ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCCXLVI.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI LUNEDÌ 22 DICEMBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Per il rimpatrio dei prigionieri italiani ancora trattenuti all’estero:
Presidente
Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:
Presidente
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Codacci Pisanelli
La Pira
Togliatti
Marchesi
Calamandrei
Coppa
Nitti
Meda
Annunzio di nomina di Sottosegretari di Stato:
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Presidente
Relazione della Commissione d’inchiesta sulle accuse mosse al deputato Chieffi:
Presidente
Dugoni
Gasparotto, Presidente della Commissione
Bertini
Foa
Calamandrei
Cifaldi
Lussu
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 12.
SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.
(È approvato).
Per il rimpatrio dei prigionieri italiani ancora trattenuti all’estero.
PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli De Maria, Dominedò ed altri hanno presentato il seguente ordine del giorno:
«L’Assemblea Costituente, nell’atto di formulazione della Carta costituzionale, che per il popolo italiano è documento e norma di vita democratica, e, quindi di fraterna solidarietà con gli altri popoli, fa voti perché il Governo svolga ogni azione tendente ad ottenere il rimpatrio degli italiani che vivono ancora in terra straniera, scontando le conseguenze di un periodo doloroso, per il popolo italiano definitivamente superato».
Lo pongo in votazione.
(È approvato).
Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Coordinamento degli articoli approvati del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Dobbiamo esaminare le questioni che, in sede di riunione della Commissione delegata ieri dai rappresentanti dei Gruppi, non è stato possibile risolvere.
L’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione ha facoltà di riferire in proposito.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Farò come dice il nostro Presidente. E sarà, dopo altre centinaia di mie relazioni, quella conclusiva e finale. Mi duole soltanto di essere obbligato a parlare di cose minute e tecniche, in un’ora così solenne per la storia del nostro Paese. Ma è necessario; bisogna essere precisi ed esatti; vi prego di tenere sott’occhio il fascicoletto del testo coordinato che è stato distribuito in questi giorni, e di seguire le variazioni di cui renderò conto, che si sono concordate nella adunanza di stamane del Comitato e dei capigruppo, in seguito ai rilievi ed alle proposte di rinvio al testo originario, presentati all’ultima ora da colleghi dell’Assemblea.
Annuncio subito che si è realizzato un quasi universale consenso, in quanto una parte delle proposte è stata accolta, e per le altre i presentatori vi hanno rinunciato, così che, tranne per pochissimi punti, non si dovrà addivenire a votazione.
Voi ricordate quale era il compito di revisione e di coordinamento che l’Assemblea aveva affidato al Comitato di redazione. Per alcuni articoli, più di una decina, l’Assemblea ha conferito un espresso mandato di rifare interamente il testo. Si è detto: badate, noi votiamo questa norma, perché dobbiamo votare qualcosa; ma voi avete le mani libere per il rifacimento, avendo riguardo alla discussione avvenuta; l’Assemblea giudicherà poi sul testo che avrete riveduto e coordinato. Vi sono state inoltre le raccomandazioni; fin da principio, quando riferiva il vicepresidente Tupini, e poi sempre in seguito con gli altri relatori, non pochi presentatori di emendamenti li trasformarono in raccomandazioni, che l’Assemblea segnalò al Comitato; ed il Comitato si impegnò a prenderle in esame. Vi è infine il mandato generale di rivedere e di coordinare tutto l’insieme del testo, venuto fuori, in notevole parte, da una pioggia di emendamenti votati a distanza di mesi. Appena si è avuto davanti tutto il materiale, si è imposta la necessità di una sua sistemazione, per adeguarlo sempre meglio agli intenti manifestati dall’Assemblea.
Il faticoso e non facile compito che ci avete affidato è compiuto. Gli ultimi articoli li avete votati due o tre giorni fa; ma già di mano in mano io avevo predisposto il lavoro, e comunicato ai colleghi; ci siamo già da tempo dedicati nelle nostre riunioni ad un riesame che è stato da ultimo ripreso e rapidamente, ma meditatamente, ultimato.
Quali sono stati i criteri della revisione e del coordinamento? La revisione stilistica si è ispirata ad intenti di correttezza linguistica, di semplificazione – desiderabilissima in un testo costituzionale – e di chiarificazione dei concetti che hanno determinata l’adozione delle formule della Costituzione. Abbiamo sentito il parere di alcuni eminenti scrittori e letterati; poi abbiamo cercato di avvicinarci, per quanto era possibile, ad una certa omogeneità di espressione e di stile. Vi ho atteso personalmente e ne assumo la responsabilità. I colleghi del Comitato han riesaminato pazientemente, parola per parola, il testo. Un miglioramento senza dubbio vi è; sono lieto che ciò sia generalmente riconosciuto, come mi han detto deputati di ogni parte dell’Assemblea. Ma non è possibile raggiungere – nonché la perfezione – una soddisfazione piena. Vi è una inevitabile incontentabilità; ciascuno ha una forma, un modo di esprimersi proprio, e non può rinunciarvi. Ed è capitato ad un grandissimo, il Manzoni, che avendo svolto un tema per un suo nipote, ebbe dal professore una votazione meschina. Una Costituzione non deve essere un capolavoro letterario; ci basta che il testo che vi presentiamo sia più chiaro, più fluido, e migliore di prima.
Ritoccando ove era indispensabile la forma, abbiamo rispettato la sostanza delle disposizioni votate dall’Assemblea. Soltanto dove vi è contrasto e contradizione fra due disposizioni, si deve – secondo la prassi parlamentare e le norme del nostro regolamento – armonizzare il testo della Costituzione. Così abbiamo fatto in pochissimi casi, di scarso rilievo, sui quali si è richiamata la vostra attenzione nelle «osservazioni» allegate al testo coordinato; e vi è stata al riguardo la unanimità del Comitato; né venne presentata da voi una sola proposta di rinvio al vecchio testo; così che non occorre alcuna ulteriore spiegazione.
Altro è di casi – più importanti – nei quali non si può ravvisare un vero e proprio contrasto di norme; ma qualcosa che è stata chiamata incongruità logico-giuridica; disarmonia piuttosto che contradizione. Se non vi fosse neppure questa incongruità o disarmonia, non si potrebbe affatto tornare sulle deliberazioni dell’Assemblea. Quando vi sia, è sembrato – almeno ad una parte del Comitato, e le posizioni sono mutate a seconda dei vari temi – che si possa proporre la questione all’Assemblea, e chiederle se crede di procedere ad una decisione. Naturalmente, perché una modificazione potesse avvenire, occorrerebbe sempre che vi fosse l’unanimità, o quasi, dell’Assemblea, e l’assenso delle varie correnti, che vi sono rappresentate. I punti su cui alcuni del Comitato, or da un lato or dall’altro, hanno sostenuto esservi questione d’incongruità, sono cinque: il sequestro di polizia dei periodici (che si è sostenuto non in armonia con lo spirito delle altre norme sulla stampa), la diversa durata delle due Camere (mentre in altri articoli si parla di legislatura e sembra presupporsi una durata eguale), l’elezione dei Consigli regionali (che, a differenza di quanto si è stabilito pel Parlamento, non si prescrive che avvenga a suffragio universale e diretto), la composizione del Consiglio superiore della magistratura (il cui vicepresidente deve essere eletto fra le categorie in minoranza al Consiglio), la mancata indicazione di criteri per i ricorsi alla Corte costituzionale (e qui per verità si è fatta questione non solo di incongruità, e di lacuna, ma di inammissibilità del rinvio alla legge, giacché si era prima respinta la proposta di togliere dalla Costituzione la norma).
Fatto sta che, nell’adunanza di questa mattina, non si è raggiunto il consenso dei rappresentanti dei Gruppi; ed è parso impossibile portar le questioni all’Assemblea, perché non si sarebbe realizzata una sua ampia adesione.
Un altro ordine di questioni è stato sottoposto alla riunione di stamane; in relazione ad alcuni articoli o parti di articoli che contengono mere indicazioni di materie a cui deve rivolgersi la cura della Repubblica e delle sue leggi (tali sono i temi del paesaggio, della ricerca scientifica e della sperimentazione tecnica, delle provvidenze per le zone montane e per l’artigianato, di alcuni particolari impieghi del risparmio popolare). L’Assemblea, ad un dato punto dei suoi lavori, è entrata nell’idea che simili indicazioni, non aventi carattere costituzionale, hanno miglior sede in ordini del giorno, coi quali si impegna la Repubblica a provvedere per date materie.
Così si è fatto per i mutilati ed invalidi di guerra, per i danni da calamità pubbliche e per altri casi. L’Assemblea si riservò di applicare eguale criterio, per ragioni di uniformità ed in sede di revisione e di coordinamento, ad altre materie già inserite nel testo costituzionale. Senonché, portata la questione all’adunanza dei capigruppo, non si è neppure qui realizzato un sufficiente consenso; ed è risultato inutile portare siffatto problema davanti all’Assemblea.
Il che può non piacere ad alcuni, tra cui chi vi parla, che ha sempre vagheggiato una «deflazione» del testo costituzionale; ma sgombra il terreno da questioni e riduce il lavoro di questa seduta di Assemblea. Lo stesso risultato si è ottenuto per l’opposta via, e cioè pel consenso anziché pel dissenso, in altri campi ai quali dobbiamo ora accennare.
La Commissione dei settantacinque aveva, con voto di massima, riconosciuto l’opportunità di collocare in un preambolo le disposizioni che non hanno una portata strettamente giuridica e concretamente normativa, ma sono piuttosto affermazioni di principî e direttive generali, che hanno altissimo valore etico-politico più ancora che giuridico, e si svolgono, è stato detto, nella zona dove il diritto si incontra con la morale nella vita politica e sociale. L’Assemblea ha rinviato la decisione, e bisogna definire ora la questione in sede di revisione e di coordinamento. Per rinviare le obiezioni sollevate che il rinviare ad un preambolo criteri fondamentali, che sono sempre norme, sia pure generalissime ed anche metagiuridiche, faccia perdere di efficacia e di forza nell’attuazione, il Comitato ha ritenuto che non si debba fare un preambolo a sé, ma collocare all’inizio della Costituzione, in un gruppo di articoli che appartiene alla Costituzione, ma precede le sue due «parti», alcune altre disposizioni che erano prima compreseo nelle due «parti», e che, nella nuova collocazione, andandosi incontro a proposte avanzate in Assemblea e rinviate al coordinamento, servono a meglio delineare con «principii fondamentali» i caratteri e, come è stato detto, il «volto» della Repubblica. Questa soluzione ha avuto l’unanime consenso, non solo del Comitato, ma dei capigruppo, e non è stata presentata alcuna proposta in senso contrario.
Vengo ora a passare in rassegna, ad una ad una, le proposte che sono state presentate in tempo utile, ossia, come aveva fissato l’Assemblea, prima delle ore 10 di oggi.
Articolo 3: il testo votato dall’Assemblea parlava di «pari dignità sociale» di tutti i cittadini. Il Comitato aveva all’unanimità ritenuto di mettere soltanto «pari dignità»; per due ragioni: perché nell’articolo vi era quattro volte la parola «sociale; e perché sembrava che «dignità» senz’altro avesse maggior ampiezza e solennità. Se oggi da taluno si è insistito per ritornare ad un’espressione che avrebbe un valore specifico, che si intende sottolineare, il Comitato, desideroso di rispettare il testo originario, quando non vi sono ragioni essenziali per staccarsene, aderisce a questa prima proposta. Resta dunque «pari dignità sociale».
Articolo 4: circa l’obbligo di svolgere un’attività che concorra al progresso della società, vi è la proposta di tornare a «progresso materiale o spirituale» invece che «a progresso materiale e spirituale». Non è che un errore, che era già stato corretto, di stampa. Molto diligenti sono stati i colleghi nel riscontro del testo stampato dal coordinamento; ma, per fortuna, i loro rilievi vanno spesso non al Comitato, ma alla stamperia, del resto diligentissima nel suo febbrile lavoro.
Articoli dal 7 all’11: il Comitato ed i capi gruppo riuniti stamane hanno, nel testo già stampato, introdotto spostamenti di ordine e di numerazione, che rispondono ad un criterio logico di coordinamento. Gli articoli 7 e 8 del testo che avete sott’occhio diventano rispettivamente 9 e 10; e gli articoli attuali 9 e 10 diventano 7 ed 8. Non vi è bisogno di maggiori spiegazioni. Vi è poi una lievissima modifica, di mera forma, per tornare nell’articolo 8 (già 10) a «in quanto» invece di «sempre che». Nell’articolo 11 si è creduto opportuno riassumere in una espressione più breve e sintetica le indicazioni per la tutela del paesaggio e per la ricerca tecnica e scientifica, che, come ho detto, non sono state rinviate ad ordini del giorno, e che, insieme con la tutela del patrimonio storico ed artistico e col concetto aggiunto dello sviluppo culturale in genere, si possono prestare a giustificare (io dico fino ad un certo punto) il richiamo, che ha speciale valore per l’Italia, ad uno stato di cultura e di tutela dell’eredità di storia e di bellezza del nostro Paese.
Continuiamo. Perdonatemi; ma desidero essere, più che possibile, completo. Anche a costo di essere noioso. Non occorre che insista, a proposito degli articoli 13 e 15, sulla soppressione di due incisi del testo originario, che contenevano disposizioni che in parte contrastano ed in parte sono duplicazioni di altre. Le «osservazioni» che sono state distribuite ne danno chiara ragione; se ne sono persuasi gli originari proponenti; ed oggi non vi sono affatto proposte di tornare al vecchio testo.
All’articolo 20: il Comitato aveva creduto di apportare alcune migliorie di forma. È stato proposto ora di tornare alla dizione di prima, nel dubbio che «ente» si riferisca anche ad «associazione». Sebbene il dubbio non ci appaia consistente, non facciamo opposizione.
All’articolo 21: pei sequestri della stampa periodica, si è proposto di tornare ad «ufficiali di polizia giudiziaria» e di non mettere «autorità di pubblica sicurezza», come aveva fatto il Comitato per ragioni di euritmia con l’articolo 13. Sta bene; vi possono essere ragioni di diversità; torniamo al testo già approvato. Sempre all’articolo 21, è da avvertire che il Comitato, col consenso di tutti, e senza proposte in contrario, ha riparato ad una lacuna, prescrivendo – come è nella linea generale di questi articoli di tutela delle libertà civili – che, se l’autorità giudiziaria non li convalida entro un dato termine, i provvedimenti provvisori di polizia perdono ogni efficacia e s’intendono revocati.
Nell’articolo 25, pel quale nessuno può essere colpito se non in forza di una legge «in vigore prima» del fatto compiuto, si è proposto di mettere «al tempo» del fatto compiuto, ma non sarebbe un ritorno al testo primitivo. Il giusto e necessario ritorno è invece quello, cui si riferisce un’altra proposta, al testo «legge entrata in vigore prima del fatto compiuto». La parola «entrata» era scomparsa (anche qui si tratta di un errore di stampa) fin dall’articolo approvato dall’Assemblea. Ora la ripeschiamo, e, rimettendola qui, tutti sono accontentati.
Perdonatemi, ripeto, questo lavoro minutissimo di intarsio e di intaglio. Si tratta alle volte di sfumature pressoché insignificanti d’espressione, come all’articolo 30 dove, in caso di incapacità dei genitori, si diceva nel testo coordinato che lo Stato provvede «all’adempimento» dei loro compiti. No, dice ora una controproposta, è meglio tornare: «a che siano assolti» i loro compiti. I futuri ricercatori dei precedenti parlamentari si potranno meravigliare del punto a cui si è giunti di formalismo e di pesatura, parola per parola, sul bilancino dell’orafo. Per conto nostro, pur ritenendo non giustificata la controproposta, non vogliamo provocare votazioni e ritardi!
Nello stesso articolo 30: un’altra proposta, che colpisce… un altro errore di stampa, per l’omissione di «membri» della famiglia. Ed ecco all’articolo 31 un altro scrupolo. Per gli istituti di protezione della maternità ed infanzia il Comitato aveva messo – con un binomio od endiade che si trova in altre parti della Costituzione – «la Repubblica promuove e favorisce…». No, si contropropone, non mettiamo «promuove» per non spingere troppo innanzi la ingerenza statale. È proprio giusto? Ma sia; non faremo per ciò battaglie; torniamo al semplice «favorisce» di prima.
All’articolo 33, per l’esame di Stato, una diligente ed oculatissima proposta vuol rimettere un «o»; era già di fatto rimesso, perché ci eravamo già accorti che si trattava di un’omissione di stampa. Allo stesso articolo accontentiamo i proponenti, che vogliono nel quarto comma rimettere: la legge «deve assicurare», invece che «assicura» parità di trattamento alle scuole private. Il presente indicativo è la forma classica delle norme imperative di legge; «deve assicurare» non occorre; ma sia pure: il Comitato vuole una volta ancora dimostrare che, se ha fatto variazioni lievissime e soltanto formali, a scopo di miglioramento stilistico, ed è lieto se nessuno (come avviene per quasi tutti gli articoli) si oppone, è disposto a tornare al vecchio testo, anche quando non è convinto di tale opportunità.
Una sola proposta si ha per i rapporti economici. Pieno consenso vi è pel rimanente; così per l’articolo 36 dove il Comitato ha riparato ad un’evidente svista del testo originario, che, per la regolazione con legge della giornata lavorativa, parlava di «durata» e non di «durata massima»; e così per altre migliori e di forma, come quella che all’articolo 38 richiama i diritti dei lavoratori alla previdenza ed all’assicurazione. L’unica proposta per rapporti economici si riferisce all’articolo 47, nel quale si era, all’ultima ora di discussione d’Assemblea, immessa un’indicazione di impieghi del risparmio popolare, che a mio avviso è sempre inopportuna, se non altro perché mette in disparte quali secondari tutti gli altri possibili investimenti. Il Comitato ha stralciato tale immissione, e ridato al primo comma una più limpida linearità. Se si vuol, nel secondo comma, tornare alla dizione, in verità poco felice, del testo d’Assemblea, sia pure. La responsabilità non sarà del Comitato; che però, d’altra parte, non vuole impuntarsi e dar luogo a ritardi.
Nessuna controproposta pel titolo dei rapporti politici; dove è dunque approvata, e non poteva essere diversamente, l’aggiunta all’articolo 51 di un secondo comma; col quale – giusta un esplicito mandato ricevuto dall’Assemblea – abbiamo, con la formula che c’è sembrata migliore, parificato ai cittadini, per l’accesso agli impieghi ed alle cariche elettive, gli italiani non appartenenti alla Repubblica. È una giusta integrazione di criteri già in parte vigente, ed un doveroso riconoscimento di solidarietà ai nostri fratelli pur di recente strappati alla madre Italia.
Veniamo alla seconda parte della Costituzione sull’ordinamento della Repubblica. Le proposte di ritornare al testo originario sono ancor meno numerose che per la prima parte.
Hanno avuto pieno consenso, sia per mancanza di controproposte, sia per esplicita disamina coi capigruppo, le variazioni introdotte dal Comitato, ad esempio per non inserire nella Costituzione, ma rinviare alla legge, il riferimento ai censimenti pel numero dei deputati e senatori (era l’articolo 57 del testo originario). All’articolo 77 il Comitato, attenendosi anche qui al mandato dell’Assemblea, ha messo le mani, e riordinato e precisato il tema dei decreti-legge. Credo che vi siamo riusciti; per i decreti-legge, come per i decreti legislativi, ed in generale per le norme – e per la gerarchia delle norme – aventi valore di legge, la nostra Costituzione è tecnicamente superiore alle altre. Vi è però una proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli, la prima che non possiamo accettare (e per ciò faccio il nome del proponente, per pregarlo di ritirarla). Non so perché si dovrebbe tornare a quel testo originario, che l’Assemblea riconobbe assolutamente imperfetto e votò soltanto come base di rifacimento da parte del Comitato.
Nessuna proposta contro il testo coordinato per il Titolo sul Presidente della Repubblica. Sono lieto che si siano riconosciute giuste ed opportune le precisazioni che si sono fatte all’articolo 87 per le funzioni del Capo dello Stato, dando esplicita espressione a ciò che era implicito, in alcuni punti, ed inquadrando così, meglio, la figura di chi non è certamente un presidente-fannullone nel nostro sistema costituzionale.
All’articolo 90, per la messa in accusa del Presidente della Repubblica, l’Assemblea fece ogni riserva sulla formula di deferimento, oltrecché per alto tradimento, «per violazione della Costituzione». Si osservò che era troppo poco; si pensò di mettere violazione «grave» o «dolosa»; ma si trovò che anche questa non era sodisfacente, e si incaricò il Comitato di trovare una migliore formulazione. Esaminati tutti i lati della questione, noi riteniamo di ricorrere all’«attentato alla Costituzione», che era nello statuto italiano, ed in tante altre Carte. Il consenso, nell’adunanza dei capigruppo, e qui dell’Assemblea, è pieno e senza obiezioni.
Nel Titolo sul Governo, all’articolo 92, l’onorevole Codacci Pisanelli vorrebbe tornare al testo originario; ma credo che si accontenterà della modifica che abbiamo adottata nella riunione di Comitato e capigruppo di stamane, mettendo che il Governo è composto di un Presidente del Consiglio e di Ministri, che formano insieme il Consiglio dei Ministri. Va bene così?
Nel Titolo sulla magistratura, si propone all’articolo 107 di tornare al testo originario, per quanto concerne l’inamovibilità dei magistrati. Non è possibile; quel testo rendeva possibile l’equivoco che, col semplice consenso dell’interessato, il Guardasigilli potesse trasferire il magistrato, senza intervento del Consiglio Superiore. Il Comitato precisa, come era nell’intento dell’Assemblea, che sempre, anche quando c’è il consenso, occorre la decisione del Consiglio Superiore. Tenuto fermo questo punto, si sono apportate alcune secondarie modifiche di forma, che hanno accontentato i proponenti del rinvio.
All’articolo 112, per le norme sulla giurisdizione, il Comitato aveva ritenuto opportuno rimettere la proposizione «l’azione penale è pubblica», a cui aveva rinunciato nella discussione già avvenuta all’Assemblea, e l’Assemblea, senza votare espressamente contro la formula, aveva aderito. Sembra ora che convenga, per rinforzare l’articolo iniziale della sezione, rimettere detta proposizione. Così ha ritenuto, unanime, la riunione di questa mattina; ed i suoi compagni di Gruppo si sono impegnati a pregare l’onorevole Leone di non insistere sulla proposta di tornare al testo precedente.
Accontentatissimo, invece, l’onorevole Leone per le due virgole che propone di aggiungere all’articolo 112. Non daremo battaglia, e non voteremo sulle due virgole dell’onorevole Leone.
All’articolo 113 troviamo ancora l’onorevole Codacci Pisanelli, che vuol ritornare al testo originario; e non ricorda che, proprio qui, in base ad un emendamento dell’onorevole Calamandrei, l’Assemblea impegnò il Comitato a studiare appunto la questione della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, agli effetti anche di una eventuale annullabilità di tali atti. Questione non facile; ma è stata esaminata con molta attenzione, da tutti gli aspetti, ed è stata risoluta nella riunione di questa mattina in una forma che, tenendo conto delle preoccupazioni dell’onorevole Codacci Pisanelli, ritocca in alcuni punti il testo che vi è stato distribuito. Si è voluto togliere la interpretazione (del resto non giustificata) che, col testo coordinato, ogni autorità giudiziaria, anche un pretore, potesse annullare gli atti dell’Amministrazione. No: il testo diceva che ciò avviene «nei casi e nei limiti stabiliti dalla legge»; e per casi e limiti si intendeva anche la possibilità di escludere dal potere di annullamento una parte, la maggior parte, delle giurisdizioni ordinarie. Il potere di annullamento potrebbe opportunamente essere riservato agli organi giurisdizionali che, come il Consiglio di Stato ed alcune sezioni specializzate e miste della magistratura ordinaria (ad esempio il Tribunale delle acque) posseggono speciali attitudini e competenza per la delicata valutazione degli atti amministrativi. D’altra parte, sembra giusto considerare che, se è, con le debite cautele, ammesso l’annullamento degli atti amministrativi nei ricorsi per violazione di interessi legittimi, non si può escludere l’annullamento per violazione di diritto: la miglior soluzione è di modificare l’articolo togliendo dal primo comma le ultime parole «che possono annullare gli atti dell’amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge», aggiungendo invece come terzo comma che «la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti dell’amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge». È una variazione minima, che mette in luce quello che era effettivamente, senza alcun dubbio, l’intento del testo coordinato. Poiché poi nel primo comma si mette già la disposizione, in via generale, per la tutela giurisdizionale verso la pubblica amministrazione, è inutile ripetere l’affermazione generica nel comma che diventa ora secondo. Questo è il nuovo testo, or ora formulato, dell’articolo 113. Prego l’onorevole Codacci Pisanelli di non insistere sulla sua controproposta.
Nel Titolo delle Regioni, si è proposto di aggiungere al secondo comma (tornando al testo dell’Assemblea) la disposizione per la promulgazione e l’entrata in vigore delle leggi regionali dichiarate d’urgenza. Il Comitato non aveva creduto necessaria la disposizione ma, pel suo criterio costante di non opporsi a ciò che non è irragionevole, consente di ripristinare la norma.
Mi sembra di non aver così, altro da dire, sulle proposte presentate…
Una voce. C’è l’articolo 117.
RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Non vi è stata nessuna proposta di rinvio per tale articolo, o – se c’è stata – non venne presentata in tempo utile. Il Comitato non ha potuto esaminare che le proposte trasmessegli dalla Presidenza dell’Assemblea. Del resto, per l’articolo 117, il testo coordinato è il solo ammissibile, in quanto l’ultimo inciso dell’elenco delle materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni: «altre materie indicate da leggi speciali» si riferiva, nelle formulazioni a mano a mano elaborate nelle Sottocommissioni e nella Commissione dei Settantacinque, ai minori gradi di competenza legislativa, di semplice integrazione, conferita alla Regione. Sarebbe un assurdo riferirlo a quella competenza più spinta (ormai diventata unica) per la quale si è tanto discusso sulla categoria di materie che vi debbono essere comprese. Basterebbe una legge speciale per rovesciare tutto il sistema stabilito. Occorre invece, ad aggiungere altre materie, una legge costituzionale. Resta sempre, beninteso, come è nell’ultimo comma, che le leggi dello Stato possono deferire alla Regione di emanare norme per la loro attuazione. Qui si potranno aggiungere altre materie, quante si vorranno, ma nei limiti dell’attuazione, che del resto non è semplice facoltà regolamentare e può implicare in certo senso l’integrazione. Che non vi possa essere dubbio sulla soluzione data a questo argomento dal Comitato, hanno riconosciuto concordemente tutti i membri del Comitato, anche i più accesi regionalisti. La proposta, anche tempestivamente presentata, avrebbe dovuto essere respinta.
Una voce. C’è l’articolo 136.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa dell’articolo 136, e cioè la questione dei ricorsi da presentare alla Corte costituzionale, è questione che intendo riservare per ultima, insieme all’altra dell’articolo 123 sull’approvazione degli statuti regionali, perché son le due questioni a cui potranno limitarsi il contrasto e la votazione dell’Assemblea.
Lasciatemi intanto trattare delle Disposizioni transitorie e finali. Non parlo del numero III, nel quale l’onorevole Cappi ha proposto una variante, che non è rinvio al testo originario, e quindi non so se il Presidente della nostra Assemblea potrà darvi corso. Al numero IV, che concerne il Molise nella prima elezione del Senato, l’onorevole Colitto si era accontentato della formulazione più rapida e sostanzialmente sufficiente adottata dal Comitato. Ora si ricrede, e domanda di tornare alla disposizione originaria. Sia pure. Al numero VI vi è un semplice errore di riferimento; è l’articolo 112 che bisogna richiamare.
Siate buoni testimoni che ho cercato di eliminare tutte le questioni, e vi sono riuscito, tranne per alcune richieste dell’onorevole Codacci Pisanelli e dell’onorevole Leone Giovanni, per le quali, tuttavia, essendovi il consenso di tutti i membri del Comitato, si può ancora sperare che coloro che le hanno avanzate desistano. Ho lasciato sospese due questioni, su cui è più profondo il dissenso, in seno allo stesso Comitato, e difficilmente potremo evitare la votazione.
La prima questione riguarda gli statuti delle Regioni ad autonomia normale, di cui al secondo comma dell’articolo 123. Il testo originario stabiliva che per l’approvazione – e conseguentemente per la modificazione – di tali statuti occorreva, dopo la deliberazione a maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio regionale, una legge della Repubblica. Quando questo punto venne all’esame dell’Assemblea, l’onorevole Perassi rilevò che il procedimento era troppo macchinoso e non necessario, ed avanzò l’idea di sostituire all’approvazione con legge della Repubblica l’approvazione con decreto del Presidente della Repubblica, sentita una Commissione di deputati e senatori che l’Assemblea aveva già deciso di istituire per altri compiti attinenti alle Regioni, e più particolarmente per lo scioglimento dei Consigli regionali. Io dichiarai che il Comitato avrebbe trattato la questione in sede di coordinamento, e l’Assemblea ce ne diede mandato. Dobbiamo dunque decidere.
Vi esporrò obiettivamente le ragioni addotte a favore e contro la tesi del collega Perassi. Egli sostiene che gli statuti delle Regioni ad autonomia normale sono raccolte di norme relative al funzionamento interno dell’amministrazione regionale e non riguardano rapporti con lo Stato e con i suoi poteri. Posto ciò, appare eccessivo che, per un’eventuale lieve modificazione di una disposizione affatto secondaria, si debba mettere in moto la macchinosa formazione di una legge dello Stato. Può bastare, con piena garanzia, il procedimento, già acquisito alla Costituzione, del decreto presidenziale, sorretto dal parere del Comitato interparlamentare per le questioni regionali. A questi argomenti viene dall’altra parte contrapposto non potersi escludere che in uno statuto regionale non si riflettano anche rapporti con lo Stato; occorre pertanto non un semplice decreto del Presidente, che si riduce in sostanza ad un atto di governo, ma una vera legge votata dal Parlamento. Si aggiunge che con la formula Perassi si verrebbe a diminuire d’importanza lo statuto regionale.
Ecco gli argomenti. Il Comitato, dopo qualche incertezza, ha accolto a maggioranza la formula Perassi; e non può aderire alla proposta avanzata da varie parti di tornare al testo originario che, come dissi, fu votato solo provvisoriamente. Dovrà, senza dubbio, decidere una votazione dell’Assemblea.
Il secondo tema di maggior dissenso concerne la Corte costituzionale, agli articoli 136 e 137. Era sembrato necessario, nel testo portato alla discussione dell’Assemblea, che vi fossero fissate le linee fondamentali per l’essenza stessa della Corte, indicando quali sono i ricorsi che si possono presentare per l’illegittimità costituzionale. Senonché un emendamento Arata, votato un po’ improvvisamente, stabilì di rinviare ogni determinazione ad una legge ordinaria. Come ho già accennato al principio di questo mio intervento, siffatta decisione ha sollevato vive obiezioni, sostenendosi che essa non poteva essere presa, giacché poco prima l’Assemblea aveva respinto un emendamento che voleva sopprimere le norme per i ricorsi. Al che si controrisponde che altro è sopprimere, altro rinviare ad una legge ordinaria. L’onorevole Moro ed altri tenacemente risollevano la questione, ribadendo che non è concepibile una lacuna come quella costituita dalla mancanza, nella Costituzione, di un riferimento ad un punto così squisitamente costituzionale. Chiedono dunque l’inclusione di una disposizione, che il Comitato ha già elaborato, e tiene pronta nell’ipotesi che prevalga l’idea di tornare ad una determinazione nel testo delle basi di ricorso. Questo testo risulta dalle osservazioni che vi sono state distribuite. Ve lo rileggo: «La questione di legittimità costituzionale, che nel corso d’un giudizio, sia rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti e non ritenute dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione. Il cittadino o l’ente che ritenga leso in modo diretto ed attuale un suo diritto o interesse legittimo può promuovere direttamente il giudizio di legittimità costituzionale davanti alla Corte. Tale giudizio può essere altresì promosso, nell’interesse generale, dal Governo o da un quinto dei componenti d’una Camera o da tre Consigli regionali». Sono tre comma che contemplano le tre specie basilari di ricorsi: l’incidentale che sorge dal corso d’un giudizio, quello che si promuove direttamente davanti alla Corte dalla persona privata o pubblica che sia lesa in modo diretto ed attuale in un diritto o interesse legittimo (nel qual caso ha ragione di poter proporre la questione, senza attendere che sorga come incidente d’un altro giudizio); ed infine il ricorso, diremo così, del tipo di azione popolare affidato nel pubblico interesse, anche se non vi sia lesione diretta ed immediata d’un diritto o interesse legittimo, ad organi e ad espressioni dell’ordinamento costituzionale.
Il Comitato è pronto a sostenere questa formulazione, se si superano le pregiudiziali. Ad ogni modo l’onorevole Moro ed i suoi colleghi hanno dichiarato che, in via subordinata, sarebbero disposti a ripiegare sopra un’altra proposta, nel senso di modificare l’articolo 137, rinviando le norme sulla proponibilità dei ricorsi (e gli eventuali termini da stabilirsi al riguardo) non ad una legge ordinaria, ma ad una legge costituzionale; così che verrebbe eliminato l’inconveniente del silenzio in un testo costituzionale. Tale legge, aggiungono, potrebbe e dovrebbe essere approvata (come consentono le norme transitorie per la prorogatio della Costituente) entro gennaio; ad evitare che la formazione d’una legge di valore costituzionale, dopo le elezioni, richieda lungo termine, più di un anno, durante il quale la Corte non potrebbe funzionare ancora. Si aggiunge che è desiderabile che la Corte funzioni subito, anche prima delle elezioni, per garanzie contro eventuali violazioni di costituzionalità nelle leggi promosse in questo periodo dal Governo; né è da tacere che sono già in piedi questioni controverse e spinose per leggi già emanate, ad esempio, in materia penale di sanzioni contro il fascismo, sulle quali sarebbe opportuno che si pronunziasse la sola Corte costituzionale.
Avete davanti a voi le considerazioni necessarie per procedere ad una votazione con cognizione di causa.
Avrei finito, se non fosse stata presentata una proposta dell’onorevole Calamandrei, che diverrebbe il numero XVI delle disposizioni transitorie; perché entro un anno si proceda alla revisione ed al coordinamento di precedenti leggi costituzionali, che non siano state finora esplicitamente o implicitamente abrogate. Lo statuto albertino non era di tipo rigido; ma vi sono state, specialmente nel tempo fascista, leggi che avrebbero carattere costituzionale, e che non sono ancora abrogate. Occorre quindi compiere la revisione. Il Comitato non si oppone a che la proposta Calamandrei sia accolta.
Un ultimo accenno; l’onorevole Dossetti desidera che io ricordi una proposta da lui avanzata perché al primo comma del numero VIII delle disposizioni transitorie il termine di un anno per la convocazione delle elezioni dei Consigli regionali sia portato ad almeno diciotto mesi, non essendo materialmente possibile che basti un anno per tali elezioni, data la necessaria preparazione e gli altri compiti, come per l’elezione delle due Camere, cui si deve attendere in questo periodo. L’onorevole Dossetti ha rinunciato alla sua proposta; ma crede opportuno che se ne faccia menzione.
Onorevoli colleghi, ho finalmente finito. Sono stato noiosissimo, minuto, pedante forse, ma mi darete atto che sono riuscito ad evitare molte difficoltà. (Vivissimi applausi).
Ho assunto come mio dovere che la promessa di votare entro oggi la Costituzione fosse mantenuta. Vi sono riuscito. (Vivissimi, reiterati, generali applausi).
Onorevoli colleghi, l’Assemblea è ormai in grado di adempiere il suo compito e di dare all’Italia la sua Carta costituzionale. È necessaria ed urgente. L’approvazione della Costituzione assume oggi un altissimo significato. Noi viviamo ora un momento decisivo per la vita dell’Italia e per la coesistenza internazionale. In questo momento nel quale si agitano all’orizzonte fantasmi di guerra, che certamente saranno deprecati, ma tengono tutta la vita e tutti gli animi sospesi; in questo momento in cui le difficoltà economiche sono sempre gravi, e, per quanto l’Italia abbia fatto passi notevoli, si trova in una preoccupante congiuntura in cui la deflazione creditizia e produttiva coesiste con l’inflazione monetaria, e non si tende risolutamente ad una stabilizzazione generale; in questo momento nel quale vi sono ardenti lotte di parte (badate: sempre minori e così voglia il cielo che siano sempre minori che in altri paesi); in questo momento in cui tutto è in sussulto e tutto anela alla sicurezza, alla pace, alla ricostruzione; in questo momento la Repubblica sente il bisogno di una Costituzione, che rappresenta per lei qualche cosa di più saldo, qualche cosa che esce dal provvisorio, qualche cosa che è auspicio e fiducia che anche tutto l’altro sarà vittoriosamente consolidato. (Vivissimi applausi).
Finora, qui dentro, ci siamo divisi, urtati, lacerati nella stessa discussione del testo costituzionale. Ma vi era uno sforzo per raggiungere l’accordo e l’unità. Ed ora io sono sicuro che nell’approvazione finale il consenso sarà comune ed unanime, e dirò che al di sotto di una superficie di contrasto vi è una sola anima italiana. L’Italia avrà una Carta costituzionale, che sarà sacra per tutti gli italiani, uniti nell’evviva alla Repubblica ed alla sua Costituzione. (Il Presidente e i deputati sorgono in piedi – Vivissimi, prolungati applausi).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo ora esaminare le poche questioni ancora rimaste in sospeso, dopo che stamane, sotto la direzione, come sempre efficace, dell’onorevole Ruini, siamo riusciti a superare il maggior numero dei piccoli ostacoli che erano sorti a proposito della redazione finale del testo della Costituzione.
Vi sono alcune proposte da parte dell’onorevole Codacci Pisanelli, al quale io domando se intenda sottoporle all’Assemblea.
CODACCI PISANELLI. Non ho difficoltà a ritirare le mie proposte, eccetto quella che riguarda l’articolo 113, che corrisponde al 103 approvato dall’Assemblea.
Desidererei sottoporre questa questione alla votazione dell’Assemblea, perché si è introdotta una profonda innovazione nel nostro sistema di giustizia amministrativa, consentendosi – almeno implicitamente – ai giudici ordinari di annullare gli atti amministrativi.
Questa è la ragione per cui proporrei all’Assemblea di tornare al testo originario, che non introduceva un’innovazione così profonda e che il Comitato, secondo me, non avrebbe potuto introdurre.
PRESIDENTE. L’articolo 103 nel testo approvato era del seguente tenore:
«La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso gli atti della pubblica amministrazione è disposta dalla legge in via generale, e non può essere in nessun caso soppressa o limitata a particolari mezzi di impugnativa, o esclusa per determinate categorie di atti».
Il Comitato di redazione lo ha sostituito col seguente articolo 113:
«Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa, che possono annullare gli atti dell’amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge.
«Tale tutela giurisdizionale è disposta dalla legge in via generale e non può essere in alcun caso esclusa o limitata per particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti».
L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere del Comitato.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In sostanza l’onorevole Codacci Pisanelli propone di mantenere il secondo comma dell’articolo 113 come era nel testo originario, e di sopprimere il primo comma, che è stato recentemente aggiunto nella formulazione ultima che ho precisata, e che non contiene i pericoli che preoccupano l’onorevole collega. Ho anche detto le ragioni per cui il Comitato prega di respingere la proposta.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli di tornare al testo primitivo.
(Dopo prova e controprova, non è approvata).
Vi è ora una proposta dell’onorevole Cappi, del seguente tenore:
«L’accettazione della nomina a deputato, qualora non si rinunzi entro cinque giorni dalla proclamazione, implica la rinunzia al diritto di nomina a senatore».
Poiché si tratta di una proposta la quale contraddice ad una deliberazione già votata dall’Assemblea, vi ha preclusione a che sia posta in votazione.
L’onorevole Leone Giovanni ha proposto, per quanto riguarda l’articolo 111 del testo coordinato, di tornare al primo comma dell’articolo 101 approvato dall’Assemblea. L’articolo 111 del testo coordinato è il seguente:
«L’azione penale è pubblica.
«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla».
La formula primitiva era invece del seguente tenore:
«Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale».
L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere del Comitato.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può, dopo la decisione unanime di questa mattina, cui hanno aderito anche i colleghi di Gruppo dell’onorevole Leone, venire in contrario avviso, né pensa che la questione sia preclusa da una precedente deliberazione dell’Assemblea, che non ha respinto, ha soltanto creduto di prescindere da una formulazione, che ora nel Coordinamento si può riprendere. Ad ogni modo non daremo battaglia, ci rendiamo conto degli scrupoli teorici del collega Leone, e lasciamo all’Assemblea di decidere in un senso o nell’altro.
PRESIDENTE. L’onorevole Leone Giovanni desidera che si faccia presente che la formulazione del testo di coordinamento, della quale egli chiede la rinuncia per ritornare al testo primitivo, corrisponde a una formulazione che l’Assemblea aveva, respinto con una votazione. E, pertanto, pare all’onorevole Leone che non si tratti semplicemente della scelta fra un testo coordinato ed un testo iniziale, ma che in realtà si tratti della scelta fra un testo già respinto con una votazione dell’Assemblea ed un altro che l’Assemblea aveva approvato. L’onorevole Leone pensa che la Commissione non possa proporre di tornare ad un testo che non era stato accettato dall’Assemblea.
Poiché il Comitato di redazione ha conservato unanime la vecchia formulazione, nonostante le osservazioni dell’onorevole Leone, credo che debba l’Assemblea decidere in merito.
Pongo pertanto in votazione la proposta dell’onorevole Leone Giovanni di ritornare alla formula del primo comma dell’articolo 101, approvato dall’Assemblea.
(È approvata).
Passiamo all’articolo 123 del testo coordinato, del seguente tenore:
«Ogni Regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.
«Lo statuto è deliberato dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ed è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, sentita una Commissione di deputati e senatori costituita per le questioni regionali nei modi stabiliti con legge della Repubblica».
Pongo in votazione la proposta di tornare al testo originario, articolo 124:
«Ogni Regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione, all’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione ed alla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.
«Lo statuto è adottato con legge deliberata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi membri, ed è approvato con legge della Repubblica».
(È approvata).
Onorevoli colleghi, passiamo al quesito relativo alla Corte costituzionale.
L’articolo 128 votato dall’Assemblea è il seguente:
«La legge stabilirà i modi e i termini per i giudizi sulla incostituzionalità della legge.
«Quando la Corte dichiara l’incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata alle Camere, perché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali».
A questo testo corrisponde l’articolo 137 del Comitato di redazione:
«La legge stabilisce le condizioni, le forme e i termini dei giudizi di legittimità costituzionale, le norme per il regolamento dei conflitti di attribuzione, e quant’altro riguarda la costituzione e il funzionamento della Corte e le garanzie d’indipendenza dei suoi componenti.
«Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione».
V’è la proposta di sostituzione col seguente:
«Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme e i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, nonché le garanzie d’indipendenza dei componenti la Corte.
«Con legge ordinaria sono stabilite tutte le norme necessarie per il funzionamento della Corte».
Pongo in votazione la nuova formulazione.
(È approvata).
Passiamo alla seguente proposta aggiuntiva dell’onorevole Calamandrei, già illustrata dall’onorevole Ruini:
«Entro un anno dall’entrata in vigore della presente Costituzione si provvederà alla revisione e al coordinamento con essa delle precedenti leggi costituzionali che non siano state prima esplicitamente abrogate o che non siano compatibili con la presente Costituzione».
La pongo in votazione.
(È approvata).
Abbiamo così esaurito l’esame di tutte le questioni da sottoporre all’Assemblea per la soluzione definitiva.
LA PIRA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA PIRA. Come i colleghi sanno, ieri sera ho presentato alla Presidenza una proposta, che il testo costituzionale sia preceduto da una brevissima formula di natura spirituale, una formula che dicesse: «In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione». (Commenti a sinistra).
Devo dire, per sincerità, che, prima di presentare questa formula, io ne ho parlato a quasi tutti voi, perché non fosse la mia proposta una novità assoluta. E fra l’altro ho avuto questa preoccupazione, che si trattasse, cioè, di una formula sulla quale tutti potessero concordare, cioè non di una espressione politica, ma di una frase sulla quale ci fosse il consenso interiore e totale dell’Assemblea. Con questa intesa, la formula fu presentata ieri sera, e spero che con questa stessa intesa si possa pervenire alla sua approvazione, perché mi pare che in Dio tutti possiamo convenire. Non è una professione di fede specifica, quindi possono tutti convenire: i mazziniani, per la loro formula «Dio e Popolo»: infatti si direbbe «in nome di Dio il popolo si dà la costituzione»; i liberali, perché c’è anche un neoliberalismo che accetta questo punto, e c’è anche nel marxismo una corrente notevole, la quale disancora il materialismo dialettico da quello storico. Voglio dire, in sostanza, che c’è un punto di convergenza per ogni creatura, c’è sempre una realtà superiore, e quindi, per questa ragione, se noi potessimo concordemente, al di sopra di ogni questione politica, ancorarci a questa formula, sarebbe veramente uno spettacolo di fede.
Il popolo è il soggetto, non ci sarebbero quindi questioni da sollevare, ed io pregherei pertanto tutta l’Assemblea, se fosse possibile, di votare per acclamazione, o unanimemente, la formula da me proposta. Non è, ripeto, una iniziativa di partito, anzi, siccome la questione era sorta fra vari amici, si è detto: la presenterò io, in modo che non possa dar luogo e non possa rappresentare una discussione di carattere politico. Per queste ragioni, mi son permesso fare questa proposta, sperando che possa essere accettata. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. La proposta dell’onorevole La Pira mi era già stata presentata dall’onorevole La Pira stesso ieri sera, non ancora formalmente, ma per conoscere il mio avviso in proposito.
Ho fatto all’onorevole La Pira una prima osservazione: che la sua proposta poneva una questione di principio, quella del preambolo della Costituzione.
La questione è stata, non dirò conclusa in modo preciso dall’Assemblea, ma è stata dibattuta frequentemente nel corso dei nostri lavori; e non soltanto in sede di discussione generale, ma anche successivamente, man mano che sono venuti presentandosi temi o argomenti che a qualche collega parevano più adatti ad essere inseriti in un preambolo che formulati in un articolo.
Si era poi rimessa la questione, in definitiva, al Comitato di redazione, il quale, dopo lunga ed ampia discussione, ha respinto il concetto della inserzione di un preambolo nella Costituzione. Si poteva riaprire questa discussione già conoscendosi la profonda diversità di pareri?
Ho fatto poi presente all’onorevole La Pira che sarebbe stato opportuno presentare la sua proposta un po’ prima dell’ultimo termine dei lavori, e ciò proprio per la sua importanza e per la delicatezza dei temi che avrebbe proposto ai singoli e all’Assemblea nel suo complesso. Infine, ho detto all’onorevole La Pira, che se vi fosse stato il consenso di una grande maggioranza – se non dell’unanimità dell’Assemblea – ciò avrebbe potuto probabilmente far superare le prime due difficoltà, ma che mi sarebbe occorso saperlo in precedenza.
Questa mattina ho fatto presente all’onorevole La Pira che, da notizie mie, risultava che questa grande maggioranza non vi sarebbe stata: non solo, ma che se il problema si fosse posto, altre formulazioni diverse e non concilianti sarebbero state presentate per il preambolo.
L’onorevole La Pira, obbedendo ad un impulso della sua coscienza, ha ritenuto ugualmente suo dovere di porre il problema. Io tuttavia non posso dimenticare le obiezioni che già gli avevo significate.
Alcuni colleghi hanno chiesto di parlare sull’argomento. La questione ha una delicatezza di contenuto in sé, e più è delicata per le ripercussioni che essa certamente avrà, nell’animo di tutti coloro che la conosceranno (e la conosceranno tutti gli italiani). Le parole siano dunque adeguate. Il che significa in primo luogo, onorevoli colleghi, parlare brevemente. Si evitino le parole inopportune, e si tratti per ora la questione pregiudiziale, senza contrapporre argomenti di merito ad argomenti di procedura.
TOGLIATTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. Onorevole Presidente, è un fatto che stamani, quando ci siamo alzati, faceva freddo, ma non ostante questo, quando abbiamo visto brillare il sole nel cielo di dicembre, abbiamo sperato che almeno per noi, membri dell’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, esso avrebbe brillato su una giornata di unità e di concordia. Siamo venuti qui con la convinzione di compiere un atto di unità, anzi con il deliberato proposito di scartare in questo giorno tutte le questioni, che potessero dividerci, aprire o riaprire solchi, elevare barriere. Anche quelle divisioni, che esistettero nei precedenti nostri dibattiti, volevamo che scomparissero davanti alla Nazione, perché tutti sentissero che l’atto solenne, che oggi compiamo, è un atto nel quale ci sentiamo tutti uniti. Ognuno di noi vede chiaramente nella Costituzione, che stiamo per approvare con voto solenne, l’apporto che egli ha dato e l’apporto che hanno dato gli altri. Ognuno di noi è libero di intendere l’atto che oggi si compie, a seconda della sua particolare ideologia e della sua posizione politica, in confronto e col passato e col futuro, che ognuno condanna o esalta, auspica o depreca a seconda dell’animo suo, delle sue speranze, dei suoi orientamenti. Non ostante questo, però, vi è qualcosa oggi, che ci unisce tutti, ed è il voto comune che stiamo per dare all’atto che sarà obbligatorio per tutti noi.
Io vorrei pregare tutti i colleghi di non staccarsi da questa atmosfera elevata. Vorrei pregare tutti i colleghi di non risollevare discussioni, le quali hanno già avuto luogo in sede di Commissione davanti all’Assemblea e davanti alla pubblica opinione, e che oggi non devono essere più qui riprese.
Se dovessimo aprire il dibattito sulla proposta dell’onorevole La Pira, non ci troveremmo uniti. Questo è un fatto certo. Anzi: scaveremmo tra di noi quel solco ideologico, che a proposito di altre questioni abbiamo voluto e saputo evitare. L’onorevole La Pira, del resto, ne ha convenuto, quando ha parlato con noi. La sua formula si richiama a determinate ideologie, ne respinge altre. Non so nemmeno se in campo cattolico una posizione, la quale faccia della fede qualcosa di collettivo e non soltanto personale, possa essere accolta da tutti. Comprendo come l’onorevole La Pira arrivò a questa posizione, partendo da determinate dottrine, ma non posso dimenticare che anche recentemente e da altissima sede queste dottrine sono state oggetto di attento esame e hanno dato luogo a critiche alquanto preoccupate. Anche nel suo campo, quindi, l’onorevole La Pira potrebbe non trovare tutti i consensi che vorrebbe. Certo è che egli non potrebbe trovare tutti i consensi dell’Assemblea, se si aprisse un dibattito sulla sua proposta e dovessimo schierarci a favore o contro di essa. In questo caso saremmo di fronte alla necessità di discutere e, quindi, di dividerci. Compiremmo una manifestazione, che sarebbe in contrasto con lo spirito unitario, col quale abbiamo voluto venire qui oggi e col quale vorremmo che il lavoro nostro di questa giornata venisse condotto fino alla fine.
Per questi motivi, prego l’onorevole La Pira di volere desistere dalla sua proposta.
MARCHESI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCHESI. Onorevoli colleghi, come ho detto poc’anzi ai colleghi di quel settore (democristiano), nessuno, dico nessuno che mi conosca, potrà accusarmi di irriverenza verso le fedi religiose o di professione di ateismo.
Ho sempre respinto nella mia coscienza la ipotesi atea, che Dio sia una ideologia di classe. Dio è nel mistero del mondo e delle anime umane. È nella luce della rivelazione per chi crede; nell’inconoscibile e nell’ignoto per chi non è stato toccato da questo lume di grazia. Ho detto testé al collega La Pira che questo mistero, questo supremo mistero dell’universo non può essere risoluto in un articolo della Costituzione, in un articolo di Costituzione, che riguarda tutti i cittadini, quelli che credono, quelli che non credono, quelli che crederanno.
Fate, colleghi, che non ci siano dissensi e divisioni tra noi, in questo ultimo giorno, così solenne per la nostra Carta costituzione.
Fate che oggi su questi banchi non siamo noi soli i fedeli servitori del Signore; fate che non soltanto noi siamo oggi gli osservatori del secondo comandamento. Io mi associo alla proposta ed alla preghiera che l’onorevole Togliatti rivolgeva ai colleghi: qui nessuno può dire di essere contro Dio, perché non sarebbe un bestemmiatore, sarebbe uno stolto. Questa nostra Carta costituzionale ha certamente grande importanza per la storia del nostro Paese, per gli sviluppi che successivamente avrà nella futura legislazione, ma facciamo in modo che non cominci con una parola grande che susciti il dissidio dei piccoli mortali.
Invito perciò il collega La Pira a ritirare la sua proposta.
CALAMANDREI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CALAMANDREI. Ho chiesto la parola, onorevoli colleghi, come uno di coloro che avevano intenzione di presentare la proposta di alcune parole introduttive da premettere come epigrafe alla nostra Costituzione; ma, avendone parlato al Presidente della nostra Assemblea, mi sono sentito addurre, per non insistere in questo proposito, ragioni, di fronte alle quali mi sono inchinato. Quindi io sono d’accordo col nostro Presidente nel ritenere che ragioni procedurali impediscano ormai di prendere in considerazione questo punto.
Ma sono d’accordo anche con quanto hanno detto i colleghi Togliatti e Marchesi; sulla necessità, cioè, di non immiserire in una discussione, in cui potrebbe darsi che sui particolari non tutti fossimo d’accordo, questa grande idea di Dio. Non sono però in dissidio neanche col collega ed amico La Pira; perché, se il punto al quale siamo arrivati nei nostri lavori non ce lo avesse vietato, avrei anch’io desiderato che all’inizio della nostra Costituzione si trovasse qualche parola che volesse significare un richiamo allo Spirito. Perché, colleghi, alla fine dei nostri lavori, talvolta difficili e perfino incresciosi, talvolta immiseriti, diciamo, in questioni grettamente politiche, alla fine dei nostri lavori vi è però nella nostra coscienza la sensazione di aver partecipato in questa nostra opera a una ispirazione solenne e sacra. E sarebbe stato opportuno e confortante esprimere anche in una sola frase questa nostra coscienza, che nella nostra Costituzione c’è qualcosa che va al di là delle nostre persone, un’idea che ci ricollega al passato e all’avvenire, un’idea religiosa, perché tutto è religione quello che dimostra la transitorietà dell’uomo ma la perpetuità dei suoi ideali.
Io avevo pensato – e ve lo dico unicamente perché desidero che questo rimanga agli atti della nostra Assemblea – proporvi che questa invocazione allo Spirito e all’eternità fosse consacrato in un richiamo sul quale credo che tutti noi ci saremmo trovati concordi; in un richiamo cioè ai nostri Morti, a coloro che si sono sacrificati, affinché la grande idea per la quale hanno dato la vita, si potesse praticamente trasfondere in questa nostra Costituzione che assicura la libertà e la Repubblica. Forse, questa nostra Costituzione in pratica, per taluni aspetti, è inferiore alla grandezza della loro idea; ma tuttavia ad essa ha voluto ispirarsi. Per questo io avevo in animo di proporre che la nostra Costituzione incominciasse con queste parole: «Il popolo italiano consacra alla memoria dei fratelli caduti per restituire all’Italia libertà e onore la presente Costituzione». Questo non si può più fare, ha detto il Presidente, per ragioni di procedura. Ma tuttavia la nostra intenzione e il nostro proposito, e il fatto che nel chiudere i nostri lavori noi abbiamo pensato a coloro senza il sacrificio dei quali noi non saremmo qui, questo io spero che rimarrà scritto negli atti della nostra Assemblea. (Applausi a sinistra).
COPPA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COPPA. È strano che in un’Assemblea del popolo italiano abbiamo sentito tre voci contrarie alla proposta La Pira. Qui c’è della gente… (Interruzioni a sinistra).
La parola gente è latina e ha il suo significato.
PRESIDENTE. Onorevole Coppa, le sarei grato, ed ella lo farà certamente, se il suo intervento restasse sullo stesso piano di quello dei colleghi che l’hanno preceduto.
COPPA. Scendo dalla stratosfera della filosofia alla pratica, perché intanto rilevo che un atto di unità limitato soltanto alla superficie non giova a nulla. Noi vogliamo dare la vernice che deve nascondere le crepe, che si trovano, che hanno il substrato nella profonda differenza delle idee che si professano. Se è efficace questa vernice, sia data pure.
Rilevo intanto la contradizione che esiste fra le affermazioni fatte dall’onorevole Calamandrei e la dichiarazione di atto sacro quale è la Costituzione.
Una Costituzione è nella vita civile di un popolo quanto di più alto si possa immaginare, e nessuna espressione più degna di quella proposta dall’onorevole La Pira potrebbe precedere come preambolo la Costituzione di un popolo che nella stragrande maggioranza professa una religione, e che avrebbe il diritto di vedere la sua Costituzione con la stessa introduzione che si è data il popolo irlandese; perché, se non erro, il popolo irlandese non ha avuto né la ipocrisia, né la vergogna di mascherare i suoi sentimenti, ed ha invocato la Santissima Trinità.
Ora si parla di maggioranza dell’Assemblea e si dimentica la maggioranza che è nel Paese. (Applausi all’estrema destra). E voialtri (Accenna all’estrema sinistra) il giorno in cui avete sostenuto la necessità di votare l’articolo 7, avete portato argomenti diversi da quelli che avete portato oggi. (Commenti – Interruzioni).
Io vi richiamo alla coerenza di quel voto e faccio mia la proposta dell’onorevole La Pira, qualora egli la dovesse ritirare. (Interruzioni all’estrema sinistra – Commenti).
PRESIDENTE. Era facile prevedere che porre la questione significava creare il contrasto. Si può esprimerne rammarico, ma evidentemente, onorevoli colleghi, di fronte alle affermazioni di libertà di coscienza contenute nella Carta costituzionale, che oggi voteremo, penso che da nessuna parte si possano sollevare recriminazioni nei confronti del pensiero che altri nutre ed altri vuole servire. Ed era questa la ragione per la quale, con argomenti procedurali – perché io non debbo adoperarne altri – avevo cercato di convincere l’onorevole La Pira a non porre la questione.
L’onorevole La Pira ha preferito porla, ma è evidente, onorevoli colleghi, che le ragioni procedurali che l’onorevole La Pira non ha accolte, non perdono per questo di efficacia. (Interruzione del deputato Fuschini).
Onorevole Fuschini, lei che ha seguito così attentamente i nostri lavori, sa che l’Assemblea non ha accettato preamboli. Né vale usare oggi altro termine, come intitolazione, dedica, epigrafe. Quando l’onorevole La Pira, in un suo non dimenticabile discorso in sede di discussione generale, aveva auspicato che la Costituzione avesse un preambolo, si era già valso promiscuamente di questa parola come delle altre, dedica o intitolazione. Ma la sua proposta non era ugualmente stata accolta, e non perché non vi fossero molti in quest’Aula che condividessero la sua opinione, ma proprio per le ragioni che poco fa qualche membro dell’Assemblea ha voluto ricordare.
Se la procedura talvolta serve a qualche cosa, questo è il caso, onorevoli colleghi; essa ci aiuta oggi, infatti, ad evitare una discussione pericolosa, perché nulla di peggio vi sarebbe se su questa proposta in questo momento, l’Assemblea si dividesse. Ed ognuno di noi sa già in precedenza che si dividerebbe.
È questa la ragione per la quale, escludendo assolutamente ogni valutazione di merito e di sostanza, che non mi competono, e dalle quali tuttavia in questa sede rifuggirei, proprio per evitare che quella divergenza, che purtroppo si è ritenuta di dover stimolare, maggiormente si affermi, prego l’onorevole La Pira di accedere al criterio della inammissibilità della sua proposta.
Noi, onorevoli colleghi, abbiamo accettato un Regolamento per i nostri lavori: si potrebbe dire che l’estrema delicatezza della questione ora posta travalica lo stesso Regolamento; ma, superando il Regolamento, si creerebbe una profonda divergenza nella nostra Assemblea. Perciò ora più che mai il Regolamento non può essere ignorato.
Per questo, dico all’onorevole La Pira, e all’onorevole Calamandrei che, pur con vivo rammarico, dal momento che il Comitato di redazione ha già reso conto di tutto il suo lavoro dall’Assemblea e questa ha votato sulla materia che era all’ordine del giorno, non ritengo più proponibile nessuna richiesta o istanza.
GUERRIERI FILIPPO. Senza Dio non si costruisce!
LA PIRA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA PIRA. Onorevoli colleghi, vorrei dire che la mia proposta ha voluto essere – per le ragioni che ora spiegherò – una proposta di unione e non di divisione. Siccome prevedevo che la questione sarebbe sorta in Assemblea, allora, per evitare ogni dissenso politico e per trovare un punto di identità, mi sono permesso di parlarne in ultimo. Proprio per questa ragione unitaria e non per uno scopo di scissione: questo, del resto, è anche il mio temperamento, che cerca sempre di fare ponti e suture.
Quindi, le parole nobili dell’onorevole Togliatti e quelle calde, interiori degli amici Marchesi e Calamandrei, non sono in contrasto con quanto ho detto, perché, siccome prevedevo e sapevo che la questione sarebbe sorta in Assemblea, per evitare una scissione e per evitare che la questione avesse assunto un carattere politico – cioè di aderenza a questo o a quel partito – mi sono permesso di assumere la responsabilità di presentare quella proposta. V’era già un’altra proposta, infatti, e proprio per trovare un punto di unione, ho fatto la mia, non per scindere, ma per unire. Ora, come si fa, dico io, ad eliminare la questione, se la questione c’è ed è sorta, ed è sorta già all’epoca delle dichiarazioni dell’onorevole Lucifero, il quale disse: «accantoniamo il problema; lo riprenderemo al termine dei nostri lavori»?
Quindi, pregherei vivamente di riflettere su questo punto, per evitare quella divisione alla quale nessuno di noi vuole andare incontro. Pregherei vivamente gli onorevoli Togliatti, Basso, Nenni, Marchesi e tutti gli altri amici di vedere di trovare questo punto d’incontro.
In fondo, se ben consideriamo, con la formula «Il popolo in nome di Dio si dà la Costituzione» facciamo una constatazione di fatto. (Commenti a sinistra).
Io pregherei vivamente di considerare la questione.
Se potessimo unificare le due formule, quella dell’onorevole Calamandrei e quella presentata da me, non sarebbe cosa veramente opportuna? Le più grandi, le più importanti tappe hanno sempre questa affermazione: tutte le Costituzioni americane, quella svizzera, tutte le Costituzioni che derivano dalla Rivoluzione francese, quella del Venezuela del 4 luglio 1897: tutte recano all’inizio questa affermazione.
L’importante è di non fare una specifica affermazione di fede, come è nella Costituzione irlandese: «In nome della Santissima Trinità»; ma perché rifiutarci di dire: «In nome di Dio»? Prego quindi vivamente i colleghi di tutti i settori di voler riflettere su ciò; perché, se la questione è sorta, come si può eliminarla?
NITTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NITTI. In Inghilterra è abitudine, nelle grandi occasioni, alla fine dei lavori legislativi, e il principio di essi, che tutti i deputati vadano nella Cappella di Westminster a pregare. E vi si recano deputati di ogni parte, che sono anglicani, cioè terribilmente antipapisti, cattolici e rappresentanti di religioni non ariane ed anche rappresentanti di religioni semitiche dell’Asia.
Io non trovo dunque strana questa proposta, né che tutti secondo la propria fede vadano a pregare per la patria comune. E sopra tutto dove i Parlamenti esistono per antica tradizione. Anche in monarchie antiche e tradizionali si pregava o non si pregava secondo situazioni particolari.
Manifestazioni comuni avvenivano. Avvenivano sopra tutto in paesi protestanti. Da noi, nei vecchi parlamenti, per quanto io sappia, non vi erano preghiere in comune. Non so se nel Parlamento subalpino per lo Statuto durato dal 1848 a ora si facevano preghiere in comune.
Non credo, comunque, che questa consuetudine profondamente cristiana possa diventare in Parlamento ragione di divergenze politiche: questa è materia su cui vi possono essere ragioni di divergenza spirituale, non politica. Iddio è troppo grande, Iddio è al disopra di tutte le cose, e tutte le anime credenti debbono impiegarsi a servirlo nel comune desiderio del bene dell’umanità.
Dunque non è la proposta che trovo strana, ma trovo strano che essa venga sottoposta in questo momento a voto, quando reca qui dentro – e noi sapevamo che dovesse recare – una divisione profonda. Perché ci dovremmo dividere sul nome di Dio? Il nome di Dio è troppo grande e le nostre contese sono troppo piccole.
Io ho sofferto molto che questa proposta sia stata avanzata: io soffrirò anche di più se questa proposta verrà respinta.
L’idea di Dio è talmente grande e universale che non può essere materia di controversie politiche. Far discendere Dio in controversie di un’aula parlamentare è umiliare la dignità dello spirito. Il nome di Dio non deve essere nominato in contrasti politici, che non hanno niente di grande.
Tutte le anime credenti, sia pure in forma diversa, servono Dio nel desiderio del bene dell’umanità.
Nel Parlamento subalpino, in occasione della Costituzione del 1848, che è vissuta fino ad ora, non avvennero speciali funzioni, benché vi fosse una monarchia molto religiosa e il Parlamento fosse composto di uomini educati e vissuti nella religione: ma non vi furono solennità religiose speciali.
Si farebbe equivoco di cosa che non esiste, la divisione fra credenti e non credenti, e si potrebbe speculare su di essa.
Insediando questa Assemblea Costituente non vi è stata alcuna invocazione religiosa né alcuna preghiera in comune. Perché ora, alla fine dei suoi lavori, l’Assemblea deve mutare? Che cosa è mutato in essa?
Per molti anni dopo il 1870 la Chiesa Cattolica è stata in Italia in dissidio politico con lo Stato, ma anche dopo gli Accordi Lateranensi le funzioni parlamentari non hanno dato luogo a funzioni religiose.
Mancava la tradizione e non ve ne è stata la necessità.
La proposta che ora si fa da persona rispettabilissima e che è anche e sopra tutto un’anima credente, non è discutibile per le intenzioni, ma per la opportunità.
Data la divisione degli spiriti e non essendovi la tradizione, la discussione inevitabile finirebbe con avere carattere politico e sarebbe materia di divisione.
Dividerci e non essere concordi nel nome di Dio, cioè nella espressione più alta dello spirito umano, è umiliazione. Le nostre contese sono troppo piccole e il nome di Dio è troppo grande, perché vadano assieme.
Io ho sofferto quando questa proposta è stata fatta, ma soffrirei ancor più se non fosse accolta da unanime consenso e avesse anzi non pochi dissensi.
Io ho potuto anche questa volta ammirare la saggezza del nostro Presidente. Egli si è studiato di evitare una discussione e forse una contesa deplorevole al momento della chiusura dei nostri lavori. La discussione turberebbe l’Assemblea inutilmente, e creerebbe forse un dissidio che non deve esistere.
Le ragioni dette dal Presidente non entrano nel merito della idea religiosa, che non deve essere discussa. Sono però tali dal punto di vista parlamentare, che provano non solo la opportunità, ma il danno di una inevitabile e irritante discussione. (Vivi applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevole La Pira, l’impulso che l’ha mossa, tutti lo sappiamo, e l’onorevole Nitti nelle sue ultime parole lo ha rilevato in modo mirabile, è stato di unità e di concordia.
Ma a volte possiamo sbagliare sulle conseguenze delle nostre azioni e sui fini che si intendono raggiungere. Prendendo la sua iniziativa ella non aveva forse valutato tutte le conseguenze che avrebbe determinato.
Dopo questa breve, composta e degna discussione, io credo che lei si sia reso conto che in realtà non con un atto di unità si concluderebbe la nostra seduta, se insistesse nella sua proposta, indipendentemente dall’inammissibilità. Per non incrinare, sia pure soltanto la superficie (onorevole Coppa, certe volte anche la conservazione di un ultimo velo di unità può costituire una grande garanzia), occorrerebbe che ella, con quello stesso impulso di bontà che l’ha mossa a fare la proposta, ci dicesse (perché dispiacerebbe giungere alla stessa conclusione per altra via) che comprendendo, accetta di ritirarla. (Approvazioni).
MEDA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ho pregato l’onorevole La Pira di ritirare la sua proposta; prego quindi i colleghi di non allargare la discussione.
MEDA. Chiedevo di parlare solo per dire una parola di concordia.
PRESIDENTE. Credo di potere interpretare il silenzio dell’onorevole La Pira come adesione al mio invito deferente e cortese. (Vivi applausi a sinistra).
LA PIRA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA PIRA. A me non resta che partire dal presupposto e dal punto di vista dal quale mi ero mosso, e cioè che vi fosse una unità, un consenso in tutta l’Assemblea. Ma evidentemente se questo consenso non vi fosse, e vi dovessero essere motivi di screzio profondo, di disunione fra gli animi, non so veramente cosa dire, perché ciò va contro il punto di vista dal quale ero partito. Ripeto: perché ho presentato quella proposta? Perché sapevo che sarebbe stata presentata in altro modo e avrebbe allora provocato un profondo dissenso in seno all’Assemblea Costituente. E allora mi sono fatto portatore di pace e di unità. Ma se la pace e l’unità non si possono raggiungere, che cosa devo dire?
COPPA. La procedura sbarra il passo a Dio! (Commenti animati a sinistra).
PRESIDENTE. Facciano silenzio, prego! Onorevole La Pira, prosegua.
LA PIRA. Francamente, se tutto questo dovesse produrre la scissione nell’Assemblea, io per conto mio non posso dire che questo: che ho compiuto secondo la mia coscienza il gesto che dovevo compiere. (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Molte congratulazioni).
Annunzio di nomine di Sottosegretari di Stato.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ho l’onore di informare l’Assemblea Costituente che il Capo Provvisorio dello Stato, con decreto 22 dicembre 1947, su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dall’onorevole generale Luigi Chatrian dalla carica di Sottosegretario di Stato per la difesa.
Con altro decreto, in pari data, sentito il Consiglio dei Ministri, sono stati nominati Sottosegretari di Stato per:
la grazia e giustizia: l’onorevole avvocato Vittorio Badini Confalonieri, deputato all’Assemblea Costituente;
il tesoro (Danni di guerra): l’onorevole avvocato Antonio Cifaldi, deputato all’Assemblea Costituente;
la difesa: l’onorevole avvocato Ugo Rodinò, deputato all’Assemblea Costituente;
la pubblica istruzione: l’onorevole avvocato Giuseppe Perrone Capano, deputato all’Assemblea Costituente;
i lavori pubblici: l’onorevole Emilio Canevari, deputato all’Assemblea Costituente;
l’agricoltura e foreste: l’onorevole avvocato Giovanni Cartia, deputato all’Assemblea Costituente;
le poste e telecomunicazioni: l’onorevole dottor Francesco De Vita, deputato all’Assemblea Costituente;
il lavoro e previdenza sociale: l’onorevole Luciano Magrini, deputato all’Assemblea Costituente;
la marina mercantile: l’onorevole avvocato Nicola Salerno, deputato all’Assemblea Costituente.
PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Presidente del Consiglio di questa comunicazione.
Relazione della Commissione di indagine sulle accuse mosse al deputato Chieffi.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, come l’Assemblea ricorda, alcuni giorni or sono, su richiesta dell’onorevole Chieffi, a norma dell’articolo 80-bis del Regolamento ho proceduto alla nomina di una Commissione incaricata di esaminare il fondamento di talune accuse che gli erano state mosse.
La Commissione ha compiuto il proprio lavoro e l’onorevole Gasparotto, Presidente, ha chiesto di potere riferire all’Assemblea.
Rendo noto che contemporaneamente mi è stato consegnato il testo di una relazione di minoranza e il testo di una dichiarazione personale di uno dei membri della Commissione, che ha espresso il desiderio di poter dichiarare le ragioni per le quali non ha aderito né alle conclusioni di maggioranza né a quelle di minoranza.
DUGONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DUGONI. Io credo che, data la solennità della seduta alla quale stiamo partecipando, dato anche il breve spazio di tempo che ci è concesso, sia opportuno rinviare la lettura delle relazioni alla ripresa dei lavori in gennaio.
Una voce al centro. V’è di mezzo l’onore di un collega.
PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, fa proposta formale in questo senso?
DUGONI. Sì.
SCOCA. Non possiamo rinviare.
PRESIDENTE. L’onorevole Gasparotto ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
GASPAROTTO, Presidente della Commissione. La Commissione non può che rimettersi all’Assemblea.
DUGONI Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DUGONI. Credevo di trovare concorde l’Assemblea su questo punto; ma se l’Assemblea non è concorde ritiro la mia proposta.
PRESIDENTE. Sta bene. Ha facoltà di parlare l’onorevole Gasparotto.
GASPAROTTO, Presidente della Commissione. L’Assemblea Costituente, onorandoci della sua fiducia, ci ha conferito il mandato di giudicare, a norma dell’articolo 80-bis del Regolamento, sul fondamento delle accuse mosse, nella seduta del 13 dicembre 1947, dai deputati Cianca e Lussu al deputato Chieffi.
La Commissione, innanzi tutto, ha sentito gli onorevoli Cianca e Lussu. Il primo ha dichiarato che l’accusa di «collaboratore dei tedeschi», lanciata contro l’onorevole Chieffi, «traeva origine dalle notizie riferite dal settimanale Il Solco (organo del Partito sardo di azione) e, più particolarmente, dal giudizio espresso dal procuratore generale e dal giudice istruttore nel processo contro Del Fante, nonché da voci riferitegli da qualche deputato sardo». L’onorevole Lussu ha dichiarato che l’accusa di «fornitore di donne ai tedeschi», da lui lanciata contro l’onorevole Chieffi, «si rilevava da una istruttoria provocata dallo stesso onorevole Chieffi contro persone che questi riteneva potessero nuocergli», istruttoria della quale aveva data notizia il settimanale Il Solco. Aggiungeva che, al momento in cui aveva lanciato l’accusa, era a conoscenza della querela sporta dall’onorevole Chieffi contro detto giornale.
La Commissione, pur non avendo i due accusatori presentato documenti autentici a fondamento delle accuse, ha creduto di richiamare, a mezzo del Ministro di grazia e giustizia, gli atti di due precedenti processi penali e di poter portare su di essi la sua indagine, nonché di raccogliere, anche direttamente, altri elementi di valutazione a mezzo di testimoni.
Di tali due procedimenti uno è a carico di tal Del Fante per il delitto di collaborazione con il tedesco invasore, e si è concluso con sentenza istruttoria di proscioglimento «perché il fatto non sussiste»; il secondo è a carico dell’onorevole Chieffi e di altri per lo stesso delitto di collaborazione e si è concluso, nei riguardi dell’onorevole Chieffi, su conforme richiesta del procuratore generale, «per non aver commesso il fatto», con sentenza istruttoria di proscioglimento, contenente valutazioni apologetiche per l’attività partigiana da lui svolta.
L’esame di tutti gli atti processuali ha confermato la inesistenza del fatto della collaborazione da parte dell’onorevole Chieffi.
Senza ripetere le considerazioni del giudice penale, svolte sulla base di prove acquisite con ampio esercizio dei poteri di indagine, l’esame obiettivo degli atti del processo e degli elementi accertati direttamente ha portato la Commissione a ritenere per fermi i seguenti punti:
1°) La permanenza dell’onorevole Chieffi, per altro saltuaria, durante il periodo dell’occupazione nazista di Roma, nel suo impiego amministrativo presso la Società Stacchini, requisita e controllata militarmente dai tedeschi, fu consentita – come ha testualmente dichiarato avanti alla Commissione uno dei membri del Comitato esecutivo antifascista e come sorge, con ampio conforto di prove, dagli atti del processo penale – dal Comitato supremo militare della resistenza in Roma. Nell’esercizio della sua attività nell’interno della Società Stacchini, l’onorevole Chieffi agì di concerto con i due eroici generali dell’aeronautica Lordi e Martelli, dirigenti tecnici della medesima società, tratti in arresto nel gennaio 1944 dalle SS. tedesche per la loro opera di sabotaggio e, quindi, trucidati alle Fosse Ardeatine; egli consegnò alle forze partigiane quantitativi di esplosivi e ragguardevoli somme di denaro, derivanti gli uni e le altre dalla ditta Stacchini, e comunicò al Comando alleato piani dello stabilimento stesso. L’onorevole Chieffi fu materialmente estraneo ad ogni rapporto di collaborazione, risultando, tra l’altro, che sinanco alcuni ordini di servizio intimanti agli operai l’osservanza dell’obbligo di lavoro furono firmati dallo Stacchini e non da lui, ed egli si prestò a recarsi a Milano per conto della ditta Stacchini, in unione al maresciallo tedesco addetto al controllo della medesima e alla interprete, per riscuotere una somma spettante alla Società, allo scopo di poter effettuare un viaggio, altrimenti assai difficoltoso, che gli era necessario per poter assolvere a Parma, sede del Tribunale speciale, una missione di salvataggio, che fu coronata da successo, missione affidatagli da autorevoli membri del Fronte della resistenza, in favore dei patrioti onorevole Angelucci e dottor Intersimone.
2°) Nell’attività dell’onorevole Chieffi non può riscontrarsi l’ipotesi maliziosa del cosiddetto «doppio gioco» – secondo l’accusa fatta innanzi alla Commissione dall’onorevole Lussu – poiché questo si è verificato quando l’attività è stata diretta indifferentemente al raggiungimento della vittoria nazista e al trionfo partigiano con simulazioni e dissimulazioni e senza che l’agente si sia decisamente impegnato, con rischio suo e dei suoi, in una delle due cause; laddove l’onorevole Chieffi ha esposto – come sorge da univoche e numerose testimonianze di varia fonte politica e militare – se stesso e i suoi familiari a pericoli concreti di rappresaglia nazista, dalla quale si salvò non senza difficoltà, e che lo costrinsero più volte alla macchia.
3°) All’unanimità è rimasta esclusa l’accusa mossa dall’onorevole Lussu di aver fornito donne ai tedeschi.
Tutto ciò considerato, la Commissione, a maggioranza di sette membri, e nell’assenza giustificata di due: Della Seta e Cacciatore; dissidenti, gli onorevoli Foa e Reale Eugenio, ha concluso che le accuse di collaboratore dei tedeschi e di fornitore di donne agli stessi, lanciate, durante il tumulto della discussione, contro l’onorevole Chieffi rispettivamente dagli onorevoli Cianca e Lussu, sono senza fondamento sotto ogni profilo. Esse sono state mosse dagli onorevoli Cianca e Lussu sulla traccia di una pubblicazione del settimanale Il Solco riportante, non sempre con assoluta fedeltà al testo, apprezzamenti non favorevoli all’onorevole Chieffi contenuti nella requisitoria e nella sentenza istruttoria del procedimento a carico di Del Fante, apprezzamenti smentiti in pieno dalla successiva requisitoria e dalla sentenza nel procedimento a carico dell’onorevole Chieffi, nonché dalle indagini compiute dalla Commissione.
BERTINI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERTINI. Onorevoli colleghi, bisogna essere rigidamente osservanti del Regolamento quando in specie si tratta di questioni che implicano la dignità personale dei colleghi. Quindi, ho l’obbligo, anche per quella esperienza parlamentare che ho acquistato nell’assistere a discussioni di questo tipo, di far rilevare, a chi volesse prenderne l’iniziativa, che discussioni di carattere individualistico sono contrarie alla prassi parlamentare.
Anzitutto, poniamo i termini della questione, distinguendo fra quella che fu la discussione fatta all’Assemblea in seguito alla relazione della Commissione degli Undici e quella che, suppongo, si vorrebbe fare oggi sulla relazione dell’onorevole Gasparotto a proposito del caso dell’onorevole Chieffi.
Rilevo – e lo ha già detto l’onorevole Presidente esattamente, allorché ha introdotto la discussione su questo argomento – che la relazione dell’onorevole Gasparotto si basa sull’applicazione dell’articolo 80-bis del Regolamento della Camera. Da quest’articolo, si deduce che l’Assemblea – ed è detto esplicitamente – ha una sola facoltà, quella di prendere atto o non prendere atto delle conclusioni della Commissione. E perché? Non tanto, perché vi sia di mezzo una questione di delicatezza personale, sulla quale delle discussioni potrebbero essere avventate o odiose, ma per un’altra ragione di più alto conto: quella che attiene al contenuto giuridico e alla competenza della Commissione nominata a termini dell’articolo stesso.
Voi osserverete esattamente – e non v’è altra interpretazione che possa farsi – come l’articolo 80-bis equipari il mandato, che si affida a questa Commissione nominata dall’Assemblea nel caso specifico, ad un vero e proprio giurì. Il che vuol dire che il giurì di per sé ha due caratteri: il carattere della collegialità ed il carattere di riservatezza che si impone a tutti, nel senso che non si possa evadere da quelli, che sono gli stretti confini della natura e della portata di un giurì di onore.
Ora, o signori, se v’è una collegialità, vi deve essere anche una decisione, la quale, presa all’unanimità o a maggioranza, porta con sé la qualità di giudici in coloro che deliberano sull’oggetto deferito alla Commissione.
Sarebbe strano che dei giudici, dopo aver preso parte ad un giudizio collegiale, successivamente durante una discussione qualsiasi, magari in un giudizio di appello o davanti allo stesso tribunale, mentre il presidente dà conto della sentenza, venissero su a dire: noi vogliamo far sapere come abbiamo votato o vogliamo far sapere che dissentiamo per queste ragioni dalla decisione collegiale.
Sarebbe una mostruosità giuridica e sarebbe poi, dico di più, una mostruosità morale. (Vivi applausi al centro ed a destra).
Vi è un precedente, che è l’ultimo e notevolmente dibattuto nella legislatura 25a; a quel dibattito ebbi, per i miei anni, opportunità di assistere. Si trattava dell’inchiesta sul caso dell’onorevole Vacirca. Anche in quel caso fu fatto appello all’articolo 80-bis del Regolamento e si ebbe una relazione di un magistrato, di un magistrato altissimo, l’onorevole Marracino. Sorse allora la stessa questione davanti alla Camera, letta la relazione dall’onorevole Marracino, come, mi pare, si vorrebbe fare ora da parte di coloro che hanno chiesto di parlare. E la Camera allora affermò nettamente, per bocca del Presidente della Commissione, onorevole Tedesco, che la Camera stessa aveva una sola facoltà, quella di prendere o non prendere atto delle conclusioni della Commissione. Il resto viene abbandonato al segreto della collegialità.
Perché, in sostanza, o signori, si avrebbe un ripercuotersi di diversivi, i quali non sono da ammettersi in una questione come questa, la quale è stata esaminata con tutta serenità da una Commissione presieduta da un uomo come l’onorevole Gasparotto; e si darebbe a credere che si voglia fare un dibattito su una questione nella quale soltanto ci affidano e il concetto di competenza, riconosciuto alla Commissione, e, in secondo luogo, la natura tutta riservata e collegiale del deliberato preso. Il discutere, o signori, sarebbe un’onta che noi faremmo al galantomismo dei componenti della Commissione e alla solidarietà ed al rispetto che dobbiamo avere verso di loro. (Vivi applausi al centro e a destra). Mi oppongo pertanto a qualsiasi proposta che esca dai termini della mozione d’ordine da me richiamata.
FOA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su che cosa?
FOA. Sulla mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Sta bene. Faccio però presente che per il richiamo al Regolamento (così interpreto le dichiarazioni dell’onorevole Bertini) possono parlare soltanto un oratore contro e uno a favore. Vorrei che l’onorevole Bertini precisasse, per la chiarezza. Egli ha parlato di discussione. Vorrei che egli precisasse se intende come discussione la lettura di una relazione di minoranza. Infatti, onorevole Bertini, nel precedente da lei invocato – e che è perfettamente corrispondente alla realtà – la Camera si trovò di fronte a una relazione di unanimità della Commissione; da parte di deputati che non facevano parte della Commissione si richiese la possibilità di discutere, ed è su questa richiesta che la Camera deliberò in senso negativo.
Il problema, ora, si presenta in modo diverso, perché la Commissione non è stata unanime e sono state presentate due relazioni: una di maggioranza e una di minoranza. Prego pertanto l’onorevole Bertini di voler precisare i termini della sua pregiudiziale.
BERTINI. La mia pregiudiziale è nel senso che, trattandosi di un giudizio – secondo la funzione della Commissione nominata dall’onorevole Presidente – collegiale, per il significato, da interpretarsi restrittivamente, dell’articolo 80-bis, sulla relazione della Commissione non può offrirsi alla Camera altra soluzione che questa: prendere atto o meno delle conclusioni della Commissione.
CALAMANDREI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A favore o contro la tesi dell’onorevole Bertini?
CALAMANDREI. Contro.
PRESIDENTE. Occorre che si metta d’accordo con l’onorevole Foa.
FOA. Rinunzio a parlare, a favore dell’onorevole Calamandrei.
PRESIDENTE. L’onorevole Calamandrei ha facoltà di parlare.
CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, sono d’accordo con l’onorevole Bertini nel ritenere che, di fronte al risultato di una Commissione d’inchiesta comunicato alla Camera, la Camera non possa far altro che prenderne atto o non prenderne atto. Ma qui, se ho ben capito, la questione è un’altra.
Si tratta di vedere se, prima di decidere se prender atto o meno delle conclusioni della Commissione, l’Assemblea abbia non solo il diritto, ma il dovere di essere informata pienamente delle resultanze delle indagini affidate alla Commissione, di conoscere cioè non soltanto la opinione della maggioranza della Commissione, ma anche le opinioni della minoranza, consacrate in un’apposita e separata relazione.
Ritengo che questo diritto e dovere dell’Assemblea, di essere informata appieno, non sia affatto in contrasto con la lettera e con lo spirito dell’articolo 80-bis. Evidentemente, se i deputati hanno il potere di non prender atto dei risultati della relazione della Commissione, hanno anche il diritto e il dovere di conoscere le ragioni che possono spingerli a non prenderne atto. (Commenti al centro).
Ma mi pare che la questione abbia, oltre che un aspetto giuridico, anche un aspetto politico e, direi…
BETTIOL. Non ha un aspetto politico!
CALAMANDREI. …un aspetto morale. Come è possibile che di fronte ad accuse gravi, come quelle che sono state lanciate contro un nostro collega, noi possiamo in coscienza prendere una decisione e dare un voto pro o contro questo collega, pro o contro i colleghi che lo hanno accusato, quando si sappia che esistono notizie e considerazioni tenute segrete, che l’Assemblea non conosce, e che hanno persuaso ad andare in opinione diversa da quella della maggioranza di colleghi egualmente rispettabili, egualmente insospettabili come imparziali inquirenti, quali sono i colleghi della Commissione rimasti in minoranza?
Il collega Bertini ha detto che è inconcepibile che la risposta di un collegio giudiziario possa lasciare apparire in pubblico l’opinione della minoranza. Devo ricordare all’onorevole Bertini che le varie legislazioni processuali svizzere, tanto penali quanto civili, consentono che nei collegi giudiziari, quando vi sono componenti che dissentono dal parere della maggioranza, questi facciano un voto di minoranza che viene pubblicato insieme con la sentenza. Anche nella procedura giudiziaria l’idea che l’opinione dei dissenzienti sia manifestata pubblicamente non è un’assurdità.
BERTINI. La incaricheremo di fare un nuovo Codice di procedura civile, come quello che ha già fatto. Ella ha contribuito a fare quel bel Codice di procedura civile che abbiamo oggi!
CALAMANDREI. Onorevole Bertini, parlo dei codici svizzeri, e non credo che ella possa ritenermi responsabile della legislazione svizzera. Stia bene attento a quel che dico.
BERTINI. Parlo di quello italiano e non di quello svizzero.
CALAMANDREI. Qui noi non ci troviamo… (Interruzione del deputato Bertini).
Onorevole Bertini, vedo che lei continua a parlare di me e mi addita ai suoi compagni. Se ha qualche cosa da dirmi quando si esce me lo dica ed io le risponderò; ma eviti di introdurre qui argomenti che non hanno senso! (Commenti al centro).
PRESIDENTE. Prosegua, onorevole Calamandrei.
CALAMANDREI. Stavo dicendo che anche se non ci fossero nelle legislazioni esempi di voti di minoranza ai quali si dà pubblicità anche nei giudizi ordinari, qui bisogna ricordarci che non ci troviamo di fronte al responso di un organo giudicante. La relazione della Commissione è soltanto la relazione di un organo istruttorio; sui dati istruttori che la Commissione ci fornisce è l’Assemblea che deve deliberare e decidere. L’efficacia deliberante, giuridica e politica, siamo noi che dobbiamo conferirla a questi materiali istruttori che ci vengono forniti. Ed allora, se ci vengono forniti materiali istruttori, è giusto, è opportuno, è necessario che noi conosciamo, per la nostra coscienza e nell’interesse stesso dell’inquisito, il parere della minoranza, cioè una parte di quei dati istruttori sui quali noi dobbiamo avere un’opinione completa. È lo stesso inquisito che non può desiderare che noi decidiamo conoscendo soltanto una parte della verità. (Commenti al centro).
CIFALDI. Chiedo di parlare, in favore della pregiudiziale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CIFALDI. Onorevoli colleghi, credo che non possiamo non tener conto della natura del giudizio sul caso Chieffi, che è il giudizio di una Commissione d’inchiesta adottato con una decisione collegiale. Ed io ritengo che, trattandosi di una decisione collegiale, non è possibile poter guardare in che modo si è giunti alla decisione finale, cioè non è possibile voler chiedere di nuovo la ricostruzione dei vari apprezzamenti e delle varie valutazioni per arrivare a questo unicum che rappresenta la decisione collegiale.
La decisione emessa dalla Commissione di inchiesta non ha potuto non tener conto delle ragioni che i colleghi con opinione diversa da quella della maggioranza espressero appunto in sede di Commissione; e vorrei dire all’onorevole ed illustre maestro Calamandrei che di queste ragioni è stato tenuto conto indubbiamente nella motivazione della decisione. Come egli sa, da maestro, tutte le sentenze, quando vengono espresse nella loro parte motivata, contengono argomenti a favore della tesi prevalente accolta dal collegio nella sua decisione finale, e contengono anche le ragioni in contrario ma che sono contradette, vittoriosamente contradette, dalla decisione terminale. Sicché l’Assemblea conosce non solo le ragioni che hanno indotto la Commissione a giungere alla conclusione favorevole all’onorevole Chieffi ma anche quelle che sono state affacciate in contrario. Così noi abbiamo potuto apprendere, ad esempio, da quanto l’onorevole Gasparotto ci ha detto in merito, il viaggio fatto dall’onorevole Chieffi, mi pare, a Parma, in compagnia di un maresciallo delle «S.S.», ciò che poteva farlo figurare come un collaborazionista (Interruzioni all’estrema sinistra), mentre è poi risultato che l’onorevole Chieffi si valse di quella compagnia per poter giungere a Parma ed espletarvi un incarico per la lotta clandestina.
Essendo pertanto la decisione a carattere collegiale, non è consentito ai componenti del collegio i quali abbiano dissentito dalle conclusioni della maggioranza di voler ripetere il dibattito in quest’Aula. Della decisione collegiale l’Assemblea deve prendere atto, senza che sia possibile per essa riprendere la discussione di merito.
PRESIDENTE. Sul richiamo al Regolamento dell’onorevole Bertini, il quale sostiene che, per l’articolo 80-bis, udita la relazione di maggioranza letta dall’onorevole Gasparotto, l’Assemblea non possa che limitarsi a prenderne atto senza udire ulteriori interventi, sia di altri commissari come di estranei alla Commissione, hanno parlato, a tenore dell’articolo 85 del Regolamento, un deputato a favore e uno contro.
Devo ora porre in votazione il richiamo al Regolamento.
LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto (Proteste al centro – Commenti prolungati).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio! Ad ogni proposta vi sono sempre almeno cento deputati che ritengono, vociando, di esprimere il loro avviso. Quale libertà ed autorità lasciano in tal modo alla Presidenza?
Onorevole Lussu, in questa sede non sono ammesse dichiarazioni di voto, perché il Regolamento fissa con precisione il numero di coloro che possono parlare e la dichiarazione di voto è un intervento.
LUSSU. È un’altra cosa!
PRESIDENTE. È la stessa, precisa cosa.
Una voce al centro. E poi, l’onorevole Lussu non può votare! (Commenti).
LUSSU. Onorevole Presidente! Abbiamo sempre parlato per dichiarazioni di voto! La prego di leggermi il testo del Regolamento che dice questo. (Commenti al centro). Durante tutte le sedute abbiamo sempre parlato per dichiarazioni di voto.
ALDISIO. È una questione di sensibilità morale, onorevole Lussu. (Commenti).
PRESIDENTE. Onorevole Aldisio, la prego!
Onorevole Lussu, l’articolo 88 dice:
«Chiusa la discussione generale, ai Ministri è data facoltà di parlare per semplici dichiarazioni a nome del Governo e ai deputati per una pura e succinta spiegazione del proprio voto».
Noi, salvo errore, non ci siamo trovati a fare una discussione generale: ci siamo trovati di fronte a un richiamo al Regolamento, per il quale il Regolamento stesso fissa con precisione all’articolo 85 che possono parlare un deputato a favore e uno contro.
Non si tratta di una discussione generale. E si stabilisce anche, per la maggior precisione, che la votazione avvenga per alzata e seduta.
Tutto è previsto e regolato. E pertanto procediamo a norma dell’articolo 85.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Per che cosa? Vuole fare anche lei un richiamo al Regolamento?
LUSSU. Sì.
PRESIDENTE. Parli, onorevole Lussu!
LUSSU. L’articolo 85 del Regolamento parla esclusivamente del diritto a parlare prima della votazione. Per togliere a un deputato il diritto di specificare le ragioni del proprio voto è necessaria una esplicita norma di Regolamento: e una siffatta norma non v’è; il Regolamento dice che possono prendere la parola due deputati per discutere a fondo; ma non vieta le semplici dichiarazioni di voto. Mai si è impedito a un deputato di esprimere succintamente il suo voto. Non c’è nessun Regolamento né qui, né al Senato, né in Inghilterra, né in Francia che stabilisca questo! (Commenti al centro e a destra).
PRESIDENTE. Onorevole Lussu, il Regolamento specifica quando è ammesso il diritto di fare la dichiarazione di voto: dopo di che non è evidentemente più necessario dire quando questo diritto non sussiste, perché è chiaro che, in tutti i casi in cui non è ammessa, la dichiarazione di voto è impedita. E poiché il Regolamento parla di dichiarazione di voto dopo una discussione generale, è evidente che in tutti gli altri casi non è ammessa.
Poiché comunque, onorevole Lussu, lei ha fatto appello al Regolamento, l’appello al Regolamento le dà diritto che la questione sia risolta dall’Assemblea, per alzata e seduta.
Devo porre pertanto in votazione il richiamo al Regolamento fatto dall’onorevole Lussu: se prima della votazione sul precedente richiamo al Regolamento, quello dell’onorevole Bertini, si possono fare dichiarazioni di voto.
LUSSU. Signor Presidente, ella sottopone il mio diritto all’arbitrio di una maggioranza politica! Non può farlo! (Rumori al centro e a destra).
PRESIDENTE. Il diritto di tutti, onorevole Lussu, non soltanto il suo; e in un’Assemblea, in ultima istanza, è sempre la maggioranza che decide.
LUSSU. Signor Presidente, preferisco rimettermi a lei, piuttosto che sottostare alla maggioranza.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Lussu: la prego allora di accettare per buona l’interpretazione che io le ho data ora del Regolamento, non permettendole di fare la sua dichiarazione di voto. Ciò potrà essere spiacevole per lei; un’altra volta – i nostri lavori riprenderanno a gennaio – potrà essere spiacevole per qualcun altro.
Devo pertanto porre in votazione il richiamo al Regolamento dell’onorevole Bertini.
GASPAROTTO, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GASPAROTTO, Presidente della Commissione. I componenti la Commissione si astengono dal voto.
PRESIDENTE. Sta bene.
Pongo in votazione il richiamo al Regolamento dell’onorevole Bertini.
(Dopo prova e controprova, è approvato).
Do atto all’onorevole Gasparotto della presentazione all’Assemblea della relazione della Commissione nominata a norma dell’articolo 80-bis del Regolamento per indagare sulla validità delle accuse mosse contro l’onorevole Chieffi. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MATTEI TERESA, Segretaria, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se sono stati identificati e denunciati gli autori degli atti di violenza perpetrati a Canicattì (Agrigento), a Gela e a Mazzarino (Caltanissetta).
«A Canicattì una colonna di scioperanti avrebbe assaltato un caffè il cui proprietario non intendeva soggiacere all’imposizione di scioperare, ferendo un tenente dei carabinieri, tre militi ed alcuni cittadini.
«A Gela sarebbero state fatte esplodere alcune bombe a mano.
«A Mazzarino gruppi di attivisti avrebbero ostruito con grossi massi la strada per interrompere le comunicazioni tra il capoluogo e il paese, avrebbero reso inservibile un autocarro sul quale viaggiavano dei carabinieri; avrebbero ferito un maresciallo dei carabinieri, un milite, un agente di pubblica sicurezza e cinque civili; avrebbero assaltato il circolo dei civili occupandolo; avrebbero saccheggiato la sede dell’Uomo Qualunque; avrebbero lanciato alcune bombe a mano.
«Si chiede di conoscere quali provvedimenti intenda adottare il Governo per mettere fine a questo regime di provocazione e di attentato alla libertà e alla incolumità dei cittadini che le forze del disordine tentano di instaurare in Sicilia.
«Castiglia».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro di grazia e giustizia, per considerare se di fronte al dilagare nella stampa di accuse e diffamazioni a danno dei cittadini, che si risolvono in processi che vengono definiti con la condanna degli imputati a pene inadeguate all’entità del reato, non credano opportuno di promuovere la modifica dell’articolo 595 del Codice penale, ritornando alle sane tradizioni del Codice del 1889; e ciò nell’interesse stesso della stampa, che si manterrà tanto più libera quanto consapevole della propria responsabilità.
«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se – in relazione agli affidamenti dati in risposta a una recente interrogazione in proposito presentata dall’onorevole Canevari – siano state superate le difficoltà opposte da alcuni Ministeri per la emanazione dei provvedimenti atti a consentire alle cooperative, agli Enti mutualistici, agli Enti locali, alle organizzazioni, ecc., la possibilità di ricuperare i beni di cui furono spogliati dal regime fascista. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Segala, Persico».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se intenda promuovere un provvedimento legislativo, in virtù del quale coloro, che – essendo stati dichiarati maturi in un concorso a professore universitario di ruolo entro l’anno 1940 – furono richiamati o trattenuti alle armi e rimasero in qualità di militari in zona di operazioni od in prigionia di guerra o in deportazione per un periodo di tempo, anche non consecutivo, non inferiore nel complesso a quattro anni, possano essere nominati professori ordinari di Università in soprannumero, quando le Commissioni giudicatrici dei concorsi universitari della materia ne facciano formale proposta ad unanimità e la proposta sia approvata dal Consiglio Superiore dell’istruzione. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Bettiol, Colitto, Firrao, Di Fausto, Condorelli, Crispo, Fusco».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 15.15.