Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDI

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Mozione della Camera dei deputati della Repubblica Argentina:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente .

Lucifero

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Targetti

Benvenuti

Tosato

Rodi

Gullo Fausto

Codacci Pisanelli

Nobile

Uberti

Mortati

Arcangeli

Persico

Colitto

Carpano Maglioli

Lami Starnuti

Preti

Perassi

Fuschini

Fabbri

Bozzi

Bertone

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in relazione al mandato conferitomi, ho chiamato a far parte della Commissione speciale per l’esame del disegno di legge sulla soppressione del Senato gli onorevoli Bonomi Ivanoe, Bozzi, Cifaldi, Clerici, Colitto, Costa, Giolitti, Gullo Fausto, Mortati, Nasi, Perassi, Rodinò Ugo, Rossi Paolo, Tosato, Valiani.

La Commissione è convocata per domani, giovedì, alle ore 15, nella sala della Commissione per i Trattati internazionali, per procedere alla propria costituzione e iniziare l’esame del provvedimento.

Mozione della Camera dei deputati della Repubblica Argentina.

PRESIDENTE. Comunico, che, in seguito al messaggio da me rivolto a nome dell’Assemblea Costituente, la Camera dei deputati della Repubblica Argentina ha votato all’unanimità la seguente mozione, alla quale avevano aderito tutti i partiti:

«La Camera dei deputati della Repubblica Argentina vedrebbe con soddisfazione la revisione delle clausole del Trattato col quale le Nazioni Unite hanno concluso la pace con la Repubblica Italiana e così pure che detta Repubblica sia ammessa quanto prima possibile nella Società delle Nazioni unite». (Vivi, generali applausi).

Questa risoluzione acquista il suo particolare significato per il fatto che essa è stata votata all’unanimità dalla Camera dei deputati della Repubblica Argentina, nella quale esiste tuttavia una forte opposizione contro il Governo ma che, nel caso specifico, ha fuso i suoi voti e le sue affermazioni con quelli delle altre forze rappresentate in quella Camera. Credo di interpretare il pensiero di tutti i colleghi esprimendo la nostra viva sodisfazione per l’accoglimento che il nostro messaggio ha ricevuto da parte della Camera rappresentativa della Repubblica Argentina. (Vivi generali applausi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Stamane abbiamo approvato il primo comma dell’articolo 69 nel testo del progetto. L’Assemblea ha poi respinto l’emendamento aggiuntivo presentato dagli onorevoli Grieco e Laconi.

Passiamo ora alla votazione del secondo comma, nel nuovo testo proposto dalla Commissione:

«Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza».

(È approvato).

Passiamo alla votazione del terzo comma, così come è risultato nella elaborazione alla quale stamattina ha proceduto il Comitato di redazione, in base alle proposte di emendamento che ieri sono state svolte:

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione dei disegni di legge siano deferiti a Commissioni anche permanenti, costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari. Sarà sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione di opporsi a tale procedimento o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera. Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Chiedo scusa. Non ho il testo, ma se ho ben compreso dalla lettura che lei ne ha data, onorevole Presidente, il progetto di legge potrebbe essere approvato da queste Commissioni, emanazione della Camera, a meno che non fossero di opposto parere un decimo dei membri dell’Assemblea o un quinto dei membri della Commissione; dopo di che è detto che in tal caso la legge potrebbe andare all’approvazione dalla Camera senza discussione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è così.

LUCIFERO. Vorrei far osservare che vi sono due punti delicati: prima di tutto, il fatto nuovo delle Commissioni che possono deliberare, e questo, del resto, è stato già trattato; ma l’altro punto è questo: un certo numero di membri della Camera o della Commissione possono richiedere che l’approvazione della legge vada alla Camera, invece di essere deliberata in sede di Commissione, nel qual caso – dice la disposizione statutaria proposta – si tratterebbe di approvazione senza discussione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È detto «o».

LUCIFERO. Non è chiaro. Il guaio è che noi lavoriamo su un testo, che non abbiamo sott’occhio, cioè lavoriamo ad orecchio.

Io ho compreso questo, anche dalla seconda lettura fatta dal Presidente: che, a richiesta di una minoranza qualificata, l’approvazione della legge va alle Camere. Ora, se va alle Camere, la legge va per essere discussa. Questo non mi pare chiaro nel testo. Se non è chiaro nel testo, tengo di più a sottolineare il fatto, perché è evidente che, quando una minoranza qualificata chiede che una legge venga sottoposta alla Camera, lo chiede perché venga discussa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il testo è stato concordato stamane. Il contenuto, che potrà essere chiarito nella forma, è che, quando in virtù del regolamento un disegno di legge dovrebbe andare alle Commissioni per l’esame e l’approvazione, allora o il Governo o un decimo della Camera o un quinto della Commissione possono chiedere: o che il disegno di legge vada tanto all’esame quanto all’approvazione della Camera o soltanto all’approvazione, ma senza discussione, della Camera stessa.

La minoranza qualificata può scegliere una delle due vie.

Quindi, è perfettamente garantito il diritto che non solo l’approvazione, ma anche l’esame vada alle Camere.

Riconosco che la forma potrebbe essere chiarita, nell’ultimo testo che i presentatori di emendamenti hanno concordato fra loro, rapidamente mentre io presiedevo la Commissione dei Settantacinque. Si vuol dire che è diritto del Governo o di un decimo della Camera o di un quinto del gruppo di chiedere che l’esame e l’approvazione siano attribuiti alla Camera o che a questa sia attribuita soltanto l’approvazione, senza discussione.

Questo è il concetto.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Questo concetto non è chiaro, mi lascia ancora perplesso.

Sono due tempi diversi; perché può accadere questo: o vi è la richiesta preventiva che si discuta alla Camera; ed allora si discute e si approva; oppure, nelle more, può succedere che il disegno di legge vada senza nessuna opposizione, alla Commissione competente; durante la discussione alla Commissione (ed è proprio il caso soprattutto dei membri della Commissione) o una minoranza qualificata dei membri della Commissione o una minoranza qualificata dei membri della Camera chiede che la competenza sia devoluta alla Camera. Allora, io non capisco questo voto senza discussione.

La prima ipotesi si riferisce ad un caso diverso, cioè che il Governo o questo certo numero di deputati non voglia adire quella tale procedura. Abbiamo due possibilità: quella di adire la procedura e quella di non adire quella procedura speciale. Così, almeno, risulta dalla prima alternativa. La seconda alternativa non specifica molto bene che cosa voglia; non è chiaro, perché può succedere che si deliberi di adire la procedura della Commissione speciale e successivamente, per ragioni sopravvenute, si voglia tornare alla Camera; ed allora si torna alla Camera evidentemente per la discussione.

Chiedo semplicemente che si adotti un testo, per il quale non possa succedere quello che tante volte succede: cioè che ci si abbandoni a certe sottilizzazioni bizantine su testi poco chiari, le quali tendono a falsare la volontà del legislatore. Perciò mi pare che non si possa acconsentire a questa formula.

PRESIDENTE. Ritengo che comunque questa redazione dovrebbe essere modificata, se in realtà essa, come ha riconosciuto l’onorevole Ruini, può dar luogo ad equivoci nell’interpretazione nell’ultima parte del testo.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi associo alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Lucifero e ritengo necessaria una maggiore chiarezza nel tenore della disposizione. Vorrei fare un’obiezione: quando si dice «senza discussione», si intende dire anche senza dichiarazioni di voto? È una cosa molto diversa, si capisce. Deve essere una scena muta o deve essere permesso di fare dichiarazioni di voto, cioè spiegare perché si vota sì o perché si vota no? Inoltre questa disposizione importa evidentemente una delega di poteri alle Commissioni. Io mi chiedo: questa delega si può fare per qualsiasi disegno di legge, per esempio, anche per il bilancio?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, perché c’è l’ultimo comma il quale resta in piedi.

TARGETTI. Allora restiamo d’accordo che conserviamo l’ultimo comma. Bisogna dirlo.

PRESIDENTE. Vediamo se l’interpretazione data dall’onorevole Lucifero è possibile, considerato il testo proposto, che rileggo: «Sarà sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione di opporsi a tale procedimento (cioè al procedimento per cui l’esame e l’approvazione sia deferita alle Commissioni) o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera». Mi pare che, stando a questo testo, l’interpretazione data dall’onorevole Lucifero sia giustificata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non avevo visto il testo che, con un po’ di buona volontà, si può chiarire e credo che il dubbio dell’onorevole Lucifero si possa superare, sostituendo alla parola «opporsi» le altre parole che ho testé accennate. L’«opposta richiesta» può farsi, sia prima che il progetto vada alla Commissione, sia nel corso dei suoi lavori. Potrebbe intendersi che ciò sia implicito. Se si crede opportuno dirlo, mi impegno pel Comitato, onorevole Lucifero, a stendere in tal senso l’aggiunta all’articolo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Sono perfettamente d’accordo con lei, onorevole Ruini; quello che non è d’accordo con noi due è questo testo. Bisogna chiarirlo. Abbiamo già avuto eleganti accademie in materia regolamentare e potrebbe darsi che avessimo eleganti accademie in materia costituzionale, e potremmo sentir dire che, visto che un progetto di legge è stato devoluto alla Commissione speciale, la Camera se ne è spogliata. Io non sono affatto contrario al concetto di un decentramento legislativo, che ritengo indispensabile e che per primo ho sostenuto in quest’Aula, ma voglio che esso sia regolato in modo da garantire il funzionamento delle Assemblee ed i diritti delle minoranze.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della. Commissione per la Costituzione. Io credo che il testo si può intendere con una logica molto semplice. Si può aggiungere: «prima o durante i lavori della Commissione»; sarebbe questa una frase di indiscutibile chiarezza.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Volevo chiedere questo al Presidente della Commissione: a me sembra che sarebbe indispensabile stabilire un termine preciso e perentorio, sino alla scadenza del quale può esser chiesta la discussione in Assemblea. Ed a me sembra che tale termine dovrebbe scadere successivamente al deposito del disegno di legge approvato dalla Commissione. Infatti è soltanto dopo che la Commissione avrà discusso ed approvato il disegno di legge, è da quel momento in poi che potrà interessare di richiamare su di esso l’esame dell’Assemblea, perché essa abbia a decidere pro o contro.

Chiedo che il testo sia chiarito in questo senso.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Io ieri sera avevo presentato un emendamento che era sostitutivo dell’intero articolo 69.

Per quanto mi riguarda personalmente, io debbo dichiarare che non rinuncio all’emendamento presentato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dichiarare all’onorevole Benvenuti che quello che egli chiede è tema di Regolamento. Noi siamo arrivati a mettere già troppe questioni di dettaglio nella Carta costituzionale, e l’abbiamo fatto per chiarire tutti i dubbi. Ma si dovrebbe trattare soltanto di principî generali. La disposizione che ora si invoca è qualcosa di così particolare che deve essere messo, indubbiamente, nel Regolamento e non nella Costituzione.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Stando al testo Lucifero, soltanto durante la discussione si può adire la procedura eccezionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche «prima».

BENVENUTI. Quindi non successivamente all’approvazione da parte della Commissione. Qui sta il punto del netto dissenso; che è sostanziale, non regolamentare.

Affermo cioè che proprio sul testo definitivo deve sempre poter pronunciarsi il potere sovrano dell’Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io vorrei pregare l’onorevole Benvenuti di non insistere, se no dovrei chiedere all’Assemblea di respingere la sua proposta, che potrà invece essere stabilita nel Regolamento.

Prendo atto di quanto ha detto l’onorevole Tosato, ma egli deve tener conto che anche gli amici della sua parte si sono impegnati a votare il nuovo testo, e prego l’onorevole Dominedò, che gli è vicino, di volerglielo dire.

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, la sua dichiarazione giunge un po’ tardi, perché è chiaro che, dopo che abbiamo votato il secondo comma, così come risulta dal testo originale della Commissione, il suo emendamento non ha più possibilità di essere messo ai voti. Noi abbiamo votato la seguente disposizione:

«Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza».

La sua proposta è la seguente: «Il Regolamento di ciascuna Camera disciplina i procedimenti ordinari e abbreviati per l’esame e l’approvazione dei disegni di legge».

Vi si parla, dunque, di procedimenti abbreviati come nel comma già approvato si parla delle disposizioni delle quali sia dichiarata l’urgenza.

TOSATO. Volevo soltanto dire che non avevo rinunciato.

PRESIDENTE. Sta bene.

Comunico che l’onorevole Lucifero, ha proposto la seguente dizione della seconda parte del comma in esame, in quanto la prima parte non ha dato luogo a discussioni. La dizione è accettata, nella sostanza, dalla Commissione, salvo eventuali modificazioni di forma:

«Sarà sempre consentito al Governo o ad un decimo dei membri della Camera o a un quinto dei membri della Commissione, in qualunque momento fino all’approvazione definitiva del testo di legge, di richiedere che si ritorni al normale procedi mento o di richiedere che il voto finale sull disegno sia dato senza discussione della Camera».

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Credo che sia superflua l’ultima parte del comma, perché l’Assemblea stessa dovrà decidere se deve ancora discutere sulla legge o se deve approvare senza discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Rodi, nel testo proposto si vuole affermare che l’Assemblea in quel momento non possa più decidere di seguire una via o l’altra, ma debba votare senza discussione.

RODI. Chiedo che il comma sia votato per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la prima parte:

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione di leggi siano deferiti a Commissioni anche permanenti, costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte nel testo proposto dall’onorevole Lucifero così divisa:

«Sarà sempre consentito al Governo o ad un decimo dei membri della Camera o a un quinto dei membri della Commissione, in qualunque momento fino all’approvazione definitiva del testo di legge, di richiedere che si ritorni al procedimento normale».

(È approvata).

Passiamo all’ultima espressione della seconda parte:

«o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io voterò a favore del mantenimento di questa espressione, perché si riferisce a un caso specifico: cioè al caso in cui la Commissione, pur essendo arrivata fino all’ultima elaborazione del progetto di legge, ritenga che esso abbia importanza tale da dovergli dare il crisma dell’Assemblea. Una maggioranza uguale potrà sempre chiedere la discussione perché il testo definitivo, in base a quanto abbiamo deliberato nella parte precedente, non è stato fatto. Quindi sarà bene mantenerla perché può essere una procedura intermedia fra la rielaborazione ed una accettazione più vasta da parte dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Sta bene. La pongo in votazione.

(È approvata).

Pongo in votazione l’ultima parte del terzo comma:

«Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni».

(È approvata).

Passiamo all’ultimo comma dell’articolo 69 nel testo dell’emendamento Perassi, accettato dalla Commissione:

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei pregare di aggiungere le leggi elettorali; perché le leggi elettorali, anche nell’ultima legge del 1946, non sono considerate leggi costituzionali. Secondo me, lo sono; ma questa è una questione dottrinaria. Visto che non sono considerate leggi costituzionali da tutti, non rientrerebbero in nessuna di queste categorie.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accettiamo.

PRESIDENTE. Allora si aggiunge: «…in materia costituzionale ed elettorale».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Vorrei sapere per quale ragione si dice: «materia costituzionale». Non intendo il significato di questo termine, dato anche che l’elaborazione delle modifiche alla Costituzione deve seguire una procedura speciale.

PRESIDENTE. Forse, ci si vuole riferire a certe leggi previste dallo stesso testo della Costituzione, il quale stabilisce appunto che esse dovranno avere un valore costituzionale. Non le elaborerà certamente l’Assemblea Costituente; ma quelle leggi, che le future Assemblee legislative approveranno dietro mandato dell’Assemblea Costituente, sono leggi costituzionali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Gullo, per la questione delle cosiddette leggi costituzionali, abbiamo detto più volte che si sarebbe veduta e decisa alla fine, nel Titolo sulle garanzie costituzionali. Nel nostro progetto contempliamo più casi, ad esempio, l’ordinamento giudiziario: in cui la legge regolatrice deve essere votata con un certo quorum, e ciò perché il tema ha importanza costituzionale. Si chiamano «leggi costituzionali» quelle che, pur non essendo parte della Costituzione, attengono a particolari materie, di una tale importanza, che devono essere votate con certe garanzie costituzionali. Nella famosa scala di tutte le norme a cui abbiamo più volte accennato nel corso dei nostri lavori, vi è per prima la Costituzione, poi le leggi costituzionali, poi le leggi ordinarie e così via. Si tratterà, ripeto, a suo luogo di definire meglio cos’è legge costituzionale.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Desidererei ulteriormente chiarire questo punto. Vorrei, cioè, far rilevare che, oltre a queste leggi di natura costituzionale cui si è ora accennato, ve ne sono altre, quelle che concernono eventuali modifiche della Costituzione, giacché noi abbiamo previsto, attraverso un procedimento particolare, la possibilità di modifiche alla Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene, anche quelle.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei che venisse precisata questa delegazione di poteri legislativi. Ho voluto interpellare al riguardo anche autorevoli membri della Commissione ed essi pure si sono mostrati del mio avviso. È bensì vero che c’è l’articolo 74; ma io penso che un richiamo ad esso sia necessario, se non nell’articolo, almeno nella discussione.

E questo perché noi abbiamo ripreso una vecchia formula classica della delegazione dei poteri, come quella, per esempio, usata per la compilazione dei Codici; ma nel frattempo è venuta la nuova pratica del potere legislativo al Governo, instaurata con la legge del 1944, cosicché il termine ha assunto un nuovo significato e una nuova prassi.

Ritengo quindi che un richiamo in questa sede sia necessario, perché queste deleghe di poteri legislativi sdrucciolano facilmente nei pieni poteri e si sa poi dove si va a finire.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere al riguardo il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non esageriamo. Le citazioni ed i richiami di altri articoli e commi di articolo finirebbero con il rendere la Costituzione un po’ come un regolamento municipale. A me pare che basti la dichiarazione che queste deleghe di potere legislativo restano contenute nei limiti dell’articolo 74.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei domandare, per mia soddisfazione, se non sia il caso di aggiungere che non si può derogare dal procedimento ordinario anche per le materie di cui è aggetto l’articolo 75.

Nell’articolo 75 si parla di entrata in guerra, amnistia e indulto; ora, a me pare che anche per questi casi non si possa derogare dal procedimento ordinario.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a esprimere anche a questo riguardo il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Osservo innanzitutto all’onorevole Nobile che questa è materia dell’Assemblea Nazionale, al cui esame non siamo ancora pervenuti; osservo, in secondo luogo, che si tratta di leggi speciali che dovranno essere votate articolo per articolo. Posso quindi dare all’onorevole Nobile l’assicurazione desiderata.

UBERTI. E le leggi tributarie?

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuol rispondere per la Commissione anche a questa obiezione dell’onorevole Uberti?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Uberti, noi non abbiamo ammesso le leggi tributarie perché esse inferiscono in un campo così vasto, così complesso, che l’escludere per esse sempre la procedura delle Commissioni potrebbe portare a ritardi che invece conviene evitare.

Si vedrà, secondo la diversa importanza che le leggi tributarie possono rivestire, se esse andranno trattate in un modo o nell’altro. Vi sono infatti delle leggi tributarie che hanno un’importanza così piccola, minima, che il Regolamento può deferirle all’apposita Commissione, salva sempre la facoltà del Governo o di una piccola parte dei membri delle Camere di far riserbare anche queste leggi, caso per caso, alla Camera tutt’intera

Mi pare che con questo chiarimento possa essere tranquillo.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Propongo che almeno si sancisca il divieto di deroga per le leggi che impongono nuovi tributi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nuovi tributi? E quando si modificano in senso profondo e sostanziale vecchi tributi? Non può essere più importante che lo stabilire tributi nuovi?

PRESIDENTE. Mi pare che ci si dimentichi la possibilità lasciata aperta dal comma precedente, per la quale qualunque disegno di legge, su qualunque materia, può essere sottratto a questa procedura di carattere, direi, eccezionale, e rimesso nel ciclo della procedura ordinaria.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Una sola parola all’onorevole Tosato. Il Regolamento stabilirà i casi in cui le leggi tributarie dovranno essere sempre riservate alla Camera e i casi in cui potranno invece essere deferite alle Commissioni, salvo sempre, anche per tali ultimi casi, la facoltà di seguire la prima via.

Imposizioni tributarie e leggi tributarie sono concetti molto elastici; si vedrà in sede di Regolamento quale determinazione potrà farsi per questa distinzione.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Chiedo anzitutto che il comma si voti per divisione. A proposito poi della questione sollevata dall’onorevole Gullo, a me sembra che i chiarimenti dati dall’onorevole Ruini non siano troppo persuasivi. Perciò, per risolvere la questione nel modo migliore, ai fini dell’interpretazione della norma, io direi, invece di «disegni di legge in materia costituzionale» – che è molto equivoco – «disegni di legge per i quali è prescritta una maggioranza speciale».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, non è possibile.

MORTATI. La sua tesi non è esatta, onorevole Ruini, perché non può chiamarsi materia costituzionale quella per la cui disciplina occorre solo una maggioranza qualificata, e non la revisione costituzionale. Materia costituzionale significa quella per la quale il mutamento può avvenire con mutamento della Costituzione. Ad ogni modo, è una proposta.

PRESIDENTE. Lei la propone formalmente, come emendamento?

MORTATI. Sì, come emendamento. Oppure, la cosa migliore sarebbe sopprimere le parole «materia costituzionale», perché è ovvio che si tratti di materia non delegabile, in quanto segue una procedura speciale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne abbiamo parlato più volte, e l’onorevole Mortati sa che ci siamo sempre riservati di rivedere la questione in linea definitiva. Anzi, avevo pregato anche lui di studiarla. Ad ogni modo non possiamo stabilire il concetto della maggioranza speciale, della maggioranza qualificata, per il caso che egli propone.

PRESIDENTE. Sta bene. Procediamo alla votazione per divisione. La proposta soppressiva dell’onorevole Mortati si farà valere in tanto, in quanto si voterà contro questa formula.

Pongo in votazione la prima parte del comma:

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole: «ed elettorale».

(Sono approvate).

Passiamo alla votazione delle parole: «e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi».

LUCIFERO. Chiedo se si tratta di bilanci consuntivi soltanto o anche di quelli preventivi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’intitolazione dei disegni di legge sui bilanci preventivi è «Stato di previsione». Si parla genericamente di bilancio, ma bilancio significa tanto preventivo quanto consuntivo.

ARCANGELI. Mi dispiace che questo lo dica l’onorevole Ruini, ma non è così. Tecnicamente i bilanci sono di diversa natura.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole collega, si potrebbe benissimo mettere «bilanci» in forma sintetica, e sarebbe la cosa più semplice. Così avevo proposto io. Ma siccome in Commissione fu proposto di distinguere in qualche modo, si disse: bilanci e consuntivi. Non si può essere dubbio sostanziale. Volete mettere invece: «stato di previsione e conti consuntivi?». O metter soltanto «bilanci?»?

ARCANGELI. È molto più comprensivo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costruzione. Nella revisione finale si potranno veder meglio queste forme. Quello che importa, e che l’onorevole Lucifero teneva a rilevare, è che qui si intendono i bilanci nei due momenti della previsione e del consuntivo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole: «e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

(Sono approvate).

Do lettura dell’intero testo approvato (salvo coordinamento) dell’articolo 69:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo Regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo e con votazione finale.

«Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni anche permanenti costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari. Sarà sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione in qualunque momento fino all’approvazione definitiva del testo di legge di richiedere che si ritorni al normale procedimento o di richiedere che il voto finale sul disegno di legge sia dato senza discussione dalla Camera. Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

Passiamo all’articolo 70. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra, che deve pronunciarsi entro tre mesi dal giorno che li ha ricevuti. Il termine può essere variato per accordo delle Camere.

«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno. Se non si pronuncia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra, che deve pronunciarsi entro tre mesi dal giorno in cui li ha ricevuti, o nel termine diverso stabilito dalla Camera che ha approvato il disegno di legge.

«Il disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, sul quale il Senato non si sia pronunciato nel termine stabilito, è promulgato quale legge se la Camera dei deputati lo approvi una seconda volta.

«Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sia respinto o modificato dal Senato, è promulgato come legge se la Camera dei deputati lo approva nuovamente a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

«Quando la Camera dei deputati non si pronunci o rigetti o modifichi un disegno di legge approvato dal Senato e questo rinnovi la sua approvazione, il disegno è promulgato come legge nel testo approvato dal Senato, salvo che entro tre mesi la Camera dei deputati non deliberi nuovamente, a maggioranza assoluta dei suoi membri, nel qual caso il disegno è definitivamente respinto o viene promulgato nel testo approvato dalla Camera dei deputati».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PERSICO. Onorevoli colleghi, l’articolo 70 ha, secondo me, una portata di grande rilievo, perché è diretto a dirimere e a risolvere tutti quei conflitti che possono nascere fra i deliberati contrastanti delle due Camere; e, nel testo proposto dal progetto della Commissione dei settantacinque, interferisce in questa soluzione anche l’attività specifica del Presidente della Repubblica.

Ho creduto col mio emendamento di seguire un sistema totalmente diverso; e quindi richiamo molto brevemente l’attenzione dei colleghi sulla portata di questo emendamento sostitutivo.

Le parti dell’articolo 70 sono due. Gioverà esaminarle separatamente.

Sulla prima mi sono limitato ad un piccolo ritocco che ho ritenuto necessario per la chiarezza.

Dice il testo: «I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra, che deve pronunciarsi entro tre mesi dal giorno che li ha ricevuti». E fin qui siamo d’accordo.

Poi c’è un’aggiunta: «Il termine può essere variato per accordo delle Camere».

Ecco il punto che io ho creduto di modificare in questo senso: o nei tre mesi, o nel termine diverso stabilito dalla Camera che ha approvato il disegno di legge. Perché sarebbe strano che, per arrivare ad un termine più lungo dei tre mesi, si dovessero riunire le due Camere per mettersi d’accordo (e non so come si dovrebbe fare, se con due votazioni distinte sommando le votazioni, o riunendo l’Assemblea Nazionale).

Poiché la variazione di questo termine può essere di quattro, di cinque, di sei mesi, mi sembra più logico che il ramo del Parlamento che ha approvato il disegno di legge se, per la speciale complessità della materia, o per indagini che importino accertamenti statistici od economici, di situazioni locali e simili, per i quali sia necessario un maggior lasso di tempo, ritiene che i tre mesi non siano sufficienti perché l’altro ramo del Parlamento possa votare con completa cognizione di causa debba esso stesso stabilire quel termine diverso che ritenga necessario.

Non capisco come si possa complicare questa situazione pratica con una pronunzia che dovrebbero fare d’accordo le due Camere: o, ripeto, sommando i voti, o incomodando l’Assemblea Nazionale per tanto poca cosa.

Quindi mi sembra più logico dire: o tre mesi, o il termine diverso proposto dalla Camera che ha approvato il disegno di legge.

E su questo punto mi auguro che non ci sia discussione.

Più grave è la modifica alla seconda parlo dell’articolo 70, anche perché si tratta di una procedura molto complicata.

Io ho diviso questo secondo capoverso del progetto nel mio emendamento in tre capoversi distinti, contemplando tutte le ipotesi possibili. Invece, nel testo, riunendole tutte in un unico capoverso, si finisce per fare una certa confusione, per lo meno apparente, perché si dice:

«Quando una Camera non si pronunzia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra» – prima ipotesi «o quando lo rigetta» – seconda ipotesi – «il Presidente della Repubblica può» – quindi si tratta di una facoltà che egli potrebbe anche non esercitare – «chiedere che la Camera stessa» (cioè una delle due Camere, o la Camera dei Deputati o il Senato) «si pronunci o riesamini il disegno». Si pronunci, se non si è pronunziata; riesamini, se ha già esaminato.

Poi continua: «Se non si pronunzia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente» – quindi si fa il caso che quel dato ramo del Parlamento seguiti a non pronunziarsi, nonostante che il Capo dello Stato l’abbia invitato a pronunziarsi; oppure che confermi la sua precedente deliberazione – «il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

Il Presidente della Repubblica ha facoltà: è dunque una potestà, una facoltà che egli può anche non esercitare, e, se non l’esercita, evidentemente rimane tutto sospeso.

Basta questa semplice lettura per far comprendere la complicazione di questo meccanismo che io non vedo come praticamente possa funzionare. Intanto è tutto facoltativo: «può», «ha facoltà», ccc., ecc. Si fa intervenire come organo di formazione della legge il Presidente della Repubblica che ieri la maggioranza dei colleghi riteneva che fosse meglio lasciare fuori dagli organi legislativi.

L’onorevole Bozzi ha proposto che il Presidente della Repubblica divenga invece quello che gli inglesi dicono, la terza Camera»; ma a me sembra che la maggioranza dei colleghi, per quanto abbia approvato la sospensiva, che lascia quindi ancora aperta un’eventuale diversa decisione sulla questione, sia contraria all’emendamento Bozzi. Comunque, io ho sostenuto che il Presidente della Repubblica non deve essere uno degli organi che formano la legge. Deve essere l’organo che la promulga e che le dà il crisma dell’applicabilità.

Ma questa è una questione che non entra direttamente nella presente discussione. Però se approvassimo il testo dell’articolo 70, decideremmo senz’altro che il Presidente della Repubblica entra nella formazione delle leggi ed implicitamente approveremmo l’emendamento Bozzi. Quindi verremmo ad approvare oggi quello che ieri sembrava non volessimo approvare, e che all’ultimo momento abbiamo accantonato per meglio studiare la questione. Conseguentemente ho creduto opportuno sostituire al difficile meccanismo del progetto un meccanismo assai più semplice, che aderisce alla realtà e rende più facile la formazione delle leggi; se no, avremmo una quantità di leggi arenate, insabbiate. Ho creduto molto più semplice dividere i casi che si possono presentare in tre ipotesi, e quindi ho formulato tre capoversi:

Prima ipotesi. Un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, sul quale il Senato non si è pronunciato nel termine stabilito, cioè non ha voluto esercitare la sua facoltà di riesaminare la legge, è promulgato se la Camera dei deputati l’approva una seconda volta. Due volte la Camera dei deputati ha approvato, e quindi la legge è approvata senz’altro. In questa ipotesi noi avremmo sanato il conflitto latente fra Camera e Senato, «latente» perché non si è esplicato. Il Senato non ha usato la sua facoltà di riesame, ma la Camera approva la seconda volta e quindi si sostituisce al Senato. Invece di aversi una legge approvata dalla Camera e dal Senato, si avrà una legge approvata due volte dalla Camera.

Seconda ipotesi. Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati è respinto o modificato dal Senato (questi sono gli altri due casi), allora, senza incomodare il Presidente della Repubblica o altre autorità dello Stato, il disegno stesso è promulgato come legge se la Camera dei Deputati lo approva nuovamente a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Nel primo caso non c’è stata la pronuncia del Senato, e quindi basta che la Camera l’approvi una seconda volta; in questo secondo caso, quando il Senato ha respinto o ha modificato, bisogna che la Camera dei Deputati approvi a maggioranza assoluta, cioè con una maggioranza qualificata, anzi direi qualificatissima, perché avere la maggioranza assoluta dei deputati in una seduta della Camera è cosa molto difficile. Bisognerà convocarla con uno speciale avvertimento perché si possa avere la maggioranza assoluta. Se la Camera aveva approvato, il Senato aveva modificato o respinto, e la Camera non approva, è evidente che si convince che è meglio non dar corso al disegno di legge; e questo decade.

Terza ipotesi, ultima e più complicata: «Quando la Camera dei deputati non si pronunci o rigetti o modifichi un disegno di legge approvato dal Senato (quindi è il caso inverso di quelli prima esaminati) e questo rinnovi la sua approvazione, il disegno di legge è promulgato come legge nel testo approvato dal Senato, salvo che, entro tre mesi, la Camera dei deputati non deliberi nuovamente, a maggioranza assoluta dei suoi membri, nel qual caso il disegno è definitivamente respinto o viene promulgato nel testo approvato dalla Camera dei deputati.

A me sembra, onorevoli colleghi, che la costruzione del mio emendamento può apparire complicata, mentre in pratica è semplicissima, perché aderente alla realtà. Non fa intervenire il Presidente della Repubblica, né fa indire un referendum popolare e risolve tutti i conflitti nell’ambito delle due Camere.

In questo vicendevole scambio di approvazioni o di rigetti di disegni di legge sì viene a formare la prevalenza o della Camera o del Senato. È un sistema totalmente diverso da quello dell’articolo 70 del progetto. Quindi, io richiamo l’attenzione dei colleghi perché vogliano esaminare attentamente la mia proposta.

Secondo me, essa rende rapida la soluzione degli eventuali conflitti fra i due rami del Parlamento, elimina l’intervento del Presidente della Repubblica, che potrebbe anche diminuirne l’altissimo prestigio, in quanto sarebbe spesso necessario chiamarlo ad intervenire; elimina il referendum popolare, che è un’altra complicazione, per cui noi avremmo, oltre le leggi che dovranno necessariamente essere portate al referendum, una quantità di altre leggi minori per risolvere i casi di conflitti; e ci troveremmo nella situazione della Svizzera, che quasi ogni due domeniche svolge un referendum popolare. La Svizzera è un paese piccolo, abituato a questo sistema; ma immaginate se in Italia avessimo un referendum popolare, per esempio, sulla legge dei bachi da seta, o su quella delle cartine per sigarette! È assurdo.

Quindi richiamo la benevola attenzione dei colleghi su questo articolo sostitutivo che, secondo me, risolve tutte le questioni, e le risolve nel modo più semplice, senza complicarle, rendendo facile, agevole e rapido il lavoro legislativo. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Colitto, del seguente tenore:

«Sostituire, nel primo rigo, alla parola: approvati, le parole: esaminati e votati».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Dirò molto brevemente le ragioni alle quali è affidata la difesa del mio breve emendamento. L’articolo 70 del progetto dispone che i disegni di legge devono essere trasmessi per il necessario esame e l’eventuale approvazione da una Camera all’altra. Si afferma, però, in questo articolo che l’una Camera deve trasmetterli all’altra soltanto quando dalla prima siano stati approvati.

L’articolo 70 è, infatti, redatto cosi: «I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra».

Che accadrà, io mi domando, nel caso in cui una Camera non li abbia approvati?

Stando alla dizione del progetto, i disegni di legge non dovrebbero essere trasmessi all’altra Camera.

Io penso, invece, che il disegno di legge, anche se non approvato, debba essere ugualmente trasmesso; perché, disapprovato dalla prima Camera, potrebbe essere approvato dalla seconda; a seguito di che il Capo dello Stato potrebbe esercitare la facoltà indicata nel primo capoverso dell’articolo 70, cioè chiedere che la prima Camera riesamini il disegno di legge, e, nel caso in cui la prima Camera confermi la precedente deliberazione, indire il referendum popolare sul disegno di legge non approvato.

A mio avviso, insomma, è necessario che il Capo dello Stato, perché possa o esortare una Camera al riesame del progetto o indire il referendum, si trovi di fronte al risultato dell’esame del progetto compiuto da entrambe le Camere.

Ma ciò non sarà possibile, ove resti fermo il testo del progetto, perché, secondo il progetto, i disegni di legge sarebbero trasmessi dall’una all’altra Camera solo se dalla prima approvati.

Non comprendo come mai il capoverso dell’articolo 70 dovrebbe essere applicato quando un disegno di legge è approvato dalla prima Camera e rigettato dalla seconda, e non quando sia rigettato dalla prima e approvato dalla seconda.

Il capoverso dell’articolo 70 è redatto così:

«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno. Se non si pronuncia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

Ora io mi domando: perché mai il Presidente della Repubblica può chiedere il riesame, quando la prima Camera approvi e la seconda rigetti, e non quando la prima rigetti e la seconda approvi?

GULLO FAUSTO. Non si è manifestato il contrasto. Il Senato, se vuol discutere il disegno di legge, se ne fa iniziatore.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È una rivoluzione la sua, onorevole Colitto.

COLITTO. Sarà. Ma io insisto. È perciò che io penso che alla parola «approvati» si debbano sostituire le altre «esaminati e votati», così come è stato da me proposto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Carpano Maglioli, Priolo, Costa, Vernocchi, Nobili Tito Oro e Cosattini, hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: da una Camera, sostituire: dalla Camera dei Deputati».

«Dopo la parola: altra, aggiungere: Camera».

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sul quale il Senato della Repubblica non si sia pronunciato nel termine stabilito è promulgato quale legge se la Camera dei deputati lo approvi con una seconda votazione.

«Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sia respinto o modificato dal Senato della Repubblica, viene ugualmente promulgato come legge, qualora la Camera dei deputati, dopo aver preso conoscenza dell’avviso del Senato, lo abbia nuovamente approvato a maggioranza dei suoi membri».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerli.

CARPANO MAGLIOLI. Onorevoli colleghi. Il nostro emendamento, che ha molta analogia con quello svolto testé dal collega onorevole Persico, si presenta così lineare e semplice da non richiedere ampiezza di trattazione e di chiarimento. Il nostro emendamento, anzi i nostri due emendamenti ai due commi tendono essenzialmente a questo scopo: regolare i rapporti tra la Camera e il Senato in modo obiettivo, sì da impedire gare, rivalità e contrasti, segnando limiti precisi in modo da avere il massimo rendimento dell’istituto parlamentare col fissare i singoli rapporti di interdipendenza fra le attività delle due Camere.

Con il primo emendamento noi proponiamo che alle parole: «I disegni di legge approvati da una Camera» si sostituiscano le parole: «…approvati dalla Camera dei deputati». Infine, dopo la parola: «altra», si aggiunga la parola «Camera». Lo scopo di questo nostro emendamento è chiaro. Con il progetto della Commissione vi è una contemporaneità di iniziative tra la Camera ed il Senato, con la possibilità di gare e di contrasti. Con il nostro emendamento noi tendiamo a superare questi contrasti ed a superare altresì il concetto della contemporaneità delle due funzioni, indicando una procedura lineare e semplice. Ogni disegno di legge naturalmente passerà poi al Senato ed avrà il vaglio di questa seconda Camera, con tutte le garanzie necessarie perché effettivamente il Senato porti il suo contributo alla più razionale formazione delle leggi.

Più importante e più complesso è l’emendamento che riflette il secondo comma. Esso tende a regolare l’eventualità di conflitti fra la Camera ed il Senato, siano essi positivi come negativi.

Secondo il progetto, quando una Camera non si pronunzia entro il termine stabilito su un disegno di legge approvato dall’altra o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunzi o riesamini il disegno non approvato. Quindi arbitro di ogni contrasto è in definitiva, il Presidente della Repubblica.

Secondo il progetto sia nell’eventualità di contrasto negativo – una Camera non si pronunzia nel termine stabilito – sia nel caso di contrasto positivo, rigetto, vi è la facoltà costante del Presidente di sollecitare dall’altra Camera pronunzia o riesame; se non si pronunzia o se conferma la precedente deliberazione, il Presidente della Repubblica può indire il referendum sul disegno non approvato.

Il nostro emendamento offre soluzione semplice, facile e lineare, sia nei riflessi di conflitto negativo che nei riflessi di conflitto positivo.

Dice l’emendamento: «Un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, sul quale il Senato della Repubblica non si sia pronunciato nel termine stabilito, è promulgato quale legge se la Camera dei deputati lo approvi con una seconda votazione». Sostanzialmente, decorso infruttuosamente il termine stabilito per l’esame del Senato, vi è decadenza da parte del Senato. Con questo la legge non è ancora promulgata, ma è necessaria, per la sua promulgazione, una seconda approvazione da parte della Camera dei deputati, la quale, indubbiamente, non potrà non tener conto del contegno del Senato. È chiaro come questa soluzione superi incertezze, contrasti e dubbi. Nell’eventualità di conflitto positivo, cioè che il Senato respinga o modifichi un disegno di legge trasmesso dalla Camera dei deputati, secondo il nostro emendamento la soluzione proposta appare logica, razionale, accettabile. Infatti, dice il nostro emendamento: «Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sia respinto o modificato dal Senato della Repubblica, viene ugualmente promulgato come legge, qualora» – ecco la condizione che subordina, ecco la garanzia – «la Camera dei deputati, dopo aver preso conoscenza dell’avviso del Senato, lo abbia nuovamente approvato a maggioranza dei suoi membri». Sostanzialmente, sia respinto che modificato, il disegno di legge ritorna alla Camera e tale disegno diventa esecutivo solo mercé una nuova approvazione, approvazione che in tal caso è sottoposta a particolare condizione, e cioè è necessaria la maggioranza dei membri.

Sia consentita ora una breve analisi critica del sistema proposto dal progetto. Il sistema proposto dal progetto, come dianzi ho accennato, si affida al giudizio arbitrale del Presidente della Repubblica, dimenticando, potrebbe osservare un pessimista, che gli arbitri hanno sempre torto, per lo meno… nelle partite di calcio. Con questa soluzione non vi è dubbio però che vi è possibilità di attrito fra le due Camere e il Presidente della Repubblica – e questo indubbiamente porterebbe un grave pericolo al suo prestigio. Ma oltre tale possibilità vi è la certezza che l’intervento di un terzo potere sostanzialmente si traduce in una diminutio dei poteri della Camera, e quindi viene svalutata la sovranità popolare. Né vale, secondo me e secondo il contenuto del nostro emendamento, il ricorso al referendum, perché, innanzi tutto, esso è facoltativo, e poi, come giustamente osservava l’onorevole Persico, le esercitazioni di referendum in un grande paese come l’Italia non sono né comode né facili. Il referendum è istituto molto complesso, utile in date circostanze; ma il suo uso è delicato e si deve fare ricorso ad esso, secondo noi, solo in determinati casi, quando trattasi di leggi di speciale importanza per la vita della Nazione. Quindi, pare che non possa la soluzione del referendum, rimessa alla potestà del Presidente della Repubblica, risolvere questo conflitto. Senza dire, che le spese per il referendum sono ingentissime, e perciò anche per questo motivo il Presidente della Repubblica non potrebbe agevolmente far ricorso al referendum.

Chiarite le manchevolezze del progetto, cerchiamo di fissare quali siano i vantaggi contenuti nel sistema proposto dal nostro emendamento. Prima di tutto si tratta di norme obiettive che non consentono pericolo di difformi interpretazioni, pericoli di interpretazioni soggettive. Esso poi, evita l’intervento di un terzo potere legislativo assiso nella scomoda e difficile posizione di arbitro e tiene invece nella sua giusta considerazione il Senato; non sminuisce i poteri della Camera dei deputati, che, indubbiamente, rappresenta ed è l’espressione più genuina, diretta e tradizionale della volontà popolare. La nostra soluzione appare a noi la migliore. Io penso, che problemi complessi impongono – ove possibile – soluzioni semplici. Dicevo, il nostro emendamento ha molte analogie con l’emendamento svolto dall’onorevole Persico. Pare a noi però, che il nostro emendamento proponga soluzioni più semplici che non lasciano incertezze sì da evitare il sorgere di pericoli di turbamenti nell’attività legislativa o peggio pericoli di contrasto, d rivalità, di gare, indubbiamente pregiudizievoli non solo per l’attività parlamentare, ma pregiudizievoli, secondo noi, per gli ordinamenti democratici. Né si obietti che attraverso questa nostra soluzione affiori in forma indiretta un richiamo nostalgico al sistema monocamerale attraverso l’attenuazione dei poteri del Senato. La soluzione che noi proponiamo non tocca la bicameralità, ma indica una soluzione tale da non consentire incertezze e dubbi, e soluzione semplice, lineare: si evitano perdite di tempo, si impedisce che un disegno di legge resti a causa del contrasto inoperante; si stabilisce in sostanza una gerarchia atta a precisare le facoltà della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica sia nell’eventualità di conflitto positivo come di conflitto negativo.

Noi confidiamo che questo emendamento, proposto unicamente allo scopo di tendere alla soluzione migliore di questo gravissimo ed importantissimo problema, che riflette l’attività delle due Camere, possa avere l’onore dell’accoglimento da parte dell’Assemblea stessa. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Codacci Pisanelli, Numeroso, Zotta, Bastianetto, Marconi, Guerrieri Emanuele, Uberti, Giacchero, Arcangeli, Ferrarese hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il secondo comma».

«Subordinatamente:

«Sostituire il secondo periodo col seguente:

«Se non si pronunzia entro un mese, o se conferma la precedente deliberazione, il Presidente della Repubblica ha facoltà di sottoporre a referendum popolare il disegno di legge che sia stato approvato dall’altra Camera con una maggioranza di almeno due terzi dei votanti».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l’emendamento da noi presentato esprime il nostro punto di vista circa il problema, veramente interessante, del conflitto tra le due Assemblee legislative, problema che preoccupa tutte le più moderne Costituzioni e merita di essere da noi affrontato. Quanto al metodo seguito per la risoluzione noi abbiamo espresso, però, il nostro dissenso. Il problema si presentava anche in passato in tutti i sistemi bicamerali, ma non è stata sentita la necessità di risolverlo, appunto perché vigeva un principio di correttezza costituzionale secondo il quale il Senato doveva mostrarsi più remissivo nei confronti delle decisioni della prima Camera. Ho detto che si trattava di una norma di correttezza costituzionale e non di una norma giuridica. Questo precedente potrà farci riflettere, perché nel tentativo di risolvere l’eventuale conflitto stiamo arrivando ad una conclusione che sembra quasi coattiva, perché finiamo per concludere che ad ogni costo debba giungersi in tali ipotesi a una conclusione. Sembra che ad ogni costo, quando un progetto approvato da una Camera sia respinto dall’altra, si debba giungere al suo accoglimento. È da prevedere, viceversa, che le Assemblee legislative lavorino, di regola, con la massima tranquillità. Il significato della mancata approvazione da parte di una delle Assemblee è che il progetto deve intendersi respinto. Abbiamo tanti precedenti e l’esperienza dimostra come il rigetto di progetti di legge avvenuto in tal maniera non sia stato affatto uno svantaggio.

Delle soluzioni proposte noi non possiamo approvare quella che è accolta dal progetto di Costituzione. Nel progetto si parla del potere del Capo dello Stato di indire il referendum in caso di conflitto tra le due Assemblee.

Altri emendamenti sono stati proposti dai vari colleghi e questi emendamenti possono ridursi a due categorie: l’una accoglie il principio della soluzione dei conflitti tra le Assemblee legislative attraverso il sistema del referendum, sia pure in maniera diversa da come è previsto nel progetto di Costituzione. Mentre l’altra categoria di emendamenti attribuisce, in fondo, alla Camera dei deputati una prevalenza, stabilita nella stessa Costituzione.

Quanto al primo sistema, quello del referendum, esso è – in sostanza – lo stesso sistema, sia pure modificato, del progetto e di esso parlerò in seguito.

Quanto all’altro sistema della prevalenza attribuita costituzionalmente alla Camera dei deputati, noi non possiamo essere favorevoli; appunto perché in base al principio della bicameralità, potremmo ammettere che una norma di correttezza costituzionale consigli al Senato – formato dalle persone più anziane e perciò più disposte, in fondo, a venire incontro alle esigenze di coloro i quali ragionano con maggiore ardore – di seguire le deliberazioni della Camera. Ma preferiamo che non sia sancita costituzionalmente una così decisa inferiorità della seconda Camera rispetto alla prima.

Questa è la ragione per cui non accogliamo il sistema di dichiarare ufficialmente che la soluzione dei conflitti tra le due Assemblee debba necessariamente avvenire, rimettendola alla Camera dei deputati, anche se – come dirò in seguito – non escludiamo che possa trovare ancora applicazione quell’antica norma di correttezza costituzionale che ha consigliato al Senato una maggiore remissività nei confronti della prima Camera.

Quanto al sistema adottato nel progetto di Costituzione, ci sembra che gli inconvenienti da noi rilevati non siano di lieve importanza. Tra questi inconvenienti ricordo, anzitutto, quello che non tiene conto del normale significato della disapprovazione di una legge.

Quando una Camera disapprova una legge, in genere, almeno secondo il sistema parlamentare passato, ciò significa sfiducia verso il Governo.

Nel nuovo sistema da noi elaborato la sfiducia al Governo non potrà manifestarsi – lo so – se non seguendo una particolare procedura. Ma sono certo che quando un Governo, presentando un progetto di sua iniziativa, lo vede respinto da una delle Assemblee, nonostante che secondo una vecchia prassi il Senato non potesse provocare crisi (prassi che troverebbe applicazione in un sistema in cui il Senato aveva ben diversa origine), nonostante questo, ritengo che un Governo difficilmente potrebbe rimanere al potere; anche se stabiliamo un congegno particolare per le crisi di Governo, tuttavia, ritengo che in una simile ipotesi la posizione del Governo sarebbe talmente scossa che difficilmente esso potrebbe esimersi dal presentare le dimissioni.

Mi si risponderà che vi sono anche leggi di iniziativa parlamentare e, per quanto riguarda queste leggi, non possiamo lamentare tale inconveniente. Ma vi è l’altro inconveniente: quello del normale significato che deve attribuirsi al rigetto di un progetto di legge da parte di un’Assemblea, cioè alla mancanza di un presupposto perché il progetto si trasformi in legge.

Non è indispensabile che, di fronte a simile conflitto, si arrivi ad una soluzione qualsiasi.

D’altra parte, il sapere che vi è una possibilità di intervento da parte del Capo dello Stato per risolvere gli eventuali conflitti, può indurre le Assemblee legislative ad irrigidirsi nelle loro posizioni, a non cercare nemmeno una conciliazione, ad evitare, insomma, qualunque arrendevolezza che – in fondo – è desiderabile quando si verifichi un conflitto tra organi politici, quell’arrendevolezza che, invece, quando non vi fosse questa possibilità costituzionale di soluzione dei conflitti, deriverebbe necessariamente dai principi generali. E ciò perché, come dicevo, non è per niente da escludere che il Senato possa riferirsi a quel principio di correttezza che ho dianzi richiamato, secondo cui, in caso di contrasto con la prima Camera, è conveniente per essa esporre le ragioni per cui la seconda Camera non ha approvato o non vorrebbe approvare la legge, mentre poi, in ultima analisi, finisce per cedere.

Finalmente, gli inconvenienti del sistema proposto dal progetto derivano anche dal fatto che il risultato del referendum sarebbe quello di provocare le dimissioni di una Camera, almeno a mio avviso. Questo risultato si avrebbe perché il referendum sconfesserebbe almeno una delle due Camere, la quale avrebbe dimostrato di non sapere esprimere l’opinione degli elettori.

Praticamente, quindi, siccome alla stessa guisa che deve dimettersi il Governo il quale non riscuota la fiducia delle Assemblee legislative, dovrebbe, come ho ora spiegato, dimettersi anche quella Assemblea legislativa la quale non riscuotesse più la fiducia degli elettori, ne deriva che noi in fondo la soluzione l’abbiamo già nei principî sanciti dalla Costituzione. Sarà sempre, infatti, possibile la soluzione del conflitto sotto questo aspetto perché il Capo dello Stato ha il potere di scioglimento di una delle Camere legislative.

Noi quindi non intendiamo che il conflitto debba venir risolto con il ricorso ai sistemi indicati nel nostro progetto. Meglio anzi sarebbe, secondo noi, che non fosse nel nostro testo costituzionale neppure contemplata l’eventualità dei conflitti stessi. Ove comunque essi dovessero manifestarsi, si risolveranno, come ho già detto, inducendo il Capo dello Stato a far uso del mezzo straordinario in suo potere dello scioglimento.

In fondo, poi, è da osservarsi che le stesse costruzioni, gli stessi edifici finiscono per esercitare un certo influsso su coloro i quali li vanno ad abitare o vi vanno a compiere i loro lavori. È così che, mantenendosi il principio della bicameralità, ed evitando nel tempo stesso che l’inferiorità del Senato sia costituzionalmente sancita, noi desideriamo che tale maggiore remissività della seconda Camera non resti se non una di quelle norme di correttezza che sono e saranno per noi un retaggio della vecchia prassi parlamentare.

Se poi tale principio non dovesse venire accolto, noi siamo allora per la modifica dell’articolo che prevede la facoltà di indire il referendum, giacché è evidente che il Capo dello Stato non dovrà ricorrere a tale estremo divisamente se non quando la legge approvata da una delle due Camere e respinta dall’altra rivesta carattere di particolare importanza.

PRESIDENTE. L’onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma con il seguente:

«Quando una Camera non si pronuncia, entro il termine stabilito, sopra un disegno di legge approvato dall’altra o quando lo rigetta o lo modifica, l’altra Camera può richiedere che la questione sia rimessa all’Assemblea Nazionale o sottoposta a referendum».

Ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Onorevoli colleghi, ho creduto opportuno presentare all’esame dell’Assemblea, come emendamento, una proposta che in materia di conflitti fra i due rami del Parlamento già avevo fatto in seno alla Commissione; e ciò affinché l’Assemblea avesse davanti a sé tutte le varie possibilità, che si presentano per la soluzione di questo problema, che è, a mio giudizio, fondamentale nel nostro sistema.

Se noi non troviamo il modo di risolvere logicamente gli eventuali conflitti tra Camera e Senato, noi andremo a turbare gravemente e profondamente i lavori legislativi di domani.

Quando io presentai alla Commissione per la Costituzione la mia proposta, essa si era già pronunciata per la parità dei poteri tra la Camera ed il Senato, di modo che una proposta di risoluzione dei conflitti non poteva, in quel momento, che tenere conto dei voti già avvenuti in seno alla Commissione medesima.

Davanti all’Assemblea, poiché la questione della parità dei poteri viene riproposta ex novo con gli emendamenti dell’onorevole Persico, Preti e Carpano Maglioli, il mio emendamento di necessità viene ad avere carattere e valore subordinati, in quanto ritengo anch’io, in via principale, che nel conflitto di poteri tra la Camera ed il Senato, debba avere prevalenza il voto e l’autorità della Camera dei deputati.

UBERTI. Perché? Dove sarà più la bicameralità, allora?

LAMI STARNUTI. Onorevole Uberti, potremmo anche ricominciare qui la discussione che abbiamo fatta altrove, se il tempo lo consentisse.

All’onorevole Uberti io richiamo l’emendamento di un suo compagno di Gruppo, l’onorevole Fuschini, il quale propone, con determinate cautele, che nel conflitto tra la Camera ed il Senato prevalga, se non si ricorre all’istituto e allo strumento del referendum, il voto della Camera dei deputati.

Io voterò, quindi, in via principale, uno degli emendamenti che sostengono e affermano la prevalenza sul Senato della Camera dei deputati, e considererò il mio emendamento come una proposta subordinata all’esito della votazione principale.

Onorevoli colleghi, io desidererei che l’Assemblea esaminasse a fondo questa parte del nostro progetto; perché non si tratta di un semplice meccanismo, da considerare migliore di un altro, ma di vedere sul terreno politico quale è il modo migliore per uscire da una situazione di gravità che eventualmente potesse presentarsi a causa di un conflitto tra la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica.

L’onorevole Codacci Pisanelli – che ha parlato, se io non erro, a nome del Gruppo democristiano – desidererebbe senz’altro che la seconda parte dell’articolo 70 venisse soppressa e che la nostra Costituzione non contenesse alcuna norma, alcun principio per la risoluzione degli eventuali conflitti, lasciando la risoluzione medesima alle trattative amichevoli, ai buoni rapporti fra le due Camere e senza dubbio, agli alti uffici delle più alte autorità costituite della Repubblica.

Questo criterio non può essere accettato, anche perché vi sono precedenti nella vita politica di un vicino Stato, la Repubblica francese, in cui l’impossibilità di risolvere il conflitto fra la Camera ed il Senato portò a gravissime conseguenze politiche, e fu occasione della caduta del Governo di Blum, della caduta del primo Governo ad indirizzo socialista.

Se il conflitto tra i due rami del Parlamento dovesse accadere, noi desideriamo che vi sia un mezzo giuridico e politico per la risoluzione di questo conflitto.

Il progetto della Commissione, nella seconda parte dell’articolo 70, dice che, sorto il conflitto, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera, la prima Camera, si pronunci o riesamini il disegno; e, se nel riesame conferma la votazione precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato.

Con questa norma noi portiamo la persona e l’autorità del Presidente della Repubblica nel contrasto vivo tra i due rami del Parlamento; noi rendiamo il Presidente della Repubblica arbitro del conflitto e oggetto, quindi, delle recriminazioni, delle disapprovazioni, degli attacchi di una parte del mondo politico italiano.

Il Presidente della Repubblica, avendo facoltà di sottoporre la legge al referendum popolare, potrebbe non esercitare la facoltà, e – come dicevo poc’anzi – rendersi quindi, responsabile della decisione che distrugge la proposta di legge.

Ma se anche il Presidente si volesse mostrare in ogni caso imparziale tra i due rami del Parlamento e assumere a regola costante della sua condotta il ricorso al referendum popolare affinché la volontà della Nazione fosse essa la risolutrice del conflitto tra la Camera e il Senato, vi sarebbero casi – e casi gravi di conflitto – in cui il ricorso al referendum non sarebbe giuridicamente possibile.

Alla Commissione per la Costituzione, redigendo l’articolo 70, è sfuggita probabilmente la norma contenuta nell’ultima parte dell’articolo 72, per la quale non può farsi ricorso al referendum, quando la legge è legge di carattere tributario.

Ora, onorevoli colleghi, molti conflitti fra il Senato e la Camera dei deputati potrebbero sorgere appunto in occasione delle leggi tributarie. Quando un ramo del Parlamento approvasse leggi come quelle approvate recentemente dall’Assemblea Costituente, e l’altro ramo le respingesse, il Presidente della Repubblica non potrebbe fare uso della facoltà di ricorso al referendum. Né l’Assemblea Costituente potrebbe rendere possibile in ogni caso il referendum popolare modificando l’ultima parte dell’articolo 72, perché in materia di leggi tributarie il referendum non è umanamente e politicamente possibile; se le autorità dello Stato sottoponessero al voto dei contribuenti gli oneri maggiori richiesti da superiori necessità nazionali, quelle leggi sarebbero certo sistematicamente respinte.

Vi sono adunque dei casi in cui il Presidente della Repubblica non potrebbe far uso della sua facoltà. Vi sarebbero dunque dei casi destinati aprioristicamente a rimanere insoluti e sarebbero casi di grande importanza nell’interesse della Nazione perché potrebbero rappresentare un lodevole tentativo di mitigare la disparità dell’onere finanziario tra le varie classi sociali, di creare una maggiore e più alta giustizia sociale.

E allora questo sistema non può raccomandarsi al voto e all’approvazione dell’Assemblea Costituente. Se noi vogliamo trovare il mezzo giuridico di risolvere il conflitto, non possiamo che dare la prevalenza al voto della Camera dei deputati, oppure accogliere la mia proposta, portare il conflitto in seno all’Assemblea Nazionale.

Mi si dirà che il meccanismo dell’Assemblea Nazionale non è semplice, che l’Assemblea Nazionale, per il numero dei suoi componenti, può diventare tarda, pigra, farraginosa nell’espletamento del suo mandato.

Mi si dirà che in questo modo costituiamo veramente una terza Camera; ma io ritorco l’obiezione e dico agli avversari che bisogna scegliere fra le due vie: o l’Assemblea Nazionale o la prevalenza al voto e alle deliberazioni della Camera dei deputati. Il sistema scelto dalla Commissione per la Costituzione è gravemente difettoso. Il sistema proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli è pieno di pericoli.

Veda l’Assemblea Costituente quale dei vari sistemi preferisce. Io rivolgo preghiera all’Assemblea di non trascinare nel conflitto fra la Camera ed il Senato la figura ed il nome del Presidente della Repubblica. Tanto minori saranno i poteri legali del Presidente, tanto più alti saranno la sua autorità ed il suo prestigio.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Preti, Binni, Zanardi, Grilli, Treves, Longhena, Nasi, Lussu, Villani, Cianca, Cairo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Se non si pronuncia sul disegno di legge, lo modifica o lo rigetta, e se un Comitato composto di membri di entrambe le Camere, stabilito dalla legge, non riesce a raggiungere un accordo, la decisione della Camera dei deputati varrà come decisione del Parlamento».

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Dico subito che, di massima, potrei aderire agli emendamenti dell’onorevole Carpano Maglioli e dell’onorevole Persico. Se mantengo, anche dopo la loro lucida esposizione, il mio emendamento, è solo perché credo che in questa sede costituisca anch’esso un utile tentativo per trovare eventualmente una formula che possa sodisfare l’una e l’altra parte della Camera. Ora, con l’emendamento mio, come con quelli dell’onorevole Persico e dell’onorevole Carpano, ci si propone, di fronte al possibile conflitto fra le due Camere, di risolvere il problema sanzionando il primato della Camera dei deputati; primato che, di fatto, esisteva anche in regime di Statuto albertino.

Del resto, io credo che nessuno qui si illuda che domani il Senato, qualunque sia per essere il testo della Costituzione, possa avere di fatto gli stessi poteri della Camera dei deputati. Lo stesso onorevole Codacci Pisanelli è convinto che, almeno in linea di fatto, il Senato domani sarà subordinato alla Camera.

Voci. No, no!

PRETI. L’onorevole Codacci Pisanelli ha detto precisamente che la subordinazione del Senato dovrà domani divenire una consuetudine di correttezza costituzionale. (Interruzione dell’onorevole Clerici).

Lei si richiama all’America, onorevole Clerici; ma là vige un regime presidenziale che non ha niente a che fare col regime parlamentare. (Commenti). È un confronto che non si può fare.

Per tornare all’argomento, dirò che mi sono proposto di rispettare il più possibile l’autorità della Camera alta; e sostanzialmente non vi è gran differenza tra il mio emendamento e quello dell’onorevole Fuschini, il quale è pure di parte democristiana…

SCOCA. Che vuol dire questo? Che c’entra la politica?

PRETI. Io propongo che, quando le due Camere non si trovino d’accordo, la decisione sia deferita ad un Comitato misto costituito da membri di entrambe. Solo quando l’accordo non venga trovato, la decisione definitiva della Camera dei Deputati finirà per avere la prevalenza. Perciò, se, in ordine agli emendamenti dell’onorevole Persico e dell’onorevole Carpano Maglioli, si poteva lamentare che il Senato, dopo essersi pronunciato una sola volta, venisse senz’altro estromesso dalla seconda decisione della Camera, a norma del mio emendamento questo non accade più.

Inviterei pertanto, anche l’onorevole Fuschini, il quale analogamente a me propone il ricorso a Commissioni miste, a porsi sul mio piano per quel che concerne la decisione finale del contrasto. Infatti, riconoscere, come egli fa, al Presidente della Repubblica il potere di indire il referendum, nel caso in cui non si trovi l’accordo in sede di Commissione, mi sembra non sia molto in armonia con i canoni di una democrazia parlamentare, quale la nostra vuole essere. Sostanzialmente qui si vorrebbero dare al Presidente della Repubblica italiana dei poteri che il Re non ha mai avuto.

Per concludere poi, vorrei fare all’onorevole Uberti, che si è richiamato tanto, durante le sue frequenti interruzioni, al principio del bicameralismo, una osservazione, a sfondo politico più che giuridico, per fargli intendere come, quando si parla del principio della bicameralità, si corra assai sovente dietro a un nome vano.

Chi sono i soggetti della vita parlamentare? Senz’altro i gruppi parlamentari, e attraverso di essi i partiti. In ciascuna Camera i deputati votano in una certa maniera, perché così ha stabilito il loro partito. Almeno quando si tratta di decisioni che abbiano una certa rilevanza politica!

Di guisa che io non posso concepire come domani, quando vi saranno entrambe le Camere, il partito democristiano o quello comunista o qualsiasi altro possa essere di un avviso alla Camera dei deputati e di un altro al Senato. Ripeto che questo non è possibile, perché vi saranno, senza dubbio, delle direttive di carattere politico, alle quali i deputati si atterranno.

UBERTI. Allora non vi saranno conflitti.

PRETI. Vi potranno essere dei conflitti di carattere tecnico, nel senso che i rappresentanti di un partito al Senato, su una specifica questione tecnica, possono pensarla diversamente dai rappresentanti di quello stesso partito alla Camera dei deputati.

Ma, quando si tratta di conflitti di carattere tecnico, è chiaro che si troverà sempre un amichevole accordo, anche se è sancito, in linea di diritto, il primato della Camera dei deputati.

Io capisco che i conservatori, i quali pensavano ad un Senato che non fosse espressione del suffragio universale, tenessero ad attribuirgli poteri pari a quelli della Camera dei deputati, per sabotare l’azione progressista di quest’ultima. Ma oggi questo intestardirsi sulla parità del Senato non ha ragion d’essere, posto che entrambe le Camere sono espressione della volontà popolare. A meno che… non si intenda giocare sul fatto che la Camera dei deputati dovrebbe essere eletta con la proporzionale ed il Senato col collegio uninominale; di maniera che, mentre alla Camera dei deputati saranno rappresentate veramente tutte le forze politiche, e cioè anche quei partiti, che hanno un modesto seguito, al Senato saranno per contro rappresentati quasi esclusivamente i grandi partiti. Anzi, vorrei dire che, se le elezioni prossime dovessero profilarsi alla stregua delle elezioni amministrative di Roma, in Senato non vi sarebbero più che comunisti e democristiani. (Commenti).

Ma allora è il caso di dire all’onorevole Uberti, all’onorevole Tosato e ai loro amici – che hanno votato contro il collegio uninominale – che non dovrebbero approfittare di questo deprecabile squilibrio, e dovrebbero per ciò riconoscere a quella Camera dei deputati in cui sono rappresentate tutte le forze politiche, il diritto di decidere in un’ultima istanza. Perché, quando una divergenza politica vi fosse tra Senato e Camera dei deputati, la causa risiederebbe nel fatto che il Senato, essendo stato eletto col collegio uninominale, non rappresenterebbe veramente la volontà popolare, almeno dal punto di vista della democrazia moderna.

UBERTI. Lei ci dà ragione: anche noi siamo contro il sistema uninominale.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha proposto di sostituire il secondo periodo del secondo comma col seguente:

«Se non si pronuncia entro un mese o se conferma la precedente deliberazione, il Presidente della Repubblica ha facoltà di sottoporre a referendum popolare il disegno di legge approvato dall’altra Camera».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere l’emendamento.

PERASSI. Il mio emendamento non tocca la sostanza del sistema previsto dal progetto costituzionale; propone soltanto una formulazione, che a me sembra più corretta; per conseguenza non occorre nessuna illustrazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire il secondo periodo col seguente:

«Se non si pronuncia o se la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica può invitare le Camere a riesaminare, a mezzo delle loro Commissioni competenti, il disegno di legge. Se non si addivenga ad un accordo sui punti controversi, avrà la prevalenza la decisione della Camera dei deputati, qualora il Presidente della Repubblica ritenga di non indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Onorevoli colleghi! Io mi sono permesso di presentare questo emendamento perché ritengo che il problema dei conflitti tra le due Camere possa sorgere specialmente nella discussione dei disegni di legge. Dal punto di vista politico bisogna premettere che vi è parità tra la Camera ed il Senato; perché a mio avviso, se non si mantiene o si sopprime in parte l’Assemblea Nazionale, ogni voto politico di una delle Camere è sufficiente per imporre al Governo le conseguenti decisioni. Un voto di sfiducia, sia esso dato dal Senato o dalla Camera, dove far dimettere il Governo. Quindi, parità tra Camera e Senato dal punto di vista politico deve esistere e dovrà essere sancita nell’articolo 87.

Ma quando siamo in tema di carattere legislativo vero e proprio, di discussione cioè sui disegni di legge o di formazione delle leggi, come dice il titolo del progetto della Costituzione che stiamo ora discutendo, io ritengo che sia un semplicismo troppo evidente quello di ridurre l’articolo 70 alla affermazione che un disegno di legge, una volta approvato da una Camera, deve essere trasmesso all’altra. Sarebbe questo un articolo che non avrebbe bisogno di essere inserito nella Costituzione, perché se è vero che le due Camere debbono collettivamente attendere alla formazione della legge, è evidente che una volta che una legge sia approvata da una Camera, deve essere trasmessa all’altra, e secondo me, l’articolo 70, formulato così come propone l’onorevole Mortati, sarebbe un pleonasmo. (Interruzione del deputato Uberti). Allora, amico Uberti, si dovrebbero sopprimere molte cose che sono nella Costituzione; ma noi abbiamo imparato in Sottocommissione ad occuparci delle più minute cose, che forse non erano necessarie, e le abbiamo volute, dirò così, costituzionalizzare, ed abbiamo voluto prevedere quasi tutto nella Costituzione, in modo da non lasciare molto alla prassi, alla consuetudine e, dirò così, ai rapporti di buona collaborazione che sempre sono esistiti, e speriamo, sempre esistano, fra le due Camere, perché questa dell’andar d’accordo è una necessità di vita.

Siccome i nostri maestri, che sono presenti, ci hanno insegnato che bisogna inserire e risolvere nella Costituzione ogni prevedibile ipotesi, così dobbiamo ora prevedere che dalla discussione delle leggi possano sorgere conflitti tra la prima e la seconda Camera, e perciò è stato formulato l’articolo 70. Ciò premesso, io ho ritenuto di proporre di sostituire al secondo comma una nuova dizione.

Il primo comma è peraltro esso pure importante, perché indica i termini dell’esame del disegno di legge. Infatti in esso è stabilito il termine di tre mesi entro il quale una Camera deve pronunciarsi sui disegni di legge che ha ricevuti dall’altra Camera, e fra le due Camere tale termine potrà essere concordemente modificato.

Mi si permetta a questo proposito di fare un rilievo. Nell’emendamento dei colleghi onorevoli Targetti e Carpano si fa accenno alla Camera dei deputati in maniera tale per cui sembra che i disegni di legge debbano essere presentati in precedenza sempre alla Camera dei deputati.

Ora, a me sembra che debba rimanere ben chiaro che la presentazione dei disegni di legge da parte del Governo deve essere libera, e cioè possono essere presentati o alla Camera dei deputati o al Senato. Quindi, le modifiche che sono state proposte, sia al primo che al secondo comma, dagli onorevoli colleghi socialisti, mi pare abbiano un presupposto, e cioè che i disegni di legge debbono essere presentati inizialmente alla Camera dei deputati.

Questo, secondo me, va eliminato, perché è un errore nel quale non bisogna cadere; noi riteniamo che, anche in campo legislativo, il Senato deve essere tenuto nello stesso conto da parte del Governo, come è tenuta la Camera dei deputati.

Tornando al mio emendamento rilevo che è inesatto sostenere che esso offenda il principio della bicameralità. Si dice che si offende la bicameralità dando la prevalenza alle deliberazioni della Camera dei deputati.

Il mio emendamento riconosce che un conflitto fra le due Camere può sorgere, e siccome si vuole che questa Costituzione sia rigida e regoli tutto, allora io ripeto, regoliamo anche questa materia. Quando la Costituzione non era rigida, ma flessibile, molte cose erano lasciate alla consuetudine. Lo Statuto albertino, almeno dal punto di vista legislativo e formale, non ci ha retto male, ma ci ha guidati per quasi cento anni, indipendentemente da tutte le affermazioni che fanno al riguardo i dottrinari. La consuetudine poteva continuare ad aver valore in alcuni casi. Egregi colleghi, io ho partecipato per molti anni come funzionario ai lavori della Camera dei deputati e non mi sono mai accorto, lavorando come lavorano gli egregi cari colleghi che stanno in questa Aula al banco della Presidenza come funzionari, che un disegno di legge sia tornato la quarta volta alla Camera, dopo essere stato esaminato ed approvato dal Senato.

Quindi, io credo che in ultima analisi noi qui regoliamo una eventualità che sarà oltremodo rara, e si potrebbe anche omettere questo regolamento. Ma, come ho detto, è bene regolarla, perché abbiamo voluto questo genere di Costituzione alla quale nulla deve sfuggire e che tutto deve regolare, perché non si ha da molti una grande fiducia nei futuri Parlamenti.

Io ho preso nota della proposta della Commissione, e mi sono limitato ad inserirvi semplicemente un accorgimento nuovo. Avendo presente che i disegni di legge sono esaminati da speciali Commissioni propongo che, nei casi di conflitto e quando non si riesca a dirimerli, il Presidente della Repubblica possa invitare le Camere a fare riesaminare il disegno di legge da dette Commissioni. L’altro giorno l’onorevole Bozzi sosteneva che il Presidente della Repubblica doveva anche lui partecipare alla formazione della legge. Credo anch’io che il Presidente della Repubblica non si possa estraniare dalla iniziativa e formazione della legge, e domando: credete che il Governo possa presentare i disegni di legge alla Camera o al Senato senza informarne il Presidente della Repubblica? Nel passato vi era una forma di informazione del Capo dello Stato che consisteva nel sottoporgli la firma di un decreto autorizzante la presentazione di un disegno di legge al Parlamento. Voi potrete eliminare questa formalità ma non potrete impedire che il Governo informi il Capo dello Stato della presentazione di leggi specialmente se importanti, che costituiranno materia di discussione ed eventualmente di conflitto di carattere politico in seno al Parlamento. Ora, credo che non si degraderà dal suo alto seggio il Presidente della Repubblica (che certamente sarà un uomo che seguirà i lavori delle Camere, e non perderà il suo tempo nel cerimoniale) se in un determinato momento, quando sorga un conflitto insanabile perché le due Camere resistono sui loro punti di vista, si stabilirà che il Presidente della Repubblica possa invitare, attraverso i Presidenti, le due Camere a riunire le due Commissioni esaminatrici del disegno di legge a cercare insieme di superare il conflitto in una discussione amichevole e cordiale. Mi sembra che ciò non sia abbassare l’autorità del Presidente, ma attribuirgli compiti concreti che possano elevarne il prestigio.

Ora, io sono contrario invece alla proposta dell’onorevole Preti, che vorrebbe che fosse stabilito per legge un apposito Comitato. Per quale ragione formare un Comitato speciale quando vi sono, nelle due Assemblee, Commissioni che hanno esaminato e riesaminato lo stesso disegno di legge? Sono queste due Commissioni che possono essere chiamate a risolvere, se è possibile, il conflitto. Ed io credo, onorevoli colleghi, che da un esame ponderato da parte dei responsabili dei rappresentanti delle due Assemblee possano sortire dei buoni effetti. Se poi, per avventura, il conflitto non si riuscisse a comporlo, il Presidente della Repubblica, secondo la mia proposta, darà corso al disegno di legge come è stato approvato dalla Camera dei deputati o indirà il referendum. Perché, si domanderà, dare alla Camera dei deputati la prevalenza? Qui mi si consenta di rivolgermi in modo speciale ai cari colleghi democristiani, per far loro presente che la Camera dei deputati, secondo il sistema che è stato elaborato, è una Camera che ha per lo meno una prevalenza indiscutibile, quella numerica, che, consideratela pure come vorrete, avrà sempre ragione, specie quando metterete insieme Camera e Senato nell’Assemblea Nazionale. Avrei desiderato che il Senato fosse stato nominato, non col sistema del suffragio universale diretto, ma col sistema del suffragio universale indiretto, perché credo che col sistema del suffragio indiretto sarebbe stata possibile una migliore selezione di uomini adatti a studiare e discutere le leggi, e quindi ad interessarsi dei problemi legislativi in una maniera più realistica di quella che non possono fare gli elementi che formeranno la Camera dei deputati, che sono prevalentemente elementi politici, più adatti alla sintesi, mentre sono più idonei all’analisi quegli altri, con la visione più diretta degli interessi locali e di categoria.

Ma io dico ai miei amici: non vi dovete preoccupare se vi sarà la prevalenza della Camera dei deputati, che rappresenta il maggiore consesso sul quale la Repubblica deve fondare le sue speranze e il suo consolidamento, e deve costituire un valido strumento per educare, attraverso il suo lavoro ed il suo comportamento, la popolazione del nostro Paese. Né si deve dire che si offende la parità del Senato, nei confronti della Camera, perché la parità politica rimane assolutamente ferma e perché la parità legislativa è semplicemente una eccezione di indole tecnica che si inserisce nell’attività delle due Camere, solo quando queste non siano riuscite ad andare d’accordo.

L’onorevole Lami Starnuti ha fatto une osservazione acuta rilevando che l’articolo 72, ultimo comma, stabilisce che non è possibile ammettere il referendum per le leggi finanziarie, per cui nell’ipotesi che sorga il conflitto su una legge finanziaria non sarebbe possibile far ricorso al referendum per risolvere il conflitto stesso. Orbene io osservo che se il conflitto avverrà su una legge finanziaria, vorrà dire prima di tutto che il Governo sarà carente nei suoi compiti. Noi dimentichiamo che nell’esercizio dell’attività legislativa non partecipano soltanto le Camere legislative, ma vi prende parte anche il Governo. Ci siamo abituati, in questa Assemblea Costituente, a non sentire mai l’influenza del Governo sull’Assemblea stessa. Ma quando in quel banco vi sarà un Governo responsabile, il quale vorrà che un determinato disegno di legge raggiunga l’approvazione delle Camere, il Governo stesso metterà in moto tutta la sua forza – e se è un Governo forza ne deve avere, altrimenti dovrebbe considerarsi un Governo fantasma – adoprerà cioè la maggioranza parlamentare che lo sostiene, affinché una legge, ad esempio finanziaria, sia approvata dalla prima e anche dalla seconda Camera.

Non dimentichiamo mai questo intervento del Governo, che può determinare ed eliminare le ragioni di conflitto che possono sorgere tra le due Assemblee. Ma se, per ipotesi, anche l’influenza del Governo non potesse essere così concludente, non si offende certo la dignità del Presidente della Repubblica se lo si chiama a decidere e a risolvere il conflitto, non mediante il referendum, ma per mezzo del più grande appello al Paese sciogliendo le Camere.

Confido di avere abbastanza spiegato le ragioni che appoggiano il mio emendamento, è perciò mi lusingo che almeno i miei amici politici non mi lasceranno solo, e mi useranno la cortesia di approvare il mio emendamento. (Applausi).

PRESIDENTE. È stato presentato ora un emendamento a firma degli onorevoli Mortati, Uberti, Dominedò ed altri del seguente tenore:

«Limitare l’articolo alle seguenti parole del primo comma: i disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il nostro emendamento deriva dall’insoddisfazione delle varie soluzioni che sono state prospettate sia nel progetto sia negli emendamenti proposti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Lei, onorevole Mortati, ha il diritto di mutare opinione, ma anch’io ho il diritto di ricordare che in Commissione fu proprio lei a proporre quanto poi noi abbiamo deciso: noi dunque non abbiamo fatto che approvare una sua proposta.

MORTATI. Faccio osservare all’onorevole Ruini che la proposta era stata formulata quando non era ancora configurato l’assetto definitivo ed il modo di formazione delle Camere. In ogni caso non mi pare sia inibita una migliore riflessione su argomenti di tanta importanza.

Tornando all’emendamento, mi pare necessario illustrare brevemente le ragioni di debolezza dei vari sistemi suggeriti per giungere alla risoluzione dei conflitti fra le Camere. La prima proposta, la più importante, quella intorno a cui vi è raccolto il maggior numero di emendamenti, trova la soluzione affermando la supremazia di una Camera nei confronti dell’altra, dando la prevalenza all’opinione dell’una, e precisamente a quella della Camera dei deputati.

Ora, io osservo pregiudizialmente che una soluzione di questo genere non potrebbe esser presa così a sé stante, avulsa da tutto il resto, giacché questo problema è intimamente connesso con tutta l’architettonica, diremo così, del progetto e quindi anche con quello della posizione delle Camere nell’attività politica di conferimento della fiducia al Governo. Non sarebbe infatti giustificato ammettere che una Camera possa far cadere il Governo con il suo voto di sfiducia e non possa invece arrestare una proposta che abbia riportato il consenso dell’altra Camera.

Sembra pertanto che il principio della supremazia di una Camera sull’altra, non potrebbe ammettersi, se non allargando la discussione per comprendervi altresì gli altri casi in cui le due Camere debbono agire di conserva.

Non si riesce poi a comprendere per quali motivi noi dovremmo pregiudicare fin da ora la questione della posizione giuridica delle due Camere, quando non abbiamo ancora alcun elemento di giudizio sul quale fondare la preminenza di una sull’altra, e quando quindi tutto consiglia di affidare allo svolgimento avvenire delle istituzioni, alla formazione di quelle convinzioni, formate in base alla considerazione del prestigio ottenuto, dell’attività svolta, delle prove di capacità fornite, del seguito conseguito nel Paese, la determinazione del rispettivo peso politico di ciascuna delle due Assemblee.

Tutte le considerazioni addotte qui, per dimostrare che una Camera debba, a priori, avere una preminenza sull’altra, a mio avviso, non hanno consistenza.

Si è da alcuni giustificata tale opinione invocando il fatto che una delle due Camere è eletta col sistema della proporzionale e l’altra col collegio uninominale. Ma, a parte ogni indagine sul punto se la rappresentanza attraverso il collegio uninominale sia più o meno efficiente di quella ottenuta con la proporzionale, è da osservare che, secondo una decisione già presa dall’Assemblea, i procedimenti elettorali per la formazione della Camera non sono materia costituzionale, essendo da regolare con leggi semplici. Essi quindi sono soggetti a dei mutamenti, che potranno anche essere frequenti e condurre ad uno spostamento della base elettorale delle due Camere. Sicché, seguendo l’opinione confutata, noi stabiliremmo nella Costituzione una disposizione che statuisce la disparità fra le due Camere, fondandola su qualche cosa del tutto contingente, quindi legheremmo una situazione di carattere costituzionale con un evento che non ha carattere costituzionale. Questo mi pare così grave da non potere essere accettato.

Così neanche mi pare sia decisiva l’osservazione dell’onorevole Fuschini, secondo cui il numero diverso dei componenti le due Camere determini una maggiore rappresentatività di quella più numerosa rispetto all’altra. Potrebbe essere, invece, proprio quella di minor numero, che col suo lavoro più ponderato, più efficiente, riesca a riscuotere una maggiore fiducia nel popolo, e quindi ad acquistare quel prestigio, da cui solamente può argomentarsi una preminenza.

Perché, che nel sistema bicamerale una preminenza di una Camera sull’altra finisca per determinarsi, possiamo anche ammetterlo; ma non possiamo ammettere che questa preminenza non si lasci al fatto, ma si consacri espressamente, ed a priori, quando, per di più, come ho detto, non abbiamo alcun elemento per poter giungere a questa differenziazione. Io avrei ancora capito la soluzione che ci si propone se una delle Camere fosse stata eletta con suffragio indiretto e l’altra col suffragio diretto: allora si sarebbe forse potuto argomentare – per me inesattamente – per una minore rappresentatività, per una minore forza politica della prima rispetto all’altra. Ma siccome si è deciso che tutte e due vengano elette col suffragio universale diretto, mi pare che non abbiamo elementi di giudizio per una condanna preventiva, per stabilire a priori l’inferiorità dell’una rispetto all’altra, e che anzi sia utile, sia opportuno non pregiudicare quelli che potranno essere gli svolgimenti avvenire per imporre fin d’ora una disparità.

Giudizio ugualmente negativo si deve dare, a mio avviso, alla proposta di deferire la soluzione delle controversie fra le due Camere all’Assemblea Nazionale. A parte che l’accoglimento di questo punto di vista sarebbe da rinviare a quando fosse deciso sulla figura di tale organo, su cui tante controversie ancora ci sono, è da osservare che affidare tale soluzione all’Assemblea Nazionale significherebbe deformare la fisionomia che abbiamo voluto dare ad essa, che dovrebbe avere compiti limitati alla sfera dell’azione di direzione politica, in senso stretto, e non estesi all’attività legislativa. Osservo poi un’altra cosa: che, in sostanza, adottando questa soluzione, si viene a sboccare in quella precedente, della supremazia della prima Camera sulla seconda. Infatti le decisioni recentemente prese hanno condotto ad affermare una differenziazione numerica così sensibile fra le due Camere, da far quasi scomparire il peso del Senato di fronte a quello della Camera, in un’Assemblea che riunisse insieme i due corpi.

Rimane l’altra soluzione: quella del referendum. Ma anche questa mi pare sia da scartare. Ci sono anzitutto delle difficoltà pratiche – su cui ha richiamato acutamente l’attenzione l’onorevole Lami Starnuti; e ciò per l’esistenza di materie, come quella finanziaria, per la quale non è consentito ricorrere al referendum, sicché se un conflitto scoppiasse in ordine ad esse non si potrebbe far luogo al rimedio. Affermare poi la superiorità della Camera dei deputati in ordine ai tributi significherebbe riferirsi ad una situazione omissibile solo quando il Senato era non elettivo.

Ma, a parte questo, c’è una considerazione ancora più importante: che il referendum in caso di conflitto non serve a risolvere il conflitto stesso, ma ad aggravarlo, perché la soluzione prescelta dal popolo porta a screditare la Camera condannata da questo verdetto popolare, e pertanto la successiva attività di questa Camera viene ad essere inficiata, così che se si vuole mantenere ancora nella sua efficienza il principio bicamerale bisogna per forza che prima o poi si giunga allo scioglimento di questa Camera.

E allora tanto vale che si rinunci all’espediente del referendum e si ricorra diretta mente al rimedio dello scioglimento.

Accertata così la insoddisfazione delle varie soluzioni proposte, a che cosa affidare la soluzione di questi conflitti? Noi non dobbiamo dimenticare che stiamo creando un regime parlamentare che importa precisamente questo: un rapporto costante di fiducia tra il Governo e le due Camere. Quando noi stabiliamo che il Governo ha bisogno della fiducia delle due Camere per mantenersi in vita, fiducia espressa con apposito voto (e su questo mi pare siamo tutti d’accordo) la conseguenza è che su questa relazione di fiducia fra le Camere ed il Governo bisogna trovare l’elemento equilibratore e di conciliazione.

Non dobbiamo dimenticare che in regime parlamentare l’arbitro e disciplinatore della attività legislativa è il Governo, ed è esso che, dovendo curare il costante mantenimento della fiducia da cui deriva la sua investitura, troverà di volta in volta il mezzo più adatto per la soluzione delle divergenze.

I dissidi possono sorgere su questioni secondarie, ed allora il Governo lascerà cadere, almeno pel momento, il progetto su cui si manifesta l’opposizione di una Camera. Ma se il progetto è essenziale alla realizzazione della politica governativa, allora il Governo porrà su di esso la questione di fiducia. La sfiducia importerà una crisi che dovrà risolversi o con le dimissioni del Governo o con lo scioglimento di una o di entrambe le Camere.

È quindi in questo meccanismo parlamentare che noi possiamo trovare la sola soluzione sodisfacente.

Affidare tale soluzione ad una meccanica rigida di interventi quale prevista dall’articolo 70 e dai vari emendamenti, mi pare significhi trascuranza della sostanziale natura dei rapporti fra gli organi costituzionali in regime parlamentare e significa mettersi su una via che finirebbe per compromettere il sistema costituzionale che vogliamo fondare.

La soluzione da me proposta è più radicale di quella dell’onorevole Codacci Pisanelli, che vorrebbe sopprimere solo l’ultima parte dell’articolo 70, lasciando la parte che deferisce al Presidente della Repubblica la richiesta alla Camera ricalcitrante di procedere al riesame del disegno. Non mi pare opportuno conferire tale facoltà senza prevedere le ulteriori conseguenze per un eventuale conferma del precedente atteggiamento della Camera. Se noi facciamo muovere un personaggio così importante, come il Presidente della Repubblica, dobbiamo concludere che, se il passo da lui compiuto non desse nessun risultato, non si potrebbe far cadere nel nulla la sua iniziativa, ma bisognerebbe completare questo procedimento, e ammettere che in caso di persistenza del conflitto si ricorra ad altri mezzi di soluzione.

Io invece propongo di eliminare ogni accenno all’ipotesi di contrasti e di lasciare solo l’inciso che si riferisce alla trasmissione all’altra Camera dei progetti approvati dalla prima. L’onorevole Fuschini osservava che quest’inciso si potrebbe eliminare; forse è utile conservarlo, intendendo la prescrizione come diretta a sancire l’obbligo della prosecuzione del procedimento e quindi il principio della necessità del passaggio all’altra Camera del progetto già approvato.

Per queste ragioni io prego l’Assemblea di approvare il mio emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo articolo del progetto contempla due punti: il primo è quello della trasmissione di un disegno di legge approvato da una Camera all’altra Camera; il secondo la questione, molto più grave, della divergenza, del conflitto tra le due Camere.

Quanto al primo punto io consento con quello che ha osservato l’onorevole Fuschini. Se si trattasse di dire che quando una Camera ha approvato un progetto lo trasmette all’altra, la disposizione evidentemente non sarebbe tale da doversi mettere nella Costituzione. Non si può perciò ridurre tutto ad una piccola frase, che ha valore di regolamento, e forse meno che di regolamento. L’intento dell’onorevole Mortati è evidentemente di sopprimere l’altra parte dell’articolo; ma allora bisogna anche sopprimere la prima disposizione che non dice nulla.

Discuterò dopo la parte più importante.

Sopra il primo comma vi sono tre emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Persico. Il progetto della Commissione diceva che i disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra per l’approvazione entro tre mesi, oppure entro un diverso termine da concordare fra le due Camere. L’onorevole Persico propone di dire senz’altro: nel termine che la Camera che ha approvato il disegno di legge intima all’altra. Ma questo è contro ogni tradizione di cortesia e riguardo parlamentare. Una Camera non può imporre un termine all’altra. Se si devia dal termine fisso di tre mesi, vi dovrà pure essere un accordo. E non mi sembra che questo accordo sia difficile: basterebbe anche un’intesa fra i Presidenti delle due Camere, e l’approvazione rapida di queste.

Non potrei dunque accettare l’emendamento dell’onorevole Persico.

Vi è poi un emendamento dell’onorevole Colitto, che vorrebbe sostituire alla parola «approvati» le parole «esaminati e votati». Noti, l’onorevole Colitto, che votati significa approvati e quindi non si raggiungerebbe l’effetto che egli vuole raggiungere; e cioè che quando un disegno sia respinto da una Camera si debba tuttavia trasmetterlo all’altra. Ma un progetto respinto non esiste. Andiamo contro una norma elementare ed io non potrei accettare, tanto più che, come ha osservato L’onorevole Gullo, il rimedio c’è, ed è che l’altra Camera può far suo il progetto e votarlo. Quindi, proprio per queste considerazioni, non potrei accettare. E credo che nella sua finezza letteraria e giuridica, l’onorevole Colitto comprenderà il valore di queste mie obiezioni.

In ultimo viene un emendamento Targetti, svolto dall’onorevole Carpano, sempre sul primo comma. Noi dicevamo nel nostro progetto che quando una Camera approva un disegno di legge, lo trasmette all’altra. Invece l’onorevole Carpano dice: «Soltanto la Camera dei deputati lo trasmette all’altra Camera», perché vuole con ciò evidentemente affermare una priorità della Camera dei deputati. A prescindere che, se si può capire e sostenere questa priorità in caso di conflitto fra le due Camere essa non ha nessun senso per la trasmissione dei progetti, sta il fatto che con l’emendamento Targetti verrebbe fuori una lacuna curiosa; quando il Senato ha approvato un progetto, potrebbe non trasmetterlo alla Camera. Io non faccio argomentazioni molto elevate, ma mi pare che non è proprio il caso di insistere e che bisogna proprio lasciare il testo come è.

Esaminato così (e mi pare che abbia esposto delle ragioni abbastanza convincenti) il primo comma, veniamo al secondo, che riguarda il caso di divergenza fra le due Camere. Un disegno di legge, approvato da una Camera, non è approvato dall’altra. Anche qui io mi fermerò per fare delle osservazioni molto pratiche, che sono quelle a cui dobbiamo attenerci. È molto facile fare della dottrina; vediamo invece di fare della realtà concreta per poter arrivare ad un risultato.

Io non credo che si debba proprio drammatizzare, e fare della divergenza tra le due Camere un vero conflitto. Più spesso – qui riconosco che l’onorevole Fuschini ha detto il vero – le due Camere finivano attraverso il riesame dei disegni di legge per mettersi d’accordo. Anche se ciò non avverrà, non sarà gran male se parecchi disegni di legge andranno a finire in quello che è il cimitero dei disegni di legge, qui all’archivio di Montecitorio. L’onorevole Fuschini ha detto di non conoscere un caso in cui Camera e Senato non abbiano finito per accordarsi. Mi dispiace, ma molti disegni di legge non sono riusciti ad arrivare in porto e sono caduti nel famoso cimitero.

UBERTI. Vuol dire che non meritavano.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Risponderò alla sua osservazione. Che possano esser stati non buoni, va bene, ma il criterio meccanico che non meritavano di essere approvati non regge. Non si può dire a priori che ciò che non è stato approvato o neppure esaminato da un ramo del Parlamento sia tutto stoppa. Io che ho una certa esperienza della vita amministrativa conosco Ministeri e Servizi che non sono riusciti a varare dei disegni di legge che erano utili e talvolta necessari per il buon funzionamento della loro amministrazione. E del resto il fatto dell’arenamento di disegni di legge perché una Camera non se ne è occupata ha dato talora luogo a quella fioritura di decreti-legge di cui si è parlato poco fa, specialmente dall’onorevole Clerici.

Tutto considerato – che le iniziali divergenze vanno spesso a posto e che non bisogna sempre rammaricarsi se parecchi e svariati disegni di legge si perdono per strada – non si può però dimenticare che in alcuni casi la divergente valutazione delle due Camere può avere un rilievo tale che non è da trascurare, e che può diventare veramente conflitto, quando si tratta di disegni di legge essenziali. Vi sono dei casi, saranno pochissimi, in cui è necessario dirimere questi conflitti delle Camere. Questo è stato il concetto base da cui è partita la Commissione.

La Commissione ha adottato un sistema che era stato proposto dall’onorevole Mortati, a cui non faccio torto di aver mutato la sua opinione. Avrei gradito però che lo avesse esposto in Comitato, quando ha cambiato idea. Il sistema si basa su due concetti. Il primo è la parità piena e completa fra le due Camere. Secondo: quando il conflitto è tale che deve essere risoluto, si ricorre al giudizio del popolo per mezzo di referendum. Ed è il Capo dello Stato che, nella sua funzione di arbitro supremo, di moderatore, di equilibratore dei poteri dello Stato, giudica se il conflitto è così importante da richiedere che venga superato per mezzo di referendum.

È un sistema perfettissimamente democratico, che si inquadra ineccepibilmente nel sistema della nostra Costituzione. Sono state fatte critiche ed obiezioni all’intervento del Capo dello Stato. Una d’ordine piuttosto teorico, è dell’onorevole Persico. Egli dice: «Badate, con ciò venite ad ammettere la partecipazione del Capo dello Stato alla funzione legislativa come terza Camera». Evidentemente, no: questo è un intervento non ab intra, come terza Camera, ma ab extra, come regolatore supremo, dal di fuori del processo legislativo.

Vi è una serie di obiezioni dell’onorevole Carpano, il quale trova che l’intervento del Capo dello Stato è arbitrio e che si viene a ridurre la sovranità popolare. Gli rispondo che spetta proprio al Capo dello Stato di moderare e regolare i conflitti fra gli altri organi e poteri dello Stato, e che del resto egli non è il vero arbitro, ma promuove, ove lo ritenga indispensabile, l’arbitrato. Il vero arbitro è il popolo; e non si offende il principio della sua sovranità, ricorrendo proprio ad esso.

Vi sono poi le complesse obiezioni dell’onorevole Codacci Pisanelli, che ha dipinto un quadro di dimissioni del Governo, di scioglimenti delle Camere, di turbamento e rovesciamento che verrebbero dal ricorso e dall’esito del referendum. Tutte queste vicende sono più possibili se non si dirime il conflitto, che se si ricorre al popolo.

Anche l’onorevole Mortati parla di scredito della Camera che ha votato un progetto di legge contro cui si pronunci il popolo. Ciò non avviene altrove. Io non dico che dobbiamo applicare il sistema svizzero nella sua pienezza: ma dobbiamo tener presente ciò che avviene in quel paese, dove così spesso il popolo si pronunzia in senso diverso dal Parlamento, e per ciò il mondo non cade. Se vogliamo aprire anche noi le porte al referendum, dobbiamo abituarci alla possibilità che il popolo decida in modo diverso dal Governo e dal Parlamento, senza che ciò debba inevitabilmente produrre profonde crisi.

Vi sono infine le obbiezioni dell’onorevole Lami Starnuti che vede un grave inconveniente nel fatto che il Capo dello Stato scenderebbe in lizza, in mezzo al giuoco delle parti. Ma qui il Presidente non fa altro che essere un regolatore, un giudice che dice: «Mi pare che la questione sia talmente importante che debba essere decisa dal Paese» e non si pronuncia né per l’uno né per l’altro senso.

In complesso tutte queste obiezioni non reggono.

Vediamo le soluzioni che sono state proposte.

L’onorevole Mortati – a parte il rilievo che lasciare le due prime parole dell’articolo non avrebbe significato – dice: lasciamo andare le cose per il loro corso; bisogna che confidiamo sull’azione del Governo, che sarà decisiva, e porterà in definitiva alla risoluzione del conflitto. L’osservazione è acuta; e certo il Governo, per mezzo della sua maggioranza, potrà influire a dirimere, in una via o nell’altra, il conflitto. Ma se non riesce? Potrà trovarsi allora nella necessità di dimettersi; oppure promuove lo scioglimento delle due Camere; che sono fatti di importanza molto più grave di quello che sia un referendum. Non sono d’accordo con l’onorevole Mortati, quando egli sostiene che, abbandonando le cose al loro corso, tutto vada a posto come nel migliore dei modi possibili. Non si creda che tutto possa essere risolto automaticamente, non facendo nulla. Vi sono dei casi – pochissimi casi – di conflitti gravi, i quali è molto meglio risolvere immediatamente col referendum, piuttosto che aspettare un giuoco di Governi, di loro mutamenti, e di rinnovazione delle Camere. Un atto di decisione del popolo tronca ogni incertezza.

Veniamo alle altre soluzioni. L’onorevole Codacci Pisanelli si accosta in parte all’onorevole Mortati, perché propone in linea principale la soppressione. Le ragioni esposte per l’onorevole Mortati valgono anche per lui. In linea subordinata, propone una limitazione al Capo dello Stato nell’indire il referendum. Egli dice che il Capo dello Stato potrà farlo soltanto quando la Camera, che è in questione, perché l’altra non ha approvato il suo progetto, abbia votato a maggioranza di due terzi. È una maggioranza molto notevole e pesante. Si tratta di una fortissima limitazione. Se mettiamo una limitazione di questo genere, rendiamo difficilissimo il caso in cui si possa applicare la soluzione proposta. Mi pare che questa limitazione ferisca veramente la facoltà di referendum; allora sarebbe meglio eliminare il referendum.

Veniamo alle altre proposte: si possono raccogliere in due gruppi.

Quelle dell’onorevole Fuschini e dell’onorevole Lami Starnuti, pur modificando il testo della Commissione, restano attaccate almeno in parte all’idea del referendum.

L’onorevole Lami Starnuti ammette la parità piena fra le due Camere; la .sua proposta non cade nel gruppo di quelle che impugnano tale parità. Egli consente il referendum, ma dice che sia la Camera stessa a chiederlo, ove non chieda invece di deferire la questione al l’Assemblea Nazionale. Dell’Assemblea Nazionale non ci possiamo occupare, perché abbiamo rinviato la questione. Riguardo al referendum, veda, onorevole Lami Starnuti, ho dei dubbi su questo suo sistema. Il concetto fondamentale della disposizione era che il Capo dello Stato giudicasse della opportunità di ricorrere al referendum, tenendo presente che i casi di tale ricorso possono essere molto rari. Ma se diamo alle Camere la facoltà di promuovere esse, senz’altro, il referendum, si incoraggia la loro tendenza a non mettersi spontaneamente d’accordo; si incoraggia la possibilità che si abbandonino ad ostinazioni e ripicchi, al volere che trionfi la loro opinione. È molto meglio che la facoltà di promuovere il referendum spetti alla imparzialità del Capo dello Stato.

Vi è poi la proposta dell’onorevole Fuschini, che ammette due concetti nuovi. Egli, in fondo, è fedele al progetto della Commissione, ma fa una piccola modifica con il tentativo di conciliazione per mezzo delle Commissioni parlamentari, tentativo di riesame che c’è anche nel progetto formulato dalla Commissione, perché esso dice che il Capo dello Stato invita la Camera ad un riesame e ad una nuova decisione. La sua modifica è in questo, che le Commissioni parlamentari debbono tentare esse l’opera di conciliazione. Occorre proprio dirlo nel testo della Costituzione? Nulla, ad ogni modo, di opposizione alla sua idea.

Inoltre l’onorevole Fuschini aggiunge: se il Capo dello Stato non crede di ricorrere al referendum, allora prevale la Camera dei deputati sull’altra Camera. Quegli comincia ad entrare con un piede cauto nella zona delle proposte che ammettono la prevalenza di una Camera sull’altra. Penetriamo anche noi, nel vasto esame in questa zona.

Vi sono tre proposte, se ben ricordo: quella dell’onorevole Preti, degli onorevoli Targetti-Carpano e dell’onorevole Persico.

Cominciamo a vedere il problema in sé. Cose notevoli ha detto l’onorevole Mortati, il quale ha criticato il concetto che non sia da vulnerare la parità assoluta tra le due Camere e che si possa, invece, ammettere la prevalenza di una Camera sull’altra.

Onorevoli colleghi! Io debbo difendere il testo formulato a maggioranza, a suo tempo, dalla Commissione, ma riconosco che contro il criterio di prevalenza d’una Camera sull’altra, in limiti e forme ben definite, non vi può essere un diniego assoluto. Né in sede teorica, né in sede di realtà e di fatto nelle Costituzioni. Non è vero, come ha detto l’onorevole Fuschini, che tale criterio sia così eretico, come ad alcuni appare. Non vi è bisogno che io ricordi ad uno studioso come l’onorevole Mortati che in dottrina vi è una corrente che sostiene come la prevalenza di una Camera sull’altra non intacchi e neghi il principio di bicameralità, ma rientri nel sistema di freni ed equilibri, che è a base della vita dello Stato moderno. Di fatti, in quasi tutti i Paesi è ammessa la prevalenza di una Camera sull’altra, basti pensare all’Inghilterra ed alla famosa legge del 1911 di Lloyd George. Né vale l’obiezione che ivi si tratta di una seconda Camera composta di membri ereditari per nomina del Capo dello Stato e quindi non elettivi. In altre costituzioni noi vediamo che i membri delle due Camere sono elettivi, ma una Camera prevale sull’altra. Io non credo che questa sia una eresia tale che debba essere senz’altro scomunicata. È un sistema che può essere adottato. Si tratta di scegliere.

Abbiamo da una parte il sistema del referendum, dall’altra quello del Capo dello Stato prevalenza della Camera dei deputati. Voi siete padroni di scegliere.

Le proposte concrete pel secondo sistema sono quelle degli onorevoli Preti, Carpano e Persico.

Preti si accosta indirettamente, per un punto, alla proposta dell’onorevole Fuschini, mettendo in azione un comitato misto che dovrebbe cercare l’accordo. Se non riesce, allora prevale senz’altro la deliberazione della Camera dei deputati. Ma l’onorevole Preti aggiunge, ed è un po’ grave, ammettere che prevale la Camera dei deputati, senza che essa abbia da rinnovare la sua deliberazione, mentre noi osserviamo che in tutti i sistemi nei quali la Camera dei deputati prevale, occorre una reiterata deliberazione e in certi casi – come in Inghilterra – addirittura tre. Se l’idea del comitato d’accordo potrebbe essere accolta, l’altra (della prevalenza della Camera dei deputati senza bisogno di rinnovare la sua deliberazione) deve essere assolutamente respinta.

Le proposte degli onorevoli Carpano e Persico sono in gran parte identiche, ma si differenziano perché la proposta dell’onorevole Carpano contempla due casi, mentre quella dell’onorevole Persico tre, e sotto questo punto di vista mi pare la più completa.

Io debbo disporvi queste cose che potete non aver capito fra tanta ressa di discorsi. Quali sono le ipotesi che si avanzano? La prima è che la Camera dei deputati si pronunci, cioè approvi una legge ed il Senato taccia, non si pronunci nel tempo determinato, cioè vi sia il silenzio. Allora, gli onorevoli Persico c Carpano, in questo caso che cosa propongono? Che occorre una nuova deliberazione della Camera, e quando c’è questa nuova deliberazione della Camera il progetto di legge diventa legge.

Questa è la prima ipotesi.

La seconda ipotesi è che la Camera approva un disegno di legge ed il Senato lo respinge o lo modifica. In tal caso, dicono gli onorevoli proponenti, bisogna che la Camera si pronunci, riapprovi a maggioranza assoluta, e solo in questo caso il disegno di legge diventa legge.

L’onorevole Persico aggiunge una terza ipotesi: il Senato approva un disegno di legge, la Camera o tace o lo respinge o lo modifica, ed il Senato lo riapprova. Ed allora, per un certo senso di riguardo al Senato, l’onorevole Persico fa questo ragionamento: siccome il Senato l’ha approvato due volte, il disegno di legge diventa legge nel testo deliberato dal Senato, a meno che la Camera non ritorni in un dato termine, che egli propone di un mese, a riapprovarlo con una maggioranza qualificata. Allora riprende vigore il principio della prevalenza della Camera.

Le cose sembrano abbastanza complicate, ma se vedeste che complicazioni sono nelle altre leggi e negli altri paesi! Comunque, il sistema Persico mi pare che sia il più completò perché considera tutti e tre i casi. Non credo che l’onorevole Carpano dovrebbe avere difficoltà ad accettare anche questo terzo caso.

Allora, noi siamo di fronte a tre proposte: vi è quella Mortati, che lascia aperta la questione del conflitto, confidando sul giuoco spontaneo del regime parlamentare; «lasciate fare, lasciate andare» le cose andranno a posto da sé; il che solleva forti dubbi.

Il secondo sistema è di tener ferma la parità delle due Camere, e di dar facoltà al Capo dello Stato di riconoscere in certi casi la necessità di ricorrere alla sovranità popolare col referendum; è proposto, come ho mostrato, perfettamente in armonia col sistema democratico.

La terza proposta è degli onorevoli colleghi che sostengono la prevalenza di una Camera: la Camera dei deputati. Anche questo sistema non contrasta col sistema democratico dello Stato. Si può, secondo i proponenti, vedere nella terza soluzione oltre ad una accentuazione più democratica (ove si consideri tale la prevalenza della Camera dei deputati) un procedimento che richiede, per dirimere i conflitti, meno scosse ed atti straordinari. Senza dubbio il progetto più completo è quello Persico, al quale si accosta molto l’onorevole Carpano.

Ora, io dico: se voi volete rimanere fermi, come io debbo proporvi perché la Commissione ha deliberato così e non si sente di cambiare opinione, se credete di tener fermo il sistema del referendum, allora votate il testo della Commissione, se no, se entrate nel terreno della prevalenza di una Camera sull’altra, il progetto che vi si presenta più completo è quello dell’onorevole Persico.

Non ho altro da dire. Desidero che questa votazione sia molto meditata. Non è colpa mia se alcune proposte vengono all’ultima ora, come quella Mortati, ed io non posso sentire il Comitato. Ho espresso quindi un’opinione obiettivissima come notaio delle deliberazioni delle Commissioni, ed ho fatto delle osservazioni, come avete sentito, di ordine soprattutto pratico, concreto, non teorico, non dottrinale, appunto, perché credo che la nostra Assemblea deve ispirarsi soprattutto a questi criteri.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori degli emendamenti se li mantengono.

Onorevole Persico?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene i due emendamenti?

TARGETTI. Anche a nome degli altri firmatari, ritiro i due emendamenti associandomi a quello dell’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

CODACCI PISANELLI. Subordinatamente all’emendamento proposto dall’onorevole Mortati, mantengo il mio emendamento. Naturalmente, siccome quello dell’onorevole Mortati è più radicale, ritengo opportuno che sia votato prima.

PRESIDENTE. Onorevole Lami Stormiti, mantiene il suo emendamento?

LAMI STARNUTI. Mantengo il mio emendamento subordinandolo a quello dell’onorevole Persico, al quale aderisco in via principale.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, mantiene il suo emendamento?

PRETI. Aderisco all’emendamento dell’onorevole Persico, mantenendo però, in via subordinata, il mio.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, mantiene il suo emendamento?

PERASSI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Mantengo il mio emendamento.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io voterò a favore della soppressione completa dell’articolo 70 e quindi in sostanza aderisco all’emendamento dell’onorevole Mortati, poiché ritengo che le prime parole del primo comma che egli manterrebbe costituiscano in qualche modo un pleonasmo, una frase irrilevante; dunque nella sostanza sono d’accordo con lui. Mi vorrei in proposito permettere di ricordare all’Assemblea che nella nuova Costituzione noi abbiamo soppresso un importante istituto che esisteva nella precedente, cioè il decreto di chiusura della sessione, il quale aveva questa caratteristica particolare: di far cadere i progetti di legge che non fossero stati durante una legislatura definitivamente approvati. Questo istituto, che ha nel passato funzionato, dimostra che politicamente è utilissimo che possa verificarsi, da parte del Governo e della maggioranza parlamentare che vi consente, l’abbandono di un progetto di legge anche quando sia stato già approvato da uno dei due rami del Parlamento. Tutta, invece, la stesura dell’arti colo 70 e tutte le discussioni che abbiamo sentito fare partono dal concetto che il Paese sia in qualunque momento, in qualunque caso, assetato di leggi e che quando un ramo del Parlamento ha approvato una proposta di legge, sia una catastrofe nazionale il fatto che l’altro ramo del Parlamento non consenta o taccia, la quale seconda ipotesi equivale a un non consenso. Ora, nell’istituto del Parlamento bicamerale, dal momento che per la formazione della legge occorrono due dichiarazioni di volontà perfettamente conformi, se queste non si formano o se una delle due dichiarazioni di volontà non interviene, la proposta di legge cade. Questo significa che il Governo non ha ragione di insistere per questa approvazione e se c’è un ramo del Parlamento il quale sia in assoluto dissenso da questo punto di vista, ha la facile soluzione di porre la questione di fiducia e di creare una crisi. D’altra parte, i due rami del Parlamento sono assolutamente sovrani. La pretesa di regolare con minute disposizioni la risoluzione di conflitti fra organi costituzionali supremi e sovrani è chiaro che non può sempre essere raggiunta e quindi ritengo che sia utilissimo lasciare al costume politico il regolamento di questi rapporti fra organi sovrani e ritengo che l’ipotesi della caduta di un progetto di legge, per il fatto che è stato approvato da un solo e unico ramo del Parlamento, sia un fenomeno che può anche essere utilissimo e che nel caso particolare equivarrebbe a quello che nel passato regime era l’effetto normale del decreto reale di chiusura della sessione, che noi abbiamo soppresso, in quanto è stato soppresso l’organo da cui dipendeva questo decreto. Nella realtà tuttavia e, sostanzialmente, nel regime monarchico parlamentare la facoltà di ricorrere al decreto di chiusura della sessione concerneva il Governo. Per questo voterò contro il mantenimento, in tutto o in parte, del contenuto dell’articolo 70.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, io concordo con l’ordine di idee espresso dall’onorevole Mortati, ma non concordo con la proposta formale da lui fatta per mantenere l’articolo 70 soltanto in questa dicitura:

«I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra».

Questo non ha significato, perché ci possiamo domandare: sono trasmessi all’altra, a che titolo? Perché ne prenda atto, perché li registri? Si vuole dire tutt’altra cosa, si vuol dire cioè quello che è stato già detto nell’articolo 67, che la legge è un atto complesso, che a formare la legge devono concorrere le volontà dell’una Camera e dell’altra Camera.

Quindi, credo che si potrebbe sopprimere completamente l’articolo 70.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Aderisco alla proposta dell’onorevole Bozzi e quindi trasformo il mio emendamento nel senso di proporre la soppressione di tutto l’articolo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei dire due parole a conforto della tesi sostenuta dall’onorevole Fabbri e che ha incontrato anche l’adesione di altri colleghi.

Ho seguito con molta attenzione e con molta curiosità questa discussione e mi sono posto una domanda: ma è possibile che tanta gente pensi ancora – e potrei aggiungere un «purtroppo non è così» – che ci sia la Monarchia?

Si continua a discutere dei rapporti tra le due Camere come se fossero le due Camere di allora, come se fossero elette coi criteri di allora, come se l’una fosse di nomina popolare e l’altra di investitura regia, come se una trasformazione di tutto il sistema non fosse avvenuta. E quindi la preoccupazione che la Camera di investitura regia non possa prevalere su quella di investitura popolare, e quindi la preoccupazione di conflitti fra questi due organi che invece, oggi, sorgono entrambi da una investitura popolare. Il Senato è elettivo come elettiva è la Camera dei deputati: ci sarà una diversità di sistema di elezione; ma sono scomparse anche quelle che potevano essere le ragioni di preoccupazione per alcuni colleghi, o per alcuni settori dell’Assemblea, cioè la nomina con un criterio regionalistico, e la nomina con un sistema indiretto di elezione.

Tutto questo è cessato. Ed allora veramente ci si domanda perché noi vogliamo interferire a priori in questi rapporti tra due pari, tra due organi che sono entrambi strumenti della sovranità popolare; perché noi vogliamo stabilire questi rapporti con dei criteri che non hanno un fondamento sostanziale, come quando qualcuno si preoccupa che una Camera, quando un suo progetto di legge sia stato ripudiato dall’opinione pubblica, perda di prestigio. Ma quando mai uno di noi, anche dei più autorevoli, ha perso prestigio in questa Assemblea perché una sua proposta non è stata accolta?

Io ho la sensazione di assistere ad una discussione anacronistica e appunto per questo penso che cosa migliore sia di lasciare alla prassi di formare le regole che dovranno far funzionare gli istituti, così come fu per il passato, perché questo referendum, che può essere e può non essere indetto dal Capo dello Stato (il che significa praticamente che sarà sempre indetto perché un povero Capo dello Stato non troverà certo altra soluzione) non potrà che complicare maggiormente le cose.

Altrimenti questo Capo dello Stato finirà con l’essere estromesso da tutto, questo Capo dello Stato non avrà che l’autorità dell’impotenza, per completare l’espressione del collega Lami Starnuti.

Io credo quindi che la cosa migliore sia dì sopprimere l’articolo 70; in tal modo noi affideremo alla prassi la soluzione della questione e d’altronde l’esperienza insegna che non v’è se non un unico modo per costringere gli organismi a fare il loro dovere: quello di renderli veramente responsabili delle loro azioni.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo ora passare alla votazione e ritengo che la proposta soppressiva dell’onorevole Mortati debba avere la precedenza. Invero, noi abbiamo normalmente adottato sempre il criterio che gli emendamenti soppressivi non siano votati in sé, potendosi raggiungere il fine della soppressione votando contro una disposizione. Nel caso particolare, però, non si tratta di una proposta di soppressione di un inciso, ma di un intero articolo ai cui numerosi commi sono stati proposti numerosi emendamenti.

Se noi applicassimo però in questo contesto la consuetudine di appoggiare la proposta di soppressione votando contro la formula positiva, ne deriverebbe che i colleghi, i quali intendono sia soppresso l’intero articolo 70, dovrebbero votare sempre contro nei confronti di una lunga serie di emendamenti, e non già per opposizione al contenuto dei singoli emendamenti stessi, ma per una ragione di opposizione verso l’intero articolo 70.

Ove non dovesse prevalere la tesi della soppressione dell’intero articolo, passeremo alla votazione dei vari emendamenti presentati al testo della Commissione.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Onorevole Presidente, lei dunque mette in votazione prima l’emendamento soppressivo: ma guardi, a me pare di dover fare questa osservazione, che c’è chi è contrario al testo della Commissione, ma è favorevole all’emendamento dell’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, coloro che sono favorevoli alla proposta dell’onorevole Persico sono, per ciò stesso, favorevoli al mantenimento dell’articolo 70.

GULLO FAUSTO. No, perché se l’emendamento Persico dovesse essere poi non approvato, io, fra l’articolo 70 e la soppressione, voterei per la soppressione; ma, se lei mi mette nella condizione di dover votare prima la soppressione, io non so come dovrei risolvere questo stato di coscienza.

Perciò dico: votiamo prima o la proposta dell’onorevole Persico o il testo della Commissione; scartati i quali, si potrebbe porre in votazione la soppressione.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare che la questione si prospetti in questi termini: si ritiene che, di fronte alla ipotesi di conflitti fra le due Camere, la Costituzione debba indicare i mezzi per risolverli, oppure non debba dare disposizioni, lasciando che la prassi – come è stato detto da molti colleghi – finisca con l’indicare le vie per la loro soluzione?

Questo è il problema principale. Successivamente, in caso di sua risoluzione in senso positivo, occorrerà stabilire quale dovrà essere il metodo per risolvere i conflitti fra i due rami del Parlamento.

Comunque, se l’Assemblea ritiene che in questo caso specifico non si debba mutare la consuetudine procedendo alla votazione dell’emendamento soppressivo, ma si debba votare successivamente sugli emendamenti e sul testo, io non mi oppongo.

FABBRI. Quest’ultimo metodo di votazione sarebbe inorganico.

PRESIDENTE. Comunque, poiché l’onorevole Gullo ha proposto la questione, vorrei che chi ha opinioni a questo proposito le esprimesse.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Onorevoli colleghi, l’articolo 67 dispone che la funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere. Per quanto non ancora approvato, esso tende a stabilire un principio sul quale non vi sarà dissenso: quello della collaborazione fra le Camere. L’articolo 70, di cui discutiamo ora, tende appunto a regolare in qualche modo questo lavoro coordinato delle Camere; e pertanto la sua soppressione potrebbe portare nocive imprevedibili conseguenze.

PRESIDENTE. Il suo intervento onorevole Bertone – mi perdoni – è una specie di dichiarazione di voto; non si riferisce alla questione di procedura intorno alla quale si discuteva.

BERTONE. Ho voluto fare questa dichiarazione, perché l’emendamento Mortati, che propone la soppressione dell’articolo 70, non mi pare sia da approvare; almeno io non mi sentirei di approvarlo.

PRESIDENTE. Sta bene; se sarà posto in votazione, lei potrà votare contro.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. A me pare che il dubbio molto giusto sollevato dall’onorevole Gullo si possa risolvere in un modo molto semplice: mettendo in votazione prima l’emendamento Persico e poi quello soppressivo dell’onorevole Mortati. Tanto più che, a mio giudizio, l’emendamento Persico è quello che più si allontana dal testo della Commissione. (Commenti a destra).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Anch’io mi sono trovato qualche volta nella perplessità in cui ora si trova l’onorevole Gullo, ossia di preferire alla non approvazione di un emendamento che non mi piace la soppressione di un testo che disapprovo.

Effettivamente, seguire la graduazione del Regolamento, cominciando a votare l’emendamento più lontano fino a quello più vicino al testo della Commissione e poi passando a votare il testo stesso significa, normalmente, seguire un criterio logico. Ma nel caso in esame vi è una progressione logica per cui occorre innanzitutto risolvere la questione di principio, e cioè il mantenimento o la soppressione del criterio cui è ispirato l’articolo 70.

Mi dite voi come mi troverei io o qualche altro collega che è favorevole alla soppressione dell’articolo se deve prima votare una serie di emendamenti che si intersecano fra loro, proposti ad un testo che potrebbe, in un secondo tempo, essere interamente soppresso? Come si può votare sugli emendamenti con questa arrière pensée?

Noi dobbiamo, quindi, prima di tutto deliberare la soppressione, perché così vuole la logica. Chi è contrario al testo perché lo ritiene nocivo agli interessi del Paese voterà per la soppressione. La quale, poi, costituisce comunque l’emendamento più lontano dal testo originario.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Ritengo che la proposta soppressiva debba avere la precedenza, come quella che risolve una questione di principio nei confronti di una serie di diverse e concrete proposte tendenti, invece, alla conservazione, proposte nei cui confronti non si può logicamente scendere a rispettivo esame se non dopo avere risolto la questione preliminare sulla conservazione o meno della norma.

Quindi, nel rito, io sono dello stesso avviso del Presidente. Nel merito dichiaro, anche a nome dei colleghi di Gruppo, che, valutate le varie ragioni che sorreggerebbero i criteri proposti per l’ipotesi di conservazione della norma, criteri che singolarmente considerati non sembrano mai rispondere a una valutazione sodisfacente, noi pensiamo che l’articolo proposto possa essere senza danno depennato dal testo della Costituzione. E ciò dicasi anzitutto dal punto di vista giuridico, perché in tal modo non si ferisce il concetto che, trattandosi della formazione di un atto complesso come è quello legislativo, esso non risulta perfetto se non col concorso della volontà delle due Camere e fino a quel momento manca l’atto stesso, cosicché non si potrebbe nemmeno parlare tecnicamente di conflitto. Mentre, dal punto di vista politico, potranno sempre operare i mezzi a cui hanno fatto cenno parecchi oratori e che vanno dal giuoco dei rapporti che normalmente corrono fra il Governo e le Camere fino all’ipotesi estrema, che è rappresentata dalla facoltà di scioglimento della Camera spettante al Capo dello Stato. In tal modo, mentre la sola prospettiva dello scioglimento è già il più efficace motivo di remora, resta fermo che se si presentasse un conflitto politico di tale gravità da determinare quella sanzione, opererebbe sempre un provvedimento estremo, atto a fronteggiare la situazione e perciò rispondente ad una esigenza che può essere nella coscienza comune.

Sotto questo aspetto, ritenendo che la materia in discussione non resti scoperta ed insoluta, bensì che essa possa essere soddisfacentemente disciplinata secondo le norme della prassi costituzionale e il giuoco delle forze politiche in atto, noi voteremo a favore dell’emendamento soppressivo.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Sull’emendamento soppressivo dell’articolo 70 proposto dall’onorevole Mortati gli onorevoli Moro, Rodinò Ugo, Numeroso, Salvatore, Castelli Avolio, Guerrieri Emanuele, Angelucci, Vigo, Baracco, Bosco Lucarelli, De Palma, Ferrarese, Scoca, Morelli Renato e Carratelli hanno chiesto la votazione per appello nominale; mentre gli onorevoli Laconi, Grieco, Maltagliati, Gervasi, Lombardi Carlo, Montagnana Rita, Bei Adele, Fedeli Armando, Spano, Barontini Anelito, Bardini, Allegato, Giolitti, Corbi, Pastore Raffaele, Minio, Farini, Bernamonti, Storchi e Fausto Gullo hanno chiesto quella a scrutinio segreto. Quest’ultimo metodo di votazione ha la precedenza a norma dell’articolo 77 del Regolamento.

Indico pertanto la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     293

Maggioranza           147

Voti favorevoli        177

Voti contrari            116

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi.

Cacciatore – Cairo – Caldera – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Carpano Maglioli – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatriani – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese – Cosattini – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Giovanni – Dominedò – D’Onofrio.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giannini – Giolitti – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Lazzati – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Magnani – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marconi – Mariani Francesco – Marina Mario – Marinaro – Martino Enrico – Massini – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Matteo – Mazza – Meda Luigi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Montagnana Rita – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Recca – Restagno – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Roveda – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Scalfaro – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Spallicci.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Villani.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi.

Sono in congedo:

Alberti.

Bonino.

Caporali – Carmagnola – Caso.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Roselli.

Sapienza – Sardiello.

Turco.

Il seguito della discussione è rinviato a domani, avvertendo che vi saranno due sedute: alle 11 e alle 16.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non intenda ripristinare, per il trasporto dei vini dalla Sicilia, la tariffa ferroviaria 907, che, con la riduzione del 50 per cento, allieverebbe la crisi che si profila nel settore vitivinicolo, aggravata per i produttori siciliani dalla maggiore distanza dai mercati di consumo.

«Mattarella».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere in quale misura intende agevolare l’E.C.A. di Venezia, costretto dal deficit, dovuto incontrare, a ricorrere alla Direzione generale dell’Amministrazione civile, perché siano concesse agli Istituti assistenziali dell’E.C.A., elencati nella richiesta ufficialmente trasmessa, le indispensabili sovvenzioni straordinarie per evitare il ricorso all’inumano e praticamente inattuabile provvedimento della dimissione di centinaia e centinaia di vecchi inabili al lavoro e minori abbandonati o appartenenti a famiglie estremamente bisognose; tenendo presente l’urgenza dell’intervento sollecitato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere se non ritenga opportuno, quanto urgente:

1°) autorizzare la Sepral alla tempestiva distribuzione dei generi razionati – con particolare riguardo ai generi da minestra – entro i primi giorni del mese, dovendosi lamentare che la popolazione della provincia di Treviso ottiene normalmente l’assegnazione dei generi razionati verso la fine del mese, con il gravissimo disagio che questo fatto comporta per la grande massa delle famiglie meno abbienti, impossibilitate di altrimenti approvvigionarsi;

2°) disporre l’assegnazione dei 100 grammi di zucchero, rimasta arretrata nel mese di luglio per tutta la popolazione, in seguito a disposizione dell’Alto Commissariato per l’alimentazione;

3°) disporre la fornitura dei generi necessari per la distribuzione del pacco AVISS, rimasta incompleta nella stessa prima distribuzione, che è doveroso invece continuare giusta gli impegni assunti;

4°) provvedere, infine, all’assegnazione straordinaria di generi contingentati per le distribuzioni a carattere differenziato alle classi meno abbienti della provincia di Treviso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quali provvedimenti siano stati presi contro il vandalismo commesso a Francofonte (Siracusa) da parecchie centinaia di persone che hanno danneggiato per molti milioni l’acquedotto, che doveva portare l’acqua al paese di Sortino.

«L’interrogante chiede che i lavori siano ripresi e con più sollecitudine per calmare l’agitazione esistente in questo paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per incoraggiare l’allevamento del baco da seta, ritenendo che, se i bozzoli non verranno pagati quel minimo che compensi almeno la mano d’opera necessaria, sarà inevitabile l’abbattimento dei gelsi, come già è stato fatto in alcune zone. Notevoli quantità di bozzoli, raccolti dalle cooperative fra produttori, sono stati essiccati ed oggi sono minacciati dal tarlo, per cui si rende urgente la loro utilizzazione o permettendone l’esportazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chieda di interrogare i Ministri della difesa, dell’agricoltura e foreste e del tesoro, per conoscere quale è d’attuale estensione dei campi tuttora minati e quali provvedimenti intendono finalmente adottare per la sollecita restituzione alla produzione agricola delle terre cosparse di ordigni esplosivi, risultando che numerosi operai specializzati nel rastrellamento di mine sono da vari mesi disoccupati. Nei comandi militari addetti a tale rastrellamento si nota una viva preoccupazione per la fine dei lavori, perché determinerebbe il licenziamento di varie centinaia di impiegati, mentre è urgente che considerevoli estensioni della pianura padana ritornino al più presto alla coltivazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, in base alla nuova disciplina dell’olio d’oliva, non ritenga opportuno oltre che conveniente lasciare libero il commercio delle sanse, in quanto l’ammasso di tale sottoprodotto impone agli agricoltori maggiori spese per la conservazione, nuovi esasperanti controlli ed esige altresì il mantenimento del Consorzio per la distribuzione delle sanse ammassate, per cui i costi della produzione risultano gravati da notevoli ed evitabili spese, che in ogni caso superano quelle derivanti dal maggiore prezzo che verrebbe pagato ai produttori agricoli. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Scotti Alessandro, Caroleo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere i motivi che indussero alla circolare del 31 luglio 1947, numero di protocollo 6079/56, diramata dalla Direzione generale della istruzione elementare, con la quale, negli incarichi delle direzioni didattiche, venne data preferenza ai titoli e alle idoneità conseguite nei precedenti concorsi (l’ultimo è del 1942) nei quali era obbligatorio, per l’ammissione, il certificato di iscrizione al partito fascista.

«E se non ritenga di poter revocare tale circolare, apparendo essa in contrasto con i decreti emanati a favore dei reduci e dei danneggiati politici, nonché rappresentando un evidente danno per coloro che non furono iscritti al regime e perciò esclusi dai concorsi e dagli esami per il conseguimento del titolo.

«Diversamente rimarrebbero valorizzate e ratificate in piena democrazia, quelle arbitrarie situazioni di privilegio elargite nel ventennio agli aderenti alla dittatura in danno di coloro che si sacrificarono per un ideale di libertà e di patria. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«De Caro Raffaele, Cifaldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere in quali condizioni di vita e di lavoro si trovino i profughi di Pola trasferitisi a Fertilia presso Alghero in Sardegna, e quale attualmente sia il numero di essi. Notizie pervenute all’interrogante e altre pubblicate dalla stampa (Giornale d’Italia numeri 154, 180, 187 e 188 di luglio ed agosto 1947) dichiarano che le abitazioni non sono state sistemate, che la disoccupazione è pressoché generale, la mancanza di mezzi, di indumenti e di alimenti grave e penosa (mai avvenuta la promessa distribuzione dei pacchi U.N.R.R.A.); mentre le masserizie dei singoli, depositate nei vari magazzini del continente, non ancora sono state portate alla definitiva destinazione degli interessati. Lente ed estenuanti risultano, specialmente, la deliberazione e la esecuzione dei provvedimenti necessari perché la sistemazione dei profughi in quella regione sia possibile e adeguata, talché molti di essi, esasperati da tale doloroso stato di cose, richiedono di abbandonare la zona, dove una solerte ed efficace opera di assistenza e di organizzazione potrebbe creare notevoli opportunità di lavoro e favorevoli condizioni di vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Corsi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni per le quali non sono stati ancora distribuiti alle Intendenze di finanza i prontuari necessari per il pagamento delle provvidenze concesse dal Governo ai pensionati. Per tale inesplicabile ritardo burocratico i pensionati, le cui gravissime condizioni di disagio meriterebbero la più vigile e tempestiva considerazione da parte delle autorità, non hanno potuto ancora percepire i modesti beneficî loro concessi, che possono appena alleviare quello stato di quasi miseria in cui versano, dopo aver speso tutta una vita al servizio del Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché consideri se non sia il caso di provvedere in qualche modo alla sistemazione degli istruttori di ruolo di quarta classe e dei collegi della disciolta GIL, gruppo B, grado 8°, che hanno perduto tale qualifica (e di conseguenza l’impiego) in data 14 dicembre 1943 per soppressione del ruolo.

«Essi, tutti abilitati all’insegnamento elementare, frequentavano un corso di 12 mesi, dopo il quale furono destinati nei vari collegi per l’insegnamento dell’educazione fisica. Frequentavano, inoltre, in Torino il corso di perfezionamento per insegnanti incaricati di educazione fisica nelle scuole dell’ordine medio.

«Il Commissario nazionale della gioventù italiana, professor Mario Tortonese, ha diramato di recente una circolare ai dipendenti Commissari provinciali, e per conoscenza ai provveditori agli studi, nella quale, fra l’altro, rende noto che sono in corso provvedimenti da parte del Ministero della pubblica istruzione per la sistemazione degli ex-accademisti di Roma e di Orvieto e dei collegi e degli educatori.

«Sembra, dunque, all’interrogante che sia profondamente equo prendere in considerazione anche la situazione dei pochi istitutori (circa un centinaio), di cui innanzi, sistemandoli nei collegi e negli educatori, oppure ammettendoli a frequentare i corsi accelerati di educazione fisica, alla pari degli ex-accademisti del primo anno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, perché consideri se non ritenga necessario intervenire per risolvere, con la sua autorità, il conflitto insorto fra gli armentari del comune di Capracotta (Molise), che si apprestano a discendere con i loro greggi dal monte alla pianura pugliese, ed i proprietari dei terreni, ove negli scorsi anni è stato effettuato il pascolo.

Il conflitto è insorto, avendo i proprietari predetti chiesto agli armentari ben 500.000 lire – da pagarsi anticipatamente – per ogni carro di pascolo (un carro equivale a 80 tomoli di terreno), mentre nello scorso anno agrario furono pagate – non anticipatamente, ma a maggio – 150.000 lire per carro. Se detto fieno dovesse essere pagato così come si chiede, la ricotta dovrebbe essere venduta a non meno di 1000 lire al chilogrammo ed il formaggio a non meno di 3000 lire il chilogrammo. Ma, a parte ciò, è da prevedere che, non potendo gli armentari disporre delle somme occorrenti, si troveranno nella necessità di vendere gli ovini, con gravissime conseguenze facili a prevedere per l’agricoltura molisana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere le ragioni per le quali ha creduto di dovere all’Ospedale civile Cardarelli di Campobasso assegnare un materiale sanitario inferiore di molto, sia a quello richiesto, sia a quello assegnato agli Ospedali delle provincie limitrofe, il che non si sarebbe dovuto verificare, ove si fossero tenuti ben presenti gli urgenti bisogni e le gravi carenze presidiarie dell’ospedale suddetto, notoriamente disastrato dalla guerra e destinato, altresì, per la sua stessa posizione, a servire la più estesa e importante zona di tutta la regione molisana. E per conoscere altresì se non creda, in conseguenza, di provvedere ad una assegnazione suppletiva, in cui venga compresa una stufa di disinfezione, della quale l’Ospedale è completamente sfornito e che non può acquistare per assoluta deficienza di mezzi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se siano a conoscenza dei gravi inconvenienti a cui dà luogo l’attuale organizzazione (o disorganizzazione) della visita sanitaria e della doccia, al passaggio di frontiera di Briga.

Risulta all’interrogante in modo certo e in base a numerose testimonianze scritte, che ogni giorno in detta località di frontiera giovani donne, provenienti dall’Italia e dirette in Svizzera con regolare contratto di lavoro, dopo la visita doganale, vengono fatte spogliare in una baracca (per la disinfezione degli indumenti personali), indi rinchiuse, in attesa del turno per la doccia, munite di una sola coperta da campo, in locale intercomunicante con altro locale destinato a raccogliere gli emigranti di sesso maschile: la parete divisoria in legno non arriva al soffitto ed è, come la porta interna, crivellata di fori.

«Ultimata la doccia, i nostri emigranti hanno a disposizione pochissimi asciugatoi di formato ridotto: sono spesso costretti a servirsi della coperta e debbono perciò attendere, senza alcun riparo, talvolta per parecchie ore, l’arrivo del sanitario per la visita prescritta.

«L’interrogante desidera conoscere quali passi presso il Governo svizzero intendano compiere i competenti Dicasteri, per la salvaguardia della dignità delle nostre donne emigranti e per la tutela della integrità fisica dei nostri emigranti, donne e uomini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Belotti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali ostacoli si oppongono al rimpatrio degli operai militarizzati alle dipendenze dell’arsenale militare marittimo di La Spezia, fatti prigionieri in Africa Orientale e non ancora rimpatriati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Barontini Anelito».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se, in relazione al preoccupante incremento dei casi di intossicazione, verificantisi nelle maestranze delle industrie chimiche, o comunque costrette all’impiego di materiali tossici, non intenda predisporre una norma di legge che impegni in modo categorico i datori di lavoro ad avvicendamenti periodici tra le maestranze specializzate, tali da evitare al fisico dei lavoratori menomazioni durature e forme patologiche inguaribili.

«Rileva l’interrogante che le provvidenze attuali sono, in proposito, assolutamente inadeguate, come insufficiente è la distribuzione di latte supplementare a scopo disintossicativo, in epoca caratterizzata dalla minore resistenza fisica dei lavoratori, conseguenza dei disagi subiti e della difettosa nutrizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Belotti».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLVIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Inversione dell’ordine del giorno:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Laconi

Votazione segreta:

Presidente

Disegno di legge (Presentazione):

Togni, Ministro dell’industria e del commercio

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Scelba, Ministro dell’interno

Lucifero

Codacci Pisanelli

Gronchi

D’Onofrio

Presidente

Chiusura della votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Inversione dell’ordine del giorno.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

Il Ministro dell’interno ha chiesto di rispondere in fine di seduta alle interrogazioni che sono iscritte per prime all’ordine del giorno.

(Così rimane stabilito).

Comunico intanto che anche l’onorevole D’Onofrio ha presentato la seguente interrogazione con richiesta di risposta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i risultati dell’inchiesta sui fatti avvenuti a Piazza Dante a Roma la sera dell’11 ottobre e sulla tragica morte del giovane studente Gervasio Federici».

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ieri sera avevamo arrestato il nostro lavoro in relazione all’articolo 69, auspicando che i presentatori dei vari emendamenti, unitamente al Comitato di redazione, riuscissero prima dell’apertura di questa seduta a redigere un testo concordato dell’articolo stesso. Ciò, infatti, ha potuto raggiungersi e adesso darò lettura del testo concordato.

Resta inteso che il primo e il secondo comma del testo della Commissione restano immutati nella seguente formulazione:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo e con votazione finale.

«Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

Il terzo e il quarto comma risultano così modificati:

«Il Regolamento può altresì stabilire ì casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione dei disegni di legge siano deferiti a Commissioni anche permanenti, costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari. Sarà altresì sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione di opporsi a tale procedimento o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera. Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 69 nel testo originario della Commissione:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera, secondo le norme del rispettivo regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo e con votazione finale».

(È approvato).

Gli onorevoli Laconi e Grieco hanno presentato il seguente emendamento che, sul punto considerato, ritorna al testo primitivo della Commissione.

«Al primo comma, sostituire alle parole: con votazione complessiva, le parole: con votazione finale a scrutinio segreto».

Su questo emendamento è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Lucifero, Colitto, Rodinò Mario, Mastrojanni, Corsini, Penna Ottavia, Rodi, Abozzi, Miccolis, Russo Perez, Lombardi Riccardo, Veroni, Mazza, Nasi, Foa, Rognoni, Bencivenga, Zuccarini, Cevolotto, De Vita.

Non essendo presenti tutti i firmatari della richiesta, chiedo se sia appoggiata da venti deputati.

LACONI. Il Gruppo comunista l’appoggia.

PRESIDENTE. La richiesta risulta pertanto appoggiata.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento presentato dagli onorevoli Laconi e Grieco, testé letto.

Desidero chiarire che non si pone qui il problema della esclusione dello scrutinio segreto come sistema di votazione dal Regolamento delle Camere.

(Segue la votazione).

Le urne rimarranno aperte. Intanto procediamo nello svolgimento dell’ordine del giorno.

Presentazione di un disegno di legge.

TOGNI, Ministro dell’industria e del commercio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGNI, Ministro dell’industria e del commercio. Mi onoro di presentare alla Camera il disegno di legge sulla soppressione e liquidazione dell’Ufficio nazionale metalli, pregando che l’esame da parte dell’Assemblea abbia luogo al più presto.

PRESIDENTE. Do atto della presentazione di questo disegno di legge, che sarà inviato alla Commissione competente, tenendosi conto del desiderio del Ministro.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Passiamo allo svolgimento delle interrogazioni.

Sono state presentate le seguenti interrogazioni relative allo stesso argomento, che possono essere svolte congiuntamente:

Lucifero, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti siano stati presi a carico dei responsabili diretti ed indiretti della devastazione della tipografia del Corriere del Giorno di Taranto e per impedire il ripetersi di nuovi attentati alla libertà di stampa»;

Codacci Pisanelli, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti siano stati presi per scoprire i responsabili della distruzione della tipografia del giornale Il Corriere del Giorno premeditatamente perpetrata in Taranto nelle prime ore del pomeriggio di sabato, 11 ottobre, da una schiera di partecipanti alla manifestazione organizzata principalmente per iniziativa del Partito comunista; e per conoscere se non intenda promuovere un provvedimento legislativo che integri il progetto di legge per la difesa delle istituzioni, stabilendo e precisando la responsabilità dei partiti, le cui manifestazioni si risolvono in simili atti di vandalico terrorismo squadrista, che sopprimono praticamente ogni libertà e consentono ai mandanti e agli esecutori di trincerarsi dietro l’estrema difficoltà di indagini, caratteristica dei delitti di folla».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. A seguito degli incidenti di Piazza Colonna, il giorno successivo, a Taranto, su ordine della Camera del lavoro, venne proclamato lo sciopero generale. Una colonna di dimostranti si indirizzava alla Prefettura ed una delegazione si portava dal prefetto per presentare un ordine del giorno di protesta.

Nello stesso tempo, altri gruppi di dimostranti si indirizzavano verso la città e tentavano di dare l’assalto alla sede dei partiti politici avversi, ed un gruppo si recava alla sede dell’unico quotidiano locale, Il Corriere di Giorno, procedendo alla devastazione del locale stesso e arrecando notevoli danni al macchinario. Questi, i fatti nella loro scheletrica e nuda semplicità. Di questi fatti, quando si è detto che si tratta di una manifestazione di teppismo fascista, ritengo si sia detto tutto; perché era proprio del fascismo il sistema di distruggere non soltanto le sedi dei partiti avversari ma soprattutto i giornali politici, le voci della libera stampa, che rappresentano l’espressione più alta della democrazia. Ritengo che ogni deplorazione sia superflua. L’autorità giudiziaria ha iniziato le sue indagini. Sono state arrestate otto persone; e tutti quanti noi, che teniamo altamente a che siano salvaguardate le libertà democratiche, ci auguriamo che la Magistratura dia un pronto severo giudizio.

PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LUCIFERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando il Ministro dell’interno qualifica i fatti di Taranto come manifestazione di teppismo fascista, io non posso che dichiararmi sodisfatto di questa definizione su quanto è avvenuto. Però, mi consenta il Ministro dell’interno, io gli avevo chiesto qualche cosa di più ed aspettavo una risposta ad una precisa domanda. Io non credo che ci possa essere discussione sul giudizio che meritano certe manifestazioni; e il giudizio non può essere che quello che ha espresso il Ministro dell’interno e che io faccio mio, come penso faccia ogni sincero democratico. Ma al Ministro dell’interno noi chiediamo qualche cosa di più; dal Ministro dell’interno vogliamo sapere: primo, che cosa ha fatto per impedire che simili fatti si verifichino; secondo, che cosa ha fatto per punire i responsabili diretti e indiretti di questo fatto.

Dice il Ministro dell’interno: «sono state arrestate otto persone». Sono stati arrestati otto piccoli poveri diavoli, che sono stati mandati ed hanno eseguito degli ordini, probabilmente senza sapere nemmeno questi ordini che cosa comportassero. Ma quello che è avvenuto è diverso. Io non entrerò nell’esame dei fatti, né nell’esame della situazione particolare della città di Taranto ove, come in altre parti d’Italia, si è creata una specie di repubblica autonoma a partito unico; perché questo meglio di me e con maggiore cognizione di me farà l’onorevole Codacci Pisanelli. Io mi limiterò a due fatti. Uno riguarda direttamente il Ministro dell’interno: il comizio e il corteo, come il Ministro ha accennato, sono avvenuti senza preventiva autorizzazione dell’autorità competente; ed io che ho sempre votato contro l’obbligo di queste autorizzazioni, su questo non ho nulla da dire. Ma l’autorità competente lo sapeva, e la polizia era presente. Non solo, ma quella ramificazione di comizianti che si è diretta a devastare gli uffici del Corriere del Giorno è stata scortata dalla polizia. La polizia ha accompagnato questi signori fino sul posto; è stata a vedere tranquillamente come si devastava, e dopo venti minuti quelli se ne sono andati indisturbati; e la polizia avrà fatto un bel rapporto. E questo è il primo punto sul quale il Ministro non ha risposto.

Secondo: al Ministro dell’interno devo domandare quali provvedimenti egli ha preso contro i responsabili indiretti: perché ci sono due responsabilità indirette, onorevole Scelba: una la riguarda come capo dell’amministrazione, cioè come responsabile diretto degli uffici di polizia, che non hanno saputo impedire che i fatti avvenissero; ma vi sono altre responsabilità indirette, che riguardano tutti coloro che predicano l’odio, che tirano i sassi e ritirano la mano, che mandano a distruggere l’unica tipografia di Taranto, nella speranza che un certo giornale non esca più, dopo aver fatto una sistematica campagna contro questo giornale, e poi mandano una lettera di scusa per deplorare che il fatto, che hanno incitato a fare, sia stato compiuto.

Noi non possiamo dimenticare una cosa. Si organizzano dimostrazioni contro il Movimento sociale italiano, ma si va a distruggere il giornale di Armando Zanetti; e questo legittima ogni sospetto. Per quanto possano essere giustificati i sospetti contro questo o quel movimento politico, che sembri riecheggiare note che tutti deprechiamo, non vi possono essere sospetti su un uomo, che, in miseria ed in dignità, ha fatto 17 anni di esilio ed ha combattuto sempre una battaglia di antifascismo e di libertà con tutti coloro, che combattevano contro il fascismo e per la libertà, di qualunque colore.

Quindi, la manovra è più vasta ed è voluta. Molto spesso i fantasmi più o meno reali del neo fascismo o del vecchio fascismo rigurgitante, che tutti respingiamo, servono per mascherare e giustificare azioni, che si rivolgono non in quella direzione, ma in direzioni diverse.

Infine, onorevole Ministro ed onorevoli colleghi, questo è il primo attentato contro il bene supremo, che tutti abbiamo in comune: la libertà di stampa. Qui non soltanto si sono distrutti i mezzi di lavoro di parecchie famiglie, non solo si è distrutto un patrimonio, che per una città è una ricchezza, perché era l’unica tipografia di Taranto; ma si è distrutto e si è voluto distruggere un mezzo di espressione del pensiero politico; e si è voluto distruggerlo nella figura di un giornale, diretto da un antifascista noto e indiscusso, di un giornale che ha sempre ospitato i comunicati e le opinioni di tutti.

Noi non possiamo consentire, onorevole Ministro, che questi fatti si ripetano; perché questi fatti si ripeteranno. Da questi banchi non si alzerà mai una voce che dica: noi difenderemo con nostri mezzi le libertà democratiche. Siete voi, signori del Governo, che dovete tutelare le nostre libertà e le libertà di tutti; e noi vi richiamiamo al vostro dovere, perché siete voi che ci rispondete della nostra libertà e di quella dei nostri concittadini di tutte le opinioni. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CODACCI PISANELLI. Ho ascoltato con soddisfazione le comprensive dichiarazioni dell’onorevole Ministro, il quale ha voluto rispondere con esemplare prontezza alle due interrogazioni relative ai fatti di Taranto.

Ritengo, tuttavia, opportuno ricordare le circostanze ambientali, che hanno determinato i fatti veramente incresciosi, di cui ci occupiamo.

Già da parecchio tempo contro II Corriere del Giorno, quotidiano indipendente di informazioni, che aveva dato ospitalità a comunicati e ad articoli di ogni tendenza, vi erano state minacce. Le ragioni erano chiare: il giornale aveva osato criticare un’amministrazione a partito unico e, soprattutto, aveva osato riprovare alcune manifestazioni di intolleranza, verificatesi non nei riguardi del partito, al quale appartengo, ma nei confronti di un collega del Partito socialista dei lavoratori italiani, venuto a tenere un comizio nel giugno scorso; e, successivamente, nei confronti di un avvocato che teneva un comizio per l’Uomo qualunque. Tali comizi non poterono aver luogo ed il giornale osò protestare: soltanto per questo fu additato quale reazionario e quale un giornale dei nemici dei lavoratori. Non mancarono più o meno larvate minacce in pubblici comizi in cui si diceva che i locali del giornale avrebbero dovuto essere devastati.

Anche nella manifestazione del 20 settembre i comizianti si scagliarono contro la stampa dei reazionari e additarono pubblicamente il Corriere del Giorno, unico quotidiano del Salento, come uno degli organi di simile stampa: si provvide cioè ad incitare contro il quotidiano di Taranto il pubblico che assisteva alla manifestazione. Si può dire, quindi, che era inevitabile la conseguenza, ammesso che non fosse stata già preordinata. Il comizio si sciolse e si formò un corteo che passò per la principale via di Taranto, via d’Aquino, e poco oltre, arrivato all’altezza di via Acclavio, deviò decisamente verso i locali di questo giornale che, per usare una ormai nota terminologia, aveva compiuto la provocazione di installare i suoi impianti in quel luogo. Cacciati fuori gli operai, che si trovavano nei locali, si procedette alla devastazione completa di tutto quanto vi era; distruzione dei macchinari ed asportazione dei caratteri e dei materiali che erano nei locali stessi.

È necessario che io richiami l’attenzione dell’Assemblea sulla gravità di tali fatti, che non sfugge a nessuno, anche perché tutti ricordiamo come nel 1922 una delle più comuni manifestazioni di violenza e di sopraffazione consisteva nel distruggere le sedi dei giornali, perché non fosse assolutamente possibile far sentire una libera voce.

A Taranto e nel Salento, non si era riusciti a costituire che un quotidiano: era questo ed ora è stato distrutto, e numerosi lavoratori sono rimasti senza lavoro. Come ho già detto, si tratta proprio di una manifestazione preordinata, rivolta a far tacere chi aveva osato levare una voce di critica.

Non è stato il solo episodio. Altri ne abbiamo avuti e di questi dovremo occuparci successivamente, ma penso sia doveroso fin d’ora richiamare l’attenzione di tutti i colleghi sul grave episodio, perché non si pensi che noi siamo disposti a lasciarci illudere da certe verbose dichiarazioni in netto contrasto con l’attività di chi le pronunzia. Certi puritani monopolisti dell’antifascismo debbono rendersi conto che non intendiamo combattere solo chi a parole o con canti dimostra nostalgie squadriste, ma, con energia anche maggiore, siamo decisi a combattere coloro che mostrano di volere restaurare la tirannia con l’assai più espressiva eloquenza dei fatti. (Vivi applausi al centro e a destra).

Colgo l’occasione per attirare l’attenzione dell’onorevole Ministro, al quale avevo rivolta al riguardo un’esplicita richiesta, sulla necessità di adeguare la nostra legislazione penale alle attuali condizioni. Non basta punire i singoli, oggi che i partiti sono chiamati effettivamente a svolgere una loro funzione nella vita pubblica: oggi che occorre riconoscere costituzionalmente l’importanza dei partiti, bisogna che, nel dare ad essi piene responsabilità e adeguati poteri, si stabilisca una loro responsabilità non solo civile, ma, ove occorra, anche penale (Commenti a sinistra) perché è troppo facile eccitare all’odio ed alla lotta e poi trincerarsi dietro la nebbia del delitto di folla. (Vivi applausi al centro – Commenti a sinistra).

Voglio sollevarmi al di sopra della questione momentanea, ma richiamo l’attenzione di tutta l’Assemblea, che in questo momento sta esaminando attraverso i suoi organi la necessità di difendere le istituzioni democratiche, voglio richiamare l’attenzione di tutti sulla opportunità di immettere i partiti nella vita costituzionale e precisare bene quali siano i loro poteri e quali le loro responsabilità.

È necessario difendere le istituzioni contro queste minacce di terrorismo e di tirannia, perché proprio di tirannia si tratta, non solo a Taranto, ma in varie altre parti d’Italia, in tutte quelle parti d’Italia dove risuona, ancora oggi di particolare e strana attualità, l’invettiva dantesca: «che le terre d’Italia tutte piene solo di tiranni, ed un Marcel diventa ogni villan che parteggiando viene. (Commenti a sinistra).

Comunque, questa affermazione può considerarsi non soltanto per i fatti di Taranto ma per tutti gli altri. È un appello che rivolgo di fronte alla vile devastazione per la quale non posso condividere il biasimo, rivolto dall’oratore che mi ha preceduto, alla pubblica sicurezza, la quale, secondo quanto mi risulta, ha fatto quello che era in suo potere, e soprattutto non è esatto che abbia scortato i dimostranti nei locali.

Tengo, poi, a far notare che, compiuto l’arresto dei principali indiziati, il giorno successivo è stato tenuta in Taranto una nuova manifestazione per esaltare il gesto compiuto nel giorno precedente, e la manifestazione si è conclusa di fronte alla pubblica autorità per costringerla a rimettere in libertà coloro i quali siano stati fermati. Le autorità hanno fermamente e dignitosamente resistito, e di questo desidero che sia rivolto loro un plauso, mentre non posso plaudire agli episodi recenti nei quali altre autorità non hanno saputo agire con altrettanta fermezza.

Rivolgo quindi, un appello perché agisca con energia l’appello di chi sin dall’ingresso in questa Assemblea ha sempre combattuto il tripartito appunto perché intendeva che vi fosse una forte e leale opposizione, ma questa opposizione desidera che sia leale, cioè tale da contribuire realmente al bene del nostro Paese; opposizione leale che piace soprattutto a quanti sono contrari a concepire negli altri la slealtà, appunto perché abituati sempre ad agire con lealtà ad oltranza.

Questa nuova esortazione mi auguro venga accolta, anche se vari indizi fanno supporre che ancora una volta potrà rimanere inascoltata. E se non verrà accolta… dovrei qui, secondo lo stile di certi partiti, fare una minaccia, ma minacce noi non facciamo, non facciamo minacce noi che siamo abituati a reprimere nel silenzio il nostro dolore dinanzi ai nostri caduti per raccoglierne meditando la sacra eredità. Non è questo lo stile di chi di fronte a simili episodi di violenza, rifugge dal manifestare il proprio dolore con preordinate astensioni dal lavoro, che si risolvono in danno della produzione, cioè aggravano ulteriormente le sofferenze di quanti vivono in quotidiana lotta con la miseria.

Soprattutto ho voluto rivolgere questa esortazione perché sono convinto che la giustizia, la quale procede con passo lento ma inesorabile, finirà per affermarsi nella pubblica opinione. È proprio per effetto di questa graduale affermazione, che dovunque oggi nel mondo, dopo il sinistro imperversare di certe sinistre, fatale conseguenza delle catastrofi storiche, i popoli, stanchi di terrorismo e di demagogia si volgono ormai verso una più fausta parte dei Parlamenti, invocando salvezza. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Gronchi, Uberti, Angelucci, Moro, Piccioni, Guidi Cingolani Angela, Giordani, Taviani, Di Fausto, Bonomi Paolo, Orlando Camillo, De Palma, Corsanego, Coccia, Dominedò, Caronia, hanno presentato la seguente interrogazione, al Ministro dell’interno, «per conoscere i risultati definitivi delle indagini sul bestiale assassinio dello studente Gervasio Federici, ed i provvedimenti che il Governo intende adottare, affinché la lotta politica non vada progressivamente degenerando in guerra civile, come vari recenti episodi fanno temere».

L’onorevole D’Onofrio ha presentato la seguente interrogazione, al Ministro dell’interno, «per conoscere i risultati dell’inchiesta sui fatti avvenuti a Piazza Dante a Roma la sera dell’11 ottobre e sulla tragica morte del giovane studente Gervasio Federici».

Le due interrogazioni potranno essere svolte congiuntamente, trattando materia analoga. L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, le indagini prontamente esperite nella notte stessa del delitto mettevano in luce che una giovane donna vestita di rosso, e che faceva la borsa nera a Piazza Vittorio, aveva incitato all’assassinio; poi aveva tentato di impedire che si portasse soccorso alla vittima ed infine aveva vilipeso il giovane morente.

Subito individuata la donna nella persona di Felicetta Graziani veniva arrestata. Essa, dopo poche ore dal delitto, confessava la partecipazione ai fatti e forniva i particolari più salienti del tragico episodio. Dalle sue dichiarazioni risulta che al giovane Gervasio Federici, rimasto isolato in mezzo ad una turba di fanatici, fu intimato di gridare «Viva il comunismo».

Alla inaudita intimazione il giovane rispondeva «Morte al comunismo». Spinto contro il muro gli veniva inferta una coltellata nella schiena che raggiungeva la colonna vertebrale determinando la morte in pochi minuti per emorragia interna.

La Graziani non ha taciuto che il giovane mantenne contegno fierissimo e si sarebbe salvato se avesse accettata l’intimazione dei suoi aggressori. La stessa Graziani indicava nel compagno Alfredo Pozzi l’autore materiale del delitto. Aggiungeva che recatasi subito dopo il fatto alla sede della vicina sezione comunista incontrava il Pozzi, il quale si informava ansiosamente delle condizioni del ferito ed avuta notizia che questi era moribondo, si allontanava dichiarando che per tutta la vita avrebbe portato il rimorso dell’omicidio.

Queste dichiarazioni la Graziani ha confermato davanti al Procuratore della Repubblica prontamente chiamato.

La confessione della Graziani veniva resa alle ore 8 di domenica. Le ricerche effettuate dalla polizia durante la giornata di domenica e di lunedì alla casa del Pozzi e nel luogo di lavoro davano esito negativo. Il Pozzi si è costituito la sera di lunedì. Benché la confessione della Graziani fosse stata resa fin dalle prime ore del mattino di domenica, per un riguardo alle indagini in corso e nonostante l’ansiosa attesa della cittadinanza, la notizia veniva taciuta. Nel pomeriggio di domenica venivo informato che da elementi del Blocco venivano portati in giro per la città, su carrozzelle, grandi cartelli annunzianti l’arresto dell’assassino; e presso le sedi delle sezioni elettorali veniva diffuso un manifestino del seguente tenore: «Blocco del Popolo. Oggi alle ore 13 è stato arrestato il responsabile dell’omicidio dello studente democristiano Gervasio Federici, avvenuto ieri sera a Piazza Dante nella persona di un fascista repubblichino, reduce dal campo di concentramento di Coltano, domiciliato nel vicino Campo profughi. Cadono così tutte le infamanti accuse della stampa cosiddetta indipendente contro il Blocco del Popolo».

Di fronte all’evidente e tendenzioso falso, autorizzavo l’emissione del noto comunicato. Il comunicato fu diramato alle ore 19.40 e trasmesso col giornale radio delle ore 20, quando già le operazioni elettorali erano finite, o volgevano al termine.

Se tutti c’inchiniamo di fronte a chi testimonia, sino al sacrificio della vita, la fede nel proprio ideale, anche se per avventura erroneo o malefico, il nome di Gervasio Federici s’iscrive nell’albo glorioso del martirologio degli assertori di umane, civili e cristiane libertà; e un popolo libero addita il Suo sacrificio – monito ai vivi – all’ammirazione delle future generazioni.

Ciò sia di conforto all’inenarrabile dolore della famiglia alla quale, a nome del Governo, esprimo il sentimento del più profondo cordoglio. (L’Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi).

Onorevoli colleghi, l’episodio doloroso, rappresenta la più triste, la più tragica conclusione di una serie di manifestazioni che hanno caratterizzata la campagna elettorale romana e che devono richiamare la seria attenzione di questa Assemblea e del popolo italiano.

Qui non ci troviamo di fronte a un fatto per cui si può parlare di causa a effetto: Gervasio Federici non era un fascista repubblichino, non era un reazionario. Aveva combattuto tra i partigiani, in difesa della libertà del nostro Paese; era un democristiano.

Durante la lotta elettorale rappresentanti di partiti, che si erano distinti nella lotta per la libertà hanno subito l’oltraggio della violenza. Un deputato, l’onorevole Matteotti, è stato malmenato in Roma; altri deputati di partiti schiettamente democratici non hanno potuto parlare.

Manifestazioni di questo genere vanno ripetendosi in più parti d’Italia. L’episodio de Il Corriere del Giorno di Taranto non è isolato.

Di fronte a questi fatti, onorevoli colleghi, sorge un problema morale ed un problema politico. Problema morale: come è possibile che giovani, ragazzi, arrivino fino all’assassinio dell’avversario politico. Problema politico: di fronte al manifestarsi, all’intensificarsi di queste violenze, di questi attentati alla libertà; di fronte all’assassinio del Federici, l’opinione pubblica subisce profonde e vaste ripercussioni, e sono facili le comparazioni con altri tempi, onorevoli colleghi. E le ripercussioni che l’opinione pubblica subisce non possono essere corrette col confino di polizia o con leggi in difesa della Repubblica, con leggi eccezionali; perché nessuna legge eccezionale potrà impedire l’esplodere della ribellione dell’opinione pubblica a sistematici e generali attentati alla libertà. C’è un problema politico ed è questo: nell’interesse del Paese e della democrazia, noi non possiamo lasciare che la libertà sia più oltre insultata; non possiamo lasciar sorgere nel popolo italiano la convinzione che per difendere la propria libertà è necessario il ricorso alle armi, all’autodifesa del partito e dei gruppi; non possiamo lasciare che in Italia rinasca quella psicologia diciannovista che portò alle tragiche conseguenze di cui oggi ancora noi siamo le vittime e gli eredi.

Il problema politico riguarda i partiti e riguarda il Governo. Riguarda soprattutto i partiti democratici, coloro i quali credono che per la libertà si muore, non si uccide; riguarda il Governo al quale spetta il dovere di assicurare la libertà ai cittadini.

Di fronte al tragico episodio, io non vorrei dir parola che sonasse offesa a chicchessia; ma vorrei rivolgere soltanto un appello. Un appello perché, di fronte a questo episodio, di fronte al sangue versato, ciascuno di noi rientri in se stesso; e, di fronte al pericolo e al baratro che si apre dinanzi al Paese, si rientri nell’alveo della legalità; e ciascun partito comprenda che soltanto con i mezzi della democrazia e delle leali competizioni è lecito affermare il proprio diritto, e che ogni altro mezzo deve essere bandito.

Io penso che unanime debba essere l’esecrazione: ma non servirebbe a nulla l’esecrazione se dal sangue di questo giovane non sorgesse un monito e non sorgesse soprattutto un impegno morale di tutti noi a rispettare la libertà degli altri.

Il Governo che vuol rimanere sul terreno della democrazia; il Governo che anche di fronte a manifestazioni troppo ovviamente faziose, non si lascia sedurre dalla tentazione di ricorrere a mezzi eccezionali, il Governo si fa tuttavia garante di fronte al Parlamento e di fronte al Paese che si servirà di tutti i mezzi legali per garantire la libertà e la democrazia. (Vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Gronchi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GRONCHI. Onorevoli colleghi, io non vorrei – e spero che ciò non sia – che la mia replica alla risposta che l’onorevole Ministro dell’interno ha dato alla nostra interrogazione suonasse, anche soltanto nella forma, inopportunamente polemica. Dinanzi alla maestà della morte, specie quando essa assume aspetti così pietosi insieme e raccapriccianti, abbattendosi con tanta brutalità su una fiorente giovinezza, la rissa politica deve tacere, e le considerazioni, più che ad analizzare i dati del tristissimo avvenimento, più che a ricercare in una complicata esegesi politica quali ne possano essere le origini, devono essere rivolte verso l’avvenire; quasi un monito ad elevare la nostra vita politica a forme più civili e più degne.

Il Ministro dell’interno ha pronunciato nobili parole e le ha pronunciate con fermezza; ma egli mi consenta di dire come nell’animo di noi, non più giovani, si rifacciano vivi e angosciosi certi richiami del passato. Anche allora, dinanzi alla degenerazione delle lotte di partito che andava facendosi più grave, si elevavano accorati appelli da più parti della Camera acché la vita politica si allontanasse da forme e da mentalità di violenza; anche allora si invocava che il sangue sparso segnasse la fine di un sistema e aprisse le possibilità di una convivenza sociale più alta. La vicenda che ne seguì, e che noi tutti ricordiamo, anche perché vive tuttora nelle rovine delle nostre città, nel dolore delle nostre donne, nelle infinite devastazioni materiali e morali, di cui oggi l’Italia offre il doloroso spettacolo, condusse con tragico crescendo ad aggravare la situazione talmente, da rivelare, da un lato, impotenza dello Stato a dominarla, e dall’altro, determinazione violenta di una fazione per conquistare ed opprimere.

Ecco il monito che dovrebbe sorgere da questo triste, raccapricciante episodio.

Ha notato qualcuno che è profondamente significativo che soprattutto nella giovinezza, e nella prima giovinezza, questo germe dell’odio sia così operante e feroce. Questo è un segno che la lotta politica va regredendo verso sistemi, verso mentalità, di fanatismo, che sono inconciliabili con la tolleranza di ogni libera competizione politica. Segno è che la fede, che le fedi politiche varcano spesso quel confine del fervore, che è caratteristico delle sincere adesioni ad una idea, per abbassarsi ad una cieca superstizione, che è sinonimo di intolleranza. E allora si spiega come l’avversario politico – sia esso un individuo o sia un giornale – non debba essere, non possa essere combattuto con una tenace, sia pure impetuosa, propaganda, ma debba addirittura essere eliminato e soppresso.

Questo della violenza, o colleghi – inutile filosofeggiare sulle teorie o sulle esperienze del passato – è un triste pericolo per tutti i popoli. Questa suggestione della violenza che si insinua e finisce per colorare di sé ogni affermazione della propria idea, offre sviluppi e vicende che vanno oltre al pensiero, alle intenzioni, spesso alla buona volontà medesima, di coloro che vi soggiacciono. E quando io ho visto, anche in questa Assemblea, pronti non soltanto all’invettiva, ma anche alle vie di fatto, colleghi di certi settori, è accaduto a me, che rifuggendo dalla violenza non credo di avere il temperamento di un pavido (e sia lecito a questo proposito ricordare quanti di noi che pensano in questo modo hanno operato e nella guerra e nella lotta partigiana), di sentire quanto tristemente e pericolosamente significativa sia questa disposizione di animo, la quale esplode anche in episodi singoli, e di trarne – lasciate che ve lo dica – quasi il senso di un pericolo, che accresce l’amarezza del nostro animo in questo momento di lutto fraterno. Perché mi viene fatto di riflettere come episodi parlamentari, in apparenza insignificanti, si ripercuotono spesso nel Paese come il segno di un’intolleranza, che menti più semplici e rudi, meno capaci di giudizio adeguato, scambiano per un incitamento ad adoperare forme uguali nella lotta politica del Paese.

Quando – non ricordo precisamente in quale seduta – ad esempio, il collega Salizzoni mostrò i segni di un’aggressione che aveva subito, e dalla vostra parte (Indica la sinistra), o colleghi comunisti, una voce si levò ghignando: «Ne hai ricevute poche!», lasciate che io dica che tali atteggiamenti (sebbene non siano forse registrati da nessun resoconto della Camera) dànno a noi veramente il tormento di una estrema perplessità per l’affermarsi ed il consolidarsi della democrazia e della libertà nella nostra Italia. Perché, o colleghi di ogni parte della Camera, la libertà e la democrazia non trovano reale garanzia in nessun ordinamento se non sono divenute un costume, se non sono un modo di pensare e un modo di vivere, se cioè la legge non è che la codificazione di quanto è sentito profondamente dagli strati più larghi della collettività nazionale come una provvida esigenza comune. Ché altrimenti, la legge non può che raccomandarsi semplicemente alla sua efficacia di repressione, e la repressione è inefficiente quasi sempre, quando manca il senso della responsabilità nella coscienza collettiva.

Quando sentiamo parlare da ogni parte della Camera di pacificazione o di unità nazionale, noi rimaniamo alquanto scettici che l’una o l’altra si possano realizzare ove il costume politico non si corregga; noi, che crediamo di dare esempio di non ricorso alla violenza (non citatemi faticosamente qualche esempio o qualche episodio isolato, perché sta di fatto che noi annoveriamo un infinitamente maggior numero di percossi che non di percotitori, nel passato, nel presente e probabilmente nell’avvenire), noi, che obbediamo ad una legge la quale ci dà nella sua esperienza millenaria la riprova che vale più morire per la propria idea che non uccidere per essa.

Il Governo afferma – e di ciò gli diamo atto – che esso è cosciente della sua responsabilità ed è deciso a compiere ogni sforzo. Lo compia ed affronti con estrema chiarezza e con equanime energia la situazione! Non nascondiamoci i fatti che si vanno svolgendo sotto i nostri occhi, la situazione effettiva che vive sotto i nostri occhi! Troppe armi sono ancora in mano di troppa gente; triste fenomeno inevitabile dopo una guerra che ha percorso – si può dire – varie volte la nostra penisola in lungo e in largo, ma problema che, esaminato fin qui troppo spesso con retorica e politica superficialità, è rimasto insoluto per troppo larga parte.

Queste armi che esistono, queste organizzazioni che vanno formandosi (si fanno i nomi di capi che neppure essi dissimulano di avere compiti militari), queste iniziative che stanno fra il militaresco ed il politico, possono rendere vano ad un certo momento lo sforzo del Governo di imporre sopra la rissa politica, o peggio civile, l’autorità dello Stato. Anche nel 1920 e nel 1921, io ricordo, vi era una esposizione sistematica di buone intenzioni dei Governi che si succedettero, ma, poiché allora si lasciò armare come oggi si lascia armati, la forza e l’autorità ed il prestigio dello Stato vennero travolti.

Noi vogliamo che ciò non sia, noi ci auguriamo tutti che non sia, ma il problema dobbiamo porcelo; ed il Governo, che sta veramente al disopra delle aspre vicende dei partiti, deve rendersi conto come il pericolo esista, sia da parte di coloro i quali – dallo spirito di guerra e dallo spirito partigiano o da ideologie rivoluzionarie – hanno ereditato una mentalità di violenza che portano più o meno consapevolmente nella lotta politica, sia anche da parte di altri che più o meno apertamente vanno vagheggiando, con mentalità ugualmente antidemocratica ed illegale, rivolgimenti e ritorni, che noi, pur non sopravalutando, intendiamo di considerare nella loro potenziale consistenza e nel grado di pericolo che per il nostro Paese essi rappresentano.

E questo dico non per esortare il Governo; poiché so che esso segue da vicino anche questa attività di nostalgici la quale va intensificandosi da ogni parte, e se può essere talvolta esagerata come pretesto per ritorsioni ancora più violente, non può negarsi che esista in atto, con forme più o meno palesi. Ma per richiamare ancora una volta che non in una geometrica posizione di centro si deve simboleggiare l’azione di questo Governo; non nello sforzo di equidistanza fra due forze e due tendenze opposte: bensì nella consapevolezza che esso possiede – ne siamo sicuri – della necessità e del dovere di dare prestigio all’autorità dello Stato; autorità, che esso deve sapere imporre a tutti i cittadini insieme per la comune libertà, così che la lotta e la propaganda politica in ogni grado si svolgano nei limiti della legalità, cioè della tolleranza reciproca e del rispetto della legge, che sono inseparabili in un regime di effettiva democrazia.

Questa autorità dello Stato noi invochiamo, esprimendo la piena fiducia che le parole dette oggi dal Ministro segnino la sua linea di condotta inflessibile.

Sappiamo benissimo di non poter chiedere tutto al Governo e alla legge, e perciò quello che qualche scettico potrà definire un patetico appello a tutte le parti della Camera, risuona sul mio labbro mentre termino queste brevi parole. Credo che noi siamo in molti qui, in tutti direi – perché ho fiducia nello spirito di fedeltà e di devozione alle istituzioni parlamentari, che sono per eccellenza le istituzioni democratiche, da parte degli uomini che qui dentro siedono – credo che siamo tutti persuasi che una disciplina liberamente accettata risponda all’interesse del Paese e giovi allo svolgersi di una progressiva libertà e di una sempre meglio affermantesi democrazia. Ma ricordiamoci che tali invocazioni, se non le tradurremo in atto nella nostra condotta individuale e nelle attività di partito, possono apparire cinico espediente di abilità politica che copre metodi di disordine e di illegalità, ed offrire così il pretesto d’invocare ritorni che deprechiamo.

Nella vita politica vi è sempre un gioco di azione e di reazione spesso sottile che va tenuto presente, mentre i partiti spesso dimenticano che cosa possa provocare, nella coscienza dei singoli e in quella degli strati più sensibili della cosiddetta pubblica opinione, certo modo di concepire e condurre la lotta politica.

Attaccando l’avversario con metodi che offendono la libertà e la democrazia, spesso trasciniamo gli altri ad orientarsi verso forme di autorità, come fu anche per il fascismo. Quanto più ci allontaniamo dall’origine di questo, tanto più chiaramente avvertiamo che alla sua base iniziale stava un certo fermento idealistico che poi miseramente finì soffocato dalle dure esigenze della dittatura. Fermento idealistico vivo e naturale in piccola gente, la quale non aveva da difendere alcun privilegio, che non doveva conservare alcuna terra che non possedeva, ma che rampollava da un istinto di libertà ed insorgeva a reagire contro infatuazioni rivoluzionarie, oppressive della libertà.

L’onorevole Nenni ci ha detto: «Abbiamo superato il diciannovismo». Io voglio intendere questo diciannovismo nel senso più integrale, e raccogliere dalla sua parola questo senso di responsabilità che ci conduce a persuaderci come l’insurrezione e la violenza non siano sempre le migliori levatrici della storia, e portino spesso a turbamenti profondi di portata ed effetti incalcolabili ed imprevedibili per coloro che le provocano.

Perciò noi, per convinzione e per esperienza, rimaniamo decisamente fedeli al metodo della democrazia, a quel metodo che riconosce nello Stato il custode di tutte le libertà ed il garante della comune eguaglianza di fronte alla legge.

Questo morto giovinetto deve avere in questo culto della libertà l’omaggio dei suoi compagni di fede, che intendono raccogliere la sua definitiva testimonianza feconda: resistere validamente contro l’intimidazione e la violenza, contro le suggestioni dell’odio, che segnano l’anticiviltà per il nostro Paese, per l’intera umanità. Questo vuol dire che noi siamo, ed intendiamo rimanere rigidamente fedeli ai metodi della libertà e della democrazia, ed aiutare con ogni nostro sforzo il Governo, che ne deve essere garante e responsabile, affinché a tale nostra linea di condotta corrisponda la sua politica. (Vivissimi applausi al centro ed a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole D’Onofrio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

D’ONOFRIO. Onorevoli colleghi, ho ascoltato con attenzione quanto il Ministro dell’interno ha dichiarato circa gli incresciosi avvenimenti di sabato sera (Commenti al centro). Ma nelle parole del Ministro dell’interno non ho trovato quella serenità e quella obiettività di giudizio che devono essere proprie di un membro del Governo, soprattutto qui in Parlamento, perché se è vero che è avvenuto un fatto increscioso (Commenti), deprecato e condannato da tutti, è però anche vero che su questo luttuoso avvenimento si è speculato e si continua a speculare. (Prolungati rumori ed interruzioni al centro e a destra).

Una voce al centro. Vorrei vedere se fosse stato un comunista cosa sarebbe successo! (Proteste a sinistra – Scambio di apostrofi).

D’ONOFRIO. Il fatto è grave, deplorevole e tanto più deprecabile in quanto da parte dei Partiti aderenti al Blocco del popolo è stato fatto durante tutta la campagna elettorale ogni sforzo (Commenti al centro) per evitare che la competizione elettorale a Roma fosse turbata da avvenimenti che non fanno onore alla cittadinanza, né ai partiti che sono in Roma. (Vivi rumori – Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sapevamo, prima che incominciasse lo svolgimento delle interrogazioni, che si sarebbe trattato di un argomento doloroso e che ferisce profondamente, e penso che ciascuno di noi si era per l’appunto preparato a questa discussione. Vi pregherei, anche se alcune cose dovessero a qualcuno, a molti o a tutti dispiacere, di consentire che la discussione prosegua con quel senso di profondo raccoglimento con la quale è cominciata.

D’ONOFRIO. Vorrei premettere che quanto sto per dire mira a chiarire gli avvenimenti, a precisare le responsabilità. La mia intenzione è di collaborare alla ricerca della verità. Se, tuttavia, sono costretto qua e là a polemizzare con le posizioni politiche già assunte da altri a questo riguardo, credo di averne il diritto, in quanto durante tutta la campagna elettorale non si è fatto altro che lanciare calunnie contro di noi.

CARONIA. Non è vero!

D’ONOFRIO. La campagna elettorale della Democrazia cristiana a Roma è stata aperta con una grande riunione pubblica, annunciata con manifesti, ai Collegio Romano. Alla riunione parlò un deputato. Doveva prendere subito dopo la parola l’avvocato Mosconi, segretario del Comitato Romano della Democrazia cristiana. Invece dell’avvocato Mosconi, parlò l’onorevole Scelba, Ministro dell’interno, vale a dire la persona meno indicata a parlare in una riunione di parte, la persona meno indicata, per il posto che occupa e la funzione che dovrebbe assolvere al disopra dei partiti, a dare direttive di azione per la imminente campagna elettorale (Interruzioni – Commenti) e a indicare ai democristiani romani gli obiettivi politici della lotta elettorale. (Commenti al centro). Onorevoli colleghi di parte democristiana, siate pazienti. Non è che l’onorevole Scelba non debba occuparsi di politica, ma in quel momento egli aveva il dovere di ricordarsi di essere il Ministro dell’interno, cioè il Ministro della Repubblica, di tutti i cittadini e non dei soli democristiani… (Interruzioni – Commenti al centro).

CHIEFFI. Ci parli del delitto!

D’ONOFRIO. Non dubiti, ne parlerò. La campagna elettorale a Roma, sin dall’inizio, è stata influenzata direttamente dal Ministro dell’interno, e tutto lo svolgimento di essa è stato sottoposto all’interessamento continuo dell’onorevole Ministro, il quale ha mirato a limitare quanto più gli era possibile le libertà di azione dei partiti di sinistra. (Vivi rumori al centro e a destra – Commenti).

CHIEFFI. Le avete difese pugnalando alla schiena quel giovane.

D’ONOFRIO. Le difendiamo combattendo le vostre calunnie. Prevedevamo una battaglia elettorale animata ed abbiamo cercato di servirci di ogni mezzo, per evitare fatti incresciosi. (Interruzioni al centro).

Una voce al centro. Qual è il tema dell’interrogazione?

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lascino parlare.

D’ONOFRIO. Allo scopo di evitare attriti proponemmo ai partiti democratici di Roma di venire ad accordi con noi del Blocco del popolo. (Interruzioni – Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, potrei capire che ad un periodo compiuto dell’oratore seguano commenti o proteste, ma non riesco a comprendere come ciò avvenga ad ogni parola. (Interruzioni al centro).

Onorevoli colleghi, comprenderei una reazione generale di tutti, ma noto il fatto caratteristico che sono sempre gli stessi deputati ad interrompere; questi colleghi possono anche essere i più sensibili, ma tuttavia non hanno avuto mandato, credo, di dare voce, proprio essi, alla indignazione generale.

E poiché mi si è quasi richiamato a fare osservare il tema dell’interrogazione, penso che nessuno voglia sollevare qui una piccola disputa di procedura, alla quale nessuno, peraltro, si è attenuto, e giustamente e nobilmente. Si dica senz’altro se si desidera che la discussione sia limitata, oppure se si vuole, restando in quel piano di dignità, che è stato inizialmente voluto, andare a fondo della questione.

D’altra, parte, non è impedendo ad un oratore di questa Assemblea di parlare che si potranno risolvere i gravi e numerosi problemi, intorno ai quali si sta discutendo.

Onorevole D’Onofrio, prosegua.

D’ONOFRIO. Dicevo, dunque, che il Blocco del popolo, preoccupato di evitare attriti ed urti durante la campagna elettorale, e preoccupato, altresì, di non compromettere per l’indomani del 12 ottobre la possibilità di accordo, di collaborazione e di concordia tra i partiti democratici al Comune, propose, all’inizio della campagna elettorale, ai partiti democratici e repubblicani di Roma e, quindi, anche al Partito della Democrazia cristiana, di costituire un comitato rappresentativo comune per dirimere le vertenze e gli attriti che inevitabilmente sorgono durante le campagne elettorali; un Comitato che avesse potuto, con l’autorità che gli derivava dall’accordo di tutti i partiti, intervenire per far sì che la campagna elettorale si svolgesse in modo leale e cavalleresco. Facemmo queste proposte: a queste proposte la Democrazia cristiana, seguendo una sua fine educazione, come già ebbe ad indicare l’onorevole Giannini alcuni giorni fa in questa Camera (Commenti), non rispose o quando ha risposto, ha risposto in modo negativo e brutale.

Tenaci nella ricerca di un accordo abbiamo proposto alla Democrazia cristiana di associarsi a noi per intervenire presso le autorità al fine di evitare che a Roma avvenissero manifestazioni fasciste. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Non si allontani troppo dall’argomento, onorevole D’Onofrio!

D’ONOFRIO. Malgrado l’importanza del fatto, non avemmo dalla Democrazia cristiana la solidarietà che cercavamo. Quando si svolge una campagna elettorale occorre dimostrare già in alto tra coloro che dirigono che esiste concordia, che s’impone la necessità di evitare disordini e risse. Non fummo ascoltati. Allora per evitare disordini il Blocco del popolo diede a tutti i suoi aderenti la direttiva di non partecipare ai comizi degli altri partiti (Rumori al centro e a destra), di non chiedere contradittori in quei comizi, per evitare appunto qualsiasi pretesto di risse e disordini. (Commenti e interruzioni al centro e a destra).

MAZZA. Se ne è accorto anche l’onorevole Matteotti!

D’ONOFRIO. Onorevole collega, è chiaro che il Blocco del popolo, come pure ogni partito, non può rispondere di tutto quello che fanno coloro che non sono sottoposti alla sua disciplina (Interruzioni dell’onorevole Chieffi – Rumori).

Se c’è un’azione spontanea, da parte di gruppi di cittadini, contro questo o quel partito avversario, la colpa non può esser fatta risalire al Blocco del popolo ed ai partiti che ad esso aderiscono. Con tutta coscienza possiamo dire di aver evitato con i nostri interventi il fattaccio durante un mese e mezzo. Ma il fattaccio è avvenuto sabato sera…

Una voce al centro. Si tratta di un omicidio!

D’ONOFRIO. Chi l’ha compiuto? Domenica mattina i giornali pubblicavano un comunicato della Questura di Roma nel quale si dava già per certo chi era l’assassino. Ma il presunto assassino non era stato ancora arrestato e le accuse che gli venivano fatte non erano ancora state esaminate e controllate; niente, cioè, dava ancora diritto di dire che la versione data dalla ragazza arrestata corrispondesse a verità. (Rumori al centro).

Ma il comunicato della questura, oltre ad andare più in là di quanto era stato accertato, dichiarava che la ragazza era un’«accesa comunista» e che l’autore del delitto era anch’egli un comunista. (Interruzioni e rumori al centro). Né il questore, né le altre autorità si son date la pena di controllare se ciò fosse effettivamente vero. È stato pubblicato, e risponde a verità, che la ragazza arrestata è stata da tempo espulsa dal partito. (Interruzioni – Commenti al centro e a destra).

Questo volere, quindi, il giorno stesso delle elezioni denunciare come comunista l’omicida rivela l’intenzione di servirsi dell’accaduto a scopo elettorale. (Interruzioni – Rumori al centro).

Questa versione dell’accaduto durante tutta la giornata di domenica, ha fatto le spese di tutti gli interventi propagandistici non solo di tutti i giornali di Roma ma anche della radio. Alle ore 13 la radio Campidoglio, oltre a dare la solita versione degli avvenimenti, osò concludere, violando la legge, invitando gli elettori a non votare per il blocco degli assassini!

Poche ore dopo il questore in persona… (Interruzioni – Scambio di apostrofi) il questore in persona tenne una conferenza stampa. (Interruzione del deputato Chieffi), nella quale volle confermare con la sua autorità, per una seconda volta, la solita versione dei fatti, dando così un altro incitamento a svolgere la propaganda elettorale per la Democrazia cristiana contro il Blocco del popolo così come si era incominciato al mattino. (Rumori al centro).

Alle ore 20 il Ministro dell’interno tornò alla carica elettorale ed emanò quel suo comunicato, col quale volendo sconfessare tutte le voci, secondo il Ministro dell’interno false, dava la solita versione degli avvenimenti, e ribadiva i motivi favorevoli alla campagna elettorale della Democrazia cristiana. (Vivissimi rumori – Interruzioni al centro – Commenti).

Onorevoli colleghi, il fatto luttuoso e doloroso di sabato sera ha due momenti: il primo, che è stato caratterizzato da una baruffa tra attacchini del Blocco del popolo ed attacchini della Democrazia cristiana, una di quelle baruffe senza conseguenze e che verteva sul fatto che uno aveva attaccato i propri manifesti su quelli dell’altro. Cosa da nulla; senonché gli attacchini della Democrazia cristiana chiamarono i loro dirigenti e denunciarono il fatto. Il dottor Volpi, della Democrazia cristiana, invece di telefonare alla polizia per invitarla ad intervenire prontamente a metter pace e a regolare ogni cosa, si sostituì alle autorità ed inviò sul posto tre camion carichi di suoi uomini. Quante persone erano sui camion? Erano esse tutte della Democrazia cristiana? Quali ne sono i nomi? Li conosce il questore? Ha indagato il Ministro? No, onorevoli colleghi, su questa circostanza si tace. Intanto dalle informazioni che noi abbiamo, – ne prenda nota il Ministro – le persone che erano sui camion erano armate di bastoni, erano armate di randelli (Interruzioni al centro) e giungendo sul posto vennero scambiate dalla popolazione per fascisti. (Interruzioni – Rumori al centro e a destra – Scambio di apostrofi).

Tanto ciò è vero che un giovane presente all’arrivo dei camion, un tale Marcello Ficatelli, si recò subito dal commissario del Celio a denunziare che in Piazza Dante erano arrivati tre camion di fascisti e che bisognava intervenire.

BENEDETTINI. Voi vedete sempre i fascisti dappertutto!

D’ONOFRIO. Il commissario (onorevole Scelba, è bene che lei controlli) non diede peso alla cosa. Certo è che se la polizia fosse intervenuta a tempo si sarebbe evitato il fatto luttuoso.

L’impressione che ebbero le persone del posto all’arrivo dei camion fu precisamente quella che si trattava di fascisti del Movimento sociale italiano. Gli sfollati che abitano nella scuola vicina, al grido di allarme, che erano arrivati i fascisti, scesero anch’essi in piazza. Quante persone erano presenti alla colluttazione? Non meno di trecento, signori della Camera.

Una voce al centro. Ha fatto un’inchiesta?

D’ONOFRIO. Si capisce.

Questi dati di fatto che cito credo che debbano per lo meno far pensare, prima di accettare per buona e vera la versione iniziale data dalla Questura e dal Ministro. Esse inducono piuttosto a ritenere che tanto la Questura quanto il Ministro siano stati presi da una precipitazione inconsueta in questi casi. In effetto, prima ancora che l’autorità giudiziaria intervenisse e prima ancora che ogni denuncia fosse stata controllata, si sono dati in pasto al pubblico delle indicazioni che possono pregiudicare la stessa indagine giudiziaria. (Interruzioni al centro – Commenti).

La speculazione elettorale e politica, onorevoli colleghi, risulta evidente. (Vive proteste al centro – Scambio di apostrofi).

Abbiamo avuto in Italia in questi ultimi tempi molti dei nostri: comunisti, socialisti, organizzatori sindacali bastonati, uccisi. (Proteste al centro). Nessuno, né il signor Ministro dell’interno, né il Presidente del Consiglio, né i rappresentanti della Democrazia cristiana hanno fatto lo scalpore che hanno fatto per il giovane democristiano ucciso sabato. (Rumori al centro e a destra – Interruzioni).

I nostri morti, i morti del popolo non valgono quelli degli altri! Ma il più grande affronto fatto al Blocco del popolo, ai partiti che ad esso aderiscono, alla cittadinanza romana che ha votato per noi (Rumori al centro), sono stati quei manifesti che in occasione dei funerali sono stati affissi sui muri di Roma (Interruzioni al centro) nei quali non si esprime soltanto il cordoglio attorno alla salma del giovane caduto, cordoglio che tutti quanti noi condividiamo, cordoglio al quale ci siamo associati fin dal primo momento; ma in quei manifesti listati a lutto che dovevano appunto indurre a raccogliersi attorno alla bara del Federici tutta la cittadinanza romana senza distinzione di partito, in quei manifesti si faceva ancora una volta una speculazione politica, tacciando gli aderenti al Blocco del popolo come assassini, come gente che avrebbe ucciso il giovane Federici per sopprimere la libertà. (Rumori prolungati al centro – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole D’Onofrio, concluda.

D’ONOFRIO. Ho finito. Vorrei anch’io porre una domanda. (Vivi rumori al centro – Scambio di apostrofi).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, onorevoli colleghi.

D’ONOFRIO. Non voglio fare della filosofia sulla violenza, come ha fatto l’onorevole Gronchi. Io chiedo: da che cosa deriva tutto questo stato d’animo, tutta questa eccitazione? (Rumori al centro).

BENEDETTINI. Dall’azione diretta: ecco da che cosa deriva!

D’ONOFRIO. Deriva, onorevoli colleghi, dalla politica di discordia che il Governo persegue. (Vive proteste al centro). In un discorso tenuto a Roma l’onorevole De Gasperi…

Una voce al centro. Si discute la politica del Governo? (Commenti).

D’ONOFRIO. …l’onorevole De Gasperi diceva: (Proteste al centro – Vivi rumori) «Vi è un nemico che non ha scrupoli e che soprattutto non ha scrupoli circa i bersagli e circa le armi». Il nemico che non ha scrupoli e non bada all’uso delle armi per l’onorevole De Gasperi saremmo noi. (Interruzioni al centro – Vivi rumori).

«Io vi domando – diceva l’onorevole De Gasperi ai democristiani di Roma – coraggio, prudenza, ma anche impeto di battaglia: che ciascuno prenda i suoi impegni come se partisse per un lungo viaggio, perché la battaglia sarà dura».

GULLO FAUSTO. Questo è un incitamento alla guerra civile. (Proteste al centro).

Una voce al centro). Viene da voi l’incitamento! (Rumori – Scambio di apostrofi).

D’ONOFRIO. In queste parole dell’onorevole De Gasperi c’è un allarmismo che non è giustificato. Il Partito comunista, che ha contribuito alla conquista della libertà sacrificando la vita dei suoi migliori quando molta gente, oggi coraggiosa, preferiva restare chiusa in casa, agisce alla luce del sole ed è garanzia di libertà. (Vivissimi rumori al centro e a destra – Interruzioni).

PRESIDENTE. Facciano silenzio! Facciano silenzio!

D’ONOFRIO. Non c’è chi non veda che in queste parole dell’onorevole De Gasperi è contenuto un chiaro incitamento alla lotta e alla violenza. (Vive proteste al centro e a destra – Interruzioni).

Una voce al centro. È un’irrisione, questa!

PRESIDENTE. Onorevole D’Onofrio, la prego di concludere!

D’ONOFRIO. Onorevoli colleghi di parte democristiana, se si vuole realmente creare nel nostro Paese un’atmosfera di tranquillità e di pace, bisogna che queste parole di discordia dell’onorevole De Gasperi non siano ripetute e, soprattutto, non siano seguite dalla Democrazia cristiana. (Vivi rumori – Commenti al centro e a destra – Applausi all’estrema sinistra).

BENEDETTINI. Il popolo italiano ha aperto gli occhi, ormai, e ne sa abbastanza dei vostri sistemi. (Proteste a sinistra – Scambio di apostrofi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, penso che se chiudessimo questa seduta senza che il Presidente dell’Assemblea esprimesse il pensiero che, ne sono convinto, forse trova in fondo concordi tutti, il Presidente mancherebbe ad un suo dovere.

Purtroppo, nella storia, la conquista della libertà ha sempre voluto un suo prezzo di sangue; ma non l’esercizio della libertà (Approvazioni): una cosa è conquistarla, e altra cosa è poi fruirne e goderne; e non dovrebbe invece imporsi questo tragico tributo per l’esercizio della libertà. Quanto meno, tutti sono d’accordo che il popolo italiano non vuole e non deve più pagarlo. (Approvazioni).

Non vi sono spiegazioni che possano attenuare il senso di affanno e di dolore che ogni violenza omicida suscita in tutti. Il lutto che ha colpito una famiglia, che era lieta, ed oggi è prostrata dal dolore, e che ha colpito un importante partito italiano e il popolo tutto di Roma, non può non essere anche lutto dell’Assemblea Costituente.

Personalmente ho inviato ai genitori infelici queste parole: «Unendomi all’unanime condanna per la violenza omicida che, misconoscendo la libertà riconquistata, ha piombato in un dolore atrocissimo il loro cuore, mi inchino alla salma compianta, cui il popolo romano si accinge a tributare reverenti e commosse onoranze».

Ma non sono certamente i sentimenti personali e i pensieri dei singoli che potranno sbarrare il passo al ritorno della violenza, di una violenza che tutti debbono deprecare.

Occorre una volontà unanime a questo scopo, una volontà schietta, decisa, di tutti gli italiani, di tutti gli italiani democratici, che hanno, nel comune sacrificio, riaffermato la libertà nel nostro Paese. Ed io vorrei che non solo la voce, ma l’attività concreta dell’Assemblea Costituente fosse un cemento consapevole e indistruttibile di questa comune volontà. (Vivi, generali applausi).

Chiusura della votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto sull’emendamento Laconi-Grieco al primo comma dell’articolo 69, nuovo testo, del progetto di Costituzione:

Presenti e votanti     295

Maggioranza           148

Voti favorevoli        135

Voti contrari                        160

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Ayroldi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bozzi – Braschi – Buonocore – Burato.

Cacciatore – Cairo – Calamandrei – Caldera – Camposarcuno – Canevari – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cavalli – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cicerone – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Corsini – Cosattini – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michelis Paolo – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Froggio – Fusco.

Gallico Spano Nadia – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giolitti –Giordani – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Lazzadri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Riccardo – Longhena – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Magnani – Magrini – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Meda Luigi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minio – Molè – Molinelli – Monticelli – Montini – Morandi – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Persico – Pesanti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Platone – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Recca – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Selvaggi – Siles – Silipo – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi.

Uberti.

Valiani – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vicentini – Vigo – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Alberti – Angelini.

Bonino.

Caporali – Carmagnola – Caso.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Roselli.

Sapienza – Sardiello.

Turco.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle 16.

La seduta termina alle 13.50.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 14 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 14 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sui lavori dell’Assemblea:

Tonello

Presidente

Comunicazioni del Presidente:

Presidente

Presentazione di un disegno di legge:

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Perassi

Preti

Colitto

Moro

Clerici

Nobili Tito Oro

Costa

Nobile

Persico

Mortati

Caronia

Tonello

Laconi

Tosato

Micheli

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio

Lucifero

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.10

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Sui lavori dell’Assemblea.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Per un senso di riguardo verso i colleghi, che si sono recati ai funerali del giovane Federici domanderei che sospendessimo per mezz’ora la seduta.

PRESIDENTE. Penso che tutti i colleghi concordino sulla proposta dell’onorevole Tonello. Pertanto, sospendiamo la seduta per mezz’ora.

(La seduta, sospesa alle 17.30, è ripresa alle 18.10).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, avendo l’onorevole Romita rinunziato a far parte della Giunta per il Regolamento, ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Nobili Tito Oro.

Ho poi chiamato l’onorevole Cavallari a far parte della Commissione per l’esame delle leggi elettorali, in sostituzione dell’onorevole Ravagnan, dimissionario.

Presentazione di un disegno di legge.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi onoro di presentare il disegno di legge:

«Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica dei componenti».

Prego l’onorevole Presidente di voler nominare una Commissione speciale che esamini d’urgenza questo disegno di legge.

PRESIDENTE. Do atto al Ministro di grazia e giustizia della presentazione di questo disegno di legge, e chiedo alla Camera se consente alla richiesta di nominare una apposita Commissione che possa riferire di urgenza.

(Così rimane stabilito).

Mi riservo di comunicare i nomi dei componenti la Commissione.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Dobbiamo esaminare l’articolo 68. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti cui sia conferita da legge costituzionale.

«Il popolo ha sempre l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un disegno redatto in articoli».

PRESIDENTE. All’articolo 68 è stato presentato un solo emendamento: quello dell’onorevole Perassi, del seguente tenore:

«Al secondo comma, sopprimere la parola: sempre».

Onorevole Ruini, qual è il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato accetta.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PERASSI. La parola «sempre» è inutile: in omaggio allo spirito deflazionistico, sopprimiamola.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 68:

«L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti cui sia conferita da legge costituzionale».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma con l’emendamento soppressivo dell’onorevole Perassi:

«Il popolo ha l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un disegno redatto in articoli».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 69. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo, con votazione finale a scrutinio segreto.

«Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

«Su richiesta del Governo o del proponente, ciascuna Camera può deliberare che l’esame di un disegno di legge sia deferito ad una Commissione composta in modo da rispettare la proporzione dei gruppi alla Camera, e che su relazione della Commissione si proceda alla votazione senza discutere, salve le dichiarazioni di voto.

«Tale procedimento non è applicabile ai disegni di legge concernenti l’approvazione dei bilanci e l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

PRESIDENTE. È stato presentato un emendamento dagli onorevoli Preti, Rossi Paolo e Corbi, del seguente tenore.

«Sostituirlo col seguente:

«I disegni di legge di carattere costituzionale e quelli concernenti l’approvazione dei bilanci, l’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e la delegazione dei poteri legislativi al Governo sono previamente esaminati da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo regolamento; e devono essere approvati dalle Camere, articolo per articolo, con votazione finale a scrutinio segreto.

«L’esame di ogni altro disegno di legge, salvo contraria richiesta del Governo o di almeno un decimo dei membri della Camera, è deferito ad una Commissione composta in modo da rispettare le proporzioni dei gruppi alla Camera. Su relazione della Commissione si procede alla votazione senza discutere, salvo le dichiarazioni di voto».

L’onorevole Preti ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Credo che noi tutti siamo d’accordo nel riconoscere che la procedura prevista dall’articolo 69 del progetto è troppo pesante. Noi dobbiamo adottare un testo maggiormente adatto alle necessità della legislazione moderna.

I dibattiti svoltisi fino a questo momento hanno dimostrato ad abundantiam che l’Assemblea plenaria – anche prescindendo dalla troppo nota considerazione che essa non avrebbe a disposizione uno spazio di tempo sufficiente – non è l’organo idoneo alla discussione delle leggi di ordinaria amministrazione. L’assenteismo dei deputati ne è la chiara riprova.

I dibattiti in Assemblea plenaria hanno ragion d’essere soltanto quando si discutono i grandi problemi che interessano la Nazione. Allora gli oratori che parlano da questi banchi parlano al popolo italiano.

Pertanto la discussione ed approvazione della legge, articolo per articolo, deve esser riservata all’Assemblea plenaria solo in ordine a quelle materie che, di regola, implicano un’importante decisione politica da parte dei gruppi responsabili. A questa categoria mi pare che non appartengano se non le leggi costituzionali, quelle di approvazione dei bilanci e dei trattati internazionali, e quelle relative alla delega legislativa.

La stessa Inghilterra, pur così tradizionalista, ci ammonisce che oggi è necessario procedere all’esame delle leggi ordinarie attraverso le Commissioni; le quali, in sostanza, sono organi tecnici specificamente competenti, che assolvono, con risparmio di tempo e con assai maggiore precisione, un compito cui l’Assemblea plenaria sarebbe impari.

Nel mio emendamento ho previsto pertanto che all’Assemblea plenaria sia riservata semplicemente la votazione finale in ordine a quei progetti di legge che non rientrano in nessuna delle quattro categorie dianzi menzionate, a meno che il Governo o un certo numero di membri della Camera non avanzi contraria istanza.

Gli emendamenti presentati dagli onorevoli Perassi e Persico, pur fondandosi su una diversa tecnica, si propongono il medesimo mio obiettivo: abbreviare e razionalizzare la procedura legislativa. Ritengo pertanto che si possa trovare una formula, che accontenti sia me che gli altri presentatori di emendamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: secondo le norme del rispettivo regolamento, aggiungere le seguenti: la quale ne propone l’accoglimento, il rigetto o la modifica, nominando nel suo seno un relatore».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Rinunzio a svolgerlo, mantenendolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Moro ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: a scrutinio segreto».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORO. Il mio emendamento, signor Presidente, si illustra con pochissime parole. Esso tende a sopprimere nell’articolo 69 del progetto di Costituzione il richiamo allo scrutinio segreto come mezzo necessario di votazione finale dei disegni di legge. Ora, il problema della votazione per scrutinio segreto fu sollevato in questa Assemblea già in sede di Giunta del Regolamento, perché, in effetti, nel corso di questi nostri lavori, l’uso e forse l’abuso che si è fatto di questo mezzo di votazione hanno dimostrato l’opportunità di rivedere per lo meno le modalità che lo regolano. Io non voglio entrare nel merito della ammissibilità o meno di questo mezzo di votazione nella Camera. Però mi ripugna che si faccia richiamo, nientemeno che nel testo costituzionale, a questo sistema particolare di votazione del quale si possono dire due cose: da un lato tende ad incoraggiare i deputati meno vigorosi nell’affermazione delle loro idee, e dall’altro tende a sottrarre i deputati alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale, per quanto hanno sostenuto e deciso nell’esercizio del loro mandato. Da quanto ho detto risalta che il problema ha carattere regolamentare e che più opportunamente sarà deciso dalla Camera futura o anche da questa Assemblea, ma in altra sede.

Quindi la mia richiesta di soppressione non significa respingere il principio della votazione per scrutinio segreto – cosa che resta impregiudicata e va deferita per la sua decisione alla sede regolamentare – ma solo è rifiuto a consacrare costituzionalmente questo strumento di votazione che ha già dato luogo a tanti inconvenienti.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: a scrutinio segreto».

L’onorevole Clerici ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Onorevoli colleghi, naturalmente, mi associo a quanto è stato esposto nell’emendamento soppressivo dal collega ed amico onorevole Moro, alle cui osservazioni completamente mi rimetto, limitandomi a sottolineare soltanto un punto. Io credo che nessuna Costituzione contempli lo scrutinio segreto, perché è questa una delle questioni tipicamente regolamentari. Quindi noi dobbiamo lasciare impregiudicata la questione dei sistemi di scrutinio per le Camere future e non trattarla nella Costituzione, che, speriamo, durerà decenni. Infatti io mi auguro che frattanto l’esperienza possa trovare, anche con l’aiuto di qualche ausilio meccanico, qualche nuovo sistema di scrutinio che faccia risparmiare ai nostri successori tutto il tempo che da noi si perde in lunghe ore di fila o di attesa nei banchi allorché votiamo con il sistema dello scrutinio segreto, o dell’appello nominale. Rimettiamo per ciò alla Camera futura di stabilire le varie forme di scrutini, che sono questioni di natura e materia regolamentari. Chiedo all’onorevole Presidente che, in considerazione di quanto ho detto, sia messa ai voti per divisione l’ultima parte del primo comma dell’articolo in questione.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro, ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: a scrutinio segreto, sostituire le parole: per appello nominale».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Il mio emendamento si ispira alle stesse considerazioni alle quali si sono ispirati i colleghi che hanno testé parlato, ma il suo svolgimento presuppone una questione preliminare che non va sottaciuta. L’articolo 69 sancisce al terzo comma un’importante deroga ai principi di diritto costituzionale, riconoscendo a ciascuna delle due Camere il potere di delegare a una Commissione formata con criteri di proporzionalità politica, l’esame e la discussione di un disegno di legge, riservando all’Assemblea che, su relazione della Commissione, si proceda alla votazione, senza discutere, salvo le dichiarazioni di voto. Siffatta deroga, come è lecito presagire in base agli emendamenti già presentati e a quelli che si annunciano, raggiungerà l’effetto, nelle deliberazioni di questa Assemblea, di riconoscere ai due rami del Parlamento la facoltà di delegare alle Commissioni di cui sopra l’approvazione stessa di leggi urgenti e di interesse secondario, quanto dire del potere legislativo, del quale essi dovrebbero essere, secondo la pura tradizione costituzionale, depositari e custodi.

Si comprende, pertanto, che un così grave riconoscimento debba considerarsi materia di Costituzione; ma non si comprende come, a introduzione di questa innovazione, si sia preteso di premettere, coi primi due commi, delle regole che sono fuori della materia della Costituzione e che appartengono esclusivamente ai poteri interna corporis di ciascuna Camera, che li esercita, dando a se stessa il Regolamento della propria attività, Regolamento che trova la sua più indispensabile funzione nel procedimento di formazione delle leggi.

Sotto questo aspetto, pertanto, i primi due commi dell’articolo 69 andrebbero completamente soppressi, per non invadere il campo riservato alla funzione autoregolamentare delle Camere legislative; comunque, anche se non si volessero sopprimere per ragioni di sistematica e per completezza di indicazioni sul procedimento di formazione delle leggi, si dovrebbe per lo meno rinunciare a pretendere di pregiudicare l’esercizio della facoltà regolamentare coll’imporre, in questa sede, una norma di votazione finale delle leggi piuttosto che un’altra, anziché lasciar liberi i due rami di sceglierla e stabilirla da sé: quanto dire che dovrebbe per lo meno sopprimersi, alla fine del primo comma, la votazione a «scrutinio segreto».

Questo ho dichiarato nella riunione testé tenuta cogli altri presentatori di emendamenti e col Presidente della Commissione, onorevole Ruini. E mi sono dimostrato propenso (ove fosse accettata la proposta di soppressione, che lascerebbe impregiudicata la questione della forma di votazione e la riserverebbe ai Regolamenti dei due rami del Parlamento) a rinunciare al mio emendamento, col quale chiedo che si stabilisca fin d’ora che la votazione finale delle leggi avvenga per appello nominale anziché a scrutinio segreto.

Il voto a scrutinio segreto è stato ripudiato da tutte le Costituzioni, fuorché da quella bulgara. Esso è stato introdotto nei periodi di decadenza e di oppressione. Negli arenghi dei liberi comuni, pubblica e palese era la manifestazione del voto, come libera era stata in Roma repubblicana. Il voto a scrutinio segreto non rivela né schiettezza, né lealtà, né sicurezza nell’assumere la responsabilità dell’opinione che si manifesta, anzi che non si manifesta, ma che si affida al segreto dell’urna. Non garantisce, in conseguenza, la ponderazione di chi sa di dover rispondere del proprio voto.

Con la votazione a scrutinio segreto si impedisce il controllo dell’opinione pubblica e soprattutto quello del corpo elettorale sui propri deputati. Al contrario, il voto per appello nominale, che io propongo in sostituzione di quello a scrutinio segreto, si afferma strumento di educazione civile, di avviamento alla sincerità nei rapporti sociali e nella vita pubblica; impedisce quel «doppio giuoco» che, ormai, è entrato disgraziatamente in tanta parte del costume politico.

Per tutte queste considerazioni ho proposto la sostituzione dell’appello nominale allo scrutinio segreto.

Ma nella discussione intervenuta fra i presentatori di emendamenti e la Commissione è stato riconosciuto che, se è opportuno non stabilire, alla fine del primo comma, la forma di votazione a scrutinio segreto, è altrettanto opportuno di evitare la prescrizione della forma di votazione per appello nominale. Occorre rispettare il diritto, che spetta alle Camere legislative di determinare esse, ciascuna col proprio Regolamento, anche la forma di votazione da seguire per la finale deliberazione su ciascuna legge.

Per queste ragioni, io ho rinunciato alla sostituzione dell’appello nominale allo scrutinio segreto ed ho accettato la proposta dell’onorevole Ruini di sopprimere completamente, nel primo comma, l’indicazione della forma di votazione. E confido che alla risoluzione concordata vorrà ragionevolmente informarsi anche l’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Nobili Tito Oro, lei ha presentato altri due emendamenti a questo articolo:

«Al terzo comma sopprimere le parole: e che, su relazione della Commissione si proceda alla votazione senza discutere, salve le dichiarazioni di voto».

«Sopprimere il quarto comma».

Ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. Al momento della presentazione dell’emendamento la Commissione non appariva chiaramente orientata verso la completa delega, da parte della Camera, dei poteri legislativi a Commissioni, formate sia pure colla rappresentanza proporzionale di tutti i partiti, e limitatamente a leggi urgenti e di più scarso rilievo; si era accontentata di delegare ad esse l’esame e la discussione, riservando alle Camere di votarle in Assemblea senza discussione, in base alla relazione della Commissione e colla sola facoltà di dichiarazione di voto. Da ciò il mio emendamento, rivolto a rivendicare all’Assemblea anche il diritto di discussione.

Ma gli emendamenti presentati hanno portato la Commissione a orientarsi, per determinate materie e per casi di urgenza, a una completa delega di poteri legislativi, per effetto della quale le Commissioni potranno essere investite anche della votazione delle leggi deferite al loro esame.

Di fronte a questa profonda e imprevista modificazione del testo del progetto veniva a mancare il presupposto del mio emendamento e a me non rimaneva altra possibilità che quella di riservare a me e al mio Gruppo il diritto di sostenere il testo originario del progetto e, in relazione ad esso, il mio emendamento, tendente a riservare all’Assemblea nelle ipotesi contemplate nel terzo comma, oltre al diritto di votare le leggi in esso previste, anche quello di eventualmente discuterle.

Non ho escluso per altro, e non escludo, la possibilità di votare il nuovo testo qualora esso faccia salvo il diritto, da parte dell’Assemblea o di un determinato numero di deputati o delle Commissioni stesse, di chiedere, quando se ne ravvisi un fondato motivo, che tati leggi siano esaminate direttamente dall’Assemblea medesima. E tale possibilità confermo.

Quanto alla proposta soppressione del quarto comma ho già dichiarato alla Commissione di non insistervi e la ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo e il quarto comma con i seguenti:

«Il regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni composte in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi alla Camera.

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. L’emendamento che ho presentato riguarda il terzo e il quarto comma dell’articolo 69. Nel mio pensiero, quindi, il primo ed il secondo comma restano così come sono stati formulati.

Il primo comma ha per iscopo di determinare il procedimento normale di esame e di approvazione delle leggi, stabilendo il particolare principio che la Camera vota articolo per articolo e vota poi complessivamente sul disegno di legge.

Il secondo comma prevede che il Regolamento di ciascuna Camera stabilisca procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge di carattere urgente. Queste due disposizioni non sono toccate dal mio emendamento.

Invece, io ritengo opportuno di riesaminare e di formulare diversamente il terzo comma, che, fra questi che abbiamo sott’occhio, è il più importante.

E devo fare anzitutto una constatazione di notevole interesse generale ed è che da tutte le parti della Camera, si può dire, è stata avvertita l’esigenza di far fronte ad una situazione che l’esperienza ha messo in evidenza e cioè che le Camere dello Stato moderno sono ingombrate di lavoro legislativo, la macchina di produzione delle leggi è diventata una macchina che deve lavorare enormemente.

È vero che l’adozione dell’ordinamento regionale potrà avere una notevole influenza di deflazione di questa macchina centrale legislativa, ma non c’è da farsi, a questo riguardo, molte illusioni. Il Parlamento centrale avrà sempre molto da fare.

Ora, si è posto sotto la spinta, l’aculeo della necessità, questo problema: è possibile studiare qualche organismo per cui si renda più facile il funzionamento della macchina parlamentare legislativa? L’esperienza, dicevo, indica a questo riguardo la via da seguire. Tutti voi avete avuto occasione di notare che le poche leggi ordinarie che sono state esaminate dall’Assemblea Costituente hanno richiesto un numero notevolmente lungo di sedute, con discussioni talora confuse. Un’altra osservazione a questo riguardo si può fare: io ho avuto la curiosità di vedere, ad esempio, quanti deputati hanno partecipato alla discussione dell’imposta patrimoniale o della legge comunale e provinciale. Un numero ristrettissimo: 40-50, non più di 60. Allora si pone questo problema: in che modo sveltire la macchina legislativa? Nella seconda Sottocommissione era stato già esaminato questo problema e ne era venuto fuori il terzo comma. Era un primo passo su questa via.

Io credo che occorra fare un passo più in là, ossia avere il coraggio di dire che la Camera per taluni casi possa deferire non soltanto l’esame, ma anche l’approvazione di un disegno di legge a Commissioni che siano costituite, naturalmente, in maniera da rispecchiare la proporzione dei Gruppi.

Il terzo comma, così come formulato nell’emendamento, afferma precisamente questo concetto, stabilendo che il Regolamento può indicare i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni composte in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi alla Camera. Rilevo anzitutto che questa formula lascia una facoltà al Regolamento. Dice «può», quindi la questione è rimessa al Regolamento. Osservo inoltre, per mettere in evidenza la portata di questa norma, che è certamente una norma delicata, che il Regolamento di ciascuna Camera, in virtù di una norma che noi abbiamo già inserito nella Costituzione, non può essere adottato da ciascuna Camera se non a maggioranza assoluta dei propri componenti. Quindi il Regolamento offre notevoli garanzie.

In sede di formazione del Regolamento è evidente che ciascuna Camera avrà cura di regolare l’applicazione di questo principio mettendo tutte le cautele e le garanzie che riterrà opportune.

Non voglio fare della casistica, né precisare ora queste cautele e condizioni, ma se ne possono indicare molte. Ciò che è importante è di rilevare che la Camera, facendo il Regolamento, ha tutte le libertà e certamente di questa libertà userà nel senso di indicare in maniera precisa le cautele con le quali questa norma eccezionale dovrà essere applicata. Aggiungo che questa formula è stata esaminata in quella piccola riunione che abbiamo tenuto nell’intervallo dei lavori di questa seduta, e che questo emendamento è stato preso in considerazione, ed è stata suggerita da diverse parti anche qualche limitazione, ad esempio, questa: che, ferma restando la possibilità al Regolamento di determinare i casi e le forme nelle quali avviene questo deferimento di disegni di legge alle commissioni anche per l’approvazione, tuttavia, su richiesta del Governo o di 30 deputati, il disegno di legge debba seguire, invece, la procedura ordinaria, ossia essere sottoposto per l’approvazione direttamente alla Camera.

Questa cautela può essere riassunta com’è stato proposto al Comitato, mediante un inciso che prenderebbe posto nel testo dello emendamento dopo le parole «in cui». Ossia si direbbe:

«…in cui, salva contraria richiesta del Governo o di 30 membri della Camera, l’esame ecc.».

Per conto mio non ho difficoltà ad accedere a questo suggerimento, inserendolo nel testo dell’emendamento.

Resta il quarto comma, che ha un altro scopo: quello di precisare in maniera netta che vi sono alcuni disegni di legge di certe categorie, per i quali non si può derogare al procedimento normale che è indicato nel primo comma. Questo comma già esisteva, in fondo, nel progetto della Costituzione; soltanto è stato integrato. Già l’onorevole Costa in un suo emendamento aveva rilevato la necessità evidente di comprendere fra i disegni di legge per i quali non è possibile derogare al procedimento ordinario, i disegni di legge di carattere costituzionale. Questo è evidente.

Io ho ritenuto opportuno includere anche un’altra categoria, ossia i disegni di legge per la delegazione legislativa al Governo.

Su questo quarto comma mi pare che non potrà sorgere discussione.

Mi limito a concludere mettendo in opportuna evidenza la questione del terzo comma: questa è una questione grossa che si presenta. Mi auguro che la Camera in questa occasione esamini il problema, prescindendo da punti di vista politici. È una questione che interessa tutti, perché si tratta di risolvere il problema di un proficuo lavoro del Parlamento, ricordando che se il Parlamento, date le sue procedure, è messo in condizioni tali da non poter far fronte ai fabbisogno normale della produzione legislativa, è evidente che si aprono altre vie. Sarebbe difficile, in questa ipotesi, impedire che il Governo assuma poteri legislativi.

Raccomando pertanto alla Camera di esaminare con molta meditazione questo emendamento, tenendo conto che, in fondo, si tratta di un punto di vista che è stato accolto da molte parti. Mi auguro pertanto che l’Assemblea vorrà aderire a questa proposta del Comitato.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma con i seguenti:

«Ciascuna Camera può suddividersi in Commissioni permanenti per l’esame di gruppi di provvedimenti di legge, composte tuttavia in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari.

«Ciascuna Camera può deliberare, anche su richiesta del Governo o del proponente, che l’esame di un disegno di legge sia deferito a una Commissione permanente o a una speciale Commissione, costituita in modo analogo, e che su relazione della Commissione si proceda alla votazione senza discussione, salve dichiarazioni di voto. Le sedute delle Commissioni in tali casi sono pubbliche».

Ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Onorevoli colleghi, circa questo mio emendamento, ho poco da aggiungere a quanto ha già detto sull’argomento l’onorevole Perassi. Chi ha avuto la cortesia di seguire il mio discorso su questa parte nella nostra discussione generale, il giorno 11 dello scorso mese, ricorderà probabilmente le statistiche che allora io ho citato alla Camera e che hanno avuto l’onore di fermare l’attenzione dell’onorevole Conti, il quale, due giorni dopo, ha riletto all’Assemblea sul testo stenografico il lungo passo del mio discorso in proposito. Da quelle statistiche – lo dico per i colleghi che non fossero stati presenti a quella discussione – si trae sinteticamente un dato inconfutabile, e cioè, che non soltanto durante e dopo, ma anche prima della grande guerra del ’15-’18, e press’a poco dal 1906-1908 in poi, in realtà il Parlamento italiano non ha funzionato più, né più poteva funzionare. Si potrebbe d’altronde estendere il rilievo anche ad altri Parlamenti nei quali si è verificato lo stesso fenomeno. Con ciò si è attenuato se non distrutto il controllo finanziario dato che la funzione specifica del Parlamento in fatto di bilanci, non è soltanto quella dell’esame dei preventivi, ma altrettanto e più ancora quella dell’esame dei consuntivi. Ma i consuntivi in Italia venivano approvati tre, quattro ed anche cinque anni dopo la loro scadenza, rendendo quindi del tutto superata qualsiasi discussione in proposito.

Ma vi è anche un’altra considerazione ancora più rilevante. È la questione dei decreti-legge, i quali, di mano in mano che la vita moderna è andata facendosi sempre più complessa, sono andati aumentando, in tal modo che si può ben dire che la funzione legiferatrice sia passata al potere esecutivo dalle Camere.

Ma v’è di peggio ancora; ed è che, nella successiva convalida dei decreti stessi, non si è mai potuto fare alcun esame, non dico approfondito, ma neanche superficiale, perché le Camere furono addirittura costrette ad approvarli in massa. D’altra parte, dei disegni di legge presentati dal Governo e di quei pochi di iniziativa parlamentare – nella mia statistica li ho indicati anno per anno, per un periodo di una quindicina di anni – solo una parte minima veniva non dico accolta, ma esaminata dal Parlamento.

Orbene, è stata questa una condizione di cose direi fatale e tale che io credo non potrà non ripetersi nelle Camere future, e queste non potranno certamente legiferare su tutte le materie e per tutti i progetti loro sottoposti cosicché avremo una stasi, una paralisi legislativa, tanto più ora, che sarà negata la delega all’esecutivo. Anche se i futuri parlamentari sedessero ventiquattro ore su ventiquattro, essi non potrebbero discutere quelle due o tre migliaia di leggi che la vita moderna, così complicata, rende necessarie ogni anno, e che sempre più renderà necessarie in futuro, specie se prevarranno criteri di pianificazione, i quali renderanno presumibilmente ancora più complessa, varia e molteplice l’opera di legiferazione.

Conseguentemente a queste constatazioni, il mio emendamento prevede che ciascuna Camera possa suddividersi in Commissioni permanenti, come del resto già si è fatto proprio da noi con la disposizione provvisoria che regge i nostri lavori di costituenti. Ciò è indispensabile che si rifaccia per il futuro Parlamento. È da notarsi, d’altronde, che queste commissioni permanenti non sono stabilite come un obbligo, ma come una facoltà. Dice infatti il mio emendamento: «Ciascuna Camera può suddividersi, ecc.».

Quanto alla forma, poi, l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione dei Settantacinque, suggerirà quella più appropriata, che riassuma questi miei punti di vista, che non sono affatto contrastanti, ma complementari, a quelli esposti dal collega onorevole Perassi nello svolgimento del suo emendamento e che – oso dire – non possono prestarsi a contrasti da parte alcuna della Camera, perché essi rispondono ad una concreta, evidente necessità delle cose.

Un altro concetto, però, pregherei che fosse accolto, che vale ad integrare quanto ho or ora detto, ed a conservare anche a queste Commissioni il carattere precipuo del Parlamento, cioè di controllo pubblico e fatto pubblicamente, vale a dire quanto è detto nel mio emendamento, alle ultime parole: «Le sedute delle Commissioni in tali casi sono pubbliche». Non faccio questione anche qui di forma, per la quale mi rimetto al Presidente Ruini, ma di sostanza; poiché a queste Commissioni deferiamo non solo l’elaborazione ma anche la decisione di molte leggi di carattere secondario, sì, ma che possono avere un’importanza notevole per il Paese, io penso che sia necessario affermare (le modalità saranno poi fissate dal Regolamento) questa pubblicità, in maniera che il controllo da parte dell’opinione pubblica si svolga anche su questa che sarà una vera e propria attività primaria parlamentare, e ciò proprio in contrasto col principio opposto sancito dal cosiddetto Parlamento fascista nel cui regolamento era espressamente esclusa la pubblicità delle sedute delle Commissioni. (Approvazioni a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«All’ultimo comma, alle parole: e l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, sostituire: o l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali o materia costituzionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Ritiro il mio emendamento, perché il contenuto dello stesso è già incluso in quello dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Nobile, Nobili Tito Oro, Tonello, Stampacchia, Lombardi, Silipo, Ravagnan, D’Amico, Fiore e Bernamonti hanno presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, dopo le parole: salve le dichiarazioni di voto, aggiungere le altre: per le quali il Regolamento della Camera fisserà le opportune limitazioni».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. L’onorevole Perassi e l’onorevole Clerici hanno già esposto le ragioni per le quali occorre in tutti i modi trovare il mezzo di sveltire il lavoro legislativo. Io non ho che da associarmi a quello che essi hanno già detto. Credo di essere stato nella Seconda Sottocommissione quello che con più tenacia ha sostenuto questa necessità, e debbo dire che questo ho fatto perché, geloso quanto chiunque altro delle prerogative parlamentari, mi è parso che sia preferibile che le camere legislative affidino a proprie commissioni permanenti l’esame di molti provvedimenti legislativi, anziché vi rinuncino del tutto, come sarebbero costrette a fare, se si insistesse a seguire i metodi del passato.

Ho qui la nota dei decreti legislativi pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale dal 1° gennaio di quest’anno a tutto ieri: essi ammontano a 580. Si può, quindi, presumere che attualmente in un anno vengono emanati circa 750 provvedimenti legislativi. Ammettendo che Camera dei Deputati e Senato della Repubblica tengano 150 sedute in un anno, si dovrebbero, nientedimeno, esaminare, discutere ed approvare, in media, in ogni seduta cinque leggi! Cosa assolutamente assurda che sta a dimostrare la necessità ineluttabile di introdurre nuovi sistemi. Né si dica che, nel futuro, una parte delle leggi saranno fatte dalle Regioni, perché io non credo che con ciò si riuscirà a ridurre di molto il lavoro legislativo delle Assemblee nazionali. Ma anche se ciò fosse, anche se si riducesse tale lavoro ad una quinta parte di quello calcolato avanti, sarebbe pur sempre eccessivo ed impossibile a compiersi coi metodi ordinari.

Si dirà che una parte delle leggi potranno essere deferite per delegazione al Governo; ma è per l’appunto questo che si dovrebbe tentare di evitare per quanto è possibile, onde non ricadere negli abusi del passato. Di qui l’opportunità che una buona parte delle proposte di legge, specialmente quelle che richiedano un accurato esame tecnico, ma non meno di particolare importanza politica, siano deferite all’esame ed approvazione di commissioni permanenti adeguatamente scelte.

Per questa ragione aderisco in pieno all’emendamento Perassi così come è stato poi modificato con l’aggiunta decisa nella riunione tenuta poco fa sotto la presidenza dell’onorevole Ruini.

Nel caso che l’emendamento Perassi non venga approvato, manterrò l’emendamento da me presentato al testo della Commissione. Con esso si stabilisce che il Regolamento della Camera limiterà la durata ed il numero degli interventi per dichiarazione di voto. Senza tali limitazioni lo scopo che si propone l’ultimo comma dell’articolo 60 (secondo il testo della Commissione) non verrebbe raggiunto perché, soppressa, come vuole il testo, la discussione generale, questa inevitabilmente riaffiorerebbe in sede di votazione di singoli articoli attraverso prolisse e numerose dichiarazioni di voto che potrebbero far protrarre anche per parecchie sedute l’approvazione del disegno di legge.

Quindi, nel caso che l’emendamento Perassi non sia approvato, chiederò che sia messa in votazione l’aggiunta da me proposta.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Persico, Bozzi, Binni, Gasparotto, Lombardo Ivan Matteo, Zanardi, Lussu, Lami Starnuti, Foa e Cianca, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 69 col seguente:

«I disegni di legge sono, secondo le norme del Regolamento di ciascuna Camera, esaminati previamente da una Commissione ed approvati dalla Camera stessa, prima articolo per articolo e poi con votazione complessiva.

«Nei casi e nelle forme determinati dal Regolamento, l’esame e l’approvazione dei disegni di legge possono venire deferiti a Commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi alla Camera.

«Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

«Debbono sempre essere approvati dalle Camere, senza procedimenti abbreviati, i disegni di legge che hanno natura costituzionale, o che sono diretti a delegare funzioni legislative o ad approvare bilanci o consuntivi, o ad autorizzare la ratifica di trattati internazionali».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Sarò molto breve, perché a me sembra che si sia formata una specie di communis opinio fra i vari emendamenti degli onorevoli Preti, Clerici, Perassi, e l’emendamento mio e di altri colleghi.

In fondo si trattava di superare una difficoltà che la Commissione non aveva creduto di superare: cioè se si potesse delegare a delle Commissioni permanenti, o elette di volta in volta (questo lo stabilirà il Regolamento della Camera, perché qui siamo in materia costituzionale in cui certi particolari non si debbono toccare), se si potesse delegare a Commissioni, non solo l’esame del disegno di legge, che si è sempre fatto attraverso gli uffici e le commissioni anche prima del fascismo, ma anche l’approvazione di tutte le leggi di minore importanza e di minore portata, le così dette «leggine», che affluiscono a centinaia e che più ancora affluiranno in seguito, sia per necessità legislative, sia perché dovremo coordinare tutta la legislazione antica al nuovo istituto repubblicano. Una gran quantità di leggi dovranno essere trasformate, sia pure formalmente, per sostituire parole più adatte, e quindi sarà un lavoro assai pesante di legislazione, sia normale, sia di coordinamento.

E allora questo mi pare un punto ormai superato, perché se quasi tutte le proposte ammettono che queste commissioni possano esaminare tali leggi, alcune ammettono che possano anche deliberare.

Nel mio emendamento (e questa mi sembra la parte più importante) è detto: «Nei casi e nelle forme determinate dal Regolamento». Quindi il Regolamento stabilirà le modalità e i casi specifici. E continua: «l’esame e l’approvazione dei disegni di legge possono venire deferiti a Commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi alla Camera».

Se non ho mal compreso, anche l’onorevole Clerici concorda in questo perché, quando egli dice che in tal caso le sedute delle Commissioni sono pubbliche, evidentemente vuole dire che le leggi vengono portate alle Commissioni non soltanto per la discussione ma anche per l’approvazione.

Allora quale dubbio sussiste?

È rimasto dubbio se questa deve essere una norma generale, o se ammetta delle eccezioni.

Nella seduta tenuta poco fa insieme col Presidente Ruini, si è proposto, anche su parere del collega Lami Starnuti, di aggiungere all’emendamento dell’onorevole Perassi un piccolo inciso: «salvo contraria richiesta, o da parte del Governo o di 50 o di 30 deputati.

Tutte le volte che il Governo, o 50 o 30 deputati, lo ritengano necessario, sarà portata la questione in Assemblea e la legge verrà esaminata e votata in seduta plenaria.

L’altro sistema che è implicito nella prima parte del mio articolo sostitutivo, è questo: i disegni di legge, secondo le norme del Regolamento della Camera, sono esaminati previamente da una Commissione e approvati dalla Camera stessa, prima articolo per articolo, poi con votazione complessiva.

Qui c’è un’innovazione: non si stabilisce qual è la votazione. Secondo alcuni, per esempio secondo l’onorevole Oro Nobili, dovrebbe essere sempre adottato l’appello nominale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Nobili Tito Oro ha ritirato questa sua proposta.

PERSICO. Secondo altri dovrebbe adottarsi lo scrutinio segreto. Io dico che non è il caso di stabilire una norma di questo genere nella Costituzione. C’è il Regolamento della Camera che fissa le modalità di votazione, e non è il caso di escludere la votazione per alzata di mano, per alzata e seduta e, se c’è incertezza, per divisione. Perché arrivare sempre alle forme estreme dell’appello nominale e dello scrutinio segreto? È una perdita di tempo. Bisogna al contrario adottare il concetto di rendere il lavoro delle Assemblee il più facile e rapido possibile. Altrimenti si incontreranno le stesse difficoltà enormi che si avevano nel vecchio Parlamento. Ricordo che una legge da me proposta fu trascinata per anni, e poi passata al Senato, dove non se ne è parlato più.

Se vogliamo dunque arrivare alla brevità della discussione da parte dell’Assemblea, tenendo conto delle centinaia e centinaia di leggi che dovranno esaminarsi, dovremo arrivare a questa formula, e cioè ad una votazione che possa farsi anche per via breve, per alzata di mano, per alzata e seduta, per divisione, senza che sia necessario ricorrere sempre all’appello nominale, o allo scrutinio segreto. A queste ultime due forme si potrà sempre arrivare quando un gruppo di deputati le ritenga opportune e ne faccia richiesta, naturalmente nei modi stabiliti dal Regolamento.

Questo è il concetto nuovo contenuto nel mio articolo sostitutivo. Il resto è identico a quello dell’onorevole Perassi, per cui quando si tratta di disegni di legge di natura costituzionale, o di trattati internazionali o di bilanci deve sempre seguirsi la procedura normale senza possibilità di procedimenti abbreviati.

Con queste premesse confido che il mio articolo aggiuntivo possa essere accolto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Mortati, Uberti, Giacchero, Bastianetto, Codacci Pisanelli, Cappi, Zotta, Guerrieri Emanuele e Marconi hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire i primi tre commi con i seguenti:

«Il Regolamento di ciascuna Camera disciplina le forme dell’esame e dell’approvazione dei disegni di legge.

«Un procedimento abbreviato sarà disposto per quei disegni per i quali la-Camera abbia, con maggioranza assoluta, dichiarato l’urgenza.

«Il Regolamento potrà inoltre stabilire che l’approvazione sia deferita, con apposita deliberazione, a Commissioni interne. Dovrà tuttavia farsi luogo al voto finale della Camera, che sarà dato senza discussione, salvo le dichiarazioni di voto, quando cinquanta dei membri ne faccia preventiva richiesta.

«I resoconti dei lavori delle Commissioni, nel caso in cui al comma precedente, devono essere resi pubblici».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere questo emendamento.

MORTATI. L’emendamento all’articolo 69 da me proposto si riferisce a tre punti.

Riguardo al primo comma ritengo opportuno sopprimere qualsiasi specificazione di modalità in ordine all’esame e all’approvazione delle leggi, deferendo tutto al Regolamento.

L’articolo del progetto riproduce sostanzialmente l’articolo 55 del nostro Statuto; ma tale articolo 55 è un po’ anacronistico e sorpassato, come risulta dall’esame delle Costituzioni moderne, le quali prescindono da qualsiasi regolamentazione di questa materia.

Affermare il principio che l’approvazione delle leggi spetta al Parlamento è reso superfluo dall’articolo 67, e dalle stesse disposizioni degli altri commi dell’articolo in esame, che stabilendo le eccezioni al procedimento normale, mettono in rilievo quale questo sia.

Per quanto riguarda il secondo comma, il mio articolo riproduce sostanzialmente quello del testo, salvo l’aggiunta di questo inciso «a maggioranza assoluta», sembrandomi necessario stabilire che la dichiarazione di urgenza per ricorrere alla procedura abbreviata sia deliberata con la maggioranza assoluta, ciò in analogia con quanto è disposto nell’articolo 71 in cui, facendosi riferimento ad un altro caso di dichiarazione di urgenza, si richiede appunto tale maggioranza.

C’è anche un’altra ragione: l’attuale Regolamento della Camera, all’articolo 55, stabilisce che per farsi luogo alla procedura abbreviata di urgenza sia necessaria l’approvazione ed il consenso dei due terzi dei presenti. Si potrà discutere se sia il caso di prescrivere la maggioranza assoluta o i due terzi dei presenti; in ogni caso occorre la garanzia di una maggioranza speciale. A proposito del principio affermato in questo comma io vorrei far rilevare, ad evitare eventuali equivoci che possono sorgere, che quando si parla di procedura abbreviata non si vuole prevedere o ammettere che questa possa consistere nel saltare qualcuna delle fasi necessarie al procedimento normale, cioè deve essere chiaro che, almeno secondo l’interpretazione che io do all’articolo, questi procedimenti abbreviati importano semplicemente l’abbreviazione dei termini che sono normalmente richiesti per il procedimento normale. Ciò trova una conferma nell’attuale Regolamento della Camera, che prevede già questa disciplina, e la ragione di porre una norma in tal senso nella Costituzione sta sostanzialmente nell’opportunità di imporre alle future Camere la inserzione nei loro regolamenti di norme di questo genere, che altrimenti rimarrebbero affidate alla discrezionalità dell’Assemblea.

La questione più importante è quella relativa al terzo comma. Il terzo comma prevede un procedimento non più abbreviato, non più di urgenza, ma che si potrebbe dire decentrato, che porta a spostare l’esercizio dell’attività legislativa, a delegarla dalle Camere alle Commissioni legislative. Il punto grave in discussione è questo: la disciplina di questa procedura decentrata, di questa delegazione di attività legislativa delle Camere alle proprie Commissioni, deve essere rimessa ai regolamenti interni in modo puro e semplice oppure deve essere circondata da certe garanzie e da certi limiti da stabilire nella Costituzione? Io sono per la seconda soluzione, ed è per questo che non accederei alla proposta dell’onorevole Perassi che in sostanza conduce al risultato di affidare tutta questa materia al regolamento delle Camere. Mi permetto di osservare all’onorevole Perassi che vi è una lieve contradizione nella regolamentazione da lui proposta, perché mentre si fida del regolamento che deve essere approvato dalla maggioranza speciale e quindi presenta certe garanzie per il rispetto delle minoranze, per quanto riguarda la procedura dell’approvazione da parte delle Commissioni, viceversa, sente il bisogno di stabilire nella Costituzione che queste Commissioni debbono essere formate secondo una certa proporzione. Evidentemente, se c’è una materia per la quale potrebbe farsi affidamento sulle garanzie offerte dal regolamento, mi pare sia questa, che già trova nelle attuali disposizioni interne una disciplina nel senso proposto. Invece il procedimento di deferimento alle Commissioni, di rapporti fra Commissioni e Camere costituiscono una materia assolutamente nuova e di importanza politica così rilevante che non può non trovare qualche direttiva nella Costituzione. Tali direttive, da porre come limite all’attività dell’Assemblea, sono a mio avviso due: in primo luogo occorre una delegazione preventiva delle singole Camere ogni volta che si deve deferire alla Commissione l’esame e l’approvazione del progetto di legge. Bisogna evitare che i regolamenti delle Camere consentano di far ricorso a questa procedura decentrata per interi gruppi e classi di materia, perché questo può rappresentare una tendenza pericolosa. Vi possono essere provvedimenti che, sotto una modesta apparenza presentano una rilevante importanza politica, e allora la possibilità che il regolamento rinvii alle Commissioni intere classi e gruppi di leggi presenta il pericolo di sottrarre all’esame dell’Assemblea dei provvedimenti che possono assumere, in concreto, in una data situazione, un rilievo politico notevole.

Questo è un primo limite che mi sembra necessario affermare, e che non potrebbe essere surrogato da quanto l’onorevole Perassi or ora ha proposto oralmente, in via subordinata: che cioè i provvedimenti fossero sottoposti automaticamente alle Commissioni, salvo che vi sia una richiesta in contrario da parte di una piccola percentuale dei membri. A me pare necessario che vi sia un’espressa delegazione dell’Assemblea di volta in volta, in tutti i casi, e non sia sufficiente la sola eventuale opposizione di alcuni. Dal punto di vista pratico, l’accoglimento di una siffatta proposta importerebbe un dispendio di tempo maggiore di quello che si avrebbe con la delegazione preventiva, la quale, nella maggior parte dei casi avverrebbe senza discussione. Il secondo limite dovrebbe essere quello di riservare l’approvazione finale della legge da parte della Camera. Solo che mentre, secondo il progetto, tale approvazione è richiesta in tutti i casi, secondo la mia proposta essa dovrebbe aver luogo solo quando un quinto dei deputati lo richieda. Mi sembra che in questo modo si contemperi l’esigenza del decentramento legislativo delle Camere con l’altra, anch’essa importante, che vuole che la valutazione dei provvedimenti legislativi non sia confinata in una ristretta cerchia, ma sia compiuta, almeno in qualche fase, dall’intera Assemblea, che può procedervi con maggiore ampiezza ed equilibrio di giudizio.

Un ultimo limite mi sembra infine necessario: quello della pubblicità dei lavori della Commissione. L’onorevole Clerici proponeva che la pubblicità si estendesse alle sedute, ma ciò incontra un ostacolo anche di carattere pratico, non essendo facile consentire l’accesso del pubblico nelle sale delle Commissioni. L’esigenza assai importante si potrebbe sodisfare imponendo che siano resi pubblici i resoconti delle sedute.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: a scrutinio segreto.

«Subordinatamente, sostituirle con le parole: per appello nominale».

Ha facoltà di svolgerlo.

CARONIA. Io non posso che uniformarmi a quanto hanno detto gli onorevoli Moro e Clerici sullo stesso mio emendamento circa la soppressione delle parole: «a scrutinio segreto». Ma, ove l’Assemblea non approvasse questa proposta di soppressione, io proporrei, in via subordinata, di sostituire le parole «a scrutinio segreto» con le parole «per appello nominale».

Quando si tratta di approvazione di leggi, mi pare sia giusto che ogni deputato, rappresentante del popolo, assuma le propri responsabilità, facendo conoscere i suoi orientamenti ed i suoi atteggiamenti nei riguardi delle leggi, che devono regolare la vita della Nazione.

Il ricorrere allo scrutinio segreto, nel caso di approvazione di leggi, mi pare sia – permettetemi l’espressione – una forma di viltà, da cui tutti noi dovremmo rifuggire.

Comprendo la votazione a scrutinio segreto soltanto quando essa investa questioni personali. Allora è giusto che la decisione venga liberamente presa nel segreto della propria coscienza.

In nessuna Costituzione di Paesi civili è consacrato il principio dello scrutinio segreto. È un principio che troviamo soltanto nello statuto subalpino e nello statuto albertino; ma noi stiamo proprio lavorando per sostituire tali statuti…

Una voce: C’è anche nello statuto bulgaro.

CARONIA. Sì è vero c’è anche nello statuto bulgaro, ma questo non è un titolo di onore.

Ripeto che è quanto mai logico ed opportuno sopprimere dal progetto di Costituzioni quella che è una modalità di votazione e che va rimandata ai regolamenti delle Camere.

Ove l’Assemblea Costituente dovesse respingere l’emendamento soppressivo, sarei costretto ad insistere per la sostituzione delle parole «per appello nominale» a quelle «a scrutinio segreto».

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Desidero domandare un chiarimento a proposito delle Commissioni. Ricordo che nel 1919 l’onorevole Nitti istituì le Commissioni permanenti, col criterio della proporzionale. Anche allora vennero nominate altrettante Commissioni, quanti erano i dicasteri.

Io ho partecipato ai lavori della Commissione per le Belle Arti. Le discussioni dettero ottimi risultati non solo perché i progetti di legge venivano studiati tecnicamente, ma anche perché, quando ci si trova fra uomini competenti, è più facile, al di sopra delle astratte ideologie politiche, trovare una linea di intesa e di accomodamento.

Quindi sarebbe opportuno confermare nella legge costituzionale il concetto, contenuto nel Regolamento, di Commissioni permanenti nominate da ciascun gruppo politico in relazione all’entità del gruppo stesso, in maniera che i membri delle singole Commissioni possano nelle adunate del loro partito, informarlo su tutte le leggi e sentirne l’opinione, in modo che quando la legge sarà elaborata e il responso della Commissione sarà rimesso alla Camera, l’atteggiamento dei partiti sarà ormai deciso e si potrà facilmente condurre in porto la legge. Domando che, come ha accennato opportunamente l’onorevole Clerici nel suo emendamento, si parli di «Commissioni permanenti», permanenti in quanto sono nominate all’inizio della legislatura e restano quindi, a compiere un lavoro continuativo. Ciascun partito avrà interesse a nominare per le singole Commissioni gli uomini più competenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma questo c’è già: infatti il testo dell’onorevole Perassi dice: «…siano deferiti a Commissioni».

TONELLO. Io vorrei però che fosse aggiunta la parola: «permanenti» ed insisto su questo punto.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Nobili Oro ha così modificato il testo dell’emendamento che egli aveva presentato e svolto:

«Al primo comma, anziché sopprimere soltanto le parole: a scrutinio segreto, sopprimere le parole: con votazione finale a scrutinio segreto», sostituendovi le parole: per appello nominale».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi! Noi entriamo in una materia soprattutto tecnica, che non ha grandi riflessi politici, ma è molto importante: quella della formazione delle leggi.

Ora vorrei, prima d’ogni cosa, raccomandare che appunto prevalga il riflesso tecnico. Vorrei evitare ciò che è avvenuto più volte durante i nostri lavori, cioè che quando un collega ha proposto un emendamento gli altri, della sua parte, hanno votato come egli votava, senza riflettere per conto proprio sulla questione, e forse, in qualche caso, senza sapere neppure ciò di cui si trattava. Vorrei che l’Assemblea si attenesse, in materia tecnica, a criteri tecnici, tanto più quando si è verificato l’accordo nel Comitato, e l’emendamento rappresemi un singolare dissenso. Vorrei che si avesse qualche riguardo e si desse qualche peso a questa disgraziata Commissione che ha elaborato il testo con un anno e mezzo di lavoro; e vede le sue faticose e meditatissime formulazioni esposte al pericolo di essere dissipate dal colpo di vento di una deliberazione irriflessiva ed improvvisa.

Veniamo all’argomento. Importante è la formazione delle leggi. Esamineremo anzitutto la questione dei procedimenti per l’esame e l’approvazione delle leggi da parte delle Camere, poi la questione della delega legislativa; infine il problema dei decreti-legge. Io credo che la nostra sia la prima Costituzione che tratta in modo organico e completo questa delicata materia.

Procedimento per la formazione dello leggi da parte delle Camere. Ho accennato molte volte e l’ho spesso ripetuto che ormai il Parlamento si trova nella, non dirò difficoltà, ma impossibilità di legiferare normalmente, e citavo la frase di Herriot, il quale dichiarava alla Costituente francese che ormai il Parlamento è incapace non soltanto di governare ma anche di legiferare in modo normale, a causa della enorme congerie di materia legislativa. Quest’affermazione è stata ripresa da tutti i settori della Camera. Ormai da ogni parte si è ripetuta questa verità elementare; se continuiamo a pretendere che le Camere preparino la legge col procedimento consueto e tradizionale, non riusciremo ad adempiere il compito che spetta alle Camere di fare le leggi necessarie alla vita dello Stato. Sono impressionanti le cifre che l’onorevole Clerici molto opportunamente ha messo in luce e che rivelano come, quando il Parlamento non può adempiere al suo compito, piovono i decreti-legge ed i provvedimenti arbitrari e la Camera è ferita nella funzione essenziale, che è quella di legiferare. Si tratta di trovare un procedimento interno che non spogli la Camera della facoltà che essa sola ha di legiferare, ma che tenga conto delle necessità imprescindibili di una più rapida procedura, ed impedisca, con opportuni adattamenti interni, che avvenga la completa spogliazione dal di fuori, da altri poteri, della sua funzione legislativa.

Cerchiamo delle forme che possono consentire una preparazione delle leggi pronta e razionale, e salveremo il nostro istituto. Questo è il concetto fondamentale. Sono stati presentati molti emendamenti, quattro dei quali di maggior lunghezza, e sono gli emendamenti Perassi, Preti, Clerici e Persico. Questi quattro emendamenti in sostanza coincidevano tanto, che si è verificato un accordo nella rapidissima riunione che abbiamo avuto poco tempo fa, nella sospensione dei lavori dell’Assemblea.

Quale è il concetto fondamentale al quale noi vorremmo arrivare? Anzi tutto si conserva il 1° comma dell’articolo proposto dalla Commissione (salvo poi la revisione di forma, che mi sembra migliore nel testo Persico). Deve risaltare il criterio generale che l’esame e l’approvazione delle leggi spettano normalmente a ciascuna Camera, sentite apposite Commissioni. Questo è il principio fondamentale che rimane ben fermo. In ciò vi è piena coincidenza. Vi era solo una variante, dell’onorevole Preti, che enunciava alcune materie come oggetto della procedura normale; ma così restringeva il campo di tale procedura; mentre la garanzia che per quelle materie non si può derogare alla procedura stessa, è nell’ultimo comma dell’articolo. Tenendo presente ciò, l’onorevole Preti ha rinunciato alla sua variante, ed ha aderito a quanto si è concordato.

Resta dunque stabilito che il procedimento normale è l’esame e l’approvazione da parte della Camera e che l’esame si fa per mezzo di Commissioni.

A proposito del primo comma vi è soltanto un punto su cui rimane la controversia, ed è quello su cui hanno presentato emendamenti gli onorevoli Moro, Clerici, Caronia e Tito Orò Nobili. Il progetto della Commissione diceva che i disegni di legge devono essere approvati articolo per articolo e poi infine a scrutinio segreto. È stato proposto di sopprimere lo scrutinio segreto. Io credo che bisognerà mettere «con votazione complessiva». Una votazione finale ci vorrà. Non arriverei all’ultimissima proposta dell’onorevole Nobili Tito Oro che vuole sopprimere anche questa. Resta da vedere se si deve o no richiedere per la votazione finale di ogni e qualunque legge lo scrutinio segreto. Mi sembra che si debbano evitare equivoci. Qui, nella vivezza della discussione, si è da alcuni parlato come se noi volessimo sopprimere lo scrutinio segreto per tutte le possibili forme di deliberazione delle Camere. Ma con questo articolo di Costituzione noi non facciamo altro che eliminare la norma che prescriveva lo scrutinio segreto per la votazione finale dei disegni di legge. La questione se si debba o no sopprimere di per se stesso ed in ogni sua possibilità di applicazione lo scrutinio segreto, è tema di Regolamento delle Camere. Ciò che importa qui stabilire è che allo scrutinio segreto non si deve ricorrere per approvare ogni e qualunque legge. Vi sono molte leggi che non hanno grande importanza, o non sollevano divergenze; e possono benissimo essere votate per alzata e seduta, per divisione, per quello che sia, senza promuovere la macchina enormemente ritardatrice dello scrutinio segreto. Sarà una semplificazione ed un acceleramento nei lavori delle Camere. Se poi vi sarà ancora nel Regolamento la possibilità di chiedere lo scrutinio segreto, potrà essere chiesto, volta per volta, per date leggi. Penso dunque che anche coloro, che non sono favorevoli all’abolizione nel Regolamento della votazione a scrutinio segreto, potrebbero acconsentire a toglierne l’obbligo, in via assoluta, per tutti i disegni di legge.

Questa è la conclusione a cui si è giunti nella rapida seduta che abbiamo avuto poco fa.

Veniamo al tema, più vasto, delle Commissioni. L’istituto delle Commissioni è ormai tradizionale e quasi immedesimato col concetto stesso di Parlamento. Che a questo concetto non ripugni che le Commissioni siano permanenti, è pure un dato acquisito è largamente applicato. Sorgono dubbi se alle Commissioni si possa affidare anche l’approvazione di disegni di legge. Ecco il punto da superare. Vi si ricongiunge la preoccupazione che, deferendo ad una Commissione tale approvazione, la Camera si spogli di una funzione esclusivamente sua.

Il Comitato ritiene tale preoccupazione infondata, giacché non si tratta di delegare la funzione legislativa ad un organo esterno, ma di esercitarla per mezzo di un organo proprio, interno, di una parte della Camera stessa, e con facoltà sempre di richiamare tale funzione a tutta la Camera. Non si può dunque dire che la Camera non esercita la funzione direttamente e da se stessa.

Si è pertanto accolto l’emendamento Perassi, completandolo con l’indicazione che le Commissioni possono essere «anche permanenti»; concetto che vi è nell’emendamento Clerici. Resta sempre da seguire la procedura dell’esame ed approvazione dell’intera Camera per le leggi costituzionali, le leggi che implicano una delega legislativa, le leggi per l’approvazione di bilanci, le leggi per la ratifica e stipulazione di trattati. Come stabilisce l’emendamento Preti nel primo comma, e quello Perassi nel terzo, tali leggi non potranno mai essere sottratte all’esame articolo per articolo e all’approvazione della Camera, e per esse non sarà mai ammissibile nessun procedimento abbreviato.

Quali saranno i disegni di legge che si potranno attribuire alle Commissioni permanenti? Sembra opportuno non limitarli, come è nell’emendamento Preti, alle categorie suindicate di leggi, che debbono, ma non esse sole riservarsi all’esame più minuto delle Camere. Dovranno a queste essere attribuiti tutti i disegni di legge che il Regolamento delibererà. Badate bene che il Regolamento è un atto votato a maggioranza assoluta dei componenti della Camera, come le leggi che hanno un valore costituzionale, vi sono dunque, le maggiori garanzie. Del resto ci sentiamo ora in grado di stabilire dei criteri più concreti? No, e ci dobbiamo richiamare all’esperienza. Quello che importa è di avere segnato le grandi linee generali.

Sorgono poi difficoltà. Da un lato si chiedeva che per deferire alle Commissioni l’esame e l’approvazione dei disegni di legge, occorresse una deliberazione dell’Assemblea volta per volta; si chiedeva d’altro lato che le Commissioni potessero sì esaminare il progetto, ma che poi l’approvazione dovesse venire all’Assemblea, pur ammettendo che in questo caso non sarebbero state consentite che dichiarazioni di voto. Onorevoli colleghi, considerando questa materia, ci siamo convinti che, se ammettessimo questa procedura, tutto il beneficio della rapidità sarebbe perduto. Pensate alle discussioni che si avrebbero alla Camera, sia pure attraverso dichiarazioni di voto interminabili, né sarebbe possibile porre dei limiti; come dimostrano continui esempi. Svuoteremmo il contenuto della nostra utilissima riforma. D’altra parte se l’Assemblea dovesse di volta in volta deliberare se vadano o no alle Commissioni, anche questo sarebbe un fatto ritardatore che toglierebbe il carattere della nostra proposta. Dunque resta fermo che il Regolamento stabilirà i casi e le forme in cui sono deferiti alle Commissioni l’esame e l’approvazione dei disegni di legge.

Ma (ecco l’importanza dell’emendamento all’emendamento che abbiamo stabilito) quando il Governo o 30 deputati lo chieggano, questo deferimento dell’esame e dell’approvazione alle Commissioni permanenti non avrà luogo e si seguirà la procedura più normale e diffusa di intervento da parte dell’Assemblea. Mi pare che stabilito cosi questo esame, dà tutte le garanzie possibili.

Abbiamo avuto nella nostra brevissima riunione di poco fa il pieno accordo su un testo che prende a base quello Perassi, quasi identico del resto, all’altro, dell’onorevole Persico (le questioni di pura forma le sbrigheremo a suo tempo); con opportuno completamento e modifiche è diventato il testo del Comitato.

Il primo e secondo comma rimangono come sono, salvo a togliere nel primo le parole «scrutinio segreto», sostituendole con le altre «votazione complessiva» o «votazione finale».

Il terzo comma dice che il Regolamento può stabilire i casi e le forme in cui, salvo contraria richiesta del Governo o di 30 membri della Camera, l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni «anche permanenti», composte in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi alla Camera.

Il sistema è armonico e completo. C’è poi la questione della pubblicità dei lavori delle Commissioni. L’onorevole Clerici ha proposto che le sedute delle Commissioni siano pubbliche. Ciò può sembrare eccessivo e non opportuno per molte ragioni. Si potrebbe andare incontro, piuttosto, alla proposta del nuovo articolo Mortati, che «i resoconti dei lavori delle Commissioni devono essere resi pubblici». Meglio di tutto è lasciare al Regolamento di determinare i modi e le forme di pubblicità.

Veniamo all’emendamento dell’onorevole Mortati. Si era stabilito un accordo, tra tutti i presentatori d’emendamenti delle diverse parti politiche, su un dato testo. Ora l’onorevole Mortati con un emendamento nuovo manderebbe a monte tutto. Sarebbe perduto lo sforzo e la fatica che abbiamo fatto per adottare una formula che ha, secondo me, una notevole incertezza.

L’emendamento Mortati è stillato con la diligenza consueta al suo autore; ma contiene elementi di incertezza e di imprecisione. L’onorevole Mortati comincia col dire: non possiamo parlare di Commissioni della Camera, perché questo non c’à in nessuna Costituzione. Non vado ad esaminare se ciò è esatto. Ma faccio osservare che, per la logica delle cose, subito dopo l’onorevole Mortati ammette le Commissioni permanenti. Quindi, parla di Commissioni; e perché allora si devono togliere nel primo comma, quando questo istituto è contemplato subito dopo?

Egli chiede che non si possa dichiarare l’urgenza di un provvedimento, se non a maggioranza assoluta. Cosa vuol dire maggioranza assoluta? S’intenderà dei componenti della Camera. Pensate alle necessità di questa macchinosa mobilitazione, di cui non vedo la necessità. Egli ha citato il caso del referendum, ma la portata, in questo caso, è immensamente maggiore. Si comprende che per sottrarsi al referendum ci voglia la maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea; ma per una semplice dichiarazione di urgenza, non credo che questo principio sia ammissibile, tanto più che secondo il testo della Commissione, completato dagli onorevoli-Perassi e Costa, viene stabilito che per alcune categorie di leggi importantissime mai sia ammissibile il procedimento abbreviato. Quindi anche, oso dire, tecnicamente non mi pare che questa sua proposta sia da accogliere.

Da ultimo l’onorevole Mortati non vuole mettere nel nostro testo che le Commissioni sono costituite in modo da rispecchiare la proporzione dei Gruppi alla Camera, perché dice: questa è materia di Regolamento. Non comprendo: in alcuni casi egli mette nella Costituzione questioni di Regolamento; in altri casi annulla tutto dalla Costituzione. Noi seguiamo più costantemente il criterio di mettere nella Costituzione principi direttivi, che ci sembrano necessari, rinviando per il resto al Regolamento. Sul punto qui in esame, non accediamo al pensiero – e credo di interpretare il pensiero di tutte le parti dell’Assemblea, anche di quella dell’onorevole Mortati – che si possa arrivare all’attribuzione alle Commissioni di poteri anche di approvazione, se non nel caso in cui le Commissioni rispecchino la proporzione dei Gruppi alla Camera. Quindi, pregherei l’onorevole Mortati di non insistere sopra il suo testo, che richiederebbe un riesame, una necessità di emendamenti all’emendamento, di modifiche e di correzioni; e poi, soprattutto spezzerebbe quella linea che si è ormai stabilita, in base al meditato consenso di tutti i presentatori di emendamenti, con un passo notevole per la tecnica legislativa del nostro progetto.

Per quanto riguarda l’ultimo suo comma, sulla pubblicità dei lavori delle Commissioni, noi non abbiamo difficoltà ad accoglierlo, sostituendo questo concetto a quello dell’onorevole Clerici; che del resto non credo abbia difficoltà al riguardo.

In questo modo, onorevoli colleghi, noi avremmo fatto un primo passo verso la formazione rapida delle leggi. Noi non abbiamo paura che questo sistema per la prima volta sia introdotto in una Costituzione; noi vediamo già del resto affermata tale esigenza da parte di molti cultori di discipline costituzionali; e sono sicuro che farà una buonissima impressione e sarà una delle conquiste della nostra Costituzione. È per ciò che io vi prego di aderire a questa proposta.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mentre attendiamo che il testo nuovo della Commissione venga redatto, prego i presentatori di emendamenti di dirmi se essi li mantengano o meno, dopo le considerazioni esposte dall’onorevole Ruini.

Chiedo all’onorevole Preti se mantiene il suo emendamento.

PRETI. Preferirei, prima di pronunciarmi, attendere che l’onorevole Ruini faccia conoscere il testo della formulazione concordata.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il testo dell’articolo concordato, secondo le indicazioni dell’onorevole Ruini, risulta del seguente tenore:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo, e con votazione complessiva.

«Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui, salva contraria richiesta del Governo o di 30 membri della Camera, l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni composte in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi alla Camera.

«Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che coloro che hanno intenzione di votare in favore dello scrutinio segreto, si troverebbero in questo modo a dover presentare degli emendamenti; mentre mi pare più semplice votare sul testo originario della Commissione.

PRESIDENTE. Non credo, onorevole Laconi, che ci siano difficoltà. Coloro che desiderano che si voti sopra la formula «a scrutinio segreto», scriveranno due parole: «scrutinio segreto» e le presenteranno come emendamento.

L’onorevole Tosato, ha presentato un emendamento del seguente tenore sostitutivo dell’articolo 69:

«Il Regolamento di ciascuna Camera disciplina i procedimenti ordinari e abbreviati per l’esame e l’approvazione dei disegni di legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

TOSATO. Non ho bisogno di richiamare l’attenzione degli onorevoli colleghi sulla grande importanza della questione sulla quale l’Assemblea sta per emettere la sua decisione.

Si è detto che si tratta di una questione tecnica: ma anzitutto e soprattutto, direi che è una questione della più alta importanza politica e costituzionale.

Qui ci sono due tendenze: una tendenza, secondo la quale il procedimento per la formazione delle leggi dovrebbe seguire la via ordinaria ben nota. Via ordinaria e ben nota, che dà luogo a molti gravi inconvenienti, per cui si vede sempre più la gravissima difficoltà delle Assemblee legislative a far fronte ai loro compiti; e per questo la Commissione dei Settantacinque ha esaminato se si possono stabilire delle forme di procedimento per l’esame e la formazione delle leggi più rapide, in modo che in definitiva il potere legislativo non sfugga ai Parlamento, che è l’organismo competente.

Óra, la via che viene proposta, e sulla quale l’onorevole Presidente Ruini ritiene di poter constatare un diffuso concorde orientamento, è questa: di deferire non soltanto l’esame, ma anche l’approvazione di disegni di legge a Commissioni interne delle Camere.

Ora, proprio su questo punto io intendo richiamare la vostra attenzione, su questo punto gravissimo che finisce per svuotare il principio, che è fondamentale, secondo cui competenti ad esercitare il potere legislativo non sono le Commissioni ma le Assemblee.

Noi stamane abbiamo rinviato la votazione dell’articolo 67 per non anticipare nessuna decisione in ordine ai poteri del Capo dello Stato, in particolare per quanto riguarda la sua partecipazione all’esercizio della funzione legislativa. Resta però comunque fermo il principio che la potestà legislativa spetta, col concorso o meno del Capo dello Stato, alle Assemblee legislative. Ciò posto, non capisco come si possa ammettere poi che la funzione stessa venga spostata dalle Camere alle Commissioni, organi interni, che non sono le Camere, e che non presentano le garanzie delle Camere.

Ricordo che durante i lavori della Sottocommissione, quando abbiamo affrontato il problema della delegazione legislativa, ci siamo preoccupati, e ce ne siamo preoccupati moltissimo, di stabilire limiti precisi alla possibilità di delegazioni legislative; ed è stato proprio il Presidente di questa Assemblea – come Presidente, allora, della Sottocommissione – che ha proposto una formula molto felice, che ha sodisfatto tutti per la sua rigorosità.

Ora, se noi abbiamo ritenuto opportuno di ammettere la delegazione legislativa, ma di ammetterla soltanto entro limiti ben determinati, come possiamo approvare con animo leggero una formula costituzionale che prevede genericamente la possibilità di delegare non al Governo, ma ad una Commissione, non tanto l’esame ma anche l’approvazione di disegni di legge?

È sulla gravità di questa questione che io richiamo l’attenzione e la preoccupazione dell’Assemblea!

Io mi rendo perfettamente conto che, così come attualmente è regolato il procedimento di formazione delle leggi, le Assemblee legislative non possono adempiere tutti i gravissimi compiti ad esse affidati, soprattutto quello di esercitare la funzione legislativa; ma bisogna riconoscere che tutte le proposte che ci vengono presentate non ci possono sodisfare, e lasciare tranquilli, tanto più quando esse minano i principi fondamentali della Costituzione. È contradditorio affermare la esclusiva competenza legislativa delle Camere, e ammettere che attraverso una norma di Regolamento esse possano essere svuotate dei loro compiti, che sono loro doveri.

E allora io propongo questo: lasciamo fermo il principio fondamentale in base al quale il potere legislativo spetta alle Camere e – secondo me – soltanto alle Camere. Abbiamo previsto casi determinati di delegazione legislativa. In sede di approvazione di Regolamento, le Camere vedranno se, accanto alle forme normali di formazione delle leggi, si possono prevedere e stabilire delle forme abbreviate, sia per casi di urgenza, sia per casi non urgenti ma in cui la materia renda possibile una forma di approvazione più rapida. Ma non compromettiamo con norme costituzionali problemi di così vasta proporzione e di così grave importanza.

Data questa esigenza, rinviamo al punto in cui siamo, al Regolamento delle Camere, la determinazione di procedimenti speciali e idonei che possano accelerare l’approvazione delle leggi; ma manteniamo fermo il principio fondamentale che il potere legislativo spetta alle Camere e non ad altri organi come le Commissioni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Tosato ha esposto alcune considerazioni che non mi sembrano ammissibili, e che sono contradittorie fra loro. Anzitutto egli ha insistito su una delegazione che la Camera farebbe dei suoi poteri ad altri organi. Non è affatto una delegazione che la Camera faccia dei suoi poteri ad altri organi! Anche le Commissioni sono parte dell’Assemblea. Non v’è affatto una spoliazione delle funzioni legislative, tanto più che noi abbiamo stabilito che la Camera può sempre riservare a sé tutto intero questo compito. La Camera è giudice del modo con cui essa stessa esercita l’attribuzione di questo suo potere legislativo.

Non posso in nessun modo, quindi, lasciar passare l’affermazione dell’onorevole Tosato che con questa proposta, ormai concordemente approvata dai rappresentanti di tutta la Camera, si ferisca la disposizione che il potere legislativo è esercitato dalla Camera, perché il potere legislativo è sempre esercitato dalla Camera anche se essa, per alcune procedure, voglia affidare a sue Commissioni – che sono sempre parte della Camera – l’esame di alcuni disegni di legge salvo a riservare – e bastano trenta deputati – l’esame del complesso alla Camera stessa. Il ragionamento dell’onorevole Tosato appare dunque assolutamente infondato.

Ma poi c’è contraddizione. Egli dice: rimandiamo questa questione al Regolamento. Ma se c’è come premessa che ogni rinvio alle Commissioni significherebbe un’abdicazione della Camera al suo potere legislativo, evidentemente non ci potrebbe essere più delega al Regolamento.

Il concetto di lavoro rapido per mezzo delle Commissioni, sul quale così largo consenso si è determinato di fronte alle necessità esposte soprattutto dall’onorevole Clerici, cadrebbe completamente. Per questa profonda contraddizione, noi dobbiamo insistere sul testo concordato.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Laconi e Grieco hanno presentato il seguente emendamento aggiuntivo al primo comma del nuovo testo proposto dalla Commissione:

«Aggiungere le parole: a scrutinio segreto».

FABBRI. Resterebbe allora il testo originario.

PRESIDENTE. Se venisse approvata la proposta Laconi-Grieco il testo originario del primo comma resterebbe.

L’emendamento sostitutivo proposto dall’onorevole Tosato ha la precedenza nella votazione perché più si discosta dal testo della Commissione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Onorevole Presidente. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini io desidererei poter dare un chiarimento per precisare il contenuto dell’emendamento che ho proposto, in quanto mi sembra che la stessa Assemblea, dopo il mio precedente intervento, sia molto perplessa.

Per essere brevissimo, dirò semplicemente che la questione sulla quale bisognerebbe prendere una decisione di principio è questa: siamo disposti ad ammettere che una Commissione delle Camere possa, come tale, non solo esaminare ma anche approvare un disegno di legge? Questa è la questione che si tratta di decidere.

Nell’emendamento che ho proposto questa possibilità resta esclusa. È per questo che io non sono caduto in quella tale contraddizione di cui ha parlato Ruini. Infatti, l’emendamento che io ho proposto rappresenta una disposizione che segue l’articolo fondamentale in base al quale il potere legislativo spetta alle Camere. Se il potere legislativo spetta alle Camere, è evidente che in nessun caso le Commissioni delle Camere, come tali, potranno approvare un disegno di legge.

Che poi in sede di regolamento le Camere possano studiare e disporre tutte quelle forme che si manifestano più idonee per accelerare il procedimento legislativo, salvo però restando il principio che l’approvazione delle leggi spetta alle Camere esclusivamente, questa è un’altra questione. Rinviando, quindi, al regolamento la disciplina delle varie forme di esame e di approvazione delle leggi, non si incide e non si deroga al principio fondamentale ed essenziale, al quale io intendo restare fedele senza eccezioni.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Spero che l’onorevole Presidente voglia perdonarmi se faccio ancora una richiesta di sospensione. Mi pare che su questo punto, che all’inizio sembrava molto chiaro, si siano venute accavallando delle nuove proposte e si siano anche manifestate talune incomprensioni, cose che consigliano un riesame della materia da parte del Comitato di coordinamento. Intanto alcuni degli emendamenti più importanti, quelli che presentano differenze più marcate, non si erano potuti esaminare in quella riunione alla quale l’onorevole Ruini ha fatto cenno, perché non erano stati svolti in Assemblea. Adesso che è stata presentata una proposta radicale da parte dell’onorevole Tosato, credo che i Gruppi si trovino in un certo imbarazzo ed abbiano bisogno di riordinare le idee e di prendere una decisione di fronte a questo punto che è veramente d’importanza fondamentale. In questo concordo con l’onorevole Tosato. Si tratta della funzione legislativa. Mi pare opportuno, quindi, rinviare a domani perché ora sono già le venti. Ci si potrà riunire in sede di Comitato anche questa sera, per esaminare la questione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo ripetere quello che ho detto. Non si è lavorato per tanto tempo alla Commissione (per un anno e mezzo), non si sono esaminate tutte le questioni a fondo, non si è realizzato un accordo discutendosi fra i varî rappresentanti delle varie correnti perché all’ultima ora si possa così rimandare tutto in aria, distruggendo quello che.si era conquistato. Seguendo un metodo siffatto, si peggiorerà di molto la situazione. Quanto al punto in questione si era riconosciuta da tutti un’esigenza, che ha avuto nel collega Clerici il suo più vivo assertore, di rimediare alla disfunzione legislativa del Parlamento. D’accordo tutti, si era trovato un rimedio. Se ora credete, con una votazione improvvisa, di mandarlo all’aria, fate quello che volete. Le conseguenze vi saranno. Io dichiaro fin da ora che questo implicherebbe un cambiamento di metodi. Parlo con meditata riflessione. La sospensione può essere accordata. Ma quando il Comitato potrà riunirsi? Domani alle nove v’è seduta dei Settantacinque per le leggi sulla difesa dello Stato; poi alle 11 seduta; poi seduta nel pomeriggio.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Come presentatore di uno degli emendamenti all’articolo 69 appoggio la domanda dell’onorevole Moro. Anche il mio Gruppo è di questo parere.

PRESIDENTE. La domanda dell’onorevole Moro in sé non è di vero e proprio rinvio; quindi a torto l’onorevole Moro ha richiamato un precedente, che era un effettivo rinvio. Qui si tratterebbe di rimandare il seguito della discussione a domani mattina.

MICHELI. Sarebbe meglio al pomeriggio.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, la mattina di domani deve essere impiegata utilmente ai fini della Costituzione.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Onorevole Presidente, pur essendomi astenuto dall’intervenire in questa discussione, credo di avere diritto, in qualche modo, di fare udire anche la mia parola a questo riguardo. Io non sono compromesso nella questione che si è discussa, perché non ho presentato nemmeno un emendamento per la soppressione dello scrutinio segreto o dell’appello nominale o per la sostituzione dell’una all’altra di queste parole.

Quindi, la mia parola non ha significato di contestazione o di battaglia; vorrebbe se mai essere parola di consiglio; nel senso che, conservando tutto il riconoscimento per il lavoro fatto dal nostro Presidente della Commissione, è evidente che, pur essendosi di questa materia discusso a lungo, pare che quel rapido convegno fatto quest’oggi, cui egli accennava, non abbia prodotto quegli effetti quasi miracolosi che egli riteneva.

Per questo io dico: non è male che il necessario accordo sia intessuto in modo più conveniente e più sostanziale, sicché ogni dubbio rimasto dopo l’accordo troppo momentaneo possa esser chiarito e fugato, ma non in quest’ora.

Io sono del vecchio parere espresso altre volte in questa Assemblea, e purtroppo spesso in dissenso dell’onorevole Presidente, che la notte porta consigli. Viceversa, facendosi adunante sopra adunanze, si finirà col condurre i dissenzienti ad accordi artificiali. Mi pare che così sia molto difficile riuscire a ottenere quella concordia che tutti desideriamo. Per queste ragioni, interrompendo forse, dissi che pareva a me più conveniente che l’argomento fosse rinviato alla seduta pomeridiana di domani. Vi sarebbe maggior tempo, quello che necessita perché i presentatori degli emendamenti in contrasto possano con calma radunarsi per riesaminare la questione e mettersi d’accordo.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Pastore Raffaele ha presentato la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per sapere perché a Bari, da parte di quelle autorità, è stato consentito all’avvocato Vittorio Ambrosini di fare in un pubblico comizio l’apologia del fascismo».

Chiedo al Governo quando intender rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Interesserò il Ministro dell’interno perché faccia sapere al più presto quando intenda rispondere.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Il Ministro dell’interno dichiarò ieri sera che mercoledì mattina avrebbe risposto a tre interrogazioni urgenti, rispettivamente presentate dagli onorevoli Gronchi e Codacci Pisanelli e da me.

PRESIDENTE. Queste tre interrogazioni saranno poste all’ordine del giorno della seduta antimeridiana di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, perché consideri se non sia opportuno estendere a tutte le Amministrazioni dello Stato la norma già applicata da alcuni Ministeri, secondo cui al funzionario, che riveste provvisoriamente le funzioni del grado superiore con la qualifica di reggente, viene corrisposta una indennità pari alla differenza tra lo stipendio di cui è provvisto e quello iniziale del grado superiore, evitandosi così trattamenti che possono apparire di privilegio e situazioni di evidente ingiustizia.

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere se gli uffici dipendenti dall’Ente assistenziale U.M.A. (Utenti motori agricoli) siano tenuti a fornire agli uffici distrettuali delle imposte dirette le informazioni e le notizie di cui sono in possesso per ragioni del servizio assistenziale prestato, violando i doveri di riserbo e di segreto di ufficio a danno dei propri assistiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se, in considerazione del fatto che la classificazione stradale disposta dal regio decreto 15 novembre 1923, n. 2506 (legge Carnazza), non ha avuto pratica attuazione, mentre ha impedito e impedisce alle provincie di assumere a loro carico la costruzione e manutenzione di strade oggi comunali, alle quali i comuni si trovano nella impossibilità finanziaria di provvedere, non ritenga urgente e indispensabile, accogliendo il voto formulato dalla Commissione strade del Touring Club Italiano nella sua riunione del 21 dicembre 1946, abrogare intanto la suddetta legge Carnazza e fissare poi nuovi criteri di classificazione delle strade, in modo da pervenire ad un completamento della rete statale e provinciale e ad una riduzione di quella comunale, lasciando ai comuni le sole strade urbane e quelle di interesse strettamente locale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ermini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, perché dica le ragioni, per le quali non si dà ancora inizio alla costruzione della rotabile Sprondasino in agro di Poggio Sannita (Campobasso), che enormemente trasformerebbe l’economia di detto comune, che, perciò, l’attende da oltre un cinquantennio, sebbene del tutto invano, pur proclamandosi da ogni parte il proposito di risolvere i problemi del Mezzogiorno di Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, perché consideri se non sia opportuno, con un provvedimento transitorio, andare incontro ai ferrovieri anziani, che, pervenuti a 58 o 60 anni di età per il personale attivo ed a 62 per quello impiegatizio, sono inesorabilmente mandati in quiescenza con una pensione, che raggiunge appena la metà degli emolumenti di attività, mentre tutti gli altri dipendenti statali, pur arrivati al limite di età, per cui dovrebbero essere collocati in pensione, sono trattenuti in servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se i diplomi conseguiti nei campi di prigionia da coloro, che hanno ivi frequentato corsi di studi di scuola media, tenuti da professori di ruolo, siano o meno parificati a quelli conseguiti nelle scuole dello Stato, così come si è provveduto per gli esami sostenuti a chiusura dei corsi universitari, svoltisi parimenti nei campi di prigionia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché consideri se non sia rispondente a criteri di giustizia riconoscere a favore dei professori non di ruolo, in occasione dei prossimi concorsi, quali anni di supplenza, gli anni di insegnamento, da essi tenuto nei campi di concentramento sparsi in ogni parte del mondo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.5.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 14 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 14 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Congedo:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Mortati

Fabbri

Fuschini

Lucifero

Conti

Lussu

Tonello

Persico

Colitto

Tosato

Stampacchia

Nitti

Bozzi

Targetti

Gullo Fausto

Codacci Pisanelli

La seduta comincia alle 11.30.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Turco.

(È concesso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Onorevoli colleghi, rammento che nell’ultima seduta abbiamo approvato l’articolo 66, relativo alla corresponsione di una indennità ai membri del Parlamento. Dovremmo adesso esaminare i seguenti due articoli aggiuntivi presentati dagli onorevoli Mortati e Crispo e un ordine del giorno dell’onorevole Mortati:

Art. …

«Possono essere eleggibili al Parlamento gli italiani che non siano cittadini della Repubblica».

Mortati.

Art. …

«L’esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinata dal tempo o dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato di assedio. Nei casi suddetti, le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato di assedio e i provvedimenti relativi».

Crispo.

Ordine del giorno

«L’Assemblea Costituente ritiene che, ove si creda di adottare il giuramento per il Presidente della Repubblica e per i Ministri, anche i membri delle due Camere, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, debbano prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione».

Mortati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo confessare, onorevole Presidente, che per l’orario dei lavori che non ci lascia momento di respiro non siamo ancora riusciti, in Comitato, ad occuparci dell’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, perché, tra l’altro, questa mattina abbiamo cominciato a discutere in Commissione dei settantacinque i disegni di leggi sulla difesa della Repubblica. Quindi, la pregherei di attendere qualche giorno ancora.

Quanto all’articolo aggiuntivo dell’onorevole Crispo, che il Comitato si era impegnato di prendere in esame, sembra al Comitato che debba essere trattato dopo l’articolo 74, come 74-bis, perché, mentre l’articolo 74 comprende le deleghe legislative, si può nel 74-bis collocare la materia dei decreti legge di urgenza ai quali in sostanza la proposta Crispo si riferisce. Sarà un brevissimo rinvio. E si completerà allora la triade: 1°) formazione delle leggi, come funzione normale del Parlamento; 2°) delega legislativa; 3°) decreti legge; che si deve svolgere logicamente in questo ordine.

Quanto all’ordine del giorno dell’onorevole Mortati, la questione risollevata dall’onorevole Mortati è stata discussa largamente a proposito dell’articolo 51. La prima Sottocommissione aveva richiesto il giuramento dei deputati; la seconda no; nel qual senso sì era pronunciata la Commissione plenaria dei settantacinque. Ripresa la discussione qui in Assemblea, mi sembra, se ben ricordo, che la questione sia stata risoluta ancora in senso negativo.

MORTATI. È stata rinviata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma allora, se è stata rinviata, nulla vieta che possa essere affrontata e decisa ora, senza un altro rinvio, come propone nel suo ordine del giorno l’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Mortati di esprimere il suo parere.

MORTATI. Io ho un ricordo alquanto diverso da quello del Presidente, perché mi pare che l’articolo relativo al giuramento degli organi costituzionali sia stato rinviato. Si è cioè deciso di riservare alle norme che saranno dettate in occasione della determinazione della posizione giuridica del Capo dello Stato e dei membri del Governo la decisione della questione circa l’obbligo ed eventualmente le forme di giuramento dei medesimi. Con l’articolo 48 fu stabilito tale obbligo, o meglio, la possibilità che la legge sancisca tale obbligo, solo per i titolari dei vari uffici pubblici.

Se questa è la situazione, penso sia opportuno fare, in questa sede, in cui si precisa la figura dei membri del Parlamento, una riserva, nel senso che la questione del giuramento sia esaminata e decisa con criteri unitari sia nei confronti di tali membri, sia in quelli degli altri organi costituzionali, perché mi pare che non ci sia ragione di differenziazione di trattamento in ordine a tale punto. Il mio ordine del giorno vuole appunto avere il significato e la portata di una riserva.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati fa presente che, secondo quanto gli suggerisce la memoria, il problema non è stato ancora proposto e non è stata neanche trovata una soluzione di orientamento nella sede accennata dall’onorevole Ruini e conclude che il suo ordine del giorno ancora in questo momento è una riserva, perché subordina l’accettazione o meno del giuramento da parte dei membri delle due Camere a quanto verrà deciso in relazione al giuramento del Presidente della Repubblica e dei Ministri. E poiché il tema non è stato ancora abbordato, anche una decisione presa in questo momento non pregiudicherebbe nulla.

Dal resoconto stenografico della seduta in cui venne in discussione l’argomento, risulta che l’Assemblea ha stabilito che singolarmente, per ogni organo considerato dalla Costituzione, sarà deciso in merito al giuramento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Resta dunque fermo che la deliberazione dell’Assemblea è stata non nel senso di respingere l’idea del giuramento per i membri dell’Assemblea, ma di rinviare l’argomento a quando si sarebbe trattato di ogni istituto.

L’ordine del giorno Mortati fa un altro rinvio, e subordina la prescrizione del giuramento dei membri del Parlamento a quando sia adottato il giuramento anche per il Presidente della Repubblica e per i Ministri. Ma una connessione logica e necessaria non c’è; questi casi non sono inscindibili fra loro; tant’è che nelle lunghe e ripetute discussioni sull’argomento fu manifestata e sembrò prevalere l’opinione che il giuramento fosse da richiedersi al Presidente della Repubblica, non ai membri del Parlamento. Non entro nel merito della questione, osservo soltanto che è meglio decidere subito, per quel che concerne i membri del Parlamento. Prego l’onorevole Mortati o di ritirare l’ordine del giorno, o di trasformare in articolo aggiuntivo la sua proposta di giuramento dei membri del Parlamento.

FABBRI. L’articolo 51, relativo al giuramento di fedeltà alla Costituzione ed alle leggi della Repubblica, è già stato approvato.

PRESIDENTE. È stato soppresso. D’altra parte, faccio presente che l’articolo 48, approvato, dice al secondo comma: «I cittadini hanno il dovere di adempiere alle funzioni loro affidate con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».

È certo che l’articolo 48 non voleva riferirsi agli investiti di autorità per elezione; si riferiva invece a coloro che ricevessero per altra via una certa funzione, il dovere di assolvere a certi compiti, a certi uffici come funzione permanente. Ma se ricordiamo che il giuramento per i deputati era precedentemente previsto nella legge speciale elettorale, si potrebbe pensare che la stessa disposizione dell’articolo 48 – che si riferisce alla prestazione del giuramento da parte dei cittadini cui vengono affidate pubbliche funzioni – comprenda anche, in analogia alla precedente legge elettorale, la disposizione per i deputati.

Comunque, io concordo con quanto ha detto l’onorevole Ruini. Se si vuol porre la questione del giuramento per i membri del Parlamento, è bene porla in maniera esplicita e risolverla senz’altro, senza subordinarla alle decisioni che venissero prese per il giuramento del Presidente della Repubblica, giuramento che evidentemente risponderebbe ad altri motivi e necessità che non il giuramento dei membri del Parlamento. Per queste ragioni pregherei l’onorevole Mortati, se intende che l’Assemblea risolva la questione, di proporla in modo formale.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Quanto ho detto circa il carattere di riserva che desideravo conferire al mio ordine del giorno trova il suo fondamento nella convinzione che non si possa risolvere il problema frammentariamente. Ove esso si affrontasse in modo globale si potrebbe anche giungere alla conclusione dell’inopportunità di assoggettare a giuramento i titolari di organi costituzionali, secondo è disposto in alcune Costituzioni, e come si potrebbe anche razionalmente sostenere. Ma se si andasse su contrario avviso, ugualmente sussisterebbe l’esigenza di un analogo trattamento, non essendovi nessuna ragione, né logica, né politica, né giuridica di escludere dal giuramento certi organi costituzionali e di imporlo per altri. La tesi contraria, enunciata in sede di commissione dall’onorevole Conti, si basa sulla vecchia concezione giusnaturalistica, che considerava i rappresentanti del popolo sottratti ad ogni legge: che è assurdo, perché in un ordinamento costituzionale non vi può essere nessun organo, anche supremo, che possa non essere vincolato all’osservanza della Costituzione. La formula di giuramento da me proposta implica questo solo impegno: di osservare in tutte le attività affidate ai membri del Parlamento le forme prescritte dalla Costituzione. Limitato in questo senso il contenuto del giuramento, nessuna obiezione seria può essere sollevata, non essendo dubbio che anche i deputati sono soggetti alla Costituzione. Lo stesso popolo, che è l’organo sovrano, in quanto sia parte di uno Stato già costituito non può agire legalmente se non nelle forme della Costituzione, quindi attraverso il referendum, i voti, le elezioni.

È vero che il popolo può fare la rivoluzione, ma questo non è un diritto che sorge dalla Costituzione; è un diritto extra costituzionale, che può dar luogo ad una situazione di fatto.

Posta la questione in questi termini, e messo in chiaro che il giuramento non comporta nessuna restrizione alla libertà delle opinioni e dei voti dei deputati, credo che la mia proposta non debba incontrare opposizione. Perciò insisto in essa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Mortati, in sostanza, sia pure in via subordinata, ha acceduto alla tesi che si discuta subito la questione del giuramento dei membri del Parlamento.

FUSCHINI. È questione tanto semplice, che è meglio affrontarla subito.

PRESIDENTE. Io sono di questo avviso, e poiché anche l’onorevole Presidente della Commissione e l’onorevole Fuschini sostengono questa proposta, possiamo senz’altro affrontare la questione, non sulla base dell’ordine del giorno Mortati, che pone la decisione in forma subordinata, ma in prima istanza, riservandoci di esaminare dopo il problema per il Presidente della Repubblica e per i Ministri.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Desidero sapere se l’onorevole Mortati, in sostituzione del suo ordine del giorno, ha precisato in un testo la deliberazione, perché noi dovremmo deliberare sopra un testo.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha facoltà di rispondere.

MORTATI. Il testo si può desumere dallo stesso ordine del giorno. Basta dire:

«I membri delle due Camere, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, devono prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione».

PRESIDENTE. Assumiamo questa formulazione come testo-base della discussione.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Io sono contrario a questo ttesto, appunto perché sono stato vittima durante la dominazione monarchica di una imposizione che non ammetto possa essere fatta dalla Repubblica ai rappresentanti del popolo.

La posizione è del tutto diversa, quando si tratti di deputati o quando si tratta di Presidente della Repubblica o quando si tratti di magistrati, di forze armate e di altri organi dello Stato.

Sarebbe inconcepibile che la polizia non fosse chiamata a giurare; sarebbe inconcepibile che la magistratura fosse esonerata dal giuramento; come sarebbe inconcepibile che altri organi dello Stato, come il Presidente soprattutto, fossero esonerati dall’obbligo del giuramento.

Io non do – lo dico subito – importanza alcuna – è mia convinzione – al giuramento. Credo che non si debba giurare mai. Quanto ai deputati, in particolar modo non concepisco che possa essere imposto un giuramento. Il pensiero è libero: deve esser libero. Non debbono esserci limitazioni di sorta e poiché dal pensiero derivano le azioni, gli atteggiamenti e gli atti dei singoli, io ritengo che colui il quale deve svolgere la sua attività e deve rispondere del mandato che gli elettori gli hanno dato, deve essere assolutamente svincolato da qualsiasi obbligo.

Nessun vincolo, dunque. I rappresentanti del popolo rappresentano correnti politiche, vale a dire pensieri propri dell’opinione pubblica, pensieri che il popolo ha fatto proprî: questi pensieri hanno diritto di farsi valere. La fede politica deve essere rispettata nel modo più assoluto e nel modo più ampio.

Non, dunque, giuramento. L’obbligo di osservare la Costituzione è tra i primari doveri che i deputati debbono osservare. La Repubblica può anche essere discussa, pur non potendo essere attaccata. La Repubblica non può essere colpita da atteggiamenti ostili, dei quali del resto il deputato risponde come ogni altro cittadino: né il giuramento potrebbe salvaguardarla. Confermo l’opinione già espressa davanti alla seconda Sottocommissione quando venne discusso questo problema: sono contrario al giuramento dei deputati.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Su codesta questione del giuramento io debbo confessare la mia perplessità di fronte alla tesi così recisa di quanti pensano che il giuramento sia non utile, non necessario ed addirittura irrazionale. Sarà perché provengo da origini quasi patriarcali, ma io considero, ed ho sempre considerato, il giuramento una cosa estremamente seria e mi pare che per dare un contenuto di maggiore serietà alla lealtà repubblicana e all’istituto repubblicano, il giuramento dovrebbe essere considerato così. Ciò non toglie evidentemente che un ostinato monarchico possa ribellarsi al giuramento. Io mi permetterei di consigliare, data la mia maggiore età, al collega onorevole Lucifero, lo stesso sistema dietro al quale io ripiegavo quando, in quest’Aula, ero costretto a prestare giuramento di fedeltà alla monarchia…

LUCIFERO. Io sono sempre pronto a prestare giuramento di fedeltà alle leggi del mio Paese!

LUSSU. …e dicevo sempre: «non giuro» mentre tutti dicevano: «giuro» e la cosa passava inosservata. (Si ride). Però a me pare che quanti in quest’Aula credono alla serietà di un impegno di onore, ed aggiungerei – per quanto io sia un laico profano – alla santità del giuramento, io credo che quanti concepiscono il giuramento come una cosa estremamente seria che aggiunge alla serietà del carattere del cittadino qualcosa di rilevante, credo che tutti costoro dovrebbero essere per la forma del giuramento che è un simbolo ed è una sintesi di un impegno morale, di un’azione politica, e di un complesso di atteggiamenti dello spirito nell’azione pratica, che sono una cosa estremamente seria.

TONELLO Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Onorevoli colleghi, io non posso nascondere la mia istintiva avversione all’istituto del giuramento. Io nelle scuole insegnai sempre a non abusare dei giuramenti, perché i bambini hanno il vizio di giurare, anche quando dicono delle bugie. Ora, i giuramenti dei bambini non fanno né bene né male, anche se poi non sono mantenuti, ma quelli degli uomini possono fare del male, molto male alla società. Unica garanzia che noi possiamo avere in un uomo è la sua parola d’onore.

Il giuramento non aggiunge garanzia. Il giuramento di fedeltà nel matrimonio che molti fanno all’altare, non è garanzia sufficiente se non c’è nella coscienza degli sposi la volontà precisa di uniformarvisi. Quindi, niente giuramento nella vita pubblica. Nella vita pubblica il cittadino, a fronte alta, deve dire che cosa pensa e che cosa è, e non trovare nessun ostacolo nelle formalità dello Stato. Un uomo che è di convinzioni monarchiche può trovare la scusa di giurare fedeltà alle leggi, ma, in fondo in fondo, colui che è monarchico non può giurare lealmente con animo tranquillo fedeltà all’istituto repubblicano. Ed altrettanto si dica dei repubblicani. Tutti siamo fedeli, nella vita comune, alle cose che facciamo e diciamo, e così facciamo nella vita pubblica. Questo giuramento è una formalità stupida, perché non impegna realmente. Forse, sul campo di battaglia, il giuramento di vincere o di morire può avere il suo risultato, può avere una certa influenza; ma nella vita pubblica i giuramenti non giovano, ed io ho osservato che quelli che giurano di più sono quelli che sono più bugiardi. I ragazzi più bugiardi sono quelli che giurano di più. Ma, per i ragazzi, è una cosa infantile. Per gli uomini, bisogna che noi diffidiamo. Solo quando essi danno la loro parola d’onore l’impegno diventa realmente sacro, perché si fonda sulla dignità umana.

Abbiamo il giuramento. Non manteniamo in vita questa anticaglia delle monarchie e delle chiese. Nessun giuramento, ma soltanto l’onore di cittadini, soltanto la loro parola d’onore può valere a creare veramente uno Stato il quale sia formato da galantuomini, anziché da gesuiti che giurano col proposito di tradire. (Commenti al centro). E sì, perché c’è anche un giuramento falso, c’è anche chi giura una cosa e ne pensa un’altra. Noi vogliamo invece uomini che abbiano il coraggio di dire quello che pensano e quello che è, senza bisogno di fare giuramenti.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io non avevo nessuna intenzione di parlare, ma poiché l’onorevole Lussu mi ha chiamato in causa, vorrei chiarire il mio pensiero. Il mio pensiero, onorevole Lussu, di monarchico, ma il mio pensiero, soprattutto, di cittadino monarchico dello Stato italiano. L’onorevole Lussu ha detto una cosa nella quale sono perfettamente d’accordo con lui e cioè che i giuramenti sono una cosa molto seria. Ed è vero. Però mi ha dato un consiglio che indubbiamente fa pensare che questa opinione nell’onorevole Lussu sia molto meno radicata che in me, perché, dopo avermi detto che il giuramento è una cosa molto seria, aggiunge: tu giura pure con un piede alzato, come ho fatto io, tanto non conta niente. Il che fa supporre che il giuramento per l’onorevole Lussu sia una cosa molto meno seria di quanto sia per me. (Interruzione dell’onorevole Lussu). Questa è polemica.

Onorevole Lussu, io invece, giurerei; e le dico anche perché giurerò se la formula sarà approvata.

Io sono contrario ai giuramenti in generale per le ragioni che hanno detto l’onorevole Tonello, l’onorevole Conti e che ha esemplificato l’onorevole Lussu. Però, ove si entrasse nell’ordine di idee di proporre ai deputati questo giuramento al quale io sono contrario, ritengo che la formula dell’onorevole Mortati sia una formula onesta che può benissimo votarsi ed accettarsi; e caso mai sarebbe una cosa inutile, perché non capisco perché un cittadino debba giurare di mantenere fede alle leggi del suo Paese. E la prima legge del suo paese è la Costituzione. Non è necessario nessun giuramento, perché sono obbligato a farlo, ma posso assicurare l’onorevole Lussu che se un giorno io fossi chiamato o come soldato o come deputato o in qualunque altra qualità a giurare fede a quelle che sono le leggi del mio Paese, cioè ad accettare quelle leggi e le forme che vi sono per modificare quelle leggi, io non avrei proprio nessuna difficoltà, non con un piede alzato, ma con tutti e due i piedi in terra ed in piena coscienza, a fare questo giuramento.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, a me sembra che la questione, sorta così all’improvviso abbia una importanza veramente capitale, perché la formula proposta dall’onorevole Mortati parla di giuramento di fedeltà alla Costituzione. Ora, l’articolo 131 della Costituzione, non ancora approvato, ma nel progetto, stabilisce che la forma repubblicana è definitiva per l’Italia e non può essere oggetto di revisione costituzionale. Quindi, giurando fedeltà alla Costituzione, si giura anche di riconoscere che la forma repubblicana è definitiva, non soggetta a revisione di sorta. Ed allora sorgerebbe il dubbio anche nell’amico Lucifero se egli che è pronto a giurare fedeltà alle leggi dello Stato…

LUCIFERO. Nelle forme costituzionali posso proporne la modifica o soppressione.

PERSICO. Non è possibile, perché l’articolo 131 non ammette la revisione costituzionale.

RUSSO PEREZ. Non sarà approvato.

PERSICO. Lo vedremo se sarà approvato e io ritengo che sarà approvato. Comunque è una questione dubbia. Tutto questo per dire che io sono contrario al giuramento. Il giuramento avrebbe efficacia quando ad esso fosse connessa una sanzione, come per il giuramento che si pronunzia dinanzi all’autorità giudiziaria, di dire la verità e null’altro che la verità, che, se violato, porta al reato di falso giuramento ed alle pene conseguenti. Ma quando il giuramento è una pura formula, che non ha nessuna conseguenza, la cosa è diversa. Del resto, noi abbiamo l’esempio classico dell’onorevole Cavallotti, che disse: giuro, e domandò la parola, per spiegare subito che il giuramento non aveva alcun valore cogente. In questo caso diventa una formalità inutile e vana; salvo in casi come quello del deputato Falleroni, per il quale si fece una legge speciale per escluderlo dalla Camera, avendo egli deciso di non giurare.

Quindi, siamo logici; i deputati vengono qui con idee diverse, ognuno in rappresentanza di una certa corrente di pensiero. Queste correnti possono essere dissimili, contrarie, secondo i momenti storici, secondo le opportunità politiche, secondo le ondate di simpatia che una certa idea può raccogliere in un determinato momento nel Paese. Perché vogliamo vincolarli ad una formalità bugiarda, che deve essere spesso bugiarda necessariamente, in quanto li obblighiamo a giurare cosa che non potrebbero giurare, e se lo fanno, lo fanno solamente per entrare in quest’Aula e per manifestare il loro pensiero contrario? Quindi a me pare perfettamente inutile il giuramento.

Sono convinto che abbia ragione l’onorevole Conti, quando dice che la magistratura, l’esercito, gli alti funzionari dello Stato, il Presidente della Repubblica e i membri dui Governo devono prestare il giuramento, perché si tratta di funzioni che richiedono il giuramento e se la sanzione non è il reato di falso giuramento, sussiste il reato di perduellione per avere tradita la fede politica cui dovevano dare la loro opera e la loro fedeltà; c’è il reato di tradimento, che è assai più grave del reato di falso giuramento.

Quando, quindi, manca una sanzione – e nel caso dei deputati la sanzione dovrebbe essere l’espulsione dall’Aula, il che è assurdo – quando manca una sanzione, non è possibile pensare ad un giuramento di fedeltà alle istituzioni nel momento attuale.

Sono quindi contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Mortati.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io penso che non vi sia alcun dubbio che colui il quale entrerà in una delle future Assemblee legislative, vi entrerà col proposito sincero, col proposito leale di rispettare le leggi del proprio Paese e, soprattutto, la Costituzione.

Ora a meno che non vi si entri con un proposito diverso, ciascuno di noi dovrebbe essere lieto di dichiarare di essere pronto a giurare, cioè pronto a chiamare Iddio a testimonio della sua lealtà. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione per la Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non è legato a precedenti decisioni di Sottocommissioni o della Commissione dei Settantacinque che furono, come ho ricordato, in senso contrastante. La questione è ancora aperta. Farò ora alcune brevi osservazioni.

Non mi sembra, anzitutto, potersi affermate che il giuramento debba escludersi senz’altro, perché non è una cosa seria. Lo abbiamo considerato cosa seria, quando all’articolo 48 abbiamo previsto che la legge lo possa prescrivere per chi adempie uffici pubblici. Sta davanti a noi, fra i progetti di cui ha cominciato stamane ad occuparsi la Commissione dei Settantacinque, un disegno che punisce gli impiegati che non mantengono il giuramento prestato. Si può bensì osservare che altro è il caso degli impiegati, e che per essi vi sono sanzioni che mancano pei membri del Parlamento; ma insomma l’istituto del giuramento è nel quadro delle nostre leggi. E se ha una base più profonda nel costume di altri paesi più che nel nostro, anche da noi ha un significato etico-politico, che non conviene dileggiare ed evadere, perché non deporrebbe bene pel carattere nazionale

Per quanto riguarda i deputati e senatori, non sarebbe neppur concepibile che essi disconoscessero la Costituzione, cui debbono fedeltà tutti i cittadini. Questo deve essere un punto ben acquisito nella nostra coscienza civile e giuridica; l’accettare, il rispettare, il difendere la Costituzione è obbligo indiscusso ed indiscutibile pei membri del Parlamento; né ad essi, e soprattutto ad essi, è dato prescinderne. Si tratta di vedere se tale dovere deve tradursi e trovar espressione nell’atto formale del giuramento.

Io personalmente non trovo nessuna difficoltà al riguardo. Vi sono scrupoli e dubbi in alcuni di quest’Assemblea, nei quali s’attarda il ricordo di pochissimi uomini del Risorgimento e dell’estrema sinistra, che non giurarono o non diedero valore al giuramento. Gli scrupoli non reggono: coloro che giurarono, pur conservando le loro idee politiche, furono perfettamente fedeli alle istituzioni d’allora. Oggi, – a prescindere che, una volta avanzata questa proposta di giuramento, il suo rigetto potrebbe apparire inesattamente abbandono della difesa della Repubblica – sta ben chiaro che i membri del Parlamento non rinunciano alle loro idee, anche non repubblicane, se accettano di rispettare e difendere la Costituzione.

Nulla vieta che si stabilisca il giuramento pei membri del Parlamento. L’Assemblea Costituente deciderà, ora come crede. Ma io sento il dovere di ripetere nettamente ed esplicitamente, a nome del Comitato, che – siavi o no l’atto formale del giuramento – chi entra in quest’Aula deve esser fedele alla Costituzione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Io credo che l’esigenza che emerge dall’ordine del giorno che era stato presentato dall’onorevole Mortati sia ben fondata. Bisogna infatti tener presente innanzi tutto qual è l’oggetto del giuramento che si richiede: questo giuramento ha per oggetto la fedeltà non ad una persona, ma alla Costituzione dello Stato. Ora, non c’è alcuna ragione, a me pare, di esonerare dal giuramento taluni organi, ed essenzialissimi quale il Parlamento, quando altri organi invece vi sono sottoposti.

Non si tratta, onorevoli colleghi, di obbligare al giuramento i cittadini: si tratta di impegnare alla fedeltà verso la Costituzione gli organi costituzionali dello Stato, gli organi ai quali la vita e l’attuazione della Costituzione è in particolar modo affidi ridata.

PERSICO. Il Parlamento è un potere dello Stato, non è un organo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma è lo stesso.

TOSATO. Osservo poi che il giuramento non impedisce la piena libertà di opinione politica dei deputati; è infatti evidente che gli obblighi derivanti dal giuramento non possono non essere compatibili con la natura e funzione del mandato parlamentare. In altre parole, il giuramento significa soltanto che il deputato, che i membri delle Camere, nonostante l’assoluta libertà di opinione e di iniziativa, dovranno seguire in ogni caso le vie tracciate dalla Costituzione, ed agire, in ogni caso, per il trionfo delle loro idee, secondo le norme fissate dalla Costituzione.

Il giuramento quindi non implica che una esigenza di diritto costituzionale, quella cioè che tutto si svolga costituzionalmente. Per queste ragioni noi siamo favorevoli all’adozione del giuramento anche per i membri delle Camere.

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Debbo dichiarare che sono – per antica convinzione – assolutamente contrario al giuramento dei deputati. Tale dichiarazione è pure conforme al pensiero del Gruppo cui appartengo. In materia non si deve far confusione fra magistrature e funzionari in genere, che esercitano uffici e mansioni statali conferite loro dallo Stato; cittadini che adempiono doveri imposti dalle leggi; e il deputato, il quale deriva il suo mandato direttamente dal popolo e che può essere repubblicano, ma può anche essere monarchico.

In altri tempi la democrazia ha costantemente combattuto per l’abolizione del giuramento dei deputati. Ciò – mi pare – l’onorevole Persico ha dianzi ricordato. È vivo infatti il ricordo di Felice Cavallotti, il bardo della democrazia dei suoi tempi, il quale, entrando per la prima volta alla Camera, giurò – perché diversamente non avrebbe potuto prendere parte ai lavori parlamentari – ma subito chiese la parola e pronunciò un memorabile discorso contro il giuramento che lo Statuto albertino imponeva ai deputati.

Ora la democrazia tornerebbe indietro e rinnegherebbe se stessa, le sue tradizioni, se oggi sostenesse il giuramento dei deputati, quando agli altri tempi lo ha combattuto sempre e vivacemente con argomenti che l’avvento della Repubblica non sminuisce e non può farci obliare. Mentre tutti stiamo insistendo sulla necessità che dalla Costituzione, che si viene da noi elaborando, risulti una Repubblica democratica, dobbiamo tener presente che la democrazia si serve col mantenere fede ai principî che si sono sostenuti quando si era, ieri, in minoranza.

I deputati repubblicani entreranno alla Camera e, pur senza giurare, manterranno fede alla Repubblica, indubbiamente; ma quanto a coloro che repubblicani non sono e vengono invece alla Camera con veste di sovvertitori dei tempi nuovi, noi – i sovversivi degli oscuri passati regimi – non poniamo ostacoli a che essi, i nuovi sovversivi, abbiano la libertà di entrare alla Camera e possano prendere parte ai lavori della stessa. Sarebbe – a mio avviso – atto di intolleranza da parte nostra il pretendere che i deputati non repubblicani debbano prestar giuramento contro la loro fede e la loro coscienza…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E perché?

STAMPACCHIA. …perché sarebbe un giuramento – qualcuno mi pare lo ha detto – con restrizioni mentali. Le restrizioni mentali evitiamole, per carità, perché esse non sono né di buon gusto, né di buona coscienza; né atte a conferire dignità al Parlamento della Repubblica.

Io quindi voterò contro la proposta di giuramento dei deputati. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula dell’onorevole Mortati:

«I membri delle due Camere, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, devono prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione».

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Dichiaro che mi asterrò in questa votazione.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

PRESIDENTE. Passiamo all’esame della Sezione II: «la formazione delle leggi». Si dia lettura dell’articolo 67.

AMADEI, Segretario, legge: «La funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere».

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi ha presentato il seguente emendamento.

«Sostituirlo con il seguente:

«La funzione legislativa è collettivamente esercitata dal Presidente della Repubblica e dalle due Camere».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BOZZI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento – sulla cui redazione formale non insisto perché richiamo la vostra attenzione sulla sostanza – concerne un problema che, per me, ha un notevole rilievo.

Questo progetto di Costituzione esclude completamente il Presidente della Repubblica dalla funzione legislativa, perché affida al Capo dello Stato soltanto il potere di promulgare le leggi.

Io non voglio in questo momento addentrarmi in una discussione teorica, per vedere in che l’atto giuridico «promulgazione» differisca dall’atto «sanzione», ma è certo che la promulgazione non è un’attività che incida nel processo di formazione delle leggi, ma è un atto – dirò così – di accertamento sul piano esecutivo, con il quale il Capo dello Stato documenta che la legge si è formata e dà regolarmente ordine che la legge abbia esecutorietà.

Porta la legge – dirò così – dal piano interno al piano esterno, verso i soggetti destinatari della norma.

In seno alla Sottocommissione si discusse molto se il Capo dello Stato dovesse avere potestà di intervento nel processo di formazione della legge, e ricordo il progetto dell’onorevole Conti, che dava al Presidente della Repubblica il potere di intervenire mediante la sanzione. Nella stesura definitiva il Capo dello Stato è mantenuto fuori. Secondo me questo è un errore.

Il progetto affida al Capo dello Stato soltanto la potestà di intervenire nel caso in cui, per dissidio fra la volontà di una Camera e la volontà dell’altra, non si sia potuta formare quell’atto complesso che è la legge. In questo caso (articolo 70 del progetto) il Presidente della Repubblica ha il potere di indire il referendum.

Ora, se il Presidente della Repubblica deve essere – come dovrebbe essere – a capo di tutti i poteri, colui che impersona lo Stato nei tre poteri, nelle sue tre funzioni fondamentali, io non vedo perché il Presidente della Repubblica debba essere tenuto estraneo alla formazione del più importante atto della vita di uno Stato: la legge.

Egli, secondo il progetto, esprime la volontà dello Stato come potere esecutivo, anche nei confronti dei paesi stranieri; non è estraneo nemmeno alla funzione giudiziaria, perché con un suo atto, la grazia o l’indulto, può modificare una sentenza irrevocabile.

Si dice che in un regime veramente democratico la legge deve essere l’espressione delle Camere che sono le depositarie della volontà popolare. Io credo che questo concetto è indiscutibilmente esatto, ma tuttavia non può portare alla conseguenza di escludere il Presidente della Repubblica da una qualsiasi forma di intervento nella formazione della legge.

Per esempio, la Costituzione di Weimar, che pure non dà al Presidente del Reich il potere di sanzione, tuttavia gli conferisce il potere di intervenire, sia pure ab extra, in quanto egli può arrestare il procedimento di perfezionamento della legge; e dice l’articolo 73 della Costituzione di Weimar che le leggi votate dal Reichstag devono essere prima della pubblicazione sottoposte a referendum, se così decide nel termine di un mese il Presidente del Reich. Ciò significa che il Capo dello Stato ha un potere di intervento che si esplica sia pure in una forma negativa.

E la stessa Costituzione francese, nel testo, che diversifica dal progetto, all’articolo 36 dice che, nel termine fissato per la promulgazione, il Presidente della Repubblica può domandare alle due Camere una nuova deliberazione che non può essere rifiutata.

Tutta questa varietà di forme dimostra una cosa che sta alla base di questo mio intervento, che noi non possiamo escludere radicalmente il Presidente della Repubblica da questo atto importantissimo, che è la formazione della legge. Vogliamo dare a lui il potere di sanzione, che è un modo diretto di partecipare? Vogliamo dargli invece la possibilità di richiamare l’attenzione delle due Assemblee, secondo lo schema francese? Ovvero la potestà di esprimere un veto? Comunque io credo che il Capo dello Stato non possa essere mantenuto estraneo alla formazione della legge.

Si è detto che nel regime parlamentare, poiché le manifestazioni di volontà di un Capo dello Stato comportano la responsabilità governativa, è impossibile che si determini un conflitto fra Capo dello Stato e Camera, perché se il Governo deve essere appoggiato dalla fiducia parlamentare, è impossibile che si determini un conflitto per cui il Capo dello Stato neghi la sanzione. Io voglio richiamare la vostra attenzione sul fatto che questo problema da me prospettato ha due rilievi: uno di carattere formale (in questa materia la forma è anche sostanza), perché mantenere estraneo il Presidente della Repubblica da questo atto fondamentale che è la legge, è una diminuzione, secondo me, del prestigio stesso del Presidente della Repubblica; un altro sostanziale, perché nel sistema del progetto all’articolo 72, che dovremo prendere in esame e che è molto delicato, affidiamo al popolo, che consideriamo esattamente come un organo costituzionale, il potere di arrestare l’entrata in vigore di una legge votata dal Parlamento.

Quindi riconosciamo che, sebbene una legge sia votata regolarmente dall’una e dall’altra Camera, il popolo possa in una certa misura intervenire e arrestare effettivamente questa legge. Ora domando perché questo potere di arresto non lo dobbiamo riconoscere al Presidente della Repubblica, che noi dobbiamo configurare come l’organo supremo che, per la sua eminente posizione, può sentire le correnti del Paese, che possono rivelarsi in contrasto con l’interpretazione che ne ha dato il Parlamento.

Può essere un caso limite: comunque la stessa Costituzione lo prevede, perché ammette che una legge votata dal Parlamento possa essere arrestata da una manifestazione della volontà popolare. Infine se noi diamo al Capo dello Stato la possibilità di sciogliere le Camere, considerandolo moderatore ed arbitro della soluzione di conflitti tra Paese e Parlamento, possiamo ammettere che nello spazio di un mese può esservi tale mutamento, per cui una legge votata dal Parlamento stesso non incontra l’approvazione popolare, e il Capo dello Stato possa rendersi interprete delle correnti popolari e richiamare su di esse la volontà del Parlamento perché rimediti sul problema.

Io vorrei che su questo tema, che mi sembra molto delicato e che è connesso con una certa configurazione che si vorrà dare al Capo dello Stato (sarà eletto dalle due Camere o dal popolo?), si concentrasse l’attenzione dell’Assemblea. Non so se dobbiamo tenerlo accantonato per rimeditarlo quando avremo dinanzi la figura del Capo dello Stato in tutta la sua interezza, o se vogliamo affrontarlo adesso.

Comunque, insisto perché il mio emendamento sia preso in esame.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Bozzi ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea sopra un problema che non fu posto (almeno nei termini in cui egli lo ha posto ora) nei lavori della Commissione, di cui egli faceva parte. L’avrebbe potuto sollevare allora.

LAMI STARNUTI. Fu posto e respinto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ad ogni modo non in questa forma. Io credo (l’avevo già accennato in un mio precedente intervento e vi tornerò sopra in seguito) che possa considerarsi il riconoscimento di qualche maggior potere del Capo dello Stato di fronte alle leggi, ma non posso accettare la formula che ha steso l’onorevole Bozzi e che è una riproduzione dell’articolo 3 dello Statuto albertino: «Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e dalle due Camere». Questo risponde a tutta una concezione che abbiamo superata. Quando uno dei piloni della Costituzione era il re, la Corona, si comprendeva la sua partecipazione come terzo ramo del Parlamento alla funzione legislativa. Ciò risaliva alla concezione inglese; ma anche là ormai certe frasi hanno un sapore, oserei dire, letterario più che giuridico; lo ammette anche il Dicey, uno dei maggiori studiosi della Costituzione inglese. Se oggi, anche col re, nella classica Inghilterra, non si può dire esattamente che la funzione legislativa è esercitata collettivamente, e per così dire alla pari, fra lui ed il Parlamento, si può tanto meno dirlo in una Repubblica, per il Capo dello Stato.

La formula dell’onorevole Bozzi, che sembra ormai inesatta ed arcaica, fa intervenire il Capo dello Stato come partecipe, allo stesso modo del Parlamento, alla funzione legislativa, che egli, il Capo dello Stato, può soltanto regolare e frenare. Non partecipa alla formazione delle leggi chi non la vieta. Oso dire che – anche dando al Capo dello Stato la sanzione delle leggi – ciò non implicherebbe la necessità di riesumare la impostazione dello Statuto albertino.

Il nostro progetto di Costituzione si è limitato a dare al Presidente della Repubblica la promulgazione delle leggi. Sanzione e promulgazione sono due istituti giuridici diversi fra loro, ma non così estremamente diversi, da non potere trovare un punto comune, per così dire, intermedio che sia strettamente, correttamente giuridico, e consenta al Capo dello Stato un intervento notevole e giusto di fronte alla funzione legislativa, intervento dall’esterno, non dall’interno della funzione stessa che spetta al Parlamento; intervento che può spettare al Capo dello Stato come supremo regolatore ed equilibratore dei poteri.

Mi sia consentito ricordare ciò che dicevo il 19 settembre all’Assemblea: «L’istituto della sanzione si comprendeva meglio, quando il re era considerato come il terzo ramo del Parlamento. È meno ammissibile ora; e del resto – se si crede di concedere al Capo dello Stato, nel caso di suo dissenso con le Camere sopra una legge, la facoltà di chiederne il riesame ed eventualmente di ricorrere al referendum – facoltà che gli è riconosciuta in caso di dissenso legislativo fra le due Camere – ciò si potrebbe fare, anche attenendosi al solo compito della promulgazione».

Mi sembra, da alcuni punti del suo discorso, che l’onorevole Bozzi si possa accontentare di qualcosa di simile; ed in ciò può aver ragione ed essere utile il suo richiamo; ma lo prego di rinunciare alla sua formula. Delibereremo a suo tempo meditatamente e tranquillamente. E potremo trovare soluzioni, che ammettendo un suo intervento di fronte alle leggi, non siano in contrasto con la figura del Capo dello Stato, in uno Stato parlamentare, e con la più corretta concezione repubblicana e democratica, che anima il nostro progetto.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. All’inizio del mio intervento avevo detto che non insistevo sulla redazione formale, ma che facevo una questione di sostanza, che si riassumeva in ciò: la necessità che il Presidente della Repubblica non sia del tutto estraneo all’esercizio della funzione legislativa.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non deve partecipare alla formazione.

BOZZI. Il problema politico e costituzionale è questo: il progetto di Costituzione tiene il Capo dello Stato fuori del processo che conduce alla formazione della legge.

Questo è un errore. Bisogna trovare una forma di intervento del Capo dello Stato.

Io avevo detto inizialmente che non facevo questione di sanzione. Posso aderire all’idea dell’onorevole Ruini, purché il problema venga ripreso in esame.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Il problema posto dall’onorevole Bozzi è veramente molto grave. Il progetto di Costituzione tiene il Capo dello Stato fuori del processo di formazione della legge, tanto che l’articolo 83 del progetto dice soltanto che il Presidente promulga le leggi, e niente altro. Mettendo la figura di Presidente tra i tre poteri che formano le leggi – cioè le due Camere ed il Presidente – noi diamo al Presidente della Repubblica una facoltà, che egli non deve avere.

Basti pensare a questo: se la facoltà sanzionatoria non fosse esercitata, cioè il Presidente della Repubblica si rifiutasse di sanzionare una legge, nascerebbe un conflitto costituzionale fra le due Camere ed il Presidente della Repubblica. Ora, non è previsto nessun organo che sciolga questo conflitto. La Corte costituzionale prevista dal progetto ha altri compiti, non questo.

Quindi, noi veniamo a scardinare tutta la formazione della Costituzione, la quale, come Costituzione repubblicana, ha messo il Capo dello Stato in una funzione particolare, altissima, ma non tale da formare quella terza Camera cui ha accennato l’onorevole Ruini. Io sono contrario. Unico dubbio è questo: se convenga seguire l’esempio della Costituzione francese, che all’articolo 36 non dà un diritto né di sanzione, né di veto assoluto, ma che dice: «Il Presidente della Repubblica può, con un messaggio motivato, domandare alle due Camere una nuova deliberazione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Persico, è il veto sospensivo. La classica dottrina francese lo configura appunto come un veto sospensivo.

PERSICO. Sì, veto sospensivo, che però dopo la seconda deliberazione si annulla.

Questa idea di chiedere il parere alla Camera per una seconda volta può essere esaminata a suo tempo. Ricordo che, per quanto riguarda l’articolo 70, io ho creduto opportuno – e questo conferma che sono della stessa opinione dell’onorevole Ruini – di togliere il potere al Presidente della Repubblica di indire referendum popolari sui disegni non approvati, perché questo potere darebbe al Capo dello Stato una facoltà legislativa, facoltà che il Capo dello Stato non deve avere. Per questo sono contrario all’emendamento dell’onorevole Bozzi.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Senza entrare per ora nel merito della questione, mi permetto di richiamare l’attenzione dell’Assemblea su questa circostanza: l’onorevole Bozzi, nell’illustrare il suo emendamento, è stato necessariamente costretto a riferirsi agli altri poteri e facoltà che il progetto di Costituzione attribuisce al Capo dello Stato. Questa necessità in cui l’onorevole Bozzi si è trovato è una conferma dello stretto legame che unisce la sua proposta con le facoltà che la Costituzione intende attribuire al Capo dello Stato. A seconda che il Capo dello Stato noi arriveremo a configurarlo in un modo o in un altro, la questione posta dall’onorevole Bozzi potrà avere un aspetto od un altro e potrà avere o no accoglimento. Io proporrei che si rinviasse l’esame di questa proposta…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, onorevole Targetti!

TARGETTI. Lo so, onorevole Ruini, che qui ci si oppone la questione che per gli emendamenti non può valere la sospensiva.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è per questo, onorevole Targetti. Se permette, ripeto il mio pensiero. Si tratta di respingere il principio di una partecipazione come terzo ramo del Parlamento. Noi non possiamo accogliere questo concetto. Se l’onorevole Bozzi lo mantiene, noi voteremo contro; se viceversa lo ritira, ci riserviamo di esaminare a suo tempo la questione, non sotto l’aspetto posto dall’emendamento, ma sotto l’aspetto che ci sembrerà opportuno, quale la possibilità di un voto sospensivo. Viceversa lei, onorevole Targetti, diceva di rimandare l’emendamento dell’onorevole Bozzi, così com’è ora formulato, in quella sede.

TARGETTI. Le posso assicurare che avevo capito con grande esattezza il concetto espresso dall’onorevole Bozzi, nel senso che egli intende costituire quella che, con ardita analogia, si chiama terza Camera, perché raffigurate nella forma di una Camera…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il caput Parlamenti: è la vecchia concezione della dottrina inglese.

TARGETTI. La mia proposta è questa: se alla sospensiva della discussione di un emendamento fa ostacolo una norma regolamentare, l’onorevole Bozzi potrebbe – se fosse persuaso delle mie osservazioni – ritirare in questa sede il suo emendamento, salvo a ripresentarlo quando si venga a discutere della questione del Capo dello Stato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Targetti, avevo pregato il collega Bozzi di ritirare il suo emendamento, salvo ad esaminare la questione a suo luogo, nella forma che sembrerà più opportuna, ma non mi sono affatto impegnato a riprendere allora in esame la sua proposta secondo la dizione attuale. Questo, onorevole Targetti, lei non aveva compreso.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE Ne ha facoltà.

BOZZI. Volevo dire questo: non ho difficoltà a ritirare il mio emendamento. Non vorrei, però, che il problema fosse pregiudicato; perché se oggi si approva l’articolo 67 del testo del progetto, potrebbe domani dirsi che il problema è pregiudicato. Allora, siccome l’articolo 67 non è necessariamente collegato con quello che segue, ne potremmo rinviare l’esame.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Il Gruppo in nome del quale parlo è contrario all’emendamento Bozzi, per le ragioni già dette sia dall’onorevole Ruini sia dall’onorevole Persico. Rivivrebbe una norma dello Statuto albertino la quale in realtà costituiva anch’essa una transazione tra la «grazia di Dio e la volontà della Nazione», che dovevano camminare insieme; ma ora non è ammissibile che, nella Costituzione di una Repubblica parlamentare, il Capo dello Stato partecipi direttamente alla formazione delle leggi.

BOZZI. Perché può sciogliere le Camere?

GULLO FAUSTO. Lasciamo stare. Noi parliamo della formazione delle leggi, che giustamente l’onorevole Bozzi dice essere la manifestazione più essenziale della sovranità.

Ricordo però all’Assemblea che all’articolo 70 del progetto c’è qualcosa. Esso dice:

«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno».

Un intervento di questo genere può considerarsi opportuno appunto perché è pienamente giustificato da un contrasto che può nascere fra le due Camere. L’onorevole Persico ha detto una cosa molto sensata quando ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea sull’eventualità di un altro contrasto che potrebbe sorgere. Che un contrasto sorga fra le due Camere è una cosa inevitabile, perché sono entrambe investite del potere di fare le leggi; ma creare la possibilità che sorga fra le due Camere ed il Capo dello Stato, conferendo al Capo dello Stato il potere di concorrere alla formazione delle leggi, significa creare la possibilità di un conflitto costituzionale, di cui bisogna senz’altro, fin da questo momento, calcolare la portata e l’importanza. Chi verrebbe a dirimere questo conflitto che può sorgere?

Ora, basterebbe solo questa considerazione, anche a prescindere per poco da quello che è l’aspetto centrale della questione. Noi siamo di fronte ad una Repubblica parlamentare, in cui la sovranità è rappresentata dalle due Camere cd alle due Camere spetta soltanto la potestà di fare le leggi. L’onorevole Bozzi si richiamava al fatto che noi riconosciamo al popolo il diritto di annullare la deliberazione delle due Camere; ma l’onorevole Bozzi dimenticava una cosa essenziale: la Costituzione parte dal principio che la sovranità risiede nel popolo, ed esclusivamente nel popolo. Che possa il popolo annullare, con un referendum, la deliberazione delle due Camere è una cosa che si spiega (vedremo poi in seguito se sia prudente ed opportuno sancire ciò nella Costituzione); non si contravviene al principio generale che è quello che la sovranità risiede nel popolo. Non mi spiegherei che questo potere dato al popolo possa essere dato anche al Presidente della Repubblica, che è eletto dalle Camere. In lui non risiede la sovranità, così come risiede nel popolo. Per queste ragioni siamo assolutamente contrari all’emendamento dell’onorevole Bozzi, così come siamo contrari a quello che diceva poco fa l’onorevole Targetti, cioè di rimandare la questione a quando si discuterà dei poteri da conferire al Capo dello Stato. Quali che siano questi poteri, qui è intanto da affermare un principio: che la potestà di fare le leggi risiede nelle Camere ed esclusivamente nelle Camere. Non è il caso di rinviare al momento in cui si discuterà dei poteri del Capo dello Stato. Al Capo dello Stato si potranno dare tutti i poteri che vorremo, tranne questo. Quindi un rinvio motivato, così come l’ha motivato l’onorevole Targetti, non si spiega. Lo spiegherei nel senso esposto dall’onorevole Ruini. L’onorevole Ruini, infatti, premette che debba essere affermato questo principio: che la facoltà di fare leggi risiede nelle Camere. Si vedrà dopo se è il caso di accettare un intervento di natura diversa da parte del Capo dello Stato. Chiediamo quindi che si respinga l’emendamento dell’onorevole Bozzi e si approvi la dizione del progetto così come è.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Vorrei fare presente che aderisco anch’io alla proposta del rinvio sulla questione di principio, perché non vorrei che si ragionasse in odio di questa o quella Costituzione.

Noi facciamo questo ragionamento: siccome nella Costituzione precedente era prevista la partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativa, qui dobbiamo escluderla.

È importante viceversa questo rinvio senza pregiudicare la questione, perché se escludessimo completamente il Capo dello Stato dalla funzione legislativa avremmo due conseguenze: la prima è che lo ridurremmo a semplice capo del potere esecutivo, contrariamente alle nostre intenzioni, perché vogliamo che sia il Capo dello Stato. E non è male, per evitare che si riduca a semplice capo del potere esecutivo, ammettere la sua partecipazione alla funzione legislativa.

Altra conseguenza è questa: che noi non potremmo mai evitare, secondo me e secondo molti studiosi, questa partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativa. Non potremmo evitarla, perché nessuno ha messo in dubbio la necessità di attribuire al Capo dello Stato la facoltà di promulgazione.

Si è molto discusso, e ritornerò sull’argomento fra poco, circa la natura della promulgazione.

Alcuni hanno sostenuto che si tratti di un atto amministrativo, ma molti hanno invece pensato e ritengono che si tratti di un atto legislativo. In altri termini, promulgare significa partecipare all’esercizio della funzione legislativa. E credo che tale tesi sia da accettare, perché occorre distinguere lo statuire dal documentare; statuire cioè fissare il contenuto della norma; documentare, ossia offrire un mezzo materiale da cui possa desumersi con certezza che cosa ha stabilito il legislatore.

Quindi la facoltà di promulgare, in realtà, implica una partecipazione all’esercizio della funzione legislativa, sia pure ad una attività meno elevata di quella del legislatore che statuisce. Ma ritengo, e ritengono molti, che si tratti anche qui di partecipazione alla funzione legislativa.

Penso, pertanto, che non manchino le ragioni per differire la questione, così da esaminarla allorché ci occuperemo dei poteri da attribuire al Capo dello Stato e della struttura da attribuire a tale organo nella nostra Costituzione. Altrimenti, come ripeto, da una parte, ridurremmo il Capo dello Stato a capo del potere esecutivo, contrariamente ai principî relativi al sistema parlamentare cui ha accennato l’oratore che mi ha preceduto, e, d’altro lato, escluderemmo la partecipazione del Capo dello Stato a quella attività legislativa meno elevata, ma sempre d’indole legislativa, che consiste nel promulgare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi sembrava che l’onorevole Bozzi non fosse contrario ad aderire alla mia preghiera e cioè di rimandare la questione di questo intervento del Capo dello Stato, ma non accettasse la formulazione del progetto. L’amico Targetti è intervenuto a fine di bene; ma ha mosso nuovamente le acque; e la questione è ancora in alto mare…

TARGETTI. No no, lei questo se lo immagina: riveda il testo stenografico: io non ho fatto nessuna proposta di rimandare!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Targetti, lei ha proposto di rimandare l’emendamento Bozzi. Al che io non posso consentire. Rimandare l’emendamento Bozzi significherebbe rimandare anche tutto l’articolo che deve essere invece approvato nella forma proposta; il che non pregiudica – se non nei riguardi della sanzione vera e propria; ed anche per questo la formulazione Bozzi è eccessiva – l’adozione di quelle forme di intervento del Capo dello Stato, a cui ho già accennato.

Votiamo dunque l’articolo, mentre l’onorevole Bozzi potrà prendere atto dell’affidamento che gli do – e che tutta l’Assemblea condivide – che riprenderemo in esame questo punto, sempre tenendo fermo che la formazione delle leggi appartiene soltanto alle due Camere.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Desidero ripetere che non vorrei che votando oggi l’articolo 67 si producesse una specie di preclusione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Dopo quanto è stato detto sull’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi, credo che non si possa fare altro se non rinviare la decisione e che non si possa accettare la proposta formulata or ora dall’onorevole Ruini, perché, accettandola, la questione sarebbe, almeno in parte, senza dubbio pregiudicata, nel senso che, se non si prevede una partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativo, resta ex adverso fissato senz’altro il principio che tale esercizio spetta soltanto alle Camere, rimanendo esclusa una partecipazione attiva del Capo dello Stato.

L’onorevole Ruini ha detto che la possibilità di questo intervento non rimarrebbe esclusa.

Ma bisogna intenderci su questo punto, perché fissare ora il principio che il potere legislativo spetta alle due Camere vuol dire, anzitutto, che non si potrà mai più parlare di un potere di sanzione del Capo dello Stato, che il Capo dello Stato è fuori del potere legislativo e che potrà avere invece, se mai, solo un potere di opposizione, di veto, da manifestarsi in vari modi.

Ora a me sembra che su tale questione, che investe così profondamente quella dei poteri da attribuirsi al Capo dello Stato – e in modo particolare e specifico del potere di sanzione – non si possa prendere attualmente posizione se non ci si mette d’accordo prima sulla figura generale del Capo dello Stato, quale sarà delineata nel Titolo II della Parte II.

Secondo l’onorevole Gullo la questione riguarderebbe non la figura del Capo dello Stato ma l’essenza della Repubblica parlamentare. Non condivido questo punto di vista: la Repubblica parlamentare non implica infatti l’esistenza di due soli organi costituzionali, le assemblee legislative, né tanto meno che le Camere siano i soli organi sovrani. Anche il Presidente della Repubblica è evidentemente un organo costituzionale, e nulla impedisce che la Costituzione attribuisca al Presidente poteri costituzionali anche nel quadro del potere legislativo. In tal caso i principî della Repubblica parlamentare non sarebbero affatto violati. Non è esatto parlare di sovranità delle Camere. Qui si tratta di vedere se sia opportuno o meno un intervento in forma diretta del Capo dello Stato nella funzione legislativa.

Per risolvere la questione bisogna accordarsi prima sulla figura da dare al Capo dello Stato. Se prevarrà la concezione formalistica, che tende a limitare i poteri del Capo dello Stato, è evidente che sarà difficile attribuire al Presidente della Repubblica una partecipazione attiva alla funzione legislativa; se invece noi decideremo di fare del Capo dello Stato non una figura solo simbolica, ma un organo dotato di effettivi sostanziali poteri, potremo facilmente attribuirgli anche quello di partecipazione all’esercizio della funzione legislativa.

D’altra parte, la questione è collegata non soltanto con quella della figura e dei poteri del Capo dello Stato ma anche con l’altra della forma di elezione del Capo dello Stato stesso. È evidente infatti che, se noi vogliamo dare, ad esempio, un potere di sanzione al Capo dello Stato, bisognerà che esso sia di elezione popolare, perché non vedo altrimenti come egli potrebbe opporsi ad un voto delle Camere, che sono di elezione popolare.

Per tutte queste ragioni, ritengo opportuno il rinvio dell’esame e della votazione sull’articolo 67.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi sono dunque varie proposte. Vi è quella dell’onorevole Ruini, il quale chiede che si proceda per intanto all’approvazione dell’articolo 67, salvo esaminare il contenuto dell’emendamento dell’onorevole Bozzi in successione di tempo, quando cioè si dovranno stabilire i poteri del Capo dello Stato. Vi è poi la proposta dell’onorevole Tosato, nel senso di rinviare invece senz’altro l’esame dello stesso articolo 67, e conseguentemente dell’emendamento Bozzi.

Invito, il Presidente della Commissione a dichiarare se insiste nella richiesta di procedere alla votazione dell’articolo 67.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che la proposta di votare l’articolo 67, senza rimandarlo, sia perfettamente logica. Non così il rinviarlo. Ad ogni modo la questione ha più che altro un senso di tecnica formale. Anche se dovesse venire approvato il rinvio, resta fermo che non potremo mai ammettere, a suo tempo, una formula arcaica e superata come quella che era stata proposta dall’onorevole Bozzi, e consentire al Capo dello Stato interventi che ne facciano un partecipe del Parlamento.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Prego l’Assemblea di voler accogliere la proposta di sospensiva dell’onorevole Tosato. Una volta che la questione è venuta in discussione, essa è troppo grave perché possa essere risolta seduta stante; ed è risolta, se noi approviamo l’articolo 67 così come viene proposto. Credo anche che la questione sia talmente grave e delicata da richiedere la presenza di un numero di deputati maggiore di quello attuale.

PRESIDENTE. Ricordo che le proposte di sospensiva hanno la precedenza nelle votazioni. Pongo pertanto ai voti la proposta dell’onorevole Tosato di sospendere l’esame e la votazione dell’articolo 67.

(Dopo prova e controprova, con votazione per divisione, è approvata).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 17.

La seduta termina alle 13.20.

LUNEDÌ 13 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 13 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

INDICE

Congedi:

Presidente

 

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

 

Interrogazioni (Svolgimento):

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Benedettini

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Franceschini

Corbellini, Ministro dei trasporti

Di Fausto

Morelli Luigi

Cavalli, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa

Costa

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Di Giovanni

Ronchi, Alto Commissario per l’alimentazione

Riccio

Mazza

Geuna

De Martino

 

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Svolgimento):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Cianca

 

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

 

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Alberti, Bertone, Bonino, Mastino Gesumino e Roselli.

(Sono concessi).

Domande di autorizzazione a procedere.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso due domande di autorizzazione a procedere in giudizio rispettivamente contro i deputati Ezio Villani e Franco Moranino, per il reato di cui all’articolo 595, in relazione all’articolo 57, n. 1, del Codice penale.

Saranno inviate alla Commissione competente.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella dell’onorevole Benedettini, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti sono stati presi contro quel gruppo di 30 comunisti, che martedì 7 ottobre, in Roma, alla fine di un comizio monarchico, hanno aggredito 5 studenti, producendo ai giovani Ponzani Umberto, di 17 anni, e Spica Giacomo, di 21, iscritti all’Unione monarchica italiana, ferite lacerocontuse e contusioni multiple, e per conoscere, inoltre, quali preventive precauzioni intende adottare per garantire le libertà democratiche e le manifestazioni politiche contro i metodi dell’azione diretta».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Avvenimenti successivi ben più gravi hanno tolto anche a questa interrogazione gran parte della sua importanza.

Comunque, i fatti che vi hanno dato luogo sono i seguenti: la sera del 7 corrente in piazza della Pilotta è stato tenuto un comizio indetto dal Partito monarchico; il comizio si è svolto in relativa tranquillità. Alla fine, un gruppo di comizianti si è indirizzato verso la sede del Partito monarchico in Via Quattro Fontane. Durante il percorso, il gruppo – composto di cinque giovani – venne aggredito da una trentina di individui che ne ferivano due in modo non grave, ma pur sempre tale da richiederne il ricovero in ospedale.

La pubblica sicurezza, che aveva assistito al comizio, intervenne prontamente e l’ordine fu ristabilito. Non fu tuttavia possibile identificare i responsabili, i quali si dileguarono approfittando della confusione del momento.

Posso assicurare che da parte della pubblica sicurezza si proseguono attivamente le indagini per scoprire e raggiungere i colpevoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BENEDETTINI. Ringrazio il signor Sottosegretario per l’interno della buona intenzione che ha dimostrato di volere rintracciare i colpevoli, i quali però, malgrado la stessa buona intenzione, non sono stati ancora identificati, come non furono rintracciati coloro che vennero ad assalire, durante l’assemblea dell’Unione monarchica italiana, una riunione alla quale ero presente io stesso e dei quali, dopo vari mesi, benché fossero oltre 400 persone, non ne è stato identificato neanche uno.

Questo significa che i sistemi adottati da alcuni partiti, ed in particolare dal Partito comunista, hanno buon giuoco.

Voglio rettificare alcune cose che il signor Sottosegretario ha comunicato riguardo a questo incidente. Non è avvenuto il conflitto sul posto, come ha detto lei, ma i 30 comunisti hanno aspettato che quel gruppo di 12 studenti, partito da piazza della Pilotta, risalisse via Nazionale, si sciogliesse in piazza del Quirinale e, quando hanno visto che dei giovani ne erano rimasti 4 soltanto, all’altezza di via XX Settembre li hanno aggrediti, in 30 contro 4, spaccando la testa ad uno e riducendo un altro in cattive condizioni.

Questi sono i sistemi dell’azione diretta, ed io domando e dico se è permesso agire in tal modo, specialmente durante una campagna elettorale.

Non siamo certo noi ad adottare questi sistemi: noi, che rispettiamo le libertà democratiche, non permettiamo a nessuno dei nostri di agire e neppure di inveire a parole contro altri partiti.

Qui invece i trenta comunisti che hanno aggredito, hanno detto a questi giovani: «Imparerete a gridare viva il re e viva la monarchia», e con questi sistemi li hanno messi in condizione di non parlare più. Questa, per me, è, oltre tutto, vigliaccheria. Se un partito ritiene doveroso ricorrere a questi sistemi, significa che non ha altri mezzi per imporre le proprie idee.

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, la prego di limitarsi a dire se è sodisfatto o no.

BENEDETTINI. Non posso essere sodisfatto, perché dei trenta comunisti non ce c’è uno che sia stato fermato, messo dentro e reso responsabile del reato compiuto. Io non faccio colpa alla polizia, perché effettivamente risulta che durante il comizio aveva fatto del suo meglio. Ad ogni modo mi domando quali sono i provvedimenti che il Governo vuole prendere per evitare che questi continui, ripetuti e disgraziatamente anche ingranditi effetti di sistemi dell’azione diretta continuino. Abbiamo avuto occasione proprio ieri stesso di constatare un più grave caso durante la campagna elettorale e cioè l’assassinio da parte dei comunisti di un povero giovane, proprio per lo stesso motivo dell’azione diretta.

Chiedo se questi sistemi non debbano cessare e se il Governo non debba prendere qualche provvedimento preventivo, onde impedire a questi partiti che adottano tale azione diretta, di realizzarla, come è stato minacciato anche in quest’Aula dall’onorevole Togliatti.

La sera di venerdì l’Assemblea si è ribellata contro la manifestazione del M.S.I. in piazza Colonna, ed i comunisti vollero far vedere che si protestava contro un sistema che voleva farsi passare per monarchico e non lo era, e questi stessi signori hanno minacciato di voler prendere loro chissà quale difesa di Montecitorio. Questi sistemi portati qui dentro dall’onorevole Togliatti devono essere ufficialmente dal Governo deprecati. Azione diretta non ce ne deve essere. Se ci sono idee da far valere devono essere fatte valere col convincimento; in tal modo solamente si potrà arrivare ad una chiarificazione. Noi in tutti i nostri comizi predichiamo l’amore e l’accordo, ma vediamo che dall’altra parte ci si risponde con provocazioni, insulti e con azioni tali da produrre effetti che non sono certo quelli che vogliamo ottenere. Pertanto chiedo che il Governo voglia senz’altro approfondire, se è possibile, questa inchiesta, cercare di colpire i responsabili e laddove non può riuscire a colpire i responsabili, disporre perché un partito che adopera questi mezzi sia sciolto. (Proteste all’estrema sinistra).

È stato chiesto venerdì scorso in questa Aula dai comunisti lo scioglimento del M.S.I. perché è un partito che ricorre, secondo loro, alla violenza (e finora effetti diretti di questa violenza non ne abbiamo veduti); c’è una legge che vieta la rinascita del partito fascista perché anch’esso partito che avrebbe usato mezzi di violenza; per questi stessi motivi e per le stesse ragioni chiediamo che sia sciolto il Partito comunista, che è un partito che solamente sulla violenza e sulla azione diretta (i cui frutti abbiamo dolorosamente ripetutamente constatato) si basa e si potenzia. (Proteste all’estrema sinistra – Scambio di apostrofi tra il deputato Benedettini e il deputato Bardini).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Mentasti, Lizier, Bastianetto, Ponti, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali misure siano state prese dall’autorità politica in occasione di comizi, tenuti senza l’osservanza delle relative norme di legge, e della spedizione punitiva organizzata la sera del 20 luglio dall’onorevole Giovanni Tonetti contro la pacifica popolazione di Caorle (Venezia), e quali provvedimenti si intendano assumere per impedire il ripetersi di simili episodi, che – turbando l’ordine pubblico – feriscono i più elementari principî delle libertà democratiche e rinnovano sistemi universalmente condannati e detestati».

Non essendo presente nessuno degli onorevoli interroganti, s’intende che vi abbiamo rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Cremaschi Carlo, al Governo, «per conoscere cosa risulti allo stesso circa il ferimento di giovani democristiani a Genzano, in seguito ad aggressione avvenuta nel pomeriggio di domenica 5 ottobre 1947».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione gli onorevoli Franceschini, Bellato, Gortani, Lizier, Morelli Luigi, Pastore Giulio, ai Ministri del bilancio e del tesoro, «per conoscere se non ritengano rispondente a giustizia e umanità disporre che gli impiegati e i salariati statali, di tutte le categorie, che cessano dal servizio per quiescenza, anziché dover attendere dolorosamente per anni interi la liquidazione dei loro assegni di pensione, possano fruire, dal momento stesso del congedo – senza soluzione di continuità – di un assegno mensile provvisorio, corrisposto dalle Amministrazioni medesime presso cui prestarono servizio, pari all’ammontare dei quattro quinti almeno del rateo di pensione presumibilmente loro spettante, salvo successivo conguaglio. Le condizioni veramente tragiche di migliaia e migliaia di pensionati in eterna attesa della corresponsione dei loro sacrosanti diritti, rendono indispensabile il richiesto provvedimento per debito di elementare equità».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il servizio della liquidazione delle pensioni ordinarie è, fin dal 1933, decentrato fra le varie Amministrazioni centrali dello Stato ed attribuito ai singoli uffici che amministrano il personale dei rispettivi servizi.

Risulta a questo Ministero che tale servizio funziona in modo sodisfacente presso alcune Amministrazioni, ma con notevoli ritardi presso altre.

Non sembra, peraltro, necessario emanare un provvedimento legislativo per imporre alle Amministrazioni una maggiore sollecitudine nella liquidazione delle pensioni: a ciò si può provvedere con circolare a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e che è in corso di elaborazione. In tale circolare, oltre a richiamare le Amministrazioni all’osservanza delle disposizioni in vigore, potranno anche suggerirsi tutti i possibili accorgimenti atti ad evitare che si verifichino soluzioni di continuità fra il trattamento di attività e quello di quiescenza.

Occorre infatti tener presente che la procedura di liquidazione prevista dalle disposizioni in vigore deve esser circondata da opportune cautele, trattandosi della concessione di un trattamento vitalizio, che presuppone successivamente un giudizio sulla esistenza del diritto a pensione e un calcolo sull’ammontare della medesima.

È ovvio che, una volta accertati tali elementi, l’Amministrazione, anziché accordare un’anticipazione, può procedere senz’altro ad una liquidazione, sia pure provvisoria, del trattamento di quiescenza. Le disposizioni in vigore consentono infatti la liquidazione provvisoria in base ai servizi accertati, ogni qualvolta il decreto di liquidazione definitiva non possa, per qualsiasi ragione, aver corso immediato; nulla vieta alle Amministrazioni di far ricorso con frequenza alla liquidazione provvisoria che può attuarsi con la massima speditezza non essendo per essa richiesta alcuna particolare documentazione, né il riscontro preventivo della Corte dei conti.

Comunque non si mancherà di rivolgere premure a tutte le Amministrazioni, affinché seguano con maggiore attenzione tale importante servizio, dando loro le opportune istruzioni atte ad evitare i lamentati inconvenienti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FRANCESCHINI. Sono lieto che finalmente il Governo si sia cominciato a preoccupare di una così benemerita e sofferente classe di lavoratori, quale è quella dei pensionati. Ma, onorevole Sottosegretario, si sa come vanno queste cose! La Presidenza impartisce disposizioni più o meno severe; gli uffici centro-periferici ne prendono buona nota… e le cose restano come prima.

Ora, si tratta di decine e decine di migliaia di lavoratori che, andando in pensione, si trovano da un giorno all’altro nella condizione tragica di morti civili: sul lastrico, senza un soldo per mesi e mesi, per anni! E spesso molti, moltissimi di questi lavoratori in pensione hanno ancora le famiglie a carico. Onorevole Sottosegretario, io mi compiaccio delle misure che si sono cominciate a prendere – ripeto – ma non si tratta qui di migliorare, sebbene di mutare completamente sistema.

È necessario infatti introdurre un sistema nuovo e, una volta per sempre, un sistema semplice.

Si noti, io non chiedo un favore per la categoria dei pensionati di tutte le Amministrazioni dello Stato; reclamo un sacrosanto diritto. Vorrei prospettare all’onorevole Sottosegretario, alla sua illuminata e consumata esperienza, una analogia. Quando un impiegato dello Stato entra in servizio, viene disposto subito il pagamento dei suoi assegni, in via provvisoria, sui fondi a disposizione. Molto prima che sia spiccata dall’Amministrazione centrale la sua nota nominativa, egli riceve presso a poco i nove decimi del suo regolare stipendio a titolo di acconto; successivamente si fa il conguaglio, e l’impiegato riceve in base ad esso la normale retribuzione. Perché non si deve adottare la stessa misura per l’impiegato che esce dai ruoli, tanto più benemerito in quanto per 30-40 anni ed anche più ha lavorato ed ha servito fedelmente lo Stato? Non può forse l’Amministrazione, da cui l’impiegato dipendeva sino al momento del collocamento in pensione, corrispondergli sui propri fondi a disposizione, per il periodo intercorrente fino al conguaglio, gli otto o i nove decimi, pur con tutte le cautele necessarie? Del resto, non c’è categoria sulla quale il Tesoro può risarcirsi con. maggior tranquillità come su quella dei pensionati! Si è verificato invece che, per la decorrenza di un anno e più il pensionato è stato letteralmente truffato sul valore della lira: ha percepito un anno di arretrati, presso a poco bastevole alla sua vita di un mese. Questo non dovrebbe accadere, per debito di elementare equità ed umanità.

Perciò io insisto nel suggerimento dato, ed invito il Governo a prendere la misura da noi richiesta a sollievo di questa categoria così benemerita e così sfruttata di lavoratori, che hanno magramente vissuto e che si vedono anche condannati, in pratica, a morire di fame. L’attuale resistenza di molti impiegati ad andare in pensione è dovuta anche al timore di non avere più un soldo all’atto della loro entrata in quiescenza.

Ovviamo, onorevole Sottosegretario, a questo gravissimo inconveniente! Poniamo subito allo studio un provvedimento giusto e semplice, quale è quello di far pagare il pensionato, fino ad avvenuto conguaglio della sua pensione, senza soluzione di continuità, dall’Amministrazione stessa da cui dipende.

Non credo di chiedere molto, ma qualcosa dì giusto; tanto poco che si può ridurre, veramente, al solo pane quotidiano. (Applausi).

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Non credo che l’espediente suggerito dall’onorevole interrogante possa, per ragioni tecniche, trovare applicazione generale; e l’applicazione non potrebbe essere che generale, per determinare una conseguenza di giustizia, uguale per tutti gli interessati.

Credo, invece, che bisognerebbe mettere effettivamente in atto le istruzioni già mandate alle varie Amministrazioni nell’anno decorso. Come ho detto, sin dal 1933 è stata affidata alle singole amministrazioni la liquidazione delle pensioni. Il decentramento dei servizi ha avuto per scopo quello di accelerare la liquidazione delle pensioni. Contemporaneamente si è fatto presente alle amministrazioni la necessità che per ogni suo singolo dipendente si apra un quaderno in cui siano annotati i servizi di ciascun funzionario dal giorno in cui viene assunto dall’Amministrazione, cioè il curriculum di ciascun dipendente dello Stato, con le variazioni degli emolumenti fino al giorno in cui egli va a riposo. Si è fatto obbligo anche alle Amministrazioni che, in previsione di un imminente collocamento a riposo, questo quaderno sia chiuso in modo che il provvedimento di liquidazione della pensione sia emesso in via provvisoria, ma nella misura del cento per cento e poi in via definitiva, con tutte le formalità della Corte dei conti che possono seguire in breve tempo. Io sono convinto che, se le singole Amministrazioni si rendono conto della necessità e del dovere di adempiere a queste incombenze, e vi adempiono, si andrà più in là di quel che auspica l’onorevole interrogante. Anche perché non tutte le Amministrazioni dispongono dei cosiddetti «fondi a disposizione». Penso che sia agevole trovare una soluzione di questo problema, della cui importanza e della necessità di una risoluzione mi rendo ben conto, come Sottosegretario e come funzionario.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione all’onorevole Di Fausto, al Ministro dei trasporti, «per chiedere se, dinanzi alla persistente campagna avversa alle nuove direttive per un più razionale ed aggiornato completamento della stazione di Roma, non ravvisi l’opportunità di riesumare le molteplici responsabilità legate al progetto iniziale e sommerse nella catastrofe della Nazione. Quel progetto, non movendo da presupposti essenzialmente tecnici e logici, non poteva non riassumersi che in un orrore architettonico ed in un errore funzionale. E se il recente intervento di organi responsabili migliorerà la situazione, non risanerà però l’enorme danno finanziario, la cui responsabilità deve essere individuata per l’evidente colposo consenso portato ad una realizzazione, nella quale la tecnica ha sistematicamente ceduto a pretese direttive politiche (se tali possono chiamarsi la megalomania ed il cafonismo veramente tipici in quell’opera) dietro le quali, comunque, agiva quella organizzazione di interessi, che trova ancora eco nella stampa».

L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Debbo ringraziare l’onorevole interrogante, onorevole Di Fausto, di avermi dato occasione, con la sua interrogazione, di riassumere brevemente la questione della stazione di Roma Termini. Essa è indubbiamente una questione importante che si ricollega in via generale a tutto il piano regolatore dei servizi ferroviari della capitale. Ma io qui debbo per brevità limitarmi all’esame delle caratteristiche funzionali della sola stazione Termini e non di tutto il complesso dei servizi ferroviari della capitale.

La stazione per viaggiatori di Roma Termini è sorta dalla vecchia stazione pontificia, che poi è stata ingrandita con la caratteristica tettoia in ferro progettata dall’ingegner Bianchi ed ultimata nel 1871; da quell’epoca è stata continuamente martoriata.

Già nel 1911 la stazione era incapace di poter assolvere al traffico sempre crescente della Capitale; cosicché all’epoca dell’esposizione è stato al rettamente costruito quel capannone di legno per le partenze lato via Marsala, che era un’ignominia intollerabile per l’estetica e per la comodità dei servizi. Successivamente nel 1914, poco prima della guerra, fu necessario togliere il deposito locomotive a vapore che era dentro la stazione e che affumicava i palazzi vicini situati sulla via Principessa Margherita (ora via Giolitti). Cosicché fu costruito un nuovo e moderno deposito per locomotive a San Lorenzo e la stazione fu ulteriormente modificata ed allargata. Successivamente essa fu ancora ampliata nel 1923 e nel 1924, allungando il piazzale e dotando gli scambi degli apparati centrali che erano richiesti dalla necessità di rendere più sollecito l’arrivo e la partenza dei treni, e più sicuri i movimenti delle manovre.

Non insisto su altri particolari tecnici, soltanto faccio rilevare che la stazione di una grande città in continuo sviluppo è anch’essa necessariamente un impianto tecnico in continuo sviluppo; perciò una stazione moderna non sta mai ferma nelle sue strutture e nei suoi servizi.

Nel 1936 si riconobbe nuovamente la necessità dell’ampliamento della stazione di Roma Termini: non fu esaminato che in via generica il problema di costruirla altrove e fu senza altro deciso di ricostruirla nello stesso posto. Non discuto tutti i problemi che furono posti in pro e in contro allo spostamento di questa stazione perché andrei oltre il tema dell’interrogazione.

Era necessario che essa dovesse ingrandirsi, ma a ciò ostacolava una condizione caratteristica locale che è molto importante.

La stazione è costruita sull’Esquilino ed i binari delle linee principali scendono in tre direzioni sulle strade che vanno verso Firenze, a Portonaccio (ora Tiburtina) e verso il Tevere per la linea della Maremma; scende al bivio Casilino per andare verso Napoli. Per questo, se si prolungasse il piazzale orizzontale della stazione verso Santa Bibbiana, le pendenze delle linee di corsa aumenterebbero con la conseguenza di rendere sempre più difficile e costoso il servizio ferroviario.

Questa caratteristica era nota anche ai nostri vecchi ferrovieri delle reti private. Però la situazione si è sempre aggravata con il continuo ampliarsi della vecchia stazione verso Santa Bibbiana. Quando furono aperte all’esercizio le due direttissime Bologna-Firenze e Roma-Napoli, abbiamo dovuto subire l’anomalia tecnica molto importante che da Milano a Napoli il punto peggiore di tutta la linea risulta esattamente quello che da Tiburtina sale a Roma Termini, con una curva molto stretta e con la più elevata pendenza esistente sull’intero percorso di ben 800 chilometri, così che il peso dei treni doveva limitarsi a quello trainabile su questo breve tratto, oppure i treni dovevano fermarsi per venire trainati con due locomotive.

Quando, nell’epoca euforica dell’imminenza dell’esposizione E.42, si riconobbe l’urgenza di fare una nuova stazione a Roma, i tecnici hanno ribadito questo concetto, e fra i tecnici vi ero anche io, che, insieme al mio collega del Servizio Movimento, eravamo entrambi responsabili dell’esercizio razionale ed economico dei treni. Mi hanno risposto secco: «Voi tecnici dovete stare zitti». E quei due tecnici furono messi da parte.

La nuova stazione doveva assolutamente avere una caratteristica monumentale. La relazione fatta a quell’epoca al Consiglio di amministrazione delle ferrovie per chiedere il finanziamento dei lavori è tutta euforica e basterebbe solo questa frase per dimostrare a che punto era arrivata l’esaltazione dei fautori dell’opera monumentale: «Ma intanto gli eventi precipitano. Il traffico seguita ad aumentare, la conquista dell’Etiopia dà all’Italia un impero, l’esposizione mondiale si avvicina, e non è più possibile procrastinare la situazione degli impianti ferroviari, per cui il duce indica la soluzione da risolvere ed ordina una pronta realizzazione, dando il primo colpo di piccone il 16 febbraio 1938».

Così è incominciata la demolizione della stazione ottocentesca, e vi confermo che allora c’è stato un vero impegno per fare un’opera monumentale là dove opere monumentali non erano assolutamente indicate né richieste. Furono stanziati per il lavoro un certo numero di milioni. Vi fu una polemica in quell’epoca fra la direzione dei tecnici delle ferrovie ed i fautori dell’opera monumentale. Il direttore generale delle Ferrovie dello Stato richiese al Ministro Benni che le spese necessarie per la parte monumentale non fossero sostenute dalle Ferrovie, poiché nulla avevano a che vedere con i propri servizi. E fu per questo intervento che lo Stato autorizzò il Tesoro a versare una volta tanto un certo numero di milioni (mi sembra 300), per dare la caratteristica di monumentalità a questa stazione e nel tempo stesso non far gravare le spese, per il servizio dei capitali necessari, sul bilancio ferroviario.

Quindi debbo confermare che il problema della monumentalità della stazione era rimasto controverso. Si criticò anche il fatto che in quell’epoca fu dato l’incarico del progetto ad un solo architetto funzionario ferroviario, mentre invece, quando si tratta di opere che interessano l’intera Nazione, a mio avviso, devono essere banditi pubblici concorsi, chiamando a raccolta l’ingegno ed il pensiero di tutti gli ingegneri ed architetti italiani. Non si volle fare il concorso nazionale come precedentemente si era fatto per la stazione di Firenze e ciò per evitare critiche e discussioni sulle direttive artistiche poste dall’alto.

In queste condizioni è sorto il progetto della stazione di Roma, con quelle caratteristiche monumentali di cui vi faccio grazia, perché dal solo esame sommario si riconoscono tutte le incongruenze. La spesa prevista di circa 600 milioni dell’epoca, corrisponde a circa 30 miliardi di lire odierne. Furono portate a Roma delle decorazioni, dei materiali dalle più lontane parti d’Italia e con le più strane applicazioni. Scelgo a caso dall’elenco dei materiali previsti. Vi dico, per esempio, che si è preso del porfido violaceo di Predazzo, per cosa farne? Per fare semplice– mente il cordonato dei marciapiedi sotto l’atrio, come se a Roma non si potessero fare cordonati in altra pietra senza usare il porfido che viene da 800 chilometri lontano.

Furono fatte decorazioni e modelli al vero di statue in gesso, ordinandole ad oltre 24 artisti per poter poi scegliere; furono ordinati modelli di capitelli, di colonne, di bozzetti in gesso, ecc., senza una loro precisa destinazione, quasi come per farne una ostentazione di mecenatismo dei tempi antichi. Tutto questo costò milioni. Ho qui un elenco che è molto edificante e del quale vi faccio grazia per carità di patria.

Era necessario cambiare strada, e allora il Ministro Ferrari di quell’epoca vide, attraverso noi tecnici, che gliela abbiamo fatta presente, l’assurdità della cosa, e disse: «Ritorniamoci sopra; la stazione deve essere un’opera degna della capitale, ma non un monumento. Chiamiamo tutti gli architetti ed ingegneri d’Italia ad un concorso nazionale per fare una stazione razionale e tecnica che risponda ai requisiti funzionali che deve avere».

Ora, per quello che vi ho detto prima, dovevamo prolungare la stazione (e qui è bene chiarire, perché i giornali hanno detto cose di molto inesatte). Oggi dobbiamo prevedere dei treni con carrozze che hanno un peso di 30 tonnellate e sono lunghe circa 24 metri; possiamo fare treni con 20 carrozze, cioè convogli lunghi 480-500 metri. Non potendo allungare la stazione prolungando il piazzale verso Santa Bibbiana, non c’era altro mezzo che farla venire un po’ più avanti verso piazza dei Cinquecento. Occorreva quindi modificare sostanzialmente l’arcata monumentale della galleria delle carrozze e fare un fabbricato più avanzato, nel quale potevano utilizzarsi le aree anche per gli uffici.

Non mi si ripeta che i treni avvenire non dovranno essere più lunghi degli attuali, perché nel campo internazionale europeo è ormai tecnicamente riconosciuto che dovremo prevedere treni di venti carrozze. Quindi non c’è nulla da discutere al riguardo. Le norme, accettate anche da noi, per i servizi internazionali europei ci impongono degli obblighi tecnici che dobbiamo rispettare.

Poi dovevamo vedere un poco come la stazione dovesse funzionare. Non entro nel merito, nei dettagli, per non andare alle lunghe, ma è certo che se si esamina il progetto precedente, si trovano delle anomalie e caratteristiche di applicazione, degli spazi molto dispendiosi e assolutamente irrazionali. Impianti sotterranei con luce artificiale, servizi non razionalmente distribuiti, deficienza di impianti tecnici e di controllo, sono i difetti più salienti che mi limito solo ad accennare.

Quindi, per concludere: si è ritenuto opportuno di studiare tecnicamente meglio il progetto primitivo tenendo conto di quelle parti già eseguite.

Fu bandito un concorso nazionale nel gennaio di quest’anno. Questo concorso ha portato alla presentazione di 40-42 progetti che sono stati esaminati da una apposita Commissione.

Io sono intervenuto appena assunto al Governo e ho disposto per la nomina di una Commissione che fosse la più imparziale possibile. Ho detto: essa non deve essere costituita da uomini scelti direttamente dal Ministero dei trasporti, ma da uomini che per la loro funzione tecnica ed artistica diano il massimo affidamento possibile per poter essere giudici seri ed imparziali di questo importante problema. Ed allora si sono presi 5 ferrovieri specialisti nel campo tecnico; ad essi si sono aggiunti 6 estranei. Tra essi si è scelto, per esempio, il rappresentante dei lavori pubblici, che è stato designato dal Ministro competente nel Presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Si è chiesto al Ministro della istruzione: dateci due tecnici tra i professori; uno che sia titolare della cattedra di architettura in una facoltà di architettura ed uno che sia titolare di una cattedra di architettura in una facoltà di ingegneria. Si è chiesto all’Associazione nazionale degli ingegneri e architetti italiani: dateci due vostri soci; uno sia un ingegnere e l’altro architetto. Fu chiesto al Comune di Roma di darci il capo dei servizi urbanistici ed edilizi della capitale e così fu fatto. Questa Commissione che si è riunita più volte ed ha lavorato attivamente con serenità e zelo, sta per emettere il verdetto ed io credo che questo verdetto sarà certamente ispirato alla massima serietà ed obiettività per la scelta del progetto da seguire. Posso assicurarvi che la importante decisione verrà presa ad unanimità di tutti i componenti.

Ora c’è altri che dice: vi sono stati molti sprechi, perché non saranno utilizzati tutti i materiali pregiati già acquistati, decorativi e costruttivi e che già sono accumulati a Roma.

Io vi dico che se avessi i magazzini pieni di pietre pregiate che vengono da lontano e dicessi al Ministero di venderle, sono sicuro che ai prezzi di oggi, rispetto a quello che furono pagate, si farebbe un ottimo affare. Quel materiale, in quanto non possa venire utilizzato per la stazione, sarà sempre impiegabile nella costruzione nella edilizia privata di Roma: nessuna preoccupazione quindi di sperpero o di spese inutili.

Credo di poter concludere che, senza andare a rivangare, come dice l’architetto Di Fausto – tutte le responsabilità passate svaniscono, tolta la responsabilità principale diretta, alla quale ho fatto cenno in principio – la cosa migliore sia di presentarci nel 1950 – anno in cui ci sarà certamente una grande affluenza di turisti per l’Anno Santo – con una stazione che risponda tecnicamente ed esteticamente a tutti i requisiti di una grande stazione ferroviaria della capitale di uno Stato. E sono convinto della necessità che questa stazione debba essere fatta in modo che i tecnici nostri successori, da qui a 15 o 20 anni, non abbiano lo scrupolo di poterci mettere nuovamente mano per modificarla, così come tutti i tecnici passati hanno messo mano non solo alla stazione di Roma-Termini, ma a tutte le grandi stazioni d’Italia e del mondo.

Tanto per citarvi l’ultimo caso, vi dirò che un mio collega, costruttore ferroviario americano, mi ha mandato giorni or sono l’illustrazione del progetto di una grande stazione di New York, in cui si prevede che le pensiline siano tutte chiuse, in modo da costituire un piano superiore destinato a diventare un aeroporto. Sotto l’aeroporto arrivano i treni e sotto il piano dei treni corrono le metropolitane. Ho qui tutti i disegni e tutti gli studi che potrete esaminare in questo libro (A railroad for tomorrow, stazione di Grand Central West). Vi è dunque oggi la possibilità di costituire un centro importante che riassuma in sé tutte le caratteristiche dei vari sistemi di trasporto tra di loro collegati; aerei e stradali. La modesta economia italiana di oggi non ci consente di fare questo subito nelle nostre grandi stazioni, ma noi dovremo essere liberi di poterle ritoccare entro un breve volgere di anni, in modo da non avere scrupolo di demolire colonne monumentali come quelle che erano previste dal precedente progetto. Questo mi riconferma nella convinzione che una stazione non deve essere un monumento, ma un’opera destinata ad essere continuamente rimodernata. Quindi, la stazione di Roma Termini sarà decorosa, degna della Capitale, e sarà una stazione funzionale, perfettamente intonata all’ambiente architettonico ed urbanistico del luogo dove essa è sorta.

Come spesa? Tanto per chiarirvi l’entità di essa vi dico che se avessimo dovuto ultimare il progetto Mazzoni avremmo speso sicuramente ancora almeno tre miliardi e mezzo. Non so cosa si potrà spendere col nuovo progetto perché esso ancora non è stato scelto, non so se ci saranno delle varianti e quanto esse verranno a costare. Ma, grosso modo, date le cubature che si prevedono, penso che la spesa ci consentirà di risparmiare forse più di un miliardo e mezzo rispetto al primitivo progetto. Quindi riuniremo ad una costruzione più razionale e tecnicamente moderna anche una netta economia di valore, certamente non trascurabile.

In ogni modo, per concludere, assicuro l’onorevole interrogante che l’economia non sarà solo ottenuta nella costruzione, ma anche nell’esercizio della stazione, dove la sorveglianza e l’impiego del personale sono stati accuratamente studiati, anzi posso dire che è un compito specifico di tutti i tecnici ferroviari quello di fare i propri progetti tecnicamente ineccepibili, senza sperperi di sorta e con giusto decoro, in modo da ottenere con essi anche un esercizio economico.

Di questo prego l’onorevole interrogante di voler prendere atto, anche a nome di tutti i miei collaboratori.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Fausto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI FAUSTO. I chiarimenti tecnici dati dal Ministro dei trasporti troncano ogni polemica che non voglia essere tendenziosa.

Vorrei aggiungere qualche delucidazione sul progetto di origine.

In quel progetto è caratteristica l’assenza del rapporto di proporzione fra l’opera e l’uomo: ogni cosa è vista con un occhio che non è il nostro, ogni cosa tende al grandioso, senza raggiungerlo. L’elefantiasi, evidente nei due edifici già costruiti, avrebbe dovuto trovare la sua massima espressione nel grande edificio frontale, non ancora costruito.

Premetto che dalle comunicazioni del Ministro si desume che nulla sarà demolito di quel che è stato fatto, di modo che il nuovo orientamento sarà quello di evitare uno sperpero del pubblico denaro, riconducendo il tutto alla effettiva funzione. Darò ora qualche elemento relativo a quell’edificio rimasto sulla carta. Questo edificio copre 12 mila metri quadrati, cioè 1 ettaro e 2 mila metri quadrati. Prego gli onorevoli colleghi di fare attenzione a queste cifre: immaginatevi 12 aule come questa, comprese le tribune, che costituiscono il corpo frontale, il quale doveva permettere il passaggio delle carrozze e il transito dei passeggeri. Questo edificio di 12 mila metri quadrati ha un fronte porticato con colonne grandi quanto quelle di San Pietro. La copertura di questo edificio, che per fortuna non è stato realizzato, avrebbe richiesto 15.000 metri cubi di calcestruzzo e 1400 tonnellate di ferro. Io debbo dire a questo punto che non ancora è stata affrontata la ricostruzione di tre ponti sul Tevere a nord di Roma per mancanza di materiale.

Un cenno merita anche il padiglione cosiddetto imperiale e reale aggregato all’edificio di sinistra, su Via Marsala. Per completare questo padiglione, occorrerebbero oggi circa 120 milioni ed il completamento impegna la demolizione della caserma Ferdinando di Savoia, la cui ricostruzione importa 200 milioni di spesa.

Sussisteva poi, una distribuzione illogica dei servizi sui corpi laterali ed erano previste, per consentire l’afflusso e il deflusso della folla, demolizioni cospicue sul viale Giolitti. Un centinaio di edifici, 1800 appartamenti, 12.000 vani, 350 botteghe, che interessano la vita di 15.000 persone abitanti nella zona, con una spesa complessiva, prevista dal 1939 in 400 milioni, e che sarebbe oggi di 20 miliardi.

Nella mia pratica di architetto non conosco sistemazioni urbanistiche del genere che, più propriamente, si potrebbero chiamare sistemazioni telluriche.

E finalmente, accennando all’architettura e alle decorazioni, dichiaro che infastidisce anche l’ostentazione di mezzi illimitati che si rileva nell’uso più illogico ed improprio di pietre, marmi, mosaici, metalli e legni pregiati, profusi a piene mani, ovunque: c’è un preannunzio del secolo della borsa nera, così come il Rinascimento fu a suo tempo annunziato dalla delicatezza di forme semplici o schiette, spesso anzi modestissime.

Nessuna aderenza al tema, nessuna sincerità di mezzi struttivi, nessuna razionalità: colonne di sette metri di circonferenza, alte venti, grosse più di quelle di San Pietro, che non sostengono nulla, neppure se stesse, in quanto sorrette dalle strutture di cemento armato occultate; soffitti orizzontali di marmo con lastre e masselli ancorati in bronzo alle travi di cemento e gravitanti sul vuoto a venti metri di altezza; costruzioni sotterranee a tre piani, sprofondate in corrispondenza del grande edificio frontale, per sistemarvi fuori posto servizi essenziali e per accogliervi, in curiosa promiscuità, un albergo diurno, un cinematografo, una chiesa sotterranea.

In piena guerra, dal dicembre 1941 al maggio 1943, tutto è stato ordinato per opere di decorazione e di addobbo per una chiesa e per dei saloni che non erano ancora sulla carta: mosaici, marmi, colonne, statue di santi, acquasantiere, porte artistiche, ecc.

Onorevoli colleghi, nelle more della guerra, questo modo di condurre un’opera pubblica ha tutta l’aria di un tragico scherzo che si vorrebbe continuare ancora e che merita, a mio avviso, l’onore di una inchiesta parlamentare la quale riaffermi, attraverso precisa, solenne condanna, la suprema esigenza del rispetto del pubblico denaro.

Concludendo, io chieggo: primo, che il Governo non defletta dalla linea tecnica ed economica affermata col concorso; secondo, che sia riaperta subito al traffico l’importante Via Marsala; terzo, che si liberino dal vincolo di demolizione gli edifici popolari di via Giolitti e che immediatamente – a concorso giudicato – si dia mano ai lavori, perché possa essere rimosso al più presto lo sconcio caravanserraglio che si accampa nella zona e che vive ai suoi margini, degradando il nostro prestigio civile proprio in un ambiente ove le vestigia dell’aggere di Servio Tullio, di cui l’Urbe si cinse negli albori del suo Impero, attestano al mondo, da 2800 anni, il destino imperituro di Roma.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Morelli Luigi e Arcaini, al Ministro del tesoro, «per conoscere le ragioni per le quali, contrariamente alle assicurazioni date alle organizzazioni sindacali dei dipendenti dello Stato ed agli interroganti, di estendere il trattamento dell’indennità di caro-viveri concesso al personale residente nei centri capoluoghi di provincia a tutto il personale residente nella provincia, si sia disposto, col decreto legislativo n. 778 del 5 agosto 1947, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21 agosto 1947, n. 190, all’articolo 14, di estendere tale indennità solo ai dipendenti aventi sede di servizio nei comuni della provincia che non siano distanti più di 30 chilometri dal capoluogo su via ordinaria fra le rispettive sedi comunali».

L’onorevole Sottosegretario per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Principio informatore per l’attribuzione dell’indennità di carovita in diverse aliquote è stato sempre quello che nei singoli comuni il costo della vita sia in stretta correlazione, in genere, all’entità della popolazione.

A tale criterio discriminatore è stata, del resto, sempre informata la concessione degli assegni accessori del trattamento economico dei dipendenti statali (indennità di caroviveri, aggiunta di famiglia, aumento della integrazione temporanea, indennità di disagiatissima residenza, assegno di razione viveri e ora indennità di carovita).

Né a tale criterio si è voluto innovare con il decreto legislativo 25 ottobre 1946, n. 263, sostituendo ad esso quello che l’indennità di carovita debba essere uguale per tutti i comuni di una stessa provincia, in quanto l’articolo 2 del citato decreto si è limitato a sopprimere le aliquote di riduzione dell’indennità stessa, previste dalle precedenti disposizioni per i personali con sede di servizio nei comuni con popolazione inferiore ai 200.000 abitanti, mantenendo, invece, fermi gli aumenti del 20 per cento, 10 per cento e 5 per cento, rispetto alla base 100, previsti per i personali con sede di servizio nei comuni rispettivamente con almeno 800 mila abitanti, 700 mila abitanti e 600 mila abitanti, e confermando così l’elemento popolazione quale criterio discriminatore per la corresponsione della indennità di carovita.

Ne è, sì, derivato che praticamente nelle provincie diverse da quelle di Roma, Milano, Napoli, Torino e Genova l’indennità in parola viene corrisposta nella misura del 100 per cento per tutti i personali con sede di servizio nei diversi comuni appartenenti alla stessa provincia, ma con ciò non si è inteso abbandonare il cennato criterio; si è soltanto limitata la discriminazione in parola ai quattro scaglioni di popolazione, tenuto conto che solo per i grandi centri influiscono sul costo della vita i più alti prezzi degli alloggi, dei trasporti, ed, in genere, delle necessità minime di vita.

Considerato tale criterio discriminatore, è evidente come sia possibile derogare da esso a favore dei personali con sede di servizio in un determinato comune minore soltanto quando sia dimostrato che tale comune costituisce un unico centro economico col comune maggiore, e non già per il solo fatto, della appartenenza alla stessa provincia.

Sulla questione di cui trattasi, il Ministro del tesoro ebbe a dichiararsi in un primo tempo non del tutto contrario all’accoglimento delle richieste degli interessati perché l’indennità di carovita fosse attribuita secondo una differenziazione provinciale anziché, come attualmente, secondo l’entità numerica della popolazione residente nel comune sede normale di servizio; senonché il Consiglio dei Ministri, esaminata la richiesta e considerati gli inconvenienti cui il suo accoglimento avrebbe dato luogo, ha ritenuto opportuno confermare il criterio dell’unicità del centro economico di cui al decreto n. 488 del 1946 (che è quello che più di ogni altro risponde alla realtà della situazione in cui si trovano i diversi comuni rispetto al costo della vita), limitando la facoltà di estensione dell’indennità di carovita, nella aliquota prevista per il comune maggiore, ai soli personali con sede di servizio nei comuni della provincia che non siano distanti più di 30 chilometri dal capoluogo.

L’inconveniente maggiore che deriverebbe dall’accoglimento di un criterio basato esclusivamente sull’appartenenza di un comune ad una data provincia, sarebbe quello che il personale con sede di servizio nei comuni più piccoli delle provincie di Roma, Milano e Napoli (compresi i piccoli paesi con economia squisitamente agricola e quindi con basso costo della vita) verrebbe a percepire un trattamento per indennità di carovita di gran lunga superiore a quello del personale in servizio nei comuni delle restanti provincie (ad esempio a Torino, a Genova, a Bologna, a Firenze, a Palermo, ecc., dove è noto che il costo della vita per vitto, alloggio e mezzi di trasporto è particolarmente elevato), con la conseguente difficoltà a resistere ad eventuali richieste da parte di quest’ultimo, intese ad ottenere l’elevazione dell’aliquota dell’indennità di carovita al 120 per cento per tutti i comuni, elevazione che recherebbe al bilancio statale un onere di oltre 15 miliardi annui.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORELLI LUIGI. Sono spiacente di aver dovuto presentare questa interrogazione, nonostante le comunicazioni fattemi dall’onorevole Petrilli.

Ho dovuto ubbidire non solo al dovere di difendere quel che io ritengo il diritto di giustizia dei lavoratori, ma anche la mia dignità di organizzatore sindacale.

Diritto di giustizia, perché le condizioni già grame degli insegnanti elementari in particolare, e dei dipendenti statali in genere, non possono tollerare che si aggiungano delle sperequazioni nel trattamento di caroviveri fra capoluogo e centri minori, quando siamo tutti ormai persuasi che il costo della vita, se non è superiore, non è certamente inferiore nei piccoli centri di quello dei capoluoghi provinciali.

Difesa della dignità di organizzatore sindacale, in quanto gli insegnanti elementari della provincia di Milano il 16 giugno 1947 hanno cessato lo sciopero, iniziato il 4 giugno 1947, per ottenere la estensione del caro-viveri del capoluogo della provincia a tutte le località della provincia, solo perché io e gli altri membri della delegazione, che con me avevano partecipato alle discussioni coi Ministri interessati, abbiamo loro assicurato – in base alle dichiarazioni del Ministro Del Vecchio e particolarmente del Sottosegretario Petrilli – che il Governo aveva accettato la loro richiesta e che nel decreto di prossima pubblicazione, riguardante aumenti ai dipendenti statali, ecc., sarebbero state comprese le disposizioni relative.

L’onorevole Arcaini, che ha partecipato alle discussioni, perché sollecitato dai dipendenti statali di Lodi, può farne fede.

Se questa assicurazione il Ministro non ci avesse dato, l’agitazione dei dipendenti avrebbe continuato fino ad una logica soluzione.

Non ritengo qui opportuno rifare tutta la storia della vertenza e delle ragioni che l’hanno determinata.

Non posso però dimenticare due momenti particolari di questa vertenza per richiamare il Ministro all’opportunità che, nella compilazione dei decreti che riguardano specialmente questioni economiche, vengano evitate queste ingiuste sperequazioni le quali – senza un concreto risparmio per lo Stato – determinano seri malcontenti, agitazioni e scioperi che turbano anche i rapporti di collaborazione che fra i dipendenti e lo Stato non dovrebbero mai cessare.

La prima agitazione è stata quella contro il decreto legge n. 722 del 21 novembre 1945. Con questo decreto che concedeva l’indennità caroviveri e le quote complementari, si stabiliva che il cento per cento, concesso ai grandi centri di almeno 500.000 abitanti fosse ridotto di una percentuale che andava dal 2 per cento per il personale con sede normale di servizio nei comuni di almeno 400.000 abitanti, fino al 25 per cento nei comuni aventi meno di 5.000 abitanti, e aumentato del 5 per cento per i comuni fino a 699.999 abitanti, del 10 per cento per i comuni fino a 799.999 abitanti, del 20 per cento per i comuni superiori a 800.000 abitanti.

Come era da attendersi, è sorto un vivissimo malcontento fra i dipendenti, non solo per il fatto che il costo della vita era presso a poco alla stessa misura in tutti i grandi centri indipendentemente dalla loro popolazione, ma anche perché praticamente fra piccoli centri e capoluogo di provincia non esistevano differenziazioni di sorta.

L’organizzazione dei dipendenti statali fece presente l’ingiustizia del provvedimento e, dopo una serie di agitazioni ed anche di scioperi, ottenne gradualmente che la sperequazione fra centri minori e capoluogo di provincia venisse eliminata, e tutti potessero avere il 100 per cento del caroviveri e delle indennità complementari nella stessa misura.

Restava ancora una grave ingiustizia da eliminare; quella di parificare il caroviveri dei centri minori a quello dei capoluoghi delle provincie di Torino e Genova che avevano una maggiorazione del 5 per cento ed a quelle di Milano, Roma e Napoli che avevano avuto una maggiorazione del 20 per cento, per le particolari condizioni del caroviveri.

Fecero presente i dipendenti dello Stato che – per esempio nella provincia di Milano – una differenza fra Sesto San Giovanni, Monza, Legnano, Lodi, ecc., che sono cittadine collegate con Milano, che vivono della stessa vita, che avevano ed hanno tutt’ora un costo della vita forse superiore a quello di Milano, era assolutamente inammissibile. Ne nacque una nuova agitazione, e fu con agitazioni e scioperi che si riuscì ad indurre il Governo a disporre con altro provvedimento che l’indennità del capoluogo (per queste cinque città) venisse estesa anche ai comuni che si trovavano nel raggio di 20 chilometri dalla città capoluogo. Beneficiarono di questo provvedimento alcuni dei più importanti comuni, ma altri, come Lodi, furono nuovamente esclusi. Così il problema non poteva ritenersi risolto. Nella provincia di Milano – come ritengo nelle altre località – non esiste praticamente alcuna differenza fra capoluogo e centri minori. Il costo della vita è alto nella stessa misura, tanto più che oggi la retribuzione serve ed anche insufficientemente, al puro acquisto dei generi alimentari necessari per vivere. Gli altri generi di abbigliamento, calzature, ecc., costano di più nei centri minori che nel capoluogo, senza contare che nei centri minori vi sono altre spese più gravi per i servizi ospitalieri, per l’istruzione dei figli, ecc.

Da questa incongruenza e da questa ingiustizia è nata l’agitazione degli insegnanti elementari milanesi i quali – dopo aver tentato con ogni mezzo di persuadere i Ministri interessati – furono costretti, contro la loro stessa volontà, a proclamare il 4 giugno 1947 lo sciopero ad oltranza.

Incaricato dalla Camera del lavoro di Milano, unitamente al professore Durante – Segretario nazionale del Sindacato insegnanti – accompagnato da una delegazione di maestri milanesi e colla collaborazione anche dell’onorevole Arcaini, di Lodi, incaricato dai dipendenti statali di quella città, ho avuto una serie di colloqui sia col Ministro Del Vecchio, sia col Sottosegretario Petrilli, il quale, sentite le ragioni dei lavoratori, fatti i conti col bilancio ed avuto conferma dal Ministro Del Vecchio, mi assicurò che avrebbe provveduto ad estendere il caro-viveri e le indennità complementari concesse ai dipendenti in servizio nel capoluogo, a tutto il territorio della provincia.

In base a queste assicurazioni io mi recai a Milano e dopo una lunga discussione nell’Assemblea degli insegnanti – nonostante l’opposizione di molti che pretendevano una assicurazione scritta dai Ministri per evitare di riprendere un’altra volta l’agitazione se la promessa non fosse stata mantenuta – riuscii ad indurre gli insegnanti a cessare lo sciopero ed a riprendere il loro posto di lavoro, fiducioso nell’impegno assunto dai Ministri responsabili.

Senonché, il 21 agosto 1947 la Gazzetta Ufficiale n. 190 pubblicò il decreto n. 788 del 5 agosto 1947, col quale si estendono i benefici del caro-viveri concesso ai comuni capoluoghi quali Milano, Roma, Napoli, Torino e Genova, solo a quei comuni che si trovano nel raggio di 30 chilometri misurati su via ordinaria fra le rispettive sedi comunali.

Questo decreto legislativo 788 ha provocato un legittimo e grave risentimento, contro di me e contro i rappresentanti sindacali colpevoli di aver creduto ai Ministri, di non aver preteso una assicurazione scritta, di aver fatto cessare una agitazione senza aver ottenute tutte le garanzie, e contro il Governo che, non si sa per quali ragioni, si ostina a mantenere in atto una così evidente sperequazione.

Data la brevità del tempo concessomi non voglio qui prolungare oltre il mio intervento per dimostrare le ragioni obiettive che militano a favore degli insegnanti e dei dipendenti statali tutti.

Esse possono essere però così riassunte:

  1. a) l’indennità caro-viveri (chiamata contingenza) per l’industria per il commercio, ecc., è uguale per tutti i centri della provincia;
  2. b) il costo della vita, dei generi di vestiario, calzature, ecc. in molti centri minori è superiore a quello della città;
  3. c) la maggior parte degli insegnanti vive in città e si reca in treno, tram, ecc., alle scuole dei centri minori, con spese, ecc.;
  4. d) nei centri minori, le spese di istruzione dei figli, le spese mediche, ecc., sono superiori a quelle dei grandi centri;
  5. e) gli insegnanti residenti in centri minori hanno a loro carico altre spese per comunicazioni coi centri provinciali, molte volte sono a pensione in albergo o a casa di privati, debbono sopportare disagi per l’abitazione, ecc.;
  6. f) infine, non esistono ragioni che giustificano questo trattamento differenziato.

Ma esistono poi incongruenze che dimostrano l’ingiustizia del provvedimento: un maestro che abita a Milano e insegna a Lodi, non percepisce l’indennità di caroviveri di Milano; un maestro che abita a Lodi e insegna a Milano, sì!

Bisogna assolutamente, che questa ingiustizia venga eliminata; bisogna che anche a questi poveri e tanto benemeriti lavoratori che compiono con tanto zelo il loro dovere e che affrontano anche notevoli disagi, per restare in piccoli comuni pur di assolvere la loro missione, venga riconosciuto il diritto ad una giusta remunerazione.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Vorrei replicare a quanto detto dall’onorevole interrogante che ha fatto, in sostanza, un addebito al Ministro ed al Sottosegretario per il tesoro per aver essi garantito che nel decreto legislativo che sarebbe stato emanato dal Consiglio dei Ministri si sarebbe accolta la richiesta delle categorie che venivano patrocinate dagli onorevoli Morelli e Arcaini. Ora io credo che, tanto l’onorevole Morelli quanto l’onorevole Arcaini, avranno potuto rendersi conto che non garanzie potevano dare il Ministro ed il Sottosegretario per il tesoro, ma affidamento di proporre in Consiglio dei Ministri la richiesta che veniva fatta dalle categorie attraverso i due deputati, con il patere favorevole del Ministro. Senonché gli onorevoli interroganti sanno pure che il Consiglio dei Ministri è quello che deve deliberare sui provvedimenti specifici, e quindi, credo che siano andati un po’ al di là di quello che poteva essere il risultato della loro richiesta, in quanto è chiaro che il Ministro proponente non poteva dare o non dare la garanzia che il provvedimento sarebbe stato accolto dal Consiglio dei Ministri.

Quindi, egli ha potuto, come certamente ha fatto, assicurare che avrebbe presentato con parere favorevole al Consiglio dei Ministri il provvedimento desiderato dalle categorie. Non oltre questo si poteva garantire; non oltre questo ha garantito il Ministro e, con il Ministro, il Sottosegretario.

Quanto poi al merito della questione, desidero far osservare agli onorevoli interroganti che non si può abbandonare il criterio della popolazione senza giungere ad altre conclusioni che già l’onorevole interrogante conosce, conclusioni che avrebbero apportato un aggravio veramente eccezionale al bilancio dello Stato: aggravio che il bilancio in questo momento non può sopportare.

Si è detto: «estendete a tutti i comuni di una provincia la aliquota dell’indennità di caro-vita che è applicata nel capoluogo della provincia stessa; fate per le provincie di Genova, Torino, Milano, Roma, Napoli quello che avete fatto con il decreto 263 del 1946 per le altre provincie della Repubblica». Ora, come ho accennato precedentemente, il Governo ha ritenuto che il creare molti scaglioni di città con riferimento alla popolazione non fosse opportuno, e che bastasse differenziare soltanto i comuni capoluoghi di provincia che avessero una popolazione superiore ai 600 mila abitanti; e per tutto il resto invece, stabilire un’aliquota d’indennità di caro-vita comune sia per il capoluogo che per altri centri della provincia, perché non esiste una gran differenza fra la popolazione del comune capoluogo e la popolazione degli altri centri della provincia.

Ma, per Genova, Torino, Milano, Roma e Napoli si determinava una enorme differenza fra centri di poche migliaia di abitanti e le popolazioni dei capoluoghi che hanno la massima popolazione fra i centri maggiori di tutto il territorio della Repubblica.

Si sarebbe verificato questo inconveniente – e ciò ha trattenuto il Consiglio dei Ministri dall’aderire alla proposta fatta dal Ministro del tesoro – che un comunello agricolo, poniamo della Sabina, o un comune della provincia di Napoli, per esempio vesuviano, comuni agricoli nei quali il caro-vita fa sentire il suo peso molto meno che nei grandi centri, avrebbero avuto l’aliquota di 120 mentre le città di Bologna, Firenze e Palermo, dove indubbiamente il caro-vita è più alto, avrebbero avuto una aliquota inferiore.

Perciò era assolutamente impossibile, e ingiusto – così ha ritenuto il Consiglio dei Ministri – estendere a tutti i comuni delle province di Milano, Torino, Genova, Roma, Napoli le aliquote stabilite nei capoluoghi; ed ha limitato invece, questo adeguamento di aliquota, esclusivamente a quei comuni che compresi nel raggio di 30 chilometri dal capoluogo formassero, come effettivamente formano, con il capoluogo un unico centro economico.

Ma l’accoglimento della richiesta delle categorie rappresentate e patrocinate qui dai due onorevoli interroganti avrebbe portato certamente a due altre conseguenze: la prima, che già gli onorevoli interroganti conoscono, è quella della richiesta da provincia a provincia di adeguamento dell’aliquota del caro-vita. L’onorevole Morelli sa che la provincia di Varese ha chiesto in blocco l’aliquota del caro-vita della città di Milano; e con Varese l’hanno chiesta altre provincie. Finalmente avrebbe portato alla conseguenza di un’aliquota nazionale la quale avrebbe significato per il bilancio dello Stato una spesa di 15 miliardi.

Ora, il bilancio dello Stato non è oggi in condizione di poter sopportare un onere così grave. Del resto, basta considerare che anche nel settore privato non si è stabilito questo indice unico nazionale per la indennità di contingenza; e quindi non credo che lo Stato debba affrontare a cuor leggero una spesa così grave e precorrere risoluzioni, che nel settore privato non sono state neppure prospettate.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Fausto, ai Ministri dell’industria e commercio, di grazia e giustizia e dell’interno, «per chiedere che l’Assemblea Costituente sia – appena possibile – ampiamente informata delle direttive e delle conclusioni della inchiesta relativa allo scandalo delle gomme, in quanto la criminale speculazione investe con l’A.T.A.C. uno dei più vitali servizi della Capitale. La pubblica opinione, stanca della sistematica impunità e delle risibili penalità generalmente inflitte per reati contro l’interesse generale, esige sanzioni esemplari pronte ed adeguate».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria e commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. Con domanda presentata e firmata dal suo Presidente, ingegner Poinelli Mario, l’A.T.A.C. chiedeva, in data 12 ottobre 1946, al Ministero del commercio estero una licenza di importazione «franco valuta» per tonnellate 500 di copertoni e tonnellate 50 di camere d’aria, rappresentando le particolari difficoltà in cui si dibatteva l’Azienda nell’approvvigionamento dei pneumatici, difficoltà che avrebbe costretto la stessa a ridurre e, successivamente, addirittura a sospendere il servizio autofiloviario, nonché a licenziare le migliaia di persone addette al servizio stesso, tra cui molte assunte di recente, in dipendenza della loro qualifica di reduci ed ex combattenti.

Il Ministero del commercio con l’estero, in vista delle necessità rappresentate, concedeva sollecitamente l’autorizzazione, limitatamente a tonnellate 300 di copertoni e tonnellate 50 di camere d’aria, ed il Ministero delle finanze emetteva la relativa licenza n. 13033 del 26 ottobre 1946 intestata all’A.T.A.C.

In conseguenza della predetta situazione, la Giunta Municipale di Roma, nella sua seduta del 4 novembre 1946, nell’esaminare una proposta presentata all’A.T.A.C. dalla Ditta Tassi e Rivola, diretta a fornire alla prima, franco dogana Roma, con licenza intestata alla stessa A.T.A.C. n. 1.700 copertoni di misura diversa, deliberava di autorizzare l’acquisto limitatamente a n. 600 copertoni (di cui n. 400 sezione 11,00 X 20 e n. 12,00 X 20, ai prezzi rispettivamente di lire 55.000 e lire 65.000 l’uno), nonché a n. 900 camere d’aria, per un prezzo massimo di lire 4.000 l’una, per un totale complessivo di lire 40.500.000.

In contrasto con la suddetta deliberazione, l’A.T.A.C. stipulava, in data 31 gennaio 1947, una convenzione con la Ditta Tassi e Rivola e con l’U.T.R.E.N. (Ufficio Tecnico Rappresentanze Estere e Nazionali) di Genova nella quale stabiliva che:

l’U.T.R.E.N. ed il Rivola si impegnavano ad importare tutto il materiale della licenza A.T.A.C. ed a finanziare completamente l’operazione sia all’estero che nell’interno;

l’A.T.A.C. si riservava il diritto di prelevare il 60 per cento dei copertoni e delle camere d’aria importate con diritto di scelta, al prezzo di listino Pirelli 1946 (poi modificato in quello corrente nell’epoca del ritiro), diminuito dello sconto del 10 per cento;

l’U.T.R.E.N. ed il Rivola si riservavano, a loro volta, il diritto di vendere a proprio piacimento, sul libero mercato, il rimanente 40 per cento, nonché quella parte della suindicata aliquota del 60 per cento che non fosse stata ritirata dall’A.T.A.C. entro il termine di 40 giorni dall’arrivo della merce.

La convenzione di cui sopra, firmata dall’ingegnere Poinelli, non veniva portata a conoscenza della Giunta Municipale e, come è evidente, modificava sostanzialmente i termini dell’autorizzazione stessa.

Durante lo svolgimento delle trattative in argomento dirette a concludere l’importante affare, la licenza concessa dai competenti Ministeri venne però a scadere. L’ingegnere Poinelli rivolse allora una nuova domanda al Ministero Commercio Estero, nella quale richiamando l’attenzione di tale Dicastero sulle ben note necessità che l’A.T.A.C. aveva di mettere in circolazione nella città di Roma nuovi autobus e filobus per incrementare maggiormente la rete autofiloviaria, chiedeva il rinnovo della licenza. Tale rinnovo venne ottenuto con nota n. 35688 del 22 maggio 1947 del Ministero del commercio estero e nota n. 313423 del 27 maggio 1947 del Ministero delle finanze.

In seguito a ciò il Rivola procedette all’importazione di tutta la partita di merce in argomento, presso le Dogane di Roma, Genova e Napoli, che depositò in parte nei propri magazzini di Roma, ed in parte in quelli doganali delle città suindicate, iniziando nel luglio ultimo scorso la consegna del materiale dell’A.T.A.C., nonché la libera vendita di quella parte lasciata a sua disposizione, questa ultima a prezzi speculativi.

In base a rilevazioni fatte dal Ministero dell’industria e commercio nella sua opera di controllo sull’osservanza delle norme relative ai consumi ed ai prezzi, venne dato incarico al Comando del nucleo della guardia di finanza a disposizione del Ministero stesso di accertare come si erano svolti i fatti.

Da tali accertamenti risulta che:

  1. 3.133 copertoni e n. 353 camere d’aria erano stati liberamente venduti dal Rivola per la somma complessiva di lire 81.244.590, fatturandoli soltanto per lire 27.719.905, con un’omessa fatturazione o con una fatturazione inferiore al reale, corrispondente a lire 53.524.685, in guisa da occultare i lucri di speculazione conseguiti ed evadere l’imposta sull’entrata per lire 1.605.740 (i copertoni nuovi per jeeps, venduti a circa lire 30.000 l’uno, venivano fatturati a circa lire 5.000 l’uno);

solo n. 575 copertoni in tutto erano stati consegnati all’A.T.A.C. ed altre Aziende municipalizzate della Repubblica (consociate nel C.A.M.A.U. di cui l’ingegnere Poinelli è vicepresidente), dei quali soltanto n. 139 erano stati ritirati in proprio dall’A.T.A.C. Essendo il peso dei copertoni ritirati dall’A.T.A.C. di sole circa 7 tonnellate, ed essendo pressoché terminati i ritiri della stessa, è evidente che della licenza di 300 tonnellate una parte ben esigua sarebbe andata a benefìcio dell’Azienda;

  1. 13.138 copertoni e n. 12.000 camere d’aria si trovavano ancora giacenti nei magazzini doganali di Napoli e Genova, nonché nei magazzini del Rivola a Roma. Da notare che di tale quantitativo n. 11.391 copertoni sono di piccola sezione (6,00 x 16 e 5,50 x 15), cioè non idonei alle necessità dell’A.T.A.C. e quindi presumibilmente destinati alla vendita in proprio da parte del Rivola.

Poiché dei n. 3.133 copertoni venduti liberamente dal Rivola, di cui più sopra, n. 2.826 erano pure di piccole dimensioni, ne consegue che con la licenza A.T.A.C. furono importati ben n. 14.217 copertoni per autovetture (e cioè non idonei ai bisogni dell’A.T.A.C.), in confronto a soli n. 2.629 di grosse dimensioni (idonei per l’A.T.A.C.).

In conseguenza di quanto precede sono stati adottati i seguenti provvedimenti:

1°) Denuncia alla Procura della Repubblica da parte del Nucleo Guardia di Finanza addetto al Ministero dell’industria, con rapporto in data 4 agosto 1947, di Rivola Giuseppe e Poinelli Mario, nonché con suppletivo rapporto in data 26 agosto 1947 di Borrelli Ernesto (amministratore dell’U.T.R.E.N.) e Bornigia Renato.

I suddetti sono stati indicati quali responsabili di sottrazione al normale consumo di tonnellate 300 di copertoni e tonnellate 50 di camere d’aria (il Bornigia di soli 300 copertoni) e di infrazioni ai prezzi (quest’ultime per un importo di lire 26.197.608, rispetto ai listini ufficiali, alla quale cifra ascende anche la relativa sanzione pecuniaria) in considerazione del fatto che la licenza A.T.A.C. era stata concessa in vista della sua qualità di diretta consumatrice dei copertoni e tenuto conto del provvedimento di blocco ministeriale – decreto ministeriale 12 aprile 1946 – relativo ai pneumatici di qualsiasi specie.

Per quanto concerne l’ingegnere Poinelli è stato messo in luce l’operato da questi esplicato con la vendita in proprio di 16 copertoni con un utile di circa mezzo milione, richiamando l’attenzione dell’Autorità giudiziaria sulla possibilità che tale operato possa configurare i reati comuni di peculato o corruzione o interesse privato in atti di ufficio, in relazione anche al fatto che il Poinelli è andato molto al di là delle facoltà concessegli con la nota deliberazione della Giunta municipale.

2°) Sequestro di tutti i copertoni e camere d’aria ancora invenduti (e cioè la più gran parte della merce importata) nella quantità rispettiva di n. 13.138 copertoni e n. 12.000 camere d’aria.

3°) Segnalazione all’Autorità giudiziaria delle Banche presso le quali trovansi depositate le somme incassate con l’operazione in argomento (dedotte le spese finora sostenute) ed il cui ammontare si presume aggirarsi attualmente sulle lire 60.000.000, allo scopo di effettuarne il sequestro, quali somme pertinenti al reato, a mezzo del giudice competente, come prescritto dall’articolo 340 del Codice di procedura penale.

4°) Denuncia all’intendenza di finanza del Rivola e del Borrelli per le evasioni d’imposta sull’entrata relative alle false od omesse fatturazioni concernenti i copertoni venduti, per un complesso di lire 1.605.740 d’imposta evasa: lire 1.217.877 di sovratassa e lire 4.429.357 di pene minime e lire 14.063.797 di pene massime. Totale responsabilità minime lire 7.252.974; totale responsabilità massime lire 16.887.414.

5°) Segnalazione all’ufficio distrettuale delle imposte dirette ai fini dei lucri di speculazione conseguiti, sia per quanto concerne l’attività svolta in precedenza dal Rivola, con altre due licenze d’importazione di copertoni esteri a lui direttamente intestate, sia per quanto riguarda l’attuale licenza A.T.A.C.

6°) Allo scopo poi di restituire al normale consumo tale ingente quantitativo di pneumatici, il Ministero dell’industria e del commercio ha ottenuto dall’Autorità giudiziaria inquirente un provvedimento inteso a consentire, nel rispetto delle necessarie cautele, l’assegnazione a prezzo di normale listino e tramite gli organi competenti, di tutto il suddetto quantitativo ai normali consumatori.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Fausto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI FAUSTO. L’episodio portato all’ordine del giorno dell’Assemblea dalla mia interrogazione non mi interessa per il caso specifico. Io sono così lontano ed estraneo al mondo degli affari, delle speculazioni e dei traffici che riconosco subito tutta la mia incompetenza in materia. Io ho inteso segnalare uno degli innumerevoli episodi delittuosi che minacciano di soffocare la vita della Nazione per richiamare su questo settore della malavita nazionale l’attenzione dell’Assemblea e la vigilanza dei Governo, esortando a colpire inesorabilmente e sollecitamente perché la pubblica opinione reagisca allo scetticismo pernicioso ingenerato dalla sistematica evasione dei colpevoli alla azione della giustizia.

Io ho inteso anche provocare in seno a questa Assemblea una parola di apprezzamento per quella vasta massa del popolo italiano che compie in silenzio, senza minaccia, il proprio dovere, spesso nella indigenza più inverosimile, tenendo fede a quel principio di onore per il quale la vita può essere e deve anche essere data.

I nostri fratelli, i nostri figli, professori di università, direttori generali nelle pubbliche amministrazioni, medici nei sanatori, artisti, sacerdoti, insegnanti, ecc. tutto insomma il ceto, medio, sappia che non si irriderà impunemente alla loro sofferenza, da parte di avventurieri criminali, con la estorsione di milioni e di miliardi che grondano lacrime e sangue dal comune soffrire.

Riconosco ed apprezzo il pronto intervento dei Ministeri tecnici. Esorto però il Ministero della giustizia alla conclusione più rapida dell’inchiesta giudiziaria per l’adozione di provvedimenti che debbono discendere di conseguenza.

Mi auguro infine che per l’intervento del Governo l’A.T.A.C., questa importantissima branca dei pubblici servizi, trovi l’assetto integrale e radicale che esigono le necessità della capitale, specialmente in vista dell’Anno Santo, e che invocano tutte le categorie dei lavoratori, la cui sorte è minacciata dal malgoverno dei capi.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Costa, ai Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se ritengano opportuno di promuovere un provvedimento legislativo sulle retrocessioni di immobili, «per i quali sia stata sospesa l’espropriazione per pubblica utilità dopo l’occupazione di urgenza oppure sia avvenuta requisizione di uso, in modo che, se siano state eseguite dallo Stato costruzioni in riferimento alle necessità militari, sia obbligatorio pagare il valore attuale dei miglioramenti, togliendosi la possibilità del privato arricchimento derivante dall’esercizio della facoltà di semplicemente rimborsare le spese di costruzione, attribuita dalla legislazione vigente».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Già da tempo l’Amministrazione della difesa aveva portato la sua particolare attenzione sulla applicazione veramente onerosa per l’Erario delle norme della legislazione vigente, la quale legislazione vigente in materia di cessione ai privati di costruzioni eseguite dall’Amministrazione su terreni occupati, ma non espropriati perché non più necessari per gli usi militari, pretende il pagamento del minor valore fra la spesa ed il migliorato. Ne è derivato un esame approfondito della questione di intesa anche con l’amministrazione finanziaria e con l’organo legale dello Stato, al fine della promulgazione di un provvedimento legislativo che orientasse la materia in modo diverso, precisamente nel senso di tener conto, ai fini della cessione, del valore attuale delle costruzioni. All’emanazione di questo decreto si farà luogo non appena espletato l’esame dello schema in corso presso i vari organi competenti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTA. Posso anche dichiararmi sodisfatto data la risposta favorevole alla mia richiesta. Certo che la questione sollevata è di notevole importanza per l’Erario, perché si tratta di evitare tutte quelle locupletazioni che potrebbero realizzare i privati per retrocessione da parte dell’Erario di aree per le quali era in corso una procedura di espropriazione rimasta ferma all’occupazione d’urgenza. L’onorevole Sottosegretario di Stato mi dà soddisfazione dicendo che su questo argomento si sta provvedendo in via legislativa. Quindi la mia raccomandazione si riduce a questo: di ottenere l’affidamento che, medio tempore, non si faccia luogo a nessuna retrocessione; si tengano sospese tutte le pratiche in corso e non si aspetti a sprangare la stalla quando siano scappati i buoi.

PRESIDENTE. Segue una seconda interrogazione dell’onorevole Costa ai Ministri del bilancio e del tesoro, «per sapere se riconoscano la convenienza di promuovere la modifica dell’articolo 16 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 37, sulla costituzione e sul funzionamento dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche, per armonizzarlo con l’articolo 36 del decreto legislativo di pari data, n. 38, sulla Azienda nazionale autonoma delle strade statali, in maniera che anche per il Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Venezia l’ufficio distaccato della Corte dei conti eserciti il riscontro soltanto successivo delle spese, limitando il controllo preventivo agli atti del magistrato».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Su questa interrogazione la Presidenza del Consiglio aveva fatto sapere che trattandosi di materia che tocca il funzionamento della Corte dei Conti, la Presidenza avrebbe risposto direttamente alla interrogazione stessa, anche in base agli elementi forniti dal Ministero del tesoro.

Ma gli elementi forniti dal Ministero riguardavano semplicemente la dichiarazione dei motivi della propria incompetenza in materia. Quindi, deve esservi stato un disguido amministrativo.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTA. Devo dichiarare che non sono affatto sodisfatto e desidero chiarire la questione ricollegantesi ad un problema che merita di essere considerato.

Nella stessa data del 27 giugno 1946 con i numeri 37 e 38 sono stati emanati due provvedimenti: uno relativo all’ordinamento dell’Azienda della strada, un altro relativo alla istituzione dei Provveditorati per le opere pubbliche.

Provvedimenti emanati nello stesso giorno con inspiegabile diversità di disposizioni in rapporto ai controlli.

Dice il decreto riguardante l’Azienda della strada: «La Corte dei Conti vigila sulle entrate, fa il riscontro consuntivo delle spese dell’Azienda» e basta.

La Corte dei conti – dunque – quando si tratta della Azienda della strada non fa più di così: «vigila sulle entrate e fa il riscontro consuntivo delle spese».

Viceversa il provvedimento che riguarda i Provveditorati per le opere pubbliche – pur emanato nello stesso giorno – dice: «L’Ufficio distaccato (siccome in ogni Provveditorato c’è un Ufficio distaccato della Corte dei conti) a termini del decreto, ecc., ecc., eserciterà anche le funzioni di riscontro preventivo e successivo sulle spese e di controllo preventivo sugli atti del magistrato».

Ora domando io al Ministero del tesoro (perché la Corte dei conti è un Istituto che ha rapporti col Ministero del tesoro) e se non sarà il Ministero del tesoro altri si assuma la competenza a rispondere e risponda: ritiene o non ritiene il Governo che sia il caso, per semplificare le formalità di questi controlli, di uniformare la legislazione relativa ai Provveditorati per le opere pubbliche a quella sull’Azienda della strada, in maniera che, quando si tratti di spese, sia sufficiente il controllo consuntivo e non si aggiunga anche un controllo preventivo?

Si badi che la differenza è enorme, perché il controllo preventivo sulle spese, dopo che le spese sono state già autorizzate con decreto del Provveditorato alle opere pubbliche – soggetto al controllo della Corte dei conti anche questo – significa che, dopo emanato il decreto del Provveditorato alle opere pubbliche e sottoposto al controllo della Corte dei conti, bisogna mandare all’ufficio staccato della Corte stessa tutto un fascio enorme di fatture riferentisi ad innumerevoli lavori. I Provveditorati per le opere pubbliche hanno lavori per centinaia di milioni e sono in quantità enorme i lavori in corso; e le fatture che si devono mandare sono dei pacchi spaventevoli che fanno perdere una quantità di tempo all’Ufficio del controllo.

E allora, se si vuole il controllo preventivo sulle fatture, perché prescrivere anche il controllo consuntivo sulle stesse fatture, che sono liquidate solo quando si conosce il preciso ammontare? A che cosa giova questa complicazione?

È difficile rendersi ragione della diversità di trattamento tra i due istituti (Azienda della strada e Provveditorato opere pubbliche) in maniera che per l’uno basti solo il controllo consuntivo della Corte dei Conti e non basti per l’altro. E le conseguenze sono queste: che passa un tempo ragguardevole per i pagamenti di queste fatture, in quanto si attende il controllo preventivo, per necessità di cose molto ritardato.

Non mi preoccupo dei grandi appaltatori che, se anche aspettano, possono avere pazienza. Mi preoccupo dei piccoli e soprattutto delle cooperative. Quando una cooperativa attende il pagamento dell’importo liquidato per lavori eseguiti – e si ritarda questo pagamento per la necessità di adempiere tutte le ricordate formalità, una delle quali è evidentemente superflua – è costretta a pagare degli interessi in misura notevole sui suoi finanziamenti. Il che porta come conseguenza che, quando c’è la necessità di sopportare interessi bancari per attendere il pagamento di fatture liquidate, all’atto in cui vi saranno successivi appalti, i prezzi saranno superiori, cioè maggiorati di quel tanto che gli interessati sanno rappresentare l’onere degli interessi fino al momento del pagamento.

Mi pare di avere sufficientemente chiarito questa contradizione. È assurdo che tutto ciò possa sussistere e vorrei chiudere con una considerazione: basterebbe che gli egregi rappresentanti del Governo pensassero quello che era stato fatto dopo l’altra guerra per le terre liberate. Per queste c’era una legislazione speciale che sarebbe ovvio fosse richiamata in vigore, perché questo dopoguerra somiglia moltissimo a quello precedente. Penserei quindi che quei provvedimenti si potrebbero adottare anche ora. Questa sarebbe la mia idea preferita; quanto meno è necessario adottare una uniformità di indirizzo nei confronti delle norme contabili in vigore per l’Azienda della strada e per i Provveditorati alle opere pubbliche.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Desidererei rimandare questa interrogazione a lunedì prossimo, onde poter sentire il Ministero che è più competente, che ritengo sia il Ministero dei lavori pubblici.

PRESIDENTE. Resta così stabilito.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, al Ministro dell’interno, «per conoscere se rispondano a verità le notizie diffuse negli ambienti popolari ed impiegatizi di Siracusa sull’accertamento di gravi irregolarità nell’Ufficio alimentazione e razionamento di Siracusa, per ammanchi o sottrazioni di notevoli quantità di farina, col peggioramento della confezione del pane, irregolarità che avrebbero determinato la nomina di un commissario prefettizio; e se e quali provvedimenti siano stati o si intendano adottare contro i responsabili di imperdonabili malefatte, in un momento così delicato ed in materia così sensibile, date le gravi deficienze del grano».

L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Nel giugno scorso il direttore della Sepral di Siracusa informava il prefetto di avere motivo di dubitare della regolarità del funzionamento dell’Ufficio razionamento del comune capoluogo di quella provincia.

Il prefetto diede allora allo stesso direttore l’incarico di esperire subito riservate e accurate indagini, e, in base alle prime risultanze – dalle quali apparivano sensibili discordanze fra il carico e il discarico della farina assegnata al comune – procedette, in data 5 luglio, alla nomina del dottor Salvatore Cavarra, capo ufficio statistico, col compito di approfondire le indagini iniziate dal direttore e di promuovere i provvedimenti opportuni per la riorganizzazione dell’ufficio.

Responsabili delle irregolarità apparvero subito il capo Ufficio razionamento ragioniere Agliano e l’impiegato Gastaldo Pasquale.

La Giunta comunale frattanto, con deliberazione del 7 luglio, stabiliva di sospendere i predetti dall’impiego e di denunziarli all’autorità giudiziaria.

Dagli accertamenti effettuali in seguito è risultato che gli scarichi in più avvenivano mediante alterazione dei relativi moduli, eseguita materialmente dall’impiegato Gastaldo.

Con tale sistema vennero sottratti, durante i mesi dal gennaio all’aprile del corrente anno, quintali 1937 di farina, la cui disponibilità veniva fatta figurare maggiorando nei modelli di prenotazione i dati relativi alle previsioni.

Complici del Gastaldo sono risultati altri quattro impiegati.

L’autorità giudiziaria ha spiccato mandato di cattura contro gli impiegati, nonché contro due carrettieri.

Si presume che la farina distratta sia stata indebitamente ceduta ad alcuni panificatori, la cui responsabilità è tuttora in corso di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria. Indipendentemente da tale accertamento, il commissario Cavarra ha contestato agli stessi panificatori le giacenze contabili di farina, ed essi si sono dato carico di quintali 1040 di giacenza, che devono considerarsi come effettivo quantitativo di farina recuperata a fronte dei complessivi quintali 1937 distratti.

Si sta ora procedendo alla revisione della contabilità relativa alla pasta, ma dai primi sommari accertamenti, sembra che al riguardo si possano escludere delle irregolarità.

Le irregolarità riscontrate non hanno però avuto influenza sulla cattiva qualità del pane lamentata nel giugno scorso a Siracusa, dovuta invece alla scadente qualità del grano sbarcato dal piroscafo Quinterno e distribuito nell’epoca, mentre il pane successivamente distribuito è di pieno gradimento della popolazione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI GIOVANNI. Sono grato all’onorevole Sottosegretario di Stato delle cortesi ed esaurienti informazioni. Certo è impressionante il fatto che si siano potuti sottrarre dall’ufficio alimentazione ben 1.900 e più quintali di farina; e non si intende come gli organi destinati alla vigilanza non si siano mai accorti di queste sottrazioni, tanto che sia stato possibile, in breve volgere di tempo; raggiungere quantità così rilevanti.

Verrebbe fatto di domandare, non solo come sia stato possibile consumare così gravi reati in danno dell’ufficio di alimentazione, senza che fosse tempestivamente intervenuta una doverosa difesa preventiva degli interessi della collettività, ma anche come si sia agito nell’esplicazione dell’attività repressiva, in quanto sembra che taluno dei responsabili, quale esecutore materiale, abbia avuto il tempo di prendere il largo e sia uccel di bosco, ed altri restino ai margini tuttora indisturbati. Certo che le indagini vanno anche dirette verso i favoreggiatori ed i ricettatori, che non sono meno responsabili degli esecutori materiali dei reati; perché è chiaro che ci deve essere, e c’è indubbiamente, una larga rete di intrighi e d’interessi ed una vera associazione delittuosa; ed io voglio raccomandare all’onorevole Sottosegretario di Stato di invitare i poteri responsabili alla vigile, sollecita, severa esplicazione della loro azione, di fare che i cent’occhi d’Argo degli ufficiali della polizia giudiziaria e della stessa magistratura siano bene aperti, perché i responsabili siano tutti assicurati alla giustizia, sicché l’esempio sia salutare e di ammonimento agli altri.

Sarebbe legata questa mia interrogazione a quella che viene immediatamente dopo; ed il legame non è puramente occasionale, perché, mentre da un canto si distraevano quantità così notevoli di farina all’Ufficio di alimentazione, e quindi ai bisogni del popolo, si provvedeva da parte dell’Ufficio alla confezione ed alla distribuzione del pane utilizzando detriti, miscelando farina di granturco, ed altre farine non commestibili, producendo quei danni alla salute pubblica, che dettero luogo alla mia seconda interrogazione sulla cattiva confezione del pane e sulle conseguenze in materia di igiene e sanità.

Anche su questo argomento, mentre sono grato dell’assicurazione che mi viene dall’onorevole Sottosegretario di Stato, desidererei raccomandare la più stretta, continua ed oculata vigilanza.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, all’Alto Commissario per l’alimentazione, «sulla pessima qualità del pane che viene distribuito alla popolazione della città e della provincia di Siracusa, con evidente grave nocumento della salute dei cittadini, specialmente delle classi lavoratrici, costrette a comprare il pane della tessera ed impossibilitate a sostituirlo con quello proveniente dal mercato nero. La confezione del pane tesserato è quanto di più deplorevole ed antigienico possa immaginarsi: le miscele di farina di grano turco e di altre non commestibili lo rendono esiziale per la salute pubblica, specie nel periodo del caldo estivo. Sono quindi a deplorare non pochi casi di enterite, principalmente fra i bambini, e taluni di infezione tifica serpeggiante fra le classi povere. L’interrogante invoca immediate disposizioni ai competenti uffici onde ovviare al gravissimo inconveniente».

L’Alto Commissario per l’alimentazione ha facoltà di rispondere.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Dagli accertamenti compiuti nei primi di luglio presso le Autorità e gli organi locali responsabili, risultò che le lamentele e gli inconvenienti segnalati, circa la cattiva confezione del pane in provincia di Siracusa nel corso dell’ultima decade di giugno, furono causati:

1°) dalla non gradita miscela di farina di granoturco con farina di grano;

2°) dall’impiego di farina di qualità molto scadente, che proveniva da una partita di grano di importazione argentina.

Per quanto riguarda il punto primo si fa presente che l’adozione di detta miscela è stata una necessità assoluta, conseguente alla carenza di grano di fronte alla rilevante disponibilità di granoturco, e la miscela è stata applicata in tutte le provincie. Però in quelle siciliane l’impiego della farina di grano turco fu limitatissimo. Comunque non possono certo essere imputati a detta miscela i casi di enterite verificatisi nella popolazione infantile e denunciati dall’onorevole interrogante.

In merito al secondo punto, e cioè la scadente qualità del grano argentino, confermo gli inconvenienti del grano argentino, ma non risulta che abbiano avuto conseguenze agli effetti della salute pubblica. D’altra parte si deve rilevare che con il carico dello stesso piroscafo di grano argentino furono approvvigionate anche altre provincie, che per altro non dettero luogo a rilievi di sorta.

Comunque l’inconveniente ebbe un carattere del tutto temporaneo e venne superato con l’esaurirsi del grano in questione.

In quell’epoca poi, recatomi in Sicilia, concordai con le autorità del Governo regionale la distribuzione della razione di 200 grammi di pane confezionato con sola farina di grano nazionale, abburattata all’85 per cento, se di grano tenero, e al 90 per cento se di grano duro; oppure confezionata con farina bianca di importazione, escludendo la miscela col granoturco ed adottando eventualmente quella con orzo e segale.

Da allora la qualità del pane dev’essere notevolmente migliorata, poiché non ho avuto altre segnalazioni di ulteriori inconvenienti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI GIOVANNI. Come accennavo, questa interrogazione è legata a quella precedente.

Sostanzialmente, si sottraeva la farina buona e, per la panificazione, bisognava, ricorrere a degli espedienti, pure ammettendo il fatto che da un piroscafo proveniente dall’Argentina sia stato sbarcato del grano di pessima qualità.

È ben vero che le ripercussioni sulla salute pubblica furono temporanee e non gravi, come è stato accennato dall’Alto Commissario per l’alimentazione, ma ci furono e non trascurabili, specialmente fra i bambini che risentirono più direttamente e più facilmente le conseguenze della cattiva qualità del pane distribuito alla popolazione.

È da augurare che il fatto deplorevole non si ripeta, perché, come ho accennato, mentre la farina bianca andava a finire presso i fornai, che poi la mettevano in vendita o la panificavano per il mercato nero, il pane per il popolo costituiva un vero attentato alla salute pubblica. Il che ancora sta a confermare quanto sia difficile modificare in meglio la situazione descritta e deplorata dal buon papà Manzoni, a proposito dei fornai che né «gride» né «bandi» erano riusciti a correggere.

Occorre seriamente provvedere perché il pane – alimento essenziale e forse unico per alcuni strati della popolazione, e soprattutto per le classi operaie e meno abbienti – risponda almeno alle più elementari esigenze dell’alimentazione e dell’igiene.

PRESIDENTE. Segua l’interrogazione dell’onorevole Riccio, ai Ministri dell’interno e della marina mercantile, «per conoscere quali provvedimenti sono stati presi in rapporto all’arbitrario atto del sindaco di Pozzuoli, il quale emetteva una illegittima ordinanza di sospensione dei lavori di allargamento di una chiesa, prendendo a pretesto l’occupazione di pochi metri di banchina, e si ribellava apertamente ad una decisione del prefetto di Napoli».

L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Ministro della marina mercantile, rispondendo recentemente ad analoga interrogazione dell’onorevole Sansone, ha rilevato che tutte le autorità e tutti gli uffici locali espressero parere favore all’accoglimento della domanda del parroco della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli per l’acquisto di suolo demaniale marittimo situato sulla banchina di quel porto.

Infatti, trattandosi di demanio marittimo, il sindaco non era competente ad emettere ordinanze concernenti la disposizione di quel suolo, che era stato concesso con le debite forme. Ma il sindaco di Pozzuoli non si è limitato ad ordinare la sospensione dei lavori. Nonostante i precedenti chiarimenti datigli dalla Prefettura prima e dall’Avvocatura dello Stato poi, ha inviato sul posto il comandante dei vigili urbani con una decina di uomini a sospendere i lavori, e solo l’atteggiamento del comandante del porto ha potuto evitare, con l’allontanamento dei vigili, spiacevoli incidenti.

Per quanto riguarda più specificamente il Ministero dell’interno dirò che tale operato del sindaco di Pozzuoli ha formato oggetto di una inchiesta testé eseguita a carico dell’amministrazione comunale di Pozzuoli, le cui complesse conclusioni sono attualmente in corso di esame.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dire se sia sodisfatto.

RICCIO Io non posso che dichiararmi sodisfatto delle comunicazioni che vengono dal Ministro dell’interno. Vorrei soltanto dire al Ministro dell’interno – perché al Ministro della marina mercantile non devo dire niente, visto che quanto è stato dichiarato in risposta all’interrogazione dell’onorevole Sansone risponde pienamente a verità – che se, come dalle sue stesse dichiarazioni risulta, un reato è stato commesso, esso va denunziato. Vi fu l’intervento violento di vigili mandati dal sindaco e vi fu anche la distruzione di opere già costruite. Ciò integra un reato. A me sembra doveroso che il Ministro rimetta all’autorità giudiziaria l’incarto e chiedo che si proceda a carico di questo sindaco.

PRESIDENTE. Seguono le interrogazioni dell’onorevole Mazza, al Ministro del tesoro, «per conoscere i motivi dell’ostinazione con la quale si escludono, dai decreti di equiparazione del caro-vita dei comuni viciniori di Napoli, quelli della penisola sorrentina, compresi in un raggio di 25 chilometri e legati al centro da molteplici mezzi di trasporto marittimi e terrestri», e dell’onorevole Riccio, al Ministro del tesoro, «per conoscere se intenda concedere l’adeguamento carovita, a norma dell’articolo 14 del decreto legislativo presidenziale 5 agosto 1947, a Gragnano, ai comuni della penisola sorrentina, delle isole di Capri e di Ischia, trattandosi dei paesi della provincia di Napoli in cui più costa la vita e che più sono legati economicamente al capoluogo, superando una interpretazione restrittiva dell’espressione: «via ordinaria»; o, se comunque intenda procedere ad una modifica della disposizione.

Trattandosi di materia analoga, esse possono essere trattate congiuntamente.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. In merito si precisa anzitutto che la concessione invocata, di ottenere per i dipendenti statali con sede di servizio nei comuni di Gragnano, Capri, Ischia, nonché in quelli della penisola Sorrentina, la indennità carovita nella misura del 120 per cento prevista per i dipendenti con sede di servizio a Napoli, è subordinata, oltreché al sussistere della condizione di prossimità col centro maggiore (in questo caso Napoli), che, con l’articolo 14 del decreto legislativo 5 agosto 1947, n. 778, è stata interpretata nel senso che i comuni minori non devono distare da quello maggiore più di 30 chilometri misurati su via ordinaria tra le rispettive sedi comunali, alle due seguenti condizioni:

1°) unicità di centro economico del comune minore con quello maggiore, condizione questa esistente principalmente quando i comuni stessi siano collegati con mezzi di comunicazione intensissimi e frequentissimi;

2°) particolare elevatezza del costo dell’alimentazione nel comune minore. L’accertamento del sussistere delle cennate condizioni, nonché di quelle della distanza, rientra anche nella competenza del Ministero dell’interno, il quale, esaminate le concrete proposte delle Prefetture interessate, esprime il proprio parere al Ministero del tesoro col concerto del quale va disposta la concessione dell’elevazione dell’indennità caro-vita.

Ciò premesso, e poiché non sono ancora pervenute al Ministero dell’interno concrete proposte in merito all’elevazione dell’indennità carovita per i cennati comuni della provincia di Napoli, il Ministero del tesoro potrà rispondere alla questione in esame solo quando verrà in possesso di tutti quegli elementi atti a valutare il sussistere o meno delle condizioni prescritte ai sensi delle vigenti disposizioni. Peraltro, per quanto concerne in particolare la locuzione «via ordinaria», contenuta nell’articolo 14 del citato decreto n. 778, che gli onorevoli interroganti vorrebbero fosse interpretato non in senso restrittivo, si precisa che, con la locuzione stessa, il legislatore ha inteso riferirsi alla via che, per frequenza e intensità dei traffici, è ordinariamente seguita per lo svolgimento delle attività di ogni genere, che interferiscono fra i due comuni viciniori, e cioè alla via terra.

Ora, se per i comuni quali quello di Capri, che sono collegati unicamente per via mare, è ovvio che questa sia la via ordinaria, non sembra altrettanto possa affermarsi sempre per quei comuni che siano raggiungibili ugualmente per via mare e per via terra, in quanto è questa ultima che dovrebbe ritenersi ordinariamente usata per i traffici fra un comune e l’altro. Ed è quindi per via terra che andrebbe calcolata la distanza esistente fra i due comuni ai fini dell’applicazione della norma di cui all’articolo 1, penultimo comma, del decreto legislativo 29 maggio 1947, n. 488, e successive modificazioni. Comunque, anche su questo punto gli elementi di giudizio che potrà fornire il Ministero dell’interno saranno esaminati dal Tesoro con la maggiore comprensione.

Soggiungo ad ogni modo, a chiarimento e conferma di quanto già detto agli onorevoli interroganti, che al Ministero del tesoro non è pervenuta alcuna proposta per l’attribuzione ai comuni, dei quali gli onorevoli interroganti si interessano, di elevazione dell’aliquota del caro-vita e per l’adeguamento a quello che vige nel capoluogo della provincia di Napoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Mazza ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MAZZA. L’onorevole Sottosegretario, dopo aver affermato che la pratica per l’elevazione del caro-vita non è ancora pervenuta al Ministero del tesoro, ha affrontato la questione.

Per quanto riguarda il ritardo dell’arrivo, io chiederò alla buona volontà dell’onorevole Petrilli se è vero che di questa questione stiamo parlando da circa un anno. Mi permetterò di far notare che da molti mesi la pratica è al Ministero dell’interno, esattamente alla Direzione generale degli affari civili, dal dottor Fortini; forse nessuno la vuole trovare. Per quanto riguarda l’esame dettagliato che l’onorevole Petrilli ha voluto fare, in attesa che la pratica arrivi al Tesoro e che l’Amministrazione del Tesoro prenda le sue decisioni, io mi permetto di far notare che la via marittima è la via ordinaria, perché è la più breve, la più rapida, la più economica, perché lo Stato sovvenziona le linee di trasporto marittimo.

Mi permetto di far notare che i paesi della penisola sorrentina sono in condizione peggiore di uno stesso centro economico, in quanto il costo della vita non è uguale a Napoli, ma è maggiore, poiché essi sono paesi turistici. Io chiedo alla buona volontà del Sottosegretario al tesoro di tornare a Sorrento qualche volta con il suo pensiero. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Riccio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RICCIO. Vorrei rettificare soltanto un’affermazione dell’onorevole Petrilli. Non è esatto che la pratica non sia al suo Ministero. In data 10 settembre è stata spedita dalla Prefettura di Napoli un’ampia relazione relativa ai paesi della penisola sorrentina; e di questa relazione si propone che sia ritenuta, anche per i paesi della penisola sorrentina, ordinaria la via marittima, che è brevissima. Si suggeriva anche di considerare la situazione topografica del porto di Napoli.

Da Napoli a Sorrento, in linea diretta, sono 20 chilometri; mentre la via che segue la costa è lunga, sino Massalubrense, quaranta. Non perché vi è il mare e vi è una via che segue le tortuosità della natura, Sorrento si sposta. È sempre là. Non mi pare perciò che il ragionamento del Ministro possa essere approvato.

Qual è lo spirito della legge, al quale dobbiamo riportarci?

Noi, che conosciamo i paesi della provincia di Napoli, possiamo dire che si verifica un grave assurdo. Paesi, i quali hanno un costo di vita molto più basso di quello di Napoli, hanno avuto l’adeguamento del caro-vita; mentre i paesi, tutti i paesi – che hanno un costo di vita molto più alto di quello di Napoli – come Capri, Ischia, Sorrento ed anche Gragnano – per una interpretazione restrittiva della legge verrebbero ad essere privati di questo beneficio.

Si tendeva ad alleviare il costo della vita in quei paesi, che costituiscono una unità economica con i grandi centri. Ebbene Capri, Ischia, Sorrento e Gragnano sono economicamente inscindibili da Napoli.

Prego l’onorevole Sottosegretario per il tesoro, che ha dato prove di larga comprensione, in rapporto ai paesi della nostra provincia, che ancora una volta voglia rendersi conto di queste gravi esigenze e trovare la via per risolvere favorevolmente la questione posta. Sarà anche esatta applicazione dell’articolo 14, in rapporto a quello che è lo spirito della legge, e non miopia formalistica e burocratica. Comunque, si potrebbe agevolmente modificare, se necessario, l’articolo 14 surrichiamato, adeguandolo a questi bisogni di giustizia sociali ulteriormente emersi.

Mi auguro di avere al più presto una risposta di accettazione delle richieste formulate. Sin d’ora ne ringrazio l’onorevole Petrilli.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Miccolis, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano Il Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi. Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatori, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini. Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione di prezzi».

Siccome il Ministro Segni è fuori Roma per ragioni di ufficio, devo annunziare all’onorevole Miccolis che lo svolgimento della sua interrogazione è rinviato.

MICCOLIS. Non ho difficoltà.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Bastianetto, Giacchero, Carignani, Russo Perez, ai Ministri dell’interno e della pubblica istruzione, «per sapere come intendano provvedere al ricovero ed all’educazione professionale dei minori infortunati civili, per cui in atto viene provveduto sporadicamente senza alcuna organicità e coordinamento; e se conoscono che di oltre 10 mila minori, i ricoverati non assommano che a poche centinaia. Per conoscere, inoltre, se intendono superare le difficoltà che si frappongono acché i collegi dell’ex G.I.L. vengano ceduti all’Opera nazionale per gli invalidi di guerra, che è l’Ente preposto per legge all’assistenza dei minori invalidi di guerra, e le ragioni per cui non è stato ancora assegnato alla predetta Opera l’ex collegio di Monte Mario in Roma».

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Su richiesta dell’onorevole Bastianetto, la risposta a questa interrogazione è stata tramutata in risposta scritta.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Tozzi Condivi, al Ministro dell’industria e commercio, «per conoscere perché alla flottiglia motopeschereccia dell’importante porto di San Benedetto del Tronto vengono assegnate mensilmente quantità di gasolio appena sufficienti per 6 giorni e 21 ore di moto in modo da danneggiare gravemente quella fiorente attività. Questo – mentre ad altre flottiglie di altri porti – quale ad esempio quella di Anzio – si fanno assegnazioni esuberanti, per modo che non vengono neppure ritirate».

Non essendo presente l’interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Geuna, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’industria e commercio, «per conoscere se e quali provvedimenti intendano adottare per eliminare l’attuale inconveniente derivante all’industria torinese in particolare e piemontese in genere, dal fatto che il Comitato centrale per la ripartizione dei prodotti destinati all’industria, con sede in Milano, favorisce naturalmente l’industria lombarda».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI. Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. La Commissione centrale dell’industria assegna alle varie sottocommissioni di Milano, Roma, Napoli e Palermo i quantitativi globali di merci per i fabbisogni delle loro rispettive circoscrizioni.

La ripartizione delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti alle singole aziende è effettuata dalle Sottocommissioni interregionali, ciascuno per il territorio della propria circoscrizione e sulla base delle richieste delle singole aziende, debitamente controllate, in relazione alla capacità produttiva, al numero degli operai ed a tutti gli altri elementi, che concorrono a determinare il fabbisogno effettivo delle aziende stesse.

La Sottocommissione industria per l’Italia settentrionale provvede alla ripartizione delle merci predette, sia per il Piemonte e la Lombardia che per l’Emilia, il Veneto e la Venezia Giulia.

Finora non è pervenuta alcuna comunicazione al Ministero che detta Sottocommissione dia la preferenza, nella ripartizione, all’industria lombarda, con pregiudizio di quella del Piemonte.

Allo scopo di avere elementi esatti di giudizio, sarebbe necessario che fossero precisati circostanze e fatti concreti, sui quali il Ministero potrà disporre immediatamente accertamenti, per eliminare gli inconvenienti lamentati.

Comunque, informo che è allo studio la riforma di questi organi sorti per sopperire a situazioni di emergenza.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GEUNA. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario delle spiegazioni che ha dato alla mia interrogazione, e mi permetto di far osservare che potrò presentare elementi precisi a giustificazione della mia osservazione. È una situazione generale che si determina ed è dovuta a questi fenomeni.

In primo luogo, dispersione di materie prime, inevitabile, che avviene all’arrivo ai porti, non per colpa degli organi governativi, ma per ragioni di contingenza, dovute all’ingerenza della borsa nera e comunque non facilmente controllabili.

Dopo questa prima dispersione si arriva alla ripartizione dei buoni da parte del Comitato residente a Milano, nella cui ripartizione giuoca l’ambiente regionale, per cui ditte o localmente rappresentate o localmente con sedi in Milano hanno possibilità (per ragioni di conoscenze e di contatti quotidiani) ben maggiori di quelle ditte periferiche o dislocate in regioni lontane. Questo fenomeno, che non è notevolissimo per le grandi industrie – le quali hanno generalmente loro rappresentanti con sede in Milano – è penosissimo per le piccole e le medie industrie, che si trovano già in condizioni inferiori di capacità e di potenzialità economica in lotta contro gli organismi più grandi, ed escono assolutamente danneggiate, quando debbono, ad ogni richiesta e ad ogni questione di necessità di materie prime, mandare delle persone da Torino a Milano, oggi che le condizioni di trasporti non sono ancora agevoli, e per di più inviandole in qualità di forestieri, che sottraggono qualcosa agli interessi locali, e che perciò sono considerati come nemici. Tutto questo genera un senso di sfiducia, di scoramento, di stanchezza e, possiamo anche dirlo, di disagio economico, e fa sì che si determini uno stato di minorazione delle industrie piemontesi piccole e medie, ciò che ha determinato questa nostra richiesta.

Prendo atto delle dichiarazioni e delle promesse dell’onorevole Sottosegretario, cioè che è allo studio una revisione di questo sistema; ma, se mi fosse permesso, vorrei chiedere con quale indirizzo si intende modificare questo sistema, vale a dire se il Comitato di ripartizione (che oggi si riduce a sole quattro sedi per l’Italia settentrionale, centrale, meridionale ed insulare) si intenda portarlo sul piano regionale, il che porterebbe ad altri inconvenienti. Pur affermando che la questione va risolta, chiediamo nello stesso tempo sotto quale aspetto è stata considerata la modifica della nuova struttura. Quando il Ministero avrà fatto presente come intende sopperire alle esigenze che gravano sulla industria piemontese piccola e media in ispecie, allora presenteremo all’esame le nostre proposte.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Geuna e Giacchero, al Ministro del bilancio, «per conoscere se non intenda favorire la istituzione di un ente bancario piemontese, con sede in Torino, per evitare che i risparmi assorbiti in Piemonte vengano per la maggior parte destinati a finanziare iniziative di altre regioni, dato che le sedi principali delle banche sono a Roma e a Milano».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Gli interroganti partono dalla premessa che sia necessario istituire in Torino un ente bancario piemontese, allo scopo di evitare che i risparmi assorbiti in Piemonte vengano per la maggior parte destinati a finanziare le iniziative di altre regioni, dato che le sedi principali delle banche sono a Roma ed a Milano.

Le critiche mosse dagli interroganti al sistema bancario italiano sono comuni ai rappresentanti di tutte le regioni italiane, ognuna delle quali lamenta che i risparmi locali siano trasportati altrove e destinati ad aiutare iniziative di altre regioni, sicché le lagnanze paiono a priori escludersi a vicenda.

Per quanto riguarda il Piemonte giova notare che questo possiede tre grandi istituzioni bancarie: la Banca popolare di Novara, che disponeva, al 30 giugno 1947, di 42 miliardi e 600 milioni di depositi e conti correnti, con 223 sportelli; l’Istituto San Paolo di Torino, con 16 miliardi e 100 milioni di depositi e 129 sportelli, e la Cassa di risparmio di Torino, con 11 miliardi e 700 milioni di depositi e 127 sportelli.

Questi tre Istituti raccoglievano dunque da soli 70 miliardi e 400 milioni di depositi e conti correnti su un totale di 868 miliardi e 800 milioni in tutto lo Stato, ossia l’8,1 per cento del totale dei depositi italiani. Se si pensa che, tenuto conto dei depositi e conti correnti di tutte le banche nazionali e locali operanti in Piemonte, esse raccoglievano nel 1946 l’11,7 per cento dei depositi di tutto lo Stato, si può ritenere fondamentalmente che il risparmio raccolto dalle tre Banche sopra ricordate, più quello messo insieme dalle minori Casse di risparmio e dalle non poche banche cooperative popolari e private operanti nel Piemonte, equivalgono al totale del risparmio raccolto in Piemonte. Se una parte di questo è messo a disposizione di banche aventi sede fuori del Piemonte, d’altro canto le banche piemontesi ricevono cospicui depositi da altre parti dello Stato, cosicché si può ritenere esservi compensazione fra le somme che le banche piemontesi raccolgono fuori del Piemonte e quelle che le banche forestiere raccolgono nel territorio subalpino.

Non si vede in che modo l’istituzione di un nuovo grande ente bancario possa ovviare ad un inconveniente, il quale, d’altra parte, non pare sussistere. Né sarebbe consigliabile d’altro canto la fusione dei tre maggiori enti sopra ricordati in un ente unico: ognuno di essi ha una storia, tradizione, consuetudine di lavoro, clientela propria, sicché la fusione mentre non aggiungerebbe nulla alla fiducia della quale i tre Istituti meritatamente godono, sminuirebbe la loro capacità di lavoro e di adattamento alle esigenze della clientela diversa per ognuno di essi.

Neppure si vede la convenienza di fondare, accanto ad essi, un nuovo Istituto, il quale male potrebbe vivere, ove non intenda privare gli altri del loro lavoro antico, solo creando nuovi risparmi e nuovo clientele.

Non si esclude che col rifiorire delle industrie ciò possa in avvenire accadere, ma il momento presente non appare singolarmente propizio all’iniziativa.

Sin qui, soprattutto per quanto si riferisce alla raccolta dei depositi.

Per ciò che invece riguarda l’impiego dei depositi, punto a cui soprattutto pongono mente gli interroganti, giova riportare alcune cifre relative alle varie regioni italiane. Se noi collochiamo queste in ordine decrescente, rispetto al rapporto percentuale che nel 1946 si verificò tra impieghi e depositi, otteniamo il seguente risultato. Si ricordano i dati del 1938 che si riferiscono ad una certa normalità anteriore alla guerra, e quelli del 1946, in cui si riflette l’inizio del ritorno alla normalità medesima. Nell’anno 1938 avevamo per le Marche 84,6 per cento, nel 1946 il 93,7 per cento; nella Umbria 84,2 per cento nel 1938 e l’85,4 per cento nel 1946; negli Abruzzi e Molise il 91,3 per cento nel 1938, il 79,2 per cento nel 1946; nella Liguria il 61,5 per cento e poi il 77,7 per cento; nella Sardegna il 185,3 per cento e poi il 75,9 per cento; nell’Emilia il 78,5 per cento e poi il 72,8 per cento; in Toscana il 67,6 per cento e poi il 71,2 per cento; nel Veneto il 75,3 per cento e poi il 57,7 per cento; nella Sicilia il 68,8 per cento e poi il 57,1 per cento; nella Calabria il 101,1 per cento e poi il 54,4 per cento.

La media dello Stato era nel 1938 il 64,2 e nel 1946 il 54,9.

Per tutte queste regioni è ovvio, è facile osservare che esse si trovano al di sopra della media dello Stato. Seguono ora le regioni che si trovano al disotto della media dello Stato.

Il Piemonte nel 1938 aveva il 45,2, ora è risalito al 51,6; la Lombardia dal 57,3 è scesa a 50,30; la Campania dal 56 è scesa al 49,7; il Lazio dal 51,2 al 42,3; le Puglie dal 92,2 al 41,3; la Venezia Tridentina dal 56,3 al 30; la Venezia Giulia e Zara dal 55,4 al 29,7; la Lucania dal 133,1 al 23,7.

Le cifre significano che nelle Marche, ad esempio, il 93,7 per cento dei depositi ricevuti localmente dalle banche, anche quelle aventi sede altrove, a Milano, a Roma, fu impiegato localmente. I dati su riportati si presterebbero a molte considerazioni, fra le quali bastano due generalissime: in primo luogo risulta non essere corrispondente al vero il rimprovero che le banche impiegano sempre i risparmi del Sud per trasportarli al Nord; che sono numerose anche le regioni meridionali che stanno al di sopra della linea media dello Stato. Ciò vuol dire che le banche impiegano in loco nel Sud una proporzione maggiore dei depositi ricevuti in loco di quelli che loro derivano dalla media del territorio italiano. In secondo luogo, risulta non corrispondente al vero il rimprovero parimenti fatto al sistema bancario italiano, di favorire più le città che le campagne, poiché sono, per l’appunto, ad eccezione della Liguria, le regioni agricole le quali sono massimamente favorite dall’impiego dei depositi locali.

Quanto al Piemonte, esso si trova, è vero, al di sotto della linea media dello Stato, ma esso si trova immediatamente al disotto di tale linea ed inoltre la sua posizione è notevolmente migliorata rispetto al 1938; dal 45,2 è passato al 51,5 nell’impiego dei depositi in loco. Essa è anche migliore di quella della Lombardia ritenuta per lo più in Piemonte ed anche, a quanto pare, dagli onorevoli interroganti, la maggiore responsabile del pompamento dei risparmi piemontesi. E la Lombardia è anche sotto questo rispetto peggiorata in confronto al 1938.

La verità è che tutte queste accuse reciproche fra regione e regione sono sostanzialmente ed ugualmente infondate. Innanzi tutto non si può immaginare che nessuna banca impieghi tutti i propri depositi. Essa sarebbe, così facendo, imprudentissima e si scaverebbe da sé la tomba con rovina dei depositanti e del Paese. Tutte le banche devono tenere un margine di liquidità, ossia impieghi di depositi in denaro contante, in buoni del tesoro a breve scadenza e in depositi realizzabili a vista presso l’Istituto di emissione:

Si può riconoscere che la percentuale media dal 54,9 relativa al 31 dicembre 1946 era bassa e poteva salire, ma essa è già salita, e al 31 luglio 1947 giungeva al 72 per cento, proporzione non ancora pericolosa, ma vicina al punto di pericolo, talché il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio ha dovuto il 2 agosto, non appena costituito, intervenire non a frenare il già fatto, ma a limitare per l’avvenire l’avanzamento su una via, che era stata pericolosa, a passo accelerato nei mesi decorsi dal 31 maggio 1946 in qua.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GEUNA. Mi permetta l’onorevole Sottosegretario: non sono un tecnico e non posso quindi iniziare una discussione in materia. Mi permetto osservare che i tre Istituti bancari di più notevole entità che operano in Piemonte non sarebbero sufficienti a superare le attuali difficoltà.

Le Casse di risparmio non possono consentire una immediata e pronta sovvenzione; l’Istituto di San Paolo ha caratteristiche tutte sue particolari, e non può rispondere come una banca normale; la Banca di Novara sarebbe l’ente più attrezzato, ma il suo lavoro si svolge con maggior preponderanza nella zona lombarda, ed ecco come il nostro atteggiamento, che può sembrare campanilistico, trova giustificazione.

Entrando nell’esame della potenzialità ed efficienza degli istituti piemontesi nei confronti di quelli lombardi, il Sottosegretario potrà comprendere lo spirito della mia interrogazione.

Ma per dare una spiegazione un po’ più chiara a questo riguardo, mi permetto senz’altro di esporre alcuni elementi, che potranno dare un’idea precisa del pensiero determinante della nostra richiesta: si tratta di elementi che ho voluto appuntare per maggiore esattezza e mi si consenta la breve lettura; ometterò le tabelle in rapporto al limitato tempo consentitomi.

Quando si parla di problemi, di difficoltà o di crisi dell’economia piemontese, il pensiero corre istintivamente e come su una via obbligata all’immediato raffronto con l’adiacente e per tanti riguardi simile economia lombarda, a rilevare vecchie e nuove inferiorità rispetto ad un organismo ritenuto più completo e soprattutto più fortunato: infatti, se lo strumento produttivo industriale della vicina regione può definirsi un solido edificio appoggiato a due basi larghe e fondate, credito e commercio, il complesso torinese viene sovente paragonato al classico colosso dai piedi di creta, con deficienze più sentite e appariscenti proprio nella sua attrezzatura bancaria.

Tuttavia il Piemonte seppe per primo, grazie all’impulso di un Governo addestrato e al fiorente spirito di libertà, svincolarsi dai pregiudizi ed inoltrarsi sul terreno delle imprese mobiliari, donde derivano talune sue presenti inferiorità.

Lo squilibrio di distribuzione del nuovo capitale tra gli impieghi diretti di carattere industriale per lo più largamente immobilizzati, e gli accantonamenti monetari liquidi presso un gruppo di banche genuinamente e sensibilmente locali, a costituire in appoggio degli impieghi diretti una massa di manovra pronta con rapida circolazione a fronteggiare i rischi di crisi nei settori di volta in volta minacciati, venne a definirsi non senza episodiche manifestazioni negative nel primo decennio del nuovo secolo; si accentuò negli anni della prima guerra europea sotto l’influsso del «boom» bellico; si esasperò nell’euforia inflazionista e speculativa dell’immediato dopo guerra. Infatti, il periodo 1914-17 segnò 300 milioni di aumento nei capitali delle anonime, ma il 1920 denunciò ben 600 milioni di incremento, al netto dei disinvestimenti: per contro si ebbero solo modesti progressi di vecchi istituti creditizi locali, pressoché estranei al campo produttivo, e l’affermazione della Popolare di Novara, banca piemontese di sede e di nome.

Conseguenze di questa situazione furono senza dubbio le altre non meno cocenti disavventure del risparmio piemontese. Dalla mancanza di una intermediazione da parte di una solida e responsabile rete creditizia locale e del suo controllo sul mercato finanziario e sui molteplici rapporti tra pubblico e iniziative di impresa, dalla diretta e invigilata immissione dei privati investitori nel cerchio della grossa speculazione, derivarono le gravose perdite dei risparmiatori piemontesi nelle ben note avventure di talune maggiori società azionarie negli anni dell’azione fascista. Dall’assenza di orientamento, di autonomia, di informazione ebbero origine per il risparmio monetario quelle altre falcidie subite nella catastrofe della Banca Italiana di Sconto, i cui creditori piemontesi figurano per ben 517 milioni di lire, ossia poco meno del 15 per cento del totale.

Il progressivo paternalismo instaurato dal regime fascista nel campo bancario, se accollava allo Stato le perdite incontrate da talune maggiori banche in una politica speculativa e ben poco ortodossa alla luce delle esperienze e dei canoni tradizionali, non recò alcun correttivo alle deficienze della situazione piemontese: invece il conseguente graduale burocratizzarsi dei grandi istituti nazionali, rendendo meno vivi e sensibili lo spirito di iniziativa e la ricerca degli impieghi più redditizi, e mettendo in prima linea il fattore di personale responsabilità dei dirigenti periferici, non fece ovviamente che accrescere le difficoltà di incontro delle esigenze regionali con la politica creditizia di direzioni generali eccentriche e preoccupate soprattutto di corrispondere a direttive superiori, di prevalente carattere politico e comunque subordinate in via assoluta a considerazioni di finanza pubblica e di prestigio monetario.

Occorre però subito dichiarare che da questo complesso di inconvenienti di metodo e di procedura, incidenti in modo pressoché uniforme sull’istruzione e sugli esiti delle pratiche di finanziamento, non è derivata necessariamente una sostanziale e apprezzabile distrazione di risparmio piemontese, almeno nel senso comunemente inteso di storno in favore di determinate regioni vicine o lontane, e in proposito vogliamo richiamare il confronto delle cifre e la loro quasi esauriente dimostrazione.

Dobbiamo ancora precisare che l’ipotesi di distrazione va considerata soltanto in senso relativo, ossia in termini di confronto tra le singole regioni e non sotto il profilo di un utilizzo integrale in loco del risparmio raccolto, che non risulta realizzato neppure per le banche di genuino carattere locale rispetto alle loro ristrette zone di lavoro.

Vi sono infatti operazioni che sono svolte unicamente dalle centrali, con obiettivi e per iniziative di carattere generale e nazionale, utilizzando i fondi raccolti in tutte le zone di lavoro: sottoscrizioni in proprio a prestiti pubblici, ed emissioni obbligazionarie, partecipazioni in enti di struttura e azione nazionale, impiego di eccedenze magari rilevantissime in buoni ordinari o in conto corrente del Tesoro. Queste forme di «reimpiego nazionale», che non possono ovviamente essere imputate alla regione sede della centrale operante, tendono ad assorbire una quota sempre più preponderante della massa dei capitali amministrati, per effetto della politica finanziaria governativa dall’anteguerra e anche delle particolari esigenze di congiuntura nel dopoguerra, e dal fenomeno non risultano neppure sottratte, come già è stato accennato, le minori banche locali.

A noi compete nella fattispecie di osservare se il Piemonte, avendo una prevalente attrezzatura bancaria con centro giuridico o di fatto in Lombardia, non riceva eventualmente un trattamento di impieghi diretti residuali (dedotti i cosiddetti «reimpieghi nazionali») inferiore a quello della Regione vicina.

Dai dati risulta che col 1944 gli indici di reimpiego diventano più favorevoli per il Piemonte, e il margine positivo si accentua nel confronto degli indici delle due provincie capoluogo, ciò che si giustifica ricordando come sia maggiore a Torino, in confronto di Milano, l’accentramento industriale nel quadro delle rispettive regioni.

Dai dati elaborati risultano al disotto dell’indice medio regionale di impiego le Banche di interesse nazionale (in misura più accentuata proprio in Lombardia, loro zona centrale giuridica o di fatto) e le Casse di risparmio e Monti di prima categoria: evidentemente per motivi pressoché opposti. Per le Casse di risparmio la ragione discende dalla scarsa gamma delle operazioni loro consentite, che le orienta fatalmente verso i «reimpieghi nazionali» (titoli pubblici, ecc.); per le banche di interesse nazionale vale invece appunto la varietà ed elasticità dei settori nei quali operano e la loro estensione nazionale.

Un dubbio permane pur sempre sulla precisa delimitazione di molti reimpieghi nazionali e sulla loro genuina e oggettiva neutralità ed estraneità rispetto alla zona della direzione centrale, il che potrebbe ovviamente infirmare in parte il valore della dimostrazione data. Ci pare comunque di avere meglio e più esattamente configurato il problema, spostando i termini di esso dalla ipotizzata distrazione interregionale alla crescente o generale distrazione verso i reimpieghi nazionali, conseguenza in buona parte della politica governativa degli ultimi anni, di accaparramento con tutti i mezzi giuridici o pratici dei risparmi liquidi confluenti sul mercato, a favore del Tesoro e a danno dei settori produttivi: politica sulla quale molto resta da dire e dalla quale il Piemonte, in ragione della sua più elevata concentrazione industriale e conseguente esigenza di credito, proprio in regime di più limitata autonomia bancaria, ha sofferto in massima misura.

Per concludere, mi limito a precisare che la nostra interpellanza, più che fissare la creazione di un nuovo Ente bancario come soluzione unica e migliore della questione in parola, tendeva e tende a far rilevare lo stato di fatto che lamentiamo, e suggerire, o meglio, porre il problema della sua soluzione.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici».

Non essendo presente l’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste, l’interrogazione è rinviata.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere il suo interessamento per combattere l’analfabetismo, che è sempre in aumento nell’Italia meridionale, e per impedire la mancanza di stabilità degli insegnanti, i quali in questo loro servizio ambulante, spesso a causa della pioggia, della neve, del freddo, disertano le scuole e con la loro assenza favoriscono la negligenza degli alunni».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Tumminelli al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere: 1°) se il Commissariato nazionale della G.I. (Gioventù Italiana), creato con decreto del 2 agosto 1943 con il compito di reperire il patrimonio della ex GIL e di predisporre i lavori di una Commissione interministeriale per decidere sulla destinazione di quel patrimonio, abbia espletato il suo compito e con quali conclusioni; 2°) se non si ritiene improrogabile imporre a partiti politici e ad enti l’immediata restituzione allo Stato degli immobili e delle attività tutte della ex GIL, di cui sono in illegittimo possesso o fanno arbitrario uso; 3°) se non sembra opportuno ed urgente che l’intero patrimonio della ex GIL venga conferito all’Ente dei patronati scolastici, tenendo presente che solo con questa destinazione quel cospicuo patrimonio del popolo italiano può considerarsi restituito al legittimo uso, fuori di ogni passione politica».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli De Martino, Giordani e Rodinò Ugo, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere:

1°) se, in previsione dell’Anno Santo 1950 – avvenimento che si annunzia di particolare importanza e significazione, e per cui un elevato numero di pellegrini, da ogni parte del mondo cattolico, affluirà in Italia – non ritenga di redigere un concreto piano, elaborato nei suoi dettagli organizzativi e tecnici, per mettere «a punto» l’attrezzatura turistica e ricettiva italiana e adeguarla alla eccezionale esigenza;

2°) se non reputi doveroso, da parte del Governo italiano, in omaggio alla portata universale della fausta e sacra ricorrenza – e congiuntamente nell’interesse della Nazione, che potrà ricevere dall’afflusso cospicuo di visitatori stranieri un benefico e provvidenziale apporto di valuta pregiata – di stabilire le indispensabili premesse, e provvedere gli stanziamenti finanziari occorrenti, perché l’Italia possa offrire ai pellegrini dell’Anno Santo 1950 il massimo desiderabile di conforto, col rendere efficiente l’attrezzatura alberghiera non soltanto della Capitale – dove convergeranno essenzialmente le folle – ma anche nelle zone a spiccato carattere turistico di cui la Penisola è doviziosamente ricca. Il patrimonio d’arte e di archeologia; la incomparabile e prestigiosa bellezza delle riviere, delle pianure e dei monti; i ricordi recenti – come i luoghi dello sbarco alleato, i campi di battaglia ed i Cimiteri di guerra – costituiscono un irresistibile richiamo di amore e di nostalgia;

3°) se non ritenga essenziale armonizzare l’attuazione del programma di opere pubbliche per la ricostruzione ed a sollievo della disoccupazione, alle esigenze relative al miglioramento della rete stradale e delle comunicazioni che si rende necessario realizzare per consentire un ordinato e soddisfacente movimento turistico;

4°) se non giudichi conveniente dar sollecito inizio ad una perfetta, moderna propaganda dei luoghi considerati nel paragrafo 2° attraverso la pubblicazione di opuscoli editi con serietà di propositi e dignità di forma nelle varie lingue e da diffondersi nei vari paesi del mondo; con la ripresa di documentari cinematografici; con radiotrasmissioni nelle varie lingue, anche in collegamento con stazioni estere, perché si formi, intorno all’avvenimento dell’Anno Santo 1950, una fervida atmosfera di interesse e di attesa;

5°) se non creda di dover, tra l’altro – direttamente il Governo o attraverso organi, ed enti che più si riterranno competenti ed idonei – predisporre la organizzazione di veri e propri peripli turistici attraverso i luoghi che offrano al forestiero motivi, risorse e conforti di maggiore attrattiva, fissando persino il costo di essi, comprensivo dal momento dello sbarco dall’arrivo sul suolo italiano, di viaggi, albergo, vitto, tasse di soggiorno e di ogni altra eventuale prestazione, allo scopo di incoraggiare con opportuna tempestività, coloro i quali, per avventura, intendessero rinunciare al viaggio in Italia per non correre l’alea dell’imprevisto, nei riguardi della spesa;

6°) se non ritenga di suscitare, con proficue iniziative, negli italiani che dovranno aver comunque contatti con gli ospiti – funzionari, pubblici ufficiali, agenti, personale alberghiero e dei pubblici esercizi, guide e cittadini tutti – una fervida gara di cortesia dignitosa ed accogliente, perché la tradizionale gentilezza italica superi la aspettativa e si affermi come non ultima e non trascurabile espressione di civiltà e di consapevolezza;

7°) se non ravvisi, infine, l’opportunità di demandare ad una Commissione parlamentare di studio il compito di coordinare le varie iniziative in un piano unico da attuarsi con gradualità e che, fin d’ora, impegni la Nazione e la prepari materialmente e spiritualmente all’importante avvenimento».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’onorevole De Martino ha tracciato un vero e proprio piano di preparazione per l’Anno Santo.

Io cercherò di limitare i termini della risposta, per controbilanciare la lunghezza dell’interrogazione.

Il Governo è naturalmente d’accordo nel riconoscere l’importanza, oltre che sul piano religioso e ideale, anche sul piano civile nazionale, della manifestazione che avrà luogo nel 1950 per l’Anno Santo; la quale, se non sono errate le nostre informazioni, comincerà nella Pentecoste del 1949. Quindi, tanto più urgente è predisporre questo programma governativo, perché sia, entro i limiti delle possibilità attuali e delle prevedibili possibilità dell’anno venturo, degnamente preparato quanto è necessario per l’Anno Santo.

Naturalmente, il piano specifico per l’Anno Santo si inquadra nel piano di ricostruzione dell’Italia, specialmente di tutte le attrezzature turistiche, le quali non soltanto debbono essere riportate al livello precedente la guerra, ma anzi devono essere aumentate e modernizzate, conformemente alle nuove esigenze.

Come è noto all’onorevole interrogante, forse si è discusso troppo su come dovranno organizzarsi le strutture centrali del turismo e si potrà magari con una disciplina legislativa non ancora perfetta, dar mano al più presto ad una realizzazione di iniziative.

Sta di fatto che il decreto sulla istituzione dell’Alto Commissariato per il turismo, dopo molte vicissitudini in seno al Governo ed in seno all’Assemblea, è stato da poche settimane pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale; e spero che tra breve si possa far luogo alla nomina del Comitato centrale per il turismo, al quale spetta il compito – inquadrato in tutte le altre mete assegnategli – di organizzare anche la preparazione specifica per l’Anno Santo. Questa preparazione si deve svolgere su diversi settori: prima di tutto, sul settore alberghiero, dove si risentono fortemente gli effetti distruttivi dei bombardamenti e quelli del deterioramento progressivo per opera dell’occupazione degli alberghi prima da parte delle truppe tedesche e poi da parte delle truppe alleate di ogni genere.

La derequisizione del patrimonio alberghiero è stata ottenuta nei limiti delle possibilità. Per il Trattato di pace, col 15 ottobre dovrebbe aversi la restituzione piena alla attività privata della attrezzatura alberghiera in Italia. Perché, però, sia possibile ricostruire gli alberghi distrutti e costruirne di nuovi, è stato predisposto un sistema di finanziamento che – debbo riconoscerlo – finora si è dimostrato non del tutto sufficiente, anzi direi, in proporzione, forse irrisorio per quel che riguarda una ricostruzione a tappe accelerate degli alberghi. Credo che in seno al Governo e, eventualmente fosse necessario, in seno alle Commissioni o in seno all’Assemblea, sia opportuno discutere tra breve sul problema del credito alberghiero, che è la base necessaria per una ricostruzione e una costruzione, degne di questi nomi, dei nostri alberghi.

C’è poi un problema collaterale che a Roma è stato in qualche modo affrontato ed in un certo senso risolto: il problema della ricostruzione dei cosiddetti alberghi di massa. Qui, dopo molte trattative in cui non è stato facile vincere le normali resistenze dell’autorità militare onde liberare le attrezzature militare di Pietralata, queste attrezzature sono state, per parte militare, liberate e se, come credo, anche il demanio non opporrà difficoltà, si potrà costruire in Pietralata un primo grande albergo di massa che rappresenterà non naturalmente la soluzione del problema alberghiero di Roma ma un avviamento ed un indice di effettiva ripresa.

Accanto al problema della ricostruzione alberghiera vi è quello, accennato nell’interrogazione dell’onorevole De Martino, della ripresa della propaganda turistica. Questo è un problema veramente importante e che con una certa leggerezza è stato negli anni passati accantonato, forse per il preconcetto che, prima, esso rientrava nell’ambito del Ministero della cultura popolare.

È invece interesse primario del Governo italiano e della economia del nostro Paese che si faccia a cura di appositi organi una razionale propaganda per il turismo in Italia, anche perché – basta leggere un qualsiasi giornale – si hanno notizie che anche da parte della Francia e di altre Nazioni questa propaganda è in pieno atto e viene fatta con una abilità ed una imponenza di mezzi che devono preoccupare, in considerazione di una concorrenza che potrebbe danneggiare il nostro Paese. Anche questo sarà uno dei primi compiti del Comitato centrale del turismo; per parte del Governo, è già stata fatta richiesta al Tesoro di uno stanziamento di fondi necessari per l’Ente del turismo il quale, avendo una certa tradizione e vari beni nelle principali capitali straniere, può, senza dispendio eccessivo di mezzi, riprendere la propaganda e riprenderla in tempo utile, non solo per il 1949 e il 1950, ma anche per la stagione prossima, per il 1948.

Occorre poi affrontare tutta una serie di problemi, per poter aprire al traffico internazionale il nostro Paese, che vanno dallo sveltimento delle pratiche alla frontiera alle risoluzioni delle questioni valutarie e dei traffici transoceanici inerenti al nostro turismo.

Per quanto riguarda in particolare la preparazione specifica per l’Anno Santo, poiché questa deve essere coordinata con la serie di manifestazioni religiose che saranno tenute in quella circostanza, è stato già costituito un Comitato misto con rappresentanti di organi ministeriali, delle associazioni interessate e anche di quella istituzione della Peregrinatio Romana de Petri Sede che è un po’ l’organo tecnico che agisce in questo campo per quanto riguarda le manifestazioni religiose. Debbo confessare che con mia sorpresa ho constatato che fino ad ora non è stato fatto molto da questo Comitato. Mi impegno a che prestissimo il Comitato si metta seriamente al lavoro perché non può naturalmente essere fatto un programma serio da parte nostra se non è coordinato a quello che è il calendario delle manifestazioni per l’Anno Santo.

Infine, l’onorevole De Martino chiede che sia nominata una Commissione parlamentare per lo studio di questo problema. Il Governo non sarebbe d’accordo in questo senso. A parte il fatto che la Commissione dovrebbe essere nominata ora, in una fase di grande lavoro per la Costituente, difficilmente in due mesi tale Commissione potrebbe predisporre un vero e proprio programma, dato che la Costituente fra due mesi dovrà terminare i suoi lavori. Ritengo che sia meglio chiamare a far parte del Comitato centrale presso la Presidenza del Consiglio per la preparazione dell’Anno Santo anche alcuni deputati particolarmente competenti in questo campo. Credo che l’onorevole De Martino sarà d’accordo con me nel ritenere che in genere forse il peggior modo per risolvere un problema sia quello di nominare una Commissione. È un sistema questo molto comodo da parte del Governo per eludere le proprie responsabilità. Ma non è a questo fine che vanno la volontà e gli sforzi dell’onorevole De Martino e degli altri colleghi che hanno sottoposto al Governo questo problema, così come la volontà e gli sforzi del Governo stesso.

PRESIDENTE. L’onorevole De Martino ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DE MARTINO. Ringrazio il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per aver studiato abbastanza profondamente il problema che è stato al Presidente del Consiglio ed a lui sottoposto.

Faccio presente che sottoscrivo pienamente quanto il Sottosegretario di Stato si è compiaciuto di affermare, e cioè che si è discusso troppo. Io aggiungerei che si è combinato poco. Spero che per l’avvenire si possa discutere di meno e fare di più.

Siccome però il tempo stringe e vi sono molte cose da fare, è opportuno che questo Comitato (non insisto sul fatto che debba essere parlamentare, anzi sono d’accordo senz’altro col Sottosegretario) incominci a studiare il problema con molta celerità.

Ha parlato l’onorevole Sottosegretario del problema alberghiero ed ha detto che, con tutta probabilità, fra non molto, gli alberghi saranno restituiti all’industria alberghiera italiana. Gli alberghi italiani tutti, a quanto pare, hanno una capacità ricettizia inferiore alla capacità ricettizia della sola Parigi; cioè noi non arriviamo a poter ospitare, come si dovrebbe, 30 mila persone.

Io penso che l’Anno Santo, se ci saremo organizzati bene, darà la possibilità a molti stranieri di venire da noi, non soltanto per inginocchiarsi dinanzi alla Cattedra di San Pietro, ma anche per visitare, per esempio, le salme dei loro caduti. In tutta Italia c’è qualcosa come circa 40 mila inglesi e circa 35 mila americani sepolti nei cimiteri di guerra. Io non dispero che se riusciamo ad organizzarci bene potremo avere un afflusso giornaliero di 25 mila persone, con una media di permanenza di dieci giorni, il che praticamente si risolverà in una permanenza di 250 mila persone. Siccome è esatto quello che l’onorevole Sottosegretario ha dichiarato, che cioè l’Anno Santo avrà inizio nell’aprile del 1949, ne consegue che noi potremo ricevere ed ospitare questi stranieri per ben 600 giorni. Il che porta il calcolo (250 mila per 6 giorni) a 150 milioni di giornate di presenza che darebbero la possibilità a noi, Nazione italiana, di incassare qualche cosa come 500 e forse anche più di 500 miliardi. Come vedete, onorevole Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il problema, qui, non si risolve col chiedere al Ministro del tesoro pochi milioni da stanziare a favore del Commissariato del turismo, ma è qualche cosa di molto, più importante. Noi dovremmo affrontare, per esempio, il problema della costruzione alberghiera, il problema della costruzione di 40, 50, 60 mila vani che, aggiunti poi agli alberghi di massa e alla possibilità che hanno gli istituti religiosi di ospitare i pellegrini, porterebbero alla cifra di cui ho fatto cenno. Per costruire questi alberghi occorre del denaro; e il denaro che è stato stanziato attraverso la legge per agevolare la costruzione e la ricostruzione di alberghi non è sufficiente. Lo ha dichiarato lo stesso Sottosegretario.

Per esempio, si potrebbe anche studiare la possibilità da parte del Ministero dei lavori pubblici di costruire. Io non sono d’accordo, intendiamoci bene, su questa evenienza; ma al non far niente è preferibile che il Ministero dei lavori pubblici faccia qualche cosa.

Io dirò che, per poter approntare 60 mila vani, cioè 120 mila letti, ammettendo per ogni camera di albergo due letti, occorre qualche cosa come 60 miliardi; ma, come si vede, i 60 miliardi rispetto ai 500 o ai 600 che verrebbero ad essere incassati per l’Anno Santo costituiscono una cifra che potrebbe essere ammortizzata ad usura durante il periodo stesso. Che cosa si potrà fare di questi vani poi? Prima di tutto siamo sicuri che in Italia gli stranieri, quando sarà ristabilito un clima di tranquillità, di serietà, così auspicato ed auspicabile, potranno ritornare come e più di prima; ma pur fermandoci all’ipotesi peggiore, cioè che questi stranieri dopo l’Anno Santo non ritornino, noi ci troveremo ad aver costruito circa 4 milioni di vani che potranno essere destinati ai senza tetto. Costruiamone subito una certa porzione ed intanto potremo sfruttarli per l’Anno Santo ed avremo l’ammortamento di questa spesa e poi, se volete, li destineremo ai senza tetto. Avremo fatto così due cose buone. Ed ecco la conclusione: mi dichiaro sodisfatto ma contemporaneamente esprimo il desiderio che la Presidenza del Consiglio non sottovaluti questa proposta, la, quale mentre può essere considerata non tempestiva, è invece appena appena tempestiva, perché soltanto se cominciamo da oggi potremo riuscire nell’intento di far sì che l’Anno Santo possa dare all’Italia un rinsanguamento economico e quel prestigio che tutti quanti auspichiamo. (Applausi).

PRESIDENTE. Poiché i Ministri dei lavori pubblici e dell’industria e commercio sono assenti, rinvio la trattazione delle altre interrogazioni iscritte all’ordine del giorno.

Svolgimento di interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno mi ha fatto sapere di essere disposto a rispondere subito alla seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti abbiano preso e intendano prendere in seguito alla scandalosa provocazione fascista e antirepubblicana della sera di venerdì 10 ottobre in Piazza Colonna.

«Cianca, Lussu, Schiavetti, Morandi, Lombardi Riccardo, Foa».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Per quanto riguarda lo svolgimento dei fatti, come è noto agli onorevoli interroganti, il Movimento sociale italiano ha presentato per le elezioni di Roma una lista. Di conseguenza aveva il diritto di tenere comizi di propaganda elettorale.

In base all’articolo 18 della legge di pubblica sicurezza, le disposizioni riguardanti la autorizzazione per i comizi non si applicano durante il periodo elettorale.

Durante il periodo elettorale, tutti i partiti hanno il diritto di tenere i comizi senza necessità di preventiva autorizzazione della pubblica sicurezza, come possono affiggere manifesti elettorali senza nessuna autorizzazione.

Quindi anche il Movimento sociale, essendo uno dei concorrenti al Campidoglio, ha esercitato in questo il suo diritto.

Esisteva una disposizione di carattere generale impartita dal Ministero dell’interno che, a tutela della libertà del Capo dello Stato, dell’Assemblea Costituente e del Governo, stabiliva che nei pressi della residenza del Capo dello Stato, dell’Assemblea Costituente e del Governo non si dovessero tenere comizi, riunioni o assembramenti di nessun genere.

A questa disposizione le autorità di pubblica sicurezza hanno ritenuto di poter derogare appunto in base all’articolo 18 della legge di pubblica sicurezza, trattandosi di periodo elettorale.

Informato che un comizio politico si svolgeva nei pressi del Parlamento e indipendentemente dal contenuto della manifestazione, io ho impartito disposizioni al questore di Roma perché si procedesse allo scioglimento del comizio, appunto in applicazione di quella disposizione che vuol far salva all’Assemblea Costituente la sua piena libertà di azione, disposizione che si applica in tutti i momenti, e a cui neppure in periodo elettorale è lecito derogare.

Sicché i comizi possono tenersi liberamente in tutta Roma, salvo che nelle piazze che sono presso le sedi del Governo, del Parlamento o del Capo dello Stato.

L’intervento della polizia è stato immediato, e si è proceduto allo scioglimento.

Per quanto riguarda quindi le responsabilità circa questo comizio, non ho trovato nulla da osservare, nel senso che non v’era colpa da parte dell’autorità di pubblica sicurezza per essere venuta meno ad una disposizione di legge. Anzi quell’autorità ha ritenuto di non poter vietare – non dico autorizzare, perché non esisteva la possibilità di nessuna autorizzazione in quanto non era stata richiesta – il comizio in quanto v’era una tassativa disposizione di legge che l’autorizzava.

Quanto allo svolgimento del comizio, le informazioni che sono pervenute, a seguito di una inchiesta svolta, accennano che da parte di alcuni individui fra la folla si è emesso qualche grido che si può considerare sedizioso, visto che esiste una legge che vieta le manifestazioni fasciste.

Naturalmente in manifestazioni di questo genere non è facile rendersi conto subito di ciò che avviene nella folla, e la pubblica sicurezza, che in genere non si trova in mezzo alla gente, ma sta ai margini, non è in grado di intervenire concretamente. Perché – è bene ripetere – non si è trattato di manifestazioni di, folla, ma di grida isolate.

Peraltro, la stessa manifestazione si sarebbe ridotta a ben poca cosa, come tutte le altre manifestazioni del M.S.I. durante la campagna elettorale, se non si fosse fatto molto chiasso intorno al Movimento stesso.

Io ho seguito attentamente questo Movimento e le sue manifestazioni oratorie durante la campagna elettorale.

I partecipanti alle riunioni si aggiravano fra le cinquanta e le cento persone al massimo. Se c’è stato in un comizio un numero superiore alle cento persone, è stato forse a Piazza Colonna, dove si calcola che gli attivisti, cioè gli iscritti al movimento, non fossero tuttavia più di centocinquanta. Ma Piazza Colonna è un luogo così centrale che è facile a chiunque si metta a parlare di racimolare una folla di qualche centinaio di curiosi.

Da parte degli oratori non sono state pronunciate espressioni dirette, esplicite di esaltazione del regime fascista, ma fatte in forma negativa, cioè di critica all’antifascismo.

In quanto ai canti che sarebbero stati intonati è stato cantato (mi pare fosse un disco) l’inno a Roma, e, dopo lo scioglimento da parte della pubblica sicurezza, è stato cantato anche da un gruppo di dimostranti l’inno degli arditi.

Questa è la ricostruzione degli avvenimenti. Ma, ripeto, la manifestazione di Piazza Colonna non sarebbe andata al di là di altre manifestazioni se non si fosse svolta proprio nei pressi del Parlamento e sotto gli occhi di una folla numerosa che ha potuto assistere, giustamente indignata, a manifestazioni, sia pure isolate, di esaltazione di uomini e cose del passato regime.

In questa materia, e per quel che riguarda la politica del Governo rispetto al neo-fascismo e al M.S.I., il Presidente dei Consiglio ha già risposto per suo conto ed io avrei ben poco da aggiungere.

Desidero solo dire che sono state adottate delle misure, che sono in corso, che faranno riflettere – immagino – i nostalgici del passato regime; perché una cosa è certa, onorevoli colleghi, nella volontà del Governo e degli uomini che hanno la responsabilità della politica interna: che noi non siamo disposti a deflettere dalla linea politica di pacificazione, di larga pacificazione verso i fascisti come individui, ma che da parte nostra si troverà la più decisa e recisa opposizione ad ogni tentativo di rinascita, sotto qualunque forma, del fascismo.

La politica di tolleranza verso gli individui non può essere politica di tolleranza verso un sistema, verso un metodo, verso un movimento che tanta distruzione ha portato al nostro Paese; ed il Governo è deciso a difendere, reprimendo tali manifestazioni, la libertà e la democrazia, perché il fascismo rappresenta appunto, la negazione della libertà e della democrazia, e nella difesa della libertà e della democrazia il Governo è deciso a compiere tutto il suo dovere. (Approvazioni al centro).

Un’altra dichiarazione intendo fare: quella che, di fronte a questa volontà precisa del Governo, di fronte a questo impegno di difesa della democrazia, superando ogni equivoca manifestazione che possa apparire tolleranza, ma non è tolleranza; che, di fronte a questa recisa volontà del Governo di tutelare in Italia le libertà democratiche, il Governo stesso rivendica l’onere e l’onore di difendere con le proprie forze e coi propri mezzi tali libertà in Italia, intendendo con questo di reprimere ogni e qualsiasi manifestazione che potesse significare ritorno a mezzi che sono in contrasto con un regime libero, con un regime politico: di libertà e di democrazia.

Non possiamo ammettere – e non consentiremo – le manifestazioni fasciste, né i tentativi di ricorso e di mobilitazione della piazza contro le manifestazioni fasciste, perché il Governo – ripeto – è deciso a stroncare ogni rinascente forma di fascismo, ma, nello stesso tempo, a garantire la libertà coi propri mezzi, che il Governo ritiene di possedere; mezzi sufficienti a tutelare la libertà e la democrazia in Italia.

Se i mezzi legali attualmente a disposizione non fossero sufficienti, potrà chiederne altri al Parlamento, ma riteniamo che allo stato delle cose il Governo sia in grado di controllare e controlla (posso dare questa assicurazione all’Assemblea) attentamente le manifestazioni neo-fasciste, benché ne conosca la portata limitata – anche se rumorosa – delle manifestazioni esteriori, ed è deciso, ripeto, a compiere tutto il proprio dovere perché ogni rinascente fascismo trovi la repressione legale attraverso la legge e la forza dello Stato. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Cianca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CIANCA. La nostra interrogazione ha dato modo al Governo di sciogliere la riserva che l’onorevole De Gasperi aveva formulata venerdì sera quando promise all’onorevole Lussu che si proponeva di dare all’Assemblea più ampi particolari.

La risposta del Ministro dell’interno si divide in due parti.. Per quanto riguarda l’episodio di Piazza Colonna, io devo rilevare che egli ha rettificato un’affermazione fatta venerdì sera dal Presidente del Consiglio, il quale aveva dichiarato che il comizio non era stato autorizzato. Devo rilevare, altresì, che le autorità di pubblica sicurezza sono state di una generosità strana nel consentire ai rappresentanti di questo Movimento sociale italiano di tenere un comizio nelle vicinanze immediate di Montecitorio, in deroga ad una norma vigente. Io mi domando quale sia stata l’ispirazione che ha condotto le autorità di pubblica sicurezza a dare questa autorizzazione.

Ha detto il Ministro dell’interno che durante il comizio sono state emesse da qualcuno delle grida, ma che non c’è stata una vera e propria esaltazione del fascismo e di Mussolini.

La verità, secondo le testimonianze che noi abbiamo raccolte da coloro che erano presenti a quella manifestazione, è che non soltanto furono emesse da gruppi numerosi delle grida in favore del fascismo, ma che il discorso pronunciato dall’oratore ufficiale era non una implicita, ma una esplicita esaltazione del regime fascista e della guerra fascista.

Ora, non mi sembra esatto che le autorità di pubblica sicurezza siano esenti da qualunque responsabilità, sol perché ad un determinato momento hanno sospeso il comizio. La verità è che il comizio ha proceduto per un lungo periodo di tempo e che è stato necessario l’intervento di alcuni rappresentanti della nostra Assemblea perché le autorità di pubblica sicurezza fossero richiamate a meditare sullo scandalo di questa provocazione che si compiva a pochi passi dal Parlamento.

Io devo ricordare che l’onorevole Amendola si rivolse al vicequestore, il quale dirigeva il servizio d’ordine, e gli disse che era assolutamente necessario sospendere il comizio. Il vicequestore dichiarò che non poteva sospenderlo in quanto non aveva ordini in questo senso il che vuol dire che le autorità di pubblica sicurezza, anche quando si sono trovate di fronte alla flagranza di un reato, ossia alla esaltazione del regime fascista, fatta nelle vicinanze del Palazzo della Costituente, hanno creduto che la legge non dovesse essere applicata. Se, dopo tutto questo, il Ministro dell’interno pensa che le autorità di pubblica sicurezza siano esenti da qualunque responsabilità, egli deve riconoscerci il diritto di affermare che ha torto perché le responsabilità della pubblica sicurezza derivano in modo chiaro dall’atteggiamento che le autorità di polizia tennero durante il comizio.

Poi c’è la seconda parte delle dichiarazioni fatte dal Ministro dell’interno.

Qui il problema sale su un piano generale, e si può sintetizzare in una domanda precisa che noi rivolgiamo al rappresentante del Governo. Un movimento, il quale ha le caratteristiche del M.S.I., ha esso diritto di libera cittadinanza nella vita politica italiana? Il quesito è questo. Io ho inteso le promesse che nella parte finale del suo discorso il Ministro dell’interno ha formulato. Egli ha detto che il Governo si propone di prendere misure le quali faranno riflettere i nostalgici del fascismo. Ora, mi sembra – se il Ministro dell’interno lo consente – che ci sia una sproporzione fra la gravità dei fatti dinanzi ai quali ci troviamo e queste assicurazioni generiche per l’avvenire. La verità è che noi siamo di fronte ad una sistematica provocazione fascista e antirepubblicana la quale impone degli obblighi precisi al Governo ed impone a noi, che abbiamo lottato contro il fascismo, di richiamare il Governo al senso preciso del proprio dovere. Non si tratta di prendere misure generiche: si tratta di stabilire se questo movimento possa essere inserito nei quadri della legalità repubblicana. V’è un contrasto di carattere fondamentale che voi dovete risolvere, e che non potete risolvere che in una sola direzione. Io facevo parte del Governo insieme con l’onorevole Ministro dell’interne quando fu decretata l’amnistia. L’amnistia poteva essere un atto di forza generosa, se fosse stata seguita da una politica di fermezza, capace di stroncare ogni velleità di rinascita fascista, di rinascita antirepubblicana. Io devo dire all’onorevole Scelba che l’azione svolta dal Governo e da lui personalmente non mi tranquillizza in questo senso. Purtroppo, senza drammatizzare e senza formulare dei giudizi sommari, devo dire che ho l’impressione che questa gente, nostalgica del fascismo, ha la sensazione di poter osare sotto questo Governo quello che non avrebbe osato sotto altri Governi più sicuramente solleciti degli interessi della Repubblica e della democrazia. Ripeto, qui si tratta di un problema di carattere generale; e noi ci riserviamo di discuterlo in questa Assemblea, in quanto ci proponiamo di presentare un’apposita interpellanza. (Applausi a sinistra).

Annunzio di interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i risultati definitivi delle indagini sul bestiale assassinio dello studente Gervasio Federici, ed i provvedimenti che il Governo intende adottare, affinché la lotta politica non vada progressivamente degenerando in guerra civile, come vari recenti episodi fanno temere.

«Gronchi, Uberti, Angelucci, Moro, Piccioni, Guidi Cingolani Angela, Giordani, Taviani, Di Fausto, Bonomi Paolo, Orlando Camillo, De Palma, Corsanego, Coccia, Dominedò, Caronia».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati presi, a carico dei responsabili diretti ed indiretti della devastazione della tipografia del Corriere del Giorno di Taranto e per impedire il ripetersi di nuovi attentati alla libertà di stampa.

«Lucifero».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati presi per scoprire i responsabili della distruzione della tipografia del giornale Il Corriere del Giorno premeditatamente perpetrata in Taranto nelle prime ore del pomeriggio di sabato, 11 ottobre, da una schiera di partecipanti alla manifestazione organizzata principalmente per iniziativa del Partito comunista; e per conoscere se non intenda promuovere un provvedimento legislativo che integri il progetto di legge per la difesa delle istituzioni, stabilendo e precisando la responsabilità dei partiti, le cui manifestazioni si risolvono in simili atti di vandalico terrorismo squadrista, che sopprimono praticamente ogni libertà e consentono ai mandanti e agli esecutori di trincerarsi dietro l’estrema difficoltà di indagini, caratteristica dei delitti di folla.

«Codacci Pisanelli».

Chiedo al Ministro dell’interno, di comunicare quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Se gli onorevoli interroganti non hanno nulla in contrario, nella seduta antimeridiana di mercoledì prossimo risponderò a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. Sta bene.

Ricordo che la Commissione per la Costituzione è convocata per domani alle 9 in adunanza plenaria e avverto che l’Assemblea domani terrà sedute alle 11,30 e alle 17.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga opportuno chiarire con circolare ad hoc la portata dell’articolo 8 del decreto legislativo 5 agosto 1947, n. 778, nel senso che, per le speciali categorie di funzionari elencate in detto articolo, i miglioramenti del trattamento economico, in seguito alla revisione da farsi nel termine di tre mesi dalla pubblicazione del decreto (avvenuta nella Gazzetta Ufficiale del 21 agosto 1947), avrà la stessa data di decorrenza stabilita per tutte le altre categorie di funzionari ed i miglioramenti stessi dovranno non superare, ma neanche essere inferiori, a quanto stabilito per i funzionari delle altre Amministrazioni dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del tesoro e delle poste e telecomunicazioni, per conoscere per quali motivi non è stata data finora applicazione, nei confronti del personale delle poste e telecomunicazioni, alla circolare n. 3837-2296 della Ragioneria generale dello Stato, la quale dispone inequivocabilmente la corresponsione delle competenze arretrate in favore degli impiegati che si sottrassero al trasferimento al Nord, passando conseguentemente in aspettativa.

«La cosa sembra inspiegabile anche perché risulta che detta circolare ha già trovato facile ed immediata applicazione in tutti gli altri Dicasteri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere le ragioni per le quali ai produttori dello zucchero non viene accordata la facoltà di disporre liberamente della eventuale eccedenza che dovesse risultare dopo accantonata o dedotta la quota riservata col tesseramento ai consumatori.

«La produzione dello zucchero, attualmente ha raggiunto circa i nove decimi del fabbisogno nazionale prebellico, e perciò non può non riuscire strano che per tale prodotto non siasi ancora pensato di abolire tutti i vincolismi istituiti in occasione della guerra, mentre per altri prodotti si è già provveduto ad acconsentire che una quota possa essere immessa al libero commercio, sebbene si sappia che per gli stessi neppure nel prossimo anno, potrà essere raggiunta la detta percentuale di produzione.

«Accordandosi ai produttori dello zucchero la facoltà di disporre liberamente di detta eventuale eccedenza, oltre ad agevolare la possibilità che la produzione abbia ad essere elevata, nel 1948, allo stesso quantitativo prebellico, si verrebbe, intanto, non solo a riconoscersi così concretamente le benemerenze di una categoria di industriali che tra i primi, e senza alcun concorso dello Stato, hanno saputo riattivare gli stabilimenti in gran parte distrutti dalla guerra, ma altresì a favorire gli interessi dei consumatori, i quali potrebbero, in tal modo, concorrere all’acquisto di detta eccedenza ad un prezzo notevolmente inferiore a quello che essi debbono, corrispondere alla borsa nera, alla quale l’eccedenza stessa viene ceduta dai pochi privilegiati ai quali viene assegnata.

«È noto infatti che alla borsa nera si può oggi acquistare quanto zucchero si vuole, per cui devesi logicamente ritenere che essa viene alimentata esclusivamente dai vari beneficiari delle assegnazioni ordinarie e politiche, i quali così senza alcuna fatica, ed anzi per il solo vantaggio delle assegnazioni ottenute, vengono a realizzare ingenti guadagni, mentre ai produttori non si è avuto il coraggio di riconoscere neppure il diritto ad un compenso equamente adeguato al costo di produzione.

«L’abolizione, in tali condizioni, di ogni vincolismo sullo zucchero si impone pertanto come una necessità inderogabile per eliminare una buona volta il legittimo sospetto di favoritismi, o peggio ancora, di corruzioni, nelle assegnazioni per scopi, in taluni casi, anche politici ed elettoralistici ed a tutto danno dei consumatori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede di interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica ed il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se sono a conoscenza che le acque di scarico del sanatorio di Paluzza (Udine) sono immesse – senza alcuna sterilizzazione – nel torrente Bût, con grave e continuo pericolo per la salute della popolazione a valle e per sapere quali provvedimenti di urgenza intendono prendere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni per le quali non sia stato ancora deliberato il provvedimento, più volte annunciato, nelle dichiarazioni programmatiche del Governo, che dovrebbe porre definitivamente riparo alle ingiuste applicazioni delle leggi sull’epurazione, causa non ultima del perdurante grave disordine nelle pubbliche Amministrazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere e di urgenza quali provvedimenti intendano adottare per rendere possibile il ritorno alla vita civile dei moltissimi reduci dai campi di internamento, già affetti da tubercolosi, clinicamente guariti.

«Si impone:

  1. a) il disbrigo sollecito delle pratiche medico-legali e conseguente liquidazione delle pensioni, istituendo magari degli uffici regionali deliberanti;
  2. b) la revisione del sistema degli aiuti economici, elevando l’ammontare degli anticipi sulle pensioni; le attuali 1500-2000 lire mensili a chi va assegnato alla prima categoria si dimostrano insufficienti, inadeguate alle prime necessità della vita;
  3. c) la revisione e conseguente aumento degli aiuti da parte dei Consorzi antitubercolari (attualmente sono di lire 200 giornaliere).

«Detta categoria di reduci merita la particolare attenzione del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.15.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11.30 e alle ore 17.

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLIV.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processò verbale:

Codacci Pisanelli

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mortati

Colitto

Rossi Paolo

Stampacchia

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Calamandrei

Lucifero

Uberti

Gasparotto

Benedettini

Laconi

Scoccimarro

Conti

Manzini

Maffi

Lussu

La Malfa

Mazzoni

Priolo

Pacciardi

Amendola

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Bozzi

Badini Confalonieri

Lussu

Rodi

Targetti

Nitti

Codacci Pisanelli

Scoccimarro

Cosattini

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Per un comizio elettorale nei pressi di Montecitorio:

Pajetta Giancarlo

Sansone

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

La seduta comincia alle 16.

MEZZADRA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Richiamo di nuovo l’attenzione dell’Assemblea sul valore da attribuire alle votazioni, in cui il numero dei voti favorevoli sia esattamente uguale a quello dei voti contrari, in relazione al progetto di Costituzione che è stato presentato dalla Commissione dei settantacinque.

Ieri, essendosi verificata questa ipotesi, siamo giunti a concludere, secondo l’affermazione dell’onorevole Presidente, che una votazione di questo genere significa rigetto dell’articolo contenuto nei progetto di Costituzione.

Mi permetto di rinnovare i miei dubbi circa questa soluzione, in quanto che in una votazione, nella quale il numero dei voti favorevoli equivalga perfettamente a quello dei voti contrari, per lo meno si dovrebbe giungere a concludere che la votazione non ha nessun valore. In altri termini, ci troveremmo di fronte ad un problema analogo a quello del silenzio, che è stato più volte dibattuto nel campo del diritto. (Commenti).

Il silenzio non ha nessun valore, a meno che una norma giuridica, o ì principî, o l’analogia, consentano di attribuirgli un particolare significato.

Ieri, a giustificazione della tesi secondo cui, in caso di parità di voti, il progetto o l’articolo del progetto dovrebbe ritenersi respinto, è stato detto: infatti, prima di annunziare il risultato della votazione, noi diciamo sempre il numero dei votanti, la maggioranza, e se è stata raggiunta, o meno, questa maggioranza.

Per venire a termini pratici, se i votanti sono 360 e la maggioranza è 180… (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la maggioranza viene calcolata aggiungendo uno alla metà.

CULACCI PISANELLI. Dicevo, se la mèta è 180, solo nel caso che i voti favorevoli siano 181, si può ritenere che l’articolo sia approvato.

Non condivido questa tesi. Se vi fosse, per esempio, un certo numero di astenuti, e vi fosse un numero di voti favorevoli maggiore di quello dei voti contrari, ma inferiore a 181, l’articolo dovrebbe ritenersi ugualmente approvato.

Ma non insisto su questo punto. A me interessa mettere in evidenza che ci troviamo di fronte ad un progetto elaborato in maniera diversa dai comuni progetti di legge. Ci troviamo di fronte ad un caso sui generis e dobbiamo risolverlo, perché si tratta di un precedente importante per i nostri futuri lavori.

La Commissione dei settantacinque si suddivise in Sottocommissioni; ogni Sotto commissione, attraverso votazioni, è giunta alla formazione di un progetto, sottoposto alla Commissione dei settantacinque in seduta plenaria. Di nuovo vi è stata una votazione; si tratta, dunque, di un progetto presentato da un organo di questa stessa Assemblea; perciò, nel caso in cui non sia respinta espressamente una parte di questo progetto, secondo me, non si può arrivare alla conclusione che ci si trovi di fronte ad un rifiuto di approvare l’articolo. Si dovrebbe quindi attribuire perlomeno a questo silenzio il valore di un niente di fatto e si dovrebbe, di conseguenza, ripetere la votazione.

Ma, secondo me, anche un passo più avanti si potrebbe fare, perché il fatto che le conclusioni di un organo dell’Assemblea non siano state respinte deve intendersi come vera e propria approvazione: e abbiamo già detto che la Commissione è un organo dell’Assemblea.

Che d’altra parte questo mio pensiero non sia campato in aria, (Commenti) mi accingerò ora a dimostrarvi. Vi farò pertanto osservare che nel nostro Regolamento non vi è alcun articolo che contempli la questione; ma ve n’è uno il quale, pur rifacendosi ad un caso un poco diverso, consente tuttavia di spiegare che cosa sia la maggioranza e in quali casi essa debba riconoscersi per tale. Mi riferisco all’articolo 26, relativo alla Giunta delle elezioni, il quale esattamente dice: «le conclusioni della Giunta sono prese a maggioranza di voti. In caso di parità, si riterranno per la convalidazione».

Siamo d’accordo che si tratta di un argomento diverso da quello che stiamo contemplando, ma poiché nel Regolamento non v’è alcun’altra norma circa il significato da attribuire alle votazioni in caso di parità, ritengo non sia azzardato inferirne che, quando vi sia parità di voti nei confronti di un articolo presentato dalla Commissione dei settantacinque nel suo progetto, si debba trarne la conclusione che l’articolo, o il comma di cui si tratta, sia approvato.

Per questa ragione io formulo le mie riserve intorno alle votazioni fatte ieri e mi ripropongo anzi di presentare una mozione al riguardo; e così pure per quanto concerne il valore da attribuire agli ordini del giorno e alla pretesa preclusione che da essi si inferirebbe, contrastando anche con ciò quanto ha detto proprio questa mattina il nostro onorevole Presidente, che cioè l’Assemblea può sempre, ove lo creda, ritornare sulle proprie decisioni.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, ella aveva diritto di prendere la parola sul processo verbale. Ma poiché io lo prevedevo, non fidandomi troppo delle mie sole conoscenze e della mia scienza, ho voluto fornirmi di qualche alleato che potrà, spero, meritare da parte sua quello stesso rispetto che io gli tributo. Si tratta del noto «Mancini e Galeotti»: Norme ed usi del parlamento italiano, ove, a pagina 308, al numero 445, io leggo: «In caso di voti pari, la proposta messa in votazione non può ritenersi approvata. Da ciò l’importanza massima di una giusta determinazione della priorità nel concorso di più proposte».

E poi, fra parentesi, (1) – nota a piedi pagina – «Fa eccezione alla norma generale l’articolo 18 del Regolamento – quello che lei ha invocato poco fa, onorevole Codacci Pisanelli – per ciò che concerne il procedimento della Giunta delle elezioni».

Il che significa che non si può dedurre dall’articolo 18 una norma generale, perché l’articolo 18 è un’eccezione alla norma generale. E perché è un’eccezione? Perché in tutti i giudizi collegiali, quando vi è parità di voti, questa gioca a favore dell’imputato. Non che l’eletto che si vede contestata la propria elezione sia un imputato! Ma la Giunta delle elezioni è una magistratura e quindi la sua opera è regolata dalle norme solite alle magistrature.

Ecco quindi, onorevole Codacci Pisanelli, che proprio l’articolo da lei invocato riconferma contro di lei che quando una votazione ha avuto esito pari, la proposta messa in votazione non può ritenersi approvata.

Ma, d’altra parte, abbiamo dei precedenti da noi stessi creati. Non più tardi della seduta del giorno 7 ottobre, ad esempio, parlando di una votazione alla quale si è proceduto e che è terminata per l’appunto con la parità dei voti, dice il nostro resoconto:

«Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, con la esatta parità dei voti, non è approvata».

E in quel momento né lei, né nessun altro collega ha sollevato eccezioni. Abbiamo, quindi, già un precedente.

Ma, v’è di più, onorevole Codacci Pisanelli, Lei stamane ha dato un voto, nella piena consapevolezza del suo valore, a proposito dell’articolo 61 della Costituzione. E col terzo comma noi abbiamo approvato – e mi pare (posso sbagliare) che abbia votato anche lei con la maggioranza dell’Assemblea – questa norma: «Le deliberazioni delle Camere non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti». A maggioranza e non a parità; e maggioranza era appunto, nel caso di ieri, il 181 mancato in confronto del 180 ottenuto: 181 era la maggioranza, 180 la metà; e una metà non ha mai significato approvazione.

Questo dovevo dirle, dato che lei ha creduto opportuno – e ne aveva il diritto – di riprendere una questione che ritenevo chiusa.

CODACCI PISANELLI. Non so se mi sia consentito di aggiungere qualche considerazione.

PRESIDENTE. Dica, onorevole Codacci Pisanelli.

CODACCI PISANELLI. Volevo osservare che a proposito del precedente invocato dal l’onorevole Presidente, si tratta di una votazione su un emendamento; e, in quanto emendamento, non ho niente da dire.

COSTANTINI. È lo stesso!

CODACCI PISANELLI. Non mi pare – se non ricordo male – che si trattasse di una votazione relativa proprio al testo della Costituzione.

Quanto all’invocazione del testo del Mancini e Galeotti, sono d’accordo circa il valore da attribuirgli, ma si tratta, in fondo, dell’opinione di un giurista e non di una disposizione legislativa. D’altra parte, quello che io avevo fatto presente è la particolare situazione in cui noi ci troviamo: non si tratta di un normale progetto di legge; è un progetto formulato dagli stessi membri di questa Assemblea. (Commenti a sinistra). Trattandosi, quindi, di una situazione completamente diversa dal solito, io credo che dovremmo venire ad una conclusione differente, in quanto che, probabilmente, la conclusione di una Commissione specializzata, la quale ha tenuto lunghe sedute al riguardo e si è occupata di proposito dei singoli articoli e delle parti di essi, potrebbe ritenersi prevalente nel caso in cui si trovi nella posizione di perfetta parità dei voti.

COSTANTINI. Questa è la disintegrazione atomica del consenso.

PRESIDENTE. Non perché voglia essere io a dire l’ultima parola ma, mi permetto di osservarle che questa Assemblea, nel momento in cui si è inizialmente convocata, ha adottato un Regolamento, e non ha detto affatto che, dato il modo particolare con cui avrebbe proceduto alla preparazione del materiale da sottoporre alle proprie discussioni, avrebbe proceduto alle votazioni in modo diverso da quello indicato nel Regolamento adottato.

Lei ha una via aperta, onorevole Codacci Pisanelli: proponga una modifica al Regolamento; e se l’Assemblea l’accetterà, non osserverà più le norme di quel Regolamento che, per intanto, è ancora oggi il suo.

Le farò ancora presente che, quando stamani abbiamo votato l’articolo 61, abbiamo accettato che vi si dicesse: «Le deliberazioni delle Camere». Ora una deliberazione è un voto che verte su di una questione di procedura del Regolamento, su di un progetto di legge, su di un ordine del giorno, su di una mozione, ecc. Tutto ciò è sempre deliberazione. E la decisione di stamane non ha fatto distinzioni che innovino, al proposito.

Comunque, ripeto che, se vuole, può presentare una proposta di modifica del Regolamento, che la Giunta prenderà tosto in esame.

Se non vi sono altre osservazioni il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Stamane gli onorevoli Benvenuti, Bettiol e altri, hanno presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’articolo 63, che abbiamo approvato stamane:

«Contro la decisione di ciascuna Camera i deputati e i senatori possono ricorrere per violazione di legge alla Corte costituzionale».

Poiché lo stesso onorevole Benvenuti, presentando l’emendamento, ha fatto presente che l’Assemblea non ha ancora deliberato in ordine alla Corte costituzionale, teniamo in sospeso questo emendamento aggiuntivo, che esamineremo quando si tratterà della Corte costituzionale.

Riprendiamo dunque il nostro esame all’articolo 64, al quale non sono stati presentati emendamenti. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 64.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 65. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

«Nessun membro del Parlamento può, senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, essere sottoposto a procedimento penale, ne arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione domiciliare, salvo il caso di flagrante delitto, per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura.

«Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento, in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile».

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato a. questo articolo il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«I membri del Parlamento non possono essere perseguiti in via giudiziaria, né amministrativa o disciplinare, per le opinioni politiche espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento ha lo scopo di chiarimento formale, perché mi sembra che la formula adottata dalla Commissione non sia molto felice, in quanto dice genericamente che «non possono essere chiamati a rispondere». Ora, dicendo «rispondere», si può ritenere che si sia irresponsabili anche politicamente. Questa è una formula generica, mentre invece, se si vuole specificare meglio il significato della norma, sarebbe opportuno chiarire che la responsabilità a cui si è sottratti è quella che ha carattere giuridico, sia penale che civile e amministrativo. A questo scopo tende il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alla parola: opinioni, aggiungere la parola: espresse, e alla parola: espressi, sostituire la parola: dati».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Nel testo del progetto si parla di opinioni e di voti espressi. Poiché mi sembra che le opinioni si esprimono ed i voti si danno, io ho proposto che la dizione del progetto sia sostituita da quest’altra «opinioni espresse e voti dati».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Ghidini, Rossi Paolo, Di Gloria, Vigorelli, e Grilli hanno presentato il seguente emendamento:

«Nessun membro del Parlamento può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale sono obbligatori il mandato o l’ordine di cattura; né può essere sottoposto a procedimento penale senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene».

In sostituzione del primo firmatario, l’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di svolgere l’emendamento.

ROSSI PAOLO. L’emendamento che sosteniamo è dovuto alla diligenza dell’onorevole Ghidini, il quale ha rilevato due notevoli imprecisioni nel testo della Commissione. La prima è: così come l’articolo è redatto, si potrebbe ritenere che, pur non potendo il deputato essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, salvo il caso di flagrante delitto, per cui è obbligatorio il mandato di cattura, potrebbe essere sottoposto a procedimento penale quando si tratti di reato per cui sia obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura.

Se i colleghi hanno la bontà di seguire il testo, vedranno che c’è una incertezza, un certo equivoco, o per lo meno un equivoco che potrebbe determinare una incertezza di interpretazione, perché si potrebbe ritenere che il deputato possa essere sottoposto a tali provvedimenti senza l’autorizzazione della Camera, nel caso in cui sia perseguito per un delitto per il quale è obbligatorio il mandato di cattura. Nel testo dell’emendamento questo dubbio è eliminato.

Un altro dubbio potrebbe sorgere dal testo della Commissione, quando si parla di flagrante delitto e si riconosce che nel caso di flagrante delitto è lecito l’arresto e la perquisizione domiciliare.

Nel nostro emendamento non si parla più di flagranza por evitare possibili questioni sul concetto di essa. Tutti ricordano infatti le discussioni ripetute che si sono avute in ordine alla precisazione di questa nozione. Si è parlato della flagranza, della semi-flagranza, dell’uomo inseguito dal pubblico clamore, e ci sono state sentenze e discussioni a questo proposito.

L’emendamento Ghidini, che io ho l’onore di presentare, elimina le discussioni in merito, sostituendo a questa frase incerta, intorno alla quale si è troppe volte vanamente discusso, l’altra frase più precisa: «Salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto».

Con questa frase tutte le questioni suddette sono tolte di mezzo.

Quindi io mi permetto di raccomandare ai voti dell’Assemblea questa formula, come più precisa e concreta.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia unitamente agli onorevoli Vigna, Laconi, Nobili Tito Oro, Tonello, Tega e Grieco ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, dopo la parola: «perquisizione», aggiungere: «personale o».

L’onorevole Stampacchia ha facoltà di svolgerlo.

STAMPACCHIA. Si tratta di riparare ad una evidente distrazione della Commissione, la quale non ha ricordato che la perquisizione può essere personale, oltre che domiciliare. E ciascuno che ne ha esperienza ben ricorda che ciò che offendeva di più la nostra sensibilità non era tanto la perquisizione domiciliare quanto quella personale, allorché lo sbirro frugava sulla persona del perquisito, mettendogli le mani addosso per verificare se per caso non vi fosse il contrabbando.

Ripeto che si tratta di una evidente distrazione della Commissione, sicché mi pare necessario ripararvi, aggiungendo la perquisizione personale ai casi in cui è necessaria l’autorizzazione della Camera contemplata dall’articolo in discussione.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione su questi emendamenti.,

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dirò molto rapidamente. Gli emendamenti proposti sono quasi tutti di forma ed hanno piccolissima importanza.

L’onorevole Colitto propone che invece di dire che i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere «delle opinioni e dei voti espressi» si dica «delle opinioni espresse e dei voti dati». Tutte le questioni di forma dovrebbero essere rimandate alla elaborazione finale. Quelle proposte fin da adesso possono essere accolte, senza più pregiudizio di eventuali revisioni, che si possano rendere necessarie per criteri generali e complessivi, nella detta elaborazione. Con questa riserva accolgo l’emendamento Colitto.

L’onorevole Ghidini, oggi assente, ha presentato, insieme ad altri colleghi, un emendamento piuttosto vasto. Per quanto riguarda la chiarificazione formale non sono del tutto d’accordo con l’onorevole Paolo Rossi, perché potrebbero sorgere dubbi anche da questo emendamento; ad esempio, mettendo alla fine le parole «senza autorizzazione della Camera» potrebbe sembrare che essa sia richiesta solo per l’ultima parte – arresto – e non per la prima – processo – dell’articolo in esame. Non credo che l’onorevole Rossi avrà difficoltà a consentire che la redazione formale sia definitivamente concordata, con lo stesso onorevole Ghidini, in sede di Comitato.

Si terrà allora presente anche la modifica più sostanziale, sulla «flagranza di reato». L’onorevole Ghidini propone di escludere i casi cosiddetti di quasi-flagranza, come quando il colpevole fugge, inseguito dal pubblico clamore e di limitarsi a quando il colpevole è colto proprio nell’atto di commettere il reato. La limitazione è ispirata ad una maggior garanzia dell’istituto parlamentare, e – sentiti anche altri colleghi competenti in materia penale – il Comitato non ha difficoltà ad accettarla; ma si riserva di formulare tutti, anche questi punti – in un testo definitivo.

L’aggiunta dell’onorevole Stampacchia, – perquisizione personale oltre che domiciliare – è compresa nella proposta Ghidini: e ne segue le sorti.

Per quanto riguarda l’emendamento Mortati, credo che sarebbe opportuno conservare la vecchia dizione «rispondono» che ha un significato. Sarebbe un rimpicciolirlo, sostituendovi la casistica minuta dell’onorevole Mortati. La costituzione non è soltanto un codice od una legge. È qualcosa di più. Le sue parole hanno un valore che è anche etico politico, di portata giuridica, ma in un senso più ampio; né occorre ricordare che in diritto pubblico hanno vigore anche principî e criteri generali. Prego l’onorevole Mortati di non insistere nella sua proposta.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Limito l’emendamento alla sostituzione, nel primo comma, della parola: «perseguiti per le» alle parole: «chiamati a rispondere delle».

PRESIDENTE. Allora per l’emendamento Ghidini, svolto dall’onorevole Rossi Paolo, vi è stato l’accordo fra il proponente e la Commissione. Quello dell’onorevole Stampacchia si può ritenere assorbito dall’emendamento Ghidini, del quale la Commissione farà quel saggio uso che riterrà opportuno.

La Commissione accetta l’emendamento modificato dell’onorevole Mortati?

RUINI, Presidente delle Commissione per la Costituzione. Il Comitato preferisce «rispondere», che è più solenne, più tradizionale, e più ampio; mentre «perseguito» potrebbe non estendersi alla responsabilità civile. Il concetto da considerare è quello di «responsabilità». Ma la questione è di scarsa importanza; e – per evitare contrasti con perdita di tempo – lascia all’Assemblea di decidere.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma con l’emendamento Mortati che sostituisce alle parole: «chiamati a rispondere delle» la parola: «perseguiti per le».

(È approvato).

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per il secondo comma, la Commissione accetta la sostanza dell’emendamento Ghidini, salvo la revisione e la formulazione definitiva dell’intero comma.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma nel testo della Commissione, salvo impegno, da parte della Commissione, ad inserire nel testo, a proposito della questione della «flagranza», la formula dell’emendamento Ghidini; ed anche l’indicazione sopra la perquisizione personale contenuta nell’emendamento Stampacchia.

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma.

(È approvato).

L’articolo 65 risulta, nel suo complesso, così approvato, con la riserva relativa al secondo comma:

«I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.

«Nessun membro del Parlamento può, senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, essere sottoposto a procedimento penale, né arrestato, e altrimenti privato della libertà personale, e sottoposto a perquisizione domiciliare, salvo il caso di flagrante delitto, per il quale è obbligatorio il mandato e l’ordine di cattura.

«Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento, in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile».

Passiamo all’articolo 66. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«I membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge».

PRESIDENTE. È stato presentato un emendamento da parte dell’onorevole Calamandrei, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«I componenti del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge, che può essere determinata in misura più alta per coloro che non abbiano altri redditi.

«Ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nella Amministrazione pubblica centrale o locale, né in enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato; l’accettazione di uno di tali incarichi è causa di decadenza dall’ufficio parlamentare.

«Solo in caso di pubblica utilità detti incarichi possono essere conferiti per nomina deliberata da ciascuna Camera».

L’onorevole Calamandrei ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento si compone di tre commi, che sono il frutto di una unica ispirazione; la quale – ve lo dico sinceramente – deriva dall’esperienza che io ho avuto, e voi avete avuto con me, del funzionamento della Commissione degli undici.

Onorevoli colleghi, io non se voi abbiate una impressione, che io ho vivissima: cioè che l’opinione pubblica non ha, in questo momento, molta simpatia e molta fiducia per i deputati. Vi è intorno a noi un’atmosfera, che tutti quanti avvertiamo, di sospetto e di discredito.

Fondamentalmente al centro di questa atmosfera c’è la convinzione diffusa, che molte volte l’esercizio del mandato parlamentare, il quale è conferito per il raggiungimento di scopi di pubblico interesse, possa servire a mascherare il soddisfacimento di interessi personali; e diventi un affare, una professione, un mestiere.

Ora, nella massima parte dei casi questa impressione dell’opinione pubblica, è sbagliata. Ma ci sono profonde ragioni che potrebbero spiegare perché è sorta: ragioni che in parte risalgono lontano, ed in parte anche al ventennio trascorso. Oggi l’opinione pubblica scarica su di noi il disprezzo accumulato in venti anni contro gli uomini politici del fascismo, contro i «gerarchi». Noi siamo gli innocenti parafulmini delle malefatte dei gerarchi del ventennio fascista. Ma ad accrescere questa opinione sfavorevole ha contribuito, io credo, recentemente anche l’inchiesta della Commissione degli undici, la quale, se per i casi concreti presi in esame ha dato risultati sodisfacenti – come sempre è sodisfacente il risultato, quando accerta la inesistenza di accuse lanciate contro parlamentari – però, per il modo con cui la Commissione ha funzionato ha dato l’impressione che sotto inchiesta fosse tutta quanta la Camera. Sicché nell’opinione pubblica si è andata diffondendo la convinzione che le accuse, lanciate contro alcuni, colpivano, per la loro indeterminatezza, tutti noi e che proprio per questo non hanno avuto nella relazione della Commissione una risposta esauriente. Tuttavia, il funzionamento della Commissione degli undici ha avuto almeno un risultato favorevole e benefico: quello di dimostrare, direi quasi sul tavolo sperimentale, quali possono essere le vie attraverso cui la corruzione può penetrare nei meccanismi parlamentari. Anche se la Commissione ha accertato che nei casi concreti questo non era avvenuto, l’indagine ha potuto dimostrare come questo potrebbe avvenire; e quindi può essere utile, facendo tesoro di questa esperienza, guardare, per quel poco che possono fare le leggi, là dove soprattutto vale il costume, come si possa chiudere alcuna di queste via di infezione che minacciano l’ordinamento. Il primo comma modifica l’articolo 66 del progetto «I membri del Parlamento ricevono una indennità, fissata dalla legge» in quest’altro testo: «I componenti del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge, che può essere determinata in misura più alta per coloro che non abbiano altri redditi».

Qui vi è un problema, che riguarda tutti noi: quanta parte della propria attività il deputato deve dare alla esplicazione del mandato parlamentare? Deve dedicarla tutta e inibirsi ogni altro lavoro, o è opportuno che egli continui ad esercitare la sua professione? E nel caso che vi siano deputati, i quali dedicano tutta la loro attività al mandato parlamentare, ed altri che invece ne dedicano soltanto una parte, perché continuano a fare i professionisti, è giusto che l’indennità sia uguale per gli uni che negli altri? Vi sono certe professioni (chi vi parla, è un avvocato e quindi non è persona sospetta, se egli stesso lo dice) per le quali tradizionalmente, si ritiene, anche se non è sempre esatto, che l’esercizio del mandato parlamentare rappresenti un aumento di decoro e quindi di reddito professionale, quasi un complemento naturale della professione; in modo che dall’esercizio del mandato parlamentare, il professionista non solo non ha una perdita, che meriti di essere compensata con indennità, ma in sostanza può alla fine avere un guadagno.

Ma possono esserci casi anche più tipici: di uomini di affari, per i quali il mandato parlamentare costituisce una specie di biglietto d’ingresso ai Ministeri, per ottenere agevolazioni nella conclusione dei loro affari, che non otterrebbero se non fossero deputati.

Si potrebbe arrivare anche alla misura draconiana di vietare ai deputati l’esercizio di qualsiasi altra attività.

Ma non credo che questo sarebbe in sostanza giovevole alle stesse istituzioni parlamentari: che i deputati diventino mestieranti retribuiti della politica, funzionari di partiti che abbiano nell’esercizio del mandato parlamentare la loro professione o il loro mestiere, non credo che questo sia augurabile per innalzare il prestigio delle istituzioni parlamentari. D’altra parte una quantità di professionisti posti dinanzi al bivio tra scegliere la deputazione e la professione, non esiterebbero un istante a scegliere questa seconda via, non soltanto per ragioni di guadagno, ma anche per ragioni più alte, di carattere spirituale, per attaccamento alla propria vocazione e ai propri studi. E così si sottrarrebbero alle Assemblee legislative gli uomini più competenti. Credo per questo che in via migliore sia quella di adottare l’emendamento che ho proposto: se ci sono deputati, parlo soprattutto dei deputati appartenenti a certe categorie di lavoratori, come gli operai, gli impiegati, i contadini, che assumendo il mandato parlamentare vengono necessariamente a dedicare ad esso tuttala loro attività, sia loro conferita una indennità superiore a quella conferita a coloro i quali dal mandato parlamentare ricevono indirettamente un vantaggio professionale, e quindi patrimoniale.

Altri due commi dell’emendamento si riferiscono a quella materia delicatissima degli incarichi conferiti dal Governo o dalle pubbliche amministrazioni a deputati in carica (se non addirittura, come talvolta si è visto a Sottosegretari o a Ministri che fanno parte dello stesso Governo).

Non vi ricorderò come questa sia stata una delle materie più dibattute in seno alla Commissione degli undici e come questo sia in astratto uno degli aspetti che bisogna tener presenti quando si voglia, come vi dicevo, chiudere le vie più pericolose attraverso le quali la corruzione penetra nei meccanismi parlamentari. Divieto assoluto, secondo me, di conferire incarichi pubblici ai deputati in carica: non solo incarichi pubblici di nomina governativa, ma anche incarichi pubblici nelle amministrazioni locali. La formula che vi propongo è questa: «ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nell’Amministrazione pubblica centrale o locale, né in Enti pubblici soggetti al controllo dello Stato. L’accettazione di uno di tali incarichi è causa di decadenza dall’ufficio parlamentare».

Possono esservi però casi in cui, in via assolutamente eccezionale, si riconosce che nel Parlamento c’è l’uomo tipicamente competente al quale lo stesso interesse pubblico consiglia di affidare un incarico pubblico retribuito. In questi casi l’ultimo comma dell’emendamento disporrà, se voi lo accetterete, che «solo in caso di pubblica utilità detti incarichi possono essere conferiti per nomina deliberata da ciascuna Camera», (non si intende, per nomina governativa).

LUCIFERO. Chiedo di parlare sull’emendamento dell’onorevole Calamandrei.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Confesso che, quando ho letto l’emendamento dell’onorevole Calamandrei, sono rimasto trasecolato; quando l’ho sentito illustrare ho trasecolato, se era possibile, ancora di più, perché, in verità, io l’emendamento, tra le altre cose, non l’avevo capito quando l’ho letto ed ho finito per non capirlo affatto quando lo ha illustrato l’onorevole Calamandrei. (Commenti).

Ho avuto l’impressione precisa, leggendo l’emendamento e sentendo parlare l’onorevole Calamandrei – e l’impressione è stata più profonda, dato che, come modesto giurista, ho una stima grandissima di quel grande giurista che è l’onorevole Calamandrei – ho avuto l’impressione precisa (l’onorevole Calamandrei mi perdoni) che questo emendamento e la sua illustrazione fossero stati ugualmente dettati da un complesso di inferiorità; da quello stesso complesso di inferiorità che fece prendere a questa Camera la deliberazione affrettata della costituzione di quella Commissione degli undici, alla quale l’onorevole Calamandrei si è riferito; quello stesso complesso di inferiorità per il quale molti, che non avevano nessuna ragione di rispondere a quella Commissione, perché nessuno li aveva messi menomamente in causa, hanno ugualmente risposto; il complesso di inferiorità di chi non trova appagamento nella tranquillità della propria coscienza.

Onorevoli colleghi, va bene che noi siamo di fronte al pubblico, ma noi siamo di fronte al giudizio del pubblico e non a disposizione delle calunnie del pubblico. E noi non facciamo altro che asservirci a qualunque calunniatore ed a qualunque ricattatore che, individualmente o collegialmente, voglia farci paura per ottenere non si sa che cosa o, molto spesso, si sa che cosa; e soprattutto per gettare discredito sugli organi massimi della democrazia, che noi tanto faticosamente stiamo ricostruendo in Italia.

Questo è il complesso di inferiorità contro il quale mi ribello.

Io non sono professionista, onorevole Calamandrei, ma vi dico questo: non voglio un Parlamento di plutocrati, di vagabondi o di stipendiati di partito. Io aspiro ad un Parlamento di uomini liberi, e gli uomini liberi non sono né fra i ricchi, né fra gli stipendiati; perché i ricchi sono servi del loro danaro e gli stipendiati sono servi di chi li paga. E noi abbiamo bisogno di deputati liberi, e questo lo possiamo ottenere solo se questi deputati potranno fare i deputati con serenità di coscienza, senza andare a cercare di essere pagati da qualcuno o da qualche cosa.

Noi escludiamo con questo emendamento tutta questa gente che vive di determinato lavoro e che questo lavoro non può lasciare; noi escludiamo con questo emendamento una quantità di persone che si troverebbero in uno stato di inferiorità. Perché, chi è che va alla Camera a mendicare uno stipendio superiore? Ogni uomo ha il suo decoro. Noi dobbiamo stabilire un criterio paritetico. Credo che il più povero di noi non sarebbe disposto a firmare una domanda che gli assicuri 10 o 15 mila lire al mese di più del suo collega, perché si sentirebbe in uno stato di inferiorità.

Manteniamo quelle che sono le vecchie tradizioni. Non possiamo chiedere a della gente che lavora, che sospenda la propria attività per un periodo di cinque anni, perché quando andrà a riprenderla si troverà che dovrà ricominciare daccapo.

Noi non possiamo dire, come qui è scritto: «Enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato». Onorevole Calamandrei, lo dicessi ancora io che sono da questa parte della Camera, che sono un liberale; ma lei è seduto alla sinistra. Voi volete un’economia generale controllata. Dove sarà più l’ente che non sia controllato dallo Stato? Ma se già tutto è controllato dallo Stato! E le banche, e le miniere, e l’agricoltura, e le industrie, e i commerci, e i traffici: tutto è controllato dallo Stato. Ma volete fare la Camera dei vagabondi? Per ognuno, si potrà sollevare l’eccezione. Io credo che dovremmo ricordarci come è sorta l’indennità parlamentare, che non è uno stipendio. E mi permetta la Camera di ricordarlo. Quando il suffragio universale allargò ancora le porte del Parlamento in Italia diventarono più frequenti delle figure che forse non sono illustri come dovrebbero essere illustri, figure soprattutto, di quei banchi (Accenna a sinistra) come l’onorevole Chiesa, come alcuni altri; quei deputati che la sera pigliavano (parlo di Chiesa il socialista) il treno e scendevano a Chiusi per essere di nuovo la mattina a Roma e non pagare una camera d’albergo, che costava due lire; quei deputati che si cuocevano due uova sul davanzale delle finestre della Camera nascondendosi ai commessi che cercavano di richiamarli all’ordine perché sporcavano coi giornali bruciati; quei deputati che molti di voi ricordano e che il pubblico non ricorda più. Ed allora fu stabilitoci dare non uno stipendio, ma una indennità. È vero che lo Statuto, il quale era elastico, diceva che la professione di deputato è gratuita, ma occorre pensare che se effettivamente lo slancio e la passione e l’amor patrio che fanno fare il deputato non possono essere pagati, si può dignitosamente soccorrere alle necessità di un individuo. Oggi abbiamo visto per esperienza che, se vuole veramente compiere il suo dovere, il deputato deve lasciare tutto; quelli di noi che fanno parte di Commissioni lo sanno: sono entrati stamattina alle 9 e usciranno stasera non si sa a che ora, e così per giorni e giorni, e non c’è più professione, non c’è più lavoro. Non dobbiamo fare sperequazioni; non dobbiamo creare fra noi certe differenziazioni che vogliamo distruggere fuori; rifacciamoci alle origini. Purtroppo, o per fortuna, le indennità parlamentari sono tali che non spostano nulla per gli abbienti e che risolvono dei problemi soltanto per i veramente poveri. Ricordiamoci delle origini. Rispettiamo i più poveri; ricordiamoci dei più poveri; rigettiamo l’emendamento dell’onorevole Calamandrei e rimettiamoci a quello che la saggezza ha già istituito e che ha egregiamente funzionato. (Applausi al centro e a destra).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Lucifero ha detto che non aveva compreso l’emendamento dell’onorevole Calamandrei. Io l’ho compreso ed è appunto per questo che debbo fare alcuni rilievi, e non posso accettarlo.

Non mi abbandonerò ai voli che, con la sua giovanile esuberanza, ha fatto l’onorevole Lucifero. Mi limiterò ad osservazioni modeste e concrete. La prima parte dell’articolo aggiuntivo Calamandrei è che la indennità può essere determinata in misura più alta per coloro che non hanno alti redditi. Due semplici osservazioni: la prima è che l’indennità non è uno stipendio, tanto è vero che non è soggetta a ricchezza mobile; è una indennità a rimborso di spese; ne deriva logicamente che dovrebbe essere conferita indipendentemente dalla situazione finanziaria di coloro cui è attribuita. La seconda è che, se andiamo nell’ordine di idee proposto dall’onorevole Calamandrei, dovremmo fare un ufficio di accertamenti delle finanze e dei redditi dei membri del Parlamento, una specie di ufficio imposte, magari con calcolo di bisogni ed assegni famigliari. Spero che l’onorevole Calamandrei si convinca che tutto ciò è praticamente impossibile.

Il secondo comma dell’articolo Calamandrei dice che ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nella Amministrazione pubblica centrale o locale, né in Enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato senza che portino alla decadenza dall’ufficio parlamentare. Osservo in linea preliminare che, anche se non nelle proporzioni a cui ha accennato un po’ fantasiosamente l’onorevole Lucifero, l’intervento economico dello Stato si è sviluppato largamente; e può convenire che alle gestioni economiche dirette o indirette dello Stato siano chiamati a partecipare anche membri del Parlamento. La dizione usata dall’onorevole Calamandrei è ad ogni modo non precisa; e potrebbe da un lato impedire una nomina per concorso, ad esempio a professore; e dall’altro colpire un semplice incarico, ad esempio di una perizia professionale. Comunque sia, non è accettabile il criterio che ogni e qualunque incarico retribuito porti automaticamente alla decadenza. Il testo costituzionale da noi approvato rinvia alla legge la determinazione dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità, e noi – accogliendo un punto di un altro emendamento Calamandrei – abbiamo aggiunto che le Camere giudicano anche delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Rinviamo dunque alla legge, che è la sede più opportuna, l’esame e la decisione se e quando nuovi incarichi retribuiti siano da considerarsi fra tali cause. La legge, e lo stesso Regolamento delle Camere, potranno stabilire altre cautele e norme, ad esempio che degli incarichi debba darsi comunicazione alla Camera o al suo Ufficio di Presidenza, e che magari occorra un’autorizzazione. Ma decidere oggi, senz’altro, nella forma drastica che ci è proposta, non mi sembra opportuno. Aggiungo che – tenendo presenti gli scrupoli e gli intenti, che hanno un giusto fondamento, dell’onorevole Calamandrei, di purificare da ogni sospetto la vita pubblica – bisognerebbe anche, nella nuova legge, considerare, se è possibile, i casi di incarichi, ben più rimunerativi di quelli statali, da parte di società ed imprese private.

Infine, per l’ultimo comma dell’articolo Calamandrei, osservo che la formula usata di «nomina da parte della Camera» non può reggere. La Camera può aver comunicazione; può dar autorizzazione; ma che nomini essa è un assurdo. L’altissima coscienza giuridica dall’onorevole Calamandrei lo riconoscerà.

Per queste ragioni non possiamo accogliere il suo articolo.

PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, mantiene il suo emendamento?

CALAMANDREI. Ritiro, dopo le osservazioni dell’onorevole Lucifero, il primo comma, ma sul secondo e sul terzo comma dell’emendamento insisto, e credo che alcuni colleghi proporranno l’appello nominale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Oltre alla sostanza, non può andare la forma del suo testo, onorevole Calamandrei.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Sono decisamente contrario a tutte le limitazioni all’esplicazione del mandato parlamentare, perché, altrimenti, rischiamo di creare una posizione diversa fra cittadino e cittadino. Questa disposizione potrebbe applicarsi – se venisse approvata – anche ad un assessore comunale, a un sindaco di un Comune, il quale ha un’indennità e non potrebbe più essere sindaco; vi è poi il caso dei professori – non solamente quelli universitari, i quali possono magari svolgere ugualmente il loro compito – ma professori di scuole medie, insegnanti elementari, che hanno pure diritto di poter essere presenti in questa Assemblea.

E poi vi sono numerose altre categorie che hanno qualche incarico, anche pubblico, per cui in sostanza, si vedrebbero a preferire solo coloro che hanno abbracciato la carriera di avvocato e che con la loro qualità di deputati possono domani difendere delle cause importantissime, proprio perché questa carica ha dato loro un lustro particolare.

Anche di fronte a queste considerazioni mi sembra che una proposta di questo genere non sia assolutamente accettabile.

Credo che l’unica sanzione sia quella dell’opinione pubblica, quella del popolo, il quale, se trova che un suo rappresentante non ha agito corrispondentemente alle norme della correttezza e della giustizia, potrà non rieleggerlo. Ci sarà la sanzione popolare, che è l’unica, la vera; saranno gli elettori che non rieleggeranno quei deputati che non hanno fatto come meglio avrebbero potuto e dovuto.

Ora, per queste ragioni, ritengo che questo emendamento non possa essere accolto, e ve lo dico io che non ho nessun incarico e che ho cercato semplicemente di svolgere in questa Assemblea nel modo migliore il mio compito, cercando di essere sempre presente e rinunziando a qualsiasi provento. Io dico che, proprio per questo, è assolutamente necessario non fare alcuna discriminazione fra deputato e deputato, perché rischieremmo di commettere ingiustizie profonde ai danni di qualche categoria di deputati.

Se esaminiamo a fondo la questione, vediamo che vi sono delle situazioni talmente diverse, talmente complicate, che non è possibile mettere una norma di questo genere nella Costituzione.

Ci sarà la legge elettorale e lì potremo meglio specificare e vedere se vi siano da prevedere determinate incompatibilità; ma mettere nella Costituzione una disposizione di questo genere non solamente determinerebbe sperequazioni profonde, ma suonerebbe anche disistima, verso il popolo, in quanto sarebbe come insinuare che esso non arriva a saper scegliere quelli che sono più degni di essere i suoi rappresentanti. (Applausi).

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dichiaro di votare il testo della Commissione. Riconosco bensì necessario che una legge precisi le incompatibilità parlamentari; riconosco che è opportuno che coloro i quali si presentano come candidati alla deputazione sappiano sino da quel momento di fronte a quali incompatibilità vanno incontro; ma non convengo con l’onorevole Calamandrei che oggi, così affrettatamente, si decida tanto delicata materia che porta a ripercussioni economiche e morali profonde.

Onorevole Calamandrei, la questione è ben più complessa di quel che non si rilevi dal testo del suo emendamento. Io mi limiterò a ricordare – ed è tradizione nobilissima del nostro Parlamento – che nel 1919 la Camera dei Deputati votò all’unanimità un semplice ordine del giorno su proposta di Eugenio Chiesa, con il quale si riteneva incompatibile per i deputati l’esercizio professionale dell’avvocatura nelle cause in cui lo Stato fosse parte o avesse comunque degli interessi.

Ebbene, senza che questo ordine del giorno venisse mai convertito in legge, il Parlamento italiano lo ha sempre scrupolosamente rispettato, fino all’avvento del fascismo. Vi era anzi qualcuno che eccepiva l’incompatibilità generica fra l’esercizio del mandato parlamentare e l’esercizio dell’avvocatura, in quanto – si diceva – che da parte del deputato influente si sarebbe potuto esercitare un’indebita pressione sull’autorità giudiziaria.

Sono argomenti questi, onorevoli colleghi, che vanno trattati con ponderazione e larghezza d’indagini; soprattutto si dove valutare il fatto che non si può limitare eccessivamente l’attività privata del deputato, per evitare il pericolo che egli diventi un mestierante della politica. Si diceva infatti un tempo, che il deputato, prima ancora di entrare in Parlamento, dove essere un cittadino che viva del proprio lavoro come tutti gli altri, tanto vero che l’indennità per un certo tempo non costituiva che un appena parziale rimborso di spese.

Temo che approvando l’emendamento presentato dall’onorevole Calamandrei, si potrebbe rendere il deputato un professionista della politica, e quindi un elemento parassitario nella vita del Paese. Lasciamo quindi impregiudicata la questione della quale si parlerà nella discussione della legge elettorale. Vuol dire che da questa anticipata delibazione dell’argomento la Commissione competente trarrà argomento per presentare più meditate proposte.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, io vorrei precisare un argomento formale che è stato delineato anche attraverso la discussione di questa mattina. Questa mattina – l’onorevole Calamandrei era assente, se non erro – noi abbiamo approvato l’articolo 62 in cui è detto che la legge determina i casi di incompatibilità con l’esercizio della funzione di deputato o di senatore. Ora, quanto è sancito nel testo dell’emendamento dell’onorevole Calamandrei si risolve in un caso di decadenza, e io non vedo perché noi questa specifica figura la dobbiamo fissare nella Costituzione, mentre tutte le altre cause di ineleggibilità e di incompatibilità, che possono anche essere gravi, le dobbiamo rinviare alla legge.

Io credo che la legge è la sede opportuna, perché tutte le figure di ineleggibilità e di incompatibilità preventive o successive di decadenza siano previste, anche perché la legge ha una maggiore mobilità della Costituzione. Mentre la Costituzione è qualche cosa che deve, o dovrebbe, restare senza modificazioni più a lungo possibile, la legge subisce le influenze dei tempi, delle visioni politiche che mutano, e quindi può meglio adattarsi alle diverse situazioni. Cosicché quello che diceva l’onorevole Ruini acquista veramente rilievo, perché oggi esiste, si può dire, un controllo dello Stato su tutti gli enti. Infatti, chi ha pratica di cose di diritto, sa quanto è difficile stabilire se ci sia il controllo e la vigilanza, e dove sia questo controllo. Si tratta di questioni molto astruse, perché oggi lo Stato interviene dappertutto, oggi non vi sono limiti alla sfera di ingerenza dell’attività statale nell’attività privata. Qual è oggi l’ente che, in un certo senso, non si possa dire che sia controllato dallo Stato?

Io credo che questi problemi seri e meritevoli di studi profondi, che sono stati sottoposti al nostro esame dalla proposta dell’onorevole Calamandrei, vadano risolti in quella legge speciale che si occuperà delle cause di ineleggibilità e incompatibilità.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Io non ho trasecolato come l’amico Lucifero; ho cercato di rendermi conto dei motivi che potevano aver indotto l’onorevole Calamandrei a proporre il suo emendamento. E francamente, pur mettendomi nella sua direzione di pensiero, non sono riuscito a comprendere quella diversità che nella sostanza si sarebbe venuta a creare tra coloro che accettano incarichi statali o parastatali, o come li si voglia chiamare, e coloro i quali accettano incarichi da società private, che non sono i meno lauti e che anzi, il più delle volte, sono i meglio retribuiti.

D’altra parte, devo dire all’onorevole Calamandrei che sono completamente scettico sulla possibilità di fissare attraverso delle disposizioni di legge l’onestà di un Parlamento. Io penso che questa onestà debba vivere nella coscienza degli uomini e che, comunque, la legge è assolutamente insufficiente e assolutamente inidonea a questo fine.

Collimo, poi, con le osservazioni fatte dai precedenti oratori.

Per questi motivi, voterò contro l’emendamento Calamandrei.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Se il collega onorevole Calamandrei avesse conservato il primo emendamento al primo comma, io, in coscienza, per la parte centrale dell’emendamento che comincia dalle parole «Ai componenti del Parlamento» e finisce con «ufficio parlamentare», avrei votato a favore.

Ma dicendosi «‘incarichi retribuiti» a me pare che ciò non significhi includere il caso dei professori universitari, dei professori di liceo o di ginnasio, ecc., perché quelli non sono incarichi. «Incarico», se non mi sbaglio – e il collega onorevole Calamandrei può correggermi – vuol dire tutt’altra cosa. Incarico, secondo me, è per esempio quello di un presidente del consiglio d’amministrazione di una società industriale, o di un consigliere delegato, ecc., ecc.

Mi pare che questo sia il caso dell’incarico. Quindi, in coscienza, io voto a favore di questa parte. Però, non mi pare che sulla questione si debba chiedere l’appello nominale, perché colleghi e amici miei su questo la pensano differentemente e votano quindi in modo differente. Il che mi fa immediatamente comprendere che l’appello nominale non ha più alcun significato.

Perciò vorrei pregare i colleghi, che intendevano su questo chiedere la votazione per appello nominale, di non presentare più tale richiesta.

PRESIDENTE. C’è anche una richiesta di scrutinio segreto, onorevole Lussu!

LUSSU. E pregherei anche i colleghi che hanno presentato questa richiesta di ritirarla.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Mi associo ai rilievi fatti dall’onorevole Lucifero e dagli altri colleghi.

Io credo che il deputato abbia due luci che devono illuminargli la vita: la propria coscienza e l’interesse del corpo elettorale. Sono due luci che costituiscono insieme due limiti.

Ora, se questi limiti sono stati rispettati, il deputato è libero di fare quello che egli crede e di assumere incarichi che la sua probità e la sua sensibilità gli permettono di accettare. Ecco le ragioni per le quali io dichiaro di votare contro l’emendamento.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Mi associo a quanto ha brillante mente detto l’onorevole Lucifero ed aggiungo che l’onorevole Calamandrei è partito da un presupposto, secondo me, errato, poiché egli ha sostenuto che l’Assemblea Costituente è circondata da un grande discredito.

Ora io affermo invece, che il popolo italiano segue attentamente il nostro lavoro e penso quindi, che la valutazione dell’onorevole Calamandrei sia del tutto soggettiva.

Per questo io voterò contro l’emendamento Calamandrei.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, mi associo all’osservazione fatta dall’onorevole Bozzi che – in base all’articolo 62, che noi abbiamo già approvato – questa materia dev’essere regolata dalla legge speciale.

Ricordo a me stesso il tenore dell’articolo 62: «la legge determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E aggiunge: «e le cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità».

TARGETTI. Però, siccome si potrebbe essere d’accordo di rinviare alla legge elettorale, tanto essendo contrari quanto essendo favorevoli ai concetti che hanno ispirato l’emendamento dell’onorevole Calamandrei, per ciò che mi riguarda (e coerentemente a quello che ho avuto occasione di sostenere nei lavori della seconda Sottocommissione), in massima io sono favorevole alle preoccupazioni che ispirano l’emendamento dell’onorevole Calamandrei.

Bisogna tener presente che, di ciò che egli ha detto, nella illustrazione del suo emendamento, non tutto è stato incluso nell’emendamento stesso. A proposito dell’esercizio della professione dell’avvocato, si potrebbe aggiungere anche l’esercizio di qualche altra professione. Anzi vorrei dire che, tolta la professione del medico, quasi tutte le altre professioni offrono vantaggi e facilitazioni a chi le esercita ricoprendo la carica di deputato. E non solo le professioni: ma vi sono tante altre forme di attività sociale, che purtroppo ricevono queste facilitazioni.

Tutti questi problemi però non sono considerati dall’emendamento Calamandrei che riguarda, come i colleghi sanno, dei fatti, delle ipotesi specifiche, le quali, articolate forse in un modo un po’ diverso, non possono non costituire casi di incompatibilità.

Per queste considerazioni io sono d’accordo che non sia questa la sede di regolare questa materia. Tuttavia ho ritenuto opportuno fare queste dichiarazioni e ribadisco che in linea di massima, io sono nell’ordine di idee dell’onorevole Calamandrei.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire che non faccio mie alcune osservazioni che ho sentito echeggiare in questa discussione; che cioè non c’è niente da fare, e non si possono trovare norme per evitare gli inconvenienti accennati dall’onorevole Calamandrei; non c’è che la coscienza, il costume, eccetera. No; riconoscendo che le preoccupazioni dell’onorevole Calamandrei hanno un fondamento giusto e morale, credo che si debbano tener presenti in sede opportuna; e si debba cercare, per quanto è possibile, di trovare norme adatte. Credo che si debbano considerare non solo incarichi dello Stato, ma anche di società ed aziende private. Ma non si può mettere tutto ciò nella Costituzione; tanto meno nella formulazione Calamandrei, che si presta ai rilievi da me già fatti.

Penso che l’onorevole Calamandrei potrebbe tener presenti queste esplicite dichiarazioni del Comitato, fatte proprie dall’Assemblea; ed acconsentire ad un rinvio alla legge ed al Regolamento della Camera.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io prego l’Assemblea di mettere fine a questa discussione che è completamente inutile. Il testo dell’articolo è semplice e chiaro: non avrebbe dovuto dar luogo ad alcuna discussione. Esso dice soltanto, che i membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge. È questa una disposizione così chiara e così semplice che non meritava tutta questa dissertazione.

Di che discutiamo? Di cose assurde. I membri del Parlamento hanno diversa situazione: devono ricevere diverse indennità. Vi pare serio? E quale Parlamento mai ha discusso su questo?

Tutto al più può essere materia di regolamento, o di leggi speciali. Ma non si può in questa materia decidere in blocco con una disposizione costituzionale. Il fatto che i membri del Parlamento possono avere altre cariche non costituisce materia per le norme della Costituzione.

I membri del Parlamento possono avere altri uffici? In quale misura? Con quali limiti? Se ne discuterà in sede opportuna. Qui basta affermare che i membri del Parlamento hanno diritto ad una indennità. E finiamola con le assurde differenziazioni, come la differenziazione di tessera per il pane.

Credete che sia semplice discutere queste cose? Volete che non lo Stato, non il Governo, ma il nostro Parlamento decida, se si può, caso per caso. Mettiamo fine a queste discussioni che ci hanno fatto perdere gran parte della seduta e che, potete esserne sicuri, nessuno di noi prevedeva, perché l’articolo era così semplice e la questione così chiara che non meritava veramente la perdita di tanto tempo.

Prego, quindi, l’Assemblea di votare l’articolo come è stato proposto dalla Commissione. Le questioni singole le vedremo caso per caso, quando si tratterà dei vari argomenti.

PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, le domando se mantiene il suo emendamento.

CALAMANDREI. Onorevole Presidente, io vorrei chiarire ai colleghi (dolendomi che l’onorevole Nitti mi abbia mosso un rimprovero per aver fatto perdere tempo all’Assemblea, mentre credo che nelle mie abitudini non ci sia l’uso di farlo perdere troppo spesso… In ogni seduta noi siamo lieti di ascoltare i lunghi discorsi dell’onorevole Nitti; ma quasi in nessuna seduta l’Assemblea deve perdere tempo con l’ascoltare i discorsi tanto meno autorevoli di colui che qui vi parla) vorrei spiegare, ripeto, ai colleghi che nel secondo comma del mio emendamento è contenuto un concetto che potrà essere discutibile ma che è chiaro; perché, mentre la posizione degli impiegati che diventano deputati, ed il divieto fatto a questi impiegati di conseguire promozioni o incarichi nel loro impiego mentre sono deputati, è materia di un altro articolo che si trova già nel progetto della Commissione, questo mio emendamento mira a prevenire ed a vietare quell’inconveniente del quale sembra che oggi gli oratori di questa Camera siano ignari, mentre si tratta proprio di quell’inconveniente sul quale è stata ordinata da questa Assemblea un’inchiesta generale, e la Commissione degli Undici ha lungamente indagato, con un lavoro di statistica su schede che tutti noi abbiamo dovuto riempire, che è durato molti mesi. Si trattava allora, come ricorderete, di accertare quali sono i deputati che hanno incarichi pubblici retribuiti di nomina governativa: come può essere quello di commissario o di sequestratario di un ente parastatale, o di presidente di un istituto bancario, o qualsiasi altro di questa natura qualunque ne sia la denominazione. Proprio su questi incarichi la Commissione degli Undici fu invitata a indagare: non si tratta dunque di materia nuova e misteriosa.

Ora, onorevoli colleghi, quando il Governo è chiamato, in casi come quelli su cui la Commissione degli Undici indagò, a nominare alcuno ad un pubblico ufficio ed invece di nominare una persona qualificata per i suoi requisiti tecnici, nomina un uomo politico del proprio partito, si può pensare che i criteri che hanno guidato il Governo a questa nomina siano stati criteri non tecnici, come avrebbero dovuto essere, ma politici; e questo è un motivo di corruzione parlamentare, perché può portare a mettere ai posti di comando non gli uomini tecnicamente più degni, ma quelli più graditi al partito che in quel momento è al Governo; e altresì perché in questo modo il mandato parlamentare, in coloro che sperano di trarre un lucro appunto dal conseguire questi incarichi, rischia di degenerare in una specie di caccia a questi incarichi: sicché può temersi che il deputato svolga la sua attività politica non in conformità degli interessi pubblici, ma in vista della possibilità di conseguire questi incarichi lucrosi.

Tutto questo, onorevoli colleghi, sarà un linguaggio ingenuo, ma è un linguaggio chiaro, perché proprio su questo fu chiamata a indagare la Commissione degli Undici formata da voi; e se con questo mio emendamento si cerca di prevenire che si ripetano per l’avvenire inconvenienti simili a quelli su cui la Commissione degli Undici fu chiamata a indagare, mi pare che non ci sia da meravigliarsi… Quindi io mantengo il secondo e il terzo comma del mio emendamento. Non tengo a che su di esso si voti per appello nominale. Si può votare per alzata e seduta; e se in questa votazione per alzata e seduta l’unico ad alzarsi sarò io, non mi avrò a male se voi mi darete dell’ingenuo; ma io stasera andrò a casa con la coscienza tranquilla.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Calamandrei ha rinunciato al primo comma del suo emendamento, possiamo votare il testo della Commissione. Gli altri due commi dell’emendamento Calamandrei si devono considerare come emendamenti aggiuntivi al testo della Commissione.

Pongo in votazione l’articolo 66 nel testo della Commissione:

«I membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge».

(È approvato).

Sopra i due commi aggiuntivi dell’onorevole Calamandrei ho ricevuto una richiesta di scrutinio segreto a firma degli onorevoli, Meda, Corbino, Candela, Castelli Avolio, Rodinò Mario, Codacci Pisanelli, Caronia, Siles, Orlando Camillo, Romano, Dominedò, Quarello, Balduzzi, Valenti, Avanzini e altri. Domando se è mantenuta.

CODACCI PISANELLI. La ritiriamo.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Sottopongo a lei, signor Presidente, questo problema. Siccome io ed altri colleghi abbiamo fatto la proposta di rimandare la soluzione di questa questione alla legge elettorale, non crede lei che sia opportuno interrogare prima l’Assemblea su questo punto?

GASPAROTTO. Siamo tutti d’accordo.

PRESIDENTE. Coloro che saranno incaricati di redigere la legge elettorale avranno senz’altro facoltà, se lo ritengono opportuno, di riprendere il concetto e di immetterlo. Non so se è nella sua intenzione che una decisione dell’Assemblea divenga impegnativa per la Commissione per la legge elettorale. Lei propone che l’Assemblea deliberi di rimettere questa formulazione alla Commissione che esaminerà la legge elettorale; ma con una tale votazione l’Assemblea impegna la Commissione della legge elettorale a includerla.

TARGETTI. Impegno me stesso, ma non Assemblea.

PRESIDENTE. I componenti della Commissione per la legge elettorale sono presenti nell’Aula e terranno conto della discussione di questo argomento e dei pareri espressi.

TARGETTI. Lo scopo della mia proposta sarebbe questo: portare l’Assemblea ad affermare che la materia non è di competenza della Carta costituzionale, ma dev’essere regolata dalla legge elettorale.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. A nome del Gruppo comunista dichiaro che, se avessimo la certezza che nella legge elettorale sarebbe incluso questo principio, noi voteremmo a favore del rinvio.

Ma, poiché il modo come si pone la questione non dà questa certezza, noi voteremo a favore dell’emendamento Calamandrei. (Commenti).

PRESIDENTE. Ritengo che, poiché l’emendamento Calamandrei è presentato e l’Assemblea ne è investita, questa debba votare. Successivamente, nella ipotesi che l’Assemblea non approvasse in sede costituzionale il testo dell’onorevole Calamandrei, c’è sempre la possibilità di invitare la Commissione per la legge elettorale ad esaminare se non sia materia eventualmente della legge elettorale.

COSATTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. La proposta fatta dagli onorevoli Gasparotto, Targetti ed altri ha una vera portata sospensiva nella decisione.

PRESIDENTE. Non l’hanno formulata come tale.

COSATTINI. Ho detto che ha portata sospensiva, perché una volta che l’Assemblea decidesse di rimettere la questione alla Commissione per la legge elettorale, essa non avrebbe più ragione di continuare la discussione.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Desidero fare osservare all’onorevole Targetti che la sua proposta è stata già votata ed accettata, perché noi abbiamo votato l’unico comma dell’articolo 66, il quale prevede proprio il rinvio alla legge elettorale: «I membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge». Siamo tutti d’accordo che la legge dovrà fissare ed eventualmente dovrà o no limitare l’indennità.

Noi chiediamo con la reiezione dell’emendamento Calamandrei che questa discussione non avvenga, demandando al legislatore di quella tale legge, alla quale ci richiamiamo, di decidere come meglio riterrà opportuno.

PRESIDENTE. Mi permetto di richiamare l’attenzione dell’onorevole Cosattini sulla disposizione regolamentare, la quale esclude che si possa proporre la sospensiva per gli emendamenti.

Quindi la proposta di sospensiva non può essere accolta.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Data la delicatezza dell’argomento, ritengo che si debba votare a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata una domanda di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli: Lucifero, Rodi, De Maria, De Martino, Di Fausto, Benedettini Raimondi, Codacci Pisanelli, Montini, Pecorari, Rapelli, Delli Castelli Filomena, Colitto, Burato, Perugi, Capua, De Unterrichter Maria, Genua, Sullo, Buonocore.

Precisiamo allora cosa votiamo e come si vota. Dobbiamo procedere alla votazione per scrutinio segreto dei due commi aggiuntivi all’articolo 66 proposti dall’onorevole Calamandrei di cui do lettura:

«Ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nella Amministrazione pubblica centrale o locale, né in enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato; l’accettazione di uno di tali incarichi è causa di decadenza dall’ufficio parlamentare.

«Solo in caso di pubblica utilità detti incarichi possono essere conferiti per nomina deliberata da ciascuna Camera».

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione.

Presidenza del vicepresidente CONTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     292

Maggioranza           147

Voti favorevoli        125

Voti contrari                        167

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele– Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonino – Bonomi Paolo Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Calamandrei – Camangi – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Caristia – Caronia – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Guariento – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Jervolino.

Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Mariani Enrico – Martinelli – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Mazzei – Meda Luigi – Merlin Angelina – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Perassi – Perlingieri – Perugi – Pesenti – Piccioni – Pieri Gino – Pignedoli – Pistoia – Ponti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Santi – Sartor – Scalfaro – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Sullo Fiorentino.

Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosi – Trimarchi – Tripepi –Tupini.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Vernocchi Veroni – Vicentini – Vigna – Villani.

Zaccagnini – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Carmagnola – Caporali – Caroleo – Caso – Cevolotto.

Dugoni.

Jacini.

Martino Enrico – Martino Gaetano.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Sapienza – Sardiello.

Per un comizio elettorale nei pressi di Montecitorio.

PAJETTA GIANCARLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAJETTA GIANCARLO. Domando scusa all’onorevole Presidente e agli onorevoli colleghi se chiedo di parlare non sull’argomento che voi state trattando in questo momento. Ma, mentre qui si vuole fondare la Repubblica, a cento, a cinquanta metri di qui le forze di polizia di un Governo, che dovrebbe essere il Governo della Repubblica, stanno proteggendo i banditi, gli assassini dei nostri fratelli, dei delinquenti, che hanno gridato in faccia a me e in faccia ai vostri colleghi: «Viva i repubblichini! Viva i tedeschi! Viva il duce!».

Qui vi sono dei deputati che dovrebbero sentire lo sdegno per questo fatto che oltraggia il Parlamento italiano e Roma, capitale della Repubblica! Qui vi sono dei membri del Governo, e tra essi vedo l’onorevole Andreotti che è molto vicino al Presidente del Consiglio, i quali dovrebbero vergognarsi della condotta di questi rinnegati e delle forze di polizia. Uscite di qui! Venite con noi, membri del Governo! Andate a vedere! Qui non si tratta di una inchiesta parlamentare, non si tratta di mandare sul luogo un Sottosegretario o un Ministro! Potete vedere voi stessi i vostri poliziotti all’opera, i vostri poliziotti che dovrebbero essere gli agenti della Repubblica!

Vi sono centinaia di uomini che hanno tentato di percuoterci e di insultarci, gridando il nome dei fascisti, il nome di Mussolini. Io e i deputati antifascisti abbiamo gridato che Mussolini l’abbiamo impiccato a Piazza Loreto. (Vivi applausi a sinistra).

L’Italia non è soltanto quella del Governo della tolleranza e della complicità, di un Governo che sta diventando il Governo della vergogna! L’Italia è l’Italia di coloro che hanno vinto il fascismo e se voi non sapete fare altro, toglietevi di mezzo, se non sapete impedire che il fascismo ritorni a Roma e in tutta l’Italia. (Vivissimi applausi – Si grida: Abbasso il fascismo!).

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. Aderisco alle parole di protesta e di sdegno dell’onorevole Pajetta, sicuro di interpretare l’opinione del gruppo parlamentare del partito socialista italiano. Qui, a cinquanta passi da Montecitorio, si è suonata la marcia reale e si sono suonati tutti gli inni fascisti.

BENEDETTINI. Che c’entra la marcia reale con gli inni fascisti? (Vivissime proteste – Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio! Onorevole Benedettini, non si dimentichi che questa è l’Assemblea Costituente della Repubblica italiana e che, se nella Repubblica italiana ogni parere ed ogni opinione politica rispettosi delle leggi costituite hanno il diritto di manifestarsi, non bisogna tuttavia trarne la conseguenza che si possa dimenticare ciò che è costata al popolo italiano la conquista della Repubblica. (Vivissimi, prolungati applausi – Si grida: Viva la Repubblica!).

Io vorrei che anch’ella si rendesse conto di ciò che è compatibile nel quadro della nuova realtà repubblicana e di ciò che non è ammissibile. La sua veemente protesta di poco fa, per esempio non era la più opportuna in questo momento.

Onorevole Sansone, continui pure.

SANSONE. Io dicevo che il comizio del cosiddetto M.S.I. si è iniziato poc’anzi al suono della marcia reale e di tutti gli inni fascisti, mentre la polizia è rimasta impavida a guardare ed a sentire. È logico che tale comportamento ha provocato delle reazioni, delle proteste, cui hanno preso parte anche i colleghi Amendola e Pajetta: ebbene, la polizia ha manganellato coloro che protestavano. (Rumori prolungati).

PRESIDENTE. Lascino parlare l’onorevole Sansone.

SANSONE. Questa è la situazione che ho potuta constatare io, con altri, un quarto d’ora fa.

E tuttora il comizio continua con una forma di irrisione alla Repubblica, alle libertà democratiche. È un partito, onorevoli colleghi, che ha come suo immediato programma politico questo motto: «Ripulire il Campidoglio, per poi ripulire Montecitorio», nel che si esprime una profonda offesa per la democrazia.

E voi siete silenziosi, mentre l’offesa incalza per tutti. (Interruzioni – Rumori).

E mi sia consentito dire all’Assemblea che non dovrebbero esservi divisioni tra noi, ma invece un’unione dell’Assemblea contro questo che è un serio pericolo per la democrazia italiana. (Interruzioni al centro).

Perciò io dicevo che dovremmo essere tutti in piedi a protestare contro questa manifestazione pericolosa.

Chiedo, signor Presidente, che il Governo, qui presente, dia delle assicurazioni all’Assemblea. Che il Presidente del Consiglio assicuri che il Ministro dell’interno vieterà queste manifestazioni, che non sono manifestazioni di libertà democratiche conquistate, ma sono invece l’espressione di chi per venti anni ha irriso al Parlamento, ha irriso e calpestate tutte le libertà, e ora si vuole valere di questi mezzi per ripristinare il fascismo.

Questa protesta io elevo a nome del Gruppo del partito socialista italiano, e attendo le assicurazioni del Governo. (Vivi applausi a sinistra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio. dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi sono informato dei fatti a cui si è accennato. Sono passato dieci minuti fa, facendo il solito giro per venire all’Assemblea, e non mi ero accorto che di grida molto lontane. (Commenti a sinistra). Questo, dieci minuti o un quarto d’ora fa. Ad ogni modo, sono intervenuto subito presso il Ministro dell’interno, domandando spiegazioni perché e come si possano tenere comizi di qualsiasi specie (e ne dirò la qualità) nelle vicinanze immediate dell’Assemblea. Il Ministro dell’interno non era informato. (Interruzioni – Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Tutti i muri di Roma sono tappezzati di manifesti che indicono il comizio.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Poco fa, quando mi avete visto, dopo una breve presenza, scomparire, sono stato chiamato al telefono dal Ministro dell’interno, il quale mi ha detto che era un comizio non autorizzato assolutamente… (Interruzioni a sinistra – Rumori – Commenti).

Disgraziatamente, negli ultimi giorni prima delle elezioni, questi comizi non autorizzati sono improvvisati spesso in molte piazze. (Proteste e interruzioni all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, per favore, onorevoli colleghi. Se hanno qualche cosa da dire chiedano di parlare.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Aggiungo che il Ministro dell’interno ha dato subito l’ordine alla polizia di sciogliere il comizio e di impedire a tutti i costi che specialmente nelle vicinanze della Camera si improvvisino comizi di qualsiasi specie. (Approvazioni al centro – Rumori – Commenti a sinistra). Aggiungo che solo ora ho avuto notizia – e credo che me ne avete informato voi direttamente – che vi sono state delle grida, chiamiamole pure, di carattere sovversivo, se sono dirette contro la Repubblica, e di carattere provocatorio, se riprendono certi toni e certe canzoni del passato che non hanno diritto di esistere, non perché siano una opinione (perché tutte le opinioni sono rispettabili) ma perché sono una provocazione. (Applausi).

Aggiungo che, salva sempre la libertà di ogni partito e di ogni movimento per quello che è sostanziale e compatibile con la democrazia, il Governo sente il dovere di difendere, se sarà necessario, la democrazia, la libertà, la Repubblica, e che lo farà con tutti i mezzi a sua disposizione!

Aggiungo che, secondo la mia opinione (e non so se mi sbaglio), la certezza e la sicurezza di queste istituzioni, passate ormai nel sangue e nella convinzione del popolo italiano, sono tali che io credo esagerato l’allarme che si dà. (Vivi applausi al centro).

In ogni modo, l’ordine è stato dato come se il pericolo veramente esistesse. Ma io credo che, se noi su questo siamo d’accordo, di rispettare la libertà di tutti e di non usare la violenza (perché disgraziatamente non è solo qui che è stata usata la violenza, che non dev’essere usata contro nessun partito), se veramente questa legge fondamentale della democrazia si incarna nei nostri metodi e nella nostra coscienza, la Repubblica in Italia non ha niente da temere e la democrazia siamo disposti a difenderla con qualunque mezzo e; soprattutto, siamo disposti a difendere la libertà e la dignità del Parlamento. (Vivissimi applausi al centro – Commenti).

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Signor Presidente, io volevo semplicemente fare un chiarimento a seguito del richiamo che ella mi ha fatto.

Io non ho difeso né voglio difendere quelli che stanno qui fuori offendendo il sentimento di italiani che hanno sofferto.

Io voglio fare una precisazione. Siccome ho inteso dire che si è suonata la marcia reale insieme ad inni fascisti, tengo a dichiarare che non permetterò mai che qui dentro si confonda ancora una volta la propaganda monarchica con quella neofascista. (Interruzioni a sinistra).

Noi monarchici abbiamo fatto e stiamo facendo comizi, in base a quelle libertà democratiche che ce li hanno consentiti, per sostenere una nostra ideologia che non ha nulla a che vedere con quello che sta facendo il Movimento sociale italiano, che fra l’altro è un movimento repubblichino. (Commenti).

LACONI. Signor Presidente, in questo istante la polizia carica i deputati sulla piazza, i deputati che rivendicano il diritto di gridare «Viva la Repubblica»! Il Governo che cosa fa? (Rumori al centro – Interruzioni).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. È da molti anni che noi lottiamo per la libertà, e la bandiera intorno alla quale noi tutti ci siamo riuniti portava scritto: libertà per tutti, non per i fascisti. Oggi voi avete tradito questa formula. (Approvazioni a sinistra – Rumori vivissimi – Proteste al centro).

Quando parliamo di fascisti non intendiamo dire gli ex fascisti che oggi vogliono manifestare una opinione politica in un partito qualsiasi, ma parliamo di coloro che si presentano oggi come fascisti e che rivendicano il fascismo.

Ora, in queste condizioni, quando un deputato sulla soglia di Montecitorio lancia il grido: «Viva la Repubblica!» e la polizia interviene per impedirglielo, noi vi diciamo… (Interruzioni al centro).

Io voglio richiamare l’attenzione dell’Assemblea…

Una voce al centro. Onorevole Presidente, voglia richiamare il pubblico delle tribune che sta interpellando i deputati.

PRESIDENTE. Ha ragione. Non me ne ero accorto. Rammento al pubblico delle tribune che non deve assolutamente intervenire in ciò che avviene nell’Aula, altrimenti faccio sgombrare le tribune.

Onorevole Scoccimarro prosegua.

SCOCCIMARRO. Io ricordo che una molteplicità di episodi sono andati susseguendosi in questi ultimi tempi. Dopo la bomba di Milano c’è quella di Genova e di altre città dove si sono compiuti attentati contro le organizzazioni democratiche. Si tratta di episodi che si ripetono a periodi sempre più brevi e che rispondono ad un piano organizzato.

Non è per noi soli, onorevoli colleghi, che parliamo, ma anche per voi: il giorno che le nostre organizzazioni venissero distrutte, verrebbero poi distrutte anche le vostre.

Ora io desidero fare una dichiarazione, e prego l’onorevole Presidente del Consiglio di non ritenere che le parole che io pronuncerò in questo momento siano dovute ad un atto impulsivo od a contingente esagitatone d’animo: contro le forze democratiche si va creando piano piano una situazione assai pericolosa. Se le forze dello Stato non si dimostrano capaci di tutelare la nostra libertà, noi vi provvederemo direttamente con nostri mezzi. (Vivissimi applausi a sinistra – Rumori vivissimi al centro e a destra – Interruzioni).

Vi sono momenti che impongono di assumere responsabilità dirette, e noi ce le assumiamo. (Commenti al centro).

Voci a destra. Ma questo argomento non è all’ordine del giorno!

PRESIDENTE. Onorevoli deputati, dal momento che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha accettato di rispondere in questa questione, ritengo che la loro osservazione sia assolutamente inopportuna, ed è questa la ragione per la quale prego l’Assemblea di continuare ordinatamente questa discussione.

SCHIRATTI. Se non erro, l’ordine del giorno lo modifica l’Assemblea. Questo per Regolamento.

SCOCCIMARRO. Io desidero richiamare l’attenzione del Governo su un fatto. Noi tutti abbiamo fatto l’esperienza degli anni dal 1920 al 1922 e noi sappiamo che un Governo, il quale oggi si pone nella stessa posizione in cui si posero i governi di quel tempo, non può tutelare la libertà contro l’azione fascista: anche se non lo vuole obiettivamente, esso aiuta lo sviluppo del fascismo. Voi state commettendo gli stessi errori del 1922. Io non posso credere che volontariamente l’onorevole De Gasperi voglia aiutare il fascismo, ma di fatto la sua politica porta a questo risultato. Quando da un errore passato non si trae nessun insegnamento per l’avvenire, allora le responsabilità diventano ancora maggiori. Noi dobbiamo protestare e richiamare il Governo al suo dovere di far rispettare la legge. Onorevoli colleghi, che garanzia può dare alla Repubblica una polizia che si comporta come si è comportata ora la Celere dinanzi a Montecitorio? Che garanzia può dare una polizia che difende chi canta gli inni fascisti ed interviene contro chi grida «Viva la Repubblica, Viva la Democrazia»? Una polizia così diretta, così ispirata non può dare nessuna garanzia a tutela delle libertà democratiche. Ora si dice: noi difenderemo la Repubblica e la democrazia. Ma voi la difendete in modo tale da non dare nessuna garanzia, perché lasciate la possibilità… (Rumori al centro).

Tenga presente il Governo che tutelare la libertà vuol dire dare garanzia alle forze democratiche, che non si lascia via libera al fascismo, come si fa oggi. Quando l’azione dello Stato, l’azione del Governo è quella che è stata oggi in Piazza Montecitorio, allora, signori, può anche avvenire che dovremo provvedere noi stessi a difendere Montecitorio! (Approvazioni a sinistra – Rumori al centro – Commenti).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io ho creduto di compiere un dovere sostanziale del Governo, al di là di quello che possa essere l’ordine del giorno, rispondendo. Comunque, ho risposto guardando la sostanza delle cose, ed ho creduto mio dovere di rispondere su quel tanto che mi era noto, e per quel tanto che è nei propositi e nel programma del Governo. Evidentemente non possiamo in questa sede e per questo incidente allargare più oltre la discussione. Però devo constatare:

1°) non è stato dato il permesso al comizio. Il comizio si è improvvisato, si è fatto all’improvviso come disgraziatamente avviene spesso;

2°) il comizio è stato sciolto. Mi si annuncia adesso che dinanzi a Montecitorio non c’è nessuno, perché il relativamente esiguo numero va scomparendo da Piazza Colonna. Quindi non aumentiamo le proporzioni del fatto. Il fatto è deplorevole, e lo deploro. Ho dato assicurazioni, che corrispondono al mio sentimento, al mio proposito sia riguardo alla libertà democratica sia alla Repubblica; non posso credere che ci sia un deputato, per quanto autorevole, che sia autorizzato a dedurre da questo incidente o da un contegno di un Governo che ha cercato sempre di mantenere la disciplina, il diritto di difendere con le armi, eventualmente, la propria causa. (Vivi applausi al centro e a destra – Commenti).

Questo era il linguaggio anche del 1918 e del 1922, di altri che venivano da sinistra e che hanno usato simili mezzi che non possiamo tollerare. (Applausi al centro e a destra).

Aggiungo che se saranno accertati degli errori o delle colpe da parte dell’Autorità di pubblica sicurezza, verrà proceduto sul serio a difesa della democrazia e della Repubblica; e vi prego non di usare parole che lascino intendere che si possa ritornare ad una qualsiasi forma di guerra civile, ma di unirvi con me con un senso di unità repubblicana nella quale c’è l’unità della Nazione. Non bisogna lasciar credere né all’interno né all’estero che ci sia un Governo che permette che l’ordine pubblico venga difeso da una parte contro l’altra. (Vivi applausi al centro – Commenti).

Vi prego di prendere atto di questo fatto; di ridurre le proporzioni dell’incidente a quelle che sono; ma di prendere atto soprattutto dei nostri propositi, del nostro programma, del nostro sentimento, che in questo è unito a voi quando si tratta di difendere le istituzioni, ma che non può assolutamente concedere che una parte, per rappresaglia, si ritenga in diritto di difenderle per conto suo. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Commenti).

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l’annuncio che ci ha dato il collega Pajetta poco fa non poteva non essere sentito profondamente da me. Credo di essere un repubblicano fedele alla Repubblica. Mi sono preoccupato delle sue gravi parole. Ho atteso che il Governo rispondesse. Ho seguito i colleghi sulla Piazza Montecitorio per accertarmi della realtà di questo fatto: che sulla Piazza Montecitorio si caricassero dalla polizia i deputati. Sono stato sulla Piazza; ho visto soltanto questo spettacolo: che a Piazza Colonna le jeeps e la polizia caricavano la folla, evidentemente folla riottosa e rivoltosa. Non ho osservato con i miei occhi, che vedono bene, il caricamento dei deputati in Piazza Montecitorio, dove sono pochissime persone.

FARALLI. È intervenuta la polizia!

LI CAUSI. Parli Pacciardi!

CONTI. Ho voluto accertarmi, signor Presidente e onorevoli colleghi, perché io voglio avere la tranquillità che la polizia della Repubblica difende la Repubblica. Io mi rifiuto di allineare preventivamente la polizia tra coloro che combattono la Repubblica con scopi che non voglio indagare. (Approvazioni al centro). Ho la certezza che la polizia risponderà al suo dovere, ho la certezza che chi la dirige ha animo repubblicano. Voglio dire questa parola, che è una testimonianza: il capo della polizia, Ferrari, è un repubblicano dalla giovinezza.

PAJETTA GIANCARLO. È un inetto.

Una voce al centro. Andrà lei al suo posto. (Rumori a sinistra).

CONTI. Onorevoli colleghi, io affermo che con certi sistemi, che non sono abbastanza considerati, noi stiamo per creare una situazione simile a quella del 1922. (Interruzioni e rumori a sinistra – Approvazioni al centro).

Dico, signori, che nel 1922, prima e dopo, ho visto tanti che volevano difendere la libertà, la democrazia, tante altre cose, i quali al momento buono non furono più con noi e con voi. (Rumori a sinistra).

PAJETTA GIANCARLO. Non si indirizzi da questa parte!

Una voce al centro. Siete intolleranti; non amate la libertà e la democrazia. (Vivi rumori all’estrema sinistra).

CONTI. Io ero qui.

Una voce all’estrema sinistra. Al Tribunale Speciale c’eravamo noi, lei no.

CONTI. Io nel 1922 ero qui. (Interruzioni – Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, suppongo che coloro che poco fa hanno commesso atti ignominiosi all’esterno di questo palazzo, sarebbero piuttosto lieti se sapessero che questa discussione, che dovrebbe svolgersi seria e piena di significato, procede invece in questo modo tumultuoso.

È assolutamente impossibile di fronte a troppi di loro dire una parola ponderata e serena. Prosegua, onorevole Conti.

CONTI. Voglio continuare a dire una parola ponderata e serena, onorevole Presidente, e prego i colleghi di ascoltarmi e di riflettere insieme con me. Nel 1922 io ero qui…

TONELLO. Anch’io ero qui! (Vivi rumori al centro e a destra).

CONTI. …ed il 17 novembre del 1922, il giorno dopo il discorso sferzante di Mussolini, quel discorso che altri deputati hanno ricevuto sulla faccia, io ho parlato contro il dittatore e gli dissi parole che mi onorano, gli dissi parole che erano il presagio di queste giornate. Dissi che egli preparava la Repubblica; dissi che io l’avrei fatta anche col diavolo. Con queste parole chiusi il mio discorso.

Ed ora sono qui, cari colleghi, a difendere questo «cencio di Repubblica» (Proteste a sinistra) che gli italiani cominciano ad amare, cominciano a sentire, questa Repubblica che convincerà tutti i dubbiosi perché sarà veramente la consacrazione della libertà e della democrazia, perché sarà la Repubblica che costituirà l’ambiente per tutte le grandi riforme sociali che dovremo serenamente volere per l’avvenire d’Italia. (Approvazioni al centro e a destra). Se noi, in questi momenti, per ragioni che non voglio stabilire, per moventi che dovrebbero essere repressi nello spirito di rivoluzionari e di riformatori veri, se in questo momento si crede che con un episodio o con un altro si possa modificare o migliorare od alterare la situazione politica attuale, io dico a coloro che lo pensano (Vivi rumori all’estrema sinistra) o lo possono pensare, io dico…

Voci all’estrema sinistra. Voi fate sempre il processo alle intenzioni!

CONTI. …io dico: «Amici, pensate seriamente all’avvenire del Paese; difendiamo la Repubblica non creando od immaginando come pericolosi avversari quattro scalzacani che non fanno né caldo né freddo. (Applausi al centro e a destra – Vivi rumori a sinistra).

SCOCCIMARRO. Il fascismo non passa più!

ALDISIO. I fascismi non passano più! (Approvazioni – Rumori – Interruzione del deputato Li Causi).

CONTI. Noi non dobbiamo, colleghi, amici, valorizzare questi movimenti dando ad essi un’importanza eccessiva…

LI CAUSI. Lei è in errore! Lei è in errore!

CONTI. Caro Li Causi, non si difende la Repubblica con le leggi che ci ha presentato il Ministro Grassi. Dichiaro fin da ora che io voterò contro quelle leggi. Con le manette, con le carceri e con il filo spinato non si difende la Repubblica: non facciamo ridere (Vivi rumori all’estrema sinistra); la Repubblica si consoliderà con le grandi riforme, assicurando la libertà e la democrazia, creando nel Paese un’atmosfera di moralità che ispiri il popolo ad amare la nostra Repubblica. (Vivi applausi al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra – Commenti).

LI CAUSI. La metteranno in galera, prima delle riforme! (Rumori al centro e a destra – Commenti).

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Le mie parole sono in gran parte rese superflue dalle nobili, equilibrate espressioni dell’onorevole Conti. Ma, avendo assistito alle manifestazioni di piazza, che avevano qui un riflesso sproporzionato alla loro gravità, desidero dare due testimonianze. La prima è questa: la fase risolutiva, che è stata rapidissima, è avvenuta in modo da non lasciare alcun dubbio sulla volontà energica, direi perfino esuberante della polizia. E l’episodio, qui denunciato, di deputati coinvolti nell’azione repressiva, si spiega benissimo, perché la polizia si è letteralmente scagliata sulla folla, sia in Piazza Colonna, sia davanti a Montecitorio, dove i deputati erano commisti alla folla e non si poteva distinguere quali essi erano. (Approvazioni – Interruzioni a sinistra). Dico in Piazza Colonna e davanti a Montecitorio, tanto è vero, che ho ammirato l’energia dell’onorevole Pajetta che si è gettato energicamente in mezzo al conflitto.

Ma un’altra considerazione, che mi sembra più importante e che si riallaccia alle nobili parole dell’onorevole Conti (io non intendo minimamente sottovalutare il peso politico e la gravità dell’episodio politico di questa sera) è lo stato d’animo dei dimostranti e degli improvvisati comiziaiuoli. Erano dei fascisti. Però, mentre da un lato rilevo la rapidità con cui l’episodio è stato liquidato, e mentre aggiungo che certo anche i piccoli sintomi devono essere tenuti nel più sensibile conto, tuttavia aggiungo che nel clima in cui questa manifestazione si è svolta, cioè alla vigilia di una grande manifestazione elettorale in cui Roma ha visto un centinaio di comizi con centinaia di migliaia di dimostranti, che si trovino due o trecento giovani, che per suggestione o per ignoranza si buttano ad una manifestazione di questo genere, è cosa deplorevole, ma che non merita di essere trattata con tanto accento di gravità nell’Assemblea Costituente italiana, perché domani ne avremo una risonanza in tutto il Paese, come se Annibale fosse alle porte, ed il fascismo fosse qui per risorgere. Lo stesso onorevole Scoccimarro ha drammatizzato dicendo: «difenderemo noi, con le nostre forze, il Parlamento». Io credo che mentre da un lato sia giusto – e mi associo – che il Governo in questo sia strettamente vigilante, e credo che lo è, tuttavia non dobbiamo fare un po’ il gioco di questa parte, perché anche recentemente tutti i giornali italiani hanno riportato che venti-trenta fascisti sono stati trovati a Roma cantando, ecc. ecc., dimodoché l’opinione pubblica ha l’impressione che si trovi già di fronte ad una forza in atto. Il che è una propaganda a rovescio.

Io credo che noi, nella nostra coscienza democratica e nella nostra coscienza di libertà, possiamo associarci alla parola dell’onorevole Conti, certi che sarà con la nostra opera, con il nostro esempio di libertà, di concordia, di profonda rinnovazione di clima morale, soprattutto della realtà sociale del nostro Paese, che rafforzeremo la Repubblica e vedremo fugata questa larva che ancora si agita dinanzi a noi, come la nebbia del mattino di fronte alla pienezza del sole meridiano. (Vivi applausi al centro e a destra – Commenti).

MAFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Non avrei chiesto la parola se non si fosse verificato l’intervento di un cosiddetto repubblicano. (Si ride).

CONTI. Lui lo sa che sono repubblicano; lo sa tutta Roma che sono repubblicano; lo so io soprattutto.

MAFFI. Lo sa lui. Questa è la convinzione, il comportamento di tutti gli egocentrici. Ad ogni modo, onorevole Conti, non è col sottovalutare la sgherraglia che si fa opera contro la sgherraglia. (Rumori – Proteste al centro e a destra).

MANZINI. Sgherraglia!

MAFFI. Sgherraglia, sì, perché tutti gli sgherri sono stati al servizio di qualcuno che li muove.

CHIEFFI. Vorrebbe la polizia di parte!

MAFFI. Chiamateli sgherri, o come volete. Parlo di fascisti; l’avete capito benissimo; e per qualche cosa fate finta di non capire, perché non ho visto in quei banchi la reazione morale e politica che ogni uomo dovrebbe attendersi da cosiddetti democratici e cosiddetti cristiani. (Rumori – Proteste al centro). Dico il pensiero di uno che ha vissuto (e come!) il periodo prefascista, e fascista: non lo so soltanto io, onorevole Conti, lo sanno anche altri. La caratteristica di quel periodo, del periodo prefascista è stata quella di Governi o deboli, o che hanno voluto essere deboli, e che hanno preparato coscientemente o incoscientemente il fascismo e l’hanno condotto fino alle porte di Roma. E se i partiti non sono stati sufficientemente coscienti di questo pericolo, (Interruzione a destra) oggi l’esperienza politica ci ha insegnato a non ripetere più la malaugurata frase: «bisogna avere il coraggio della viltà». Quella frase, l’esperienza politica poi fatta cadere nel vuoto, nell’assoluta inefficienza. Bisogna avere il coraggio cosciente di una organizzazione consapevole contro il pericolo che si presenta, e bisogna avere questo coraggio agli inizi del pericolo, seppure siamo agli inizi. Noi non abbiamo una concezione così astratta del fascismo; sappiamo che il fascismo è un gioco organizzato da interessi antiproletari; lo sappiamo e vogliamo che il proletariato con sangue freddo, con calma, ma con decisione si prepari a resistere. I Governi sanno quale è il loro compito, e se non lo sanno lo imparino, perché ne va di mezzo la vita del Paese, la tranquillità del Paese, il vivere o il precipitare dei Governi.

La storia che ci ha dato un quarto di secolo di ammaestramenti, non si conclude con la indifferenza di uomini che vengono qui a farci testimonianze positive su dati puramente negativi, perché essi non hanno visto ciò che sì era svolto, mentre qui abbiamo le testimonianze positive di uomini che hanno visto lo svolgimento di questo quadro episodico che s’intona ad una preparazione effettiva.

È stato qui attestato da molti che hanno visto come si sono svolti gli incidenti di Piazza Colonna e di Piazza Montecitorio. Non basta venire qui a dire: «non ho visto e perciò nego». Questo è un modo insulso di ragionare. (Proteste al centro).

Insulso vuol dire «senza sale». Ebbene, signori, non vi è nulla di provocatorio, quando si dice che si deve provvedere in modo che non si ripeta ciò. È proprio antiprovocatorio, è proprio la negazione della provocazione, è un monito che lanciamo a voi, se siete teneri della concordia della pace e del rafforzamento della Repubblica! (Applausi a sinistra – Commenti).

LACONI. Chiedo di parlare. (Commenti al centro e a destra – Interruzione del deputato Uberti).

PRESIDENTE. Ne ha facoltà,

LACONI. È una cosa troppo seria, perché l’Assemblea si stanchi! Sono entrato in quest’Aula, onorevole Uberti, e mi sono rivolto al Presidente dell’Assemblea e non al Governo, perché non ricordavo nemmeno in quell’istante che ci fosse un Governo! Poco prima, onorevoli colleghi, sulla piazza che sta di fronte alla nostra Assemblea, ho visto violare quelle libertà e denigrare quelle istituzioni che dovrebbero essere care a noi tutti. (Commenti animati). E se vi è stata cosa che mi ha colpito entrando in quest’Aula è stato il vedere l’Assemblea divisa e sentire voci e accenti diversi dall’una e dall’altra parte della Camera! Ognuno vuol parlare su fatti che solo pochi conoscono. Manzini non ha visto nulla; Conti non ha visto niente. Forse pensavano che i deputati sarebbero rimasti a farsi caricare dalla polizia, fino a quando essi non son venuti a controllare con i loro occhi? Eravamo in gruppo Pesenti, Faralli ed io. Faralli per primo ha gridato: viva la Repubblica! E Pesenti lo secondò. Allora la polizia venne da noi e ci affrontò, nonostante che Pesenti dichiarasse agli agenti che noi eravamo deputati al Parlamento e che eravamo nel pieno diritto di fare echeggiare di fronte ai fascisti il grido di: «Viva la Repubblica!» (Interruzioni del deputato Chieffi – Commenti).

Ho trovato Giordani che mi diceva: «È una cosa incredibile!». Noi avevamo sentito la più vergognosa esaltazione del fascismo, la più sfacciata denigrazione della democrazia.

Non l’ho contro quei giovani che acclamavano; sono giovani che non comprendono quello che fanno. Ma l’ho contro di voi, che non comprendete quale enorme pericolo si celi dietro tutto ciò. I poliziotti hanno agito in un determinato modo, così come è loro stato ordinato; sta bene. Ma il Governo cosa fa? Non ha pensato cosa significhi consentire una manifestazione fascista dinanzi alla sede dell’Assemblea?! (Rumori al centro – Applausi a sinistra).

Da tre giorni erano esposti i manifesti per tutta Roma annunzianti questo comizio. Da tre giorni dunque il Ministero dell’interno sa che è annunziato il comizio e non conosce chi debba parlare. E anch’io tuttora non so chi abbia parlato, celato com’era l’oratore alla vista degli ascoltatori. (Rumori al centro).

Io non chiedo che siate solidali con me, perché so bene che siete i sostenitori del Governo; ma vorrei che almeno solidarizzaste con me per quanto riguarda l’invito al Governo a far sì che una cosa simile non si ripeta. Che almeno si punisca l’oratore che ha esaltato il fascino del fascismo e si stabiliscano delle norme che impediscano che fatti simili si ripetano, almeno sotto i nostri occhi. (Rumori al centro – Applausi a sinistra).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Onorevoli colleghi, io non intendo per nulla drammatizzare su questo miserabile episodio, anche se tutti i colleghi che sono stati in quest’Aula circa venticinque anni fa – compreso lei, Presidente De Gasperi – qualche lieve diritto, tenue diritto a drammatizzare pur lo avrebbero. E non penso neppure che sia il caso di ripetere la nostra critica all’azione generale del Governo che si è esaurita con il voto di fiducia di alcuni giorni fa. Io stesso quel che avevo da dire l’ho detto allora e non ho nulla da aggiungere.

Ma è il fatto specifico, localizzato, che ci interessa, il fatto di cui ho sentito riferire qui dai colleghi e, in particolare, dall’onorevole Questore, collega Priolo, che, a giudizio di tutti, non è un uomo di parte: è un gentiluomo.

Io ho sentito, come gli altri colleghi, quello che è avvenuto in piazza Montecitorio.

Sta, dunque, di fatto questo: che in Piazza del Parlamento, mentre l’Assemblea siede, si possono riunire, convocati da differenti parti, automezzi e gregari per una manifestazione fascista. Io credo che nessuno possa mettere in dubbio che questa miserabile manifestazione è stata fascista. E questa è una cosa seria. Perciò molti fra di noi – credo tutti – vorremmo sapere chi ha autorizzato questa manifestazione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ma l’ho detto che nessuno l’ha autorizzata. (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Da tre giorni ci sono i manifesti per le strade!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lascino parlare!

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Mi permetto di dichiarare che in questa discussione non do la facoltà di parlare per la seconda volta a nessun deputato.

Onorevole Lussu, continui.

LUSSU. In un periodo elettorale, come l’attuale, autorizzazioni preventive non sono strettamente necessarie. Ma è da ritenere che in genere, come misura di precauzione, il Viminale dovesse costantemente vigilare nei dintorni del Parlamento. (Interruzioni al centro).

Io chiedo quali provvedimenti si intendano prendere, quali provvedimenti domani saranno stati presi contro tutti quei miserabili che sono scesi in Piazza Montecitorio a rinnovare i canti della follia che tutto ha distrutto?

Desidererei che il Governo ci comunicasse provvedimenti specifici.

E un’altra cosa è certa: che mentre tutto questo miserabile scandalo avveniva in Piazza Montecitorio, noi non ne eravamo informati. Il Presidente di questa Assemblea non ne sapeva nulla, e neppure il Ministro dell’interno. E allora, in coscienza, sento il bisogno di chiedere quali provvedimenti sono stati presi contro i capi di quella polizia che aveva la responsabilità dell’ordine. (Approvazioni a sinistra – Commenti).

Veda, onorevole Gonella, veda onorevole Grassi, forse è un «tic» nervoso, involontario, ma io li ho visti sorridere. Ebbene, qui non è proprio il caso di ridere e neppure di sorridere.

Io non credo neppure che questo sia un motivo per piangere; ma dico che questo avvenimento ci obbliga ad essere seri.

Onorevole Presidente del Consiglio, lei era qui ventisei anni fa; sa che cosa è stato il fascismo, perché ha pagato di persona; lei sa che ventisei anni fa, quei deputati che intendevano difendere l’espressione della sovranità popolare e la propria dignità, erano obbligati ad entrare qui, nel palazzo di Montecitorio, con la pistola in tasca! Saremmo obbligati a ripetere ancora questo gesto di legittima difesa? È il Presidente del Consiglio che me lo deve dire!

Permetta, caro amico Conti, nella foga con cui si improvvisa, nei voli oratori, lei ha detto (e ciò non rappresentava certo l’intimo del suo pensiero!) «questo cencio di Repubblica». Ebbene, caro Conti, onorevoli colleghi tutti, questo non è un cencio di Repubblica, questa è una grande bandiera! (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Interruzione del deputato Conti).

PRESIDENTE. Onorevole Conti, la prego, non interrompa.

Onorevole Lussu, le sarei grato se si avviasse alla conclusione.

LUSSU. Poiché mi interrompe sono obbligato a risponderle, vecchio e caro amico Conti. Non basta esser sicuri che il Ministro dell’interno è repubblicano e che repubblicano è il capo della polizia! Facta era un liberale, non un fascista; e non era fascista, ma liberale il Ministro dell’interno dell’epoca.

CONTI. Ma allora c’era Vittorio Emanuele III.

LUSSU. Caro Conti, mi lasci finire. Io dicevo, prima che lei mi interrompesse, che la Repubblica è una grande bandiera, fatta sacra e cara col sangue e col sacrificio del popolo italiano. (Vivi applausi).

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Vorrei riferire ai colleghi con molta semplicità i fatti ai quali ho assistito.

Mentre ero qui a Montecitorio, alcuni amici mi hanno chiamato per dirmi che in Piazza Colonna si stava svolgendo una manifestazione con canti fasciati ed esaltazioni del fascismo. Con diversi altri colleghi, sono uscito per andare a vedere di che si trattava.

In effetti abbiamo udito un linguaggio talmente provocatorio, ripugnante, che ci ha ricordato molte cose, moltissime cose del passato. Sentire nella più importante piazza di Roma tutto questo, dopo qualche anno dalla fine del fascismo, mi ha impressionato!

Non ho assistito alla discussione che si è finora svolta. Affermo però che, finché il comizio è durato, non ho notato un comportamento scorretto della polizia; essa nel corso del comizio ha cercato di evitare incidenti individuali. Quando venne finalmente l’ordine di scioglimento, la polizia intervenne energicamente. Naturalmente ributtò indietro deputati e non deputati, ma nell’oscurità questo poteva avvenire.

Il punto fondamentale, per me, è che la manifestazione fosse sciolta. Ed ecco dove sorge una responsabilità politica di Governo. Comizi del genere vanno controllati fin dal primo momento!

È giusto ed è doveroso rispettare tutte le libertà democratiche. Ma non appena in un comizio si fa il minimo accenno apologetico al fascismo la polizia deve intervenire. L’altro giorno il Ministro Scelba diceva di tutelare l’autorità del Governo vietando manifesti lesivi di tale autorità. Quanto è avvenuto al comizio è ancora più grave. Come è possibile star lì a sentire per mezz’ora, per tre quarti d’ora, l’apologia del fascismo senza che la polizia intervenga? Io riferisco cose che ho sentito. La polizia quando ha ricevuto l’ordine è intervenuta ed anche con energia, ma dopo mezz’ora, e questo non è ammissibile. (Applausi).

Devo dire francamente: c’è una questione pregiudiziale che va risolta. Senza di che ciascuno è indotto a risolvere la questione come può, come l’ho risolta io: le ho date e le ho prese! (Applausi).

Se qualcuno pensa che siamo noi a dover decidere, andiamo pure a decidere, dovunque.

C’è una legge chiara: il fascismo in Italia non deve più esistere. Credo che, nonostante la violenza delle nostre polemiche, nessuno di noi – anche se siamo divisi – spingerebbe la polemica al di là di certi limiti. Perché c’è qualcosa che ancora ci lega. Noi abbiamo un rispetto reciproco che deriva dalla concezione democratica. Ebbene, ho avuto l’impressione che, nell’incidente di piazza che deploriamo, tutta la democrazia fosse colpita.

Una voce al centro. Esagerato!

LA MALFA. No, non voglio drammatizzare. Sono avvenuti dei semplici scontri. Ma quando si arriva a questo punto c’è da domandarsi: qual è il limite di questa situazione? Il Governo deve avere questa preoccupazione. Non si può consentire che si scenda su questo terreno, e se si consente che qualcuno vi arrivi ed abbia successo, le conseguenze saranno ovvie. (Applausi a sinistra).

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Se l’emozione non ha totalmente abolito i diritti della cronaca, io che sono stato con parecchi colleghi qui presenti – il collega che mi ha preceduto c’era anche lui – in mezzo al tumulto, dal principio alla fine, sento il dovere di dire una parola serena, che risponda ai fatti che ho visto.

Non cadrò nello sproposito in cui sono cadute le frazioni estreme nel 1919: lasciarsi trascinare nella bocca del lupo, dire sempre male della polizia, perché questo sarebbe ingiusto e oltre tutto scioccamente pericoloso. (Interruzioni).

Qui serenamente posso dire che la polizia l’ho vista manovrare, che ho visto anche arrestare parecchie persone; uomini e donne che gridavano, per esempio: Viva il duce! Viva il fascismo! Io li ho visti portar via, con i miei occhi.

LI CAUSI. Dopo un’ora!

MAZZONI. Sentite, io ammetto che si facciano questioni di opinione, ma la gente che dice che io sono cieco non la conosco e non l’ammetto.

Ora, a un certo punto, dopo un frastuono di inferno e dopo anche la nostra reazione (perché noi eravamo dieci o dodici ed abbiamo modestamente reagito) dopo tre quarti d’ora la polizia si è decisa ad un atto energico e fece lavorare le camionette. È un miracolo se io sono qui perché c’è mancato poco che non fossi andato a finire sotto una camionetta. Ma se io avessi perduto una gamba, non avrei assolutamente il diritto di dire che la polizia porta via le gambe ai rappresentanti del Parlamento. (Si ride). È avvenuto un serra serra generale; prima s’è sgombrata Piazza Colonna e poi, siccome la folla si riversava negli imbocchi, la polizia ha continuato la sua azione. Questa è la verità onesta e precisa, come io l’ho vista.

La filosofia che deriva da questo avvenimento è però un’altra. Io intendo la libertà repubblicana fino alle sue estreme conseguenze. I monarchici facciano la loro propaganda monarchica. Non ho niente da dire. Ma quando in un comizio si cantano gli inni fascisti, si grida «bombe a mano», si invoca Mussolini, allora io dico che quella è apologia di reato. (Applausi generali).

Ed allora non facciamo della burocrazia e del protocollo circa il permesso, che c’è stato o non c’è stato. Bisogna che da ora in poi – mi pare che sia domanda onesta e democratica – il Governo precisi esattamente la casistica di queste dimostrazioni e che la polizia sia preventivamente avvertita e non sia costretta ad intervenire solo dopo un’ora.

Bisogna che la polizia sappia fin dal principio che bisogna lasciare la più ampia libertà in questo Paese che non ha paura di sentire le verità più scottanti. Ma quando ci sono scellerati che fanno l’apologia di ciò che ha assassinato il nostro Paese, il capo della polizia deve dare ordine di scioglimento dei comizi perché quella non è più libertà, ma apologia di reato. (Vivi applausi).

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Mi associo a quanto hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto, e più particolarmente agli onorevoli Sansone, Lussu, La Malfa e Mazzoni.

Debbo lealmente riconoscere che la polizia, quando ricevette gli ordini, ha fatto il suo dovere e sciolse immediatamente l’ignobile adunata, che insozzava il centro di Roma.

Né, a quanto mi consta (si noti che intervenni solo in un momento successivo), la polizia assalì i deputati, perché, e mi è testimonio il compagno onorevole Faralli, allorché io, declinando la mia qualifica, arrestai le camionette, che muovevano verso piazza Montecitorio, e resi noto agli agenti che in piazza vi erano i membri della Costituente, non trovai opposizione ed insistenza.

Però qui il problema è un altro. L’onorevole Presidente del Consiglio dice che il comizio non era autorizzato (veramente centinaia di manifesti ne davano fin dal mattino l’annuncio); ma allora non bisognava consentire che avesse avuto inizio e quel che è peggio svolgimento per circa quaranta minuti con discorsi, che inneggiavano a Mussolini ed al fascismo e con canti blasfemi, che rievocavano i pugnali e le bombe a mano di infausta memoria. Da ciò il legittimo risentimento di cittadini e di alcuni membri della Costituente contro i quali si rivolse l’ira minacciosa dei dimostranti del M.S.I.

Vi è da domandarsi a questo punto non cosa facessero gli agenti, poveri e bravi figliuoli, che giustamente attendevano gli ordini del superiore, ma cosa invece pensasse e facesse il funzionario (non so veramente chi sia) preposto al servizio, e cosa aspettasse per porre termine a discorsi provocatori, che oltre al resto costituivano apologia di reato. Debbo amaramente supporre che traesse motivo di compiacimento da quanto veniva gridato sulla piazza e che in maniera assai diversa si sarebbe comportato, ove si fosse trattato di un comizio mancante di autorizzazione, fatto però da operai o da contadini. (Applausi a sinistra – Commenti).

È stato necessario che l’eco della manifestazione di marca prettamente fascista giungesse in quest’Aula perché il Presidente del Consiglio si decidesse a telefonare al Ministro Scelba, solo allora il funzionario di servizio, richiamato al dovere, diede gli ordini e il comizio prontamente venne sciolto.

Non sopravalutiamo il fatto, va bene, ma santo Dio, non lo svalutiamo neppure! È così che si comincia e poi non si sa dove si finisce.

Poco fa io dicevo a quattr’occhi all’onorevole Grassi, Ministro di grazia e giustizia: ecco le conseguenze dell’eccessiva indulgenza, che viene purtroppo scambiata per debolezza, anzi per paura: è così che si comincia e poi piano piano si torna al 1923, al 1924, al 1925 con quello che segue…

Io vorrei ricordare all’onorevole De Gasperi le riunioni segrete di quel tempo in una saletta del ristorante dei «Tre re», oggi scomparso (particolari vivi nella mia memoria: il suo alto colletto bianco e la sua parola decisiva e dura); dobbiamo tornare a quei tempi?

Avevo trent’anni ed i capelli neri, ora li ho grigi, se poi giro lo sguardo su questi banchi trovo pochi, pochissimi deputati di quel periodo funesto. E mi domando: gli altri? Gli altri morti, morti ammazzati, morti nelle galere od in esilio!

E che davvero l’esperienza del passato non debba ammonirci! In pericolo le nostre vite in questo Palazzo, maggiormente in pericolo fuori di qui.

La sera accompagnavo Filippo Turati a Campo Marzio, nella stanzetta modesta dove egli dormiva, pronto a fargli scudo del mio corpo se un bandito avesse cercato recargli offesa. Un certo giorno, il cui ricordo mi rattrista ancora, gli volevo dare una rivoltella, egli mi disse che non sapeva maneggiarla e che comunque non l’avrebbe mai usata e la rifiutò. Un’altra rivoltella diedi all’onorevole Labriola, non me la restituì più, ma non è per richiedergliela che io ricordo ciò, ma per rendere noto ai colleghi ignari ed ai sorridenti dalle braccia conserte la situazione amara nella quale ci trovavamo allora. In quest’Aula e nei corridoi di questo palazzo lampeggiavano l’odio e le minacce di morte: necessità quindi di armarci per difenderci; dobbiamo tornare a quei tempi?

Indulgenza sì, tolleranza sì, libertà sì, ma non per coloro, che vogliono ancora assassinare la libertà, mortificare la Nazione, ridurci nuovamente in catene: perché allora sappiate colleghi che De Gasperi, Togliatti e Corbino non saranno più impiccati soltanto in effige, cosa questa di nessun rilievo, ma lo saranno davvero.

Ed io avrei voluto vedere scattare in un impeto di indignazione e di protesta tutti voi colleghi presenti in questa Assemblea (Commenti); perché si può e si deve contrastare ed anche vivacemente fra di noi – nel civile contrasto è la vita – ma, quando a cinquanta metri da questo Palazzo una masnada di cialtroni urla contro il Parlamento ed inneggia al duce, bisogna che unanime sia la protesta, e decisa l’intenzione di porre legalmente riparo a tanto scempio. (Applausi a sinistra). Mi è perciò profondamente doluto vedere su taluni banchi della destra ed anche del centro dei colleghi seduti, a braccia conserte, indifferenti, sorridere, anzi ridere, di fronte all’indignata protesta di grandissima parte dell’Assemblea. (Applausi – Commenti).

Il nostro appello abbia perciò un’eco profonda ed ammonisca il Governo a vigilare, ed ove occorra, ad intervenire energicamente in difesa della libertà, della democrazia e della Repubblica. (Vivissimi, prolungati applausi a sinistra).

PACCIARDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PACCIARDI. Devo anzitutto sottolineare il consenso del mio Gruppo e mio alle conclusioni cui sono pervenuti gli ultimi oratori. In realtà, io sono arrivato tardi in Piazza Colonna insieme con altri colleghi, anche comunisti, dei quali invoco la testimonianza per dire che intorno al nostro gruppo di deputati la polizia ha fatto il suo dovere. Non ho nessuna ragione di mettere in dubbio la parola di altri deputati verso i quali invece la polizia non si sarebbe comportata correttamente. Ma non è questo il problema. Quando siamo arrivati nella piazza, siamo veramente rimasti tutti indignati. Ci pareva di rivivere le giornate macabre del 1919 e del 1920, quando si era in piena gazzarra fascista, in piena gazzarra d’insulti.

Vi riferirò che intorno a me un gruppo di fascisti facinorosi che mi ha riconosciuto ha detto: «Quello è Pacciardi: bisogna ammazzarlo». È una indegnità che si possano permettere delle reminiscenze di questo genere. Siamo rimasti indignati; ma questo è il risultato, in fondo, di una situazione alla quale non siamo giunti per caso. Abbiamo permesso che gli stessi insulti lanciatici oggi da quei giovinastri ci vengano lanciati insieme con l’apologia del fascismo da tutti i giornali fascisti risorgenti, senza dire una parola: questi insulti di «venduto» e di «sciacallo» quotidianamente vengono pubblicati dai giornali fascisti, nella olimpica indifferenza del Ministro dell’interno.

Un appunto sereno e sincero desidero fare al Governo, che non può ignorare i precedenti di questa manifestazione. Non da oggi nelle vie centrali e nelle piazze di Roma si cantano gli inni fascisti e si formano cortei fascisti, indisturbati dalla polizia.

È evidente – e mi associo alle deplorazioni dei colleghi – che quando c’è un’apologia di reato in atto, cioè una contravvenzione alla legge, la polizia non deve avere bisogno di domandare il permesso al Governo per intervenire. Essa deve intervenire automaticamente. Se non interviene, è segno che il Governo non ha dato l’ordine preventivo di intervento. Perché, laddove il Governo dà l’ordine, la polizia obbedisce, come ha obbedito in questa occasione.

Onorevole Presidente del Consiglio, noi che viviamo – e ce ne gloriamo – di reminiscenze repubblicane, dobbiamo ricordare la consegna che alla Repubblica romana dava Mazzini. Il suo Governo – diceva – in quelle occasioni deve essere conciliatore ed energico. Mi pare che tutti siamo stati conciliatori. La amnistia è un atto di conciliazione verso coloro che davano segni di ravvedimento e mostravano resipiscenza, dimenticando il passato. Tutti quanti abbiamo invocato questa riconciliazione nazionale nelle istituzioni repubblicane, nella casa comune, che diventava di tutti gli italiani con la instaurazione della Repubblica. Ma contro coloro che, malgrado questi sentimenti di conciliazione espressi da tutti i partiti, hanno continuato pervicacemente non solo a sognare, ma a tentare di ricreare il fascismo, contro costoro non più conciliazione occorre, ma energia, ed energia spietata. Bisogna stroncare la testa a questo fascismo risorgente. Questa è la consegna che bisogna dare. (Vivi applausi a sinistra).

PAJETTA GIAN CARLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Non avendo dato all’onorevole Sansone la facoltà di parlare una seconda volta, ella deve comprendere, onorevole Pajetta, che non posso concedere tale facoltà neppure a lei.

PAJETTA GIAN CARLO. Non comprendo, ma non insisto.

AMENDOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMENDOLA. Non parlerei, se non sentissi il bisogno di precisare, come i colleghi hanno fatto, che il contegno degli agenti di polizia è stato esemplare. Quando essi si sono trovati di fronte a casi flagranti di fascisti isolati che provocavano ed insultavano, hanno agito subito. Deploriamo il contegno non dei singoli agenti di polizia, ma del vice questore, che era sul posto; e, sopra di lui, c’è la responsabilità del capo della polizia e del Ministro dell’interno.

Il comizio era da più giorni conosciuto, anche per i numerosi manifesti che tappezzavano il Corso del Popolo. Infatti, in Piazza Colonna vi era un forte schieramento di polizia. Il comizio è cominciato alle ore 18 con atti provocatori fascisti e col canto degli inni del passato regime. Quando mi sono trovato di fronte a queste manifestazioni, che hanno offeso i nostri sentimenti e determinato il nostro legittimo sdegno di vedere una piazza di Roma insozzata da simile canaglia, ho chiesto al vice questore di intervenire immediatamente di fronte a così flagrante violazione della legge. Invece, il vice questore ha creduto di dover aspettare gli ordini. Siamo tornati a Montecitorio e abbiamo dovuto fare appello al Governo, ed aspettare così quaranta minuti, perché l’ordine venisse dato. Per quaranta minuti la manifestazione è continuata alle porte del Palazzo di Montecitorio.

Non è, dunque, agli agenti della Celere che deve andare il nostro rimprovero; anzi a questo reparto va il nostro plauso. (Approvazioni). Io sono sicuro che gli agenti della Celere, da buoni italiani, faranno sempre il loro dovere; ma io non posso avere e non ho la stessa fiducia in coloro che sono al comando di queste forze e che dovrebbero assicurarci che esse siano impegnate nella difesa delle istituzioni repubblicane. In quest’Aula si sono rievocati poco fa dei ricordi; sia permesso anche a me, onorevole Conti, di rievocare alcuni ricordi…

LUSSU. Viva Amendola! (L’Assemblea in piedi applaude lungamente inneggiando a Giovanni Amendola).

CARONIA. Viva Giovanni Amendola!

AMENDOLA. Ebbene, ricordo che nel 1922, 1923 e 1924, i parenti dei deputati dell’opposizione erano all’uscita del Palazzo di Montecitorio; tutti noi li aspettavamo al termine della seduta con trepidazione perché sapevamo che la salute dei nostri cari era in pericolo, perché sulla piazza di Montecitorio erano in permanenza gruppi di fascisti armati che cercavano così di esercitare una pressione intimidatrice sopra i deputati dell’opposizione. Io ricordo anche, onorevole De Gasperi, di averla veduta uscire, insieme con mio padre, dalla porta che dà su via della Missione e cercare di sfuggire all’agguato delle camicie nere fasciste. Noi non vogliamo che questi tempi tornino. Non è per permettere alla canaglia fascista di manifestare davanti a Montecitorio che abbiamo per venti anni combattuto. Non è per questo che sono caduti i figli migliori del popolo italiano. Io credo che non sia drammatizzare oltremodo l’incidente arrivare a conclusioni di questo genere. Ciò deve servire di ammonimento: non è a caso che sono venuti a Piazza Colonna a manifestare. Essi preparano altre manifestazioni e, se noi non intervenissimo oggi, seguirebbero ben più gravi episodi.

Ma noi siamo ben decisi ad intervenire. Siamo intervenuti oggi in questa sede, con il diritto che ci deriva dal mandato conferitoci dal popolo italiano. Siamo intervenuti oggi e interverremo in questa sede e fuori di questa sede perché, onorevole De Gasperi, anche questo è un ricordo di lontani anni, ci ricordiamo della capitolazione di quei Governi che avevano il dovere di difendere le libertà democratiche e che invece aprirono la strada al fascismo. Noi non permetteremo che simili cose si ripetano. Io ricordo la giornata tragica del 28 ottobre in cui il Governo che aveva il dovere d’intervenire non intervenne e vidi mio padre piangere di vergogna. Ma, in caso di carenza del Governo e di capitolazione di fronte ad attacchi fascisti, c’è oggi nel popolo italiano la volontà di far fronte con i suoi mezzi a qualunque minaccia. Ed io mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Scoccimarro: il popolo italiano ha la forza per spezzare ogni attacco fascista e per intervenire efficacemente di fronte ad un Governo che protegge simili canaglie e utilizza le forze di polizia contro gli operai ed i partiti democratici. (Vive proteste al centro). Le masse operaie sapranno difendere in ogni caso la libertà e la democrazia.

Finisco con due precise domande. Domando al Governo di farci conoscere nella prossima seduta quali provvedimenti ha preso contro il capo della polizia e contro il questore di Roma (Rumori al centro), responsabili di aver permesso che un comizio fascista durasse per quaranta minuti in Piazza Colonna. Inoltre io domando che il Governo ci faccia conoscere al più presto quali provvedimenti esso ha preso contro il partito che inscena, in piena Roma, manifestazioni di questo tipo fascista. Ed il solo provvedimento che s’impone è lo scioglimento.

A questa domanda noi vogliamo una risposta perché il popolo italiano esige questa risposta, perché il popolo italiano non vuole che ai fascisti sia data la libertà di tramare nuovamente contro le libertà che noi abbiamo conquistato. (Applausi a sinistra – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, io credo che nessuno di noi possa stupirsi se il tumulto degli animi, giustamente provocato dagli avvenimenti di cui siamo stati testimoni o dei quali abbiamo avuta notizia, abbia trovato una eco nel tumulto delle parole nelle quali i sentimenti ed i pensieri si sono tradotti ed espressi. È evidente che non può esserci una separazione tra ciò che si sente e ciò che si dice. Ma credo che vi sia stato qualcosa di comune in tutto ciò che qui si è detto, indipendentemente dal tono delle parole usate: ed è il senso di profonda preoccupazione, che in alcuni un eccesso di responsabilità, più o meno bene interpretato, può aver spinto ad attenuare mentre in altri l’impeto irrefrenabile del giusto risentimento ha portato invece ad accentuare, ma che evidentemente esiste in tutti.

Egregi colleghi, penso che questa discussione – la quale non sta, si tranquillizzino coloro che sono preoccupati del Regolamento, fuori dei poteri e dei doveri Dell’Assemblea Costituente – suoni quanto meno ammonimento per tutti coloro i quali non riescono ancora a comprendere ciò che oggi avviene e domani potrebbe avvenire nel nostro Paese. Ed anche suoni non dirò più come ammonimento, ma come un serio invito per coloro cui è affidato il compito di realizzare la volontà del popolo italiano. Noi costituenti non possiamo che dare forma alla volontà popolare tesa verso l’avvenire, e lo facciamo redigendo la Carta costituzionale; ma nessuna Carta costituzionale, per quanto ponderata, pensata, e discussa, redatta e poi votata, potrà nulla creare di buono per il nostro Paese, se si permette che, annidati nelle sue fondamenta le più profonde, restino gli elementi di disgregazione e di sovvertimento di cui stasera le grida tumultuose fuori di questo Palazzo ci hanno ancora una volta denunciato e confermato la perniciosa presenza. (Vivissimi applausi).

Il Governo ha dichiarato che in una prossima seduta, per bocca dei suoi rappresentanti, risponderà alle questioni che gli sono state poste stasera. Credo che dobbiamo attendere questa risposta prima di esprimere nuovi pensieri.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi pare che sostanzialmente, per quello che riguarda la direttiva del Governo, ho risposto con tutta franchezza, nei miei due precedenti interventi. Se si tratta di accertamenti di responsabilità e di provvedimenti conseguenti, naturalmente il Ministro dello interno è a disposizione dell’Assemblea, come è suo dovere; ma credo che, come direttiva del Governo, ho già dato tali assicurazioni che possono ben tranquillare coloro che possono temere una deviazione derivante da debolezza di Governo o da mancanza di propositi. I confronti che si sono fatti mancano di termine di paragone.

Quando si parla del 1924 si dimentica che al Governo era Mussolini che era anche Ministro dell’interno. Si è parlato e si sono portati esempi del 1924 e credo che nessuno possa dubitare che in noi e nel nostro Governo ci sia la centesima parte delle tendenze di un Governo Mussolini.

In secondo luogo quando ci si riferisce al 1919-1920 si parla di altri Governi a cui partecipavano anche uomini di buona volontà, anche uomini di tendenza antifascista, i quali però non avevano la triste esperienza che abbiamo avuto noi ed erano inoltre eccessivamente fiduciosi dello spirito ormai tradizionale di libertà.

I Governi devono oggi trarre insegnamento da una esperienza vissuta; e le precauzioni a questo riguardo non sono mai sufficienti. Su questo posso impegnare la mia parola di onore, come uomo che ha sentito che cosa era il fascismo, che ha combattuto e che ha fede soprattutto nella libertà, nella democrazia e nelle istituzioni repubblicane.

Se qui si fanno interpellanze con un tono che mette pregiudizialmente fuori questione il Governo, come un Governo che non riscuote fiducia, allora il tono della mia risposta deve essere diverso. Se, invece, si ha fiducia nella mia coscienza e nella mia capacità di Governo, prego di non paragonare il mio con i Governi di altri tempi. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Commenti).

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana è rinviato ad una prossima seduta.

Lunedì alle 16 si terrà seduta dedicata alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e del lavoro e previdenza sociale e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se risponda a verità quanto il giornale II Mattino dell’Italia Centrale ha pubblicato in merito al mancato versamento della somma di lire 342.300 da parte della cooperativa «La Rinascita», di Grosseto, che, incaricata dalla Sepral di provvedere alla distribuzione ai vari comuni della provincia di 163 quintali di riso sequestrato il 12 febbraio 1946 dalla squadra annonaria, ne versò il ricavato l’8 agosto 1947, cioè dopo oltre un anno e mezzo, quando già era stata presentata denunzia per appropriazione indebita alla Procura della Repubblica di Novara.

«Per conoscere altresì quali provvedimenti si intendano adottare, anche da parte del Ministro del lavoro, verso la suddetta cooperativa.

«L’interrogante chiede lo svolgimento di urgenza.

«Monticelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se risponda a verità quanto il giornale Il Mattino dell’Italia Centrale ha pubblicato in merito alla mancata distribuzione alle cooperative di consumo di 200 quintali di baccalà salinato, assegnato dall’Alto Commissariato per l’alimentazione alla Federazione provinciale delle cooperative di Grosseto, e da questa rivenduto, a prezzo notevolmente maggiorato, ad una ditta di Fucecchio. In caso affermativo, quali provvedimenti intenda prendere il Ministro del lavoro verso la Federazione delle cooperative di Grosseto.

«L’interrogante chiede lo svolgimento di urgenza.

«Monticelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se e come siano state concluse le trattative diplomatiche relative a pretese avanzate dal Governo francese sui campi cimiteriali di guerra in Italia – in riferimento particolare al cimitero sul Colle della Farnesina in Roma – pretese che, secondo dichiarazioni ufficiali, «vanno al di là del semplice diritto di uso».

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere le ragioni che impediscono la riattivazione delle comunicazioni telefoniche delle frazioni del comune di Sorano (Grosseto) indispensabili per i soccorsi sanitari e per esigenze di ordine pubblico.

«Si precisa a tal proposito che fin dal 1946 il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni ad altra analoga interrogazione dell’interrogante aveva risposto che i lavori per la riattivazione dei collegamenti telefonici erano già in corso ed era quasi completato il ripristino delle relative palificazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Monticelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga opportuno abrogare la disposizione ministeriale emessa durante la guerra, con la quale, ai fini di ridurre al minimo il movimento dei viaggiatori sulle ferrovie si limitava a quattro all’anno l’uso degli scontrini per la concessione C (50 per cento) del titolare del libretto e delle persone di famiglia per i dipendenti dello Stato.

«Abrogata nei riguardi del titolare, la limitazione rimane per le persone di famiglia.

Ora, considerato che: a) questa limitazione costituisce un altro aggravio indiretto per una categoria di persone già ridotte in penose condizioni; b) che sono in gran parte cessate le ragioni che provocarono il provvedimento limitativo in oggetto; c) che la limitazione colpisce numerosissime famiglie residenti fuori del capoluogo provinciale, che pur sono costrette a frequentare per ragioni di studio, per pratiche, ecc., sembra giusto e necessario che le antiche agevolazioni siano senz’altro ripristinate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se in sede di riforma e coordinamento delle norme concernenti gli oneri dei comuni e i mezzi per fronteggiarli non ritenga opportuno tenere in considerazione, per un eventuale definitivo regolamento, la parte che riguarda le spese di manutenzione degli uffici giudiziari e degli edifici delle scuole secondarie ed ispettorati scolastici.

«Si fa noto – ad esempio – che il comune di Piacenza trovasi impegnato in spese rilevanti e, in via normale, non sopportabili per la sistemazione degli uffici giudiziari, alcuni dei quali, come il Tribunale e la Corte d’assise, sono al servizio non soltanto dei cittadini del comune capoluogo, ma di tutta la provincia.

«È appunto sotto questo aspetto che potrebbe essere prospettata la riforma: nel senso, cioè, che l’onere per la manutenzione degli uffici posti al servizio di tutta la collettività provinciale debba essere proporzionalmente ripartito fra tutti i comuni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere:

  1. a) se non ritenga opportuno emettere provvedimenti ancora più rigidi di quelli vigenti per eliminare o almeno ridurre al minimo possibile l’abuso del consumo dell’energia elettrica per fini non direttamente produttivi o di stretta necessità ed utilità;
  2. b) se non ritenga necessario intervenire perché nella distribuzione della stessa energia si tenga favorevolmente e proporzionalmente conto sino al raggiungimento del limite anteguerra delle zone dove appunto, per le conseguenze belliche patite (come nella provincia di Spezia), la ripresa industriale è stata e permane particolarmente difficile e dove l’iniziativa privata trova ostacolo al suo sorgere o al suo sviluppo per la denegata concessione anche di minimi quantitativi di energia, determinando così il permanere e l’aggravarsi di uno stato di disagio e di disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere perché – considerato che il regime armistiziale è venuto a cessare colla avvenuta ratifica del Trattato di pace – non si addiviene all’annullamento dell’articolo 7 del decreto in data 21 maggio 1946 del Ministero del tesoro, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, edizione speciale n. 132-2, del 10 giugno 1946, per il quale non sono ammessi ricorsi né in via amministrativa, né in via giudiziaria, contro i provvedimenti del Ministero del tesoro, con cui vengono liquidati gli indennizzi a risarcimento di danni alle persone, causati – non per operazioni di guerra – dalle truppe alleate in Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.15

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 13 ottobre 1947.

Alle ore 16:

Interrogazioni.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Interrogazione (Svolgimento):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Rossi Paolo

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Fuschini

Colitto

Mortati

Clerici

Stampacchia

Tonello

Uberti

Priolo

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Lucifero

Costantini

Buffoni

Lussu

Laconi

Nitti

Romano

Rossi Paolo

Gasparotto

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Caso, Dozza, Pera, Sapienza, Sardiello.

(Sono concessi).

Svolgimento di interrogazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha chiesto di rispondere all’interrogazione presentata dagli onorevoli Rossi Paolo, Lami Starnuti, Segala, Mazzoni, Carboni Angelo, Persico:

«Al Ministro dell’interno, sulle violenze commesse durante la campagna elettorale in Roma contro candidati del P.S.L.I. e in particolare modo sull’aggressione organizzata contro un membro dell’Assemblea Costituente, l’onorevole Matteotti; e per sapere quali urgenti disposizioni intenda prendere per assicurare le libertà di riunione, di parola e di voto».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Desidero chiedere agli onorevoli interroganti se intendono estendere l’interrogazione, che riguarda i fatti del giorno 7 anche ai fatti del giorno 8.

ROSSI PAOLO. Evidentemente.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Marazza, c’è una interrogazione specifica sui fatti del giorno 8?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. No.

PRESIDENTE. Allora, c’è una interrogazione sui fatti del giorno 7 e solo su questi è stata posta la questione.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Era per economia di tempo che volevo rispondere anche sui fatti del giorno 8.

PRESIDENTE. Ma poiché lei ha posto la domanda agli onorevoli interroganti, se questi desiderano altre informazioni dovranno presentare un’altra interrogazione.

ROSSI PAOLO. Se la potessi presentare oralmente, ne sarei lieto, perché così l’onorevole Sottosegretario potrebbe venire incontro al mio desiderio di avere la risposta più completa possibile.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, il Sottosegretario, nella sua risposta, può toccare qualunque tema connesso o non connesso con l’argomento, ma io ho fatto l’osservazione semplicemente per il modo con cui è stata posta la questione. L’onorevole Sottosegretario aveva chiesto a lei se intendeva avere la risposta su fatti che non erano considerati nell’interrogazione, e ciò non era normale.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Desideravo semplicemente sapere se potevo rispondere anche per i fatti del giorno 8 per economia di tempo. Comunque, i fatti sono i seguenti:

La sera del giorno 7, l’onorevole Matteotti, unitamente ad altri elementi del suo partito, andava compiendo in Roma una serie di piccoli comizi a bordo di una camionetta munita di altoparlante. Questi comizi non erano stati, evidentemente, preannunziati all’autorità di pubblica sicurezza la quale, altrettanto evidentemente, non poteva perciò trovarsi nelle singole località.

Giunti nella piazza di Pietralata ed avendo tentato di iniziare il suo discorso, una folla di trecento persone (a tanto fu valutata) cominciava ad intonare «Bandiera rossa» e ad emettere urla, mentre da parte di una turba di ragazzi presenti veniva inscenata un’altra manifestazione ostile, mediante rumori determinati da barattoli di latta usati a mo’ di tamburi.

Naturalmente il discorso dell’onorevole Matteotti non poté essere nemmeno iniziato. La cosa determinò l’irritazione da parte dei suoi amici e ne derivarono dei tafferugli. Nel corso di questi tafferugli vi furono dei contusi.

Devo dichiarare espressamente che per le circostanze già accennate, nelle quali questo comizio ebbe a svolgersi, non credo si possano riscontrare responsabilità delle autorità preposte alla tutela dell’ordine, le quali, appena informate, sono intervenute ed hanno impedito che i tafferugli, ai quali ho accennato, degenerassero in più gravi conflitti. L’onorevole Matteotti, con i suoi amici, si allontanò poco dopo ed altri incidenti non se ne sono avuti. Però l’avvenuto non poteva non preoccupare l’autorità di pubblica sicurezza ancora di più perché, in questa campagna elettorale per le elezioni del comune di Roma, episodi del genere si sono ripetuti in parecchie località ed abbastanza frequentemente. Di conseguenza il Questore convocava presso di sé la Giunta elettorale di uno dei partiti in lotta, cioè del Blocco del popolo, che veniva indicato come quello al quale apparteneva la massa dei dimostranti, ed esercitava presso questa Giunta la massima pressione onde ottenere che episodi del genere non si verificassero in avvenire. Reclamava inoltre che si facesse dell’accaduto una pubblica deplorazione. La Giunta, così convocata, aderiva all’invito; s’impegnava a fare opera presso i propri aderenti affinché venisse rispettata, in ogni caso, la libertà di parola di tutti gli oratori; e inoltre si impegnava anche ad una pubblica deplorazione.

Il Questore, non accontentatosi di queste assicurazioni, richiamava subito tutti gli organi di pubblica sicurezza da lui dipendenti ad esercitare la massima sorveglianza affinché questi deplorevoli incidenti non si verificassero più: comunque, ad intervenire prontamente in ogni circostanza e a procedere con la massima energia nei confronti di tutti i disturbatori. Non si faceva aspettare, tuttavia, un nuovo, altrettanto deplorevole incidente, perché la sera del giorno seguente lo stesso onorevole Matteotti, dovendo tenere un comizio in piazza Testaccio, vi trovava addensata una folla valutata a 1500 persone, le quali dimostravano, come già la folla della sera precedente, la propria vivissima ostilità all’oratore che parlava da un balcone poco elevato sulla piazza e che veniva minacciato violentemente. La vivacità della dimostrazione e la gravità del pericolo che pareva minacciasse l’onorevole Matteotti, determinarono l’intervento di reparti celeri della Pubblica Sicurezza che si trovavano disposti nelle vicinanze e che, quando l’onorevole Matteotti intese ritirarsi, lo protessero e impedirono che incidenti dovessero avvenire.

Naturalmente, così parlando e così dimostrando – almeno spero – che da parte delle autorità preposte all’ordine fu fatto quanto stava in loro, io non intendo esaurire l’argomento perché in una questione di questo genere non può mancare, anche da parte del Governo, una parola di viva deplorazione: tanto più viva, io vorrei dire, nella specie, perché, se penso a ciò che ha significato e significherà sempre per tutti noi e per tutto il popolo italiano il nome di Matteotti, non posso non reagire con tutte le forze a chi ha offeso nel figlio del Martire la libertà che è l’aureola del suo martirio. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ROSSI PAOLO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per l’interno, specialmente per le parole che hanno coronato le sue dichiarazioni; ma egli mi consentirà di non entrare nel merito dei provvedimenti adottati dall’autorità per garantire la libertà di parola. È di tutta evidenza che la nostra interrogazione non postulava una risposta pratica; e sia ben chiaro per tutti che non invochiamo dal Governo alcun provvedimento particolare. Il problema non è un problema di polizia e forse nemmeno un problema politico nel senso stretto della parola. È un problema morale di estrema delicatezza. Non lo possono risolvere, evidentemente, né il Questore di Roma, né l’onorevole Ministro dell’interno. Solo la coscienza popolare, solo un rinnovato sentimento democratico che penetri più profondamente nell’animo degli italiani possono dare quelle garanzie di vita civile, che sarebbe ingenuo e forse anche contradittorio domandare soltanto ai congegni politico-amministrativi dello Stato.

La dignità dell’individuo si chiama onore e la dignità dei popoli si chiama libertà; libertà ed onore sono dunque una sola cosa ed hanno una sola garanzia nell’onore e nella libertà. Non invochiamo dunque particolari interventi governativi, ma io voglio esprimere con semplicità il profondo dolore, la protesta e lo sdegno per il fatto che, mentre ancora si sta elaborando faticosamente la struttura dalle istituzioni democratiche conquistate attraverso una soma così grande di sacrifici e di umiliazioni, manipoli di giovani, purtroppo organizzati ed addestrati, impediscano sistematicamente l’esercizio dei fondamentali e primari diritti di riunione e di parola. Come accadde all’onorevole Simonini a Guastalla, all’onorevole D’Aragona a Livorno e a molti altri amici in altre parti d’Italia, ad un deputato alla Costituente fu avantieri impedito di parlare a Roma ed egli fu anche duramente malmenato: ciò che l’onorevole Sottosegretario all’interno non ci ha detto con chiarezza.

Non pronunzierò il nome di quel deputato perché ci sono nomi che non vanno riportati dalla storia alla polemica e perché la libertà è di tutti ed è ugualmente grave offesa che se ne privi il primo, come l’ultimo dei cittadini italiani. Né quel deputato vorrebbe mai essere distinto dagli altri: quando il padre

… tinse del suo sangue

gli arsi lastrici di giugno,

fu per la libertà di tutti gli italiani (Approvazioni) per i figli creò con la sua morte un solo privilegio, quello di essere primi nella lotta e nel sacrificio ed essi lo esercitarono semplicemente, trovando giusto e doveroso di collocarsi colà dove c’è da affrontare l’ingiustizia e la prepotenza.

Il fascismo se ne è andato, ma non avremo rinnovato nulla, se i manganelli continueranno a roteare, solo per il fatto che abbiano cambiato mano; tanto più, onorevoli colleghi, che spesso non hanno nemmeno cambiato mano. (Applausi). Le mani che li agitano sono le stesse e sono soltanto diverse le parole ed i simboli che accompagnano le stesse violenze contro le stesse persone.

Ma non vogliamo cadere in alcuna esagerazione.

L’onorevole Togliatti ha chiuso il suo ultimo discorso rievocando, attraverso una pagina di Engels, il plurisecolare, luminoso, fervido martirio cristiano. E confesso che trovai nella retorica di quella bella perorazione un certo vizio di proporzione. Né la questione dei manifesti e degli altoparlanti si può accostare all’ultima persecuzione, che fu, secondo gli storici, la più sanguinosa contro i cristiani, né mi pare, in coscienza, che sia proporzionato e architettonico il paragone fra Diocleziano e l’onorevole Scelba. (Si ride).

LACONI. Venti anni di galera non se li ricorda?

ROSSI PAOLO. Ma, Scelba non c’era!

I nostri giovani (e mando di qui un saluto a due che non sono deputati, Solari e Feliziani, che son dovuti andare all’ospedale di San Giovanni) (Interruzioni a sinistra) e i meno giovani che, minacciati e percossi una sera, affrontano, con tutta tranquillità, la sera dopo, nuove, previste, orchestrate e aggravate violenze, non pretendono, per così poco, la palma del martirio, né chiederanno per un tale atto di modesto e di doveroso coraggio civile di essere paragonabili, per esempio, a quell’Ignazio antiocheno che, in confronto dei leoni ruggenti, disse forse la più bella parola del martiriologio cristiano: «Frumento sono io del Signore e i denti delle fiere mi macineranno per fare di me una farina più pura e più bianca».

I nostri compagni sanno che il loro dovere è quello di affrontare con animo sereno e senza inflazioni retoriche queste, e se occorre peggiori, violenze, per dire a qualunque costo la verità, la nostra verità, alla classe operaia, ideologicamente captata e chiusa con artifizi nelle paratie stagne di un esasperato e pericoloso monismo psicologico.

E voglio affermare a loro nome, pacatamente, senza alcuna iattanza, ma senza alcun timore, che questo dovere lo compiremo fino in fondo, sia che il Governo faccia quanto può e deve per garantire l’esercizio dei diritti politici, sia che non lo faccia; sia che le violenze si attenuino, come spero, sia che si accrescano ancora.

Io dico volutamente in quest’Aula, anche per rispondere ad alcune frasi che ho udito qui, e che mi pareva suonassero: «Provate a venire a dire queste cose nei comizi e davanti agli operai, nelle fabbriche», io dico: verremo (Commenti a sinistra). Ci fischieranno, ci batteranno. Nessuno di noi è minimamente intimidito o minimamente scoraggiato per gli incidenti di Roma. Non temiamo per l’avvenire.

La democrazia ha in comune con la verità questo singolare privilegio, amici, se permettete; che qualunque cosa si faccia a pro o contro di essa, finisce col tempo, per ritornare in sua esaltazione! (Applausi).

LACONI. Avete aspettato vent’anni!

ROSSI PAOLO. Non io, che mi son fatto bastonare dieci volte; lei forse ha aspettato vent’anni. (Applausi – Congratulazioni – Commenti all’estrema sinistra).

Seguito della discussione del Progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo esaminare l’articolo 59. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le due Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre.

«Ciascuna Camera si riunisce inoltre in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente, o su richiesta del Presidente della Repubblica o di un terzo dei membri della Camera.

«Quando si riunisce una Camera, è convocata di diritto anche l’altra».

Sull’articolo 59 non sono stati presentati emendamenti.

Pongo in votazione il primo comma: «Le due Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma.

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma.

(È approvato).

Allora, il testo dell’articolo 59 è stato approvato così come proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 60. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera elegge nel proprio seno il Presidente e l’Ufficio di Presidenza.

«La Presidenza dell’Assemblea Nazionale è assunta per la durata di un anno, alternativamente, dal Presidente della Camera dei Deputati e dal Presidente della Camera dei Senatori».

PRESIDENTE. Faccio presente che il secondo comma di questo articolo si riferisce all’Assemblea Nazionale, di cui è stato deciso di trattare al momento nel quale si saranno definiti i compiti e la competenza delle Camere.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Vorrei domandare a quale punto ella intenderebbe mettere in discussione la creazione dell’Assemblea Nazionale.

PRESIDENTE. Non appena concluso il Titolo del potere legislativo.

FUSCHINI. Vi sono delle interferenze, però, che sopravvengono proprio nella distinzione dei compiti delle due Camere. Io credo, che sarebbe meglio fare prima questa discussione.

PRESIDENTE. L’Assemblea, su proposta degli onorevoli Mortati, Tosato ed altri, ha preso questa deliberazione, in sede di esame dell’articolo 52:

«Si propone la sospensione di ogni deliberazione sull’ultimo comma dell’articolo 52 fino a quando non saranno deliberate le disposizioni relative alla formazione del Senato ed alla nomina del Capo dello Stato».

In questo momento lei propone una nuova soluzione. L’Assemblea può sempre rivedere la decisione già presa; ma la cosa più opportuna mi pare sia quella di decidere in merito all’Assemblea Nazionale nel momento in cui si sia deciso tutto quanto attiene alla Camera e al Senato. Evidentemente, dipende dalle facoltà e dai poteri dell’una e dell’altra Camera lo stabilire se il terzo istituto, l’Assemblea Nazionale, debba o no, essere costituito.

Onorevole Fuschini, restiamo alla deliberazione presa: vuol dire che la sua proposta di emendamento la esamineremo in quella sede.

PRESIDENTE. Allora, pongo in votazione il primo comma dell’articolo 60, sul quale non sono stati presentati emendamenti:

«Ciascuna Camera elegge nel proprio seno il Presidente e l’Ufficio di Presidenza».

(È approvato).

Il secondo comma sarà esaminato quando esamineremo la questione dell’Assemblea Nazionale.

Passiamo all’articolo 61. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera e l’Assemblea Nazionale adottano il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei loro membri.

«Le sedute sono pubbliche; tuttavia le Camere e l’Assemblea possono deliberare di riunirsi in Comitato segreto.

«Le deliberazioni delle Camere e dell’Assemblea non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri è se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale.

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

PRESIDENTE. Resta inteso, onorevoli colleghi, che ogni riferimento all’Assemblea Nazionale nel contesto di questo articolo evidentemente non ci impegna nella deliberazione di merito, in quanto tutto ciò che si riferisce all’Assemblea Nazionale lo decideremo quando esamineremo il problema nel suo complesso.

All’articolo 61 l’onorevole Colitto ha proposto i seguenti emendamenti:

«Al secondo, comma, alle parole: in comitato segreto, sostituire le altre: senza la presenza del pubblico».

«Sopprimere il terzo comma».

«Al quarto comma sopprimere le parole: se richiesti».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerli.

COLITTO. A questo articolo io ho proposto tre emendamenti. Il primo capoverso dell’articolo 61, dopo aver disposto che le sedute delle Camere e dell’Assemblea Nazionale sono pubbliche, aggiunge che le une e l’altra possono deliberare di riunirsi in comitato segreto. Ora, io propongo che alle parole «in comitato segreto» siano sostituite le altre «senza la presenza del pubblico». Queste ultime sembrano a me più precise. Non si può, infatti, disconoscere che, pur essendo il pubblico assente dalle sedute, le Camere e l’Assemblea Nazionale restano tali e non si trasformano, per effetto appunto dell’assenza del pubblico, in «comitato».

Parlandosi di «comitato», sembra a me che le Camere, solo perché si chiudono le porte, subiscano una certa trasformazione, non essendo più Camere, ma diventando comitato.

Anche lo Statuto albertino, all’articolo 52, dopo aver disposto che le sedute delle Camere sono pubbliche, dice: «Ma quando dieci membri ne facciano per iscritto domanda, esse possono deliberare in segreto». Ugualmente dispone l’articolo 38 della Costituzione polacca, là dove stabilisce che la dieta può deliberare «la segretezza della discussione». Così il paragrafo 37 della Costituzione estone, il quale dispone che l’Assemblea può decidere di «riunirsi in seduta segreta».

Nessuna Costituzione parla di «comitato». La commissione speciale della seconda Sottocommissione propose, del resto, la seguente formulazione, in cui non si parlava di «comitato»: «Le sedute delle Camere sono pubbliche. Tuttavia, con l’approvazione di due terzi delle Camere stesse, possono essere segrete». Non si comprende, poi, come la stessa seconda Sottocommissione in un secondo tempo, abbia potuto preferire l’altra formulazione di «comitato», e proprio non mi spiego le ragioni che possono aver determinato questo mutamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma è un mutamento che non ha alcuna importanza sostanziale.

COLITTO. Ho chiesto poi la soppressione del terzo comma, il quale fissa le norme regolatrici delle deliberazioni delle Camere e dell’Assemblea Nazionale, le quali non sarebbero valide, se non con la presenza della maggioranza dei loro membri ed adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione non prescrivesse una maggioranza speciale.

Ho chiesto dunque la soppressione di questo comma, perché a me sembra che ciò possa formare oggetto più che di norma costituzionale, di norma del regolamento delle due Camere.

Ho chiesto poi, con un terzo emendamento, la soppressione, all’ultimo comma, delle parole «se richiesti». A me sembra, infatti, che i membri del Governo abbiano non solo il diritto, ma il dovere di assistere alle sedute della Camera; mi sembra, quindi, strano che si parli di dovere solo quando intervenga una formale richiesta.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato due emendamenti, del seguente tenore:

«Sostituire il terzo comma coi seguenti:

«Le deliberazioni non sono valide se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo i casi di deroga stabiliti dalla Costituzione.

«Il Regolamento interno determina le condizioni per la validità delle sedute».

«Sopprimere il quarto comma:

«In via subordinata, ove il comma fosse conservato, aggiungere dopo la parola: sedute, le altre: nonché alle riunioni delle Commissioni nei casi dell’articolo 69, terzo comma».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerli.

MORTATI. Il primo di questi due miei emendamenti presenta un carattere prevalentemente formale. Esso consiste, soprattutto, in una proposta di rinvio della determinazione delle condizioni relative alla validità delle sedute in sede di regolamento.

Con il mio secondo emendamento, propongo invece la soppressione del quarto comma, che è quello ove è detto che i membri del Governo, anche se non fanno parte della Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute e che debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano. Tale disposizione infatti era necessaria nelle vecchie carte costituzionali di quei paesi che non erano retti dal regime parlamentare o nei quali esso non era ancora consolidato, ma non ha evidentemente più ragione d’essere in Stati, come nel nostro, in cui il regime parlamentare sia stato esplicitamente consacrato nella Costituzione.

L’obbligo dei membri del Governo di intervenire alle sedute delle Camere emerge dalla natura stessa del Governo parlamentare, che esige una immediatezza e continuità di rapporti fra Governo e Camere, appunto per il principio della responsabilità del Governo di fronte alle Camere.

Non sussiste poi neanche quell’altra ragione, che può in altri Paesi suggerire una disposizione del genere, cioè il divieto per un Ministro, che non sia membro delle Camere, di prendere parte alle sedute delle Camere stesse, perché c’è da noi una consuetudine, consolidata nel senso che i Ministri hanno diritto di partecipare alle sedute delle Camere, anche se non ne fanno parte.

Quindi, in relazione a queste considerazioni, mi sembra che si potrebbe sopprimere il comma, contribuendo così alla semplificazione della struttura formale del lesto costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento:

«Inserire tra il terzo e il quarto comma il seguente:

«La ripetuta negligente assenza dai lavori parlamentari verrà dai regolamenti stabilita quale causa di decadenza dal mandato parlamentare».

Ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Onorevoli colleghi, ho poco da aggiungere all’emendamento aggiuntivo che ho presentato, e che si ricollega, mi pare, a quanto ha detto testé il collega onorevole Colitto.

Il mio emendamento tende a stabilire non solo il diritto, ma il dovere da parte delle Camere future di statuire nel loro regolamento interno un principio, che essendo di notevole importanza costituzionale, a mio avviso deve essere anche inserito nella Carta costituzionale; bisogna cioè stabilire che il deputato o il senatore, cioè in genere il parlamentare, il quale con negligenza persistente viola il dovere del suo ufficio, mancando sistematicamente e negligentemente ai lavori parlamentari, può decadere dal mandato.

Io credo che sia bene che il principio venga stabilito nella nostra Costituzione e che il Regolamento lo riconfermi e lo sviluppi perché è uno scandalo che alcuni parlamentari concepiscano la loro funzione unicamente per vantaggio, decoro e utile personali propri, od almeno, col loro contegno, lascino credere che questa è la ragione per la quale hanno richiesto e mantengono il mandato parlamentare. E non è giusto che da qualche collega si consideri la Camera o il Senato come una specie di «club», al quale si va, anziché a giocare a bridge o a dama, ad alzare la mano per votare, senza neanche essere al corrente dei lavori precedenti, tanto più che la Camera futura e il Senato futuro, che dovranno compiere un lungo lavoro di controllo e un pesante lavoro legislativo, specialmente nelle Commissioni, avranno necessità che le Commissioni non vadano deserte, come avviene purtroppo sovente anche per le sedute di alcune Commissioni di questa stessa nostra Costituente.

Pertanto, mi sembra che sia legittimo che la rappresentanza costituzionale del Paese, che noi, cioè, che siamo la Nazione che legifera, inseriamo nella Costituzione questo imperativo, che non è un impedimento o una limitazione che vengano posti all’esercizio del mandato parlamentare, dal momento che è la stessa rappresentanza della Nazione – cioè noi – a porre questo dovere; dovere che risponde, in fin dei conti, anche alla serietà sociale e al fatto che ormai deputati e senatori sono, se non pagati, indennizzati, e quindi sono compensati del tempo che dedicano ai lavori parlamentari.

Mi pare giusto che, mentre gli umili operai ed impiegati, andando al lavoro, devono persino far notare, secondo la prassi moderna, sulla carta che contrassegna la loro presenza, l’ora del loro ingresso, il deputato e il senatore non trascurino negligentemente e sistematicamente i lavori parlamentari, pena la decadenza. Tanto più che vi è la possibilità, col sistema attuale elettorale, di far succedere a colui contro il quale è pronunciata la decadenza, il candidato che viene immediatamente dopo nella lista. Ritengo, quindi, che questo principio debba essere affermato nella Costituzione italiana.

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

STAMPACCHIA. Sugli emendamenti presentati ed anche sulla proposta Clerici e sul terzo capoverso dell’articolo 61.

PRESIDENTE. Dica pure, onorevole Stampacchia, tenendo però presente che discussioni generali sugli articoli non ne abbiamo fatte mai, per espressa deliberazione dell’Assemblea.

STAMPACCHIA. Osservo, fermandomi preliminarmente sul terzo capoverso dell’articolo 61, che quanto esso disciplina costituisce materia regolamentare. Se noi fissiamo nella Costituzione tale disposizione – specialmente nella progettata forma assai cruda ed anche semplice – si potrà verificare che chiunque, anche i terzi estranei all’Assemblea, potranno ricorrere a quel qualsiasi organo cui sarà demandato di tutelare la Costituzione, ed impugnare le deliberazioni dell’Assemblea legislativa deducendo che nella deliberazione mancò il numero legale. E passo innanzi, perché credo che la cosa è così intuitiva che non ha bisogno di ulteriore svolgimento.

Per quanto riguarda i membri del Governo, di cui si parla al quarto capoverso, osservo che qui s’introduce un sistema già abbandonato dopo il 2 giugno 1946 – e che solo recentemente lo si è fatto rivivere – e cioè che gli estranei al Parlamento, o ad uno dei suoi rami, possano far parte del Governo. Quando ciò accadeva, vi era il correttivo, possibile solo con lo Statuto Albertino, della nomina a senatori di codesti estranei.

Pertanto, io riterrei, in questa materia, che sarebbe disposizione di carattere veramente democratico stabilire in modo esplicito che i membri del Governo non possano essere scelti se non tra gli eletti del popolo. E quindi ritengo che, ad evitare che la questione sia oggi definitivamente pregiudicata, si debba votare contro l’inciso del capoverso il quale ammette esplicitamente che i membri del Governo possono non far parte delle Camere.

Per quanto attiene all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Clerici si permetta a me – che ho coscienza di essere tra i più assidui perché sempre presente ai lavori di questa Assemblea – di osservare che i deputati e i senatori eletti dal corpo elettorale devono dar conto della loro attività soltanto al corpo elettorale che li ha mandati ad uno dei due rami del Parlamento; diversamente si corre il rischio che un colpo di maggioranza possa ingiustamente colpire alcuno o alcuni che si assentano dall’Assemblea. L’assenza può qualche volta assumere particolare significato politico e non essere indice di noncuranza, di negligenza, di disinteresse ai lavori parlamentari. In proposito voglio ricordare che, dopo il delitto Matteotti, un cospicuo numero di deputati – e non soltanto di questi settori di sinistra – ritennero, come atto di solenne protesta, di doversi assentare dal Parlamento per non partecipare ulteriormente ai lavori di quella Camera veramente indegna; e si ritirarono, come allora si disse, sull’Aventino. Atto adunque fu quello squisitamente politico. Ebbene, che cosa fece allora il fascismo? Trasse motivo dall’assenza per dichiarare decaduti quei deputati.

Concludendo: l’assenza può avere significazione politica; onde è necessario sia fermo che della loro attività i membri del Parlamento debbono rispondere soltanto di fronte ai propri elettori e che le Assemblee non hanno diritto di rivedere, di controllare comunque, quell’attività. (Applausi a sinistra).

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Alcune parole voglio aggiungere su quanto hanno detto l’onorevole Clerici e l’onorevole Stampacchia.

Che sia deplorevole che vi siano colleghi che non compiono il loro dovere, siamo d’accordo. Io, che ho l’abitudine di assistere a tutte le sedute del Parlamento, molte volte ho provato un senso di disgusto per questa assenza di colleghi in tutti i banchi. Ma, fra constatare questo e derivarne provvedimenti quasi disciplinari, c’è una bella distanza.

Convengo sulla sconvenienza di un uomo che, investito di un mandato dai propri elettori, se ne infischia del mandato, fa i propri interessi e trascura i doveri parlamentari in modo biasimevole; e sono d’accordo che gli elettori faranno molto bene a ricordarsi di questa trascuratezza abituale del deputato.

Ma soprattutto, secondo me, dovrebbero agire i partiti. Viviamo in tempo di partiti. I partiti hanno l’obbligo anche di vigilare sull’attività dei propri aderenti e obbligarli ad essere presenti.

Io so che anche il mio partito, quando ha avuto bisogno di avere presenti i compagni, ha mandato dei telegrammi, ha mandato delle sollecitazioni ed altrettanto avranno fatto gli altri partiti. Il deputato, quando riceve una sollecitazione dal partito, deve pensare che questa sollecitazione non risponde al capriccio di un segretario qualunque del partito, ma all’interesse degli elettori.

Quindi, io proporrei che non si mettesse nella Costituzione questa minaccia, diciamo procedurale, contro il deputato assente, tanto più che vi può essere il caso di un deputato il quale sia più utile fuori del Parlamento che sui banchi del Parlamento stesso. In un momento di eccitazione politica, quando qualche cosa interessa le masse dei lavoratori ed esse richiedono il loro deputato sul posto, non è allora giusto che un deputato, il quale corra sui campi dello sciopero o sui campi dell’agitazione per cercare di comporre delle divergenze e cerchi insomma di fare il proprio dovere fuori dai banchi di Montecitorio, sia poi chiamato all’ordine perché non ha assistito alle sedute.

Non tutti quelli che sono assenti da qui lo sono per trascuratezza. Molti hanno degli impegni, tanto più che questi impegni erano necessari per tirare avanti. Adesso con l’aumento dell’indennità parlamentare a molti si è data la possibilità di vivere, ma prima molti colleghi avevano bisogno, per poter vivere, di svolgere la loro professione. Quindi, che sia soltanto sancito questo obbligo morale che ciascun deputato deve sentire. Questo perché sarebbe troppo ripugnante che oltre ad essere chiamati all’ordine dai nostri elettori, dovessimo essere chiamati all’ordine anche dal Parlamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per le sedute dell’Assemblea Nazionale si applica il regolamento della Camera dei deputati».

Poiché si riferisce all’Assemblea Nazionale, verrà posto in discussione al momento in cui esamineremo quel problema generale.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Non sono d’accordo con il mio collega, onorevole Clerici, perché ritengo che il mandato parlamentare debba risiedere essenzialmente nella coscienza del rappresentante stesso, in quanto vi possono essere varie forme di esprimere il mandato parlamentare e vi può essere un determinato momento in cui anche l’assenza dall’Assemblea può assumere un valore politico, come l’assunse nel 1924.

Per questi motivi dichiaro che sono contrario all’emendamento ed anzi pregherei lo onorevole Clerici di non insistere. (Applausi).

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. L’inciso, che l’onorevole Clerici vuole inserire, è inopportuno ed anche, me lo consenta il collega, offensivo; i deputati hanno fatto sempre il loro dovere e continueranno a farlo.

Poiché la nostra Costituzione varrà per le future assemblee legislative debbo fare presente, in nome anche della mia modesta esperienza, che esse non avranno il ritmo ininterrotto ed intenso della Costituente, assemblea sui generis, che ha tenuto e dovrà tenere in avvenire sedute continue, onde assolutamente concludere i suoi lavori entro il 31 dicembre prossimo.

Se in alcuni giorni, pochi in vero, si notarono assenze di deputati, ciò si deve onestamente spiegare con le giuste necessità dei medesimi di trasferirsi in provincia per ragioni politiche apprezzabili o talvolta per impellenti motivi privati. Non avverrà così con le assemblee legislative normali, il cui ritmo di lavoro è diverso, intervallato da periodi di vacanza e che darà modo ai deputati di conciliare i doveri della carica con le altre esigenze. Io ricordo che nelle assemblee normali solo il lunedì, seduta di interrogazioni, si notava un certo assenteismo, cosa che non avveniva negli altri giorni.

Tutto ciò dico in aggiunta a quanto ha saggiamente osservato il collega onorevole Uberti e che perfettamente condivido.

Dichiaro perciò a nome del mio Gruppo che, ove non venga ritirato, voteremo contro l’inciso proposto dall’onorevole Clerici. (Applausi).

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’articolo 61, al primo comma, non ha nessuna proposta di emendamento. Resterà sempre da togliere «e l’Assemblea Nazionale» perché è materia rinviata.

Nel secondo comma abbiamo un emendamento dell’onorevole Colitto, al quale non piacciono le parole «in Comitato segreto». Non c’era nessun intento recondito nel mettere «Comitato»: che è parola classica nel diritto costituzionale e nelle Costituzioni. Ad ogni modo non accetterei la formula che egli propone «senza la presenza del pubblico». Se vogliamo mettere «in seduta segreta» invece di «Comitato segreto», non c’è niente di male. Fugheremo le tenebrose impressioni dell’onorevole Colitto.

Veniamo al terzo comma in cui gli emendamenti sono più numerosi. Bisognerà anche qui togliere «e dell’Assemblea», perché è materia rinviata. Che cosa ha voluto fare la Commissione nel terzo comma dell’articolo 61? Ha seguito questi criteri: che bisogna rinviare per quello che è possibile al regolamento delle Camere, per alleggerire il più possibile il testo della Costituzione, ma che è opportuno stabilire in questa alcuni principî essenziali che sanciscono garanzie costituzionali e dànno la sicurezza del funzionamento dell’Assemblea. E allora, che cosa ha stabilito? Due principî: che le sedute non sono valide se non è presente la maggioranza dei deputati; e che le deliberazioni non sono valide se non sono approvate dalla maggioranza dei presenti. Ecco due principî lineari che si completano e che, anche per una certa ragione estetica, stanno bene insieme. Si è aggiunto che i casi in cui occorrano maggioranze qualificate, sono previsti della Costituzione. Mi pare che sia un sistema che possa reggere.

L’onorevole Colitto propone di sopprimere senz’altro ogni disposizione. Mi oppongo, perché vi devono essere criteri di garanzia costituzionale per cui una Camera non possa tener sedute con tre o quattro presenti soltanto, né deliberare senza che vi sia una vera maggioranza di presenti.

L’onorevole Mortati propone alcune modifiche, che sono più che altro di forma, molto sottili, ed io lo prego di non insistere perché adottandole potrebbe sorgere qualche dubbio. Intanto egli rinvia la questione della presenza necessaria della metà dei deputati al Regolamento, dicendo che il Regolamento farà quello che vorrà. Non mi pare opportuno. Questa norma deve essere un criterio da mettere qui; anche per andare incontro all’esigenza da cui parte l’onorevole Clerici, che vi deve essere una effettiva serietà nei lavori delle Camere. Non comprendo perché l’onorevole Mortati rinvii uno dei punti, la validità delle sedute; e metta qui la validità delle deliberazioni, ma con espressione poco felice, perché la deroga sembra che sia per essere in meno, non in più.

Prego l’onorevole Mortati di ritirare il suo emendamento, di fronte alla disposizione più lineare ed insieme più opportuna e corretta, che il Comitato mantiene.

All’ultimo comma che riguarda i membri del Governo è stabilito che essi, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Disposizioni di questo genere sono contenute in molte Costituzioni; e riguardano due punti: che i membri del Governo che appartengono ad una Camera, possono partecipare anche ai lavori dell’altra (naturalmente senza voto); e che i membri del Governo, che non appartengono a nessuna Camera, possono (sempre senza voto) partecipare ai lavori di tutte due.

Debbo anzitutto una rettifica all’onorevole Stampacchia. Non possiamo stabilire che il Governo debba essere costituito soltanto di membri del Parlamento. Vi possono essere dei casi in cui sia necessario che partecipino al Governo elementi che non fan parte del Parlamento; sarà un caso estremamente eccezionale; ma non è escluso nella prassi più rigorosamente democratica; chi giudica ed ammette è in definitiva il Parlamento, che deve dare o no la fiducia; sarebbe errore escludere costituzionalmente tale possibilità.

L’onorevole Mortati propone di sopprimere l’intero comma, osservando che la disposizione si addiceva agli statuti di vecchio tipo, in cui non era ben affermato il regime parlamentare. Riconosco anch’io ed aggiungo che storicamente regime parlamentare vuol dire anche regime di gabinetto; e presuppone la fiducia del Parlamento nel Governo; così che chiunque fa parte del Governo deve poter partecipare e rispondere nelle sedute al Parlamento. Anche se non è scritto nella Costituzione, ciò può considerarsi acquisito alla nostra prassi costituzionale; e possono bastare norme di regolamento. Crederei meglio mettere qualcosa nel nostro testo; ma poiché non si tratta di necessità, ma di opportunità, il Comitato non solleva formale difficoltà acché il comma sia soppresso.

Veniamo alla proposta aggiuntiva Clerici.

Dichiaro, anzitutto, di riconoscere ed apprezzare la giusta esigenza da cui egli muove. Desidero però sottoporre alla sua mente così chiara, questi tre punti: primo, la sua disposizione non esiste in nessuna Costituzione; secondo, il vero giudice del suo rappresentante è il corpo elettorale; terzo, il più grave: è stato osservato dall’onorevole Uberti, che si potrebbe dare l’adito ad abusi; perché, in fondo, l’Aventino fu stroncato, ed ebbe luogo la famosa mozione di espulsione dalla Camera, perché si disse che gli aventiniani non adempivano al loro mandato di intervenire alle sedute. In mano ad una maggioranza faziosa la formulazione Clerici potrebbe essere pericolosa. Prego l’onorevole Clerici di non insistere sul suo articolo aggiuntivo. Si potrà, col Regolamento delle Camere, colpire in altro modo i deputati assenti, con denuncia in piena Camera ed al pubblico, con soppressione dell’intera indennità, dei biglietti di circolazione o in altri modi; senza arrivare alla decadenza.

PRESIDENTE. Domando ai presentatori degli emendamenti se, dopo aver udite le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, mantengono i loro emendamenti. Onorevole Colitto?

COLITTO. Riguardo al primo emendamento, aderisco alla formula proposta dall’onorevole Ruini: «in seduta segreta».

Non insisto nel secondo emendamento.

Il terzo mio emendamento non ha più ragione d’essere, avendo la Commissione accolto la proposta Mortati di sopprimere il quarto comma.

PRESIDENTE. E lei onorevole Mortati?

MORTATI. Aderisco al cortese invito dell’onorevole Ruini per quanto riguarda il primo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Clerici?

CLERICI. Facendo omaggio all’ultimo argomento espresso dall’onorevole Ruini, argomento che si riallaccia a quanto detto dall’onorevole Uberti, e pur restando dell’opinione personale che il Regolamento potrà ovviare ai colpi di maggioranza, tuttavia, siccome la libertà del deputato è cosa così sacra, che bisogna cercare di impedire ogni pericolo di qualsiasi attentato ad essa, ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 61, tolte le parole «Assemblea nazionale»:

«Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento con maggioranza assoluta dei propri membri».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma, nella formula che risulta dalla proposta dell’onorevole Colitto, modificata dall’onorevole Ruini:

«Le sedute sono pubbliche. Tuttavia le Camere possono deliberare di riunirsi in seduta segreta».

(È approvato).

Passiamo al terzo comma: «Le deliberazioni delle Camere non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale».

Poiché tanto l’emendamento Mortati, quanto la proposta soppressiva dell’onorevole Colitto sono state ritirate, pongo in votazione il testo della Commissione.

(È approvato).

Rimane l’ultimo comma: «I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

L’onorevole Mortati ha proposto che fosse soppresso, e l’onorevole Ruini ha aderito.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Su questa soppressione dell’ultimo comma io faccio presente che, chi non è membro delle Camere non può entrare nelle Camere. Infatti anche quando un Senatore era nominato Ministro, riceveva l’autorizzazione, in qualità di Ministro, a presenziare alle sedute della Camera dei deputati. In Inghilterra non è ammessa nemmeno questa eccezione.

Una norma che autorizzi coloro i quali non sono membri delle Camere, ma del Governo, a poter partecipare alle sedute delle Camere in questa loro qualità, ritengo che si debba conservare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Come ho già detto, io considero che la disposizione del comma sia già compresa nello spirito e nella prassi costituzionale italiana; che nulla vieta sia diversa da quella inglese; non occorre un articolo di Costituzione: basta il Regolamento e la consuetudine a stabilire che un Ministro membro di una sola Camera, o di nessuna, partecipi ai lavori parlamentari.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Vorrei che fosse aggiunto questo: che, quando si tratta di un voto di fiducia o sfiducia al Governo, i membri del Governo si debbano astenere. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Tonello, metta per iscritto la sua proposta: non si può presentare un emendamento esprimendo una propria idea in forma verbale.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Faccio noto che il fatto di poter partecipare e non presenziare soltanto alle sedute del Parlamento, deriva da un diritto conferito dagli elettori a determinati cittadini. Chi non ha ricevuto dagli elettori questo diritto non può discutere nell’Aula di nessun ramo. Bisogna stabilire quindi, come si è sempre fatto, questa norma: che i membri del Governo possano partecipare, senza diritto di voto, alle sedute delle Camere; che i membri di una Camera, che siano membri del Governo possano, senza diritto di voto, assistere alle sedute dell’altra Camera. Io insisto perché questo concetto sia mantenuto nella Costituzione, perché per me è un concetto costituzionale.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Onorevole Presidente, l’ultimo comma, del quale ora stiamo discutendo, stabilisce che «i membri del Governo hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute». Ora la domanda che in me viene spontanea, sebbene sia sorta con ritardo, è questa: richiesti da chi?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dal Parlamento!

COSTANTINI. Non si tratterà di una petizione formale di tutta l’Assemblea legislativa!

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, se ha qualche proposta concreta, la faccia nella forma dovuta.

COSTANTINI. Io vorrei precisare: «se richiesti dall’ufficio di presidenza». (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rispondo innanzi tutto all’onorevole Costantini che la formula «se richiesti» mi pare la più adatta, perché lascia un certo criterio elastico. Se nella Camera si manifesta, da qualche parte, la richiesta che un membro del Governo partecipi per una ragione determinata ad una seduta, e la Camera non si oppone, questa è già una richiesta, alla quale deve ottemperare, senza bisogno di una deliberazione formale della Camera stessa o del suo ufficio di Presidenza.

In quanto poi all’onorevole Lucifero, io ripeto, per la terza volta, che il Comitato non ritiene indispensabile che sia collocata nella Costituzione la materia di cui si discute. Si tratta di un giudizio di opportunità. Ma, appunto per questo, se vi sono qui nell’Assemblea colleghi che credono opportuno l’inserimento – e se alcuni, come l’onorevole Lucifero, credono addirittura che sia necessario –, il Comitato non ha ragione di opporsi a ciò che è ripristino della originaria formula della Commissione; la quale – ripeto ancora e sempre – dovrà nella sua sostanza aver vigore in ogni caso, in forza di un articolo della Costituzione, del Regolamento delle Camere o del costume.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Io penso che sia più conveniente mantenere questa disposizione, per gli argomenti esposti dall’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE. Siccome vi sono alcuni membri dell’Assemblea che non aderiscono alla conclusione iniziale cui era giunto il Comitato dei diciotto, metterò in votazione anche l’ultimo comma: «I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti l’obbligo, di assistere alle sedute».

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Vorrei sapere se la Commissione accetta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per la quarta volta dichiaro che il Comitato non si opponeva alla soppressione proposta dall’onorevole Mortati, anche per evitare altre discussioni – io ho sempre presente la necessità di non perdere tempo –; ma se vi è chi insiste per mantenere il testo originario della Commissione, aderisco acché questo sia mantenuto.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Il Presidente della Commissione è estremamente debole nel difendere alcuni principî accettati. Perché deve rimettersi all’Assemblea a causa di qualche dubbio sorto? Non deve rimettersi affatto. Questi dubbi non hanno ragione di essere. Noi siamo in materia di vita costituzionale e sappiamo perfettamente che la vita costituzionale non è solo regolata dal diritto scritto, ma anche dalla consuetudine. Le preoccupazioni, per esempio, dell’onorevole Lucifero, non hanno alcun valore per noi, perché nella vita costituzionale italiana, nelle due Camere potevano entrare anche i non appartenenti ad esse, se erano Ministri.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per verità, c’era lo Statuto.

LUSSU. Non ha importanza. Ciò è entrato nella nostra tradizione, ed anche qui Ministri e Sottosegretari sono entrati nell’Aula.

RUINI, Presidente della Commissione perla Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Lussu, che faceva parte della Commissione, poteva benissimo opporsi ad initio alla disposizione che era stata introdotta nel testo della Commissione anche col suo assenso. Se è debolezza mutar opinione, egli è il più debole di tutti. Io non ho mutato opinione. L’onorevole Lussu che del resto ha tante volte combattuto il Comitato, perché sosteneva il testo presentato, si sbaglia se vede una mia debolezza, quando cerco di tener conto di ragionevoli proposte di emendamento. È piuttosto debolezza, onorevole Lussu, incaponirsi, e lei ne sa qualche cosa, in piccole e legnose questioni formali. Io compio il mio dovere, cercando di abbreviare la discussione e di far più presto che si può. Per questo cedo di fronte a proposte di piccola o nulla importanza. È irrilevante costituzionalmente – lo ripeto non so per quale ennesima volta – che questo comma vi sia o no nella Costituzione, ma, se una parte dell’Assemblea vuol metterlo, tornare al testo originario, dobbiamo mantenerlo.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che in questa disposizione è introdotto di straforo il principio che i membri del Governo possono non appartenere alle Camere. Io non vorrei che la votazione riuscisse così confusa, che la Assemblea non avvertisse l’importanza di ciò che vota. Penso che sarebbe opportuno votare per divisione, in modo che da prima si affermasse se possono essere membri del Governo persone non facenti parte delle Camere, e poi se hanno diritto all’ingresso alla Camera.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. C’è una mia proposta subordinata nel senso che, non accettando l’emendamento soppressivo, si aggiunga anche la menzione dell’obbligo o diritto di partecipare alle Commissioni da parte dei Ministri e membri del Governo. Mi pare che se si mantiene l’inciso (che secondo me non ha ragione di essere mantenuto) bisognerebbe specificare ogni cosa, per derimere dubbi circa la possibilità di intervento dei membri del Governo nelle Commissioni, dubbi sorti anche in passato su questo punto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero e chiedo che non si massimalizzino questioni di scarsa importanza.

I colleghi dovrebbero tener conto che la Commissione ha studiato per un anno il progetto; e non presentare emendamenti minimi, che fanno perdere tempo. L’onorevole Mortati, ad esempio, propone di aggiungere che i Ministri, che non sono membri d’una Camera, possono partecipare alle sedute di Commissioni di cui non si è parlato ancora fin qui nel progetto. Ma c’è proprio bisogno di dirlo? «Sedute» non comprende tutto? Certe sottigliezze non precisano, ma sciupano la linea semplice e costituzionale, che deve avere la Costituzione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’ultimo comma: «I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

L’onorevole Laconi ha chiesto la votazione per divisione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io rinunzio, ma è importante che risulti chiaro che si introduce in sede costituzionale questo principio: che i membri del Governo possono non essere membri del Parlamento. Io non voglio parlare contro questa possibilità, ma altra cosa è ammetterla di fatto, altra cosa è prevederla in un esplicito articolo di Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia ha presentato il seguente emendamento, che ha già svolto:

«Sopprimere l’inciso: anche se non fanno parte delle Camere».

Gli onorevoli Costantini, Nobile, Tonello, Stampacchia, Tega, Nobili Tito Oro hanno proposto il seguente emendamento:

«I membri del Governo hanno diritto e dovere di assistere alle sedute». (Commenti al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ha senso. Come possono allora fare i Ministri?

PRESIDENTE. Voteremo dunque per divisione, necessariamente, date le molte proposte di emendamenti.

Pongo in votazione la prima parte del comma:

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Un solo chiarimento. Faccio notare che il non votare «anche se non fanno parte della Camera» può creare difficoltà di diverso ordine, oltre che abbandonare completamente una tradizione non solo italiana, ma di quasi tutto il mondo.

Prima di tutto, renderebbe impossibile servirsi, in circostanze eccezionali, di particolari competenze al Governo, o, almeno, metterebbe nella impossibilità che esse possano riferire alla Camera. Ad esempio, potrebbe succedere che, in caso di guerra, si prenda un generale e lo si faccia Ministro della guerra, ma lo si metterebbe nella impossibilità di riferire alle Camere, di rispondere alle interpellanze e di mantenere i contatti fra Governo e Parlamento.

D’altra parte, si creerebbe la situazione che c’è in Inghilterra, cioè che il Ministro senatore non potrebbe intervenire alle sedute della Camera dei deputati e che il Ministro deputato non potrebbe intervenire alle sedute del Senato. Ho desiderato illustrare questa situazione, come, del resto, ha fatto anche l’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi aveva premesso che chiariva, e non ha fatto alcuna opera di convinzione per sostenere l’una o l’altra tesi. D’altra parte, non ritengo che siano necessarie tante illustrazioni, perché ho l’impressione che la maggioranza della Camera sia già orientata.

Pongo in votazione le seguenti parole:

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«hanno diritto».

(Sono approvate).

Passiamo alla votazione delle parole proposte dall’onorevole Costantini:

«e dovere».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei richiamare l’attenzione dell’onorevole Costantini sulle conseguenze pratiche di questa aggiunta: se mancherà un membro del Governo, a richiesta di un deputato si dovrà sospendere la seduta? Votando una disposizione di questo genere mettiamo il Governo in condizione di far funzionare la Camera quando fa ad esso comodo. (Approvazioni al centro).

Un deputato qualsiasi chiede la presenza del Ministro dei lavori pubblici e si sospende la seduta in attesa del Ministro. Molto comodo per il Governo, ed io mi oppongo.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Osservo all’onorevole Lucifero che nella formulazione della Commissione può proprio avvenire quanto egli deplora nell’emendamento, che io ho proposto appunto per ovviare a tale inconveniente.

Nel testo della Commissione è scritto che i membri del Governo hanno l’obbligo di intervenire, se richiesti.

Prima ho formulato una precisa domanda: richiesti da chi? Mi è stato risposto: dal Parlamento.

Dai membri del Parlamento o dal Parlamento, corpo collegiale? Allora, il quesito che pongo è il seguente: se nel testo costituzionale noi non mettiamo chi ha il diritto di richiedere la presenza di un membro del Governo, avverrà che qualunque deputato potrà chiedere ad un signor Ministro di intervenire ad una seduta. Con quali conseguenze, allora, onorevole Lucifero, se non proprio quelle che lei deplora? Tanto più che il testo costituzionale, di fronte alla mia proposta che parla di «dovere», dice «obbligo». E l’obbligo è più del dovere, perché lascia supporre anche un atto coercitivo, onde averne l’adempimento.

Allora, proprio per ovviare all’inconveniente accennato dall’onorevole Lucifero, ho creduto di proporre il mio emendamento.

Naturalmente, il dovere verrà esercitato quando il signor Ministro riterrà che sia di effettivo interesse partecipare alle sedute della Camera.

Questo è lo spirito che ha informato il mio emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero fare alcune osservazioni semplicissime e molto pratiche. Se noi stabiliamo il dovere dei Ministri di assistere alle sedute, senz’altro, si deve logicamente intendere: a tutte le sedute. Ma un Ministro che ha tante cose da fare, come potrebbe assistere ora, per esempio, a tutti i nostri lavori di costituenti, mattina e sera? È meglio dire che devono assistere, se ne sono richiesti.

Sono stati espressi dubbi anche dall’onorevole Lucifero. Ma in che mondo viviamo? Se la richiesta non è seria, è evidente che si alzeranno gli altri deputati e si pronunceranno contro. Il pericolo che i Ministri possono, assentandosi dalle sedute, fare ostruzionismo al lavoro parlamentare è semplicemente fantastico. Né occorre formale ordinanza o decreto di Camera o di Presidenza per condurre nell’Aula, manu armata, i Ministri.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Senza mancare di riguardo all’Assemblea, debbo confessare che mi pare che noi stiamo facendo una discussione sterile.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Verissimo.

NITTI. Questa non è materia di costituzione, è materia di regolamento.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Io l’avevo detto.

NITTI. Qual è la situazione dei Ministri? In Inghilterra essi non possono intervenire alle sedute se non sono membri della Camera; in America, i Ministri non sono che segretari del Presidente.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In America non c’è il regime parlamentare.

NITTI. In Francia, com’era da noi, intervenivano in tutti e due i rami del Parlamento. E i Sottosegretari, che furono una tardiva invenzione di Crispi, in principio non entrarono: poi entrarono.

Ora, cosa significa dovere? È la solidarietà del Ministero; un Ministro può anche rispondere per altri Ministri; può rispondere per tutte le questioni che riguardano il Gabinetto: lo fate voi stessi. E allora perché facciamo tutte queste questioni? Lasciamo questa materia ai regolamenti. Noi facciamo una Costituzione, non facciamo un regolamento: manteniamoci dunque in questa linea. (Applausi).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Costantini: «e dovere».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione le parole: «e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute».

(Sono approvate).

Abbiamo ora la proposta dell’onorevole Mortati di aggiungere; dopo la parola: «sedute» le altre: «nonché alle riunioni delle Commissioni, nei casi dell’articolo 69, terzo comma».

MORTATI. La ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Non è rimasta allora che un’ultima frase, l’ultima proposizione: «Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano». La pongo in votazione.

(È approvata).

Pertanto l’articolo 61 nel suo complesso risulta così approvato:

«Ciascuna Camera adotta un proprio regolamento a maggioranza assoluta dei propri membri.

«Le sedute sono pubbliche; tuttavia le Camere possono deliberare di riunirsi in seduta segreta.

«Le deliberazioni delle Camere non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la costituzione non prescriva una maggioranza speciale.

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, l’obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

Passiamo all’articolo 62. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore.

«Nessuno può essere contemporaneamente membro delle due Camere».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma sopprimere le parole: di ineleggibilità e».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Io ho proposto di sopprimere al primo comma le parole: «di ineleggibilità e», perché dell’eleggibilità si è parlato negli articoli 54 e 55 della Costituzione.

Poiché la materia della eleggibilità è già stata trattata in altra parte della Costituzione, penso che non se ne debba parlare novellamente qui.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non credo che siano ragioni sufficienti quelle addotte dall’onorevole Colitto. Negli articoli che egli ha citato si tratta di alcune condizioni di eleggibilità; non di tutti i casi di ineleggibilità, che devono essere previsti e regolati dalla legge elettorale. Caso mai bisognerebbe riferirsi all’articolo 45. Ma io sono sicuro che l’onorevole Colitto non insisterà, anche tenendo presente – egli che ha tanto cura della forma – che «ineleggibilità ed incompatibilità» è una formula inscindibile e classica, che si completa e suona bene nelle costituzioni.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, lei insiste nel suo emendamento?

COLITTO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione il primo comma dell’articolo 62:

«La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma dell’articolo:

«Nessuno può essere contemporaneamente membro delle due Camere».

(È approvato).

Allora, l’articolo 62 è approvato nel testo della Commissione.

Passiamo all’articolo 63. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Romano ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 63 col seguente:

«La Corte di cassazione giudica dei titoli di ammissione dei membri delle due Camere.

«Il collegio giudicante è costituito da tutti i presidenti di sezione della Suprema Corte e presieduto dal primo presidente della Corte stessa».

Ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. L’argomento ha formato oggetto anche di discussioni nei Parlamenti passati, il che dimostra che anche i deputati di allora rimasero insoddisfatti di quanto decidevano le Giunte parlamentari.

Oggi la verifica dei poteri viene fatta in prima istanza, diciamo così, dalle Giunte parlamentari, e dall’Assemblea stessa, in seconda istanza.

Se si considera che le assemblee ordinariamente sono espressione dei partiti, delle correnti politiche, è facile dedurre che questi due organi funzionano da parte e da giudici, il che desta preoccupazioni.

Basterebbe questo rilievo per ritenere ordinariamente poco sereno il giudizio. Sulla decisione di tutte le questioni influiscono elementi diversi, figuriamoci in questioni di natura politica che sono sempre permeate di passione.

Quindi questo è uno dei motivi per cui i Parlamenti del passato si sono occupati più volte della questione.

Prova ne è che nella nostra biblioteca esistono monografie e discorsi contrari alla Giunta parlamentare.

E la prova è che anche nella nostra biblioteca vi sono monografie di parlamentari diversi che se ne sono occupati.

Si è detto che le Giunte parlamentari sono formate da giuristi, da maestri del diritto, e che quindi dovrebbe tranquillizzare, ma va osservato che di frequente sono chiamati a farvi parte anche profani del diritto e, quindi, finiscono per seguire gli esperti; ora se questi si avvalgono della loro capacità per fare prevalere lo spirito di parte, gli altri sono indotti ad avallare incoscientemente un giudizio errato.

Ma prescindendo dal giudizio, gli inconvenienti si possono verificare anche al di fuori del giudizio della Giunta; e la storia parlamentare registra diversi di questi inconvenienti.

Noi abbiamo assistito, anche recentemente, a casi di deputati che sono rimasti nell’Assemblea per tutta la legislatura ed alcuni hanno anche ricoperto posti di Governo, senza avere avuto la convalida della Giunta e dell’Assemblea.

Si può osservare che, demandando la verifica dei poteri ad organi estranei al Parlamento, si verrebbe quasi a ledere la sovranità dell’Assemblea; ma questo rilievo io penso che non sia del tutto fondato. Basta osservare che, finché l’elezione non è convalidata, non si può considerare l’eletto parte integrante dell’Assemblea. Quindi, se un organo estraneo all’Assemblea giudica sulla convalida, sostanzialmente non viola la sovranità dell’Assemblea stessa.

Ora, demandando alla Suprema Corte di Cassazione la verifica dei poteri, gli inconvenienti che si sono finora lamentati verrebbero in gran parte ad essere eliminati. Il magistrato ordinario è libero da vincoli di amicizia e di convinzioni politiche che legano fra loro i membri di partiti; per i magistrati non hanno valore le convenienze, le così dette opportunità politiche.

Il magistrato, per suo stesso abito mentale, è condotto a ritenersi superiore a tutte queste miserie della vita politica.

Queste qualità sono garanzia della serenità del responso.

Si è detto che le contestazioni investono ordinariamente questioni politiche. La verità è che il movente è l’ambizione politica, ma le contestazioni riguardano o questioni di diritto, e sono le più numerose, o reati, e sono le meno numerose.

Ma in entrambi i casi trattasi di applicare e interpretare la legge, e questa competenza specifica è propria del magistrato.

Con l’emendamento aggiuntivo di oggi ho inteso costituire il collegio giudicante con i presidenti di sezione della Corte di Cassazione per prevenire nella formazione manovre politiche.

Penso che l’emendamento possa essere accolto. (Interruzioni).

Voci a sinistra. Basta con la magistratura fascista!

ROMANO. La magistratura non si è mai sporcata di fascismo, è rimasta sempre al suo posto e lo è anche oggi. Siete voi che la volete asservita, ma non vi riuscirete. (Commenti).

PRESIDENTE. Seguono gli emendamenti presentati dall’onorevole Calamandrei:

Sostituirlo con i seguenti:

Art. …

«Ciascuna Camera è giudice dei titoli di ammissione dei propri componenti, previa indagine di una Giunta permanente, nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari Gruppi della Camera, e fornita degli stessi poteri istruttori che ha l’Autorità giudiziaria.

«Spetta a detta Giunta indagare, anche di ufficio, sulle cause di ineleggibilità e di incompatibilità sopraggiunte dopo le elezioni, per riferirne alla Camera, che può dichiarare la decadenza dalla carica del deputato o senatore diventato ineleggibile o incompatibile».

Art. …

«Ciascuna Camera è giudice delle accuse mosse nel Parlamento alla onorabilità dei suoi componenti. Non si può addivenire alla discussione e deliberazione pubblica su tali accuse, se prima non si sia pronunciata su di esse, a richiesta degli interessati o anche di ufficio, la Giunta permanente di cui al precedente articolo, la quale indaga sulla fondatezza delle medesime e ne riferisce alla Camera per gli opportuni provvedimenti».

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Faccio miei i due emendamenti dell’onorevole Calamandrei, assente.

Pregherei di rinviarne l’esame al momento in cui si discuterà l’articolo 78.

Difatti l’onorevole Calamandrei, nel redigere questi articoli, ha volutamente lasciato in bianco la numerazione, perché quella materia andrebbe trattata in fondo al Titolo.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, la sua richiesta di rinvio può aver valore per la seconda delle formulazioni; la prima, invece, deve essere trattata in questa sede.

ROSSI PAOLO. Illustrerò allora brevemente la seconda proposto. Mi pare che sia evidente che devono essere le Camere giudici dei titoli d’ammissione dei propri membri e mi pare che questo supremo giudizio non possa essere affidato ad altri corpi che non siano le Camere stesse. È vero, però, che si tratta di una materia di estrema delicatezza, e quindi la garanzia contenuta nell’alinea dell’emendamento proposto dall’onorevole Calamandrei mi sembra che acquisti rilevanza costituzionale ed ecceda i limiti del semplice regolamento. Ritengo opportuno che si dica nella Costituzione che quella che si chiamerà la Giunta permanente delle elezioni debba essere nominata col criterio della rappresentanza proporzionale dei Gruppi della Camera.

È davvero materia troppo delicata ed è materia troppo importante per lasciarla affidata unicamente alle norme regolamentari.

Possiamo votare con tranquillità che la Giunta delle elezioni deve essere nominata con la rappresentanza proporzionale di tutti i Gruppi che fanno parte della Camera.

Rimane la seconda parte dell’emendamento Calamandrei. Tra i poteri della Giunta vi deve essere evidentemente anche quello di esaminare la ineleggibilità o la incompatibilità sopraggiunta ed è opportuno che ciò abbia rilevanza costituzionale e non sia affidato semplicemente al Regolamento.

Per queste ragioni invito l’Assemblea a votare il secondo degli emendamenti Calamandrei.

Per il primo credo che il Presidente concordi con me circa l’opportunità di rinviarne la trattazione all’articolo 78.

PRESIDENTE. Sta bene.

Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati:

«Sostituirlo col seguente:

«Un tribunale elettorale, composto, in numero pari, di magistrati della Cassazione, del Consiglio di Stato e di membri eletti dalle due Camere, e presieduto dal primo presidente della Cassazione, giudica del possesso dei requisiti per la nomina a membro del Parlamento, nonché delle questioni relative alla perdita del mandato.

«Compete a ciascuna Camera la pronuncia definitiva sull’ammissione dei propri membri e sulla loro cessazione».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MORTATI. Ho ripresentato in questa sede una proposta già fatta in sede di Commissione per la Costituzione, e che allora non fu coronata da successo. Probabilmente non lo sarà neanche adesso, ma ad ogni modo io sento il dovere di insistere in essa, sembrandomi corrispondere ad un’esigenza rilevante. Rilevante per quei paesi, come il nostro, dove non vi è ancora un saldo costume che conduce allo spontaneo rispetto delle regole del giuoco. Uno dei problemi fondamentali della nostra nascente democrazia è precisamente quello di creare guarentigie abbastanza solide per la tutela delle minoranze. Il mio emendamento tende precisamente a raggiungere questo intento di tutelare i diritti delle minoranze in quella sede così delicata che è l’accertamento dei titoli per l’ammissione dei membri delle Camere. Il pericolo che questo accertamento si faccia con criteri politici non è solo eventuale, ma concreto, ed esso tende a divenire sempre più grave via via che la lotta politica assume carattere di maggiore asprezza, e che assume un particolare rilievo quando si accolga, come si è fatto da noi per il Senato, il principio del collegio uninominale. Infatti, l’interesse di fare annullare l’elezione di avversari politici nel caso della rappresentanza proporzionale può essere tenue, subentrando un altro deputato dello stesso partito, ma è molto più grave quando si tratta di elezione con il collegio uninominale, perché in tal caso l’annullamento può condurre ad uno spostamento del rapporto delle forze politiche. Non sembra fondata l’obiezione che si muove alle proposte di sottrarre, in tutto o in parte, al Parlamento la verifica dei titoli dei propri membri, quella cioè di far venire meno l’autonomia e compromettere le guarentigie inerenti alla posizione di organo supremo da esso rivestito. A parte la considerazione che, secondo la mia proposta, il giudizio definitivo rimane al Parlamento, è da osservare che l’accertamento dei titoli di ammissione si compie attraverso un esame di pura legittimità, e quindi meglio può essere adempiuto da un organo che, per la sua composizione, dia affidamento di poterlo compiere con maggiore competenza ed indipendenza.

Si può poi ricordare che il sistema da me proposto si accosta a quello vigente in Inghilterra fin dal 1868, in una nazione cioè che ha una illustre tradizione di rispetto della autonomia del Parlamento, ma che, con un sano empirismo, ha saputo rinunziare ad una eccessiva rigidezza del principio della separazione dei poteri quando ciò appariva utile ad un rafforzamento delle garanzie della libertà.

Vorrei poi richiamare l’attenzione dei colleghi sull’ultima parte del mio emendamento, che prevede l’accertamento da parte di un organo imparziale anche per la pronuncia della decadenza dei membri del Parlamento. Si può ricordare un esempio macroscopico di abuso del Parlamento in questa materia: e cioè la decadenza dichiarata dal Parlamento fascista dei deputati aventiniani.

L’esistenza di una norma del genere di quella proposta avrebbe potuto per lo meno rendere più difficile l’abuso.

Una voce a sinistra. Sarebbe stato lo stesso! È stata la violenza! (Commenti).

ROMANO. La Magistratura è stata sempre al suo posto! (Proteste all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Romano, non interrompa!

SCOCA. È un magistrato che difende la Magistratura!

PRESIDENTE. Nessuno glielo vieta, ma deve prendere regolarmente la parola. Già un’altra volta l’onorevole Romano ha chiesto la parola a questo scopo.

MORTATI. Per concludere, mi paro utile che sia distinta la questione di principio, circa l’opportunità della sottrazione al Parlamento, in via totale o parziale, del giudizio di verifica dei poteri, dall’altra relativa ai modi concreti di realizzazione del medesimo. Tali modi possono essere molteplici e lo studio di quello da ritenere preferibile potrebbe compiersi utilmente solo dopo avere risolto approssimativamente il primo punto.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Desidererei esprimere la mia opinione ed anche la mia sorpresa sulla insistenza dell’onorevole Mortati a presentare questo emendamento, dopo che in seno alla Commissione è stato accolto, non dico con spirito negativo, ma con sdegno generale. L’onorevole Mortati ha il pieno diritto come deputato di presentare un emendamento; ma io credo che la sua cortesia non mi negherà l’uguale diritto che io ho di esprimere il mio sentimento. Io sento lo stesso senso di offesa nell’esaminare questo emendamento, così come la sentirei se l’onorevole Mortati, in base alle considerazioni note e arcinote sulla superiore linea imparziale della Magistratura e della Cassazione, avesse proposto che il Presidente della nostra Assemblea fosse addirittura Presidente della Corte di cassazione.

L’Inghilterra! Sta bene, l’Inghilterra. Onorevole Mortati, non si faccia trascinare dall’esempio di un paese come l’Inghilterra, perché, se fossimo sempre conseguenti nella linea di questo esempio, noi dovremmo riesaminare i nostri istituti e vedere se non sia il caso, per la nostra salute pubblica, d’introdurre la Camera dei Lords o, meglio ancora, rimettere in piedi l’istituto monarchico!

Ora, l’Inghilterra ha la sua storia, le sue tradizioni ed il suo sviluppo giuridico, costituzionale, politico. Noi ne abbiamo un altro; ed è in base a questa nostra diversa situazione che io considero questo emendamento proprio particolare di un uomo non politico – me lo permetta l’onorevole Mortati. Solo un costituzionalista, estraneo alla politica, poteva presentare un emendamento di questo genere e per giunta insistere nel suo errore.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dichiaro di aderire al testo proposto dalla Commissione, perché mi sembra che resterebbe esautorata l’Assemblea se rinunciasse a questo suo diritto, che è affermato da tutta la tradizione della democrazia italiana. Dai banchi dell’esterna, in tempi lontani, da Cavallotti a Imbriani, esso fu fissato, e successivamente adottato e costantemente mantenuto. Del resto, in onore del Parlamento italiano, dobbiamo riconoscere che nei casi controversi si è sempre resa giustizia, e che le Commissioni inquirenti delegate all’istruttoria in materia di corruzione elettorale hanno giudicato serenamente e obbiettivamente. Il precedente, accennato dall’onorevole Mortati, del 9 novembre 1926, non calza. Fu quello un gesto squisitamente rivoluzionario. Io era allora deputato; appartenevo a quella Assemblea: non ho certo votato quella deliberazione. Fu nell’occasione in cui era iscritto all’ordine del giorno il disegno di legge per l’istituzione del Tribunale speciale straordinario che contemplava anche il ripristino della pena di morte, mentre intorno a quel progetto l’opposizione dell’Aula si era particolarmente agguerrita, che inopinatamente, senza che fosse stata iscritta all’ordine del giorno, fu presentata la proposta della defenestrazione degli aventiniani, passando sopra a Regolamenti e a consuetudini parlamentari.

Quindi, il richiamo non regge. Si tratta del più turpe atto rivoluzionario che abbia compiuto il fascismo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le proposte degli onorevoli Romano e Mortati hanno posto questo problema: togliere al Parlamento la verifica dei poteri, che finora gli è spettata in Italia.

Il problema ha qualche riflesso altrove. In alcuni Paesi è stato creato un tribunale elettorale; in nessuno però il compito è stato deferito alla Cassazione ordinaria.

Nella proposta Mortati non si capisce bene cosa sia il suo tribunale elettorale; è piuttosto una giunta istruttoria, perché compete a ciascuna Camera la pronunzia definitiva per l’ammissione dei suoi membri. Quindi, figura ibrida, che il Comitato non accetta per la sua imprecisione, e per l’imperfezione della disposizione.

Il problema da porre nella sua pienezza è se si debba istituire uno speciale tribunale elettorale, spossessando le Camere di una loro funzione tradizionale.

La Commissione ha stabilito, fin dall’inizio dei suoi lavori – ed ora il Comitato non ha nessuna ragione di cambiare questa decisione – che la verifica dei poteri resti a ciascuna Camera. Vi è anche una ragione pratica: che – se entrassimo nell’idea d’un tribunale elettorale – dovremmo prevederne e regolarne bene la composizione. Ma vi ha di più: crediamo che non si possa spossessare il Parlamento di una sua attribuzione, cui è legato un valore altamente democratico.

Aggiungo che, nell’esercizio dei loro poteri di verifica, dopo tutto, i due rami del Parlamento non hanno mai compiuto gravissimi abusi. È inutile dire male di noi stessi. Vi possono essere state incertezze. Ma in tutta la loro storia le Camere hanno mostrato senso di giustizia in questa materia.

L’onorevole Rossi ha fatto propri gli emendamenti presentati dall’onorevole Calamandrei. Questi, che è un altissimo giurista, onore del nostro Paese, ha scritto lunghi articoli, che non credo sia il caso di mettere nella nostra Costituzione. Potrebbe essere accettato un solo punto. L’articolo 63 dice: «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri». Si è sempre inteso che quando sopravviene una causa di ineleggibilità o di incompatibilità, questa sia compresa nell’«ammissione» e ricada sempre nel giudizio di verifica della Camera. Se si vuole chiarire bene questo punto e togliere ogni (pur non fondatissimo) dubbio, si può dire così: «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».

Non credo che siano da introdurre nella Costituzione tutte le modalità riguardanti la Giunta delle elezioni e la questione della rappresentanza dei vari Gruppi. Esse sono comprese nello spirito della Disposizione generale. Una soverchia minuzia toglierebbe la semplicità dello stile costituzionale. Sono norme da stabilirsi con i Regolamenti delle Camere; né – perché ciò possa avvenire – occorre che la Costituzione ne faccia esplicita delega ai Regolamenti.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se intendono conservarli. Onorevole Rossi Paolo?

ROSSI PAOLO. Non insisto ed accetto le proposte dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Romano?

ROMANO. Aderisco al testo dell’emendamento Mortati.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Mortati?

MORTATI. Lo conservo come affermazione di principio, pur rendendomi conto della opportunità di rielaborare più accuratamente i dettagli del procedimento proposto. Non trovo però del tutto esatti i rilievi mossi dall’onorevole Ruini, perché esso ricalca, nei tratti fondamentali, il sistema inglese, caratterizzato da un duplice giudizio innanzi alla Corte di giustizia, e in via definitiva innanzi alla Camera. La Camera ha l’ultima parola, ma difficilmente essa potrebbe distaccarsi dalla soluzione di un organo così autorevole come il proposto tribunale elettorale.

Sono vere le osservazioni dell’onorevole Lussu sulle differenze fra il costume politico inglese e il nostro: ma non per questo si debbono tacciare di astrazione tutti i tentativi di avviarsi verso un rinnovamento di questo costume. È da ricordare che anche altri Paesi del continente, ispirati ad un ideale di più perfezionata democrazia, come la Cecoslovacchia e la Germania di Weimar, per citare solo i più importanti esempi, hanno costituito tribunali elettorali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se ella stessa, che è così autorevole studioso, riconosce che il suo emendamento dovrebbe essere riveduto e corretto e che ha delle linee che non le pare possano reggere – non si può istituire un tribunale e poi dargli solo funzioni istruttorie – io la prego di ritirarlo.

MORTATI. Ritiro il mio emendamento.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Lo faccio mio senza l’ultimo capoverso. (Commenti). Sono membro della Giunta delle elezioni e quindi non voglio entrare nella discussione, ma traggo la mia convinzione da una esperienza vissuta e sofferta. Io credo che sia una garanzia per tutti che un organo misto esamini ogni elezione contestata. Almeno sarà una garanzia per il Parlamento, perché non si facciano certi commenti e certe polemiche che certamente non sono utili al suo prestigio, né alla sua funzionalità. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Mortati senza l’ultimo capoverso che è, secondo me, in contradizione con il resto. Chiedo pertanto che sia posto in votazione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Mortati, fatto proprio dall’onorevole Lucifero senza l’ultimo comma, sostitutivo dell’articolo 63 del progetto. Ne do nuovamente lettura:

«Un tribunale elettorale, composto, in numero pari, di magistrati della Cassazione, del Consiglio di Stato e di membri eletti dalle due Camere, e presieduto dal primo Presidente della cassazione, giudica del possesso dei requisiti per la nomina a membro del Parlamento, nonché delle questioni relative alla perdita del mandato».

Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Occorre ora votare l’articolo 63 nel testo del progetto, completato dalla aggiunta suggerita dal Presidente della Commissione, il quale ha ripreso un concetto contenuto nell’emendamento Calamandrei, fatto proprio e svolto dall’onorevole Rossi Paolo.

Il testo dell’articolo 63 risulta pertanto del seguente tenore:

«Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La sedata termina alle 13.10.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 9 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLII.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 9 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Laconi

Avanzini

De Vita

Carboni Angelo

Nobili Tito Oro

Donati

Codacci Pisanelli

Bastianetto

Rodi

Arata

Moro

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Gasparotto

Clerici

Lussu

Nobile

Targetti

Perassi

Lucifero

Scoccimarro

Corbino

Fabbri

Bosco Lucarelli

Piccioni

Di Vittorio

Rossi Paolo

Camangi

Giannini

Benedettini

Bozzi

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo passare all’esame delle proposte relative alla costituzione del primo Senato della Repubblica, presentate dagli onorevoli Leone Giovanni, Martino Gaetano, De Vita e Laconi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Laconi?

LAGONI. Su una questione pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei chiedere all’Assemblea se non ravvisi l’opportunità di discutere tale questione quando si discuterà delle norme transitorie.

AVANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AVANZINI. Ho chiesto di parlare al posto dell’onorevole Leone Giovanni, che ha dovuto assentarsi.

Vorrei prospettare l’opportunità, appunto perché si tratta della costituzione del Senato per la prima volta, e non del Senato organo definitivo, di rimandare la votazione di queste proposte in sede di esame e discussione delle disposizioni transitorie.

PRESIDENTE. Ieri sera questa questione è stata già accennata.

Rammento che all’inizio avevo appunto manifestato questa opinione, ma alcuni colleghi si erano espressi in contrario. Ci troviamo in questo momento, però, di fronte alla proposta precisa che tutto ciò che si riferisce alla costituzione del primo Senato della Repubblica sia rinviato – e come esame e come votazione – al momento in cui si esamineranno e si voteranno le norme transitorie.

Se nessuno ha da esprimere contrario avviso, pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

Passiamo ora all’esame dell’articolo 56. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni d’età, e sono o sono stati:

decorati al valore nella guerra di liberazione 1943-1945, capi di formazioni regolari o partigiane con grado non inferiore a comandante di divisione;

Presidenti della Repubblica, Ministri o Sottosegretari di Stato, Deputati all’Assemblea Costituente o alla Camera dei deputati, membri non dichiarati decaduti del disciolto Senato;

membri per quattro anni complessivi di Consigli regionali o comunali;

professori ordinari di università e di istituti superiori, membri dell’Accademia dei Lincei e di corpi assimilati;

magistrati e funzionari dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni di gradi non inferiori o equiparati a quelli di consigliere di cassazione o direttore generale;

membri elettivi per quattro anni di consigli superiori presso le amministrazioni centrali; di consigli di ordini professionali; di consigli di Camere di commercio, industria ed agricoltura; di consigli direttivi nazionali, regionali o provinciali di organizzazioni sindacali;

membri per quattro anni di consigli di amministrazione o di gestione di aziende private o cooperative con almeno cento dipendenti o soci; imprenditori individuali, proprietari conduttori, dirigenti tecnici ed amministrativi di aziende di eguale importanza».

PRESIDENTE. Sono stati presentati a questo articolo vari emendamenti.

Il primo è quello dell’onorevole De Vita, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto quaranta anni di età».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. A parte ogni considerazione sulla opportunità di mantenere nelle categorie di eleggibili a senatori, alcuni componenti, come i magistrati e i funzionari dello Stato di grado non inferiore al quarto, essendo assai discutibile se sia opportuno che alti magistrati e alti funzionari dello Stato partecipino alla viva lotta politica, ritengo che la Commissione si sia trovata dinanzi a difficoltà assai gravi nello stabilire le categorie elencate all’articolo 56.

È completa l’elencazione? Sono assai ristrette o sono troppo ampie le categorie elencate?

Mi pare che queste domande contengano la condanna al criterio seguito dalla Commissione, perché è assai difficile – direi quasi impossibile – trovare un criterio assoluto che valga a stabilire se una elencazione sia completa e se le categorie siano troppo ampie o assai ristrette.

Ritengo, peraltro, che ogni limitazione posta in questo campo sia non soltanto arbitraria, ma anche antidemocratica.

Per quanto riguarda il limite minimo di età – con la mia proposta elevato da 35 a 40 anni – ritengo di non dovere spendere troppe parole. L’emendamento è ispirato dalla considerazione che il Senato debba essere composto da elementi che, anche per la loro età, diano garanzia di serenità, di obiettività e soprattutto di maggiore ponderatezza nelle deliberazioni che saranno chiamati ad adottare.

PRESIDENTE. L’onorevole Carboni Angelo ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Preti, Lami Starnuti, Rossi Paolo, Di Giovanni, Ruggiero.

«Sostituirlo col seguente:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni di età al momento delle elezioni».

L’onorevole Carboni ha facoltà di svolgerlo.

CARBONI ANGELO. Il mio emendamento coincide esattamente con quello ora svolto dall’onorevole De Vita, salvo per quanto riguarda il limite di età, perché io mi sono attenuto a quello di 35 anni proposto dalla Commissione. L’onorevole De Vita propone invece che questo limite sia elevato a 40 anni, ed io non ho obiezioni da fare.

A quanto ha detto l’onorevole De Vita sul contenuto sostanziale del suo emendamento, coincidente – ripeto – col mio, cioè

che l’elencazione degli eleggibili a senatori non corrisponde ad un criterio di opportunità, perché quelle categorie da un lato appaiono troppo ristrette, dall’altro troppo larghe, a me pare si debba aggiungere un’altra considerazione, cioè che limitare l’eleggibilità a senatore a determinate categorie di cittadini, ritenuti presuntivamente più capaci ed idonei, sia un criterio antidemocratico, che offende la libertà di scelta da parte del corpo elettorale in base ad una valutazione concreta della capacità e dell’attitudine di ciascuno.

Però io credo che ormai questo della determinazione delle categorie degli eleggibili sia un argomento superato dagli eventi.

La formulazione dell’articolo in esame è il risultato della laboriosa ricerca, nella Commissione dei settantacinque, di un criterio differenziatore fra le due Camere, il Senato e la Camera dei deputati. Si volle fissare qualche cosa che differenziasse la formazione delle due Camere, e si credette di trovare questo elemento differenziatore, stabilendo l’obbligatorietà della scelta dei senatori in determinate categorie di cittadini.

Ora l’Assemblea ha fissato il criterio differenziatore in qualche cosa di molto più saldo e più efficace, perché ha votato due ordini del giorno, uno che determina in linea di massima che la Camera dei deputati debba essere eletta col sistema proporzionale, l’altro che il Senato debba essere eletto col sistema del collegio uninominale.

In questa maniera si viene a differenziare la formazione dell’una e dell’altra Camera in tale modo, da rendere inutile l’espediente dell’elencazione delle categorie di eleggibili a senatori.

Raccomando, quindi, il mio emendamento ai voti dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo, Malagugini, così concepito:

«Sostituirlo col seguente:

«A senatori sono eleggibili gli elettori che hanno compiuto trentacinque anni di età.

«Subordinatamente:

«Al terzo alinea sopprimere: o comunali, e sostituire: Deputazione provinciale o Giunta comunale.

«Al quarto alinea sopprimere: e di corpi assimilati.

«Sopprimere il settimo alinea».

Non essendo presente alcuno dei firmatari, si intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.

L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Sono eleggibili a senatori i cittadini elettori che abbiano compiuto i trentacinquenni di età».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Onorevoli colleghi, l’articolo 56 stabilisce le norme per la eleggibilità dei senatori e le relative limitazioni per età, per naturalità o domicilio e per categoria.

L’emendamento da me proposto, lasciando inalterata l’età stabilita dal progetto in trentacinque anni, elimina ogni altra limitazione, sia in ordine alla naturalità o al domicilio, sia in ordine alle categorie sociali, economiche, culturali, ecc.

Del requisito dell’età si è preoccupato pel nostro Gruppo il collega Targetti, il quale ha proposto che essa sia elevata a quaranta anni; e lo stesso Targetti, con altri colleghi, ha pure proposta la soppressione delle altre limitazioni sopra indicate. Tale emendamento, essendo decaduto per assenza dei proponenti, viene ripreso col mio, col quale perfettamente coincide, salvo per quanto riflette il requisito dell’età.

In ordine a questa, riconoscendo che l’unico giustificato criterio differenziale fra le due Camere può essere rappresentato dalla maggiore prudenza che contradistingue gli uomini più maturi negli anni, ho lasciata inalterata l’età proposta dal progetto in trentacinque anni almeno.

L’emendamento Targetti invece appoggia, come ho detto, la tendenza a portare l’età degli eligendi a un limite minimo più elevato, e almeno ai quaranta anni. Su questo punto vi è pertanto disaccordo fra la proposta mia e quella dei colleghi; la mia è più aderente a criteri di democrazia, l’altra maggiormente seconda la preoccupazione di creare un organo dotato di maggiore esperienza della vita, e quindi di maggiore prudenza. Mi permetto però di far presente all’Assemblea che trattasi tuttavia di una differenza così lieve da rendersi irrilevante: onde, per riguardo ai colleghi proponenti che non potranno intervenire nella discussione, preferisco, anziché prender partito per l’una piuttosto che per l’altra risoluzione, di rimettere la scelta all’Assemblea.

Sugli emendamenti da portare alle altre parti del testo sono invece pienamente d’accordo col collega Targetti. Noi non possiamo accettare la limitazione della eleggibilità in ragione di naturalità o di domicilio, nel senso di esigere che il candidato sia nato o domiciliato nella Regione che dovrebbe eleggerlo.

La nostra tradizione unitaria ha precedenti chiari: non gioverebbe ricercarla nelle disposizioni della Statuto albertino riguardanti il Senato, perché esso contemplava un Senato di nomina regia.

Ma il principio dello Stato-Nazione, cioè dello stato unitario attraverso la rappresentanza estensiva degli interessi generali dell’intero Paese per parte di ogni singolo parlamentare, era ben definito nelle disposizioni riguardanti la Camera dei deputati. Era ivi espressamente dichiarato, mi pare all’articolo 41, che il deputato non rappresenta soltanto il collegio dal quale è stato eletto, ma la intiera Nazione. D’altra parte in nessuna delle leggi elettorali dello Stato italiano è stato mai prescritto che per la eleggibilità del deputato occorresse che egli fosse o nato o domiciliato entro l’àmbito del collegio dove si fosse presentato candidato. Siffatta pretesa non trova del resto riscontro in alcuna altra Carta costituzionale, che non siano quelle di Paesi governati a sistema federale o a Federazione di stati. Ognuno comprende come questo non sia il caso nostro. Noi abbiamo continuamente riaffermato la decisa volontà del Paese di ispirarsi sempre a quell’indirizzo unitario al quale si è ispiralo il nostro Risorgimento, rispetto al quale la nostra fede rappresenta un superamento, non un rinnegamento.

L’unità d’Italia, nel moto spontaneo dei popoli verso le grandi formazioni che sollecitano l’abbattimento delle «barriere scellerate» e la fratellanza di tutte le genti, ha una tradizione degna; di epopea, costellata di lotte, di sacrifici, di martiriologio; e la convinzione della sua necessità formò il substrato etico e passionale delle lotte, delle rivolte insurrezionali che condussero alla costituzione dello Stato nazionale italiano. C’è qualcuno che si illuda di poter oggi, profittando della sciagura, dare il colpo di spugna alle conquiste che di tale movimento furono le conseguenze?

Di questo spirito, che le calamità mai non riuscirono a spegnere, è documento la Costituzione della Repubblica romana, che ammetteva alla propria Assemblea non i naturali soltanto del proprio territorio, ma i cittadini degli Stati tutti d’Italia che da sei mesi vi avessero preso stanza. Lo ricordino gli immemori!

Il Senato è uno dei due rami del Parlamento nazionale; e legifera, vigile tutore dell’interessi generali di tutto il Paese, sugli interessi medesimi; e attinge, nella formazione della propria Assemblea, a tutto il territorio nazionale, senza distinzioni territoriali: sotto tale riflesso tutti i cittadini devono poter partecipare all’Assemblea medesima, in qualunque parte del territorio siano nati, in qualunque parte siano stati proclamati candidati ed eletti. La limitazione della eleggibilità dei senatori in ragione della naturalità e del domicilio nell’ambito della Regione che dovrebbe eleggerlo, offende dunque la coscienza unitaria del Paese e le origini dello Stato italiano; essa può essere stata ispirata soltanto dalla esasperazione di quello spirito regionalista che mina ormai la compagine statale e che di recente faceva emettere in quest’Aula a un membro del Governo, una esclamazione di angoscia: «Nel 1947 si sono create le Regioni, e si è spenta l’Italia!». (Commenti).

Il grido non è mio, è di un membro di questo Governo; ma io sento tutta la portata di questa onesta preoccupazione.

È una preoccupazione alla quale bisogna reagire. Ma bisogna reagire anche alla infatuazione regionalista, come a un fenomeno patologico, di panico, di egoismo localistico, di incipiente disinteressamento per il risollevamento delia Nazione nel mondo. Quando indicammo il pericolo, ci si rispose che la creazione dell’ente Regione era la conseguenza necessaria dell’accettato principio delle autonomie locali, l’applicazione pura e semplice di quel decentramento amministrativo che noi stessi avevamo invocato. Ma qui si rende più evidente che non si fosse visto finora, che la riforma non vuole limitarsi a quel ragionevole decentramento che avrebbe potuto con successo svilupparsi sugli enti Provincia e Comune, ma arditamente si spinge sul terreno politico, tende a formare delle Regioni le circoscrizioni elettorali del Senato, dei Consigli regionali altrettanti grandi elettori di ben un terzo dei Senatori (e questo tentativo è fortunatamente naufragato), a imporre che questi siano scelti in seno ai nativi e ai domiciliati nella Regione stessa, e a considerarli come portatori in seno al Senato, della voce della Regione, come rappresentanti, in seno ad esso, degli interessi particolaristi di questa, anziché di quelli generali della Nazione. Di guisa che non potrebbe più parlarsi di semplice prefederalismo; si tratterebbe ormai di dar vita a un Senato in funzione di Camera Federale delle Regioni. Ecco perché è proprio necessario eliminare il sospetto che si tenda alla graduale distruzione dell’unità italiana a soddisfazione del tradizionale spirito guelfo. Ecco perché occorre eliminare la preoccupazione che i propositi dei sostenitori vadano molto al di là della lettera del progetto, come ha fatto dubitare l’onorevole Ambrosini, quando, a conclusione della sua dotta relazione orale, nella discussione generale sulle Regioni, ha ricordato il rimprovero fattogli dal suo Partito «di aver troppo contenuto la riforma».

Questa preoccupazione e quel sospetto noi non vogliamo che si diffonda, ma bisogna anche evitare che ad essi si dia esca in maniera da far credere che il nostro ordinamento si inoltri per la via del federalismo. La rappresentanza che si vuol dare ad interessi di Regione in una Assemblea a funzione e a fini nazionali, è completamente ingiustificata. Ingiustificata sotto tutti i rapporti, anche sotto quello della opportunità e dell’utilità. È logico che in ciascuna circoscrizione, sia ristretta, sia allargata, i Partiti prima, ed il popolo poi, il corpo elettorale in altri termini, abbiano sempre interesse di scegliere, per quanto possibile, gli elementi locali e di preferirli a quelli estranei. E ciò basta a far ritenere superflua e non necessaria la odiosa limitazione. Il peggio è che, per effetto di questa, il progetto preclude la via alle circoscrizioni di cercare i propri candidati in altre località, anche nel caso che una scelta sodisfacente ne sia stata impossibile nel proprio seno. Il vizio del progetto della tendenza maggioritaria è dunque individuato: essa antepone ai fini generali è unitari quelli particolaristici: così quando si batté per un Senato corporativo, a categorie d’interessi; così quando si batte per un Senato a rappresentanza d’interessi regionali; così quando, caduto il tentativo precedente, si batterà per un Senato aperto esclusivamente a limitate categorie culturali, economiche e sociali che non includono però le forze vive del lavoro. Per questi motivi noi ci batteremo contro questa prima parte dell’articolo 56 e sosterremo ad oltranza l’emendamento che abbiamo proposto.

E ora vengo all’ultima parte dell’emendamento, con la quale, contro la proposta della Commissione di accordare la eleggibilità a limitate categorie di cittadini, proponiamo la soppressione dell’elenco che lo sviluppa, per lasciare aperto, anche pel Senato il diritto di elettorato passivo a tutti i cittadini elettori indistintamente. Prima di tutto mi propongo questo quesito: l’elenco delle categorie proposte ha un carattere tassativo o vuole essere soltanto esemplificativo, un elenco tipo insomma, che permetta un allargamento per analogia, come ad esempio farebbe supporre a rafforzamento del principio favores sunt ampliandi, il fatto, che là dove si parla dei membri dell’Accademia dei Lincei si soggiunge immediatamente «o di altri corpi assimilati»? Nell’uno e nell’altro caso s’impongono dei rilievi.

Nella ipotesi che l’elenco voglia essere tassativo, non appare evidente che alcune categorie di eleggibili sono state incomprensibilmente pretermesse, senza che ne sia stata data alcuna spiegazione? Confrontando (questa non è una preoccupazione di partito, ed io la esprimo a titolo di puntualità costituzionale) lo Statuto albertino col nostro articolo 56, trovo, per esempio, che è omessa la categoria degli Arcivescovi e dei Vescovi dello Stato, e non si è voluto certamente escludere con ciò che costoro abbiano i requisiti per poter portare l’espressione della loro esperienza e della loro prudenza nelle deliberazioni interessanti il Paese. Non è da pensarlo, perché troppi elementi vigilavano a che una deliberazione di questo genere, e con questa portata non fosse assunta. E allora, quale è la ragione recondita, di questa esclusione? Forse la preoccupazione rispettosa ne ludibrio exponentur in una Assemblea agitata da passioni di parte? O forse per lasciare più libere, senza la preoccupazione del doveroso riguardo ai presuli dovuto, le manifestazioni dell’Assemblea? Non si tratta di una curiosità; era un nostro diritto saperlo, anche per la soddisfazione dovuta alle nostre coscienze. Il quesito resterà forse senza risposta.

A questa strana e inesplicata omissione si contrappone una intrusione storicamente ingiustificata, quella della categoria «degli imprenditori individuali, proprietari, conduttori… di aziende con almeno 100 dipendenti o soci».

Questa categoria mira ad introdurre, sebbene mascherata, l’antica categoria del censo; e ciò tanto più si rende evidente quando si pensi che oggi anche i maggiori tenimenti terrieri sono tutti organizzati ad impresa. E in contrapposto non c’è una categoria che riguardi le forze vive del lavoro, quelle forze che la Repubblica italiana, fondata sul lavoro, coll’articolo 1 della sua Costituzione, ha chiamato alla partecipazione effettiva a tutta l’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Il Senato fa o non fa parte della organizzazione politica del Paese?

L’esclusione dalla eleggibilità al Senato della Repubblica delle forze vive del lavoro, malgrado la proclamazione dell’articolo 1 della Costituzione, perpetrerebbe la più flagrante violazione di quei diritti essenziali che si vollero garantiti cogli articoli 2 e 3 della Costituzione, che a tutti i cittadini, di qualunque condizione sociale, assicurano eguaglianza assoluta anche nel godimento dei diritti politici; e susciterebbe il sospetto che la elencazione dell’articolo 56 sia stata adottata o, se vuolsi, mantenuta proprio allo scopo precipuo di escludere dal Senato i lavoratori. Né varrebbe opporre di avervi inclusi membri dei consigli direttivi nazionali, regionali e provinciali, delle organizzazioni sindacali, già che ciò non basterebbe a rendere eleggibili i lavoratori che non intraprendano la missione organizzativa.

Eppure sarebbe oltreché doveroso, socialmente e politicamente utilissimo aprire ai lavoratori tutte le vie, comprese quelle che conducono alle supreme Magistrature, eccitando in loro il desiderio di formarsi e di pervenire, sviluppandone l’amore allo studio e al perfezionamento tecnico. Conosco operai dei più svariati settori che, autodidatti, hanno raggiunto i gradi di coltura e di addestramento più sorprendente nelle lettere, nelle scienze, e nelle arti. Perché tenerli lontani dall’esercizio di un diritto politico che procede dalla sovranità popolare? Bisogna sapere ormai reagire al pregiudizio delle distinzioni aristocratiche. Ecco perché noi combattiamo l’elencazione dell’articolo 56, che è in funzione di una ingiustizia sociale che sarebbe delittuosa; e tanto più la combattiamo in quanto la si voglia considerare tassativa.

Passo all’esame dell’altra ipotesi. Se l’elenco dovesse considerarsi esemplificativo, occorrerebbe domandarsi chi sarà il giudice dell’analogia? Quanto dire della eleggibilità. Sarà l’ufficio del collegio uninominale? Sarà l’ufficio del collegio centrale oppure l’organo del Senato per la verifica dei poteri?

Comunque, quali garanzie di obiettività potranno avere le minoranze di fronte ad un giudizio di tal natura, devoluto ad uomini che non possono dare se non giudizi soggettivi e non sempre sono in grado di mantenersi obiettivi?

I quesiti propostici servono dunque a dimostrare che, dal punto di vista strutturale, il progetto di Costituzione rivela prima facie nell’articolo 56, i vizi che vi si annidano e ne fanno presentire le conseguenze.

Ma, indipendentemente da ciò, s’impone anche qui il rilievo di carattere politico. Come si concilia colla nostra Carta (che cogli articoli 6 e 7 esalta i cosiddetti diritti essenziali, e primo fra tutti quello dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte ai diritti politici) la esclusione dal Senato della categoria dei lavoratori, la più numerosa, e certamente la più benemerita, specie in questo momento di febbrile ricostruzione, e colla esclusione altresì dei ceti professionali e di tante altre categorie di cittadini, per milioni e milioni? Nessuna giustificazione potrà purtroppo valere a dimostrare che qui il principio democratico della eguaglianza dei cittadini e quello della sovranità popolare non siano stati sopraffatti dalla nostalgia anacronistica del privilegio di casta, mal dissimulata dall’adito al Senato che il progetto consente poi, evidente beffa, al consigliere comunale di Roccacannuccia.

Il rimedio esiste ed è nei principî: la scelta dei senatori, come quella dei deputati, spetta completamente e liberamente alla sovranità popolare. E il popolo la eserciterà sotto la guida dei partiti, attraverso il criterio che essi ne faranno nel loro senso di responsabilità e attraverso l’ulteriore selezione che sulle candidature sarà fatta dal corpo elettorale.

Alla direzione dei partiti politici è il fiore della intelligenza e dell’accorgimento che ciascuno di essi può dare: è di tutta certezza che questi uomini sapranno, nell’interesse stesso dei partiti, esercitare la scelta, in collaborazione dei comitati locali, con ogni avvedimento e colla precipua preoccupazione di non creare rappresentanze che nella contesa parlamentare siano preventivamente condannate alla inferiorità nei confronti degli altri partiti. E il buon senso del corpo elettorale farà il resto, nell’esercizio della più delicata funzione della sovranità popolare.

Non si deve rappresentare la funzione dei partiti come contrapposta a quella della sovranità popolare e parlare di sopraggiunta partitocrazia, quasi essi quella sovranità abbiano detronizzata o mirino a detronizzare: i partiti, non è chi non possa comprenderlo, sono invece gli organi di questa sovranità, che si esprime e si esercita sotto la loro guida, perché non potrebbe esprimersi ed esercitarsi se non per via di organizzazione.

Garanzie dunque ne abbiamo a sufficienza, perché il Senato, senza bisogno di ricorrere a limitazioni odiose e antistoriche, risulti dalla accurata scelta degli elementi più probi, più capaci, più prudenti. La caratteristica di questo ramo del Parlamento, alla quale conferirà anche la limitazione dell’età che sarà richiesta per la eleggibilità, sarà la prudenza, intesa non come spirito reattivo agli impulsi di progresso, ma come preoccupazione di quel maggiore avvedimento che solo la più lunga esperienza della vita può fornire. E, pertanto, questa caratteristica non potrà costituire motivo di minor simpatia da parte del popolo per il nascente Senato della Repubblica; e il popolo ne accompagnerà la nascita col fiducioso ricordo che quando prudentia senium spreta est res publica periclitavit.

Si sopprimano, dunque, le anacronistiche limitazioni così contrastanti collo spirito dello stesso progetto di Costituzione; si riconosca in pieno, anche per la elezione dei senatori, la sovranità del popolo; non si creino sospetti d’insincerità sull’opera nostra. Solo così potremo dimostrare che la nostra Carta costituzionale non per vana lustra ha fatto le proclamazioni contenute nei suoi primi tre articoli, ma col fermo proposito di garantire a tutti i cittadini indistintamente una assoluta eguaglianza sostanziale, politica e sociale. (Applausi a. sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Donati ha presentato il seguente emendamento:

Dopo la parola: elettori, togliere l’inciso: nati o domiciliati nella Regione.

Ha facoltà di svolgerlo.

DONATI. Onorevoli colleghi, non ho nulla da aggiungere a quanto è stato già a suo tempo esposto dall’onorevole Nitti ed ora dall’onorevole Nobili Oro in merito all’inopportunità di fare delle Regioni tanti compartimenti-stagni agli effetti dell’eleggibilità dei senatori. Voglio soltanto osservare, che, anche a voler tenere nella maggiore evidenza la base regionale, l’inciso di cui propongo la soppressione, non presenta alcuna utilità. Anzitutto è sempre inutile, e quindi dannosa una norma che può essere facilmente violata: tale è la norma proposta dalla Commissione perché, se il luogo di nascita non può essere cambiato, il domicilio può essere facilmente mutato, anche soltanto in vista delle elezioni.

D’altro canto, è frequente l’ipotesi di persone che hanno illustrato nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti o dell’attività industriale o nel campo della beneficienza la Regione dalla quale traggono origine, pur non essendovi nati perché, ad esempio, figli di impiegati che prestavano servizio fuori della Regione di origine e pure non essendovi neppure domiciliati. In tali casi, col testo della Commissione si preclude agli elettori di una regione la possibilità di elevare al Senato i suoi figli più degni.

Pertanto ritengo questo provvedimento dannoso ed insisto per la sua soppressione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Cifaldi e Cairo hanno presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: gli elettori, sopprimere l’inciso: nati o domiciliati nella Regione».

Poiché nessuno dei presentatori è presente, si intende che abbiamo rinunziato a svolgerlo.

Gli onorevoli Codacci Pisanelli, Castelli Avolio, Chatrian, Cingolani, Ermini, Tupini, Tozzi Condivi, De Palma hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma sopprimere le parole: nati o domiciliati nella Regione».

«Nel caso che il detto emendamento soppressivo non fosse approvato dall’Assemblea, aggiungere, alla fine dell’articolo stesso, il seguente comma:

«Il requisito della nascita o del domicilio nella Regione, di cui alla prima parte del presente articolo, non si applica a coloro che siano stati, in uno dei collegi della Regione, deputati alla Costituente o alla Camera dei deputati».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerli.

CODACCI PISANELLI. L’emendamento proposto ha bisogno appena di essere illustrato. Si riferisce in realtà al problema testé prospettato dall’oratore che mi ha preceduto, cioè quello di non esigere il requisito del domicilio, tanto più che il domicilio potrebbe essere eletto con tale facilità da non costituire garanzia di rapporto di particolare legame con la Regione o con la circoscrizione nella quale si aspira ad essere eletti. Non voglio dilungarmi su quanto è stato già illustrato dal collega. Ritengo che si possa fare a meno di porre i requisiti stabiliti nel progetto e quindi che questo emendamento possa essere accolto senza difficoltà, ove non si voglia escludere del tutto il requisito del domicilio.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Bastianetto, Bazoli, Montini, Caso, Bettiol, Lizier, Corsanego, Martinelli, Spataro e Cotellessa hanno presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: gli elettori, sopprimere: nati o domiciliati nella Regione».

Onorevole Bastianetto, ha facoltà di svolgerlo.

BASTIANETTO. È già stato svolto dall’onorevole Donati alle cui conclusioni mi associo.

PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha presentato i seguenti emendamenti:

«Alle parole: trentacinque anni di età, sostituire le altre: quaranta anni di età».

«Sopprimere le categorie».

Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerli.

L’onorevole Rodi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo alinea col seguente:

«I decorati al valore, invalidi e mutilati di tutte le guerre, che abbiano il grado non inferiore a generale di divisione».

Fo presente che questo è il primo degli emendamenti che si riferiscono alle categorie.

L’onorevole Rodi ha facoltà di svolgerlo.

RODI. Ho presentato questo emendamento, proponendomi di variarlo a seconda della discussione, perché il testo della Commissione mi sembra ambiguo, non soltanto nello spirito, ma anche, direi, nel senso grammaticale, perché dice: «Sono eleggibili a senatori i decorati al valore nella guerra di liberazione 1943-45, capi di formazioni regolari o partigiane con grado non inferiore a comandante di divisione».

Questa virgola, che ha separato la prima parte del periodo dalla seconda, lascia dei dubbi, nel senso cioè che siano compresi in questa categoria i decorati e poi i generali, oppure i generali di divisione che siano stati decorati al valore nella guerra del 1943-45? Per me già la stesura grammaticale non è troppo chiara. Ad ogni modo ho presentato questo emendamento: «i decorati al valore, invalidi e mutilati di tutte le guerre che abbiano il grado non inferiore a generale di divisione», nel senso cioè che ho voluto precisare che accanto ai decorati, poiché questo comma è destinato a chi è stato valoroso in guerra, si includessero anche gli invalidi e mutilati di tutte le guerre ed a questo proposito ho anche firmato un emendamento presentato da altri colleghi, affinché questa categoria sia compresa fra gli eleggibili a senatore. E poi ho desiderato eliminare le limitazioni riguardanti la guerra di liberazione 1943-45 perché, francamente, mi sembra ingiusto disconoscere in maniera così chiara e mortificante che le medaglie d’oro della guerra 1940-43 non debbano avere da parte del popolo italiano quel riconoscimento che loro spetta, perché, per quanto la si voglia dire una guerra fascista, per quanto si voglia dare a questa guerra un valore politico, non è meno vero che questa guerra l’abbiamo fatta come italiani e se in quel periodo ci sono state delle medaglie d’oro è addirittura offensivo escluderle a bella posta dall’elenco degli eleggibili a senatori. Pertanto il mio emendamento tende a questo: a comprendere tutti gli eroi indistintamente, poi gli invalidi e i mutilati di guerra. (Applausi a destra).

ARATA. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Noi qui ora abbiamo iniziato la discussione degli emendamenti che riguardano le categorie degli eleggibili.

Proporrei, per economia della discussione, che si votasse senz’altro il primo comma dell’articolo 56 con gli emendamenti che lo riguardano, in quanto che, nel caso di votazione positiva, l’elencazione delle categorie verrebbe senz’altro a cadere e quindi elimineremmo la discussione di numerosi emendamenti che riguardano le varie categorie degli eleggibili.

PRESIDENTE. L’onorevole Arata, partendo dal presupposto che molti degli emendamenti sostitutivi, già svolti dai proponenti, concludono con la proposta di soppressione delle categorie, propone che si passi alla votazione di questi primi emendamenti che, se fossero accolti, renderebbero poi inutile ogni altra votazione.

C’è qualcuno che domanda la parola su questa proposta?

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Io credo che siano assennate le considerazioni dell’onorevole Arata. Solo vorrei fare osservare che, in fondo, la valutazione della opportunità di mantenere o meno le categorie deriva anche dall’apprezzamento che si faccia delle singole categorie così come sono presentate negli emendamenti proposti. È chiaro che non si può decidere in astratto. È opportuno che il principio della limitazione delle categorie di eleggibili sia considerato in concreto, in relazione alle categorie che sono effettivamente proposte.

Mi rendo conto che si guadagnerebbe del tempo, ma mi domando se non sia opportuno prolungare la discussione per illuminare meglio il punto di principio attraverso l’esame dei successivi emendamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Moro ha veramente obiettato che sarebbe necessaria ancora una certa chiarificazione per sapere se si accetta o meno il criterio.

Questa chiarificazione deriverebbe dall’esame delle categorie proposte; a seconda del carattere di queste categorie ritiene l’onorevole Moro che si possa o non si possa accettare il principio stesso.

Ma il criterio dell’onorevole Moro significa, in sostanza, respingere la proposta dell’onorevole Arata.

Se non vi sono altre osservazioni, pongo in votazione la proposta dell’onorevole Arata tendente a far precedere la votazione del primo comma dell’articolo 56 all’eventuale svolgimento degli emendamenti che riguardano le singole categorie di eleggibili alla carica di senatore.

(È approvata).

Invito l’onorevole Ruini a esprimere il pensiero della Commissione in ordine agli emendamenti svolti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi, riferirò su ciò che ha stabilito il Comitato, non sicuro però, per ripetute esperienze, che i colleghi i quali hanno votato in un modo nel Comitato voteranno nello stesso modo anche nell’Assemblea. Veniamo ai gruppi di emendamenti presentati. Abbiamo innanzitutto gli emendamenti degli onorevoli Targetti, e quelli degli onorevoli Nobili Tito Oro, Donati, Cifaldi, Nitti ed altri e, in via subordinata, anche quello Codacci Pisanelli, che voglion sopprimere la condizione «nati e domiciliati nella Regione». A questo proposito, il Comitato ha tenuto presente che vi sono dei casi i quali dimostrano che la nascita o il domicilio nella Regione non assicurano il nesso di appartenenza diretta ed efficiente alla Regione stessa. Vi può essere un cittadino, figlio di un impiegato, il quale sia nato per combinazione in una Regione, ma non vi abbia più rimesso piede: questi potrebbe essere candidato. Viceversa vi possono essere altri, di genitori e di gente ab antiquo d’una Regione che sono nati fuori ed hanno domicilio altrove (un decisivo peso ha il domicilio legale), ma han conservato i vincoli più stretti, vi sono stati eletti deputati (l’amico Tupini ha citato il suo caso), e non potrebbero esservi nominati senatori.

Tutto sommato, il Comitato ha ritenuto a maggioranza che si debba togliere questa condizione, in quanto non raggiunge l’effetto voluto di imprimere un carattere di sicura regionalità.

Veniamo ora alla questione dell’età: il testo propone 35 anni, ma alcuni colleghi, gli onorevoli Nitti, De Vita, Conti, Carboni, hanno proposto che questo limite venga elevato sino ai 40 anni. Il Comitato ha aderito a tale emendamento, che gli è parso più consono al carattere del Senato: senato viene infatti da seniores.

Per quanto concerne le categorie degli eleggibili al Senato, ho già altra volta accennato, e debbo ora ricordare, come è stata impostata la loro formulazione. Il motivo fondamentale che le giustifica era di trovare, anche nella qualificazione dei senatori, una differenziazione del Senato dall’altra Camera, ed una accentuazione del suo carattere più particolare di competenza e di tecnicità. Per il criterio di qualificazione la seconda Sottocommissione, presieduta dall’onorevole Terracini, partì col proposito di andare incontro, se era possibile, all’idea sostenuta dall’onorevole Piccioni e da altri colleghi, delle categorie professionali, ispirate alla rappresentanza organica; era una via di mezzo; il corpo elettorale unico avrebbe scelto gli appartenenti a tali categorie. La Sottocommissione si pose al lavoro. Ma per strada si è trasformata la cosa: ed invece di categorie più propriamente professionali e di rappresentanza organica, si sono avute categorie di più complesso e vario ordine; così che l’intento originario della loro configurazione è andato perduto. L’elenco che è risultato dà luogo ad incertezze e fa sorgere il dubbio se convenga mantenere il sistema delle categorie od abbandonarlo.

Debbo ad ogni modo, rilevando un’osservazione dell’onorevole Nobili Tito Oro, che trova come la formula proposta, dimenticando e trascurando gli elementi operai, offenda e ferisca i principî del lavoro e della democrazia, osservare che fra le categorie vi sono quelle dei membri di Consigli, non solo nazionali o regionali, ma provinciali di organizzazioni sindacali, e ciò per gli operai come per i datori di lavoro; così che non vi è stata la dimenticanza denunciata.

Ma altri rilievi si possono fare. Vi è stato, in Sottocommissione e poi in Commissione plenaria, uno sforzo notevole per trovare un ordine logico e graduato delle categorie. Si è fatto capo soprattutto, al concetto di comprendervi chi già ha ed ha avuto in qualche modo un mandato, una designazione, una funzione di rappresentanza in un’assemblea politica o amministrativa, o professionale o, persino, in una società anonima o cooperativa. Ma si è poi creduto di dover ammettere anche chi, non avendo un titolo di questo genere, ad esempio dirigesse personalmente un’azienda della stessa vastità di quella stabilita nelle anonime e cooperative per renderne eleggibili gli amministratori.

Si è cercato di ricondurre le categorie a gruppi abbastanza organici che, in sostanza, oltre a quello dei decorati al valore, sarebbero quattro: cariche politiche, amministrative, ordini professionali e culturali, sindacati. Ma bisogna confessare che la formulazione ottenuta, con ogni sforzo, non è riuscita sodisfacente e sufficiente, anche per alcuni di quelli che avevano partecipato alla formulazione stessa; e poi, ha provocato così numerose proposte di soppressione. Il Comitato, pur ritenendo che sarebbe opportuno richiedere qualifiche speciali pei senatori, ha d’altra parte considerato che, essendo avvenuta in altro modo – con l’adozione dei sistemi elettorali – la differenziazione delle due Camere, vien meno la ragione più forte per il sistema delle categorie. Pertanto il Comitato ha aderito, a maggioranza, agli emendamenti soppressivi.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Gasparotto, Veroni, Villabruna, Bocconi, Lami Starnuti, Carboni Angelo, Filippini, Rossi Paolo, Arata, Bordon, hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, oltre alle parole: nati o domiciliati, anche le altre: o residenti».

L’onorevole Gasparotto ha facoltà di svolgerlo.

GASPAROTTO. Sono favorevole alla soppressione delle categorie, ma ove a questo non si addivenisse, io dico che bisogna parlare non soltanto del luogo di nascita e del domicilio, ma anche della residenza, la quale ha grande importanza nell’attività dell’individuo. Il domicilio si confonde quasi sempre col luogo di nascita, ed è mantenuto soprattutto per ragioni affettive. La residenza, per definizione data dal Codice civile, è la sede principale dei propri affari ed interessi, ed è nella residenza che si esplica la maggior parte dell’attività del cittadino. Dunque, si potrebbe eventualmente sopprimere la voce «domicilio», per sostituirla con «residenza»; ma, per non perderci in quisquilie, proponiamo semplicemente di aggiungere «o residenti».

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Chiedo all’onorevole Presidente che sia messo in votazione per divisione il punto dell’articolo 56, là dove dice: «nati o domiciliati nella Regione», perché – e faccio così anche una dichiarazione di voto – a me pare – ed il punto non è stato ancora rilevato dagli onorevoli colleghi – che con questa statuizione noi verremmo ad urtare il principio stabilito dall’articolo che voteremo tra poco, cioè dall’articolo 64 del progetto di Costituzione, il quale statuisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione».

Ricordo a me stesso che ciò è perfettamente conforme al moderno concetto di rappresentanza, in contrapposto a quello antico che stabiliva i cahiers, cioè mandato proprio e vincolativo. Oggi, adunque, al pari del deputato, il senatore rappresenta la Nazione. Per cui è assurdo che, poiché anche il Senato rappresenta la Nazione, debba porsi questa limitazione localistica.

PRESIDENTE. E allora, onorevoli colleghi, passiamo alla votazione che – secondo lo spirito della proposta dell’onorevole Arata, che l’Assemblea ha approvato – avverrà per divisione. Voteremo sul primo comma dell’articolo 56:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni di età, e sono o sono stati».

Poiché, d’altra parte, sono stati presentati emendamenti a diverse parti di questo primo comma, e precisamente alla prima parte, dove si afferma il principio della nascita o del domicilio nella Regione; e alla seconda che si riferisce all’età; e, infine, alle categorie, procederemo alla votazione in tre parti distinte, votando prima l’inciso:

«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione».

Faccio presente che hanno chiesto la soppressione dell’ultima parte di questo inciso «nati o domiciliati nella Regione» gli onorevoli Targetti, Donati, Nobili Tito Oro, Cifaldi, Codacci Pisanelli, Bastianetto.

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io voterò la dichiarazione contemplata nel primo comma: «Sono eleggibili a senatori gli elettori nati e domiciliati» e sono disposto anche a votare l’aggiunta introdotta dal collega Gasparotto, se sarà votata.

Dichiaro che voterò questo perché nessuna delle ragioni esposte dall’onorevole Ruini ha minimamente convinto e non mi ha neppure convinto l’ultima ragione espressa dall’onorevole Clerici. Sono tutte finzioni, falsi ragionamenti che non possono far dimenticare quello che inizialmente la Commissione aveva inteso affermare. È chiaro che ogni deputato ed ogni senatore rappresenta la Nazione. Questo avveniva anche nel periodo in cui il sistema di elezione era il collegio uninominale; era una questione teorica, ma era ovvio ed ammesso da tutti che il deputato rappresentasse la Nazione. Così può rappresentare perfettamente la Nazione, conciliando gli interessi della Regione con quelli dello Stato e della Nazione, chi sia senatore con il requisito voluto di essere nato e domiciliato nella determinata Regione dove ha presentato la propria candidatura.

NOBILE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io voterò contro.

In un secolo in cui l’aeroplano ha raggiunto mille chilometri all’ora e l’automobile ha sorpassato i seicento, quando è possibile lavorare durante la giornata a Roma e dormire la notte a Milano, trovo assolutamente anacronistica ed assurda una tale disposizione nella nuova Costituzione della Repubblica.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Per necessità di chiarezza, metterò in votazione la formula:

«Sono eleggibili a senatore gli elettori».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole:

«nati e domiciliati nella Regione».

(Non sono approvate).

Pertanto decade anche l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Gasparotto.

Sulla questione dell’età necessaria per porre la candidatura al Senato vi sono due sole proposte: la proposta di trentacinque anni, che è della Commissione, e l’altra, sostenuta dagli onorevoli De Vita, Conti e Nitti, di quaranta anni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. I quarant’anni sono stati accettati anche da noi.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo dunque in votazione la proposta di fissare l’eleggibilità dei senatori in quarant’anni.

(Dopo prova e controprova è approvata).

Passiamo ora alla votazione delle ultime parole del comma:

«e sono o sono stati».

I due verbi implicano evidentemente l’accettazione o meno del principio dell’elencazione delle categorie. Pertanto chi approva questa formulazione, implicitamente approva che esista una elencazione, salvo a definirla. Chi non approva esclude ogni elencazione di categoria, quindi ogni altro limite di eleggibilità all’infuori di quelli già votati con le due votazioni fatte or ora.

Faccio presente che è stata presentata domanda di votazione per appello nominale dagli onorevoli Bertola, Burato, Ferrarese, Tambroni, Vicentini, Nicotra Maria, Caso, Bosco Lucarelli, De Martino, Restagno. È stata anche presentata domanda di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Laconi, Scoccimarro, Grieco, Corbi, Moranino, Cavallari, Maltagliati, Scotti Francesco, Ravagnan, Rossi Maria Maddalena, Lombardi Carlo, Longo, Maffi, Pellegrini, Barontini Anelito, Saccenti, D’Onofrio, Musolino, Pastore Raffaele, Barontini Ilio, Minio.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho chiesto la parola soltanto per ricordare che il nostro Gruppo aveva presentato un emendamento che portava all’abolizione delle categorie.

PRESIDENTE. Avverto che non si procede alla votazione delle proposte soppressive.

A norma del Regolamento, ha la precedenza la votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione segreta.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono alla numerazione dei voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     360

Maggioranza           181

Voti favorevoli        180

Voti contrari                        180

(Non essendo stata raggiunta la maggioranza, l’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciecolungo – Cimenti – Cingolani Mario– Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.

D’Amico – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Einaudi.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Pira – Lazzari – Leone Francesco – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Manzini – Mariani Enrico – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni– Novella – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Perassi – Perlingieri – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Preziosi – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Sereni – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta.

Sono in congedo:

Angelini.

Cairo – Caporali – Carmagnola – Caroleo – Cevolotto.

Dugoni.

Jacini.

Mannironi – Martino Enrico – Martino Gaetano.

Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Sottopongo soltanto un quesito, signor Presidente. Non sono ben addentro nella prassi parlamentare; ma mi sembra che, trattandosi di votare il testo proposto nel progetto costituzionale e non un emendamento, il fatto che non sia stata raggiunta la maggioranza implica l’approvazione del testo. (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Gradirei, onorevole Codacci Pisanelli, che lei precisasse il suo concetto.

CODACCI PISANELLI. Se permette, preciso. Quando ci troviamo di fronte agli emendamenti, sappiamo che, qualora l’emendamento raggiunga la parità, è respinto, perché non ha la maggioranza; ma quando si tratta di un articolo del progetto di Costituzione, presentato dalla Commissione dei Settantacinque, il fatto che non sia stato respinto dalla maggioranza implica l’approvazione di questo testo.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, le confesso che non riesco a cogliere la sua sottile distinzione. Mi sembra pacifico che, affinché un testo qualunque sia approvato, deve avere la maggioranza e, per calcolare la maggioranza, il computo è molto semplice. C’è una norma che ognuno conosce ed io, ogni volta che comunico i risultati di una votazione, indico per prima cosa qual è la quota di maggioranza. Poco fa ho letto queste cifre, che rileggo: presenti e votanti: 360; maggioranza: 181. Ciò significa che, perché si raggiunga il quoziente necessario all’approvazione, occorre avere almeno 181 voti, e tuttavia i voti favorevoli sono stati 180. Onorevole Codacci, mi pare che non ci sia discussione possibile.

CODACCI PISANELLI. Quanto alla distinzione che all’onorevole Presidente è sembrata molto sottile, mi pare che in realtà, sia differente l’ipotesi dell’emendamento da quella del testo presentato. L’emendamento porta modificazioni al testo, e quindi si richiede questa maggioranza; viceversa, quando si tratta di un progetto di legge, che è presentato per l’approvazione, a mio avviso il fatto che vi sia la parità implica l’approvazione e non il rigetto. È una questione che sottopongo all’Assemblea perché potrebbe presentarsi ancora in avvenire.

PRESIDENTE. Credevo di averla convinta La maggioranza non è una ipotesi, è una realtà immutabile. Data una certa cifra di votanti, qualunque cosa si voti (un testo, un emendamento, una mozione, un ordine del giorno), la maggioranza è un dato fisso ed immutabile, che si computa – le ripeto, onorevole Codacci Pisanelli – secondo regole elementari contenute in tutti i manuali. Applicata questa regola al numero di 360 presenti e votanti in quest’Aula, la maggioranza si fissa in 181. Si sono raccolti 180 voti, la conclusione è evidente.

Passeremo, ora, all’esame dell’articolo 57. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il numero dei membri da eleggere per ciascuna Camera è stabilito con legge in base all’ultimo censimento generale della popolazione».

PRESIDENTE. Pregherei l’onorevole Mortati di voler rispondere ad un quesito che gli pongo. Egli ha presentato a questo articolo in emendamento del seguente tenore:

«Possono essere eleggibili al Parlamento gli italiani che non siano cittadini della Repubblica».

Ora, forse, penso che sarebbe meglio esaminare subito questa proposta Mortati, non come emendamento all’articolo 57, salvo poi a determinare la collocazione della norma.

Onorevole Mortati, vorrei il suo avviso al riguardo.

MORTATI. Propongo che l’esame dell’emendamento sia rinviato, e ciò per poter procedere ad una migliore sua elaborazione.

Infatti, se il principio affermato fosse accolto, occorrerebbe estenderne la portata oltre che alla elezione al Parlamento ad altre cariche parimenti elettive. Occorrerà inoltre forse elaborare meglio la formula, che, così come è stata proposta, vorrebbe tradurre la vecchia dizione di «italiani non regnicoli». Senonché, mentre questa aveva un suo significato consacrato dall’uso, la nuova formulazione potrebbe dar luogo a dubbi di interpretazione. Mi pare quindi sufficientemente giustificato il rinvio proposto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta di rinvio dell’onorevole Mortati mi pare accettabile. Egli ha esposto due ragioni: la prima è che per la posizione sarebbe più opportuno collocare il suo emendamento nell’articolo 45, ove si parla della eleggibilità in generale; la seconda è di sostanza: si tratta di una questione, che desta subito interesse e simpatia, ma va esaminata attentamente per tutti i possibili riflessi, anche internazionali. È quindi opportuno rinviarla al Comitato.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, l’esame della proposta Mortati è rinviato.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’esame dell’articolo testé letto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. A proposito dell’articolo 57 ho trovato già occasione di parlare in uno dei miei interventi. È stabilito in questo articolo 57 che il numero dei membri da eleggere nelle due Camere si riferisce alla popolazione in base all’ultimo censimento generale.

Io ho esposto come considerazione di fatto, che l’ultimo censimento che abbiamo è del 1936, cioè di quasi 12 anni fa, con un risultato di 43 milioni di abitanti. Poi l’Istituto centrale di statistica procedé man mano ad aggiornamenti che sono definitivi al 1947, con 45 milioni e mezzo, compresa la Venezia Giulia. Altri aggiornamenti al 1946, con la stessa cifra di 45 milioni e mezzo, ma senza la Venezia Giulia, sono ancora provvisori. Avremo dati definitivi, sempre in via di aggiornamento, pel 1947, ma non sappiamo se in tempo per le nuove elezioni. Tutto consiglia di non impegnarsi ora sulle basi di un censimento di 12 anni fa. La legge elettorale vedrà la possibilità e la convenienza di riferirsi ad un aggiornamento successivo.

Si aggiunge – e ciò non solo per le prime elezioni, ma come considerazione generale e permanente – che il riferimento al censimento non sembra materia di tale importanza costituzionale da dover essere inserito nel testo vero e proprio della Costituzione. Può essere rimandato alla legge come le son rinviate, ad esempio, le questioni di eleggibilità e d’incompatibilità.

PRESIDENTE. All’articolo 57 è stato presentato un emendamento dell’onorevole Perassi del seguente tenore:

«Alle parole: il numero dei membri da eleggere per ciascuna Camera, sostituire le seguenti: il numero dei membri di ciascuna Camera da eleggere in ragione degli abitanti».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. L’emendamento non ha più ragione di essere, data la formula che è stata accolta da parte dell’Assemblea circa il modo di indicare il numero dei senatori per ciascuna Regione. Di fronte al ritiro dell’articolo l’emendamento decade.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi è dunque la proposta di ritirare l’articolo 57.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io ritengo che quanto dice la Commissione possa fare oggetto di una norma transitoria, ma che sarà bene stabilire nella Costituzione quale sia il principio generale che dovrà vigere per la determinazione del numero dei deputati. Quindi lascerei l’articolo 57, salvo poi a fare, alla fine, data la situazione speciale in cui ci troviamo, una disposizione transitoria perché nella prima elezione si tenga presente la situazione esposta dall’onorevole Ruini.

Almeno costituzionalmente stabiliamo il principio.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Lucifero.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto che non vi è ragione assoluta di mettere disposizioni di questo genere nella Costituzione; ma non è questione che merita controversie e lunghe votazioni (come purtroppo avviene spesso). Per non perdere tempo accolgo la proposta Lucifero-Mortati.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione l’articolo 57, così come è nel testo:

«Il numero dei membri da eleggere per ciascuna Camera è stabilito con legge in base all’ultimo censimento generale della popolazione».

(È approvato).

Il Comitato di redazione terrà presente il suggerimento dell’onorevole Lucifero per ciò che si riferisce alla norma transitoria.

Passiamo all’articolo 58. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Le due Camere sono elette per cinque anni.

«I loro poteri sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere.

«La legislatura può essere prorogata solo nel caso di guerra in corso o di imminente pericolo di guerra.

«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. Il provvedimento che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni».

A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti.

L’onorevole Conti ha proposto di sostituire il primo comma col seguente:

«Le due Camere sono elette per quattro anni».

L’onorevole Conti non è presente.

SCOCCIMARRO. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Conti, e rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Camera dei Deputati è eletta per cinque anni. Il Senato viene rinnovato per metà ogni cinque anni».

L’onorevole Caronia non è presente.

CORBINO. Faccio mio l’emendamento presentato dall’onorevole Caronia.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. L’emendamento dell’onorevole Caronia tende a dare al Senato un carattere di continuità di esistenza. Si può dissentire sui termini con i quali l’onorevole Caronia ha accennato alla durata media di una parte del Senato della Repubblica; ma sul principio che il Senato debba avere una durata diversa, sono d’accordo con l’onorevole Caronia.

In sostanza, se diamo alle due Camere lo stesso periodo di durata, noi avremo un periodo di vacanza completa di tutti gli organi costituzionali. Ma a me pare che, sia per le ragioni che ha già ripetutamente svolto l’onorevole Nitti – l’esperienza degli altri paesi è fondata sul principio della continuità di una delle due Camere, e precisamente del Senato – sia per dar modo di effettuare consultazioni elettorali per periodi di tempo più brevi di quello corrispondente alla durata massima della prima Camera, il principio di assegnare una durata differente alle due Camere, rinnovando la seconda in parte, meriti di essere accolto.

Per questa ragione faccio mio l’emendamento Caronia, riservandomi in sede di discussione di modificare eventualmente il termine di cinque anni che egli ha proposto.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dagli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo e Malagugini:

«Sopprimere il terzo comma».

TARGETTI. Lo ritiro, anche per gli altri firmatari.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati del seguente tenore:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«La legislatura può essere prorogata con legge nel caso di guerra, o di eventi di uguale gravità, tali da rendere impossibile la con vocazione dei comizi».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. L’onorevole Targetti ha rinunziato all’emendamento, oppure ha rinunziato a svolgerlo?

TARGETTI. L’ho ritirato.

MORTATI. Una volta caduto l’emendamento Targetti, che proponeva la soppressione dell’istituto della proroga legale, ben poco mi rimane da dire per illustrare il mio, il quale si limita a sostituire al testo della Commissione una dizione più comprensiva. Infatti la proroga della legislatura nel testo della Commissione è prevista solo in caso di guerra in corso o di imminente pericolo di guerra, mentre pare opportuno prevedere casi del tutto analoghi a quest’ultimo, che dovrebbero suggerire identica soluzione.

Il mio emendamento tende, appunto, a integrare in questo senso la norma proposta.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Crederei che, sebbene ella non l’abbia menzionato, non sia caduto l’emendamento dell’onorevole Nitti, secondo il quale i senatori di nomina elettiva durano in carica sei anni e sono rinnovabili per un terzo ogni due anni.

Se l’emendamento non è decaduto, ed egli lo svolge, la cosa può essere interessante poiché udita dalla voce del proponente; altrimenti avrei una certa tendenza a fare mio l’emendamento cui mi riferisco.

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, l’onorevole Nitti ha svolto, e anche ampiamente, questa sua proposta allorché ha avuto facoltà di parlare molte sedute fa, per svolgere i testi sostitutivi degli articoli 55 e seguenti, da lui proposti.

Poiché non ha dichiarato di ritirarlo, evidentemente questo emendamento si intende valido.

FABBRI. Quindi, suscettibile di votazione.

PRESIDENTE. Naturalmente; mi pare che l’onorevole Nitti l’abbia confermato anche ieri.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Poche parole soltanto.

Non esiste nessun Senato che abbia la stessa durata della Camera dei deputati. Dove vi sono state Assemblee di senatori, esse hanno avuto quella funzione che viene dalla loro natura: il Senato non si scioglie, la Camera dei deputati può essere sciolta dal Presidente della Repubblica, il Senato dura. Ora, io avevo proposto che come in America il Senato non ha limiti di scadenza perché per esso è sancita la durata di sei anni, ma si rinnova ogni due, si adottasse anche noi il medesimo criterio. Parlare infatti della stessa durata del Senato e della Camera dei deputati è un assurdo, perché le due Assemblee hanno funzione e carattere diversi.

Noi dobbiamo dunque, lasciare il Senato sempre vivo, per far sì che esso abbia il prestigio necessario. Il Senato deve rimanere, se noi vogliamo mantenerlo con la sua natura; non dobbiamo quindi esporlo alle vicende d’una continua mutazione.

Dichiaro quindi di mantenere la mia proposta, che mi auguro verrà accolta.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo e Malagugini, hanno presentato il seguente emendamento:

«Al quarto comma, dopo le parole: dalla fine delle precedenti, aggiungere: tranne che sia dichiarato lo stato di guerra».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Al quarto comma, sostituire le parole: Il provvedimento, con le seguenti: Il decreto del Presidente della Repubblica».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Il mio emendamento presenta un carattere meramente formale, esclusivamente tecnico. Anziché dire cioè «il provvedimento che indice le elezioni», propongo che si dica «il decreto del Presidente della Repubblica», perché in effetti l’atto con cui si indicono le elezioni è un atto di competenza del Presidente della Repubblica, come risulta dalla legge elettorale in corso di approvazione.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a pronunziarsi su questi emendamenti a nome della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi! Debbo esporre le ragioni che determinarono in origine la Commissione; né credo che alcunché sia mutato nell’indirizzo da essa seguito.

La Commissione partì dal concetto che occorreva differenziare le due Camere, ma non attribuire a ciascuna di esse diversità di funzioni. Si può anzi dire che il criterio della parificazione funzionale si accompagnasse nel nostro sistema a quello della differenziazione costitutiva. Ciò posto, si comprende come siasi adottata – né sorsero controversie al riguardo – una durata eguale per le due Camere.

Tutto il progetto è informato ad un criterio di simmetria e di equilibrio; che verrebbe meno con la diversa durata; non si avrebbero più, ad esempio, la legislatura, la sessione, il funzionamento parallelo e sincrono delle due Camere. La Commissione, pur non respingendo la bicameralità, ha tenuto presente che il Parlamento deve essere concepito con una logica connessione e con una corrispondenza di funzioni, che implica anche l’eguaglianza di durata. Né la Commissione ha inclinato è può inclinare al sistema del Senato perenne, con rinnovazioni parziali che muove in fondo da nostalgie di un organo ormai superato del vecchio regime; il Senato monarchico, perenne e continuamente rinnovato. La nuova democrazia vuole due Camere, differenziate, ma funzionanti in parallelo. Si aggiunga che le frequenti rinnovazioni parziali del Senato e la diversità di durata delle due Camere, farebbero sorgere la necessità di continue elezioni, complicate e costose per lo Stato, e terrebbero in continua febbre elettorale il popolo; né gioverebbero a quella stabilità dei Governi che è necessaria nell’interesse dello Stato. Il Comitato pertanto, tiene fermo: non rinnovazioni parziali, né durata diversa a quella della Camera dei deputati.

Vi è un emendamento Mortati che ammette la prorogabilità delle Camere non nel solo caso di guerra in corso o imminente, ma in quella di eventi d’eguale gravità, che rendano impossibile la convocazione dei comizi. Possono per verità darsi di questi casi; mi sembra di rammentare che si siano verificati col terremoto calabro-siculo. Ma il Comitato teme di allargare in modo poco determinato la facoltà di proroga, di cui si potrebbe abusare. Mantiene, quindi, la sua formulazione.

Mentre l’onorevole Mortati vuol allargare, l’onorevole Targetti vuol restringere la facoltà di proroga al caso di guerra già dichiarata. Il Comitato è incline a restringere più che ad allargare, crede però che sia meglio parlare genericamente di caso di guerra.

Quanto all’emendamento Perassi, non abbiamo difficoltà ad accettarlo.

PRESIDENTE. Faccio presente che l’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato un emendamento col quale propone di sostituire le parole «settanta giorni» con le parole «novanta giorni».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Mi permetto di esporre le ragioni per cui mi pare che il termine di 70 giorni sia troppo breve. Dobbiamo infatti tener presente che si tratta di compiere tutte le operazioni precedenti alle elezioni: la formazione delle liste, la loro presentazione, ecc. Specialmente per la Camera dei deputati, mi sembra che 70 giorni non siano sufficienti. Se la Commissione ritiene che 70 giorni siano sufficienti, vada per 70 giorni, ma se non sono sufficienti, credo che 90 giorni darebbero un maggiore margine di tempo sia per la formazione delle liste, sia per la loro presentazione, e in genere per tutte le formalità che la legge richiede, specialmente ripeto, per le elezioni della Camera dei deputati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non credo che si possa accogliere l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli, perché è bene che non vi sia una troppo lunga pausa fra le due legislature. Si tratterà di accelerare il più possibile le procedure elettorali; e la legge elettorale provvederà in questo senso.

Devo poi fare un’osservazione. Non avevo tenuto presente che l’emendamento dell’onorevole Targetti non si riferisce al terzo, ma al quarto comma, ed in sostanza contempla il caso, per verità rarissimo, che siano già sciolte le Camere e bandite le nuove elezioni, e che capiti improvvisamente la guerra; In tal caso, dice l’onorevole Targetti, si possono rimandare le elezioni. Se la portata dell’emendamento Targetti è in questo senso, non suscita le stesse difficoltà che si creerebbero se si riferisse al comma antecedente.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino, ha presentato la seguente nuova formulazione dell’emendamento Caronia, che aveva fatto suo, del seguente tenore:

«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni. Il Senato della Repubblica viene rinnovato per un terzo ogni tre anni».

Si presenta qui, onorevoli colleghi, la questione principale, che è appunto questa: se il Senato debba essere rinnovato interamente ad ogni fine della sua legislatura – cioè seguire a questo proposito lo stesso destino e le stesse norme della Camera dei deputati – oppure debba rinnovasi parzialmente di tempo in tempo, salvo a stabilire i periodi di rinnovo.

Vi sono due proposte definite: una, per cui, a somiglianza della Camera dei deputati, il Senato ha un tempo stabilito di durata, eguale per tutti i senatori – proposta che è per l’appunto contenuta nel progetto di Costituzione; e vi è, invece, l’altra proposta, sostenuta dagli emendamenti Nitti, Caronia e Corbino, e da numerosi altri colleghi che hanno firmato l’emendamento Corbino. Secondo questi tre emendamenti, il Senato dovrebbe avere una durata così stabilita: per l’onorevole Nitti, di sei anni; per l’onorevole Caronia, di dieci anni; per l’onorevole Corbino, di nove anni.

L’onorevole Nitti propone il rinnovamento ogni due anni per un terzo; l’onorevole Corbino, ogni tre anni per un terzo, e l’onorevole Caronia, per metà ogni cinque anni.

Abbiamo, dunque, due sistemi. Occorre scegliere fra questi due sistemi. Per poter scegliere, onorevoli colleghi, ritengo che bisogna ricorrere alla votazione degli emendamenti.

Vi è l’emendamento dell’onorevole Corbino, il quale distingue la disposizione per la Camera e per il Senato, ed è del seguente tenore: «La Camera dei deputati è eletta per cinque anni, il Senato della Repubblica viene rinnovato per un terzo ogni tre anni».

Vi è poi la proposta dell’emendamento dell’onorevole Conti – fatto proprio dall’onorevole Scoccimarro – che riduce da cinque a quattro anni il termine del mandato, e pertanto bisognerà votare in precedenza questa proposta che emenda il testo della Commissione.

E pertanto, pongo per prima in votazione questa formula dell’onorevole Corbino, modificata dall’emendamento Conti-Scoccimarro: «La Camera dei deputati è eletta per quattro anni».

Faccio presente che, nel caso che venga respinta questa formulazione, metterò in votazione la stessa formulazione col periodo di durata proposto dall’onorevole Corbino: cinque anni.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Poiché il mio emendamento è quello che più si scosta dal contenuto del primo capoverso dell’articolo 58 – e si scosta precisamente nella durata della seconda Camera – non è detto che noi dobbiamo cominciare a votare con la Camera dei deputati e passare poi al Senato. Poiché l’articolo 58 dice: «Le due Camere», a me pare che sarebbe più chiaro votare prima il mio emendamento sul Senato, che è risolutivo rispetto alla questione generale; ove l’Assemblea respinga il mio emendamento sul Senato, implicitamente afferma il principio che le due Camere debbano avere la stessa durata.

Potremmo poi votare sull’emendamento dell’onorevole Scoccimarro.

PRESIDENTE. Prego il Presidente della Commissione di esprimere il suo avviso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che, per chiarezza di votazione, l’Assemblea si debba pronunciare prima sul principio se le due Camere devono avere la stessa durata e poi sull’altro, se il Senato debba essere rinnovato parzialmente, invece che in una sola volta. Sono questioni connessw fra loro, ma che non si debbono confondere. Se non procediamo a votazioni ben chiare, possiamo incorrere in incertezze e dubbi, come è avvenuto altre volte. Ad ogni modo mi sembra che l’eguale durata delle Camere sia questione preliminare.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Noi non possiamo fare una legislazione astrale, nelle nuvole. Quello che esiste nei paesi che hanno sperimentato da secoli queste forme politiche, noi lo dobbiamo tenere presente inevitabilmente. Dovunque, in Francia, come in Inghilterra, come in America, la Camera alta è una cosa diversa dalla Camera dei deputati. In Inghilterra vi è una Camera dei Lords che ha una diversa legislazione. Ma anch’essa segue le norme generali che vigono in tutti i paesi per la seconda Camera.

In America come si è fatto? Come si è fatto in Francia? Non mettiamoci fuori della realtà. Si è detto che la seconda Camera, il Senato, ha una sua funzione, ed ha quindi una continuità. Tutti i Governi passati in Inghilterra, in Francia, in America hanno tenuto conto di questo. Ora noi non possiamo dire che vogliamo in Italia sottomettere la Camera e il Senato alle stesse norme, perché ciò sarebbe assurdo. Infatti diversa è la loro funzione. Il Senato non si scioglie, la Camera si scioglie; hanno funzioni del tutto diverse: concorrono allo stesso fine, ma la loro funzione, i loro atteggiamenti sono diversi. È per questo che ho proposto di adottare gli stessi limiti che sono adottati in America per quanto riguarda il Senato: durata 6 anni, rinnovo ogni due anni.

MALAGUGINI. Ma allora facciamo le elezioni ogni momento!

NITTI. Certo! E bisognerebbe farle più spesso. In nessun altro paese è stato adottato il criterio che si vorrebbe adottare in Italia. In America si fanno le elezioni ogni due anni. Non è possibile cristallizzarsi, quando si entra qui dentro. Noi dobbiamo essere a contatto del popolo, bisogna sapere ciò che il popolo pensa di noi. Non possiamo crearci questo privilegio. Non c’è ragione di rifuggire dal fare le elezioni ogni due anni.

Insisto perciò nella mia proposta. Per la Camera dei deputati preferisco quattro anni. Anche coi Governi conservatori in Francia la Camera non è mai durata più di 4 anni. E perché noi dobbiamo oltrepassare questo limite? Perché mettere cinque anni? L’America fa le elezioni ogni due anni. E credete che sia una difficoltà?

Noi non possiamo accaparrarci. un privilegio. Già abbiamo fatto una Camera numerosissima e sconteremo questo errore. Ma sta bene che duri quattro anni, non di più.

Il Senato non può avere la stessa durata della Camera. Come Senato è permanente, ma deve rinnovarsi parzialmente almeno ogni due anni; altrimenti diventa qualcosa di massiccio, qualcosa di solido, di non permeabile, mentre dobbiamo sempre rimanere a contatto della vita popolare.

Ripeto che mantengo la mia proposta, che la Camera duri 4 anni. Sono disposto a subire 5 anni, sebbene io lo consideri un errore. Ma quattro anni è un termine già abbastanza lungo. In America dura due anni ed in Francia quattro. Per quanto riguarda il Senato, mantengo quello che ho detto, cioè ritengo sia necessario che esso non abbia la stessa durata della Camera, che non possa essere sciolto, ma che sia rinnovabile sempre, ogni due anni.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Mi dispiace che ancora una volta non posso concordare con l’opinione dell’onorevole Nitti, ma devo fare osservare che la posizione rispettiva delle due Camere, così com’è delineata dal progetto di Costituzione, diverge profondamente da ogni altro esempio che si possa invocare presso le nazioni democratiche. Il concetto che ispira la formazione delle due Camere nel progetto di Costituzione è la funzionalità di esse, ed è un concetto che si riferisce non soltanto alla loro funzionalità legislativa vera e propria, ma anche alla loro partecipazione all’attività di Governo. Ora se noi prevediamo che nel giro di ogni due anni, quella che può essere la continuazione rappresentativa politica del Paese, che si rispecchia nell’una e nell’altra Camera, può essere modificata ed alterata fino al punto da mettere in forse la stessa maggioranza di Governo e la stessa sua stabilità, evidentemente facciamo cosa che non risponde ad uno degli scopi della nostra Costituzione, che è anche quello di garantire una certa continuità e una certa stabilità di Governo. Invano si invoca, a questo proposito, l’esempio americano, che sarebbe l’unico che potrebbe avere qualche riferimento (a differenza della Camera dei Lords inglese), perché in America la stabilità di Governo è garantita, quali possano essere le oscillazioni delle rappresentanze politiche delle due Camere, dalla forma presidenziale del Governo. Se si dovesse consentire in Italia che ogni due anni si debba ritornare, ad un diverso orientamento della maggioranza politica delle due Camere, evidentemente renderemmo più instabile, più illusoria quella che è la garanzia di una certa continuità che vogliamo conseguire.

A questo argomento, aggiungo l’altro che è stato accennato in una interruzione dell’onorevole Malagugini, e cioè che nelle condizioni in cui l’Italia si trova, nella febbre elettorale particolarmente caratteristica che prende il corpo elettorale, mi pare non sia augurabile di tenere il Paese permanentemente o quasi in questo stato di tensione febbrile.

Per queste considerazioni dichiaro che noi voteremo per la durata della seconda Camera in modo ininterrotto così come per la prima.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Io credo che l’Assemblea debba ispirarsi ad una soluzione che sia la più democratica possibile, ed io sono persuaso che la soluzione più democratica è quella che propone l’onorevole Nitti, per due ragioni essenziali: la prima è quella di evitare una vacanza parlamentare totale, che faccia mancare di un controllo parlamentare il potere esecutivo.

La seconda ragione è quella di avere un contatto più diretto e più frequente con il Paese. Io comprendo la preoccupazione dell’onorevole Piccioni, ma non penso che ci possano essere dei mutamenti talmente profondi dell’opinione pubblica che il rinnovamento di un terzo del Senato possa mettere in pericolo la stabilità del Governo. E d’altra parte, se questo mutamento così profondo vi fosse nel Paese, perché noi dovremmo adottare un sistema che ci obbligherebbe a fingere di ignorare questo mutamento, ed avere così una rappresentanza parlamentare che non corrisponda più alla volontà del Paese?

PICCIONI. Perché non dovrebbe avvenire questo per l’altra Camera?

DI VITTORIO. La questione sarebbe differente; e allora l’osservazione del collega onorevole Malagugini sarebbe giusta. Non possiamo fare permanentemente le elezioni, ma il Senato lo dobbiamo rinnovare. Il punto è di sapere: lo dobbiamo rinnovare lo stesso giorno, contemporaneamente alla Camera dei deputati o lo dobbiamo rinnovare per un terzo ogni due anni? Questa seconda soluzione non modifica nulla; non fa fare elezioni in più: soltanto stabilisce una graduazione, un innovamento parziale, che permette ad una delle due Camere di essere sempre in attività e quindi di assicurare il controllo legislativo della rappresentanza popolare del potere esecutivo. Per queste ragioni, credo che l’Assemblea debba votare prima la durata della Camera dei deputati e poi quella del Senato.

Per concludere, vorrei porgere una preghiera all’onorevole Corbino. Poiché il suo emendamento non si differenzia in linea di principio da quello dell’onorevole Nitti, lo pregherei, per semplificare e dare un significato più chiaro a questo voto, di ritirare il suo emendamento e di associarsi a quello dell’onorevole Nitti.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Onorevoli colleghi, io personalmente, e credo il mio Gruppo, siamo contrari a questa distinzione fra senatori freschi e senatori stantii. Mi spiego: il Senato, nel modo in cui verrà formato, e cioè eletto con suffragio universale, con il sistema del collegio uninominale che favorisce la scelta di elementi che abbiano maggiore autorità, con numero notevolmente più ristretto di componenti rispetto alla prima Camera, sarà già una Camera che avrà in sé una prevalente autorità rispetto alla Camera dei Deputati. Se noi, per di più, costituiamo nel Senato un palladio, un usbergo della continuità politica e giuridica dello Stato, e ne facciano una Camera insolubile, mentre la Camera dei deputati si può sciogliere, anche prima del termine, noi creiamo una disparità fra i due organi del Parlamento e accresciamo un privilegio che siamo venuti, forse senza volere, conferendo al Senato rispetto alla Camera.

Per la seconda questione mi pare evidente un dilemma. Si fanno rinnovazioni parziali ogni due o tre anni. Delle due, una: o la metà rieletta nelle elezioni parziali riproduce, presso a poco, la composizione politica della parte del Senato che è rimasta in funzione, ed allora l’esperimento è inutile; o abbiamo quella distinzione, che dicevo pocanzi, fra senatori freschi e senatori coperti di polvere, fra senatori che hanno in sé una vera autorità politica e senatori che si devono riconoscere destituiti del suffragio popolare che hanno avuto anni prima. Ciò importa che questi senatori se ne vadano, si dimettano, o siano nella condizione di mancare di prestigio e di autorità rispetto agli altri, determinando la necessità o la convenienza di uno scioglimento.

Ed ecco l’ultimo argomento: quello delle elezioni più o meno frequenti.

Non vorrei essere tacciato di antidemocrazia. Ovviamente, preferisco delle elezioni anche tutti i giorni a dei periodi venticinquennali senza confronto elettorale; ma c’è il giusto mezzo, in cui bisogna stare.

Tutta la democrazia rappresentativa è fondata, onorevoli colleghi, sopra una astrazione. Sono persuaso che se noi consultassimo tutte le domeniche, invece che con la SISAL, coi comizi elettorali il popolo italiano, noi avremmo 52 risultati elettorali differenti all’anno. Noi siamo qui per i voti che abbiamo conseguito il 2 giugno; ma è probabile che la domenica 9 giugno vi sarebbe stata una sensibile variazione nei risultati elettorali. Ci sono anzi settimane nella vita politica italiana, in cui queste variazioni sono più che sensibili, amplissime. Penso che una certa astrazione occorra nella democrazia rappresentativa.

Bisogna rassegnarsi a constatare che ci sono momenti in cui la coincidenza delle forze numeriche dei partiti nel Parlamento e nel Paese non è assolutamente esatta.

Se pensiamo che abbiamo le elezioni politiche, poi ogni due anni le elezioni per il rinnovamento dei senatori, poi le elezioni amministrative, che nelle grandi città sono pure una sostanziale, intrinseca consultazione politica, ed infine – lo abbiamo finora dimenticato – le elezioni regionali, vediamo che il nostro Paese sarebbe mutato in un comizio continuo, e qualunque Governo non potrebbe reggersi seriamente e portare a compimento qualsiasi programma.

Per queste ragioni il nostro Gruppo voterà per il testo della Commissione.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. A quanto ha detto l’onorevole Rossi mi permetto di aggiungere, come dichiarazione di voto personale, tre modeste osservazioni che mi paiono per altro ovvie.

La prima è questa: l’onorevole Di Vittorio ha invocato, come uno dei due argomenti principali della sussistenza del Senato anche durante lo scioglimento della Camera, quello che il Senato continui la sua funzione di controllo parlamentare.

Ora, io mi permetto di fare osservare all’onorevole Di Vittorio che esiste un principio fondamentale nel diritto parlamentare: le due Camere devono funzionare contemporaneamente; non può essere aperta l’una e chiusa l’altra; non può essere convocata l’una e l’altra rimanere sciolta.

Questo principio, che credo sia generale e costante nel diritto parlamentare, è stato confermato anche nel nostro progetto di Costituzione; infatti all’articolo 59 è detto: «Quando si riunisce una Camera è convocata di diritto anche l’altra». Ed allora, onorevole Di Vittorio, come concepire un controllo del Senato, mentre l’altra Camera è sciolta?

Ma vi è un secondo argomento, che mi pare molto evidente ed è che il progetto di Costituzione, innovando sapientemente e dando soddisfazione a quella che fu un’antica aspirazione democratica, la quale sfociò anche in alcune proposte concrete tra 1919 ed il 1922, ha stabilito al primo alinea dell’articolo 58 un principio, che secondo me è nuovo ed importante.

DI VITTORIO. Il Senato non era elettivo.

CLERICI. Il principio or ora da me ricordato, onorevole Di Vittorio, vale anche per il Senato elettivo, tanto è vero che era stabilito ed è stabilito anche in Francia e negli altri Paesi con Senato elettivo, ed è stabilito con questa disposizione che ora ho letto per il nostro Senato repubblicano. Dunque, quando si riunisce la Camera, è convocato anche il Senato della Repubblica.

Chiuso l’inciso e data la risposta all’onorevole Di Vittorio, torno al secondo mio argomento. Dunque il comma innovativo stabilisce: «I loro poteri sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere». E stabilito con ciò un principio nuovo e fecondo, perché anche dopo il decreto di convocazione dei comizi elettorali, e non solo fino al giorno delle elezioni, ma altresì fino al giorno in cui fisicamente i nuovi senatori ed i nuovi deputati occuperanno questi scanni e quelli di Palazzo Madama, le due vecchie Camere sussisteranno. Allora, onorevoli colleghi, il controllo vi è già, e permanente e vi è sempre la possibilità di autoconvocarsi da parte dell’uno o dell’altro Parlamento, e di conseguenza non vi è più un momento alcuno in cui si possa dire che il Parlamento sia vacante. Anzi avremo ora, per così dire, la permanenza tanto della Camera, come del Senato, perché sino al momento in cui i nuovi deputati ed i nuovi senatori non occuperanno gli stalli, la funzione legislativa e quella generale di controllo dello Stato è esercitata dai precedenti parlamentari.

Faccio in terzo luogo questa modestissima, pedestre osservazione, che forse appunto per la sua modestia è sfuggita a qualcuno. Si è pensato di fare un’elezione parziale di un terzo del Senato. Ma, tenuto presente che abbiamo già votato e deciso il principio che i senatori sono legati alla Regione, e che i seggi regionali non sono poi neanche numerosi, specie per le piccole Regioni, come è possibile risolvere il problema dello scomponimento in tre? Infatti occorrerebbe per tale disposizione che il numero dei senatori per ciascuna Regione fosse multiplo di tre e quindi divisibile per tre, altrimenti non so in quali difficoltà porremo il legislatore nello stabilire la legge elettorale del Senato, perché allora ci troveremo di fronte a questo fatto: che i senatori che debbono essere legati alla Regione debbono essere divisi per tre, quando – per la metà almeno dei casi – non saranno i seggi regionali dei senatori multipli del numero tre.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Desidererei sottolineare un fatto nuovo che, a mio parere, sta emergendo da questa discussione e dalla votazione sul Senato. Inizialmente tutti noi, almeno in forma subordinata, visti sparire i nostri temi principali, in gran maggioranza mi pare che fossimo d’accordo nel ritenere che il Senato avesse gli stessi poteri della Camera dei deputati. Ho l’impressione che pian piano si voglia fare del Senato una seconda Camera con qualche potere maggiore e con un prestigio certamente maggiore di quello della Camera dei deputati. Intanto abbiamo assistito stamattina, dopo aver già ridotto sensibilmente il numero dei senatori di fronte al numero dei deputati, abbiamo assistito – dicevo – alla introduzione nel Senato del Presidente della Repubblica. Basta questo solo fatto per attribuire al Senato uno speciale prestigio. Poi, ultimamente, per quanto in forma non eccessivamente corretta – a mio parere – ma comunque avvenuta, abbiamo anche assistito all’introduzione di «cinque uomini di chiara fama» i quali, aggiunti al Presidente della Repubblica, che è di chiarissima fama, evidentemente contribuiscono a dare un marcato prestigio al Senato. Ed allora io comprendo perfettamente perché l’onorevole Presidente Nitti insista nel voler dare al Senato questa sua particolare funzione di permanenza di fronte a quella che non ha la Camera dei deputati. Infatti l’onorevole Nitti ha sempre considerato il Senato, di fronte alla prima Camera, di maggior prestigio. «Il Senato romano», egli stesso ce l’ha ricordato più volte.

Ed allora, io sono dolente di non poter aderire alle argomentazioni espresse qui, con spirito democratico, dal collega Di Vittorio, il quale ha ritenuto scorgere nella proposta Nitti un principio di democrazia. Io pregherei sempre il collega Di Vittorio ed i compagni socialisti di diffidare, con estrema simpatia, della democrazia del Presidente Nitti (Si ride), il quale è certamente un grande democratico, ma tipo antico, direi quasi, me lo si perdoni, tipo conservatore, di fronte alle nuove esigenze democratiche. Poi, vedo subito il conflitto che si creerebbe inevitabilmente fra Senato e Camera dei deputati. Quando il Senato, rinfrescato con queste elezioni biennali, rappresenti più profondamente e indirettamente la volontà popolare, appare questa incredibile conclusione: che la Camera dei deputati, espressione sovrana, in ogni Paese, della volontà popolare, è diminuita di fronte al Senato, il quale rappresenta più direttamente la volontà popolare.

Ora, c’è un’altra considerazione che mi fa diffidare dell’apparente carattere democratico che l’onorevole Nitti vorrebbe dare al Senato o pensa che il Senato abbia, ed è il Senato francese, che lo stesso Presidente Nitti ci ha ricordato più volte. Ma il Senato francese, onorevole Presidente Nitti, non esiste più, e non esiste più appunto perché le correnti più democratiche del popolo francese hanno voluto sopprimere questo organismo, che in un certo senso, a torto o a ragione, appariva conservatore.

Concludendo: noi che siamo stati in maggioranza per l’uguaglianza dei poteri delle due Camere, non possiamo acconsentire alla proposta Nitti, sia pure sostenuta da elementi democratici, indubbiamente più progressivi. Come ultima conclusione, a mio parere, l’espressione democratica verrebbe a sparire se venisse introdotto quel sistema.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò a favore del rinnovamento periodico e parziale del Senato in ragione di un terzo dei suoi componenti, perché io ritengo che sia un vantaggio immenso per il regolare e democratico svolgimento della vita del Paese quello che è l’effetto delle elezioni parziali. Queste, senza sconvolgere tutto un Paese e senza invitare tutta la generalità dei cittadini alle urne, danno la possibilità, da parte del Governo, di tenere, come si suol dire, il polso del Paese in mano, e quindi conoscere, ad intervalli di tempo non troppo lunghi, quali sono le tendenze, in senso positivo o negativo, regressivo o progressivo, che si precisano attraverso le elezioni.

Questo concetto di far coincidere l’elezione generale delle due Camere in un momento solo, mi pare un gravissimo errore, in quanto c’è la possibilità che queste elezioni generali delle due Camere siano influenzate da un avvenimento che può essere utile o disutile a certi fini, ma di natura transitoria e che certo non dà quella sensazione di continuità di rapporto costante fra le espressioni del Paese e le esigenze della politica.

Quindi, le elezioni parziali sono una cosa utilissima, e proprio per questa ragione, fondamentale io voterò per il rinnovamento periodico del Senato in ragione di un terzo dei suoi componenti ogni due anni, od ogni tre anni, a seconda che sia di sei o di nove anni la durata della nomina.

Non vedo poi la concludenza dell’argomento dell’onorevole Clerici, che ciò sarebbe contrario alla base regionale del Senato. E, mi permetta che glielo dica: questa famosa base regionale egli ora l’afferma, ora la disconosce; ha votato per la cosiddetta base regionale del Senato, ma poi non ha voluto, fra i requisiti dell’eleggibilità dei senatori, che vi fosse quello della nascita o del domicilio nella Regione, perché ha osservato – e credo a ragione – che rappresentano la Nazione. Dopo aver abbandonato dunque la base regionale per un argomento, ora si riattacca alla base regionale per un altro, e pretende che il rinnovamento parziale del Senato non sia possibile perché i senatori in ogni Regione dovrebbero essere un multiplo di tre. Non c’è affatto questa necessità, perché in ragione di un terzo le elezioni parziali possono avvenire o in ragione di un terzo dei molti collegi uninominali o per un terzo delle varie Regioni, e quindi quando ci saranno le elezioni nel Piemonte e non nella Lombardia non è necessario che ci siano nel Piemonte per un terzo. Quello che è necessario è che ci sia questo rinnovamento parziale e che non ci sia mai completo il vuoto parlamentare accanto al Governo. E qui rievoco l’argomento democratico dell’onorevole Di Vittorio, al quale non è giusto opporre esigenze del sistema bicamerale, perché quando si dice funzionamento bicamerale, del quale sono stato sempre strenuo sostenitore; ciò non significa che la funzione bicamerale si esaurisca nell’attività legislativa e che la apertura delle due Camere e i lavori delle due Camere debbano avvenire con un assoluto parallelismo di giorni o settimane. Se uno dei due rami parlamentari, al momento della chiusura imminente dell’altro ramo, non ha finito una certa attività legislativa, evidentemente la può proseguire, e non c’è obbligo che vada in vacanza allo stesso giorno dell’altro ramo del Parlamento. Ma poi ci sono altrettante funzioni, e forse a volte più essenziali di quella legislativa, la funzione ispettiva, la funzione di controllo, ecc., e ci può essere un ramo del Parlamento che ha disposto una inchiesta, senza nessuna necessità che questa inchiesta sia contemporaneamente fatta dall’altro ramo del Parlamento. Ci può essere dunque, anche quando la durata della Camera dei deputati è scaduta, la necessità di un contatto fra gli esponenti del Governo e gli uomini parlamentari investiti di mandato in atto, e questi uomini parlamentari, se noi avremo un Senato che non si scioglie mai, composto sempre, in qualunque momento, almeno di due terzi dei suoi componenti, avranno la possibilità di essere sentiti dal Governo.

Con le elezioni generali fatte contemporaneamente per i due rami del Parlamento, e con i Ministri che, tutti, dovranno essere rieletti, si pregiudica il principio della continuità del funzionamento dello Stato.

A queste ed altre ragioni voglio aggiungerne un’ultima di carattere pratico, e cioè che anche la scelta dei candidati viene facilitata, come criterio di selezione, se non si devono contemporaneamente eleggere tutti gli esponenti e i rappresentanti del popolo, perché, evidentemente, se si fanno contemporaneamente le elezioni alle due Camere, non è ammissibile che gli stessi candidati siano usufruiti per l’una e per l’altra. Anche dunque dal punto di vista selettivo non ci sarà niente di male che le elezioni del Senato avvengano periodicamente, quando non sono indetti i comizi generali per la Camera dei deputati. La scelta dei candidati sarà molto più facile ed oculata ed avrà una maggiore facilità di buon esito.

Si fa, dagli avversari del rinnovamento parziale, l’obiezione che il Senato finirebbe per avere maggior prestigio della Camera: osservo che io sono stato sempre un sostenitore fermo della necessità che anche il Senato fosse eletto a suffragio universale, ed una volta stabilita la elezione a suffragio universale non mi preoccupo in nessun modo che il prestigio del Senato possa essere eventualmente maggiore del prestigio della Camera. Se noi abbiamo stabilito nel nostro spirito che gli uomini di 40 anni siano eventualmente più riflessivi e siano con maggiore prestigio di quelli di 25, evidentemente abbiamo stabilito che questa seconda Camera debba avere delle caratteristiche diverse e forse anche, per quanto possa dispiacere all’onorevole Lussu, più autorevoli di quelle della prima Camera. La questione sotto questo punto di vista mi pare del tutto secondaria, perché l’una e l’altra Camera sono elette a suffragio universale e l’una e l’altra Camera hanno delle esigenze proprie, sono di carattere non assolutamente identico l’una all’altra.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, io non so se interpreto il pensiero dei colleghi del Gruppo, ma personalmente mi permetto di fare questa osservazione, o per meglio dire, questa dichiarazione: io non sono arrivato a comprendere i veri, reali e grandi vantaggi della proposta dell’onorevole Nitti, perché quando si dice che l’accoglimento di questa proposta assicurerebbe una continuità della funzione legislativa, si dice qualche cosa che è superato da quella nuova disposizione, già ricordata dal collega Clerici, per la quale le due Camere seguitano ad esercitare la loro attività fino a che non si è insediata la nuova Camera dei deputati e il nuovo Senato della Repubblica. Quindi un’interruzione dell’attività legislativa, una carenza non c’è. Siccome, come sembra, lo scopo principale della proposta dell’onorevole Nitti sarebbe quello di ovviare a questo inconveniente, non esistendo in realtà questo inconveniente, non vedo il vantaggio della proposta.

Un’altra osservazione, che è collegata a questa. L’onorevole Nitti sostiene la sua proposta anche sotto quest’altro punto di vista: che il Senato, in questo modo, potrebbe continuare ad esercitare la sua funzione, anche quando la prima Camera non funzionasse. Ma l’onorevole Nitti mi insegna che, non solo in conseguenza dei principî a cui si sono sempre informati i sistemi bicamerali, ma anche in conseguenza dei principî riaffermati dalla nostra Costituzione, una Camera non può vivere senza l’altra; non può agire, non può concludere, senza il concorso dell’altra.

Ecco perché (senza entrare in particolari, giacché l’Assemblea conosce, il funzionamento, l’architettura, la costruzione e la formazione delle leggi), ecco perché la nostra Costituzione stabilisce la contemporaneità assoluta nell’esercizio dell’attività dei due rami del Parlamento.

Se questo è, e se non si arriva a vedere l’utilità della proposta dell’onorevole Nitti, è quasi inutile mettere in rilievo quali ne sono gli inconvenienti, tra gli altri quello di venire a dare al Senato un’importanza preminente sopra la Camera dei deputati. Importanza preminente che non è certamente nel nostro pensiero.

Per queste modestissime considerazioni io, personalmente, non mi sentirei di approvare la proposta Nitti, pur riconoscendo che si tratta di una questione che può essere risolta anche positivamente, senza gravi conseguenze.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, mi pare che questa discussione si sia un po’ perduta in alcune correnti laterali, e che sarà opportuno ricondurla al suo contenuto essenziale.

E sono giunto a questa conclusione, dal rilievo della diversa natura delle osservazioni dei sostenitori della tesi, che possiamo chiamare Nitti-Corbino, e degli oppositori di questa tesi.

Gli uni, cioè i sostenitori, hanno portato – di massima – argomenti positivi; gli altri, cioè gli oppugnatori di questa tesi, hanno portato di massima argomenti negativi, nel senso che, più che dire per quali ragioni essi preferirebbero un altro sistema, hanno soprattutto detto le regioni per cui non vogliono quel sistema.

Ora, una vecchia esperienza dialettica mi ha insegnato che questi argomenti sono, al solito, argomenti molto deboli.

Vorrei ricondurre la questione al fondo. Prima di tutto, si è da molti invocato il sistema escogitato dalla Commissione. Ora, intendiamoci bene, di questa Commissione facevo parte anch’io, i suoi lavori li ho seguiti; ma il sistema, ormai, è stato completamente cambiato. È inutile che noi ci appelliamo a quello che è stato il sistema che la Commissione aveva proposto: di quel sistema, ormai, è rimasto quello che noi abbiamo come base del progetto e che andiamo continuamente modificando. Anzi, noi abbiamo escogitato, stabilito, votato e codificato un sistema che è in contrasto con quello del progetto, proprio perché, evidentemente, la maggioranza di quest’Assemblea voleva che il sistema fosse diverso. Quindi, prima di tutto, dobbiamo considerare il problema dal punto di vista del nuovo sistema e non di quello che è stato abbandonato. E, dal punto di vista del nuovo sistema, noi vediamo una preoccupazione politica affiorare in alcuni, e di questa preoccupazione politica si è fatto portavoce l’onorevole Lussu, il quale teme di veder sorgere, con questo nuovo Senato della Repubblica, un organo conservatore.

Onorevole Lussu, io sono un conservatore; sono anzi uno di quei pochi conservatori in Italia che dicono di essere tali solo per differenziarsi dai moltissimi conservatori, che non hanno il coraggio di dirlo perché lo sono più di lui. (Applausi a sinistra).

Qui mi trovo però in una grande perplessità, perché io so che quei tali conservatori diversi da me hanno una paura matta di questo Senato, proprio per le ragioni opposte a quelle che ha prospettato lei e che ha prospettate, sia pure in altro senso, l’onorevole Paolo Rossi. Ma io sono guidato da un’altra considerazione. Io sono guidato, cioè dalla considerazione che questo Senato debba divenire un organo suscettivo di essere adoperato dallo Stato, mentre sarà lasciata al Paese la responsabilità di dagli quel colore che risponde più alle sue esigenze ed alle sue opinioni.

Io non mi sono dunque lasciato guidare dal timore che, votando questo o quell’emendamento, io potessi favorire o meno i miei avversari politici. Qui la questione è un’altra: noi dobbiamo fare sì o no uni Senato che si differenzi dalla Camera dei deputati? Che si differenzi soprattutto secondo le scaturigini che noi gli abbiamo dato? E allora, se così è, noi dobbiamo accettare questo concetto della continuità.

È del resto quello della continuità un concetto che abbiamo già accettato, con quell’istituto della prorogatio che, introdotto nella Costituzione, non sarà per noi che una garanzia di più.

Ma noi dobbiamo dare al Senato il suo carattere; e, d’altra parte, se il rinnovamento del Senato dovesse valere a dimostrare l’esistenza nel Paese di indirizzi nuovi, sarà prezioso appunto per poter seguire questi indirizzi. Perché infatti, onorevoli colleghi, dobbiamo noi temere dei mutamenti? L’opinione pubblica è quella che ci deve guidare; io non riesco davvero a comprendere una preoccupazione che possa derivare dal manifestarsi dell’opinione pubblica.

La verità è, onorevoli colleghi, che qui si confonde molto spesso l’organo con la funzione. Non si dimentichi che noi qui creiamo l’organo: esso poi funzionerà per suo conto. Oggi noi dobbiamo stabilire che il Senato abbia un carattere particolare; ebbene, possiamo noi astenerci dal conferire al Senato, per ciò stesso, un carattere di rinnovamento e di continuità?

È questo, onorevoli colleghi, il concetto conservatore: che cioè nulla si conserva se non si rinnovi continuamente. Che cosa sarà dunque mai del Senato se non si trasfonderà in esso questo continuo travaso di nuove idee? Questo è e deve essere il concetto del Senato. Nessuno tema allora che il Senato possa assumere maggior prestigio della Camera dei deputati; onorevoli colleghi, l’importante è che non abbia maggiori poteri: il prestigio se lo conquistano gli uomini e gli organismi che essi compongono con quello che fanno. Sarà pertanto compito della Camera dei deputati di mostrarsi ad un’altezza tale da non perdere di prestigio davanti al Senato; e, se la Camera dei deputati non sarà a tale altezza, non sarà a tale livello, meglio allora che, per l’interesse del Paese, sia precisamente il Senato ad avere tale maggior prestigio.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, poiché tutte le opinioni sono state espresse, non c’è ora che passare ai voti. L’onorevole Ruini ha fatto una proposta, che tuttavia penso non si possa attuare: la proposta di votare il principio. Molte volte noi abbiamo infatti potuto esperimentare la non opportunità di votare dei semplici principî, giacché non riesce poi facile trasferire i principî già approvati in una formulazione precisa.

La questione è già stata discussa alcune volte. D’altra parte, abbiamo davanti a noi degli emendamenti su cui possiamo votare.

Ho detto che l’emendamento dell’onorevole Corbino mi pare sia quello che meglio si presta per questa votazione. L’emendamento dell’onorevole Nitti si riferisce esclusivamente al Senato, mentre questo dell’onorevole Corbino pone il problema di ambedue le Camere. Questa la ragione per cui mi pare che il testo dell’onorevole Corbino sia quello che si presta più favorevolmente alla nostra votazione. Lo rileggo:

«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni. Il Senato della Repubblica viene rinnovato per un terzo ogni tre anni».

In questo emendamento è contenuto il principio della rinnovabilità periodica del Senato, sul quale l’onorevole Ruini proponeva di votare inizialmente.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi pare che in questa formula proposta dall’onorevole Corbino sia indicata anche la durata della Camera dei deputati.

PRESIDENTE. Sì: la Camera dei deputati – è detto – è eletta per cinque anni.

Infatti, onorevole Targetti, io avevo proposto poco fa che si votasse dapprima: «La Camera dei deputati è eletta»; e poi il limite di tempo, dato appunto che c’è un emendamento che vuole fissarlo a quattro anni.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei chiedere che fosse precisato se la durata complessiva del Senato sarebbe posta poi in votazione dopo l’eventuale rinnovabilità.

PRESIDENTE. Ho detto che non votiamo questioni di principio, ma formulazioni concrete; e le formulazioni sono quelle di cui ho già dato lettura.

Se sarà chiesto che si voti per divisione, evidentemente voteremo dapprima: «Il Senato viene rinnovato», e con ciò la questione di principio è affermata. Resta poi aperta la fissazione del termine di periodicità.

Credo ormai che si possa passare alla votazione della prima parte dell’emendamento dell’onorevole Corbino.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Non abbiamo ben capito il valore di questa votazione.

Noi siamo dell’opinione che la Camera dei deputati sia eletta per cinque anni, come, d’altra parte, pensiamo che anche il Senato sia eletto per cinque anni. Quindi saremmo favorevoli al testo della Commissione.

Se ella mette in votazione questa prima parte dell’emendamento Corbino, questa prima parte, come tale, coincide con il nostro pensiero.

Ora, noi vorremmo sapere se, volendo votare contro la tesi del rinnovamento parziale del Senato, noi dobbiamo votare contro tutto questo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Moro, lei voterà affermativamente: «La Camera dei deputati è eletta per cinque anni», e poi voterà contro la seconda parte: «Il Senato viene rinnovato».

Dato lo svolgimento delle votazioni, evidentemente occorrerà votare ora una formula redatta in via provvisoria, nella quale si ripeterà la dizione del testo, sostituendo però al soggetto attuale, l’altro: «Il Senato», e che potrà poi essere coordinata dal Comitato di redazione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. La proposta fatta dall’onorevole Corbino, almeno per la sua prima parte, cioè per quella parte che riguarda la durata della Camera dei deputati, coincide con la proposta del Comitato di redazione.

Evidentemente la proposta che limita la durata a quattro anni deve avere la precedenza.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, ho infatti detto prima che la votazione sarebbe stata fatta inizialmente sulla formula: «La Camera dei deputati è eletta per quattro anni»; e poi, respinti i quattro anni, «per cinque», appunto per potere tener conto – nel quadro dell’emendamento Corbino – dell’emendamento Scoccimarro.

Faremo, successivamente, le seguenti votazioni: prima la Camera dei deputati con la durata di quattro anni e, eventualmente, dopo con la durata di cinque anni. Poi passeremo alla seconda parte dell’emendamento Corbino. Se fosse respinta, si porrebbe la necessità di votare per il Senato una formula uguale a quella votata per la Camera. Le due formule sarebbero poi coordinate.

Pongo pertanto in votazione questa formulazione:

«La Camera dei deputati è eletta per quattro anni».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Corbino:

«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni».

(È approvata).

Dobbiamo ora passare alla seconda parte che si riferisce al Senato. Si tenga presente che, votando la formula, di cui darò lettura, si accetta un Senato che si rinnova parzialmente e periodicamente.

E allora voteremo questa parte dell’emendamento Corbino che dice: «Il Senato viene rinnovato».

Ci fermiamo a questo punto perché vi sono altre proposte per una periodicità riferita ad un numero di anni diverso da quello proposto dall’onorevole Corbino.

Pongo dunque in votazione questa formulazione:

«Il Senato viene rinnovato».

(Non è approvata).

Passiamo dunque alla votazione in ordine al Senato, allo stesso modo con cui abbiamo votato per la Camera. Bisogna stabilire infatti se il Senato, pur rinnovandosi al completo ad ogni scadenza di mandato, debba avere una durata eguale a quella della Camera.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io credo che almeno una cosa dovremmo impedire. Ormai siamo ai piccoli problemi, perché quelli grandi li abbiamo risolti. Dovremmo impedire la simultaneità delle elezioni, cioè la confusione infinita che si creerebbe nel Paese per una contemporanea consultazione elettorale, col sistema proporzionale e col collegio uninominale, con l’incrociarsi e il confondersi delle due lotte politiche, per cui la gente, che non passa la vita su questi problemi, sarebbe nell’assoluta impossibilità di esprimere una opinione che significhi qualche cosa. Noi dobbiamo stabilire per il Senato una durata maggiore o minore, ma dobbiamo fare in modo che le elezioni non coincidano, altrimenti fabbricheremmo una Torre di Babele. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, la prego di fare una proposta concreta.

LUCIFERO. L’onorevole Nitti ha detto, con una certa mia sorpresa, che in nessun popolo civile le legislature durano cinque o sei anni. In Inghilterra, in verità, durano sei anni e non hanno dato cattiva prova. Eppure credo che l’inglese sia un popolo civile. Io proporrei, quindi, che il Senato abbia la durata di sette anni in maniera che le elezioni per il Senato non si sovrappongano a quelle della Camera e non si finiscano le une per cominciare le altre.

CLERICI. Propongo la durata di sei anni.

LUCIFERO. Mi associo alla proposta dell’onorevole Clerici, ritirando la mia.

PRESIDENTE. Allora vi è la proposta della Commissione che il Senato abbia la stessa durata della Camera e la proposta Clerici, cui ha aderito l’onorevole Corbino, che il Senato duri in carica sei anni.

CAMANGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMANGI. Desidero far notare che, se si vuol dare una diversa durata alle due Camere per evitare la coincidenza delle elezioni, questa coincidenza, sia pure a più lunga scadenza, avverrà. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula proposta dall’onorevole Clerici, accettata dall’onorevole Lucifero.

«Il Senato della Repubblica è eletto per sei anni».

(È approvata).

Se non vi sono osservazioni, resta stabilito che il Comitato di redazione provvederà a coordinare le due formulazioni approvate, e cioè quella relativa alla Camera e l’altra relativa al Senato.

(Così rimane stabilito).

Passiamo al secondo comma dell’articolo 58:

«I loro poteri sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero fare un’osservazione più generale: con l’ultima votazione che ha portato – contro il mio pensiero – a sei anni la durata del Senato, si viene ad intaccare il concetto di legislatura, che era comune alle due Camere; e significava che le due Camere venivano elette nello stesso tempo e potevano essere sciolte nello stesso tempo.

Faccio le mie riserve, non solo per questo punto, ma per altri; perché molte disposizioni sistematiche del progetto, basate sul parallelo delle due Camere, vengono meno.

PRESIDENTE. Forse in questo caso la dizione significa che quella delle due Camere che in quel momento dovrebbe essere sciolta non lo sarà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa dello scioglimento sarà materia di un successivo articolo, soltanto è mio dovere far presente che bisognerà, nell’elaborazione finale, rivedere e coordinare possibilmente alcune disposizioni.

PRESIDENTE. Segue il terzo comma:

«La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso o di imminente pericolo di guerra».

L’onorevole Mortati ha proposto il seguente emendamento sostitutivo:

«La legislatura può essere prorogata con legge nel caso di guerra, o di eventi di uguale gravità, tali da rendere impossibile la convocazione dei comizi».

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ritengo che questa disposizione sia anche inutile. La Camera dei deputati eletta il 27 novembre 1913 durò fino al 29 settembre 1919; essa fu prorogata senza che la proroga fosse prevista da una disposizione statutaria. Si tratta del caso di necessità, che non occorre prevedere.

FABBRI. Lo Statuto albertino era flessibile. Ora si sta elaborando una Carta costituzionale a sistema rigido.

NITTI. Comunque, ritengo che questa disposizione sia superflua.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Ritengo che, nell’interesse dell’uomo qualunque, bisogna vietare qualsiasi proroga delle Camere, anche in caso di guerra. È chiaro che, se scoppia una guerra, questa guerra scoppia principalmente perché la politica fatta dalle Camere ha portato alla guerra. (Commenti).

Sono molto lieto di vedere colleghi disposti alla ilarità; ma ritengo di non dire una cosa del tutto errata. Una guerra scoppia per tante ragioni, fra cui quella di una cattiva politica, fatta precisamente dalle due Camere, cioè dagli organi legislativi eletti dal popolo. Ed allora si stabilirebbe questa situazione immorale: che, per aver fatto una politica che ha portato alla guerra, il Corpo legislativo si autoprorogherebbe, per continuare a commettere gli errori che hanno portato alla guerra, approfittando dello stesso errore, la guerra.

Si stabilirebbe insomma questa immoralità: che coloro i quali sono, in parte maggiore o minore, colpevoli dello stato di guerra determinatosi avrebbero la facoltà di prolungare i loro poteri per continuare a commettere gli errori che hanno portato alla guerra. Ciò è immorale e debbo dire, per quanto mi riguarda, che voterò contro qualsiasi proroga. (Approvazioni a sinistra).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Sono dolente di non poter concordare con l’amico Giannini, perché la sua osservazione sarebbe giustissima se si potessero sciogliere tutti i Parlamenti del mondo, perché, com’è evidente, una guerra non è fatta da un Paese solo ma almeno da due Paesi ed oggi da tutti. Molto spesso, anzi, le guerre si subiscono e i Parlamenti non sono colpevoli delle guerre imposte dalle circostanze. Qui si tratta di un problema di vita pratica. In certi Paesi, come abbiamo visto, in piena guerra si sono fatte le elezioni. Vuol dire che si trattava di Paesi che si trovavano nella possibilità di farle. Ma ciò si verifica soltanto raramente. Quindi la possibilità di prorogare le legislature della Camera e del Senato ci deve essere, ma solo in caso di guerra. Non posso quindi accettare l’emendamento Mortati. Se si prevedono altri casi di proroga, se si dà alle Camere la prerogativa di inventare i motivi per prorogarsi, esse tenderanno sempre a prorogarsi, così come si è prorogata questa nostra Assemblea. (Commenti). Dobbiamo avere il coraggio di dirlo. Quindi solo in caso di guerra può essere prorogata la legislatura. «Può», non «deve», sicché la proroga non sarebbe obbligatoria. Io chiederei, signor Presidente, che fossero mantenuti la parola «solo» nel testo iniziale e l’emendamento che l’onorevole Targetti ha conservato all’ultimo comma, emendamento che chiarisce e definisce questo concetto.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Signor Presidente, riferendomi a quanto ha accennato l’onorevole Giannini, io penso che quel che ha detto l’onorevole Nitti circa l’opportunità di non parlare affatto della possibilità di proroga è giusto, anche perché è stato già approvato un articolo il quale dice che l’Italia rinuncia alla guerra, per cui la guerra in questa Costituzione è completamente messa al bando. (Commenti). Quindi io proporrei di non parlare affatto della proroga.

SERENI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SERENI. Il Gruppo comunista è contrario a che in caso di guerra siano sospese le garanzie costituzionali. È evidente che, come diceva d’altronde l’onorevole Giannini, esiste una responsabilità del Parlamento e del Governo nel caso che il Paese sia trascinato, sia pure senza sua diretta responsabilità, in una guerra. Possono esservi casi di aggressioni internazionali in cui il Paese sia trascinato anche malgrado una politica giusta fatta dal Governo. Può esservi però l’ipotesi contraria: in questo caso occorre che il popolo non sia privato del diritto di sostituire le Camere e il Governo che lo hanno trascinato in una guerra ingiusta. (Approvazioni a sinistra).

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Ritiro il mio emendamento, non senza fare osservare, che esso era stato suggerito dalla considerazione dell’opportunità della equiparazione di situazioni che, facendo sorgere le medesime esigenze, dovrebbero dare luogo agli stessi provvedimenti.

Osservo ora che se veramente si vuole limitare, come diceva l’onorevole Lucifero, il caso della proroga solo ad eventi che non siano suscettibili di valutazioni discrezionali da parte dell’Assemblea che decide la proroga stessa, bisognerebbe conseguentemente modificare anche il testo del progetto, sopprimendo la frase «o di imminente pericolo di guerra», poiché è evidente che l’accertamento di tale circostanza si presta ad apprezzamenti senza carattere di certezza obiettiva.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo alla votazione. Poiché l’onorevole Mortati ritira il suo emendamento, resta soltanto il testo della Commissione. Ma poiché l’onorevole Mortati ha accennato all’idea che la seconda parte del testo della Commissione abbia un carattere a sé stante e pertanto richieda forse una votazione particolare, se nessuno si oppone, pongo in votazione per divisione il testo della Commissione, e precisamente: «La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso». Poi, voteremo: «o di imminente pericolo di guerra».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io trovo che, essendosi variati i periodi di durata delle due Camere, la facoltà di proroga dovrebbe essere riferita all’ultimo comma dell’articolo 58, dove si dice: «Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti». Siccome noi avremo sempre una Camera in vita, data la diversa durata di ciascuna delle due, è a questa eventualità che ci si deve riferire per la proroga, non alla legislatura.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, per adesso votiamo sul testo della Commissione, la quale poi coordinerà la norma con quelle precedentemente approvate.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Nell’osservazione dell’onorevole Corbino c’è un concetto costituzionale molto giusto. Qui si tratta non di prorogare la legislatura ma di far funzionare l’istituto della prorogatio fino al termine dello stato di guerra; cioè la legislatura si scioglie di diritto, ma i 70 giorni si prolungano a tempo indefinito. (Commenti). Sta proprio in ciò la questione. Quindi si dovrebbe, con l’emendamento Targetti, sopprimere il terzo comma e dire semplicemente: «Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti, tranne che sia dichiarato lo stato di guerra». In tal modo le Camere continuerebbero a funzionare per prorogatio fino al termine dello stato di guerra.

PRESIDENTE. L’onorevole Giannini ha presentato il seguente emendamento sostitutivo del terzo comma: «In nessun caso la legislatura può essere prorogata».

Faccio notare, per evitare obiezioni, che non si tratta di un emendamento soppressivo (ed in tal caso non lo metteremmo in votazione). Si tratta di un emendamento che afferma un principio, un divieto, e che pertanto ha la precedenza sul testo della Commissione.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Non mi pare che una formulazione del genere di quella proposta dall’onorevole Giannini possa essere accolta. Poiché, come è stato or ora esattamente osservato dall’onorevole Fabbri, la nostra Costituzione è rigida, essendovi una disposizione costituzionale secondo cui le Camere sono elette per 5 anni, basta tacere circa la possibilità di proroga perché questa sia esclusa. Con la formula Giannini si potrebbe perfino ritenere che la prorogabilità della legislatura sia da escludere anche in sede di revisione costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Giannini è del parere che occorra porre nel testo costituzionale un divieto esplicito.

Pongo pertanto ai voti l’emendamento Giannini:

«In nessun caso la legislatura può essere prorogata».

(Non è approvato).

Pongo allora in votazione la prima parte del terzo comma nel testo del progetto: «La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte: «o di imminente pericolo di guerra».

(Non è approvata).

Passiamo all’ultimo comma.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Ritiro il mio emendamento all’ultimo comma.

PRESIDENTE. Pongo ai voti il primo periodo dell’ultimo comma:

«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti».

(È approvato).

Ricordo che al secondo periodo di questo comma: «Il provvedimento che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni» è stato proposto dall’onorevole Perassi un emendamento inteso a sostituire le parole: «Il provvedimento» con le seguenti: «Il decreto del Presidente della Repubblica».

LUCIFERO. Chiedo di parlare:

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Non possiamo trascurare il caso previsto nell’emendamento dell’onorevole Targetti, al quale mi sono già richiamato, tendente ad inserire, dopo le parole: «hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti», le altre: «tranne che sia dichiarato lo stato di guerra». L’onorevole Targetti prevede l’ipotesi che lo stato di guerra sopravvenga nelle more tra la fine della legislatura e le elezioni. Quindi io insisterei perché l’emendamento dell’onorevole Targetti fosse mantenuto e messo ai voti, altrimenti avremmo votato la possibilità di proroga prima della fine della legislatura e resterebbe in sospeso l’altra eventualità.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, conserva il suo emendamento?

TARGETTI. Lo conservo.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Vorrei pregare l’onorevole Targetti di spiegarci il significato di questo suo emendamento, perché non appare chiaro. Noi abbiamo stabilito che in caso di guerra dichiarata può aver luogo, con legge, la proroga della legislatura. Ora, i casi sono due: o questa proroga è già stata stabilita ed allora non c’è bisogno, naturalmente, di aggiungere l’inciso proposto dall’onorevole Targetti, perché si intuisce che nel caso di proroga non si procede alle nuove elezioni. Se poi la proroga non ci fosse, allora non si intende come si possano sospendere le elezioni già indette. Vorrei quindi pregare l’onorevole Targetti di spiegare la ragione del suo emendamento e la possibilità che vi è di inserirlo nell’insieme delle disposizioni relative alla proroga in caso di guerra.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. L’emendamento mi sembra molto chiaro e di una portata molto limitata: si riferisce ad un caso che sarà rarissimo, eccezionale, ma che può verificarsi: che cioè lo stato di guerra sia dichiarato dopo che la legislatura ha finito il suo compito e prima che sia stata eletta la nuova Camera. Non c’è stato modo di prorogare la legislatura perché lo stato di guerra ancora non si era verificato; si è verificato in quell’intervallo, ed allora non vale più la regola del termine fisso determinato per le nuove elezioni.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. L’ipotesi che ha prospettato l’onorevole Targetti in realtà si può verificare. Ma già nel testo che abbiamo approvato c’è la possibilità costituzionale di porvi rimedio. Ed è il secondo comma, in base al quale le Camere prorogano i loro poteri sino alla riunione delle nuove. Ora, se interviene l’evento al quale faceva riferimento l’onorevole Targetti, le Camere si riconvocheranno di diritto e potranno prorogare la loro durata.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. C’è un errore, perché le Camere si possono prorogare, possono cioè prendere il provvedimento legislativo di prorogarsi finché non sono state sciolte. Ma quando funzionano per prorogatio, cioè sono già sciolte, questo provvedimento di legge non lo possono più prendere. Ecco perché devono essere autorizzate, secondo quanto stabilisce l’emendamento dell’onorevole Targetti.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho dichiarato che il caso sollevato dall’onorevole Targetti è eccezionalissimo e potrà, se l’Assemblea vuole, prevedersi nel testo. Occorrerà in ogni modo precisare, in relazione al punto prospettato dall’onorevole Lucifero di una proroga, votata da una Camera già sciolta. Questa revisione potrà farsi nel coordinamento finale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Targetti, che propone di aggiungere alla fine del primo periodo del quarto comma già approvato le seguenti parole: «tranne che sia dichiarato lo stato di guerra».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo periodo dell’ultimo comma con l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi e accettato dalla Commissione:

«Il decreto del Presidente della Repubblica che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni».

(È approvato).

Abbiamo così esaurito l’articolo 58. Ne do lettura nel testo approvato, salvo il coordinamento:

«La Camera dei Deputati è eletta per cinque anni; il Senato della Repubblica è eletto per sei anni.

«I loro poteri sono tuttavia prorogati fino alla riunione delle nuove Camere.

«La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso.

«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti, tranne che sia dichiarato lo stato di guerra. Il decreto del Presidente della Repubblica che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni».

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti abbia preso in conseguenza dell’atto proditorio compiuto giorni or sono contro la sede della sezione comunista di Montalto Pavese; e per conoscere, altresì, quali direttive intenda impartire alle forze di polizia per impedire l’eventuale ripetersi di tale atto, in una zona tranquilla, nella quale tali violenze contro i partiti democratici genererebbero una giusta reazione tra i partigiani e il popolo.

«Mezzadra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere lo stato di esecuzione del decreto legislativo 30 giugno 1947, n. 783, riguardante rimpianto e l’estensione di reti telefoniche urbane e i collegamenti interurbani nei comuni dell’Italia meridionale, della Sicilia e della Sardegna.

«L’interrogante chiede all’onorevole Ministro se non ritenga opportuno che il decreto abbia sollecita applicazione, sia per la sua pratica utilità, sia per non aggiungere nuove prove che convalidino la convinzione, diffusa nelle popolazioni meridionali, che i provvedimenti in suo favore trovino intralcio nella burocrazia.

«Galati».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere per quali ragioni non è ancora stato provveduto a definire la posizione dei diplomati degli Istituti tecnici industriali e per geometri, nel senso della loro ammissione alle facoltà tecniche universitarie; e se è vero che l’onorevole Ministro ebbe ad assicurare detta ammissione per l’anno accademico 1947-48, con sua dichiarazione ufficiale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Preti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per la sistemazione della Facoltà di medicina della Università di Genova, il cui corpo insegnante, a causa dell’assoluta deficienza di locali e di mezzi, specie per quanto riguarda la clinica ostetrica, la clinica chirurgica e l’istituto di patologia chirurgica, si è trovato costretto a sospendere ogni attività didattica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere per quali ragioni il Molise – regione provata come poche altre dal flagello della guerra – è trascurato in modo così inverosimile ed incredibile nei suoi servizi ferroviari, come è stato già in precedenza segnalato al Ministro.

«Sulla linea Campobasso-Termoli e su quella Campobasso-Benevento il servizio viaggiatori è disimpegnato solo da vecchie vetture di terza classe, mal ridotte ed indecenti. Spesso anche queste mancano ed a disposizione dei viaggiatori sono soltanto carri bestiame, ove occorre stare in piedi per ore ed ore, con gravissimo disagio.

«Tale mortificante stato di cose è offensivo per una regione, che è fra le prime di Italia per alto senso di civismo e per dedizione alla Patria in ogni tempo.

«Per tale insopportabile situazione, giorni or sono, il Vescovo di Campobasso, in partenza sul treno per Termoli, fu, in segno di doveroso omaggio, invitato a salire nel bagagliaio, come il posto più decente; ma fu, poi, invitato a discendere subito, adducendosi inopportunamente motivi regolamentari, in modo che il Vescovo fu costretto, fra l’indignazione dei presenti, a viaggiare in carro bestiame, (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camposarcuno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, sui provvedimenti che intenda prendere per risolvere al più presto il grave problema della sistemazione economica degli agenti di custodia.

«In particolare l’interrogante osserva che il Corpo degli agenti di custodia, fin da quando l’Amministrazione carceraria dipendeva dal Ministero dell’interno, è stato sempre equiparato, per quanto si riferisce al trattamento economico, al Corpo degli agenti di pubblica sicurezza. E ciò fu confermato anche col passaggio dell’Amministrazione carceraria dal Ministero dell’interno a quello della giustizia, avvenuto il 1° luglio 1925.

«Il regolamento per il Corpo degli agenti di custodia 30 dicembre 1937, n. 2584, mantiene inalterato tale concetto, come pure il recente decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508, con l’articolo 15 non solo ribadisce quanto sopra, ma addirittura equipara il trattamento economico degli agenti di custodia a quello dei carabinieri.

«L’interrogante rileva che con lo stesso decreto all’articolo 12 l’indennità di pubblica sicurezza è stata estesa anche agli agenti di custodia sotto la denominazione di «indennità carceraria».

«Non vi è dubbio dunque che gli agenti di custodia abbiano diritto al medesimo trattamento economico concesso agli altri appartenenti ai Corpi di pubblica sicurezza. E ciò è tassativamente sancito dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 5 agosto 1947, n. 778, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 190 del 21 agosto 1947.

«Tale decreto, con la tabella n. 4, non fa distinzione alcuna fra i Corpi di pubblica sicurezza, comprendendo espressamente il Corpo degli agenti di custodia delle carceri fra i carabinieri, la guardia di finanza e il Corpo delle guardie di pubblica sicurezza.

«Infine si fa presente che dal 1° gennaio 1947 a tutti gli appartenenti ai Corpi armati dello Stato è stato concesso il beneficio della razione viveri in natura, a titolo di retribuzione. Non v’ha dubbio che tale beneficio debba estendersi anche al Corpo degli agenti di custodia delle carceri, con la medesima decorrenza, in quanto il suddetto Corpo con decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508, è entrato a far parte integrale delle Forze armate dello Stato con disciplina militare e con l’obbligo dell’uso delle stellette sulla divisa.

«Pertanto dal 1° gennaio 1947 venga fatto il conguaglio fra il valore della razione viveri in natura non goduta e l’indennità di caro-vita corrisposta, o quanto meno venga corrisposta una indennità compensativa mensile di lire 5000, che rappresenta la differenza tra il valore della razione viveri in natura e la diminuzione dei caro-viveri, che ne sarebbe scaturita se il personale avesse goduto del beneficio della razione viveri in natura.

«Da quanto viene riferito, pare che il Ministero del tesoro abbia già approvato in linea di massima l’estensione della razione viveri in natura anche a favore del Corpo degli agenti di custodia. Non dovrebbe essere difficile avere l’approvazione del Consiglio dei Ministri.

«La soluzione di questa pratica sta molto a cuore al personale di custodia, che si sente assai avvilito di fronte agli appartenenti agli altri Corpi armati di polizia, ed è fonte di vivo malumore tra essi e questi ultimi, con evidente pregiudizio per il delicato servizio a cui devono attendere, perché oltre a soffrire la palese ingiustizia, ne risentono fortemente le loro già precarie condizioni economiche.

«I 14.000 componenti il Corpo degli agenti di custodia, stanchi delle lusinghevoli promesse che si sono avvicendate per circa 10 mesi, senza mai avere ottenuto nulla di concreto, attendono con ansia la soluzione della lunga attesa pratica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bastianetto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se – in analogia a quanto è stato sancito a favore dei provveditori agli studi reggenti – non ritenga equo stabilire un punteggio di valutazione del servizio di reggenza prestato dai direttori didattici nei posti di ispettore e dagli insegnanti elementari nei posti di direttore, per effetto degli incarichi loro affidati dagli Alleati, nel periodo di emergenza, e dai provveditori a norma del regio decreto-legge 4 giugno 1944, n. 158. Tale punteggio dovrebbe avere effetto nello scrutinio di promozione al grado superiore per i direttori e nel concorso direttivo per i maestri. In prossimità degli scrutini di promozione e dei concorsi, il provvedimento richiesto ha carattere di urgenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Galati».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritengano equo ed opportuno elevare la somma assicurata in lire 5000 ai combattenti dallo Stato nel 1918, mediante il rilascio delle polizze gratuite, in misura tale da consentire se non un integrale adeguamento del valore della moneta dal 1918 al 1948, almeno un riconoscimento coerente al significato morale ed al valore materiale dell’impegno dello Stato, commisurando in lire 50.000 le lire 5000 del 1918. E ciò, in considerazione che per i decreti luogotenenziali 7 marzo 1918, n. 874; 10 dicembre 1917, n. 1970; 30 dicembre 1917, n. 2047; 19 maggio 1918, n. 769; 8 dicembre 1918, n. 1953, concernenti il rilascio delle polizze gratuite ai combattenti ed ai loro superstiti, veniva il premio di assicurazione fissato in lire 5000 e lire 1500; che tale premio viene a maturare, per i superstiti, dopo 30 anni, nel 1948; che per il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 aprile 1947, n. 397, i combattenti della guerra 1915-18, assicurati con le polizze miste con scadenza 1° gennaio 1948, possono chiedere il pagamento delle polizze stesse, presentando domanda all’Istituto nazionale delle assicurazioni; ed in considerazione, infine, che la somma di lire 5000, così come nel 1918 rappresentava apprezzabile premio a coloro che avevano bene meritato, conquistando alla Patria con il loro assai duro e sanguinoso sacrifizio, le terre irredente ed i naturali confini, oggi suona irrisorio quanto umiliante compenso ai combattenti superstiti della grande guerra 1915-18. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mastrojanni».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testò lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte ai loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.15.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 9 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 9 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

ScelbA

Lucifero

Laconi

Rodi

Bertone

Codacci Pisanelli

Mastino Pietro

Nitti

Uberti

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Condorelli

Targetti

Nobile

Costantini

Clerici

Leone Giovanni

Togliatti

Schiratti

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Onorevoli coreghi, ricordo che l’Assemblea deve continuare l’esame dell’articolo aggiuntivo 55-bis.

Ieri sera si è proceduto ad una votazione a scrutinio segreto, a conclusione della quale è risultato che l’Assemblea ha rifiutato di includere nel Senato come membri di diritto gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica. Se bene rammentano, la votazione è stata fatta su di una formula che conteneva la condizione particolare che si richiedeva perché queste persone potessero far parte del Senato, purché non rinunciassero a questo loro diritto. Infatti la formula votata fu: «ex Presidenti del Consiglio ed ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica, salvo rinuncia». Naturalmente, essendosi posta in votazione a scrutinio segreto tutta la formula, anche l’inciso condizionante è stato respinto.

Tuttavia questa particolare condizione, che libera dall’obbligo dell’accettazione coloro che per diritto devono far parte del Senato, nel testo presentato dall’onorevole Alberti si riferiva anche agli ex Presidenti della Repubblica. Sarebbe, quindi, necessario che con un accorgimento interpretativo o con una votazione apposita, per alzata è seduta, noi aggiungiamo la clausola alla formula accettata in precedenza in relazione agli ex Presidenti della Repubblica, dei quali si è riconosciuto la partecipazione di diritto all’Assemblea ma ai quali, per ora non si è esplicitamente accordata la facoltà di rinuncia.

Data questa spiegazione, propongo di votare in aggiunta alla dizione già accettata, che dispone che gli ex Presidenti della Repubblica facciano parte di diritto del Senato, la formula: «salvo rinunzia».

Tale formula, resta bene inteso – dovrà essere posta in connessione alla votazione già avvenuta relativa alla inclusione di diritto degli ex Presidenti della Repubblica.

SCELBA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA. La rinunzia era condizionata ad un certo termine, entro il quale doveva essere manifestata. La rinunzia può essere sempre sottintesa, perché ognuno può rinunziare ad un proprio diritto. La formula: «salvo rinunzia» aveva un significato perché era previsto che la rinunzia dovesse essere fatta prima di un certo termine.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io voterò contro, perché noi siamo in regime di libertà e non abbiamo bisogno di consacrare il diritto del cittadino di rinunciare ad una determinata carica o incarico.

Questo mi sembrerebbe in contrasto con tutta la nostra legislazione costituzionale. È evidente che chi vuole rinunciare ad un diritto può farlo. A me sembra una formula illiberale e quindi voterò contro.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Desidero far notare che nella Costituzione sarà probabilmente sancita l’incompatibilità fra l’appartenenza all’una o all’altra Camera. Affermare il diritto di rinuncia dei senatori di diritto significa quindi affermare la facoltà, per questi uomini, di potere avere invece l’elezione per la prima Camera.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la formula «salvo rinunzia» non è contenuta letteralmente nel testo preciso proposto dall’onorevole Alberti; la cui formulazione è la seguente: «A tale diritto si può rinunziare, purché la rinunzia sia fatta prima della firma del decreto di nomina da parte del Capo dello Stato».

Ieri sera tuttavia, nel corso della discussione, da parte di qualche collega è stata sollevata eccezione su questo procedimento che dovrebbe sanzionare partitamente la nomina di coloro che pure avrebbero il diritto, costituzionalmente riconosciuto, di far parte del Senato.

Si è detto che, dato appunto il loro diritto costituzionale, costoro potrebbero vedere subordinato ad un atto particolare di pubblicazione il suo godimento. Ecco perché, alla fine della discussione, quando ieri sera si trattò di porre in votazione la formula relativa agli ex Presidenti del Consiglio e agli ex Presidenti della Repubblica, sì suggerì – e nessuno ha allora fatto eccezione – che il testo dell’onorevole Alberti, si riducesse a quello più sintetico e che naturalmente escludeva la criticata modalità di nomina, di «salvo rinunzia».

Si può ora riprendere – però – se la si preferisce la formula intera dell’onorevole Alberti, che implica una certa procedura per il riconoscimento del diritto di ciascuno di coloro che posseggono titolo ad entrare automaticamente nel Senato, oppure – se si ritiene meglio – la formula che dissi più sintetica, ma in realtà di diverso contenuto, secondò le osservazioni che ha fatto l’onorevole Laconi.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Credo che basti dire «salvo rinunzia». In queste parole è sintetizzato il concetto e non credo sia opportuno precisare che la rinunzia debba avvenire prima o dopo un determinato momento. Si intende che la legge speciale prevede quando debba essere fatta la rinunzia.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Credo che sia opportuno mantenere la formula proposta dall’onorevole Alberti, perché la questione della rinunzia del senatore, dopo avvenuta la nomina, può dar luogo a discussioni non lievi.

La questione si è presentata già per il vecchio Senato, quando l’onorevole Ciccotti, nominato senatore sotto il Governo di Mussolini, fece un discorso di opposizione. Mussolini, con un atto volgare, gli rinfacciò che, dopo tutto, lo aveva fatto nominare lui senatore. L’onorevole Ciccotti immediatamente rinunziò alla carica e diede le dimissioni. La Presidenza del Senato si radunò e ritenne che fosse discutibile se si potevano dare le dimissioni da parte di un senatore nominato a vita. Infatti le dimissioni non furono accettate, ma l’onorevole Ciccotti non pose più piede in Senato.

Ora, la questione non sorgerebbe per i senatori che fossero nominati temporaneamente, ma per il Presidente della Repubblica che viene nominato a vita parmi sia necessario, se non intende accettare, che lo dichiari prima della nomina.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Sono d’accordo con l’onorevole Lucifero, cioè ritengo che sia superfluo inserire le parole «salvo rinunzia», perché nessuno può essere costretto ad accettare. Quanto al precedente che è stato ora invocato, ritengo che non possa considerarsi come perfettamente analogo, in quanto allora ci trovavamo di fronte ad un Senato completamente diverso da quello che noi stiamo adesso per costituire. Quindi, ritengo che anche quell’inconveniente a cui si era accennato prima, cioè la possibilità di vedere pubblicato il proprio nome come senatore anche contro la propria volontà, si può evitare, perché basterà che quella persona rinunci sotto qualunque forma per vedere esclusa la sua nomina. Voterò perciò contro l’inclusione di questa aggiunta, in quanto la ritengo superflua.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Ho poco da aggiungere. Voglio soltanto, far notare che la formula dell’onorevole Alberti è ancora peggiore delle altre, perché stabilirebbe addirittura il principio che una volta nominati, cioè una volta fatto il decreto di nomina, si è legati a questo decreto per tutto il resto della vita, cioè l’individuo non può rinunciare successivamente. Credo che qui non siamo nel caso dei deputati, cioè nella vecchia prassi, che purtroppo abbiamo abbandonato, per cui non si poteva rinunciare al mandato ricevuto dagli elettori. Qui si tratta di un diritto che può essere esercitato o può non essere esercitato. Non abbiamo bisogno di consacrare un concetto che poi, posto al rovescio, potrebbe stabilire il principio dell’obbligo di accettare certe cariche.

Quanto a quello che dice l’onorevole Laconi, mi pare irrilevante perché l’incompatibilità sarà stabilita con apposite norme di legge che verranno approvate; e quindi la rinunciabilità si eserciterà o non si eserciterà quando ve ne sarà la circostanza. Ma consacriamo che i cittadini italiani siano uomini liberi e che possano accettare quanto vogliono, e che non ci sia una norma di legge che tolga loro i diritti del libero cittadino.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Sono d’avviso che esplicitamente deve essere riconosciuta la facoltà della rinunzia o delle eventuali dimissioni: la rinunzia, prima che la nomina sia avvenuta; le dimissioni, in un periodo successivo. L’osservazione fatta dall’onorevole Lucifero, secondo la quale questo esplicito riconoscimento di rinunzia parrebbe partire dal presupposto che non si viva in regime di libertà, non mi sembra una eccezione che meriti accoglimento; in quanto, anzi, riconoscere esplicitamente il diritto alla rinunzia o alle dimissioni, è la riconferma del clima di libertà. D’altra parte, ancora poc’anzi, l’onorevole Codacci Pisanelli ha rilevato come durante il regime mussoliniano sia stata per lo meno indecisa, non definita, la posizione in cui venne a trovarsi l’onorevole Ciccotti. Questo basta a dimostrare come in quest’Aula affiori la possibilità di una dubbia interpretazione che deve essere senz’altro tolta, con l’aggiungere alla votazione già fatta quello che adesso il nostro Presidente ha proposto, un riferimento ad una rinunzia a cui si abbia diritto senz’altro. Io parlerei di rinunzia senza limitazione di tempo, o meglio, per essere più precisi, parlerei di rinunzia e di dimissioni, indicando i due periodi diversi in cui queste due dichiarazioni possono essere fatte: la rinunzia prima della nomina, le dimissioni, in un periodo successivo.

PRESIDENTE. Ritengo che si possa votare la formula più succinta «salvo rinunzia», che appare come un emendamento alla formulazione dell’onorevole Alberti; e successivamente, ove questa formula non fosse accettata, porrò in votazione quella appunto, dell’onorevole Alberti.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Proporrei che si aggiungessero le parole: «o dimissioni».

PRESIDENTE. Mi pare che nella parola «rinuncia» sia implicito il concetto di dimissioni. La rinuncia è un atto che esclude l’inizio stesso del godimento del diritto.

MASTINO PIETRO. Il diritto di rinuncia dev’essere accordato senza limitazione di tempo.

PRESIDENTE. In realtà non soltanto è sempre esistito il diritto, delle dimissioni dal Senato, ma, come c’insegna la rubrica dei senatori attraverso i tempi, molti senatori hanno dato a loro tempo, le dimissioni che sono state accettate; ed hanno cessato di far parte del Senato antico per dimissioni e non – fortunatamente per loro – per morte.

Quindi, il diritto di presentare le dimissioni già esiste: non vi sarebbe la necessità di riaffermarlo. Di qualunque Assemblea si faccia parte, si ha il diritto di dimissione. Comunque, nella formula «salvo rinunzia» mi sembra sancito il principio delle dimissioni.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Ritengo che, ove si parli di rinuncia, condizionandola ad una determinata data, cioè se si vuole che la rinunzia debba avvenire prima del decreto di nomina, possa essere messo in discussione il diritto alle dimissioni, ponendo la differenza fra rinunzia e dimissioni.

PRESIDENTE. Prima voteremo la formula «salvo rinunzia»; in un secondo momento la formula completa proposta dall’onorevole Alberti relativa sempre alla rinunzia; infine passeremo alla votazione delle parole: «o dimissioni».

Pongo in votazione la proposta di aggiungere dopo la dizione, già approvata: «Sono senatori di diritto gli ex Presidenti della Repubblica» la formula: «salvo rinunzia».

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Dichiaro di astenermi dalla votazione.

(È approvata).

La formula proposta dall’onorevole Alberti è così assorbita.

Pongo in votazione le parole: «o dimissioni».

(Non sono approvate).

Gli altri emendamenti, che si riferiscono alla partecipazione di diritto al Senato, prevedono un certo numero di alte cariche dello Stato: cioè – secondo la proposta dell’onorevole Nitti – il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e ci limitiamo per ora a queste categorie.

L’onorevole Clerici, a sua volta, ha proposto che facciano parte di diritto del Senato: il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei Conti, l’Avvocato generale dello Stato, il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, il Capo di Stato Maggiore generale.

Chiedo all’onorevole Uberti se insiste ancora nella richiesta fatta ieri di votazione segreta, per tutte quelle categorie che riguardino membri dell’Assemblea Costituente.

UBERTI. Insisto.

PRESIDENTE. Porrò anzitutto in votazione per alzata e seduta l’inclusione di quelle categorie che non riguardano membri dell’Assemblea, quali il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei Conti.

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi spiace che la proposta venga da una fonte così autorevole come quella dell’onorevole Nitti. Ben lungi dall’approvare il concetto informatore di questa proposta, eravamo nell’intenzione di porre all’Assemblea la questione della incompatibilità tra le cariche di Primo Presidente della Corte di Cassazione o del Consiglio di Stato o della Corte dei Conti, e quella di senatore. Accogliere la proposta significherebbe compromettere l’autonomia di questi organi ed, in qualche misura, l’autonomia degli organi del potere legislativo.

Per queste ragioni voteremo contro.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo dichiarare che il Comitato, quando esaminò questa materia, si pronunziò contro l’ammissione di diritto delle alte cariche dello Stato perché (a prescindere dalla deviazione dal carattere elettivo del Senato) ritenne che le funzioni di questi alti funzionari riecheggiano piena indipendenza ed autonomia e non giova interferirle col Parlamento. Mi sia lecito aggiungere a titolo personale, che io non sono per nulla interessato a questa proposti, perché a metà dicembre lascio per limiti di età, la presidenza del Consiglio di Stato: dunque non vi sarebbe per tale carica nessuna questione personale di membri attuali della Costituente da richiedere lo scrutinio segreto, secondo la proposta dell’onorevole Uberti.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, voglio augurarmi che il voto espresso ieri sera abbia il significato di un puntuale dissenso in rapporto a quella proposta e non il significato di un indirizzo preciso in merito all’elencazione di categorie che dovrebbero far parte di diritto del Senato. Perché queste proposte – e sono varie – sono determinate da un duplice scopo: quello di assicurare al Senato alcune altissime personalità e l’altro, che io considero forse più rilevante, di accrescere prestigio all’altissimo consesso che deve essere il Senato. Noi, esaminando il progetto, abbiamo man mano abbandonato una serie di proposte che tendevano ad attribuire al Senato una funzione specifica, che gli avesse dato specifica ragion d’essere accrescendone l’autorità. Ora siamo su un’altra direttiva, cioè sulla direttiva di accrescere autorità al Senato, migliorando, quanto più è possibile, i criteri selettivi e di scelta dei senatori. In questo senso sì è scelto, per esempio, il sistema del collegio uninominale diretto quale metodo di formazione del Senato.

Le varie proposte presentate dagli onorevoli Nitti, Clerici, Alberti, da me e da altri, tendono ad assicurare al Senato il prestigio che gli deriverà certamente dalla collaborazione di uomini eminenti della vita politica, della cultura, delle scienze. Ora io vorrei che si esaminasse attentamente questo problema, perché ho la sensazione che non il principio democratico, ma il pregiudizio democratico possa danneggiare la democrazia che noi vogliamo istituire. Infatti danneggeremmo la democrazia se creassimo una Camera che dovrebbe essere la prima Camera, la Camera Alta, ma che fatalmente diventerebbe la Camera bassa. Invero, quando noi abbiamo stabilito che l’elezione si debba fare col sistema del collegio uninominale, noi abbiamo reso indubbiamente più difficile l’elezione…

LIBERTI. Le grandi personalità se ne avvantaggeranno ancora di più!

CONDORELLI. …più difficile l’elezione al mandato parlamentare meno ambito. Io credo che la quasi totalità degli uomini politici preferirà la vita militante della Camera dei Deputati al seggio senatorio che, per ragioni di tradizione, è considerato di giubilazione. Avremmo così che, con mezzi più duri, si conseguirebbero minori risultati: noi dobbiamo ritenere che alla Camera Alta verrebbero ad aspirare figure politiche secondarie. Allora perché non rendere più ambita la Camera Alta, riunendo in essa quella che è l’élite della politica, della cultura e del lavoro della Nazione? (Commenti a sinistra).

Io penso che noi operando così non comprometteremo minimamente il principio democratico perché in fondo quando una persona è mandata in questa Camera dalla legge, che in regime democratico è espressione della volontà generale, cioè della volontà popolare, e perciò non tradiremo minimamente i principi democratici.

D’altro canto, riflettete, colleghi, sul significato costituzionale che ha il Senato quando voi lo rendete totalmente elettivo. Quando esso è totalmente elettivo, è una Camera parallela e concorrente con la Camera dei Deputati. Se invece voi gli aggiungete delle personalità eminenti, che siano nominate e scelte in modo diverso che col sistema elettivo, voi imprimete a questa Camera un carattere diverso: quel carattere di controllo e di supervisione delle leggi, che veramente salva totalmente il principio democratico, perché la direzione politica dello Stato e del Governo, della politica rimarrà proprio alla Camera dei deputati ed il Senato adempirà alla durissima funzione di controllo e supervisione delle leggi, che non potrà ostacolare, nella prassi politica, l’attività della Camera dei deputati, ma che eserciterà una funzione diversa, ugualmente indispensabile, che non incrinerà minimamente la necessaria determinanza dell’elemento democratico nella struttura dello Stato.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei proporre che invece di votare sulle singole cariche, si procedesse ad un’unica votazione a scrutinio segreto. Questo per una ragione molto semplice: se si adottassero due sistemi diversi di votazione, noi potremmo giungere all’assurdo che il sistema di votazione ci porti a decidere in un modo per certe categorie ed in un altro modo per certe altre, ed ammettere, per esempio, il Presidente della Corte di Cassazione nel Senato ed invece il Presidente del Consiglio di Stato no; cosa fuori senso.

Mi pare che siccome la proposta ha la sua organicità, si possa addivenire ad un’unica votazione, a scrutinio Segreto, per tutte queste cariche.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo accettabile la proposta Laconi, perché se si procedesse ad una votazione carica per carica – e tanto più se a scrutinio segreto – si potrebbe compromettere la linea unica della proposta; ed avere soluzioni disparate e non coerenti. Vi deve essere un principio unico. Caso mai, si potrebbe votare per due gruppi: la proposta Nitti, che riguarda alte magistrature, e quella Clerici che aggiunge altre cariche.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Chiederei ai colleghi firmatari, Clerici ed altri, di ritirare il loro emendamento. Se essi lo ritirassero dimostrerebbero una sensibilità morale e politica, di cui molti di noi dovrebbero essere sodisfatti. Infatti, dopo che l’Assemblea ha deliberato che non facciano parte di diritto del Senato il Presidente del Consiglio e il Presidente dell’Assemblea, non potrebbe apparire come una stonatura che vi facciano parte di diritto persone indubbiamente inferiori?

Se poi essi all’emendamento vogliono dare un altro senso, dirò così fiscale, ed allora aggiungiamo pure, ed io me ne faccio propugnatore, il Comandante dell’Arma dei carabinieri, il Comandante della polizia, e qualche altro. Io pregherei i colleghi firmatari di ritirare l’emendamento. Credo che sia nel desiderio della Camera che questo avvenga.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. A seguito della votazione di ieri sera, dichiaro di ritirare il mio emendamento. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Allora, onorevoli colleghi, vi è una proposta dell’onorevole Laconi di procedere con una unica votazione alla decisione in ordine alle varie proposte di senatori per diritto.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi permetto far presente che la questione alla quale ella accenna potrà essere proposta quando sarà in discussione una proposta di nomina a vita. L’onorevole Nitti ha ritirato il suo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rimane la proposta dell’onorevole Clerici.,

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mi pare che il dissenso sorga su questo: se si ha diritto ad essere senatori per il fatto di ricoprire una determinata carica. Il fatto se il seggio sia a vita o no costituisce un’altra questione. Nella proposta dell’onorevole Clerici, ad esempio, non si parla di coprire dei seggi del Senato a vita, ma durante l’esercizio dell’ufficio, e ciò, ad esempio, per il Presidente della Corte di Cassazione, il Procuratore Generale ed altri. Ieri invece, abbiamo votato a proposito degli ex Presidenti del Consiglio e delle Assemblee legislative per una nomina a vita. Ma qui altra è la questione. L’onorevole Laconi ed altri si sono soffermati su questa domanda: se ricoprire queste cariche dia diritto alla nomina a senatori. Questa è la questione.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Non sono d’accordo sulla proposta fatta dall’onorevole Laconi, perché l’Assemblea deve essere in condizioni di poter esprimere il suo avviso sulla possibilità che l’una o l’altra di quelle cariche siano comprese fra queste nomine. Per esempio io non ho nulla in contrario a che vi sia compreso il Presidente del Consiglio delle ricerche; ma allora, mi domando, perché non includervi anche altre cariche analoghe, per esempio il Presidente dell’Accademia dei Lincei od il Rettore di università? Ora, mettere l’Assemblea in condizioni di non potere esprimere il suo avviso su ciascuna di queste cariche a me sembra che non si possa accettare. Ecco perché sono del parere che si votino le categorie una per una.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Dissento dal pensiero esposto dall’onorevole Nobile anche per un’altra ragione, onorevoli colleghi, che è la seguente. Ieri sera l’Assemblea Costituente, a scrutinio segreto, ha stabilito che gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti di questa Assemblea non dovranno far parte del Senato. Come una conseguenza logica di questa deliberazione mi sembrerebbe assai strano, a parte i rilievi fatti da altri colleghi, che dovessimo oggi stabilire che hanno diritto di far parte del Senato il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte di Cassazione, cariche indubbiamente elevatissime, ma che sono sempre inferiori a quelle di Presidente del Consiglio o di Assemblea legislativa.

Una voce a destra. Il criterio è diverso.

COSTANTINI. Ecco perché è opportuno che si faccia una votazione unica.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per procedere ad una votazione unica mi pare che la miglior cosa sarebbe di votare il principio che vi possano essere senatori di diritto.

Evidentemente se il principio è respinto, non si procederà a nessuna votazione; se invece il principio è accettato, allora si può scendere alla votazione delle singole proposte.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi permetta, onorevole Presidente, il principio è già stato accettato; sul principio non v’è più nessuna discussione. (Commenti). Il principio è già stato accettato quando abbiamo votato che gli ex Presidenti della Repubblica hanno il diritto di essere membri del Senato. Con questo abbiamo ammesso il principio che vi possano essere dei cittadini membri di diritto del Senato. Il principio ormai non si discute più: si tratta di discuterne l’applicazione a determinate categorie. Ed allora, concordo con l’onorevole Nobile, perché, ad esempio, si può trovare che le categorie comprese nell’emendamento Clerici sono troppe, un altro invece può aggiungerne qualche altra. Bisogna quindi votare le categorie una per una; ma sul principio no, perché l’abbiamo già consacrato.

PRESIDENTE. In realtà, se pure si possa ammettere che, attraverso una votazione specifica abbiamo già accettato il principio che riconosce il diritto di far parte del Senato a vita per carica ricoperta, è certo che le proposte attuali pongono, invece, se mai, il diritto di far parte del Senato solo per il tempo durante il quale si ricopri una certa carica. Si tratta quindi di un principio diverso da quello già approvato.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che, dal punto di vista morale, c’è un abisso fra le due questioni. Con la prima votazione si trattava di determinate persone che hanno avuto delle cariche e che, al momento che cessano dalla carica, acquistano di diritto il titolo di Senatore. Ora, invece, si tratta di persone che dovrebbero ricoprire la carica di senatore, in funzione della carica ricoperta. Mentre, ad esempio, la questione dell’incompatibilità non sorgeva per i primi, sorge per i secondi.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, ella propone formalmente di fare una votazione cumulativa?

LACONI. Sì.

PRESIDENTE. Allora la sottopongo all’Assemblea.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. V’è anche una proposta degli onorevoli Nobile e Lucifero, di votare per divisione; quindi credo che la votazione per divisione debba avere la precedenza, a termini di Regolamento.

Io mi associo alla proposta dell’onorevole Nobile di procedere alla votazione per divisione delle otto categorie elencate nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Clerici, indichi come attuerebbe la divisione del suo emendamento, il quale è così redatto:

«Sono Senatori di diritto, durante l’esercizio del loro ufficio, il Primo Presidente della Corte di cassazione, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti, l’Avvocato generale dello Stato, il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, il Capo di Stato Maggiore generale».

CLERICI. Io direi di dividere e votare carica per carica, oppure, se non vi è ostacolo da parte dei colleghi, si potrebbe anche dividere così: i primi quattro che sono magistrati, nel senso lato della parola, e gli altri quattro che non sono magistrati. (Commenti).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei specificare, per quanto mi concerne, la richiesta di votazione per divisione.

Io chiedo che si voti prima la proposizione: «Sono senatori di diritto», poi l’inciso: «durante l’esercizio del loro ufficio».

Io, ad esempio, voterò sì per la prima parte e no per la seconda.

Si dovrebbero votare poi, una per una, le singole cariche indicate. Chiedo quindi che la votazione per divisione proceda con questo metodo.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Onorevole Presidente, io concreto la mia proposta in questi termini: si voti prima la proposizione iniziale, che contiene un’enunciazione di principio: «Sono senatori di diritto»; poi l’altra espressione: «durante l’esercizio del loro ufficio».

PRESIDENTE. Sta bene. Poiché dunque è accettato che si voti per divisione, questa dovrà essere fatta secondo le proposte più articolate.

Porrò quindi in votazione la prima proposizione dell’emendamento Clerici: «Sono senatori di diritto».

LACONI. Propongo che la votazione avvenga per scrutinio segreto. (Commenti).

PRESIDENTE. Chiedo se, a norma dell’articolo 27 del Regolamento, questa proposta sia appoggiata.

(È appoggiata).

Onorevoli colleghi, desidero ancora chiarire il significato della votazione sulla formula: «Sono senatori di diritto».

Questa votazione riguarda una norma permanente per la costituzione del Senato, ma non coinvolge le votazioni alle quali dovremo procedere per la formazione del primo Senato della Repubblica. Vi sono altri emendamenti a questo proposito, che esamineremo.

In secondo luogo, tengano presente che votando contro questa formula, si esclude qualsiasi altra votazione per la partecipazione di diritto al Senato; e non soltanto in relazione alle alte cariche della Magistratura, ma a qualunque altra carica dello Stato.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Questo esclude anche la possibilità che si possa votare sulla eventuale ammissione di diritto nel Senato di qualunque altra categoria?

PRESIDENTE. In modo permanente.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Intendo prospettare un dubbio che può invalidare la sostanza di questa votazione. Può darsi che sulla base di questa formula si voti affermativamente. Può darsi (è illogico, ma può accadere, perché anche le cose illogiche accadono spesso in questa Assemblea) che, se si dà voto contrario a tutte le singole categorie, ci troveremo di fronte ad un solo senatore di diritto, che entra nella Carta costituzionale. Ora ritengo che si dovrebbe cominciare col votare le singole categorie.

PRESIDENTE. Non cerchi di ritornare su quanto è stato già deciso, perché lei mi insegna che talvolta accadono cose illogiche, ma che la logica le corregge.

Abbiamo chiarito ormai la questione.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Si proceda alla votazione a scrutinio segreto sulla formula dell’emendamento Clerici:

«Sono senatori di diritto».

Presidenza del Vice Presidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     368

Maggioranza           185

Voti favorevoli        160

Voti contrari                        208

(L’Assemblea non approva – Applausi a sinistra).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bucci – Bulloni – Burato.

Cacciatore – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carboni Angelo –Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Einaudi – Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani –Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio.

Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lozza – Lucifero –Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Manzini – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Persico – Perugi – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salizzoni – Sampietro – Santi – Sapienza – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Sereni – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella.

Tambroni Amaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Cairo – Caporali – Carmagnola – Caroleo – Cevolotto.

Dugoni.

Jacini.

Mannironi – Martino Enrico – Martino Gaetano.

Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Con la votazione eseguita testé si è quindi deciso che del Senato non faranno parte Senatori di diritto.

Resta, tuttavia, ancora aperta la questione posta dall’onorevole Alberti con la proposta di aggiungere il seguente comma:

«Cinque Senatori sono nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni, nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario hanno illustrata la Patria».

Non si tratta di Senatori di diritto, ma di Senatori da prescegliersi a facoltà del Capo dello Stato, subordinatamente però alla condizione che abbiano conseguito meriti insigni in determinati campi.

Pongo, pertanto, in votazione la proposta dell’onorevole Alberti.

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Dichiaro di votare contro.

(La votazione si effettua per alzata e seduta – Il Presidente ne comunica l’esito negativo).

PRESIDENTE. Faccio presente che, nel momento stesso in cui avevo determinato la mia comunicazione, l’onorevole Schiratti, segretario, mi ha comunicato che egli non aveva terminato il computo. (Proteste a sinistra).

Procediamo, pertanto, alla votazione per divisione. (Rumori a sinistra).

(Segue la votazione per divisione – La proposta è approvata – Applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra).

Onorevoli colleghi, l’onorevole Lussu mi aveva fatto pervenire, nel corso della votazione, la richiesta di non computare, agli effetti di questa votazione, i voti dei Ministri assenti alla prima votazione per alzata e seduta. Orbene, nell’Assemblea attuale e nelle Camere italiane, non è stata mai accettata la norma, per quanto alcune volte proposta, ed ancora pochi mesi fa attraverso la Giunta del Regolamento nella elaborazione di quelle tali modificazioni che furono respinte, che si chiudano le porte al momento in cui si inizia una votazione, per evitare appunto la gara, alcune volte non troppo seria, di richiami e affluenza improvvisa dei colleghi momentaneamente assenti che accorrono per dare il loro voto, senza aver seguito la discussione.

Onorevole Lussu, la norma non esiste; ed in questa stessa votazione abbiamo visto che, se sono entrati all’ultimo nell’Aula alcuni Ministri che stavano nel transatlantico, sono entrati con loro anche dei deputati. Pertanto mi pare che la misura sia stata colmata dall’una parte e dall’altra. (Applausi al centro e a destra – Commenti).

Per questa ragione, non ho creduto, onorevole Lussu, di dare corso alla sua richiesta, ma ho voluto darle in questo momento la risposta.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Tutti abbiamo assistito all’ingresso in Aula di parecchi deputati, e della destra e della sinistra, e se dovessimo fare, secondo coscienza, un calcolo potremmo affermare genericamente che sono entrati in egual. numero e dall’una e dall’altra parte. Però, tutti abbiamo constatato che durante la prima votazione per alzata e seduta – che noi ritenevamo valida, se non fosse intervenuto, in un certo senso non correttamente, il segretario Schiratti – (Proteste al centro) mancavano in blocco tutti i Ministri, mentre poi abbiamo assistito all’ingresso in Aula in blocco di tutti i Ministri per partecipare alla seconda votazione. (Commenti al centro).

Ora, i precedenti parlamentari sono quelli che sono. Il Regolamento non parla di esclusione, ma io credo, nell’interesse di tutti, nell’interesse di tutte le correnti politiche rappresentate in quest’Aula, che sarebbe più opportuno che questa votazione fosse ripetuta con calma in un altro momento, possibilmente nel pomeriggio.

È quello che io mi permetto di proporre. (Commenti al centro).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, sono contrario alla richiesta che è stata avanzata dall’onorevole Lussu. Per quanto noi in questa votazione siamo stati la seconda volta battuti, mentre la prima credevamo di aver avuto il successo, ritengo che creeremmo un pericolosissimo precedente se ammettessimo che unicamente perché dei colleghi stavano nei corridoi o altrove e non sono stati nell’Aula nel momento in cui è avvenuta quella votazione che il Presidente ha ritenuto valida agli effetti del risultato, la votazione dovesse essere annullata. Vi è stato un incidente che avremmo voluto che fosse evitato e che riguarda l’Ufficio di Presidenza. Noi non c’entriamo. L’Ufficio di Presidenza ha le sue norme che sono sancite a tutela di tutti noi e deve rispettarle. In questo momento però l’esito della votazione è stato proclamato e sarebbe un errore se volessimo ritornare indietro. (Applausi – Commenti).

SCHIRATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIRATTI. Non entro nel merito della validità o meno della votazione. Desidero soltanto dire una parola all’onorevole Lussu il quale, se non sono male informato, perché in quel momento ero fuori dell’Aula, avrebbe detto che il mio contegno non è stato completamente corretto.

PREZIOSI. Verso il Presidente. (Commenti animati al centro).

PRESIDENTE. Mi pareva che l’onorevole Togliatti avesse ridato a questa conclusione di seduta un tono di dignità e di cortesia che sarebbe opportuno fosse conservato sino alla fine.

Prosegua, onorevole Schiratti.

SCHIRATTI. Desidero protestare contro questo apprezzamento e non mi riconduco ai fatti. Esercitavo una mia funzione, perché il controllo delle votazioni spetta ai segretari, e al Presidente spetta soltanto dichiarare quanto dai segretari viene accertato. Perciò ho ritenuto e ritengo di avere compiuto nient’altro che il mio dovere.

Se di diversa opinione dovesse essere l’Assemblea, pongo a disposizione dell’Assemblea stessa il mio mandato di segretario. (Applausi al centro – Commenti a sinistra,).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Dichiaro che, per quella deferenza e per quel rispetto che tutti qui dentro abbiamo nei confronti del nostro Presidente, qualunque decisione parta dal nostro Presidente io la accetto, senza discutere.

Devo aggiungere questo: io ho detto che l’intervento del collega segretario era stato in un certo senso non corretto. Lo confermo e preciso: non è stato cronologicamente corretto. Infatti, egli ha presentato le sue rimostranze dopo che il nostro onorevole Presidente aveva dichiarato l’esito della votazione.

SCHIRATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIRATTI. Per la verità – ed il Presidente mi perdoni – io ho sempre pensato che, allorché i Segretari stanno facendo la numerazione, debbano essere precisi e scrupolosi. Può essere stata – ed io non faccio nessuna imputazione all’onorevole Presidente – una sua momentanea dimenticanza di seguire le norme che ha sempre seguito, per la verità, di chiedere cioè a tutti i Segretari se essi avevano compiuto la loro numerazione. Infatti, questa volta il Presidente non mi ha rivolto la richiesta: ha proclamato l’esito senza chiedere a tutti i Segretari presenti sul banco della Presidenza se avessero ultimato la numerazione. Mentre stava proclamando il risultato della votazione, io ho detto: non ho finito di numerare.

Quindi, se una deficienza vi fu – e non è certo una deficienza dolosa o colposa – essa è stata per una dimenticanza, scusabile, da parte dell’onorevole Presidente.

PRESIDENTE. Sta bene.

Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.5.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 8 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCL.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 8 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Mortati

Lussu

Laconi

Moro

Nobile

Bordon

Corbino

Lucifero

Fabbri

Bozzi

Costantini

Rubilli

Dominedò

Nobili Tito Oro

Lami Starnuti

Targetti

Reale Vito

Gronchi

Codacci Pisanelli

Dossetti

Togliatti

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Perassi

Badini Confalonieri

Alberti

Nitti

Clerici

Nenni

Priolo

Uberti

Condorelli

Rodi

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Leone Giovanni

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Caporali.

(È concesso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ricordo che stamane abbiamo approvato il primo comma dell’emendamento sostitutivo dell’articolo 55, proposto dall’onorevole Mortati.

Il secondo comma dell’articolo 55 nel testo della Commissione pone, anzitutto, il problema dell’assegnazione di un numero fisso di senatori ad ogni Regione.

In secondo luogo, stabilisce il quoziente per l’elezione dei senatori, senza indicare se questo quoziente debba intervenire o meno nella determinazione del modo di elezione del numero fisso di senatori di cui al primo comma.

Il problema è ripreso anche nell’emendamento dell’onorevole Mortati, il quale però trasforma il numero fisso in un minimo di senatori per ogni Regione.

Sono due diversi modi di presentazione di un problema.

A proposito del numero fisso dei senatori, quasi tutti gli emendamenti proposti, oltre a quello dell’onorevole Mortati sono contrari. Così gli emendamenti presentati dagli onorevoli Lami Starnuti, Preti, Targetti, Laconi, Caronia. Invece, l’emendamento dell’onorevole Nitti propone per l’appunto che ogni Regione abbia un numero fisso di senatori, oltre a quelli che devono esserle riconosciuti a seconda del quoziente.

Vi sono, dunque, tre possibilità: assegnare alla Regione null’altro che il numero di senatori discendente dal rapporto tra il quoziente e gli abitanti; oppure un numero di senatori minimo, assicurato indipendentemente dal rapporto tra quoziente e numero degli abitanti; e infine, vi è la terza possibilità, di assegnare ad ogni Regione un numero fisso di senatori, un numero base, al quale si aggiungerà quell’altro numero variabile che discende dal solito rapporto tra il quoziente e il numero degli abitanti. Tre possibilità, dunque, due delle quali si diversificano dalle proposte contenute nell’articolo della Commissione; per l’appunto quella che trasforma il numero fisso in numero minimo e quella che esclude sia il numero fisso che il numero minimo.

Quali di queste due proposte si allontani di più di testo della Commissione è un po’ difficile determinare. Comunque, le porremo alla prova della votazione, poiché essendo gli emendamenti già stati svolti, in questo momento non si tratta d’altro che di decidere. Anche nelle discussioni che si sono svolte ieri e questa mattina è del resto stata trattata questa questione, per cui credo che essa possa considerarsi matura conclusione.

Se, tuttavia, qualche onorevole collega desiderasse ancora prendere la parola su questo argomento, noi lo ascolteremo. Ciò però che più importa mi pare sia il tener presenti le conseguenze delle votazioni che ci apprestiamo a fare. E certamente la principale sarà che, ammettendo sia un numero minimo che un numero fisso base a cui vengano poi ad aggiungersi gli eletti nel numero stabilito dal rapporto tra il quoziente e la popolazione, i senatori verrebbero a rappresentare masse diverse di popolazione dall’una e all’altra Regione.

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere la seconda parte del suo emendamento presentato stamane:

«Il numero dei senatori è determinato in ragione di uno ogni 250 mila abitanti, attribuendosi però a ciascuna Regione un numero minimo di sei senatori».

MORTATI. Il mio emendamento riguarda due punti; il primo è quello della percentuale di senatori a seconda della popolazione, la quale percentuale propongo sia elevata da 200 a 250 mila abitanti e ciò per fare del Senato un organo che meglio si differenzi dalla Camera dei deputati. Se di questa, con l’aumento del numero dei membri, rispetto a quanto era stato proposto dal progetto, si è voluto fare una espressione analitica della volontà popolare, appare opportuno che invece il Senato adempia alla funzione di una rappresentanza più sintetica di grandi nuclei regionali.

La proposta, quindi, relativa all’elevazione del numero dei senatori si basa su questa prima considerazione. Ma se ne può aggiungere una seconda, quella cioè desumibile dall’esigenza di fare del Senato un corpo che sia il più possibile selezionato qualitativamente, soprattutto ai fini di una migliorie elaborazione delle leggi; al che può giovare il non elevarne eccessivamente il numero, così come gioverà il limitare la scelta degli eleggibili in determinate categorie, secondo una proposta che dovrà essere discussa in seguito.

Si può trovare conforto nella tesi sostenuta nell’esempio offerto dalle Costituzioni di non poche fra le maggiori altre Nazioni, le quali appunto presentano una tendenza alla riduzione del numero dei membri del Senato, della seconda Camera rispetto a quello dei membri della Camera dei deputati. Si può in proposito ricordare che il Senato degli Stati Uniti è composto di appena 96 membri su 130 milioni di abitanti; la seconda Camera russa conta 570 membri su ben 170 milioni di abitanti; la Camera alta del Brasile, risulta composta di appena 42 membri su 44 milioni di abitanti; così ancora l’Australia, la quale non ha anch’essa che 30 senatori su 12 milioni di abitanti. Ma v’è poi l’altro punto, quello cioè che si riferisce alla sostituzione del limite minimo al posto del numero fisso.

I due sistemi pur differendo fra loro, hanno una radice comune, nella comune finalità di rafforzare il peso politico delle piccole Regioni di fronte alle grandi.

Sono state fatte delle obiezioni al riguardo. Si è detto che questo premio dato alle piccole Regioni potrebbe essere un incitamento alla moltiplicazione delle stesse, e quindi potrebbe portare al sorgere artificioso di movimenti regionali, diretti alla costituzione di nuove piccole Regioni, allo scopo appunto di aumentare il peso della loro rappresentanza politica al Senato. Si può, però, osservare che la formazione delle nuove Regioni secondo il progetto in esame non è sottoposta all’arbitrio delle popolazioni interessate, ma alla legge costituzionale; e quindi vi è la garanzia, data dall’intervento di tutte le forze politiche dello Stato, che possono neutralizzare le tendenze particolari delle Regioni che aspirino ad un ampliamento artificioso del numero dei rappresentanti al Senato.

Quindi, non mi pare che vi siano obiezioni serie, dal punto di vista pratico, all’accoglimento del principio di attenuare il criterio della determinazione del numero dei senatori in modo rigidamente proporzionale alla popolazione.

D’altra parte, faccio osservare che le proposte di modificare questa proporzione sono contenute in limiti così modesti, che portano a spostamenti minimi. Per esempio, della mia proposta di dare un numero mimmo di sei senatori per ogni Regione – tenuto conto delle Regioni storiche e del Friuli (la cui costituzione come Regione autonoma è stata decisa) – verrebbero, in sostanza, a beneficiare cinque Regioni e la composizione totale del Senato verrebbe aumentata solo di poche unità. Il che non mi pare determini un turbamento notevole nella composizione politica del Senato, mentre, d’altra parte, rappresenta un riconoscimento di quella che può essere l’esigenza delle piccole Regioni, e specialmente delle piccole Regioni del Sud, ad avere un potenziamento, sia pure modesto e più simbolico che sostanziale, della loro influenza politica in questo Senato che, per quanto ridotto nel suo aspetto regionalistico, pur tuttavia conserva un legame con la struttura regionale, e quindi è il rappresentante di questo nuovo ente che abbiamo costituito.

A me pare, perciò, che sia l’una che l’altra proposta meritino di essere accolte.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo alla votazione. Mi pare, che, essendo la questione ripresa da numerosi emendamenti, sia pure in vari contesti, la miglior cosa sia di votare la questione in sé, e cioè: deve darsi un numero minimo di senatori per ogni Regione? A risposta affermativa, voteremo poi se debbano essere i sei proposti dall’onorevole Mortati e dagli altri colleghi, oppure in altro numero.

Non passando invece la proposta di principio, voteremo se si debba dare un numero di senatori fisso di base, al quale si aggiungano poi i senatori eletti in rapporto al quoziente della popolazione. Questa mi pare debba essere la successione dei voti. Importante per ora non è la formulazione letteraria, ma il quesito in sé.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Noi stessi, che abbiamo lungamente discusso questo problema nella seconda Sottocommissione, abbiamo una certa perplessità e penso che, a maggior ragione, i colleghi che devono adesso affrontare la votazione abbiano bisogno di essere maggiormente illuminati.

Qual è lo scopo di questa proposta per cui si è fissato un numero minimo di senatori per ogni Regione? Evidentemente per avvantaggiare alcune Regioni. Quali Regioni?

PRESIDENTE. L’ha detto d’onorevole Mortati proprio adesso.

LUSSU. Ma quali sono? Sono parecchie? Sono quattro?

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, le precisi lei che ha esposto il concetto.

MORTATI. Venezia Tridentina, Friuli, Lucania, Umbria e Sardegna.

Poiché ho la parola, vorrei pregare di tener presente che nel mio emendamento è stato omesso, per un errore materiale, di tener conto delle frazioni, ma è implicito che le frazioni di 125 mila abitanti dovevano essere incluse.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi parrebbe logico che noi alterassimo un po’ l’ordine di votazione che la Presidenza ha proposto in questo momento, e cioè che votassimo prima il quoziente e poi eventualmente il numero fisso, in modo che l’Assemblea si possa render conto del beneficio che dà a determinate Regioni.

PRESIDENTE. Io sono tenuto a seguire l’ordine della materia come risulta dal testo della Commissione. Qualche collega può comunque parlare ed esporci in forma di esemplificazione quali sarebbero le conseguenze del voto, a seconda che l’Assemblea accetti l’uno o l’altro dei quozienti proposti. I quozienti sono quelli di 200 mila da parte della Commissione, di 120 mila da parte dell’onorevole Lami Starnuti, di 150 mila da parte dell’onorevole Targetti, di 250 mila da parte dell’onorevole Mortati.

LACONI. Permetta, signor Presidente, mi sembra logico che l’Assemblea debba far dipendere la sua votazione sul numero fisso da quella sul quoziente e non viceversa, e cioè che possano variare le opinioni sul numero minimo fisso in relazione alla decisione che sarà presa per il quoziente.

PRESIDENTE. Io non contesto questa sua tesi, ma ho detto che lei potrà renderla evidente esponendo quali sarebbero i risultati a seconda dei quozienti che si accettano. D’altra parte, ieri, attraverso gli interventi di vari colleghi, abbiamo appreso che questa affermazione del numero minimo o del numero fisso ha uno scopo che valica – direi – il dato quantitativo dei senatori che verrebbero eletti, ma mira ad affermare, attraverso un certo accorgimento, il carattere regionale del Senato. Comunque, ho dinanzi a me il testo della Commissione, che dice:

«A ciascuna Regione è attribuito, oltre ad un numero fisso di cinque senatori, un senatore per 200 mila abitanti o per frazione superiore a centomila».

Esso quindi propone prima questo problema.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il numero fisso previsto nel progetto era un’altra cosa. La Commissione non faceva cenno di un numero minimo fisso, ma parlava di un numero fisso aggiuntivo. Comprendo le difficoltà procedurali dinanzi alle quali si trova il Presidente in questo momento, ma penso che, se i diversi Gruppi dell’Assemblea non hanno difficoltà, si può procedere a stabilire il quoziente.

PRESIDENTE. I colleghi hanno udito la proposta dell’onorevole Laconi. Se non si presentano argomentazioni contrarie, posso aderirvi. Perché tutti abbiamo in mente già quello che intendiamo fare e qual è il modo in cui desideriamo sia risolto il problema, non muteremo il nostro atteggiamento solo perché muta l’ordine della votazione.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Noi non abbiamo obiezioni da fare, quindi accettiamo la proposta dell’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. Sta bene. E allora per prima cosa votiamo sul quoziente che deve regolare il rapporto fra la popolazione e il numero dei senatori eletti.

Vi è la proposta della Commissione, che il quoziente sia stabilito in 200 mila abitanti. E poi vi sono le proposte: dell’onorevole Lami Starnuti per un quoziente di 120 mila; dell’onorevole Targetti per un quoziente di 150 mila e dell’onorevole Mortati per un quoziente di 250 mila.

Quella che si allontana di più dal testo della Commissione è la proposta dell’onorevole Lami Starnuti per un quoziente di 120 mila. La pongo in votazione per prima.

(Non è approvala).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Targetti per il quoziente di 150 mila abitanti.

(Dopo prova e controprova, la proposta non è approvata).

Ora dovrei porre in votazione la proposta dell’onorevole Mortati.

MORTATI. Ritiro la proposta di 250.000 ed accetto quella della Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione che il quoziente sia fissato nella cifra di 200.000 abitanti o per frazione superiore a centomila.

(È approvata).

Onorevole Laconi, abbiamo risolto la questione pregiudiziale. Si tratta adesso di passare alla seconda questione, quella del numero fisso o del numero minimo. La Commissione propone il numero fisso, l’emendamento dell’onorevole Mortati propone il numero minimo. Voteremo quindi sull’emendamento dell’onorevole Mortati. La proposta dell’onorevole Mortati è di attribuire a ciascuna Regione un numero minimo di sei senatori.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io vorrei conoscere quali siano i motivi che inducono a favorire le piccole Regioni, perché realmente io non mi spiego perché si voglia fare questo trattamento particolare e favorire così il frazionamento del nostro Paese.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Questa mattina io ho fatto un’aggiunta all’emendamento dell’onorevole Mortati e desidero quindi che esso sia riportato nella sua completezza.

PRESIDENTE. Onorevole Bordon, non c’è un deputato nell’Assemblea, per quanto appassionato per le Regioni, che intenda dare sei senatori alla Val d’Aosta.

BORDON. Non sappiamo cosa farcene.

PRESIDENTE. Non c’è infatti nessun emendamento in tal senso al testo della Commissione che propone un senatore. È sufficiente.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei domandare al collega Mortati se egli si è basato, nel determinare il numero minimo, sul quoziente di 250.000 e quali variazioni porta all’elenco delle Regioni, che ha già comunicato, l’avere abbassato il quoziente a 200.000.

MORTATI. Nessuna.

PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha proposto di modificare l’emendamento principale dell’onorevole Mortati, nel senso di attribuire ad ogni Regione un numero minimo di quattro senatori. Pongo in votazione la proposta.

(Non è approvata).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Mortati, che ad ogni Regione si attribuisca un numero minimo di sei senatori.

(È approvata).

È stato dunque stabilito fino ad ora che il quoziente per l’elezione dei senatori sia di 200 mila e che ogni Regione abbia assicurato un minimo di sei senatori. Resta adesso a decidere ancora, sempre in tema di articolo 55, che la Val d’Aosta abbia un solo Senatore.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. È bene che sia chiarito, visto che abbiamo votato il testo dell’articolo, che l’onorevole Mortati ha fatto presente che aveva dimenticato di mettere la frazione di 200 mila, altrimenti si potrebbero domani sollevare obiezioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha detto di accettare la proposta della Commissione in cui si dice: «un senatore per duecento mila abitanti o per frazione superiore a centomila». Pongo ora in votazione la seguente proposizione:

«La Valle d’Aosta ha un solo senatore».

(È approvata).

Passiamo ora all’ultimo periodo del secondo comma del testo della Commissione:

«Nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda all’altra Camera».

Vi è un emendamento di carattere formale, presentato dall’onorevole Colitto, il quale propone di togliere l’ultimo inciso «che manda all’altra Camera».

Gli onorevoli Mortati, Fuschini, Ferrarese, De Palma, Sullo, Dominedò, Carignani, Bubbio, Balduzzi, Salizzoni, Viale, propongono la soppressione di questo periodo.

Ma questo emendamento opera, in quanto, posta in votazione la formulazione, questa venga respinta.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che noi voteremo contro questa parte dell’articolo essendo favorevoli alla soppressione proposta dall’onorevole Mortati.

LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Ritengo che, nella nuova composizione del Senato, questo articolo non abbia ragion d’essere, perché abbiamo creato un sistema autolimitato. Quella aggiunta valeva, quando il sistema era organizzato diversamente. Oggi sarebbe in contradizione col sistema. Quindi, io voterò contro.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. A me pare che questo sistema sia irrazionale. Si pongono i deputati, in certe Regioni, quasi in uno stato di inferiorità, come espressione di sovranità popolare, di fronte ai senatori.

Io trovo che il ragionamento logico, conclusivo delle premesse della discussione nostra era questo emendamento presentato dall’onorevole Mortati. Non capisco perché adesso, all’ultimo momento, quell’emendamento sia ritirato, quando tutti eravamo d’accordo.

Pertanto, io prego che sia ripresentato l’emendamento il quale è stato riconosciuto come un’esigenza di rappresentanza politica.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare all’Assemblea quale efficacia può avere oggi, la clausola introdotta dall’onorevole Lussu a suo tempo. Influirebbe soltanto sulla rappresentanza di una regione, il Molise, la cui costituzione è ancora incerta; in quanto verrebbe a limitare la rappresentanza dei senatori soltanto per quelle regioni, che abbiano una popolazione inferiore ai 480.000 abitanti.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Desidero osservare che ormai, stabilito che si avrà un deputato per ogni ottantamila abitanti, e un senatore ogni duecentomila, non sussiste più la possibilità di un numero di senatori superiore a quello dei deputati per ogni Regione.

PRESIDENTE. Mi pare che, a questo proposito, questa norma, se sarà approvata, gioverà a tutte le Regioni, le quali abbiano meno di 600.000 abitanti.

Comunque, l’Assemblea deciderà. Pongo in votazione la formulazione:

«Nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda all’altra Camera», con l’emendamento formale proposto dall’onorevole Colitto, cioè di sopprimere l’inciso «che manda all’altra Camera».

(Non è approvata).

Dobbiamo ora passare all’ultimo comma dell’articolo 55:

«I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».

L’Assemblea ha votato un ordine del giorno del quale occorre riprendere le affermazioni in relazione al contenuto appunto di questo articolo. Noi abbiamo già votato un articolo, il 53, nel quale vengono indicati gli elementi principali del modo di elezione dei deputati. È evidente che occorre qualcosa di analogo per il Senato. Tuttavia, poiché è stato già approvato in proposito un ordine del giorno, ritengo che non sia più necessario ripetere la votazione: l’ordine del giorno impegna l’Assemblea. Basterà dare incarico al Comitato di redazione di mutare il terzo comma dell’articolo 55, sostituendo alle affermazioni od alle proposte in esso contenute, le proposte che l’Assemblea ha già accettato votando l’ordine del giorno a tutti noto. Resta così inteso.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Desidero ricordare che, a proposito della Camera dei deputati, si è ritenuto, di comune accordo, che l’affermazione circa il modo di composizione non fosse materia costituzionale e si è appunto a questo scopo trasformato l’emendamento Giolitti, circa la composizione proporzionale della Camera stessa, in ordine del giorno, ritenendosi che l’affermazione concreta del principio ed i modi specifici dei suo svolgimento dovessero trovare il loro luogo più proprio nella legge elettorale. A me pare che lo stesso orientamento debba farsi valere per il Senato e che per tanto la sua composizione, per quanto riguarda il metodo di elezione, non debba essere oggetto di statuizione costituzionale, bensì di regolamentazione per opera della legge elettorale. L’affermazione pertanto contenuta nell’ordine del giorno approvato può valere come indicazione del proposito dell’Assemblea, che sarà tenuto presente in sede di elaborazione della legge elettorale da parte dell’Assemblea stessa. Così decidendo, l’ultimo comma dell’articolo 55 potrebbe essere soppresso, o, al massimo, sempre per analogia con il criterio adottato nell’articolo 53, dedicato alla Camera dei deputati, potrebbe limitarsi a disporre che l’elezione del Senato debba avvenire con suffragio universale e diretto.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. A me pare che le osservazioni fatte dall’onorevole Mortati vadano un po’ in là nella loro portata, anche perché, mentre l’ordine del giorno dell’onorevole Giolitti fu votato a conclusione di una discussione, l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti è stato invece votato come pregiudiziale ad una discussione. Ad ogni modo, nell’ultimo capoverso dell’articolo 55 vi sono due parti: una cade automaticamente ed è quella relativa alla parte eletta dai membri del Consiglio regionale, perché l’ordine del giorno approvato lo esclude; resta però la questione degli elettori, cioè della loro età. Io penso che è su questo punto che noi dobbiamo deliberare. L’altra è caduta automaticamente. Non possiamo accettare il concetto dell’onorevole Mortati, che l’ordine del giorno che abbiamo votato come pregiudiziale a tutta la nostra discussione sia come una specie di raccomandazione. È invece una chiara deliberazione delle nostre intenzioni in campo costituzionale, cioè del modo con il quale vogliamo differenziare le due Camere. Una delle ragioni per cui abbiamo votato un sistema contrario all’altro è proprio questo, che noi vogliamo stabilire il criterio con il quale intendiamo differenziare una Camera rispetto all’altra.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Vorrei osservare, intorno al dissidio manifestatosi tra le posizioni dell’onorevole Mortati e dell’onorevole Lucifero, che veramente è questo un punto da considerare con attenzione. Non ini sembra che le ragioni addotte dall’onorevole Lucifero provino la necessità che la norma, la quale stabilisce che il Senato debba essere eletto col sistema uninominale, faccia parte integrante della Costituzione.

Se si ritiene che sia il sistema elettorale che serva a differenziare una Camera dall’altra, è evidente che non si può fare un diverso trattamento tra Senato e Camera dei deputati. Bisogna cioè che per l’una e per l’altra Camera sia indicato nella Costituzione quell’elemento differenziale che serva per distinguere l’una Camera dall’altra. Se invece si segue un diverso avviso e si ritiene che attraverso l’indicazione generica dell’ordine del giorno le due Camere siano sufficientemente differenziate, ancora una volta non si può fare un trattamento diverso e l’ordine del giorno che è stato votato ieri da questa Assemblea non può restare, come l’ordine del giorno Giolitti, se non come un’indicazione generica.

Non vale che sia stato votato quest’ordine del giorno prima o dopo la discussione, perché la sostanza delle cose è identica nell’un caso e nell’altro.

Ma mi sembra che vi sia una questione pregiudiziale, di fronte alla quale questo dibattito può essere accantonato, ed è il problema nato dalle affermazioni dell’onorevole Presidente che io, in verità, non mi sento di condividere. L’ordine del giorno che è stato votato ieri dall’Assemblea, è un’indicazione di carattere generale, non è una norma di legge. Esso deve essere completato attraverso una precisa votazione, alla stessa stregua di tutte le altre disposizioni che nella giornata di oggi noi abbiamo votato, allo scopo di determinare altri caratteri propri del Senato. Quindi, a me sembra indispensabile che si proceda ad una nuova votazione. (Commenti a sinistra).

Né può chiedere a noi di mutare opinione e di votare a favore.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, mi sembra che noi stiamo per riprendere quella discussione che ieri sera sembrava conclusa, specialmente dopo le affermazioni dell’onorevole Mortati, che oggi sono state sostanzialmente contraddette dal collega onorevole Moro.

In sostanza, la votazione dell’ordine del giorno Nitti e la votazione dell’ordine deb giorno Perassi, ognuna per il significato che ha, hanno escluso che abbia più valore l’ultimo comma dell’articolo 55. II che significa che indubbiamente l’ultimo comma dell’articolo 55 è stato respinto dall’Assemblea.

PERASSI. Non è esatto.

BOZZI. C’è un’altra questione: il valore da attribuire agli ordini del giorno votati dall’Assemblea Costituente.

È una questione, onorevoli colleghi, sulla quale io richiamo tutta la vostra attenzione. Non è soltanto l’ordine del giorno che riguarda il senato o la Camera dei deputati, ma possono essere tutti gli altri ordini del giorno che l’Assemblea Costituente voterà.

Io mi domando: quale valore giuridico essi hanno nella gerarchia dei valori da attribuire alle norme, tanto per esprimermi con un’espressione tecnica? Io penso che l’ordine del giorno, anche se non si trasforma in una norma che si inserisca nel testo costituzionale, ha valore costituzionale, cioè l’Assemblea per ragioni di opportunità, più o meno apprezzabili, ritiene che un principio non debba essere inserito come articolo, come norma del testo costituzionale, ma lo consacra tuttavia e questo principio ha valore costituzionale, nel senso che esso non solo vincolerà l’Assemblea stessa quando, nella specie, essa dovrà fare la legge elettorale tanto per la Camera, quanto per il Senato, ma vincola anche la futura Camera legislativa ordinaria, qualora il compito di fare queste leggi dovesse essere per avventura ad essa affidato. In altri termini non sarà mai possibile che una Camera legislativa futura ordinaria possa violare con una normale maggioranza un ordine del giorno votato dall’Assemblea Costituente.

Io penso che questo abbia un valore costituzionale e per cambiarlo bisognerà addivenire ad una votazione con quelle particolari forme con cui si procederà alla revisione costituzionale.

Questo, onorevoli colleghi, è un problema di importanza fondamentale, altrimenti votiamo degli ordini del giorno che non hanno nessun valore.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Sono perfettamente dell’opinione del collega che mi ha preceduto, onorevole Bozzi. Io mi devo chiedere se le deliberazioni dell’Assemblea, che sono intervenute a seguito di votazione, abbiano o non abbiano valore vincolante. L’Assemblea è sovrana e come tale pronunzia le sue decisioni. Si è detto all’inizio che non era materia da inserirsi nella Costituzione il sistema di votazione della Camera dei deputati e quindi successivamente di quella dei senatori. Ed allora si è trovato che con un ordine del giorno sarebbe stato opportuno indicare, per le Assemblee legislative, quale sarebbe stato il metodo di elezione dei deputati, e l’Assemblea ha votato l’ordine del giorno del collega Giolitti, se non erro. Adesso, superata la questione della nomina indiretta dei senatori attraverso il rigetto dell’ordine del giorno Perassi e l’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, si ripresenta il problema per l’elezione della seconda Camera. Allora, viene fatto di chiederci se le deliberazioni che abbiamo preso a mezzo di ordini del giorno, abbiano valore indicativo o di norme veramente costituzionali, da considerare inserite, cioè, nella Costituzione, per le Assemblee future. Perché da questo dipende tutto lo svolgersi della procedura attraverso la quale il Paese nominerà i suoi rappresentanti. Ed allora se l’ordine del giorno ha un valore semplicemente platonico, era inutile intrattenere l’Assemblea con discussioni e votazioni.

Io penso che l’ordine del giorno, pur essendo fuori, per una ragione formale più che sostanziale, dal testo della Costituzione, deve ritenersi vincolante per le Assemblee legislative future. Se invece si volesse, con un gioco di formalismo, annullare la sostanza delle nostre deliberazioni, allora è doveroso assumere la responsabilità di inserire specificatamente nel testo costituzionale che la Camera dei Deputati deve essere nominata col sistema proporzionale, e che il Senato dovrà essere nominato col sistema del collegio uninominale. È un dovere di lealtà di fronte agli altri ed a noi stessi, perché, diciamolo pure francamente, è difficile che qualcuno, qui dentro, possa nascondere la verità ad un altro. Quindi esprimiamo il nostro pensiero, avendo il coraggio della franchezza affermandolo apertamente, senza ritenere che qualcuno cada in quei tranelli che sono fatti in altri ambienti. Questo almeno io mi auguro. (Applausi).

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Chiedo che la proposta inoltrata dal collega non sia posta in votazione, perché assolutamente contraria ad ogni norma regolamentare.

Una voce. Quale?

RUBILLI. La proposta fatta che l’Assemblea deliberi che l’ordine del giorno votato ieri valga come una semplice raccomandazione.

Io chiedo che se si domanda su questo una votazione non sia in alcun modo consentita. Noi siamo in Assemblea Costituente ed io faccio appello alle guarentigie costituzionali.

Quello che si è votato e deliberato non si può distruggere ad un tratto con un colpo di maggioranza. (Applausi a sinistra). Se ammettiamo questo criterio che annulla completamente la democrazia, e sarei per dire che offende persino la civiltà, la libertà, la giustizia (Commenti al centro), se ammettiamo che con un colpo di maggioranza si può fare qualunque cosa, anche l’assurdo, l’illogico, l’inverosimile, si legalizza la più esosa e ripugnante sopraffazione.

Ora, dobbiamo credere che il collega Moro abbia equivocato nel tempo, perché ha confuso l’Assemblea Costituente con la Consulta Nazionale e crede di essere ancora in tempo di Consulta. Noi invece non siamo qui riuniti in Assemblea per formulare dei voti, per dare delle indicazioni, dei pareri che possono essere, o meno, accolti. Noi siamo qui per fare la legge e quello che abbiamo deliberato, dopo la deliberazione, è legge. Non c’è dubbio su questo, dal punto di vista costituzionale e giuridico.

Ora, che cosa avverrebbe? Che mentre noi abbiamo deliberato e votato ed abbiamo fatta la legge per la parte che è stata decisa, domani viene una Commissione, vengono altri e diranno: «Vi ringraziamo delle vostre indicazioni; siete stati troppo buoni; vi siamo obbligati, ma non rispettiamo nulla di quello che avete detto o fatto»; così il collegio uninominale sfuma, e la deliberazione di ieri è completamente distrutta.

Questa allora non sarebbe più Costituente! Non si può ragionare in questo modo.

Io dico che il Presidente deve garantire i nostri diritti: faccio appello a lui perché dica quello che si può fare e quello che non si può fare. (Applausi a sinistra).

Diversamente si dovrebbe persino ammettere che si potesse tornar indietro a votare gli articoli precedenti, l’articolo 7 e tutti gli altri, compresa la riforma regionale.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Mi consenta l’Assemblea di soggiungere una precisazione, inclusa del resto, a mio avviso, anche nelle osservazioni precedentemente fatte. E ciò allo scopo di diradare questa singolare atmosfera, per cui si può essere determinata l’impressione, non fondata, di una evasione alle risultanze di una deliberazione dell’Assemblea stessa, (Interruzione del deputato Togliatti). Mi consenta, onorevole Togliatti. Ella conosce la mia correttezza ed il mio senso di rispetto della legge e, a maggior ragione, della Costituzione: ho il diritto di chiederle che mi ascolti con obiettività e serenità.

Ora, la votazione che ha fatto l’Assemblea ieri, si riferisce ad un ordine del giorno. L’ordine del giorno non ha contenuto normativo, in senso stretto; non è norma, né proposta di norma. Laddove avessimo voluto articolare una norma o una proposta di norma, evidentemente avremmo dovuto proporre, in luogo dell’ordine del giorno, un emendamento. E se io mi permetto di insistere su questa differenza formale, è appunto per il rispetto intrinseco dell’ordine costituzionale, esigenza che mi ispira al pari dell’onorevole Rubilli.

Orbene, se è stato votato un ordine del giorno, la conseguenza logica è che, al pari di ogni altro ordine del giorno (e mi permetto di ripetere l’analogia con la votazione presa per la Camera, la quale fa stretto pendant con l’attuale), al pari di ogni altro ordine del giorno, dicevo, noi abbiamo determinato quelle conseguenze di orientamento, per cui l’ordine del giorno ispirerà il futuro legislatore, o vincolerà il costituente, in sede di legge elettorale; ma ancora non può dirsi che sia nata la norma. E allora il quesito che resta aperto, lo spiraglio che tuttora dobbiamo colmare, è questo: vogliamo noi oggi tradurre questo ordine del giorno in articolo normativo? In questo caso, delibereremo in tal senso. Oppure: vogliamo mantenerlo sul terreno dell’ordine del giorno orientativo? E allora delibereremo in questo secondo senso.

Ecco, onorevoli colleghi, il dilemma ancora aperto, sul quale non si può pronunciare che la volontà sovrana dell’Assemblea. (Applausi al centro).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Poche parole soltanto, onorevoli colleghi, per dissipare un equivoco che è sorto intorno al mio pensiero. Su questo punto, che cioè un ordine del giorno non possa costituire una norma di legge, una norma costituzionale, non mi pare ci possa esser dubbio, e mi meraviglio che l’onorevole Rubilli possa averne avanzato e anzi – quel che è peggio – possa avere addirittura parlato di violazione delle garanzie costituzionali.

Si potrà quindi, ritenere che, per quanto riguarda la determinazione del sistema elettorale, si tenga per il Senato lo stesso atteggiamento che si è tenuto a proposito della Camera dei Deputati. Al sistema elettorale si farà allora richiamo soltanto in un ordine del giorno, il quale non dovrà essere di necessità tradotto in una norma di legge.

Ma v’è, invece, un’altra parte dell’ordine del giorno che deve essere, di necessità, tradotta in una norma di legge. Essa è costituita da quello schema di formazione del Senato che si trovava nel progetto di Costituzione e che deve essere ripetuto ora.

A me sembra quindi, che da parte dell’Assemblea si debba scegliere soltanto in questo senso: o si vota semplicemente questa cornice, questo schema formale, rinunziando a inserire in questa sede il sistema elettorale adottato per il Senato, e allora le cose andranno bene in questo modo; o si intende invece di consacrare nella Costituzione il sistema elettorale del Senato e allora si solleva necessariamente la questione dell’inserimento del sistema elettorale della Camera nell’ambito della stessa Costituzione.

Non v’è quindi alcun dubbio che ad una votazione si debba pervenire, circa le conseguenze che sorgono nei riguardi del sistema elettorale deliberato per la Camera dei deputati.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. A mio nome, a titolo cioè puramente personale, debbo dire che mi pare doveroso esprimere su questa questione il mio pensiero. Quando l’Assemblea ha votato l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, io ho inghiottito un rospo: però, in coscienza, sento che non c’è niente da fare. Ora, è chiaro che, se noi giudichiamo con criteri rigorosamente giuridici, dobbiamo concludere che questo non è un articolo costituzionale e, quindi, non è nemmeno una vera affermazione a carattere normativo; tuttavia serve a dirigere i nostri lavori. In coscienza sento che mi farebbe piacere se si potesse, in modo serio e coerente, buttare per aria il collegio uninominale, ma riconosco che l’ordine del giorno Nitti ci obbliga ad inserire il collegio uninominale nell’articolo 55.

Avendo noi votato che ogni duecentomila elettori eleggeranno un senatore, ciò significa che vi saranno tante circoscrizioni elettorali senatoriali quanto volte i duecentomila abitanti sono inseribili in una Regione.

Questo a me pare che si debba lealmente riconoscere.

Quindi, è una questione di dizione, di redazione; è una raccomandazione al Comitato di redazione, perché trovi il modo migliore di inserire nell’articolo 55 il collegio uninominale. Ma è chiaro che noi, una volta approvato l’ordine del giorno Nitti, non possiamo più discutere del collegio uninominale. (Applausi a sinistra).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, qui si riprende un nostro colloquio: lei mi ha rimproverato due volte perché io insistevo che si votasse su norme di legge, e non su quesiti o su formule di indirizzo. Ed io ho insistito sempre su questa mia idea ed ho insistito ieri, motivandola molto chiaramente, perché mi sembrava non ci si attenesse alle regole del gioco.

Ora, è bene che si dica una parola chiara.

La parola chiara l’ha detta l’onorevole Lussu: noi siamo vincolati in sede costituzionale a quanto abbiamo deliberato. (Approvazioni a sinistra). E l’onorevole Moro deve riconoscere che egli può votare a favore o contro una o un’altra formulazione che codifichi le deliberazioni già prese, ma non può, con un voto contro qualche formulazione che codifichi quelle deliberazioni, mandare per aria le deliberazioni stesse.

MORO. Certo!

LUCIFERO. Io sono lieto di questo «certo», perché l’onorevole Moro nel suo primo intervento – me lo sono appuntato – ha fatto una dichiarazione di voto preventiva ed ha concluso: «Noi voteremo contro, come abbiamo votato contro ieri».

Una voce al centro. Era un’ipotesi.

LUCIFERO. Il che dava almeno la sensazione di scoprire un recondito pensiero. (Commenti al centro).

Ora, l’onorevole Moro mi dice che questo recondito pensiero non c’è, ed io ne sono lieto.

Ad ogni modo, mi pare che la discussione sia perfettamente inutile. Qui si tratta di decidere una cosa sola: come trasformare in una norma di legge quanto noi abbiamo già deciso come principio di massima. Quindi si tratta unicamente di una questione di forma. Sulla formula si potrà discutere – perché fui io stesso a dichiarare che in una formula giuridica una parola messa in un modo o in un altro, può avere un significato diverso – ma sulla questione di principio non vi è più ormai da discutere. Noi sappiamo benissimo quello che la maggioranza ha voluto fare; e noi tutti siamo, come democratici, impegnati dal voto della maggioranza. Abbiamo una sola cosa da fare: collaborare tutti perché la formula sia buona, chiara, esplicita, e vincoli almeno gli altri al rispetto delle regole del giuoco. (Applausi a sinistra).

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Bisogna riconoscere onestamente che questa discussione sta diventando mortificante (Approvazioni a sinistra).

Io ebbi occasione di esprimere ieri il mio pensiero sulle preclusioni che investono ormai le varie parti dell’articolo 55 e quando la seduta si sciolse, l’onorevole Presidente aveva già prese e comunicate le risoluzioni di sua competenza. Come è possibile ritornarvi sopra?

L’Assemblea ha votato l’ordine del giorno Nitti in forma deliberativa e perentoria…

MORO. Che cosa vuol dire?

NOBILI TITO ORO. …non ha espresso una opinione, una raccomandazione, un votò, ma ha affermata solennemente una volontà recisa, ha statuito affermando che «il Senato sarà eletto a suffragio universale e diretto, col sistema del collegio uninominale».

Eccolo il sostitutivo del terzo comma dell’articolo 55 che affida l’elezione di una parte dei senatori ai Consigli regionali! E pertanto l’onorevole Presidente, quando, procedendo al completamento dell’esame dell’articolo, incontrerà questo terzo comma, che ha una portata completamente diversa e contrastante coll’ordine del giorno Nitti votato ieri, non dovrà fare altro che riconoscere e dare atto che il terzo comma è completamente assorbito e sostituito dalla formula chiara e precisa già votata con quell’ordine del giorno; formula che non dobbiamo compilare o ricostruire noi, ma è già nell’ordine del giorno Nitti dal quale può essere qui trasferita di peso: «Il Senato sarà eletto a suffragio universale e diretto, col sistema del collegio uninominale».

Questo dissi, questo giustificai, questo posso ripetere, perché non è stato ragionevolmente confutato da alcuno. Che cosa può prestarsi ancora a discussione del terzo comma? Solo un punto: quello relativo all’età degli elettori del Senato.

L’onorevole Nitti stamane faceva intendere che egli stesso è in dubbio se l’affermazione del suffragio universale non escluda anche questa limitazione del voto in relazione all’età degli elettori. Perché questa restrizione verrebbe a portare una limitazione del corpo elettorale chiamato all’elezione dei senatori: tutti gli elettori dal 21° anno di età al 25° non compiuto sarebbero esclusi. E ciò si risolverebbe in limitazione del suffragio universale, in dissonanza col voto già emesso.

A rigore di logica il ragionamento è esatto; ma io ammetto che possano onestamente manifestarsi in proposito dispareri, da giustificare che questo punto formi ancora oggetto non precluso della discussione. In altri termini, se, di tutto il comma, un campo può restare ancora aperto alla discussione, esso è soltanto quello relativo all’età degli elettori e non altro. L’esame dell’articolo 55, onorevole Presidente, eccezion fatta per questo punto, è dunque completamente esaurito, e nessun voto è più possibile sul sistema delle elezioni senatoriali.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Io ho votato contro l’ordine del giorno Nitti. Ciononostante credo di poter dire anch’io – come ha detto per sé l’amico onorevole Lussu – una parola obiettiva, quantunque le mie conclusioni siano diverse da quelle a cui è giunto l’onorevole Lussu.

Io vorrei richiamare all’attenzione dei colleghi, specialmente dei compagni di questa parte della Camera, i precedenti della nostra discussione e delle nostre decisioni.

Quando cominciammo a discutere l’articolo 55 ed io svolsi il mio emendamento in favore del sistema proporzionale, dichiarai subito che avrei trasformato l’emendamento in ordine del giorno perché, a somiglianza di quanto era stato fatto per la Camera dei Deputati, a somiglianza di quanto era stato proposto dall’onorevole Giolitti con suo ordino del giorno, ritenevo acquisito che nella Costituzione non dovesse trovar luogo…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Benissimo!

LAMI STARNUTI. …il sistema elettorale di formazione delle Assemblee legislative.

Tanto queste mie osservazioni parvero esatte che, dietro di me, gli altri presentatori di emendamenti si affrettarono a trasformare subito i loro emendamenti in ordini del giorno. L’onorevole Nitti, che aveva presentato un emendamento per il collegio uninominale, propose allora il suo ordine del giorno; e la stessa cosa fece l’onorevole Perassi trasformando anch’egli in ordine del giorno il suo emendamento, che non era né per il collegio uninominale, né per la rappresentanza proporzionale, ma per una elezione di secondo grado.

Tutto questo concorso di attività e di idee confermava quello che era stato detto all’inizio della discussione, cioè che l’Assemblea non intendeva porre tra le norme costituzionali il modo di elezione della seconda Camera.

E allora, se questi sono i precedenti, perché si dice, come fanno gli onorevoli Bozzi, Rubilli, Costantini, Nobili, che l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti votato ieri vincola in sede costituzionale l’Assemblea?

RUBILLI. Già è stato dimezzato!

LAMI STARNUTI. Che cosa è stato dimezzato? Il concetto dell’onorevole Nitti è l’affermazione del collegio uninominale. Se noi mettessimo il principio del collegio uninominale nella Carta costituzionale, andremmo incontro a quegli inconvenienti lamentati fin da quando discutemmo la formazione della Camera dei Deputati, cioè, innanzi tutto, l’inconveniente di non poter eventualmente modificare con legge normale un determinato sistema elettorale quando la pratica avesse dimostrato gli inconvenienti o gli errori di quel sistema.

E allora, a mio avviso, l’ordine del giorno ha un valore che non è normativo. Tanto meno ha un valore costituzionale. (interruzioni – Commenti).

Ha un valore politico, un valore impegnativo, ma in sede di legge elettorale, non in sede di formazione delle norme costituzionali.

Nella Costituzione, a mio giudizio, deve essere posto soltanto il principio prevalso nell’Assemblea, che l’elezione del Senato avverrà non in forma indiretta, ma col suffragio universale diretto e segreto.

Vi è una parte degli emendamenti (Interruzioni) e cioè l’emendamento nostro, e quello degli onorevoli Targetti, Amadei ed altri, i quali nella loro prima parte suonano in modo identico dicendo che il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto.

Questa parte delle proposte fatte all’Assemblea può essere trasferita nella Carta costituzionale. Ma, ripeto, sarebbe a mio giudizio un eccesso se andassimo oltre e se ritenessimo senz’altro che l’ordine del giorno Nitti ha il valore di norma costituzionale e come tale debba essere inserito nella nostra Carta, fondamentale. (Applausi al centro).

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Ho domandato la parola per muovere due sole obiezioni agli egregi colleghi Dominedò e Lami Starnuti.

Si è detto dall’onorevole Dominedò che qui siamo in un caso perfettamente analogo a quello nel quale ci trovammo a proposito del sistema elettorale della prima Camera.

Là si ebbe un ordine del giorno dell’onorevole Giolitti, qui abbiamo un ordine del giorno dell’onorevole Nitti.

Mi permetto di richiamare l’attenzione della Camera sul tenore sostanzialmente diverso e, per dir meglio, sulla portata sostanzialmente diversa dei due ordini del giorno. Io non mi imbarcherò – perché farei certamente naufragio – in una discussione di diritto costituzionale, ma mi limiterò a ricordare all’Assemblea che mentre l’ordine del giorno Giolitti, relativo al sistema col quale deve essere eletta la prima Camera, diceva: «L’Assemblea Costituente ritiene che l’elezione dei membri della prima Camera debba avvenire col sistema proporzionale» (è inutile mettere in rilievo il significato della parola «ritiene»), l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, invece, è imperativo: «L’Assemblea Costituente «afferma» che il Senato sarà eletto con suffragio universale diretto e col sistema del collegio uninominale».

L’Assemblea Costituente ha deciso che una cosa avverrà. E qual è la cosa che avverrà? L’elezione del Senato con suffragio universale diretto e con collegio uninominale. Che m’importa (siamo nel campo politico) di fare una discussione sul valore normativo e non normativo dell’ordine del giorno? La maggioranza ha deliberato che il Senato sarà eletto con un determinato sistema elettorale. Io domando, onorevoli colleghi, di fronte a questa affermazione perentoria di volontà da parte dell’Assemblea Costituente, come potrebbe il nostro amatissimo Presidente (e vengo al secondo ed ultimo punto della mia breve osservazione) mettere in votazione il testo del progetto di Costituzione che su questo argomento dice: «I senatori sono eletti per un terzo, ecc.»?

Una voce al centro. Nessuno lo chiede.

TARGETTI. Il Presidente sarebbe nell’impossibilità di porre in votazione qualsiasi proposta che contrastasse col contenuto e la portata del voto dell’Assemblea. Allora, come può il Presidente invitare a votare quando si sa che una votazione non può avere per oggetto che delle proposte che siano intonate all’ordine del giorno approvato dall’Assemblea?

Infine qui si tratta di una modalità di elezione. Ma, badate, ad essere sinceri come tutti noi cerchiamo di essere, qui siamo in una ipotesi nella quale il sistema elettorale ha un’importanza che non si può paragonare a quella che ha per l’elezione della prima Camera.

UBERTI. Perché? È la stessa cosa.

TARGETTI. Il perché l’avrei detto senza la sua sollecitazione, onorevole Uberti. Il perché è questo: che la composizione, la finalità, la funzione della prima Camera è la stessa qualunque sia il sistema col quale viene eletta.

Invece per la seconda Camera, fino dal periodo di elaborazione del progetto, la fatica a cui tutti i costituenti sono stati sottoposti è stata quella di trovare una differenziazione fra le due Camere, ammesso il principio della bicameralità. Trovare il modo di differenziare una Camera dall’altra per evitare che la seconda fosse un duplicato della prima. Ora, il sistema migliore, la via più diritta e più sicura per ottenere questa differenziazione molti di noi l’hanno ravvisata nel sistema di elezione della stessa Camera.

Tutti quelli che, come noi, sono decisamente contrari a quel catalogo di condizioni per l’eleggibilità dei senatori, condizioni che oltre a tutto mettono i componenti della prima Camera in una condizione di inferiorità perché vogliono dire: «Badate, chi appartiene a queste categorie può avere l’onore di far parte del Senato della Repubblica; chi non vi appartiene faccia pur parte della prima Camera»; tutti quelli che sono anche per altre ragioni contrari a subordinare a determinate condizioni, che non siano quelle dell’età, l’eleggibilità dei senatori, trovano in questo diverso modo di elezione la caratteristica differenziale della composizione delle due Camere. Ecco perché, proprio per l’elezione del Senato della Repubblica riteniamo che il sistema elettorale faccia parte integrante della sua costituzione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Ho l’impressione che ci sia in questo momento un’atmosfera di sospetto forse ingiustificata. Penso che possiamo parlare con una certa serenità e che in tutti gli interventi vi siano elementi ragionevoli che devono essere presi in considerazione.

Mi pare anche, che vi sia un punto sul quale tutti dobbiamo essere d’accordo: il fatto che l’Assemblea ha già preso una decisione. Il fatto poi che essa abbia adottato una procedura, invece che un’altra, per deliberare, non comporta una menomazione dell’atto di volontà dell’Assemblea, che è arbitra di decidere che una deliberazione figuri o meno nella Carta costituzionale senza pregiudicare il valore che deriva ai suoi atti dal potere costituente di cui le è rimesso l’esercizio.

Indubbiamente, ammesso questo, sorge la questione: è opportuno o no inserire questa deliberazione nella Costituzione? C’è un precedente, ed è il precedente che richiamava poco fa l’onorevole Lami Starnuti. Per quanto riguardava il sistema proporzionale l’Assemblea non ha creduto inserirlo nella Costituzione. Questo precedente vale anche oggi? Io credo che questo sia discutibile. Oggi il sistema di elezione, come giustamente rilevava l’onorevole Targetti poco fa, è diventato qualche cosa di diverso, e cioè è diventato un criterio di differenziazione fra le due Camere. Quindi la questione che indubbiamente non aveva un rilievo costituzionale nel primo caso, lo ha forse acquistato nel secondo.

Comunque, è una cosa evidente che su questo punto l’Assemblea non ha preso una deliberazione; mentre è evidente che nella sostanza l’Assemblea ha deliberato, è evidente che non ha deliberato sull’inserimento o meno nella Costituzione, inserimento o meno che è soltanto una questione di opportunità. Perché il fatto che l’Assemblea abbia deliberato, attraverso l’una o l’altra forma, non muta il valore dell’atto dell’Assemblea. Quindi, in sostanza, l’inserimento o meno nella Carta costituzionale significa soltanto scegliere l’uno o l’altro sistema per formulare la norma, ma non cambia niente. (Commenti al centro).

Ritengo che, in sostanza, si tratti unicamente di una questione di opportunità. Chi deve valutare questa opportunità? Io credo che sarebbe inutile e forse dannoso, se fossimo noi, in questo momento, a valutare questa opportunità. Noi abbiamo creato un Comitato di coordinamento, col compito di risolvere queste questioni, di valutare queste opportunità. Per quale ragione non ci rimettiamo al Comitato di coordinamento? Esso può meglio valutare la questione nel suo complesso; perché è evidente che, se si ritiene di dover introdurre il collegio uninominale per la seconda Camera, si dovrà indubbiamente reintrodurre anche il criterio della proporzionale per la prima, in modo che la differenziazione abbia rilievo e risulti dalla Carta costituzionale.

Ma noi non possiamo ora, riprendere in esame la questione del sistema proporzionale e discuterne l’inserimento o meno in relazione a questo secondo sistema. Mi pare, pertanto, che, dato che si tratta solo di questione di opportunità, potremmo rimetterla al Comitato.

So che osterà contro questa proposta la convinzione di un certo numero di colleghi, da una parte e dall’altra, che la questione in discussione possa avere rilievo sostanziale; cioè, che, attraverso un espediente di procedura, si possa rimettere in discussione la sostanza di quello che l’Assemblea ha votato. Vorrei che tanto da una parte che dall’altra ci si persuadesse che questo sospetto è infondato, in quanto che la deliberazione presa dall’Assemblea, sia pure attraverso un ordine del giorno, è deliberazione di un’Assemblea che esercita il potere costituente e come tale ha sempre valore costituzionale.

REALE VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

REALE VITO. Vorrei chiarire questa situazione. Noi siamo al punto di sapere se l’ultimo comma dell’articolo 55 debba o non debba essere votato.

In materia è stato già deciso con due ordini del giorno: quello dell’onorevole Perassi e quello dell’onorevole Nitti.

L’Assemblea ha respinto l’ordine del giorno Perassi, che si presentava in forma negativa, ed ha confermato, invece, i principî opposti, cioè in forma positiva, contenuti nell’ordine del giorno Nitti.

Possiamo noi riesaminare l’ultimo comma dell’articolo 55? A questo punto, il Presidente può mettere in votazione qualsiasi parte dell’ultimo comma dell’articolo 55?

Questo è l’unico quesito, che non l’Assemblea, ma il Presidente deve risolvere.

Ora, l’ultimo comma dice: «I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale…», questo principio è stato due volte bocciato e non è possibile rimetterlo in votazione, «e per due terzi a suffragio universale diretto». Anche questa parte di questo comma non può essere messa in votazione, perché è stata esplicitamente, per ben due volte, respinta dalla Assemblea.

Si tratta adesso di sapere se l’articolo 55 debba essere sostituito con l’ordine del giorno Nitti, il quale contiene tutte le condizioni per sostituire questo comma. Ed in effetti, a chi lo avesse dimenticato giova ricordare che l’ordine del giorno Nitti è del seguente tenore: «Il Senato sarà eletto con suffragio universale e diretto, con il sistema del collegio uninominale». Questa è norma costituzionale.

GRONCHI. Neanche per sogno!

REALE VITO. Quando, con tanta esattezza sia in forma diretta che in forma indiretta si è votato dall’Assemblea, è evidente che non è possibile che il contrario possa essere rimesso in votazione. Resta – e in questo sono d’accordo con l’onorevole Laconi – una questione di opportunità: se completare, con queste precise affermazioni dell’Assemblea, l’articolo 55, o lasciarlo semplicemente come una norma precisa ed inderogabile da essere applicata in sede di legge elettorale. Questa è l’unica questione che si può presentare; ma presentare il quesito che l’ultimo comma dell’articolo 55 possa essere oggetto di una nuova votazione, quando così esplicitamente e categoricamente è stato rigettato, mi pare questione fuor d’opera che tocca soprattutto la dignità dell’Assemblea. (Approvazioni a sinistra).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Qualche volta pare impossibile che questioni le quali sono sufficientemente chiare per se stesse, durante una discussione arrivino invece che ad un chiarimento progressivo, ad una involuzione. Di che si tratta? Si tratta di stabilire se una norma che definisce il sistema elettorale possa diventare, anzi sia utile che diventi, una norma costituzionale, cioè vincolativa, non solo per questa Assemblea, ma anche per le successive, pena una revisione della Costituzione; oppure se convenga per il sistema elettorale, adottare una norma che sia vincolativa per noi, ma che possa essere modificata dalle Camere legislative successive senza incomodare la Costituzione, il che esige una procedura di molto maggiore complicatezza e difficoltà.

Quelli che, come noi, pensano che gli ordini del giorno Nitti e Giolitti siano vincolativi soltanto per questa Assemblea, e cioè che le elezioni, rispettivamente per la Camera dei Deputati e per la Camera dei Senatori, debbano avvenire l’una col sistema proporzionale, l’altra col sistema uninominale, sostengono il principio che non sia utile includere né l’una norma del sistema proporzionale né l’altra del sistema uninominale nella Costituzione. Gli altri che sostengono di introdurre nella Costituzione le due norme, pensano che si debba costringere le future Camere ad una revisione della Costituzione in sede di pura e semplice discussione della legge elettorale. La questione è così: non ci sono né truffe, né retropensieri, né altre diavolerie che durante la discussione sono apparse come fantasmi contro cui si combatte con la stessa illusione con la quale Don Chisciotte combatteva contro i molini a vento. Questa è la questione, la quale andrebbe mantenuta puramente e semplicemente nei suoi termini che sono così chiari. (Approvazioni al centro).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Volevo fare una proposta che avevo pensato potesse risultare estremamente conciliativa, ma purtroppo le ultime conclusioni dell’onorevole Gronchi mi tolgono questa illusione e mi fanno vedere che forse la mia proposta è soltanto del tutto ingenua. In ogni modo confesso questa ingenuità e chiarisco il mio pensiero. Dal momento che tutti dichiarano di ritenere che sia reciprocamente vincolativo l’uno e l’altro ordine del giorno, quello del sistema proporzionale per la Camera dei Deputati e quello del sistema a scrutinio uninominale per il Senato, poteva essere opportuno autorizzare il Comitato di coordinamento a inserire nel testo di Costituzione un articolo aggiuntivo a contenuto puramente dichiarativo. Non pensavo di richiedere di mettere senz’altro in votazione un testo formulato ex novo, ma di richiedere, se vi era la unanimità dei consensi, un’autorizzazione pel Comitato di redazione che facesse sparire questa differenza di indole puramente tecnica onde relativamente al sistema elettorale della Camera dei Deputati non si è inserita l’enunciazione del sistema di elezione nella Costituzione, mentre adesso appariva opportuno inserirlo per il Senato della Repubblica. Con questa doppia enunciazione di contenuto puramente dichiarativo di fronte ad una situazione che lealmente e moralmente io ritenevo vincolante e pacifica per tutti, la soluzione da me vagheggiata poteva rimettere tutto a posto, in modo che non se ne parlasse più.

Ma, certamente, le dichiarazioni finali fatte dall’onorevole Gronchi possono creare una difficoltà all’adesione a questa mia proposta che, come dico, escludeva una votazione a contenuto di merito, ma tendeva a provocare soltanto, secondo la mia illusione, una dichiarazione spontanea e sincera che i due ordini del giorno avevano lo stesso valore e che erano stati votati sul serio, non per perdere tempo o suscitare delle riprese di discussioni di merito su questioni superate.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare che tutta la discussione non si sarebbe fatta se la proposta iniziale dell’onorevole Moro fosse stata del tenore delle ultime considerazioni dell’onorevole Gronchi. Ma, a quanto mi è parso di sentire, l’onorevole Moro aveva invece fatto la proposta che si rivotasse sopra le affermazioni singole contenute nell’ordine del giorno Nitti. Ed è attorno a questa proposta Moro, che era stata già accompagnata da una espressa dichiarazione di voto, che si è venuta sviluppando tutta la discussione. È evidente che se non si fosse così messa in dubbio la validità della decisione presa dall’Assemblea Costituente con la votazione dell’ordine del giorno Nitti, nessuno avrebbe parlato; solo la preoccupazione che si pensasse, forse da parte di ciascuno, di rimettere in votazione cose che non possono essere più votate, ha portato innanzi tutta questa discussione.

Onorevoli colleghi, l’ordine del giorno che cosa è? È evidente che non è affermazione che vincola i terzi al di fuori di questa Assemblea, non è una legge, nel senso giuridico del termine, che è fatta dal Parlamento per tutti i cittadini; ma gli ordini del giorno, mi pare, sono leggi che l’Assemblea dà a sé stessa, oppure un ordine – mi si consenta la parola – che l’Assemblea dà al Governo, che trae dall’Assemblea stessa i propri poteri.

In questo senso mi pare che gli ordini del giorno, che noi siamo venuti votando, hanno avuto questo doppio valore: hanno significato l’impegno dell’Assemblea di attenersi ad una certa decisione ed hanno significato l’ordine – ripeto la parola al Governo, perché, nei limiti nei quali esso deve tradurre in atto una decisione dell’Assemblea, in quel senso si muova e non in altro senso.

Così, per le leggi elettorali: quando l’Assemblea ha votato che la prima Camera dovrà essere eletta sulla base della proporzionale, ciò ha semplicemente significato che il Ministro dell’interno, competente a redigere il progetto di legge che dev’essere presentato a questa Assemblea, deve redigerlo sul sistema della proporzionale, e che l’Assemblea stessa, per quanto possa modificare i particolari del progetto presentato, non può modificarlo in tal modo da mutare il sistema proporzionale nel sistema uninominale.

La stessa considerazione vale per l’ordine del giorno votato in rapporto al Senato della Repubblica.

Non per polemizzare, onorevoli colleghi, ma io penso che non dovremmo creare degli ostacoli nuovi ad un più rapido ritmo dei nostri lavori, dimenticando come si è giunti a votare l’ordine del giorno Nitti e cosa significassero gli altri ordini del giorno che insieme a quello Nitti sono stati presentati al voto e respinti.

Io la pregherei, onorevole Moro, di dirmi schiettamente: se fosse stato approvato l’ordine del giorno Perassi, forse che non si sarebbe ritenuto da tutti e anche da lei senza altro acquisito al testo costituzionale il suo contenuto concreto?

MORO. È arbitrario.

PRESIDENTE. Permetta, sarebbe stata sì o no acquisita al testo costituzionale la disposizione a tenore della quale i senatori avrebbero dovuto essere eletti nel numero di 3 per ogni Regione dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale, ecc.?

Io almeno, nella mia semplicità, penso che se si fosse approvato quell’ordine del giorno queste due norme sarebbero entrate nella Costituzione. Comunque ho fatto questa ipotesi, soltanto per trarne la considerazione che occorre tenere presente non semplicemente i risultati alcune volte non graditi delle votazioni; ma anche il modo col quale vi ci si è giunti. Ogni votazione comporta due possibilità: la prescelta da ogni votante e la decisa dalla maggioranza. Se si era pronti ad accettare la prima; evidentemente si doveva essere pronti ad accettare anche la seconda. Ad ogni modo credo che la questione si possa risolvere in questi termini: nell’ordine del giorno Nitti si afferma che il Senato sarà eletto col suffragio universale diretto e col sistema del collegio uninominale. Analogamente a quanto abbiamo fatto per l’elezione della Camera, porremo però nell’articolo costituzionale soltanto l’affermazione che il Senato sarà eletto col suffragio universale diretto, mentre invece continueremo a considerare ordine del giorno a sé stante l’affermazione che impegna a valersi del collegio uninominale, ordine del giorno nel senso che indicavo prima, cioè che la legge che verrà depositata in questa Assemblea per l’elezione del Senato della Repubblica, deve essere una legge basata sul sistema del collegio uninominale.

Ora, mi pareva, che l’onorevole Moro chiedesse che si ripetesse la votazione sia sul carattere universale come sul carattere diretto del suffragio richiesto per l’elezione del Senato e poi anche sopra la questione del collegio uninominale. Non si rifarà nessuna di queste votazioni. Ma ciò che nell’ordine del giorno Nitti è simile alle proposte dell’articolo 55, verrà incluso nel testo definitivo dell’articolo stesso; mentre non vi includeremo ciò che non vi trova rispondenza, analogamente alla procedura seguita nel rapporto fra l’ordine del giorno Giolitti e l’articolo 53. Onorevoli colleghi, dovrebbe essere chiaro che le votazioni che si fanno hanno un valore definitivo. Ma per quanto si riferisce alla loro materia, il modo di disporla è sempre una cosa lasciata al criterio di opportunità, a cui si richiamava anche l’onorevole Laconi, e direi anche, alle esigenze di simmetria del testo costituzionale.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Vorrà scusarmi, signor Presidente, se intrattengo l’Assemblea su questo problema che mi sembra però di tale importanza da non dovere essere risolto così rapidamente.

PRESIDENTE. Rapidamente, veramente no, onorevole Codacci Pisanelli!

CODACCI PISANELLI. Ci si domanda quando è che una deliberazione dell’Assemblea diventa definitiva, cioè in qual momento l’Assemblea non possa più tornare su di essa. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Codacci, consideri, la prego, che la discussione è stata già ampia: perciò nel suo intervento resti al nocciolo del problema e tenga conto che qui siamo in una Assemblea politica.

CODACCI PISANELLI. L’ordine del giorno, domando, vincola di già l’Assemblea in modo definitivo, o può l’Assemblea tornare eventualmente sull’ordine del giorno?

Una voce a sinistra. No, no!

CODACCI PISANELLI. Pongo soltanto un problema. Non esamino se si possa votare un articolo in contrasto con l’articolo precedente, ma domando se, approvato un ordine del giorno, questo sia vincolante.

Io ritengo che la deliberazione dell’Assemblea divenga definitiva soltanto quando sia stata tradotta in un preciso dispositivo di articolo, cioè quando sia stata articolata. Fino a quel momento ritengo che l’ordine del giorno non impegni in modo definitivo l’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, io ho cercato di ricostruire il processo che ha portato alla presentazione di questi ordini del giorno. È vero che un ordine del giorno resta sempre un ordine del giorno; ma centomila ordini del giorno non sono soltanto centomila ripetizioni di uno stesso ordine del giorno. Coloro che li redigono, discutono ed approvano, sanno che non c’è uno che abbia la stessa importanza di un altro.

Ma tutti gli ordini del giorno qui discussi e votati hanno un eguale valore impegnativo: e come impegno io li interpreto, onorevole Codacci Pisanelli.

MORO. Chiedo di parlare.

RESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Solo per un chiarimento, onorevole Presidente.

Se è vero che nell’atto di porre questa questione che stiamo dibattendo c’è in me lo stato d’animo di colui che ha vista sopraffatta una tesi che gli era cara, io dichiaro con la più grande sincerità che questa questione è stata sollevata per una ragione di principio.

Noi siamo stati battuti nell’Assemblea Costituente un’altra volta, su un punto che era estremamente importante per noi, quello della indissolubilità del matrimonio. Ebbene, nessuno di noi ha sollevato, in quel caso, delle obiezioni.

Se obiezioni sono state sollevate in questa sede, è perché veramente noi riteniamo che la soluzione che si cerca di dare a questo problema non è una soluzione esatta, corrispondente alle norme di Regolamento e alle norme di legge.

Io sin da principio ho dichiarato che, a mio parere e a parere dei miei amici – e su questo punto credo che prenderà la parola, con la competenza tecnica che lo distingue, l’onorevole Mortati – l’ordine del giorno che è stato votato è un ordine del giorno che non sostituisce una norma di legge: è un ordine del giorno che vincola l’Assemblea, ma non supplisce le necessarie formali votazioni, attraverso le quali si crea una norma di legge.

Ora, il punto delicato di tale controversia era costituito dalla eventuale votazione da ripetere sul sistema elettorale, sul collegio uninominale. Ma poiché su questo punto io mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Gronchi, e prendo atto con soddisfazione che l’onorevole Presidente ha creduto anch’egli di accedere alla tesi di fare uguale trattamento all’indicazione dei sistemi elettorali, sia per la Camera dei deputati, sia per il Senato, evidentemente il punto politicamente più delicato è fuori discussione. Se dunque non si torna a votare sul sistema di elezione, possiamo serenamente riaffermare i principî i quali impongono, senza alcun pericolo di ordine politico, che si voti sulla struttura del Senato con l’indicazione della espressione «a suffragio universale diretto e segreto».

E, su questo punto, per una ragione di principio, insisto nel chiedere la votazione, alla quale spero non vogliano contrastare coloro i quali vedono che il collegio uninominale è in tal modo sottratto ad una nuova decisione.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, cerchiamo dunque di concludere su questo punto. L’onorevole Moro ha fatto richiamo ad una questione di principio. Ma, onorevole Moro, il Regolamento ella lo ha sottomano, suppongo; e vi può leggere l’articolo 87 che dice che gli ordini del giorno determinano o modificano il contenuto della legge. (Approvazioni a sinistra). Non ho bisogno di queste approvazioni, egregi colleghi,.

Una voce a sinistra. Ma vengono spontanee.

PRESIDENTE. L’attuale Regolamento riprende in questa forma il concetto che era espresso nel Regolamentò precedente, nell’affermazione che gli ordini del giorno erano equiparati agli emendamenti. È chiaro quindi che, un ordine del giorno votato dell’Assemblea, ha il potere di modificare la legge ed esso, in quanto tale, serve di istruzione alla Commissione, la quale – anche questo dice il Regolamento – deve trasferire nella legge il contenuto dello stesso ordine del giorno.

UBERTI. No, no.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, legga l’articolo 87 del Regolamento, la prego.

La questione di principio non nasce in questo momento: esisteva già ed è stata risolta dal nostro Regolamento.

Credo pertanto di poter concludere così, come prima: che, per quanto si riferisce all’ultimo comma dell’articolo 55, l’Assemblea ha già deliberato, decidendo che il Senato sia eletto mediante suffragio diretto ed universale; mentre non si includerà nel testo costituzionale la parte dell’ordine del giorno che si riferisce al sistema del collegio uninominale, in armonia a quanto l’Assemblea ha fatto per il sistema di elezione della Camera.

Resta quindi soltanto da deliberare in merito al limite di età per gli elettori del Senato. Io non credo, a questo riguardo, come sostiene l’onorevole Oro Nobili, che dire «suffragio universale» significhi senz’altro che tutti i cittadini hanno diritto al voto quando abbiano raggiunto il ventunesimo anno di età.

Tutti i colleghi i quali nel corso della discussione relativa alla prima parte del progetto di Costituzione, hanno proposto che il diritto elettorale attivo spettasse a tutti gli italiani dai 18 anni in su, a buon diritto dal loro punto di vista, possono considerare l’attuale suffragio, che fissa a ventun anni il diritto elettorale, come suffragio non universale. Ma invece la dizione stessa del testo costituzionale dichiara che si tratta di suffragio universale.

L’universalità del suffragio, mi pare, si riferisce a tutte le condizioni per l’elettorato attivo, salvo, per l’appunto, quella dell’età che non è un elemento predeterminato per natura e neanche da una certa struttura politica e di organizzazione dello Stato.

Per queste ragioni io credo che con la votazione già avvenuta non si sia risolto il problema relativo al limite di età, ed è a questo dunque che ora passeremo per concludere questa abbastanza faticosa votazione dell’articolo 55.

DOSSETTI. Chiedo di parlare. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Su quale argomento, onorevole Dossetti?

DOSSETTI. Chiedo di parlare a proposito dell’interpretazione da lei data all’articolo 87 del Regolamento, che per la prima volta viene in esame nella discussione di questa sera. Credo, quindi, di aver diritto – senza stancare l’Assemblea con la ripetizione di argomenti già svolti – di chiedere di parlare su un argomento nuovo, invocato dal Presidente.

PRESIDENTE. Non ho nulla in contrario a concederle la parola, ma mi permetto di rammentarle che, per ciò che si riferisce al valore delle votazioni avvenute, ho già espresso il mio avviso, e cioè ho stabilito – e questo rientra nella mia facoltà di Presidente – in quale modo esse debbano essere assunte nel risultato dei nostri lavori. (Approvazioni a sinistra). Se ella ritiene di doverci, ciò non ostante, esporre l’interpretazione ch’ella dà all’articolo 87, noi siamo lieti di ascoltarla.

DOSSETTI. Onorevole Presidente, non credo di poter convenire sulle ultime parole da lei formulate, perché, appunto, la sua interpretazione si fonda su un argomento nuovo, da lei escogitato in base all’articolo 87.

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, non mi faccia dire quello che non ho detto. Consideri che, in quanto a precisione le mie parole, lo tenga presente, non possono costituire un elemento di polemica nel corso delle discussioni dell’Assemblea.

Io non ho invocato l’argomento nuovo dell’articolo 87 per suffragare la mia-interpretazione; tanto è vero che ho fatto il richiamo solo dopo aver enunciato la mia decisione. È stato un soprappiù: tutti hanno detto tante cose che non entravano affatto nella materia della nostra discussione, ed anch’io mi sono permesso un fronzolo. La mia interpretazione, anzi la mia decisione, è stata presa in base a quanto è avvenuto e si è detto in quest’Aula da tre giorni a questa parte.

È per ciò che, dandole la facoltà di parlare, perché lei possa esporci il suo punto di vista sull’articolo 87, ritengo necessario avvertirla ancora una volta che ciò non può avere relazione né influenza con la decisione che ho presa e comunicata nel pieno esercizio dei poteri che l’Assemblea mi riconosce.

DOSSETTI. Prendo atto di quanto lei ha dichiarato, onorevole Presidente. Questo conferma che la sua conclusione – sulla quale non discuto – è indipendente dall’argomento ricavabile dall’articolo 87.

Però è per me importante – e credo lo sia anche per i colleghi – fare una riserva, in merito a quella che è la particolare interpretazione data dell’articolo 87, in quanto si è creduto di ricavare dall’articolo 87 la determinazione della funzione degli ordini del giorno, mentre per chi rilegga l’articolo 87 e veda che i verbi, da cui si è ricavata la determinazione di questa funzione, sono messi evidentemente al congiuntivo, in forma ipotetica, risulta evidente che la determinazione della funzione dell’ordine del giorno è qui ipotetica.

Dice infatti l’articolo 87: (Interruzioni a sinistra) «Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni». (Interruzione dell’onorevole Laconi).

PRESIDENTE. Non interrompa, onorevole Laconi!

DOSSETTI. Mi pare che ci sia differenza fra questa proposizione ed un’altra, che sia enunciata all’indicativo, e cioè che l’ordine del giorno determina o modifica o serve di istruzione alle Commissioni.

In questo caso la norma avrebbe carattere imperativo generale; mentre qui è semplicemente indicala una funzione eventuale di alcuni ordini del giorno. (Interruzioni).

Ma io non insisto perché mi basta la dichiarazione dell’onorevole Presidente, che ha sganciato la conclusione a cui egli è pervenuto dall’articolo 87, per cui era opportuno che noi facessimo una necessaria riserva, anche per evitare il ripetersi della questione, per eventuali successive altre interpretazioni.

Vorrei soltanto dire che l’argomentazione da me svolta risulta all’evidenza confermata dall’ultimo comma dell’articolo 89, che dice: «Non si potranno riprodurre sotto forma di emendamenti o di articoli aggiuntivi gli ordini del giorno respinti nella discussione generale, nel qual caso può sempre essere opposta la pregiudiziale».

PRESIDENTE. Questo previene l’eventuale sua intenzione di ripresentare ordini del giorno.

DOSSETTI. Non avevamo affatto questa intenzione. Comunque, dichiaro che questa intenzione non era la mia e non era quella dei miei colleghi.

Risulta però confermato da questo comma che si possono dare degli emendamenti che ripropongono quanto era dichiarato in ordini del giorno, ed è espressamente distinto qui il valore formale di atti diversi; cioè, l’ordine del giorno, che ha un carattere programmatico indicativo generale per i lavori dell’Assemblea, e l’articolo o emendamento che è la vera norma alla quale solo ci si deve ricondurre per stabilire quale sia la determinazione terminale dell’Assemblea stessa. Perché evidentemente, con una interpretazione che parificasse la decisione d’un ordine del giorno a quella di un testo giuridico, avremmo questa conseguenza paradossale: che il futuro interprete e il futuro legislatore dovrebbero consultare sempre, non con valore interpretativa generico, ma specifico di norma giuridica, tutti gli atti successivi attraverso i quali la norma è pervenuta. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, mi perdoni, ma per quanto non voglia che i colleghi possano pensare che io mi conceda ciò che molte volte ho rimproverato ad altri – di trasformare cioè in sede di discussioni astratte queste nostre laboriose sedute – sento la necessità di farle osservare che quel tale congiuntivo, dal quale ella crede di potere dedurre certe conseguenze, è congiuntivo per necessità del concetto che esso esprime. Infatti un ordine del giorno presentato, può ancora sempre essere respinto; è a questo stadio che l’articolo 87 lo considera, poiché afferma solo il diritto dei deputati a presentarlo. Ma in questo momento manca la certezza dell’accoglimento delle proposte contenute nell’ordine del giorno, le quali non possono quindi richiamarsi alla forma indicativa, positiva del verbo. È chiaro che se l’ordine del giorno sarà poi approvato, la modificazione ch’esso propone si trasfonde nel progetto; esso non è più soltanto una possibilità, ma una realtà; verrà espresso non più col congiuntivo ma coll’indicativo. (Applausi a sinistra).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare sulla questione sollevata dall’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE. La prego, onorevole Togliatti, tenga presente che questa non è la sede per una discussione in tema di grammatica; e chiedo anzi scusa di avervi io stesso dato l’avvio.

TOGLIATTI. Lo dico, in due parole: prego l’onorevole Dossetti di tener presente che nella corretta lingua italiana, in casi come questo, il «che» preceduto dal verbo potere, regge sempre il congiuntivo. Spero che il Gruppo democristiano non pretenderà di farci cambiare la grammatica italiana col peso dei suoi 207 voti. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’ultimo quesito proposto sull’articolo 55, quello che si riferisce all’età degli elettori del Senato.

Vi è a questo proposito un emendamento presentato dall’onorevole Conti, il quale ha proposto che invece di 25 anni di età si dica «21 anni di età».

Pongo quindi in votazione questo emendamento.

(Dopo prova e controprova, l’emendamento non è approvato).

Pongo in votazione, il testo della Commissione: «I senatori sono eletti a suffragio universale diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».

(È approvato).

L’articolo 55 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.

«Il numero dei senatori è determinato in ragione di uno ogni 200 mila abitanti, o frazione superiore ai 100 mila, attribuendosi però a ciascuna Regione un numero minimo di sei senatori.

«La Valle d’Aosta ha un solo senatore.

«I senatori sono eletti a suffragio universale diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione: Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non sono mai intervenuto perché nella sostanza delle questioni il Comitato è in disaccordo interno, ed è una vera disgrazia. Ma osservo che, come pura forma, sarebbe opportuno dare un’altra espressione.

PRESIDENTE. Io ho riletto il testo risultante dalle varie votazioni perché tutti i colleghi conoscano con precisione il frutto del lavoro di questi giorni. Non la forma, ma il contenuto è necessario richiamare ora alla mente. Il Comitato di redazione, da parte sua, darà poi la forma che riterrà più adeguata.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Se non erro, per quanto riguarda questo secondo comma, l’onorevole Presidente ha sottoposto successivamente le questioni di principio, e si sono votate successivamente le diverse proposte; ma non è stato mai letto un testo completo del secondo comma. Ora, faccio presente che il testo della Commissione è formulato un po’ diversamente da come è stato letto ultimamente.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha sollevato l’obiezione che il testo del quale ho dato lettura, dopo di aver ricucito accuratamente assieme tutte le votazioni che abbiamo eseguito, non corrisponderebbe alle votazioni stesse. Desidero far osservare all’onorevole Perassi che l’Assemblea non ha votato sul testo della Commissione, ma sugli emendamenti, ed è cosa abbastanza elementare che nel testo che io ho letto abbia ripresi letteralmente gli emendamenti votati.

Onorevole Perassi, nell’emendamento dell’onorevole Mortati, attorno al quale si è svolta tutta la discussione, si dice appunto «attribuendosi a ciascuna regione un numero minimo di sei senatori». Lei ha rilevato che nel testo definitivo non avrei ripresa l’espressione. Ma il testo che ho letto dice così: «attribuendosi però a ciascuna regione un numero minimo di sei senatori».

Sarei veramente curioso di sapere in che cosa il testo che ho letto differisce dal testo votato e il testo votato da quello proposto dall’onorevole Mortati.

Prego i colleghi prima di sollevare questioni, di essere sicuri di quello che dicono.

Dobbiamo ora esaminare le seguenti proposte aggiuntive:

«Aggiungere il seguente comma:

«Cinque senatori sono nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni, nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario, hanno illustrata la Patria.

«Alberti».

«Art. 55-bis.

«Sono senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti della Repubblica.

«Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative, i quali abbiano coperto la carica almeno per un anno anche se non continuativamente.

«A tale diritto si può rinunziare, purché la rinunzia sia fatta prima della firma del decreto di nomina da parte del Capo dello Stato.

«Alberti».

«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori di diritto con decreto del Capo dello Stato: i deputati dell’Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato, o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea, o che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente.

«A tale diritto si può rinunciare, ma la rinuncia deve essere fatta prima della firma del decreto di nomina.

«Leone Giovanni, Avanzini, Rossi Paolo, Pignatari, Cifaldi, Villabruna, Candela, Alberti, Preziosi, Corbino, Condorelli, Costantini, Martinelli, Arcaini, Castelli Avolio, Adonnino».

«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori con decreto del Capo dello Stato:

а) i deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926 e quelli che non furono dichiarati decaduti, ma esercitarono la funzione di oppositori nell’Aula;

  1. b) i deputati dell’Assemblea Costituente che sono stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea;
  2. c) coloro che siano stati membri del disciolto Senato ed abbiano mantenuto atteggiamento di costante opposizione al regime fascista dopo il 3 gennaio 1925.

«Martino Gaetano, Morelli Renato, Vlllabruna, Cifaldi, Bonino, Colitto, Perrone Capano, Condorelli, Colonna, Mazza, Rodinò Mario».

«Sono senatori di diritto, durante l’esercizio del loro ufficio, il Primo Presidente della Corte di cassazione, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti, l’Avvocato generale dello Stato, il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, il Capo di Stato Maggiore generale.

«Clerici, Montini, Raimondi, Morelli Luigi, Cotellessa, Marconi, Adonnino, Carboni Enrico, Ponti, Sampietro».

Queste proposte considerano due questioni: la prima è quella dell’immissione nel Senato sia di senatori non eletti, ma nominati dal Capo dello Stato per meriti insigni, sia di senatori che tali divengono per la carica che essi ricoprono. La seconda si riferisce a una norma transitoria, a tenore della quale del primo Senato dovrebbero far parte di diritto alcuni cittadini a causa di cariche che ricoprono o hanno ricoperto.

In relazione alla prima questione, relativa all’esistenza di senatori che non ripetano dal suffragio universale diretto il loro potere, ritengo che la votazione già eseguita dall’Assemblea impedisca di prenderla in considerazione. Il Senato, infatti, è costituito sulla base del suffragio universale e diretto: mi pare pacifico che non possa accogliere in sé persone che da questo suffragio non ripetano la carica. Resta sempre aperta invece, come norma transitoria, la proposta che prevede la immissione nel primo Senato, cioè nel Senato alla sua prima formazione, di certe persone che ricoprono o hanno ricoperto certe particolari dignità pubbliche o politiche. Pertanto ritengo che non sia più da porsi in votazione la prima proposta dell’onorevole Alberti.

Ritengo che ugualmente non possa essere messa in votazione la proposta dell’onorevole Alberti a tenore della quale sono senatori di diritto a vita gli ex Presidenti della Repubblica, ecc.

Quindi decade anche la votazione sull’ultimo comma, che stabiliva la possibilità di rinuncia da parte degli interessati a questa nomina automatica.

Resta invece da porre in votazione la proposta dell’onorevole Leone Giovanni, relativa alla prima elezione del Senato.

Le altre proposte dell’onorevole Martino Gaetano e dell’onorevole Clerici sono analoghe.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Quando c’è stata una lunga discussione sul valore dell’ordine del giorno, ho taciuto; ma vedo che purtroppo la questione torna in argomento in questo momento, e che dobbiamo tornare a discuterla, tenendo conto di quanto prima si è detto e cercando di non ripeterci.

Non c’è dubbio, per quella interpretazione che lei signor Presidente ha già dato, che quando si vota un ordine del giorno si delibera qualche cosa, si fissa un principio; e poiché siamo Assemblea Costituente, si fissa un principio di carattere costituzionale.

A questo proposito credo, anche se l’onorevole Perassi non è d’accordo, che la maggioranza di noi convenga. Però, ci deve essere un motivo differenziatore, perché talora si presenti un emendamento e talaltra un ordine del giorno; altrimenti, non si comprende perché talora si userebbe una forma e talaltra forma diversa.

La differenza mi pare sia questa: con l’ordine del giorno si vuole fissare un principio, ma il principio consente delle eccezioni, in casi particolari; con l’emendamento, invece, si vuole inserire una determinata testuale disposizione di legge, che resta immutabilmente quella e non può essere modificata, non consente eccezioni.

Questo, per concludere che con la votazione dell’ordine del giorno Nitti noi abbiamo fissato il principio che «il Senato deve essere di carattere elettivo»; tuttavia non ci siamo preclusa la strada a che alcuni membri del Senato possano non avere questo carattere elettivo.

Il principio è stato fissato e non possiamo rimetterlo in discussione; ma, naturalmente, non si tratta di una norma di legge precisa e specifica, e quindi le eccezioni sono consentite.

Su queste eccezioni l’Assemblea è chiamata a discutere ed a votare.

ALBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALBERTI. L’ordine del giorno Nitti, approvato dall’Assemblea, afferma che il Senato sarà eletto col suffragio universale diretto col sistema del collegio uninominale. Però, a me non sembra che questo precluda all’Assemblea la possibilità di stabilire che possa venire aggiunta, con altro metodo, qualche altra categoria di senatori, precisamente quella cui ho fatto cenno nel primo e nel secondo emendamento.

Questa – se mi permette l’allusione e non la interpreta come una indiscrezione – credo sia anche l’opinione dello stesso onorevole Nitti, il quale aveva, con altro ordine del giorno, proposto che alcuni senatori fossero indicati dai Consigli delle Università fra i professori di Università.

C’è un ordine del giorno, nel quale è detto precisamente: «Fanno parte del Senato: il Presidente della Corte di cassazione di Roma, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e sei professori di Università, designati per elezione dal Consiglio superiore della pubblica istruzione».

Mi pare, quindi, che, se nello stesso pensiero del proponente dell’ordine del giorno, che abbiamo votato, c’è questa possibilità, noi possiamo insistere perché cinque senatori siano nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni nel campo sociale, scientifico, artistico-letterario hanno illustrato la Patria; e che possa essere votato l’articolo 55-bis, il quale indica, fra coloro che hanno diritto a sedere in Senato, gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio e delle Assemblee legislative i quali abbiano ricoperto la carica per qualche tempo.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io avevo presentato una serie di proposte in questa materia e prego il Presidente di avere un po’ di tolleranza se mi permetto di divagare.

Non c’è nessun Senato che possa essere sciolto. Questa non è materia di discussione: la Camera si scioglie; il Senato non si scioglie. In nessun paese il Senato si scioglie: così è in America e così era in Francia. Il Senato dunque ha una sua speciale funzione: la continuità. Il Senato rappresenta non soltanto l’impressione di un momento, come l’elezione a suffragio universale in una data situazione o in una certa circostanza. Il Senato permane anche se non funziona legislativamente, anche quando non funziona la Camera. Le Camere debbono essere collegate, e non vi è nulla di più pericoloso del considerarle due cose troppo distinte. In America vi è questa strana Costituzione: chi è Presidente del Senato non è senatore; Presidente del Senato è il Vice Presidente della Repubblica, che rappresenta dunque la stessa ondata popolare che ha portato alla Presidenza della Repubblica colui che comanda. Quindi cosa fa il Vice Presidente del Senato? Poiché non è senatore non vota, ma dirige i lavori e mantiene la continuità. Ecco la spiegazione delle mie proposte che possono parere strane. In Francia cosa c’era? Vi era un Senato che durava troppo a lungo, vi era un Senato non conveniente: lo dicevano gli stessi senatori, i quali duravano in carica ben nove anni. Inoltre il Senato si rinnovava ogni tre anni per un terzo. Cosa vuol dire il Senato? Il Senato vuol dire la continuità, e vuole dire una scelta di persone od una designazione di persone che rappresentino tendenze, direi, permanenti. Il Senato dunque da noi non può essere troppo differente. Quando io ho letto il progetto di Costituzione: la Camera dura cinque anni; il Senato dura cinque anni, non ho compreso più nulla. Io non conosco funzioni legislative di questa natura. Il Senato non si scioglie, deve durare. Da noi facciamo che duri sei anni e che si rinnovi ogni due anni per un terzo, come accade in America, dove si rinnova ogni due anni, mentre in Francia si rinnova ogni tre anni, pure per un terzo.

Il Senato vuol dire la permanenza di qualche cosa. Nelle nuove istituzioni bisogna conservare sempre qualcosa delle antiche, perché abbiano attrazione sulle masse umane. Io mi sono ribellato prima di tutto all’idea che si chiami «Camera dei senatori». Si chiami Senato! Dobbiamo avere qualcosa che indica la continuità: per questo mi sono permesso di indicare alcune categorie. Prima di tutto quella che sembra ad alcuni tanto strana: ex Presidenti della Repubblica ed ex Presidenti delle Camere legislative, perché ho visto da vicino cosa significa la mancanza di qualcosa che possa in Senato ricordare la spiegazione di avvenimenti che, cinque o sei anni dopo, non si spiegano più dalla maggioranza. Lasciamo dunque che vi siano gli ex Presidenti del Consiglio e, credetemi, non l’ho fatto per causa mia, perché non ho proprio il desiderio di essere senatore. Che vi siano poi gli ex Presidenti della Repubblica è normale. Sapete cosa ha significato in Francia la mancanza di questa disposizione? Gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti della Repubblica appena cadevano, avevano bisogno di affrontare la lotta elettorale. Poincaré, appena caduto da Presidente della Repubblica, è andato a presentarsi agli elettori come candidato al Senato. Briand ha fatto la stessa cosa. È una necessità, e bisogna trovare il modo di ovviare a questo, per l’esperienza di quello che avviene in altri paesi. Solo Clemenceau ha sbagliato, perché quando non fu eletto Presidente della Repubblica, fu talmente crucciato che non volle essere più nulla. Quando ebbe il più lungo colloquio della sua vita, durato cinque ore (racconterò questo grande avvenimento, ho preso l’impegno di pubblicarlo), passò in rassegna la vita pubblica francese. Non volle essere più nulla e morì crucciato.

Gli ex Presidenti della repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio possono far parte del Senato. È una cosa che non offende il suffragio universale, perché rappresenta una necessità contingente chi, con l’esperienza del passato, si rende ancora più evidente. Vi avevo chiesto, quindi, in quelle proposizioni che avevo fatto, che insieme agli ex Presidenti della Repubblica e agli ex Presidenti del Consiglio venissero alcune categorie di uomini che, per la prima ed unica volta, rappresentavano la transazione fra il vecchio e il nuovo, e la creazione di qualcosa che desse la sensazione della continuità.

Dunque, in quanto alla proposta di designare cittadini di alto valore scientifico, per il decoro stesso del Senato (benché il Senato non sia un’Accademia) io riconosco questo, ma bisogna metter fuori il Presidente della Repubblica, che non deve far parte direttamente del Senato. Questa disposizione non vi è in nessuna Repubblica. Il Senato deve vivere della sua vita, deve vivere del suffragio universale. Può avere alcune categorie designate nella legge, transitoriamente, ma non può in nessuna guisa il Presidente della Repubblica entrare in questa materia.

Permettete, signori, io sono l’uomo che ha nominato più Senatori, l’unico credo che ha avuto il coraggio di fare in una sola lista 96 Senatori. È un fatto di orgoglio. Tutti i Presidenti del Consiglio che non hanno coraggio, non fanno Senatori. I tre Presidenti del Consiglio degli ultimi anni della monarchia che hanno nominato Senatori sono stati Giolitti, Salandra ed io, perché ne assumevamo la responsabilità. I Presidenti del Consiglio che esitavano, non facevano Senatori, perché promettevano a tutti il Senato e facevano tante promesse che poi non potevano mantenere. La prima condizione per mantenerle era quella di non farne. Ho avuto una grande soddisfazione: l’unico Presidente del Consiglio che negli ultimi trent’anni ha nominato Senatori. Giolitti vide respinte buona parte delle sue nomine e lo stesso Mussolini, nella sua onnipotenza, in certi momenti ha visto nomine di Senatori respinte. Io ho fatto il più gran numero di Senatori, e mai alcuna mia nomina è stata respinta dal Senato.

Io so quindi la delicatezza di questo argomento. Bisogna dare al Senato il carattere di rispettabilità. Bisogna metterlo, soprattutto per quanto riguarda la sua origine, al di fuori del sospetto, e però io non accetto alcuna cosa che conferisca al Presidente della Repubblica il diritto di nominare Senatori. I Senatori non possono essere nominati che per suffragio universale o per designazione indicata da una legge, che disponga vi siano Senatori di alcune categorie per breve tempo o a lungo o indeterminatamente, quando la loro partecipazione sia creduta necessaria. E questa non è una deroga al suffragio universale; questa non è una mancanza ai principî generali; questa è una necessità contingente, soprattutto perché noi formiamo un Senato interamente ex novo in un Paese che per un quarto di secolo si trova sbattuto da tante correnti politiche. Ora, che vi siano alcuni Senatori che non siano di nomina popolare, per suffragio universale, è perfettamente logico e spiegabile. Ma questo deve essere limitato, ed è perciò che io ho proposto che i Senatori siano nominati anche fra ex deputati che abbiano un certo numero di legislature, in modo che possano dare prova di competenza. Quindi io pregherei di entrare in questa decisione: di designare alcune categorie di cittadini, non per elezione, non a suffragio universale, ma per legge, di tal che essi non debbono premere sull’Assemblea, ma siano di utile consiglio e di utile collaborazione. Quindi limito la mia proposta a questo, pregando di tenere fuori il Presidente della Repubblica, perché egli non può agire senza i suoi Ministri né contro i suoi Ministri. Egli non può dar corso a nomine che abbiano carattere politico di parte, e quindi significa metterlo in imbarazzo affidare a lui personalmente la scelta dei Senatori.

Io dunque prego l’Assemblea di consentire che vi siano alcune categorie al di fuori del suffragio universale, ciò che non è deroga, ma è completamento. Sono a disposizione dell’Assemblea se essa vorrà chiedere chiarimento su altre questioni.

ALBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALBERTI. Quando ho svolto gli emendamenti, ho indicato le ragioni per le quali ritenevo che la nomina dei cinque Senatori a vita potesse essere fatta dal Capo dello Stato, e non ritengo di dover ritornale.su quell’argomento. Ma se ora l’onorevole Nitti pensa che questa nomina da parte del Capo dello Stato possa essere pericolosa, io vorrei chiedere all’Assemblea se non ritiene che questa designazione possa essere fatta eventualmente dallo stesso Senato, perché la designazione di alcuni uomini illustri da parte delle Università, del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione e la nomina di 6 professori di Università, non mi pare corrispondano al concetto che io avevo inteso di racchiudere in questa proposta.

L’ambiente universitario, rispettabilissimo e che tutti noi veneriamo, non esaurisce, mi pare, nel suo campo le illustrazioni nazionali. Se queste illustrazioni nazionali dovessero essere designate fra i professori di Università, dai Consigli superiori delle Università stesse, molti uomini illustri rimarrebbero esclusi. (Interruzione del deputato Nitti).

L’onorevole Nitti dice ora che intende che siano soltanto designati. Diversamente, pensavo che, ad esempio, il nostro collega Benedetto Croce non avrebbe potuto essere compreso fra le illustrazioni nazionali.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. L’emendamento, che ho avuto l’onore di presentare insieme ad altri colleghi e che credo debba essere messo in votazione per le stesse ragioni che sono già state esposte precedentemente per analoghi emendamenti da altri colleghi – e alle quali ragioni mi associo –, ha valore di emendamento del penultimo comma dell’emendamento del Presidente Nitti, in quanto l’onorevole Nitti nel penultimo comma del suo emendamento dice: «Fanno parte del Senato il Presidente della Corte di cassazione di Roma (debbo rilevare che da tempo una sola è la Corte di cassazione), il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e sei professori nominati dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione»; mentre il mio emendamento suona così: «Sono senatori di diritto durante l’esercizio del loro ufficio (tale limitazione è un concetto che completa la proposta, e che forse è implicito, ma comunque è bene che sia esplicito, in quella del Presidente Nitti) il Primo Presidente della Corte di cassazione, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, il Presidente della Corte dei Conti, l’Avvocato Generale dello Stato, il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, il Capo di Stato Maggiore generale».

Ben poco ho da dire per spiegare il mio emendamento: le più alte cariche amministrative dello Stato – alcune neanche in senso proprio, perché l’Accademia dei Lincei è fuori dell’ambito delle Amministrazioni dello Stato – avrebbero, in tal modo, nella seconda Camera una voce, la voce della competenza e della autorevolezza, sia pure ridotta al minimo possibile. Ma queste sette voci, per le ragioni che sono state dette dai colleghi che mi hanno preceduto, devono a mio parere, stare nel Senato, senza che si turbi con ciò il principio generale che, per la massima parte, il Senato è eletto a suffragio universale.

Ricordo un solo esempio analogico: nella Camera dei Comuni inglese, come tutti i colleghi sanno e mi insegnano, accanto agli eletti dei borghi e delle contee, hanno sempre seduto i rappresentanti delle dieci o dodici Università del Regno Unito.

PAJETTA GIAN CARLO. Erano due le Università.

CLERICI. No: sono esattamente dodici quei deputati. Ora per quanto si sia, attraverso i secoli, modificato il sistema elettorale inglese, partendo dai borghi putridi per arrivare attraverso la legge del 1832 ed a quelle del 1867 e del 1884 fino al suffragio universale il più esteso, della legge 1918, completata nel 1928, malgrado questa vasta evoluzione, nessuno – che io sappia – ha mai contrastata e, comunque, è rimasta sempre ferma nella Camera dei Comuni inglese, la rappresentanza delle Università. Il che vuol dire che quel popolo, nel quale sempre è fiorita la libertà e in cui man mano si è fondata, estesa e consolidata la più autentica democrazia, non ha mai ritenuto che avesse carattere eterogeneo la rappresentanza di tali ambasciatori del pensiero, della cultura, dell’alta amministrazione della cosa pubblica entro il Parlamento, anzi proprio entro la Camera elettiva, popolare per eccellenza.

Per questa ragione, credo non costituisca una anomalia quanto io propongo.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Presento all’Assemblea il seguente emendamento aggiuntivo firmato anche dai colleghi La Rocca, Togliatti, Moranino, Dozza, Nenni, Minella Angiola, Mattei Teresa, Iotti Leonilde e Montagnana Rita:

«I deputati alla Costituente che abbiano sofferto almeno cinque anni di carcere per una condanna del tribunale speciale per motivi politici sono senatori di diritto del primo Senato della Repubblica». (Commenti).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, onorevoli colleghi.

LACONI. Non credo vi sia motivo che io illustri il mio emendamento. Diceva poco fa l’onorevole Clerici, a proposito di un suo emendamento, che esso si illustrava da sé: si trattava della nomina nel primo Senato della Repubblica del Presidente dell’Accademia dei Lincei, di magistrati e di generali. Tanto meno quindi reputo sia necessario illustrare un emendamento il quale chiama a far parte del primo Senato della Repubblica quegli uomini che, unici forse, hanno acquistato diritto a farne parte, dopo avere sofferto per la difesa della democrazia e delle libertà popolari.

Voglio anche far notare che nel mio emendamento si riconosce questo diritto soltanto a coloro i quali, ritrovandosi nella condizione su accennata, siano stati nel tempo stesso membri di questa Assemblea, che abbiano cioè anche avuto una investitura popolare. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare, dagli intervenuti che abbiamo ascoltato, che, in linea generale, prevalga nell’Assemblea il criterio che, fermo restando il carattere elettivo fondamentale del Senato, esso non si opponga all’inclusione nel Senato stesso di senatori i quali ripetano altrimenti la loro autorità e la loro nomina.

Abbiamo sentito parecchi oratori in proposito; ed io penso che, di fronte a questa manifestazione di volontà diffusa, sebbene non abbracciante proprio tutti i settori dell’Assemblea, si possa a buon diritto considerare che il silenzio dei pochi non abbia tale peso da farci ritenere senz’altro respinto questo criterio.

E, pertanto, possiamo mettere in votazione la serie di proposte che sono state avanzate in ordine all’immissione nel Senato di un certo numero di senatori che non ripetano dall’elezione la propria nomina considerandole partitamente. Si tratta degli emendamenti presentati, e questa sera sviluppati, dagli onorevoli Alberti, Clerici, Nitti e Laconi.

Se pertanto non vi sono obiezioni da fare al riguardo o altre considerazioni da svolgere, esaminiamo senz’altro allora le singole categorie proposte per quest’ammissione di diritto al Senato.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Si tratta di due distinte questioni: quella del diritto a vita e quella dell’ammissione al primo Senato della Repubblica.

PRESIDENTE. È esatto, si tratta di due questioni diverse: quella che contempla la norma permanente e quella dell’ammissione valida soltanto per la prima costituzione del Senato. Bisognerà poi vedere ancora se questa immissione è a vita o soltanto per il periodo di mandato del primo Senato della Repubblica.

A questo proposito, vi sono delle proposte formulate dall’onorevole Nitti, dall’onorevole Alberti, dall’onorevole Clerici e dall’onorevole Laconi.

Propone l’onorevole Nitti – e assieme a lui anche l’onorevole Alberti – che facciano sempre parte di diritto del Senato gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio. Aggiunge l’onorevole Alberti anche gli ex Presidenti delle Assemblee legislative. L’onorevole Alberti pone tuttavia una condizione per i Presidenti del Consiglio e i Presidenti delle Assemblee legislative, e cioè che essi abbiano ricoperto la carica, sia pure non in forma continuativa, almeno per un anno. L’onorevole Nitti a questo proposito non pone condizioni.

Si tratta di votare innanzitutto su questo quesito: se gli ex Presidenti della Repubblica debbano far parte di diritto del Senato.

E mi pare implicito, che, per queste persone, l’ammissione al Senato sia ammissione di carattere permanente, a vita, e non soltanto temporanea. Ed è per questa ragione che questa norma deve essere inclusa nel testo della Costituzione, e non fra le norme transitorie. Mentre ritengo che le disposizioni relative al primo Senato della Repubblica debbano essere inserite fra le norme transitorie.

Pongo in votazione, quindi, la proposta che gli ex Presidenti della Repubblica facciano parte di diritto del Senato.

(È approvata).

Ed ora, onorevoli colleghi, pongo in votazione la proposta che gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative – e qui entra in funzione l’emendamento-condizione Alberti, per cui è richiesto che abbiano ricoperto la carica almeno per un anno, anche se non continuativamente – debbano far parte del Senato.

L’onorevole Nitti non pone tale condizione. Ritengo che occorra dapprima votare l’emendamento dell’onorevole Alberti. È d’accordo l’onorevole Nitti?

NITTI. Sì, sono d’accordo.

NENNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Posso chiedere, per cortesia, una spiegazione?

PRESIDENTE. Dica, onorevole Nenni.

NENNI. Desidero sapere se si tratta dei Presidenti del Consiglio dopo la proclamazione della Repubblica o anche prima della proclamazione della Repubblica.

PRESIDENTE. Chiedo ai proponenti di voler specificare, rispondendo al quesito posto dall’onorevole Nenni. Ha facoltà di parlare l’onorevole Alberti.

ALBERTI. A partire dalla proclamazione della Repubblica: questa è una proposta la quale dovrebbe essere integrata con l’altra proposta, di carattere transitorio, che riguarda gli ex Presidenti del Consiglio in passato. Questa dovrebbe riguardare la norma per l’avvenire, da inserire nella Costituzione. Per quel che riguarda gli ex Presidenti del Consiglio nel passato, v’è la norma transitoria, che sarà proposta dopo, e che riguarda anche i deputati con tre legislature. In quel provvedimento sono compresi gli ex Presidenti del Consiglio che fanno parte della Costituente. Questa riguarda gli ex Presidenti del Consiglio per l’avvenire.

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti ha facoltà di rispondere al quesito posto dall’onorevole Nenni.

NITTI. Ex Presidenti del Consiglio vuol dire uomini che hanno occupato questo posto prima e dopo, perché non si può ammettere che – come Orlando ed io, per esempio, che siamo stati Presidenti del Consiglio prima e non dopo – questi uomini, dicevo, non abbiano il diritto di entrare in Senato, quando la designazione degli ex Presidenti del Consiglio è fatta proprio per esprimere quella continuità e per avere fonti di informazione e fonti di illustrazione di avvenimenti da coloro che ne furono i principali responsabili.

Quindi, quando io parlo di ex Presidenti del Consiglio, voglio dire prima e dopo; naturalmente, escludendo quelli che furono Presidenti del Consiglio durante un regime eccezionale. Di quelli non si discute.

Se volete aggiungere «che facciano parte dell’Assemblea Costituente» non è necessario. Ma può sembrare anche, se si fa questa indicazione, una specie di privilegio, una specie di onore fatto a quelli che sono nella Costituente.

In quanto alla indicazione chiesta dall’onorevole Laconi, ne parleremo dopo. Non credo che essa sia necessaria. Si può essere un eroe, si possono aver resi grandi servizi alla Patria, si può essere anche disposti a renderne ancora, ma si può essere anche incompetentissimi. Qui dobbiamo invece fare un Senato di uomini competenti e capaci.

Quindi, io credo che, per quanto riguarda i Presidenti del Consiglio, debba trattarsi di una nomina permanente, e non per la prima legislatura, perché ritengo che gli ex Presidenti della Repubblica come gli ex Presidenti del Consiglio, appunto per una ragione di capacità personale e come fonte di informazione e di illustrazione, debbano essere chiamati permanentemente a far parte del Senato. Sono così pochi che non rappresentano certo dei concorrenti.

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. Io comprendo le preoccupazioni dei colleghi: si teme, e fondatamente, che, usando una dizione generica, diventerebbero senatori di diritto anche persone che noi tutti vogliamo e dobbiamo escludere, ed i cui nomi non faccio perché abbastanza noti.

Ritengo perciò che sarebbe sufficiente inserire nel testo della norma transitoria le seguenti parole «e che abbiano fatto parte dell’Assemblea Costituente».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Ho chiesto di parlare soltanto per un chiarimento. All’onorevole Nitti io vorrei precisare che dal mio ordine del giorno sono avvantaggiati soltanto quegli ex condannati politici che facciano già parte di questa Assemblea. Quindi la questione di competenza non si pone.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Osservo che è estremamente delicato discutere di membri di questa Assemblea i quali avrebbero immediatamente il diritto di essere senatori senza essere eletti. Ora, come quando si tratta di questioni di persone, io credo che noi non possiamo in nessun modo votare per alzata e seduta, ma solamente a scrutinio segreto. (Approvazioni).

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi riferisco alla proposta aggiuntiva fatta dall’onorevole Priolo, e capisco la ragion d’essere che la promuove. Però essa presenta un inconveniente: i futuri Presidenti del Consiglio, che naturalmente non avranno fatto parte dell’Assemblea Costituente, non saranno così senatori.

PRIOLO. Si può fare una norma transitoria.

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, v’è la possibilità di risolvere la questione.

Poiché tutti condividono le ragioni che suggeriscono la ricerca di una formulazione che ponga al riparo il futuro Senato dall’obbligo di accogliere elementi non desiderati, non si tratta più qui di discutere sul merito, ma sulla formula da adoperare. Credo che la questione si possa risolvere ponendo nel testo della Costituzione la disposizione per cui i Presidenti della Repubblica e i Presidenti del Consiglio, che di diritto fanno parte del Senato, siano quelli che hanno ricoperto queste cariche dopo la proclamazione della Repubblica: questo dovrebbe essere stabilito in una norma permanente. Nelle norme transitorie dovrebbe poi mettersi una disposizione per la quale facciano parte di diritto del Senato i Presidenti del Consiglio che sono stati anche membri dell’Assemblea Costituente. E questi sono per l’appunto quelli che tutti pensano debbano essere inclusi nel Senato; mentre gli altri che tutti pensano che debbano essere esclusi…

CONDORELLI. Onorevole Presidente, non dica che tutti pensano che debbano essere esclusi. (Commenti – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, prendo senz’altro atto della sua eccezione. Comunque, per le ragioni dette, penso che una formula come quella da me proposta possa risolvere la questione.

Onorevoli colleghi, tengano presente che vi è anche la limitazione posta dall’onorevole Alberti, il quale propone che il Presidente del Consiglio ed i Presidenti delle Assemblee legislative facciano parte del Senato quando abbiano ricoperto almeno per un anno, seppure non continuativamente, la carica.

ALBERTI. Rinuncio a questa condizione.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora la formula da porre in votazione sarebbe la seguente:

«… gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative che abbiano ricoperto la carica dopo la proclamazione della Repubblica».

Poi si dovrebbe votare la norma transitoria.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Sono perfettamente d’accordo nella sostanza, ma per la forma, anziché dire «dopo la proclamazione della Repubblica» basterebbe dire «saranno pure senatori, ecc…».

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Io credo che nell’articolo costituzionale bisogna fissare soltanto il principio di coloro che devono far parte di diritto del Senato, e solo nelle norme transitorie tratteremo tutti questi particolari che sono ora in discussione. Quindi io penso che nell’articolo costituzionale si debba fissare soltanto e semplicemente il principio.

PRESIDENTE. Questa inclusione degli ex Presidenti del Consiglio e degli ex Presidenti delle Assemblee legislative non può essere considerata una disposizione transitoria. Se viene accettata, infatti, varrà non solo per gli attuali Presidenti ma anche per i futuri.

RODI. Appunto per questo. Nell’articolo costituzionale si dirà: gli ex Presidenti della Repubblica, gli ex Presidenti del Consiglio, gli ex Presidenti dell’Assemblee legislative fanno parte di diritto del Senato.

Nelle norme transitorie tratteremo questi argomenti particolari.

PRESIDENTE. Anche questa può essere una soluzione. Del resto, nel concetto si è concordi. Bisogna adesso passare alla votazione.

CIBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Io faccio fin d’ora riserva sopra queste votazioni perché noi in realtà votiamo per delle persone. (Interruzioni – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Uberti insiste nella sua richiesta che si proceda alla votazione a scrutinio segreto per tutte quelle categorie di membri di diritto del Senato i quali facciano parte di questa Assemblea.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. L’osservazione dell’onorevole Uberti può essere considerata come fondata per quel che concerne le categorie che verranno dopo; ma per quel che concerne gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti di Assemblea non credo che la votazione per scrutinio segreto possa essere influenzata dal fatto che, mettendoceli tutti, non ci sono che quattro persone in questa situazione. Perciò l’importante è di accettare il principio dell’onorevole Uberti per le successive votazioni; ma per gli ex Presidenti di Assemblea e gli ex Presidenti del Consiglio possiamo votare tranquillamente.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi propone che si dica: «Gli ex Presidenti dei Consigli dei Ministri e delle Assemblee legislative della Repubblica», lasciando alle norme transitorie tutte le altre specificazioni.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Penso che le nostre decisioni, se procederemo in questo modo affrettato e caotico, non potranno rispondere a nessuna concezione armonica ed a nessuna esigenza logica. Proporrei, poiché siamo giunti alle sette e mezzo, che la seduta venisse sospesa in modo che domani mattina le diverse correnti e i diversi presentatori di ordini del giorno, dopo essersi accordati, possano presentare proposte concrete.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, non per l’argomentazione un poco strana dell’onorevole Moro, ma perché non vedo una giustificazione valida della sua proposta, non ritengo di poterla accettare. Abbiamo sotto gli occhi tutti gli emendamenti. Si tratta di coordinare le varie proposte e di riunirle in pochi gruppi, che si possono successivamente votare.

La proposta di scrutinio segreto dell’onorevole Uberti si riferisce soltanto a quelle categorie nelle quali siano compresi membri di questa Assemblea. Le altre proposte possono rientrare in una norma transitoria; e avremo quattro o cinque proposte diverse su cui votare. Penso che possiamo questa sera concludere le votazioni sulle categorie di coloro per i quali si propone, per la loro carica, un diritto permanente ad appartenere al Senato; mentre domattina potremo procedere alla votazione per le categorie di coloro che avranno il diritto di partecipare al primo Senato, per le quali l’onorevole Uberti ha chiesto la votazione a scrutinio segreto e delle quali forse il Comitato di redazione potrà domani presentare un elenco più ordinato.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Mi sembra che il Presidente abbia limitato alle proposte relative alle norme transitorie le votazioni per scrutinio segreto.

Ritengo, invece, che, ogniqualvolta vi sia la possibilità per un membro di questa Assemblea di essere incluso in quelle categorie, perché gli altri membri abbiano piena libertà di votare, si debba votare a scrutinio segreto. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, io sonò sicuro che lei ha letto attentamente tutti gli emendamenti; ed allora le sarei grato se mi indicasse una delle categorie proposte per l’appartenenza permanente al Senato, i cui componenti si trovano in questa Assemblea.

UBERTI. Il Presidente del Consiglio, per esempio.

PRESIDENTE. Ma abbiamo trovato una formula di carattere generale.

UBERTI. È lo stesso. L’onorevole De Gasperi sarebbe senatore di diritto; anche lei, come Presidente dell’Assemblea, sarebbe senatore di diritto.

PRESIDENTE. Sta bene. Dunque, lei desidera la votazione a scrutinio segreto? Ma lei sa come la deve richiedere.

UBERTI. C’è la domanda.

PRESIDENTE. Le faccio osservare che la domanda si deve presentare partitamente ad ogni votazione che viene indetta e che non si può presentare una domanda permanente e globale per tutta una serie di votazioni a scrutinio segreto.

UBERTI. Allora, quella domanda vale per la prima votazione. La presenterò per le altre.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Uberti; ma certi atti procedurali non si dovrebbero compiere in forma così familiare.

Onorevoli colleghi, passiamo alla votazione.

Gli onorevoli Uberti, Gronchi, Fantuzzi, Moro, Turco, Cappi, Castelli, Bianchini Laura, Salizzoni, De Unterrichter Maria, Lazzati, Fabriani, Dossetti, Ferrarese, Delli Castelli Filomena, Nicotra Maria, Cimenti, De Palma, Bastianetto e Colombo, hanno chiesto lo scrutinio segreto per la votazione della seguente formula:

«Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica».

Faccio presente ai colleghi, perché possano valutare il loro voto, che vi è poi da votare un comma il quale dice: «A tale diritto si può rinunciare, purché la rinuncia sia fatta ecc.».

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Non si può fare un’unica votazione aggiungendo alla prima formula le parole: «salvo rinuncia»?

ALBERTI. Accetto.

PRESIDENTE. Si può infatti votare in un unico contesto. Onorevoli colleghi, su proposta dell’onorevole Clerici, la votazione avverrà su questa formula: «Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica, salvo rinuncia».

La legge dovrà poi stabilire come e quando la rinuncia deve essere manifestata.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     376

Maggioranza           189

Voti favorevoli        167

Voti contrari            209

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrpsini – Amendola – Andreotti – Arata – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura –Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.

D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchiero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.

Maffi – Magnani – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Manzini – Marazza – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni –     Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paratore – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Sereni – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelini.

Cairo – Carmagnola – Caroleo – Cevelotto.

De Vita – Dugoni.

Jacini.

Mannironi – Martino Enrico – Martino Gaetano.

Perrone Capano – Porzio.

Russo Perez.

Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza alcune interrogazioni con richiesta d’urgenza.

La prima è dell’onorevole Caronia:

«Al Ministro dei trasporti, per conoscere se sia esatta la notizia pubblicata dall’agenzia ARI circa il blocco operato a Napoli da parte degli operai degli stabilimenti Avis dei vagoni ferroviari carichi di prodotti ortofrutticoli di primissima scelta e di altri generi deperibili, che in conseguenza sono andati perduti. Il sistema di risolvere questioni di lavoro particolari con azioni tali da produrre danno ad intere popolazioni, oltre a produrre un danno notevole all’economia generale, mette i siciliani nella dolorosa condizione di non poter fare affidamento nei mezzi legali per azionare i loro traffici con il Nord Italia».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ne darò notizia al Ministro competente.

PRESIDENTE. E stata presentata la seguente altra interrogazione:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i motivi per cui si è rifiutata all’amministrazione del Pio Istituto Santo Spirito ed Ospedali riuniti di Roma l’autorizzazione a contrarre con la Cassa depositi e prestiti un mutuo di lire 400.000.000 per completare e mettere in efficienza l’Ospedale sanatoriale Monte Mario, ospedale di urgente necessità per sgombrare i congestionati ospedali di Roma delle molte centinaia di ammalati di tubercolosi, che limitano la disponibilità dei posti-letto per le malattie per cui si richiede più immediata assistenza, e costituiscono un pericolo per gli altri infermi.

«Caronia, Dominedò, Di Fausto, Angelucci, Giordani, Orlando Camillo, Corsanego, Guidi Cingolani Angela, De Palma, Bonomi Paolo».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere a questa interrogazione.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non ne riconosco l’urgenza.

PRESIDENTE. L’interrogazione sarà allora iscritta all’ordine del giorno e svolta a suo turno.

Segue una interrogazione dell’onorevole Benedettini:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati presi contro quel gruppo di 30 comunisti, che martedì 7 ottobre, in Roma, alla fine di un comizio monarchico, hanno aggredito 5 studenti, producendo ai giovani Ponzani Umberto, di 17 anni, e Spica Giacomo, di 21, iscritti all’Unione monarchica italiana, ferite lacero-contuse e contusioni multiple, e per conoscere inoltre quali preventive precauzioni intenda adottare per garantire le libertà democratiche e le manifestazioni politiche contro i metodi dell’azione diretta».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Qualora risultassero completate le indagini, il Governo risponderà nella seduta pomeridiana di domani.

PRESIDENTE. Segue la seguente altra interrogazione:

«Al Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se intenda provvedere alla proroga del decreto legislativo luogotenenziale 10 agosto 1944, n. 194 (che cesserà di avere vigore il 15 ottobre 1947), particolarmente per la parte concernente la scarcerazione per perenzione dell’arresto, ripristinata in ossequio ai principî democratici della giustizia penale.

«Per conoscere, inoltre, se intenda, nel provvedimento legislativo di proroga, disporre che le ordinanze in tema di scarcerazione automatica siano suscettibili di ricorso per Cassazione, in ossequio al principio (d’imminente consacrazione costituzionale) dell’indefettibilità del sindacato della Corte di cassazione su tutti i provvedimenti giurisdizionali.

«Leone Giovanni, Mastino Gesumino, Numeroso, Scoca, Notarianni, De Martino, Bettiol, Federici Maria, Condorelli, Riccio Stefano, Persico, Gasparotto, Arata, Rossi Paolo, Carboni Angelo, Targetti, Patricolo».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere a questa interrogazione.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non ne riconosco l’urgenza.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Vi è una data, quella del 15 ottobre, alla quale cessa di aver vigore il decreto legislativo del quale si chiede la proroga.

PRESIDENTE. Comunicherò l’interrogazione al Ministro competente.

Do, infine, lettura della seguente altra interrogazione:

«Al Ministro dell’interno, sulle violenze commesse durante la campagna elettorale in Roma contro candidati del P.S.L.I. e in particolare modo sull’aggressione organizzata contro un membro dell’Assemblea Costituente, l’onorevole Matteotti; e per sapere quali urgenti disposizioni intenda prendere per assicurare le libertà di riunione, di parola e di voto.

«Rossi Paolo, Lami Starnuti, Segala, Mazzoni, Carboni Angelo, Persico».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Anche per questa interrogazione, il Governo risponderà nella seduta pomeridiana di domani qualora al Ministero competente risultassero completate le indagini.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, per conoscere come e quando intendano sodisfare le legittime ed urgenti aspirazioni delle popolazioni calabresi, sempre neglette ed abbandonate, della zona compresa tra Soverato, Gioiosa Ionica, Vibo Valentia e Francavilla Angitola, che, da decenni, reclamano il congiungimento del versante tirrenico con quello ionico, mediante la costruzione di opportuni tronchi ferroviari a scartamento ridotto, e l’allacciamento tra di loro dei molti comuni della zona, mediante tronchi stradali, onde assicurare le condizioni essenziali per il loro sicuro sviluppo agricolo, industriale, minerario e turistico, che toglierà quelle nobili popolazioni dalle odierne deplorevoli condizioni sociali.

«Mancini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per conoscere quali urgenti provvedimenti intendano adottare per eliminare l’arbitraria azione dell’Azienda autonoma acquedotto di San Remo che, attualmente, esegue lavori di escavazione di pozzi sulla sinistra del torrente Argentina in Riva Ligure (Imperia), tendenti all’accaparramento delle acque del sottosuolo, che su tale lato appartengono esclusivamente alla popolazione del comune di Riva Ligure, costituita nella maggior parte di piccoli coltivatori di fiori, ed utilizzate come materia prima ed insostituibile di tale industria, da oltre quaranta anni, con piena soddisfazione di tutti, mediante un triplice complesso di opere consistente nell’acquedotto consorziale di Riva, nell’acquedotto Gazzano e nei numerosissimi pozzi privati muniti di impianto irriguo proprio, i quali ultimi, in dipendenza di detti lavori, si sono completamente essiccati con l’immenso e comprensibile danno alle coltivazioni esistenti.

«Si richiama particolarmente l’attenzione sulla improrogabile necessità che venga posto fine ad un tale stato di cose che, manifestandosi deleterio agli interessi di un intero paese, reca vivo malcontento verso le autorità competenti in tutta la popolazione della zona. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga necessario promuovere un provvedimento legislativo che assicuri l’allontanamento di obiettivi di carattere militare da complessi monumentali di interesse artistico e storico.

«La guerra recente ha dimostrato le irrimediabili conseguenze di una promiscuità perniciosa, anche in tempo di pace, alla conservazione ed alla sicurezza del patrimonio artistico nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e della pubblica istruzione, per sapere se, in attesa di un auspicato provvedimento di carattere generale, non ritengano opportuna la completa dismissione della caserma adiacente alla insigne Basilica di Santa Giustina in Padova, col ritorno del residuo edificio al demanio che potrebbe procedere all’eventuale restituzione ai monaci, in vista della necessità di dare adeguata sistemazione ai numerosi studenti universitari rifugiati in Padova, in conseguenza della guerra.

«Il complesso della Basilica, del Monastero, e dell’adiacente zona archeologica romana-paleo-cristiana, tutelato dalla dichiarazione di monumento nazionale, non consente una ulteriore promiscuità di uso, anche per la necessità evidente di allontanare definitivamente obiettivi di carattere militare, da monumenti di importanza artistica e storica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritenga opportuna l’emanazione di un provvedimento, che conceda, sia pure con le cautele del caso, la sanatoria ai mutilati ed invalidi di guerra, i quali, in seguito alla particolare ed eccezionale situazione determinatasi nel territorio dello Stato durante e dopo il conflitto, non hanno presentato, od hanno tardivamente presentato, il ricorso entro i prescritti novanta giorni dalla notifica del decreto negativo o inadeguato, oppure non hanno chiesto, od hanno tardivamente chiesto, la fissazione di udienza entro un anno dalla notifica delle conclusioni da parte del procuratore generale.

«L’interrogante considera atto di doverosa clemenza della Patria, verso chi per essa ha versato generosamente il sangue ed ha sacrificato la salute, l’offerta della possibilità di rientrare nei termini lasciati infruttuosamente scadere o per materiale impossibilità da parte degli interessati di provvedere in tempo alla tutela dei loro interessi o per comprensibile ignoranza delle disposizioni di legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pat».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni della non ancora avvenuta emanazione del provvedimento legislativo di estensione agli appartenenti al Corpo degli agenti di custodia – per recente disposizione di legge chiamati a far parte delle Forze armate dello Stato – dei beneficî che loro competono, a mente di quanto stabilito dall’articolo 2, terzo capoverso, del decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722, tenuto presente il delicato servizio loro affidato e le condizioni di grave disagio morale ed economico in cui si trovano a vivere attualmente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 11 e alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.