ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCLIV.
SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
indi
DEL VICEPRESIDENTE CONTI
INDICE
Sul processò verbale:
Codacci Pisanelli
Presidente
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Mortati
Colitto
Rossi Paolo
Stampacchia
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Calamandrei
Lucifero
Uberti
Gasparotto
Benedettini
Laconi
Scoccimarro
Conti
Manzini
Maffi
Lussu
La Malfa
Mazzoni
Priolo
Pacciardi
Amendola
Sui lavori dell’Assemblea:
Presidente
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
Bozzi
Badini Confalonieri
Lussu
Rodi
Targetti
Nitti
Codacci Pisanelli
Scoccimarro
Cosattini
Votazione segreta:
Presidente
Risultato della votazione segreta:
Presidente
Per un comizio elettorale nei pressi di Montecitorio:
Pajetta Giancarlo
Sansone
Presidente
De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri
La seduta comincia alle 16.
MEZZADRA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
Sul processo verbale.
CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare sul processo verbale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CODACCI PISANELLI. Richiamo di nuovo l’attenzione dell’Assemblea sul valore da attribuire alle votazioni, in cui il numero dei voti favorevoli sia esattamente uguale a quello dei voti contrari, in relazione al progetto di Costituzione che è stato presentato dalla Commissione dei settantacinque.
Ieri, essendosi verificata questa ipotesi, siamo giunti a concludere, secondo l’affermazione dell’onorevole Presidente, che una votazione di questo genere significa rigetto dell’articolo contenuto nei progetto di Costituzione.
Mi permetto di rinnovare i miei dubbi circa questa soluzione, in quanto che in una votazione, nella quale il numero dei voti favorevoli equivalga perfettamente a quello dei voti contrari, per lo meno si dovrebbe giungere a concludere che la votazione non ha nessun valore. In altri termini, ci troveremmo di fronte ad un problema analogo a quello del silenzio, che è stato più volte dibattuto nel campo del diritto. (Commenti).
Il silenzio non ha nessun valore, a meno che una norma giuridica, o ì principî, o l’analogia, consentano di attribuirgli un particolare significato.
Ieri, a giustificazione della tesi secondo cui, in caso di parità di voti, il progetto o l’articolo del progetto dovrebbe ritenersi respinto, è stato detto: infatti, prima di annunziare il risultato della votazione, noi diciamo sempre il numero dei votanti, la maggioranza, e se è stata raggiunta, o meno, questa maggioranza.
Per venire a termini pratici, se i votanti sono 360 e la maggioranza è 180… (Commenti).
PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la maggioranza viene calcolata aggiungendo uno alla metà.
CULACCI PISANELLI. Dicevo, se la mèta è 180, solo nel caso che i voti favorevoli siano 181, si può ritenere che l’articolo sia approvato.
Non condivido questa tesi. Se vi fosse, per esempio, un certo numero di astenuti, e vi fosse un numero di voti favorevoli maggiore di quello dei voti contrari, ma inferiore a 181, l’articolo dovrebbe ritenersi ugualmente approvato.
Ma non insisto su questo punto. A me interessa mettere in evidenza che ci troviamo di fronte ad un progetto elaborato in maniera diversa dai comuni progetti di legge. Ci troviamo di fronte ad un caso sui generis e dobbiamo risolverlo, perché si tratta di un precedente importante per i nostri futuri lavori.
La Commissione dei settantacinque si suddivise in Sottocommissioni; ogni Sotto commissione, attraverso votazioni, è giunta alla formazione di un progetto, sottoposto alla Commissione dei settantacinque in seduta plenaria. Di nuovo vi è stata una votazione; si tratta, dunque, di un progetto presentato da un organo di questa stessa Assemblea; perciò, nel caso in cui non sia respinta espressamente una parte di questo progetto, secondo me, non si può arrivare alla conclusione che ci si trovi di fronte ad un rifiuto di approvare l’articolo. Si dovrebbe quindi attribuire perlomeno a questo silenzio il valore di un niente di fatto e si dovrebbe, di conseguenza, ripetere la votazione.
Ma, secondo me, anche un passo più avanti si potrebbe fare, perché il fatto che le conclusioni di un organo dell’Assemblea non siano state respinte deve intendersi come vera e propria approvazione: e abbiamo già detto che la Commissione è un organo dell’Assemblea.
Che d’altra parte questo mio pensiero non sia campato in aria, (Commenti) mi accingerò ora a dimostrarvi. Vi farò pertanto osservare che nel nostro Regolamento non vi è alcun articolo che contempli la questione; ma ve n’è uno il quale, pur rifacendosi ad un caso un poco diverso, consente tuttavia di spiegare che cosa sia la maggioranza e in quali casi essa debba riconoscersi per tale. Mi riferisco all’articolo 26, relativo alla Giunta delle elezioni, il quale esattamente dice: «le conclusioni della Giunta sono prese a maggioranza di voti. In caso di parità, si riterranno per la convalidazione».
Siamo d’accordo che si tratta di un argomento diverso da quello che stiamo contemplando, ma poiché nel Regolamento non v’è alcun’altra norma circa il significato da attribuire alle votazioni in caso di parità, ritengo non sia azzardato inferirne che, quando vi sia parità di voti nei confronti di un articolo presentato dalla Commissione dei settantacinque nel suo progetto, si debba trarne la conclusione che l’articolo, o il comma di cui si tratta, sia approvato.
Per questa ragione io formulo le mie riserve intorno alle votazioni fatte ieri e mi ripropongo anzi di presentare una mozione al riguardo; e così pure per quanto concerne il valore da attribuire agli ordini del giorno e alla pretesa preclusione che da essi si inferirebbe, contrastando anche con ciò quanto ha detto proprio questa mattina il nostro onorevole Presidente, che cioè l’Assemblea può sempre, ove lo creda, ritornare sulle proprie decisioni.
PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, ella aveva diritto di prendere la parola sul processo verbale. Ma poiché io lo prevedevo, non fidandomi troppo delle mie sole conoscenze e della mia scienza, ho voluto fornirmi di qualche alleato che potrà, spero, meritare da parte sua quello stesso rispetto che io gli tributo. Si tratta del noto «Mancini e Galeotti»: Norme ed usi del parlamento italiano, ove, a pagina 308, al numero 445, io leggo: «In caso di voti pari, la proposta messa in votazione non può ritenersi approvata. Da ciò l’importanza massima di una giusta determinazione della priorità nel concorso di più proposte».
E poi, fra parentesi, (1) – nota a piedi pagina – «Fa eccezione alla norma generale l’articolo 18 del Regolamento – quello che lei ha invocato poco fa, onorevole Codacci Pisanelli – per ciò che concerne il procedimento della Giunta delle elezioni».
Il che significa che non si può dedurre dall’articolo 18 una norma generale, perché l’articolo 18 è un’eccezione alla norma generale. E perché è un’eccezione? Perché in tutti i giudizi collegiali, quando vi è parità di voti, questa gioca a favore dell’imputato. Non che l’eletto che si vede contestata la propria elezione sia un imputato! Ma la Giunta delle elezioni è una magistratura e quindi la sua opera è regolata dalle norme solite alle magistrature.
Ecco quindi, onorevole Codacci Pisanelli, che proprio l’articolo da lei invocato riconferma contro di lei che quando una votazione ha avuto esito pari, la proposta messa in votazione non può ritenersi approvata.
Ma, d’altra parte, abbiamo dei precedenti da noi stessi creati. Non più tardi della seduta del giorno 7 ottobre, ad esempio, parlando di una votazione alla quale si è proceduto e che è terminata per l’appunto con la parità dei voti, dice il nostro resoconto:
«Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, con la esatta parità dei voti, non è approvata».
E in quel momento né lei, né nessun altro collega ha sollevato eccezioni. Abbiamo, quindi, già un precedente.
Ma, v’è di più, onorevole Codacci Pisanelli, Lei stamane ha dato un voto, nella piena consapevolezza del suo valore, a proposito dell’articolo 61 della Costituzione. E col terzo comma noi abbiamo approvato – e mi pare (posso sbagliare) che abbia votato anche lei con la maggioranza dell’Assemblea – questa norma: «Le deliberazioni delle Camere non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti». A maggioranza e non a parità; e maggioranza era appunto, nel caso di ieri, il 181 mancato in confronto del 180 ottenuto: 181 era la maggioranza, 180 la metà; e una metà non ha mai significato approvazione.
Questo dovevo dirle, dato che lei ha creduto opportuno – e ne aveva il diritto – di riprendere una questione che ritenevo chiusa.
CODACCI PISANELLI. Non so se mi sia consentito di aggiungere qualche considerazione.
PRESIDENTE. Dica, onorevole Codacci Pisanelli.
CODACCI PISANELLI. Volevo osservare che a proposito del precedente invocato dal l’onorevole Presidente, si tratta di una votazione su un emendamento; e, in quanto emendamento, non ho niente da dire.
COSTANTINI. È lo stesso!
CODACCI PISANELLI. Non mi pare – se non ricordo male – che si trattasse di una votazione relativa proprio al testo della Costituzione.
Quanto all’invocazione del testo del Mancini e Galeotti, sono d’accordo circa il valore da attribuirgli, ma si tratta, in fondo, dell’opinione di un giurista e non di una disposizione legislativa. D’altra parte, quello che io avevo fatto presente è la particolare situazione in cui noi ci troviamo: non si tratta di un normale progetto di legge; è un progetto formulato dagli stessi membri di questa Assemblea. (Commenti a sinistra). Trattandosi, quindi, di una situazione completamente diversa dal solito, io credo che dovremmo venire ad una conclusione differente, in quanto che, probabilmente, la conclusione di una Commissione specializzata, la quale ha tenuto lunghe sedute al riguardo e si è occupata di proposito dei singoli articoli e delle parti di essi, potrebbe ritenersi prevalente nel caso in cui si trovi nella posizione di perfetta parità dei voti.
COSTANTINI. Questa è la disintegrazione atomica del consenso.
PRESIDENTE. Non perché voglia essere io a dire l’ultima parola ma, mi permetto di osservarle che questa Assemblea, nel momento in cui si è inizialmente convocata, ha adottato un Regolamento, e non ha detto affatto che, dato il modo particolare con cui avrebbe proceduto alla preparazione del materiale da sottoporre alle proprie discussioni, avrebbe proceduto alle votazioni in modo diverso da quello indicato nel Regolamento adottato.
Lei ha una via aperta, onorevole Codacci Pisanelli: proponga una modifica al Regolamento; e se l’Assemblea l’accetterà, non osserverà più le norme di quel Regolamento che, per intanto, è ancora oggi il suo.
Le farò ancora presente che, quando stamani abbiamo votato l’articolo 61, abbiamo accettato che vi si dicesse: «Le deliberazioni delle Camere». Ora una deliberazione è un voto che verte su di una questione di procedura del Regolamento, su di un progetto di legge, su di un ordine del giorno, su di una mozione, ecc. Tutto ciò è sempre deliberazione. E la decisione di stamane non ha fatto distinzioni che innovino, al proposito.
Comunque, ripeto che, se vuole, può presentare una proposta di modifica del Regolamento, che la Giunta prenderà tosto in esame.
Se non vi sono altre osservazioni il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Stamane gli onorevoli Benvenuti, Bettiol e altri, hanno presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’articolo 63, che abbiamo approvato stamane:
«Contro la decisione di ciascuna Camera i deputati e i senatori possono ricorrere per violazione di legge alla Corte costituzionale».
Poiché lo stesso onorevole Benvenuti, presentando l’emendamento, ha fatto presente che l’Assemblea non ha ancora deliberato in ordine alla Corte costituzionale, teniamo in sospeso questo emendamento aggiuntivo, che esamineremo quando si tratterà della Corte costituzionale.
Riprendiamo dunque il nostro esame all’articolo 64, al quale non sono stati presentati emendamenti. Se ne dia lettura.
DE VITA, Segretario, legge:
«Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 64.
(È approvato).
Passiamo all’articolo 65. Se ne dia lettura.
DE VITA, Segretario, legge:
«I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».
«Nessun membro del Parlamento può, senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, essere sottoposto a procedimento penale, ne arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione domiciliare, salvo il caso di flagrante delitto, per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura.
«Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento, in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile».
PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato a. questo articolo il seguente emendamento:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«I membri del Parlamento non possono essere perseguiti in via giudiziaria, né amministrativa o disciplinare, per le opinioni politiche espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni».
L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.
MORTATI. Il mio emendamento ha lo scopo di chiarimento formale, perché mi sembra che la formula adottata dalla Commissione non sia molto felice, in quanto dice genericamente che «non possono essere chiamati a rispondere». Ora, dicendo «rispondere», si può ritenere che si sia irresponsabili anche politicamente. Questa è una formula generica, mentre invece, se si vuole specificare meglio il significato della norma, sarebbe opportuno chiarire che la responsabilità a cui si è sottratti è quella che ha carattere giuridico, sia penale che civile e amministrativo. A questo scopo tende il mio emendamento.
PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:
«Al primo comma, alla parola: opinioni, aggiungere la parola: espresse, e alla parola: espressi, sostituire la parola: dati».
L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.
COLITTO. Nel testo del progetto si parla di opinioni e di voti espressi. Poiché mi sembra che le opinioni si esprimono ed i voti si danno, io ho proposto che la dizione del progetto sia sostituita da quest’altra «opinioni espresse e voti dati».
PRESIDENTE. Gli onorevoli Ghidini, Rossi Paolo, Di Gloria, Vigorelli, e Grilli hanno presentato il seguente emendamento:
«Nessun membro del Parlamento può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale sono obbligatori il mandato o l’ordine di cattura; né può essere sottoposto a procedimento penale senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene».
In sostituzione del primo firmatario, l’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di svolgere l’emendamento.
ROSSI PAOLO. L’emendamento che sosteniamo è dovuto alla diligenza dell’onorevole Ghidini, il quale ha rilevato due notevoli imprecisioni nel testo della Commissione. La prima è: così come l’articolo è redatto, si potrebbe ritenere che, pur non potendo il deputato essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, salvo il caso di flagrante delitto, per cui è obbligatorio il mandato di cattura, potrebbe essere sottoposto a procedimento penale quando si tratti di reato per cui sia obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura.
Se i colleghi hanno la bontà di seguire il testo, vedranno che c’è una incertezza, un certo equivoco, o per lo meno un equivoco che potrebbe determinare una incertezza di interpretazione, perché si potrebbe ritenere che il deputato possa essere sottoposto a tali provvedimenti senza l’autorizzazione della Camera, nel caso in cui sia perseguito per un delitto per il quale è obbligatorio il mandato di cattura. Nel testo dell’emendamento questo dubbio è eliminato.
Un altro dubbio potrebbe sorgere dal testo della Commissione, quando si parla di flagrante delitto e si riconosce che nel caso di flagrante delitto è lecito l’arresto e la perquisizione domiciliare.
Nel nostro emendamento non si parla più di flagranza por evitare possibili questioni sul concetto di essa. Tutti ricordano infatti le discussioni ripetute che si sono avute in ordine alla precisazione di questa nozione. Si è parlato della flagranza, della semi-flagranza, dell’uomo inseguito dal pubblico clamore, e ci sono state sentenze e discussioni a questo proposito.
L’emendamento Ghidini, che io ho l’onore di presentare, elimina le discussioni in merito, sostituendo a questa frase incerta, intorno alla quale si è troppe volte vanamente discusso, l’altra frase più precisa: «Salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto».
Con questa frase tutte le questioni suddette sono tolte di mezzo.
Quindi io mi permetto di raccomandare ai voti dell’Assemblea questa formula, come più precisa e concreta.
PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia unitamente agli onorevoli Vigna, Laconi, Nobili Tito Oro, Tonello, Tega e Grieco ha presentato il seguente emendamento:
«Al secondo comma, dopo la parola: «perquisizione», aggiungere: «personale o».
L’onorevole Stampacchia ha facoltà di svolgerlo.
STAMPACCHIA. Si tratta di riparare ad una evidente distrazione della Commissione, la quale non ha ricordato che la perquisizione può essere personale, oltre che domiciliare. E ciascuno che ne ha esperienza ben ricorda che ciò che offendeva di più la nostra sensibilità non era tanto la perquisizione domiciliare quanto quella personale, allorché lo sbirro frugava sulla persona del perquisito, mettendogli le mani addosso per verificare se per caso non vi fosse il contrabbando.
Ripeto che si tratta di una evidente distrazione della Commissione, sicché mi pare necessario ripararvi, aggiungendo la perquisizione personale ai casi in cui è necessaria l’autorizzazione della Camera contemplata dall’articolo in discussione.
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione su questi emendamenti.,
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dirò molto rapidamente. Gli emendamenti proposti sono quasi tutti di forma ed hanno piccolissima importanza.
L’onorevole Colitto propone che invece di dire che i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere «delle opinioni e dei voti espressi» si dica «delle opinioni espresse e dei voti dati». Tutte le questioni di forma dovrebbero essere rimandate alla elaborazione finale. Quelle proposte fin da adesso possono essere accolte, senza più pregiudizio di eventuali revisioni, che si possano rendere necessarie per criteri generali e complessivi, nella detta elaborazione. Con questa riserva accolgo l’emendamento Colitto.
L’onorevole Ghidini, oggi assente, ha presentato, insieme ad altri colleghi, un emendamento piuttosto vasto. Per quanto riguarda la chiarificazione formale non sono del tutto d’accordo con l’onorevole Paolo Rossi, perché potrebbero sorgere dubbi anche da questo emendamento; ad esempio, mettendo alla fine le parole «senza autorizzazione della Camera» potrebbe sembrare che essa sia richiesta solo per l’ultima parte – arresto – e non per la prima – processo – dell’articolo in esame. Non credo che l’onorevole Rossi avrà difficoltà a consentire che la redazione formale sia definitivamente concordata, con lo stesso onorevole Ghidini, in sede di Comitato.
Si terrà allora presente anche la modifica più sostanziale, sulla «flagranza di reato». L’onorevole Ghidini propone di escludere i casi cosiddetti di quasi-flagranza, come quando il colpevole fugge, inseguito dal pubblico clamore e di limitarsi a quando il colpevole è colto proprio nell’atto di commettere il reato. La limitazione è ispirata ad una maggior garanzia dell’istituto parlamentare, e – sentiti anche altri colleghi competenti in materia penale – il Comitato non ha difficoltà ad accettarla; ma si riserva di formulare tutti, anche questi punti – in un testo definitivo.
L’aggiunta dell’onorevole Stampacchia, – perquisizione personale oltre che domiciliare – è compresa nella proposta Ghidini: e ne segue le sorti.
Per quanto riguarda l’emendamento Mortati, credo che sarebbe opportuno conservare la vecchia dizione «rispondono» che ha un significato. Sarebbe un rimpicciolirlo, sostituendovi la casistica minuta dell’onorevole Mortati. La costituzione non è soltanto un codice od una legge. È qualcosa di più. Le sue parole hanno un valore che è anche etico politico, di portata giuridica, ma in un senso più ampio; né occorre ricordare che in diritto pubblico hanno vigore anche principî e criteri generali. Prego l’onorevole Mortati di non insistere nella sua proposta.
PRESIDENTE. L’onorevole Mortati mantiene il suo emendamento?
MORTATI. Limito l’emendamento alla sostituzione, nel primo comma, della parola: «perseguiti per le» alle parole: «chiamati a rispondere delle».
PRESIDENTE. Allora per l’emendamento Ghidini, svolto dall’onorevole Rossi Paolo, vi è stato l’accordo fra il proponente e la Commissione. Quello dell’onorevole Stampacchia si può ritenere assorbito dall’emendamento Ghidini, del quale la Commissione farà quel saggio uso che riterrà opportuno.
La Commissione accetta l’emendamento modificato dell’onorevole Mortati?
RUINI, Presidente delle Commissione per la Costituzione. Il Comitato preferisce «rispondere», che è più solenne, più tradizionale, e più ampio; mentre «perseguito» potrebbe non estendersi alla responsabilità civile. Il concetto da considerare è quello di «responsabilità». Ma la questione è di scarsa importanza; e – per evitare contrasti con perdita di tempo – lascia all’Assemblea di decidere.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma con l’emendamento Mortati che sostituisce alle parole: «chiamati a rispondere delle» la parola: «perseguiti per le».
(È approvato).
RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per il secondo comma, la Commissione accetta la sostanza dell’emendamento Ghidini, salvo la revisione e la formulazione definitiva dell’intero comma.
PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma nel testo della Commissione, salvo impegno, da parte della Commissione, ad inserire nel testo, a proposito della questione della «flagranza», la formula dell’emendamento Ghidini; ed anche l’indicazione sopra la perquisizione personale contenuta nell’emendamento Stampacchia.
(È approvato).
Pongo in votazione il terzo comma.
(È approvato).
L’articolo 65 risulta, nel suo complesso, così approvato, con la riserva relativa al secondo comma:
«I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
«Nessun membro del Parlamento può, senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, essere sottoposto a procedimento penale, né arrestato, e altrimenti privato della libertà personale, e sottoposto a perquisizione domiciliare, salvo il caso di flagrante delitto, per il quale è obbligatorio il mandato e l’ordine di cattura.
«Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento, in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile».
Passiamo all’articolo 66. Se ne dia lettura.
DE VITA, Segretario, legge:
«I membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge».
PRESIDENTE. È stato presentato un emendamento da parte dell’onorevole Calamandrei, del seguente tenore:
«Sostituirlo col seguente:
«I componenti del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge, che può essere determinata in misura più alta per coloro che non abbiano altri redditi.
«Ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nella Amministrazione pubblica centrale o locale, né in enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato; l’accettazione di uno di tali incarichi è causa di decadenza dall’ufficio parlamentare.
«Solo in caso di pubblica utilità detti incarichi possono essere conferiti per nomina deliberata da ciascuna Camera».
L’onorevole Calamandrei ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
CALAMANDREI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento si compone di tre commi, che sono il frutto di una unica ispirazione; la quale – ve lo dico sinceramente – deriva dall’esperienza che io ho avuto, e voi avete avuto con me, del funzionamento della Commissione degli undici.
Onorevoli colleghi, io non se voi abbiate una impressione, che io ho vivissima: cioè che l’opinione pubblica non ha, in questo momento, molta simpatia e molta fiducia per i deputati. Vi è intorno a noi un’atmosfera, che tutti quanti avvertiamo, di sospetto e di discredito.
Fondamentalmente al centro di questa atmosfera c’è la convinzione diffusa, che molte volte l’esercizio del mandato parlamentare, il quale è conferito per il raggiungimento di scopi di pubblico interesse, possa servire a mascherare il soddisfacimento di interessi personali; e diventi un affare, una professione, un mestiere.
Ora, nella massima parte dei casi questa impressione dell’opinione pubblica, è sbagliata. Ma ci sono profonde ragioni che potrebbero spiegare perché è sorta: ragioni che in parte risalgono lontano, ed in parte anche al ventennio trascorso. Oggi l’opinione pubblica scarica su di noi il disprezzo accumulato in venti anni contro gli uomini politici del fascismo, contro i «gerarchi». Noi siamo gli innocenti parafulmini delle malefatte dei gerarchi del ventennio fascista. Ma ad accrescere questa opinione sfavorevole ha contribuito, io credo, recentemente anche l’inchiesta della Commissione degli undici, la quale, se per i casi concreti presi in esame ha dato risultati sodisfacenti – come sempre è sodisfacente il risultato, quando accerta la inesistenza di accuse lanciate contro parlamentari – però, per il modo con cui la Commissione ha funzionato ha dato l’impressione che sotto inchiesta fosse tutta quanta la Camera. Sicché nell’opinione pubblica si è andata diffondendo la convinzione che le accuse, lanciate contro alcuni, colpivano, per la loro indeterminatezza, tutti noi e che proprio per questo non hanno avuto nella relazione della Commissione una risposta esauriente. Tuttavia, il funzionamento della Commissione degli undici ha avuto almeno un risultato favorevole e benefico: quello di dimostrare, direi quasi sul tavolo sperimentale, quali possono essere le vie attraverso cui la corruzione può penetrare nei meccanismi parlamentari. Anche se la Commissione ha accertato che nei casi concreti questo non era avvenuto, l’indagine ha potuto dimostrare come questo potrebbe avvenire; e quindi può essere utile, facendo tesoro di questa esperienza, guardare, per quel poco che possono fare le leggi, là dove soprattutto vale il costume, come si possa chiudere alcuna di queste via di infezione che minacciano l’ordinamento. Il primo comma modifica l’articolo 66 del progetto «I membri del Parlamento ricevono una indennità, fissata dalla legge» in quest’altro testo: «I componenti del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge, che può essere determinata in misura più alta per coloro che non abbiano altri redditi».
Qui vi è un problema, che riguarda tutti noi: quanta parte della propria attività il deputato deve dare alla esplicazione del mandato parlamentare? Deve dedicarla tutta e inibirsi ogni altro lavoro, o è opportuno che egli continui ad esercitare la sua professione? E nel caso che vi siano deputati, i quali dedicano tutta la loro attività al mandato parlamentare, ed altri che invece ne dedicano soltanto una parte, perché continuano a fare i professionisti, è giusto che l’indennità sia uguale per gli uni che negli altri? Vi sono certe professioni (chi vi parla, è un avvocato e quindi non è persona sospetta, se egli stesso lo dice) per le quali tradizionalmente, si ritiene, anche se non è sempre esatto, che l’esercizio del mandato parlamentare rappresenti un aumento di decoro e quindi di reddito professionale, quasi un complemento naturale della professione; in modo che dall’esercizio del mandato parlamentare, il professionista non solo non ha una perdita, che meriti di essere compensata con indennità, ma in sostanza può alla fine avere un guadagno.
Ma possono esserci casi anche più tipici: di uomini di affari, per i quali il mandato parlamentare costituisce una specie di biglietto d’ingresso ai Ministeri, per ottenere agevolazioni nella conclusione dei loro affari, che non otterrebbero se non fossero deputati.
Si potrebbe arrivare anche alla misura draconiana di vietare ai deputati l’esercizio di qualsiasi altra attività.
Ma non credo che questo sarebbe in sostanza giovevole alle stesse istituzioni parlamentari: che i deputati diventino mestieranti retribuiti della politica, funzionari di partiti che abbiano nell’esercizio del mandato parlamentare la loro professione o il loro mestiere, non credo che questo sia augurabile per innalzare il prestigio delle istituzioni parlamentari. D’altra parte una quantità di professionisti posti dinanzi al bivio tra scegliere la deputazione e la professione, non esiterebbero un istante a scegliere questa seconda via, non soltanto per ragioni di guadagno, ma anche per ragioni più alte, di carattere spirituale, per attaccamento alla propria vocazione e ai propri studi. E così si sottrarrebbero alle Assemblee legislative gli uomini più competenti. Credo per questo che in via migliore sia quella di adottare l’emendamento che ho proposto: se ci sono deputati, parlo soprattutto dei deputati appartenenti a certe categorie di lavoratori, come gli operai, gli impiegati, i contadini, che assumendo il mandato parlamentare vengono necessariamente a dedicare ad esso tuttala loro attività, sia loro conferita una indennità superiore a quella conferita a coloro i quali dal mandato parlamentare ricevono indirettamente un vantaggio professionale, e quindi patrimoniale.
Altri due commi dell’emendamento si riferiscono a quella materia delicatissima degli incarichi conferiti dal Governo o dalle pubbliche amministrazioni a deputati in carica (se non addirittura, come talvolta si è visto a Sottosegretari o a Ministri che fanno parte dello stesso Governo).
Non vi ricorderò come questa sia stata una delle materie più dibattute in seno alla Commissione degli undici e come questo sia in astratto uno degli aspetti che bisogna tener presenti quando si voglia, come vi dicevo, chiudere le vie più pericolose attraverso le quali la corruzione penetra nei meccanismi parlamentari. Divieto assoluto, secondo me, di conferire incarichi pubblici ai deputati in carica: non solo incarichi pubblici di nomina governativa, ma anche incarichi pubblici nelle amministrazioni locali. La formula che vi propongo è questa: «ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nell’Amministrazione pubblica centrale o locale, né in Enti pubblici soggetti al controllo dello Stato. L’accettazione di uno di tali incarichi è causa di decadenza dall’ufficio parlamentare».
Possono esservi però casi in cui, in via assolutamente eccezionale, si riconosce che nel Parlamento c’è l’uomo tipicamente competente al quale lo stesso interesse pubblico consiglia di affidare un incarico pubblico retribuito. In questi casi l’ultimo comma dell’emendamento disporrà, se voi lo accetterete, che «solo in caso di pubblica utilità detti incarichi possono essere conferiti per nomina deliberata da ciascuna Camera», (non si intende, per nomina governativa).
LUCIFERO. Chiedo di parlare sull’emendamento dell’onorevole Calamandrei.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Confesso che, quando ho letto l’emendamento dell’onorevole Calamandrei, sono rimasto trasecolato; quando l’ho sentito illustrare ho trasecolato, se era possibile, ancora di più, perché, in verità, io l’emendamento, tra le altre cose, non l’avevo capito quando l’ho letto ed ho finito per non capirlo affatto quando lo ha illustrato l’onorevole Calamandrei. (Commenti).
Ho avuto l’impressione precisa, leggendo l’emendamento e sentendo parlare l’onorevole Calamandrei – e l’impressione è stata più profonda, dato che, come modesto giurista, ho una stima grandissima di quel grande giurista che è l’onorevole Calamandrei – ho avuto l’impressione precisa (l’onorevole Calamandrei mi perdoni) che questo emendamento e la sua illustrazione fossero stati ugualmente dettati da un complesso di inferiorità; da quello stesso complesso di inferiorità che fece prendere a questa Camera la deliberazione affrettata della costituzione di quella Commissione degli undici, alla quale l’onorevole Calamandrei si è riferito; quello stesso complesso di inferiorità per il quale molti, che non avevano nessuna ragione di rispondere a quella Commissione, perché nessuno li aveva messi menomamente in causa, hanno ugualmente risposto; il complesso di inferiorità di chi non trova appagamento nella tranquillità della propria coscienza.
Onorevoli colleghi, va bene che noi siamo di fronte al pubblico, ma noi siamo di fronte al giudizio del pubblico e non a disposizione delle calunnie del pubblico. E noi non facciamo altro che asservirci a qualunque calunniatore ed a qualunque ricattatore che, individualmente o collegialmente, voglia farci paura per ottenere non si sa che cosa o, molto spesso, si sa che cosa; e soprattutto per gettare discredito sugli organi massimi della democrazia, che noi tanto faticosamente stiamo ricostruendo in Italia.
Questo è il complesso di inferiorità contro il quale mi ribello.
Io non sono professionista, onorevole Calamandrei, ma vi dico questo: non voglio un Parlamento di plutocrati, di vagabondi o di stipendiati di partito. Io aspiro ad un Parlamento di uomini liberi, e gli uomini liberi non sono né fra i ricchi, né fra gli stipendiati; perché i ricchi sono servi del loro danaro e gli stipendiati sono servi di chi li paga. E noi abbiamo bisogno di deputati liberi, e questo lo possiamo ottenere solo se questi deputati potranno fare i deputati con serenità di coscienza, senza andare a cercare di essere pagati da qualcuno o da qualche cosa.
Noi escludiamo con questo emendamento tutta questa gente che vive di determinato lavoro e che questo lavoro non può lasciare; noi escludiamo con questo emendamento una quantità di persone che si troverebbero in uno stato di inferiorità. Perché, chi è che va alla Camera a mendicare uno stipendio superiore? Ogni uomo ha il suo decoro. Noi dobbiamo stabilire un criterio paritetico. Credo che il più povero di noi non sarebbe disposto a firmare una domanda che gli assicuri 10 o 15 mila lire al mese di più del suo collega, perché si sentirebbe in uno stato di inferiorità.
Manteniamo quelle che sono le vecchie tradizioni. Non possiamo chiedere a della gente che lavora, che sospenda la propria attività per un periodo di cinque anni, perché quando andrà a riprenderla si troverà che dovrà ricominciare daccapo.
Noi non possiamo dire, come qui è scritto: «Enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato». Onorevole Calamandrei, lo dicessi ancora io che sono da questa parte della Camera, che sono un liberale; ma lei è seduto alla sinistra. Voi volete un’economia generale controllata. Dove sarà più l’ente che non sia controllato dallo Stato? Ma se già tutto è controllato dallo Stato! E le banche, e le miniere, e l’agricoltura, e le industrie, e i commerci, e i traffici: tutto è controllato dallo Stato. Ma volete fare la Camera dei vagabondi? Per ognuno, si potrà sollevare l’eccezione. Io credo che dovremmo ricordarci come è sorta l’indennità parlamentare, che non è uno stipendio. E mi permetta la Camera di ricordarlo. Quando il suffragio universale allargò ancora le porte del Parlamento in Italia diventarono più frequenti delle figure che forse non sono illustri come dovrebbero essere illustri, figure soprattutto, di quei banchi (Accenna a sinistra) come l’onorevole Chiesa, come alcuni altri; quei deputati che la sera pigliavano (parlo di Chiesa il socialista) il treno e scendevano a Chiusi per essere di nuovo la mattina a Roma e non pagare una camera d’albergo, che costava due lire; quei deputati che si cuocevano due uova sul davanzale delle finestre della Camera nascondendosi ai commessi che cercavano di richiamarli all’ordine perché sporcavano coi giornali bruciati; quei deputati che molti di voi ricordano e che il pubblico non ricorda più. Ed allora fu stabilitoci dare non uno stipendio, ma una indennità. È vero che lo Statuto, il quale era elastico, diceva che la professione di deputato è gratuita, ma occorre pensare che se effettivamente lo slancio e la passione e l’amor patrio che fanno fare il deputato non possono essere pagati, si può dignitosamente soccorrere alle necessità di un individuo. Oggi abbiamo visto per esperienza che, se vuole veramente compiere il suo dovere, il deputato deve lasciare tutto; quelli di noi che fanno parte di Commissioni lo sanno: sono entrati stamattina alle 9 e usciranno stasera non si sa a che ora, e così per giorni e giorni, e non c’è più professione, non c’è più lavoro. Non dobbiamo fare sperequazioni; non dobbiamo creare fra noi certe differenziazioni che vogliamo distruggere fuori; rifacciamoci alle origini. Purtroppo, o per fortuna, le indennità parlamentari sono tali che non spostano nulla per gli abbienti e che risolvono dei problemi soltanto per i veramente poveri. Ricordiamoci delle origini. Rispettiamo i più poveri; ricordiamoci dei più poveri; rigettiamo l’emendamento dell’onorevole Calamandrei e rimettiamoci a quello che la saggezza ha già istituito e che ha egregiamente funzionato. (Applausi al centro e a destra).
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Lucifero ha detto che non aveva compreso l’emendamento dell’onorevole Calamandrei. Io l’ho compreso ed è appunto per questo che debbo fare alcuni rilievi, e non posso accettarlo.
Non mi abbandonerò ai voli che, con la sua giovanile esuberanza, ha fatto l’onorevole Lucifero. Mi limiterò ad osservazioni modeste e concrete. La prima parte dell’articolo aggiuntivo Calamandrei è che la indennità può essere determinata in misura più alta per coloro che non hanno alti redditi. Due semplici osservazioni: la prima è che l’indennità non è uno stipendio, tanto è vero che non è soggetta a ricchezza mobile; è una indennità a rimborso di spese; ne deriva logicamente che dovrebbe essere conferita indipendentemente dalla situazione finanziaria di coloro cui è attribuita. La seconda è che, se andiamo nell’ordine di idee proposto dall’onorevole Calamandrei, dovremmo fare un ufficio di accertamenti delle finanze e dei redditi dei membri del Parlamento, una specie di ufficio imposte, magari con calcolo di bisogni ed assegni famigliari. Spero che l’onorevole Calamandrei si convinca che tutto ciò è praticamente impossibile.
Il secondo comma dell’articolo Calamandrei dice che ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nella Amministrazione pubblica centrale o locale, né in Enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato senza che portino alla decadenza dall’ufficio parlamentare. Osservo in linea preliminare che, anche se non nelle proporzioni a cui ha accennato un po’ fantasiosamente l’onorevole Lucifero, l’intervento economico dello Stato si è sviluppato largamente; e può convenire che alle gestioni economiche dirette o indirette dello Stato siano chiamati a partecipare anche membri del Parlamento. La dizione usata dall’onorevole Calamandrei è ad ogni modo non precisa; e potrebbe da un lato impedire una nomina per concorso, ad esempio a professore; e dall’altro colpire un semplice incarico, ad esempio di una perizia professionale. Comunque sia, non è accettabile il criterio che ogni e qualunque incarico retribuito porti automaticamente alla decadenza. Il testo costituzionale da noi approvato rinvia alla legge la determinazione dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità, e noi – accogliendo un punto di un altro emendamento Calamandrei – abbiamo aggiunto che le Camere giudicano anche delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Rinviamo dunque alla legge, che è la sede più opportuna, l’esame e la decisione se e quando nuovi incarichi retribuiti siano da considerarsi fra tali cause. La legge, e lo stesso Regolamento delle Camere, potranno stabilire altre cautele e norme, ad esempio che degli incarichi debba darsi comunicazione alla Camera o al suo Ufficio di Presidenza, e che magari occorra un’autorizzazione. Ma decidere oggi, senz’altro, nella forma drastica che ci è proposta, non mi sembra opportuno. Aggiungo che – tenendo presenti gli scrupoli e gli intenti, che hanno un giusto fondamento, dell’onorevole Calamandrei, di purificare da ogni sospetto la vita pubblica – bisognerebbe anche, nella nuova legge, considerare, se è possibile, i casi di incarichi, ben più rimunerativi di quelli statali, da parte di società ed imprese private.
Infine, per l’ultimo comma dell’articolo Calamandrei, osservo che la formula usata di «nomina da parte della Camera» non può reggere. La Camera può aver comunicazione; può dar autorizzazione; ma che nomini essa è un assurdo. L’altissima coscienza giuridica dall’onorevole Calamandrei lo riconoscerà.
Per queste ragioni non possiamo accogliere il suo articolo.
PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, mantiene il suo emendamento?
CALAMANDREI. Ritiro, dopo le osservazioni dell’onorevole Lucifero, il primo comma, ma sul secondo e sul terzo comma dell’emendamento insisto, e credo che alcuni colleghi proporranno l’appello nominale.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Oltre alla sostanza, non può andare la forma del suo testo, onorevole Calamandrei.
UBERTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UBERTI. Sono decisamente contrario a tutte le limitazioni all’esplicazione del mandato parlamentare, perché, altrimenti, rischiamo di creare una posizione diversa fra cittadino e cittadino. Questa disposizione potrebbe applicarsi – se venisse approvata – anche ad un assessore comunale, a un sindaco di un Comune, il quale ha un’indennità e non potrebbe più essere sindaco; vi è poi il caso dei professori – non solamente quelli universitari, i quali possono magari svolgere ugualmente il loro compito – ma professori di scuole medie, insegnanti elementari, che hanno pure diritto di poter essere presenti in questa Assemblea.
E poi vi sono numerose altre categorie che hanno qualche incarico, anche pubblico, per cui in sostanza, si vedrebbero a preferire solo coloro che hanno abbracciato la carriera di avvocato e che con la loro qualità di deputati possono domani difendere delle cause importantissime, proprio perché questa carica ha dato loro un lustro particolare.
Anche di fronte a queste considerazioni mi sembra che una proposta di questo genere non sia assolutamente accettabile.
Credo che l’unica sanzione sia quella dell’opinione pubblica, quella del popolo, il quale, se trova che un suo rappresentante non ha agito corrispondentemente alle norme della correttezza e della giustizia, potrà non rieleggerlo. Ci sarà la sanzione popolare, che è l’unica, la vera; saranno gli elettori che non rieleggeranno quei deputati che non hanno fatto come meglio avrebbero potuto e dovuto.
Ora, per queste ragioni, ritengo che questo emendamento non possa essere accolto, e ve lo dico io che non ho nessun incarico e che ho cercato semplicemente di svolgere in questa Assemblea nel modo migliore il mio compito, cercando di essere sempre presente e rinunziando a qualsiasi provento. Io dico che, proprio per questo, è assolutamente necessario non fare alcuna discriminazione fra deputato e deputato, perché rischieremmo di commettere ingiustizie profonde ai danni di qualche categoria di deputati.
Se esaminiamo a fondo la questione, vediamo che vi sono delle situazioni talmente diverse, talmente complicate, che non è possibile mettere una norma di questo genere nella Costituzione.
Ci sarà la legge elettorale e lì potremo meglio specificare e vedere se vi siano da prevedere determinate incompatibilità; ma mettere nella Costituzione una disposizione di questo genere non solamente determinerebbe sperequazioni profonde, ma suonerebbe anche disistima, verso il popolo, in quanto sarebbe come insinuare che esso non arriva a saper scegliere quelli che sono più degni di essere i suoi rappresentanti. (Applausi).
GASPAROTTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GASPAROTTO. Dichiaro di votare il testo della Commissione. Riconosco bensì necessario che una legge precisi le incompatibilità parlamentari; riconosco che è opportuno che coloro i quali si presentano come candidati alla deputazione sappiano sino da quel momento di fronte a quali incompatibilità vanno incontro; ma non convengo con l’onorevole Calamandrei che oggi, così affrettatamente, si decida tanto delicata materia che porta a ripercussioni economiche e morali profonde.
Onorevole Calamandrei, la questione è ben più complessa di quel che non si rilevi dal testo del suo emendamento. Io mi limiterò a ricordare – ed è tradizione nobilissima del nostro Parlamento – che nel 1919 la Camera dei Deputati votò all’unanimità un semplice ordine del giorno su proposta di Eugenio Chiesa, con il quale si riteneva incompatibile per i deputati l’esercizio professionale dell’avvocatura nelle cause in cui lo Stato fosse parte o avesse comunque degli interessi.
Ebbene, senza che questo ordine del giorno venisse mai convertito in legge, il Parlamento italiano lo ha sempre scrupolosamente rispettato, fino all’avvento del fascismo. Vi era anzi qualcuno che eccepiva l’incompatibilità generica fra l’esercizio del mandato parlamentare e l’esercizio dell’avvocatura, in quanto – si diceva – che da parte del deputato influente si sarebbe potuto esercitare un’indebita pressione sull’autorità giudiziaria.
Sono argomenti questi, onorevoli colleghi, che vanno trattati con ponderazione e larghezza d’indagini; soprattutto si dove valutare il fatto che non si può limitare eccessivamente l’attività privata del deputato, per evitare il pericolo che egli diventi un mestierante della politica. Si diceva infatti un tempo, che il deputato, prima ancora di entrare in Parlamento, dove essere un cittadino che viva del proprio lavoro come tutti gli altri, tanto vero che l’indennità per un certo tempo non costituiva che un appena parziale rimborso di spese.
Temo che approvando l’emendamento presentato dall’onorevole Calamandrei, si potrebbe rendere il deputato un professionista della politica, e quindi un elemento parassitario nella vita del Paese. Lasciamo quindi impregiudicata la questione della quale si parlerà nella discussione della legge elettorale. Vuol dire che da questa anticipata delibazione dell’argomento la Commissione competente trarrà argomento per presentare più meditate proposte.
BOZZI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOZZI. Onorevoli colleghi, io vorrei precisare un argomento formale che è stato delineato anche attraverso la discussione di questa mattina. Questa mattina – l’onorevole Calamandrei era assente, se non erro – noi abbiamo approvato l’articolo 62 in cui è detto che la legge determina i casi di incompatibilità con l’esercizio della funzione di deputato o di senatore. Ora, quanto è sancito nel testo dell’emendamento dell’onorevole Calamandrei si risolve in un caso di decadenza, e io non vedo perché noi questa specifica figura la dobbiamo fissare nella Costituzione, mentre tutte le altre cause di ineleggibilità e di incompatibilità, che possono anche essere gravi, le dobbiamo rinviare alla legge.
Io credo che la legge è la sede opportuna, perché tutte le figure di ineleggibilità e di incompatibilità preventive o successive di decadenza siano previste, anche perché la legge ha una maggiore mobilità della Costituzione. Mentre la Costituzione è qualche cosa che deve, o dovrebbe, restare senza modificazioni più a lungo possibile, la legge subisce le influenze dei tempi, delle visioni politiche che mutano, e quindi può meglio adattarsi alle diverse situazioni. Cosicché quello che diceva l’onorevole Ruini acquista veramente rilievo, perché oggi esiste, si può dire, un controllo dello Stato su tutti gli enti. Infatti, chi ha pratica di cose di diritto, sa quanto è difficile stabilire se ci sia il controllo e la vigilanza, e dove sia questo controllo. Si tratta di questioni molto astruse, perché oggi lo Stato interviene dappertutto, oggi non vi sono limiti alla sfera di ingerenza dell’attività statale nell’attività privata. Qual è oggi l’ente che, in un certo senso, non si possa dire che sia controllato dallo Stato?
Io credo che questi problemi seri e meritevoli di studi profondi, che sono stati sottoposti al nostro esame dalla proposta dell’onorevole Calamandrei, vadano risolti in quella legge speciale che si occuperà delle cause di ineleggibilità e incompatibilità.
BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BADINI CONFALONIERI. Io non ho trasecolato come l’amico Lucifero; ho cercato di rendermi conto dei motivi che potevano aver indotto l’onorevole Calamandrei a proporre il suo emendamento. E francamente, pur mettendomi nella sua direzione di pensiero, non sono riuscito a comprendere quella diversità che nella sostanza si sarebbe venuta a creare tra coloro che accettano incarichi statali o parastatali, o come li si voglia chiamare, e coloro i quali accettano incarichi da società private, che non sono i meno lauti e che anzi, il più delle volte, sono i meglio retribuiti.
D’altra parte, devo dire all’onorevole Calamandrei che sono completamente scettico sulla possibilità di fissare attraverso delle disposizioni di legge l’onestà di un Parlamento. Io penso che questa onestà debba vivere nella coscienza degli uomini e che, comunque, la legge è assolutamente insufficiente e assolutamente inidonea a questo fine.
Collimo, poi, con le osservazioni fatte dai precedenti oratori.
Per questi motivi, voterò contro l’emendamento Calamandrei.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Se il collega onorevole Calamandrei avesse conservato il primo emendamento al primo comma, io, in coscienza, per la parte centrale dell’emendamento che comincia dalle parole «Ai componenti del Parlamento» e finisce con «ufficio parlamentare», avrei votato a favore.
Ma dicendosi «‘incarichi retribuiti» a me pare che ciò non significhi includere il caso dei professori universitari, dei professori di liceo o di ginnasio, ecc., perché quelli non sono incarichi. «Incarico», se non mi sbaglio – e il collega onorevole Calamandrei può correggermi – vuol dire tutt’altra cosa. Incarico, secondo me, è per esempio quello di un presidente del consiglio d’amministrazione di una società industriale, o di un consigliere delegato, ecc., ecc.
Mi pare che questo sia il caso dell’incarico. Quindi, in coscienza, io voto a favore di questa parte. Però, non mi pare che sulla questione si debba chiedere l’appello nominale, perché colleghi e amici miei su questo la pensano differentemente e votano quindi in modo differente. Il che mi fa immediatamente comprendere che l’appello nominale non ha più alcun significato.
Perciò vorrei pregare i colleghi, che intendevano su questo chiedere la votazione per appello nominale, di non presentare più tale richiesta.
PRESIDENTE. C’è anche una richiesta di scrutinio segreto, onorevole Lussu!
LUSSU. E pregherei anche i colleghi che hanno presentato questa richiesta di ritirarla.
COLITTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLITTO. Mi associo ai rilievi fatti dall’onorevole Lucifero e dagli altri colleghi.
Io credo che il deputato abbia due luci che devono illuminargli la vita: la propria coscienza e l’interesse del corpo elettorale. Sono due luci che costituiscono insieme due limiti.
Ora, se questi limiti sono stati rispettati, il deputato è libero di fare quello che egli crede e di assumere incarichi che la sua probità e la sua sensibilità gli permettono di accettare. Ecco le ragioni per le quali io dichiaro di votare contro l’emendamento.
RODI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RODI. Mi associo a quanto ha brillante mente detto l’onorevole Lucifero ed aggiungo che l’onorevole Calamandrei è partito da un presupposto, secondo me, errato, poiché egli ha sostenuto che l’Assemblea Costituente è circondata da un grande discredito.
Ora io affermo invece, che il popolo italiano segue attentamente il nostro lavoro e penso quindi, che la valutazione dell’onorevole Calamandrei sia del tutto soggettiva.
Per questo io voterò contro l’emendamento Calamandrei.
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Onorevoli colleghi, mi associo all’osservazione fatta dall’onorevole Bozzi che – in base all’articolo 62, che noi abbiamo già approvato – questa materia dev’essere regolata dalla legge speciale.
Ricordo a me stesso il tenore dell’articolo 62: «la legge determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore».
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E aggiunge: «e le cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità».
TARGETTI. Però, siccome si potrebbe essere d’accordo di rinviare alla legge elettorale, tanto essendo contrari quanto essendo favorevoli ai concetti che hanno ispirato l’emendamento dell’onorevole Calamandrei, per ciò che mi riguarda (e coerentemente a quello che ho avuto occasione di sostenere nei lavori della seconda Sottocommissione), in massima io sono favorevole alle preoccupazioni che ispirano l’emendamento dell’onorevole Calamandrei.
Bisogna tener presente che, di ciò che egli ha detto, nella illustrazione del suo emendamento, non tutto è stato incluso nell’emendamento stesso. A proposito dell’esercizio della professione dell’avvocato, si potrebbe aggiungere anche l’esercizio di qualche altra professione. Anzi vorrei dire che, tolta la professione del medico, quasi tutte le altre professioni offrono vantaggi e facilitazioni a chi le esercita ricoprendo la carica di deputato. E non solo le professioni: ma vi sono tante altre forme di attività sociale, che purtroppo ricevono queste facilitazioni.
Tutti questi problemi però non sono considerati dall’emendamento Calamandrei che riguarda, come i colleghi sanno, dei fatti, delle ipotesi specifiche, le quali, articolate forse in un modo un po’ diverso, non possono non costituire casi di incompatibilità.
Per queste considerazioni io sono d’accordo che non sia questa la sede di regolare questa materia. Tuttavia ho ritenuto opportuno fare queste dichiarazioni e ribadisco che in linea di massima, io sono nell’ordine di idee dell’onorevole Calamandrei.
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.
RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire che non faccio mie alcune osservazioni che ho sentito echeggiare in questa discussione; che cioè non c’è niente da fare, e non si possono trovare norme per evitare gli inconvenienti accennati dall’onorevole Calamandrei; non c’è che la coscienza, il costume, eccetera. No; riconoscendo che le preoccupazioni dell’onorevole Calamandrei hanno un fondamento giusto e morale, credo che si debbano tener presenti in sede opportuna; e si debba cercare, per quanto è possibile, di trovare norme adatte. Credo che si debbano considerare non solo incarichi dello Stato, ma anche di società ed aziende private. Ma non si può mettere tutto ciò nella Costituzione; tanto meno nella formulazione Calamandrei, che si presta ai rilievi da me già fatti.
Penso che l’onorevole Calamandrei potrebbe tener presenti queste esplicite dichiarazioni del Comitato, fatte proprie dall’Assemblea; ed acconsentire ad un rinvio alla legge ed al Regolamento della Camera.
NITTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NITTI. Io prego l’Assemblea di mettere fine a questa discussione che è completamente inutile. Il testo dell’articolo è semplice e chiaro: non avrebbe dovuto dar luogo ad alcuna discussione. Esso dice soltanto, che i membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge. È questa una disposizione così chiara e così semplice che non meritava tutta questa dissertazione.
Di che discutiamo? Di cose assurde. I membri del Parlamento hanno diversa situazione: devono ricevere diverse indennità. Vi pare serio? E quale Parlamento mai ha discusso su questo?
Tutto al più può essere materia di regolamento, o di leggi speciali. Ma non si può in questa materia decidere in blocco con una disposizione costituzionale. Il fatto che i membri del Parlamento possono avere altre cariche non costituisce materia per le norme della Costituzione.
I membri del Parlamento possono avere altri uffici? In quale misura? Con quali limiti? Se ne discuterà in sede opportuna. Qui basta affermare che i membri del Parlamento hanno diritto ad una indennità. E finiamola con le assurde differenziazioni, come la differenziazione di tessera per il pane.
Credete che sia semplice discutere queste cose? Volete che non lo Stato, non il Governo, ma il nostro Parlamento decida, se si può, caso per caso. Mettiamo fine a queste discussioni che ci hanno fatto perdere gran parte della seduta e che, potete esserne sicuri, nessuno di noi prevedeva, perché l’articolo era così semplice e la questione così chiara che non meritava veramente la perdita di tanto tempo.
Prego, quindi, l’Assemblea di votare l’articolo come è stato proposto dalla Commissione. Le questioni singole le vedremo caso per caso, quando si tratterà dei vari argomenti.
PRESIDENTE. Onorevole Calamandrei, le domando se mantiene il suo emendamento.
CALAMANDREI. Onorevole Presidente, io vorrei chiarire ai colleghi (dolendomi che l’onorevole Nitti mi abbia mosso un rimprovero per aver fatto perdere tempo all’Assemblea, mentre credo che nelle mie abitudini non ci sia l’uso di farlo perdere troppo spesso… In ogni seduta noi siamo lieti di ascoltare i lunghi discorsi dell’onorevole Nitti; ma quasi in nessuna seduta l’Assemblea deve perdere tempo con l’ascoltare i discorsi tanto meno autorevoli di colui che qui vi parla) vorrei spiegare, ripeto, ai colleghi che nel secondo comma del mio emendamento è contenuto un concetto che potrà essere discutibile ma che è chiaro; perché, mentre la posizione degli impiegati che diventano deputati, ed il divieto fatto a questi impiegati di conseguire promozioni o incarichi nel loro impiego mentre sono deputati, è materia di un altro articolo che si trova già nel progetto della Commissione, questo mio emendamento mira a prevenire ed a vietare quell’inconveniente del quale sembra che oggi gli oratori di questa Camera siano ignari, mentre si tratta proprio di quell’inconveniente sul quale è stata ordinata da questa Assemblea un’inchiesta generale, e la Commissione degli Undici ha lungamente indagato, con un lavoro di statistica su schede che tutti noi abbiamo dovuto riempire, che è durato molti mesi. Si trattava allora, come ricorderete, di accertare quali sono i deputati che hanno incarichi pubblici retribuiti di nomina governativa: come può essere quello di commissario o di sequestratario di un ente parastatale, o di presidente di un istituto bancario, o qualsiasi altro di questa natura qualunque ne sia la denominazione. Proprio su questi incarichi la Commissione degli Undici fu invitata a indagare: non si tratta dunque di materia nuova e misteriosa.
Ora, onorevoli colleghi, quando il Governo è chiamato, in casi come quelli su cui la Commissione degli Undici indagò, a nominare alcuno ad un pubblico ufficio ed invece di nominare una persona qualificata per i suoi requisiti tecnici, nomina un uomo politico del proprio partito, si può pensare che i criteri che hanno guidato il Governo a questa nomina siano stati criteri non tecnici, come avrebbero dovuto essere, ma politici; e questo è un motivo di corruzione parlamentare, perché può portare a mettere ai posti di comando non gli uomini tecnicamente più degni, ma quelli più graditi al partito che in quel momento è al Governo; e altresì perché in questo modo il mandato parlamentare, in coloro che sperano di trarre un lucro appunto dal conseguire questi incarichi, rischia di degenerare in una specie di caccia a questi incarichi: sicché può temersi che il deputato svolga la sua attività politica non in conformità degli interessi pubblici, ma in vista della possibilità di conseguire questi incarichi lucrosi.
Tutto questo, onorevoli colleghi, sarà un linguaggio ingenuo, ma è un linguaggio chiaro, perché proprio su questo fu chiamata a indagare la Commissione degli Undici formata da voi; e se con questo mio emendamento si cerca di prevenire che si ripetano per l’avvenire inconvenienti simili a quelli su cui la Commissione degli Undici fu chiamata a indagare, mi pare che non ci sia da meravigliarsi… Quindi io mantengo il secondo e il terzo comma del mio emendamento. Non tengo a che su di esso si voti per appello nominale. Si può votare per alzata e seduta; e se in questa votazione per alzata e seduta l’unico ad alzarsi sarò io, non mi avrò a male se voi mi darete dell’ingenuo; ma io stasera andrò a casa con la coscienza tranquilla.
PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Calamandrei ha rinunciato al primo comma del suo emendamento, possiamo votare il testo della Commissione. Gli altri due commi dell’emendamento Calamandrei si devono considerare come emendamenti aggiuntivi al testo della Commissione.
Pongo in votazione l’articolo 66 nel testo della Commissione:
«I membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge».
(È approvato).
Sopra i due commi aggiuntivi dell’onorevole Calamandrei ho ricevuto una richiesta di scrutinio segreto a firma degli onorevoli, Meda, Corbino, Candela, Castelli Avolio, Rodinò Mario, Codacci Pisanelli, Caronia, Siles, Orlando Camillo, Romano, Dominedò, Quarello, Balduzzi, Valenti, Avanzini e altri. Domando se è mantenuta.
CODACCI PISANELLI. La ritiriamo.
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Sottopongo a lei, signor Presidente, questo problema. Siccome io ed altri colleghi abbiamo fatto la proposta di rimandare la soluzione di questa questione alla legge elettorale, non crede lei che sia opportuno interrogare prima l’Assemblea su questo punto?
GASPAROTTO. Siamo tutti d’accordo.
PRESIDENTE. Coloro che saranno incaricati di redigere la legge elettorale avranno senz’altro facoltà, se lo ritengono opportuno, di riprendere il concetto e di immetterlo. Non so se è nella sua intenzione che una decisione dell’Assemblea divenga impegnativa per la Commissione per la legge elettorale. Lei propone che l’Assemblea deliberi di rimettere questa formulazione alla Commissione che esaminerà la legge elettorale; ma con una tale votazione l’Assemblea impegna la Commissione della legge elettorale a includerla.
TARGETTI. Impegno me stesso, ma non Assemblea.
PRESIDENTE. I componenti della Commissione per la legge elettorale sono presenti nell’Aula e terranno conto della discussione di questo argomento e dei pareri espressi.
TARGETTI. Lo scopo della mia proposta sarebbe questo: portare l’Assemblea ad affermare che la materia non è di competenza della Carta costituzionale, ma dev’essere regolata dalla legge elettorale.
SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. A nome del Gruppo comunista dichiaro che, se avessimo la certezza che nella legge elettorale sarebbe incluso questo principio, noi voteremmo a favore del rinvio.
Ma, poiché il modo come si pone la questione non dà questa certezza, noi voteremo a favore dell’emendamento Calamandrei. (Commenti).
PRESIDENTE. Ritengo che, poiché l’emendamento Calamandrei è presentato e l’Assemblea ne è investita, questa debba votare. Successivamente, nella ipotesi che l’Assemblea non approvasse in sede costituzionale il testo dell’onorevole Calamandrei, c’è sempre la possibilità di invitare la Commissione per la legge elettorale ad esaminare se non sia materia eventualmente della legge elettorale.
COSATTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COSATTINI. La proposta fatta dagli onorevoli Gasparotto, Targetti ed altri ha una vera portata sospensiva nella decisione.
PRESIDENTE. Non l’hanno formulata come tale.
COSATTINI. Ho detto che ha portata sospensiva, perché una volta che l’Assemblea decidesse di rimettere la questione alla Commissione per la legge elettorale, essa non avrebbe più ragione di continuare la discussione.
BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BADINI CONFALONIERI. Desidero fare osservare all’onorevole Targetti che la sua proposta è stata già votata ed accettata, perché noi abbiamo votato l’unico comma dell’articolo 66, il quale prevede proprio il rinvio alla legge elettorale: «I membri del Parlamento ricevono una indennità fissata dalla legge». Siamo tutti d’accordo che la legge dovrà fissare ed eventualmente dovrà o no limitare l’indennità.
Noi chiediamo con la reiezione dell’emendamento Calamandrei che questa discussione non avvenga, demandando al legislatore di quella tale legge, alla quale ci richiamiamo, di decidere come meglio riterrà opportuno.
PRESIDENTE. Mi permetto di richiamare l’attenzione dell’onorevole Cosattini sulla disposizione regolamentare, la quale esclude che si possa proporre la sospensiva per gli emendamenti.
Quindi la proposta di sospensiva non può essere accolta.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Data la delicatezza dell’argomento, ritengo che si debba votare a scrutinio segreto.
PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata una domanda di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli: Lucifero, Rodi, De Maria, De Martino, Di Fausto, Benedettini Raimondi, Codacci Pisanelli, Montini, Pecorari, Rapelli, Delli Castelli Filomena, Colitto, Burato, Perugi, Capua, De Unterrichter Maria, Genua, Sullo, Buonocore.
Precisiamo allora cosa votiamo e come si vota. Dobbiamo procedere alla votazione per scrutinio segreto dei due commi aggiuntivi all’articolo 66 proposti dall’onorevole Calamandrei di cui do lettura:
«Ai componenti del Parlamento non possono essere conferiti incarichi retribuiti, né nella Amministrazione pubblica centrale o locale, né in enti pubblici o soggetti al controllo dello Stato; l’accettazione di uno di tali incarichi è causa di decadenza dall’ufficio parlamentare.
«Solo in caso di pubblica utilità detti incarichi possono essere conferiti per nomina deliberata da ciascuna Camera».
Votazione segreta.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la votazione.
Presidenza del vicepresidente CONTI
(Segue la votazione).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).
Presidenza del Presidente TERRACINI
Risultato della votazione segreta.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:
Presenti e votanti 292
Maggioranza 147
Voti favorevoli 125
Voti contrari 167
(L’Assemblea non approva).
Hanno preso parte alla votazione:
Abozzi – Adonnino – Aldisio – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.
Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele– Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonino – Bonomi Paolo Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.
Cacciatore – Calamandrei – Camangi – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Caristia – Caronia – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.
D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Gasperi – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Dominedò – Dozza.
Ermini.
Fabbri – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.
Gabrieli – Galati – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Guariento – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.
Jervolino.
Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.
Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Mariani Enrico – Martinelli – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Mazzei – Meda Luigi – Merlin Angelina – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Murgia – Musolino.
Nasi – Negro – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.
Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Perassi – Perlingieri – Perugi – Pesenti – Piccioni – Pieri Gino – Pignedoli – Pistoia – Ponti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.
Quarello.
Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.
Saccenti – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Santi – Sartor – Scalfaro – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Sullo Fiorentino.
Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosi – Trimarchi – Tripepi –Tupini.
Uberti.
Valenti – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Veroni – Vicentini – Vigna – Villani.
Zaccagnini – Zuccarini.
Sono in congedo:
Angelini.
Carmagnola – Caporali – Caroleo – Caso – Cevolotto.
Dugoni.
Jacini.
Martino Enrico – Martino Gaetano.
Pera – Perrone Capano – Porzio.
Russo Perez.
Sapienza – Sardiello.
Per un comizio elettorale nei pressi di Montecitorio.
PAJETTA GIANCARLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PAJETTA GIANCARLO. Domando scusa all’onorevole Presidente e agli onorevoli colleghi se chiedo di parlare non sull’argomento che voi state trattando in questo momento. Ma, mentre qui si vuole fondare la Repubblica, a cento, a cinquanta metri di qui le forze di polizia di un Governo, che dovrebbe essere il Governo della Repubblica, stanno proteggendo i banditi, gli assassini dei nostri fratelli, dei delinquenti, che hanno gridato in faccia a me e in faccia ai vostri colleghi: «Viva i repubblichini! Viva i tedeschi! Viva il duce!».
Qui vi sono dei deputati che dovrebbero sentire lo sdegno per questo fatto che oltraggia il Parlamento italiano e Roma, capitale della Repubblica! Qui vi sono dei membri del Governo, e tra essi vedo l’onorevole Andreotti che è molto vicino al Presidente del Consiglio, i quali dovrebbero vergognarsi della condotta di questi rinnegati e delle forze di polizia. Uscite di qui! Venite con noi, membri del Governo! Andate a vedere! Qui non si tratta di una inchiesta parlamentare, non si tratta di mandare sul luogo un Sottosegretario o un Ministro! Potete vedere voi stessi i vostri poliziotti all’opera, i vostri poliziotti che dovrebbero essere gli agenti della Repubblica!
Vi sono centinaia di uomini che hanno tentato di percuoterci e di insultarci, gridando il nome dei fascisti, il nome di Mussolini. Io e i deputati antifascisti abbiamo gridato che Mussolini l’abbiamo impiccato a Piazza Loreto. (Vivi applausi a sinistra).
L’Italia non è soltanto quella del Governo della tolleranza e della complicità, di un Governo che sta diventando il Governo della vergogna! L’Italia è l’Italia di coloro che hanno vinto il fascismo e se voi non sapete fare altro, toglietevi di mezzo, se non sapete impedire che il fascismo ritorni a Roma e in tutta l’Italia. (Vivissimi applausi – Si grida: Abbasso il fascismo!).
SANSONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SANSONE. Aderisco alle parole di protesta e di sdegno dell’onorevole Pajetta, sicuro di interpretare l’opinione del gruppo parlamentare del partito socialista italiano. Qui, a cinquanta passi da Montecitorio, si è suonata la marcia reale e si sono suonati tutti gli inni fascisti.
BENEDETTINI. Che c’entra la marcia reale con gli inni fascisti? (Vivissime proteste – Rumori a sinistra).
PRESIDENTE. Facciano silenzio! Onorevole Benedettini, non si dimentichi che questa è l’Assemblea Costituente della Repubblica italiana e che, se nella Repubblica italiana ogni parere ed ogni opinione politica rispettosi delle leggi costituite hanno il diritto di manifestarsi, non bisogna tuttavia trarne la conseguenza che si possa dimenticare ciò che è costata al popolo italiano la conquista della Repubblica. (Vivissimi, prolungati applausi – Si grida: Viva la Repubblica!).
Io vorrei che anch’ella si rendesse conto di ciò che è compatibile nel quadro della nuova realtà repubblicana e di ciò che non è ammissibile. La sua veemente protesta di poco fa, per esempio non era la più opportuna in questo momento.
Onorevole Sansone, continui pure.
SANSONE. Io dicevo che il comizio del cosiddetto M.S.I. si è iniziato poc’anzi al suono della marcia reale e di tutti gli inni fascisti, mentre la polizia è rimasta impavida a guardare ed a sentire. È logico che tale comportamento ha provocato delle reazioni, delle proteste, cui hanno preso parte anche i colleghi Amendola e Pajetta: ebbene, la polizia ha manganellato coloro che protestavano. (Rumori prolungati).
PRESIDENTE. Lascino parlare l’onorevole Sansone.
SANSONE. Questa è la situazione che ho potuta constatare io, con altri, un quarto d’ora fa.
E tuttora il comizio continua con una forma di irrisione alla Repubblica, alle libertà democratiche. È un partito, onorevoli colleghi, che ha come suo immediato programma politico questo motto: «Ripulire il Campidoglio, per poi ripulire Montecitorio», nel che si esprime una profonda offesa per la democrazia.
E voi siete silenziosi, mentre l’offesa incalza per tutti. (Interruzioni – Rumori).
E mi sia consentito dire all’Assemblea che non dovrebbero esservi divisioni tra noi, ma invece un’unione dell’Assemblea contro questo che è un serio pericolo per la democrazia italiana. (Interruzioni al centro).
Perciò io dicevo che dovremmo essere tutti in piedi a protestare contro questa manifestazione pericolosa.
Chiedo, signor Presidente, che il Governo, qui presente, dia delle assicurazioni all’Assemblea. Che il Presidente del Consiglio assicuri che il Ministro dell’interno vieterà queste manifestazioni, che non sono manifestazioni di libertà democratiche conquistate, ma sono invece l’espressione di chi per venti anni ha irriso al Parlamento, ha irriso e calpestate tutte le libertà, e ora si vuole valere di questi mezzi per ripristinare il fascismo.
Questa protesta io elevo a nome del Gruppo del partito socialista italiano, e attendo le assicurazioni del Governo. (Vivi applausi a sinistra).
DE GASPERI, Presidente del Consiglio. dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi sono informato dei fatti a cui si è accennato. Sono passato dieci minuti fa, facendo il solito giro per venire all’Assemblea, e non mi ero accorto che di grida molto lontane. (Commenti a sinistra). Questo, dieci minuti o un quarto d’ora fa. Ad ogni modo, sono intervenuto subito presso il Ministro dell’interno, domandando spiegazioni perché e come si possano tenere comizi di qualsiasi specie (e ne dirò la qualità) nelle vicinanze immediate dell’Assemblea. Il Ministro dell’interno non era informato. (Interruzioni – Commenti a sinistra).
Una voce a sinistra. Tutti i muri di Roma sono tappezzati di manifesti che indicono il comizio.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Poco fa, quando mi avete visto, dopo una breve presenza, scomparire, sono stato chiamato al telefono dal Ministro dell’interno, il quale mi ha detto che era un comizio non autorizzato assolutamente… (Interruzioni a sinistra – Rumori – Commenti).
Disgraziatamente, negli ultimi giorni prima delle elezioni, questi comizi non autorizzati sono improvvisati spesso in molte piazze. (Proteste e interruzioni all’estrema sinistra).
PRESIDENTE. Facciano silenzio, per favore, onorevoli colleghi. Se hanno qualche cosa da dire chiedano di parlare.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Aggiungo che il Ministro dell’interno ha dato subito l’ordine alla polizia di sciogliere il comizio e di impedire a tutti i costi che specialmente nelle vicinanze della Camera si improvvisino comizi di qualsiasi specie. (Approvazioni al centro – Rumori – Commenti a sinistra). Aggiungo che solo ora ho avuto notizia – e credo che me ne avete informato voi direttamente – che vi sono state delle grida, chiamiamole pure, di carattere sovversivo, se sono dirette contro la Repubblica, e di carattere provocatorio, se riprendono certi toni e certe canzoni del passato che non hanno diritto di esistere, non perché siano una opinione (perché tutte le opinioni sono rispettabili) ma perché sono una provocazione. (Applausi).
Aggiungo che, salva sempre la libertà di ogni partito e di ogni movimento per quello che è sostanziale e compatibile con la democrazia, il Governo sente il dovere di difendere, se sarà necessario, la democrazia, la libertà, la Repubblica, e che lo farà con tutti i mezzi a sua disposizione!
Aggiungo che, secondo la mia opinione (e non so se mi sbaglio), la certezza e la sicurezza di queste istituzioni, passate ormai nel sangue e nella convinzione del popolo italiano, sono tali che io credo esagerato l’allarme che si dà. (Vivi applausi al centro).
In ogni modo, l’ordine è stato dato come se il pericolo veramente esistesse. Ma io credo che, se noi su questo siamo d’accordo, di rispettare la libertà di tutti e di non usare la violenza (perché disgraziatamente non è solo qui che è stata usata la violenza, che non dev’essere usata contro nessun partito), se veramente questa legge fondamentale della democrazia si incarna nei nostri metodi e nella nostra coscienza, la Repubblica in Italia non ha niente da temere e la democrazia siamo disposti a difenderla con qualunque mezzo e; soprattutto, siamo disposti a difendere la libertà e la dignità del Parlamento. (Vivissimi applausi al centro – Commenti).
BENEDETTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BENEDETTINI. Signor Presidente, io volevo semplicemente fare un chiarimento a seguito del richiamo che ella mi ha fatto.
Io non ho difeso né voglio difendere quelli che stanno qui fuori offendendo il sentimento di italiani che hanno sofferto.
Io voglio fare una precisazione. Siccome ho inteso dire che si è suonata la marcia reale insieme ad inni fascisti, tengo a dichiarare che non permetterò mai che qui dentro si confonda ancora una volta la propaganda monarchica con quella neofascista. (Interruzioni a sinistra).
Noi monarchici abbiamo fatto e stiamo facendo comizi, in base a quelle libertà democratiche che ce li hanno consentiti, per sostenere una nostra ideologia che non ha nulla a che vedere con quello che sta facendo il Movimento sociale italiano, che fra l’altro è un movimento repubblichino. (Commenti).
LACONI. Signor Presidente, in questo istante la polizia carica i deputati sulla piazza, i deputati che rivendicano il diritto di gridare «Viva la Repubblica»! Il Governo che cosa fa? (Rumori al centro – Interruzioni).
SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCOCCIMARRO. È da molti anni che noi lottiamo per la libertà, e la bandiera intorno alla quale noi tutti ci siamo riuniti portava scritto: libertà per tutti, non per i fascisti. Oggi voi avete tradito questa formula. (Approvazioni a sinistra – Rumori vivissimi – Proteste al centro).
Quando parliamo di fascisti non intendiamo dire gli ex fascisti che oggi vogliono manifestare una opinione politica in un partito qualsiasi, ma parliamo di coloro che si presentano oggi come fascisti e che rivendicano il fascismo.
Ora, in queste condizioni, quando un deputato sulla soglia di Montecitorio lancia il grido: «Viva la Repubblica!» e la polizia interviene per impedirglielo, noi vi diciamo… (Interruzioni al centro).
Io voglio richiamare l’attenzione dell’Assemblea…
Una voce al centro. Onorevole Presidente, voglia richiamare il pubblico delle tribune che sta interpellando i deputati.
PRESIDENTE. Ha ragione. Non me ne ero accorto. Rammento al pubblico delle tribune che non deve assolutamente intervenire in ciò che avviene nell’Aula, altrimenti faccio sgombrare le tribune.
Onorevole Scoccimarro prosegua.
SCOCCIMARRO. Io ricordo che una molteplicità di episodi sono andati susseguendosi in questi ultimi tempi. Dopo la bomba di Milano c’è quella di Genova e di altre città dove si sono compiuti attentati contro le organizzazioni democratiche. Si tratta di episodi che si ripetono a periodi sempre più brevi e che rispondono ad un piano organizzato.
Non è per noi soli, onorevoli colleghi, che parliamo, ma anche per voi: il giorno che le nostre organizzazioni venissero distrutte, verrebbero poi distrutte anche le vostre.
Ora io desidero fare una dichiarazione, e prego l’onorevole Presidente del Consiglio di non ritenere che le parole che io pronuncerò in questo momento siano dovute ad un atto impulsivo od a contingente esagitatone d’animo: contro le forze democratiche si va creando piano piano una situazione assai pericolosa. Se le forze dello Stato non si dimostrano capaci di tutelare la nostra libertà, noi vi provvederemo direttamente con nostri mezzi. (Vivissimi applausi a sinistra – Rumori vivissimi al centro e a destra – Interruzioni).
Vi sono momenti che impongono di assumere responsabilità dirette, e noi ce le assumiamo. (Commenti al centro).
Voci a destra. Ma questo argomento non è all’ordine del giorno!
PRESIDENTE. Onorevoli deputati, dal momento che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha accettato di rispondere in questa questione, ritengo che la loro osservazione sia assolutamente inopportuna, ed è questa la ragione per la quale prego l’Assemblea di continuare ordinatamente questa discussione.
SCHIRATTI. Se non erro, l’ordine del giorno lo modifica l’Assemblea. Questo per Regolamento.
SCOCCIMARRO. Io desidero richiamare l’attenzione del Governo su un fatto. Noi tutti abbiamo fatto l’esperienza degli anni dal 1920 al 1922 e noi sappiamo che un Governo, il quale oggi si pone nella stessa posizione in cui si posero i governi di quel tempo, non può tutelare la libertà contro l’azione fascista: anche se non lo vuole obiettivamente, esso aiuta lo sviluppo del fascismo. Voi state commettendo gli stessi errori del 1922. Io non posso credere che volontariamente l’onorevole De Gasperi voglia aiutare il fascismo, ma di fatto la sua politica porta a questo risultato. Quando da un errore passato non si trae nessun insegnamento per l’avvenire, allora le responsabilità diventano ancora maggiori. Noi dobbiamo protestare e richiamare il Governo al suo dovere di far rispettare la legge. Onorevoli colleghi, che garanzia può dare alla Repubblica una polizia che si comporta come si è comportata ora la Celere dinanzi a Montecitorio? Che garanzia può dare una polizia che difende chi canta gli inni fascisti ed interviene contro chi grida «Viva la Repubblica, Viva la Democrazia»? Una polizia così diretta, così ispirata non può dare nessuna garanzia a tutela delle libertà democratiche. Ora si dice: noi difenderemo la Repubblica e la democrazia. Ma voi la difendete in modo tale da non dare nessuna garanzia, perché lasciate la possibilità… (Rumori al centro).
Tenga presente il Governo che tutelare la libertà vuol dire dare garanzia alle forze democratiche, che non si lascia via libera al fascismo, come si fa oggi. Quando l’azione dello Stato, l’azione del Governo è quella che è stata oggi in Piazza Montecitorio, allora, signori, può anche avvenire che dovremo provvedere noi stessi a difendere Montecitorio! (Approvazioni a sinistra – Rumori al centro – Commenti).
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io ho creduto di compiere un dovere sostanziale del Governo, al di là di quello che possa essere l’ordine del giorno, rispondendo. Comunque, ho risposto guardando la sostanza delle cose, ed ho creduto mio dovere di rispondere su quel tanto che mi era noto, e per quel tanto che è nei propositi e nel programma del Governo. Evidentemente non possiamo in questa sede e per questo incidente allargare più oltre la discussione. Però devo constatare:
1°) non è stato dato il permesso al comizio. Il comizio si è improvvisato, si è fatto all’improvviso come disgraziatamente avviene spesso;
2°) il comizio è stato sciolto. Mi si annuncia adesso che dinanzi a Montecitorio non c’è nessuno, perché il relativamente esiguo numero va scomparendo da Piazza Colonna. Quindi non aumentiamo le proporzioni del fatto. Il fatto è deplorevole, e lo deploro. Ho dato assicurazioni, che corrispondono al mio sentimento, al mio proposito sia riguardo alla libertà democratica sia alla Repubblica; non posso credere che ci sia un deputato, per quanto autorevole, che sia autorizzato a dedurre da questo incidente o da un contegno di un Governo che ha cercato sempre di mantenere la disciplina, il diritto di difendere con le armi, eventualmente, la propria causa. (Vivi applausi al centro e a destra – Commenti).
Questo era il linguaggio anche del 1918 e del 1922, di altri che venivano da sinistra e che hanno usato simili mezzi che non possiamo tollerare. (Applausi al centro e a destra).
Aggiungo che se saranno accertati degli errori o delle colpe da parte dell’Autorità di pubblica sicurezza, verrà proceduto sul serio a difesa della democrazia e della Repubblica; e vi prego non di usare parole che lascino intendere che si possa ritornare ad una qualsiasi forma di guerra civile, ma di unirvi con me con un senso di unità repubblicana nella quale c’è l’unità della Nazione. Non bisogna lasciar credere né all’interno né all’estero che ci sia un Governo che permette che l’ordine pubblico venga difeso da una parte contro l’altra. (Vivi applausi al centro – Commenti).
Vi prego di prendere atto di questo fatto; di ridurre le proporzioni dell’incidente a quelle che sono; ma di prendere atto soprattutto dei nostri propositi, del nostro programma, del nostro sentimento, che in questo è unito a voi quando si tratta di difendere le istituzioni, ma che non può assolutamente concedere che una parte, per rappresaglia, si ritenga in diritto di difenderle per conto suo. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Commenti).
CONTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONTI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l’annuncio che ci ha dato il collega Pajetta poco fa non poteva non essere sentito profondamente da me. Credo di essere un repubblicano fedele alla Repubblica. Mi sono preoccupato delle sue gravi parole. Ho atteso che il Governo rispondesse. Ho seguito i colleghi sulla Piazza Montecitorio per accertarmi della realtà di questo fatto: che sulla Piazza Montecitorio si caricassero dalla polizia i deputati. Sono stato sulla Piazza; ho visto soltanto questo spettacolo: che a Piazza Colonna le jeeps e la polizia caricavano la folla, evidentemente folla riottosa e rivoltosa. Non ho osservato con i miei occhi, che vedono bene, il caricamento dei deputati in Piazza Montecitorio, dove sono pochissime persone.
FARALLI. È intervenuta la polizia!
LI CAUSI. Parli Pacciardi!
CONTI. Ho voluto accertarmi, signor Presidente e onorevoli colleghi, perché io voglio avere la tranquillità che la polizia della Repubblica difende la Repubblica. Io mi rifiuto di allineare preventivamente la polizia tra coloro che combattono la Repubblica con scopi che non voglio indagare. (Approvazioni al centro). Ho la certezza che la polizia risponderà al suo dovere, ho la certezza che chi la dirige ha animo repubblicano. Voglio dire questa parola, che è una testimonianza: il capo della polizia, Ferrari, è un repubblicano dalla giovinezza.
PAJETTA GIANCARLO. È un inetto.
Una voce al centro. Andrà lei al suo posto. (Rumori a sinistra).
CONTI. Onorevoli colleghi, io affermo che con certi sistemi, che non sono abbastanza considerati, noi stiamo per creare una situazione simile a quella del 1922. (Interruzioni e rumori a sinistra – Approvazioni al centro).
Dico, signori, che nel 1922, prima e dopo, ho visto tanti che volevano difendere la libertà, la democrazia, tante altre cose, i quali al momento buono non furono più con noi e con voi. (Rumori a sinistra).
PAJETTA GIANCARLO. Non si indirizzi da questa parte!
Una voce al centro. Siete intolleranti; non amate la libertà e la democrazia. (Vivi rumori all’estrema sinistra).
CONTI. Io ero qui.
Una voce all’estrema sinistra. Al Tribunale Speciale c’eravamo noi, lei no.
CONTI. Io nel 1922 ero qui. (Interruzioni – Rumori a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, suppongo che coloro che poco fa hanno commesso atti ignominiosi all’esterno di questo palazzo, sarebbero piuttosto lieti se sapessero che questa discussione, che dovrebbe svolgersi seria e piena di significato, procede invece in questo modo tumultuoso.
È assolutamente impossibile di fronte a troppi di loro dire una parola ponderata e serena. Prosegua, onorevole Conti.
CONTI. Voglio continuare a dire una parola ponderata e serena, onorevole Presidente, e prego i colleghi di ascoltarmi e di riflettere insieme con me. Nel 1922 io ero qui…
TONELLO. Anch’io ero qui! (Vivi rumori al centro e a destra).
CONTI. …ed il 17 novembre del 1922, il giorno dopo il discorso sferzante di Mussolini, quel discorso che altri deputati hanno ricevuto sulla faccia, io ho parlato contro il dittatore e gli dissi parole che mi onorano, gli dissi parole che erano il presagio di queste giornate. Dissi che egli preparava la Repubblica; dissi che io l’avrei fatta anche col diavolo. Con queste parole chiusi il mio discorso.
Ed ora sono qui, cari colleghi, a difendere questo «cencio di Repubblica» (Proteste a sinistra) che gli italiani cominciano ad amare, cominciano a sentire, questa Repubblica che convincerà tutti i dubbiosi perché sarà veramente la consacrazione della libertà e della democrazia, perché sarà la Repubblica che costituirà l’ambiente per tutte le grandi riforme sociali che dovremo serenamente volere per l’avvenire d’Italia. (Approvazioni al centro e a destra). Se noi, in questi momenti, per ragioni che non voglio stabilire, per moventi che dovrebbero essere repressi nello spirito di rivoluzionari e di riformatori veri, se in questo momento si crede che con un episodio o con un altro si possa modificare o migliorare od alterare la situazione politica attuale, io dico a coloro che lo pensano (Vivi rumori all’estrema sinistra) o lo possono pensare, io dico…
Voci all’estrema sinistra. Voi fate sempre il processo alle intenzioni!
CONTI. …io dico: «Amici, pensate seriamente all’avvenire del Paese; difendiamo la Repubblica non creando od immaginando come pericolosi avversari quattro scalzacani che non fanno né caldo né freddo. (Applausi al centro e a destra – Vivi rumori a sinistra).
SCOCCIMARRO. Il fascismo non passa più!
ALDISIO. I fascismi non passano più! (Approvazioni – Rumori – Interruzione del deputato Li Causi).
CONTI. Noi non dobbiamo, colleghi, amici, valorizzare questi movimenti dando ad essi un’importanza eccessiva…
LI CAUSI. Lei è in errore! Lei è in errore!
CONTI. Caro Li Causi, non si difende la Repubblica con le leggi che ci ha presentato il Ministro Grassi. Dichiaro fin da ora che io voterò contro quelle leggi. Con le manette, con le carceri e con il filo spinato non si difende la Repubblica: non facciamo ridere (Vivi rumori all’estrema sinistra); la Repubblica si consoliderà con le grandi riforme, assicurando la libertà e la democrazia, creando nel Paese un’atmosfera di moralità che ispiri il popolo ad amare la nostra Repubblica. (Vivi applausi al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra – Commenti).
LI CAUSI. La metteranno in galera, prima delle riforme! (Rumori al centro e a destra – Commenti).
MANZINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MANZINI. Le mie parole sono in gran parte rese superflue dalle nobili, equilibrate espressioni dell’onorevole Conti. Ma, avendo assistito alle manifestazioni di piazza, che avevano qui un riflesso sproporzionato alla loro gravità, desidero dare due testimonianze. La prima è questa: la fase risolutiva, che è stata rapidissima, è avvenuta in modo da non lasciare alcun dubbio sulla volontà energica, direi perfino esuberante della polizia. E l’episodio, qui denunciato, di deputati coinvolti nell’azione repressiva, si spiega benissimo, perché la polizia si è letteralmente scagliata sulla folla, sia in Piazza Colonna, sia davanti a Montecitorio, dove i deputati erano commisti alla folla e non si poteva distinguere quali essi erano. (Approvazioni – Interruzioni a sinistra). Dico in Piazza Colonna e davanti a Montecitorio, tanto è vero, che ho ammirato l’energia dell’onorevole Pajetta che si è gettato energicamente in mezzo al conflitto.
Ma un’altra considerazione, che mi sembra più importante e che si riallaccia alle nobili parole dell’onorevole Conti (io non intendo minimamente sottovalutare il peso politico e la gravità dell’episodio politico di questa sera) è lo stato d’animo dei dimostranti e degli improvvisati comiziaiuoli. Erano dei fascisti. Però, mentre da un lato rilevo la rapidità con cui l’episodio è stato liquidato, e mentre aggiungo che certo anche i piccoli sintomi devono essere tenuti nel più sensibile conto, tuttavia aggiungo che nel clima in cui questa manifestazione si è svolta, cioè alla vigilia di una grande manifestazione elettorale in cui Roma ha visto un centinaio di comizi con centinaia di migliaia di dimostranti, che si trovino due o trecento giovani, che per suggestione o per ignoranza si buttano ad una manifestazione di questo genere, è cosa deplorevole, ma che non merita di essere trattata con tanto accento di gravità nell’Assemblea Costituente italiana, perché domani ne avremo una risonanza in tutto il Paese, come se Annibale fosse alle porte, ed il fascismo fosse qui per risorgere. Lo stesso onorevole Scoccimarro ha drammatizzato dicendo: «difenderemo noi, con le nostre forze, il Parlamento». Io credo che mentre da un lato sia giusto – e mi associo – che il Governo in questo sia strettamente vigilante, e credo che lo è, tuttavia non dobbiamo fare un po’ il gioco di questa parte, perché anche recentemente tutti i giornali italiani hanno riportato che venti-trenta fascisti sono stati trovati a Roma cantando, ecc. ecc., dimodoché l’opinione pubblica ha l’impressione che si trovi già di fronte ad una forza in atto. Il che è una propaganda a rovescio.
Io credo che noi, nella nostra coscienza democratica e nella nostra coscienza di libertà, possiamo associarci alla parola dell’onorevole Conti, certi che sarà con la nostra opera, con il nostro esempio di libertà, di concordia, di profonda rinnovazione di clima morale, soprattutto della realtà sociale del nostro Paese, che rafforzeremo la Repubblica e vedremo fugata questa larva che ancora si agita dinanzi a noi, come la nebbia del mattino di fronte alla pienezza del sole meridiano. (Vivi applausi al centro e a destra – Commenti).
MAFFI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAFFI. Non avrei chiesto la parola se non si fosse verificato l’intervento di un cosiddetto repubblicano. (Si ride).
CONTI. Lui lo sa che sono repubblicano; lo sa tutta Roma che sono repubblicano; lo so io soprattutto.
MAFFI. Lo sa lui. Questa è la convinzione, il comportamento di tutti gli egocentrici. Ad ogni modo, onorevole Conti, non è col sottovalutare la sgherraglia che si fa opera contro la sgherraglia. (Rumori – Proteste al centro e a destra).
MANZINI. Sgherraglia!
MAFFI. Sgherraglia, sì, perché tutti gli sgherri sono stati al servizio di qualcuno che li muove.
CHIEFFI. Vorrebbe la polizia di parte!
MAFFI. Chiamateli sgherri, o come volete. Parlo di fascisti; l’avete capito benissimo; e per qualche cosa fate finta di non capire, perché non ho visto in quei banchi la reazione morale e politica che ogni uomo dovrebbe attendersi da cosiddetti democratici e cosiddetti cristiani. (Rumori – Proteste al centro). Dico il pensiero di uno che ha vissuto (e come!) il periodo prefascista, e fascista: non lo so soltanto io, onorevole Conti, lo sanno anche altri. La caratteristica di quel periodo, del periodo prefascista è stata quella di Governi o deboli, o che hanno voluto essere deboli, e che hanno preparato coscientemente o incoscientemente il fascismo e l’hanno condotto fino alle porte di Roma. E se i partiti non sono stati sufficientemente coscienti di questo pericolo, (Interruzione a destra) oggi l’esperienza politica ci ha insegnato a non ripetere più la malaugurata frase: «bisogna avere il coraggio della viltà». Quella frase, l’esperienza politica poi fatta cadere nel vuoto, nell’assoluta inefficienza. Bisogna avere il coraggio cosciente di una organizzazione consapevole contro il pericolo che si presenta, e bisogna avere questo coraggio agli inizi del pericolo, seppure siamo agli inizi. Noi non abbiamo una concezione così astratta del fascismo; sappiamo che il fascismo è un gioco organizzato da interessi antiproletari; lo sappiamo e vogliamo che il proletariato con sangue freddo, con calma, ma con decisione si prepari a resistere. I Governi sanno quale è il loro compito, e se non lo sanno lo imparino, perché ne va di mezzo la vita del Paese, la tranquillità del Paese, il vivere o il precipitare dei Governi.
La storia che ci ha dato un quarto di secolo di ammaestramenti, non si conclude con la indifferenza di uomini che vengono qui a farci testimonianze positive su dati puramente negativi, perché essi non hanno visto ciò che sì era svolto, mentre qui abbiamo le testimonianze positive di uomini che hanno visto lo svolgimento di questo quadro episodico che s’intona ad una preparazione effettiva.
È stato qui attestato da molti che hanno visto come si sono svolti gli incidenti di Piazza Colonna e di Piazza Montecitorio. Non basta venire qui a dire: «non ho visto e perciò nego». Questo è un modo insulso di ragionare. (Proteste al centro).
Insulso vuol dire «senza sale». Ebbene, signori, non vi è nulla di provocatorio, quando si dice che si deve provvedere in modo che non si ripeta ciò. È proprio antiprovocatorio, è proprio la negazione della provocazione, è un monito che lanciamo a voi, se siete teneri della concordia della pace e del rafforzamento della Repubblica! (Applausi a sinistra – Commenti).
LACONI. Chiedo di parlare. (Commenti al centro e a destra – Interruzione del deputato Uberti).
PRESIDENTE. Ne ha facoltà,
LACONI. È una cosa troppo seria, perché l’Assemblea si stanchi! Sono entrato in quest’Aula, onorevole Uberti, e mi sono rivolto al Presidente dell’Assemblea e non al Governo, perché non ricordavo nemmeno in quell’istante che ci fosse un Governo! Poco prima, onorevoli colleghi, sulla piazza che sta di fronte alla nostra Assemblea, ho visto violare quelle libertà e denigrare quelle istituzioni che dovrebbero essere care a noi tutti. (Commenti animati). E se vi è stata cosa che mi ha colpito entrando in quest’Aula è stato il vedere l’Assemblea divisa e sentire voci e accenti diversi dall’una e dall’altra parte della Camera! Ognuno vuol parlare su fatti che solo pochi conoscono. Manzini non ha visto nulla; Conti non ha visto niente. Forse pensavano che i deputati sarebbero rimasti a farsi caricare dalla polizia, fino a quando essi non son venuti a controllare con i loro occhi? Eravamo in gruppo Pesenti, Faralli ed io. Faralli per primo ha gridato: viva la Repubblica! E Pesenti lo secondò. Allora la polizia venne da noi e ci affrontò, nonostante che Pesenti dichiarasse agli agenti che noi eravamo deputati al Parlamento e che eravamo nel pieno diritto di fare echeggiare di fronte ai fascisti il grido di: «Viva la Repubblica!» (Interruzioni del deputato Chieffi – Commenti).
Ho trovato Giordani che mi diceva: «È una cosa incredibile!». Noi avevamo sentito la più vergognosa esaltazione del fascismo, la più sfacciata denigrazione della democrazia.
Non l’ho contro quei giovani che acclamavano; sono giovani che non comprendono quello che fanno. Ma l’ho contro di voi, che non comprendete quale enorme pericolo si celi dietro tutto ciò. I poliziotti hanno agito in un determinato modo, così come è loro stato ordinato; sta bene. Ma il Governo cosa fa? Non ha pensato cosa significhi consentire una manifestazione fascista dinanzi alla sede dell’Assemblea?! (Rumori al centro – Applausi a sinistra).
Da tre giorni erano esposti i manifesti per tutta Roma annunzianti questo comizio. Da tre giorni dunque il Ministero dell’interno sa che è annunziato il comizio e non conosce chi debba parlare. E anch’io tuttora non so chi abbia parlato, celato com’era l’oratore alla vista degli ascoltatori. (Rumori al centro).
Io non chiedo che siate solidali con me, perché so bene che siete i sostenitori del Governo; ma vorrei che almeno solidarizzaste con me per quanto riguarda l’invito al Governo a far sì che una cosa simile non si ripeta. Che almeno si punisca l’oratore che ha esaltato il fascino del fascismo e si stabiliscano delle norme che impediscano che fatti simili si ripetano, almeno sotto i nostri occhi. (Rumori al centro – Applausi a sinistra).
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Onorevoli colleghi, io non intendo per nulla drammatizzare su questo miserabile episodio, anche se tutti i colleghi che sono stati in quest’Aula circa venticinque anni fa – compreso lei, Presidente De Gasperi – qualche lieve diritto, tenue diritto a drammatizzare pur lo avrebbero. E non penso neppure che sia il caso di ripetere la nostra critica all’azione generale del Governo che si è esaurita con il voto di fiducia di alcuni giorni fa. Io stesso quel che avevo da dire l’ho detto allora e non ho nulla da aggiungere.
Ma è il fatto specifico, localizzato, che ci interessa, il fatto di cui ho sentito riferire qui dai colleghi e, in particolare, dall’onorevole Questore, collega Priolo, che, a giudizio di tutti, non è un uomo di parte: è un gentiluomo.
Io ho sentito, come gli altri colleghi, quello che è avvenuto in piazza Montecitorio.
Sta, dunque, di fatto questo: che in Piazza del Parlamento, mentre l’Assemblea siede, si possono riunire, convocati da differenti parti, automezzi e gregari per una manifestazione fascista. Io credo che nessuno possa mettere in dubbio che questa miserabile manifestazione è stata fascista. E questa è una cosa seria. Perciò molti fra di noi – credo tutti – vorremmo sapere chi ha autorizzato questa manifestazione.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ma l’ho detto che nessuno l’ha autorizzata. (Commenti a sinistra).
Una voce a sinistra. Da tre giorni ci sono i manifesti per le strade!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lascino parlare!
SANSONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Mi permetto di dichiarare che in questa discussione non do la facoltà di parlare per la seconda volta a nessun deputato.
Onorevole Lussu, continui.
LUSSU. In un periodo elettorale, come l’attuale, autorizzazioni preventive non sono strettamente necessarie. Ma è da ritenere che in genere, come misura di precauzione, il Viminale dovesse costantemente vigilare nei dintorni del Parlamento. (Interruzioni al centro).
Io chiedo quali provvedimenti si intendano prendere, quali provvedimenti domani saranno stati presi contro tutti quei miserabili che sono scesi in Piazza Montecitorio a rinnovare i canti della follia che tutto ha distrutto?
Desidererei che il Governo ci comunicasse provvedimenti specifici.
E un’altra cosa è certa: che mentre tutto questo miserabile scandalo avveniva in Piazza Montecitorio, noi non ne eravamo informati. Il Presidente di questa Assemblea non ne sapeva nulla, e neppure il Ministro dell’interno. E allora, in coscienza, sento il bisogno di chiedere quali provvedimenti sono stati presi contro i capi di quella polizia che aveva la responsabilità dell’ordine. (Approvazioni a sinistra – Commenti).
Veda, onorevole Gonella, veda onorevole Grassi, forse è un «tic» nervoso, involontario, ma io li ho visti sorridere. Ebbene, qui non è proprio il caso di ridere e neppure di sorridere.
Io non credo neppure che questo sia un motivo per piangere; ma dico che questo avvenimento ci obbliga ad essere seri.
Onorevole Presidente del Consiglio, lei era qui ventisei anni fa; sa che cosa è stato il fascismo, perché ha pagato di persona; lei sa che ventisei anni fa, quei deputati che intendevano difendere l’espressione della sovranità popolare e la propria dignità, erano obbligati ad entrare qui, nel palazzo di Montecitorio, con la pistola in tasca! Saremmo obbligati a ripetere ancora questo gesto di legittima difesa? È il Presidente del Consiglio che me lo deve dire!
Permetta, caro amico Conti, nella foga con cui si improvvisa, nei voli oratori, lei ha detto (e ciò non rappresentava certo l’intimo del suo pensiero!) «questo cencio di Repubblica». Ebbene, caro Conti, onorevoli colleghi tutti, questo non è un cencio di Repubblica, questa è una grande bandiera! (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Interruzione del deputato Conti).
PRESIDENTE. Onorevole Conti, la prego, non interrompa.
Onorevole Lussu, le sarei grato se si avviasse alla conclusione.
LUSSU. Poiché mi interrompe sono obbligato a risponderle, vecchio e caro amico Conti. Non basta esser sicuri che il Ministro dell’interno è repubblicano e che repubblicano è il capo della polizia! Facta era un liberale, non un fascista; e non era fascista, ma liberale il Ministro dell’interno dell’epoca.
CONTI. Ma allora c’era Vittorio Emanuele III.
LUSSU. Caro Conti, mi lasci finire. Io dicevo, prima che lei mi interrompesse, che la Repubblica è una grande bandiera, fatta sacra e cara col sangue e col sacrificio del popolo italiano. (Vivi applausi).
LA MALFA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA MALFA. Vorrei riferire ai colleghi con molta semplicità i fatti ai quali ho assistito.
Mentre ero qui a Montecitorio, alcuni amici mi hanno chiamato per dirmi che in Piazza Colonna si stava svolgendo una manifestazione con canti fasciati ed esaltazioni del fascismo. Con diversi altri colleghi, sono uscito per andare a vedere di che si trattava.
In effetti abbiamo udito un linguaggio talmente provocatorio, ripugnante, che ci ha ricordato molte cose, moltissime cose del passato. Sentire nella più importante piazza di Roma tutto questo, dopo qualche anno dalla fine del fascismo, mi ha impressionato!
Non ho assistito alla discussione che si è finora svolta. Affermo però che, finché il comizio è durato, non ho notato un comportamento scorretto della polizia; essa nel corso del comizio ha cercato di evitare incidenti individuali. Quando venne finalmente l’ordine di scioglimento, la polizia intervenne energicamente. Naturalmente ributtò indietro deputati e non deputati, ma nell’oscurità questo poteva avvenire.
Il punto fondamentale, per me, è che la manifestazione fosse sciolta. Ed ecco dove sorge una responsabilità politica di Governo. Comizi del genere vanno controllati fin dal primo momento!
È giusto ed è doveroso rispettare tutte le libertà democratiche. Ma non appena in un comizio si fa il minimo accenno apologetico al fascismo la polizia deve intervenire. L’altro giorno il Ministro Scelba diceva di tutelare l’autorità del Governo vietando manifesti lesivi di tale autorità. Quanto è avvenuto al comizio è ancora più grave. Come è possibile star lì a sentire per mezz’ora, per tre quarti d’ora, l’apologia del fascismo senza che la polizia intervenga? Io riferisco cose che ho sentito. La polizia quando ha ricevuto l’ordine è intervenuta ed anche con energia, ma dopo mezz’ora, e questo non è ammissibile. (Applausi).
Devo dire francamente: c’è una questione pregiudiziale che va risolta. Senza di che ciascuno è indotto a risolvere la questione come può, come l’ho risolta io: le ho date e le ho prese! (Applausi).
Se qualcuno pensa che siamo noi a dover decidere, andiamo pure a decidere, dovunque.
C’è una legge chiara: il fascismo in Italia non deve più esistere. Credo che, nonostante la violenza delle nostre polemiche, nessuno di noi – anche se siamo divisi – spingerebbe la polemica al di là di certi limiti. Perché c’è qualcosa che ancora ci lega. Noi abbiamo un rispetto reciproco che deriva dalla concezione democratica. Ebbene, ho avuto l’impressione che, nell’incidente di piazza che deploriamo, tutta la democrazia fosse colpita.
Una voce al centro. Esagerato!
LA MALFA. No, non voglio drammatizzare. Sono avvenuti dei semplici scontri. Ma quando si arriva a questo punto c’è da domandarsi: qual è il limite di questa situazione? Il Governo deve avere questa preoccupazione. Non si può consentire che si scenda su questo terreno, e se si consente che qualcuno vi arrivi ed abbia successo, le conseguenze saranno ovvie. (Applausi a sinistra).
MAZZONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAZZONI. Se l’emozione non ha totalmente abolito i diritti della cronaca, io che sono stato con parecchi colleghi qui presenti – il collega che mi ha preceduto c’era anche lui – in mezzo al tumulto, dal principio alla fine, sento il dovere di dire una parola serena, che risponda ai fatti che ho visto.
Non cadrò nello sproposito in cui sono cadute le frazioni estreme nel 1919: lasciarsi trascinare nella bocca del lupo, dire sempre male della polizia, perché questo sarebbe ingiusto e oltre tutto scioccamente pericoloso. (Interruzioni).
Qui serenamente posso dire che la polizia l’ho vista manovrare, che ho visto anche arrestare parecchie persone; uomini e donne che gridavano, per esempio: Viva il duce! Viva il fascismo! Io li ho visti portar via, con i miei occhi.
LI CAUSI. Dopo un’ora!
MAZZONI. Sentite, io ammetto che si facciano questioni di opinione, ma la gente che dice che io sono cieco non la conosco e non l’ammetto.
Ora, a un certo punto, dopo un frastuono di inferno e dopo anche la nostra reazione (perché noi eravamo dieci o dodici ed abbiamo modestamente reagito) dopo tre quarti d’ora la polizia si è decisa ad un atto energico e fece lavorare le camionette. È un miracolo se io sono qui perché c’è mancato poco che non fossi andato a finire sotto una camionetta. Ma se io avessi perduto una gamba, non avrei assolutamente il diritto di dire che la polizia porta via le gambe ai rappresentanti del Parlamento. (Si ride). È avvenuto un serra serra generale; prima s’è sgombrata Piazza Colonna e poi, siccome la folla si riversava negli imbocchi, la polizia ha continuato la sua azione. Questa è la verità onesta e precisa, come io l’ho vista.
La filosofia che deriva da questo avvenimento è però un’altra. Io intendo la libertà repubblicana fino alle sue estreme conseguenze. I monarchici facciano la loro propaganda monarchica. Non ho niente da dire. Ma quando in un comizio si cantano gli inni fascisti, si grida «bombe a mano», si invoca Mussolini, allora io dico che quella è apologia di reato. (Applausi generali).
Ed allora non facciamo della burocrazia e del protocollo circa il permesso, che c’è stato o non c’è stato. Bisogna che da ora in poi – mi pare che sia domanda onesta e democratica – il Governo precisi esattamente la casistica di queste dimostrazioni e che la polizia sia preventivamente avvertita e non sia costretta ad intervenire solo dopo un’ora.
Bisogna che la polizia sappia fin dal principio che bisogna lasciare la più ampia libertà in questo Paese che non ha paura di sentire le verità più scottanti. Ma quando ci sono scellerati che fanno l’apologia di ciò che ha assassinato il nostro Paese, il capo della polizia deve dare ordine di scioglimento dei comizi perché quella non è più libertà, ma apologia di reato. (Vivi applausi).
PRIOLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PRIOLO. Mi associo a quanto hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto, e più particolarmente agli onorevoli Sansone, Lussu, La Malfa e Mazzoni.
Debbo lealmente riconoscere che la polizia, quando ricevette gli ordini, ha fatto il suo dovere e sciolse immediatamente l’ignobile adunata, che insozzava il centro di Roma.
Né, a quanto mi consta (si noti che intervenni solo in un momento successivo), la polizia assalì i deputati, perché, e mi è testimonio il compagno onorevole Faralli, allorché io, declinando la mia qualifica, arrestai le camionette, che muovevano verso piazza Montecitorio, e resi noto agli agenti che in piazza vi erano i membri della Costituente, non trovai opposizione ed insistenza.
Però qui il problema è un altro. L’onorevole Presidente del Consiglio dice che il comizio non era autorizzato (veramente centinaia di manifesti ne davano fin dal mattino l’annuncio); ma allora non bisognava consentire che avesse avuto inizio e quel che è peggio svolgimento per circa quaranta minuti con discorsi, che inneggiavano a Mussolini ed al fascismo e con canti blasfemi, che rievocavano i pugnali e le bombe a mano di infausta memoria. Da ciò il legittimo risentimento di cittadini e di alcuni membri della Costituente contro i quali si rivolse l’ira minacciosa dei dimostranti del M.S.I.
Vi è da domandarsi a questo punto non cosa facessero gli agenti, poveri e bravi figliuoli, che giustamente attendevano gli ordini del superiore, ma cosa invece pensasse e facesse il funzionario (non so veramente chi sia) preposto al servizio, e cosa aspettasse per porre termine a discorsi provocatori, che oltre al resto costituivano apologia di reato. Debbo amaramente supporre che traesse motivo di compiacimento da quanto veniva gridato sulla piazza e che in maniera assai diversa si sarebbe comportato, ove si fosse trattato di un comizio mancante di autorizzazione, fatto però da operai o da contadini. (Applausi a sinistra – Commenti).
È stato necessario che l’eco della manifestazione di marca prettamente fascista giungesse in quest’Aula perché il Presidente del Consiglio si decidesse a telefonare al Ministro Scelba, solo allora il funzionario di servizio, richiamato al dovere, diede gli ordini e il comizio prontamente venne sciolto.
Non sopravalutiamo il fatto, va bene, ma santo Dio, non lo svalutiamo neppure! È così che si comincia e poi non si sa dove si finisce.
Poco fa io dicevo a quattr’occhi all’onorevole Grassi, Ministro di grazia e giustizia: ecco le conseguenze dell’eccessiva indulgenza, che viene purtroppo scambiata per debolezza, anzi per paura: è così che si comincia e poi piano piano si torna al 1923, al 1924, al 1925 con quello che segue…
Io vorrei ricordare all’onorevole De Gasperi le riunioni segrete di quel tempo in una saletta del ristorante dei «Tre re», oggi scomparso (particolari vivi nella mia memoria: il suo alto colletto bianco e la sua parola decisiva e dura); dobbiamo tornare a quei tempi?
Avevo trent’anni ed i capelli neri, ora li ho grigi, se poi giro lo sguardo su questi banchi trovo pochi, pochissimi deputati di quel periodo funesto. E mi domando: gli altri? Gli altri morti, morti ammazzati, morti nelle galere od in esilio!
E che davvero l’esperienza del passato non debba ammonirci! In pericolo le nostre vite in questo Palazzo, maggiormente in pericolo fuori di qui.
La sera accompagnavo Filippo Turati a Campo Marzio, nella stanzetta modesta dove egli dormiva, pronto a fargli scudo del mio corpo se un bandito avesse cercato recargli offesa. Un certo giorno, il cui ricordo mi rattrista ancora, gli volevo dare una rivoltella, egli mi disse che non sapeva maneggiarla e che comunque non l’avrebbe mai usata e la rifiutò. Un’altra rivoltella diedi all’onorevole Labriola, non me la restituì più, ma non è per richiedergliela che io ricordo ciò, ma per rendere noto ai colleghi ignari ed ai sorridenti dalle braccia conserte la situazione amara nella quale ci trovavamo allora. In quest’Aula e nei corridoi di questo palazzo lampeggiavano l’odio e le minacce di morte: necessità quindi di armarci per difenderci; dobbiamo tornare a quei tempi?
Indulgenza sì, tolleranza sì, libertà sì, ma non per coloro, che vogliono ancora assassinare la libertà, mortificare la Nazione, ridurci nuovamente in catene: perché allora sappiate colleghi che De Gasperi, Togliatti e Corbino non saranno più impiccati soltanto in effige, cosa questa di nessun rilievo, ma lo saranno davvero.
Ed io avrei voluto vedere scattare in un impeto di indignazione e di protesta tutti voi colleghi presenti in questa Assemblea (Commenti); perché si può e si deve contrastare ed anche vivacemente fra di noi – nel civile contrasto è la vita – ma, quando a cinquanta metri da questo Palazzo una masnada di cialtroni urla contro il Parlamento ed inneggia al duce, bisogna che unanime sia la protesta, e decisa l’intenzione di porre legalmente riparo a tanto scempio. (Applausi a sinistra). Mi è perciò profondamente doluto vedere su taluni banchi della destra ed anche del centro dei colleghi seduti, a braccia conserte, indifferenti, sorridere, anzi ridere, di fronte all’indignata protesta di grandissima parte dell’Assemblea. (Applausi – Commenti).
Il nostro appello abbia perciò un’eco profonda ed ammonisca il Governo a vigilare, ed ove occorra, ad intervenire energicamente in difesa della libertà, della democrazia e della Repubblica. (Vivissimi, prolungati applausi a sinistra).
PACCIARDI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PACCIARDI. Devo anzitutto sottolineare il consenso del mio Gruppo e mio alle conclusioni cui sono pervenuti gli ultimi oratori. In realtà, io sono arrivato tardi in Piazza Colonna insieme con altri colleghi, anche comunisti, dei quali invoco la testimonianza per dire che intorno al nostro gruppo di deputati la polizia ha fatto il suo dovere. Non ho nessuna ragione di mettere in dubbio la parola di altri deputati verso i quali invece la polizia non si sarebbe comportata correttamente. Ma non è questo il problema. Quando siamo arrivati nella piazza, siamo veramente rimasti tutti indignati. Ci pareva di rivivere le giornate macabre del 1919 e del 1920, quando si era in piena gazzarra fascista, in piena gazzarra d’insulti.
Vi riferirò che intorno a me un gruppo di fascisti facinorosi che mi ha riconosciuto ha detto: «Quello è Pacciardi: bisogna ammazzarlo». È una indegnità che si possano permettere delle reminiscenze di questo genere. Siamo rimasti indignati; ma questo è il risultato, in fondo, di una situazione alla quale non siamo giunti per caso. Abbiamo permesso che gli stessi insulti lanciatici oggi da quei giovinastri ci vengano lanciati insieme con l’apologia del fascismo da tutti i giornali fascisti risorgenti, senza dire una parola: questi insulti di «venduto» e di «sciacallo» quotidianamente vengono pubblicati dai giornali fascisti, nella olimpica indifferenza del Ministro dell’interno.
Un appunto sereno e sincero desidero fare al Governo, che non può ignorare i precedenti di questa manifestazione. Non da oggi nelle vie centrali e nelle piazze di Roma si cantano gli inni fascisti e si formano cortei fascisti, indisturbati dalla polizia.
È evidente – e mi associo alle deplorazioni dei colleghi – che quando c’è un’apologia di reato in atto, cioè una contravvenzione alla legge, la polizia non deve avere bisogno di domandare il permesso al Governo per intervenire. Essa deve intervenire automaticamente. Se non interviene, è segno che il Governo non ha dato l’ordine preventivo di intervento. Perché, laddove il Governo dà l’ordine, la polizia obbedisce, come ha obbedito in questa occasione.
Onorevole Presidente del Consiglio, noi che viviamo – e ce ne gloriamo – di reminiscenze repubblicane, dobbiamo ricordare la consegna che alla Repubblica romana dava Mazzini. Il suo Governo – diceva – in quelle occasioni deve essere conciliatore ed energico. Mi pare che tutti siamo stati conciliatori. La amnistia è un atto di conciliazione verso coloro che davano segni di ravvedimento e mostravano resipiscenza, dimenticando il passato. Tutti quanti abbiamo invocato questa riconciliazione nazionale nelle istituzioni repubblicane, nella casa comune, che diventava di tutti gli italiani con la instaurazione della Repubblica. Ma contro coloro che, malgrado questi sentimenti di conciliazione espressi da tutti i partiti, hanno continuato pervicacemente non solo a sognare, ma a tentare di ricreare il fascismo, contro costoro non più conciliazione occorre, ma energia, ed energia spietata. Bisogna stroncare la testa a questo fascismo risorgente. Questa è la consegna che bisogna dare. (Vivi applausi a sinistra).
PAJETTA GIAN CARLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Non avendo dato all’onorevole Sansone la facoltà di parlare una seconda volta, ella deve comprendere, onorevole Pajetta, che non posso concedere tale facoltà neppure a lei.
PAJETTA GIAN CARLO. Non comprendo, ma non insisto.
AMENDOLA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AMENDOLA. Non parlerei, se non sentissi il bisogno di precisare, come i colleghi hanno fatto, che il contegno degli agenti di polizia è stato esemplare. Quando essi si sono trovati di fronte a casi flagranti di fascisti isolati che provocavano ed insultavano, hanno agito subito. Deploriamo il contegno non dei singoli agenti di polizia, ma del vice questore, che era sul posto; e, sopra di lui, c’è la responsabilità del capo della polizia e del Ministro dell’interno.
Il comizio era da più giorni conosciuto, anche per i numerosi manifesti che tappezzavano il Corso del Popolo. Infatti, in Piazza Colonna vi era un forte schieramento di polizia. Il comizio è cominciato alle ore 18 con atti provocatori fascisti e col canto degli inni del passato regime. Quando mi sono trovato di fronte a queste manifestazioni, che hanno offeso i nostri sentimenti e determinato il nostro legittimo sdegno di vedere una piazza di Roma insozzata da simile canaglia, ho chiesto al vice questore di intervenire immediatamente di fronte a così flagrante violazione della legge. Invece, il vice questore ha creduto di dover aspettare gli ordini. Siamo tornati a Montecitorio e abbiamo dovuto fare appello al Governo, ed aspettare così quaranta minuti, perché l’ordine venisse dato. Per quaranta minuti la manifestazione è continuata alle porte del Palazzo di Montecitorio.
Non è, dunque, agli agenti della Celere che deve andare il nostro rimprovero; anzi a questo reparto va il nostro plauso. (Approvazioni). Io sono sicuro che gli agenti della Celere, da buoni italiani, faranno sempre il loro dovere; ma io non posso avere e non ho la stessa fiducia in coloro che sono al comando di queste forze e che dovrebbero assicurarci che esse siano impegnate nella difesa delle istituzioni repubblicane. In quest’Aula si sono rievocati poco fa dei ricordi; sia permesso anche a me, onorevole Conti, di rievocare alcuni ricordi…
LUSSU. Viva Amendola! (L’Assemblea in piedi applaude lungamente inneggiando a Giovanni Amendola).
CARONIA. Viva Giovanni Amendola!
AMENDOLA. Ebbene, ricordo che nel 1922, 1923 e 1924, i parenti dei deputati dell’opposizione erano all’uscita del Palazzo di Montecitorio; tutti noi li aspettavamo al termine della seduta con trepidazione perché sapevamo che la salute dei nostri cari era in pericolo, perché sulla piazza di Montecitorio erano in permanenza gruppi di fascisti armati che cercavano così di esercitare una pressione intimidatrice sopra i deputati dell’opposizione. Io ricordo anche, onorevole De Gasperi, di averla veduta uscire, insieme con mio padre, dalla porta che dà su via della Missione e cercare di sfuggire all’agguato delle camicie nere fasciste. Noi non vogliamo che questi tempi tornino. Non è per permettere alla canaglia fascista di manifestare davanti a Montecitorio che abbiamo per venti anni combattuto. Non è per questo che sono caduti i figli migliori del popolo italiano. Io credo che non sia drammatizzare oltremodo l’incidente arrivare a conclusioni di questo genere. Ciò deve servire di ammonimento: non è a caso che sono venuti a Piazza Colonna a manifestare. Essi preparano altre manifestazioni e, se noi non intervenissimo oggi, seguirebbero ben più gravi episodi.
Ma noi siamo ben decisi ad intervenire. Siamo intervenuti oggi in questa sede, con il diritto che ci deriva dal mandato conferitoci dal popolo italiano. Siamo intervenuti oggi e interverremo in questa sede e fuori di questa sede perché, onorevole De Gasperi, anche questo è un ricordo di lontani anni, ci ricordiamo della capitolazione di quei Governi che avevano il dovere di difendere le libertà democratiche e che invece aprirono la strada al fascismo. Noi non permetteremo che simili cose si ripetano. Io ricordo la giornata tragica del 28 ottobre in cui il Governo che aveva il dovere d’intervenire non intervenne e vidi mio padre piangere di vergogna. Ma, in caso di carenza del Governo e di capitolazione di fronte ad attacchi fascisti, c’è oggi nel popolo italiano la volontà di far fronte con i suoi mezzi a qualunque minaccia. Ed io mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Scoccimarro: il popolo italiano ha la forza per spezzare ogni attacco fascista e per intervenire efficacemente di fronte ad un Governo che protegge simili canaglie e utilizza le forze di polizia contro gli operai ed i partiti democratici. (Vive proteste al centro). Le masse operaie sapranno difendere in ogni caso la libertà e la democrazia.
Finisco con due precise domande. Domando al Governo di farci conoscere nella prossima seduta quali provvedimenti ha preso contro il capo della polizia e contro il questore di Roma (Rumori al centro), responsabili di aver permesso che un comizio fascista durasse per quaranta minuti in Piazza Colonna. Inoltre io domando che il Governo ci faccia conoscere al più presto quali provvedimenti esso ha preso contro il partito che inscena, in piena Roma, manifestazioni di questo tipo fascista. Ed il solo provvedimento che s’impone è lo scioglimento.
A questa domanda noi vogliamo una risposta perché il popolo italiano esige questa risposta, perché il popolo italiano non vuole che ai fascisti sia data la libertà di tramare nuovamente contro le libertà che noi abbiamo conquistato. (Applausi a sinistra – Commenti).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, io credo che nessuno di noi possa stupirsi se il tumulto degli animi, giustamente provocato dagli avvenimenti di cui siamo stati testimoni o dei quali abbiamo avuta notizia, abbia trovato una eco nel tumulto delle parole nelle quali i sentimenti ed i pensieri si sono tradotti ed espressi. È evidente che non può esserci una separazione tra ciò che si sente e ciò che si dice. Ma credo che vi sia stato qualcosa di comune in tutto ciò che qui si è detto, indipendentemente dal tono delle parole usate: ed è il senso di profonda preoccupazione, che in alcuni un eccesso di responsabilità, più o meno bene interpretato, può aver spinto ad attenuare mentre in altri l’impeto irrefrenabile del giusto risentimento ha portato invece ad accentuare, ma che evidentemente esiste in tutti.
Egregi colleghi, penso che questa discussione – la quale non sta, si tranquillizzino coloro che sono preoccupati del Regolamento, fuori dei poteri e dei doveri Dell’Assemblea Costituente – suoni quanto meno ammonimento per tutti coloro i quali non riescono ancora a comprendere ciò che oggi avviene e domani potrebbe avvenire nel nostro Paese. Ed anche suoni non dirò più come ammonimento, ma come un serio invito per coloro cui è affidato il compito di realizzare la volontà del popolo italiano. Noi costituenti non possiamo che dare forma alla volontà popolare tesa verso l’avvenire, e lo facciamo redigendo la Carta costituzionale; ma nessuna Carta costituzionale, per quanto ponderata, pensata, e discussa, redatta e poi votata, potrà nulla creare di buono per il nostro Paese, se si permette che, annidati nelle sue fondamenta le più profonde, restino gli elementi di disgregazione e di sovvertimento di cui stasera le grida tumultuose fuori di questo Palazzo ci hanno ancora una volta denunciato e confermato la perniciosa presenza. (Vivissimi applausi).
Il Governo ha dichiarato che in una prossima seduta, per bocca dei suoi rappresentanti, risponderà alle questioni che gli sono state poste stasera. Credo che dobbiamo attendere questa risposta prima di esprimere nuovi pensieri.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi pare che sostanzialmente, per quello che riguarda la direttiva del Governo, ho risposto con tutta franchezza, nei miei due precedenti interventi. Se si tratta di accertamenti di responsabilità e di provvedimenti conseguenti, naturalmente il Ministro dello interno è a disposizione dell’Assemblea, come è suo dovere; ma credo che, come direttiva del Governo, ho già dato tali assicurazioni che possono ben tranquillare coloro che possono temere una deviazione derivante da debolezza di Governo o da mancanza di propositi. I confronti che si sono fatti mancano di termine di paragone.
Quando si parla del 1924 si dimentica che al Governo era Mussolini che era anche Ministro dell’interno. Si è parlato e si sono portati esempi del 1924 e credo che nessuno possa dubitare che in noi e nel nostro Governo ci sia la centesima parte delle tendenze di un Governo Mussolini.
In secondo luogo quando ci si riferisce al 1919-1920 si parla di altri Governi a cui partecipavano anche uomini di buona volontà, anche uomini di tendenza antifascista, i quali però non avevano la triste esperienza che abbiamo avuto noi ed erano inoltre eccessivamente fiduciosi dello spirito ormai tradizionale di libertà.
I Governi devono oggi trarre insegnamento da una esperienza vissuta; e le precauzioni a questo riguardo non sono mai sufficienti. Su questo posso impegnare la mia parola di onore, come uomo che ha sentito che cosa era il fascismo, che ha combattuto e che ha fede soprattutto nella libertà, nella democrazia e nelle istituzioni repubblicane.
Se qui si fanno interpellanze con un tono che mette pregiudizialmente fuori questione il Governo, come un Governo che non riscuote fiducia, allora il tono della mia risposta deve essere diverso. Se, invece, si ha fiducia nella mia coscienza e nella mia capacità di Governo, prego di non paragonare il mio con i Governi di altri tempi. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Commenti).
Sui lavori dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana è rinviato ad una prossima seduta.
Lunedì alle 16 si terrà seduta dedicata alle interrogazioni.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e del lavoro e previdenza sociale e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se risponda a verità quanto il giornale II Mattino dell’Italia Centrale ha pubblicato in merito al mancato versamento della somma di lire 342.300 da parte della cooperativa «La Rinascita», di Grosseto, che, incaricata dalla Sepral di provvedere alla distribuzione ai vari comuni della provincia di 163 quintali di riso sequestrato il 12 febbraio 1946 dalla squadra annonaria, ne versò il ricavato l’8 agosto 1947, cioè dopo oltre un anno e mezzo, quando già era stata presentata denunzia per appropriazione indebita alla Procura della Repubblica di Novara.
«Per conoscere altresì quali provvedimenti si intendano adottare, anche da parte del Ministro del lavoro, verso la suddetta cooperativa.
«L’interrogante chiede lo svolgimento di urgenza.
«Monticelli».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se risponda a verità quanto il giornale Il Mattino dell’Italia Centrale ha pubblicato in merito alla mancata distribuzione alle cooperative di consumo di 200 quintali di baccalà salinato, assegnato dall’Alto Commissariato per l’alimentazione alla Federazione provinciale delle cooperative di Grosseto, e da questa rivenduto, a prezzo notevolmente maggiorato, ad una ditta di Fucecchio. In caso affermativo, quali provvedimenti intenda prendere il Ministro del lavoro verso la Federazione delle cooperative di Grosseto.
«L’interrogante chiede lo svolgimento di urgenza.
«Monticelli».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per sapere se e come siano state concluse le trattative diplomatiche relative a pretese avanzate dal Governo francese sui campi cimiteriali di guerra in Italia – in riferimento particolare al cimitero sul Colle della Farnesina in Roma – pretese che, secondo dichiarazioni ufficiali, «vanno al di là del semplice diritto di uso».
«Di Fausto».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere le ragioni che impediscono la riattivazione delle comunicazioni telefoniche delle frazioni del comune di Sorano (Grosseto) indispensabili per i soccorsi sanitari e per esigenze di ordine pubblico.
«Si precisa a tal proposito che fin dal 1946 il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni ad altra analoga interrogazione dell’interrogante aveva risposto che i lavori per la riattivazione dei collegamenti telefonici erano già in corso ed era quasi completato il ripristino delle relative palificazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Monticelli».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga opportuno abrogare la disposizione ministeriale emessa durante la guerra, con la quale, ai fini di ridurre al minimo il movimento dei viaggiatori sulle ferrovie si limitava a quattro all’anno l’uso degli scontrini per la concessione C (50 per cento) del titolare del libretto e delle persone di famiglia per i dipendenti dello Stato.
«Abrogata nei riguardi del titolare, la limitazione rimane per le persone di famiglia.
Ora, considerato che: a) questa limitazione costituisce un altro aggravio indiretto per una categoria di persone già ridotte in penose condizioni; b) che sono in gran parte cessate le ragioni che provocarono il provvedimento limitativo in oggetto; c) che la limitazione colpisce numerosissime famiglie residenti fuori del capoluogo provinciale, che pur sono costrette a frequentare per ragioni di studio, per pratiche, ecc., sembra giusto e necessario che le antiche agevolazioni siano senz’altro ripristinate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Arata».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se in sede di riforma e coordinamento delle norme concernenti gli oneri dei comuni e i mezzi per fronteggiarli non ritenga opportuno tenere in considerazione, per un eventuale definitivo regolamento, la parte che riguarda le spese di manutenzione degli uffici giudiziari e degli edifici delle scuole secondarie ed ispettorati scolastici.
«Si fa noto – ad esempio – che il comune di Piacenza trovasi impegnato in spese rilevanti e, in via normale, non sopportabili per la sistemazione degli uffici giudiziari, alcuni dei quali, come il Tribunale e la Corte d’assise, sono al servizio non soltanto dei cittadini del comune capoluogo, ma di tutta la provincia.
«È appunto sotto questo aspetto che potrebbe essere prospettata la riforma: nel senso, cioè, che l’onere per la manutenzione degli uffici posti al servizio di tutta la collettività provinciale debba essere proporzionalmente ripartito fra tutti i comuni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Arata».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere:
- a) se non ritenga opportuno emettere provvedimenti ancora più rigidi di quelli vigenti per eliminare o almeno ridurre al minimo possibile l’abuso del consumo dell’energia elettrica per fini non direttamente produttivi o di stretta necessità ed utilità;
- b) se non ritenga necessario intervenire perché nella distribuzione della stessa energia si tenga favorevolmente e proporzionalmente conto sino al raggiungimento del limite anteguerra delle zone dove appunto, per le conseguenze belliche patite (come nella provincia di Spezia), la ripresa industriale è stata e permane particolarmente difficile e dove l’iniziativa privata trova ostacolo al suo sorgere o al suo sviluppo per la denegata concessione anche di minimi quantitativi di energia, determinando così il permanere e l’aggravarsi di uno stato di disagio e di disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere perché – considerato che il regime armistiziale è venuto a cessare colla avvenuta ratifica del Trattato di pace – non si addiviene all’annullamento dell’articolo 7 del decreto in data 21 maggio 1946 del Ministero del tesoro, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, edizione speciale n. 132-2, del 10 giugno 1946, per il quale non sono ammessi ricorsi né in via amministrativa, né in via giudiziaria, contro i provvedimenti del Ministero del tesoro, con cui vengono liquidati gli indennizzi a risarcimento di danni alle persone, causati – non per operazioni di guerra – dalle truppe alleate in Italia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rodinò Mario».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 20.15
Ordine del giorno per la seduta di lunedì 13 ottobre 1947.
Alle ore 16:
Interrogazioni.