Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 18 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

cccxxxviii.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 18 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Mozioni (Svolgimento):

Presidente

Bonomi Paolo

Persico

Bulloni

Bubbio

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Tonello

Burato

Avanzini

Lagravinese Pasquale

Fusco

Sicignano

Cevolotto

Bellavista

Gavina

Molinelli

Monticelli

Bertone

Carboni Enrico

Pressinotti

Cappi

Basile

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei Deputati. (48).

Presidente

Fuschini, Relatore per la maggioranza

Grilli, Relatore per la minoranza

Corbino

Scoccimarro, Presidente della Commissione

Scelba, Ministro dell’interno

Basile

Bellavista

Morelli Renato

Martino Gaetano

Donati

Nobile

Uberti

Candela

Mazzei

Piccioni

Badini Confalonieri

Targetti

Presentazione di relazioni:

Mastino Gesumino

Presidente

La seduta comincia alle 10.

FROGGIO, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Svolgimento di mozioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento delle seguenti mozioni:

Bonomi Paolo, Micheli, Bertone, Cotellessa, Baracco, Castelli Avolio, Bovetti, Bubbio, Coppa, Giacchero, Stella, Ferreri, Valenti, Monticelli, Perrone Capano, Ferrano Celestino, Camangi, Rapelli, Simonini, Pera, Coppi, Carbonari, Zerbi, Belotti, Sampietro, Villani, Froggio, Camposarcuno, Burato, Valmarana, Schiratti, Restagno, Vicentini, Ferrarese, Raimondi, Cappi, Benedettini, Meda Luigi, Conti, Rodinò Mario, Fabriani, Uberti, Morini e Bosco Lucarelli: «L’Assemblea Costituente, considerando che i conferimenti dei cereali (e particolarmente del grano) agli ammassi hanno raggiunto nel complesso i quantitativi previsti, ed è, conseguentemente, venuta meno la indispensabilità di perseguire anche singole piccole evasioni dovute, non a intenti di speculazione, ma a comprensibili preoccupazioni di alimentazione familiare e di fabbisogno aziendale, ravvisa la necessità di adottare un provvedimento di amnistia a favore dei produttori agricoli, imputati o condannati per mancato conferimento di modeste quantità di cereali. L’atto di clemenza, oltre a costituire un elemento di pacificazione sociale, sarebbe altresì di incitamento all’incremento della produzione cerealicola e all’adempimento dei doveri inerenti al prossimo ammasso per contingente»;

Persico, Cevolotto, Treves, Corbino, Bonino, Perlingieri, Guerrieri Emanuele, Candela, Gasparotto e Basile: «L’Assemblea Costituente invita il Governo a considerare se – dal momento che la legge sull’ammasso per contingente del grano per l’anno 1948 toglie il carattere di reato alle violazioni della legge stessa e commina per tutte le infrazioni esclusivamente penalità di carattere finanziario, e quindi fatti di maggiore gravità di quelli che possano essere stati commessi nel 1947 e negli anni precedenti non portano più a pene restrittive della libertà – non sia giusto ed equo stabilire con un provvedimento di indulto che le condanne a pene restrittive della libertà personale pronunciate e da pronunciare in base alle leggi precedenti siano condonate, ferme restando le pene pecuniarie».

L’onorevole Bonomi Paolo ha facoltà di svolgere la mozione da lui presentata.

BONOMI PAOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione da noi presentata al Governo non è soltanto la richiesta di un atto di clemenza, di un atto di bontà verso i contadini; ma io credo che innanzi tutto debba essere un atto di giustizia verso i produttori italiani di cereali.

Cosa è infatti avvenuto dopo la liberazione del territorio nazionale? Tutti i vincoli, tutti i controlli sono crollati, sono stati tolti: soltanto gli agricoltori sono stati costretti ancora agli ammassi del grano, agli ammassi dell’olio, ai vincoli sul vino, ai raduni del bestiame. Le altre categorie hanno invece potuto fare tutto quello che volevano. È vero che anche per le categorie industriali era rimasto ancora qualche vincolo e qualche controllo; ma la legge contro le evasioni è stata applicata esclusivamente agli agricoltori, e legge severissima. Io non intendo discutere la severità della legge, perché qualunque Governo ci fosse stato, ieri e oggi, aveva il dovere di usare tutti i mezzi per assicurare il pane agli italiani. Per questa ragione la legge era severa, severissima. Quando pensate, onorevoli colleghi, che anche per piccole sottrazioni di grano all’ammasso, di mezzo quintale, di un quintale, non era ammessa la libertà provvisoria, né era ammessa la condizionale! Quest’anno – anzi per il 1946-47 – il Governo era venuto incontro alle nostre richieste: aveva modificato la legge, lasciando la possibilità di dare la libertà provvisoria; ma poi, preoccupato dell’andamento degli ammassi, attraverso circolari aveva cercato di restringere anche quella che era allora la lettera della legge e di impedire che fosse data la libertà provvisoria a contadini colpevoli di aver sottratto uno o due quintali di grano. Legge severissima, che ha buttato in prigione dei contadini che nella loro vita non avevano conosciuto altro che il lavoro. Abbiamo visto anche contadini della nostra montagna, improvvisamente arrestati rimanere in carcere per due, tre, cinque, sei mesi, un anno.

Questa è la situazione. E chi c’è cascato sotto questa legge? Ci sono caduti i piccoli evasori, perché normalmente i grossi non ci incappano. Quando uno non sottraeva un quintale, ma forse qualche centinaio di quintali di grano, sapeva farla franca, non cadeva nella rete della legge, nella rete della giustizia, in un modo o nell’altro, con certi sistemi che non è forse qui il caso di citare. Dunque, ci sono caduti i piccoli.

Ma c’è un altro problema che deve essere da noi considerato. Qualcuno può dire: ma noi, attraverso queste richieste, attraverso queste mozioni andiamo a dare il premio alla borsa nera. E questo potrebbe essere immorale.

Un giorno, in un Comune della provincia di Viterbo trovai un maresciallo, il quale mi disse: «Questa mattina ho portato in prigione cinque contadini che ho trovato col grano. Però – ha aggiunto – oggi nel pomeriggio sono stato a Roma e la mia coscienza si è turbata; e stasera quasi ho un rimorso di coscienza». Perché? – gli ho chiesto. «Perché – ha detto lui – io ho fatto dei posti di blocco, sono andato a fare le perquisizioni nelle case dei contadini, a guardare sotto i letti, a guardare sotto i cassettoni, per vedere se c’era del grano; e sono stato a Roma e ho visto che in tutte le piazze, in tutte le strade si vendono pubblicamente il pane bianco, l’olio, lo zucchero e la farina».

Questa è la ragione importante: se si vuole colpire la borsa nera, bisogna colpirla da tutte le parti. Io non faccio una colpa al Governo di non esser stato capace di stroncare la borsa nera; no. Se qualche volta la Celere interveniva nei vari mercati della borsa nera, bloccava le strade, ecc. i borsari neri scappavano, ma dopo un quarto d’ora erano tutti ancora lì, coi prezzi aumentati, per farsi pagare quello che la Celere aveva loro portato via. Questa era la situazione.

Ma, può pensare o dire qualcuno, questo è un incoraggiamento alla borsa nera. No, perché ad un dato momento io ho il dovere di chiedere una cosa semplicissima; quale categoria produttiva non ha fatto, in questo dopoguerra e durante la guerra, la borsa nera? Non l’hanno fatta forse gli industriali produttori di scarpe, che le hanno prodotte a tremila lire e le vendono oggi ad 8 o 10 mila lire? Non hanno fatto la borsa nera i produttori di tessili, che hanno guadagnato milioni a palate con la esportazione, con la borsa nera della valuta, che hanno prodotto tessuti a mille, duemila lire al metro e ce li fanno pagare a diecimila, dodicimila lire al metro? Ed io chiedo ancora: non hanno fatto la borsa mera quelle fabbriche di concimi che nel 1944-45 nonostante l’intervento del Governo, nonostante l’intervento dei Ministri competenti, hanno continuato a vendere tutta la produzione alla borsa nera perché le commissioni interne hanno detto: o ci lasciate vendere o ci toglierete i mezzi per alimentare le nostre famiglie? Non hanno fatto la borsa nera? Ma io dico: la borsa nera l’hanno fatta un po’ tutte le categorie, ed il contadino del quale ci interessiamo oggi può aver fatto la borsa nera del mezzo quintale o del quintale, o ancora di due, tre quintali di grano. Se dovessimo andare in provincia di Treviso, in provincia di Bergamo dove i contadini sono stati costretti a dare venti, cinquanta chili di granturco, quanto possono aver guadagnato? Qualche centinaio di lire e per questo rischio sono finiti in carcere. Io vorrei chiedere: di quegli industriali e commercianti che con la borsa nera hanno guadagnato non qualche centinaio di lire, ma diversi e svariati milioni, quanti sono andati in prigione?

C’è stata una legge sulla disciplina dei pasti nei ristoranti, legge severissima che doveva imprigionare tutti, che doveva confiscare tutto. Chi è andato in prigione a causa di questa legge? Quali ristoranti sono stati confiscati?

Ma io ho ancora il dovere di dire un’altra parola. Troppo spesso noi portiamo i contadini e gli agricoltori sul banco degli accusati, ma capite che quando si agisce in questo clima dove tutte le categorie fanno tutto quello che vogliono fare, permettete, è forse male che dica questo, ma forse un incitamento a non consegnare veniva da questa situazione. Era nell’animo la convinzione che bisognava fare in questo modo.

Questa è la situazione, perché non dimentichiamo un’altra cosa: che gli agricoltori per venti anni erano stati considerati dei benemeriti quando coltivavano grano, avevano il diploma di benemerenza, avevano le medaglie. Dopo la liberazione, quando coltivavano grano finivano in prigione. Questa è la situazione in cui vivevamo. Ebbene, dico a voi, onorevoli colleghi, guardiamo con simpatia a questa categoria ed è per questa simpatia che noi dovremo votare la mozione e non dimentichiamo un’altra cosa: quale è quella categoria che ha ricostruito senza nessun contributo dello Stato? Io vorrei chiedere ai vari Ministri competenti, dall’agricoltura ai lavori pubblici: dove sono andati i fondi, a chi sono stati elargiti miliardi? – All’agricoltura? – No. Normalmente si elargivano i fondi all’industria. Soltanto l’I.R.I. mangia dalla greppia dello Stato sei, sette, otto miliardi al mese. All’agricoltura si danno le briciole, quando ci sono. Cosa abbiamo dato per ricostruire le case di campagna, per bonificare, per aiutare i contadini delle nostre montagne? – Nulla abbiamo dato. Ma se dovessimo chiedervi invece chi è che paga le imposte e le tasse senza possibilità di sfuggire, senza possibilità di avere un esercito di tecnici, di professionisti preparati ad ingannare il fisco? Sono gli agricoltori, perché i signori industriali, i signori commercianti hanno sempre due bilanci, quello vero e quello per il fisco. Gli agricoltori non hanno due bilanci, ne hanno uno solo, perché la loro terra è al sole e pagano sempre. Sono quelli che pagano di più e ricevono meno degli altri dallo Stato.

Non dimenticate una cosa: questi contadini, per i quali noi chiediamo oggi il provvedimento di amnistia sono quelli che hanno sempre dato in tutte le guerre il maggior contributo. Per loro non c’è l’esonero. Non restano a casa a fare gli esplosivi, le munizioni. Essi sono sempre in prima linea a compiere il loro dovere.

Per queste ragioni io chiedo, onorevoli colleghi, a voi di votare favorevolmente questa mozione, chiedo al Governo di accettarla, di accettarla integralmente, non soltanto in quelle che sono le pene detentive, ma di accettarla anche per quella che è l’ammenda, per quelle che sono le pene pecuniarie che normalmente sono state di venti volte il valore del grano, in quanto dovete pensare che per ogni quintale di grano si è fatto pagare quest’anno una cifra che ha raggiunto le 80-100 mila lire.

Quindi voglia il Governo accettare integralmente questa nostra richiesta, e accettandola l’Assemblea e il Governo compiranno un atto di clemenza, sì, ma, come dicevo inizialmente, un atto di giustizia che si impone per queste categorie. L’Assemblea ed il Governo diranno che ancora guardano con simpatia alla categoria dei coltivatori diretti. E qui vorrei dire al Governo: non intendiamo chiedere soltanto l’amnistia o l’indulto per la sottrazione di grano, ma anche l’amnistia e l’indulto per la sottrazione di tutti i cereali, dal granoturco al risone.

Signori, si avvicina il Natale. Per le famiglie degli agricoltori, dei contadini, il Natale significa qualche cosa. Ebbene, signori del Governo, accettando questa nostra mozione voi farete ritornare in tante famiglie la pace, che sarà sicuro auspicio di tranquillità delle campagne, di maggior lavoro per il domani, perché l’ammasso totale è terminato e siamo di fronte ad un ammasso per contingenti.

Vi assicuro che questo vostro atto di clemenza sarà di incitamento per tutti i contadini a lavorare di più, a seminare di più, a concimare di più, per assicurare il pane a tutto il popolo italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha facoltà di svolgere la sua mozione.

PERSICO. Onorevoli colleghi, sarò brevissimo, anche perché l’onorevole Bonomi Paolo ha svolto con grande ampiezza il problema, e soprattutto l’ha svolto con competenza tecnica, perché egli è il Presidente dei coltivatori diretti.

Io volevo mettere, invece, la questione sotto il profilo giuridico. La mozione trae la sua origine dall’articolo 75-bis della Costituzione, da noi già approvato, quantunque non ancora in vigore, il quale articolo dice che l’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica, dietro delegazione delle Camere. Ecco perché abbiamo portato all’Assemblea Costituente la richiesta di questa delegazione, affinché il Guardasigilli possa farsene interprete presso il Capo dello Stato. Però la mia proposta differisce da quella dell’onorevole Bonomi sotto due profili: differisce, perché egli chiede un’amnistia, mentre io mi limito, anche a nome dei colleghi che hanno sottoscritto la mia mozione, a chiedere un indulto; egli vuole estendere l’atto di clemenza alle pene pecuniarie, mentre io propongo che le pene pecuniarie siano mantenute. Si tratta di un provvedimento sopra tutto di equità. I decreti vigenti fino al 5 settembre 1947, data del decreto attualmente in vigore circa l’ammasso per contingente di cereali del raccolto 1947-48, che hanno regolato la materia, portavano per questi fatti di mancato conferimento all’ammasso pene che nel primo decreto del 22 aprile 1943 arrivavano da tre mesi a tre anni, e che poi furono raddoppiate, spaziando da sei mesi a sei anni.

Non è a dire che sia rimasta sulla carta questa sanzione, perché ci sono in tutta Italia migliaia di poveri contadini, che stanno scontando due, tre e perfino sei anni di reclusione.

Lo stesso identico fatto oggi è punito con una multa che è pari a venti volte il valore dei cereali non conferiti. A identica situazione di diritto, a identica contravvenzione della norma di legge, c’è invece chi sconta sei anni di reclusione, con rovina enorme delle disgraziate famiglie. Si tratta di poveri contadini ignari, che hanno creduto di fare una modesta speculazioncella, vendendo qualche quintale di cereali. Non si tratta dei grandi evasori. L’onorevole Segni sa dove si trovino i grandi evasori. Essi non vengono condannati a tre o quattro anni di reclusione, ma continuano a fare i miliardi senza che nessuno li disturbi! Sono i piccoli evasori che vanno a finire davanti ai tribunali di provincia, dove i giudici hanno applicato con grande severità, talvolta, il massimo della pena.

Bisogna prendere un provvedimento di equità e di giustizia. Diciamo che il Guardasigilli deve essere sensibile a questa richiesta, la quale può ristabilire una situazione di equilibrio, ed evitare un senso di amarezza e di sfiducia nella giustizia, alle famiglie di coloro che stanno scontando delle gravi pene, mentre altri nelle stesse condizioni sono passibili soltanto di pene pecuniarie.

E poiché è presente il Ministro Segni, lo prego di ascoltare questa mia preghiera che può essere, non dico estranea, ma collaterale a quella che rivolgo al Ministro Guardasigilli.

C’è un articolo 5 della legge 30 maggio 1947, che richiede la consegna quotidiana delle bollette di trebbiatura, consegna che è praticamente impossibile, perché la trebbiatura molte volte finisce di sera, mentre gli uffici della U.C.S.E.A. si chiudono alle 14. Chi contravviene a questa norma è esposto a gravi pene. È assurdo che questo obbligo rimanga nel detto articolo 5; almeno si modifichi questo articolo, in modo da renderlo applicabile, senza una palese ingiustizia.

In questo senso confido che il Ministro Guardasigilli, accogliendo la mozione da me presentata, e il Ministro dell’agricoltura, accogliendo la raccomandazione ora fatta, vogliano dare soddisfazione a ciò che è richiesto nel nome dell’equità, che non può mai essere scompagnata dalla vera giustizia.

BULLONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BULLONI. In tema di clemenza per reati in materia di ammassi occorre senz’altro considerare la previsione dell’ultimo comma dell’articolo 20 del Decreto legislativo 30 maggio 1947, che punisce con pene ridotte quando il fatto delittuoso è commesso su esigui quantitativi per sopperire al bisogno famigliare.

È una previsione autonoma, che potrebbe rientrare nei limiti fino ad ora seguiti nella concessione di amnistia per i reati che non superino nel massimo i cinque anni.

La previsione si raccomanda per l’amnistia, attesa la tenuissima entità giuridica e politica del fatto, che non può sicuramente destare alcuna reazione sociale.

Questi fatti sono sempre ispirati da motivi di particolare valore morale e sociale; di sopperire cioè, alle esigenze inderogabili della alimentazione familiare.

Per gli altri casi è invocabile il provvedimento di indulto, che deve estendersi – in questo dissento dall’onorevole Persico – per ragioni di misura e di proporzione anche alle pene pecuniarie.

Basta rappresentarsi la situazione, per convincerci della ineluttabile necessità di rendere omaggio ad un senso di equità e di proporzione, facendo cadere la clemenza anche sulla pena pecuniaria.

I fatti, nella grandissima maggioranza, si sono svolti in questa maniera: agricoltori, preoccupati di costituirsi una prudenziale riserva per le semine e per l’alimentazione dei propri dipendenti, hanno tentato, falsificando gli atti di denuncia, di assicurarsi una disponibilità di 10-15 quintali di grano; per questo fatto essi si sono trovati nella condizione di essere puniti, con una pena non inferiore ai sei mesi di reclusione e con una pena pecuniaria, pari a 10 volte il valore del grano, cioè di 80 mila lire a quintale; per 10 quintali, la multa ammonta ad 800 mila lire. Un senso di proporzione e di misura vuole che la clemenza si estenda anche alla pena pecuniaria.

In proposito, mi permetto di sottoporre alla considerazione del Ministro Guardasigilli questa situazione, agli effetti della eventuale elaborazione del provvedimento di clemenza, quando egli crederà di suggerirlo al Capo dello Stato. Mi riferisco al termine. L’onorevole Ministro dell’agricoltura, con telegramma del 6 ottobre, concedeva la proroga del termine della denunzia e della consegna fino al 20 ottobre, quando il Comitato degli ammassi avesse ritenuto di applicare tale differimento. Si è verificato, in realtà, che in molte provincie, nella mia compresa, il termine di denunzia e di consegna è stato differito al 20 ottobre, colla conseguenza che, per l’efficacia scriminante degli atti amministrativi, in relazione al disposto dell’articolo 8 della legge speciale, i giudici hanno pronunziato delle assoluzioni per fatti commessi prima del 20 ottobre; mentre agricoltori, ancora sub judice o condannati con sentenza divenuta irrevocabile, devono scontare una pena. Credo che l’eventuale provvedimento di clemenza potrà tener conto anche di questa situazione, per riparare alle iniquità ed alle ingiustizie, che si verificano nei confronti di quelli che, condannati prima del 20 ottobre, non hanno avuto la possibilità di invocare il provvedimento ricordato.

BUBBIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUBBIO. La tesi che intendevo svolgere è quella testé sviluppata dall’onorevole Bulloni. Mi si consenta per altro una breve aggiunta ai validi argomenti svolti dall’onorevole Bonomi, la cui mozione ho firmato tra i primi anche in relazione al fatto che fin dal marzo scorso ho presentato sullo stesso argomento un’interpellanza.

Chi vi parla ha pagato di persona in questa materia; perché ricordo, e lo ricorderà anche l’onorevole Ministro Segni, con cui molte volte ho conferito al riguardo, che proprio nella plaga del Cuneese, che era forse la più pacifica d’Italia, tale è stata la levata di scudi contro gli eccessi della polizia annonaria in materia di cereali, che chi vi parla venne aggredito nella sua città, non da parte dei cittadini, ma da parte di lontane schiere, intervenute ad un comizio da quaranta chilometri di distanza, e questo, è opportuno ricordarlo, perché ciascuno abbia la parte che gli tocca. Fu allora che sollecitai decisamente l’intervento dei Ministri Bertone, Segni e Gullo, e che si poté con fatica varare il decreto dell’ottobre 1946, per cui, per le sottrazioni di piccole quantità di cereali, in relazione alle esigenze familiari, venne concesso il beneficio eventuale della condizionale e della libertà provvisoria. Questa facoltà scomparve però in successivi provvedimenti, per cui si impone la necessità di un atto di clemenza, quale la mozione ha richiesto. Il collega Persico ha voluto invece accomunare il trattamento di clemenza tanto per le grandi quantità come per le piccole, esentando i contravventori dalla pena restrittiva della libertà personale ed applicando soltanto la pena pecuniaria. Ora noi protestiamo contro questo criterio di parificazione; ed invero non c’è paragone fra colui che ha sottratto all’ammasso e cioè al cittadino, che nato a consumere fruges, a causa dei grandi evasori è stato costretto a vivere con 200 ed anche 150 grammi di pane al giorno ed i piccoli contadini, i quali avendo dovuto tener presenti le esigenze familiari data l’insufficienza dell’assegnazione pro capite e quelle degli avventizi che rifiutano di lavorare se non ricevono il vitto da chi li assume, hanno sentito il bisogno di costituire piccole riserve; e ciò anche per far fronte sia al calo naturale, sia a quello artificiale, in dipendenza delle operazioni di macinazione. Si deve quindi tenere ben distinti il caso in cui il contadino non ha commesso l’evasione per un intento di speculazione, ma soltanto per esigenze familiari ed aziendali e colpire invece gli speculatori. Questo dovrebbe essere adunque il criterio distintivo tra l’atto di clemenza sotto forma di amnistia e quello sotto forma di indulto. Mi auguro che questa tesi possa venire accolta e che questo atto di pacificazione possa alfine essere compiuto.

MALAGUGINI. Campagna elettorale!

BUBBIO. Non è campagna elettorale! Bisogna capire la tragedia di tante famiglie e gli eccessi cui si è pervenuti con l’attuale sistema.

GRASSI. Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, le due mozioni presentate dagli onorevoli Bonomi Paolo, Persico e da altri colleghi, per quanto si diversifichino nella richiesta e anche nelle proporzioni della richiesta stessa, hanno un fondamento identico, ossia sono basate sul concetto per cui, essendo finito l’ammasso totalitario e dovendosi per l’avvenire predisporre l’ammasso per contingente, sarebbe opportuno in questa occasione esaminare tutte le contravvenzioni e le infrazioni commesse ai precedenti decreti ed usare verso i contravventori un atto di clemenza, che anzi è stato definito un atto di giustizia. Premessa questa che i Ministri competenti per la alimentazione ancora ritengono che non si sia verificata, specialmente per il grano, risone e granturco (per i quali vige ancora l’ammasso totalitario e non ancora il sistema per contingentamento), in quanto ancora non sono stati raggiunti i quantitativi di cui questi Ministeri avevano bisogno per assicurare al popolo italiano quel minimo che era necessario per l’alimentazione.

Non solo non l’hanno raggiunto, ma sono impegnati anche verso l’estero, il quale deve contribuire. Dobbiamo riconoscere in questa Assemblea che questo contributo è essenziale fino al punto di parificare con la sua generosità quello che i nostri produttori possono dare ai granai del popolo, in quanto che l’ammasso del grano, del granturco e del risone corrisponderà alla metà di quello che occorrerà dare a quella parte del Paese che dev’essere mantenuta e alimentata attraverso la tessera.

Ora, se questo è vero ed è essenziale, considerate la gravità della situazione con cui un atto di clemenza possa essere interpretato all’interno e all’estero. In ogni modo, il Governo non si nasconde che effettivamente delle situazioni del tutto particolari siano venute fuori durante questo periodo di ammasso. Non possiamo disconoscere che, specialmente i piccoli coltivatori si sono trovati di fronte a questa necessità, forse familiare e aziendale, di dover compiere evasioni alle norme della denuncia e del conferimento.

Ci rendiamo conto, ma riteniamo che si debba compiere non un atto di giustizia, sibbene un atto di clemenza, in quanto dovete anche ricordare che c’è stata tutta quella parte di popolazione agricola la quale ha ottemperato agli ordini dello Stato e ottemperando agli ordini dello Stato, ha reso possibile l’alimentazione del popolo italiano. Questo non lo dobbiamo dimenticare e quest’opera di clemenza non deve andare a detrimento di quelli che sono stati ossequienti agli ordini ed hanno reso possibile l’alimentazione italiana.

Quindi, il Governo ha resistito a tutte le richieste di concedere amnistia. Però, d’altra parte, seguendo quell’indirizzo che è stato già deliberato dalle vostre decisioni sull’articolo 75-bis della Costituzione, se vi è da parte dell’Assemblea un suggerimento che possa essere raccolto dal Capo dello Stato, il Ministro che rappresenta oggi la giustizia, non potrà non tener conto del vostro suggerimento per trarne quelle conseguenze che saranno possibili, e preparare le proposte da fare al Capo dello Stato.

Pertanto, non posso prendere impegni assoluti al riguardo tanto più che il provvedimento non è di competenza nostra, ma del Capo dello Stato. Dico, in ogni modo, che qualunque siano le vostre decisioni, io penso che dovreste orientarvi per la concessione dell’indulto e non dell’amnistia, in quanto che qui non si tratta di dare un colpo di spugna e sanare delle situazioni che sono state sempre infrazioni contro leggi fondamentali per l’alimentazione del Paese, ed anche perché con i provvedimenti presi nel 1944 e nel 1946 sono stati concessi soltanto indulti. Inoltre, si tratta tecnicamente di reati che importano pene superanti anche i cinque anni, per i quali non si potrebbe considerare l’ipotesi di una amnistia.

In ogni modo, senza prendere impegni sul futuro trattamento che si potrà fare, il Governo non potrà non ascoltare la voce che è venuta dall’Assemblea e dalle vostre decisioni trarrà i suggerimenti per attuare questo atto di clemenza per questa parte della popolazione italiana. (Applausi).

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Voglio solo dire che mi associo con tutto l’entusiasmo dell’animo a quello che hanno detto gli altri colleghi. Potrei aggiungere tante altre osservazioni e rendere più evidente la giustizia che si compirebbe.

Soprattutto ricorderà l’onorevole Ministro Guardasigilli che, tempo fa, io mi rivolsi a lui per un caso pietoso: dei poveri contadini di una vallata, che non ha comunicazioni, in un paese che non possiede ancora nemmeno il telefono, avevano ritardato di poco tempo a consegnare delle piccole quantità di grano. Ebbene, sono stati condannati a mesi di carcere e a centinaia di migliaia di lire di multa. Non perché avessero sottratto il grano agli ammassi, ma perché avevano ritardato a consegnarlo. E questo accade nella provincia di Treviso, proprio dove esistono i grossi proprietari che fanno il mercato nero e dovrebbero essere tutti arrestati se ci fosse un po’ di giustizia in Italia, perché è gente che fa il contrabbando, e grandi quantità di grano della nostra provincia sono partite per la Jugoslavia, la Francia e la Svizzera.

La verità è questa: vi erano autocarri carichi di questo grano sottratto. E quando il Governo ad una mia protesta disse che aveva mandato delle guardie a sorvegliare, io risi, perché queste guardie, pagate male, sulla strada di confine, si capisce che una piccola manata di carte da cento se la mettono facilmente in tasca.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non è così.

TONELLO. È accaduto, sì, signor Ministro. Quindi fate giustizia per quei disgraziati che hanno ritardato soltanto di qualche giorno a consegnare il grano e non condannateli. Avete voluto infliggere a costoro multe di centinaia di migliaia di lire, rovinando delle povere famiglie, specialmente nel trevigiano dove vi sono tanti piccoli proprietari. Colpite quelli che fanno il commercio e la borsa nera all’ingrosso.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Tutti questi piccoli proprietari hanno già la condanna condizionale.

TONELLO. Sì, ma lei sa bene cosa sia la galera condizionale! (Si ride). Bisogna assolverli e togliere la multa a questa povera gente. Io prego il Ministro della giustizia onorevole Grassi, di insistere presso il Capo dello Stato perché faccia un atto di clemenza per questi piccoli proprietari, per questa povera gente. Stabilisca magari una data somma, per esempio fino a 300 mila lire, nell’applicare il condono, ma questi piccoli contravventori alla legge bisogna assolverli. Perché molti sono stati condannati per un atto di umana pietà: molti hanno dato la loro piccola quantità di grano in più alle famiglie che ne erano senza. Hanno prestato dieci chilogrammi di qua, dieci di là e sono rimasti senza. È inutile che io spenda altre parole, io dico soltanto: colpite i grossi proprietari e lasciate stare i poveri disgraziati. (Applausi a sinistra).

BURATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BURATO. Intendo parlare qui come se non unico, certo raro esemplare in questa Assemblea di quella numerosa specie di cui qui ci interessiamo: i contadini d’Italia. Come tale io porterò qui non il mio sentimento o il mio pensiero, ma il loro sentimento ed il loro pensiero. Qui si è parlato di indulgenza, ho sentito parlare di giustizia nella concessione di questa che dovrebbe essere una amnistia o un indulto. Io dico, onorevole Persico, che se è giusta la vostra tesi nei confronti della legge così come è congegnata, non è meno giusto il pensiero dei contadini quando vogliono con questo significare che a loro un certo grave torto si è fatto, quando si è voluto metterli in una condizione particolare di difficoltà nei confronti delle altre categorie.

Un piccolissimo fatto – mi permetta, onorevole Presidente – spiegherà la situazione com’è. Scendendo un giorno dal treno alla stazione della mia città, venne incontro a me una donna piangente: si disse madre di numerosi figliuoli, il marito era stato arrestato perché trovato in possesso di una o due damigiane di grano che dovevano servire per le riserve alimentari nei momenti critici. Era un produttore. Io mi sono recato, su preghiera di questa donna, dall’autorità competente per vedere se fosse stato almeno possibile ottenere la scarcerazione provvisoria di questo disgraziato. Ma ormai era tardi, gli incartamenti erano arrivati in sede giudiziaria. Mi sono recato dal Procuratore della Repubblica, il quale mi ha detto semplicemente così: «Veda, onorevole, se questo individuo che mi viene a raccomandare non fosse un produttore di cereali, ma un qualunque incettatore di cereali, o fosse stato magari un ladro di cereali, io potrei concedere la libertà provvisoria, ma così, per il solo fatto che egli è un produttore, non posso».

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non è vero questo!

BURATO. Questa è la verità, signori miei! (Commenti).

MASTINO GESUMINO. È la legge che è così.

BURATO. È una legge troppo severa per determinati casi. Quel tale individuo ha subito il carcere preventivo e la conseguente condanna.

Onorevoli colleghi, signor Ministro, io vi domando non un atto di indulgenza, al quale penso i contadini in questo momento sarebbero in grado di ribellarsi, perché verrebbero messi, a causa dell’indulto di cui si è parlato poco fa, sullo stesso piano di coloro che hanno asportato dalla Patria il grano necessario per l’alimentazione del popolo italiano. Ciò non è giusto per coloro che hanno provveduto, per un senso di prudenza, a trattenere piccole quantità di cereali come molti italiani hanno fatto, del resto, e come credo che anche molti di noi abbiamo fatto per supplire le deficienze di razionamento insufficiente; io credo che concedendo a costoro l’amnistia non faremo che un atto di riparazione e di giustizia. (Applausi).

AVANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AVANZINI. Brevi parole per aderire al concetto del Ministro, in dissenso col collega che mi ha preceduto.

A mio avviso, l’atto di clemenza deve consistere nell’indulto e non nell’amnistia. Per questa ragione: volere o no, nelle condizioni del nostro Paese, sarà necessario mantenere l’obbligatorietà del conferimento o per via di ammasso o per contingente, anche per i raccolti futuri.

Ora, l’indulto condizionato porterebbe a questa situazione: che chi ha peccato avrà mille ragioni e una di più per non peccare una seconda volta, onde non pagare il conto nuovo e quello vecchio.

Vorrei fare un’altra proposta, onorevoli colleghi; che l’atto di clemenza, si estenda anche alle pene pecuniarie…

Una voce al centro. Ai piccoli evasori, però.

AVANZINI. Il collega Bulloni ha già detto a quali limiti possono arrivare queste pene pecuniarie: bastano dieci o venti quintali perché si raggiunga o si superi il milione. Ora, le pene detentive sono state quasi tutte espiate completamente, perché tanto il decreto del luglio 1944 quanto il decreto del maggio 1947 vietano la concessione della condizionale, impongono la cattura obbligatoria ed impediscono la libertà provvisoria. Restano dunque soltanto da pagare le pene pecuniarie che rappresentano per gran parte degli agricoltori condannati, veramente la minaccia della rovina delle loro aziende. Esse pertanto, ad ovviare quella minaccia, devono pure venire condonate.

Queste le osservazioni che desideravo di sottoporre all’Assemblea.

LAGRAVINESE PASQUALE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAGRAVINESE PASQUALE. Non ho chiesto di parlare per aggiungere nuova copia di argomentazioni a quanto già altri colleghi hanno detto a favore di questo provvedimento di clemenza. Ho chiesto di parlare soltanto per domandare se dei motivi, alla cui conoscenza non sono ancora pervenuto, sussistano per i firmatari di queste due mozioni da averli indotti a limitarsi a chiedere questi giusti favori della legge nei soli confronti delle evasioni per i cereali e particolarmente per il grano.

Una voce al centro. Per tutti i generi si intende.

LAGRAVINESE PASQUALE. Io desideravo appunto segnalare all’Assemblea l’opportunità di estendere il provvedimento di cui stiamo discutendo, anche, ad esempio, per le evasioni all’ammasso dell’olio.

Una voce. Per tutte, per tutte.

LAGRAVINESE PASQUALE. Quando è così, è inutile che io continui a parlare: il mio intendimento era precisamente quello di pregare che si tenesse in considerazione l’opportunità di estendere il provvedimento anche per l’evasione di altri generi contingentati.

FUSCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCO. Desidero semplicemente rivolgere una viva raccomandazione al Ministro, nella fiducia che egli voglia trarne motivo per una circolare. C’è un abuso che io denunzio all’onorevole Ministro da parte della guardia di finanza. Gli agenti di questo corpo hanno l’abitudine di recarsi nelle case di questi poveri contadini e di sequestrare tutto, anche la scorta alimentare.

Si tratta pertanto, di una situazione veramente eccezionale, anche perché, mentre essi sequestrano, come ho detto, la scorta alimentare, lasciano poi quella per la semina, il che significa sottoporre questa povera gente a un vero supplizio di Tantalo; si tratta quindi, come ognuno facilmente può comprendere, di una situazione veramente deplorevole cui va posto senz’altro rimedio.

Debbo in secondo luogo far presente all’onorevole Ministro che noi abbiamo chiesto, insieme con l’onorevole Persico, l’abolizione dell’articolo 5 che è materialmente impossibile attuare.

Una terza raccomandazione: c’è una disposizione che non sempre i magistrati interpretano a dovere: quella dell’articolo 20, il quale, come è noto, riduce ad un quinto la pena se concorra la circostanza della spontanea consegna all’ammasso. Ora, avviene che i magistrati, in questi casi, non concedono quasi mai la condizionale, ma dispongono per il mandato di cattura.

Chiedo pertanto all’onorevole Ministro di voler provvedere anche a ciò mediante opportuna circolare. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Domando agli onorevoli presentatori delle due mozioni se non credano di unificarle, onde poter procedere ad un’unica votazione.

PERSICO. Onorevole Presidente, io dichiaro per mio conto di essere sodisfatto e mi associo al testo dell’onorevole Bonomi.

SICIGNANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SICIGNANO. Desidero dire chiaramente una cosa: resti ben fermo che i grossi evasori non debbono, in alcun modo e per alcuna ragione, approfittare di questo decreto di amnistia. Questo decreto porterà, del resto, ad una necessaria pacificazione e tranquillità in larghi strati sociali.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Desidero dichiarare che mi associo al testo dell’onorevole Bonomi, insieme con l’onorevole Persico, ma desidererei che fosse specificato che per i casi più gravi viene chiesto soltanto l’indulto per le pene restrittive della libertà personale.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi rivolgo all’Assemblea Costituente, ma specialmente a coloro che hanno firmato le mozioni. Io penso – onorevole Bonomi, mi rivolgo specialmente a lei – penso che nella mozione bisognerebbe parlare di generi contingentati, e non soltanto di cereali, in quanto l’osservazione fatta dall’onorevole Lagravinese è giusta. Se un atto di clemenza deve intervenire, è necessario che sia per tutti i generi contingentati, nei limiti che saranno stabiliti.

Pregherei ancora, l’onorevole Bonomi di parlare nella sua mozione di indulto e non di amnistia, per rendere più facile un provvedimento simile anche perché – come ho detto in precedenza – in questo campo dei reati annonari sono stati concessi sempre indulti e mai amnistie. Non si è pensato mai a far dichiarare estinto il reato, ma soltanto a venire incontro con un atto di clemenza, e ciò in quanto non è possibile non tener conto anche di tutta quella parte della popolazione – ed è stata la maggioranza – che ha ottemperato all’ordine dell’ammasso in un momento difficile della vita nazionale.

Con queste due osservazioni, che credo l’onorevole Bonomi. vorrà accettare, senza stabilire oggi se il provvedimento deve essere limitato soltanto alla libertà personale o comprendere anche le pene pecuniarie, lasciando al Governo e al Capo dello Stato di decidere in merito, io non ho difficoltà ad accettare la mozione. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Onorevole Bonomi, lei accetta le proposte dell’onorevole Ministro della giustizia?

BONOMI PAOLO. Signor Presidente, onorevole Ministro, io non ho niente in contrario, anzi accetto la modifica di allargare il provvedimento a tutti i generi contingentati. Debbo dichiarare però, la mia perplessità per quanto riguarda la modifica della richiesta di amnistia in quella di indulto. E preciso il mio pensiero: normalmente non c’è la libertà provvisoria. Quando – e sono fatti che avvengono ancora in questi giorni – gli agenti vanno in un paese, vanno in una casa di contadini e trovano tre quintali in più di grano o di granone – lo stanno facendo in questi giorni a Bergamo – cosa fanno? Prendono il capofamiglia e lo mettono in prigione. Dopo due o tre, o magari anche quattro mesi, si fa il processo. Se accettiamo di modificare l’amnistia in indulto che cosa succede? Che questa gente va ugualmente in prigione e vi resta tre o quattro mesi. Gli avvocati chiederanno diecine di biglietti da mille, e dopo il processo finalmente, si potrà ottenere questo indulto. (Commenti).

MAZZONI. Se fate così, l’anno venturo non si mangia più. Indulgenza sì, ma incitamento a delinquere no! (Commenti).

BONOMI PAOLO. È una precisazione che chiedo all’onorevole Ministro: se dopo l’emanazione del provvedimento di indulto è implicita la libertà provvisoria per questi reati?

Una voce. Ma è chiaro! (Commenti).

BONOMI PAOLO. Soltanto in questo senso, cioè se potesse essere modificata la legge in modo da concedere in tutti i casi la libertà provvisoria, io accetto di modificare la richiesta di amnistia in quella di indulto. Nel caso contrario, qualora cioè non mi venga data questa esplicita assicurazione, insisto nel chiedere che sia messa in votazione la mozione con la richiesta di amnistia anziché di indulto. (Approvazioni).

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Mi auguro di tutto cuore che il regime vincolistico finisca, con la grazia di Dio, una volta per tutte in Italia.

Ma, stando così le cose, le preoccupazioni dell’onorevole Mazzoni sono più che giustificate e devono farci orientare verso l’indulto e non già verso l’amnistia, perché pel 1948 è preannunciato il contingentamento, che è una forma attenuata di vincolo, ma sempre vincolo è, e non possiamo – per la contradizione che non lo consente – nello stesso tempo continuare la politica di vincolo e incoraggiare l’evasione.

Saremmo però, onorevole Ministro, in caso indiscutibile di amnistia e non già di indulto, se la politica annonaria del Governo per l’anno avvenire fosse indirizzata verso un regime non più vincolistico, perché allora si avrebbe l’abolitio criminis, perché il fatto non sarebbe più considerato reato.

Ma nelle condizioni attuali l’unica forma accettabile è quella della mozione dell’onorevole Persico, che è per l’indulto.

GAVINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GAVINA. Dirò poche parole per vedere di ridurre al pratico la discussione che sta avvenendo qui.

Nel senso pratico la forma può essere o l’indulto o l’amnistia; può essere o l’affamamento di cui parla l’onorevole Mazzoni, o il venire incontro alle necessità delle piccole famiglie.

Io ho presentato a nome del Gruppo comunista e socialista fin dal 22 luglio un’interpellanza per i fatti quali si venivano delineando nelle provincie di Pavia e di Como. L’ho presentata allora e l’abbiamo svolta nella seduta del 6 ottobre, credo con senso pratico perché, egregi colleghi, bisogna tener conto che nella provincia di Como, che io ho percorso per rendermi ragione di tutto ciò che può essere l’interesse dei piccoli proprietari coltivatori diretti, ho trovato che cumuli di grano, sino alla fine di luglio e a metà agosto, giacevano in campagna e non si portavano a casa perché il quantitativo lasciato pro capite ad ogni famiglia di produttori non era sufficiente, e si aspettavano disposizioni più larghe.

Che cosa è avvenuto? Che la Celere, su ordini precisi dati dal centro, e, alle volte nella nostra provincia eseguiti da ispettori che erano forse troppo preoccupati della forma burocratica, faceva dei sopraluoghi e interveniva a constatare una differenza, onorevoli colleghi, tra quella che era stata la resa della macchina e quello che ad occhio si accertava nel granaio. Si tratta di una differenza di misura e di una differenza di entità, perché voi m’insegnate che se il grano è più o meno umido ha un peso specifico diverso. In vista della situazione che in tal modo si determinava il collega Cremaschi ha cercato d’intervenire. Ma contro di lui voi avete ieri l’altro concesso l’autorizzazione a procedere su una non discussa relazione di maggioranza la quale negava l’autorizzazione a procedere.

Su relazione di minoranza dunque, contraria a quella della maggioranza, è stata concessa contro il collega Cremaschi l’autorizzazione a procedere…Voci al centro. Che c’entra?

GAVINA. C’entra, onorevoli colleghi. L’onorevole Cremaschi è stato rinviato a giudizio con la vostra autorizzazione, e gli è stata tolta l’immunità parlamentare, perché al telefono aveva detto a uno di questi ispettori «Guardate che se voi continuate con questi sistemi di accertamento potrete provocare reazioni dei lavoratori». Risultato pratico, articolo 336: minaccia verso il pubblico funzionario. Dicevo, insisto nell’interesse dei piccoli proprietari in quanto si può arrivare a questa incongruenza: di trovare un diversivo di misura anche in rapporto a quella che la trebbia ha denunciato, ed allora avete quello che ha detto l’onorevole Bulloni: si arresta, si porta via, si mette in prigione. Non è questione di indulto. Cosa volete indulgere con tre, quattro, dieci mila lire, con chi ha tre, quattro, cinque, dieci figli in casa da mantenere in confronto a quelli che evadono in grandissima quantità? Allora perché indulto? Voi dovete sanare con l’amnistia nei casi di piccole evasioni di uno, due, tre, cinque quintali, che possono essere trattenuti dalle famiglie numerose per l’alimentazione. Questa è la situazione di fatto ed affermo che non si deve parlare di indulto perché non si può indulgere verso chi non ha commesso un reato nel senso vero della parola, perché non è con questo, amico Mazzoni, che si può affamare, anzi si provvede a sfamare; ma si mette il piccolo produttore, il quale deve dare da mangiare alla famiglia, in condizioni di non avere vessazioni e misure coercitive né conseguenze legali. In questo senso noi aderiamo al concetto dell’amnistia per tutte le piccole quantità che possono andare, a seconda delle zone, da uno a tre quintali.

PRESIDENTE. Onorevole Bonomi, le domando se ha inserito nella mozione quanto è stato suggerito da qualche parte, se cioè ha esteso la sua richiesta per l’evasione di tutti i generi di ammasso.

BONOMI PAOLO. Io avevo chiesto all’onorevole Ministro un’assicurazione esplicita. L’Assemblea mi ha interrotto dicendo che l’assicurazione era implicita. Io questa assicurazione vorrei averla anche dal Ministro.

PRESIDENTE. Lei ha chiesto al Ministro se intende apportare modificazioni all’articolo 15 della legge. Prego il Ministro di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Faccio rilevare che qui non dobbiamo fare il decreto di indulto o di amnistia. Questo è un suggerimento, un invito da parte dell’Assemblea a considerare il problema, ma il Governo non è vincolato dal voto dell’Assemblea. Quindi è inutile scendere nel dettaglio. L’importante è dire nella mozione dell’onorevole Bonomi che per tutti i generi soggetti all’ammasso si compia questo atto, si inviti il Capo dello Stato ad esaminare la possibilità di concedere l’indulto.

Io non voglio entrare nei dettagli della pena e tanto meno nella questione esposta dall’onorevole Bonomi. Mi sono riservato di rispondere a questo dettaglio. L’importante è che si parli di indulto e non di amnistia. Se l’onorevole Bonomi è d’accordo, questo credo facilita il compito: senza perdere tempo, possiamo arrivare alla fase conclusiva.

PRESIDENTE. L’onorevole Molinelli ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo periodo, dopo le parole: quantità di cereali, aggiungere: e per i reati ad esso connessi».

L’onorevole Molinelli ha facoltà di svolgerlo.

MOLINELLI. Poco fa, il collega Gavina ha ricordato un fatto che è stato discusso in questa Assemblea, e che si rifaceva ad una azione svolta da uno dei nostri colleghi durante il periodo della verifica della consegna dei cereali all’ammasso, fatto per il quale è stata concessa da questa Assemblea l’autorizzazione a procedere in giudizio contro di lui. Fatti simili, contro persone che non sono coperte dall’immunità parlamentare, si sono verificati in molte altre circostanze. Si tratta di resistenza alla forza pubblica, si tratta di piccoli reati (Rumori al centro), si tratta di contadini i quali hanno risposto male ad un funzionario, o che hanno tentato di opporsi alla requisizione dei cereali. Io vorrei che anche per costoro fosse concessa l’amnistia, quando il reato è in connessione con il conferimento. (Commenti).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io non posso accettare il principio che altri reati, connessi con quello dell’infrazione all’ammasso, possano essere considerati, perché, altrimenti, allarghiamo troppo la concessione. (Applausi al centro). Noi possiamo accettare questo suggerimento, che riguarda le infrazioni agli ammassi, le omesse denuncie e gli omessi conferimenti, solo limitatamente ad alcune particolari condizioni. Se l’Assemblea esprime un suggerimento in tal senso, esso potrà essere accolto e presentato al Capo dello Stato. Se si vuole estendere il provvedimento a tutta un’altra serie di reati, io dichiaro che il Governo non intende consentire a simili proposte, perché abbiamo presente le conseguenze di amnistie precedentemente concesse.

PRESIDENTE. Onorevole Bonomi, lei accetta il suggerimento del Ministro?

BONOMI PAOLO. Io prego di mettere ih votazione la mia mozione con la parola «amnistia» e non con la parola «indulto».

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene la sua mozione?

PERSICO. In questo caso la mantengo.

PRESIDENTE. Nella mozione Bonomi si sostiene il principio dell’amnistia. La mozione Persico sostiene il principio dell’indulto. L’onorevole Ministro ha dichiarato di non accettare il principio dell’amnistia, ma quello dell’indulto. Ora la mozione Persico deve essere considerata come un emendamento della mozione Bonomi, e va pertanto posta per prima in votazione.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Sulla questione della votazione, mi pare che fra le due mozioni vi sia oltre alla differenza, che il Presidente ha rilavato, anche un’altra: le due mozioni si riferiscono a casi diversi o meglio a casi di estensione diversa, perché la mozione Bonomi si riferisce esclusivamente a piccoli fatti, a piccole evasioni, per necessità familiari, per i quali può essere anche opportuna l’amnistia, senza che per questo cada il principio della mozione Persico, che per tutti i casi, anche i più gravi, vi possa essere un diverso provvedimento, l’indulto, ristretto alle sole pene detentive per il fatto che la nuova legge non considera il reato e non commina pene restrittive per quei fatti. E allora le due mozioni non sono inconciliabili, e non sono l’una emendamento dell’altra.

PERSICO. Si possono approvare tutte e due.

CEVOLOTTO. Si possono approvare tutte e due, in quanto non hanno la stessa estensione e si riferiscono a casi diversi. Sono dispostissimo a votare la mozione Bonomi, cioè l’amnistia per i casi più lievi; e al tempo stesso a votare la mozione Persico, cioè il semplice indulto, con il mantenimento delle pene pecuniarie, per i casi più gravi.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei domandare ai deputati proponenti se, invece di parlare di amnistia e di indulto, tanto più che questa è una prerogativa del Capo dello Stato, siano disposti a usare la dizione atto di clemenza, lasciando al Capo dello Stato, che ha la prerogativa al riguardo, di esercitarlo nella maniera che crederà.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Avanzini e Bulloni, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire nel testo della mozione Bonomi alla parola: amnistia, le parole: atto di clemenza».

L’onorevole Murdaca ha proposto il seguente emendamento aggiuntivo:

«Invita inoltre il Governo a modificare le disposizioni delle leggi annonarie riguardanti il divieto di concessione di libertà provvisoria e di sospensione condizionale della pena».

BONOMI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI PAOLO. Accetto la proposta fatta dall’onorevole Ministro, di parlare di clemenza, anzi di larga clemenza, con questa dichiarazione: che non si può e non si deve usare una clemenza uguale per tutti; con la parola clemenza si deve intendere la possibilità di un’amnistia per i piccoli reati e un indulto per gli altri reati.

PRESIDENTE. Il testo proposto dall’onorevole Bonomi è accettato anche dall’onorevole Persico, con la modificazione proposta dagli onorevoli Avanzini e Bulloni.

Inoltre, l’onorevole Persico ha proposto il seguente emendamento aggiuntivo:

«Per i casi di maggiore gravità si chiede venga concesso il condono della sola pena restrittiva della libertà personale».

L’onorevole Monticelli ed altri hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: produttori agricoli, la parola: evasori».

Onorevole Monticelli, insiste nel suo emendamento?

MONTICELLI. Insisto.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Trovo opportuna la formula, proposta all’ultimo momento, di sostituire la parola generica: «clemenza», alle parole specifiche: «indulto e amnistia», perché così il Governo e il Capo dello Stato avranno maggiore libertà d’azione.

Debbo però far presente che la parola clemenza si riferisce evidentemente ad una pena che deve essere o diminuita o tolta. Ciò che si desidera, come hanno espresso chiaramente diverse parti dell’Assemblea, è questo: che si intervenga in qualche modo per impedire la procedura attualmente vigente. Se la manteniamo nei termini in cui essa è ora, vale a dire, impossibilità di accordare la libertà provvisoria e di concedere la libertà condizionale, gli inconvenienti non saranno eliminati. Pertanto, io stesso ho suggerito una frase da aggiungere – e che mi pare possa essere accolta dai membri dell’Assemblea e dal Ministro Guardasigilli – e cioè: «la clemenza» deve intervenire non soltanto sulla pena, ma anche «sulla procedura preventiva o successiva». Facciamo in modo che ci sia la possibilità di introdurre qualche modificazione nel sistema procedurale attuale, che è più grave, di per sé stesso, della pena inflitta. (Commenti).

PRESIDENTE. Prego il Ministro Guardasigilli di esprimere il suo parere in merito a questa proposta.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi! Mi pare che stiamo divagando. Infatti, qui si tratta di un’affermazione di principio, non di entrare nel dettaglio, per quello che si riferisce alla procedura. Mi pare che, se il Governo proporrà l’atto di clemenza, sia l’amnistia, che estingue il reato, sia l’indulto, che, diciamo così, impedisce l’esecuzione della condanna, interveniamo sempre in modo che ogni preoccupazione circa la procedura diventa superflua. D’altra parte per i piccoli evasori, fin da adesso, in base al decreto del maggio 1947, è concesso quel che non è accordato agli altri, cioè la libertà provvisoria ed il non sequestro dei mezzi usati per la sottrazione dei cereali all’ammasso. Questi in ogni caso sono dettagli, per cui è inutile cercare di apportare delle aggiunte e preoccuparci di esse.

D’importante è l’invito generico, il suggerimento generico, dal quale il Governo potrà muovere per trasmettere poi al Capo dello Stato le proposte che crederà di fare su tale questione. Per ciò direi di non insistere, ma di cercare di riassumere rapidamente in una mozione concordata questo pensiero dell’Assemblea, che, se sarà solidale potrà pesare; se invece sarà diviso, potrà darsi che sia controproducente agli scopi che si proponevano coloro i quali hanno presentato le mozioni.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro di esprimere il suo parere sulla proposta dell’onorevole Monticelli, di sostituire all’espressione: «produttori agricoli», l’altra: «evasori».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Non avrei difficoltà ad accettarlo, in quanto gli evasori sono i produttori, ma faccio osservare che attraverso questa formula non si comprendono altri responsabili dell’infrazione, come per esempio coloro i quali contrabbandano le derrate, e che tuttavia non sono evasori. Infatti la espressione «evasori» si limiterebbe ai soli produttori. Non capisco, quindi, la ragione di un simile emendamento, e prego perciò l’onorevole Monticelli di non insistere su questo dettaglio, che non ha molta importanza, perché non saranno certo le intenzioni particolari, che possono spingere qualche proponente a modificare la formulazione, quelle che ispireranno il provvedimento che verrà adottato.

PRESIDENTE. Onorevole Monticelli, insiste nel suo emendamento?

MONTICELLI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Il testo definitivo della mozione Bonomi è il seguente:

«L’Assemblea Costituente, considerando che i conferimenti dei cereali (e particolarmente del grano) agli ammassi hanno raggiunto nel complesso i quantitativi previsti, ed è, conseguentemente, venuta meno la indispensabilità di perseguire anche singole evasioni dovute, non a intenti di speculazione, ma a comprensibili preoccupazioni di alimentazione familiare e di fabbisogno aziendale, ravvisa la necessità di adottare un provvedimento di clemenza a favore degli imputati o condannati per mancato conferimento di modeste quantità di generi di ammasso. L’atto di clemenza, oltre a costituire un elemento di pacificazione sociale, sarebbe altresì di incitamento all’incremento della produzione cerealicola e all’adempimento dei doveri inerenti al prossimo ammasso per contingente».

Passiamo alla votazione di questo testo.

CARBONI ENRICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ENRICO. Dichiaro di votare in favore di questa mozione, soprattutto perché queste leggi hanno avuto in Sardegna un’applicazione particolarmente rigorosa. Chiedo che l’atto di clemenza raggiunga i più vasti limiti della giustizia.

PRESSINOTTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRESSINOTTI. Noi, socialisti e comunisti, voteremo la formula «atto di clemenza», quando questa però sia intesa come amnistia per i piccoli reati e come indulto per i reati di maggiore entità, ferme restando le pene pecuniarie. (Interruzioni al centro).

UBERTI. Niente per i grossi reati!

PRESIDENTE. Pongo in votazione la mozione testé letta.

(È approvata).

Segue l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Persico, così formulato:

«Per i casi di maggiore gravità si chiede che venga concesso il condono delle sole pene restrittive della libertà personale».

L’onorevole Persico ha facoltà di dichiarare se lo mantiene.

PERSICO. Lo mantengo.

GAVINA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GAVINA. Noi voteremo contro, perché risulti chiaro che l’atto che chiamiamo di amnistia e non di clemenza sia valido per le piccole evasioni in rapporto a quanto abbiamo spiegato all’onorevole Bonomi.

CAPPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAPPI. Dichiaro che voterò contro l’emendamento Persico, perché ritengo che non si debba far luogo a nessun provvedimento di clemenza.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Persico, testé letto.

(Non è approvato).

Segue l’emendamento dell’onorevole Molinelli così formulato:

«Al primo periodo, dopo le parole: quantità di cereali, aggiungere: e per i reati ad esso connessi».

L’onorevole Molinelli ha facoltà di dichiarare se lo mantiene.

MOLINELLI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Basile così formulato:

«Sono esclusi i casi in cui la sottrazione agli ammassi sia avvenuta per esportarlo all’estero».

L’onorevole Grassi ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io ritengo inutile questo; perché l’atto di clemenza non è invocato per quelli che hanno commerciato sul mercato del grano; noi riteniamo che non sia possibile applicare un atto di clemenza a coloro che hanno speculato sul grano che serviva per il popolo italiano.

PRESIDENTE. L’onorevole Basile ha facoltà di dichiarare se mantiene il suo emendamento, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ministro della giustizia.

BASILE. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Murdaca, così formulato:

«Invita inoltre il Governo a modificare le disposizioni delle leggi annonarie riguardanti il divieto di concessione di libertà provvisoria e di sospensione condizionale della pena».

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Abbiamo così esaurito lo svolgimento delle mozioni.

Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del disegno di legge: Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

Passiamo all’esame dell’articolo 3-bis proposto dalla Commissione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«Il primo comma dell’articolo 15 è sostituito dal seguente:

«Le liste dei candidati per il collegio unico nazionale devono essere presentate da non meno di venti delegati effettivi di liste aventi lo stesso contrassegno che assumerà la lista per il collegio unico nazionale».

Il terzo comma è soppresso.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Scusi, signor Presidente. A proposito di questo articolo, faccio presente che l’Assemblea ha già deciso in precedenti sedute di discutere, come se fossero un complesso unico, tutte le disposizioni che si riferiscono al collegio unico nazionale, e quindi alla lista nazionale.

Quindi, questo emendamento dovrà essere svolto nel momento opportuno, quando avremo discusso e deliberato se il collegio unico nazionale e la lista nazionale devono rimanere.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Grilli ha proposto il seguente emendamento:

«Sopprimere l’articolo 15».

Ha facoltà di svolgerlo.

GRILLI, Relatore per la minoranza. L’emendamento che io ho presentato si propone due scopi: primo, l’abolizione del collegio unico nazionale, secondo, elaborazione di un nuovo mezzo per provvedere all’utilizzazione dei voti residuali, o resti che dir si vogliano.

L’onorevole Fuschini, Relatore di maggioranza, qualche giorno fa diceva che il mio emendamento non era contrario al collegio unico nazionale, ma soltanto alla lista nazionale.

È questione d’intendersi: se per collegio unico nazionale si deve intendere soltanto il modo di determinare quel quoziente nazionale in base al quale si stabilisce quanti deputati devono ancora eleggersi per ciascuna lista, allora nessuno è contrario al collegio unico nazionale.

Ma se per collegio unico nazionale si deve intendere – come io intendo – quel sistema per cui possono essere eletti parte di deputati al di fuori delle circoscrizioni ed in base a liste presentate dai partiti, i quali per l’ordine che danno in queste liste ai candidati designano già fin dal primo momento quali devono essere eletti, se per collegio nazionale si intende questo, allora il mio emendamento è contro il collegio unico nazionale, e credo che vi siano contrari molti colleghi di varie parti di questa Assemblea. Quali siano gli errori e i difetti del collegio unico nazionale, è cosa notissima a tutti e sarebbe perdere del tempo a rievocarli e ad enumerarli. A me basta la considerazione che è contenuta nella mia relazione, che cioè sia possibile sottrarre l’elezione di alcuni deputati alla libera scelta del corpo elettorale.

Ho sentito dire, qualche giorno fa, in una discussione, da alcuni deputati, che noi purtroppo abbiamo già incominciato a violare il principio della libera scelta del corpo elettorale quando abbiamo istituito i famosi senatori di diritto, e che quindi non c’è da scandalizzarsi troppo se qualche altra violazione si dovrà commettere ancora. Ebbene, io mi permetto di ragionare in modo precisamente inverso: siccome di queste violazioni ne abbiamo già commesse, è ora di smetterla e di non commetterne più. (Approvazioni).

I deputati debbono essere tutti eletti dai cittadini elettori con il mezzo del voto segreto e non deve esser concessa alcuna altra elezione in modo diverso. È per questo che io non posso accogliere la correzione dell’onorevole Fuschini, correzione la quale aumenta il divisore in quella operazione aritmetica che si fa per trovare il quoziente circoscrizionale e per conseguenza diminuisce il quoziente, sicché aumenta il numero dei deputati che possono essere eletti nelle circoscrizioni e diminuisce quello che può essere eletto nel collegio unico nazionale.

Io non posso accettare queste idee, perché, sebbene gli ottanta deputati eletti nel 1946 con il sistema del collegio unico nazionale verrebbero in tal modo ridotti al solo numero di 55, per me sarebbero ugualmente troppi, e sarebbero troppi anche se fossero soltanto due. Non solo quindi io trovo ingiusto il correttivo proposto dall’onorevole Fuschini, ma respingo qualsiasi altro correttivo, il quale riuscirebbe, sì, a diminuire il numero dei deputati eletti in questa maniera, ma non potrebbe se non correggere, se non diminuire l’errore, senza poter mai totalmente escluderlo, mentre noi riteniamo giusto abolire completamente questo errore.

Nelle elezioni del 1946, cui noi ci riportiamo, l’errore fu questo: che su 80 deputati eletti con il collegio unico nazionale, 41 si erano portati anche candidati in uno, o due, o tre circoscrizioni ed avevano fallito, non erano stati eletti, avevano riportato una scarsissima votazione preferenziale. E abbiamo visto questo – e qui appunto è l’ingiustizia – che della stessa lista, nella stessa circoscrizione, non è stato eletto qualche candidato che aveva raggiunto migliaia di voti preferenziali, mentre viceversa, attraverso il collegio unico nazionale, si è visto arrivare all’Assemblea un candidato della stessa lista e della stessa circoscrizione, il quale aveva riportato un assai minor numero di voti.

Siccome quindi – e ritorno al principio or ora formulato – i deputati debbono essere eletti tutti dai cittadini elettori e soltanto dai cittadini elettori, a me pare che il metodo migliore sia di abolire il sistema del collegio unico nazionale.

Si dice: ma i partiti politici hanno pure dei diritti; i partiti politici hanno oggi una grande importanza nella vita politica: è giusto quindi che essi possano anche assicurare al Parlamento una parte di quegli uomini che stimano come i migliori, i più adatti, ecc.

Ma, se noi concediamo questo diritto ai partiti politici, tanto vale allora accettare la proposta Stampacchia della lista rigida e abolire le preferenze. Ma la proposta Stampacchia della lista rigida è stata respinta da questa Assemblea; e giustamente respinta, perché i partiti politici in Italia hanno sì la loro importanza, ma c’è una grande maggioranza della cittadinanza che non fa politica e che non è iscritta ai partiti; ma si tratta di cittadini che pagano le tasse, che fanno il soldato e che hanno il diritto di dire la loro parola nell’amministrazione della cosa pubblica.

D’altra parte, per quanta importanza possano avere i partiti politici, è certo che il popolo vale qualche cosa di più, perché gli stessi partiti politici valgono in quanto è il popolo che li costituisce, è il popolo che li arricchisce. Il partito che ha molte adesioni di popolo, è un partito forte; quello che non ne ha, è destinato a morire, anche se agita la più bella idea. Per conseguenza, se il popolo soltanto ha il diritto di scegliere i suoi rappresentanti nel Parlamento, bisogna abolire la lista nazionale, e per conseguenza abolire il collegio unico nazionale. (Commenti al centro).

PICCIONI. E i senatori di diritto?

GRILLI, Relatore per la minoranza. Ormai, purtroppo, i senatori di diritto ci sono.

COSTANTINI. E chi li ha fatti? (Commenti).

GRILLI, Relatore per la minoranza. Ho già detto che, se abbiamo sbagliato una volta, sarebbe ora di smetterla.

PICCIONI. Si può correggere l’errore.

GRILLI, Relatore per la minoranza. Non si deve insistere negli errori.

Ma siccome il collegio unico nazionale aveva lo scopo di utilizzare i resti, i voti residuali, se si abolisce, bisogna naturalmente trovare un altro sistema per utilizzare i voti residuali, perché i resti bisogna utilizzarli, se vogliamo adottare in pieno la rappresentanza proporzionale. Ed io ho proposto un metodo che a me sembra il più semplice e il più giusto. Non dico che sia un metodo perfetto, per amor di Dio; prima di tutto, perché la perfezione non è di questo mondo, e poi perché sarà impossibile trovare la perfezione nei sistemi elettorali. Ma mi pare il meno imperfetto di tutti quelli che sono stati presentati. Il mio sistema mi sembra semplice come l’uovo di Colombo; tanto semplice che per enunciarlo ho speso sette righe soltanto della mia relazione.

Il sistema è questo: una volta accertato col quoziente nazionale quanti deputati si devono ancora eleggere coi resti, e quanti di questi deputati spettino proporzionalmente a ciascuna lista, si attribuiscono i seggi a quelle circoscrizioni le quali hanno raggiunto il maggior numero di resti, nel senso che si sono avvicinati di più al quoziente senza raggiungerlo. I comunisti, per esempio, nel 1946 hanno perduto due quozienti, uno a Genova e uno in un altro posto per tre – o quattrocento voti soltanto. Ora, è più giusto, a parer mio, che venga alla Camera quel primo non eletto, che sarebbe stato eletto se si fosse raggiunto il quoziente, piuttosto che un’altra persona qualsiasi, eletta dalla direzione del partito.

In questo modo, con questo mezzo che io ho proposto, prima di tutto si favoriscono le circoscrizioni più meritevoli, cioè quelle che hanno diritto, perché il deputato se lo sono guadagnato coll’andare più vicini al quoziente; si favoriscono i candidati che hanno avuto più voti individuali, e per conseguenza si obbedisce in pieno al criterio della libera scelta da parte del corpo elettorale.

L’onorevole Fuschini, Relatore di maggioranza, muove alcune obiezioni, che a me pare non abbiano alcun fondamento.

La prima obiezione è che si fa dipendere l’assegnazione dei deputati alle circoscrizioni dal gioco dei resti. Ora, io domando: che cosa è il gioco dei resti? È il giuoco dei voti, perché anche i resti sono voti. E gli altri deputati non sono forse eletti col gioco dei voti? Se hanno voti sono eletti, se non hanno voti restano fuori.

E lo stesso collegio unico nazionale non fa il gioco dei resti? Perché i Partiti, in tanto hanno diritto a più o meno deputati, in quanto nelle circoscrizioni hanno raggiunto più o meno resti.

E a proposito di giochi, egregi colleghi, vi sono giochi leali nei quali vince chi ha punti, e giochi in cui invece si «bluffa» e si vince senza punti. Ora col metodo che io propongo vincono soltanto quelli che hanno voti; invece col collegio unico nazionale, si ha una specie di gioco di poker, in cui può vincere anche chi non ne ha.

La seconda obiezione dell’onorevole Fuschini è che l’assegnazione dei seggi avviene in base ai quozienti regionali che non sono ottenuti tutti con lo stesso criterio.

Ma questa critica, onorevole Fuschini, non deve andare al mio metodo, ma al sistema generale delle elezioni. Non è colpa mia se nel 1946 per essere eletti a Trapani bastavano trentun mila voti mentre a Torino ce ne volevano più di 45 mila. Questo difetto è del metodo generale delle elezioni, non è del mio correttivo. Io prendo questo sistema com’è e lo adotto anche per l’utilizzazione dei resti; invece gli altri lo vorrebbero prendere per le elezioni dei deputati del primo scrutinio, e poi si scandalizzano quando bisogna fare le elezioni coi resti.

Vi è finalmente l’ultima obiezione dell’onorevole Fuschini. Egli ci racconta che nel 1946, nientemeno, Trapani avrebbe avuto un deputato in più.

Io non nego che qualche circoscrizione possa esserne avvantaggiata, e naturalmente a danno di qualche altra, perché i deputati non possono essere più di quelli che spettano per proporzione. Non lo nego, ma mi si deve dimostrare che queste cose non accadono col collegio unico nazionale. Invece col collegio unico nazionale avvengono cose molto più gravi, come adesso vi dirò.

Dunque, sentite le sperequazioni che si hanno col collegio unico nazionale.

Prima di tutto osservo all’onorevole Fuschini che egli usa parole improprie. Egli ci parla di trasferimenti dalle circoscrizioni al collegio unico nazionale, e di ritorni dal collegio unico nazionale alle circoscrizioni.

Ora, questo è sbagliato, perché il collegio unico nazionale non rimanda proprio niente alle circoscrizioni. Il collegio unico nazionale si serve delle circoscrizioni per farsi dare i resti, ma poi elegge chi vuole e potrebbe anche darsi che eleggesse, per esempio, tutti deputati di una circoscrizione, perché nessuno potrebbe impedire ad un partito di portare una lista nazionale di milanesi, torinesi, ecc. Ed allora nel 1946 è avvenuto questo: Genova, che secondo il linguaggio dell’onorevole Fuschini, avrebbe trasferito quattro seggi al collegio unico nazionale e per conseguenza avrebbe dovuto attendersi quattro ritorni; dal collegio unico nazionale ha avuto un deputato solo di ritorno; e Bologna ne ha avuto uno solo; e Benevento e Mantova e l’Aquila e Cagliari uno solo. Queste circoscrizioni, le quali avevano diritto a 93 deputati, in definitiva fra elezioni di primo scrutinio ed elezioni con il collegio unico nazionale hanno avuto 11 deputati in meno, cioè 82, mentre Milano che ne avrebbe trasferiti due se n’è visti ritornare 12 e Firenze 12 e Napoli 13 e Roma 25! (Ilarità – Interruzione del deputato Mazzoni).

Voi prendete tutti i deputati eletti dal collegio unico nazionale (80 deputati) e in questi 80 deputati trovate la bellezza di 25 candidati della circoscrizione di Roma! Dunque, se quel metodo che io propongo può essere di danno a qualche circoscrizione ed a favore di un’altra (speriamo che non avvenga), nel giuoco dei resti nel collegio unico nazionale gli errori sono assai più gravi. Questi scherzi che vi ho detto ora sono fatti dal collegio unico nazionale alle circoscrizioni, mentre col metodo da me proposto i deputati, se li conquistano le singole circoscrizioni con i loro resti, ossia con i loro voti.

Ed ho finito e concludo.

Distribuzione più equa e più logica dei deputati nelle circoscrizioni che, se li vogliono, se li devono guadagnare; selezione più equa dei candidati con la scelta dei più preferiti, rispetto completo della volontà degli elettori.

Ci saranno dei difetti, ma i difetti del collegio unico nazionale sono infinitamente più gravi.

Per questi motivi ho ragione di sperare che la mia proposta sia accolta. (Applausi).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io vorrei fare una mozione d’ordine in questo senso: noi abbiamo una questione di ordine generale, che è quella se conservare o no il collegio unico nazionale, e poi delle questioni subordinate che troveranno la possibilità di una discussione e di una soluzione dopo che noi avremo deliberato sulla questione principale. Quindi, se il Presidente vorrà sottoporla all’Assemblea, la mia proposta sarebbe in questo senso: fare una piccola discussione generale sul problema generale del collegio unico nazionale; votare su questa questione e poi scendere eventualmente alle subordinate che ne derivano.

PRESIDENTE. Mi sembra logico ed opportuno quello che lei propone; occorre però prima sentire la Commissione e il Governo.

CORBINO. Se siamo d’accordo vorrei aggiungere qualche cosa a quello che ha detto l’onorevole Grilli, e così poi non parlerei.

PRESIDENTE. Sta bene. Prego il Relatore di esprimere il parere della Commissione.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. La Commissione è d’accordo.

PRESIDENTE. Ed il Governo?

SCELBA, Ministro dell’interno. Anche il Governo è d’accordo.

PRESIDENTE. Se non sorge opposizione a questo procedimento, possiamo senz’altro passare alla questione generale.

(Così rimane stabilito).

Ha facoltà di parlare l’onorevole Corbino.

CORBINO. Io vorrei aggiungere qualche considerazione a quelle già svolte dall’onorevole Grilli contro la lista unica nazionale. Si è osservato che noi abbiamo deliberato una nomina di diritto di un certo numero di senatori. Non è questo, a mio giudizio, un caso paragonabile con la formazione della lista unica nazionale, perché noi non abbiamo nominato dei senatori prendendoli così a caso, ma abbiamo nominato senatori gente che ha avuto il vaglio di due, tre elezioni, gente che è stata o è alla Costituente e che per questo titolo, quasi esclusivamente, è stata autorizzata a passare al Senato. In ogni caso, il corpo deliberante per questo tipo di senatori di diritto è stata un’Assemblea eletta dal popolo e non le direzioni di partiti che sono accessibili a tutte le possibilità di pressioni dirette o indirette.

La lista unica nazionale, in sede di elezione della Costituente, poteva avere una ragione d’essere, perché, dovendosi preparare la Costituzione, tutte le correnti politiche, anche le più modeste, dovevano avere una rappresentanza diretta nell’Assemblea. Ma d’ora in avanti si tratterà di eleggere Assemblee legislative che dovranno risolvere problemi concreti, rispetto ai quali le formazioni di partiti prevalgono su quella che può essere la formazione delle correnti ideologiche. Ed allora, qual è il tipo di elezione che consente di far avvicinare di più la fisionomia della Camera eletta al corpo elettorale dal quale la Camera promana?

Evidentemente è il tipo di elezione che lascia al corpo elettorale la scelta individuale dei singoli deputati.

Noi abbiamo in Italia il frazionamento dei piccoli partiti. Ora la lista unica nazionale tende ad accentuare la tendenza al frazionamento dei partiti. Non sarà purtroppo evitabile che otto o dieci persone riescano a trovare cinquecento firme in dieci circoscrizioni perché, raggranellando tremila voti per parte, possano raggiungere la cifra necessaria per avere un posto nella lista unica nazionale, ed allora noi avremo la lista unica nazionale per esempio per il partito dei reduci garibaldini, o per coloro che hanno fatto la campagna del 1886 in Africa, o il partito dei medici, o il partito delle levatrici. Avremo tutte le possibili combinazioni atte a consentire ad un gruppo di ambiziosi di venire alla Camera, anticipando soltanto le spese che occorrono per raccogliere cinquecento firme in ogni circoscrizione e pubblicare cinquanta manifesti.

Ora, a me pare che sia interesse di tutti, dal punto di vista politico, che le formazioni politiche si raggruppino nei limiti e nei campi in cui il raggruppamento corrisponda ad una larga affinità di idee e di contenuto programmatico. La lista nazionale ostacola questo processo di raggruppamento, e quindi è uno ostacolo alla chiarificazione della vita politica italiana. (Applausi). Non possiamo appellarci ai precedenti, purtroppo, perché la proporzionale non ha avuto che due realizzazioni concrete, nel 1919 e nel 1921; e, a giudicarne gli effetti immediati, bisognerebbe veramente essere sfiduciati sulla sua possibilità di salvare la democrazia, perché dopo due anni dalla proporzionale noi siamo caduti sotto la dittatura fascista.

Non voglio collegare con un rapporto di causa ed effetto le due cose, ma non v’è dubbio che dobbiamo escogitare dei sistemi, che, non dirò non consentano, ma per lo meno ostacolino maggiormente la possibilità del ripetersi degli avvenimenti del 1919 e 1922. Quindi, ogni circoscrizione elegga i suoi deputati; li elegga con il metodo D’Hondt, o aggiungendo uno, due, tre a quel tale n che rappresenta il numero dei deputati da eleggere, ma si sappia che nella circoscrizione A che deve dare venti deputati vi saranno i venti deputati eletti fra coloro che hanno riportato un maggior numero di voti.

Ecco perché io sono contrario alla lista unica nazionale, e sono del parere che si debba adottare quel sistema elettorale che tolga ai resti qualsiasi valore, perché fino a quando noi daremo al resto un valore superiore a zero indurremo la gente a sommare tante frazioni di unità quante ne occorrono per raggiungere una unità intera in sede di collegio unico nazionale. In questo senso raccomando a coloro che hanno a cuore le future sorti dell’istituto parlamentare di votare contro il collegio unico nazionale. (Applausi).

BASILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASILE. Concentrerò la mia attenzione su due aspetti del problema: il lato giuridico e il lato politico.

Un sistema di scrutinio anzitutto non deve limitare all’elettore la sua possibilità di scelta. Se un elettore vuole scegliere un candidato, nessuno ha il diritto di porsi in mezzo fra loro; non altri elettori, non altri candidati, non altri partiti.

Ora, invece, che cosa fate voi? Presentate all’elettore delle liste già fatte, già preparate in cui l’elettore non può cambiare, non può aggiungere, non può cancellare un nome.

Se il candidato è estraneo ai partiti politici e non accetta il programma di un partito se non trova posto in una lista, l’elettore non può votare il suo nome.

Ora io ho inteso dire che l’elettore era sovrano. Ma che cosa resta di questo principio democratico se voi violate la libertà dell’elettore e la libertà di candidatura?

Si è parlato perfino di abolizione dei voti di preferenza.

Si avrebbero così dei candidati prestabiliti, che diverrebbero presto dei candidati ufficiali. Questo ci ricorda troppo il tempo passato, coi candidati delle liste nazionali. È a questo che si vorrebbe che noi tornassimo?

Noi diciamo: no.

Ora si tratta di fissare una questione di principio. Qui la questione è essenzialmente, anzi esclusivamente politica. Il corpo elettorale attraversa una crisi di astenia, di scoraggiamento, di abbandono, di sfiducia che allarga il numero degli astensionisti. Fermatevi su questa strada pericolosa. Voi sostituite al diritto degli elettori, dei cittadini, un potere arbitrario dei partiti.

Sento dire: volete dunque sopprimere i partiti?

È assurdo pensare che noi vogliamo abolire i partiti che hanno una funzione così importante, così innegabile nella vita politica. E allora di che ci lamentiamo? Che voi limitate le libertà del cittadino, obbligandolo a votare per un partito e poi delegare ad un comitato elettorale il suo diritto di scegliere i candidati.

Ecco dove non siamo d’accordo. Noi vogliamo garantire, oltre di diritto del cittadino di iscriversi in un partito, che esprima i suoi bisogni, i suoi interessi, le sue idealità, anche il diritto di restare fuori di tutti i partiti.

Il diritto di riunione e di associazione è inviolabile quanto il diritto di non riunirsi e di non associarsi.

Su oltre 22 milioni di elettori in Italia la grande maggioranza è fuori dei partiti. Certo è deplorevole.

Ma è tutta colpa degli elettori, o non piuttosto anche dei partiti? Comunque, io sto ai fatti e mi domando se fino a quando vi saranno tanti elettori che restano ancora fuori dei partiti politici si possa costruire un sistema di scrutinio che ha per presupposto proprio l’organizzazione e la distinzione in partiti del corpo elettorale.

Siamo certo lontani dal punto a cui è pervenuta l’Inghilterra dove, ad esempio, il governo e l’opposizione sono sullo stesso piano. Anche noi arriveremo, è fuori dubbio, a questa maturità politica.

Ma la tesi che io vi pongo oggi è che voi dovete rispettare allo stato attuale anche quest’agnosticismo, che ha pure le sue spiegazioni, questa volontà dell’elettore di non legarsi per la vita alle decisioni, alle tendenze, agli accordi che i partiti concludono a sua insaputa, in suo nome e per suo conto, interpretando talvolta arbitrariamente le sue aspirazioni.

Ma questo progetto poi peggiora perfino la legge che servì a eleggere quest’Assemblea.

L’articolo 3-bis contiene infatti una disposizione soppressiva del terzo comma dell’articolo 15 della legge del 1946 il quale stabiliva che, per essere eletto nel collegio unico nazionale, era necessario essere candidato almeno in una circoscrizione: ora voi sopprimete anche questo, cioè senza passare attraverso il vaglio degli elettori di almeno un collegio, si può essere eletti senza voti di preferenza!

Ma così non vi sarebbe più bisogno neanche di essere candidati e si potrebbe essere eletti anche contro il consenso degli elettori che non hanno nessun diritto di cancellare un nome. Tutto questo è contrario al principio della sovranità popolare e spiega la nostra ostilità a questa legge elettorale. Dunque non è vero che noi vogliamo abolire i partiti; siete voi che vorreste abolire l’elettore!

Ma il vostro progetto peggiora la vecchia legge anche su un altro punto essenziale.

Con la legge del 1946 le liste dei candidati per il collegio unico nazionale dovevano essere presentate in dodici circoscrizioni: oggi per l’articolo 3-bis devono essere presentate in almeno 20 delle 31 circoscrizioni.

Vi faccio osservare che se in passato si fosse imposto ai partiti questa necessità di avere una così vasta organizzazione politica, essi non avrebbero potuto né nascere, né svilupparsi. No, voi non avete, noi non abbiamo il diritto di impedire la formazione di nuovi partiti. Questo è contrario alle leggi della democrazia. Questa sarebbe una nuova teorica del possesso a favore dei partiti esistenti per mantenere è consolidare le loro posizioni attuali.

Questo sarebbe un sistema statico. Ma la politica vive di movimento e di battaglia, di maggioranze e di minoranze che consentano magari unioni nate da avvicinamenti di simili o di vicini, ma non connubi di lontani o di contrari, come avviene con questo sistema.

Si è detto che l’organizzazione dei partiti assicura la stabilità dei governi. Ma, abbiamo forse dimenticato il passato più recente? Cinque crisi di governo, in poco più di un anno, in quest’Aula, non sono la prova delle difficoltà derivate da questo sistema che determinò un equilibrio instabile che non poté mantenersi neanche con lo sforzo quotidiano delle concessioni e, scusatemi la parola, dei compromessi che furono tanto spesso dei sacrifici?

Io non avrò l’indelicatezza di enumerare quali sono i risultati pratici di questi connubi politici che la Democrazia cristiana ha celebrato via via e disfatto, prima coi comunisti, socialisti e repubblicani, poi coi liberali e qualunquisti, e ora coi liberali, socialisti autonomisti e repubblicani, che già furono alleati, poi nemici, e oggi alleati di nuovo.

E dopo tutto ciò vorreste venire a dirmi che il sistema dei partiti, della proporzionale – che voi con questa legge elettorale rafforzate ed esasperate, ma solo nell’interesse dei grossi partiti – sia il sistema preferibile, e la soluzione migliore?

So benissimo che non vi sono sistemi perfetti e si tratta solo di evitare il male peggiore.

Ma non mi dite che il male minore sia questa partitocrazia. Qui la questione è ancora esclusivamente politica.

Voi dite che il sistema proporzionale ha uno scrutinio d’idee, un confronto di programmi.

Io non so se non si debba difendere il povero elettore contro i programmi elettorali che si fanno una concorrenza spietata, che promettono mari e monti e anche il paradiso in terra e perfino il paradiso in terra e in cielo.

Comprendo la seduzione che può esercitare il sistema proporzionale, ma anzitutto voi ci date un meccanismo favorevole ai grossi anziché ai piccoli partiti, e questo significa snaturarlo.

Ma il difetto principale del sistema proporzionale, nonostante tutto, è che si basa su questa struttura rigida dei partiti, che hanno tendenza a divenire sempre più dei grandi organismi burocratici, per cui l’elettore vota per un sistema astratto di idee, mentre egli ha soprattutto il desiderio di scegliere gli elettori.

È fuori dubbio che il voto dell’elettore esprimeva meglio la sua volontà quando sapeva per chi votava. Come può infatti l’elettore scegliere meglio gli uomini se non quando li vota uno per uno? In definitiva il corpo elettorale chiede solo il permesso di esprimere la sua volontà, almeno una volta ogni cinque anni! Lasciatemi pensare che questo diritto sia inviolabile.

Col vostro sistema, poi, non v’è posto per l’uomo indipendente, pel giovane ardente, che, anche privo di mezzi, privo ancora di notorietà, ricco solo di fiducia in se stesso e nelle sue idealità, si presenta per chiedere il voto e la fiducia del corpo elettorale. In un paese come il nostro questa possibilità di affermazioni di energie nuove, di giovinezze entusiaste e di uomini di fede provata, è garanzia di moralità che servirebbe ad accrescere la bellezza ideale della lotta politica in Italia.

Quel che mi sembra il pericolo più grave è un processo di disintegrazione e di smembramento dello Stato che delega ai partiti i suoi poteri, la sua autorità. In realtà, spesso, quando i partiti sono usciti dalle elezioni, gli elettori e gli eletti non contano quasi più: contano i partiti.

Formata la Camera dei deputati, il governo si forma con gli accordi fra partiti e partiti che trattano fra loro come nel campo internazionale, da sovrano a sovrano, coi loro plenipotenziari. Tutto è contratto fra i partiti. Lo Stato non v’è più: i partiti diventano potenze che concludono convenzioni, trattati, fanno patti e transazioni continue. L’unità dello Stato è divisa come tra grandi feudatari fra gli stati maggiori dei partiti e delegata ai capi gruppo che sotto l’influenza della direzione dei partiti, decidono della condotta politica dei gruppi e perfino della loro autonomia. Ciò tende a spossessare il corpo elettorale della maggioranza delle sue prerogative e trasforma e falsa il funzionamento della vita parlamentare.

L’Assemblea stessa non legifera più se non in apparenza, perché sui temi più importanti tiene talvolta delle sedute fittizie dove le votazioni, gli orientamenti sono prestabiliti e determinati dalle direzioni dei partiti.

I Ministeri non sono fatti e non sono rovesciati dall’Assemblea, ma dalle crisi interne fra i partiti che li fanno, li disfano, li rimpastano per dissensi che sorgono fra di loro. E allora il sistema proporzionale che era stato creato per affermare l’autonomia dei partiti, li costringe a deformarsi di più.

Questo sistema proporzionale dunque non ha assicurato l’autonomia dei partiti, non il giuoco delle idee, non la stabilità dei Ministeri.

E allora perché ci chiedete tante rinunzie, tanti sacrifizi? La funzione essenziale, invece, delle elezioni è di ottenere una maggioranza politica e di determinare il governo e l’orientamento della legislatura. La vita politica dipende allora dal risultato elettorale e dal responso della volontà della Nazione che può opporsi al pluralismo degli interessi particolari. In realtà, questo pluralismo di interessi coesistenti nello Stato, potrebbe finire solo nell’ipotesi teorica che questi interessi convergessero. Il che praticamente non si verifica. E allora lo Stato dev’essere il compositore dell’equilibrio di questi egoismi contrastanti.

Ora lo Stato, invece di prendere le sue responsabilità, cede sempre più non solo ai partiti, ma agli interessi materiali di gruppi plutocratici e monopolistici di grandi trusts, di grandi organizzazioni che sono in contrasto cogli interessi generali dei cittadini, dei consumatori, che rimangono senza difesa, perché queste forze sovrane, davanti a cui lo Stato non fa che abdicare, si servono anche della corruzione e controllano la stampa, le banche, i servizi di pubblica utilità. Davanti al pericolo che rappresentano per il Paese questi egoismi sconfinati, invece di rafforzare i poteri dello Stato, si cerca di rafforzare l’onnipotenza di queste forze centrifughe e dissolventi della solidarietà dell’unità della Nazione.

Noi non vogliamo una politica di lavori pubblici di plutocrazie e di oligarchie, una politica dell’agricoltura, del commercio, dell’industria, della marina, dell’igiene, dell’assistenza di una parte o di un’altra, di destra o di sinistra, di un trust contro un altro; noi vogliamo che lo Stato rappresenti gli interessi di tutte le classi e di tutti i ceti, di tutti i cittadini e li riassuma nell’armonia del diritto e della giustizia sociale. Così soltanto, sovrano sarà il Paese, di cui lo Stato non può essere che il servitore fedele, per il suo progresso e il suo sicuro avvenire. (Approvazioni)

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Parlerò brevissimamente contro l’articolo 15. Ho anzitutto l’impressione (e non voglio entrare nel campo del collega Morelli, il quale sono sicuro mi dimostrerà di qui a pochi minuti che noi combattiamo contro un morbo nel senso giuridico, costituzionale), che il principio della lista nazionale è stato seppellito dal voto di questa Assemblea.

Mi preoccupo senz’altro di rispondere a quella che è una obiezione che il collega Fuschini non mi sembra abbia fatto nella sua relazione di maggioranza, ma che ho trovato nei resoconti della Consulta, quando il problema venne in discussione e l’onorevole Fuschini fu strenuo difensore di questo principio, che l’orientamento odierno sembra voler rigettare. L’argomento dell’onorevole Fuschini, mi consenta il caro collega, era capzioso; egli diceva: non si può parlare di inesistenza della libera scelta nella lista nazionale, perché, fatta la lista nazionale colui che va a votare la lista circoscrizionale sa che i resti eventuali andranno alla lista nazionale. Invito l’onorevole Fuschini a rispondere a questo interrogativo: è questa mai scelta libera o è scelta coatta? Quale altro mezzo è dato all’elettore per potersi svincolare da questo capestro antidemocratico che voi gli avete imposto, ancor prima che si rechi alle urne? (Approvazioni).

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Onorevoli colleghi! Mi pare che la questione non si sarebbe dovuta addirittura sollevare, perché noi abbiamo già approvato nella Costituzione un articolo 45, in cui si parla di «voto personale e uguale» ed un articolo 53, in cui si parla di «suffragio universale e diretto». Non credo che, osservatori ed interpreti rigorosi come noi dobbiamo essere, ancor più delle future Assemblee legislative, possiamo ammettere che il collegio unico nazionale sia compatibile con le norme costituzionali che ho richiamato. (Approvazioni).

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Onorevoli colleghi, ho presentato un ordine del giorno così formulato: «l’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale». Dirò soltanto pochissime parole.

L’affermata analogia fra il collegio unico nazionale e i senatori di diritto non sussiste, e ciò non soltanto per le ragioni giustissime avanzate dall’onorevole Corbino, ma anche perché in sostanza noi abbiamo aggiunto, ai senatori che dovranno essere eletti, un certo numero di altri senatori. In altri termini, noi non abbiamo sottratto niente al corpo elettorale, noi non abbiamo fatto in modo che il numero dei senatori eletti sia inferiore a quello previsto dalla Costituzione. Invece, nel caso dell’elezione dei deputati, noi abbiamo stabilito nella Costituzione che essi saranno eletti dal popolo in ragione di uno ogni ottantamila. Ora, quando noi vogliamo sottrarre un certo numero di deputati alla elezione diretta da parte del popolo (deputati che faremmo invece eleggere dai partiti), noi veniamo a violare la Costituzione. Questo è il punto. Qui v’è una violazione esplicita, chiara, manifesta, inequivoca della Costituzione. Ora, a che cosa noi dobbiamo andare? Al metodo Grilli o ad altri metodi? Non è questo il punto della discussione. Noi dobbiamo respingere un collegio unico nazionale. Io credo che si dovrebbe andare per ragione di logica al metodo D’Hondt, col quale appunto tutti i deputati sono eletti nella circoscrizione direttamente dagli elettori. Comunque, qualora il metodo D’Hondt non fosse accolto dall’Assemblea, per conto mio, subordinatamente, aderirei al metodo proposto dall’onorevole Grilli.

Noi qui facciamo un gran parlare di democrazia ad ogni momento. Signori miei, mettiamoci d’accordo una buona volta sul significato della parola democrazia. Quando noi ammettiamo il principio che alcuni deputati possono essere eletti dai partiti, noi abbiamo un concetto della democrazia che è diverso da quello usuale. Democrazia, si dice, ed ormai è diventato un luogo comune, che è governo di popolo, voluto dal popolo, esercitato per il popolo. Quando noi escogitiamo questo sistema elettorale, il cui estremo è rappresentato da quella proposta Stampacchia che noi abbiamo respinto ma che aveva una evidente coerenza, noi veniamo in sostanza a dire che per noi democrazia è un governo dei partiti, voluto dai partiti, esercitato per i partiti. (Applausi).

DONATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DONATI. Vorrei chiarire una questione generale. Ho sentito combattere la lista nazionale ed esaltare l’annullamento dei resti in sede circoscrizionale, ma il solo che abbia posto l’accento su una distinzione esatta, è l’onorevole Grilli, il quale ha distinto la lista nazionale dal collegio unico nazionale. In realtà l’antitesi non va posta fra lista nazionale e collegio circoscrizionale, ma va posta nel seguente modo: primo sistema: utilizzazione dei resti sino, come diceva l’onorevole Corbino, ad annullarli in sede circoscrizionale, in tal caso si rispetta fino all’ultimo la volontà degli elettori perché i voti, anche quelli residui, vengono con un sistema o l’altro utilizzati in seno alla stessa circoscrizione nella quale sono dati. Secondo sistema: utilizzazione dei resti in sede diversa da quella della circoscrizione. E, fra gli emendamenti presentati, io noto vari metodi per tale diversa utilizzazione; uno, quello combattuto, è quello della lista unica nazionale; vi è poi l’altro, quello dell’onorevole Grilli, che propone l’utilizzazione dei resti a vantaggio di quelle circoscrizioni che hanno avuto i resti maggiori, e che quindi propone l’abolizione della lista unica nazionale. Vi è poi un terzo metodo – che vedo proposto dall’emendamento Marina – della utilizzazione dei resti in sede interregionale, cioè si avvicina di più alla utilizzazione circoscrizionale, ma è sempre qualcosa che va al di fuori della circoscrizione.

Mi sembra, quindi, che il primo emendamento che si allontana veramente, integralmente dalla proposta della Commissione, sia l’emendamento De Martino.

PRESIDENTE. Adesso, non è il caso di parlarne, perché si tratta di una questione di principio. Ho davanti a me un ordine del giorno che è così redatto:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale».

DONATI. Sì, ma vorrei chiarire che quando si vuole respingere il principio della lista nazionale, e poi si parla invece di collegio unico nazionale, viene respinta anche la proposta dell’onorevole Grilli. Bisogna quindi precisare se si vuole respingere (o meno) il sistema della utilizzazione dei resti fuori della circoscrizione con qualsiasi metodo ovvero soltanto quello mediante la lista nazionale senza pregiudicare metodi diversi da quest’ultimo. Occorre dunque che prima della votazione la distinzione sia ben chiara.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Ritengo necessario rettificare una affermazione dell’onorevole Corbino e dell’onorevole Donati. Quando si paragona, com’essi han fatto, la lista nazionale con l’atto con cui, alcuni giorni or sono, questa Assemblea procedette alla nomina di senatori, si fa un confronto che, secondo me, non ha nessuna possibilità di essere difeso.

Quegli atti di nomina, erano, a mio avviso, fuori dei poteri della Costituente, ed in contrasto con la struttura che l’Assemblea stessa aveva deliberato per il Senato. Sulla loro validità si possono, perciò, legittimamente avanzare dubbi. In quanto, invece, alla lista nazionale bloccata, è vero che con essa sono i partiti a designare alcuni deputati; ma quei partiti, per poter in effetti esercitare tale facoltà, devono aver riportato il suffragio degli elettori. Tutt’al più si potrebbe considerare quel sistema come una elezione di secondo grado.

In quanto alla questione del collegio unico nazionale, mi pare che abbia ragione il collega che mi ha preceduto, perché davanti a noi sono due proposte concrete: da un lato, la proposta Corbino, che vuole soppressa la utilizzazione dei resti, e che quindi è contro qualsiasi collegio nazionale; dall’altro lato, la proposta della Commissione, quella del Governo, e l’altra dell’onorevole Grilli, le quali tutte e tre ammettono il collegio nazionale. La sola differenza tra queste ultime è che nella proposta del Governo e della maggioranza della Commissione si ha anche una lista nazionale, mentre nella proposta Grilli tale lista non vi è, o piuttosto essa è formata dal complesso di tutte le liste circoscrizionali.

Per ora, senza entrare nell’esame delle varie proposte, mi limito ad esprimere l’opinione che quella fatta dall’onorevole Corbino, che mira a togliere ogni valore ai resti, sia da respingere. Essa è illogica, in quanto impedisce che il principio della rappresentanza proporzionale abbia una migliore applicazione, ed è antidemocratica, in quanto è ostacolata la rappresentanza dei piccoli partiti. Mi meraviglia che a sostenere quella proposta siano proprio i colleghi dell’Unione democratica nazionale, che nelle passate elezioni ebbe ben dieci deputati eletti nella lista nazionale. Ciò vuol dire che, se nell’elezione della Costituente non si fossero utilizzati i resti delle circoscrizioni, l’Unione democratica nazionale avrebbe in questa Assemblea ben dieci deputati di meno! In generale può affermarsi che del collegio nazionale si avvantaggiarono specialmente i partili minori. Furono, infatti, eletti in esso, oltre ai dieci dell’unione democratica nazionale, dieci deputati dell’Uomo qualunque e nove repubblicani.

Nel mondo moderno, col sempre più rapido diffondersi delle comunicazioni, si va, a mio avviso, in ogni singola unità nazionale, verso una ripartizione sempre più uniforme delle varie correnti politiche; e potrebbe, perciò, darsi il caso che un gruppo politico determinato, pur non avendo numerose maggioranze locali, abbia centinaia di migliaia di elettori, i quali, ove venisse accolta la proposta Corbino, rimarrebbero senza un loro rappresentante nel Parlamento.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Il collegio unico nazionale rappresenta secondo me il metodo più adeguato per l’utilizzazione dei resti. Negare il collegio unico nazionale vuol dire una riduzione delle possibilità di giustizia elettorale che appunto il sistema della proporzionale con l’utilizzazione dei resti in sede nazionale tende a realizzare, nel modo più completo, per modo che tutti i cittadini siano rappresentati nelle Assemblee politiche.

La ragione opposta dall’onorevole Corbino mi ha profondamente, dirò così, impressionato, perché proprio da un elemento liberale – che dovrebbe dare il maggior peso a quella che è l’espressione dell’individuo – si dà invece una maggiore preponderanza alla questione del territorio, alla questione geografica, anziché alla questione della persona.

Non è il territorio, né la geografia, né la circoscrizione, ma l’individuo che conta, il quale può associarsi per difendere una idea politica insieme con cittadini che possono essere anche nel lembo più lontano del Paese. Il principio di poter esprimere un pensiero indipendentemente dal territorio e da considerazioni geografiche è, secondo me, importantissimo per realizzare la maggiore giustizia e il maggior progresso. (Commenti).

Una voce al centrosinistra. E la volontà degli elettori?

UBERTI. La volontà degli elettori è appunto questa: di poter esprimere il loro pensiero anche indipendentemente dalla circoscrizione. Ora, la forma e la possibilità di un collegio nazionale nel quale possa concretarsi questa situazione mi sembra veramente fondamentale, per cui l’obiezione mossa dall’onorevole Corbino mi sembra antitetica con questa esigenza.

Ma dobbiamo anche distinguere fra lista nazionale e collegio unico nazionale. Sono due problemi completamente diversi. Il collegio unico nazionale può sussistere sia con la proposta della Commissione di una lista nazionale rigida, sia col sistema Grilli, in cui viene attribuita, anziché una lista nazionale prestabilita, l’utilizzazione dei resti ai maggiori resti raggiunti nello singole circoscrizioni, sia col sistema, che avevo proposto in sede di Commissione, dell’utilizzazione dei resti in sede regionale, e dei resti dei resti in sede nazionale, il che avrebbe ridotto la lista nazionale da 80 eletti nelle ultime elezioni ad appena 38 o 39.

Che cosa è infatti, in definitiva, che commuove, nella questione del collegio unico nazionale? Precisamente il fatto che un settimo degli elettori sia sradicato dalla propria circoscrizione. Ma con la proposta Fuschini che aumenta il correttivo del sistema Hagenbach-Bischoff, per cui il divisore nella circoscrizione è aumentato anziché di più uno e di più due, di più due e di più tre, questa eccessiva assegnazione di punti al collegio unico nazionale si riduce a circa cinquanta. Così uno degli inconvenienti più lamentati viene ad essere superato.

Debbo inoltre richiamare l’attenzione anche su un’altra considerazione, che con la lista nazionale si assolve ad una delle esigenze della vita dei partiti, di cui un tempo si lamentava l’assenza.

Ora ammessa come un bene l’organizzazione dei partiti nei quali si articola la vita politica nazionale, i quali hanno il compito di indirizzare l’opinione degli elettori, in rispondenza alla loro funzione, è giusto, mi pare, che vi sia la possibilità, al di fuori dell’elezione nelle singole circoscrizioni, che alcuni determinati rappresentanti siano eletti in una lista nazionale utilizzando i resti che non hanno raggiunto il quoziente in sede circoscrizionale.

Riterrei quindi necessario mantenere il collegio unico nazionale che non si può assolutamente dire abbia fatto cattiva prova. Esso può aver dato, onorevoli colleghi, forse un eccessivo numero di rappresentanti; ma questo inconveniente, con l’emendamento proposto dalla Commissione, viene ad essere superato.

Per queste ragioni noi voteremo a favore del collegio unico nazionale. (Commenti).

CANDELA. Chiusura!

PRESIDENTE. Chiedo se è appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

Come ho già preannunziato, è stato presentato dagli onorevoli Martino Gaetano, Corbino e Bellavista il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale».

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Aderendo alla richiesta di alcuni colleghi modifico l’ordine del giorno in questo senso:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio della lista unica nazionale».

PRESIDENTE. Gli altri firmatari sono d’accordo?

MARTINO GAETANO. Sì.

PRESIDENTE. Sta bene. Comunico che su questo ordine del giorno è stata presentata da due gruppi distinti richiesta di scrutinio segreto.

Prima di passare alla votazione, do la parola al Relatore perché esprima il parere della Commissione.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Onorevoli colleghi, mi permetto di osservare che il problema sollevato tormenta molti dei nostri colleghi. Sono compreso della situazione di ciascuno dei colleghi. Questo problema fu discusso ampiamente alla Consulta Nazionale, dove non vi erano eccessive preoccupazioni di carattere elettorale, che giocano molto, ora, nella questione.

PERRONE CAPANO. V’erano le stesse di ora!

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. No! Prego di non interrompermi (Commenti). Sono abituato a tacermi più spesso, anche quando si fanno affermazioni che non rispecchiano l’esattezza delle cose.

Ora debbo rilevare che, quando fu discussa la legge elettorale del 1946, importantissimo fu considerato il problema dell’utilizzazione dei resti. La utilizzazione dei resti deriva dall’esame della situazione elettorale che viene considerata da un punto di vista superiore e da un punto di vista democratico. Si è voluto che tutte le espressioni della volontà popolare fossero tenute presenti nell’attribuzione dei seggi e che la volontà popolare non fosse per nessuna minima parte trascurata. Quindi il principio dell’utilizzazione dei resti fu accolto senza nessuna difficoltà da quasi tutti i componenti la Consulta Nazionale; e fu sancito nel decreto del 10 marzo 1946.

Quando dal principio dell’utilizzazione dei resti si passò al modo di realizzarlo, non si trovò nessun sistema più semplice di quello che si è adottato e che ha dimostrato come tutti i voti espressi dagli elettori, tutti i voti validi, siano stati proporzionalmente attribuiti alle singole liste rappresentanti le correnti politiche. La vostra Commissione ha lungamente studiato le diverse proposte fatte per migliorare il modo di utilizzazione dei resti e ha concluso riconoscendo che il sistema del 1946 è il più idoneo purché sia aumentata la maggiorazione del divisore in modo che al collegio unico nazionale siano attribuiti meno seggi di quanti non ne vennero attribuiti nelle elezioni del 2 giugno 1946. Questa correzione è stata proposta dalla Commissione nella misura del «più due» e «più tre», a seconda che si tratti di collegi con meno o con più di venti seggi.

In questo momento mi sembra però che si debba avere presente la ragione politica che sorregge il collegio unico con lista nazionale. Innanzitutto si è voluto dare valore all’opera dei partiti, i quali esprimono direttive politiche, indirizzi ideologici che è necessario che abbiano la loro rappresentanza in proporzione del loro peso politico elettorale. Non si riesce ad organizzare il suffragio universale, se non vi sono partiti politici fortemente e largamente organizzati. Si può fare appello all’individualità delle persone, al loro prestigio, ma questo non è più sufficiente data la enorme massa degli elettori. Occorre organizzarsi su base nazionale se si vogliono ottenere dal suffragio universale frutti benefici. Non si può quindi non tener conto dei partiti che impegnano intera la loro responsabilità non soltanto nel periodo elettorale ma anche successivamente, dopo le elezioni, per inquadrare e unificare le direttive degli eletti di fronte al Paese.

Aiutare, dandole valore, la organizzazione dei partiti è uno degli scopi fondamentali del collegio unico e della lista nazionale. Infatti, col collegio unico abbiamo potuto trarre dal nulla – dico così perché non avevano ottenuto quozienti in nessuna circoscrizione – correnti politiche di minoranza che altrimenti non avrebbero avuto qui dentro la loro espressione.

Questa valorizzazione dei partiti e delle minoranze fu dunque realizzata, e noi vogliamo che sia mantenuta.

Per quanto riguarda la lista nazionale si osserva che con essa si sfugge alla volontà degli elettori. Onorevoli colleghi, prima di tutto la proporzionale si basa sul concetto fondamentale che si vota in favore di direttive politiche e che non si dànno voti personali: o, per lo meno, c’è prima di tutto un voto di lista, poi un voto personale.

Quanto al voto personale, si è introdotto nei Paesi latini, e specialmente in Italia, il sistema delle preferenze: è una deviazione, anzi una contaminazione, del sistema uninominale nel sistema proporzionale. La proporzionale postula la rigidità della lista. Se non avete il coraggio di accettare la rigidità delle liste circoscrizionali, dovreste avere almeno il coraggio di accettare per un piccolo numero la rigidità della lista nazionale. (Vivi commenti).

DE VITA. È un sistema camorristico. (Rumori).

RUSSO PEREZ. Noi chiediamo di essere eletti dal popolo e non dai capi-partito.

DE VITA. Non c’è il coraggio di dire quello che si pensa.

MALAGUGINI. Però ora volete votare a scrutinio segreto.

FUSCHINI, Relatore per la maggioranza. Quando si parla di partiti bisogna distinguere fra i partiti che sono democratici e quelli che non lo sono. I grandi partiti democratici rispettano le esigenze della base; le loro direzioni sono elette dalle sezioni, dalle federazioni, dai congressi nazionali annuali. Se queste direzioni di partiti sono costituite secondo quelle che sono le esigenze del partito, cioè democraticamente, non c’è nulla da temere. Non pensate ai partiti di carattere dittatoriale o di carattere individualistico; pensate ai partiti veramente democratici. È sempre con la base che i partiti veramente democratici fanno i conti per la nomina e la responsabilità delle loro direzioni. Nel partito della democrazia cristiana, per esempio, la direzione centrale non può includere candidati nelle liste che non siano stati proposti dagli organi periferici, che hanno piena libertà. E così è in altri grandi partiti, le cui direzioni hanno compiti in questa materia di semplice sorveglianza e pel rispetto delle esigenze di carattere generale.

Ma, onorevoli colleghi, non intendo aumentare la vostra impazienza: vedo che non è possibile anche per l’ora tarda una discussione seria. L’Assemblea faccia quello che crede, come è suo potere. Noi non abbiamo fatto altro che eseguire un compito, quello di esaminare la questione; e la soluzione che abbiamo adottato è questa: teniamo ferma la situazione del decreto del 1946, salvo i correttivi che vi abbiamo proposto. (Applausi al centro).

MAZZEI. Chiedo di parlare a nome della minoranza della Commissione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Gli argomenti addotti dall’onorevole Fuschini a nome della maggioranza della Commissione non hanno consistenza, secondo il giudizio della minoranza. È inutile anzitutto equivocare sulla utilizzazione totale dei resti, la quale vi può essere tanto col sistema della lista nazionale quanto con gli altri sistemi che la minoranza propone. Anzi: la minoranza propone un sistema che utilizza i resti in un modo che si può dire perfetto.

Rimane integra la obiezione pregiudiziale posta dall’onorevole Corbino: se sia possibile che vi siano deputati che vengano in Parlamento designati dai partiti e non dal corpo elettorale.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Poiché l’onorevole Corbino ha modificato il testo del suo ordine del giorno sostituendo alla parola «collegio» la parola «lista», il che muta totalmente la questione, faccio mio l’ordine del giorno Corbino nella sua prima formulazione e chiedo che, poiché è pregiudiziale, venga posto in votazione per primo.

PRESIDENTE. Per orientare l’Assemblea, devo far presente che è stato in un primo tempo dagli onorevoli Corbino, Bellavista ed altri presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio del collegio unico nazionale».

In un secondo momento, questo ordine del giorno è stato così corretto:

«L’Assemblea Costituente respinge il principio della lista nazionale».

Quindi l’onorevole Uberti fa suo il testo primitivo. Evidentemente, quello del collegio unico nazionale è concetto più largo: e pertanto deve essere messo in votazione per primo.

MAZZEI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Occorre chiarire bene il significato delle due espressioni. Ci può essere una utilizzazione dei resti in sede nazionale, senza lista nazionale: esattamente quello che propone la minoranza della Commissione; cioè a dire si ammassano i resti in sede nazionale, ma poi vengono utilizzati con un sistema diverso, che non è quello delle liste indicate dai partiti. Quindi, qualora venga messo in votazione il primo ordine del giorno, è chiaro che coloro che sono contrari alla lista nazionale possono benissimo votare contro, in quanto si può mantenere il collegio unico nazionale, anche senza la lista nazionale.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Io sono sottoscrittore di un ordine del giorno e desidero fare un chiarimento, che è reso necessario dalle dichiarazioni dell’onorevole Uberti. L’ordine del giorno sottoscritto da me e da altri colleghi, fra cui l’onorevole Corbino, contemplava in un primo momento il collegio unico nazionale. Successivamente, e prima che parlasse l’onorevole Uberti, il quale certo per momentanea distrazione non se ne accorse, aderendo alla richiesta formulata da un oratore di questa parte dell’Assemblea, io modificai l’ordine del giorno sostituendo alle parole «collegio unico nazionale» le altre «lista nazionale per l’utilizzazione dei resti».

Ora, questo è un ordine del giorno, non è un emendamento. Io pertanto contesto all’onorevole Uberti il diritto di chiedere che facendo proprio il mio primitivo ordine del giorno egli abbia facoltà di pretendere che questo venga nesso in votazione per primo. Gli argomenti dell’onorevole Uberti avrebbero fondamento qualora si trattasse di emendamenti, più o meno radicali o estensivi. Ma qui si tratta di un ordine del giorno, non già di un emendamento.

Se l’onorevole Uberti ha presentato o presenterà un altro ordine del giorno dopo il mio, la Presidenza potrà metterlo in votazione successivamente; ma il mio ordine del giorno, a norma di regolamento, deve avere la precedenza. (Applausi – Commenti).

PRESIDENTE. Faccio osservare all’onorevole Martino che l’onorevole Uberti con la sua proposta non ha fatto altro che presentare un nuovo ordine del giorno. La votazione deve pertanto avvenire sull’ordine del giorno che ha maggiore ampiezza.

Mi rimetto d’altronde alle decisioni dell’Assemblea.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Mi permetto di richiamare i termini che ritengo esatti della procedura della votazione. All’inizio della discussione, se non erro, l’onorevole Corbino ha giustamente, raccogliendo i consensi dell’Assemblea, distinto i termini essenziali della questione in discussione in questo senso: prima di tutto bisogna decidere un principio fondamentale: quello di sapere se l’utilizzazione dei resti debba o no essere fatta nell’ambito nazionale. Deciso questo, si considera la seconda parte, quella del congegno migliore per la utilizzazione dei resti nell’ambito nazionale. Questa distinzione posta dall’onorevole Corbino e accettata dall’Assemblea pone (mi pare indipendentemente da qualsiasi modificazione del testo dell’ordine del giorno, come vorrebbe l’onorevole Martino) dinanzi all’Assemblea il problema del suo voto sulla utilizzazione o meno dei resti nell’ambito nazionale.

Il primo voto dunque che l’Assemblea è chiamata a dare è questo: se ritiene che i resti debbano essere utilizzati nell’ambito nazionale. Superato questo principio, vi è l’altro della pratica utilizzazione, la quale può avvenire attraverso la lista nazionale (e allora in quella sede si parlerà della lista nazionale); può avvenire attraverso il sistema dell’onorevole Grilli o l’altro sistema che aveva prospettato l’onorevole Uberti, o attraverso quel diverso congegno che ciascuno di noi può proporre. Ma ritengo che l’Assemblea non possa anteporre al voto sul principio la esclusione della lista nazionale.

Infatti anche la questione della lista nazionale non deve essere esaminata così affrettatamente ed in modo un po’ troppo risentito, come è stato fatto in questo scorcio di seduta, ma deve essere esaminata, se mai, comparativamente con altri sistemi e con altri criteri, compreso il sistema Grilli, il quale apparentemente sembra risponda a criterio di maggiore giustizia distributiva elettorale; mentre, analizzato a fondo, si può dimostrare che non significa altro che ricondurre l’utilizzazione dei resti alla utilizzazione del maggior resto nell’ambito della circoscrizione elettorale; il che ò in netta contradizione con la utilizzazione nell’ambito nazionale.

In ogni modo, se questo è esatto o no, non vuol dire; la Assemblea e ciascuno di noi ha il diritto di vagliare i vari sistemi e congegni proposti, non affrettatamente, ma comparativamente, senza preclusioni affrettate.

Per questi motivi ritengo che il Presidente debba mettere ai voti prima d’ogni altra cosa l’accettazione o meno del principio della utilizzazione dei resti nell’ambito nazionale. (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’onorevole Piccioni ha posto la questione nei suoi termini esatti. Secondo me, l’equivoco è nato dal modo di intendere la lista nazionale. Credo che l’onorevole Martino, mettendo nel suo ordine del giorno «lista nazionale», intendesse dire «collegio nazionale». Comunque, è sorta questa confusione, mi pare: alcuni hanno ritenuto che, vietandosi la lista nazionale, si intendesse esclusa senz’altro la utilizzazione in sede nazionale dei resti delle circoscrizioni.

Voci. No, no.

SCELBA, Ministro dell’interno. Questo è il punto della questione. L’onorevole Piccioni, ripeto, ha posto la questione nei suoi termini giuridici esatti, quando ha richiamato la proposta fatta dall’onorevole Corbino e approvata dall’Assemblea di discutere, in primo luogo, il principio della utilizzazione sul piano nazionale dei resti circoscrizionali. Questa la prima questione fondamentale, perché, se il suddetto principio non è accettato, ogni altra questione di lista nazionale è assorbita o superata; se invece è accettato, rimane la modalità di utilizzazione sul piano nazionale dei resti. Bisognerà cioè vedere come utilizzare questi resti: con una lista nazionale o con altre forme. Mi pare che la proposta la decisione della quale risolverebbe radicalmente la questione sia quella formulata dal collega Corbino; secondo me, bisogna dare la precedenza nella votazione alla proposta che tende ad escludere l’utilizzazione sul piano nazionale dei resti circoscrizionali.

PRESIDENTE. In base al Regolamento, sull’ordine della votazione sarà l’Assemblea a decidere. (Commenti al centro).

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Non esiste che un ordine del giorno, per questo motivo: perché l’ordine del giorno dell’onorevole Martino è unico e perché nessuno, né in questo momento né al momento della votazione, può presentare altro ordine del giorno. È l’articolo 87 del Regolamento che così prescrive. La questione fu già sollevata a proposito di un ordine del giorno Togliatti, alcune sedute fa: in sede di votazione non si può sottoporre all’Assemblea alcun nuovo ordine del giorno. (Proteste al centro). Qui non esiste che un solo ordine del giorno, quello dell’onorevole Martino, il quale parla di lista unica nazionale: e su di esso soltanto dobbiamo votare.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Vorrei richiamare l’attenzione dei proponenti questi ordini del giorno sull’opportunità, sulla maggiore utilità pratica di dar vita, senz’altro, a rispettivi emendamenti. (Commenti).

PRESIDENTE. No: ora si deve decidere se debba votarsi prima l’ordine del giorno Uberti o quello De Martino.

TARGETTI. Invito i presentatori degli ordini del giorno a ritirarli facendo loro considerare che noi non siamo qui a stabilire un principio al quale domani un’altra assemblea o noi stessi ci si debba più o meno uniformare. Siamo qui a fare una legge: il principio dell’utilizzazione dei resti sul piano nazionale e l’altro principio contrario si affermino con altrettanti emendamenti. Diversamente perdiamo tempo. (Commenti).

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO, Presidente della Commissione. A me pare che un problema di tanta importanza non possa essere risolto con la situazione confusa determinatasi nell’Aula. Chiedo, a nome della Commissione, la sospensiva. (Commenti).

PRESIDENTE. La Commissione propone il rinvio della discussione.

Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

Rinvio il seguito della discussione ad altra seduta.

Presentazione di relazioni.

MASTINO GESUMINO. Mi onoro presentare le relazioni sui seguenti disegni di legge:

«Approvazione dei seguenti Accordi conclusi in Roma, tra l’Italia e la Francia, il 21 marzo 1947:

  1. a) Accordo relativo all’immigrazione italiana in Francia;
  2. b) Accordo speciale relativo agli operai che si recano in Francia per la stagione delle barbabietole;
  3. c) Accordo relativo alle condizioni di applicazione della legislazione francese sugli assegni familiari;
  4. d) Scambio di Note».

«Approvazione degli Accordi di carattere economico, conclusi in Roma, tra l’Italia e la Norvegia, il 20 luglio 1946».

PRESIDENTE. Queste relazioni saranno stampate e distribuite.

La seduta termina alle 13.30.