Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 17 DICEMBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCCXXXVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 17 DICEMBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Discussione sulle comunicazione del Presidente del Consiglio dei Ministri:

Nenni

Valiani

Macrelli

Lussu

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Sansone

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Tonello

Pella, Ministro delle finanze

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 18.10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che il dottore Andrea Ferrara, eletto dall’Assemblea, nella seduta dell’11 corrente, membro effettivo dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana, pur dichiarandosi grato della designazione, ha segnalato le ragioni di incompatibilità con le sue funzioni di primo Presidente della Corte di cassazione che gli impediscono di accettare la carica.

Pertanto, nella seduta pomeridiana di domani, si procederà alla votazione per la nomina di un membro effettivo dell’Alta Corte medesima, in sua sostituzione.

Discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

È iscritto a parlare l’onorevole Nenni. Ne ha facoltà.

NENNI. Onorevoli colleghi, signori del Governo! Il Gruppo parlamentare socialista era molto in dubbio circa l’opportunità di aprire un dibattito di carattere politico nelle brevi dichiarazioni fatte ieri dal Presidente del Consiglio.

C’è un punto sul quale il Gruppo parlamentare socialista condivide l’opinione del Presidente del Consiglio – ciò che non capita tutti i giorni – condivide, cioè, l’apprezzamento che egli ha dato della situazione parlamentare creata dal rimpasto, allorché nelle dichiarazioni che ha fatto alla stampa e sostanzialmente in quelle scarne e telegrafiche fatte ieri in quest’Aula, ha tolto al rimpasto ogni carattere politico. Noi stimiamo infatti che non vi sia un fatto politico nuovo. Si vedono al banco del Governo dei nuovi Ministri: nessuno di loro, io credo, e in ogni caso nessuno di noi, ha l’illusione che il carattere e la natura di un Ministero possa essere determinato soltanto dalle persone che lo compongono. La sola indagine che vale la pena di intraprendere è se la base sociale del Governo è modificata. Ma vediamo prima gli aspetti secondari del rimpasto.

Se io mi richiamo a quanto abbiamo letto nei giornali, risulta che i due nuovi Gruppi che siedono al Governo, sono partiti da richieste di un certo peso e di un certo valore ed hanno finito per accontentarsi di soddisfazioni più apparenti che reali. Il Gruppo parlamentare repubblicano è stato mosso dalla preoccupazione di imprimere alla politica interna del Paese un nuovo indirizzo. Esso aveva, quindi rivendicato il dicastero dell’interno, nonché lo scioglimento del Movimento sociale italiano, del Gruppo Nazionalista cosiddetto patrissiano ed alcune misure radicali nei confronti della stampa neo-fascista. Non ha ottenuto niente di tutto ciò, e l’onorevole De Gasperi, con la sua nota fertilità di compromessi, ha risolto tutti i problemi assegnando all’onorevole Pacciardi il compito di coordinare l’azione di uno speciale Comitato in seno al Consiglio dei Ministri, incaricato di assicurare la difesa della istituzione repubblicana. Suppongo che l’unica conseguenza di tale nomina e della suddivisione del Governo in comitati sarà una serie di incidenti di competenza che metteranno a dura prova la proverbiale pazienza dell’onorevole De Gasperi. Sono del resto convinto che la difesa della Repubblica comporta la responsabilità collettiva del Governo e che né la posizione politica, né i poteri effettivi del Ministro dell’interno risultano alterati dalle modificazioni introdotte nella struttura del Governo.

Più caratteristico è il caso del gruppo secessionista, del quale tutti ricordano le posizioni piuttosto orgogliose da esso prese quando si è parlato di un rimpasto ministeriale o addirittura della creazione di un Governo rappresentativo di più vasti settori dell’Assemblea e del Paese.

Il Gruppo secessionista rivendicò allora la direzione socialista del Governo, per quanto avesse già fatto quanto stava in esso per rendere impossibile tale direzione socialista. Ripiegò in seguito sulla direzione socialista del settore economico del Governo. Ora è bensì vero che siede al banco dei Ministri l’optimus Tremelloni, ma la sua modestia non s’offuscherà se dico che non è di taglia e di peso per farci credere che la direzione della politica economica del Governo sia passata dalle mani dell’onorevole Einaudi alle sue. La direzione della politica economica del Governo resta nelle mani dell’onorevole Einaudi, e come non c’è niente di mutato dal punto di vista della direzione politica, così non c’è niente di mutato nella direzione dello politica economica e sociale del Gabineltto De Gasperi. Siamo quindi di fronte alle classiche nozze coi fichi secchi, ciò che non è sorprendente per chi tenga conto che non era possibile modificare la fisionomia del Governo se non con la crisi generale della tregua, di cui aveva preso l’iniziativa il mio caro amico Facchinetti – che mi spiace vedere come un ostaggio in questo Ministero, che non è di tregua, ma resta di lotta contro la classe lavoratrice. (Applausi all’estrema sinistra – Rumori e commenti al centro).

Del resto, in rapporto ai secessionisti del Partito socialista, debbo dire e riconoscere che c’è una logica in quanto è successo. Il fatto è che noi, Partito socialista italiano, solo Partito socialista del nostro Paese (interruzione del deputato Colosso), siamo qui al nostro posto, fedeli alla linea politica che è stata sempre quella del socialismo del nostro Paese. (Commenti a sinistra).

CALOSSO. Da Mussolini in là?! (Rumori all’estrema sinistra – Scambio di apostrofi).

NENNI. L’onorevole Calosso guadagna quando non interviene in un dibattito in cui si discutono dei problemi seri. (Commenti).

Dicevo che il fatto che noi siamo qui indissolubilmente legati alla classe operaia, alle sue fortune e alle sue sfortune, alle sue vittorie e ai suoi insuccessi, e il fatto che l’onorevole Saragat ed alcuni dei suoi amici siano sui banchi del Governo nelle condizioni che ho descritte, chiarisce, agli occhi dei socialisti, dei lavoratori e dell’opinione pubblica in generale, il senso della scissione dello scorso gennaio. (Applausi all’estrema sinistra). Fu detto allora, con molta leggerezza, che c’era un caso personale di Saragat contro di me, o mio contro Saragat, e ciò esentò il nostro giornalismo provinciale dalla ricerca dei motivi della rottura politica, che doveva condurre i secessionisti là dove oggi sono, in condizioni tali che quanto fino a ieri era confuso, oggi è assolutamente cristallino.

E so bene che non soltanto sui banchi vicino ai nostri, ma nelle sezioni, ci sono socialisti che non volevano e non vogliono quanto è successo. I fatti si sono incaricati di dimostrare loro con quanta superficialità avevano considerato la scissione del gennaio scorso. E se ci sono voluti undici mesi perché ciò che era implicito nella secessione di gennaio si concretasse nell’attuale pastetta ministeriale, ciò si deve al fatto che Saragat aveva con la classe operaia legami che non è riuscito a spezzare in alcune ore, alcuni giorni, alcune settimane come si attendeva da lui. Oggi il divorzio è consacrato nella maniera la più evidente e la più definitiva. (Approvazioni all’estrema sinistra).

Però, onorevole De Gasperi, quando vi sento dire che avete in tal modo legato alle vostre fortune ministeriali il socialismo democratico, ho il diritto di dire che il sostantivo e l’aggettivo sono male impiegati. Il socialismo democratico per natura, cammina coi piedi della classe operaia, della quale è la espressione politica.

Ora, onorevole De Gasperi, voi potete contare i voti che i secessionisti vi portano nell’Assemblea, ma vi prego di contare anche i voti che l’altro giorno essi hanno raccolto alla Camera del Lavoro di Sesto San Giovanni, la Saint-Denis del proletariato italiano; il due per cento al sedicente socialismo che fa causa comune con voi, gli altri voti al socialismo che rimane fedele alla sua origine e alla sua funzione. (Vivi applausi all’estrema sinistra).

Onorevoli colleghi, che cosa sarebbe stato necessario perché avessimo potuto considerare spostato a sinistra nei fatti e non soltanto nelle intenzioni di Pacciardi, l’asse del Governo? Sarebbe stato necessario che, attraverso un processo di autocritica, la Democrazia cristiana, i suoi uomini di Governo, il suo capo, onorevole De Gasperi, avessero sottoposto a profonda revisione i principî ai quali si ispirarono allorché promossero la crisi del maggio scorso, escludendo volutamente dal Governo i rappresentanti di nove milioni di elettrici e di elettori repubblicani.

Sul carattere della crisi dello scorso maggio io stesso, onorevoli colleghi, ho qui parlato diverse volte. Ma su di essa abbiamo adesso un documento ufficiale, pubblicato dal nostro collega onorevole Sereni, in un libro appena uscito e nel quale l’ex ministro del terzo Gabinetto De Gasperi riproduce le parole con le quali il Presidente del Consiglio giustificò davanti ai ministri la crisi che stava per aprire e che invano noi deprecammo.

Ecco ciò che riferisce l’onorevole Sereni confermando quanto fu già detto in questa Aula dagli onorevoli Morandi e Cacciatore. (Interruzioni).

Nella seduta del Consiglio dei Ministri del 30 aprile il Presidente del Consiglio espresse il suo pensiero in termini che l’onorevole Sereni così riassume (e mi corregga l’onorevole De Gasperi se le parole che gli sono attribuite non fossero esatte): «Il Partito della democrazia cristiana, il Partito socialista e il Partito comunista certo sono forti, riscuotono la fiducia di milioni e milioni di elettori: ma non sono questi elettori che decidono od orientano la campagna della stampa indipendente, che presenta in forma scandalistica, o comunque ostile, ogni sforzo che il Governo fa per superare le difficoltà del momento. Non sono i nostri milioni di elettori che possono fornire allo Stato i miliardi e la potenza economica necessari a dominare la situazione. Oltre i nostri partiti vi è in Italia un quarto partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e di rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio dei prestiti e la fuga dei capitali o le campagne scandalistiche. L’esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l’Italia senza trarre nella nuova formazione di Governo, in una forma o nell’altra, i rappresentanti di questo quarto partito, cioè di coloro che dispongono dei denari e delle forze economiche». Ecco dunque spiegato perché nella crisi di maggio i partiti della classe operaia furono posti fuori dal Governo repubblicano per fare posto al partito del capitale. (Commenti al centro).

Trovatosi nella necessità di lottare contro coloro che organizzavano le evasioni dei capitali o che sabotavano i prestiti, o che disorganizzavano la produzione, il capo di un Governo democratico e repubblicano risolveva il problema mettendo il potere a disposizione del quarto partito, del partito del capitale.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Sarebbe Einaudi questo!

NENNI. Non m’interessa il caso personale dell’onorevole Einaudi, che io definii già una volta la borghesia fatta persona. Constato soltanto che il Presidente del Consiglio conferma l’esattezza delle parole, che gli sono state attribuite dall’ex Ministro Sereni. In queste parole è la spiegazione della crisi ministeriale del maggio scorso, e della crisi del paese da allora ad oggi. Né quelle dell’onorevole De Gasperi furono delle vane parole, giacché ad esse seguirono fatti che io riassumo in tre ordini di avvenimenti. Nel campo economico, il nuovo indirizzo del Governo ha avuto come conseguenza l’irrigidimento della Confindustria e della Confida in tutti i conflitti del lavoro; ha provocato la ripresa offensiva di interessi capitalistici responsabili del fascismo più dei giovani ammaliati dalla dottrina normalista, più degli stessi ministri in camicia nera che sedettero su questi banchi e che, malgrado le loro apparenze di dittatori, erano delle marionette manovrate dalla plutocrazia. Il nuovo indirizzo del governo in materia economica si è tradotto nella lunga serie di agitazioni, delle quali gli onorevoli colleghi del centro fanno il processo senza risalire all’origine e cioè all’offensiva del capitale. (Interruzione del deputato Pallastrelli).

Nell’ambito della politica interna il nuovo indirizzo del Governo si è tradotto nei rapporti che si vanno stabilendo in ognuna delle nostre città e dei nostri villaggi, fra i rappresentanti dello stato repubblicano e le masse popolari. Il brigadiere dei carabinieri del più oscuro dei villaggi, ha della politica una intuizione tutta sua particolare, che si modella su ciò che avvenne ai vertici. Da questo brigadiere sono ormai considerati dei sovversivi, e in una certa misura dei fuori legge, coloro che hanno lottato per venti anni contro il fascismo; i partigiani che hanno conquistato dignità di nazione libera al Paese; gli uomini che si sono battuti per la Repubblica e che hanno vinto il 2 giugno. Alla stessa stregua ai suoi occhi l’agrario fascista di ieri o il manganellatore fascista, sono ridiventati degli uomini d’ordine, egli vede in loro i vostri grandi elettori, onorevole De Gasperi.

Ecco la conseguenza del nuovo corso della politica interna. Ecco l’abisso che si va scavando nel Paese. Il primo ha fatto in modo che l’apparato dello Stato consideri nemici della Repubblica noi, che siamo stati fra i fondatori dello Stato repubblicano non soltanto perché abbiamo per esso votato il 2 giugno del 1946, ma perché ad esso abbiamo consacrato la lotta di tutta la nostra vita. (Applausi all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Pallastrelli).

Onorevole Pallastrelli, non c’è nessuno su questi banchi il quale si sia dimenticato che ci sono dei democristiani che hanno dato un notevole contributo alla liberazione del Paese. Temo che se essi rimarranno fedeli agli ideali della lotta comune (Interruzioni) non passerà molto tempo prima che siano a loro volta considerati dei sovversivi.

La terza conseguenza dell’intervento diretto del quarto partito come partito dirigente del Governo si rivela nel carattere unilaterale della politica estera del governo, unilateralità corretta soltanto superficialmente dalle dichiarazioni che fa ogni tanto il nostro Ministro degli esteri ed accentuata, in modo a volte violento, dall’atteggiamento della stampa che più direttamente si richiama al Governo.

Signori del Governo, in queste ultime settimane abbiamo potuto leggere sui giornali tutta una serie di dichiarazioni che provenivano da personalità più o meno responsabili della politica americana e alle quali non è stata data mai nessuna risposta. Trascuriamo, se volete, alcune di queste dichiarazioni, quelle che si riferiscono alle condizioni dell’ordine pubblico e che hanno come base le esagerazioni polemiche degli stessi nostri giornali. Un Governo che si rispettasse avrebbe il dovere di rispondere che se in Italia ci sono degli scioperi, ce ne sono anche in America; che se da noi qualche sciopero dà luogo a manifestazioni rumorose, ciò avviene anche oltre Atlantico, come ne fa fede l’abbondante documentazione fotografica delle condizioni in cui si sono svolti nel passato e si svolgono gli scioperi in America. Il Paese ha il dovere di dire, per la voce del suo Governo, che le incidenze clamorose della nostra politica interna riguardano noi e nessuno all’infuori di noi; non pongono nessun problema di tutela; postulano soltanto l’esigenza, di carattere puramente interno, di trovare un termine di equilibrio, che spero si troverà, e si troverà tanto più facilmente quanto meno si tenterà dall’esterno di imporci una tutela che respingiamo come offensiva. (Applausi all’estrema sinistra).

Senonché, signori, non abbiamo avuto soltanto le dichiarazioni dei portavoce più o meno autorizzati della politica americana; non abbiamo avuto soltanto le dichiarazioni del signor Lowett, il quale doveva essere prontamente rassicurato circa le condizioni dell’ordine pubblico in Italia, ma ci sono state le dichiarazioni del Presidente Truman, che io leggo nel loro testo, perché l’Assemblea ne apprezzi l’importanza e, secondo il mio giudizio, anche la gravità. Il Presidente Truman nel momento in cui le truppe americane lasciavano il nostro territorio ha fatto la dichiarazione seguente:

«Se, in seguito allo svolgersi degli eventi dovesse risultare evidente che la libertà e l’indipendenza dell’Italia, su cui è basato il trattato di pace, sono minacciate direttamente o indirettamente, gli Stati Uniti, come firmatari del trattato di pace e come membri delle Nazioni Unite sarebbero costretti a prendere in esame le misure più atte per il mantenimento della pace e della sicurezza». (Rumori al centro e alla destra – Interruzione del deputato Capua – Commenti a sinistra).

La dichiarazione ha provocato commenti di cui io sento ancora il bruciare della vergogna. Da Coriolano in poi la nostra storia è ricca di passaggi al nemico e di forme multiple di mortificazione del sentimento nazionale.

L’occasione mi sembrava eccellente per rivendicare in quest’occasione la nostra volontà di essere lasciati giudici del momento in cui la nostra sicurezza, la nostra indipendenza e la nostra libertà possono essere considerate in pericolo.

Ma due dei commenti che sono stati fatti alla dichiarazione Truman si distaccano dall’ordinario, uno per il giornale che l’ha ospitata, l’altro per la personalità dalla quale proviene. Il giornale è l’organo del Presidente del Consiglio, Il Popolo, ed esso ha creduto di poter spiegare la dichiarazione del Presidente Truman con gli obblighi contemplati dalla carta dell’O.N.U. Ritengo che tale interpretazione sia del tutto sbagliata giacché se ognuna delle Potenze dell’O.N.U., individualmente, potesse assumere la tutela di questo o di quel Paese, arriveremmo allora ad una situazione assolutamente caotica. D’altra parte, l’organo ufficiale o ufficioso del Presidente del Consiglio riconosce che la dichiarazione americana non può essere messa in rapporto con le clausole del Trattato di pace. E ciò è vero giacché non vi è una sola parola nel trattato di pace che autorizzi oggi il Presidente Truman, domani il Ministro degli esteri dell’unione sovietica o di qualsiasi altro Paese a intromettersi in modo diretto o indiretto nella vita interna del nostro Paese, come se si trattasse di una colonia. Abbiamo, è vero, perso la guerra, non siamo pertanto scesi così in basso che si possa decidere all’infuori di noi se siamo o no minacciati nella nostra indipendenza. Trovo poi enorme che il Governo non abbia cercato di chiarire se la dichiarazione andava considerata in rapporto ad una eventuale aggressione all’Italia dall’esterno o in rapporto allo svolgimento della nostra politica interna.

Nel primo caso risulterebbe evidentemente quanto noi socialisti avessimo ragione di sforzarci di far accettare il concetto di una neutralità politica della nazione, ufficialmente proclamata e internazionalmente riconosciuta, col che le garanzie internazionali perderebbero ogni carattere di umiliazione.

L’altro commento al quale mi riferivo è del Ministro degli esteri ed è contenuto in un articolo pubblicato sulla Voce Repubblicana, dove si afferma che «il Presidente Truman ha perfettamente contenuto il suo interessamento nei limiti e nelle forme permesse dal Trattato di Pace e dall’O.N.U.». Io non mi fermo sul contrasto fra la tesi del Popolo e quella del Ministro degli Esteri, tanto più che la prima non è sicuro se impegni il Presidente del Consiglio. Dico, però, che non condivido la tesi del conte Sforza e che nel Trattato che abbiamo dovuto ratificare non c’è una sola parola che autorizzi nessuna nazione a farsi garante della nostra indipendenza e della nostra integrità nazionale. Dico che mentre si tenta di fare del Mediterraneo non so quale frontiera della civiltà occidentale e cristiana, noi che fra l’altro siamo stati disarmati, dobbiamo proclamare la nostra volontà di restare fuori di tutti i conflitti e di tutte le protezioni né sollecitate, né accettate. (Applausi all’estrema sinistra – Commenti al centro e a destra).

Onorevoli colleghi, c’è ancora un aspetto della unilateralità della nostra politica estera che io voglio sottolineare, alludo alle relazioni economiche con l’Oriente. In questi giorni, per iniziativa del Ministro britannico Cripps, impegnato in una durissima lotta per sottrarre il suo paese a tutele straniere, sono stati conclusi a Londra dei negoziati di cui non occorre sottolineare qui l’importanza. (Commenti). A seguito di questo accordo l’Unione sovietica coprirà quest’anno l’intero fabbisogno della Gran Bretagna in avena, orzo e granturco per un totale di mezzo milione (Interruzioni al centro) di tonnellate. Nella situazione attuale dell’Europa (Interruzioni a destra), dopo l’esito infelice della Conferenza di Parigi, l’accordo intervenuto fra la Gran Bretagna e l’Unione sovietica rappresenta agli occhi nostri un primo sostanziale contributo alla soluzione pacifica dei problemi europei.

ALDISIO. Speriamo che non faccia la fine di quello che è stato promesso alla Francia!

NENNI. Noi non abbiamo il diritto in questa Assemblea di discutere la politica francese.

Una voce al centro. Di Truman sì, però!

NENNI. Se ho citato il trattato commerciale della Gran Bretagna e dell’Unione sovietica è per trarne una conseguenza di interesse nazionale, per dire cioè che il realismo britannico dovrebbe essere imitato all’infuori dei pregiudizi religiosi, ideologici e psicologici, che avvelenano l’atmosfera europea e mondiale. Quel che ha fatto la Gran Bretagna noi lo dovremmo poter fare, lo avremmo forse potuto fare quest’anno, lo potremo certamente fare l’anno prossimo in condizioni migliori, perché l’anno prossimo è probabile che l’Unione Sovietica rimane in condizioni di far fronte a gran parte, se non all’intero fabbisogno di cereali del nostro Paese. (Commenti al centro – Interruzioni).

Una voce al centro. Auguriamocelo.

NENNI. Onorevole interruttore, se ho ben capito, lei non lo vuole.

Una voce al centro. No, ne vorremmo un campione.

NENNI. Il trattato commerciale concluso fra la Gran Bretagna e l’Unione sovietica è basato sullo scambio di merci contro macchine. Noi attualmente seguiamo o la politica degli aiuti o quella dei prestiti. Domandate all’onorevole Einaudi se è possibile continuare in questa politica e se la sola salvezza del nostro Paese non sia di aprire al nostro Paese mercati di scambio fra grano, carbone e materie prime e i prodotti forniti dalle nostre officine. (Commenti al centro).

A questa condizione soltanto, l’Italia potrà rinascere a vita autonoma, mentre finché dura l’attuale situazione ci indebitiamo e ci asserviamo. Nessun paese al mondo aprendo crediti e dando aiuti per i nostri begli occhi.

Onorevoli colleghi, queste sono nell’ordine sociale, interno e internazionale le conseguenze dell’avvento del quarto partito al potere. Quando potrete dire che la situazione creata nel maggio è stata rovesciata, che il quarto partito è stato escluso dal Governo, che esistono le condizioni del ritorno al governo dei partiti della classe operaia, allora noi riconosceremo che la situazione è mutata. O cambiano i rapporti di classe – e cambieremo anche quelli politici – o essi rimangono inalterati, e niente allora sarà cambiato.

Voglio aggiungere, signori, che se per caso in questo settore della Camera aveste trovato qualcuno disposto ad andare a sedere al banco del Governo nelle condizioni in cui ci sono andati i ministri secessionisti e di ministri repubblicani (Interruzioni – Rumori) la situazione sarebbe fors’anche più grave giacché allora un dissidio di natura violenta e tragica si sarebbe aperto in seno alla classe operaia. (Commenti al centro).

Allora avreste ottenuto lo scopo di indebolire il bastione classico della resistenza contro qualsiasi forma di oppressione e di sfruttamento che è rappresentato dalla classe lavoratrice.

La maggioranza parlamentare comprenderebbe 70 voti di più, il dissidio permarrebbe nel Paese in forme aggravate giacché – e sarà l’argomento su cui mi intratterrò tra qualche istante – di tutte le politiche che potevate o potete fare, la peggiore, signori, è quella di tentare di isolare la classe operaia spingendola così ad uscire dal terreno della legalità sul quale finora si è fermamente tenuta. (Applausi alla estrema sinistra – Rumori al centro e a destra).

Onorevoli colleghi. Io vorrei a questo punto richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla gravità della situazione. Noi siamo usciti dalla guerra, dalla lotta contro il fascismo e dalla lotta per la liberazione in circostanze che, sotto molti aspetti, ricordano quella che si creò in Germania nel 1919.

Il più grande dei teorici del socialismo riformista di allora, Carlo Kautsky, esaminando la situazione della Germania, constatava che lo Stato non era più la monarchia militare ma la repubblica democratica e che i socialisti non avevano le forze per governare da soli la repubblica democratica e non avevano neppure interesse ad essere costantemente alla opposizione. Il regime politico corrispondente a queste circostanze, era secondo Kautsky il governo di coalizione, in attesa che le elezioni convocate in regime di assoluta libertà, determinassero quale dei partiti repubblicani avrebbe avuto una maggioranza adeguata e sufficiente per dirigere le sorti del Paese.

Una situazione analoga si è presentata da noi prima e dopo il 2 giugno e noi l’abbiamo risolta pressapoco nello stesso modo: l’abbiamo risolta con una tregua dei partiti che avevano fra di loro un certo comune patrimonio di lotta contro il fascismo, contro il nazismo e per la repubblica.

Kautsky ebbe il torto di non tener conto, nella sua analisi, del fenomeno fondamentale delle moderne società, rappresentato da frequenti rotture di equilibrio. Noi abbiamo tenuto presente codesta eventualità.

Dateci atto, signori, che da questi banchi e nel Paese abbiamo cercato di ritardare la rottura dell’equilibrio che si è stabilito il 2 giugno, nella convinzione che ritardando la rottura forse la si poteva per un certo tempo evitare.

Dateci atto che anche in queste ultime settimane, quando l’onorevole Facchinetti ha preso l’iniziativa di un Governo di tregua abbiamo, in tutta la misura del possibile, facilitato il suo tentativo, dicendo che in un governo di tregua potevamo entrare o non entrare – a seconda delle condizioni in cui si sarebbe creato e si sarebbe presentato – ma ne avremmo in ogni caso riconosciuto l’autorità, e l’avremmo secondato nel tentativo di portare il Paese alle elezioni, in un mutato clima. Ma il punto fondamentale per noi è l’esclusione dal governo del quarto partito, del partito del capitale, la cui dominazione non possiamo accettare, senza venir meno al nostro dovere verso la democrazia e verso la classe lavoratrice. (Applausi all’estrema sinistra).

La verità signori, è che la responsabilità dell’attuale situazione del Paese, ricade sull’onorevole De Gasperi personalmente e sul suo partito; la verità è che la crisi di maggio si è fatta sotto il ricatto del partito del capitale e non già perché i cronisti dell’Avanti o dell’Unità mancavano di rispetto all’onorevole Gonella o all’onorevole Cappa, come del resto altri giornali della coalizione governativa mancavano di rispetto all’onorevole Togliatti o a me, senza che noi sentissimo il bisogno di lamentarcene in Consiglio dei Ministri.

Il tentativo di minimizzare la crisi di maggio e di presentarla sotto falsa luce non torna a onore del Presidente del Consiglio; abbia egli la lealtà di assumere le sue responsabilità come noi assumiamo le nostre. Noi lo abbiamo avvertito a tempo che gli atti di un Governo dal quale fosse stata estromessa la maggioranza repubblicana del 2 giugno e cioè nove milioni di elettori e di elettrici, sarebbero apparsi inficiati di ogni carattere di legittimità e di imparzialità. (Applausi all’estrema sinistra – Proteste a destra).

Nelle ultime settimane, si è riproposto per la milionesima volta un tema sul quale credevamo di aver dato tutte le spiegazioni necessarie. Anche questa mattina, sotto la firma del direttore de La Stampa, io leggevo che se al Governo non ci sono i rappresentanti del nostro partito, ciò si deve alla mia cocciutaggine, alla mia pervicacia.

Onorevoli colleghi, è un modo assai curioso di interpretare la vita di un grande partito quello di supporlo vittima della cocciutaggine o dell’errore di uno dei suoi dirigenti.

In realtà non si tratta di cocciutaggine, ma della coscienza comune a tutti i socialisti che se noi ci prestassimo al tentativo di isolare il partito comunista, tradiremmo ad un tempo il paese, la repubblica, e la classe operaia. (Interruzioni a destra).

Dal 1892 al 1900 le vecchie classi dirigenti misero fuori legge il partito socialista che rappresentava allora da solo l’avanguardia del proletariato. Quale ne fu il risultato? Il partito socialista era in quei tempi soltanto una piccola setta. Eppure il tentativo di metterlo fuori legge costò all’Italia otto anni di crisi, di violenze e di contro violenze, dai moti del 1894 in Sicilia a quelli del 1898 a Milano, allo sciopero generale del 1904. E si trattava di un piccolo partito, si trattava di un’organizzazione nascente ma già circondata di un immenso prestigio. Era quella l’epoca in cui, in Italia e fuori, si tentava di mettere fuori legge la minoranza anarchica del movimento della classe operaia, prossima a spegnersi perché non più adeguata alle esigenze della vita moderna, ma spinta dalla violenza a reazioni quale quella culminante nel regicidio di Monza.

E che volete, che potete fare nei confronti del partito comunista che si è conquistata una posizione formidabile nella classe operaia? Il Partito comunista come quello socialista è un prodotto della storia del nostro Paese; niente è più assurdo, che considerarlo estraneo alla Nazione alla quale è connaturato e della quale è una delle espressioni. (Applausi all’estrema sinistra).

Credono il Capo del Governo e il suo Ministro di polizia (Rumori) di avere i mezzi per sopprimere con la violenza questo partito?

Onorevoli colleghi, non c’è riuscito Mussolini, non c’è riuscito Hitler, non ci riuscirà l’onorevole Scelba. Di fronte a un fatto di natura politica e sociale valgono misure politiche e sociali, non provvedimenti di carattere poliziesco.

Noi socialisti crediamo di rendere al Paese, ed anche a voi onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, un grande servigio rifiutando di prestarci al tentativo di isolare la frazione comunista della classe operaia. Noi concorriamo così a mantenere la classe lavoratrice sul piano della legalità, sottraendola alla tentazione del ricorso alla violenza. (Rumori e interruzioni a destra).

Onorevoli colleghi, uno dei motivi della mia sorpresa negli ultimi anni è la cecità della borghesia nella valutazione dei problemi posti dall’avanzare della classe operaia come nuova classe dirigente. Questa sorpresa io l’ho condivisa con alcuni degli uomini che oggi sono al Governo ed ai quali rimprovero di non aver capito che staccandosi dal fronte democratico inasprivano la situazione ed esacerbavano il contrasto.

Non è nelle mie abitudini fare il processo alle intenzioni; l’onorevole Pacciardi crede di essersi sacrificato alla difesa della libertà, ma si sbaglia.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. È un dovere nostro, ci ringrazierete. (Rumori all’estrema sinistra).

NENNI. Il solo modo di difendere le istituzioni repubblicane, se mai esse fossero minacciate e non lo sono… (Interruzioni del deputato Mazza e del deputato Benedettini). Mi perdoni, onorevole Benedettini se non riesco a considerarla un pericolo pubblico.

Dicevo che il solo modo di difendere le istituzioni repubblicane è di rifare la unità dei dodici milioni di elettori repubblicani del referendum del 2 giugno.

Signori del Governo e voi Ministri secessionisti o repubblicani ricordatevi che di questi 12 milioni, nove sono rappresentati da noi dell’estrema sinistra; nove milioni di repubblicani che voi avete escluso dal Governo e che la vostra politica tende a separare dallo Stato repubblicano. Non ci riuscirete perché c’è già divorzio fra la fisionomia politica di questa Assemblea, che sta per sciogliersi, e la vita del Paese.

Questa mattina colleghi secessionisti e repubblicani eravate obbligati, salvo lodevoli eccezioni, dalla logica della situazione infernale in cui vi siete posti, a votare per il Ministro di polizia nel caso dello scioglimento del Consiglio comunale di Pescara, ma i repubblicani e i secessionisti abruzzesi erano in piazza a protestare contro il sopruso del Governo e prendevano appuntamento di qui a 45 giorni per dare sul piano elettorale alla Democrazia cristiana la risposta che merita, riportando al Comune gli uomini che ne sono stati allontanati con un atto di faziosità. (Applausi all’estrema sinistra).

Onorevole De Gasperi, del vostro breve discorso, io raccolgo il solo elemento positivo che in esso ho trovato: l’appuntamento che lei ci ha dato per il 18 aprile. Accettiamo questo appuntamento e faremo tutto quello che dipende da noi perché in occasione delle elezioni i dodici milioni di repubblicani del 2 giugno si riuniscono contro di voi e contro la vostra politica faziosa. (Vivi applausi all’estrema sinistra – Congratulazioni).

BENEDETTINI. È gli altri dodici milioni, onorevole Nenni? (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Valiani. Ne ha facoltà.

VALIANI. Onorevoli colleghi, all’inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente noi abbiamo avuto di fronte e abbiamo dovuto prendere posizione davanti ad un Governo tripartito, ed è ancora un Governo tripartito, allo stesso modo diretto, ma diversamente composto che noi dobbiamo giudicare alla fine dei lavori dell’Assemblea Costituente. Io sono stato fra i pochissimi deputati che abbiano preso in quel dibattito una posizione di critica rispetto al Governo tripartito uscito dalle elezioni del 2 giugno. Questo solo fatto mi obbliga a prendere la parola oggi, quando l’attenzione dell’Assemblea è già stanca, per sottoporre a considerazioni analitiche il Governo tripartitico, di carattere evidentemente diverso, che si presenta questa volta davanti a noi. Naturalmente, ognuno giudica i cambiamenti avvenuti nella situazione politica italiana, dal luglio 1946 ad oggi, secondo la concezione che ha delle necessità della politica italiana, secondo il suo punto di vista ideale e pratico. Personalmente, io fui eletto, insieme a pochi colleghi, nella lista di un partito che non esiste più come realtà organizzativa, ma le cui posizioni ideali permangono, e che sono quelle di un rinnovamento sociale e strutturale che dovevasi effettuare e che devesi effettuare in Italia, in uno con la riforma moderna dello Stato che consiste nel rafforzamento dell’esecutivo e nella creazione di una struttura autonomistica del popolo. Il nostro punto di vista non era popolare, non ebbe molti suffragi, e per questa ragione, e per altre ancora, io non posso più parlarvi a nome del Partito d’Azione. Rimango tuttavia profondamente convinto della validità dell’esigenza di una profonda riforma sociale in Italia e, se volete, di una profonda riforma delle strutture della società italiana industriale e agraria che sia fatta parallelamente, contemporaneamente alla riforma dello Stato, che non aspetti la conquista del potere contro lo Stato, il disfacimento di questo Stato ed il sorgere di un nuovo Stato.

Questo punto di vista non è più solo un punto di vista nostro, ma è un punto di vista diffusosi fra gli stessi nostri nemici. Al di là della dittatura, al di là della tirannide, al di là della crudeltà vi è dappertutto, anche nei totalitarismi, anche nell’ultima incarnazione del fascismo, l’esigenza di una riforma sociale che si realizzi contemporaneamente alla riforma dello Stato. Perciò, è da questo punto di vista della contemporanea ed indispensabile riforma della società italiana e dello Stato italiano che immetta veramente il popolo nel controllo e nella direzione della società economica italiana e che renda forte e stabile l’esecutivo dello Stato, è da questo punto di vista che io giudicherò il passaggio da quel tripartito a questo nuovo tripartito che ci si presenta davanti.

La maggioranza dei militanti del Partito d’azione si è spostata a sinistra: partigiani ed antifascisti come erano, sono andati là dove è la maggioranza dei partigiani e degli antifascisti conseguenti. Alcuni pochi, che sentivano maggiormente e con più acutezza l’urgenza di dare allo Stato la capacità di governare, si sono portati al centro dello schieramento politico italiano e se oggi si può parlare di un qualche mutamento della natura del Governo e della sua politica, questo è certamente avvenuto anche per opera di quei compagni.

Io sono rimasto isolato, semplicemente per aspettare, e probabilmente bisognerà aspettare anni, che si ricongiungano le due esigenze, che io reputo fondamentali della vita italiana, dando luogo a quel rinnovamento sociale, e, se volete, a quella rivoluzione sociale che, insieme con la riforma dello Stato, valga a renderlo più forte, più stabile, e meglio articolato.

Ora, dunque, qual è il cambiamento rispetto al giugno del 1946? Ci sono degli arretramenti, gravi arretramenti; si è rafforzata la prevalenza della Democrazia cristiana in seno al Governo, e in particolare, malgrado le votazioni del Congresso di Napoli, la preminenza della destra della Democrazia cristiana sul Governo. Si è rafforzato anche il peso di quello che l’onorevole De Gasperi e l’onorevole Nenni si sono abituati a chiamare il quarto partito della vita italiana, quel quarto partito del quale l’onorevole Einaudi non è certo un rappresentante, anzi ne è in questo momento la bestia nera, ma che è rappresento da altri uomini che hanno grande forza nel Governo. Questo è indubbiamente un grave arretramento rispetto alle posizioni del luglio 1946: è un passo indietro.

Ma si nota anche un progresso nell’evoluzione politica prodottasi in quest’anno e mezzo. Il progresso è costituito, da un lato, dalla necessità in cui si è trovata la sinistra di questa Assemblea, estromessa dal Governo, di rimettere in circolazione le idee e le aspirazioni sociali della Resistenza. La sinistra di quest’Assemblea, estromessa da un Governo che rappresentava un compromesso paralizzante, ha dovuto riconoscere come non sia possibile rimandare alle calende greche le riforme di struttura e oggi le pone come rivendicazioni immediate, mentre finora le aveva sempre rimandate o a dopo le elezioni della Costituente o a dopo che si fosse formata nel Paese una maggioranza socialcomunista ed ancora più in là via via seguitando.

Questo dato di fatto è utile all’affermazione vittoriosa del rinnovamento medesimo. D’altra parte, un progresso si scorge indubbiamente – e credo che in buona fede non si possa non riconoscerlo – nella maggiore omogeneità del Governo rispetto a quel Governo che si era formato con l’alleanza della Democrazia cristiana con l’estrema sinistra, al termine della lotta di liberazione, e che costituiva un’alleanza eterogenea. L’alleanza della Democrazia cristiana col centro sinistra è cosa molto più omogenea e rende possibile un Governo che potrebbe èssere – non dico che lo sia – più efficiente nel tentativo di riorganizzare l’amministrazione dello Stato e di risanare le pericolanti finanze dello Stato.

Certo, sarebbe stato preferibile che la sinistra di questa Assemblea avesse avuto la capacità di risolvere essa i problemi più urgenti dello Stato. Io penso che la sinistra farebbe bene a fare un esame di coscienza al riguardo. Vi era la possibilità di portare il centro sinistra in questa direzione, anziché lasciarlo andare nella direzione dell’onorevole De Gasperi. In ogni modo, cosa fatta, capo ha, il centro sinistra è andato al Governo e la sua andata al Governo ha servito a chiarire la situazione italiana, perché permette alla sua posizione politica di fare le sue prove al banco del Governo.

Se io potessi dare un suggerimento all’onorevole Pacciardi, all’onorevole Saragat e allo stesso onorevole Einaudi, che è forse più vicino al centro sinistra che non a qualsiasi altra formazione di questa Assemblea, sarebbe il consiglio di puntare i piedi, di puntare fortemente i piedi in questi pochi mesi nei quali collaborano al Governo, di puntare i piedi rispetto al Presidente del Consiglio, il quale non è ancora deciso a prendere i provvedimenti che la situazione esige, il quale ancora vede, mi pare, la situazione come una grandiosa operazione elettorale; e nessuno disconosce la grandissima abilità del Presidente del Consiglio nel compiere operazioni elettorali; egli ne compì una grandiosa, quando a Capo del Governo nel 1946 seppe raccogliere dietro a sé voti monarchici e voti repubblicani. Ma, con sole operazioni elettorali non si risolvono situazioni d’emergenza, senza parlare delle riforme di struttura, che pure sono nel programma della Democrazia cristiana, e tanto più nel programma dei partiti di centro sinistra. Anche per i semplici provvedimenti di amministrazione, di emergenza, per i quali, a stare alle dichiarazioni di ieri dell’onorevole De Gasperi, questo Governo si è costituito, voi avete bisogno di misure più dure, più complete, più organiche di quanto non siano state finora prese. Per far prendere queste misure, dovete fortemente puntare i piedi nei confronti del Presidente del Consiglio e delle sue tergiversazioni.

Certo, noi non possiamo sapere come andrà a finire l’esperimento che iniziate. Può darsi che esso coincida con una distensione della situazione internazionale; (ma, malgrado l’ottimismo del Conte Sforza, non se ne vedono i segni). In questo caso, il successo potrebbe sorridervi. Può darsi invece che la situazione internazionale, per i suoi riflessi, acuirà la lotta di classe in Italia e in altri Paesi europei. In questo caso, la soluzione evidentemente può venire soltanto dalla sinistra e verrà dalla sinistra nella misura in cui essa riacquisterà, insieme alle esigenze di rinnovamento sociale, il senso di quel che si chiama governare, senso che sembrava avesse acquistato quando si presentò in Italia, per la lotta di liberazione, nel 1943-45, e di cui purtroppo non diede altrettanta efficace prova quando fu al Governo. Se ne avesse dato la prova, la sua estromissione dal Governo sarebbe stata più difficile. Comunque, il passato non è mai un metro per giudicare l’avvenire. La sinistra, che si trova oggi fuori del Governo, in condizioni d’inferiorità, si trova in istato di inferiorità per colpa propria, perché non ha saputo o imporre la sua volontà finché era al Governo, oppure prendere essa l’iniziativa di passare all’opposizione e lasciare la responsabilità del Governo alla Democrazia cristiana.

La sinistra potrà, nella situazione in cui si trova, e potrà proprio con l’esperimento che oggi si inizia, ritrovare un programma che il Paese possa giudicare come suscettibile di immediata applicazione. Si tratta soltanto di questo: il tripartito aveva un programma, ma non era un programma di immediata attuazione.

Questo Governo ha un programma molto più limitato: andare avanti nell’ordine fino alle elezioni, come pure risolvere – prima ancora delle elezioni – alcuni problemi urgentissimi.

Questo è difficile, ma è possibile. Io credo che non dovrebbe essere nell’interesse della sinistra di impedire che queste poche misure si realizzino, perché su questa base può la sinistra – presentando un programma che vada al di là di esse, il programma della riforma strutturale della società e dello Stato italiano – veramente vincere le elezioni.

Potrà maturare una situazione rivoluzionaria, ma finché non c’è una situazione rivoluzionaria, fino a quando la situazione deve essere risolta dalle elezioni, non è dal fallimento del metodo riformista, ma dal successo del metodo riformista, che dipendono anche le possibilità di vittoria di coloro che vogliono la trasformazione socialista dell’economia italiana e dello Stato italiano.

Io ho terminato il preambolo e – dopo un breve accenno, che mi permetterete di fare, anche se manca il conte Sforza, alla politica estera – passerò ad alcune questioni della crisi economica che ci travaglia e per via delle quali ho preso principalmente la parola.

Mi dispiace che non ci sia il conte Sforza, ma questo non può impedirmi di parlare della sua politica, che reputo sbagliata completamente.

Onorevoli colleghi, in proposito io aderisco alla maggior parte delle considerazioni svolte dall’onorevole Nenni, anche se penso che egli abbia forse sopravalutate le recenti dichiarazioni di uomini di Stato americani: queste dichiarazioni sono naturalmente proprie della natura e dell’indole dello Stato americano, che è uno Stato di profonda democrazia elettorale, per cui nell’anno delle elezioni presidenziali, che è già iniziato, si drammatizza tutto. Non occorre che noi drammatizziamo ancora; però rimane il fatto che, se anche le dichiarazioni di Truman sono state un po’ troppo drammatizzate dall’onorevole Nenni, e lo saranno anche dall’onorevole Togliatti, rimane il fatto che il fondo delle osservazioni dell’onorevole Nenni è giusto. Cioè egli ha ragione di protestare contro la mancanza di reazione del Governo italiano su questo punto.

L’onorevole Sforza ha scritto ieri un articolo, che è un’apologia dell’America. Ammettiamo che dica tutte cose giuste. Ma esso andava scritto in qualsiasi altro momento fuori che in questo, perché proprio oggi esso ha il solo significato di dare alle dichiarazioni del Presidente Truman esattamente il valore che bisogna che non abbiano. Perché noi possiamo esprimere la nostra gratitudine verso il popolo americano, in qualsiasi momento, e dobbiamo farlo, l’abbiamo fatto e lo faremo; ma quando c’è una dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti sulla possibilità di un’intromissione nella politica italiana internazionale ed interna, noi abbiamo il diritto – anche se nel nostro intimo pensiamo che Truman fosse in piena buona fede; ed io per esempio penso che egli abbia parlato solo per i suoi fini elettorali, che non riguardano le cose nostre – noi abbiamo il diritto e il dovere di ristabilire le distanze e affermare che Truman può dire quello che vuole, ma la nostra posizione è diversa dalla sua. Oppure, è preferibile tacere.

La cosa più pericolosa è che la stampa americana, con un comunicato dell’Associateti Press – che e la più grande e la più seria Agenzia americana, da non confondersi con la stampa gialla possa fare alle dichiarazioni di Truman il seguente commento: queste dichiarazioni coincidono con informazioni delle quali, tuttavia, non si è data ancora conferma ufficiale (invece, bisogna dare una smentita ufficiale, o ufficiosa), che il Governo degli Stati Uniti considera attivamente la fornitura di armi moderne alle forze militari che il Trattato di pace permette all’Italia. Proprio in questo preciso momento mi pare sia stato assai male consigliato il conte Sforza, a dichiarare di considerare gli aiuti che ci vengono da parte degli Stati Uniti non come un prestito negoziato, ma come un generoso regalo.

Onorevole Sforza, si potrebbe già discutere se le forniture alimentari del piano Marshall rappresentino un prestito negoziato o piuttosto un regalo. In materia è bene rilevare che nella stessa relazione al Congresso degli Stati Uniti il piano Marshall non è considerato come un piano che comporta dei regali. Vi si dice, nello stesso interesse delle esportazioni americane, che ogni paese deve preoccuparsi del proprio risanamento e, nell’interesse di un ristabilimento delle varie correnti di traffico, si propone di consolidare una situazione economica mondiale nella quale gli Stati Uniti sono coinvolti.

Ma se poi, invece, tra le forniture ci fossero anche le forniture di armi, bisognerebbe che proprio queste forniture fossero pagate in contanti. Anche se abbiamo pochissimi dollari, avendo bisogno di armi dobbiamo pagarle in contanti. Evidentemente ogni esercito ed ogni polizia ha bisogno di comperare armi; ogni Governo, di qualsiasi colore, può sentire questo bisogno, sia esso di estrema sinistra o di estrema destra. Ma le armi che si comperano all’estero, bisogna pagarle in contanti. Diversamente, sulla scia delle forniture di armi, penetra in un paese l’imperativo della subordinazione alla politica estera di un altro paese.

Di questo abbiamo molteplici esempi nell’anteguerra e recentemente.

Noi vogliamo fare una politica di amicizia con gli Stati Uniti, politica che – siamo d’accordo – non deve escludere gli accordi di amicizia con l’Europa orientale. Però, al riguardo, ci sono due correnti nel seno degli Stati Uniti medesimi. Una corrente che ammette e considera ovvio che il commercio dell’Europa occidentale con gli Stati Uniti si debba integrare con la collaborazione con l’Europa orientale e un’altra corrente che ritiene fatale la formazione di un blocco antisovietico.

Voi avrete notato sui giornali americani le polemiche sollevate da Lippmann e da altri pochi grandi giornalisti, che sostengono appunto questa necessità di integrare il piano Marshall, nel senso di rafforzare o di creare rapporti commerciali con l’Europa orientale. Orbene noi non dobbiamo mai dare l’impressione che, invece di puntare sulla corrente americana più liberale, più comprensiva, più larga, puntiamo sull’altra, che è reazionaria e pericolosa. Quando vengono perciò delle dichiarazioni, che ripetono quelle che lo stesso Truman ha fatto a suo tempo nei riguardi della Grecia, non dobbiamo dare l’impressione che fra questa politica interventista e la nostra politica estera ci sia alcunché di comune.

Possiamo ricevere regali, ma solo per certi generi e per determinati fini umanitari: nessun regalo, nessun aiuto deve, io credo, farci trascinare in un’alleanza politica che si trasformerebbe presto in alleanza militare. Le alleanze militari, onorevoli colleghi, non ci hanno mai recato fortuna: non la Triplice, non l’Intesa, non i patti di Mussolini, prima con Austen poi con Neville Chamberlain, poi con Laval, non l’Asse.

Né ci recherebbe fortuna ora l’alleanza politica, che sarebbe presto militare, con l’una o con l’altra parte del mondo. Io vorrei che, se di spostamento a sinistra del Governo si potesse parlare, se ne parlasse principalmente e innanzi ad ogni altra cosa dal punto di vista di questa fondamentale esigenza della nostra politica estera.

Se avessimo una politica estera diversa, molti problemi nostri spinosi, interni e sociali, forse si risolverebbero più facilmente. Detto questo, debbo però soggiungere – e mi dispiace che sia assente l’onorevole Nenni – che, mentre condivido le sue critiche fondamentali alla politica estera del Governo, mentre condivido la sua lotta contro il tentativo di incapsularci in un’alleanza americana, che ci sarebbe fatale, non posso chiudere gli occhi davanti alla necessità per noi di far riuscire il piano Marshall.

Devo premettere che io non ho mai proposto né mai proporrei all’onorevole Nenni e a nessun socialista di rompere i legami di fraterna collaborazione con i comunisti. Bisognerebbe però che si sapesse che, rispetto ad un tentativo del partito comunista di far fallire il piano Marshall, l’atteggiamento dell’onorevole Nenni e del suo partito sarebbe diverso da quello dei comunisti, e tale sarebbe più nella fraterna collaborazione dei socialisti con i comunisti nella soluzione dei problemi sociali e politici italiani.

Io credo che, quando si sapesse nel Paese e fuori delle nostre frontiere, che l’autorità dell’onorevole Nenni e del suo partito garantiscono che il socialismo italiano non si è impegnato nella lotta contro il piano Marshall, pur riaffermando fortemente, esso socialismo, il suo desiderio di stretta cooperazione con l’Europa orientale, con il Paese Sovietico, coi Paesi di democrazia socialista dell’Europa centrale, io credo riuscirebbe più facile a tutti noi insieme, di spostare a sinistra, la politica estera dell’Italia, cioè di impedire l’adesione dell’Italia ad un blocco antisovietico.

Permettetemi di fare un piccolo esempio.

Io sono deciso fautore di una politica attiva di scambi commerciali e di una sincera politica di amicizia con l’Unione sovietica; ma sono costretto a vedere questa sotto una luce realistica. La Russia non esporterà grano in Gran Bretagna, ma foraggio. È evidente dunque che, quando un Paese come l’Italia ha urgentissimo bisogno di grano, non può porsi il compito di far fallire il piano Marshall. Può darsi che fra due o tre anni l’esportazione di grano dall’Unione sovietica sarà più larga. Oggi essa può esportare grano soltanto verso la Cecoslovacchia e verso i Paesi balcanici, con i quali essa può cercare di costituire un’unità economica pianificata, non già verso di noi e non mai nella misura in cui noi ne abbiamo bisogno. Il grano, il carbone e il petrolio, dei quali noi abbiamo bisogno, possono venirci oggi soltanto dall’America: c’è una situazione di monopolio dell’America a questo riguardo, e sarebbe un bene per noi che l’America usasse di questa sua situazione di privilegio come ha deciso di usarne col piano Marshall, cioè per ricostruire l’economia dell’Europa occidentale. Non si costruisce il socialismo sulla mancanza di pane, carbone e petrolio, come non si è costruito il socialismo neppure nell’Europa orientale sulla mancanza di questi prodotti fondamentali. Nella stessa Unione sovietica il socialismo s’è costruito, dopo anni di guerra civile e della così detta. N.E.P. – che non era socialismo –, soltanto quando coi piani quinquennali grandi uomini di Stato hanno saputo estrarre dalla terra russa carbone, petrolio e grano in misura molto superiore alla precedente, quando su questa base hanno potuto creare una grande industria.

Ora qui, col piano Marshall, ci troviamo in una fase di ricostruzione dell’Europa occidentale. Dipende in parte da noi tutti che questa ricostruzione sia fatta in modo da lasciare aperta la porta all’evoluzione dell’Italia verso il socialismo. Solo in questo modo eviteremo la vittoria di chi vuole incapsularci in una alleanza militare antisovietica.

Io ho finito sulla politica estera; e tengo a disposizione dell’onorevole Sforza il giornale in cui si danno dei dettagli un po’ piccanti sulle dichiarazioni di Truman e si mette sopra la notizia, una fotografia ancora più piccante sui recenti avvenimenti di Roma: sciopero generale, dispiegamento poliziesco, la Celere che arresta un giovinetto e lo porta a viva forza verso una «jeep» americana. Per un caso di impaginazione giornalistica, questa fotografia è andata proprio sopra la dichiarazione del Presidente Truman. Io prego che se ne tenga conto, finché siamo in tempo utile, da una parte e dall’altra.

E passiamo alla politica economica. Io ho il dovere di parlarne, perché il Governo si è preso le più fantastiche libertà nei confronti della Commissione delle finanze e del tesoro, eletta dall’Assemblea stessa, per il controllo della politica economica e finanziaria del Governo. I provvedimenti che sono stati emanati per l’economia e le finanze dello Stato sono stati tutti presi dal Governo con la massima urgenza senza che fossero mandati alla nostra Commissione. Si capisce che tutta l’economia italiana è in una situazione di massima urgenza. Però, quando si erogano 5, 10, 20, 30 miliardi, non c’è situazione di massima urgenza. La situazione di massima urgenza può consistere, per esempio, nell’erogazione di cento milioni per i bisogni di una data provincia. Ma quando si estendono i preventivi a 5, 10, 20, 30 miliardi, c’è sempre la possibilità di aspettare qualche giorno perché la Commissione competente dell’Assemblea dia al Governo il suo parere. E anche nei confronti dell’esercizio provvisorio che il 30 settembre è stato prorogato fino al 31 dicembre, non c’è massima urgenza. È vero naturalmente che il Governo ha la sua maggioranza, e se per massima urgenza si intende questo fatto, allora è un’altra cosa.

Noi, come Commissione, abbiamo avuto uno scambio di lettere al riguardo con il Presidente dell’Assemblea e con il Governo, e suppongo che al termine dei nostri lavori il Presidente Terracini comunicherà all’Assemblea questo carteggio, provando così che la nostra Commissione ha voluto e non ha potuto adempiere il suo compito. A differenza dei comunisti, io non voglio mettere l’onorevole Einaudi nel quarto partito, ma anzi lo considero come valido baluardo contro le pressioni particolari di ogni sorta. Ma proprio per questo debbo dirgli che i provvedimenti di massima urgenza che erogano miliardi costituiscono la più patente violazione – e probabilmente egli me ne darà atto nel suo intimo – degli scopi antinflazionistici della sua politica.

A mio giudizio non esiste una sola politica economica del Governo, ma esistono tre politiche in seno al Governo: una dell’onorevole Einaudi, una del Ministro Merzagora, una terza dei Ministro Togni. Se ne potrebbe aggiungere adesso una quarta, quella dell’onorevole Tremelloni, e mi auguro che l’onorevole Tremelloni faccia in modo da riportare le altre due alla politica dell’onorevole Einaudi per un coordinamento generale che oggi manca. Quella dell’onorevole Einaudi è certamente la più importante delle tre, anche se presenta anch’essa qualche difetto. (Scusatemi se uno studente critica il maestro).

La politica di restrizioni creditizie dell’onorevole Einaudi sta facendo le sue prove in questi giorni anche in Isvizzera, in Isvezia, in Gran Bretagna, in Francia: se ne discute anche negli ambienti più autorevoli degli Stati Uniti.

Però questa politica dell’onorevole Einaudi è stata fatta troppo presto. Noi non avevamo interesse a farla prima degli altri paesi. In questo dissento da lui e dall’onorevole Corbino, che l’ha teorizzata in anticipo. Io non credo che avere anticipato questa politica di sei mesi sugli altri paesi ci abbia fatto del bene. Ciò ci ha distolto dal problema principale, che era ed è di incrementare le esportazioni.

LA MALFA. Gli altri Paesi l’hanno fatta due anni fa.

VALIANI. L’onorevole La Malfa non c’era, quando ho parlato l’altra volta ed ho fatto l’esame delle condizioni per cui due anni fa questa politica si sarebbe potuto fare con molto più successo, col cambio della moneta. Allora eravamo alla vigilia di una ripresa industriale. Allora sì, tutto potevasi osare, ma non avendola fatta allora, anche perché l’onorevole Einaudi rimase un po’ assente nel dibattito, nel quale l’onorevole La Malfa sostenne questa politica con l’aggiunta del cambio della moneta contro la politica del lasciare andare dell’onorevole Corbino, non avendola fatta allora, non credo che sia stato utile farla prima che ne maturasse il tempo, ossia, che il ciclo industriale esaurisse il suo slancio; credo che avremmo risparmiato perdite inutili, se l’avessimo fatta soltanto nel prossimo gennaio-febbraio. Anche senza l’onorevole Einaudi le banche italiane sarebbero state prudenti abbastanza per trarre le conclusioni che la mancanza di risparmio, che la mancanza di depositi imponevano. Non c’era ragione che il Presidente del Consiglio auspicasse nei suoi articoli la crisi deflazionistica. Le banche italiane per conto loro avevano sufficiente senso di responsabilità per limitare una espansione che poteva essere pericolosa. Quindi non c’era, a mio giudizio, bisogno di anticipare di sei mesi le restrizioni e la depressione. Però, soggiungo, cosa fatta, capo ha. Quella politica si è fatta troppo presto ed abbiamo perduto dei guadagni di congiuntura che ci sarebbero stati utili. Ma ormai, essendo stata fatta, bisogna sostenerla e bisogna integrarla, ma non permettere che sia radicalmente cambiata. Io penso che i cambiamenti in questa politica, che ha espresso intenzione portare il Ministro del commercio estero in un articolo di giornale, siano cambiamenti, sì, in qualche punto giusti, ma nella sostanza estremamente pericolosi, perché voi non potete fare una politica di arresto dell’espansione creditizia, e poi farla seguire dallo sconto dei portafogli delle grandi aziende fatto dallo Stato. Questo veramente è uno dei peggiori modi di emettere degli assegni a vuoto, come giustamente ha rilevato poche settimane fa l’onorevole Einaudi medesimo.

Se la politica dell’onorevole Einaudi è stata fatta troppo presto, pazienza, apportiamo le correzioni del caso, ma non la facciamo saltare, perché se la facciamo saltare non riusciamo più a ripristinarla. Ormai nella crisi ci siamo, e lo riconosce lo stesso Presidente del Consiglio, che viene qui – e questo è veramente strano da parte sua – a parlare nelle dichiarazioni di Governo di una crisi economica in atto e non dice come si è giunti a questa crisi economica e quale è stata l’azione del Governo. Comunque, passiamo oltre.

Siamo nella crisi economica. C’è una crisi commerciale, una crisi creditizia, che si è già trasformata in crisi industriale.

In queste condizioni non è lecito proporre di cambiare completamente rotta, il che non toglie che alcuni suggerimenti del Ministro Merzagora siano giusti. Non è giusta però la richiesta di far diventare lo Stato, in un modo o nell’altro, il banchiere delle grandi aziende.

Devo anche parlare brevemente della politica d’importazioni dell’amico Merzagora. Mi dispiace che sia assente, ma potrà tuttavia, semmai, vedere il resoconto.

Una voce al centro. L’ha già sentito una volta.

VALIANI. Mi ha sentito una volta, e mi ha risposto. Mi ha risposto come un uomo di spirito. Anch’io potrei fare dello spirito sul cambiamento avvenuto nella sua mente. Allora egli pensava che le facilitazioni da me proposte nei riguardi delle borse avrebbero fatto andare le borse alle stelle. Le borse non sono andate alle stelle, ma al fondo del mare. Il Ministro Merzagora può cambiare ora di opinione, e preoccuparsi finalmente delle borse. Tanto meglio. A parte ciò, io elogerò alcune delle misure da lui prese, ma non mancherò di metterle nel quadro che ritengo giusto.

Franco valuta. Il Ministro Merzagora ha avuto il merito di ripristinare le importazioni franco valuta. Però queste importazioni franco valuta, che sono state decisive per la flessione dei prezzi delle merci, dei generi alimentari, hanno avuto un lieve difetto: sono state fatte prima che si risolvesse la questione del cambio del dollaro, prima cioè che si portasse il cambio ufficiale del dollaro al corso del suo livello reale. Ognuno sa come si svolgono queste cose: i dollari rientrano in forma di merci, ma se c’è ancora una tendenza del Governo a deprimere il corso medio del dollaro, negando licenze con valuta libera e autorizzando solo quelle franco valuta, avviene un fatto curioso. Chi possiede all’estero dollari o franchi svizzeri, importa carne, grano, zucchero, ed è bene che ciò avvenga. Fa bene ad importare, perché questo fa flettere i prezzi. Ma dall’importazione si ricavano lire. Cosa ne fa l’importatore di queste lire? Siccome il dollaro è ribassato, si ricopre in dollari; ricompera dollari. Invece sarebbe stato nostro interesse che un certo rialzo del cambio del dollaro e del cambio del franco svizzero accompagnasse le importazioni franco valuta. Sono pronto a scommettere che tutti gli importatori franco valuta, quando hanno avuto le lire in tasca si sono ricoperti, perché il dollaro ed il franco svizzero erano in discesa e quindi si sono trovati alla fine con più dollari e con più franchi svizzeri in tasca che all’inizio. I prezzi della carne, i prezzi dei cereali e di altri generi alimentari (a parte quelli che sono determinati da super-raccolto in Italia, come l’olio ed il vino) sono discesi. Era indispensabile fare questa operazione, ma bisognava risolvere in linea preliminare, in partenza, e non in senso ribassista, la questione del cambio reale del dollaro. Avendo fatto prima le importazioni franco valuta, si è permesso a tutti di ricoprirsi in valuta. Ora, non ne voglio fare una tragedia. Ma tenete presente che il dollaro o il franco svizzero imboscati da cittadini italiani, sono teoricamente ancora sempre suscettibili di una mobilitazione, e la valuta italiana potrà ancora essere stabilizzata col concorso di queste valute possedute da italiani. Questa è la ragione per cui anche l’altra volta dicevo al Ministro Merzagora: fate benissimo ad importare franco valuta, ma fate in modo che la gente guadagni sui prezzi in lire, ma non sui dollari e sui franchi svizzeri, e quindi non ripeta incessantemente l’operazione. Perché i dollari e i franchi svizzeri che noi trasformiamo in importazioni sono altrettanti dollari e franchi svizzeri che dovrebbero costituire la nostra riserva di stabilizzazione di domani e che noi spendiamo oggi per mangiare. Non è l’orgoglio e il vanto di alcuno Stato il mangiare di più e il non diminuire i propri consumi a scapito delle proprie riserve in valuta pregiata, anche se queste sono imboscate da cittadini privati.

L’onorevole Einaudi mi insegna che, se un giorno si addivenisse ad una stabilizzazione, ci accadrebbe quello che accadde a Poincaré, che i dollari furono offerti in gran misura alla Banca Nazionale, quando questa fu in grado di dire che comperava dollari e vendeva dollari. Non ci vogliono le misure di allettamento adoperate per gli evasi di Portolongone, per far rientrare la valuta pregiata. Basta che la Banca di Stato sia in grado di dire – e lo faccia ad un corso che deve essere un po’ più elevato dei 600 attuali per il dollaro e che ci permetta di esportare – che dica, a questo corso x, di comperare e vendere dollari; in quel momento i dollari rientrerebbero, e rimpiangeremmo quella parte dei dollari che ci siamo mangiati per non diminuire i consumi e che allora ci sarebbero utili per consolidare la lira.

Ma perché io sollevo tale questione? Perché codesta questione tecnica è tipica espressione dell’assenza di una politica economica coordinata. Tutte le cose che sono accadute attorno al franco valuta sarebbero state giustificabilissime prima che l’onorevole Einaudi avesse attuata la politica di deflazione che ha fatto. Se l’onorevole Einaudi si fosse detto, andando al Governo: io ho in mano la patrimoniale, la quale da sola costituisce un’arma formidabile d’arresto dell’inflazione, senza ricorrere alla restrizione creditizia, se si fosse impostata la questione in tali termini, in questi sei mesi, il franco valuta sarebbe stato un grande strumento di manovra del Governo, quello strumento che il Ministro Merzagora voleva che fosse. Ma ora, con la politica di deflazione attuata intempestivamente, la politica del franco valuta dovette attuarsi in modo da conferire incertezza ad una situazione che richiede la massima certezza.

Una nuova misura richiesta dal Ministro Merzagora è quella di scontare i portafogli delle grandi aziende attraverso un Consorzio di sovvenzioni industriali, il che in parole povere significa scontare titoli ed effetti di dubbio valore con i soldi dello Stato, con i soldi che stampa lo Stato. Questa è una misura la quale da sola farebbe saltare tutta la politica del Ministro Einaudi. Bisogna che il Governo scelga: o si mantiene la politica adottata dall’onorevole Einaudi, ed ormai le sue possibili asprezze sono venute alla luce tutte, perché essa, ripeto, è stata attuata troppo presto, mentre conveniva farla più tardi; oppure invece – scusate il bisticcio di parole – si decide di scontare i portafogli delle grandi aziende, ed allora attuiamo tutt’altra politica. Con ciò non voglio misconoscere che il Ministro Merzagora ha dei notevoli meriti: egli ha saputo manovrare. Riconosco questo suo merito, nonostante le critiche finali che gli ho fatto. Non farò eguale elogio all’onorevole Togni, perché egli rappresenta nel Governo solo la tendenza volta a dare agli industriali, specie grandi, sovraprezzi, sovraprofitti, sovvenzioni, prestiti, soldi. Tutti questi cinque, dieci, venti miliardi, la cui erogazione voi non sottoponete alla Commissione di finanza, perché in quella sede uomini più competenti di me vi dimostrerebbero come fanno a pugni con la politica dell’onorevole Einaudi, anche se l’onorevole Einaudi, uomo di cuore, copre tutto e dice che lo fa perché gli operai sono affamati, producono un danno incalcolabile. Non si solleva durevolmente la miseria degli operai, dando agli industriali dei soldi che sono assegni a vuoto. Se volete, fate un’altra politica e portate i favoreggiamenti di Togni fino alle loro logiche conseguenze. Fate la politica che fece Schacht in Germania nel 1922-23; ma allora non ci vuole l’onorevole Einaudi, e si diano pure i soldi all’industria e si obbedisca alla Confindustria.

Onorevoli colleghi, io sono d’accordo per l’urgenza di qualche misura lenitiva della crisi economica, nella quale siamo caduti, ma non con quella di dare miliardi alle industrie, che li spendono per salari o per sostenere i propri portafogli. Si diano soldi a chi si vuole, contro produzioni ordinate dallo Stato e che lo Stato metterà sul mercato, come avviene in Inghilterra, in Isvezia e Norvegia. Si diano soldi per tenere il cambio del dollaro un poco più alto e incrementare così l’esportazione, compensando gli importatori. Queste sono tutte cose possibili. Ma spendere senza contropartite reali non è lecito, se contemporaneamente si fa la politica dell’onorevole Einaudi. Le due cose non stanno insieme, o allora abbiamo insieme i guai dell’inflazione e della deflazione, come diceva l’altra volta l’onorevole Nenni.

Si favoriscano le Borse, per far affluire risparmio alle industrie. Quando finalmente, troppo tardi, si è ridotta l’imposta di negoziazione, si doveva prendere anche la decisione relativa alle rivalutazioni, che ancora non è stata presa, malgrado veda dai giornali che il Ministro Pella se ne occupa.

Si prendano altre misure per le Borse. Qui si suggeriscono naturalmente delle misure, non già perché il Governo ci dica in seduta pubblica: questa sì e quella no. Noi chiediamo al Governo di conoscere le sue direttive generali, non che entri qui nei dettagli. Chiedere provvedimenti precisi è il nostro compito di deputati, e in particolare di deputati dell’opposizione. Il Governo a sua volta deve agire tempestivamente, non deve rivelare quali esatti provvedimenti prenderà prima di averli già presi; e tanto meno deve scriverlo sui giornali.

Nella normalizzazione delle Borse si tenga conto di tutte le legittime richieste dei risparmiatori. C’è qualche cosa di eccessivo peraltro, in alcune richieste che farebbero saltare la patrimoniale. Mi compiaccio col Ministro Pella di nuovo, perché ha detto che nessun Governo si prenderebbe la responsabilità di modificare a fondo la patrimoniale. Io prendo atto di questo, come di un’assicurazione che impegna il Governo fino al giorno delle elezioni, perché fino alle elezioni non avremo più in questa Assemblea la possibilità di discutere di politica economica. Certo, se dovessimo fare oggi la patrimoniale, potremmo anche farla diversamente. In giugno avevamo davanti agli occhi quotazioni di Borsa che oggi non ci sono. Ci sono oggi in vista aumenti di capitali per 50 miliardi che pesano sul mercato e non trovano assorbimento.

Però se tutto questo è vero, è vero anche che il Governo e l’Assemblea, che con quella determinata imposta hanno voluto risolvere una situazione inflazionistica ed una situazione di sperequazione sociale, devono tener fede alle loro decisioni. Si possono concedere altre rateizzazioni. Questo è possibile sempre, è una misura tecnica che è sempre possibile. Ma riposi tranquillamente il Governo sulla sostanza dura e severa della patrimoniale.

La questione del cambio del dollaro è stata risolta bene in teoria, parificando il corso libero e quello ufficiale.

Ma praticamente è stata risolta in un momento, in cui già si era artificialmente depresso il corso libero.

Bisogna prospettarsi comunque la questione dei cambi in vista della stabilizzazione che postula il piano Marshall. Affrontare bisogna anche la questione dell’I.R.I., che io non vedo affrontata bene dal Ministro Togni; liberare, sfrondare, ma non cercar di salvare le grandi aziende private a spese dell’I.R.I.

L’onorevole Einaudi ha citato l’altra volta una definizione data da un grande finanziere belga, il Gutt, che, tra parentesi, ha attuato il cambio della moneta nel suo Paese. Secondo il Gutt, che l’onorevole Einaudi citava come autore di una definizione suggestiva, l’inflazione è un eccesso di spesa ed un eccesso di investimenti. D’accordissimo sull’eccesso di spesa.

Ma sulla seconda parte – eccesso di investimenti – io dovrei fare una osservazione: in America sì, l’inflazione è costituita da un eccesso generale di investimenti.

In Italia però, con la ricostruzione ancora agli inizi, se l’eccesso di spesa rappresenta sempre una inflazione, l’aumento degli investimenti è inflazione soltanto se è fatto a costi crescenti; se fosse stata fatto a costi decrescenti sarebbe stato un saggio finanziamento industriale, anche se poteva contravvenire a qualche norma della economia classica.

Se sovvenzionassimo le grandi industrie che lavorano in perdita, allora sì noi cadremmo in errori del genere di quelli che il Gutt depreca. Si aiutano veramente gli operai risanando le aziende, e non pagando salari non produttivi, perché i salari presi così sono un beneficio molto transitorio, mentre quando si rende economica la produzione, la classe operaia ne riceve un effettivo beneficio. Questo nessuno sa più dell’operaio e non c’è nessuno mortificato più dell’operaio di dover percepire il salario per una produzione che egli sa fallimentare.

Prendiamo tutte le misure, in tutti i campi, suscettibili di alleggerire i costi di produzione, senza scontare dei portafogli di aziende private che non sappiamo cosa siano. Le terribili condizioni che dal Governo sono state poste per il finanziamento alle industrie meccaniche si sono rivelate in realtà una cuccagna per queste industrie, esattamente come mi ero permesso di mettere in guardia il Governo ed i miei amici che pensavano che quelle terribili condizioni fossero davvero terribili. Nella realtà sono siate scavalcate come e quando gli industriali lo hanno voluto.

Guardate alla sostanza e non dilettatevi a mettere condizioni draconiane che nessuno rispetterà!

E poi c’è la questione fondamentale sulla quale l’onorevole Einaudi ha scritto una serie di articoli, cioè: moneta 30, prezzi 60. Ha ragione l’onorevole Einaudi: è un sofisma dire che oggi bisognerebbe raddoppiare la moneta, è un sofisma, perché mancherebbe la possibilità di investire subito produttivamente tutta questa nuova moneta. Ma è anche vero che non potete sostenere una produzione 60 con una moneta 30, a meno che non siate aiutati dalla velocità di circolazione della moneta stessa.

Ora, ci sono due ipotesi. Noi non possiamo deprimere la produzione – scusate, sono cifre approssimative – da 60 a 30; ma non possiamo neanche ritornare alla velocità di circolazione che la moneta aveva in aprile. Dobbiamo trovare una via di mezzo: la velocità di circolazione può essere maggiore di quella attuale, che è bassa.

D’altra parte, la produzione delle grandi industrie italiane non può essere più quella che era nel 1938…

TOGLIATTI. Ma questo non c’entra con la discussione sulle dichiarazioni del Governo.

VALIANI. Onorevole Togliatti, lei era assente quando ho cominciato. Ho parlato per protestare contro il fatto che il Governo non abbia portato i provvedimenti più importanti davanti alla competente Commissione delle finanze e tesoro.

Dunque, nel 1938, avevamo determinati mercati coloniali, l’Abissinia, l’esercito, la flotta, la stessa Germania, che sostenevano certe nostre industrie. È evidente che oggi un certo risanamento della produzione industriale italiana, nel senso di ridurre la capacità produttiva esuberante, va fatto con coerenza e con tutti i lenitivi e le integrazioni del caso, che lo rendano meno doloroso, il più lento ed elastico possibile.

Dalla crisi economica di cui ci ha parlato il Presidente del Consiglio nel corso delle sue brevi dichiarazioni, fondamentalmente noi usciremo con la stabilizzazione della moneta, quando il Governo si sentirà abbastanza forte per prendere le prime misure in quel senso, e ne usciremo soprattutto quando saremo stati capaci di incrementare le nostre esportazioni verso i mercati dell’oriente e dell’Europa orientale.

Non possiamo e non dobbiamo produrre di nuovo per la flotta, per l’esercito, per l’Abissinia come colonia; ma dobbiamo riguadagnare il nostro posto nell’Europa orientale.

Solo attraverso una tale azione, affiancata da una politica estera meno unilaterale di quella di oggi, noi potremo uscire dalla crisi economica che l’onorevole De Gasperi ha considerato come un dato di fatto nelle sue dichiarazioni e rispetto alla quale non ha detto cosa intende fare.

Onorevoli colleghi, io concludo citando per l’onorevole De Gasperi una mozione rivolta al Governo francese da parte dei sindacati degli operai cristiani, nella quale è detto che nel campo economico ogni misura frammentaria è votata all’insuccesso.

Questo vale anche per l’Italia. Onorevole De Gasperi, il giudizio che l’evoluzione politica italiana, che i fatti stessi daranno del presente rimaneggiamento del Governo sarà in funzione della nostra capacità di prendere finalmente misure che non siano frammentarie. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Macrelli. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Onorevoli colleghi, consapevole del senso di disciplina e di solidarietà, che vuole significare dedizione completa all’Idea e al Partito, proprio oggi il Gruppo repubblicano si pone a fianco dei suoi uomini, che in un momento particolarmente delicato della vita politica nazionale hanno assunto la grave responsabilità del potere.

Dirò subito, onorevoli colleghi, che noi non abbiamo accettato questa soluzione a cuor leggero. Noi non avevamo, come non abbiamo, ambizioni personali da sodisfare…

PAJETTA GIULIANO. Già sodisfatte!

MACRELLI. …non abbiamo né abbiamo mai avuto riserve mentali. I nostri sforzi, le nostre aspirazioni tendevano ad una meta diversa, e lo abbiamo dimostrato. In questa Aula, nell’atmosfera arroventata delle passioni, voi avete sentito le parole le ammonitrici di Ugo della Seta, di Ferruccio Parri; voi avete assistito ai generosi tentativi di Cipriano Facchinetti; voi avete ascoltato anche il discorso che a nome del mio Gruppo io pronunciai la sera del 3 ottobre a proposito delle mozioni di sfiducia presentate. Indicammo allora quelli che erano i nostri propositi, quelli che erano i nostri intendimenti. La tregua di tutti i partiti, per arrivare alla distensione degli animi, per arrivare alla concentrazione delle forze democratiche, per la difesa e il consolidamento delle istituzioni repubblicane; per le elezioni da svolgersi in clima di libertà e di tranquillità.

Purtroppo, fatalità di eventi non ha potuto permettere il raggiungimento di questo nostro scopo ideale e politico.

Potevamo allora abbandonare ogni speranza? Potevamo ancora una volta isolarci in una quasi inutile opposizione o tentare qualche cosa nell’interesse del Paese, nell’interesse della Repubblica? Noi abbiamo accettato questa soluzione, la soluzione che dovete voi giudicare: ognuno assuma la propria responsabilità.

E noi siamo arrivati a questa soluzione con gli stessi intendimenti che avevamo allora. (Interruzioni).

Voi, amici che mi ascoltate, di qualunque parte, e soprattutto di questa parte che ama più spesso interrompere, vogliate leggere il manifesto che proprio stamane il Partito repubblicano ha lanciato al Paese. Consentitemi di leggere per voi poche righe soltanto, in cui è espresso in sintesi il nostro pensiero, pensiero che sarà tradotto nella realtà dell’azione:

«Intervenire, finché si è in tempo; riannodare, nella condizione reale nella quale oggi è possibile operare, i fili dell’unità democratica; distendere gli animi e tranquillizzare gli spiriti, attutire i contrasti, tutelare la pace e l’indipendenza nazionale. Ecco il compito che il Partito si è dato in questo pericoloso momento». (Interruzioni all’estrema sinistra).

Se voi, amici, fate un esame del nostro pensiero, vedrete che le critiche che ci sono rivolte potranno esser messe in disparte ad un certo momento, perché purtroppo si dimenticano le cose molto facilmente. Cerchiamo di essere sinceri e precisi. Quando nel gennaio di questo anno, per le ragioni che voi conoscete, abbandonammo il Governo, i rappresentanti del Partito socialista e del Partito comunista restarono a fianco della Democrazia cristiana. Nessuno ci seguì, eppure vi erano ragioni per imitare il nostro esempio.

Vox clamantis in deserto fu la nostra. Comunque, passammo alla opposizione. Fu una opposizione serena, obiettiva; e pensiamo anche, fattiva e costruttiva nell’Assemblea Costituente, nel Paese, in mezzo a quelli che pensavano come noi, e in mezzo anche agli altri.

Non solo, ma io ricordo un discorso pronunziato qui in quest’Aula una sera in cui gli animi erano pur esagitati, discorso memorabile, pronunziato dall’onorevole Togliatti a proposito dell’articolo 7.

Noi non gridammo contro il connubio dell’estrema sinistra con la Democrazia cristiana.

Noi riaffermammo ancora quella che era la nostra libertà di pensiero in proposito. Ma io ricordo le parole gravi che disse in quella contingenza l’onorevole Togliatti. Egli pensava, giustamente, ad una guerra, alla eventualità di una guerra di religione. Pensava anche, e questo in linea subordinata, alla possibilità di una frattura tra le forze e le organizzazioni sindacali. Preoccupazioni giustissime da parte dell’onorevole Togliatti; ma noi abbiamo anche un’altra grave preoccupazione oggi: davanti a noi, onorevoli colleghi, purtroppo sorge lo spettro della guerra civile (Rumori all’estrema sinistra) che noi non vogliamo ed è la ragione, amici comunisti, amici socialisti, per cui noi abbiamo dato la nostra adesione ad una formazione di Governo che noi siamo certi tenterà, almeno, di portare quella distensione degli animi che è nei nostri propositi come è nei vostri. (Interruzione all’estrema sinistra).

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Dipende da voi. (Accenna alla estrema sinistra).

MACRELLI. D’altra parte, amici che mi interrompete, vorrei farvi una domanda soltanto e vorrei da parte vostra una risposta sincera come altrettanto sincera è la domanda che io vi pongo: la presenza di uomini qualificati i quali in carcere, nell’esilio, nei campi di battaglia hanno difeso la causa della giustizia, della libertà avrà pure il suo valore e il suo significato. (Commenti all’estrema sinistra).

Una voce all’estrema sinistra. Non hanno le funzioni.

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Non avete niente da insegnarci. (Commenti all’estrema sinistra).

MACRELLI. E se ieri sera l’onorevole Togliatti ha detto quella frase: «Governo nuovo», significa che una novità c’è, significa che qualche cosa è cambiata, significa che quello spostamento che noi abbiamo sempre auspicato in senso decisamente democratico e repubblicano si è affermato e si è realizzato. Comunque, vedremo le prove.

Siamo liberi di esprimere il nostro pensiero oggi, lo esprimiamo in favore di questa combinazione. Se domani dovesse fallire per sua colpa, non per fatalità di eventi, noi sapremo assumere il nostro posto di battaglia e di responsabilità.

PAJETTA GIULIANO. Per ora lo avete abbandonato.

MACRELLI. Amici di tutte le parti e particolarmente voi colleghi di estrema sinistra, noi ci auguriamo soltanto che all’indomani della competizione elettorale, che sarà fatta e dovrà essere fatta con la sola arma civile della scheda, si possa dire che questo vecchio Partito repubblicano, che ha al suo attivo il risorgimento d’Italia, avrà ancora una volta bene meritato dalla Patria.. (Applausi a sinistra e al centro – Commenti all’estrema sinistra – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Marina. Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

È iscritto a parlare l’onorevole Corsi. Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

È iscritto a parlare l’onorevole Lussu. Ne ha facoltà.

LUSSU. Onorevoli colleghi, per le forze politiche esigue che io rappresento non so se, a quest’ora avrei davvero il diritto di parlare. Con tutto ciò penso che sarà opportuno il mio breve intervento. Per altro, i colleghi mi riconosceranno il dovere di riprendere la parola in un momento che molti in quest’Aula e nel Paese considerano estremamente critico per l’avvenire della democrazia e per le sorti stesse del nostro Paese.

Ed io profitterò di questa mia posizione di rappresentante di forze esigue, le quali non sono sottoposte agli obblighi di quella grande disciplina che è necessaria anche fra i più liberali dei grandi partiti politici, per esprimere in piena libertà il mio pensiero politico.

A confermare questa mia libertà di giudizio io dico subito che non condivido la critica fatta ieri da taluni all’onorevole Presidente del Consiglio sulla incostituzionalità del modo con cui la crisi si è svolta e questo Governo si è presentato all’Assemblea. Io credo che costituzionalmente il Governo debba considerarsi corretto. Naturalmente, la tradizione parlamentare è stata leggermente toccata, ma questo è un altro problema e non mi soffermo nemmeno a discuterlo.

A chiarire ancora di più questa mia assoluta indipendenza di giudizio, dirò che non è neppure discutibile che questo Governo, almeno idealmente, non si sia spostato a sinistra. Io penso che questo spostamento a sinistra sia avvenuto, sia pure solo sul terreno parlamentare. Bastava seguire le reazioni varie dei diversi settori dell’Assemblea mentre parlava il Presidente del Consiglio per capire che qualche cosa di nuovo è avvenuto. L’estrema destra ascoltava attenta e immobile, e non si udivano più quei clamori gioiosi di vittoria che hanno accompagnato ultimamente le dichiarazioni del Governo. Ed in più aggiungo: credo fermamente che la volontà del Partito repubblicano e del Partito socialista lavoratori italiani sia tesa ad uno spostamento reale verso sinistra della politica del Governo.

Resta a vedere se la situazione, politicamente e socialmente, si fa più a sinistra; cioè se, effettivamente, si porta più a sinistra; e se nella situazione generale nazionale e internazionale questo sia realmente un Governo più a sinistra, un Governo di tregua nazionale e, per questo solo fatto, sia in grado di costituire una garanzia per la democrazia repubblicana.

Questo è il problema; e su questo problema l’Assemblea è chiamata ad esprimere il suo parere.

Nessuno disconosce le difficoltà nelle quali noi ci troviamo, difficoltà d’ordine nazionale sommamente legate a difficoltà d’ordine internazionale. E si sa, queste ultime influiscono sulle prime in modo eccezionalmente grave; così, come in uno schieramento militare influisce la situazione generale sul settore particolare. Naturalmente, anche un settore particolare, un grande settore, può contribuire a migliorare la situazione generale. Ma, oggi, è più probabile che questa ultima influenzi il primo.

Che cosa v’è di cambiato, non negli uomini verso i quali il rispetto è assoluto, ma nelle cose e nei fatti, con questo Governo? Il Presidente del Consiglio ci ha detto che ci troviamo di fronte ad un apporto nuovo di democrazia socialista.

Quale democrazia socialista? II partito laburista inglese è notoriamente un partito riformista per nascita, per temperamento, per dottrina, per finalità; ma tuttavia pratica – e nessuno oserà negarlo – una politica di democrazia socialista, sia esso all’opposizione o al governo. Perché esso è composto ed è sostenuto dall’immensa parte – il novantacinque per cento – del proletariato britannico e dalle trade unions. Nessuno può negargli, malgrado il suo riformismo, questa sua caratteristica socialista, che gli deriva in modo concreto dalla sua base sociale nella quale si innesta il suo potere di azione politica.

Ma il Partito socialista lavoratori italiani è realmente un partito socialista? Esula la critica dalla posizione di ciascuno dei componenti. Il problema investe tutta la formazione sociale del partito.

È un partito socialista? Non lo è. È un partito di quadri socialisti che si prefiggevano di costituire un partito socialista e non ci son riusciti: nessuno potrà affermare che esso abbia l’appoggio della massa operaia. Ora, noi abbiamo il dovere di chiederci come un simile partito socialista, senza l’appoggio della massa operaia, possa praticare una politica di democrazia socialista.

La verità è che questo Governo è all’infuori, e pertanto contro la grande massa lavoratrice, esattamente come il Governo precedente.

L’apporto dato dai due partiti, che sono entrati nella responsabilità del Governo, è ben minimo se non nullo in materia sociale. Né questa deficienza in materia sociale può essere supplita dalla storicità e dalla volontà repubblicana del Partito repubblicano italiano; volontà repubblicana che sarebbe sciocco mettere in dubbio, ma che sarebbe semplicistico affermare efficiente.

Tutte le leve di direzione dell’amministrazione dello Stato, nessuna esclusa, rimangono esattamente come prima. Dov’è il cambiamento del Ministro dell’interno? Dov’è il cambiamento del Ministro della pubblica istruzione? Dov’è il cambiamento del Ministro dell’agricoltura?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Bisogna cambiar tutti, allora!

LUSSU. È di scarso interesse sapere dove è andato a finire l’onorevole Tremelloni o l’onorevole D’Aragona; è di scarso interesse; tutto è rimasto al suo posto. Si diceva: l’onorevole Pacciardi andrà al Ministero dell’interno.

PICCIONI. Un po’ esagerato!

LUSSU. Lo credevano tutti, e si credeva che l’onorevole De Gasperi avesse potuto accettare una proposta di tal genere. Niente è cambiato! Aggiungerei che v’è persino scarso interesse nel vedere l’onorevole Facchinetti Ministro della difesa: non già per mettere in dubbio minimamente la sua coscienza e la sua decisa volontà repubblicana, ma perché sappiamo che l’onorevole De Gasperi lo ha designato a quel posto. Diffidando, quindi, come è nostro dovere, direttamente dell’onorevole De Gasperi, siamo portati logicamente a diffidare, sia pure in modo indiretto, riflesso e cortese, dell’onorevole Facchinetti (Ilarità).

E rimane – ed è quello che conta perché poteva cambiar tutto e tuttavia le cose sarebbero rimaste allo stesso, identico posto – rimane alla direzione del Governo il solito onorevole De Gasperi. (Ilarità).

Io avrei immaginato qualcosa di nuovo con questo Governo; avrei visto questo qualcosa di nuovo, se al suo posto fosse subentrato…

Una voce al centro. Lussu o Nenni? (Si ride).

LUSSU. …non faccio nomi, per non creare discussioni in famiglia – un altro degli uomini capaci che la Democrazia cristiana ha e che nella sua coscienza non ha voluto avallare l’azione politica del Governo nel passato.

Io sono ben lungi dal seguire il collega Nenni, che nelle sue rievocazioni è sempre assai immaginistico, nell’identificare, nell’onorevole De Gasperi, Coriolano. (Si ride). Al massimo potrei rievocare qui, e proprio sullo stesso tono, un papa celeberrimo. (Si ride – Interruzioni). Ma per essere Coriolano è necessario un capitano, un guerriero; se mai, proprio in linea astratta, per conservare la similitudine militaresca, l’onorevole Pacciardi o l’onorevole Ministro della difesa. (Si ride). Ma queste rievocazioni, sia pure solo letterarie, sono in questo momento istruttive, e ad esse dovrebbe pensare principalmente, in forma squisitamente ironica, uno dei più eminenti rappresentanti del Governo, il conte Sforza, il quale annovera fra i suoi lontani antenati Lodovico il Moro. (Si ride). Cosicché questo Ministero si riduce in sostanza ed in pratica al controllo vistoso di due Vicepresidenti del Consiglio, il leader del Partito repubblicano italiano e quello del Partito socialista dei lavoratori italiani. Che cosa possono essi fare?

PACCIARDI, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Vedremo. Qualche cosetta faremo.

LUSSU. Vi sono stati altri Vicepresidenti del Consiglio prima di loro e Ministri senza portafoglio e mi onoro di ricordare la mia stessa esperienza. Che cosa sono questi Ministri senza portafoglio e questi Vicepresidenti del Consiglio onorari? Essi non hanno controlli diretti di dicasteri importanti che pesino sulla vita dell’Amministrazione dello Stato.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Neanche io ho questo controllo diretto!

LUSSU. Sono un accompagnamento solenne e promettente, ma puramente formale. Se con grossolana immagine letteraria io figurassi in una bottiglia piena il potere politico, potrei dire che l’onorevole De Gasperi tiene in pugno ben stretta la sua bottiglia e che l’onorevole Pacciardi e l’onorevole Saragat tengono in pugno, egualmente ben stretto, il turacciolo. (Viva ilarità).

Il peggio si è che con l’adesione dei due partiti, repubblicani certamente e democratici ugualmente in modo certo, alla formazione del Governo, si scinde – io mi auguro non irreparabilmente – il fronte repubblicano democratico in quest’Aula e nel Paese. Il fronte repubblicano, caro collega ed amico Macrelli, che hai voluto fare, e ne comprendo pienamente il dovere, un discorso governativo a difesa del tuo Partito al Governo, il fronte repubblicano democratico è spezzato e cade anche ogni possibilità di intesa elettorale comune e di comune azione per domani. È spezzato il fronte della democrazia repubblicana. E, in più, chi oserà più parlare, dopo la partecipazione al Governo del Partito socialista dei lavoratori italiani, di unità socialista? Unità socialista! Una specie di serpente di mare! (Si ride). Ma, l’onorevole Saragat ha ottenuto questo buon risultato con la scissione con cui voleva marcare l’autonomia del Partito socialista differenziandolo dal Partito comunista nella forma la più spinta. Della sua frazione, quella che lo ha seguito nella scissione, non è riuscito a fare un partito socialista, e porta il suo partito, pur fatto di vecchi socialisti, possiamo credere con coscienza socialista perché militanti alcuni perfino da quarant’anni, verso la borghesia, come verso i partiti della borghesia hanno confluito e sono andati a finire tutti i movimenti scissionisti e riformisti in ogni Paese d’Europa (Applausi all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Piccioni). Onorevole Piccioni, noi potremmo fare un lungo discorso fra di noi, lei ricordando il mio marxismo e io ricordando le sue origini culturali e politiche di «Rivoluzione liberale» di Gobetti, e poi vorrei porre la domanda: chi di noi è rimasto più fedele alla linea della sua vita in questi momenti decisivi per la vita del Paese?

PICCIONI. Ero sempre democristiano, anche quando ero vicino a Gobetti.

LUSSU. Ed io, sempre socialista, anche se non derivo dalla teorica marxista tradizionale. Io parlo come ho sempre parlato.

Con quest’altro risultato, onorevole Saragat (io le parlo con estrema cordialità ma con estrema sincerità) che, anziché fare un grande partito socialista autonomo, con questa sua grande autonomia socialista spiccata, lei è riuscito a spingere, a far spingere sempre più il partito socialista inevitabilmente ed obbligatoriamente verso il partito comunista. E basterebbe (mi si perdoni se io metto gli occhi sui giardini altrui) basterebbe leggere la mozione del collega onorevole Basso, presentata per il prossimo congresso del partito socialista, per convincersene. Si dice: colpa di Basso, colpa di Nenni, colpa del fusionismo. Ma, probabilmente, colpa di nessuno! È nelle cose, è nei fatti. Perché, se un corpo riceve una spinta violenta dalla sua destra, evidentemente esso è spinto verso la sua sinistra; e così se similmente un corpo riceve una spinta violenta dalla sinistra, è spinto obbligatoriamente verso la destra.

Una voce al centro. Legge della dinamica, onorevole Lussu. (Si ride).

LUSSU. E tutti ricordiamo che nel passato Governo, pur di stare al potere, sotto la pressione della nostra opposizione, voi (Indicando il centro) sempre più eravate portati all’estrema destra e con essa vi confondevate talmente che era difficile per noi sapere dove incominciassero i fascisti ed i monarchici e dove i democristiani. (Interruzione del deputato Benedettini – Commenti – Interruzioni al centro).

Sicché l’operazione che ha tentato Saragat, con la sua iniziativa del gennaio, si è conclusa con due insuccessi definitivi, e nel campo socialista e nel campo democratico.

Le conseguenze di questi errori sono evidenti; basta guardare a questo Governo. La situazione nazionale e internazionale esigeva in Italia – perno di tutto lo schieramento repubblicano democratico – un grande partito socialista. A minarlo hanno concorso, con tutte le loro forze, e l’onorevole De Gasperi e l’onorevole Saragat insieme. (Commenti al centro). Sì, perché da solo l’onorevole De Gasperi non sarebbe riuscito mai, e da solo non sarebbe riuscito neppure l’onorevole Saragat.

Ora, la conseguenza di tutte queste manovre e di tutti questi errori è che in Italia si va delineando, alla vigilia delle elezioni generali, uno schieramento interno, simile a quello che esiste sullo scacchiere internazionale. E v’è scarsa soddisfazione per moltissimi di noi che credono alla necessità della sovranità nazionale, dell’indipendenza nazionale, come presupposto della nostra democrazia e della nostra rinascita, nell’assistere a questo spettacolo. Ed è di scarsa soddisfazione sentire, come ieri abbiamo sentito in quest’Aula, l’una parte gridare all’altra «America» o «Russia».

Io non ho nessuna autorità per parlare di questi problemi, che sono grandi. Ma l’Assemblea mi riconoscerà, come facente parte di quella avanguardia obbligata all’esilio – caro Nenni e cari compagni Saragat e Pacciardi –, il diritto di ricordare che abbiamo sempre combattuto per rivendicare l’Indipendenza, la libertà e la sovranità del popolo italiano che Mussolini aveva manomesso e venduto.

Credo di parlare con assoluta indipendenza di giudizio. La Russia sovietica, qualunque possa essere il pensiero di ciascuno di noi sulla rivoluzione di ottobre e sui suoi sviluppi – e il mio giudizio non può essere che assolutamente entusiastico (amico Giovanni Conti, anche il suo era ugualmente entusiastico ventisette anni fa) – qualunque possa essere il giudizio sulla grande rivoluzione sovietica, emancipatrice di un grande popolo fatto schiavo e miserabile nei secoli, tuttavia la Russia sovietica è, di fronte alla Repubblica italiana, uno Stato estero, alla stessa stregua di qualunque altro Stato estero, grande e piccolo, i cui interessi possono coincidere o non coincidere con gli interessi dello Stato italiano.

Basterebbe ricordare, per chi ne avesse bisogno, il telegramma con cui il Presidente dell’Assemblea popolare sovietica, il Soviet supremo, ha risposto al telegramma dell’onorevole Presidente di quest’Aula, per la ratifica del trattato di pace da noi giudicato ingiusto. La stessa identica posizione è quella degli Stati Uniti d’America, rispetto all’Italia.

Ebbene, possono l’onorevole De Gasperi e il Vicepresidente del Consiglio onorevole Saragat affermare che la loro libertà di giudizio rispetto alla Russia sovietica è la stessa che rispetto all’America? Può l’onorevole De Gasperi affermare che le aspirazioni ideali da cui trae vita il suo partito gli consentono di essere equidistante da Mosca e da Washington? E l’onorevole Saragat crede veramente che, se uno di noi avesse fatto in Russia quel suo viaggio trionfale fatto in America (con quel successo bancario che ogni piccolo partito non ha fatto che invidiare) sarebbe considerato equidistante da Mosca e da Washington? (Commenti).

Ora il problema politico che si pone è precisamente questo. Pensano gli onorevoli De Gasperi e Saragat che col cantarci il pericolo futuro e ipotetico di un nostro asservimento alla Russia sovietica ci si renda più confortevole l’altro pericolo, meno futuro e meno ipotetico, di un asservimento all’America? (Applausi all’estrema sinistra). Trovo che dovreste applaudire anche voi del centro (Commenti), anche se all’America dobbiamo eterna gratitudine per il suo grandioso contributo alla guerra (e non meno grandioso è stato il contributo della Russia sovietica), e se all’America dobbiamo anche profonda gratitudine per i soccorsi che ci ha inviati e che invia.

Ma, perché non dirlo? Le ultime dichiarazioni del Presidente Truman, su cui si è soffermato con qualche eufemismo il collega ed amico onorevole Valiani, hanno impressionato più di uno fra noi, che crede che nessun sacrificio sia pesante per la difesa della nostra indipendenza e della nostra sovranità nazionali. E la gioia con cui i fascisti e reazionari repubblichini e i monarchici tutti hanno salutato queste dichiarazioni non può che essere logica.

Quanti fra noi hanno combattuto per la libertà del nostro Paese e per la liberazione del territorio nazionale, cioè un’immensa parte del popolo italiano (il movimento di resistenza e partigiano non è staccato dal Paese, ma ne è sua espressione integrale) avranno scarso desiderio di vedere l’Italia come la Spagna o come la Grecia.

Si rendano conto l’onorevole De Gasperi e con lui gli altri componenti del Governo che se qui in Italia si crea il partito dell’America, con un’azione di Governo che ne deriva inevitabilmente, la loro responsabilità è una delle più pesanti che possano cadere su uomini di Stato.

L’America, oggi, nelle particolari condizioni in cui ci si trova, non significa per noi la grande armata americana del sacrificio, della liberazione e della vittoria, e tanto meno l’America della sua grande guerra nazionale di indipendenza, l’America dei diritti del cittadino e dell’uomo; ma il partito d’America significherebbe un grido di adunata per tutti i fascisti repubblichini. (Interruzioni a destra).

Fatti forti di questa aureola noi vedremmo camminare coi loro risorti pennacchi i vari Federzoni, Bottai e Grandi e tutti i ciurmadori del passato. Potrebbe il popolo italiano essere mai con loro? Questo è il problema, onorevole De Gasperi. (Interruzione del Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Pacciardi).

Che cosa significa: l’America non vuole i comunisti al Governo?

È vero o è falso che l’America non vuole i comunisti al Governo?

Una voce all’estrema sinistra. L’hanno detto così chiaramente!

SIMONINI. Questo è pettegolezzo!

TOGLIATTI. È perfino una vergogna che si debba discutere questo in un Parlamento italiano. È una vergogna!

LUSSU. Io devo una risposta immediata ad una interruzione del collega ed amico onorevole Simonini il quale mi dice: questo è pettegolezzo. Se questo, onorevole Simonini, è un pettegolezzo, è tutto un pettegolezzo l’Assemblea ed è un pettegolezzo la storia d’Italia. (Applausi all’estrema sinistra).

Che cosa significa: l’America non vuole i comunisti al Governo? Io devo dire che questo è falso. (Interruzione della onorevole Merlin Angelina). Io ho una serie di argomentazioni distribuite nel mio discorso secondo il mio modesto talento; se altri (Accenna all’onorevole Merlin Angelina) vi sostituisce il suo, non è facile per me tenerne il filo.

Io devo ritenere che quando il Sottosegretario di Stato al Dipartimento di Stato, Lowet, il 3 dicembre ha fatto la nota dichiarazione, egli l’abbia fatta per dire quel che intendeva dire. I giornali italiani l’hanno riprodotta in vario modo. Io che conosco scarsamente l’inglese mi sono rivolto ai miei amici più autorevoli nella lingua e nella letteratura inglesi per controllare il testo.

Il     testo dice esattamente: «to get control». È la prima dichiarazione di Lowet. «To get control», avere in pugno, avere in possesso. Espressione che si adopera per una società di cui un gruppo di azionisti abbia in possesso la maggioranza delle azioni. La seconda dichiarazione è quella che riguarda la risposta del Sottosegretario Lowet al senatore Bridge. Qui è detto testualmente: «to seize», cioè impadronirsi, impadronirsi con un atto diretto di forza, con la violenza, vale a dire con la insurrezione. In conclusione, il Sottosegretario Lowet ha detto che solo se i comunisti s’impadronissero del potere sarebbero sospesi gli aiuti all’Italia, alla Francia, e all’Austria, non già se partecipassero al potere, come nel passato, in governi di coalizione.

Io devo ritenere falso che il Governo degli Stati Uniti ci abbia mai detto, abbia mai detto all’onorevole De Gasperi o al conte Sforza o a qualsiasi altro uomo politico designato durante la crisi ad essere Presidente del Consiglio, che i comunisti non devono essere al Governo.

Siete voi, io penso, e permettetemelo, onorevole De Gasperi, siete voi che attribuite all’America probabilmente le vostre intenzioni. (Ilarità all’estrema sinistra).

Siete voi che silenziosamente, io credo, suggerite all’America atti che senza la vostra azione di governo non avverrebbero mai. Siete voi, e con voi l’onorevole Saragat, che avete sempre detto che è necessario che i comunisti non siano al Governo. Non siano al Governo, non nel senso «to get control» o «to seize», ma persino nel senso di collaborazione come c’erano da noi nel passato, in una coalizione politica in cui si amministrava in comune, conservando ciascun partito le proprie idealità e accettando un programma comune, medio, di azione da svolgere. Questa esclusione di una partecipazione comunista al Governo, partecipazione democratica e legittima, è stata ufficialmente in mille modi dichiarata da voi (Accenna al banco del Governo); e, rispondendo a me, che ricordavo i Governi socialisti di numerosi Paesi di Europa, il collega Piccioni diceva ultimamente: sì, là non ci sono i comunisti. I comunisti non possono entrare al Governo in Italia; e qui noi dobbiamo conoscerne la causa. Perché questo? Perché sino ad un certo punto i comunisti hanno potuto essere al Governo e oggi non lo possono più? Quale è la sovrana ragione nazionale che toglie dal Governo e toglie dalla partecipazione alla vita dello Stato una massa così imponente di lavoratori d’Italia, così imponente quale nessun partito annovera? Hanno mai i comunisti commesso tali atti per cui cessino di godere dei diritti politici di cui noi altri tutti godiamo?

Onorevole De Gasperi, io modesto collaboratore e voi Presidente del Consiglio o Ministro degli esteri abbiamo insieme, al Governo, potuto constatare che l’azione dei rappresentanti comunisti è stata lealmente democratica. E io aggiungo che, se la politica del Partito comunista in Italia non fosse stata ispirata a questa superiore esigenza di collaborazione democratica, noi nell’Italia avremmo avuto la guerra civile come in Grecia. (Applausi all’estrema sinistra – Proteste al centro). E voi tutti sapete che questo è vero.

Basta vedere la assidua partecipazione dei colleghi comunisti ai lavori per la elaborazione di questa Carta repubblicana che è la Costituzione. O che sarebbe una farsa che tutti loro, Togliatti per primo, siano sempre ai loro banchi, e sarebbero una farsa i loro studi e le loro discussioni sui problemi della Costituzione? Sarebbe tutta una truffa questa? E chi può credere ciò?

Le agitazioni. Io so che questo è il principale addebito dell’onorevole De Gasperi ai comunisti: una politica di agitazione delle masse nel Paese. Ma i partiti moderni di massa devono vivere anche di agitazioni. I partiti moderni non possono immobilizzarsi nelle formule stereotipate della democrazia parlamentare liberale del secolo scorso. I grandi partiti di massa hanno bisogno di dinamismo permanente, come gli eserciti, i quali, se cessano di muoversi in tempo di pace e si chiudono nelle caserme, sono smidollati e finiti. O che forse il Partito comunista ha commesso in questo campo fatti più gravi di quelli che per ipotesi non abbia commesso la Democrazia cristiana? Non voglio fare polemiche dirette, ma se ricordassi certi metodi direi che i comunisti non ci sono mai arrivati e non ci arriveranno mai.

Una voce al centro. Quali sono?

TONELLO. I «biancofiore» hanno fatto quello che i socialisti non hanno fatto mai.

LUSSU. Si parla degli errori del Partito comunista. Chi non ha fatto errori? Io che parlo, e credo di parlare un linguaggio sereno, riconosco che tutti noi abbiamo commesso errori, il mio partito per primo; e ne hanno fatto tutti i partiti, tutti senza distinzione, e anche il Partito comunista. E gli onorevoli colleghi che hanno assistito a miei precedenti interventi ricorderanno come io, più di una volta, abbia fatto delle critiche, su un terreno di cordialità politica, al Partito comunista.

Errori! Chiedo scusa all’Assemblea se mi trattengo ancora qualche minuto, ma vado verso la fine. Mi permetto di fare un richiamo comparativo alla situazione italiana e a quella francese, bene inteso non presumendomi giudice, che sarebbe cosa assai ridicola, ma così, per tentare di esaminare la vita dei partiti negli altri Paesi, per compararla alla vita dei nostri partiti e cercare di trarne qualche vantaggio, qualche norma d’azione pratica per l’avvenire, allo scopo di evitare altri nostri errori.

Mi perdonino i colleghi comunisti se io faccio un rapido raffronto, secondo il mio modo di vedere, fra la situazione italiana e la situazione francese.

Io sono convinto che il Partito comunista francese ha commesso grandi errori: errori che pesano sulla vita di quel Paese. Per una esperienza più o meno diretta o più o meno letteraria, tutti sappiamo che l’agitazione, la rivolta, l’insurrezione ubbidiscono a principî che sono perenni e regolatori per tutti i partiti e per tutti i Paesi; così come esistono, nell’arte militare, principî, che sono gli stessi, perenni, per tutti gli eserciti di tutti i Paesi. Quali errori ha commesso in Francia il Partito comunista? Innanzi tutto, quello di essere uscito dal Governo mentre poteva e doveva rimanervi. Quello poi, successivamente, di avere, con una crescente e coordinata azione di agitazioni, spinto all’estremo la tensione e la frattura e obbligato il Partito socialista a prendere quella posizione che in Francia ha preso. Si è infine arrivati a questa conclusione: che il Partito comunista ha sferrato una serie di azioni quando l’avversario era il più forte, molto più forte, commettendo persino l’errore di attaccare nello stesso tempo De Gaulle e Léon Blum.

Il grande maestro di queste azioni nella pratica dell’azione rivoluzionaria, Lenin, ha ben agito diversamente quando, sotto la minaccia del colpo di Stato del generale Korniloff, si è stretto in alleanza con Kerenski contro Korniloff. Non ha mai sognato porsi contro Kerenski e Korniloff insieme come sostenevano alcuni estremisti.

Questa è la situazione di oggi in Francia: alla data d’oggi, il proletariato francese, guidato dal Partito comunista, è stato vinto. Vinto il proletariato e in qualche pericolo la democrazia. Questi errori si possono correggere ancora, certamente, purché si creda alla necessità dell’unione repubblicana contro il nemico comune.

Di questi errori il Partito comunista, in Italia, non ne ha commessi. Il Partito comunista non ha abbandonato ma è stato obbligato ad abbandonare il Governo e il controllo democratico dello Stato. Il dramma, anzi la tragedia nazionale, si avrebbe il giorno in cui il Partito comunista, cioè una gran parte del popolo italiano, si mettesse contro il Governo costituzionale e contro lo Stato; allora avremmo una situazione di guerra civile. Questo errore il Partito comunista non lo ha mai fatto. Siete voi, onorevole De Gasperi, che fate di tutto per spingerlo verso questo errore. Quando voi e i vostri colleghi dite: «Fuori il Partito comunista dal Governo e dal controllo dello Stato» vi assumete una ben pesante responsabilità.

A me pare che non ci sia niente di fazioso in quello che affermo. Ecco perché credevo che, in un momento che può essere decisivo per la democrazia italiana, l’onorevole De Gasperi avesse avuto qualche resipiscenza e avesse pensato a creare un Governo di tregua nazionale, che comprendesse tutti i repubblicani: quelli che hanno fatto la repubblica e quelli che l’hanno accettata. Questo sarebbe stato veramente un Governo di tregua elettorale e di unione nazionale. Questo ci attendevamo, non un pasticcio, non una pastetta, come quella che avete fatta.

Ci sono i manifesti in giro; già se ne parla; l’anno venturo si celebrerà il centenario dell’anno decisivo per l’unità e l’indipendenza nazionale.

Onorevole De Gasperi, il 1848 dovevate celebrarlo insieme con tutte le forze repubblicane, perché un secolo fa l’unità, l’indipendenza e la sovranità della Nazione si sono fatte attraverso la monarchia, oggi si fanno solo con la Repubblica. (Vivi applausi all’estrema sinistra – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri è rinviato a domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Ai Ministri del tesoro e del bilancio, per conoscere se non credano che sia giunto il momento di provvedere – secondo le assicurazioni fornite sin dal 10 dicembre 1946 in risposta ad altre interrogazioni – alla cessazione del regime commissariale del Banco di Napoli, mantenuto da circa quattro anni con danno grave per gli interessi dell’Istituto e del Mezzogiorno, in modo che gli organi ordinari possano essere ricostituiti col 1° gennaio 1948, inizio del prossimo esercizio.

«Sansone, Reale Eugenio, Rodinò Ugo, Coppa, Sardiello».

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. Vorrei pregare la Presidenza ed il Governo di voler disporre in modo che la mia interrogazione possa essere discussa prima del 31 dicembre, dato che col 31 dicembre cesserà di fatto la gestione commissariale del Banco di Napoli. Questo istituto da quattro anni si trascina con una gestione commissariale, ad esso dannosissima; e il Governo non si è ancora deciso a risolvere definitivamente e giuridicamente la situazione.

PRESIDENTE. Non credo che questa interrogazione potrà essere discussa prima della fine del dibattito sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri. Comunque chiedo al Governo quando intenda rispondervi, tenendo conto che i giorni che ci restano non sono molti.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Mi riservo di far conoscere la data in cui potrò rispondere, dopo la conclusione della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Presentai qualche giorno fa una interrogazione al Ministro delle finanze sull’applicazione della tassa di famiglia, nel Comune di residenza, ai proprietari che hanno i loro beni in un Comune ma risiedono in un altro. Vorrei pregare il Ministro Pella di accogliere favorevolmente, così come fece il Ministro Campilli, questa mia domanda e di comunicare quando intenda rispondere. Vorrei che l’interrogazione fosse portata in discussione, perché si tratta di un provvedimento che ha la sua importanza per migliorare la situazione finanziaria di molti piccoli Comuni.

PRESIDENTE. Il Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. Non vorrei diminuire l’importanza di questa interrogazione, discutendola stasera in modo affrettato. Sarà bene perciò trattarla in un’altra seduta, con maggior calma.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dell’interno, della difesa, delle finanze e del tesoro, per conoscere i motivi per cui non è stata ancora accolta – a due anni dalla sua presentazione – la domanda di riconoscimento giuridico inoltrata dalla Associazione nazionale ex internati in Germania

«Cappelletti, Ferrarese».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere:

1°) se sono a conoscenza del fatto che, in Padova, da ben tre mesi non è possibile dare esecuzione a una sentenza passata in giudicato della Corte di appello di Venezia, con la quale si fa obbligo alla Federazione provinciale del Partito comunista di rilasciare un immobile di proprietà privata già a suo tempo occupato in seguito ad arbitrario ed illegale ordine di requisizione emesso dai cessati C.L.N. che, come riconoscono e fissano chiaramente sia la sentenza 17 gennaio 1947 del Tribunale di Padova, che la sentenza 8 luglio 1947 della Corte di appello chi Venezia, non avevano né la veste, né il potere giuridico di emanare provvedimenti di tal genere, essendo organismi eccezionali extra giuridici a carattere meramente consultivo; e ciò per la resistenza e le minacce opposte per ben cinque volte consecutive, a distanza di diversi giorni, all’ufficiale giudiziario da parte di iscritti al Partito comunista, che non gli permettevano di dare esecuzione alla sentenza stessa;

2°) se gli onorevoli Ministri, ritenendo che ciò costituisca un gravissimo attentato all’autorità dello Stato e al prestigio dei poteri costituiti, nonché una grave violazione del diritto privato tutelato dalla legge, non riconoscano che il fatto stesso che non si sia finora provveduto a far rispettare ed applicare la legge, raffiguri una dimostrazione di acquiescenza e di debolezza dei pubblici poteri di fronte alla prepotenza degli elementi del disordine, e se non ritengano, in conseguenza, di dover con tutta urgenza ed immediatezza adottare e far adottare quei provvedimenti che, restaurando il diritto privato ingiustamente oppresso, valgano a ristabilire e a riaffermare nel modo più inflessibile e più solenne l’autorità dello Stato e la serietà e l’efficacia della giustizia.

«Gli interroganti chiedono di sapere quali disposizioni verranno impartite al riguardo.

«Mastrojanni, Rognoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non crede di impartire disposizioni agli uffici finanziari in Liguria, affinché desistano dagli accertamenti dei profitti di speculazione a carico degli olivicoltori liguri, in considerazione del grande spezzettamento della proprietà olivicola in Liguria e dell’enorme fatica e spesa che importa, data la natura del terreno, la coltivazione dell’olivo, per cui è da escludere, salvo casi eccezionali, la possibilità, anche in considerazione dell’ammasso totalitario dell’olio fino al 1945, di profitti eccedenti il normale reddito dei terreni ed il giusto salario dei coltivatori diretti. (L’interrogante chiede la risposta scritta.).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non crede di disporre a favore dei viticoltori liguri di ogni ceto, e, quindi, anche per coloro che non sono coltivatori diretti manuali, l’esenzione dall’imposta consumo sul vino illimitatamente per il vino da essi consumato, in considerazione delle enormi fatiche e dei gravi sacrifici finanziari, assorbenti di ogni reddito, che la coltivazione della vite richiede in Liguria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del bilancio, per conoscere le ragioni per le quali il Governo non ha creduto di provvedere per legge ad estendere obbligatoriamente alla categoria dei pensionati degli Enti locali, e soltanto ad essa, a differenza di tutti gli altri pensionati regolati con disposizioni legislative uniformi e generali per tutti senza distinzioni, i miglioramenti invocati con tanta insistenza dagli interessati e dagli stessi rappresentanti delle Amministrazioni locali, deviando dal noto principio giuridico che l’accessorio (adeguamenti) non può essere dichiarato facoltativo, quando il suo principale (cioè la pensione base) ha carattere già, per legge e per contratto, riconosciuto obbligatorio.

«L’interrogante – raccogliendo il grido della disperazione e della fame di questi pensionati, che, per essere i più vecchi, perché di nomina e già in servizio anteriormente alla legge 1904 istitutiva della Cassa nazionale di previdenza, godono di pensione diretta a carico dei Comuni, Provincie ed Istituti di beneficenza, e non hanno ancora percepito e non possono percepire alcun aumento alle loro pensioni anteguerra (che vanno da lire 400 a lire 1000 al mese!) né alcuna benché minima indennità di caro-viveri – chiede che, in accoglimento dei reiterati ordini del giorno espressi dalla categoria nei diversi congressi provinciali, regionali e nazionale ed in conformità ai voti espressi dalle assemblee anche dei sindaci e rappresentanti dei Comuni dell’Alta Italia, rendendosi conto della necessità e della urgenza dell’invocato provvedimento, voglia per legge dichiarare obbligatoria la estensione ai pensionati a carico degli Enti locali dei beneficî tutti già concessi ai pensionati statali nella considerazione che qui non si tratta di ledere il principio del rispetto all’autonomia locale, ma di regolare per una più alta ed umana esigenza di vita il diritto pure di questi disgraziati funzionari, a cui parecchie delle Amministrazioni locali, non per impossibilità finanziarie, perché trattasi di Amministrazioni non deficitarie, che non hanno mai chiesto alcun contributo integrativo dello Stato, ma per una gretta incomprensione, quando non sia anche per ragioni di simpatia o di antipatie locali, personali o politiche, rendendosi forti della facoltatività di tale spesa, erroneamente dichiarata dal Governo nei suoi decreti, nulla ancora hanno dato né intendono di dare fino a che il Governo non riconoscerà e dichiarerà obbligatorio per legge un tale adeguamento.

«In particolare l’interrogante fa anche notare che la maggior parte di questi poveri disgraziati sono dei benemeriti segretari comunali, ormai vecchissimi, ridotti in condizioni pietose, i quali – per essere stati dichiarati funzionari statali, con la legge della loro statizzazione, e quindi sottratti ad ogni ingerenza locale per quanto riguarda il loro stato giuridico ed economico, pur rimanendo l’onere del pagamento ai Comuni, così degli stipendi come delle pensioni, e per godere di pensioni a carico dei Comuni nella forma diretta e nella misura prevista per gli statali – indiscutibilmente dovrebbero essere già considerati nel diritto di ripetere dai Comuni la estensione obbligatoria (e non facoltativa) dei miglioramenti tutti gradualmente concessi ai pensionati statali, allo stesso modo che ai segretari comunali e provinciali in attività di servizio sono stati sempre obbligatoriamente estesi i miglioramenti concessi agli impiegati statali, pur lasciandone economicamente a carico dei Comuni l’onere del pagamento senza alcun riguardo all’autonomia locale.

«Formula infine la presente interrogazione anche per conoscere se il Governo non ritenga equo e doveroso nell’invocato provvedimento di riconoscere il diritto degli interessati di richiedere il ricupero delle differenze in tutto od in parte non corrisposte, per pareggiare la loro posizione con quella degli altri pensionati che le hanno già a suo tempo percepite. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mariani Francesco».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze, dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, per conoscere se intendono mantenere in vigore il regio decreto-legge del 18 giugno 1936, n. 1338, convertito con modificazione il 14 gennaio 1937, n. 402, sulla pioppicoltura, il quale prevede la concessione, ai frontisti, di terre demaniali ed isole alluvionali, di qualunque estensione, nel corso del fiume Po, per un canone ricognitorio annuo di lire 20, aumentato ora a lire 200, considerato che l’attuale situazione economica rende assurdo tale decreto-legge, il quale facilita esose speculazioni, degne solo del passato regime, recando grave danno all’Amministrazione dello Stato.

«O se invece non intendono disporre, con nuovo decreto, la rescissione degli attuali contratti, al fine di stipulare nuove condizioni più giuste, stabilendo inoltre diritto di priorità sulle concessioni alle cooperative di boscaioli, numerose delle quali hanno già fatto sapere di essere disposte ad assumere tali concessioni, pagando un canone di affitto economico, stabilito sulla base del rendimento di questi terreni da coltivarsi a pioppeto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bianchi Bruno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere quali indugi si frappongano tuttora alla sistemazione del Sacrario di Montelungo (Mignano) e se non ritenga urgente, oltreché doveroso, raccogliere ai piedi di quel monte sacro alla Patria ed in quell’unico cimitero tutte le salme dei nostri cari soldati, che sono sepolti nelle vicinanze.

«Pare all’interrogante la suddetta opera di consacrazione patriottica uno dei coefficienti più saldi, non solo per onorare, racchiusi in un unico recinto, tutti i morti accomunati dallo stesso fatto d’arme, ma per additare, anche, agli italiani la prima tappa (8 dicembre 1943) della rinascita dell’Esercito italiano, faro luminoso per le presenti e future generazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caso».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere quali provvedimenti definitivi intende adottare per sistemare la questione dei contributi unificati in agricoltura, non solo perché essi non costituiscano un eccessivo gravame, ma anche per la preventiva pubblicazione dei ruoli nei singoli comuni, anziché nel solo capoluogo di provincia, e ciò per dare ai contribuenti la elementare facoltà del ricorso, prima che i ruoli medesimi diventino definitivi. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Caso, Cassiani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle finanze, per sapere se – in considerazione del modesto maggior gettito assicurato ai bilanci dei Comuni dall’articolo 2 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 177, del 29 marzo 1947, sostitutivo del secondo comma dell’articolo 30 del testo unico della finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175, articolo che limitando la esenzione dal pagamento dell’imposta di consumo sul vino, in ragione di un litro al giorno, esclusivamente al produttore manuale coltivatore del fondo e ad ogni membro della famiglia, ha escluso da tale beneficio i piccoli proprietari conduttori, che riversano nella loro azienda energie e risorse quasi sempre ricavate da attività varie, cui sono costretti ricorrere per la esiguità dei redditi ricavabili dalle piccole aziende stesse, ed in considerazione anche dei rilevanti fastidi e delle molteplici difficoltà alle quali vanno assoggettati i viticoltori in genere per l’attuazione delle norme sancite dall’articolo 3 del succitato decreto-legge, norme che, per essere stabilite dalle Amministrazioni comunali, variano spesso da Comune a Comune determinando diversità di interpretazione e disparità di trattamento del contribuente e creando confusionismi e malcontenti non sempre ingiustificati – non intendano esaminare l’opportunità di modificare l’articolo 2 estendendo l’esonero anche ai piccoli proprietari conduttori, demandando una migliore e definitiva regolamentazione della materia in sede di elaborazione della legge in corso di studio e relativa alla riforma sulla legge dei tributi locali e, nel contempo, emanare disposizioni univoche, che stronchino sul nascere una pericolosa bardatura burocratica, che potrebbe soffocare un importantissimo settore della produzione agricola nazionale. (L’interrogante chiede la risposta. scritta).

«Bonomi Paolo».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 22.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

  1. – Svolgimento delle mozioni Bonomi Paolo ed altri, e Persico ed altri.
  2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

Alle ore 16:

  1. – Votazione per la nomina di un membro dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello statuto della Regione siciliana.
  2. – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio.
  3. Seguito della discussione del disegno di legge:

Modificazioni al decreto legislativo 10 marzo 1946, n. 74, per l’elezione della Camera dei deputati. (48).

  1. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.