazioni sul suolo italiano, siano esse politiche, militari o semi militari».

La Conferenza della pace ha dimostrato nei suoi vari procedimenti che questi due articoli, il 15 e il 17, si tengono per mano: essi sono stati negoziati uno accanto all’altro. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica furono fra gli Stati che più insistevano.

Cumulativamente i due articoli coprono l’eventualità di nuove dittature, sia di destra che di sinistra. In linea di principio entrambi danno il modo, non solo agli Stati Uniti, ma a qualunque altro firmatario del Trattato, di invocare il Trattato di pace nel caso che l’una o l’altra o entrambe le eventualità avessero a verificarsi.

Il secondo termine della formula di Truman «indipendenza» si ritrova al paragrafo 4° dell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite. Dice l’articolo in parola: «tutti i membri che si asterranno nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato».

Quindi la Carta delle Nazioni Unite copre anche l’Italia, sia essa o no membro dell’O.N.U. Inoltre dal contesto risulta che «indipendenza» è intesa come indipendenza da una minaccia esterna.

La formula di Truman si presenta, quindi, come la classica formula di sicurezza della Carta di San Francisco, la formula «integrità e indipendenza», il cui primo termine è costituito dal «freedom», la integrità rappresentata dagli articoli 15 e 17 del Trattato ed il cui secondo termine «indipendenza» è ulteriormente rafforzato nella specie dalle clausole territoriali del Trattato, all’articolo 2.

Queste del Trattato e della Carta delle Nazioni Unite sono, mi domando, limitazioni o garanzie della vita internazionale?

NENNI. Le più contrarie a noi che possano essere concepite.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Vedremo.

Queste del Trattato e della Carta delle Nazioni Unite, ripeto, sono limitazioni o garanzie della vita internazionale?

Con questa interrogazione che mi pongo, penso appunto di rispondere all’interruzione dell’onorevole Nenni. Sono limitazioni? Lo sono per chi crede a quel mito della sovranità assoluta dello Stato che è stata la ragione prima di tutte le recenti guerre; ma sono una felice garanzia per chi crede nel consorzio internazionale che obblighi i vari Stati ad essere solidali l’uno con l’altro, legati da un comune supremo interesse: la pace. (Approvazioni).

Vorrei ora rispondere all’onorevole Nenni su un altro punto. L’onorevole Nenni richiamò – e non gliene faccio nessuna critica, al contrario, perché certi richiami, certi incoraggiamenti sono sempre utili, anzi necessari – il precedente di Cripps, il Ministro principale dell’attuale Gabinetto britannico per tutto ciò che riguarda questioni economiche, il quale ha fatto e sta facendo una serie di accordi economici, anche con l’Unione Sovietica. Ora, se l’osservazione dell’onorevole Nenni implicava critica a una pretesa accidia o indolenza del Governo italiano, egli aveva torto; aveva torto per quanto riguarda non solo me ma anche lui stesso; fu egli, infatti, che, lodevolmente, quando era mio predecessore agli esteri, nell’inverno 1946, ordinò passi dell’ambasciatore Brosio a Mosca per arrivare a un accordo economico con la Russia.

Quando io ebbi l’onore di succedere all’onorevole Nenni continuai per questa identica strada. Nel maggio del 1947 per mie istruzioni l’ambasciatore Brosio sollecitò che si addivenisse a studi comuni per un accordo economico. Nessuna risposta venne, e nel luglio ripetei (i colleghi lo ricorderanno) questo invito, questa speranza, questa invocazione di un accordo economico con l’Unione Sovietica, proprio qui, in quest’Aula. Il 29 settembre scorso, in seguito a successivi accenni che feci più di una volta con l’onorevole rappresentante in Roma dell’Unione Sovietica, questi mi fece conoscere finalmente che il suo Governo era disposto a entrare in contatto con noi, per questioni economiche. Lo presi subito in parola, espressi vivo compiacimento per questa dichiarazione che egli mi aveva fatto, e feci subito porre allo studio un esame di quelli che potevano essere gli scambi più utili fra noi e l’Unione Sovietica.

E questo feci, perché non volevo mandare immediatamente una missione che parlasse nel vuoto sicché potesse poi dirsi che i negoziati con l’Unione Sovietica erano stati un fiasco. Feci farò uno studio approfondito, su due colonne, di ciò che noi speriamo poter avere dall’Unione Sovietica e di ciò che noi possiamo dare all’Unione Sovietica. Noi precisammo le merci essenziali di cui il nostro Paese ha bisogno, fra le quali primissime il grano e le materie prime essenziali, e offrimmo alla Russia tutta la gamma della nostra produzione tradizionale e anche, in particolari condizioni, la fornitura di macchinari e di attrezzature industriali. Analoghe comunicazioni il Ministero degli affari esteri ha fatto il 3 novembre all’Ambasciatore dell’Unione Sovietica.

Il 9 corrente, proprio pochi giorni fa, telegrafai al nostro Ambasciatore a Mosca di sottolineare al Governo sovietico il nostro desiderio di conoscere al più presto il suo pensiero circa la proposta da noi formulata e tutto l’interesse che noi vi annettiamo; e analoga comunicazione feci all’Ambasciata sovietica in Roma.

Ho il piacere di informare l’Assemblea che, proprio ieri 16 corrente, questa Ambasciata sovietica mi ha fatto sapere che è ora oggetto di attenta considerazione e studio l’insieme di progetti che le avevo fatto pervenire; e che l’Unione Sovietica considera che ciò rende possibile un prossimo inizio di conversazioni fra Roma e Mosca in argomento, e quindi l’invio di una nostra delegazione commerciale a Mosca.

Se, come mi auguro e come farò con lo zelo più vivo – con lo stesso zelo con cui ho combattuto lunghe settimane per arrivare a un accordo commerciale con la Jugoslavia – i negoziati avranno successo, noi saremo felici di aver contribuito a far venire grano russo in Italia, e tanto meglio se ai primi del prossimo anno. (Applausi al centro).

Ma torniamo alle critiche fatte alla formula Truman. Noi crediamo che la prima condizione di progresso internazionale e sociale consiste nel rendere impossibile che chi si presume potente e armato possa osare di scatenare una guerra solo perché è potente ed armato. È per questo, ancora più che per il fatto che un triste passato e un miope trattato ci ridussero disarmati fra super armati, è per questo, dico, che noi dobbiamo vedere, non solo senza sospetto, ma con sollievo qualsiasi manifestazione di volontà di pace che prescinda dai compartimenti stagni nazionalistici delle vecchie frontiere.

L’onorevole Togliatti ha oggi posto lealmente il dito sulla piaga, su questa somma di incomprensioni che avvelenano l’Europa. Parlare della formula Truman e attaccarla non è che un esercizio dialettico di polemica parlamentare. Il vero fondo è il dissidio circa il piano Marshall, ed io mi son sentito sollevato quando ho sentito che l’onorevole Togliatti poneva il problema nei suoi veri termini: che cosa si deve pensare del piano Marshall. Credo che l’onorevole Togliatti, se ben ricordo, ha detto che questo piano Marshall nessuno sa cosa sia. È verissimo. Mi sembra di ricordare (accade spesso che qualche frase di chi ha parlato rimanga nelle proprie orecchie) che l’ultima volta che parlai qui all’Assemblea per l’unione doganale italo-francese, rispondendo a una interrogazione dell’onorevole Persico, mi venne fatto di citare il piano Marshall, e dissi: «Il piano Marshall, anzi mi correggo, il cosiddetto Piano Marshall». È così; e che non lo si veda, mostra quanto sia pericolosa e fatale questa atmosfera di sospetti, di incomprensioni, di gelosie che avvelenano l’Europa e forse anche paesi al di là dei mari.

In realtà, lo ripeto ancora una volta, il vero protagonista dell’attuale politica mondiale non è una volontà di potenza da una parte, né una volontà di attacco dall’altra. È il sospetto, il timore, la incomprensione, la paura che accieca gli spiriti e che rende fatali gli equivoci.

Io aderii, primo fra tutti i Ministri degli esteri europei, alla proposta del piano Marshall, perché avevo sentito come era nato. Quando il Segretario di Stato Marshall parlò all’Università di Harvard, egli non fece affatto una questione di egemonia o di influenza americana in Europa.

Ricordatevi che per gli Stati Uniti il commercio con l’Europa rappresenta circa il cinque per cento dei loro interessi. Pensate quanto interesse hanno gli Stati Uniti economicamente in Europa. Nulla, quasi nulla. Ciò che importa agli Stati Uniti è che non vi siano più guerre; perché le guerre sono una rovina per loro, per le loro industrie e per i loro contribuenti.

Quando dall’America stessa sono sollevati, e si continuano a sollevare, dubbi sulla possibilità di azione e di successo del piano Marshall, non s’intende di fare un confiteor di ciò che essi tentarono con una generosità che un giorno si scoprirà essere stata ammirevole. Ma si lagnano che gli Stati europei non abbiano abbastanza contribuito alla concezione del piano Marshall, quale era sentita in America, e cioè: «Europa aiutati, che noi ti aiuteremo». Ma l’Europa doveva prima aiutarsi da sé.

E se il piano Marshall non ha sortito ancora gli effetti benefici che il Segretario di Stato Marshall si proponeva è perché troppi Stati europei hanno veduto nel piano un mezzo per acquistare piccoli vantaggi per essi soli, senza pensare che l’Europa è ormai a un punto che o noi tutti saremo tollerabilmente prosperi o noi tutti periremo.

E a questo proposito permettetemi di dire (non per me che non conto nulla: ero là per caso; un altro al mio posto avrebbe fatto lo stesso; ma per la Nazione italiana e per questa Assemblea che approvò questi concetti), permettetemi di dire che si riconosce nel mondo e specie in America che l’Italia almeno dette la prova che voleva fare un’azione non egoistica, che non voleva cercare denari per sé, che non voleva prestiti per sé; ma che desiderava l’innalzamento e il miglioramento della situazione europea. Perché noi italiani, consci come siamo della nostra laboriosità e della nostra inventività, sappiamo che in una Europa ricca, prospera e pacifica troveremo sempre la nostra via e la nostra vita. Noi mostrammo fra la stupefazione dell’Europa, alla Conferenza di Parigi, che volevamo dare una prova con i fatti e non con le parole, e quindi chiedemmo si mettesse immediatamente allo studio quella unione doganale italo-francese da cui si potrebbero attendere grandi guadagni economici e morali, per il fatto che il livello di vita sarà migliorato in seguito a maggiore quantità di merce. Spero con tutto il cuore che noi vedremo finalmente questa grande convenzione di carattere europeo che avrà provveduto fra altro al rialzo del livello di vita dei contadini del Mezzogiorno, che da noi del nord hanno avuto finora parole, parole, e mai un fatto. (Approvazioni).

Con questo ho risposto implicitamente anche all’onorevole Giannini. L’onorevole Giannini, in un momento di pessimismo, ha detto che l’Italia non può fare politica estera. Certo, ella ha perfettamente ragione se pensa che un daino o un capriolo possa osare di fronteggiare leoni e tigri. Ma se un daino parlante, se un capriolo parlante di fronte alla brutalità di grossi giganti si esprime e si afferma con idee che sono delle visioni di avvenire, questo, le assicuro, è forse il miglior modo di fare una politica estera. (Applausi al centro).

A questo punto è mio dovere, mio assoluto dovere di Ministro degli esteri, dare un’assicurazione all’onorevole Togliatti, del cui senso di responsabilità politica sono certo, per averne avuto prova più volte, quando fummo colleghi di Gabinetto: l’onorevole Togliatti è stato male informato, quando ha parlato di un ambasciatore estero che va girando nelle varie città d’Italia per provocare non so quali cospirazioni plutocratiche.

TOGLIATTI. Lo dicono i verbali delle riunioni.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Ho letto tutti i discorsi dell’ambasciatore Dunn; vi ho sempre trovato questa frase: «Badate, l’America non fa miracoli; bisogna che vi aiutiate da voi; voi avete talento, laboriosità, attività sufficienti per creare un’Italia piena di ricchezze, sonante di industrie, fiera di un’agricoltura progredita; fate questo e noi vi aiuteremo. Perché voi sapete com’è la razza umana; essa ama aiutare i ricchi».

Questo ha detto l’ambasciatore Dunn. Per questo da questo banco sento il dovere di ringraziarlo. (Applausi al centro).

Non temo affatto un tentativo di egemonia americana in Europa. Se l’America avesse avuto progetti di egemonia in Europa avrebbe fatto proprio il contrario del piano Marshall: avrebbe corrotto a poco a poco i singoli Stati, offrendo agli uni privative, agli altri prestiti. Invece, rivolgendosi all’Europa e dando a tutta l’Europa la possibilità di accordi collettivi, gli Stati Uniti provarono che volevano creare un’Europa forte, prospera, vitale, unita; ed è chiaro che un’Europa forte, prospera, vitale e unita non obbedisce a nessun Paese, a nessun Continente. (Applausi al centro).

Qualcuno può dirmi: «siete così ingenuo, da credere a questi sentimenti evangelici, a questa carità straordinaria fra Stato e Stato?». Non si tratta di questo. La generosità attuale dell’America proviene da due o tre ragioni profondamente realistiche, che vi sottometto brevemente. Una è che l’America ricorda con amarezza e vergogna il lungo periodo in cui il partito conservatore, colà chiamato repubblicano, durante le presidenze di Harding e di Hoover, si disinteressò dell’Europa, non volle dare nessun aiuto all’Europa e si ritirò dai Consigli della Lega delle nazioni e da qualunque attrazione solidale europea.

PAJETTA GIULIANO. Perché Hoover sostiene il piano Marshall? (Commenti al centro).

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Bravo, onorevole Pajetta: ecco la prova di quello che dicevo: che il protagonista avvelenatore del mondo è la paura, il sospetto, la mania di persecuzione. (Applausi al centro). Vuol dire che Hoover ha cambiato idea; vuol dire che, essendo stato sciocco prima, è diventato saggio ora. Anche lei, onorevole Paletta, cambierà idee: ne sia certo. Ella, onorevole Togliatti, è discesa a parlare di me come altezzoso aristocratico italiano. Debbo dirle, onorevole Togliatti, che, fuggendo dalla Francia caduta in balia dei nazi-fascisti, arrivai agli Stati Uniti con quattro o cinque dollari in tasca; mia moglie e i miei figli soffrirono la fame per settimane, finché una grande Università mi invitò a diventare suo professore, e poi passai ad altre. Avendo io vissuto non a Washington e a New York, ma in tutti i gangli vitali di quel Continente – perché è follia credere che si conosca l’America vedendo quattro pettegoli a Washington o quattro uomini d’affari a New York – sono arrivato alla sicura conclusione che gli Stati Uniti perseguono la loro attuale politica perché si ricordano dei brutti anni di Harding e di Hoover, ed anche perché c’è un particolare favore verso l’Italia: è inutile cercare di credere che dell’Italia si voglia fare un bastione strategico. La verità è che, per fortuna, l’elemento italo-americano da qualche decennio è molto aumentato di numero e di potenza. La prima volta che andai negli Stati Uniti – lasciando l’Italia nel 1927 – i deputati e i senatori italo-americani si potevano contare sulle dita di una sola mano, mentre adesso sono due o tre dozzine. Italo-americani sono nella Camera dei rappresentanti, nel Senato, sono sindaci di grandi città, sono un gruppo americano che diventa potente. Essi rappresentano ormai dei milioni compatti di voti. Questi italiani continuano a nutrire un amore profondo per l’Italia; questi italiani desiderano che l’Italia rinasca, ed è anche per questo che l’America fa verso di noi una leale amica politica. (Vivissimi applausi al. centro e a destra).

Io non vi presento come santi gli statisti americani; essi hanno anche bisogno del voto degli italo-americani, e questo ci garantisce simpatie profonde.

Ricordando che la storia ha dei corsi e dei ricorsi, e ricordando l’opprimente periodo dell’isolazionismo negli Stati Uniti, sapendo che sempre pochi sono i convertiti – e fra questi l’ex Presidente Hoover – mentre altri continuano ad avere odio per lo straniero e a mantenere quel senso di superiorità che è il primo segno della decadenza e dicono che l’America deve far da sé e non deve aiutare l’Europa, si ha un bel dire che si tratta soltanto di una minoranza; è certo vero che la grande maggioranza del Paese ha capito che quando si ha la potenza si deve avere anche la responsabilità e si deve compiere il proprio dovere internazionale, nel senso di assicurare la pace. Ma, se gli odî, gli insulti, gli sberleffi continuano all’infinito, non è escluso che gli americani torneranno una volta ancora all’isolazionismo; quel giorno la colpa non sarebbe loro; dovrebbe cercarsi altrove. (Vivi applausi). Ma il giorno – sentite bene, tanto noi concepiamo profondamente l’unità dell’Europa senza divisioni, né ire, né gelosie, né blocchi – il giorno che gli americani tornassero all’isolazionismo, poco tempo dopo, malgrado le fallaci apparenze attuali, tutti i popoli d’Europa, dall’Italia alla Russia, dall’Inghilterra alla Turchia, presto ne pagherebbero il costo. (Vivi applausi a sinistra, al centro e a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Negarville, poiché il Ministro degli esteri, in questo suo intervento, ha risposto anche all’interpellanza da lei presentata nei giorni scorsi, le do la parola per dichiarare se sia sodisfatto.

NEGARVILLE. Mi ritengo dispensato dallo svolgimento dell’interpellanza, la quale ha avuto la possibilità di essere svolta dagli oratori che mi hanno preceduto. Ringrazio l’onorevole Ministro degli affari esteri di avermi voluto rispondere in questo suo intervento. Mi limiterò a toccare solo quei punti che hanno costituito oggetto della mia interpellanza e non mi soffermerò sugli altri aspetti di politica generale.

I documenti a cui si riferisce il Presidente Truman sono il trattato di pace e lo statuto delle Nazioni Unite. Noi avremmo dovuto trovare in questi due documenti qualcosa che ci permettesse di interpretare come plausibile l’intervento del Presidente Truman, l’intervento unilaterale di una qualsiasi potenza straniera negli affari italiani qualora si realizzassero le condizioni previste dagli articoli 15 e 17 del Trattato di pace.

Faccio osservare che tanto lo statuto delle Nazioni Unite quanto il Trattato di pace non parlano mai, né in modo esplicito né implicitamente, di un intervento unilaterale di una qualsiasi potenza. È previsto il caso in cui o il Consiglio delle Nazioni Unite o le quattro potenze firmatarie del Trattato di pace possono intervenire nelle cose italiane, così come è previsto anche per altri Paesi; ma sempre questo intervento è concertato, sempre è o la determinazione di un accordo o la deliberazione del Consiglio generale delle Nazioni Unite.

In quali casi d’altronde è previsto questo intervento? Nei casi in cui l’Italia, che è uscita dal fascismo, che ha fatto la guerra, prima in un senso poi in un altro, non dia garanzie sufficienti per ricostruirsi sul piano della democrazia e del rispetto di quelle libertà per cui la guerra è stata combattuta, per cui si è creato l’organismo delle Nazioni Unite e per cui si sono avuti gli altri strumenti diplomatici precedenti al trattato di pace.

La prima ipotesi di un intervento, sempre collettivo e mai unilaterale, è data dalla possibilità della rinascita del fascismo in Italia. Questo è il primo caso che verrebbe preso in considerazione dalle Nazioni Unite. D’altronde, se si pensa ai documenti precedenti (dichiarazione di cobelligeranza, dichiarazione della prima conferenza di Mosca sull’Italia ecc.), ci si accorge che il problema del fascismo, allora certamente più scottante che non adesso, fu posto come problema principale, nell’interesse delle Nazioni Unite, per la politica interna italiana. Manca ogni allusione alle ipotesi, richiamate dall’onorevole Ministro degli esteri, di una dittatura di sinistra, posta sullo stesso piano di una dittatura di destra; e questo perché nessuno dei firmatari degli strumenti diplomatici – trattato di pace e dichiarazioni ad esso precedenti – ha mai ammesso la possibilità di una rivoluzione di tipo bolscevico in Italia, e quindi la necessità di concertazioni tra i firmatari per parare questo tentativo; la sola ipotesi politica, ripeto, è quella della possibilità di una resurrezione del fascismo.

Questo e soltanto questo si evince dai documenti; ed allora, perché, onorevole Sforza, ella dà una interpretazione che mi pare sia ancora più larga di quella del signor Truman al significato dei documenti e all’applicazione del Trattato di pace?

Ella ha parlato di umiliazione; certamente sarebbe una umiliazione! Se nel trattato di pace vi fosse una clausola con la quale si autorizzasse un intervento unilaterale, di qualsiasi Paese – intendo riferirmi a qualsiasi Paese firmatario del Trattato di pace, un giudizio soggettivo per intervenire nelle cose italiane, l’Italia sarebbe un protettorato.

Né si possono interpretare tutte le clausole politiche del Trattato di pace così come le ha interpretate il Ministro degli esteri, perché sarebbe l’interpretazione più dannosa che si potesse dare, come quella di ricavare dal Trattato di pace una situazione di protettorato sull’Italia, il che non è.

Di fronte a una dichiarazione così grave come quella del Presidente degli Stati Uniti, noi avevamo chiesto che cosa intendeva fare il Governo: se il Governo intendeva cioè, nelle forme diplomatiche dovute, far sapere al signor Truman che il suo intervento, la sua dichiarazione, non poteva essere gradita; oppure (e questa è la situazione che io confesso di avere introdotto nella mia interpellanza) oppure se non fosse stata richiesta e provocata questa dichiarazione…

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mai! Mai! Mai!

NEGARVILLE. Io le sono grato di questa precisazione. (Interruzione del deputato Nenni).

PRESIDENTE. Onorevole Nenni, l’interpellante non è lei.

NENNI. Però abbiamo sottoscritto l’interpellanza anche noi.

NEGARVILLE. Io sono grato al conte Sforza di questa risposta: voi non l’avete dunque richiesto. Si tratta allora dell’intervento di un uomo politico, sia pure Presidente di un grande Paese con cui dobbiamo avere rapporti di amicizia ritenuti dal Governo indispensabili per la Nazione; ci si trova quindi di fronte a un intervento arbitrario di un uomo politico che si richiama a convenzioni stipulate con il nostro Paese, le quali non esistono. Ma, secondo me, si tratta di altre cose: negli ambienti ufficiali degli Stati Uniti si ha una rappresentazione della situazione interna italiana – che è quella cui si richiama, cui fa allusione il Presidente Truman – assolutamente falsa, che nuoce non al Partito comunista italiano ma al Paese. (Commenti – Interruzioni al centro).

Quali sono le fonti d’informazione di questi personaggi ufficiali statunitensi che, secondo una corrispondenza da Washington del 13 scorso, pubblicata da un giornale americano di Roma, dicono che «gli scioperi diretti dai comunisti possono estendersi in tutta Italia, dopo che le truppe americane l’abbiano lasciata»? Mi pare che qui in Italia si trovi la fonte di queste notizie.

Dice inoltre il giornale in parola:

«Essi (cioè questi ambienti ufficiali) considerano lo sciopero generale nella provincia di Roma come un’evidente manovra del Partito comunista italiano per saggiare l’efficacia delle contromisure del Governo. La presenza delle truppe americane impediva ai capi comunisti di avventurarsi in una tale campagna, perché questi disordini prima della partenza delle truppe americane avrebbero potuto in qualche modo prolungare la permanenza delle truppe stesse. Lo sciopero generale dei lavoratori esteso in tutta Italia dalle organizzazioni dominate dai comunisti non sorprenderebbe gli ambienti ufficiali americani. Questi ambienti ufficiali hanno espresso la fiducia che il Governo De Gasperi si prepari ad impedire l’estensione di questi scioperi e che il Governo abbia successo. La strategia comunista sarà nota fra poco tempo».

E il giornale conclude:

«Se i comunisti non si decideranno allo sciopero generale in Francia e in Italia nel prossimo futuro, questo significa che i limiti dell’espansione comunista sarebbero già toccati e raggiunti».

Ho voluto leggere questo, che è un rapporto ufficioso, diciamo, pubblicato da un giornale americano che esce a Roma e che riflette l’opinione degli ambienti ufficiali americani sul nostro Paese, naturalmente come conseguenza di informazioni che partono dall’Italia.

Io ho una breve esperienza del Ministero degli esteri; mi sia concesso di ricordarla. So che quando il Ministro degli esteri desidera informare un Governo sulla situazione del nostro Paese, ed informarlo per correggere le informazioni che si ritengono sbagliate, per far conoscere che certi giudizi debbono essere modificati, ha a sua disposizione molti mezzi, a cominciare dal proprio ambasciatore, dal proprio rappresentante diplomatico.

Ora mi pare che questi giudizi non siano stati modificati e non so se l’opera di informazione sia stata compiuta; e, se compiuta, evidentemente è stata infruttuosa, inefficace, dato che, se si dovesse credere a ciò che si ritiene negli ambienti ufficiali statunitensi, dovrebbe concludersi che in Italia siamo alla vigilia della guerra civile.

Evidentemente è per questa idea della guerra civile che il Presidente Truman dice in sostanza: se non intervengono gli altri, visto che i rapporti internazionali e le conferenze tra le grandi potenze non danno i risultati voluti, vi garantisco che interverremo noi.

Ma, intervento per che cosa? Forse per evitare una guerra civile che non vogliamo (e se c’è qualcuno che la vuole è probabilmente legato a coloro che vogliono intervenire)? (Commenti al centro).

Perché questi annunci di intervento? Anche supposto che i «quattro grandi» non riescano a mettersi d’accordo su un intervento, questo dovrebbe essere determinato da una situazione così grave per il nostro Paese quale non può certo essere rappresentata dalle nostre controversie interne e tanto meno segnalata dalle nostre rappresentanze all’estero.

Credo che il Presidente del Consiglio e il Ministro degli esteri abbiano commesso un errore grave non smentendo, non respingendo pubblicamente la dichiarazione di Truman, perché dietro questa dichiarazione vi è una errata interpretazione del Trattato di pace: errata interpretazione che è stata anche confermata qui dal Ministro degli esteri.

Dietro questa dichiarazione c’è tutta una manovra politica che puzza di provocazione nei nostri confronti (Proteste al centro); c’è il desiderio di determinare in Italia una situazione analoga a quella che già si è determinata in altri Paesi.

Ritengo che il non aver voluto ravvisare nella dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti un grave attentato alla libertà e all’indipendenza del nostro Paese abbia posto il Governo in una situazione difficile non di fronte agli Stati Uniti ma di fronte al popolo italiano, di fronte al popolo del nostro Paese. Si può essere infatti per gli Stati Uniti o contro gli Stati Uniti, per il piano Marshall o contro il piano Marshall, ma qui c’è il tentativo di far derivare dal Trattato di pace una situazione di sudditanza dell’Italia da un altro Paese che noi non possiamo né potremo mai tollerare da parte di questo come di qualsiasi altro Governo.

Ricordo che, quando fu discussa in Assemblea la ratifica del Trattato di pace, molte voci indignate si levarono in quest’Aula per l’umiliazione che ci era inferta. Onorevoli colleghi! Io credo che uguale se non maggiore indignazione si dovrebbe ora levare qui, e da parte del Governo, per questo fatto, in nome dell’Italia, in nome della sua indipendenza e della sua libertà. (Vivi applausi all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se non intenda procedere – occorrendo, previo parere del Consiglio di Stato – allo scioglimento del Consiglio comunale di Ravanusa (Agrigento), per le seguenti ragioni:

1°) grave pericolo di turbamento dell’ordine pubblico;

2°) necessità di assicurare – data l’anormale situazione locale nei confronti dell’ordine pubblico – il regolare funzionamento dei pubblici servizi di Ravanusa, come riconosce esplicitamente il prefetto di Agrigento nel decreto 8 dicembre 1947, col quale provvide alla nomina di un Commissario prefettizio nel comune di Ravanusa;

3°) gravissimi atti di faziosità commessi da quella Giunta comunale.

«Montalbano, D’Amico».

Chiedo al Governo di dichiarare quando intenda rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Farò conoscere domani la data in cui il Governo intende rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e del bilancio, perché vogliano finalmente provvedere alla ricostituzione dell’Amministrazione ordinaria del Banco di Napoli.

«Porzio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché consideri se non sia rispondente ai criteri di equità e di giustizia riassumere in ruolo, reintegrandoli nei loro diritti, gli insegnanti di educazione fisica (poco più di trenta in tutta Italia), già di ruolo prima dell’avvento del fascismo e passati, poi, per effetto della legge Gentile, prima all’Ente nazionale di educazione fisica, poi all’Opera nazionale Balilla ed infine alla G.I.L.

«Essi, forniti di diploma conseguito nei soppressi Istituti di magistero per l’educazione fisica di Roma, Napoli, Torino, che li autorizzava ad insegnare in ogni scuola secondaria di qualsiasi ordine e grado, divennero insegnanti di ruolo a seguito di concorso e subirono ispezioni per divenire ordinari.

«Il provvedimento si impone, ove si consideri che sono stati assunti in ruolo i provenienti dalla Farnesina, che non erano forniti di alcun diploma, non sostennero concorsi e non subirono ispezioni.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere per quali ragioni, dopo che il cognato del deputato Mentasti, professore Augusto De Benedetti, già titolare di una cattedra al liceo scientifico di Venezia, trasferito al liceo-ginnasio Marco Polo della stessa città, rifiutò di impartire le lezioni nella sezione di Lido del detto liceo, abbia ordinato la istituzione di un nuovo corso completo presso la sede centrale del ginnasio-liceo, corso al quale fu destinato il De Benedetti.

«Tonetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per richiamare la sua attenzione sulle recenti manifestazioni di Marrubiu e di Terralba (provincia di Cagliari) e sui gravi fatti di quest’ultimo Comune, nei quali sono da deplorare un morto e parecchi feriti. All’origine di questi fatti è l’inerzia dell’autorità prefettizia, per cui da anni rimangono insolute le controversie attorno alla richiesta di ricostituzione in Comune autonomo della attuale frazione di Marrubiu.

«L’interrogante chiede se il Ministro non ritenga necessario e urgente intervenire, affinché queste controversie siano finalmente risolte, nel rispetto degli interessi dei Comuni e in modo che il comune di Marrubiu riabbia quella autonomia cui ha diritto.

«Chiede, infine, di conoscere se l’impiego delle armi da parte dei carabinieri sia stato giustificato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lussu».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’industria e commercio e dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni per cui non è stata ancora autorizzata la costruzione della centrale termo-elettrica di Palermo, indispensabile per la regolare produzione dell’energia elettrica in Sicilia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’industria e commercio e del lavoro e previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti intendono adottare per cercare di migliorare le tristi condizioni nelle quali vivono gli operai della miniera A.B.C.D. di asfalto di Ragusa che prima della guerra dava lavoro a circa 1500 operai, mentre ora ne impiega solamente 400; e per conoscere quali provvedimenti intendono adottare nei riguardi degli attuali gestori della miniera stessa che, sembra, l’abbiano condotta ad un deficit di 90 milioni, mentre l’hanno rilevata con forti stocks di materiali, in perfetta efficienza ed in attivo. Questa cattiva amministrazione ha portato per conseguenza una forte disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bellavista».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’agricoltura e foreste, per conoscere se, in attesa che si provveda, secondo le richieste legittime delle categorie interessate, alla elaborazione di un provvedimento generale inspirato a criteri di obbiettività e di perequazione in ordine alla imposizione e al pagamento dei «contributi unificati», non ritengano doveroso concedere l’esenzione totale per i suppletivi 1947 e per gli ordinari 1948 ai comuni del Cassinate e degli altri in provincia di Frosinone, particolarmente danneggiati dagli eventi bellici ed in istato di grave dissesto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga di dover modificare una parte delle condizioni del bando dei concorsi magistrali, quali risultano dalla tabella n. 8720/50 dell’8 luglio 1947, e nella quale, fra i titoli di servizio alla lettera B, quando si parla di servizio militare o assimilato, si precisa che tale servizio deve risultare prestato, dopo il conseguimento del diploma, «dal 1940 al 1945».

«Ora, sta di fatto che numerosi insegnanti furono chiamati o richiamati alle armi, per esigenze anche belliche, fin dal 1938-39 e taluni rimasero continuativamente in servizio fino al 1947. Tale è il caso di coloro che furono fatti prigionieri e, trasportati nei campi dell’Australia, dell’india, del Kenia, ecc., ne poterono tornare, per ragioni di carattere militare e quindi indipendentemente dalla loro volontà, solo nel 1947. È evidente che tali insegnanti, stando alla lettera della tabella suddetta, pur essendo stati in servizio militare per 7, 8 e 9 anni effettivi, vengono a beneficiare di soli cinque punti complessivi, alla stessa stregua di coloro che furono militari per soli cinque anni complessivi (dal 1940 al 1945). Tutto ciò non è giusto. Ogni insegnante dovrebbe beneficiare di tanti punti quanti sono gli anni di servizio militare effettivamente prestato, sia prima del 1940 che dopo il 1945.

«L’interrogante, nell’attesa della risposta, si augura che l’onorevole Ministro vorrà accogliere il rilievo fatto ed apportare le modifiche opportune nel senso proposto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mannironi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se è vero che è in corso un provvedimento legislativo, col quale si autorizza l’assunzione in Magistratura di coloro che hanno esercitato funzioni giudiziarie, loro affidate dagli Alleati, e che ancora le esercitano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere:

1°) se ritenga corrispondente agli interessi degli studi medici l’abolizione della cattedra di ruolo di radiologia, disposta dalla Facoltà medica di Napoli e la istituzione di una cattedra di chimica per i medici, quando già esiste l’insegnamento di chimica generale regolarmente frequentato dagli studenti del primo corso di medicina;

2°) se non gli risulti invece che la istituzione della nuova cattedra risponda, come si afferma negli ambienti universitari napoletani, ad un piano prestabilito, per garantire al suo titolare di chimica per i medici, la successione alla cattedra di chimica biologica;

3°) e se solo questo è stato il motivo della indefinibile sostituzione di cattedre operata dalla Facoltà medica di Napoli, e come intenda il Ministro evitare gli abusi delle Facoltà che creano cattedre e le aboliscono solo per interessi personali, senza curarsi del superiore interesse e della serietà degli studi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Coppa».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 21.25.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione del disegno di legge:

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati.

Alle ore 16:

  1. – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio.
  2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati.

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.