Come nasce la Costituzione

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 30 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 30 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Dimissioni:

Presidente

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Sulla validità della votazione di un emendamento:

Macrelli

Presidente

Fioretto

Manzini

Russo Perez

Codacci Pisanelli

Dominedò

Nobile

Calosso

Selvaggi

Verifica del numero legale:

Presidente

Presentazione di relazioni:

Di Giovanni

Presidente

Svolgimento di due interpellanze:

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Persico

Micheli

Morandi

Di Vittorio

Vanoni

Ferrari

Fanfani, Ministro del lavoro e della previdenza sociale

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Laconi

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Dimissioni.

PRESIDENTE. Comunico che mi è pervenuta dall’onorevole Martino Enrico la seguente lettera:

«Onorevole Signor Presidente dell’Assemblea Costituente,

Roma, 29 ottobre 1947

«Nella mia qualità di Ministro d’Italia a Belgrado, mi trovo nella impossibilità di svolgere degnamente il mio mandato di deputato all’Assemblea Costituente.

«Mi onoro pertanto rivolgermi all’Assemblea Costituente perché mi voglia dispensare dal mandato, rendendo così possibile al mio successore di svolgere le sue funzioni nell’interesse superiore del Paese.

«Nel lasciare l’onorato mandato rivolgo a Lei, onorevole Presidente, e ai colleghi tutti il mio cordiale saluto e i migliori auguri per l’alto compito cui sono stati chiamati dalla volontà popolare.

«Con ossequio.

«On. Enrico Martino».

Se non vi sono obiezioni pongo ai voti l’accettazione delle dimissioni dell’onorevole Martino Enrico.

(Sono accettate).

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso una domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Laconi, per il reato di cui all’articolo 18 del testo unico della legge di pubblica sicurezza.

Sarà inviata alla Commissione competente.

Sulla validità della votazione di un emendamento.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi! Ci sia consentito di tornare con tutta serenità sulla votazione della seduta di stamani a proposito della Regione emiliana. Pur non intendendo risollevare eccezione alcuna per il computo dei voti fatta dalla Segreteria, dobbiamo tuttavia rilevare, in base alle stesse parole dell’illustre signor Presidente, che può essere obiettivamente posto in dubbio che l’Assemblea, al momento della votazione, avesse adeguata scienza dei presupposti e dell’oggetto della medesima.

Se così è, come sembra, si verifica l’ipotesi, già contemplata dalla prassi e dai trattati parlamentari, per cui se i deputati votanti riconoscono di avere per errore votato contro la propria intenzione, vien meno il presupposto stesso della validità di una deliberazione. Precedenti storici sorreggono questa tesi. Chiediamo pertanto che, in vista delle circostanze obiettive che abbiamo ora esposto, il Presidente sottoponga ancora la votazione alla volontà dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Macrelli, in ordine all’esito della votazione eseguita stamani circa un emendamento presentato dall’onorevole Corbino, relativo alla elencazione delle Regioni storico-tradizionali contenuta nell’articolo 123 del progetto di Costituzione, ha rilevato che può essere avvenuto che la votazione si sia svolta in un momento nel quale non tutti quanti i membri dell’Assemblea presenti nell’Aula avevano pienamente afferrato il valore ed il significato della votazione stessa, ed ha chiesto che questa sia ripetuta.

È un problema che riguarda l’Assemblea la quale ha dato il voto e che, evidentemente, può o non può accettare la proposta e condividere le considerazioni dell’onorevole Macrelli.

FIORITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FIORITTO. Credo che sarebbe umiliante per l’Assemblea ritornare con mia motivazione simile sulla deliberazione già presa, e ritengo che sia pericolosissimo questo esempio che daremmo a noi stessi per l’avvenire della prassi parlamentare, perché si potrebbe sempre esporre il dubbio che l’Assemblea non abbia compreso l’oggetto ed il motivo della votazione, ed allora ogni votazione dovrebbe essere nuovamente sottoposta a riesame, e non ci sarebbe più quella garanzia di serietà e di sicurezza che deve accompagnare le decisioni di un’Assemblea legislativa.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Mi permetto di appoggiare la tesi del collega Macrelli, perché, se apprezzo in tutto il suo valore morale e giuridico l’obiezione che è stata fatta alla sua proposta, e riconosco che il precedente può suscitare una preoccupazione comprensibile, tuttavia i modi coi quali si è svolta la votazione di stamani avvalorano pienamente la tesi proposta dall’onorevole Macrelli.

Come proponente di un emendamento, che è stato la causale forse di questa variazione, aggiungo che un gruppo di coloro che hanno votato stamani, per opinioni dichiarate nelle successive votazioni, non hanno afferrato appieno il significato di quella votazione, perché l’emendamento da noi presentato, cioè la modifica della congiunzione Emilia e Romagna in Emilia-Romagna voleva riaffermare l’unità della Regione. Ma nella differenziazione nominale, per innegabile carattere di tradizione, di storia, di lingua, alcuni di coloro che avevano aderito a questo emendamento, il cui significato è motivo di ogni equivoco, hanno aderito perché non hanno colto tutta l’importanza della proposta dell’onorevole Corbino.

Quindi, siccome si tratta di una votazione importante, a vasta ripercussione e che può profondamente incidere sullo stato d’animo delle nostre popolazioni, e poiché la stessa mozione approvata ieri sera, ove si parla di Regioni storico-tradizionali, è in perfetta coerenza con la rivendicazione del nome Romagna, ormai consacrato dall’uso, io penso che la motivazione sia perfettamente fondata e che essa, anche per testimonianza individuabile di coloro che hanno votato, possa essere accolta, ponendo di nuovo in votazione l’argomento.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Io sono fra coloro che si dolgono che il nome di Romagna venga cancellato dall’elenco delle Regioni; però mi associo alle considerazioni che sono state fatte testé a questo riguardo e ritengo assurda la proposta dell’onorevole Macrelli. Io non conosco i precedenti parlamentari, ma dubito che ci possano essere precedenti favorevoli alla tesi Macrelli. Egli dice che è da supporre che parecchi di coloro che hanno votato, hanno votato senza sapere che cosa votassero. Ora questo mi sembra ingiurioso per l’Assemblea.

MACRELLI. Non è esatto.

RUSSO PEREZ. Comunque io dico che un galantuomo qualsiasi, se non sa che cosa vota, non deve votare. Per non costituire un pericoloso precedente, io propongo che l’Assemblea respinga la proposta dell’onorevole Macrelli.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Si è detto che sarebbe un pericoloso precedente, ma, come l’onorevole Presidente ha avuto più volte occasione di dire, quando l’Assemblea abbia deliberato sopra una determinata decisione, non è detto che vi sia una vera e propria preclusione. È stato più volte affermato che l’Assemblea può tornare sopra le sue deliberazioni.

Per dimostrare tale tesi, si potrebbero portare molti elementi di carattere giuridico, ma io faccio soltanto presente che, come quando si vota una legge e la si è approvata articolo per articolo, tuttavia la si può anche respingere nella votazione finale a scrutinio segreto; così non è detto che, quando questa Assemblea abbia deliberato, la sua deliberazione le impedisca di tornare su di essa, ove lo creda.

Per quanto riguarda la legislazione, è noto che si può sempre abrogare la legge, e come la si può abrogare dopo averla emanata, così si può ritornare sulle parti di essa già deliberate. Per queste ragioni ritengo che, anche dal punto di vista strettamente giuridico, non ci sia nulla da obiettare. Senza considerare poi che non mancano i precedenti parlamentari, dai quali è facile desumere che le Assemblee legislative hanno più volte usato la facoltà di ritornare sulle proprie deliberazioni precedenti, pure nel corso della discussione relativa a un medesimo progetto di legge.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, personalmente debbo dissentire dal collega che mi ha preceduto, e più esattamente dalle premesse che lo hanno ispirato, in quanto sono il primo a volermi di regola inchinare ad una votazione già verificatasi, con tutte le conseguenze giuridiche e politiche che ad essa si collegano in via di principio.

Ma se, in via di eccezione, vedessi ricorrere delle circostanze straordinarie di carattere obiettivo, le quali possano sorreggere l’ipotesi di una non sicura validità della precedente deliberazione, evidentemente noi ci muoveremmo su un diverso terreno.

A me pare che le circostanze straordinarie, le quali eventualmente possono dare corpo a questa eccezione rispetto alla regola, e quindi non costituirebbero alcun pericolo di precedente, in quanto perciò stesso riaffermerebbero il principio della validità vincolante e preclusiva di ogni deliberazione valida, siano le seguenti.

Primo: il fatto dell’immediata reazione pubblica in Aula da parte dell’onorevole Macrelli, prima ancora che si passasse ad altri argomenti e che, in un certo senso, si formasse cosa giudicata sulla decisione avvenuta, quando ancora sussisteva invariata la composizione dei deputati presenti e votanti.

È vero che l’onorevole Macrelli ha motivato in base al dubbio sull’accertamento dei voti, dubbio che cade dinnanzi all’accertamento formale del Presidente. Ma è altrettanto vero – ed ecco il secondo elemento obiettivo del problema – che tempestivamente fu allora prospettata alla Presidenza l’eventualità che l’argomento non dovesse essere quello dell’inesatto computo, bensì quello della non piena scienza e coscienza dell’Assemblea nel momento della votazione. Mi si dirà che tutto ciò non si confà al prestigio della deliberazione di un’Assemblea. Ed io a ciò sottoscriverò, normalmente, senza però escludere che, eccezionalmente, possa ben verificarsi il caso. E, sempre che eccezionalmente il fatto avvenga, esso non può non tradursi in un difetto nei presupposti della deliberazione, difetto che ne inficia la validità e che determina da parte nostra il diritto e il dovere di ritornare nel merito.

In terzo luogo, è da considerare che i presentatori degli stessi emendamenti, che al momento della discussione sembravano porsi in antitesi con l’argomento che ha determinato la votazione de quo, hanno testé parlato per chiarire che non essi intendevano che l’emendamento proposto potesse determinare il conflitto di cui parliamo.

Io mi permetto obiettivamente, e con estrema serenità di prospettare all’Assemblea questo triplice ordine di circostanze, in aderenza alle quali ritengo che potremmo deferire con piena tranquillità alla maggioranza della volontà assembleare il quesito sulla riproponibilità o meno della votazione. (Commenti – Approvazioni).

Una voce a destra. Sofisma!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, poiché si sono manifestate opinioni contrarie sull’argomento, è evidente che questa non può essere una questione da risolversi direttamente dalla Presidenza, ovvero con la consueta formula: «Poiché non si sono sollevate obiezioni, si accede alla proposta».

Desidero precisare che si è detto da una parte e dall’altra che precedenti storici esistono o non esistono; in effetti, si sono verificati episodi di questa natura, sia durante i lavori della Camera, come durante i lavori del Senato e, precisamente, in alcune occasioni nelle quali – per il fatto che, appunto, a votazione già proclamata, alcuni membri delle due Assemblee hanno detto o fatto comprendere che non avevano partecipato alla votazione con piena conoscenza della materia su cui si votava – i Presidenti di quelle due Assemblee hanno ritenuto di poter procedere nuovamente alla votazione.

Evidentemente, occorre che vi siano manifestazioni di questo genere. L’onorevole Macrelli ci ha detto che, dopo la votazione avvenuta, un certo numero di colleghi si è, appunto, espresso in tal modo.

Questa è la situazione obiettiva.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Chiedo all’onorevole Presidente se risulti dai precedenti, come penso, che nei casi invocati, la richiesta di una nuova votazione sia stata fatta immediatamente dopo il voto, nella stessa seduta. Ci troviamo ora in un’altra seduta. Pensi l’Assemblea cosa potrebbe accadere domani: che un’Assemblea, che abbia votato una determinata proposta in un determinato senso, in un’altra seduta, voti la stessa proposta, in modo diverso: ma è assurdo!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, a questo punto è l’Assemblea che deve decidere. Vi è dunque una proposta dell’onorevole Macrelli di ripetere la votazione eseguita stamane in relazione all’emendamento dell’onorevole Corbino, inteso a ridurre alla semplice formula «Emilia» la formula del testo della Commissione «Emilia e Romagna».

L’onorevole Macrelli appoggia tale sua proposta con il fatto che una parte dei membri dell’Assemblea, i quali hanno partecipato alla votazione, hanno successivamente dichiarato che essi avevano dato il loro voto senza aver bene afferrato l’oggetto della votazione stessa.

FIORITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FIORITTO. Un solo rilievo, onorevole Presidente: i diritti dei deputati assenti, di quelli cioè che hanno votato formando la maggioranza nella precedente seduta, ma che non sono più presenti ora a questa seconda votazione che si vorrebbe fare, chi può tutelarli con questo sistema? (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Fioritto, a questa sua osservazione, non posso se non rispondere una cosa: ogni decisione dell’Assemblea ha il presupposto che tutti i membri dell’Assemblea, quindi anche gli assenti, accettano in ogni determinato momento le decisioni dell’Assemblea stessa, le quali impegnano gli assenti allo stesso modo dei presenti. (Approvazioni).

Pongo pertanto in votazione la proposta dell’onorevole Macrelli di procedere alla ripetizione della votazione sull’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Corbino, di cui ho or ora ricordato il testo.

(Dopo prova e controprova, la proposta è approvata).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ, lo protesto solennemente contro questo precedente, e mi dispiace che sia stato il nostro Presidente a istituirlo!

PRESIDENTE. È l’Assemblea che l’ha istituito.

RUSSO PEREZ. Lei l’ha proposto. Una legge approvata oggi sarà bocciata domani. (Rumori). Se si è sbagliato, si riconosca l’errore e basta!

 PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sulla base della decisione presa dall’Assemblea nell’attuale votazione, procediamo alla nuova votazione dell’emendamento dell’onorevole Corbino.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Onorevole Presidente, penso che, prima di procedere a qualunque altra votazione, abbiamo l’obbligo di accertare in modo preciso che cosa dicono in proposito le pubblicazioni statistiche ufficiali delle quali si fa menzione nell’ordine del giorno approvato questa mattina. Mi pare che questa sia la stessa pregiudiziale che aveva avanzato l’onorevole Corbino.

A me pare che la votazione di stamane non avrebbe dovuto nemmeno aver luogo, per non correre il rischio di mettersi in contraddizione con una votazione precedente. Per non ripetere l’errore bisogna ora accertarsi di ciò che dicono le statistiche ufficiali. Se in esse si parla della Romagna, si potrà tornare sulla deliberazione presa, onde eliminare la contradizione fra le due deliberazioni dell’Assemblea. Altrimenti, a mio avviso, non si può tornare su una decisione già presa.

CALOSSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOSSO. Di questo piccolo problema – in cui dovrebbe essere facile andare d’accordo – mi sono occupato quando ero Commissario della «Dante», e quindi c’erano questi problemi linguistici di mezzo, ed ho notato che il fascismo (voi lo sapete) ha distrutto i nomi storici di diverse città e di diversi paesi. E mi ero trovato sorpreso nel vedere che Castrogiovanni, paese con tutta una sua storia, principale fortezza siciliana, aveva avuto il suo nome distrutto, mangiato, per metterci al suo posto una parola stranamente archeologica che nessuno conosceva in Italia. E così il fascismo ha fatto anche a Roma, dove ha fatto di tutto per distruggere il senso della terza Roma moderna per metterci dei ruderi, come ha fatto a Borgo San Donnino.

Ora questo si fa di solito nei paesi coloniali. Ma se domani, supponiamo, a Londra (dove studiano il latino) venisse in mente a qualcuno di chiamare Londra Londinium, ci sarebbe una sollevazione generale. E così avverrebbe se si tentasse di chiamare Torino Augusta Taurinorum!

Ora l’Emilia, se guardiamo bene, come parola, viene dall’antica Roma soltanto, ed è passata nei manuali scolastici dagli ultimi 60-70 anni.

Non è mai esistita. Prima del 1870, diciamo così, nel nostro Risorgimento non esisteva questa parola. Emilia. C’erano allora i Ducati e la Romagna, paese storico che ha tutti i numeri per essere altamente caro agli italiani. Dante stesso, che chiama bastardi i romagnoli, li chiama tuttavia romagnoli. Non c’è che dire. (Si ride).

Ora noi non possiamo cancellare un nome millenario, storico, dantesco, per mettere un nome, Emilia, che, in fondo, è un po’ archeologico, benché le scuole elementari lo abbiano fatto passare negli ultimi 50-60 anni.

È un senso di italianità elementare. Mi pare che non sia una cosa bella togliere la parola Romagna per metterne una, in fondo, fittizia. Mi sembra che su questo dovremmo andare tutti d’accordo. (Applausi).

PRESIDENTE. Procediamo dunque alla votazione, onorevoli colleghi. Vi è una proposta di emendamento dell’onorevole Corbino, come bene ricordano, di sostituire all’articolo 123 il termine «Emilia e Romagna» con l’altro: «Emilia».

Comunico che è stata chiesta la verifica del numero legale dagli onorevoli Buonocore, Benedettini, Mastrojanni, Cannizzo, Mazza, Condorelli, Miccolis, Pat, Russo Perez, Colitto, Corsini, Bencivenga, Bergamini, Rodi, Coppa.

Verifica del numero legale.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Segretario a fare la chiama per la verifica del numero legale.

COVELLI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la chiama).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la chiama. Prego gli onorevoli segretari di fare il computo dei presenti.

(Gli onorevoli segretari fanno il computo dei presenti).

Comunico che l’Assemblea è in numero legale.

Sono presenti:

Amadei – Amendola – Andreotti – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bergamini –Bernamonti – Bernardi – Bertola – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi –Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Buonocore.

Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caso – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Corsini – Cosattini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

De Caro Gerardo – De Gasperi – Della Seta – De Maria – De Michelis Paolo – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Foa – Fogagnolo – Foresi –Fornara – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Gronchi – Guariento – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Nilde.

Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Manzini – Marazza – Marchesi – Marconi – Martinelli – Marzarotto – Massini – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino – Musotto.

Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Pollastrelli – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pellegrini – Perassi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Ruggeri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Scarpa – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Selvaggi – Sicignano – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Storchi.

Tambroni Armaroli – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Vanoni – Vernocchi – Viale – Vicentini – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelucci.

Bertone.

Cairo – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Cavallari.

Dozza.

Gasparotto.

Jacini.

Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello

Tosato.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Onorevoli colleghi! Voi avete assistito oggi alla discussione su una mia proposta, attorno alla quale si sono espressi oratori di varie parti. Non solo di fronte a voi, ma soprattutto negli ambulacri della Camera si è accennato a qualche cosa di grave e di inevitabile, ed io mi permetto di richiamare su ciò l’attenzione dell’Assemblea Costituente. Si è detto cioè che questo sarebbe stato un precedente pericoloso per la vita dell’Assemblea, per le manifestazioni della volontà dell’Assemblea; facili, quindi, le speculazioni, particolarmente di ordine politico, in un momento delicato come quello che sta attraversando il Paese. Io intendo rispondere subito a questo proposito. I colleghi che erano presenti stamane debbono ricordare che io ho espresso immediatamente non la mia protesta, ma il mio rilievo per la votazione dell’Assemblea sulla Regione emiliana, ed ho detto immediatamente che si trattava soltanto di riesaminare il metodo della votazione, senza però con questo creare un precedente, perché come vecchio parlamentare e come uomo di legge conosco il significato di certi atti e di certe deliberazioni. Io potrei dichiararmi, e mi dichiaro lieto dei risultati della votazione. In fondo, l’Assemblea Costituente oggi è venuta incontro a quelle che erano state già le proposte della Commissione dei Settantacinque, a quelli che erano i nostri voti i nostri desideri che rispondevano ai voti e ai desideri della popolazione di Romagna. Si è creduto di cancellare con una votazione un po’ strana – la definirò soltanto così – la storia di una. Regione che ha non soltanto un nome, ma una tradizione, costumi, metodi di vita, affermazioni in ogni campo dell’attività umana, conosciuta non soltanto perché l’ha ricordata Dante, non soltanto perché l’ha ricordata Machiavelli, ma per quel contributo magnifico che ha dato, in ogni momento, per tutte le cause di giustizia e di libertà (Commenti). Lo so che quando si parla di Romagna voi ricordate l’uomo che definì sorda e grigia l’Aula nella quale noi oggi parliamo come rappresentanti del popolo e della Repubblica italiana; però vorrei ricordare a voi, all’Italia che ci ascolta fuori di qui, che l’innominato non è creatura dell’animo e del pensiero di Romagna, ma si è fatto altrove, si è educato altrove. (Commenti).

Comunque, onorevoli colleghi, ho accettato con lieto animo le vostre decisioni e la vostra votazione. Ma poiché non intendiamo che il fatto costituisca peraltro motivo di speculazione per infirmare quelle che sono state le delibere di questa Assemblea, dichiaro di ritirare la mia proposta e la trasformo in un ordine del giorno, che è un invito alla Commissione di coordinamento a volere, se è possibile, e se costituzionalmente è aderente alla realtà, allo spirito ed alla parola del mandato che abbiamo, in sede di revisione formale, determinare i nomi delle Regioni, tenendo conto delle denominazioni storico-tradizionali.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Per quanto riguarda la sostanza, sono d’accordo con l’onorevole Macrelli e sarei lieto che il voto espresso per la nobile Regione romagnola venisse accolto secondo la proposta da lui fatta; ma per la forma non posso far passare inosservato quello che è accaduto. Ciò che ha detto l’onorevole Macrelli aggrava la situazione. Egli ha detto che sin da questa mattina egli osservò che, a suo giudizio, la votazione poteva essere non regolare. Ne do atto; ma a questo suo rilievo la Presidenza dell’Assemblea rispose che il computo era stato ben fatto e che, a giudizio del Presidente e degli scrutatori, la differenza era di ben dieci voti. I deputati hanno ascoltato queste dichiarazioni e da questo rilievo della Presidenza sono stati ancora di più richiamati a comprendere l’importanza del voto dato.

Per conseguenza si sarebbe istituito un precedente molto pericoloso. Io trovo, quindi, che la nuova proposta dell’onorevole Macrelli esprime il segno della sua grande maturità parlamentare, ma osservo soltanto che egli lascia un po’ scoperta la Presidenza. (Commenti).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Onorevole Presidente, io non entro in merito alla questione. Ma, riferendomi a quella pregiudiziale che io avevo poco fa affacciata, mi par necessario che il Comitato di coordinamento tenga presente l’ordine del giorno Targetti, che è stato approvato e che parla di Regioni storiche tradizionali secondo le pubblicazioni ufficiali statistiche.

Per mio conto, non avrei alcuna difficoltà a veder menzionata la Romagna a fianco dell’Emilia. Ma non vorrei che si creasse con ciò un precedente che potrebbe essere invocato da altre Regioni.

Domani potrebbe essere il Salento o la Daunia o la Peucezia a invocare un analogo trattamento. E perché si dovrebbe negarlo?

D’altra parte mi permetto comunicare all’Assemblea il risultato delle indagini che or ora ho fatto sulle pubblicazioni ufficiali statistiche. In esse mai si parla della Romagna, ma bensì esclusivamente di Emilia. Ho davanti a me l’annuario statistico italiano del 1942. Nell’elenco delle Regioni compare bensì il Molise accanto all’Abruzzo, non mai la Romagna a fianco dell’Emilia. Né mi sono accontentato di queste pubblicazioni recenti. Ecco l’annuario statistico ufficiale del 1878, ed anche qui si parla di Emilia e non di altro, e dell’Emilia si dà la superficie che comprende evidentemente anche la Romagna. Non saprei, quindi, come la Commissione di coordinamento potrebbe modificare la dizione di questa Regione, senza mettersi in aperta contradizione, dopo una votazione già presa dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Macrelli, Badini Confalonieri, Braschi, Reale Vito, Cosattini, Laconi, Fornara, De Mercurio, Spallicci, Vischioni, Pacciardi, hanno presentato la seguente proposta:

«L’Assemblea Costituente invita la Commissione di coordinamento a volere, in sede di revisione formale, determinare i nomi delle Regioni, tenendo conto delle denominazioni storiche tradizionali».

L’onorevole Macrelli ha già dato la motivazione di questa sua proposta. Penso che si possa senz’altro metterla in votazione.

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Se è esatto quello che ha detto l’onorevole Nobile, cioè che dagli annuari statistici risulta che questa Regione è chiamata soltanto «Emilia», non vedo come possa, da parte della Commissione di coordinamento, essere presa in considerazione la proposta, giustissima, dell’onorevole Macrelli.

PRESIDENTE. Vuol dire che la Commissione, in sede di coordinamento, controllando le votazioni avvenute alle quali è impegnata, darà il valore che ritiene a questa raccomandazione.

SELVAGGI. Mi duole, allora, per l’onorevole Macrelli. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la raccomandazione di cui ho dato testé lettura.

(È approvata).

Presentazione di relazioni.

DI GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI. Mi onoro di presentare le relazioni della Commissione per le autorizzazioni a procedere sulle tre seguenti domande del Ministro di grazia e giustizia, per autorizzazioni a procedere:

contro il deputato Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, commi secondo e terzo, del Codice penale;

contro il deputato Cremaschi Olindo, per il reato di cui all’articolo 336 del Codice penale.

PRESIDENTE. Saranno stampate e distribuite.

Svolgimento di due interpellanze.

PRESIDENTE. Rendo noto che il Governo ha dichiarato di essere pronto alla discussione immediata dell’interpellanza presentata ieri sera dagli onorevoli Morandi ed altri.

Comunico che un’altra interpellanza di contenuto analogo, è stata presentata dagli onorevoli Di Vittorio, Bitossi, Roveda, Noce Teresa, Massini, Fiore, Bosi e Negro.

Ne do lettura:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’industria e commercio e del lavoro e previdenza sociale:

1°) per conoscere quali misure intende prendere il Governo per parare la grave situazione determinata nell’industria italiana – specialmente nel Nord – dalla minaccia di licenziamenti in massa di operai e di impiegati da parte degli industriali, alcuni dei quali tentano di rallentare o fermare artificialmente la produzione a fini speculativi, mentre l’interesse evidente del Paese è quello di sviluppare al massimo la produzione stessa;

2°) per sapere se il Governo intende realizzare finalmente la promessa legalizzazione ed estensione dei consigli di gestione, la cui funzione è particolarmente necessaria nella situazione presente, per accertare la effettiva capacità di sviluppo e di assorbimento di mano d’opera delle aziende, per stimolare la produzione ed impedirne ogni freno doloso, per assecondare la tendenza al ribasso dei prezzi ed estenderla ai prodotti industriali;

3°) per conoscere se il Governo intende attuare una politica di grandi lavori pubblici d’effettiva utilità, per attenuare la disoccupazione ed alleviare la miseria della grande massa dei disoccupati, la cui situazione si prospetta più tragica in vista dell’inverno».

Chiedo al Governo quando intenda discutere questa interpellanza.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Sarà discussa insieme alla precedente.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevole Presidente, ho presentato di urgenza ieri mattina una interrogazione al Ministro delle finanze.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, lei sa che queste questioni si pongono in fine di seduta.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Signor Presidente, io desidero una volta tanto protestare contro questo sistema di trasformare la nostra Assemblea Costituente, che deve provvedere e pensare alla Costituzione, in una continua discussione intorno a questioni particolari, attraverso queste interpellanze e queste interrogazioni le quali, col pretesto dell’urgenza (Commenti a sinistra), si presentano all’ultima ora per premere sul Governo a ciò che esso improvvisi risposte, che non possono evidentemente esser date all’ultima ora come si pretende. Questo impedisce al Governo il suo lavoro. Bisogna mettere anche in rilievo che noi qui siamo con un altro mandato; io non posso pertanto consentire – si capisce, lo si faccia in casi eccezionali – che, alla fine di tutte le sedute, ci sia sempre un gruppo di interpellanze e di interrogazioni sopra i più vari argomenti: mi pare che questo assolutamente esorbiti dal nostro mandato. (Proteste a sinistra).

La cosa è effettivamente in questi termini, colleghi della sinistra; e io, che sono rappresentante del popolo come voi, protesto contro questo sistema e vi invito a provvedere diversamente; in caso contrario, io presenterò ogni volta le mie eccezioni.

L’onorevole Persico, ad esempio, ha rivolto una domanda molto giusta per la denuncia della patrimoniale, in quanto vi è un termine di scadenza; ma effettivamente questa richiesta da lui fatta è stata già presentata da altri alla Presidenza per il Ministero delle finanze. Il Ministro delle finanze ha già ripetuto in diverse occasioni che egli non crede, non intende consentire…

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, per favore, non si sostituisca al Ministro delle finanze, la prego.

MICHELI, Onorevole Presidente, io non intendo di assumere la veste di Ministro che da tempo più non ho. Però si dimostrava opportuno… (Interruzione del deputato Fogagnolo). Ma lei, onorevole Fogagnolo, per quale ragione si rivolge a me? Dica chiaro almeno, perché possa rispondere…

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, la prego, non raccolga le interruzioni!

MICHELI. Ripeto dunque che con questo sistema di presentare tutte queste interpellanze e tutte queste interrogazioni non si può più andar avanti, tanti sono i piccoli casi locali che avvengono dovunque ogni giorno e che in tutte le provincie d’Italia possono essere comodi per gli interessi elettorali di tutti questi bravi signori, a destra e a sinistra (Commenti a sinistra). Io prego di tener presente che non è opportuno, che non si può – ciascuno di noi ha diritto di discutere, ma entro certi limiti… (Interruzioni a sinistra) …Onorevole Nenni, lei interrompa pure; io risponderò anche a lei, quando avrò capito, come già in altre occasioni le ho risposto. Dicevo, che non si può continuare così; lo abbiamo consentito, tollerato, ma purché non diventi una cosa quotidiana. Il Governo non può essere qui invece che al suo lavoro a rispondere a questo grandinare di interrogazioni, che sono fatte evidentemente per altre ragioni.

Per questo ho espresso il mio pensiero e la mia protesta. Voi sarete di parere diverso se lo esporrete io lo ascolterò ben volentieri, come voi avete finito per ascoltare me.

PRESIDENTE. Diamo inizio ora allo svolgimento delle due interpellanze.

Pregherei l’Assemblea di conservare la tranquillità e di permettere che si svolga regolarmente quest’ultima parte del nostro lavoro.

La prima interpellanza è quella presentata dagli onorevoli: Morandi, Lombardi Riccardo, Giacometti, Lizzadri, Nenni, Malagugini, Giua, Barbareschi, Grazia Verenin, De Michelis, Sansone, Pressinotti, Bonomelli, Fiorentino, Vischioni:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’industria e commercio:

1°) sull’atteggiamento che il Governo intende di assumere nei confronti della situazione creatasi nel Paese in seguito all’offensiva padronale per guadagnare mano libera nel licenziamento dei lavoratori, situazione che ha provocato l’odierno sciopero dimostrativo, deciso dal Consiglio generale delle leghe di Milano, e sta per determinare l’estensione delle agitazioni e degli scioperi in molti altri centri;

2°) sul punto di vista del Governo in merito alla opportunità di procedere al riconoscimento giuridico dei consigli di gestione, i quali si sono dimostrati nelle recenti esperienze come gli organi più propri a interpretare e a rappresentare gli interessi generali della produzione, evitando che essi possano essere compromessi dall’inasprirsi dei conflitti».

L’onorevole Morandi ha facoltà di svolgerla.

MORANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io mi atterrò nello svolgimento di questa interpellanza all’argomento essenziale. Desidero tuttavia fare una dichiarazione preliminare: sarebbe assolutamente lontano dal vero chi pensasse che noi si sia voluto cogliere questa occasione per muovere un attacco di sorpresa al Governo. (Commenti al centro).

Voci ai centro. No! no!

MORANDI. Veramente no, onorevoli colleghi! Del resto noi avremmo concertato diversamente questa mossa, e non avremmo insistito per avere quest’oggi, allo scorcio della nostra sessione di lavori, la discussione.

Sono ben lieto che l’onorevole Presidente del Consiglio e i Ministri interessati si siano dichiarati disposti a farlo e li ringrazio.

È sul fatto preciso delle gravi agitazioni che oggi turbano il mondo del lavoro che noi vogliamo richiamare l’attenzione e le responsabilità del Governo. Io penso che nessuno possa seriamente sostenere che si tratti di montature, che si tratti della solita opera dei sobillatori, quando si parla, per la sola città di Milano, di un numero di licenziamenti previsto, richiesto, che interessa la vita di 50-60 mila famiglie! quando si parla – e ne ha fatto cenno ieri sera l’onorevole Ministro del lavoro – di 40 o di 30 mila, e non importa fossero anche 20 mila, licenziati a Genova.

Non si può dire dunque, che manchi una legittima ragione di allarme per le masse operaie, ed è di questa agitazione che noi ci vogliamo fare interpreti.

L’onorevole Ministro del lavoro, al quale noi non vogliamo affatto attribuire l’intenzione di aver voluto determinare uno stato di cose come quello che si è creato, ha inteso dare ieri sera in anticipo delle giustificazioni dell’operato del Governo. Egli ha dichiarato che tutte le trattative, sono state condotte con la partecipazione delle organizzazioni sindacali e che è in un’atmosfera di serenità – per non dire di cordialità – che le trattative oggi proseguono.

Voglio precisare al riguardo che non è sugli aspetti procedurali della questione, e non è certamente sui personali intendimenti dell’onorevole Fanfani – che noi apprezziamo come uomo che dà tutta la sua personale attività ai doveri del suo ufficio – non è su questo punto che noi vogliamo soffermarci e che noi chiediamo delle spiegazioni.

È invece sulla sostanza della questione, è invece su quest’altro punto: sugli effetti pratici, sulle risultanze che una certa iniziativa del Governo ha avuto. Di questa iniziativa il Governo porta una dichiarata responsabilità, ed è in base a ciò che noi dobbiamo chiamarlo anche responsabile del seguito che essa minaccia di avere, andando di là, noi vogliamo supporre, di quella che era la volontà e l’intenzione del Governo.

Onorevoli colleghi, signori del Governo, è questa che noi oggi trattiamo una annosa questione. Noi abbiamo avuto modo di misurarne molte volte la complessità e tutta la delicatezza. Non è una questione, dunque, alla quale il Governo si trovi di fronte all’improvviso.

Quando si parla di blocco o di sblocco dei licenziamenti noi sappiamo tutti che si usano dei termini assolutamente impropri. La situazione di oggi ha una comparabilità molto relativa con quella creatasi per effetto del decreto dell’agosto 1945 che impediva i licenziamenti.

Da quella data ad oggi molta strada si è fatta: in grandissima parte questo problema, che a un certo punto è sembrato pregiudicare la possibilità della nostra ripresa, in grandissima misura questo problema si è andato via via sgonfiando.

Dunque, vediamo a che cosa si riduce, quali sono i termini propri della questione odierna. Non è per rivolgere una imputazione al Governo che noi intendiamo di precisare preliminarmente questo punto: ché è proprio dal decreto che ho chiamato Fanfani, del 12 agosto di quest’anno, pubblicato in data del 13 settembre, che si sono originati i fatti che oggi si lamentano, ossia quella che è stata una gara da parte degli imprenditori nel denunziare una così numerosa serie di casi passibili di licenziamento. Il decreto del Ministro del lavoro prendeva le mosse da un accordo intervenuto fra le organizzazioni padronali e le organizzazioni dei lavoratori in data del 7 agosto (se ben ricordo) sulla famosa questione delle Commissioni interne, circa il nuovo statuto o nuovo regolamento delle Commissioni interne. A questo punto nacque, si originò un’altra questione, quella della interpretazione che la Confindustria, le organizzazioni padronali, davano delle conseguenze derivanti dal fatto stesso. La Confindustria si esprimeva al riguardo, molto esplicitamente, sostenendo che, raggiunto l’accordo sul punto Commissioni interne e demandati a queste Commissioni certi compiti, che sono precisati nel regolamento, veniva automaticamente meno ogni ragione giuridica e di fatto del blocco dei licenziamenti, ossia di limitazioni alla facoltà dell’imprenditore di licenziare i propri dipendenti. È sulla traccia di questa interpretazione data dalla Confindustria all’accordo del 7 agosto, che il Ministro del lavoro si mosse, e intese di stabilire certe provvidenze a termini del decreto 12 agosto.

Cosa avveniva in conseguenza della pubblicazione di questo decreto? Il decreto prevede la concessione di una integrazione salariale per un periodo di due mesi ai lavoratori che vengono licenziati e stabiliva un termine al riguardo, fissando agli imprenditori uno spazio di tempo massimo di due mesi per procedere ai licenziamenti, tale termine veniva dunque a cadere al 13 novembre. Si segnava così, ripeto, la data entro la quale gli industriali avrebbero dovuto comunicare alle Commissioni interne i licenziamenti. Il Ministro del lavoro ha riconosciuto in seguito l’errore e certa precipitazione in cui era caduto. Né io gliene voglio fare assolutamente una imputazione diretta e personale. Volentieri noi gli diamo atto di avere riconosciuto l’opportunità di variare i termini fissati dal decreto. Avemmo intanto in questo mese una riunione, presieduta dal Presidente del Consiglio, fra le organizzazioni padronali e le organizzazioni dei lavoratori per risolvere la pregiudiziale questione di merito. Conclusione di quell’incontro fu il riconoscimento dell’equivoco nella interpretazione degli accordi del 7 agosto.

Sicché si spostò il termine per i licenziamenti a dicembre. La questione è aperta ancora, ed è oggetto di trattative fra le due organizzazioni e di mediazione sollecita da parte del Ministro del lavoro. Io non voglio entrare nella materia di queste trattative. Non è qui, la sede. Ma voglio richiamare un fatto indiscutibile e facilmente constatabile da tutti: il fatto che qualcuno ha approfittato di quel che non era probabilmente nelle intenzioni del Ministro del lavoro. Come si sono comportati infatti gli industriali, dalla data di pubblicazione di questo decreto? Essi hanno dato la interpretazione più estensiva e, noi vogliamo sostenere, la più ingiustificata, alla possibilità che ad essi si offriva di licenziare senza limitazione di numero i propri dipendenti.

Pare a noi chiaro che essi in questa occasione abbiano cercato di conseguire questo preciso risultato: aver mano libera, avere piena libertà di licenziare a loro piacimento, sottoponendo le Commissioni interne, alle quali è demandato l’esame e il parere sulle richieste dei licenziamenti da parte degli imprenditori, ad una tale pressione da costringerle a scendere sul terreno della lotta.

Abbiamo visto delle aziende che non hanno mai avuto e non hanno mai denunciato alcuna eccedenza di mano d’opera, procedere alla richiesta di una serie di licenziamenti. Evidentemente, lo scopo che essi avevano in vista era ed è tutt’altro da quello che è assegnato al provvedimento del Ministro del lavoro.

Non si tratta qui di scaricare l’azienda di mano d’opera eccedente, ma piuttosto di liberarla di quegli elementi che non sono grati. Abbiamo visto e vediamo una serie di aziende, che non hanno minimamente curato in tutto questo tempo di risolvere i problemi della ricostruzione e che insistono oggi per ottenere finanziamenti dallo Stato, annunziare licenziamenti in massa.

Si tratta di vere e proprie decimazioni. Questo non avviene soltanto a Milano ed a Genova, ma in molti altri centri d’importanza minore. Guardiamo il caso tipico della O.M. che impiega nei sui stabilimenti di Brescia e di Gardone circa sei mila operai e che ha chiesto di licenziarne 3.500. Ora, fra l’altro, uno di questi stabilimenti appartiene alla Direzione generale dell’Artiglieria, la quale aveva assegnato alla ditta una serie di lavori interessanti la produzione bellica.

È questo un esempio che ci rappresenta la natura, la caratteristica tipica del problema che concerne la conversione nel settore della meccanica e che non si risolve coi licenziamenti. Questo avviene oggi nella provincia di Brescia che, caso unico per tutta l’Alta Italia, ebbe, sotto l’amministrazione Alleata, la facoltà di procedere liberamente ai licenziamenti, facoltà di cui gli imprenditori bresciani si valsero anche largamente.

Vi potrei citare casi non meno caratteristici, ma non voglio tediare l’Assemblea. Ve ne sono di chiaramente sospetti. Vi è il caso di una piccola azienda milanese di Sesto San Giovanni che impiega duecento operai e che li ha licenziati, o li vorrebbe licenziare, tutti quanti in tronco. Ha dichiarato sabato che intendeva chiudere i battenti il lunedì.

Una situazione particolare è quella delle aziende dell’I.R.I., come ieri anche il Ministro del lavoro dichiarava, e va considerata a sé. Questo a motivo dello speciale carattere della gestione e della speciale natura delle aziende, che sono in buona parte aziende già destinate alla produzione bellica.

Però, io devo rilevare che proprio in seno all’I.R.I. è stato da vario tempo affrontato il caso più grave, quello dell’Ansaldo, e questo caso Ansaldo, che aveva consentito nell’ambito aziendale di addivenire ad accordi risolutivi, è stato tenuto in mora. Osservo poi, che non si procede invero, con troppa cautela in materia di licenziamenti nelle aziende siderurgiche dell’I.R.I., perché è noto a tutti noi che il Presidente della Finsider ha la fissazione dei licenziamenti. Il Presidente della Finsider prese pubblicamente posizione sulla stampa ancora nel settembre scorso, al tempo in cui il Governo aveva investito una Commissione ministeriale dello studio e dell’esame della questione. Il Presidente della Finsider dispone a suo arbitrio delle maestranze e, con questo, anche delle sorti della nostra siderurgia.

Un certo programma di ricostruzione era stato fatto e messo in attuazione per gli stabilimenti siderurgici di Piombino. Oggi pare che il programma sia cambiato e che anche là la ricostruzione non debba effettuarsi nelle misure e nelle forme prestabilite col concorso degli organi ministeriali. Si tratterebbe poi, di licenziare in tronco tutte le maestranze e chiudere gli stabilimenti siderurgici di Porto Ferraio; la questione, se richiede di essere considerata sotto particolari aspetti economico-tecnici, non può essere risolta in questa forma drastica che colpirebbe, per l’incidenza che ha, la vita di tutta l’isola.

Il problema della esuberanza della mano d’opera va praticamente circoscritto alla industria meccanica, al campo della grande meccanica. Abbiamo qualche riferimento utile da prendere, per quel che riguarda le esperienze fatte in questo recente periodo: il caso della Fiat, il caso, cui ho fatto cenno, dell’Ansaldo. Essi ci indicano molto bene che la portata vera della questione non è misurata dall’onere finanziario, derivante dal fatto di dover corrispondere dei salari a delle maestranze eccedenti; ma è costituita piuttosto dal fatto che, con questa palla al piede, le aziende possono andare a fondo. La soluzione del problema non può essere che graduale. Il primo raddrizzamento si deve conseguire in via amministrativa. Si tratta di assicurare alla parte eccedente di mano d’opera un certo trattamento economico (non importa se di due o di sei o di dodici mesi; non deriva da qui il peso) ed i consentire all’azienda di accantonare la parte di mano d’opera eccedente, per procedere su un piano di maggiore equilibrio alla programmazione della produzione. Con questo avremmo già fatto un gran passo verso la soluzione del problema, e non dobbiamo lasciarci fissare all’incantesimo di quel tanto di paga che deve essere corrisposto alla mano d’opera in eccesso.

Ora, non possiamo assolutamente dire che ci sia stata della intransigenza e sia mancata la volontà di contribuire alla soluzione di questo problema da parte delle organizzazioni sindacali. Invece, molte considerazioni si potrebbero fare per la inerzia da imputare agli industriali.

Abbiamo degli esempi molto interessanti – possono essere presenti a quanti conoscono la nostra industria – di aziende meccaniche, che hanno ricostituito gli impianti, ma soprattutto i programmi di lavoro. Esistono esempi significativi come è quello di un grande complesso tessile in Italia che attende alla produzione di macchinario tessile e per una tale mole, da essere in difficoltà nell’espletamento del lavoro; vuol dire dunque, che l’orizzonte non è completamente chiuso per la meccanica italiana. È necessario che questo orizzonte non si chiuda sulla nostra meccanica, che è la migliore speranza del nostro avvenire. Ora, prima di pensare a soluzioni semplicistiche, come quelle che s’inseguono oggi da parte di molti imprenditori, prima di arrivare alla esportazione di stabilimenti interi ed alla esportazione – più che di emigrazione si tratta di esportazione – di mano d’opera specializzata, si dovrebbe, con l’intervento e l’assistenza del Governo, studiare meglio quello che è l’organico legame di questa situazione disagiata, di cui oggi risente la nostra industria meccanica per l’esuberanza di mano d’opera, con i problemi più seri e gravi della nostra conversione e ricostruzione.

Ritorno al tema, onorevoli colleghi, per porre questa domanda: avevano ragione gli industriali di prendere l’atteggiamento aggressivo che hanno assunto, quando, per la stessa testimonianza che ce ne ha fatto il Ministro del lavoro, le organizzazioni sindacali hanno dimostrato così largo spirito di conciliazione? Badate che non è facile, per chi rappresenta i lavoratori e ne deve tutelare gli interessi, andare a convincerli alle soglie dell’inverno, quando così fitte sono già le schiere di disoccupati, che è necessario lasciare le fabbriche ed accontentarsi di un avvenire limitato a pochi mesi.

Noi abbiamo visto quale preziosa collaborazione abbiano prestato, per avviare a soluzione questo problema, i consigli di gestione ed ecco perché noi riproponiamo, in connessione all’argomento dei licenziamenti, la questione del loro riconoscimento.

È al Governo ch’io rivolgo in proposito un’altra domanda: come esso ha corrisposto a questa disposizione che i lavoratori hanno manifestato, ed a quello che è stato l’intervento positivo e, in molti casi, risolutivo dei consigli di gestione? Il caso Ansaldo, così grave, non avrebbe potuto nemmeno cominciare a trattarsi senza l’intervento, pieno di comprensione, del consiglio di gestione.

I consigli di gestione non sono di certo svaniti, perché il Governo, ad un certo punto, se ne è disinteressato. Forse non tutti i colleghi sanno che in Italia oggi si contano oltre 700 consigli di gestione, e che questi 700 consigli di gestione, non dico che controllino, ma estendono la loro possibilità d’influenza su un milione e più di lavoratori.

Perché si vuol respingere la collaborazione che si offre? Del resto, parliamoci chiaro su questo punto, onorevoli colleghi: le agitazioni disturbano tutti, ma che cosa si fa per evitarle? Cosa si fa per evitare gli scioperi? Che cosa si fa per eliminare i legittimi sospetti che nascono nell’animo dei lavoratori? Quale è stato il contegno assunto dagli imprenditori su una questione e sull’altra, sulla questione dell’esuberanza di mano d’opera e sulla questione dei consigli di gestione? Un irrigidimento totale, minacce di ricatto, questo è stato il modo di condursi di questi signori. E giustamente, fondatamente si è potuto parlare di condizioni dettate dalle associazioni padronali al Governo.

Domandiamo al Governo che smentisca con i suoi atti questi sospetti.

Vediamo quale linguaggio tiene certa stampa, che noi sappiamo benissimo a quali casse attinge. Io potrei portarvi dei dati, informazioni e cifre strabilianti sulla campagna condotta dalla Confindustria presso i suoi organizzati per munirsi dei mezzi necessari a controbattere questa che è una campagna spontanea della massa lavoratrice, la quale rivendica il suo diritto a partecipare alla gestione dell’economia aziendale; per schiacciare i consigli di gestione, per agitare l’opinione pubblica, per impressionare e ricattare anche il Governo.

Noi ci dobbiamo chiedere quali vedute abbia la classe padronale oggi, quale mira persegua questo organismo padronale. Ma il mio discorso sarebbe troppo lungo, se io volessi fare riferimento a quella che si intravvede essere la vera politica economica oggi voluta dalla classe padronale, che forse tenta di ridurci in certe strette pericolose, per averci poi alla sua mercé.

Il Governo tenta di puntellare in qualche modo questa situazione, ricorrendo a provvedimenti di carattere finanziario, come la creazione del FIM e gli stanziamenti per la piccola industria, proponendosi evidentemente di controbilanciare certi effetti pericolosi del tentativo deflazionistico oggi in corso.

Non voglio entrare nel merito di queste questioni. Noi ci riserviamo di domandare spiegazioni al Governo in altri momenti, ma richiamo la vostra attenzione sul fatto che tutte queste cose si svolgono in un ambiente ovattato di silenzio, tenendo all’oscuro perfino l’Assemblea. In ogni caso il Governo pensa che si debba contendere al lavoratore il diritto di sapere quella che è la sua sorte, partecipando al processo della produzione. Io mi domando che interesse ha il Governo a condursi in questo modo e perché non cerca un sostegno dove lo potrebbe trovare, se le sue reali intenzioni sono quelle che dichiara.

Assistiamo a dei maneggi che avvengono fuori di ogni possibilità di controllo nel campo dell’industria di Stato: si dispone, si fa, si disfà, come meglio aggrada e non si sa più a chi far risalire la responsabilità di questa condotta. Ho fatto già riferimento al caso della siderurgia italiana, che è tipico a questo riguardo. Ecco dunque le ragioni delle richieste che fanno i lavoratori dell’I.R.I per ottenere dal Governo assicurazioni più esplicite di quelle che non abbiano avuto fino ad oggi al riguardo.

Come tante altre questioni che oggi angustiano la vita dei lavoratori, questa dei licenziamenti non va isolata, onorevole Ministro del lavoro, perché non è che uno degli aspetti di quella politica di produzione, che non è possibile di pensare riserbi ai lavoratori la parte di strumenti passivi; di quella politica della produzione che dev’essere pertanto svolta sotto il controllo dei lavoratori stessi.

Ebbene, io rilevo che troppe lacune a questo riguardo presenta la visione governativa, per quanto si riferisce alla materia dei licenziamenti: il Governo ha dato tutta l’impressione di muoversi sotto pressioni imperative, perché quello che è oggi ancora oggetto di trattative poteva essere utilmente e più prudentemente definito già in precedenza. La. questione dei termini fissati dal decreto poteva essere trattata prima; la questione delle scuole di riqualificazione e gli stanziamenti che si fanno a questo scopo non costituiscono neppure una questione nuova che sorga soltanto oggi. Ora, il Governo, prima di prendere l’iniziativa col suo decreto, avrebbe dovuto portare già come risolte queste particolari questioni. La gradualità poi, onorevole Ministro Fanfani, di cui si parla e di cui ella giustamente si preoccupa, da che cosa è garantita? Che cosa si è fatto perché gli industriali seguissero una certa norma, e non si lanciassero invece così alla corsa per toccare tutt’altra meta, cioè la possibilità di essere liberi, senza alcun vincolo, nel disporre dei propri dipendenti?

C’è anche un’altra questione: una questione che va chiarita e risolta prima che si addivenga all’applicazione di provvedimenti qualsivoglia, ed è il trattamento che si intende di riserbare all’Italia centro-meridionale, poiché non è soltanto nel Nord che grava sui lavoratori la minaccia del licenziamento. Anzi, fatte le debite proporzioni, più grave ancora è questa minaccia per i lavoratori meridionali. Fino ad oggi noi non abbiamo sentito parlare di garanzie, di misure, di tutela nei confronti dei lavoratori del Centro e Sud Italia.

Voglio concludere, voglio dare una dimostrazione del nostro senso di misura agli onorevoli colleghi del Governo, che forse hanno male interpretato ieri la portata e il fine della nostra interpellanza; una prova della nostra buona volontà di contribuire alla soluzione di problemi che investono le sorti di tutto il Paese. Perché, se noi abbiamo buone ragioni per preoccuparci della vita dei lavoratori, abbiamo anche dato dimostrazione – non da oggi, ma per tutti questi anni – di interessarci non meno alle sorti della produzione e dell’economia nazionale.

Insomma, pare a noi che si corra un po’ troppo da parte di certa gente, che manifesta delle nostalgie per un passato che è decisamente passato e che non può più ritornare.

Che cosa vogliono questi signori? Che noi si rinfreschi loro la memoria, che hanno troppo labile? che noi si ricordi loro quel che i lavoratori hanno fatto, quel che i lavoratori hanno dato per salvare la nostra industria? Dove erano allora certi burbanzosi rappresentanti del grande capitale, che oggi trattano a nome dell’industria italiana?

È su questo titolo, onorevole Presidente del Consiglio, che noi abbiamo fondato il diritto dei lavoratori ad una partecipazione alla vita dell’industria e dell’economia nazionale. Ma è anche a un altro titolo che noi insistiamo nella nostra richiesta che i Consigli di gestione abbiano una regolamentazione giuridica; è in base ad una motivazione più interna e più propria al problema economico, perché questi Consigli di gestione, di cui si è fatta larga esperienza, sono divenuti una esigenza dei tempi.

Un’altra volta, forse, se ne tratterà in modo più specifico: io ho dei grossi dossiers da cui poter estrarre segnalazioni interessanti. Mi limito ad una citazione sola, che riguarda un grande industriale torinese, il quale nella primavera di quest’anno – in una data dunque non troppo remota – così si esprimeva, interrogato per avere il suo giudizio su quel progetto di legge che, ad un certo momento, chi allora era membro del Governo rese noto al pubblico e dette alla stampa:

«Quanto è detto nel progetto è stato già messo in pratica nella mia azienda: da tempo è mia abitudine far partecipare i lavoratori alla direzione della mia gestione, perché so quanto questo sia utile per il raggiungimento degli scopi produttivi…

«Il progetto di legge che ho esaminato corrisponde alle necessità attuali dell’industria, dalle quali non si può prescindere».

Interrogato su un’altra questione più delicata, perché la Confindustria avesse assunto atteggiamento così ostile, egli rispondeva: «Evidentemente la posizione di intransigenza dimostrata verso i Consigli di gestione è ingiusta: noi abbiamo ricevuto alcuni rimproveri…». Chi riceveva rimproveri era il Presidente di un’azienda di una certa portata, l’«Italgas» di Torino; ma gli industriali che non stavano a questa quota non ricevevano rimproveri, ma intimidazioni. Ebbene, noi vogliamo sapere dal Governo se è a queste intimidazioni che esso si è arreso.

E se non è così, vogliamo sapere per quali ragioni esso si sottragga, come oggi fa, alla considerazione di una questione che era stata posta e ribadita da tutti i Governi precedenti. Su questa questione noi abbiamo da rivolgere un franco avvertimento al Governo:

Questi diritti, quando si sono col sangue conquistati, non si sopprimono, non si lasciano sopprimere: queste rivendicazioni che sono nell’animo, nel cuore delle masse lavoratrici italiane, non si soffocano.

E allora volete voi proprio che essi diventino il segno di agitazioni permanenti, che non cesseranno fino a quando non abbiano conseguito il loro scopo? Che cosa vi si chiede infine? Che cosa vi si chiede da parte dei lavoratori, se non di assumere una parte delle gravose responsabilità che voi portate oggi dinanzi al Paese, onorevoli colleghi del Governo?

È a queste domande che noi chiediamo risposta. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Di Vittorio ha facoltà di svolgere l’interpellanza di cui ho dato precedentemente lettura.

DI VITTORIO. Onorevoli colleghi! Lo scopo di questa mia interpellanza analoga a quella già svolta dal collega Morandi è di denunziare al Paese e al Governo la gravità della situazione economica che va maturando nel Paese e l’aggravamento incessante delle condizioni di vita dei lavoratori che si verifica in questo periodo, più preoccupante specialmente per l’avvicinarsi del prossimo inverno.

Uno degli aspetti più caratteristici dell’aggravamento della situazione delle masse lavoratrici è dato dalla portata che i grandi industriali vogliono dare allo sblocco dei licenziamenti. A proposito del blocco dei licenziamenti, si sono dette molte cose: alcune giuste, la maggior parte ingiuste. Si sono, in particolare, individuate nel blocco dei licenziamenti tutte le ragioni che avrebbero ostacolato o impedito un ulteriore sviluppo della produzione industriale italiana.

Il blocco dei licenziamenti avrebbe impedito o, per lo meno, reso più difficile il risanamento delle aziende produttive. Ebbene, noi affermiamo che il blocco dei licenziamenti – misura socialmente indispensabile nel momento in cui è stata presa, misura di giustizia verso i lavoratori che avevano difeso con eroismo le aziende industriali italiane – ha risposto anche a determinate esigenze produttive.

Tutti sappiamo che, quando la situazione è difficile, la soluzione che si cerca è sempre la più facile: quella che si poggia sulla forza d’inerzia, quella che richiede il minore sforzo a chi può disporre, a chi può deliberare. E la cosa che più immediatamente veniva allo spirito degli industriali italiani era quella di liberarsi della mano d’opera considerata esuberante.

Il blocco dei licenziamenti, fra l’altro, obbligando gli industriali a pagare la mano d’opera che essi consideravano esuberante, ha contribuito a stimolare la loro iniziativa, a far loro escogitare tutte le possibilità produttive per cercare di utilizzare quella mano d’opera che erano costretti a pagare ugualmente. E ciò ha permesso di accelerare la ricostruzione di alcune industrie, che erano state distrutte o semi-distrutte; ed ha permesso anche la ricerca di altre iniziative che hanno accelerato il processo di trasformazione dell’industria di guerra in industria di pace; hanno permesso una maggiore utilizzazione della mano d’opera, e perciò hanno facilitato una relativa ripresa della nostra industria.

Con ciò noi non abbiamo mai inteso di teorizzare il blocco dei licenziamenti come una misura di carattere permanente. Era ed è una misura di carattere eccezionale; e noi – le organizzazioni sindacali – abbiamo sempre dato prova d’un grande senso di responsabilità, cercando di concorrere a risolvere il più rapidamente possibile questo problema nell’interesse del risanamento delle aziende e quindi dell’economia del Paese, e nell’interesse dei lavoratori.

Noi consideriamo la difesa degli interessi legittimi di ciascuna categoria di lavoratori nel grande quadro degli interessi generali del Paese; ma vi è troppa gente in Italia che concepisce la difesa degli interessi del Paese indipendentemente dall’interesse e dalle esigenze di vita dei lavoratori. I lavoratori sono una parte fondamentale del Paese e, se volete, anche dell’economia del Paese. E la preoccupazione di non gettare sulla strada, attraverso una disoccupazione di carattere permanente, una parte importante dei lavoratori italiani, è una preoccupazione che corrisponde agli interessi generali del Paese, anche di natura economica, oltre che sociale ed umana.

Perciò noi vogliamo ricercare la soluzione di questi problemi che si pongono nelle nostre aziende, nella nostra economia in generale, in funzione della difesa degli interessi dei lavoratori, i quali nel loro complesso coincidono sempre con gli interessi generali del Paese.

Si è affermata la tendenza degli industriali italiani a considerare lo sblocco dei licenziamenti come il fatto che deve loro consentire di abbandonarsi a licenziamenti in massa.

Noi abbiamo considerato la questione del blocco dei licenziamenti dallo scorso luglio fino ai primi di agosto e, come il problema si presentava in quel momento, sembrava che esso fosse limitato esclusivamente al settore metalmeccanico e più particolarmente alle aziende I.R.I. Assistevamo ad un certo sviluppo dell’attività industriale che dava a noi la speranza di una certa capacità di assorbimento di mano d’opera da parte di altre aziende e di altre industrie; perciò, la Confederazione del lavoro non si oppose al principio dello sblocco dei licenziamenti, per risolvere con la necessaria regolarità questo problema.

Oggi la situazione si presenta in un modo del tutto diverso. Oggi piovono dappertutto alle Commissioni interne e ai sindacati delle domande di licenziamenti in massa. Allora la situazione è diversa! Ed è diversa dal giorno in cui il Ministro del lavoro, onorevole Fanfani, ha emesso il noto decreto sullo sblocco dei licenziamenti. (Interruzione del Ministro del lavoro).

Io ho sentito l’affermazione di ieri sera, che mi pare ripeta ora l’onorevole Fanfani. Mi dispiace di dover dire all’onorevole Fanfani – del quale riconosco la solerzia e la buona volontà che quotidianamente impiega per cercare di dare una soluzione ragionevole alle controversie del lavoro – che non è esatto che la Confederazione del lavoro abbia dato il suo parere favorevole alla promulgazione di quel decreto. Anzi, subito dopo il decreto, in un numero del «Notiziario» della Confederazione Generale del Lavoro…

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Disse una bugia!

DI VITTORIO. …noi abbiamo (posso far vedere il numero del giornale) preso posizione sul decreto ed abbiamo riaffermato il nostro concetto che l’accordo del 7 agosto, relativo al funzionamento delle commissioni interne, realizzava una delle condizioni dello sblocco dei licenziamenti, ma non realizzava un’altra condizione che era fondamentale ed importante.

Ma adesso la questione come era vista allora è superata. Adesso si vuole licenziare in massa, si vogliono chiudere delle fabbriche, si vogliono smobilitare interi reparti. Noi non possiamo consentire a questi licenziamenti in massa dei lavoratori, alla soglia d’un inverno che sarà fra i più penosi per la gran massa dei lavoratori italiani!

Noi domandiamo che vi sia la possibilità per i lavoratori di aver modo di accertare quali sono le cause di un certo rallentamento della produzione da parte di alcuni grandi industriali e quali sono le cause per cui si minaccia la chiusura di interi stabilimenti.

Vi sono stabilimenti in condizioni economiche risolvibili facilmente, come la Breda, con parecchi miliardi di commissioni, con un capitale rilevantissimo di cui soltanto una percentuale irrilevante è impegnata verso le banche.

Questo complesso minaccia di chiudere per delle difficoltà di carattere creditizio. Noi abbiamo il fondato sospetto che molti industriali italiani tentano artificialmente, cioè dolosamente, di rallentare il ritmo della produzione. Perché? Per due ragioni fondamentali: la prima di carattere speculativo, perché molti industriali hanno accumulato degli stocks importanti, sperando di venderli sempre un mese dopo a un prezzo superiore. Oggi di fronte alla prospettiva, sia pure ancora incerta, di flessione dei prezzi, questi signori vogliono liberarsi degli stocks e non vogliono liberarsene come dovrebbe avvenire normalmente gettando il prodotto sul mercato. Facendo questo eserciterebbero una influenza nel senso di diminuire i prezzi. Essi lo vogliono fare lentamente, con comodo, rallentando la produzione, rarefacendo la produzione, in modo da impedire che la tendenza alla flessione dei prezzi abbia ad affermarsi in Italia. E poiché l’interesse evidente e fondamentale del Paese, del popolo italiano, è quello di sviluppare al massimo grado la produzione in tutti i rami, noi pensiamo che sia dovere del Governo e che sia dovere dei lavoratori di impedire che vi sia un rallentamento doloso della produzione da parte di alcuni grandi industriali.

Ma a questo punto interviene un’altra ragione di carattere politico. La grande plutocrazia industriale italiana che insieme ai grandi agrari è stata sempre e sarà sempre l’anima della reazione nel nostro Paese, ha interesse ad aggravare la situazione economica, a peggiorare la situazione delle masse per darne la colpa alla Repubblica e alla democrazia in generale e cercare di trarne un vantaggio ai fini di una ripresa reazionaria nel nostro Paese. Vi sono fenomeni che non si potrebbero capire diversamente. Per esempio, la Fiat di Torino produceva 150 macchine al giorno. Attualmente ha commissioni per degli anni. Se un cittadino qualsiasi domanda una macchina alla Fiat si sente dire che deve aspettare un anno e mezzo, due anni. Per disposizioni superiori la produzione è stata ridotta a 130 da 150 macchine al giorno.

La Pirelli, un’azienda floridissima (il mercato è tutt’altro che saturo; anche il mercato interno italiano), anch’essa ha chiesto una riduzione del personale. Motivazione: bisogna ridurre la produzione. E perché bisogna ridurre la produzione di gomme in Italia? Perché bisogna mantenere i prezzi elevati. Perché si guarda al fine speculativo e perché bisogna aggravare sempre di più la situazione per dar modo alla reazione italiana di trovare un salvatore che venga a liberare questo popolo dalla fame, dalla miseria, dal caos ecc. ecc.

Questi i motivi della volontà degli industriali di chiudere le fabbriche, di ridurre al minimo l’occupazione dei lavoratori. Ma vi è anche un altro scopo di carattere ricattatorio. Non possiamo dimenticare che in tutto il periodo fascista i grandi industriali italiani si sono abituati molto bene all’essenza del regime corporativo; essenza che consiste fondamentalmente in ciò: quando le aziende vanno bene e si realizzano dei profitti, i profitti appartengono agli industriali; quando poi le industrie vanno male e bisogna rimetterci qualche cosa, allora deve essere lo Stato, deve essere il popolo italiano a pagare le perdite di queste industrie. Oggi molti degli industriali italiani che pretendono di non poter pagare i salari e gli stipendi agli operai e agli impiegati, hanno investito centinaia di milioni (milioni di profitti realizzati nelle aziende, dalle aziende) in terreni, in palazzi, in ville ed in altri beni di lusso, operando in tal modo una maggiore concentrazione di ricchezza nelle proprie mani.

Oggi che le industrie devono superare alcune difficoltà anche di carattere obiettivo, questi signori dicono di non poter pagare e ricorrono allo Stato per poter pagare, perpetuando l’abitudine che hanno preso sotto il regime fascista e che, in realtà, non rimonta esclusivamente al regime fascista stesso.

Bisogna che il Governo prenda delle misure per obbligare questi signori, che hanno ricavato centinaia di milioni e miliardi di profitti da quelle aziende che oggi vogliono chiudere, a smobilitare questi capitali investiti in altri beni ed a rinsanguare le aziende industriali con questi capitali, senza ricorrere allo Stato.

È necessario che il Governo prenda misure per impedire che un signore qualsiasi, a fine speculativo, a fine ricattatorio o a fini politici, possa mettere sulla strada migliaia e migliaia di operai, di impiegati e di tecnici nel nostro Paese e concorrere ad aggravare la situazione generale. E questo lo si può impedire soltanto se si prendono misure straordinarie che permettano al Governo, ai lavoratori, ai consumatori, al Paese di accertare qual è la situazione reale delle aziende e se risulta da questi accertamenti che la situazione dell’azienda è vitale, è sanabile, bisogna sanarla ed obbligare il proprietario a sanarla con i suoi mezzi, smobilitando quei beni a cui ho accennato. Se egli non vuol farlo, lo Stato democratico, lo Stato della Repubblica, come espressione del popolo, deve avere la forza e la volontà di impossessarsi di queste aziende, di assicurare una gestione straordinaria, per fare in modo che le aziende, fonte di lavoro, di produzione, di beni, di ricchezza del popolo italiano possano continuare a vivere se sono vitali. (Commenti). Io credo che misure di questo genere nella situazione attuale siano pienamente giustificate. Che cosa dà ai grandi industriali italiani ed anche ai grandi agrari l’ardire di assumere così sovente un atteggiamento d’intransigenza e qualche volta sprezzante, nei confronti delle masse lavoratrici, atteggiamento alcune volte provocatorio? Io ho detto quello che fanno tanti industriali che dichiarano senz’altro di non poter pagare i salari, di dover chiudere le aziende, poco curandosi del destino dei lavoratori messi sul lastrico.

Il collega onorevole Morandi ha accennato all’atteggiamento avuto recentemente dalla Confindustria nei confronti della Confederazione del lavoro. Vi è l’atteggiamento dei grandi agrari. Tutta l’Assemblea e tutto il Paese conoscono il famoso lodo De Gasperi e tutte le peripezie di questo lodo. Dovrebbe essere applicato per tutti. Non viene applicato nella maggior parte delle provincie italiane; viene soltanto applicato dove la forza delle organizzazioni sindacali è così potente da imporne l’applicazione.

Dove l’organizzazione sindacale è meno forte, allora gli agrari dichiarano esplicitamente e pubblicamente che non intendono applicarlo. È ancora di ieri uno sciopero generale a Grosseto, determinato dal fatto che gli agrari avevano dichiarato di non voler rispettare un contratto di lavoro da loro sottoscritto.

Ancora oggi vi è una agitazione, vi è una ripresa della grande agitazione dei braccianti del Nord originata dal fatto che gli agricoltori nel corso dello sciopero di settembre si erano impegnati a discutere con i rappresentanti dei lavoratori alcuni punti relativi a rivendicazioni importantissime dei lavoratori stessi, fra cui quella di porre alcune limitazioni alla facoltà di disdetta (cioè regolare le disdette per i salariati fissi attraverso una commissione mista che è il modo più legale e più normale per risolvere queste questioni in tutti i paesi civili).

L’organizzazione dei lavoratori, perché non ha voluto che fosse compromesso un solo chicco di riso dallo sciopero dei braccianti del Nord, ha cessato lo sciopero dietro la promessa dei signori agrari che questi punti sarebbero stati trattati e che si sarebbe trovata una soluzione sodisfacente per le parti.

Finita la mietitura, i signori agrari non hanno voluto nemmeno che si discutesse la questione per quest’anno. Vi è dunque una nuova agitazione dei braccianti del Nord. Da queste situazioni che cosa risulta? Risulta che vi è da parte dei grandi datori di lavoro, dei grandi industriali e dei grandi agrari, la volontà determinata di attaccare, di contrattaccare, le organizzazioni sindacali e le masse lavoratrici. E bisogna dire, onorevole De Gasperi, che questi strati dirigenti dell’economia italiana, questi strati tradizionalmente e naturalmente reazionari del nostro Paese, hanno tratto incoraggiamento e ardimento dalla confusione del vostro Governo, che è un Governo di destra.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Dai vostri errori. (Applausi al centro).

DI VITTORIO. Noi non crediamo di avere commesso errori.

Io credo – pensavo almeno di dimostrarlo, sulla base di fatti controllabili, perché di dominio pubblico – che sono i grandi datori di lavoro a provocare gli scioperi. (Commenti al centro – Si ride). Ridete; avete diritto di ridere. Saremmo forse noi a provocare gli scioperi senza ragione? (Commenti al centro).

Perché non protestate contro chi non applica il lodo De Gasperi? Perché non protestate contro chi non applica i contratti di lavoro sottoscritti, a danno dei lavoratori? (Applausi a sinistra). Perché non protestate contro gli industriali che riducono alla fame diecine di migliaia di operai?

Potrei dimostrare con delle statistiche che nelle provincie dove v’è stato o vi può essere uno sciopero vittorioso, gli agrari applicano il lodo De Gasperi; mentre dove essi pensano che scioperi non ve ne possano essere, lì si rifiutano apertamente di applicarlo.

Cosa deve fare l’organizzazione operaia? Rinunziare alla difesa dei diritti e del pane dei lavoratori? Signori, l’organizzazione sindacale non rinunzierà mai ad assolvere la sua funzione di tutela dei diritti dei lavoratori. (Applausi a sinistra).

Noi crediamo che la soluzione ai problemi, che angosciano il Paese, non si debba trovare in misure di carattere negativo.

Vi è mano d’opera esuberante? Licenziamo della gente ed il problema è risolto. No, signori, il problema non si risolve così. Anche se ne risolve uno, ne sorge immediatamente un altro.

Noi dobbiamo cercare la soluzione in una via di progresso, in una via di sviluppo della produzione. Dobbiamo ricercare nuove fonti di lavoro, utilizzare tutte le possibilità produttive che ci sono nel nostro Paese e che non sono tutte utilizzate.

E vediamo come sia il Governo a dare il cattivo esempio in questa direzione.

Il Governo può fare di più per dare lavoro agli operai italiani? Io credo, senza dubbio, che può fare di più.

È stato rilevato – e tutti lo sanno del resto – che tutta la crisi legata al blocco o sblocco dei licenziamenti si concentra fondamentalmente nel settore metal-meccanico.

In questo settore, dunque, non vi è lavoro sufficiente, per occupare utilmente tutta la mano d’opera, tutti gli impiegati e tutti i tecnici di questa industria.

La cosa è un po’ strana, perché è vero che noi siamo in una situazione diversa rispetto all’ante-guerra, ma è anche vero che il mercato metal-meccanico tedesco è scomparso praticamente dall’Europa e noi, che abbiamo avuto le officine salve, soprattutto per merito dei lavoratori, dovremmo essere in condizione di supplire in qualche modo alle deficienze del mercato tedesco.

TOGNI, Ministro dell’industria e del commercio. I costi.

DI VITTORIO. E se noi facessimo una politica di scambi commerciali con l’estero più larga di quella che non si fa, che questo Governo non vuole fare, per ragioni di tendenza, se riuscissimo a riallacciare relazioni commerciali con l’Europa orientale che ha bisogno di tanti prodotti, fabbricabili in Italia, si potrebbe dare più lavoro alla mano d’opera italiana. (Commenti a destra).

Ma vi è di peggio. Vi sono grandi complessi metal-meccanici italiani, che in questo momento domandano il licenziamento di diecine di migliaia di operai.

Ad esempio, l’Ansaldo ed altri complessi, come la San Giorgio, possono costruire materiale ferroviario di ogni genere. Vi sono gli arsenali militari italiani – della guerra e della marina – dei quali si dice che abbiano mano d’opera esuberante e che bisognerà licenziare in parte ecc.

All’arsenale di Taranto sono stati licenziati 450 operai recentemente. Stiamo lottando per cercare di mantenerne almeno una parte al lavoro. Questi arsenali sono capaci di costruire materiale ferroviario di ogni genere, con piccoli adattamenti. Cosa avviene? Una cosa che, per me, ha valore di scandalo: il Governo italiano ha ordinato 1000 carri ferroviari all’industria belga, carri che dobbiamo pagare in valuta straniera. Io dico: perché far questo quando questi carri potrebbero essere costruiti in Italia e dar lavoro a migliaia e migliaia di lavoratori italiani? (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Questi sono errori!

TOGNI, Ministro dell’industria e del commercio. E le materie prime? (Commenti a sinistra).

Di VITTORIO. E vi è ancora un fatto: io leggo in una relazione, un documento che non può essere messo in dubbio, che il prezzo convenuto con l’industria belga, per la fornitura di questi carri, corrisponde all’incirca agli stessi prezzi che i carri sarebbero costati in Italia. Non c’è nemmeno la scusante di averli dall’estero con maggior convenienza di quanta non ve ne sia costruendoli nel nostro Paese. Noi crediamo che un Governo che volesse fare una politica produttivistica, diretta a sviluppare l’industria, dovrebbe, nelle relazioni commerciali con gli altri paesi, difendere con maggiore energia il diritto dei lavoratori italiani a lavorare nel proprio Paese. Non voglio far riferimento ad alcuni commenti che sarebbero stati fatti in proposito, quando qualche osservazione è stata mossa su queste importanti ordinazioni all’estero, che ammontano a miliardi di lire. Cioè i lavoratori italiani dovrebbero andare a lavorare nel Belgio, dove sarebbero obbligati a lavorare in concorrenza con i lavoratori belgi, ecc., ecc. Ma è evidente che vi e, da parte delle classi dirigenti italiane, un interesse evidente ad aggravare la situazione per i fini speculativi e reazionari ai quali ho prima accennato.

Ora, io penso che, mai come in questo momento, sia per assecondare il processo di sviluppo della produzione di cui il nostro Paese ha bisogno, sia per aumentare il reddito nazionale e migliorare le condizioni di vita del popolo italiano e fare, nello stesso tempo, una politica di massimo assorbimento della mano d’opera, mai come in questo momento siano stati necessari i Consigli di gestione.

Questi Consigli di gestione sono stati promessi a più riprese dallo stesso onorevole De Gasperi. È stata formulata una legge, che un Governo presieduto dall’onorevole De Gasperi aveva fatto propria, e che prometteva di presentare ben presto, non so se all’Assemblea Costituente od al Consiglio dei Ministri, perché divenisse una legge dello Stato. Oggi, i Consigli di gestione sono indispensabili, non solo per esercitare il controllo necessario nell’interesse della produzione e per la difesa dei consumatori contro i monopoli e le tendenze monopolistiche della grande industria italiana, non soltanto per sviluppare la produzione, ma anche per controllare l’esigenza effettiva dell’industria e permettere agli operai, ai tecnici, agli impiegati di collaborare alla soluzione dei problemi economici e produttivi del nostro Paese, e quindi assecondare l’azione necessaria per lo sviluppo economico dell’Italia.

Ebbene, questo non si è fatto e noi domandiamo che i Consigli di gestione vengano al più presto legalizzati ed estesi a tutte le aziende di una certa importanza, secondo il progetto Morandi, dichiarando che i lavoratori italiani non rinunciano a questi strumenti di democratizzazione delle aziende, quali sono i Consigli di gestione, e che essi svilupperanno la lotta per ottenere che i Consigli di gestione esistano e funzionino in tutte le aziende di un certo interesse.

Adesso, in rapporto a quanto ho detto, vi è la questione dei prezzi. Io ho visto che il Governo si è attribuito naturalmente il merito della flessione di alcuni prezzi, specialmente dei prezzi dei grassi in genere e dell’olio in particolare. Il ribasso del prezzo dell’olio è dovuto in gran parte all’abbondantissimo raccolto di ulive di quest’anno.

FANFANI, Ministro del lavoro e della, previdenza sociale. Provvidenza di Dio.

DI VITTORIO. Io so che voi vi attribuite tutti i meriti del buon raccolto e che poi darete a noi tutte le responsabilità, comprese quelle dei cattivi raccolti.

Però, noi notiamo che il Governo oggi non è armato, o non lo è sufficientemente, per assecondare la tendenza al ribasso di alcuni prezzi e cercare di generalizzarla. Noi, Confederazione del lavoro, avevamo suggerito al Governo uno strumento, avevamo chiesto la riforma dei Comitati dei prezzi, sia quello centrale che quelli provinciali, per far entrare una rappresentanza più larga in questi Comitati, perché, appoggiati sugli Enti di consumo e sulle Cooperative, potessero contribuire a facilitare la compressione, o almeno la stabilizzazione dei prezzi. Il Governo al memoriale della Confederazione del lavoro rispose che aveva accettato questo punto. Difatti lo accettò: il Comitato dei prezzi è stato modificato, ma in peggio! Infatti, mentre quello di prima era deliberativo, e per quanto piccola, la rappresentanza dei lavoratori e dei consumatori poteva esercitare qualche influenza nel senso di impedire l’aumento dei prezzi, adesso ne avete fatto uno più largo (la rappresentanza dei consumatori dei lavoratori non è aumentata) ma è un Comitato che ha soltanto poteri consultivi. II problema, quindi, è stato risolto alla rovescia. Perciò, il Governo oggi non ha i mezzi che sarebbero necessari per assecondare questa tendenza al ribasso, tendenza al ribasso che per ora si verifica quasi esclusivamente nel settore agricolo. Noi salutiamo questo ribasso, cerchiamo di intensificarlo, ma dobbiamo estendere questo ribasso ai prodotti industriali.

Io non ho mai capito perché il Governo non ha accettato una delle proposte della Confederazione del lavoro inclusa nel memoriale presentato l’estate scorsa: che cioè grandi industriali italiani di prodotti di largo consumo popolare, come tessuti, scarpe ed altri prodotti indispensabili alle famiglie delle masse popolari, fossero obbligati a cedere determinati quantitativi dì queste merci agli enti comunali di consumo, cooperative, spacci aziendali, ecc., a prezzi all’ingrosso e controllati, in modo da sottrarre queste merci alla speculazione, distribuendole direttamente ai lavoratori in condizioni più disagiate, ed alleviare così la miseria di questi lavoratori. Perché il Governo non ha accettato questa proposta? Perché evidentemente non si vogliono ledere in nessuna misura gli interessi egoistici dei grandi industriali, i quali oggi, in combutta con gli altri strati di grossi speculatori, combinano i trust industriali con i trust commerciali e realizzano il doppio profitto industriale e commerciale. Noi domandiamo che queste misure si applichino in modo da estendere la flessione dei prezzi anche ai prodotti industriali. Infine, noi siamo preoccupati di che cosa pensa il Governo per il prossimo inverno. Noi abbiamo almeno un milione e mezzo di disoccupati in Italia e la grande maggioranza di questi non ha sussidio. Il sussidio è limitato a quelle poche centinaia di migliaia di disoccupati che si trovano in determinate condizioni previste dalla legge.

Che cosa si pensa di fare per questi disoccupati alla soglia del prossimo inverno? È stato annunciato un programma di lavori pubblici. Sono stati dati al Ministero dei lavori pubblici 60 miliardi. Ora, è troppo poco rispetto ai bisogni, e questi bisogni dei disoccupati coincidono con i bisogni fondamentali del Paese. Noi abbiamo in Italia delle grandi opere di bonifica, di irrigazione, di trasformazione fondiaria da intraprendere, che possono permettersi di conquistare nell’agricoltura centinaia di migliaia di ettari, ed altri lavori che possano immediatamente aumentare il reddito nazionale e dare nuove fonti di lavoro e di vita al popolo italiano.

Bisogna che il Governo faccia una politica economica e di lavoro diretta a procurarsi i mezzi necessari per dare lavoro alla maggior parte dei disoccupati, per alleviare i disoccupati e, quindi, la miseria dei lavoratori, facendo produrre, facendo lavorare, accrescendo le possibilità di vita del nostro Paese. E noi non vediamo che vi sia una politica di questo genere. Concludendo, i lavoratori italiani si opporranno a quei signori industriali che pretendono di abbandonarsi ai licenziamenti in massa, si opporranno a quei grandi agrari che non vogliono rinunciare a nessuno dei loro antichi ed iniqui privilegi, e cercano di peggiorare ancora le condizioni della grande massa di braccianti, salariati agricoli e lavoratori della terra in generale.

I lavoratori italiani comprendono molto bene, vedono chiaramente che a questa offensiva sul terreno sociale e sul terreno sindacale contro le condizioni di vita dei lavoratori corrisponde un’offensiva sul terreno politico, che è caratterizzata non Soltanto dalla formazione di questo Governo, dallo spostamento a destra del Governo, ma è caratterizzata anche e soprattutto dal sorgere di tutti questi movimenti neofascisti di ogni genere, che in Italia in questo momento credono di aver riconquistato la possibilità di affermarsi e di poter sperare di riprendere il sopravvento.

I lavoratori italiani comprendono tutto questo e comprendono che per essi la questione del pane è legata strettamente alla questione della libertà; perciò i lavoratori italiani hanno la forza, la capacità, la maturità di difendere gli interessi del Paese, gli interessi della produzione e di difendere, col loro pane, la libertà di tutto il popolo italiano. (Applausi a sinistra).

VANONI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Vanoni, non ho sentito pronunciare il suo nome.

VANONI. Si è parlato di un trattato di commercio stipulato durante il periodo in cui ero Ministro del commerciò con l’estero e mi corre l’obbligo di dare spiegazioni obiettive su questo trattato.

PRESIDENTE. Le faccio presente che i Ministri e gli ex Ministri, chiamati in causa durante ima discussione politica, hanno diritto di parlare per dare chiarimenti o informazioni.

Ma, in sede di interpellanze, onorevole Vanoni, un richiamo più o meno generico non è sufficiente per far mutare il metodo della discussione. In sede di interpellanza possono parlare l’interpellante e il Ministro interpellato.

VANONI. Signor Presidente, è stato fatto un accenno preciso ad un atto di Governo, di cui sono in parte responsabile.

Il trattato di commercio in questione ha rappresentato la condizione precisa per una fornitura di 50 mila tonnellate di materiale siderurgico, destinato prevalentemente alla costruzione di vagoni ferroviari in Italia. Tutti coloro che conoscono questo grosso problema della nostra economia in questo momento, sanno che la difficoltà maggiore della nostra ricostruzione ferroviaria è costituita dalla scarsità di materie prime necessarie per la costruzione di vagoni.

La politica che è sempre stata seguita dal Dicastero che ho avuto l’onore di presiedere per qualche tempo è proprio stata diretta a garantire l’approvvigionamento dei materiali necessari per la ricostruzione ferroviaria. Tanto è vero che quando dal Dicastero dei trasporti, allora retto dall’onorevole Ferrari – che certamente non era un plutocrate affamatore – venne proposto di fare una commissione di altri mille carri ferroviari in Svizzera io mi opposi e svolsi l’azione perché venisse comprato, con l’equivalente in valuta, il materiale necessario alla costruzione di carri ferroviari in Italia.

Questa è stata la politica che abbiamo seguito e che, ho motivo di ritenere, segua tuttora il Governo in carica.

FERRARI Chiedo di parlare. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi! Se veramente noi non vorremo convincerci una buona volta che il Regolamento ha una sua ragion d’essere e finché di conseguenza non rinunceremo ad ogni tentativo di evadere in qualche modo da esso, nessuna delle nostre discussioni potrà presentare carattere di coerenza.

Poiché, tuttavia, l’onorevole Vanoni ha chiesto di parlare ed ha anzi parlato prima ancora che io gliene dessi facoltà, è evidente che anche l’onorevole Ferrari ha acquisito il diritto alla parola.

Onorevole Ferrari, ha facoltà di parlare.

FERRARI. Quello che ha detto l’onorevole Vanoni è esatto; soltanto, debbo rettificare un punto. L’onorevole Vanoni ha detto cioè che da parte del Ministero dei trasporti era venuta – così almeno ho creduto di intendere – la richiesta di forniture di carri ferroviari dalla Svizzera: io mi sono opposto, ha detto l’onorevole Vanoni.

Orbene, non è che sia venuta la richiesta dal Ministero dei trasporti a quello del Commercio estero. È venuta l’offerta da parte della Svizzera e il Ministero dei trasporti, data la situazione di rapporti di credito tra l’Italia e la Svizzera, ha ritenuto doveroso di portare la questione anche dinanzi al Ministro del Commercio estero.

Ma l’opinione del Ministro Vanoni era anche l’opinione del sottoscritto e ci trovammo, pertanto, d’accordo entrambi nel respingere la richiesta, perché precisamente ci trovammo d’accordo nell’adottare il criterio di far entrare materie prime per far lavorare i nostri operai.

Questo solo intendevo precisare; mi riserbo di chiedere nuovamente di parlare dopo che avrà risposto l’onorevole Ministro alle interpellanze, qualora venissi ancora chiamato in causa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale ha facoltà di rispondere.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. La preoccupazione costante del Governo, cui ho l’onore di appartenere dal momento della sua costituzione, è stata quella di individuare, impostare e svolgere una razionale politica del lavoro. Naturalmente, una razionale politica del lavoro non può avere per obbiettivi che i seguenti: la massima occupazione possibile, compatibilmente con i mezzi ed i limiti del nostro Paese; l’adeguamento più perfetto possibile delle retribuzioni al costo della vita dei lavoratori; il miglioramento di tutte le forme di retribuzione familiare; il miglioramento di tutte le forme di retribuzione previdenziale; le agevolazioni e le misure per una nuova occupazione all’interno, o, disgraziatamente – nei casi in cui all’interno non sia possibile – all’estero; l’assistenza infine in tutti quei casi in cui, per le misure precedenti, non fosse stato possibile realizzare la massima occupazione prevista.

In occasione della discussione in questa Assemblea delle mozioni degli onorevoli Nenni e Togliatti di sfiducia al Governo, il Ministro del lavoro, per un insieme di circostanze, non ebbe la possibilità di intrattenere i colleghi su questa politica del lavoro. Io non posso quindi, in questa occasione, non esprimere la più viva gratitudine agli onorevoli colleghi Morandi e Di Vittorio, i quali, con le loro interpellanze, mi concedono ora di impostare la discussione, partendo da una larga visione dei problemi stessi. E naturalmente, sia consentito al primo membro del Governo che prende la parola sull’interpellanza di ringraziare l’opposizione per avere offerta l’occasione di dire una parola di precisazione sulla gravità (per il momento diciamo solo gravità) del problema dei licenziamenti che, secondo la parola un poco apocalittica dell’onorevole Di Vittorio, starebbero non soltanto provenendo dalle direzioni delle imprese, ma addirittura piovendo dal cielo.

Alto livello di occupazione; massimo livello possibile di occupazione. Che cosa ha fatto il Governo a questo proposito?

Settore agricolo. C’è un decreto Segni per il passaggio dall’ammasso totale all’ammasso per contingente che, a detta dei competenti, ma soprattutto in base alle prime risultanze intorno alle semine, sta a dimostrare che ha rappresentato un incoraggiamento all’applicazione ai lavori dei campi.

C’è poi un decreto – uno di quei tanti decreti che ieri sera l’onorevole Morandi con benevolenza attribuiva a chi vi parla – sulla massima occupazione in agricoltura, discusso ampiamente con le Confederazioni interessate, in funzione del quale gli esperti ritengono che cento o centoventimila braccianti potranno nel prossimo inverno trovare occupazione.

Settore industriale. Il decreto istitutivo del «Fondo industria meccanica» non so come si voglia interpretare dagli amici o dagli oppositori; mi pare che nelle intenzioni del Governo e nella valutazione obiettiva sia un provvedimento il quale ha per fine, e lo raggiungerà, quello di intervenire a mantenere il più alto livello possibile di occupazione proprio in questo settore dell’industria meccanica, sulla cui difficoltà l’onorevole Morandi, non da ora del resto, ha richiamato la comune attenzione.

Si è parlato dagli onorevoli interpellanti delle imprese I.R.I., soprattutto di quelle navali o naval-meccaniche, e si è detto: «Perché non procurare lavoro a queste imprese?». Orbene, uno dei decreti del Governo prevede proprio questo: la garanzia, mi pare, per oltre dieci miliardi di lire all’Ansaldo e alle imprese I.R.I. genovesi per procedere a lavori che uno Stato estero ha affidato all’Italia. È quindi un provvedimento il quale ha una funzione precipua: impedire il licenziamento di notevoli masse di lavoratori dell’Ansaldo.

Ordinazioni di costruzioni ferroviarie. Qui non ritornerò nuovamente, anche per evitare nuovi interventi di colleghi che ebbero l’onere e l’onore di essere Ministri nei passati Governi, sulla questione delle ordinazioni di carri ferroviari al Belgio.

DI VITTORIO. È una questione recente; è un’altra cosa quella alla quale si riferiva l’onorevole Vanoni.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Allora mi scusi di aver ritoccato questo argomento.

C’è da ricordare, però, che il piano triennale di finanziamenti per 175 miliardi per costruzioni e ricostruzioni ferroviarie, ha evidentemente questo scopo: di garantire a tutte le imprese italiane che attendono a questi lavori la possibilità di continuare l’assorbimento della mano d’opera in essi impiegata. Del resto, che questo avvenga lo si dimostra con due rilievi: alcune delle industrie che si trovano in crisi nell’Alta Italia, in tanto possono continuare a pagare i salari ai loro dipendenti, in quanto l’Amministrazione delle ferrovie ha anticipato l’ammontare delle somme dei costi di pari lavori che ancora queste imprese stanno eseguendo; usiamo un eufemismo: stanno eseguendo.

Riordinamento e finanziamento dell’I.R.I. Ma tutti quelli che sono al corrente di queste faccende, sanno che il Governo non ha lesinato niente all’I.R.I. perché lavorasse ed ha preso anche dei provvedimenti perché si riordinasse.

E non possiamo dimenticare la fatica del commissario ingegner Longo, il quale si accinge all’opera di risanamento e di ricostruzione di questo nostro Ente statale.

Il decreto del 24 di questo mese, che garantisce il credito per sei miliardi di lire alle medie e piccole industrie; il preannunciato decreto che dovrebbe facilitare – e faciliterà – l’afflusso di capitali esteri; il preannunciato decreto dei prossimi giorni sulle agevolazioni all’artigianato ed alle imprese artigiane: ecco altri mezzi di massima occupazione.

E poiché si è accennato agli arsenali della Marina e della guerra, non possiamo dimenticare che l’arsenale di Piacenza, coi suoi 7000 operai, è stato trasformato in arsenale che fabbrica macchine agricole, per intervento del Governo! (Approvazioni).

Adeguamento delle retribuzioni al costo della vita: aumenti agli statali del giugno 1947 e dell’ottobre 1947, che complessivamente vengono a costituire un onere (che il Governo in parte ha affrontato e che in parte sta studiando di affrontare) di un centinaio di miliardi di lire; aumenti che lasciano ancora un’amarezza in fondo al cuore, amarezza che è quella di non potere veramente provvedere a questo esercito di fedeli lavoratori e collaboratori dello Stato italiano con quella larghezza che sarebbe necessaria, considerando la loro grande responsabilità e le troppe pene che da molti anni stanno soffrendo. (Vivi applausi).

Partecipazione alle vertenze salariali. Se voi mi consentite, onorevoli colleghi, io sorvolo questo argomento perché non vorrei involontariamente essere portato a parlare dell’azione che in questi mesi ho dovuto svolgere in questo settore. Posso dire soltanto questo: che per concordi dichiarazioni delle parti, dichiarazioni anche scritte, è stato sempre constatato come l’intervento del Governo (e non solo mio, ma anche di tutto il Governo e del Presidente del Consiglio), è stato sempre decisivo per realizzare positive e durature conquiste in questo settore. (Applausi).

Ma l’adeguamento delle retribuzioni al costo della vita si fa non solo aumentandole retribuzioni nominali, ma anche accrescendo il potere di acquisto.

La politica dei prezzi. Naturalmente non ha ragione l’onorevole Di Vittorio quando dice che noi ci vogliamo attribuire i meriti della Provvidenza per i recenti buoni raccolti. No, vogliamo solo cogliere l’occasione per ringraziarla! (Applausi al centro).

Dobbiamo ringraziare anche altri interventi, proprio in questo settore agricolo: i lavoratori, i lavoratori che hanno predisposto e preparato, nonostante enormi difficoltà, gli ottimi raccolti che in questo scorcio di autunno noi stiamo ammassando!

Se mi consentite, infine, c’è da ringraziare qualche altro; c’è da ringraziare il senatore Einaudi che con certi provvedimenti ha finalmente trovato modo di mettere paura agli speculatori! (Applausi al centro – Interruzione dell’onorevole Scoccimarro).

E speriamo, onorevole Scoccimarro, che li accresca anche per il futuro!

C’è l’altro settore: quello dei miglioramenti delle retribuzioni e degli assegni familiari. Quando siamo arrivati al Governo, in questo quarto Gabinetto De Gasperi, ho constatato che ancora i lavoratori agricoli ricevevano come assegno familiare l’enorme somma di 80 centesimi al giorno! Il primo decreto che ho avuto l’onore di sottoporre alla firma del Capo dello Stato, il 7 giugno, è stato quello che aumentava questa retribuzione irrisoria; anzi questo impedimento alla retta contabilità. E finalmente, il 24 ottobre, a seguito degli accordi e degli interventi del Governo nella ormai famosa vertenza bracciantile del settembre, è stato approvato il decreto che aumenta ulteriormente gli assegni familiari dei lavoratori agricoli, moltiplicando di 37 volte la quota che noi abbiamo trovato arrivando al Governo.

Industrie: decreti recenti hanno portato all’aumento dal 25 al 40 per cento a seconda delle categorie, gli assegni familiari.

Commercio: aumento del 50 per cento.

Miglioramento delle previdenze, cioè delle retribuzioni previdenziali.

Quando il nostro Governo si è costituito, tra le eredità dei passati Governi, abbiamo trovato questo: che grazie a delle trattative lunghissime non si era ancora arrivati in porto per procedere a un aumento delle pensioni agli assicurati dell’Istituto di previdenza sociale.

Io non posso qui altro che fare una lode all’onorevole D’Aragona, che impostò per primo il problema ed ebbe l’idea del fondo di solidarietà sociale, e al suo successore e mio predecessore, l’onorevole Romita, che insieme all’onorevole Togni, fece di tutto per arrivare in porto. Evidentemente ciascun Ministro poteva e doveva essere fiero di realizzare questa misura. Purtroppo è capitata a me la sorte di portare in porto questa lunga fatica e di portarla, indipendentemente dalla mia buona volontà o della sua, onorevole Di Vittorio, in termini ed entità tale da non dare tranquillità di vita ai pensionati, pur diminuendo per lo meno le forti apprensioni che i pensionati della previdenza sociale avevano; e continuano ad avere nonostante gli aumenti.

Comunque 29 miliardi di lire anche in questa circostanza passarono a beneficio di queste categorie benemerite di anziani e invalidi; anche col concorso dei lavoratori, ai quali non soltanto in questa occasione, onorevole Di Vittorio, ma ben prima di ora, con tutti i mezzi consentiti oggi dal progresso alla voce e al pensiero umano, ho cercato di dare testimonianza per questo loro atto generoso e, se lei mi consente, onorevole Di Vittorio, anche doveroso. (Applausi al centro).

Il problema degli statali. Anche qui due successivi aumenti. Anche in questi giorni è stato deliberato un aumento, nel giorno stesso in cui la C.G.I.L. premurosamente, come era suo dovere, faceva analoga richiesta al Governo.

Malattie. L’indennità malattia in agricoltura è aumentata quattro volte; l’indennità del commercio in questi giorni – decreto del 24 ottobre – aumentava sette volte; indennità infortuni in agricoltura aumentata quattro volte e questa volta senza aumentarne le prestazioni, perché per errato calcolo negli anni precedenti si prelevava più di quanto si pagasse. È un miracolo di quella riforma ante lettera degli istituti previdenziali, che io spero si ripeta parecchie volte per arrivare davvero ad impostare e risolvere questo problema della riforma previdenziale su basi razionali, che sono anche quelle della diminuzione del costo delle prestazioni.

Assistenza. Il problema della disoccupazione.

Le statistiche della disoccupazione dal gennaio 1946 in poi sono aumentate con ritmo vertiginoso, e ad un vecchio studioso di statistiche la semplice indicazione dell’ammontare e dell’andamento della curva non poteva tardare a rivelare che c’era qualche anomalia. Le anomalie sono saltate fuori quando sono cominciati gli accertamenti: fior di occupati i quali erano iscritti fra i disoccupati ed alcuni di questi – onorevole Di Vittorio, lei non ne ha colpa, ma neanche io ne ho colpa, nessuno ne ha colpa, ne hanno colpa solo loro – andavano ad ingrossare la piccola pattuglia dei disoccupati italiani che percepiscono l’indennità. E bene hanno fatto coloro che presiedevano all’amministrazione della giustizia in Italia a provvedere energicamente. Devo aggiungere che, per quanto riguarda Roma, si è dovuto un po’ attenuare l’energia, perché temevamo di dover trasferire troppi falsi disoccupati non proprio in case di lavoro. (ilarità).

Comunque, dagli accertamenti in materia di disoccupazione sono saltate fuori delle cose veramente spassose. Fra l’altro, questo, che l’Italia è l’unico Paese in Europa e nel mondo, in cui i disoccupati o gli iscritti agli Uffici di collocamento, dal giugno al settembre, anziché aumentare, diminuiscono. Perché? Perché si continua a spulciare e a trovare continuamente che c’è gente la quale indebitamente, qualche volta per negligenza (anzi, rendiamo onore ai nostri concittadini, la maggior parte delle volte per negligenza) resta, dopo due o tre mesi dall’occupazione, iscritta ancora nelle liste.

Per affrontare il problema della disoccupazione bisognava incominciare ad accertare il fenomeno. Gli accertamenti sono in corso, ed è in funzione di questi accertamenti che il Governo è potuto arrivare ad una conclusione.

PAJETTA GIAN CARLO. È un problema anagrafico.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Magari fosse solo anagrafico!

Ne veniva fuori questo, che, accertando che in Italia non esistevano due milioni e 200.000 disoccupati, come figurava nel febbraio scorso, ma forse la metà, il Governo poteva impostare una soluzione meno spilorcia del sussidio di disoccupazione e vedere, racimolando tutte le riserve possibili, se questo sussidio poteva essere aumentato oltre le 50 lire che noi abbiamo trovato. Il 12 agosto di quest’anno, con decreto di quella data entrato in vigore il 13 settembre, infatti, il sussidio di disoccupazione è passato da cinquanta a duecento lire. Ed in quell’occasione – altra prova della collaborazione che dall’esterno forse nessuno immaginerebbe, fra Governo e Associazioni e Confederazioni sindacali – quando esaminando insieme il provvedimento con le varie organizzazioni di categoria, uno dei Segretari della C.G.I.L., Fernando Santi, ebbe a dirmi: ma, probabilmente, è poco indovinato dal punto di vista psicologico il portare l’indennità di disoccupazione da cinquanta a duecento lire e contemporaneamente dire che le duecento lire conglobano anche l’indennità di caro-pane, io non ebbi che da ringraziare questo Segretario della C.G.I.L., e dire: benissimo, il Governo è disposto anche a far sì che le duecento lire abbiano non nel loro interno, ma all’esterno, l’indennità di caro-pane. Contemporaneamente quadruplicammo l’indennità dei figli a carico. E lo stesso 12 agosto provvedemmo per il nuovo trattamento di integrazione. Naturalmente siamo qui arrivati alla serie dei provvedimenti di cui si sta discutendo.

Devo, prima di entrare nella discussione, ricordare un altro decreto dei primi di ottobre, quello che garantisce i salari arretrati di un mese e l’indennità di licenziamento agli operai e agli impiegati di imprese, che per dissesto venissero a cessare la propria attività. Credo sia un provvedimento unico al mondo, almeno negli Stati occidentali.

Su quello che si è potuto fare in materia di nuova occupazione, distinguendo in due settori all’interno e all’estero, farò un breve accenno. L’onorevole Di Vittorio nella sua interpellanza e nel suo svolgimento ha detto: «Occorre fare dei lavori pubblici». Ha parlato di una cifra: 60 miliardi. Sono esattamente 65, ed in questa misura: 25 all’agricoltura, 40 ai lavori pubblici, i miliardi stanziati dal Governo. Il Governo ha mobilitato e sta mobilitando questa somma per far sì che durante la stagione invernale i lavoratori, più che avere sussidi, abbiano lavoro. L’onorevole Di Vittorio dice che sono pochi: anche io sono convinto di questo, come pure lo sono tutti i membri del Governo. Evidentemente, c’è un limite alla soddisfazione dei nostri desideri. In tutta questa politica, come in tutti quanti gli aspetti della politica. E il limite da che cosa è rappresentato? In questo caso specifico, dalla necessità di non aumentare ulteriormente la circolazione, dalla necessità quindi di trovare delle entrate che facciano fronte a queste spese ed a tante altre che ogni giorno aumentano.

A proposito di questa nuova occupazione interna, il grande problema, la tragedia della situazione italiana è: disoccupati, possibilità di occupazione; e nessun incontro, nessun matrimonio legittimo fra l’occupazione ed i disoccupati. Perché? Perché per troppi anni giovani italiani sono stati avviati non ad operazioni di pace ed a opere costruttive, ma ad opere distruttive. Occorre in ritardo quindi, con una serie di inconvenienti gravissimi, provvedere a dare a questi giovani quello che non ebbero quando era tempo: la qualificazione professionale. Il problema è stato sollevato dalla C.G.I.L. da tempo. Questo problema ugualmente noi abbiamo sollevato, su esso desideriamo arrivare a concreti provvedimenti oltre quelli già presi. Per questo il Governo ha deliberato lo stanziamento di due miliardi per corsi di qualificazione.

Queste intenzioni ho comunicato in questi giorni alle organizzazioni sindacali interessate perché collaborino col Governo a dare la forma più idonea ai corsi, per far sì che non si moltiplichino le scuole, che non sarebbero frequentate a 30-35 anni. Con la fame e la paura della disoccupazione, non si va nelle scuole a mangiare i libri. Viceversa, occorrono macchine, cantieri, reparti in cui uomini, che in ritardo arrivarono alla qualificazione, possano qualificarsi nell’unico modo possibile a quell’età: cioè lavorando e imparando. Imparare, ma naturalmente avendo una situazione che non può essere quella del semplice disoccupato.

Proprio stamani, onorevole Di Vittorio, ho avuto la risposta che lo schema è piaciuto anche alla Confindustria. La Confindustria ha detto che è disposta, secondo le promesse che lei stesso ha sentito nei giorni scorsi, a dare un contributo affinché la somma di due miliardi sia integrata. Queste faccende dovete discuterle fra di voi, onorevole Di Vittorio: il Governo fa il notaio. Bisogna che queste 200 lire che oggi i disoccupati hanno, siano, non dico raddoppiate, ma possibilmente un po’ più che raddoppiate.

Il mercato estero del lavoro: è una valvola che ha funzionato come ha potuto. Gli accordi stipulati dai passati Governi sono stati eseguiti meglio che si poteva, con qualche notevole inconveniente, che il Comitato interministeriale dell’emigrazione, al quale partecipano le organizzazioni interessate, sta affrontando. Sono in corso tentativi e trattative per migliorare gli accordi stessi: missione Jacini in Argentina, fra pochi giorni riunione della commissione mista italo-francese, alcune nostre richieste che si stanno formulando alla Svezia, non per migliorare la situazione, che è ottima in Isvezia, ma per aumentare il contingente: altre trattative con la Cecoslovacchia per aumentare il contingente e per far sì che i nostri emigranti in quel Paese abbiano un trattamento rispondente al trattamento salariale, soprattutto per quanto riguarda gli assegni familiari, percepito in Italia.

A proposito di emigrazione, tutti possono visitare il centro di Milano, realizzato dal Governo in una forma, non voglio dire signorile, ma decorosa, affinché tutte quante le delegazioni straniere, che in questo centro sono accolte per convogliare nei rispettivi paesi i nostri emigranti, abbiano la sensazione che in Italia i lavoratori sono trattati bene; non dico perché imparino, ma perché si convincano che il trattamento da noi fatto ai nostri lavoratori pretendiamo sia fatto ad essi anche negli altri Paesi. (Applausi al centro).

Con questi ultimi provvedimenti e con questi ultimi accenni siamo arrivati proprio al nocciolo della questione, impostata in termini sufficientemente obiettivi, certamente sereni, dall’onorevole Morandi.

Esamineremo questi provvedimenti, che avrebbero dato la stura allo sblocco; ma prima mi sia consentito riferirmi ad una cifra, che il Presidente del Consiglio indicò qui nelle sue dichiarazioni conclusive del dibattito sulla mozione di sfiducia al Governo. Egli disse che coi provvedimenti presi dal Governo – come era suo dovere – tra il 7 giugno e il 2 ottobre, solo nel settore privato, solo in materia previdenziale (assegni familiari, assistenza), si erano travasati o si erano adottate disposizioni perché si travasassero, nel corso dell’anno finanziario 1947-48, dalle tasche degli abbienti a quelle, troppo spesso perfino sdrucite, dei lavoratori, 80 miliardi di lire; con l’ultimo provvedimento abbiamo superato i 90. E questo dica come noi cerchiamo, meglio che possiamo, di fare il nostro dovere, stimolati, per di più, come siamo, dall’accusa che saremmo un Governo contrario ai lavoratori.

Capite, ora – e vi svelo un nostro segreto, colleghi dell’opposizione – che più insistete su questa accusa, più noi faremo di tutto per andare incontro ai lavoratori. (Applausi al centro).

SCOCCIMARRO. Adesso che lo sappiamo lo faremo senza economia.

Presidenza del Presidente TERRACINI

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Il problema dello sblocco dei licenziamenti, più esattamente chiamato dall’onorevole Morandi problema della smobilitazione o, meglio, della riduzione del sovraccarico di lavoro o della, potremmo dire, razionalità dell’impiego dei lavoratori, non è nuovo; non voglio dire che nacque quando nacque il blocco; il problema dello sblocco nacque, però, nell’agosto del 1946. Allora il Governo decise di costituire una Commissione interministeriale con Sottocommissioni per studiarlo e avviarlo a soluzione. In una di quelle riunioni, a cui partecipava naturalmente anche la Confederazione generale del lavoro, fu dichiarato dalla C.G.I.L., nel verbale 14 dicembre 1946 che: «La Confederazione subordinava le trattative relative allo sblocco dei licenziamenti alla regolamentazione delle funzioni e dei compiti delle Commissioni interne». In quell’occasione la Confederazione italiana dell’industria propose che, per non mettere sul lastrico le maestranze licenziate, fossero devoluti adeguati sussidi di disoccupazione, ed il Ministro del lavoro – aggiungeva la Confindustria – avrebbe dovuto esaminare con molta attenzione la possibilità di instaurare una larga politica di sussidi di disoccupazione. Questo verbale fotografa abbastanza bene le rispettive posizioni quali erano all’inizio di questa vertenza e di questo problema.

Nel mese di luglio 1947 si parlava ancora dello sblocco, ma non era stata ancora trovata una soluzione, anche perché la Confederazione generale del lavoro continuava ad insistere e – a mio modo di vedere – giustamente, sulla necessità di premettere ad una attuazione dello sblocco, l’individuazione e la determinazione dell’organo atto a disciplinare questo sblocco, tornando alla sua posizione del 14 dicembre 1946. In varie lettere, che ho, la Confederazione più volte, alle richieste della Confindustria e alle mie, sempre insistette nel dire: bisogna, prima di fare una legge la quali confermi – questo era il punto di vista del Governo – l’esistenza legale della possibilità dello sblocco o dia – questo era il punto di vista dalla C.G.I.L. – la possibilità dello sblocco stesso, realizzare un accordo per le Commissioni interne. L’accordo per le Commissioni interne verteva soprattutto sulla formulazione dell’articolo 2, il quale avrebbe dovuto stabilire le funzioni generali delle Commissioni interne. Senza che si fosse stabilito l’articolo 2, non si poteva arrivare ad applicare l’articolo 3, che già era stato formulato, d’accordo tra le due Confederazioni, e che prevedeva le modalità di intervento della Commissione interna nella gradualità dei licenziamenti. Naturalmente in questa circostanza il Governo, intervenendo, si assunse l’obbligo e l’onere di predisporre i due provvedimenti, che più volte le due Confederazioni avevano richiesti. Un primo provvedimento che regolasse meglio la materia delle integrazioni, vale a dire provvedesse ad una ulteriore assistenza per i lavoratori licenziati; un secondo provvedimento che, in un successivo periodo di licenziamento, desse un sussidio di disoccupazione meno visibile di quello che fino allora si era dato. La Confederazione generale del lavoro discusse insieme con noi, in gran parte, questi provvedimenti, i quali furono trattati alla presenza non dell’onorevole Di Vittorio, il quale era assente, perché si trovava in non so quale zona d’Italia, per appianare e dissipare gli scioperi (Ilarità al centro), ma alla presenza di Santi, di Rubinacci e, certamente, di Bitossi, prima che Bitossi si recasse in Russia con la nota nostra missione sindacale. Orbene in quella circostanza – debbo dire le cose come stanno – i rappresentanti della Confederazione generale del lavoro, ad esclusione dell’onorevole Di Vittorio, che era assente, discutendo con me il famoso articolo 2 dell’accordo per le Commissioni interne, arrivarono a dire che lo sblocco si doveva attuare contemporaneamente con due provvedimenti: uno di natura sindacale (accordo fra le Confederazioni) ed uno di natura governativa. Naturalmente, aggiunsero che secondo loro la perfezione del sistema si sarebbe ottenuta quando la Confindustria si fosse decisa ad esaminare la loro vecchia proposta (proposta dei lavoratori) di integrare l’indennità di licenziamento, e quando da parte del Governo si fossero prese misure per i corsi di riqualificazione.

Ecco la genesi di tutta la legislazione che stiamo studiando.

Il 1° di agosto il Consiglio dei Ministri, mi pare alle 8 e mezzo di mattino, si riunì per approvare il decreto sul nuovo sistema di integrazione ed il decreto sull’aumento dei sussidi dei disoccupati, cioè il sistema congegnato. In quegli stessi giorni la Confindustria e la Confederazione generale del lavoro stavano ultimando, in riunioni alle quali io stesso partecipavo, l’accordo per le Commissioni interne. Nello stesso giorno in cui io discutevo e facevo approvare i due decreti, la Confederazione generale del lavoro scriveva un’ultima lettera con le sue richieste ulteriori, a proposito del decreto che noi stavamo approvando, in data 1° agosto. Ma io ricevetti la lettera, sebbene più rapidamente del solito, solo il 2 agosto, quando il decreto era già stato approvato. Comunque, gran parte delle richieste sulle quali tornava la Confederazione del lavoro, poiché oralmente mi erano già state fatte, erano già accolte nel decreto. Per esempio, l’onorevole Morandi mi ha rimproverato di aver fissato due mesi di tempo per far sì che i lavoratori licenziati dovessero beneficiare dei sussidi e delle provvidenze predisposte. Ma questi due mesi costituivano la richiesta precisa della Confederazione generale del lavoro!

Lettera n. 23265 – onorevole Di Vittorio – in data 1° agosto, con le firme autentiche di Bitossi, Pastore ed un’altra che mi pare di Santi. A questo proposito, esattamente la Confederazione chiedeva inoltre che venissero allargati i termini per poter fare le prescritte domande, e secondo la richiesta orale (qui non si arrivava a specificazione, ma nei giorni precedenti il Santi ne aveva già fatta la richiesta orale) io avevo modificato in 15 giorni anche questo termine per le prescritte autorizzazioni. Naturalmente, la Confederazione generale del lavoro faceva altre richieste. Io risposi subito, il giorno 2, e lamentai che queste ulteriori richieste aggiuntive a quelle altre che erano state fatte, mi fossero formulate il giorno in cui ne discuteva il Consiglio dei Ministri e fossero pervenute dopo che la approvazione stessa del decreto era avvenuta. Comunque, per riparare ad alcune di queste richieste (problema della gradualità dei licenziamenti e istituzione di scuole di qualificazione professionale) il Governo che cosa ha fatto? Ha fatto e fa quello che in questi giorni i giornali hanno detto e che qui in parte si discute: ha prorogato ulteriormente, non di un mese, come aveva chiesto la Confederazione generale del lavoro, ma di un altro mese e mezzo, fino al 31 dicembre, i termini per questi sblocchi, per consentire una maggiore graduazione di questi licenziamenti. Del resto, il Governo, come l’onorevole Di Vittorio avrà visto nella discussione di lunedì sera, non è alieno dal considerare le proposte che dovessero venire dalle due parti, perché nessun proposito c’è nell’animo dei governanti d’Italia di prendere i lavoratori e buttarli sul lastrico per la gioia sadica e impolitica di vedere aumentare le proteste contro il Governo stesso. Ora, dall’insieme di queste richieste risulta che la Confederazione del lavoro chiedeva la gradualità dei licenziamenti; ma lo strumento per attuare questa gradualità la Confederazione se lo era già assicurato ottimamente con l’articolo 3 dell’accordo fra le Commissioni interne del 7 agosto, il quale, al paragrafo 2 dice: «la Direzione dell’azienda e la Commissione interna, su richiesta di quest’ultima, esamineranno, con spirito di mutua comprensione, i motivi del licenziamento e le possibilità concrete da attuare, per evitarle senza costituire un carico improduttivo per l’azienda. A tal fine si terrà conto di elementi obiettivi, fra cui l’anzianità, il carico di famiglia, la situazione economica familiare, le capacità tecniche e di rendimento, ecc.». Nell’ipotesi che l’accordo non si raggiunga, vi è il paragrafo 3, che dice: nel caso che non si sia realizzato un accordo nella materia dei licenziamenti, la questione sarà deferita alla Camera del lavoro ed alle associazioni territoriali degli industriali, che esamineranno le ragioni addotte dalle due parti per addivenire ad un accordo. La procedura di conciliazione tra le organizzazioni Competenti deve essere tassativamente esaurita entro un termine di tre settimane dal giorno della comunicazione della Commissione interna. Poi ci sono altri paragrafi che prevedono altri aspetti del problema.

Quindi lo strumento c’era per la graduazione, e debbo anche aggiungere che ha funzionato. Quando tra breve noi passeremo a delimitare l’entità del fenomeno per vedere come si manifesta, vedremo che se oggi, pochi o molti, i licenziamenti minacciati non si sono attuati, si deve proprio al fatto che ha funzionato il paragrafo 3 di questo articolo. Quindi, il sistema «legge ed accordo» ha funzionato, e non certo a danno dei lavoratori. Dovremo fare qualche cosa di più per perfezionare questo sistema, nella eventualità che questo sistema abbia delle manchevolezze; e su questo punto siamo tutti d’accordo. Circa le modalità del funzionamento di questo sistema ha già in parte intrattenuto l’Assemblea l’onorevole Morandi.

In una circolare che il Ministero del lavoro ha emanato in data 28 agosto a tutte le organizzazioni di categoria, ai prefetti, agli uffici del lavoro ed agli ispettorati, per far sì che non nascessero equivoci e per richiamare l’attenzione sulla gravità del problema, sulla necessità che nessuno vedesse in questo sblocco una specie di inizio di carnevale per mettere della gente sulla strada, in questa circolare sono spiegate a parte tutte le modalità. Il sistema prevedeva l’eventualità che i licenziati, una volta che l’evento si fosse verificato, avessero bisogno di particolare assistenza. E che cosa stabiliva? Stabiliva che per i primi 60 giorni successivi alla data del licenziamento, la Cassa integrazione operai dell’industria dovesse pagare, a suo completo carico, i due terzi della retribuzione globale corrispondente a 40 ore settimanali e gli assegni familiari nella misura normale, a carico della Cassa relativa, il che vuol dire che viene consentito il trattamento che i lavoratori avevano in quelle aziende con supero di personale. Per i successivi 120 giorni son concessi gli assegni di disoccupazione previsti. E proprio per far sì che questi non fossero la cosa poco lauta di cui abbiamo parlato, in quella stessa data del 12 agosto si emanava l’altro decreto che portava l’indennità di disoccupazione da 50 a 200 lire e quadruplicava la quota per i figli a carico.

Dice l’onorevole Morandi che il Governo poteva far prima le trattative che adesso sta conducendo, a proposito dei termini e dei corsi. Ma queste trattative furono fatte: ho dimostrato come, a proposito dei termini, non ho fatto altro che accogliere la richiesta della Conflavoro, che probabilmente si è ingannata. In che modo? È facile spiegarlo: si è ingannata dello stesso inganno al quale soggiacque il Ministro del lavoro, pensando cioè che se lo sblocco si doveva fare, era molto più opportuno che si realizzasse prima dell’inverno, per non farlo cadere nel pieno dell’inverno stesso. È lo stesso motivo che oggi, quando ci ha portato a prorogare il termine oltre il prefisso 13 novembre, al 31 dicembre, ci ha fatto sorgere contemporaneamente nell’animo la preoccupazione di spostare ancora questa data; perché non credo che il giorno di San Silvestro sia il più adatto a mettere gli uomini fuori del luogo di lavoro.

Resta da chiarire – l’onorevole Morandi ha toccato questo problema, ma l’hanno toccato anche le due Confederazioni – il problema del trattamento ai lavoratori dell’Italia centro-meridionale.

Ora, bisogna tener presente che con questo provvedimento volevamo risolvere il problema dello sblocco e, naturalmente, il problema dello sblocco si poteva risolvere dove il blocco c’era stato. Nell’Italia meridionale il blocco, giuridicamente, non ci fu; di fatto, è vero, ci furono stabilimenti ed imprese che, per pressioni politiche dovute alla necessità di provvedere a bisogni umani, furono sovraccaricate di personale. Il problema bisognerà affrontarlo e bisognerà risolverlo.

In questo senso le due Confederazioni lunedì sera si sono trovate d’accordo, e credo che stiano formulando uno dei tanti promemoria al Governo e spero lo facciano in termini concreti, perché evidentemente non si può pensare di stabilire un trattamento speciale come quello fatto a questi lavoratori, a tutti i lavoratori licenziati per qualsiasi motivo. E bisognerà identificare bene l’obiettivo da raggiungere, che sia analogo a quello che abbiamo voluto raggiungere per l’Italia settentrionale.

Sulle ultime discussioni che tra Confindustria e Conflavoro ci sono state dalla fine di settembre alla metà di ottobre, sulla interpretazione dello sblocco, sulle modalità relative, chiedo venia all’Assemblea se non mi trattengo, anche perché la questione è ormai superata. Ed è superata nel senso che ho sempre auspicato e cercato di far conoscere attraverso i giornali, cioè con serenità, con un senso di intesa; perché qui non è un problema di una categoria o di un’altra: è un problema di uomini che rischiano di trovarsi nel pieno dell’inverno in condizioni che nessuno di noi invidia. E naturalmente il Governo non può essere cieco di fronte a questo fatto; ma naturalmente nemmeno cieche devono essere le parti in causa.

Ho potuto constatare proprio ieri sera – rispondendo brevemente all’onorevole Morandi, accennavo appunto a questo fatto – ho potuto constatare, dicevo, che ieri sera questo equivoco era già completamente dissipato. Io mi auguro, pertanto, che l’atmosfera di comprensione che ieri c’era tra le due Confederazioni continui a beneficio di questi cittadini italiani, i quali non chiedono se non di continuare a lavorare e di passare l’inverno nel modo meno grave possibile.

C’è, sì, il problema dell’entità del fenomeno. Guardate: lo sblocco ha prodotto una serie di effetti. Fra l’altro, uno di cui posso dare notizia – immagino che qualcuno non ci crederà – è questo: un’impresa di Torino ha incominciato ad assumere lavoratori oltre quelli che aveva, dopo che è avvenuto lo sblocco; e ne ha detto le ragioni. Ha incominciato ad assumere dopo che era venuto lo sblocco perché, finché c’era il blocco temeva che, una volta assunti questi lavoratori per necessità di lavoro, fosse ad essa poi impossibile licenziarli, quando la necessità di lavoro fosse venuta meno.

DI VITTORIO. Si era ovviato a questa difficoltà: dopo il 25 aprile.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Sì, in parte si era ovviato; però, oltre a questi, ci furono anche gli aspetti non benevoli, per i quali io trovò legittimo che i partiti, i rappresentanti dei partiti, abbiano sollevato il problema nell’Assemblea ed abbiano chiesto chiarimenti al Governo.

L’onorevole Morandi ha detto che, per la sola città di Milano, si sarebbero fatti, o si starebbero facendo, licenziamenti che interessano dalle quaranta alle cinquantamila famiglie; a Genova, dalle quindici alle ventimila. Per fortuna, io posso assicurare l’onorevole Morandi che non è questa l’entità dei guai che si profilano all’orizzonte.

Io ho dei dati. Prego l’Assemblea di esimermi dal leggerli integralmente, azienda per azienda; anche perché sarebbe mio desiderio non renderli di pubblica ragione per un senso di riguardo verso i lavoratori stessi. Posso dire comunque che, per le province di Milano e di Varese, i licenziamenti preannunciati, e non ancora notificati come tali, ma proposti a queste famose commissioni interne, oscillano fra i 4150 e i 5150.

DI VITTORIO. Ma se solo la Caproni…

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Un momento: questi sono i dati precisi ed esatti dell’ispettorato del lavoro di Milano.

Una voce a sinistra. Ma sono dati fantastici!

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Se l’assemblea lo desidera, posso fornirli alla Presidenza, ma vorrei, come ho già detto, non renderli di pubblica ragione per un senso di riguardo verso i lavoratori delle aziende indicate.

Facendo dei calcoli sulla capacità produttiva attuale della O.M., si arriva, sì, a una certa cifra complessiva di esuberanti cui accennava poc’anzi l’onorevole Morandi, ma ancora alla notifica in ragione di questa cifra non si è arrivati.

Per un’altra impresa bresciana, si è arrivati ad una cifra di molto, di molto inferiore, a quella cui accennava l’onorevole Morandi. Genova: il capo dell’ispettorato del lavoro di Genova ha comunicato che a tutto stamane sono stati effettuati licenziamenti solo in casi sporadici, in numero non superiore a dieci. (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Perché li abbiamo impediti.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Li avete impediti perché il sistema funziona.

Una voce a sinistra. No, perché c’è una discussione in corso.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Come no? Attraverso l’articolo 3 delle Commissioni interne. E posso dire di più: che sono stati impediti anche dal fatto che è venuta la proroga, perché molti di questi industriali dicevano – e la ragione è credibile – che fino a quando il termine era il 13 novembre non potevano assumersi oltre la responsabilità di licenziare gli operai anche quella di licenziarli scaduto il termine, mettendoli cioè in condizioni di non partecipare ai benefici previsti dalla legge. Quindi è pensabile che questa proroga abbia funzionato come una battuta d’arresto e consenta, dando tempo alle Commissioni interne, che ne hanno diritto in base all’accordo fatto, di intervenire per predisporre quella gradualità per i casi assolutamente indifferibili; per gli altri hanno diritto di chiedere la sospensione.

Ora, per Genova la situazione si presenta peggiore di quella di Milano, perché esistono lì dei complessi, o meglio un complesso I.R.I., che è particolarmente sovraccarico di lavoratori. Orbene, sommando tutte queste possibilità di licenziamenti (perché io ho avuto assicurazione precise dai dirigenti dell’I.R.I. che ancora nessun licenziamento è stato fatto e che sono state prese le misure perché non siano fatti fino a che non avremmo studiato, preordinato, individuato, o meglio, realizzato…

Una voce a sinistra. Ma se abbiamo delle lettere che ci dicono che sono stati licenziati!

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. No, signori: sono preannunciati. E si arriva per Genova, qualora tutti questi preannunci si realizzassero, scaglionati in un tempo assai lungo, o meglio non lungo quanto desidereremmo noi; lungo rispetto alla brevità minacciata nei giorni scorsi, ad un totale di diecimila lavoratori.

Torino. Fino al 20 ottobre si sono avuti soltanto pochi licenziamenti. Dal 20 ottobre ad oggi si sono licenziati meno di 300 operai. Un grande complesso come quello della Fiat, che occupa 50 mila operai, prevede un licenziamento di duecento operai. (Commenti al centro).

In totale, per Torino e provincia si prevedono dei licenziamenti nei prossimi mesi, e non nei prossimi giorni, tra i 4500 e i 5000 operai.

Poiché io non attingo ad una sola fonte (credo che sia mio dovere), sono ricorso a fonti diverse. (Il Ministero del lavoro ha anche questa fortuna, di avere due diverse fonti: gli Uffici del lavoro e gli Ispettorati del lavoro). Per quanto riguarda precisamente Torino ho ricevuto oltre a questa comunicazione, anche un telegramma di altra fonte, sempre ufficiale del Ministero del lavoro, il quale diceva: «Licenziamenti sinora effettuati in Torino e provincia dopo 20 ottobre seguono andamento normale. Licenziamenti probabili ora preannunciati settore industriale ammontano globalmente a poche centinaia di unità. Segue espresso». E naturalmente l’espresso ci dirà i termini della questione.

Da una terza fonte risulta che in provincia di Milano sarebbero stati dati preannunci di licenziamenti per 4000 lavoratori.

Per il resto della Lombardia 8500; per la Liguria 10.000 (le cifre collimano); per il Piemonte, da 3 a 4000; per l’Emilia 1000; per il Veneto 1000. In totale, fra 27.500 e 28.500. Naturalmente, tutti questi sono casi in contestazione fra le Commissioni interne e le direzioni degli stabilimenti, non sono licenziamenti effettuati.

Finora l’I.R.I. ha licenziato in tutta Italia solamente 400 operai, nella Filotecnica, a Milano.

Il sopraccarico dell’I.R.I. è notevole; notevole soprattutto a Genova e meno notevole a Milano. Complessivamente questo sopraccarico attuale, urgente, non supera le 11.000 unità.

C’è il problema dell’I.R.I. nell’Italia meridionale, ma ho avuto la confortante notizia che per quanto riguarda Napoli non si prevedono – anzi si escludono in modo assoluto – licenziamenti da parte dell’I.R.I. Anzi si predispongono piani perché venga mantenuta la capacità lavorativa attuale, e questo in funzione proprio dell’ormai noto stato di disagio in cui, specialmente a Napoli, la classe dei lavoratori metalmeccanici si trova.

Si è accennato anche alla Finsider. Ora i dirigenti della Finsider, oggi stesso mi hanno fatto arrivare all’ultimo momento, nel primo pomeriggio, l’assicurazione che le eccedenze (non licenziati o preannunciati licenziati!), le eccedenze del complesso industriale vanno fra 3500 e 4000. Quindi, nemmeno da questa parte vedremo una pioggia di licenziamenti!

C’è il problema di Taranto. Credo che i Cantieri navali di Taranto abbiano dato una prova di come si debba attuare il provvedimento. Che cosa hanno fatto? Prima di preannunciare licenziamenti, cioè prima di creare uno stato d’animo difficile ed inspiegabile per chi non capisce la gravità del provvedimento stesso, i dirigenti dei Cantieri navali di Taranto si sono rivolti alla Confederazione dei lavoratori e al Ministero del lavoro ed hanno detto: studiamo, prima di preannunciare questi provvedimenti, le modalità per assorbire l’assorbibile, per avviare gli avviabili in altri settori. E, attraverso l’intervento (che i dirigenti di Cantieri di Napoli del resto dichiararono apertamente) della Confederazione del lavoro e – per la parte che gli spettava – del Ministero del lavoro, è stato disposto un piano graduale e in parte un avviamento ad altri settori di queste quattro o quattrocentomila unità dei Cantieri navali di Taranto.

È questo, anzi, un tipico esempio, che conviene segnalare, di quello che può l’intesa fra gli interessati.

Una voce a sinistra. Corporativismo.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Non è corporativismo, è intesa fra la Confederazione del lavoro e la Confederazione industriale.

Attraverso questa intesa si arrivò anche ad una razionalizzazione (e mi pare che fu proprio l’onorevole Di Vittorio che persuase la commissione interna ad intenderne l’opportunità nell’interesse di tutta la massa dei lavoratori), la razionalizzazione del pagamento dei cottimi.

Ho creduto mio dovere segnalare questo esempio, perché mi pare che in questo momento – in cui forse alcuni per loro conto hanno creduto di approfittare di questa legge di sblocchi senza prendere cura delle conseguenze – l’esempio di quello che è avvenuto a Taranto possa segnare per tutte quante le imprese la via da seguire.

Percentuale. La percentuale, oltre ai 27 mila licenziamenti previsti nell’alta Italia, è per ipotesi di altri 13 mila. Se volete aggiungiamo altri 10 mila. Altri 23 mila per le altre Regioni d’Italia in base alle notizie che ho…

BITOSSI. Savona, Imperia, La Spezia, Livorno.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Io ho tutte le notizie possibili in questo momento. Non gioco al lotto e quindi non posso tirare fuori delle cifre a caso. (Applausi al centro).

LIZZADRI. Le tira lei le cifre.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ad ogni modo ho aggiunto a queste cifre altri 23 mila casi prevedibili…

LIZZADRI. Come fa a dirlo? Questi sono numeri al lotto.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Per larghezza. Si arriverebbe in questa ipotesi a 50 mila licenziabili. I 50 mila licenziabili rispetto al totale degli occupati nell’industria in Italia sono meno dell’uno per cento e se ci si riferisce (non mi rallegro di questo, ma siccome bisogna misurare il fenomeno, cerco di misurare tutto insieme; vedremo poi come ridurlo) solo al settore dei metalmeccanici, al quale nella generalità dei casi questi licenziamenti si riferiscono, si arriva la circa il 4 per cento. Se vogliamo attenerci solo alle cifre note, e cioè ai 27 mila licenziabili dell’Alta Italia preannunziati, rispetto agli occupati nel settore industriale, trasporti e comunicazioni nell’Alta Italia – due milioni e duecentomila – i 27 mila sono uno ed un mezzo per cento. Se vogliamo scendere invece ai confronti regionali e si confrontano ì disoccupati preannunziati per ogni regione, con gli occupati nel settore industriale in ogni regione, si arriva a questa percentuale: meno dell’uno per cento in Piemonte; quattro per cento in Liguria…

Una voce a sinistra. Sempre la Liguria!

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. È la regione che più ci deve preoccupare.

Dicevo il quattro per cento in Liguria; 1,3 per cento in Lombardia; 0,3 per cento nel Veneto e 0,4 per cento nell’Emilia.

Ma devo aggiungere che per queste due ultime regioni non possiamo lasciarci sollevare da queste cifre, perché si tratta di due regioni eminentemente agricole, in cui la disoccupazione massima e quindi la nostra massima preoccupazione deve essere rappresentata dai braccianti e dai disoccupati agricoli.

Questo è stato il motivo per il quale il Governo, predisponendo un piano di opere pubbliche, ha preso particolarmente in considerazione queste regioni destinando ad esse una somma di miliardi che è notevolmente superiore a quella destinata alle altre regioni.

In questa situazione, che preoccupa, che cosa si chiede dai lavoratori e dai rappresentanti dei lavoratori?

Io credo di ritenere che si può ricorrere a dei testi per così dire ufficiali, certo, molto autorevoli, come un articolo di Fernando Santi sull’Avanti di ieri, il quale fa dei rilievi. Comincia col riconoscere che vi sono delle aziende (il riconoscimento è stato fatto dall’onorevole Morandi e ripetuto dall’onorevole Di Vittorio) in cui il peso della manodopera non può più continuare senza che rischi di schiacciare la possibilità di vita dell’azienda stessa, riconoscimento che tutti facciamo. È un riconoscimento il quale non esonera dal predisporre tutti i mezzi opportuni per far sì che di questa smobilitazione il peso non sia portato dai lavoratori.

Aggiunge Fernando Santi: «Gli industriali hanno attinto per ventenni alle proprie aziende non investendo i larghi profitti in riserve o impianti, ma in attività extra aziendali. Queste ricchezze devono tornare al patrimonio dell’azienda o costituire comunque garanzie per i finanziamenti che si sollecitano».

Evidentemente questo passo io penso che dovrebbe essere sottoscritto da tutti quanti noi.

DI VITTORIO. Trasformatelo in una legge.

FANFANI, Ministro del Lavoro e della previdenza sociale. Se l’onorevole Di Vittorio ha letto e meditato il decreto istitutivo del fondo per l’industria meccanica avrà visto che in esso è previsto anche questo.

La Confederazione generale italiana del lavoro – aggiunge Santi – chiede anche che si provveda a dare una qualifica professionale ai lavoratori che ne sono sprovvisti, per facilitarne l’assorbimento in quei settori che avvertono la mancanza di specializzati e per agevolare l’avvio a quei Paesi che ne fanno richiesta.

Siamo perfettamente d’accordo. Ci stiamo muovendo su questa strada. Desidero essere aiutato da tutti quelli che possono.

Ed aggiunge il Santi: devono a ciò contribuire lo Stato e gli industriali, poiché tanto il Paese, quanto questi ultimi beneficiano duella maggiore capacità produttiva della mano d’opera qualificata.

Pienamente d’accordo anche su questo, e non soltanto in teoria, ma in pratica, perché il decreto sui corsi che insieme dobbiamo discutere prima di arrivare ad una sua determinazione in sede legislativa, prevede proprio questo: il concorso dello Stato con due miliardi, un concorso proporzionale al numero dei disoccupati da parte degli industriali.

L’onorevole Bitossi è un po’ diffidente sul concorso degli industriali…

BITOSSI. Possono bastare per le scuole professionali di duemila persone?

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Se l’onorevole Bitossi desidera schiarimenti, gliene posso dare. Se noi pensassimo di creare delle scuole professionali, coi professori, coi banchi, coi calamai, colle macchine, i due miliardi farebbero ridere. Ma noi non vogliamo questo. Io penso che voi non volete questo. Io non presterei la mia collaborazione ad una cosa di questo genere, nonostante che con questo io precluda per l’eternità la mia candidatura al Ministero dell’istruzione pubblica.

Ma che cosa si deve fare? Incoraggiare i corsi che vi sono già. L’onorevole Bitossi sa che vi sono già. Vanno migliorati, ma esistono per esempio quelli dell’E.N.A.L. e dell’I.M.P.L.I. che l’anno scorso avviarono ad una migliore istruzione professionale, o ad un perfezionamento professionale qualche cosa come 70.000 lavoratori. Sono troppo scolastici ancora: occorre trasformarli nel senso che insieme desideriamo.

Si tratta di usare questi due miliardi per integrare le indennità di disoccupazione dei lavoratori, per far sì che si migliorino operando in settori speciali, industriali o dell’edilizia. Questi due miliardi servono ad avviare a questo perfezionamento qualche cosa come centoventimila lavoratori. Penso, onorevole Bitossi, che se solo con questo espediente si dovesse provvedere alla disoccupazione italiana, io dovrei associarmi al suo sorriso. Ma io non penso che solo con questo mezzo si debba provvedere. Bisogna fare qualche cosa di ragionevole perché molti lavoratori di qualificazione non ne hanno bisogno, altri lavoratori hanno bisogno di altre forme d’intervento. Per altri v’è tutto un sistema di lavori pubblici ai quali l’onorevole Di Vittorio ha accennato, e per i quali ha dato qualche notizia. Spero che nei prossimi giorni ne vengano di ulteriori, ma soprattutto spero che nei prossimi giorni si inizino questi lavori pubblici. Con le notizie soltanto la gente non si fa lavorare.

Sono state fatte altre richieste (le desumo dal Globo di stamane) dai lavoratori dell’alta Italia. Il giornale dice che queste nuove richieste verranno trasmesse al Governo. Le ho lette, ed ho visto che nella quasi totalità per quel che riguarda l’economia noi possiamo trovarci d’accordo. Non solo, dico che siamo su questa strada; che stiamo operando in questo senso.

Ho già accennato all’incontro avvenuto nei giorni scorsi fra la Confindustria e la C.G.I.L. Non torno su questo argomento: mi pare di buon auspicio. Naturalmente, occorre realizzare le speranze, e far sì che a quella riunione altre ne seguano; e siano riunioni fattive, concrete, che offrano la possibilità ed i mezzi di andare incontro a questi lavoratori.

Per quanto riguarda il problema di Genova, io posso dire che mi sono preoccupato della situazione. Ho qui perfino una cartina topografica. In una città come Genova non è indifferente far sorgere una scuola a Cornigliano o in un’altra zona. Quindi, bisogna provvedere razionalmente anche a questo aspetto che sembra secondario ma che è molto importante ai fini di far cosa utile ai lavoratori stessi.

V’è il problema dell’emigrazione: ho detto già qualche cosa.

V’è il problema dei corsi. Ho qui lo schema del decreto che insieme stiamo preparando. V’è tutta una serie (e potrei leggere la cronologia) di riunioni fatte o da farsi da ora all’8 novembre nelle varie zone d’Italia con l’intervento degli interessati: prefetti, Uffici del lavoro, Ispettorati del lavoro, per far sì che questi corsi escano dalla teoria e dal provvedimento per entrare nella realtà.

Questa, la rassegna che, a proposito del problema sollevato dagli onorevoli Morandi e Di Vittorio, fio ho creduto opportuno di fare per precisare la genesi del fenomeno e la sua attuale intensità; per aggiungere una parola sugli sviluppi, che potrebbero essere gravi di questo stesso fenomeno; sulla necessità, quindi, che oltre alle provvidenze prese dal Governo tutti quanti i cittadini italiani interessati a questo problema – evidentemente, primi gli industriali – manifestino appieno un grande senso di responsabilità.

Stiamo a trattare non di un semplice fenomeno economico, ma di un fenomeno economico che, come quasi tutti – vorrei dire, tutti – coinvolge problemi di esistenza, di dignità, di benessere di tutti quanti i lavoratori, e – starei per dire – di tutti quanti gli uomini.

È necessario che in questo momento venga, anche da parte del Governo, un invito a tutti coloro che possono intervenire favorevolmente per limitare il fenomeno, per combatterlo e, in una parola, per ridurlo; e per far sì che questa politica della massima occupazione possibile venga spinta davvero al massimo.

Non si tratta di fare un’opera che torni a beneficio di questo o di altri Governi: si tratta di fare un’opera che torni a beneficio di tutti quanti i nostri concittadini. (Vivissimi applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Morandi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORANDI. Sarò molto breve nella mia replica, per dichiarare la mia insoddisfazione.

L’onorevole Ministro ha portato all’Assemblea una larga visione, come egli si è espresso, dei problemi del lavoro, forse troppo larga, fino a sommergere l’oggetto dalla materia propria dell’interpellanza.

Non starò a riprendere uno per uno gli argomenti ed i punti programmatici da lui esposti. Dirò soltanto che gli sviluppi di una politica della massima occupazione non hanno avuto finora fondamento troppo solido nella politica governativa. Poiché è vero certamente che la determinazione di procedere agli ammassi per contingente non è stata presa a questo fine, come non hanno avuto in vista quale loro scopo diretto la massima occupazione, i provvedimenti di carattere finanziario, cui ha fatto riferimento.

Di queste cose, come ho già accennato, noi ci riserviamo di riparlare in altro momento.

Onorevole Ministro, ella però è caduta in un grave sbaglio parlando dell’I.R.I., evidentemente perché male informato. Ha detto che si è già provveduto alla sua sistemazione perché di recente sono stati dati dieci miliardi a questo istituto.

FANFANI. Ministro del lavoro e della previdenza sociale. I dieci miliardi sono per la garanzia delle navi costruibili presso l’Ansaldo; forse mi sono espresso male.

MORANDI. Onorevole Fanfani, il Ministro del tesoro le può certamente dire in quale situazione versi l’I.R.I. I fondi assegnatigli, entro metà novembre saranno assorbiti per intero semplicemente dal pagamento delle paghe.

Quanto alla copertura delle commesse estere per ordinazione di naviglio, voglio osservare che soltanto l’Ansaldo è scoperta per 20-25 miliardi. Tale grave questione si è originata dalla nostra politica valutaria e forse anche da qualche errore nella stipulazione dei contratti.

Il Ministro del lavoro ci ha dato ancora una volta l’attestazione dello scarso interesse che il Governo porta alla situazione dell’I.R.I., della leggerezza con la quale ne tratta.

Voglio soffermarmi su un punto solo di quello che il Ministro Fanfani ha spiegato essere stato il processo di formazione della situazione attuale, la genesi, più particolarmente, dei provvedimenti da lui presi. Mi riferisco alle trattative che si svolsero nel settembre dello scorso anno, e all’indagine condotta da una commissione ministeriale. L’atteggiamento della Confederazione del lavoro risultò allora chiarissimo oltre che dalla lettera, soprattutto dallo spirito nel quale le trattative si svolsero, trattative cui parteciparono personalmente dei Ministri.

Si subordinava al nuovo accordo per le commissioni interne, non già l’attuazione dello sblocco, ma l’inizio di trattative per lo sblocco dei licenziamenti. Ho partecipato di persona a queste trattative e posso testimoniarne.

Ora, però, io avevo già prevenuto l’onorevole Ministro che poco ci poteva interessare, in merito all’argomento da noi svolto, la questione procedurale e la genesi dei provvedimenti. C’interessano molto di più le conseguenze derivatene di fatto: a questo proposito debbo dire che quando l’onorevole Ministro Fanfani sostiene che la gradualità nell’attuazione dello sblocco dei licenziamenti era automaticamente assicurata dalle facoltà di esame che erano conferite alle commissioni interne, io obietto che esse non potevano essere uno strumento valido allo scopo. Si trattava piuttosto di limitare con norme obiettive la quantità od il volume dei licenzia menti. È chiaro infatti che se gli industriali volessero – come pare che facciano – svolgere una loro politica del lavoro e tenere un atteggiamento tale da costringere le commissioni interne a negare ogni volta il loro assenso alle richieste di licenziamento avanzate in modo così smisurato per fare alla fine saltare il sistema, non v’è procedura migliore da offrire loro di quella che oggi si prevede. Per quanto riguarda il centro-sud l’onorevole Ministro ci ha detto che se ne tratta, e sta bene, ma questo avviene ora, e il provvedimento porta la data del 12 agosto. Ha la sua importanza quel che l’onorevole Ministro ha riferito circa l’entità del fenomeno. Mi consenta però di dubitare che le cifre di cui è in possesso rispondano alla realtà, non perché manchi veridicità alle cifre, nel momento in cui esse furono rilevate, ma perché il fenomeno si presenta con un aspetto incalzante e soggetto ad un accrescimento continuo.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Sono state rilevate stamattina,

MORANDI. Ella sa come funzionano questi apparati: non sarà certamente la situazione odierna che sarà stata rilevata dagli uffici del lavoro. Ad ogni modo, sommando le cifre che Ella ha portato, si avrebbe un complesso di 63.000 licenziamenti, e non 50.000. Noi però non abbiamo capito se siano da considerare tanti o pochi questi 50.000 o 60.000, il che importa un criterio di valutazione nei confronti del fenomeno. Se la cifra d’altronde fosse così ridotta, sarebbe da domandarsi per quale ragione si chiede lo sblocco da parte degli industriali con tanto accanimento e perché tanta spilorceria si pratica da parte del Governo nell’erogare i sussidi e nell’assegnare i termini.

Evidentemente è perché significa che ben altra ampiezza abbia ad assumere il fenomeno dei licenziamenti. Ora, a me pare che l’onorevole Ministro, al quale attesto ancora una volta la mia personale estimazione, abbia un po’ troppo incautamente preso oggi la difesa dei fatti, piuttosto che non del proprio operato. Egli ha voluto dare piena legittimazione a quel che sta avvenendo, e che ha causato lo sciopero a Milano, come potrà causare domani agitazioni e scioperi in altri centri. Egli ha detto che il Governo ha sentito e sente questa che è l’angoscia dei lavoratori. Sì, lo ha sentito teoricamente, ma non ci ha detto come intende di reagire davanti ad una situazione derivata come risultanza pratica, non che gli intendimenti che hanno ispirato le provvidenze prese, ma dal comportamento degli industriali. È quello che volevamo sapere, è questo che dobbiamo sapere.

V’è ancora qualcosa di assai grave, che si limita da parte nostra ad una constatazione in due parole. Io trovò una lacuna anche troppo significativa nella risposta del Ministro. Egli non ha fatto parola dei consigli di gestione. Eppure noi non abbiamo portato la questione dei consigli di gestione così per farlo, lateralmente, ma l’abbiamo svolta dall’interno del problema considerato, come una questione di fondo, per lo meno così la vediamo. Perché ancora questa volta, in questo momento, il Governo sfugge ad esse? Non possiamo usare altra parola che questa.

Onorevole Presidente del Consiglio ed onorevoli colleghi, commossi e preoccupati degli avvenimenti di questi giorni, noi avevamo cercato di provocare una parola che tranquillasse oggi le masse lavoratrici. È questa la nostra funzione. Onorevole Fanfani, non abbiamo bisogno dei suoi suggerimenti. È questo proprio che noi vogliamo fare: incalzare il Governo, tenerlo sotto un assillo continuo perché operi a vantaggio dei lavoratori piuttosto che contro di essi.

Ora, questa parola che noi abbiamo inteso di provocare non è venuta. Io non vorrei allora che la deliberata moderazione con la quale ho svolto l’interpellanza, fosse interpretata come un atto di debolezza o di cedimento. Credo di aver portato delle questioni non vuote del tutto, credo di aver pacatamente precisato, sotto qualche aspetto per lo meno, il significato e la portata di una questione come questa.

La risposta che abbiamo avuto non ci rassicura per niente. Pertanto non abbiamo a questo punto che da lasciare la parola ai fatti. Noi ci riserviamo di risollevare questa questione dopo la breve vacanza che l’Assemblea sta per prendersi, qualora la situazione non migliorasse. E, naturalmente, saremo anche più duri, se così si richiede per ottenere maggiore ascolto. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Di Vittorio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI VITTORIO. Onorevoli colleghi, il discorso dell’onorevole Fanfani, così ricco di dettagli sull’azione svolta dal suo Dicastero, credo che abbia eluso, come giustamente osservava anche il collega Morandi, la questione fondamentale posta dalla nostra interpellanza.

La questione fondamentale è questa: in presenza dei risultati generali della politica economica del Governo, in presenza della minaccia di licenziamenti in massa annunciati da numerosi industriali (e tornerò brevemente sui dati dell’onorevole Fanfani) si sono provocate nel Paese, alla vigilia dell’inverno, profonde preoccupazioni, particolarmente nelle masse lavoratrici.

Noi abbiamo chiesto al Governo se intendesse svolgere una politica economica produttivistica, di stimolo alla produzione, ricorrendo ai mezzi che sono necessari per raggiungere questo scopo, impedendo che ci si appoggi sulla forza di inerzia dei licenziamento e dell’abbandono al loro destino di migliaia e migliaia di lavoratori per vincere le difficoltà attuali; e se intendesse modificare la sua politica generale, per quanto riguarda il commercio con i paesi esteri e per aumentare le possibilità di lavoro e di esportazione del nostro Paese.

A queste domande, però, l’onorevole Fanfani praticamente non ha risposto. Il Ministro del lavoro ha ridotto il fenomeno dei licenziamenti annunciati a proporzioni assai modeste.

Tutti noi ci auguriamo che il fenomeno sia in realtà più modesto ancora; però, fra i dati che sono giunti all’onorevole Fanfani e quelli che sono giunti alla Confederazione del lavoro, vi è una grande sproporzione.

D’altra parte, non possiamo credere che la Confederazione dell’industria avrebbe posto il problema dello sblocco con l’acutezza, l’intransigenza, la forza con cui l’ha sostenuto se si fosse trattato appena di 4000 licenziamenti a Milano, di qualche centinaio a Torino, e di altre poche centinaia in altre province. Se la Confederazione dell’industria ha posto il problema come l’ha posto, compiendo verso la Confederazione del lavoro un atto di sfiducia, che noi abbiamo rintuzzato con forme moderate, ispirandoci sempre al più alto spirito di responsabilità, ma che è un fatto senza precedenti nella storia dei rapporti sindacali non soltanto in Italia, fra due grandi organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori; è evidente che il fenomeno ha proporzioni ben più imponenti di quelle che risultano dai dati comunicatici dall’onorevole Fanfani.

Comunque, noi desideriamo che il Paese sappia, che il Governo sappia che le masse lavoratrici e le loro organizzazioni sindacali, ispirandosi sempre alla preoccupazione non solo di non nuocere alla economia del Paese, ma di fare tutto ciò che è possibile per risanarla e svilupparla, non permetteranno però che si possa disporre dei lavoratori, delle grandi masse dei lavoratori come delle cose; non permetteranno cioè che si effettuino licenziamenti in massa.

I lavoratori insistono ed insisteranno perché si attui una politica che forzi in tutta la misura del possibile la produzione e l’assorbimento della mano d’opera in tutti i lavori produttivi che si possono eseguire nel nostro Paese (e non vengono eseguiti) e dei quali ho già fatto cenno.

Noi abbiamo posto, come urgente ed attuale, il problema dei consigli di gestione nell’interesse della produzione, perché si possano fare gli accertamenti necessari affinché i grandi industriali, e i monopoli, siano posti in condizione di non nuocere agli interessi del Paese, e quindi dei consumatori. Nell’interesse dell’economia generale del Paese vogliamo che i lavoratori, attraverso i consigli di gestione, cessino di essere semplici locatori di braccia e di menti – per quanto riguarda i tecnici e i dirigenti – e diventino invece i compartecipi coscienti, consapevoli, corresponsabili della produzione.

Voi, ai consigli di gestione non avete fatto nessuna allusione. È evidente: l’ostilità ai consigli di gestione si spiega soltanto per il fatto che i signori industriali tengono a riaffermare ed a consolidare il concetto dell’assolutismo del padrone nella fabbrica, considerando i lavoratori come gente che non deve partecipare, che non deve avere nessuna corresponsabilità, come dei semplici locatori di braccia.

I consigli di gestione esistono anche in altri paesi. I comités d’entreprise hanno dato in Francia eccellenti risultati, specialmente nelle aziende in cui hanno potuto svolgere con maggiore libertà la loro funzione; le aziende nazionalizzate della grande industria metalmeccanica, con la partecipazione dei comitati di impresa, hanno raggiunto e superato la produzione dell’anteguerra.

Ebbene, poiché attraverso i consigli di gestione i lavoratori possono procurarsi delle garanzie positive contro ogni possibilità di abusi e di ingiustizie da parte dei padroni, dei grandi industriali, noi insistiamo nel chiedere che questi organismi siano legalizzati ed estesi in Italia a tutte le aziende di notevole importanza. Il Governo non fa parola di tutto ciò; è per questo quindi che noi diciamo che i consigli di gestione, già funzionanti in Italia, terranno prossimamente un grande congresso cui inviteranno numerose commissioni interne funzionanti nell’ambito delle aziende. In questo loro congresso, essi riaffermeranno la volontà dei lavoratori italiani di partecipare al processo della produzione con eguale responsabilità, per poter collaborare allo sviluppo economico del Paese.

Si è parlato anche dell’I.R.I. e si sono dette delle cose di carattere generico. I consigli di gestione dell’I.R.I. da circa un anno ed anche da maggior tempo hanno elaborato un piano di riorganizzazione dell’istituto e delle principali aziende da esso dipendenti, fra cui l’Ansaldo. Il piano di riorganizzazione dell’Ansaldo prevedeva alcuni contributi importanti da parte dello Stato, ma presupponeva un risanamento di carattere definitivo.

Non si è preso in considerazione il progetto di riorganizzazione dell’I.R.I. e, in generale, tutti i problemi sono rimasti insoluti e si sono anzi aggravati e complicati. Questo accenno può contribuire a far risaltare l’utilità che i consigli di gestione possono avere e il torto che ha il Governo di non volerli accogliere e di non volerne nemmeno parlare per non dire al Paese le ragioni per cui si ostacola questa aspirazione che costituisce una profonda esigenza dei lavoratori italiani e del Paese.

Io domando perciò che il Governo si pronunzi sul problema fondamentale allo scopo di rassicurare i lavoratori che è sua intenzione di far qualche cosa di più, molto di più di quel tanto che ha previsto sinora in Italia e soprattutto esprima il proprio pensiero intorno ai consigli di gestione. (Applausi a sinistra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io vorrei che il problema dei consigli di gestione che qui qualche volta in forma polemica è stato trattato, fosse invece discusso in forma, direi, tangenziale. Se non esistesse infatti un organo di collaborazione operaia, voi avreste allora ragione di cercare questo organo nei consigli di gestione; ma poiché esiste un accordo fra i lavoratori e gli industriali per la procedura da seguire in caso di necessità di sblocchi e poiché quest’organo è rappresentato dalle commissioni interne le quali hanno un ufficio decisivo e determinante, io non ravviso la esigenza immediata dei consigli di gestione; i quali, del resto, investono un problema di ben maggiore ampiezza, tanto che potremmo continuare questa discussione per tutta la notte, senza giungere ad una conclusione. Essi riguardano infatti la produzione in genere.

È quindi ridicolo pensare che con un organo di tal genere si possano mutare le basi della produzione. (Proteste a sinistra). Ne potremo del resto parlare a tempo debito; non è però per niente vero che sia questo dei consigli di gestione un rimedio per la materia specifica dello sblocco dei licenziamenti. (Commenti a sinistra).

Ad ogni modo, parliamoci seriamente: credete che si possa oggi, per legge, imporre i consigli di gestione?

Voci a sinistra. Sì! Sì!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io dico di no. (Interruzioni – Rumori a sinistra). Quando siamo venuti a questo banco per la quarta volta si era di recente ottenuto un accordo sulle commissioni interne, e allora abbiamo dichiarato: come è stato possibile ottenere un accordo tra le rappresentanze dei lavoratori sindacati e i rappresentanti degli industriali sulle commissioni interne, così deve essere possibile ottenere un accordo sui consigli di gestione.

Questa è la strada che si doveva percorrere anche nell’azione degli altri Ministeri. Ne abbiamo discusso anche con Morandi, ne abbiamo discusso tante volte: si trattava di ottenere la collaborazione, attorno a questo progetto, delle due parti, perché se i consigli di gestione costituiscono uno strumento di cooperazione con gli industriali, le industrie si possono salvare, ma se rappresentano un nuovo elemento di rottura allora ci portano al disastro. (Vivi applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Cacciatore).

PRESIDENTE. Facciano silenzio!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Le basti il fatto, onorevole Cacciatore, che in quasi tutte queste industrie in cui si arriva al blocco, nelle quali la produttività è scarsa e per le quali dobbiamo arrivare a misure così antipatiche, in quasi tutte, dico, esistono i consigli di gestione. (Rumori a sinistra).

Io riconosco che il problema dei consigli di gestione è molto importante. Io dico però: in un momento di crisi, in cui tutte le forze devono concentrarsi (Interruzioni a sinistra), bisogna che i consigli di gestione nascano dalla collaborazione fra gli uni e gli altri, ed è questo che si deve cercare. (Interruzioni).

Voi potete avere in mano un modo di attuazione, e il Governo si affretterà a consolidarlo, a dar forma giuridica a tutti questi accordi che valgano ad ottenerlo. Se in un certo momento questo non sarà possibile bisognerà ricorrere anche a forme di legge. Si farà; ma non in un momento di crisi industriale. (Vivi applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra).

Quanto alle nostre disposizioni pratiche, vi basti l’esempio che stiamo introducendo – è stato deciso il 24 – il consiglio di gestione nell’unica grossa industria statale che abbiamo, l’industria del carbone in Sardegna, e in più, anche la partecipazione dei lavoratori al consiglio di amministrazione. Tutto questo prima non v’era. Noi non siamo contrari ai consigli di gestione; però… (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Però?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. …però crediamo che si debba agire in un clima d’accordo, come si è fatto, per le commissioni interne, e a tutti gli sforzi che. tendono a questo scopo noi daremo il nostro appoggio.

Una voce a sinistra. Però, però!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Però vi dico questo: che se continuano le agitazioni e gli scioperi, in questa maniera non si salva l’Italia e non si salva la Repubblica! (Vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Lo svolgimento delle interpellanze è così esaurito.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Caso, Riccio e Firrao hanno presentato la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere le ragioni che hanno determinato la soppressione dell’Ispettorato provinciale forestale di Napoli, danneggiando il prestigio, sia pure in un settore soltanto, della grande città mediterranea e della sua provincia e mettendo in serio pericolo quella tutela boschiva che, all’indomani delle distruzioni belliche, merita invece di essere intensificata onde riparare i danni e dare nuovo rigoglio al patrimonio boschivo».

Mi riservo di darne notizia al Ministro competente perché faccia sapere quando intenda rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Ed ora, onorevoli colleghi, penso che possiamo sospendere per alcuni giorni i nostri lavori, per riprenderli il 6 del prossimo mese, alle 11, per lo svolgimento di interrogazioni. A tal proposito faccio presente che il Ministro dei lavori pubblici ha chiesto che per quella seduta siano poste all’ordine del giorno tutte le interrogazioni che gli sono state rivolte in questi ultimi tempi.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, alle 16, ritengo che si potranno discutere i seguenti disegni di legge:

«Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico».

«Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia».

Poi, tempo avanzando, seguirà la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana; ma, comunque, nella seduta antimeridiana del giorno 7 potremo incominciare la discussione generale sopra gli ultimi due Titoli del progetto di Costituzione, e cioè: «La Magistratura» e le «Garanzie costituzionali».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Prego l’Assemblea di voler consentire che la discussione dei due disegni di legge, annunziata dal Presidente, anziché nella seduta pomeridiana del 6 si faccia in una seduta posteriore al giorno 7, dato che fino a quel giorno sono impegnato, e con me credo molti dei colleghi avvocati, al Congresso forense di Firenze.

PRESIDENTE. Il Ministro di grazia e giustizia chiede di rinviare di un paio di giorni la discussione dei due disegni di legge testé citati, perché a quella discussione egli desidera di essere presente. Credo che si possa senz’altro accogliere la proposta dell’onorevole Grassi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Proporrei di iniziare l’esame dei disegni di legge nella seduta di lunedì 10 novembre.

PRESIDENTE. Terremo conto di questo suo desiderio. Credo che non vi siano ragioni particolari per non accettare la sua idea. Però questa sera l’Assemblea non deve prendere alcuna decisione per le sedute dal 7 in poi.

Se non vi sono osservazioni, rimane stabilito che la seduta antimeridiana di giovedì 6 novembre sarà dedicata alle interrogazioni e la pomeridiana al seguito della discussione del progetto di Costituzione.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e del bilancio, per sapere se risponde a verità la notizia secondo la quale il personale del Poligrafico dello Stato si sarebbe rifiutato di procedere alla stampa del fascicolo della Gazzetta Ufficiale contenente il nuovo ordinamento dell’Istituto Poligrafico stesso, e si sia poi indotto a dar corso alla pubblicazione in seguito a formale promessa che le disposizioni concernenti un limitato intervento dei rappresentanti del personale nel Consiglio di amministrazione, sarebbero state modificate nel senso desiderato dal personale medesimo.

«Nell’occasione si desidera conoscere se il Governo non ravvisi l’opportunità di rendere la stampa delle carte valori e quella delle leggi dello Stato indipendenti da intollerabili interventi esterni, incompatibili con la delicatezza della materia e col principio di sovranità dello Stato.

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, sui provvedimenti che intende di adottare per indurre la Prefettura di Bergamo a riconsegnare alla Ditta Fratelli Pero di Mortara l’autovettura Fiat 1100 targata PV 15190 (ora arbitrariamente targata BG 11564) rapinata dai fascisti, ed ora illecitamente tenuta da quella questura.

«In proposito si fa presente:

1°) che nel febbraio 1944 alcuni elementi della guardia fascista repubblicana di Vigevano si impossessarono della autovettura Fiat 1100 targata PV 15190 della Ditta Fratelli Pero di Mortara (Pavia);

2°) che tale autovettura andò a finire alla Prefettura di Bergamo, presso la quale a qualcuno ha fatto comodo di cogliere l’occasione (invece di restituirla alla ditta rapinata) di tentarne l’espropriazione trasmettendo, per la ditta rapinata, all’ufficio disciplina autoveicoli di Pavia, un assegno bancario di lire 28.800 in data 9 marzo 1945, quale prezzo di acquisto;

3°) che all’economato del Ministero dell’interno non risulta nessuna annotazione relativa a tale acquisto;

4°) che i fratelli Pero, non intendendo di sanzionare in qualsiasi modo la violenza e il danno subìto non soltanto si rifiutarono di ritirare il predetto assegno (che pertanto rimase a disposizione del mittente), ma fin dal gennaio 1946 presentarono domanda al Ministero dell’interno per avere in restituzione la loro automobile, e ottenere i compensi relativi, senza peraltro ottenere alcuna risposta;

5°) che da allora la Ditta Fratelli Pero svolse numerose pratiche presso il Ministero dell’interno, la Direzione generale di pubblica sicurezza, la Prefettura di Pavia e quella di Bergamo, il Ministero dei trasporti (Ispettorato generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione), la Questura di Bergamo e che pure l’interrogante, da oltre un anno, sta occupandosi di ciò, senza risultato alcuno;

6°) che il prefetto di Bergamo, con sua nota 17 ottobre 1946 comunicava all’interrogante che l’autovettura Fiat 1100 targata PV 15190, dopo essere stata per breve tempo presso quella Prefettura, era stata ritirata dal Ministero dell’interno e che nulla egli poteva fare in proposito; cosa che non rispondeva al vero, perché l’autovettura medesima è sempre rimasta ed è tuttora presso la Questura di Bergamo;

7°) che il 29 ottobre 1946 i fratelli Carlo e Giuseppe Pero si presentarono alla Prefettura di Bergamo muniti di una regolare decisione del direttore comparti mentale di Milano, dell’Ispettorato generale della motorizzazione civile, in data 23 dello stesso mese, numero 16604/G-106; con la quale si autorizzava la ditta stessa a ritirare l’autoveicolo in parola dalla Prefettura medesima, alla quale pure si comunicava la predetta autorizzazione, in copia; ma si sentirono rispondere che la macchina non era più a Bergamo, perché ritirata, insieme ad altre, dal Ministero dell’interno; e dopo loro vive insistenze, si ammise da quei funzionari che la macchina era ancora presso la Questura, ma che il questore riteneva di dover attendere il benestare del Ministero per farne la consegna;

8°) che la voluminosa corrispondenza in proposito svoltasi da allora culminò (come ultima beffa della Prefettura di Bergamo alla Ditta Pero, all’interrogante, alla Direzione generale di pubblica sicurezza e al Ministero) con la lettera 30 agosto 1947, n. 13694, con la quale la Prefettura comunicava alla Direzione generale della pubblica sicurezza che l’autovettura di cui trattasi è ferma presso l’autorimessa della Questura di quella città, perché bisognosa di riparazioni, e che non è ancora stata restituita ai fratelli Pero perché si devono ricuperare prima le seguenti somme: lire 33.879 per riparazioni fatte durante i tre anni di illecito uso; lire 28.000 spedite all’ufficio disciplina autoveicoli di Pavia;

9°) che tutto ciò si è fatto e si fa da funzionari impegnati in tal modo a compromettere il prestigio dello Stato e delle alte autorità che lo rappresentano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti ha preso contro il questore di Milano che arbitrariamente ha vietato l’affissione di un manifesto della Fiom, tendente ad informare la cittadinanza sulla minaccia che incombeva su parecchie decine di migliaia di lavoratori di essere licenziati.

«I vari pretesti con i quali il questore di Milano ha vietato l’affissione sono una palese violazione della libertà di stampa, e valga, a dimostrazione della puerilità dei pretesti, la lettura del manifesto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Roveda».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà posta all’ordine del giorno e svolta a suo turno, trasmettendosi ai Ministri competente le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La sedata termina alle 21.45.

Ordine del giorno per la seduta di giovedì 6 novembre 1947.

Alle ore 11:

Interrogazioni.

Alle ore 16:

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
  2. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10). – Relatore Bettiol.

Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia. (11). – Relatore Bozzi.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 30 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXVIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 30 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Sull’ordine dei lavori:

Nitti

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Micheli

Salizzoni

Fabbri

Macrelli

Corbino

Zuccarini

Persico

Codignola

Cifaldi

Fuschini

Tonello

Zaccagnini

Gronchi

Moro

Cosattini

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Bertone e Gasparotto.

(Sono concessi).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che avendo l’onorevole Uberti rinunciato a far parte della Commissione per l’esame del disegno di legge sulla stampa, ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Bulloni.

Sull’ordine dei lavori.

NITTI. Chiedo di parlare sull’ordine dei lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Se le notizie diffuse anche dalla stampa sono vere, noi dovremmo oggi sospendere i nostri lavori per alcuni giorni. Io debbo dichiararmi in colpa, perché ieri non assistetti all’ultima delle tre sedute dello stesso giorno. La mia assenza mi dà però il motivo di chiedere al Presidente, con tutto il rispetto che gli debbo, se queste sedute notturne devono ripetersi e se si deve ancora e se si possa, in una forma irresistibile di stanchezza da parte di tutti quelli che vi partecipano, discutere dei più gravi problemi e se queste sedute siano veramente utili.

Io devo dire che per quanto abituato ad essere al lavoro fin dalle cinque del mattino e per quanto abituato a lavorare a lungo, giunto ad un certo punto non so proprio come si possa, specie in un argomento così delicato come la preparazione della Costituzione, discutere ancora dopo due sedute della stessa giornata, prendendo parte ad una terza seduta notturna e ciò fino quasi al mattino.

Non è possibile che vi sia un uomo così forte che riesca a compiere questo sforzo, non solo di fare dieci, undici, dodici ore, ma di decidere su argomenti così gravi per la vita nazionale come la Costituzione, all’ultima ora, in stato di confusione dello spirito. Dopo due lunghe sedute nelle ore del giorno, le sedute notturne sono sempre pericolose ed avvengono in esse le più gravi cose in materia di stravaganza. Si può deliberare e si delibera a caso.

Dunque, poiché dovremo riprendere il lavoro fra sei o sette giorni (non so che cosa di preciso deciderà l’Assemblea) facciamo in modo che non ci sia la sorpresa di queste sedute notturne.

Io avrei dovuto parlare ieri lungamente, se l’Assemblea me l’avesse permesso, sulla questione delle Regioni. Ormai si è deciso o si crede di aver deciso. Avremo le Regioni. Le Regioni saranno la rovina dell’Italia. (Commenti – Proteste).

Una voce al centro. Questa volta, onorevole Nitti, lei è pessimista! (Commenti).

NITTI. Lo vedremo. Ma la questione non è esaurita. Vuol dire che la lotta, esaurita qui dentro, sarà ripresa fuori di qui. Io considero le Regioni come una delle più grandi aberrazioni e preparazione di disordini e di rovine. È vero, io avrei dovuto assistere alla seduta di ieri notte; ma non prevedevo che dopo la mezzanotte ci sarebbe stata ancora una discussione sulle Regioni, cioè su una questione che è fra le più importanti per la vita d’Italia.

Vedo dal processo verbale che la seduta è finita alle due e quaranta minuti di notte. Si è votato in piena conoscenza? Esiste forza umana capace di tanta resistenza? Solo il nostro Presidente, che ha una resistenza meravigliosa e che ha voluto sobbarcarsi a questo sacrificio, poteva esserne capace. Ma tutti, non credo.

La questione delle Regioni è finita forse in questa Aula; ma fuori di qui voi ne vedrete ancora gli sviluppi. Io non ho potuto parlare qui, ma ne parlerò altrove, resisterò fuori come meglio potrò, convinto di rendere un servigio al Paese creando la diffidenza per questa forma pericolosa di malefiche e dissolventi autonomie.

Io chiedo ora al nostro Presidente che ci faccia l’onore di meditare sulla nostra stanchezza e veda se non sia il caso, fra sette od otto giorni, quando riprenderemo i lavori, di disporre le cose in guisa che non vi siano sedute notturne. Perché nelle sedute notturne possiamo avere le più gravi sorprese, ora soprattutto che l’Assemblea diventa nervosa. Lavorare sulla stanchezza e distrattamente, porta inevitabilmente all’eccitazione dei nervi e al disordine delle idee. Siamo, a quanto si dice, alla vigilia delle elezioni generali: si vogliono precipitare i lavori. Il semplice fatto di determinare questo stato d’animo, rende impossibile all’Assemblea di fare delle sedute notturne, sia per l’eccitazione che vi è, e sia perché qualunque Assemblea, quando vede il pericolo della sua fine, cioè delle elezioni, (Interruzioni) entra in un tale stato di nervosità che non è più in grado di lavorare con calma.

E perciò mi rivolgo rispettosamente al Presidente, ammirando il suo spirito di sacrificio, la sua volontà di fare tutto il suo dovere, pregandolo di voler evitare che vi siano sedute notturne alla prossima ripresa dei nostri lavori.

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, posso assicurare che non è intenzione prestabilita di nessuno fare le sedute notturne e che si ricorre ad esse solo nel caso di necessità, perché, se i termini imperativi, che ci siamo proposti, cominciano a non essere osservati, il nostro intero programma minaccia di cadere e la scadenza ultima, che tutti conosciamo, potrebbe sopravvenire prima che abbiamo potuto compiere il nostro dovere.

Ad ogni modo, assicuro l’onorevole Nitti che, nonostante la volontà di sacrificio – non solo mia ma comune – sarà evitato al massimo di richiedere ai membri dell’Assemblea uno sforzo eccezionale.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Onorevoli colleghi, dobbiamo esaminare l’articolo 123. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le Regioni sono così costituite:

Piemonte;

Valle d’Aosta;

Lombardia;

Trentino-Alto Adige;

Veneto;

Friuli e Venezia Giulia;

Liguria;

Emiliana lunense; Emilia e Romagna; Toscana;

Umbria;

Marche;

Lazio;

Abruzzi;

Molise;

Campania;

Puglia;

Salento;

Lucania; Calabria;

Sicilia;

Sardegna.

«I confini ed i capoluoghi delle Regioni sono stabiliti con leggi della Repubblica».

PRESIDENTE. Nella seduta di ieri sera è stato approvato l’ordine del giorno Targetti, con l’intendimento che esso precluderà il riconoscimento di Regioni non comprese nell’elenco di quelle storico-tradizionali di cui al nuovo testo dell’articolo 123 presentato dalla Commissione: rimane ora da votare questo articolo, che, nel nuovo testo del Comitato di redazione, è così formulato:

«Oltre alle Regioni indicate dall’articolo 108, che hanno forme speciali di autonomia, sono costituite, con le funzioni ed i poteri stabiliti dalla Costituzione, le Regioni seguenti:

Piemonte;

Lombardia;

Veneto;

Liguria;

Emilia e Romagna;

Toscana;

Umbria;

Marche;

Lazio;

Abruzzi e Molise;

Campania;

Puglia;

Basilicata;

Calabria».

Sono stati proposti degli emendamenti a questo nuovo testo. Alcuni di questi emendamenti, dato il carattere preclusivo che l’Assemblea ha dato ieri sera alla votazione dell’ordine del giorno Targetti, evidentemente non possono più essere né svolti, né posti in votazione. Così ad esempio il primo emendamento, che porta le firme degli onorevoli Nobile, Corbino, Marchesi, Rubilli, Giannini, Cevolotto, Gullo Fausto, Paratore, Benedetti, Bergamini, Martino Gaetano, Preziosi, Mancini, Nobili Tito Oro, Cifaldi, Lombardi Riccardo, Rodi, De Falco, Condorelli, Fresa, Abozzi, Marinaro, Venditti, Mastrojanni, Morelli Renato, Crispo e Fornara:

«Sostituire il nuovo testo del Comitato col seguente:

«A parte le Regioni della Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige e Val d’Aosta, tutte le altre verranno costituite con legge del Parlamento da emanarsi entro due anni dall’entrata in vigore della Costituzione. La legge stessa stabilirà i confini ed il capoluogo di ogni singola Regione».

La stessa sorte segue l’emendamento proposto dagli onorevoli Bosco Lucarelli e Perlingieri, in quanto comprende fra le Regioni il Sannio:

Sostituirlo col seguente:

Il numero, la denominazione, i confini ed i capoluoghi delle Regioni saranno stabiliti con legge della Repubblica.

In attesa della legge, le circoscrizioni regionali, oltre quelle indicate nell’articolo 108, che hanno forme speciali di autonomia, restano per un triennio cosi stabilite:

Piemonte, comprendente le provincie di Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino e Vercelli. Capoluogo Torino;

Lombardia, comprendente le provincie di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova, Milano, Pavia, Sondrio e Varese. Capoluogo Milano;

Veneto, comprendente le provincie di Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza. Capoluogo Venezia;

Liguria, comprendente le provincie di Genova, Imperia, La Spezia e Savona. Capoluogo Genova;

Emilia, comprendente le provincie di Modena, Parma, Piacenza e Reggio Emilia. Capoluogo Parma;

Romagna, comprendente le provincie di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna. Capoluogo Bologna;

Toscana, comprendente le provincie di Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa-Carrara, Pisa, Pistoia e Siena. Capoluogo Firenze;

Umbria, comprendente le provincie di Perugia e Terni. Capoluogo Perugia;

Marche, comprendente le provincie di Ancona, Ascoli Piceno, Macerata, Pesaro ed Urbino. Capoluogo Ancona;

Lazio, comprendente le provincie di Frosinone, Latina, Rieti, Roma e Viterbo. Capoluogo Roma;

Abruzzi, comprendente le provincie di Chieti, L’Aquila, Pescara e Teramo. Capoluogo L’Aquila;

Sannio, comprendente le provincie di Avellino, Benevento, Campobasso. Capoluogo Benevento;

Campania, comprendente le provincie di Caserta, Napoli e Salerno. Capoluogo Napoli;

Puglia, comprendente le provincie di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto. Capoluogo Bari;

Basilicata, comprendente le provincie di Matera e Potenza. Capoluogo Potenza;

Calabria, comprendente le provincie di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria. Capoluogo Catanzaro.

Subordinatamente, aggiungere all’elenco delle Regioni proposto dalla Commissione il Sannio, togliendo, dopo la parola: Abruzzi, la parola: Molise.

Subordinatamente ancora, aggiungere alla parola: Campania, la parola: Sannio, togliendo la parola: Molise dopo la parola: Abruzzi.

L’onorevole Micheli, ha presentato il seguente emendamento:

«Nell’elenco delle Regioni, dopo: Liguria, aggiungere: Emilia e Lunigiana».

Questo emendamento cade sotto quella stessa norma preclusiva.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Mi pare che effettivamente, una volta che noi veniamo a discutere l’articolo 123 nel nuovo testo, è evidente che si può fare ogni discussione al riguardo.

Io non mantengo il mio emendamento; però desidero che l’Assemblea mi consenta di dire una brevissima parola, che spieghi le ragioni per le quali io mi sono indotto a non mantenere l’emendamento stesso, che era un po’ la ragione della mia presenza in quest’Aula. (Commenti).

Certamente io non posso tacere in questo momento – verrei meno al mandato che io ho avuto – e quindi prego l’Assemblea di confortarmi colla sua solidarietà nell’esplicazione del mio mandato. Dirò poche parole, giacché io comprendo il particolare momento nel quale io parlo.

Avendo il Gruppo del Partito democratico cristiano al quale io appartengo, ed appartiene buona parte degli onorevoli colleghi che avevano con me presentata la proposta della formazione della Regione emiliano-lunense o lunigianese – come indicai successivamente, comprensiva di Parma, Piacenza, Reggio, Modena e La Spezia e circondario di Pontremoli – deliberato di aderire all’ordine del giorno Targetti, già approvato, e all’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, il quale consente che entro 5 anni si possa provvedere con legge costituzionale alla modifica delle circoscrizioni regionali, quali risultano dall’articolo 123 ora letto e posto in discussione, ci siamo trovati obbligati a rinunciare in questa sede alla proposta da noi presentata in corrispondenza ai desiderata delle popolazioni che abbiamo l’onore di rappresentare.

La proposta, come è noto, era stata accolta dalla seconda Sottocommissione nella sua tornata del 17 dicembre 1946, per modo che la Regione da noi vagheggiata figurò per molto tempo nell’elenco contenuto nel testo ufficiale proposto per la Costituzione e in distribuzione in quest’Aula per molti mesi, sino a quando, recentemente, il Comitato di redazione, senza sentire l’avviso della Sottocommissione, né quello della Commissione dei Settantacinque, ha creduto di eliminarla dall’elenco stesso.

Appena presentato il nuovo, diminuito elenco io ho fatto dichiarazioni e proteste che mantengo e ripeto.

Ma soprattutto intendo e voglio ripetere qui i punti conclusivi della relazione che ho dato alle stampe e che ho presentato alla seconda Sottocommissione, in base alla quale la Sottocommissione ha approvato la nostra proposta. Dico nostra perché era presentata con me da altri undici colleghi.

Mi richiamo a questa relazione che è agli atti e lo faccio anche per quella brevità che è doverosa, particolarmente in questo momento della discussione, per non ripetere quanto io ho allora ampiamente dimostrato.

I punti conclusivi sono i seguenti:

1°) Non esservi argomenti storici e tradizionali e molto meno statistici che esigano la riunione in una sola Regione di tutto il territorio che va da Piacenza a Rimini.

2°) Incontestabili le ragioni di convenienza le quali reclamano che le popolazioni del golfo di La Spezia siano unite, anche amministrativamente, al loro naturale entro terra della Valle Padana.

3°) Indiscutibile la necessità nella quale si trova la Valle della Magra ed il suo centro maggiore Pontremoli, di fare parte finalmente di unità amministrative più rispondenti agli interessi di quelle popolazioni, eliminando l’attuale assurda situazione per cui, per arrivare al capoluogo della Provincia, bisogna passare attraverso un’altra Provincia finitima che si vuole ignorare.

Quanto poi al punto di vista generale della discussione debbo ripetere quanto ebbi ad esporre a questa Assemblea, nel mio discorso sulle finanze della Regione, il 15 luglio 1947, essere cioè, a mio avviso, essenziale che il primo esperimento di una organizzazione regionale nello Stato unitario debba compiersi – per la migliore formazione della tradizione nuova che dovrà integrare e sostituirsi in tutto o in parte a quella provinciale – attraverso Regioni piccole e grandi insieme, e perché questo darà modo di particolari risultati e confronti e di più fecondi studi, e perché le prime, cioè le Regioni piccole, oltre a giovare meglio alla preparazione di coloro che dovranno dirigere le nostre future organizzazioni politiche, consentiranno insieme un più facile e meglio ordinato sviluppo della iniziativa privata, una reale ed effettiva attuazione del pubblico controllo, rendendo più accessibili e comprensibili al popolo gli organismo del nuovo regime.

Con queste mie dichiarazioni, che oggi per me e per i miei colleghi sono un rinnovato punto di partenza, perché attraverso l’articolo Mortati che ha avuto non solamente l’adesione della mia parte, ma anche quella di molti altri autorevoli Gruppi della Camera, la Regione emiliano-lunigianese sarà domani un fatto compiuto, io ed i colleghi che mi hanno confortato della loro autorevole adesione, ritiriamo il nostro emendamento. (Applausi). Senza rammarico perché l’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, ci consente di mantenere la proposta della nostra Regione emiliano-lunigianese e di ripresentarla subito. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Comunico che, in seguito alle votazioni di ieri, sono superati i seguenti emendamenti al nuovo testo:

Nell’elenco delle Regioni, al posto della Regione:

Abruzzi e Molise,

sostituire:

Abruzzi;

Molise.

Colitto, Morelli Renato, Ciampitti, Rubilli, Venditti, Rodi, Miccolis, Perugi, Condorelli, Bordon.

Nell’elenco delle Regioni, al posto di:

Abruzzi e Molise,

sostituire:

Abruzzi;

Molise.

Camposarcuno, Mannironi, Codacci Pisanelli, Zotta, Gabrieli, Micheli, De Palma, Foresi, Mastino Gesumino.

Nell’elenco delle Regioni, fare del Molise una Regione a sé, staccata dagli Abruzzi.

Lussu.

Nell’elenco delle Regioni, al posto di: Abruzzi e Molise, ripristinare il testo primitivo, facendo due distinte e separate formulazioni:

Abruzzi;

Molise.

Ciampitti.

Nell’elenco delle Regioni, dopo: Calabria, aggiungere: Sannio.

Cifaldi, De Caro Raffaele.

Nell’elenco delle Regioni, aggiungere: Salento.

Stampacchia, Grassi, Codacci Pisanelli, Gabrieli, Vallone, Camposarcuno, De Maria.

Penso che non sia il caso di svolgere gli emendamenti al vecchio testo perché ciò contrasterebbe con lo spirito dell’ordine del giorno Targetti, votato ieri sera.

Gli onorevoli Salizzoni e Mannironi hanno proposto il seguente emendamento:

«Sostituire, nell’elenco delle Regioni: Emilia e Romagna, con: Emilia-Romagna».

L’onorevole Salizzoni ha facoltà di svolgere l’emendamento.

SALIZZONI. Mantengo l’emendamento rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 123:

«Oltre alle Regioni indicate dall’articolo 108, che hanno forme speciali di autonomia, sono costituite, con le funzioni ed i poteri stabiliti dalla Costituzione, le Regioni seguenti».

(È approvato).

Pongo in votazione i singoli alinea indicanti le Regioni:

«Piemonte».

(È approvato).

«Lombardia».

(È approvato).

«Veneto».

(È approvato).

«Liguria».

(È approvato).

A questo punto si deve votare l’emendamento dell’onorevole Salizzoni che propone di sostituire alla dizione «Emilia e Romagna», l’altra «Emilia-Romagna».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

FABBRI. Non vedo la ragione di questo emendamento e quindi voterò contro di esso perché io non mi sono mai eretto a vindice investito delle ragioni dei regionalisti, per le quali è noto che ho ben scarso entusiasmo, ma nel caso particolare non vedo perché, trattandosi di una questione di denominazione, l’Emilia e la Romagna dovrebbero avere un trattamento diverso dell’Abruzzo e Molise. Si è discusso se il Molise rientri o no a certi effetti nell’Abruzzo. Nel caso particolare della Romagna, si discuterà se la Romagna deve a certi effetti considerarsi compresa o no nell’Emilia, ma il fatto che la Romagna, come tradizionalmente si intende, non si identifica come estensione territoriale con l’Emilia mi pare assurdo metterlo in dubbio e quindi, non capisco le ragioni per cui l’espressione geografica Emilia e Romagna dovrebbe avere un trattamento diverso dell’espressione geografica Abruzzo e Molise. Mi pare lo stesso, identico problema relativamente al punto della denominazione e non capisco perché relativamente ad una Regione ci dovrebbe essere una «lineetta» e relativamente ad un’altra Regione una «e». Mi pare che dovrebbe essere assolutamente identica la grafia. Non voglio aprire una questione, ma confermo che dal punto di vista del nome nessuno pensa che la Romagna possa avere a che vedere con Parma e Piacenza riferendosi ai confini ed alla tradizione, storica e geografica.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Fabbri e voterò il testo della Commissione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Abbiamo deciso ieri di dare alle Regioni i nomi che corrispondono alle pubblicazioni ufficiali statistiche; e nelle pubblicazioni ufficiali statistiche la parola Romagna non esiste; si parla soltanto di Emilia.

Propongo, pertanto, che le parole «Emilia e Romagna» siano sostituite, nell’articolo 123, con la parola «Emilia».

ZACCAGNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZACCAGNINI. Mi pare che nella dichiarazione dell’onorevole Lami Starnuti sia stato chiaramente ed esplicitamente espresso questo pensiero: che l’ordine del giorno votato si richiamava sostanzialmente all’elenco del progetto.

Il richiamo alle pubblicazioni statistiche doveva avere questo preciso significato. In questo nuovo elenco la dizione è Emilia e Romagna, così come del resto risulta da varie pubblicazioni statistiche non recentissime.

Dichiaro di votare contro l’emendamento Salizzoni ed in favore del mantenimento della dizione dell’elenco proposto dalla Commissione.

PRESIDENTE. Porrò in votazione per prima la proposta dell’onorevole Corbino di dire semplicemente «Emilia». Successivamente, l’emendamento dell’onorevole Salizzoni «Emilia-Romagna»; ed infine il testo della Commissione «Emilia e Romagna».

Pongo in votazione l’emendamento Corbino.

(Dopo prova e controprova è approvato).

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Non vorrei mettere in dubbio la proclamazione del risultato della votazione testé fatta dalla Presidenza: cioè, l’approvazione della proposta dell’onorevole Corbino. Mi si consenta di dire, senza ombra di offesa – è una impressione personale – che la votazione non ha avuto l’esito annunziato dalla Presidenza; comunque esiste un dubbio nell’animo di alcuni di noi.

Pregherei, quindi, la Presidenza di voler ripetere la votazione per divisione.

PRESIDENTE. Non posso accedere alla richiesta dell’onorevole Macrelli perché fondata su di un dubbio che non ha ragione di sussistere. Avendo di nuovo consultato gli onorevoli Segretari della Presidenza, posso dichiarare che la differenza tra voti favorevoli e voti contrari è risultato superare la decina. Pertanto, non può essere ammessa alcuna possibilità di errore.

Per questa ragione credo che la votazione eseguita debba essere convalidata, sia pure con amarezza per qualcuno di noi.

Pongo in votazione i successivi alinea nella elencazione delle Regioni:

«Toscana».

(È approvato).

«Umbria».

(È approvato).

«Marche».

(È approvato).

«Lazio».

(È approvato).

«Abruzzi e Molise».

(È approvato).

«Campania».

(È approvato).

«Puglia».

(È approvato).

«Basilicata».

(È approvato).

«Calabria».

(È approvato).

Abbiamo, quindi, approvato l’elenco delle Regioni contenuto nell’articolo 123, proposto dalla Commissione, con la sola modificazione relativa alla sostituzione della dizione «Emilia», alla primitiva «Emilia e Romagna».

Pongo ora in discussione l’ordine del giorno presentato dagli onorevoli Codignola, Parri, Cevolotto e Binni:

«L’Assemblea Costituente,

ritenendo che siano venuti meno i presupposti che a suo tempo determinarono l’introduzione del Friuli-Venezia Giulia fra le Regioni fornite di autonomia speciale,

persuasa di esprimere la volontà della popolazione interessata,

riaffermando il solenne impegno di tutela delle minoranze etniche e linguistiche, già consacrato dalla Costituzione,

fa voti che, in sede di approvazione dell’articolo 123, sia revocata l’autonomia speciale già concessa al Friuli-Venezia Giulia, rinviando alla legge l’eventuale erezione del Friuli in Regione fornita di autonomia ordinaria».

Si potrebbe fare osservare da qualche collega che la votazione dell’ordine del giorno Targetti sarebbe preclusiva per le proposte contenute nell’ordine del giorno Codignola. Ma l’ordine del giorno Targetti si riferiva alle Regioni storico-tradizionali, mentre l’onorevole Codignola si riferisce a Regioni di nuova costituzione.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Io trovo strano che su una deliberazione già presa, contrariamente a quanto in precedenza stabilito si proponga addirittura il capovolgimento di una precedente regolamentazione. Ciò mi sembra, non solo poco serio, ma inammissibile. Dirò anche che non so rendermi ragione dei motivi che possono aver consigliato questa proposta di annullamento di una deliberazione già presa in tema costituzionale. Quando si parla sulla particolare questione delle popolazioni interessate, non esiste, intanto, nessuna delimitazione, almeno dal punto di vista…

PRESIDENTE. Ma lei, onorevole Zuccarini, entra nel merito e non fa una questione pregiudiziale.

ZUCCARINI. Vorrei, infatti, entrare nel merito.

PRESIDENTE. In questo caso è necessario che, prima di lei, l’onorevole Codignola entri nel merito.

ZUCCARINI. Mi fermo allora alla pregiudiziale riservandomi di intervenire se l’onorevole Codignola svolgerà il suo ordine del giorno.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Ricordo che noi abbiamo testé approvato un preciso riferimento all’articolo 108. Ora, il Friuli-Venezia Giulia appartiene alle Regioni indicate nell’articolo 108. Non mi pare che si debba, a cinque minuti da una precedente deliberazione, votare su un principio che le è contrario.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, la sua è una questione di merito, ed ora siamo in tema di pregiudiziale. Se mai, potrà riprendere la questione da lei posta dopo che l’onorevole Codignola avrà svolto l’ordine del giorno.

Onorevole Zuccarini, mantiene la sua pregiudiziale?

ZUCCARINI. Insisto nella pregiudiziale.

PRESIDENTE. Sta bene. Secondo questa pregiudiziale, l’ordine del giorno non è ammissibile perché l’Assemblea ha già preso una deliberazione, la quale stabilisce per l’appunto il contrario di ciò che l’ordine del giorno Codignola vorrebbe proporre.

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Onorevole Presidente, per poter decidere circa la pregiudiziale proposta dall’onorevole Zuccarini, ritengo che sia necessario che io prima esponga i motivi che mi inducono a presentare la mia proposta, poiché fra questi motivi vi è appunto quello che son venuti meno i presupposti che a suo tempo determinarono l’Assemblea a votare in favore della concessione al Friuli di una autonomia speciale. Essendo venuti meno i presupposti, io ritengo che l’Assemblea possa legittimamente riprendere in esame il problema.

PRESIDENTE. Faccio presente che, a norma di Regolamento, sulla pregiudiziale possono parlare soltanto due deputati a favore e due contro.

CODIGNOLA. Chiedo di parlare contro la proposta pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Mi limiterò a brevissime considerazioni. Quando nella seduta del 27 giugno 1947, l’Assemblea approvò l’autonomia speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia, come gli onorevoli colleghi sanno, non era stato ancora ratificato né entrato in vigore il Trattato di pace. L’introduzione della parola «Venezia-Giulia» nel testo della nostra Costituzione, aveva un significato che a nessuno poteva allora sfuggire. Ed è per questo che da tutti i settori dell’Assemblea, senza entrare nel merito del problema assai delicato che allora veniva messo in discussione, si ritenne opportuno in quel momento di non avanzare pregiudiziali sopra la questione che era in discussione.

Passò così, improvvisamente, senza che ci fosse stata alcuna discussione approfondita, ed in contrasto coi voti che erano stati espressi dagli enti locali in seguito alle richieste fatte dalla Commissione, l’autonomia speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia.

Successivamente, da un lato tutti gli onorevoli colleghi sono stati informati delle reazioni molto vaste e serie che la deliberazione dell’Assemblea ha avuto nelle popolazioni interessate, le quali hanno dichiarato che la deliberazione presa da questa Assemblea era in contrasto con la loro volontà; dall’altro questa Assemblea ha proceduto alla ratifica del Trattato di pace.

Ora, dopo questa ratifica, mi pare che noi possiamo legittimamente rimettere il problema in discussione in quanto le parole «Venezia Giulia», che sono legate alla parola «Friuli», non rispondono più ad una Regione che appartenga allo Stato italiano. Le ragioni formali per cui io ritengo che l’Assemblea possa rimettere in discussione il problema, sono queste due: il fatto che la Venezia Giulia non è più una Regione che appartiene allo Stato italiano, e la volontà delle popolazioni interessate.

CIFALDI. Chiedo di parlare a favore della pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Mi pare che ci sia l’impossibilità di esaminare, nel merito, la proposta dell’onorevole Codignola, perché vi è un ostacolo insormontabile, costituito da quanto ieri sera l’Assemblea ha deciso, quando cioè è stata preclusa la possibilità di formare nuove Regioni.

Ci si è fermati ad esaminare il complesso di quello che aveva stabilito la Commissione, al punto che questa mattina siamo giunti a dover modificare, attraverso un riferimento esplicito alle statistiche, cioè in base alla indicazione ufficiale della statistica, un fatto acquisito alla coscienza italiana, avendo dovuto accettare la dizione esclusiva dell’Emilia, cancellando la Romagna dal novero delle Regioni italiane.

FUSCHINI. Questa decisione non è degna dell’Assemblea, perché non si può negare l’esistenza di una Regione che ha le sue tradizioni e la sua storia.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, se lei fosse stato presente, avrebbe potuto parlare ieri sull’argomento.

CIFALDI. Ora, onorevoli colleghi, se l’Assemblea, in ossequio a quanto ha votato ieri sera nell’ordine del giorno, ultima parte, ha dovuto arrivare alla cancellazione della Romagna (e questo è ormai stato deliberato dalla Assemblea) è impossibile per analogia, modificare quanto già deliberato per altra Regione.

Comunque, io mi permetterei di ricordare il monito del Presidente a proposito della votazione intervenuta, dicendo all’onorevole Codignola che noi dobbiamo uniformarci alla volontà dell’Assemblea già manifestata.

TONELLO. Chiedo di parlare contro la pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Mi preme precisare un fatto. Qui non si tratta di rigettare o di cancellare nuove Regioni.

Abbiamo votato e votammo che il Friuli facesse una circoscrizione sua e tutti fummo concordi. In fin dei conti, il Friuli domanda adesso di rimanere con una sua autonomia regionale, rinunziando solo allo statuto speciale, che avrebbe dovuto comportare il suo distacco dal Veneto. Quindi, il Friuli domanda di rimanere Regione separata ma non di avere lo statuto speciale, al quale rinunzia. Sono quindi contro la pregiudiziale, perché togliere al Friuli lo statuto speciale non significa cancellarlo dal numero delle Regioni.

CODIGNOLA. Ritiro il mio ordine del giorno e chiedo di parlare per darne ragione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Ritiro il mio ordine del giorno poiché ritengo di potere, in linea di massima, aderire ad un altro testo, presentato dall’onorevole Gronchi sotto forma di articolo aggiuntivo, da collocare nelle norme transitorie.

Come ha detto poc’anzi l’onorevole Tonello, il problema che ci preoccupa non è l’autonomia del Friuli a carattere ordinario, ma quello dell’autonomia a carattere speciale.

Ora se l’Assemblea ritiene più opportuno seguire la proposta dell’onorevole Gronchi, che non propone un ordine del giorno ma un articolo aggiuntivo e dichiarativo rispetto all’articolo 108, non ho alcuna difficoltà a ritirare il mio ordine del giorno e ad aderire alla proposta dell’onorevole Gronchi.

PRESIDENTE. Passiamo, allora, all’esame dell’articolo aggiuntivo, da collocarsi tra le norme transitorie, proposto dagli onorevoli Gronchi, Piccioni, Piemonte, Facchinetti, Macrelli, Vigna e Scoccimarro.

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Regione Friuli-Venezia Giulia, di cui all’articolo 108, sarà provvisoriamente retta secondo le norme generali contemplate nel Titolo V, essendo assicurata la tutela delle minoranze linguistiche dalle apposite norme previste dalla Costituzione».

PRESIDENTE. L’onorevole Gronchi ha facoltà di illustrare l’articolo aggiuntivo proposto.

GRONCHI. Farò brevi dichiarazioni, perché la stessa discussione sulla pregiudiziale opposta all’ordine del giorno Codignola ha ormai chiarito le posizioni.

In sostanza, noi realisticamente diciamo che questo momento non è il più adatto per definire lo statuto speciale per una Regione la quale, per i recenti avvenimenti internazionali, rappresenta un punto particolarmente delicato e sensibile non solo per la nostra politica interna, ma anche per la politica internazionale.

D’altra parte, molti di noi si rendono conto essere inopportuno politicamente rimettere oggi in discussione quella concessione di autonomia regionale, sancita non oltre due mesi dalla presente discussione. Quello che interessa, come l’onorevole Codignola ha detto, è di riprendere in esame la questione dello statuto speciale che il 27 giugno fu dall’Assemblea indicato. E l’articolo aggiuntivo che io ho proposto, anche a nome di colleghi di altra parte dell’Assemblea, si propone appunto questo, di mantenere cioè un’autonomia di carattere generale al Friuli-Venezia Giulia, che fu eretto in Regione il 27 giugno, rimandando alla prossima Camera la questione se, anche in conseguenza di una situazione internazionale la quale potrà orientarsi verso forme e soluzioni che oggi non prevediamo, risponda agli interessi delle popolazioni interessate il creare un’autonomia speciale, uno statuto speciale per questa Regione.

E con ciò mi pare che la posizione sia sufficientemente chiara perché occorra prolungare la presente discussione.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Io credo che con la proposta dell’onorevole Gronchi si tenda pur sempre a modificare una deliberazione dell’Assemblea Costituente in materia costituzionale. Se il principio venisse accettato, bisognerebbe infatti accettarlo anche nei confronti degli articoli che sono stati già approvati.

Non credo che ciò sarebbe male; io credo anzi che ciò sarebbe bene, perché verremmo in tal modo a modificare molte decisioni che sono state prese senza la dovuta maggioranza e anche senza la dovuta ponderazione. Per quello che si riferisce poi allo statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia, io non vedo il motivo per cui, secondo l’ipotesi affacciata qui da alcuni colleghi, le popolazioni interessate dovrebbero non trovarsi consenzienti.

L’avere infatti accettato per il Friuli una posizione speciale, qui nell’Assemblea Costituente, fu appunto in considerazione del fatto che noi intendevamo porre una Regione di confine in una situazione tale che rendesse democraticamente accettabili le nostre istituzioni dalle popolazioni di minoranza incluse nel nostro territorio nei confronti anche dell’influenza che queste nostre istituzioni democratiche possono esercitare sulle popolazioni limitrofe e che ora ci sono state strappate.

Fummo favorevoli a quella deliberazione appunto perché non dimenticava quanto grande e funesto sia stato l’errore commesso daii precedenti governi nel sopprimere quelle autonomie locali che esistevano già sotto il Governo austriaco, e nell’avere obbligato di conseguenza le Regioni di confine a sottostare ad un unico ordinamento ed ad un unico sistema amministrativo centralista e accentratore. Noi ci riferiamo anche ad un esempio che i democratici non dovrebbero mai perdere di vista: all’esempio della Svizzera..

Noi volevamo cioè dimostrare, con questo statuto speciale allo stesso modo e nelle stesse condizioni dell’Alto Adige, come le minoranze incluse nel territorio italiano possono rimanerci senza alcuna preoccupazione che nel nostro sistema politico ed amministrativo esse non godano di tutti i diritti che sono riconosciuti agli altri cittadini. Non vediamo quindi come e perché coloro i quali sono ammessi a beneficiare dell’autonomia, e il beneficio è comune per gli allogeni e per gli altri, dovrebbero, proprio essi, ribellarsi, quasi si trattasse di un’offesa, quasi questa concessione fosse loro accordata per danneggiarli o per opprimerli.

E per vero, l’aver concesso una maggiore autonomia quali pericoli potrebbe presentare? Io vedrei, onorevoli colleghi, un pericolo soltanto se questa maggiore autonomia concessa alle minoranze costituisse un pericolo per la nostra Costituzione e per l’italianità della Regione. Ma se quelle autonomie servono, serviranno invece – come era nelle intenzioni dei proponenti e della Costituente – ad affezionare alle nostre istituzioni le popolazioni di confine, specialmente là dove esistono regimi totalitari in cui la democrazia non si esercita; se questo potranno fare le nostre istituzioni speciali di confine (e lo potranno fare!) credo che noi dobbiamo mantenere ferma la nostra deliberazione. Non solo, perché si tratta di una deliberazione già votata e come tale non può essere cancellata – in quanto sarebbe un gravissimo precedente –, ma soprattutto perché a queste autonomie speciali noi dobbiamo dare un carattere speciale, una funzione speciale. Quella stessa funzione che la Val d’Aosta esercita ai confini con la Francia, quella stessa funzione che l’Alto Adige-Trentino esercita nei confronti dell’Austria e della Germania, quella stessa funzione vogliamo che eserciti l’autonomia del Friuli – chiamatelo anche Friuli solamente – verso le popolazioni che sono strappate ai nostri confini e alla nostra sovranità.

Bisogna dimostrare praticamente che la democrazia, quando è bene esercitata – e sarà esercitata bene solo in regime di autonomie speciali, perché altrimenti cadremmo in quel sistema amministrativo che noi bene conosciamo e che qui in Italia è rimasto sempre lo stesso – può attrarre le simpatie verso la nostra Nazione di quelle popolazioni, le quali, appunto, in questo momento meno godono di quella libertà cui erano abituate col vecchio sistema austriaco e che il regime fascista soppresse.

Ed a quelli che si preoccupano che l’autonomia speciale concessa al Friuli possa servire a beneficio degli slavi, e cioè per immettere nel nostro territorio un numero straordinario, eccessivo di slavi e quindi per contestare successivamente la sovranità dell’Italia sui territori dello stesso Friuli, io chiedo se invece proprio questa immigrazione di slavi nel nostro territorio non sarebbe la documentazione della bontà delle nostre istituzioni, e se queste nostre istituzioni speciali in quanto più democraticamente applicate non abbiano ad esercitare proprio quella funzione di propaganda e di attrazione che ha esercitato ed esercita la Svizzera di fronte a tutte le Nazioni europee. (Commenti). Badate bene, a questo esempio probativo non c’è tedesco che avendo esercitata la libertà in Svizzera, con quelle autonomie, abbia cercato o abbia desiderato di riunirsi alla Germania o all’Austria; non c’è francese in Svizzera che si sia pronunciato per una annessione alla Francia (Commenti a sinistra), non c’è italiano del Canton Ticino che abbia desiderato di abbandonare le libertà di cui godeva nel Canton Ticino, nella libera Svizzera, per ritornare coll’Italia.

Il che vuol dire, amici e colleghi, che la democrazia ha un’influenza assimilatrice maggiore anche del principio di nazionalità; e solo la democrazia supera i particolarismi. Invece qui gli ordini del giorno e le pubblicazioni, che sono venute all’Assemblea per premere nel senso di una modifica delle sue decisioni, sono ispirati ad una preoccupazione nazionalistica (Commenti al centro), dalla preoccupazione che anche il territorio del Friuli ci possa essere strappato. Ma bisognerebbe vedere chi ha scritto questi ordini del giorno, chi li ha diramati, quali atteggiamenti abbia preso prima. E io credo che non ci sarebbe allora molto da discutere per vedere che l’autonomia concessa al Friuli è stata una buona concessione e gioverà assai a rendere democratiche anche al di fuori di noi le nostre istituzioni, proprio nei confronti di quella Jugoslavia che in questo momento ha assorbito una gran parte dei nostri connazionali. Bisogna che le nostre istituzioni – e le abbiamo volute democratiche per questo – attraggano, siano cioè anche elementi di espansione e di propaganda. Questa è l’espansione che vogliamo, quella di far desiderare le istituzioni nostre. Per questo noi siamo venuti qui a formare questa Costituzione e desideriamo che essa, per quanto possibile, risponda a questo scopo, di dare libertà e con la libertà assicurare all’Italia istituzioni solide e una solida compagine nazionale. (Approvazioni).

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all’onorevole Tonello, vorrei far presente che, poiché l’onorevole Codignola ha ritirato il suo ordine del giorno di fronte alla pregiudiziale che era stata posta, in questo momento non si discute se concedere l’autonomia speciale. È già concessa, e perciò tutto il discorso molto appassionato dell’onorevole Zuccarini, mi pare si sia risolto in un combattimento per qualcosa che nessuno minaccia. C’è una norma transitoria e pregherei i colleghi di attenersi a questa norma.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Tonello.

TONELLO. Tutte le belle cose che ha detto il collega Zuccarini noi possiamo sentirle, ma non hanno nulla a che fare con la questione che trattiamo adesso.

Qui non si tratta di mettere in dubbio e di revocare l’autonomia del Friuli. Si tratta di dire che, siccome c’è un regolamento per quella Regione, esso resta sospeso anche per il momento politico che attraversiamo: prima di tutto perché tutte le organizzazioni del Friuli hanno detto che non vogliono questa legislazione speciale. Non è questo il momento di farla, perché altrimenti si acuiscono i dissidi fra la popolazione slava e quella italiana. Non c’è di peggio che fare del nazionalismo ai confini del proprio Paese per creare antipatie al proprio Paese.

Nel Friuli e sulle terre che ci sono contestate, ci sono queste due minoranze, questi due nazionalismi arrabbiati che cozzano e cercano di invelenire i reciproci rapporti. Noi dobbiamo dire ai friulani che il Paese concede loro una autonomia speciale perché essi, che sono sul luogo e conoscono uomini e cose, e sanno quello che si deve fare, lo facciano per il meglio. Diciamo, dunque, ai friulani: fate voi; verrà poi un momento in cui dovremo fare questo Statuto speciale per il Friuli. Ma non prima che le condizioni speciali politiche fra l’Italia e la Jugoslavia si siano calmate e siano tornate allo stato normale.

Perché voi sapete meglio di me, onorevoli colleghi, che esiste un profondo dissidio in quelle terre. Noi abbiamo i nostri italiani, i nostri fratelli in Jugoslavia che non ci sono ancora stati restituiti; abbiamo questo motivo ed altri per cui non dobbiamo venire a condizioni antipatiche.

Quando le cose si saranno calmate, quando gli animi saranno rientrati in se stessi, quando le ragioni essenziali del dissidio saranno tramontate, allora si dovrà fare anche questo Statuto speciale del Friuli e della Venezia-Giulia.

Per ora si sappia che al Friuli l’Assemblea dà il mandato di fare buona guardia al confine per il nostro Paese e per il nostro diritto. Questo noi vogliamo e nient’altro. (Approvazioni).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Poche parole, signor Presidente, per rispondere alle obiezioni che sono state sollevate dall’onorevole Zuccarini, il quale opponeva una preclusione all’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Gronchi, quasi che esso fosse in contraddizione con un’altra norma, che è stata votata da questa Assemblea qualche tempo fa.

Vorrei fare osservare all’onorevole Zuccarini che non si tratta, in quest’ordine del giorno, di contraddire ad un’altra norma, ma soltanto – con una norma transitoria – di sospenderne nel tempo l’applicazione. Il che mi pare sia stato fatto in altri casi, e certamente, in base ai principî, può esser fatto anche in questo.

È una norma transitoria che obbedisce a necessità di carattere pratico, le quali si sono venute determinando ad un certo momento per lo svolgimento della politica internazionale. Se da parte nostra non si è consentito alla richiesta di considerare la situazione internazionale del nostro Paese in conseguenza del Trattato come elemento che potesse indurre a modificare la norma precedente, certamente però noi vediamo in questa situazione ragioni che giustificano la nostra proposta di sospendere nel tempo l’attuazione dell’autonomia speciale della Regione del Friuli-Venezia Giulia.

Mi pare che su questo punto non vi sia molto da dire, perché l’onorevole Gronchi, pur parlando brevemente, ha fatto chiaramente intendere quali sono le ragioni di opportunità che consigliano questa decisione. Siamo in un momento di passione, in un momento difficile per questa zona di confine del nostro Paese, e si può perciò fondatamente dubitare che la concessione dell’autonomia speciale invece che contribuire – come opinava l’onorevole Zuccarini – alla pacificazione degli animi e ad una migliore intesa fra le popolazioni interessate, costituisca invece un motivo per il sorgere di nuove difficoltà per il nostro Paese.

Ma, ripeto, nulla è pregiudicato, perché si tratta di una sospensione nel tempo, sospensione che obbedisce a ragioni contingenti, mentre restano validi tutti i principi inerenti alla tutela delle minoranze, che sono stati solennemente consacrati nella nostra Costituzione, sia all’articolo 3 – che prevede l’uguaglianza di tutti i cittadini a prescindere da ogni differenziazione dì carattere linguistico e di nazionalità – sia attraverso l’emendamento Codignola, che fu approvato da questa Assemblea anche se non è ancora collocato, col quale s’impegna lo Stato italiano ad adottare norme le quali intendano ad una adeguata protezione delle minoranze linguistiche nel territorio dello Stato italiano.

Perciò io credo che non debba esservi nessuna preoccupazione nel senso esposto dall’onorevole Zuccarini e che noi possiamo con tranquilla coscienza votare l’articolo proposto dall’onorevole Gronchi.

COSATTINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSATTINI. Onorevoli colleghi, con la proposta dell’onorevole Gronchi si viene a riparare ad un errore, ad un grave errore, in cui era stata indotta l’Assemblea per attribuire – sarebbe meglio addirittura dire imporre – lo statuto per una autonomia speciale alla regione friulana.

Occorre aver presente quale sia la funzione di tale statuto e quali mete si vogliano raggiungere mediante la attribuzione di questa particolare autonomia. La ragion d’essere della stessa altro non è che la sussistenza di una popolazione mistilingue, che nel caso non ricorre.

A me pare che l’oratore del Partito repubblicano abbia confuso quanto è funzione di autonomia amministrativa con ciò che è obietto della tutela delle minoranze.

Vi è al riguardo una deliberazione dell’Assemblea che rivendica alla Repubblica, e cioè allo Stato, la tutela delle minoranze. La tutela delle minoranze, nel conflitto gravissimo dei contrasti di confine, se lasciata alle autonomie locali, e cioè ad libitum delle maggioranze locali, che hanno sempre possibilità di predominio e tendenza a schiacciare le minoranze, porterebbe ad un effetto opposto a quello a cui accennava l’onorevole Zuccarini.

Di più è da avvertire che, data la acerbità della situazione locale, è opportuno che lo Stato abbia mezzo di valersi di una carta di discussione nelle provvidenze che saranno da prendere per le minoranze etniche al confine, minoranze del resto molto esigue, perché in tutto gli slavi che sono rimasti al di qua in effetto superano appena la cifra di diecimila, in confronto circa di un milione del resto della popolazione della regione, quindi l’uno per cento. Tuttavia tutti convengono che anche a questa minoranza, per quanto modesta, e quantunque in tutto bilingue, debba essere resa giustizia e cioè data garanzia della possibilità di svolgere nel modo migliore ogni sua aspirazione a difesa della sua cultura e della sua lingua. Ma sarebbe errore lasciare libertà e incondizionata potestà di decidere in questo ad autonomie locali.

Di più, nessuno dimentica che al di là del confine, purtroppo, rimangono minoranze ben rilevanti di nostri fratelli. È pertanto opportuno sia lasciata al Governo la possibilità di trattare e discutere per ottenere dai nostri vicini, su un piano di reciprocità che le concessioni, che indubbiamente faremo, a difesa di queste piccole minoranze, domani su un terreno internazionale di mutua comprensione, trovino uguale trattamento per gli italiani dolorosamente rimasti nell’altra sponda.

Ora, è avventatezza il pregiudicare comunque ciò; il consentire questa autonomia particolare al Friuli esclude la possibilità di dominare la situazione, può esporre ai gravissimi pericoli derivanti dal prepotere delle maggioranze, che, come sempre è avvenuto nella storia, pervengono a schiacciare le minoranze. Voi comprendete quanto ciò sia errore.

In Friuli sono seguite notevoli manifestazioni per ottenere l’autonomia regionale, ma nulla più che una autonomia uguale a quella di tutte le altre Regioni italiane; nessuno mai pretese di voler spiegare una funzione internazionale e coloro che ciò hanno dimenticato non hanno avvertito quanto grave sugli sviluppi della storia potesse essere un tale stato di fatto, dato che ognuno ricorda che nelle trattative svoltesi a Parigi ed in una infinità di altre manifestazioni le rivendicazioni dei vicini miravano a portare il confine al Tagliamento. Quindi ammettere che il Friuli possa essere una Regione cui senz’altro assegnare un trattamento appropriato alle popolazioni mistilingui, quale è il trattamento attribuito alla Val d’Aosta, all’Alto Adige, dove la popolazione non è solo mista, ma quasi completamente alloglotta, non è una offesa al Friuli, ma certamente una carta che domani può essere nelle relazioni internazionali molto pregiudizievole.

Quindi ritengo che giustamente l’Assemblea, ad onta dell’edulcoramento delle frasi della proposta, in fatto sostanzialmente ritorni sopra la deliberazione già presa e riconosca al Friuli quello che unicamente ha domandato e cioè l’autonomia uguale a quella di tutte le altre Regioni italiane.

Ed a questa soluzione diamo voto favorevole anche noi, fermi e convinti antiregionalisti. Sotto questo riflesso: che quando la Regione si minimizza e come nel caso si riduce a poco più dell’ambito della provincia, porta alla sua stessa negazione spogliandosi del suo carattere di regione. Ciò ci consente di approvare, in piena coerenza col nostro pensiero, la proposta.

PRESIDENTE. Desidero precisare, in relazione ad alcune affermazioni dell’onorevole Cosattini, che l’articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Gronchi ed altri colleghi non mira a fare ritornare sopra una decisione dell’Assemblea. Questo era invece il proposito dell’ordine del giorno Codignola. Con la proposta Gronchi, invece, si riconferma la decisione dell’Assemblea, salvo a proporre una norma transitoria per la sua applicazione.

Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo, da collocarsi fra le disposizioni transitorie, proposto dall’onorevole Gronchi e da altri colleghi, di cui do ancora lettura:

«La Regione Friuli-Venezia Giulia, di cui all’articolo 108, sarà provvisoriamente retta secondo le norme generali contemplate nel Titolo V, essendo assicurata la tutela delle minoranze linguistiche dalle apposite norme previste dalla Costituzione».

(È approvato).

Vi sarebbero ancora da esaminare due articoli aggiuntivi, uno dell’onorevole Mortati e l’altro dell’onorevole Persico; ma, d’accordo con la Commissione, resta inteso che li esamineremo alla ripresa dei lavori, avendo completato, con la votazione or ora avvenuta, quanto era necessario per porre il Ministero dell’interno in condizione di redigere il progetto di legge elettorale per il Senato della Repubblica.

Il seguito dello svolgimento dell’ordine del giorno è rinviato alla seduta pomeridiana.

La seduta termina alle 12.35.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXVII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Sul processo verbale:

Perrone Capano

Macrelli

Giacchero

Votazioni segrete dei seguenti disegni di legge:

Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane. (24).

Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro. (25).

Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947. (29).

Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).

Modificazioni al Codice penale per la parte riguardante i delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato. (9).

Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21).

Presidente

Chiusura delle votazioni segrete:

Presidente

Risultato delle votazioni segrete:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Condorelli

Colitto

Benedettini

Mortati

Schiavetti

Dominedò

Cianca

Nenni

Moro

Russo Perez

Fuschini

Uberti

Lussu

Codacci Pisanelli

Bosco Lucarelli

Longhena.

Lami Starnuti

De Martino

Ruggiero

Bordon

Piccioni

Rubilli

Stampacchia

Togliatti

Nobile

Covelli

Ambrosini

Badini Confalonieri

Grassi

Rivera

Morelli Renato

Spallicci

Sereni

Fioritto

Camangi

Ghidini

Camposarcuno

Lopardi

Cevolotto

Laconi

Gronchi

Corbino

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni e interpellanza con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Morandi

Fanfani, Ministro del lavoro e della previdenza sociale

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, mi riferisco al mio intervento di ieri nel corso della discussione del disegno di legge che reca alcune modifiche al Codice penale, e al susseguente intervento dell’onorevole Macrelli, per chiarire che io intesi esprimere il mio dissenso intorno alla forma adoperata nella stesura dei testi sottopostici, e in modo particolare intesi censurare la eccessiva genericità ed elasticità di alcune norme e il criterio informatore dell’intero disegno, in quanto esso è stato limitato alla sostituzione di poche parole dei Codice fascista, mentre, a mio avviso, debbono difendersi, e seriamente, gli istituti costituzionali dello Stato, ma non secondo la lettera e lo spirito del Codice fascista. L’occasione andava colta, a mio avviso, per punire con maggiore chiarezza e più adeguata precisione fatti concreti, esattamente delimitati nel loro contenuto e secondo le opportune gradazioni.

Questo il mio pensiero, non quello attribuitomi involontariamente dall’onorevole Macrelli.

MACRELLI. Ne prendo atto.

GIACCHERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIACCHERO. Nella seduta di ieri io chiesi la parola, a nome del Gruppo democristiano, per fare una dichiarazione di voto sull’emendamento Boldrini all’articolo 290 della legge riguardante i delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato. Il Presidente non me la concesse per motivi regolamentari. Faccio oggi una brevissima dichiarazione.

Noi abbiamo votato contro l’emendamento Boldrini, non perché fossimo contrari allo spirito che lo informava, tanto è vero che noi siamo disposti a dare fin d’ora tutto il nostro appoggio ad una legge organica, che provveda a tutelare tutto quanto costituisce il patrimonio di gloria del nostro Paese, patrimonio di gloria di cui il movimento partigiano, se è l’ultima parte, non è certamente la minore né per entità di sacrificio, né per luminosità di eroismo; ma noi abbiamo votato contro perché, come giustamente hanno fatto osservare ieri il Ministro di grazia e giustizia ed il Relatore onorevole Colitto, mancando una configurazione giuridica corrispondente all’intenzione dell’emendamento, questo doveva essere respinto. Infatti noi non siamo disposti a seguire la strada, evidentemente sbagliata, di coloro i quali, pur volendo con buona intenzione dare lustro al movimento partigiano, non sono riusciti che a togliere quello dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Votazioni segrete.

PRESIDENTE. Occorre procedere alla votazione a scrutinio segreto dei disegni di legge che sono stati discussi dall’Assemblea nelle sedute di ieri e di stamani. Si tratta, come i colleghi ricordano, dei seguenti provvedimenti:

«Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane»;

«Approvazione dell’Atto di emendamento, della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro»;

«Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947»;

«Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti»;

«Modificazioni al Codice penale per la parte riguardante i delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato»;

«Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento».

Le urne rimarranno aperte.

(Segue la votazione).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, essendosi concluso stamane lo svolgimento degli emendamenti presentati alla prima disposizione transitoria, terzo comma, prego l’onorevole Ruini di volere esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Domando scusa se stamane, per dovere d’ufficio, non son potuto intervenire alla seduta. Del resto, ero quasi in congedo regolare, perché avevo avvertito il nostro Presidente.

Esaminerò brevemente gli emendamenti proposti in sede dell’ultimo comma dell’articolo 1 delle disposizioni transitorie.

Devo ricordare che quando, un anno fa, la Commissione formulò questi articoli delle disposizioni transitorie, era partita dal concetto di trovare una formula molto elastica, che consentisse di essere applicata, come nella commedia di Pirandello, ad uno, a diecimila o a centomila. Si era adottato la formula «per responsabilità fasciste» in generale.

Recentemente, durante la discussione del disegno di legge sulla eleggibilità, l’Assemblea ha deliberato di sospendere la discussione dell’articolo 47 del disegno e di decidere prima, in sede Costituente, la questione della norma costituzionale; che ora appunto dobbiamo esaminare.

Ci siamo trovati in Comitato di fronte a tre proposte di soppressione, presentate dall’onorevole Russo Perez, dall’onorevole Marinaro e dall’onorevole Dominedò.

Il Comitato ha ripreso in considerazione la formula precedente, e ne ha nuovamente constatato la elasticità e possibilità di adattamento ai casi concreti. Non si è però opposto – e qui vi è stata concordia si può dire assoluta di tutti i partiti, – a tener conto delle tendenze generali che si sono delineate, nella legislazione e nell’azione politica d’ogni genere, e che si potrebbero esprimere così: amnistia ed oblio per gli ex fascisti, se non ebbero gravi responsabilità; severità per i recidivi, per i neofascisti; severità spietata per quelli che, approfittando del perdono, insidiano nuovamente lo Stato democratico.

Il Comitato è disposto ad andare incontro alle nuove tendenze ed all’esigenza di prendere atteggiamenti definitivi in una discussione che si trascina troppo a lungo. Ma non può accogliere le proposte di soppressione. Basta un solo cenno, ed anche qui siamo stati tutti d’accordo; non è concepibile che entri qui dentro, come rappresentante del Paese, un ex presidente del Tribunale straordinario del regime fascista.

Vi sono proposte subordinate degli onorevoli colleghi, che ho ricordato, e che chiedevano in via principale la soppressione. Sostengono che in ogni caso si debbano rispettare le disposizioni di legge già prese ed i giudicati emessi in base ad essi. A prescindere che non si tratta di veri giudicati, ma di iscrizioni o meno nelle liste, da parte di Commissioni elettorali, mi limito ad osservare che la tesi degli onorevoli colleghi sarebbe contro operante, giacché da più Commissioni si sono fatte assai larghe esclusioni che bisognerebbe rispettare. So che questo rilievo ha convinto alcuni dei proponenti.

Vi sono poi tesi intermedie, di cui non è traccia completa negli emendamenti, e che sono venute in luce durante l’esame del Comitato. Si possono considerare tre punti di maggiore larghezza: sostituire alla formula «sono esclusi», la formula «possono essere esclusi»; limitarsi a colpire l’eleggibilità e non l’elettorato; ridurre ad un quinquennio il termine massimo delle limitazioni. Questo ultimo concetto è espresso in un emendamento testé presentato dall’onorevole Mortati. Il Comitato non si è pronunciato espressamente: ma, sentiti alcuni colleghi, dichiaro che, se non fa sua, non si oppone alla proposta Mortati.

È stata pur presentata, testé, una proposta di colleghi per mantenere il testo della disposizione, quale è nel progetto presentato all’Assemblea. Ripeto che, a mio avviso, la formula, per la sua elasticità, potrebbe essere benissimo conservata; ma, come vi ho detto, il Comitato ha ritenuto di dover attenuare in certo modo l’espressione, e mettere qui il criterio che si è manifestato (specialmente da un anno a questa parte, e cioè da quando fu approvata la prima formula): che non si devono colpire tutti i fascisti, ma i capi responsabili del fascismo. La nuova formula non è che la inserzione del principio che ormai appartiene al clima politico e giuridico della Repubblica.

Sulla nuova formula finì per essere unanime il Comitato, con adesione dei rappresentanti dei vari Gruppi politici, tranne il liberale.

Che cosa è necessario ora? È necessario determinare i casi ai quali debbono applicarsi le limitazioni stabilite dalla disposizione della Costituzione. L’onorevole Mortati proponeva che l’elencazione fosse inclusa senz’altro nell’articolo primo della disposizione transitoria della Costituzione. Comprendo che si tratta di una norma transitoria; ma che si debba mettere nella Costituzione un lunghissimo elenco di questo genere, non mi pare cosa opportuna: se non altro per esigenze d’ordine formale e, direi, d’estetica costituzionale, che pur hanno il loro valore. Respinta tale proposta, è prevalsa l’idea di formulare ed approvare un ordine del giorno: e così si è fatto, e su esso riferirà l’onorevole Uberti.

L’ordine del giorno si ispira al criterio di finirla una buona volta con incertezze e discussioni interminabili. Bisogna evitare nuovi esami di discriminazione individuale, e di giudizi caso per caso, che hanno in realtà provocato il fallimento dell’epurazione nel nostro Paese. Si è voluto, per un concetto superiore di giustizia, valutare ogni singola posizione; ma l’amministrazione italiana non è stata capace di autoepurarsi, anche con gli organi appositamente costituiti. L’errore del sistema delle valutazioni individuali è risaltato poi nella recente amnistia. Bisogna a tali metodi sostituire quello di un’applicazione automatica e meccanica, senza alcuna incertezza. Ciò porterà ad alcune imperfezioni ed inconvenienti; ma saranno sempre incomparabilmente minori di quelli in cui si incorrerebbe riaprendo la porta a giudizi e discriminazioni, che darebbero luogo fatalmente, come l’esperienza dimostra, a maggiori disparità. La volontà del Paese è che si finisca con l’incertezza.

L’ordine del giorno è stato compilato con una elencazione tale che colpisce i fascisti che hanno avuto maggior responsabilità nel fascismo, senza che si debbano fare nuovi giudizi individuali; si è studiato il modo di un’applicazione veramente automatica.

L’ordine del giorno sarà votato dalla nostra Assemblea in sede di Costituente; e cioè – come abbiamo fatto in altri casi – avrà un valore vincolante per le future deliberazioni della nostra Assemblea. Bisogna evitare che si possa, con leggi ordinarie, procedere a mutazioni o in senso troppo largo o in senso troppo tenue. Sembra che la via seguita sia la più giusta. Il Comitato, lo ripete ancora una volta, ritiene che si debba concedere perdono ed oblio agli ex fascisti, salvo che non abbiamo colpe speciali o che vi siano incompatibilità insuperabili (come vi sono, in certi casi, in materia elettorale). Nel tempo stesso bisogna essere severi per i fascisti recidivi; e spietatamente severi per i perdonati che tornano ad insidiare l’Italia. (Applausi).

PRESIDENTE. Chiedo ora ai vari presentatori di emendamenti se, dopo le considerazioni del Presidente della Commissione, li mantengono.

L’onorevole Russo Perez aveva proposto, con altri colleghi, il seguente emendamento.

«Sopprimere il comma.

«Ove l’emendamento soppressivo non fosse approvato, sostituire il comma col seguente:

«Possono essere stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste, purché non si estendano a casi non contemplati da precedenti leggi e l’elettore non sia stato già sottoposto a giudizio individuale, nel qual caso sarà da rispettare il giudicato».

Onorevole Condorelli, vuol dichiarare lei se mantiene l’emendamento, che reca anche la sua firma?

CONDORELLI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto aveva proposto il seguente emendamento:

«Sopprimere il comma.

«Subordinatamente, aggiungere: In nessun caso, però, potrà derogarsi a leggi precedenti più favorevoli e saranno rispettati i giudicati».

Lo mantiene?

COLITTO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini aveva proposto il seguente emendamento:

«Sopprimere il comma.

«Subordinatamente, dopo le parole: responsabilità fasciste, aggiungere: individuali già accertate con provvedimento definito.

«La limitazione non può essere superiore ad anni cinque».

Lo mantiene?

BENEDETTINI. Sì, lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Monticelli aveva presentato il seguente emendamento, che non aveva svolto, non essendo presente.

«Fino ad un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione la legge può stabilire una limitazione alla eleggibilità e al diritto di voto per rilevanti responsabilità nell’ex regime fascista».

Poiché non è presente, il suo emendamento si intende decaduto.

L’onorevole Mortati aveva presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«In deroga all’articolo 45, la legge potrà stabilire, per non oltre un quinquennio dalla data di entrata in vigore della Costituzione, limitazioni alla eleggibilità ed al diritto di voto per coloro che sono da ritenere responsabili, in grado eminente, della formazione e del mantenimento del cessato regime fascista per la natura delle cariche ricoperte o dell’attività esercitata, obiettivamente determinata, in una delle seguenti categorie: membri del Governo, del gran consiglio, degli organi legislativi, del tribunale speciale, della milizia volontaria sicurezza nazionale, delle gerarchie del partito fino al grado di segretario provinciale; funzionari direttivi militari e civili della cosiddetta repubblica sociale».

Lo mantiene?

MORTATI. Lo mantengo limitatamente all’introduzione dell’inciso in merito all’articolo 45.

PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti aveva proposto di tornare al testo del progetto.

Onorevole Schiavetti, mantiene la sua proposta?

SCHIAVETTI. La mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò ha proposto di sopprimere il comma.

Mantiene l’emendamento?

DOMINEDÒ. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Abbiamo, dunque, come base della discussione, il nuovo testo della Commissione, del seguente tenore:

«Sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità ed al diritto di voto per i capi responsabili del regime fascista».

L’onorevole Schiavetti ha proposto di ritornare al primitivo testo del progetto:

«Sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste».

Questo è l’emendamento più radicale al nuovo testo e pertanto ritengo debba essere posto per primo in votazione.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Ho ascoltato le spiegazioni date dal Presidente del Comitato di redazione per quanto riguarda la sostituzione della nuova formula all’antica. Il Presidente mi consentirà di dirgli che i suoi argomenti non mi hanno assolutamente persuaso. Egli ha detto che, in fondo, il concetto ispiratore che ha mosso il Comitato alla sostituzione è stato questo: oblio del passato; severità verso il neo-fascismo.

Ora, io ritengo che la formula «oblio del passato», se può avere un significato morale e sentimentale, è sul piano politico assolutamente irrazionale. Noi dobbiamo tener conto di quello che il passato rappresenta, per premunirci contro tutti i possibili ritorni di un tale passato. Quindi, ripeto, il criterio ispiratore del Comitato di redazione non è, a mio giudizio, un criterio politicamente accettabile.

Ma io penso che la dizione nuova del Comitato debba essere respinta, soprattutto perché esiste una contradizione evidente, segnalata già questa mattina dal collega Schiavetti, tra l’emendamento della Commissione e l’ordine del giorno dalla Commissione stessa proposto. Infatti, nel nuovo comma della Commissione si parla dei capi responsabili del fascismo, mentre nell’ordine del giorno sono elencate le categorie a cui la formula «capi responsabili del fascismo» non potrebbe essere applicata.

D’altronde devo aggiungere che se la Commissione aveva il diritto e la facoltà di modificare la formula, non aveva, a mio giudizio, il diritto di elencare queste categorie, in quanto, ferma la norma costituzionale, si trattava di considerare le modalità dell’applicazione di questa norma nella sede della legge sull’elettorato attivo.

Perciò io sono contrario alla votazione stessa dell’ordine del giorno, in quanto penso che la Commissione dei diciotto non può assolutamente entrare in questo campo, che spetta al libero esame e al sovrano giudizio dell’Assemblea in sede competente, quando cioè verrà in discussione la legge sull’elettorato. E penso che si debba rigettare la formula nuova della Commissione, sia per il contrasto accennato fra la formula stessa e l’ordine del giorno che la segue, sia perché la formula «capi responsabili del fascismo» si presta a tutti gli equivoci e a tutti i sotterfugi.

Noi dobbiamo assolutamente premunirci contro qualsiasi ritorno del passato. Siamo pronti ad obliare il passato sul piano sentimentale: tradiremmo il nostro mandato se l’obliassimo sul piano politico. (Applausi a sinistra).

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io voterò contro l’emendamento Schiavetti e contro tutti gli altri emendamenti, per ragioni di stretta legalità, alle quali, a mio giudizio, non è possibile sottrarsi.

Lascio da parte le ragioni di legittimità circa il fondamento etico, politico, e giuridico di questa legge. Ma vi sono nella legislazione vigente delle preclusioni a che noi votiamo nel senso proposto.

Vi è stato il decreto-legge 27 luglio 1944, n. 159, che prevedeva questa sanzione di sospensione del diritto elettorale e prevedeva precisamente delle categorie comprendenti coloro che si erano resi colpevoli di mal costume fascista, coloro che con atti rilevanti avevano contribuito al mantenimento del fascismo, i gerarchi, i capi del fascismo, che dovevano essere precisamente determinati in un elenco che si demandava al Presidente del Consiglio.

Questo elenco è stato fatto con decreto 2 febbraio 1945. Poi è succeduta la legge del 26 aprile 1945, n. 149, nella quale si stabilì che le Commissioni provinciali avrebbero dovuto irrogare la sospensione dal diritto elettorale da uno a dieci anni entro un anno dall’entrata in vigore di quel decreto, cioè entro il 29 aprile 1946.

Queste sanzioni così previste, stabilite e regolate da una procedura, sono state irrogate. Vi sono stati dei giudizi che hanno avuto per esito l’ordinanza di condanna o l’ordinanza di assoluzione. Comunque, è cosa fatta e il termine è da tempo consumato.

Quando approvassimo questa norma transitoria o uno qualsiasi degli emendamenti che non fosse soppressivo, noi compiremmo una enormità, noi riapriremmo dei termini ormai chiusi da quasi due anni, noi distruggeremmo i giudicati, perché a coloro che hanno avuto irrogata una pena di due, di tre, di quattro, di cinque anni, dovremmo irrogarla adesso di dieci o di quel diverso numero di anni che si volesse stabilire. Coloro che sono stati assolti potrebbero essere condannati!

Sarebbe una enormità tale, che io non comprendo come ancora se ne possa discutere!

Io ieri, discutendo di un problema affine, in quest’Aula mi son sentito dire da un collega della cui fede democratica non oserei discutere, che la legge è libera, il legislatore fa quel che vuole, non può trasformare un maschio in femmina o viceversa, ma quanto ad altro può fare quello che vuole. Formalmente questo è esatto, ma io gli dico che non è, questo, dettame democratico! Questo può essere dettame di assolutismo di Stato, che può essere assolutismo monarchico o assolutismo repubblicano. Ma la legislazione dei paesi civili ha dei limiti morali ed ha dei limiti nell’equilibrio dei poteri che regolano la vita civile! Una legge che violasse i giudicati, che violasse i diritti quesiti, andrebbe contro i più naturali principî della civiltà giuridica ormai consacrati, ed io, come italiano, sarei dolente ed umiliato di vedere sancita nella Carta costituzionale del nostro Paese, sulla quale si dovrebbe costruire la nostra vita politica – speriamo per non lungo tempo! – una enormità simile! (Commenti).

PRESIDENTE. Comunico che mi è pervenuta una domanda di votazione per appello nominale sull’emendamento Schiavetti, firmata dagli onorevoli Cianca, Lussu, Schiavetti, Bordon, Pistoia, Nasi, Bennani, Spallini, Carpano Maglioli, Bianchi Bianca, Grazzi, Foa, Bellusci, Binni, Costantini.

NENNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Io chiederei alla Commissione, per finire questa discussione che mi sembra inutile, se non possa accettare lo spirito con cui è stata modificata la dizione della norma transitoria, essendo evidente l’osservazione fatta dall’onorevole Schiavetti, cioè che c’è un contrasto fra la dizione della norma statutaria e l’ordine del giorno.

Ora, noi dichiariamo che voteremo l’ordine del giorno così come è stato predisposto dal Comitato di redazione, ma che preferiremmo che il Comitato accettasse la proposta dell’onorevole Schiavetti, e cioè ripristinasse la vecchia formula, che avrebbe ora la sua interpretazione nell’ordine del giorno che noi voteremo.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il mio Gruppo voterà contro l’emendamento Schiavetti e in favore del testo della Commissione, con l’emendamento Mortati.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il pensiero della Commissione, sulle osservazioni dell’onorevole Nenni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei far presente all’onorevole Nenni che le cose vanno considerate nel loro complesso. Si è realizzato in seno al Comitato un accordo, cui hanno partecipato anche i rappresentanti del suo Gruppo. La nuova formula del capoverso e l’ordine del giorno sono l’espressione di tale accordo. So che l’onorevole Nenni condivide pienamente il criterio che si debbano evitare ormai giudizi, valutazioni e discriminazioni caso per caso, e si debbano stabilire criteri obiettivi e definitivi.

Ciò che più importa non è la formula del capoverso, è l’ordine del giorno che deve passare. Se chi ha proposto di tornare alla formula anteriore del capoverso, dichiara nello stesso tempo di votare l’ordine del giorno, come ha dichiarato di fare l’onorevole Nenni, non avrei difficoltà ad accogliere il desiderio di ripristinare la precedente espressione. Ma purché si voti l’ordine del giorno. Trattandosi, in sostanza, di un tutto inscindibile, attendo le dichiarazioni dei proponenti.

Chiusura delle votazioni segrete.

PRESIDENTE. Dichiaro chiuse le votazioni ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sull’emendamento Schiavetti, che propone di ritornare al testo del progetto:

«Sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dal deputato Vischioni.

Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Amadei – Amendola – Arata – Assennato – Azzi.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bei Adele – Bellusci – Bennani – Bernabei – Bernamonti – Bernardi – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bonomelli – Bordon – Bucci.

Cacciatore – Caldera – Calosso – Canevari – Caporali – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chiostergi – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Corbi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – Della Seta – De Mercurio – De Michelis Paolo – D’Onofrio.

Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Fioritto – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Marchesi – Mariani Enrico – Mattei Teresa – Matteotti Matteo – Mazzoni – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Morandi – Moranino – Morini – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Parri – Pastore Raffaele – Pellegrini – Persico – Pesenti – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pistoia – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo.

Salerno – Sansone – Santi – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Stampacchia.

Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Treves.

Varvaro – Vernocchi – Veroni – Vigna – Villani – Vischioni.

Zanardi – Zuccarini.

Rispondono no:

Ambrosini – Andreotti – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Bosco Lucarelli – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Burato.

Caccuri – Camposarcuno – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Foresi – Franceschini – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gatta – Geuna – Giacchero – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Lettieri – Lizier.

Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Murgia.

Nicotra Maria – Nitti – Notarianni – Numeroso.

Pallastrelli – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Piccioni – Pignedoli – Ponti – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Rubilli – Ruini – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Selvaggi – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Villabruna.

Zaccagnini– Zotta.

Si sono astenuti:

Conti.

Scotti Alessandro.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Cavallari.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello.

Tosato.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti                       367

Votanti                        365

Astenuti                         2

Maggioranza                183

Hanno risposto         164

Hanno risposto no        201

(L’Assemblea non approva).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Avverto che non porrò in votazione gli emendamenti soppressivi presentati dagli onorevoli Russo Perez, Colitto, Benedettini e Dominedò, che potranno essere implicitamente votati respingendo le formulazioni proposte. Porrò, invece, in votazione, gli emendamenti sostitutivi proposti, in via subordinata, dagli onorevoli Benedettini, Colitto e Russo Perez.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Penso che debba esser posta in votazione prima la proposta principale, cioè la soppressione del comma, e poi la subordinata.

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, come di consueto non porrò in votazione le proposte soppressive.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Una volta respinto l’emendamento Schiavetti, penso che si debba votare la formulazione della Commissione. Tale votazione penso che si dovrebbe fare, prima che si scenda alla subordinata. Se tale formulazione venisse respinta, sarebbe accettato il nostro emendamento soppressivo. Se, invece, venisse accettata, si potrebbe allora passare alla votazione della subordinata.

PRESIDENTE. Non vedo in qual modo si possa seguire questa sua indicazione, onorevole Colitto, perché come potremmo mettere in votazione una formulazione, che rappresenta un emendamento al testo principale, dopo aver votato il testo principale che per norma regolamentare e per logica non può non essere votato per ultimo, respinti che siano gli emendamenti?

COLITTO. Il Comitato di redazione propone che al terzo comma dell’articolo 1 sia sostituito questo comma: «Sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità ed al diritto di voto per i capi responsabili del regime fascista». Ora a me pare che, se questo emendamento fosse approvato, si potrebbe passare alla subordinata; se venisse, invece, respinto, dovrebbe dirsi accolto il nostro emendamento soppressivo. È perciò che io chiedo che si ponga in votazione detto comma, e poi, l’emendamento soppressivo.

PRESIDENTE. Poiché il suo emendamento e quello dell’onorevole Benedettini possono considerarsi non sostitutivi ma aggiuntivi, potranno esser messi in votazione dopo la formulazione dell’onorevole Russo Perez, che è sostitutiva di tutto il testo della Commissione e che quindi deve esser posta in votazione per prima.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io debbo dichiarare che non mi persuade logicamente il metodo di votazione, perché allora noi saremmo costretti a votare contro quello che abbiamo proposto. Noi che siamo per la soppressione come dobbiamo votare? A me pare che si debba discutere prima se conservare o non conservare l’articolo, e poi cominciare a passare agli emendamenti ed allora potremmo orientarci. Se si stabilisce che un articolo ci debba essere, il quale preveda comunque queste responsabilità fasciste, vedremo poi come si deve fare; ma noi che sosteniamo che non ci deve essere, verremo messi in contraddizione con noi stessi, se costretti a votare la nostra subordinata, ed a precludere col nostro voto sull’emendamento la messa in votazione della proposta soppressiva.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Dichiaro di rinunciare al mio emendamento, e di aderire a quello dell’onorevole Benedettini.

PRESIDENTE. Allora, onorevoli colleghi, votiamo dapprima la formulazione della Commissione e successivamente le due proposte di emendamenti aggiuntivi degli onorevoli Colitto e Benedettini.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Ponendo in votazione il testo della Commissione o il nostro emendamento, non avremo modo di manifestare la nostra volontà favorevole alla soppressione della norma.

PRESIDENTE. Se pongo in votazione il testo della Commissione, coloro che intendono sopprimerlo, votano contro.

Vi è una proposta di emendamento dell’onorevole Mortati, alla quale la Commissione non è contraria.

La proposta si differenzia dal testo della Commissione, in sostanza, perché vi premette le parole: «In deroga all’articolo 45», ed aggiunge la limitazione nel tempo, così formulata: «per non oltre un quinquennio dalla data di entrata in vigore della Costituzione».

Pongo in votazione il testo completo, formato cioè dalle due proposte dell’onorevole Mortati e dal testo della Commissione:

«In deroga all’articolo 45 sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità ed al diritto di voto per i capi responsabili del regime fascista, per non oltre un quinquennio dalla data di entrata in vigore della Costituzione».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Benedettini che, se accettato, dovrà essere coordinato col testo approvato:

«Dopo le parole: responsabilità fasciste, aggiungere: individuali già accertate con provvedimento definitivo».

(Non è approvato).

La seconda parte del suo emendamento, onorevole Benedettini, è già stata assorbita dalla formulazione Mortati, approvata dall’Assemblea.

Pongo allora in votazione l’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Colitto e Marinaro, del seguente tenore:

«In nessun caso, però, potrà derogarsi a leggi precedenti più favorevoli e saranno rispettati i giudicati».

(Non è approvato).

Passiamo ora all’ordine del giorno proposto al Comitato di redazione, del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente afferma che le limitazioni, di cui all’ultimo comma dell’articolo 1 delle disposizioni transitorie della Costituzione, sono da applicarsi a coloro che hanno ricoperto le seguenti cariche nel regime fascista, e in quello repubblicano sociale fascista:

1°) ministri e sottosegretari di Stato in carica dal 5 gennaio 1925;

2°) senatori, tranne quelli non deferiti all’Alta Corte di giustizia o per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza; deputati delle legislature XXVII, XXVIII e XXIX, tranne i deputati della XXVII che non giurarono o che furono dichiarati decaduti con la mozione del 9 novembre 1926 o che fecero parte della Consulta nazionale; consiglieri nazionali;

3°) membri del consiglio nazionale del partito fascista o del partito fascista repubblicano; membri del tribunale speciale per la difesa dello Stato e dei tribunali speciali della repubblica sociale fascista;

4°) alti gerarchi del partito fascista sia al grado di segretario federale (provinciale) incluso;

5°) ufficiali generali della milizia volontaria sicurezza nazionale in servizio permanente retribuito, eccettuati gli addetti ai servizi speciali; ufficiali della guardia nazionale repubblicana, delle brigate nere, delle regioni autonome e dei reparti speciali di polizia della repubblica sociale fascista;

6°) capi di provincia e questori nominati dalla repubblica sociale fascista».

L’onorevole Fuschini ha proposto il seguente emendamento:

«Aggiungere, dopo le parole: tranne i deputati della XXVII legislatura che non giurarono, le parole: o che esercitarono la opposizione nell’Aula».

«Aggiungere alle parole: o che fecero parte della Consulta nazionale, le parole: o dell’Assemblea Costituente».

L’onorevole Fuschini ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

FUSCHINI. Mi pare che non ci sia bisogno di svolgimento per questo emendamento che è così semplice e chiaro. Volevo semplicemente osservare che, oltre ai deputati della XXVII legislatura, che furono dichiarati decaduti dal fascismo – che mandò via tutti i deputati dell’Aventino – vi era un numeroso gruppo di deputati, i quali rimasero nell’Aula e fecero opposizione, e di questi ritengo sia necessario di tener conto.

D’altra parte v’è anche un altro problema, ed è quello riguardante l’Assemblea Costituente. Vi sono deputati che non hanno fatto parte della Consulta Nazionale, ma fanno parte dell’Assemblea Costituente: mi pare che sia necessario dichiarare che essi sono esclusi da ogni restrizione di eleggibilità, perché sarebbe assurdo che un membro dell’Assemblea Costituente fosse dichiarato ineleggibile, quando è stato eletto nell’Assemblea Costituente. Mi pare che in tal modo egli abbia già avuto una sanatoria decisiva. Per queste ragioni insisto sull’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Uberti ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI. L’emendamento dell’onorevole Fuschini si compone di due parti: la prima non ritengo che sia necessaria, perché la formula «quelli che hanno fatto opposizione nell’Aula» comprende coloro che sono stati chiamati a far parte della Consulta Nazionale, per un preciso disposto della legge che ha convocato quest’ultima.

La seconda parte: «o dell’Assemblea Costituente» mi sembra che possa essere accettata, perché vi può essere qualche membro che non fece parte della Consulta Nazionale e che fa parte dell’Assemblea Costituente. Quindi la Commissione accetta l’aggiunta della seconda formula.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Nasi, Foa, Schiavetti, Cianca, Codignola hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere un punto settimo: coloro che per la loro attività fascista siano stati esclusi dall’insegnamento o dagli albi professionali».

I firmatari hanno rinunziato allo svolgimento.

L’onorevole Uberti ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

UBERTI. A questo ordine del giorno, che fu esaminato in sede di Comitato di redazione, e che fu il risultato di un accordo generale, a me sembra che non sia il caso di aggiungere nuove formulazioni, soprattutto di fronte al criterio fondamentale che ha seguito il Comitato di redazione di partire dal concetto di non far luogo a processi di nessun genere, ma che la copertura della carica significa obiettivamente esclusione dal voto.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione.

Onorevole Fuschini, lei limita il suo emendamento alla parte accettata dalla Commissione?

FUSCHINI. Insisto anche sulla prima parte.

PRESIDENTE. Allora, voteremo dapprima la parte introduttiva dell’ordine del giorno con il primo alinea; poi il secondo alinea con l’emendamento Fuschini.

Pongo in votazione la prima parte dell’ordine del giorno e il primo alinea:

«L’Assemblea Costituente afferma che le limitazioni, di cui all’ultimo comma dell’articolo 1 delle Disposizioni transitorie della Costituzione, sono da applicarsi a coloro che hanno ricoperto le seguenti cariche nel regime fascista e in quello repubblicano sociale fascista:

1°) ministri e sottosegretari di Stato in carica dal 5 gennaio 1925».

(Sono approvati).

Pongo in votazione le seguenti parole del secondo alinea:

«2°) senatori, tranne quelli non deferiti all’Alta Corte di giustizia e per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza, deputati delle legislature XXVII, XXVIII e XXIX, tranne i deputali della XVII che non giurarono».

(Sono approvate).

Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Fuschini:

«o che esercitarono l’opposizione nell’Aula».

(Dopo prova e controprova e votazione per divisione, è approvata).

Pongo ai voti le successive parole del secondo alinea:

«o che furono dichiarati decaduti con la mozione del 9 novembre. 1926 o che fecero parte della Consulta Nazionale».

(Sono approvate).

Pongo in votazione la seconda parte dell’emendamento Fuschini:

«o dell’Assemblea Costituente».

(È approvata).

Pongo in votazione le ultime parole del secondo alinea:

«consiglieri nazionali».

(Sono approvate).

Pongo in votazione il terzo alinea:

«3°) membri del consiglio nazionale del partito fascista o del partito fascista repubblicano; membri del tribunale speciale per la difesa dello Stato e dei tribunali speciali della repubblica sociale fascista».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto alinea:

«4°) alti gerarchi del partito fascista sino al grado di segretario federale (provinciale) incluso».

(È approvato).

Pongo in votazione il quinto alinea:

«5°) ufficiali generali della milizia volontaria sicurezza nazionale in servizio permanente retribuito, eccettuati gli addetti ai servizi speciali; ufficiali della guardia nazionale repubblicana, delle brigate nere, delle legioni autonome e dei reparti speciali di polizia della repubblica sociale fascista».

(È approvato).

Pongo in votazione il sesto alinea:

«6°) capi di provincia e questori nominati dalla repubblica sociale fascista».

(È approvato).

Passiamo all’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Nasi, Cianca e altri:

«7°) coloro che per la loro attività fascista sono stati esclusi dall’insegnamento o dagli albi professionali».

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Io ho rinunciato a svolgere il mio emendamento, perché la sua dizione era così chiara che legittimava la nostra speranza che la Commissione lo avrebbe accettato. In realtà, era forse una speranza ingenua, di fronte alla stranezza degli avvenimenti ai quali assistiamo, per i quali accade che l’Assemblea respinga oggi quello che un mese e mezzo fa aveva accettato. (Commenti a destra).

Noi crediamo che l’Assemblea assuma una grave responsabilità, e l’assuma anche la Commissione, respingendo un emendamento il quale, inserito in una legge che contempla delle sanzioni politiche, tende a colpire degli uomini su cui queste responsabilità politiche gravano in modo inconfutabile. (Applausi a sinistra).

Nel nostro emendamento abbiamo contemplato le categorie di coloro i quali, attraverso l’insegnamento o attraverso il giornalismo, hanno avvelenato l’opinione pubblica, spingendo il Paese alla guerra e alla disfatta. (Applausi a sinistra).

Per quello che ci riguarda, noi vogliamo legare la Commissione e la maggioranza alle loro responsabilità dinanzi al Paese; noi assumiamo le nostre, insistendo nel nostro emendamento. (Applausi a sinistra – Commenti a destra).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dagli onorevoli Nasi, Cianca ed altri:

«7°) coloro che per la loro attività fascista siano stati esclusi dall’insegnamento o dagli albi professionali».

(È approvato – L’ordine del giorno è così approvato nel suo complesso).

Onorevoli colleghi, passiamo adesso all’altra parte della materia costituzionale, relativa alle Regioni, che dobbiamo affrontare e sulla quale dobbiamo prendere una decisione prima di sospendere i nostri lavori.

Come i colleghi rammentano, fu accantonato l’articolo 123, il quale contiene l’elencazione delle Regioni.

Abbiamo ora il nuovo testo di questo articolo 123, formulato dal Comitato di redazione. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Oltre alle Regioni indicate dall’articolo 108, che hanno forme speciali di autonomia, sono costituite, con le funzioni ed i poteri stabiliti dalla Costituzione, le Regioni seguenti:

Piemonte;

Lombardia;

Veneto;

Liguria;

Emilia e Romagna;

Toscana;

Umbria;

Marche;

Lazio;

Abruzzi e Molise;

Campania;

Puglia;

Basilicata;

Calabria».

PRESIDENTE. A questo nuovo testo sono già stati presentati alcuni emendamenti.

Inoltre gli onorevoli De Martino, Codacci Pisanelli, De Maria, Giordani, Corsini, Dominedò, Miccolis, Perugi, Marina, Condorelli, Tieri, Benedetti, Cacciatore, Preziosi, De Caro Raffaele, Rodinò Mario, Fusco, Persico, Gasparotto, Penna Ottavia, hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente:

riaffermata la opportunità di dare modo alle popolazioni interessate di esprimere la loro volontà circa la Regione di cui dovrebbero far parte;

delibera di rinviare alla legge il compito di determinare il numero delle Regioni, il loro nume, le rispettive delimitazioni territoriali ed i capoluoghi».

Il secondo ordine del giorno, a firma degli onorevoli: Targetti, Cevolotto, Grieco, Lami Starnuti, Filippini, Bennani, Carboni Angelo, Laconi, Binni, Zanardi, Bianchi Bianca, Canevari è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente delibera che – salva la procedura per istituire nuove Regioni – siano nell’articolo 123 costituite le Regioni storico-tradizionali di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche».

Di questi due ordini del giorno evidentemente quello presentato dagli onorevoli De Martino, Codacci Pisanelli ed altri, ove approvato, avrebbe un carattere preclusivo. Io penso pertanto che sia opportuno far svolgere dai presentatori gli ordini del giorno e decidere in merito ad essi.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Ho presentato personalmente un ordine del giorno portante la mia firma, che riguarda il Molise. Sostengo in esso che, per le sue condizioni particolari, il Molise deve essere annoverato fra le nuove Regioni costituite, anche se, per preoccupazioni di ordine generale, vengano rimandate al futuro Parlamento le costituzioni delle nuove Regioni.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Onorevole Presidente, pongo una questione di carattere pregiudiziale. Ritengo che il Comitato di redazione non abbia la facoltà di modificare l’articolo 123 così come era stato formulato nel progetto di Costituzione distribuito. Vi era una riserva, che leggo: «Su questo testo, proposto dalla seconda Sottocommissione, la Commissione, in seduta plenaria, ha sospeso ogni decisione, in attesa che siano raccolti gli elementi di giudizio, mediante l’inchiesta in corso presso gli organi locali delle Regioni di nuova istituzione».

È stata fatta questa consultazione?

BOSCO LUCARELLI. No.

CODACCI PISANELLI. È stata fatta forse in modo incompleto, ma certo è stata fatta. La formulazione contenuta nella deliberazione approvata dalla seconda Sottocommissione diceva che sarebbe stata data comunicazione delle deliberazioni adottate a tutti i comuni e provincie interessate, perché, ove lo avessero ritenuto opportuno, avessero potuto esprimere il loro parere. Questo, a quanto mi risulta dagli atti, è stato fatto. È stata fatta una statistica, forse incompleta, ma certo i risultati di questa statistica sono stati tali che non avrebbero consentito di sopprimere l’articolo. In ogni modo, il Comitato di redazione doveva limitarsi a coordinare, e coordinare non equivale a modificare.

Qui sono state soppresse alcune Regioni che erano state incluse dopo accurata discussione e dopo votazioni.

Sono state soppresse, senza che al Comitato di redazione fossero stati dati questi poteri.

Ritengo perciò che l’articolo 123 debba essere presentato all’Assemblea nella formulazione adottata nel progetto di Costituzione e non nella attuale formulazione.

BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSCO LUCARELLI. Ho chiesto di parlare per smentire nella maniera più formale che sia stato adempiuto l’obbligo di questa inchiesta, perché fra le Regioni che erano in discussione vi era anche il Sannio. Se del Sannio fa parte la provincia di Benevento, l’amministrazione provinciale di Benevento ed i Comuni della provincia di Benevento, dovevano essere sentiti, cosa che non è stata fatta ed il Presidente della Commissione mi deve dare atto che non è stata fatta. Quindi l’inchiesta è stata una cosa parziale, ad usum delphini, non per responsabilità del Presidente, ma per responsabilità, magari involontaria, degli impieghi che erano stati incaricati di fare questa inchiesta. Ed allora noi non abbiamo gli elementi necessari; abbiamo una sola voce, non abbiamo la voce di tutti; non possiamo vagliare le ragioni delle singole Provincie e dei singoli Comuni in una materia così importante, quale è quella di costituire un nuovo organismo regionale, che non può calpestare i diritti di una Provincia senza ascoltarli.

PRESIDENTE. Vorrei fare presente che, forse inavvertitamente, stiamo spingendoci alla discussione dell’ordine del giorno degli onorevoli De Martino, Codacci Pisanelli ed altri, che non è ancora in questione.

L’onorevole Codacci Pisanelli dice che c’è una questione pregiudiziale e l’ha definita. Restiamo a questa per ora.

L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto che, come base di discussione, si assuma non il nuovo testo dell’articolo 123 così come è stato presentato dalla Commissione, ma il testo primitivo. Questa la questione e possibilmente non sfociamo dall’argomento.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io credo, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, che la richiesta dell’onorevole Codacci Pisanelli sia fondata.

Io che so quanto interessa la Regione che mi ha qui mandato la questione, di cui ci andiamo occupando, posso dire che la situazione di fatto è la seguente. La espongo con la necessaria precisione. Nella seduta del 16 dicembre 1946 l’onorevole Terracini, che presiedeva la Sottocommissione, mise ai voti la presa in considerazione della richiesta del Molise di essere riconosciuto come Regione autonoma. Fu approvata.

DE CARO RAFFAELE. Il numero dei voti dell’approvazione. La prego di essere preciso.

COLITTO. Fu approvata. Non è a dubitarne. Io ho qui presenti i verbali della Sottocommissione ed il Presidente dell’Assemblea mi può far fede di quello che vado dicendo.

Nella seduta del 16 dicembre, adunque, la presa in considerazione della richiesta del Molise fu approvata. Nella stessa seduta il Presidente dispose che si discutesse del merito. Se ne discusse e si votò ed il Molise entrò nell’elenco delle Regioni.

Che cosa è accaduto posteriormente? Furono disposte delle indagini. Furono queste compiute. Ora possono essere state non rivolte le stesse alla provincia di Benevento, come diceva dianzi l’onorevole Bosco Lucarelli. Ma, per quanto riguarda il Molise, furono compiute e tutti i paesi del Molise risposero, come dallo specchietto, che è stato allegato ai lavori della Sottocommissione e distribuito all’Assemblea. Nulla, quindi, di nuovo si è verificato, che potesse indurre la Sottocommissione a cambiare il testo dell’articolo, e, se nulla è avvenuto… (Interruzione del deputato Fuschini).

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, la prego di non interrompere. Onorevoli colleghi, capisco che questa discussione possa appassionare, ed era attesa da quattro mesi; ma questa è una ragione di più, se mai, perché si svolga ordinatamente.

COLITTO. Vi è, dunque, una votazione, la quale si è conclusa con la presa in considerazione della proposta, vi è una votazione, che si è conclusa con l’approvazione della proposta del merito. Vi sono state delle indagini e sono state favorevoli alla nostra proposta. Io penso, perciò, per la parte che riguarda il Molise, che l’articolo, così come dalla Sottocommissione era stato formulato, non potesse dal Comitato di coordinamento essere modificato. È perciò che mi associo alla richiesta dell’onorevole Codacci Pisanelli.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Io ho il compito di dichiarare qual è l’atteggiamento del nostro Gruppo nei confronti dei due ordini del giorno che sono stati presentati, per decidere questa importante materia delle circoscrizioni regionali.

Noi siamo favorevoli all’ordine del giorno Targetti-Cevolotto ed altri, e voteremo per esso, salvo quelle modifiche formali che potranno essere apportate. Voteremo per l’ordine del giorno Targetti e contro l’ordine del giorno degli altri colleghi, perché riteniamo che in questo momento l’Assemblea Costituente non abbia elementi sufficienti per procedere ad una seria determinazione delle circoscrizioni regionali secondo i criteri innovativi che vengono da più parti richiamati.

Noi non intendiamo con questa votazione precludere la possibilità che in avvenire, ad opera delle Assemblee legislative, dopo studi seri ed attenti sulla realtà economica, politica, geografica, sociale delle regioni interessate, dopo più attenta e più seria consultazione delle popolazioni interessate, si giunga ad un diverso assetto delle circoscrizioni regionali. Ma se volessimo invece anticipare questo momento, mentre siamo sollecitati dall’urgenza di terminare i nostri lavori, noi correremmo il rischio di non creare un serio assetto regionale in Italia, determinando piuttosto delle circoscrizioni le quali obbediscano a criteri di opportunità contingente.

Noi ci opponiamo, d’altra parte, a che si compia un rinvio alla legge, come si propone nell’ordine del giorno De Martino, contro il quale noi voteremo. Non crediamo che si possa rinviare alla legge, perché il rinvio alla legge vorrebbe dire un lungo rinvio nell’attuazione di questa riforma regionale che pure, attraverso contrasti, è nata in fondo con il quasi unanime consenso di questa Assemblea; e – tanto meno si potrebbe poi fare un rinvio alla legge ordinaria, perché questa determinazione delle circoscrizioni regionali, incidendo su elementi costitutivi dello Stato, deve essere definita attraverso una legge costituzionale. In altri termini, accettando l’articolo 123 del progetto di Costituzione così come ci viene presentato, noi intendiamo definire questa materia, senza escludere – anzi presupponendo – che essa tornerà ad essere oggetto di esame (se così sarà creduto opportuno) nella prossima Assemblea legislativa; tornerà ad essere oggetto di esame attraverso quella speciale procedura che viene indicata nell’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, procedura, cioè, la quale tende a permettere una più rapida ed agile definizione in questo stadio iniziale delle circoscrizioni regionali, prescindendo dal procedimento normale di revisione previsto dall’articolo 125 del nostro progetto di Costituzione.

Assumendo questa posizione, la quale implica doloroso sacrificio da parte di taluni nostri colleghi, i quali hanno presentato in modo appassionato e vibrante talune rivendicazioni, il nostro Gruppo intende dare un contributo ad una rapida realizzazione concreta dell’ordinamento regionale affinché esso, operando, possa mostrare i vantaggi che arreca alla vita dello Stato. Se l’ordinamento regionale nascesse inficiato da inammissibili indeterminatezze, se nascesse inficiato dalla polemica disordinata di questo momento e da non meditate decisioni di maggioranza, esso nascerebbe meno vitale di come noi lo vogliamo. Poiché per noi l’ordinamento regionale italiano è una cosa seria, rinviamo al domani quelle modificazioni nelle circoscrizioni che sembrino necessarie, intanto votando per quelle soltanto che siano indicate dalla storia e dalla tradizione del nostro Paese.

PRESIDENTE. Penso che, non avendo l’Assemblea sollevato obiezioni alla procedura che ho proposto, sia il caso di dare la parola ai presentatori degli ordini del giorno.

LONGHENA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LONGHENA. Io ho presentato un emendamento il quale coincide perfettamente con l’ordine del giorno presentato dagli onorevoli Targetti ed altri; desidero svolgerlo, perché ritengo che sia in esso una priorità.

PRESIDENTE. Onorevole Longhena, lei può benissimo mettersi d’accordo con l’onorevole Targetti. Se c’è una identità fra il suo emendamento e l’ordine del giorno Targetti, lei potrà apporre la sua firma a questo ordine del giorno.

Poiché l’onorevole Targetti non è presente, l’onorevole Lami Starnuti, confirmatorio, ha facoltà di svolgere l’ordine del giorno.

LAMI STARNUTI. Debbo fare soltanto alcune brevi considerazioni, anche perché l’onorevole Moro, dichiarando di votare il nostro ordine del giorno, ha sommariamente indicato le ragioni che stanno a conforto dell’ordine del giorno medesimo.

La nostra proposta proviene da colleghi di vari gruppi di questa parte della Camera e muove dalla considerazione, non tanto di abbreviare in questa tornata la discussione sull’articolo 123, quanto dal desiderio di non essere costretti a delle facili improvvisazioni, e pertanto rappresenta un accoglimento pregiudiziale della nuova formula che il Comitato di coordinamento ha presentato a modificazione dell’articolo 123 del progetto. Noi accettiamo il nuovo testo, in quanto risolve alla radice quelle che erano le controversie più accese in merito alla ripartizione in Regioni del territorio nazionale. La discussione che noi abbiamo udito testé tra l’onorevole Codacci Pisanelli e l’onorevole Bosco Lucarelli, è la prova più palmare e concreta della insufficienza delle nostre indagini e delle nostre istruttorie in merito alla creazione di nuove Regioni.

Quando nel Comitato delle autonomie locali si parlò di questo argomento, parve subito evidente l’opportunità di non uscire dalle Regioni tradizionali, per non rinfocolare rivalità regionali e rivalità paesane, per non esser costretti a giudizi sommari e frettolosi. Quell’opportunità non è venuta meno. E poiché noi non vogliamo né rinviare alla legge la ripartizione regionale – in quanto ciò impedirebbe la sollecita creazione dell’ente Regione decisa dalla Costituzione – né impedire che, nel prossimo futuro, avvengano correzioni territoriali o creazione di nuove Regioni, così abbiamo proposto che, intanto, le Regioni da istituire in attuazione sollecita, se non immediata, delle norme costituzionali siano quelle che rispondono alla nostra tradizione e che per il futuro sia fatta salva la procedura per istituire nuove Regioni o per addivenire a modificazioni di territorio.

La procedura per istituire nuove Regioni o per modificare quelle esistenti era già stata prevista nel progetto di Costituzione dall’articolo 125; ma ora il collega onorevole Mortati propone al riguardo un suo emendamento diretto a rendere meno complicata e meno meccanica la istruttoria e la possibilità di queste modificazioni venture. Riconosco giusto, nelle condizioni attuali, l’emendamento; anzi, io debbo dichiarare, anche a nome dei colleghi che hanno firmato il nostro ordine del giorno, che con il nostro inciso, «salva la procedura per istituire nuove Regioni», abbiamo inteso di aderire alla proposta dell’onorevole Mortati, e che l’emendamento da lui presentato avrà anche il nostro voto.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruggiero ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea delibera che la legge stabilirà le circoscrizioni, il nome, i confini, ed i capoluoghi delle Regioni, previo parere delle Province e dei Comuni interessati».

Risultato delle votazioni segrete.

PRESIDENTE. Comunico il risultato delle votazioni a scrutinio segreto, sui disegni di legge all’ordine del giorno:

«Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane».

Presenti e votanti     346

Maggioranza           174

Voti favorevoli        326

Voti contrari                        20

(L’Assemblea approva).

«Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro».

Presenti e votanti     346

Maggioranza           174

Voti favorevoli        332

Voti contrari                        14

(L’Assemblea approva).

«Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947».

Presenti e votanti     346

Maggioranza           174

Voti favorevoli        311

Voti contrari            35

(L’Assemblea approva).

«Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti.

Presenti                              346

Votanti                               345

Astenuti                  1

Maggioranza           173

Voti favorevoli        315

Voti contrari                        30

(L’Assemblea approva)

«Modificazioni al Codice penale per la parte riguardante i delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato».

Presenti e votanti     346

Maggioranza           174

Voti favorevoli        304

Voti contrari            42

(L’Assemblea approva).

«Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento».

Presenti                              346

Votanti                               345

Astenuti                   1

Maggioranza           173

Voti favorevoli        287

Voti contrari            58

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazzoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamenti – Bernardi – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bordon – Bosco Lucarelli – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Caldera – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caronia – Carratelli – Caso – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Corsini – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

Del Curto – Della Seta – De Maria – De Martino – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Fioritto – Firrao – Foa – Foresi – Franceschini – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Lopardi – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marchesi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Matteo – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini– Moro – Mortati – Moscatelli – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pellegrini – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignedoli – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Rivera Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Russo Perez.

Saggin – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Santi – Scalfaro – Scarpa – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Selvaggi – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Vanoni – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zotta – Zuccarini.

(L’onorevole Conti si è astenuto dalla votazione sui disegni di legge: «Soppressione del Senato» e «Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento»).

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo– Caristia – Carmagnola – Caroleo – Cavallari.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello.

Tosato.

PRESIDENTE. Ritengo opportuno sospendere la seduta per esaurire alla ripresa l’argomento in esame.

(La seduta, sospesa alle 19.30, è ripresa alle 21.30).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole De Martino, ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.

DE MARTINO. Lo svolgerò nella maniera più breve possibile, anche in considerazione dell’ora tarda. Tengo innanzitutto a dichiarare che io ero nettamente contrario all’istituto della Regione, ma che, dopo i discorsi così esaurienti pronunziati in questa Assemblea, io mi sono ricreduto, specialmente dopo quello dell’onorevole Conti e dopo quello dell’onorevole Piccioni. Conseguentemente ho votato a favore dell’istituto della Regione.

L’ordine dei giorno che ho ora presentato ratifica quanto è stato fatto, anzi riafferma quanto è stato fatto. Nessuno, credo, in questa Camera, pensa che si possa tornare sopra le decisioni già prese. La Regione ormai, è entrata fra le istituzioni della Repubblica italiana. L’ordine del giorno mio e degli altri colleghi tende semplicemente a rinviare l’applicazione della norma che stabilisce la Regione. Perché tende a rinviarla? Per le ragioni che io cercherò di accennare soltanto. Noi dobbiamo fare di questa nostra Repubblica un insieme organico; la Regione è un perfezionamento, un particolare. Perciò io mi domando se, prima di fare i particolari, non sia meglio guardare all’insieme, cioè fare il quadro d’assieme e poi scendere al dettaglio.

Noi, sia in questa Camera, sia fuori di questa Camera dobbiamo onestamente riconoscere di non trovarci di fronte ad un’organizzazione collettiva fatta veramente come si dovrebbe. Quindi, ripeto, io non insisto perché voglia dilazionare sine die l’applicazione di questa volontà della Camera, alla quale volontà io ho contribuito dando anche il mio voto favorevole; ma domando soltanto ai colleghi che l’applicazione di questa legge sia fatta gradualmente, perché diversamente corriamo dei pericoli, e dei pericoli gravi sotto tutti i profili.

L’amico onorevole Moro – che non vedo – dice: «Noi vogliamo varare un elenco di Regioni che saranno delle Regioni variabili». Ma, per carità, onorevoli colleghi, non facciamo altre cose provvisorie; in Italia ve ne sono già abbastanza. Riteniamo per definitive quelle norme che abbiamo deliberate e proponiamoci di fare l’elenco delle Regioni in maniera definitiva entro il più breve tempo possibile. Non è giusto, che noi qui, Assemblea Costituente, si debba fare tutto. Io talvolta mi domando: «E gli altri che cosa faranno?». Tanto più che noi quello che facciamo, diciamocelo onestamente, lo facciamo sulla carta; ma quello che scriviamo sulla carta non corrisponde al cento per cento nella vita pratica, nell’attuazione.

Poiché questo argomento non investe questioni, diremo così, politiche; non investe questioni di partito, io faccio appello a tutti, perché tengano conto di queste mie modestissime osservazioni. Quindi dobbiamo fare unicamente un provvedimento che valga a rendere meno dura, più agevole la vita dei cittadini. A qualunque partito essi appartengano. Nient’altro. Ed io ho parlato per un bisogno, per un imperativo di coscienza, perché avrei dovuto rinunciare a svolgere questo ordine del giorno, cedendo la parola ad altri colleghi, molto autorevoli, che hanno voluto aderire a questo mio punto di vista.

Ma l’ho fatto perché, dicevo, la mia coscienza me lo ha imposto, in quanto ritengo di essere un modesto organizzatore, e l’organizzazione della Regione io non la vedo così facile. Io non vedo che mentre si include nell’articolo 123 l’elenco delle Regioni, si possa pensare e credere che le Regioni siano nate e possano funzionare. Pensiamo un po’ a quello che succederà quando avremo varato questo elenco di Regioni. Pensiamo un po’ anche alle spese. In Italia abbiamo già un milione e duecentomila impiegati dello Stato. Le Regioni, che rappresentano un’entità non indifferente, avranno bisogno di altre decine di migliaia di impiegati. E noi, che dobbiamo naturalmente gettare le basi di questa nostra Repubblica, anziché pensare a risolvere i problemi più vitali della Nazione, penseremmo a creare degli impiegati. I quali sono rispettabilissima gente che vuol guadagnarsi il pane e ha ragione. Ma a noi compete il compito di creare per questi nostri concittadini un lavoro redditizio, così che la vita nazionale si possa svolgere in maniera meno dura che non sia attualmente.

Quindi, io mi permetto di insistere sull’ordine del giorno. Mi permetto di insistere assicurando, intendiamoci, la perfetta buona fede di quanto è stato detto nella sua premessa, cioè che l’Assemblea Costituente riafferma la necessità di un decentramento amministrativo sulla base delle Regioni. Ma ritengo pure che qualche parola di chiarimento debba essere detta a proposito della seconda considerazione, quella con la quale si riconosce l’opportunità di dar modo alle popolazioni interessate di esprimere la loro volontà circa la Regione di cui dovrebbero far parte.

Naturalmente non proporremo un referendum, ma è anche logico che alcune città si pronunzino sulla loro appartenenza ad una Regione o all’altra, e penso che dovremo chiedere ai vari comuni d’Italia di riunire i loro consigli comunali ed esprimere un voto all’Assemblea Costituente perché l’Assemblea possa tener conto di questi voti e andare incontro al desiderio delle popolazioni interessate.

E poi vorrei dire una parola agli amici della Democrazia cristiana, se è consentito in questa sede.

Io ho sempre votato in conformità dei voti dati dalla Democrazia cristiana, perché ho pensato e penso oltre tutto, che non facendo parte ufficialmente della Democrazia cristiana io sto più a posto con la coscienza, inquantoché la responsabilità delle determinazioni compete al Gruppo e io riverso la responsabilità della mia coscienza su queste persone che stimo e che fanno parte del centro. Ad esse ed alle altre persone per bene di tutti gli altri settori della Camera, rivolgo la mia preghiera per dire: consideriamo a fondo quello che stiamo per fare. Qui si tratta degli interessi della Nazione, degli interessi del popolo italiano. Qui non si tratta – come dicevo poc’anzi – di partiti, ma di economia. Non facciamo in modo che, per affrettare le decisioni o per affrettare l’applicazione di certe decisioni, noi, anziché avere una unità organica nazionale, corriamo il pericolo di peggiorare le situazioni! Prepariamo prima l’ambiente. È questione di pochi mesi. Prepariamo l’ambiente per la nascita di queste Regioni e coloro che ci succederanno potranno con coscienza, con fermezza, con sicurezza maggiore di quella che noi non possiamo avere oggi, fare l’elenco delle Regioni, delimitarle territorialmente e creare il loro capoluogo, interpretando con elementi di fatto quella che è la volontà delle popolazioni interessate

Onorevoli colleghi, io non voglio ulteriormente tediarvi. Vi dico soltanto che ravviso in questa legge dei pericoli molto gravi per l’organizzazione, per l’economia, per il futuro del nostro popolo. Speriamo veramente che Iddio ci assista e ci faccia scegliere la via migliore: sono sicuro che tutti quanti in questa Camera sono dell’avviso di dover fare – come faremo – gli interessi unicamente dell’Italia e del popolo italiano. (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Lussu ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno, che è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente afferma che, per le particolari condizioni in cui si trova, il Molise deve essere annoverato fra le nuove Regioni, anche se per preoccupazioni di ordine generale venga rimandata al futuro Parlamento la costituzione delle nuove Regioni».

LUSSU. Onorevoli colleghi, a quest’ora tarda io di questo argomento non parlerei se non sentissi in coscienza di difendere una giusta causa.

Mi rendo perfettamente conto delle preoccupazioni e delle diffidenze di molti di questa Assemblea circa la costituzione immediata di nuove Regioni. Me ne rendo perfettamente conto, ma io mi rendo anche perfettamente conto – e vorrei che con me se ne rendessero conto i colleghi – che il Molise si trova in una particolarissima sua situazione.

Perché io parlerei del Molise e non delle altre Regioni?

Io mi rimetto perfettamente a quello che fa l’Assemblea per le altre Regioni, anzi non prenderò mai la parola neanche per dichiarazione di voto. Perché prenderei dunque questo atteggiamento circa il Molise? Ho io degli interessi particolari nel Molise? Questa è un’Assemblea elettiva e naturalmente la fonte delle nostre cariche ci viene dai collegi elettorali, dai voti; anche i migliori sono obbligati ad avere questa fonte unica, onesta e legittima. Ma io non ho neppure voti che m’interessino nel Molise. Il Molise, aggiungo, credo sia la sola Regione d’Italia in cui il Partito di azione, che io ho per lungo tempo rappresentato, non esiste.

Non esiste; tanto che nell’elenco dei partiti reclamanti la costituzione del Molise in ente Regione non figura. Ho saputo poi che esiste qualche gruppo di simpatizzanti, ma senza costituzione ufficiale di partito.

Perché dunque, io mi arrogherei il diritto di parlare per il Molise in questa Assemblea, dove siedono tanti rappresentanti del Mezzogiorno che conoscono la vita nostra meridionale e le sue aspirazioni? Perché lo farei? Con quale pretesa?

In coscienza, nello studiare questo problema mi sono convinto che è necessario che a questa Regione sia concessa l’autonomia. Io mi sono trovato, nella seconda Sottocommissione, ad essere relatore per la costituzione di tre nuove Regioni: la Regione Umbro-Sabina, la Regione del Sannio e la Regione del Molise. E credo di avere assolto il mio compito con obiettività, con la massima obiettività possibile: e ho concluso negativamente, per delle ragioni che mi dispenso dal ricordare qui, perché ormai mi pare che la costituzione di queste due Regioni Umbro-Sabina e del Sannio non sia suffragata da elementi reali, ho concluso negativamente per queste due Regioni e favorevolmente per il Molise. Il Molise non è una nuova Regione che si vuole creare; è una vecchia Regione, che già esiste. Non è già una Regione che pretenda staccarsi dall’Abruzzo (con il quale peraltro i suoi rapporti sono i più cordiali che si possano immaginare anche in questo momento), perché il Molise è stato sempre staccato da ogni altra Regione, compreso l’Abruzzo; staccato storicamente, logisticamente e geograficamente. (Commenti). Il Molise, in sostanza è una Regione a sé. Gli Abruzzi e Molise nella denominazione ufficiale delle Regioni storiche italiane costituiscono la sola Regione in cui ci sia il riferimento a due denominazioni differenti e a due Regioni differenti: Abruzzi e Molise. Con questo solo fatto, si viene ad affermare che quella dell’Abruzzo e Molise non è una sola Regione; sono due: l’Abruzzo da una parte e il Molise dall’altra.

Credo che nessuna questione sarebbe sorta se questa Assemblea non avesse dato al Paese una organizzazione autonomistica dello Stato su base regionale. Quindi l’Abruzzo viene a costituire una nuova configurazione particolare di ente Regione con capitale, io ritengo senza discussione, L’Aquila.

Onorevoli colleghi, consultate un poco la carta geografica e vedete: come può vivere il Molise facente parte di una Regione come l’Abruzzo, capoluogo L’Aquila? È impossibile.

Chi conosca quelle zone sa che non solo col cattivo tempo, ma anche col buon tempo, è estremamente lungo, penoso e difficile arrivare dal Molise fino a L’Aquila. È questa la ragione per cui tutti gli abruzzesi – ed è a loro onore, perché sta a dimostrare la loro generosa lealtà – riconoscono francamente giusta la richiesta dei molisani perché il Molise sia costituito in Regione autonoma.

Il Molise non può vivere con l’Abruzzo.

Ma quello che è peggio è che non può vivere con nessun’altra regione e non può collegarsi a nessun altro capoluogo di regione. Non a Roma, che è troppo lontana; non a Napoli, che è troppo lontana. A Roma, si sa, convergono interessi culturali; a Napoli convergono interessi giudiziari. L’alta cultura del Molise si forma prevalentemente a Napoli e a Roma; ora, più a Roma che a Napoli, probabilmente per il fatto che essendovi forte la Democrazia cristiana, molto forte, i giovani preferiscono Roma, città del Papa. E commercialmente, per trovare sbocco alla sua attività produttiva, il Molise bisogna si spinga non già fino a Roma o a Napoli, ma deve spingersi verso l’Adriatico; e non può fermarsi nella Capitanata, a Foggia, perché Foggia non ha sbocco sul mare, ma deve puntare su Bari. Ora, guardate la carta geografica: può il Molise far parte d’una regione la cui capitale sia Bari? È impossibile. E non può neppure dirigersi al capoluogo (mi sia consentito) del cosiddetto Sannio. Come reminiscenza storica…

BOSCO LUCARELLI. Ma è realtà vivente! (Commenti). Lei non è obiettivo!, (Proteste).

LUSSU. Mi sia consentito di finire il periodo che io avevo inteso iniziare con tanto spirito cordiale e con un tantino – ma appena appena – di sale di ironia.

Dicevo che sul Sannio, onorevole Bosco Lucarelli, caro al ricordo di tutti noi – sto per dire al cuore di noi non imperialisti, non fosse altro perché i sanniti le hanno date sode ai romani (Si ride)non può convergere il Molise, non può gravitare sulla sua capitale Benevento. Per la semplice ragione, egregio collega Bosco Lucarelli – questo è il punto – che la regione del Sannio è difficile a costituirsi perché manca il consenso di quelli che dovrebbero costituirla. C’è contrarietà in tutto il Molise e c’è contrarietà in tutta la provincia di Avellino. Ed allora, onorevoli colleghi, come si potrebbe chiedere a questa Assemblea che si costituisca una nuova Regione, quando su tre provincie che dovrebbero costituirla, una è a favore e due contro? Non è possibile.

Non vi può essere quindi che una sola soluzione onesta, da prendere; una sola soluzione giusta: riconoscere al Molise la nuova costituzione in ente Regione. Solo così il Molise può vivere senza essere danneggiato dalla costituzione delle Regioni che l’accerchiano.

Devo comunicarvi una mia esperienza personale. Quando ero al Governo ed avevo la direzione del dicastero dell’assistenza post-bellica, ed ho creato gli uffici provinciali e regionali di assistenza post-bellica, sono rimasto lungamente fisso sulla carta geografica, dopo essermi informato ampiamente in precedenza, prima di decidere; ed ho capito che non potevo in nessuna forma obbligare il Molise a dipendere da un capoluogo qualunque dell’Abruzzo. E ho dovuto, facendo una eccezione alla regola generale, stabilire a Campobasso un ufficio regionale autonomo per tutto il Molise. E devo dire che in questo ho agito nell’interesse delle categorie dei reduci e danneggiati di guerra che rappresentavo.

Ma io ho scoperto, dopo, che altri Ministri si erano trovati perplessi di fronte allo stesso problema, ed avevano, ognuno per proprio conto, preso decisioni analoghe a quelle mie. Ho scoperto che quando il Ministro della pubblica istruzione, durante il fascismo, creò gli uffici regionali del Provveditorato, e quando il Ministro dell’industria e commercio volle prendere un provvedimento particolare nell’interesse del Mezzogiorno e creò le Sottocommissioni regionali per l’industria e commercio, stabilirono entrambi a Campobasso i rispettivi uffici regionali.

Non c’è nessun elettoralismo in questo; tutti i partiti sono d’accordo sul posto. Quindi non vi sarà nessuno che profitterà della riforma più di un altro.

DE CARO RAFFAELE. Vuole spiegarmi di quante province si compone il Molise?

MORELLI RENATO. Come l’Umbria.

LUSSU. Quello che è interessante è il sapere – e ciascuno di voi lo può controllare – che nel Molise, già dopo l’altra guerra, nel 1919 (se ci fosse l’onorevole Nitti gli direi: dopo «una guerra vinta e non una guerra perduta), i molisani chiedevano la costituzione in Regione del Molise; e vi fu un Congresso preparato fin dal 1921 e fattosi a Campobasso nel 1922 reclamante la costituzione autonomistica del Molise.

Non parlo degli avvenimenti politici recenti, perché li conosciamo tutti, culminanti nel secondo Congresso regionale per l’autonomia del Molise. Ma sarà interessante per tutti, soprattutto per quelli che hanno fatto la guerra di liberazione come combattenti organizzati nell’esercito o come partigiani, sarà interessante per tutti questi, che hanno coscienza come la guerra partigiana abbia espresso profonde aspirazioni democratiche, sapere che il Comitato di liberazione nazionale riunitosi a Campobasso immediatamente dopo la liberazione, reclamò la costituzione del Molise in Regione.

I colleghi mi perdoneranno se io, studiando questo problema, ho sentito il dovere, senza nessuna presunzione o sicumera, di portare qui la mia voce: una voce che non vuol farsi eco di interessi locali, e che si esprime nell’interesse generale del Paese e dello Stato.

Si dice: ma noi abbiamo fissato nella Carta costituzionale, all’articolo 125, che le nuove Regioni, che si costituiranno in avvenire, non potranno avere meno di 500 mila abitanti: e il Molise non li ha.

Mi sia permesso di dire che questa non è un’obiezione. Intanto l’articolo 125 lo dobbiamo ancora discutere ed approvare; e potremo ridurre a 400 mila il limite minimo oppure lasciarlo a 500 mila. Ma se il Molise sarà riconosciuto oggi, come spero e auguro ardentemente a quella generosa popolazione, sarà perfettamente indifferente lasciare intatto l’articolo 125. Il Molise non ne avrà nessun ostacolo, perché sarà, da una votazione precedente di questa Assemblea, riconosciuto in ente Regione.

È piccolo il Molise: poco più di 400 mila abitanti su una superficie di chilometri quadrati 4600 circa. Ma credo che sono parecchi in Italia coloro che guardano a questa Regione come ad una sicura speranza di civiltà rurale moderna: il Molise ha una produttività ed un tecnicismo di lavoro in agricoltura, come pochissime Regioni d’Italia: la Lombardia, la Toscana, le Marche: eppure il suo è un terreno montano in cui è estremamente difficile il lavoro. E credo che non sono pochi coloro che in Italia sanno che il Molise è Regione produttrice in sommo grado di vino e che quella popolazione ha saputo, attraverso il suo lavoro e la sua tecnica – in gran parte dovuta agli emigrati in America ritornati in Italia – trasformare una Regione precedentemente povera in Regione produttrice, che si può mettere fra le avanguardie di questa civiltà montana, verso cui non è lecito guardare con ironia. Questa piccola Regione, con la sua organizzazione di produzione e di lavoro, ha dimostrato di essere qualcosa di serio.

Ebbene, onorevoli colleghi, a questa Regione diamo tutti, con la serena coscienza di adempiere ad un dovere nazionale, il riconoscimento che le spetta, per volontà unanime dei suoi cittadini, per la sua coscienza popolare; nell’interesse della nuova vita che insieme siamo decisi a riprendere nel nostro Paese. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Ruggiero ha facoltà di svolgere il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea delibera che la legge stabilirà la circoscrizione, il nome, i confini ed i capoluoghi delle Regioni, previo parere delle Provincie e dei Comuni interessati».

RUGGIERO. Onorevoli colleghi, parlo a titolo personale, perché ho il dispiacere di trovarmi in una condizione di contrasto col Gruppo parlamentare al quale ho l’onore di appartenere. Farò brevi osservazioni sull’ordine del giorno che ho presentato e che si esprime così: «L’Assemblea delibera che la legge stabilirà la circoscrizione, il nome, i confini ed il capoluogo delle Regioni previo parere delle Province e dei Comuni interessati». Mi permetto di osservare che, secondo la mia opinione, questo ordine del giorno forse è giuridicamente più coerente a quello che è lo spirito costituzionale. Per questa ragione obiettiva: perché questo ordine del giorno realizza quello che effettivamente e concretamente noi abbiamo conseguito attraverso i lavori costituzionali. Che cosa abbiamo noi conseguito fino a questo momento, onorevoli colleghi, nell’ambito della questione della autonomia regionale? Noi abbiamo conseguito questo di concreto: l’affermazione del principio della autonomia regionale e non siamo andati oltre questo principio. Null’altro è stato fatto.

Onde è che, se questo ordine del giorno propone che venga consacrato nella Costituzione solo questo principio, mi pare che l’ordine del giorno, per ragione direi di onestà e di dignità giuridica, resti aderente perfettamente alla somma dei lavori da noi compiuti. Vedete, noi, durante i lavori, non abbiamo avuto la possibilità di accertare quali fossero effettivamente le Regioni che dal punto di vista geografico, economico e storico potessero legittimamente aspirare ad essere configurate come enti regionali. Questa è stata una dichiarazione fatta concordemente da tutti. Ora, se questo è vero, cioè se non abbiamo gli elementi necessari per un giudizio di valutazione su questa e quella Regione, mi pare che voler consacrare nella Carta costituzionale un certo numero di Regioni, riferendosi solo a un criterio di carattere tradizionale e storico, da un punto di vista rigorosamente giuridico dovrebbe essere considerato più come un fatto arbitrario che come l’effetto di una valutazione basata su elementi veramente obiettivi ed irrefutabili. Ne deriva che, secondo il mio ordine del giorno, si vedrebbe consacrato nella Carta costituzionale solo il principio che afferma l’autonomia regionale e non già la determinazione delle Regioni che possono aspirare legittimamente a questo titolo, mancando tutti gli elementi necessari per una valutazione del genere.

Mi pare, onorevoli colleghi, che in questo sforzo di voler consacrare necessariamente certe Regioni nella Carta costituzionale, si possa ravvisare più che un’esigenza di carattere giuridico, un’esigenza di carattere politico: mi pare, se non erro, o se non sono eccessivamente maligno, che in questo sforzo si possa ravvisare, per esempio, la fretta che può avere un partito, il quale avendo conseguito l’affermazione astratta del principio dell’autonomia regionale non abbia più la pazienza di aspettare che questo principio venga tradotto in realtà. Ci potrebbe essere anche in questa frettolosa determinazione delle Regioni l’istanza di un altro partito il quale, per esempio, potrebbe accettare il meno peggio: cioè vedrebbe consacrato il problema regionale in grosse Regioni, avendo deprecato la frantumazione della Nazione in tante piccole Regioni.

Ora, se così è, io mi permetto, con molta, umiltà, di far presente agli onorevoli colleghi che in questa materia noi non stiamo affermando un principio giuridico astratto, ma rappresentiamo milioni di cittadini i quali aspettano una decisione che non incida solo sulle velleità di carattere campanilistico, ma su interessi del loro avvenire come cittadini d’Italia.

D’altra parte però, mi sembra che debba farsi luogo all’accettazione del mio ordine del giorno e non di quello presentato dall’onorevole, Targetti, per una ragione che io chiamerei di ordine tecnico. Che cosa vuole l’ordine del giorno Targetti? Vuole Consacrare la determinazione delle Regioni storiche ed il rinvio di ogni decisione per le altre Regioni. Infatti, delle richieste delle piccole Regioni non si dovrebbe discutere perché mancano gli elementi di valutazione. Ora, quest’ordine del giorno così consideralo assume automaticamente un carattere di pregiudizialità. Perché? Perché dovrebbe essere, onorevoli colleghi, e questo mi sembra un punto fondamentale dell’ordine del giorno Targetti, approvato o accettato anche senza entrare nel merito della questione. Quindi, di qui deriva il carattere pregiudiziale di quest’ordine del giorno. Permettetemi di dire che questo non è possibile, perché l’ordine del giorno non può avere questo carattere pregiudiziale. La ragione è questa: nell’ordine del giorno Targetti non vi è il riconoscimento puro e semplice delle Regioni tradizionali; si propone invece in esso proprio l’istituzione di Regioni.

E quando si fa accenno al concetto tradizionalistico, la parola non deve indurci in un errore di interpretazione, perché qui non esiste il riconoscimento di una posizione di fatto già esistente, ma si tratta di creare una condizione nuova per le Regioni. Infatti, queste Regioni non restano come erano prima, ma ad esse viene applicato il principio già approvato nell’autonomia regionale. Quindi le Regioni diventano delle entità nuove.

Ora, se così è, la costituzione e la creazione di queste Regioni comportano necessariamente un esame nel merito della questione. Ecco perché l’ordine del giorno dell’onorevole Targetti non dovrebbe avere un carattere pregiudiziale. Esso comporta un esame di carattere positivo per arrivare all’istituzione di certe Regioni, e comporta un esame di carattere negativo per arrivare alla esclusione delle altre piccole regioni.

Ora, si tenga presente che effettivamente l’esame sulle aspirazioni, istanze o proposte delle piccole Regioni non viene compiuto perché non c’è possibilità di fare questo esame per difetto di elementi di valutazione. Io vi pongo allora dinanzi alla questione di ordine tecnico: noi ci troviamo di fronte all’assurdità tecnica di un ordine del giorno come quello dell’onorevole Targetti; infatti se esso comporta un esame nel merito, ciò non può conferire all’ordine del giorno stesso un carattere di pregiudizialità. Onde accade questo: si deve ritenere non pregiudiziale l’ordine del giorno Targetti, poiché comporta una valutazione di carattere positivo quando istituisce le Regioni, e negativo quando esclude le Regioni; è pregiudiziale invece tutto quello che per essere discusso e valutato non comporta un esame di sostanza.

Perciò io pongo questa questione di ordine solamente tecnico e di carattere schiettamente giuridico: l’ordine del giorno Targetti potrebbe andare alla votazione soltanto nel caso in cui venisse esaurita tutta la discussione sostanziale, cioè solo nel caso che le proposte ed istanze delle piccole Regioni – che aspirano a diventare enti regionali – fossero sottoposte al giudizio dell’Assemblea Costituente: soltanto allora noi potremmo arrivare all’approvazione dell’ordine del giorno Targetti.

PRESIDENTE. Lei sta facendo, onorevole Ruggiero, una questione di procedura. La prego di mantenersi al tema dell’ordine del giorno.

RUGGIERO. A proposito del mio ordine del giorno, concluderò in questa maniera: mi pare che l’Assemblea Costituente non possa consacrare un principio e poi dare a questo principio solo una esecuzione a metà, cioè affermare il principio dell’autonomia regionale, ed applicare poi questo principio solo entro un certo ambito, cioè determinare la consacrazione di certe Regioni escludendo le piccole Regioni nelle loro richieste. Avremmo insomma qualche cosa che sta contro quella che è proprio la dignità, direi, giuridica di una Costituzione.

Non possiamo, onorevoli colleghi, arrivare ad una Costituzione che dovremmo chiamare a rate mensili, o a rate annuali, perché la Costituente affrontato un problema dovrebbe svolgerlo fino in fondo.

Ond’è che, anche per questa ragione, ritengo non possa farsi luogo all’approvazione dell’ordine del giorno Targetti.

Concludendo, quindi, poiché non abbiamo gli elementi necessari per la valutazione delle Regioni che possono essere costituite in enti regionali, ritengo che resti nella Costituzione la sola affermazione del principio dell’autonomia della Regione, rinviando alla legge la determinazione di tutte le Regioni, nessuna esclusa.

BORDON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Mi limiterò a chiedere un chiarimento. Si tratta di questo: se si dovesse votare l’articolo 123, così come è stato presentato dalia Commissione, non avremmo nulla da eccepire, perché la formula è chiara e cristallina.

Ma siccome non si voterà l’articolo 123, ma si voterà l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Targetti e da altri, desidererei conoscere il contenuto delle espressioni usate in questo ordine del giorno. Il collega Lami Starnuti ha dato chiarimenti, che vorrei si precisassero.

Chiedo pertanto in ordine alle Regioni da costituire cosa si intenda per Regioni tradizionali, di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche.

PRESIDENTE. Ritengo che il seguente ordine del giorno, presentato dagli onorevoli Codignola, Parri, Cevolotto e Binni, possa essere rinviato ad altro momento, in quanto non strettamente attinente alla materia in esame:

«L’Assemblea Costituente,

ritenendo che siano venuti meno i presupposti che a suo tempo determinarono l’introduzione del Friuli-Venezia Giulia fra le Regioni fornite di autonomia speciale,

persuasa di esprimere la volontà della popolazione interessata,

riaffermando il solenne impegno di tutela delle minoranze etniche e linguistiche, già consacrato dalla Costituzione,

fa voti che, in sede di approvazione dell’articolo 123, sia revocata l’autonomia speciale già concessa al Friuli-Venezia Giulia, rinviando alla legge l’eventuale erezione del Friuli in Regione fornita di autonomia ordinaria».

Sono stati così svolti i vari ordini del giorno presentati, tranne quello presentato dagli onorevoli Codignola, Parri, Cevolotto e Binni, che ritengo non debba avere svolgimento. Esso tratta infatti una questione che non riguarda ciò di cui ci stiamo occupando ora; esso propone in sostanza, di ritornare su una decisione già presa: ora, è evidente che una proposta di questo genere si può porre in qualunque momento.

L’ordine del giorno svolto dall’onorevole Ruggiero è analogo a quello dell’onorevole De Martino.

RUGGIERO. Onorevole Presidente, aderisco all’ordine del giorno De Martino ritirando il mio.

PRESIDENTE. Sta bene. Voteremo quindi per primo l’ordine del giorno De Martino, successivamente l’ordine del giorno Targetti.

PICCIONI. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. L’oggetto della pregiudiziale è questo: che l’ordine del giorno De Martino, a mio avviso, non può essere messo in votazione, perché è in contraddizione palese e sostanziale con tutto il lavoro che la Costituente ha fatto sin qui in ordine a questo grave problema dell’ordinamento regionale.

Se lei consente, io svilupperò brevissimamente i motivi di questa mia impostazione.

Mi permetto di ricordare all’Assemblea che la discussione sull’ordinamento regionale ha occupato un notevolissimo numero di sedute dell’Assemblea e che le deliberazioni, alle quali l’Assemblea è pervenuta, sono state di carattere sostanziale e definitivo. Ritornare ora – cosa che fu già fatta attraverso una serie direi quasi esagerata di ordini del giorno che furono presentati e ripresentati ad ogni piè sospinto e regolarmente respinti – sullo stesso concetto informatore dell’ordinamento regionale, volendolo di nuovo ridurre, come già era previsto da taluni ordini del giorno, qualcuno dei quali firmato anche dall’onorevole Rubilli o da altri, al concetto informatore del puro decentramento amministrativo, mi pare che sia per lo meno pleonastico se non assurdo al punto al quale la discussione è arrivata.

La discussione fu rinviata sull’articolo 123, per dar modo di farla precedere dalla discussione sul modo col quale il Senato sarebbe stato costituito. Se non erro, questa fu l’unica motivazione per la quale si sospese l’approvazione dell’articolo 123; dar modo cioè all’Assemblea Costituente di considerare in qual forma la seconda Camera, il Senato, sarebbe stato costituito, con l’intesa che si sarebbe ripreso l’esame e la votazione dell’articolo 123 non appena ultimato il lavoro che concerne la formazione della seconda Camera.

Questo è avvenuto. Si è stabilito il modo della costituzione del Senato; si sono stabilite alcune modalità particolari in ordine alla formazione del Senato, che presuppongono anche l’ordinamento regionale. Si sono attribuite alle Regioni, nella discussione che si è nel frattempo ultimata, anche altre facoltà che incidono direttamente sulla struttura costituzionale della nuova Repubblica italiana.

Quindi, venire a questa tardissima ora della nostra discussione del nostro esame sull’ordinamento regionale, a dire di nuovo all’Assemblea Costituente che l’applicazione di quello che abbiamo per tanti mesi discusso e deliberato, deve essere rinviata alle future Camere legislative, evidentemente vuol dire un po’ ironizzare – se mi è lecito dirlo – su quello che è il contenuto del lavoro della nostra Assemblea.

E mi occorre appena ricordare, che questa tesi del rinvio dell’applicazione dell’ordinamento regionale alle nuove Camere legislative fu anche oggetto di taluni ordini del giorno e votazioni esplicite, per modo che mi pare che al punto in cui siamo sia decisamente precluso il prendere in esame delle formulazioni di questo genere e delle proposte consimili.

Altrimenti, onorevoli colleghi, si potrebbe veramente dire che intorno all’ordinamento regionale noi stiamo un po’ scherzando e scherzando da alcuni mesi, chi con maggiore chi con minore coscienza, ma senza il propositi da parte dell’Assemblea Costituente di condurre ad una definitiva risoluzione questo grave problema che costituisce uno dei fulcri fondamentali del nuovo ordinamento costituzionale dello Stato.

La tesi era legittimo prospettarla sul limite della discussione, e questo è stato fatto e rifatto abbondantemente e ripetutamente. Ma una volta messi per la strada della realizzazione dell’ordinamento regionale, è serio e deve rispondere ad un senso di alta responsabilità dell’Assemblea Costituente non tornare di nuovo, all’ultimo momento, a riprodurre questa medesima tesi per sabotare – lasciate che io dica la parola che mi pare la più espressiva – per sabotare quello che è uno degli istituti innovatori del nuovo ordinamento della Repubblica italiana. (Applausi).

Per queste considerazioni io ritengo che per tutto lo svolgimento della discussione, così come si è sviluppato, per le votazioni già avvenute sullo stesso contenuto che è ora oggetto di quell’ordine del giorno, l’ordine del giorno stesso non possa esser messo in votazione. (Applausi al centro).

RUBILLI. Chiedo di parlare in relazione alla proposta dell’onorevole Piccioni.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Ho domandato la parola per chiarire la portata di quello che abbiamo fatto e di quello che ancora potremmo fare, e l’ho domandata altresì per una ragione personale: perché l’onorevole Piccioni ha fatto il mio nome ed ha ricordato un ordine del giorno da me presentato e respinto dall’Assemblea, ed ha creduto che l’ordine del giorno De Martino riproducesse la stessa questione che io proposi all’Assemblea. E giustamente, se fosse così, egli avrebbe proceduralmente ragione, perché non si potrebbe ripetere la votazione su di un argomento che già è stato discusso ed è stato in un modo qualsiasi deliberato dall’Assemblea.

Ma bisogna ricordare e chiarire – e posso forse, me lo permetta l’onorevole Piccioni, maggiormente chiarire io che lo ricordo un po’ meglio perché presentai proprio io quell’ordine del giorno – che le questioni sono completamente diverse. Io proponevo fondamentalmente che tutto quanto il problema della riforma regionale non fosse esaminato, ma fosse sospeso e rinviato alla Camera legislativa.

Io dicevo: non è pronta, non è matura la riforma, non la vedo chiara. È una riforma troppo grave che non è stata ben valutata e non può essere in questo momento deliberata dall’Assemblea. Sarà meglio che sia preparata, discussa e deliberata dalla Camera legislativa. Questo era l’ordine del giorno su cui votò l’Assemblea.

Ora non è chi non veda che l’ordine del giorno attuale è completamente diverso. L’ordine del giorno mio, respinto dall’Assemblea (e non posso fare a meno di constatarlo, sia pure con dispiacere), l’ordine del giorno mio proponeva che non si parlasse proprio della riforma regionale, in questa sede di Assemblea Costituente. Invece, onorevole Piccioni, la riforma regionale è stata discussa ed approvata. Non c’è dubbio su questo. Quindi la questione da me proposta è completamente esaurita. La Regione è deliberata.

Adesso che cosa dice l’ordine del giorno De Martino? Arrivati a questo punto, stabilita cioè la Regione, dobbiamo risolvere il problema di frazionare l’Italia, dividerla, fare dei pezzi più grandi o più piccoli, e come meglio convenga. Ma prima di accingerci a questo lavoro sentiamo gli interessati, chiediamo che vogliono, ascoltiamo che dicono! Non sappiamo se si deve propendere per estensioni più vaste o più limitate. Insomma chiedono i firmatari dell’ordine del giorno De Martino: Raccogliamo i sentimenti, le espressioni, il pensiero delle popolazioni interessate. Questo è l’ordine del giorno De Martino.

Di modo che non ci sarebbe che un rinvio solamente per le circoscrizioni regionali. La Regione è fatta, l’ordine del giorno presentato da me è stato respinto. D’accordo. Ora si tratta di stabilire ben altro.

E, in fin dei conti, non lo sapevamo nemmeno che si passasse ora all’esame dell’articolo 123. Noi credevamo ed era stato stabilito (il Presidente ricorda benissimo e non mi smentirà), che l’articolo 123 sarebbe venuto in discussione alla fine della legge costituzionale. Solo tre o quattro giorni fa, signor Presidente, ci avete detto che vi erano state insistenze da parte del Ministero degli interni per cui, per ragioni di compilazione di liste elettorali, bisognava mettere presto all’ordine del giorno il problema delle circoscrizioni. Sono tre o quattro giorni e non più, onorevole Piccioni. E perché procedere con tanta fretta senza una seria valutazione?

Io mi sono rassegnato! Le Regioni sono fatte, ma ditemi voi se in tre o quattro giorni sia stato possibile raccogliere i desideri delle popolazioni almeno attraverso gli organi locali responsabili. Per esempio, per la provincia di Avellino, per la regione Campana, io ho sentito che uno dei più autorevoli vostri colleghi democristiani, l’onorevole Bosco Lucarelli, in mia assenza poco fa ha dichiarato che in provincia di Avellino solo una piccola parte è favorevole alla Regione campana, e gli altri vorrebbero la Regione del Sannio. E ha detto cosa completamente inesatta, difforme dal sentimento delle popolazioni interessate. Su questo punto posso rispondere, perché sono della provincia di Avellino e sono bene informato. E non c’è dubbio che si è unanimi nell’Irpinia nel desiderare che rimanga ferma la secolare tradizione della Campania con le sue cinque province e con Napoli a capoluogo.

Un dubbio sorgeva soltanto per l’incertezza dell’atteggiamento eventuale della Democrazia cristiana, perché, siccome si conosce la disciplina, lo stretto collegamento fra i membri di questo grande partito, si pensava che di fronte all’autorità dell’onorevole Bosco Lucarelli non sorgessero altri a contrastare la sua opinione. Viceversa proprio questa sera è arrivato a tutti noi deputati, qualche ora fa, un ordine del giorno, non dirò violento, ma abbastanza vivace formulato e presentato alla popolazione dell’Irpinia dal collega Sullo, con il quale assolutamente si respinge l’opinione manifestata dall’onorevole Bosco Lucarelli e si chiede invece che la circoscrizione rimanga quella che è stata prospettata dalla Commissione, si faccia cioè la Regione campana. Come vedete siamo completamente impreparati…

PICCIONI. Impreparati a che cosa?

RUBILLI. .i.Impreparati sì, e non per colpa nostra, a poter discernere quali siano i sentimenti e i desiderî delle popolazioni interessate. Ora, perché dobbiamo qui con tanta fretta dividere le nostre popolazioni come crediamo noi, secondo i nostri sentimenti, i nostri interessi, le nostre opinioni più o meno di carattere elettorale, e non dobbiamo sentire quelli che con sincerità hanno il diritto di esprimere il loro parere; cioè i nostri concittadini, attraverso le autorità locali?

Non entro in merito all’ordine del giorno De Martino. Si voti come si vuole. Si respingerà, si accoglierà, non importa. Io non voglio nemmeno esprimermi al riguardo. Ma soltanto voglio rilevare che l’ordine del giorno De Martino propone una questione ben diversa da quella che è stata esaminata, valutata e deliberata da parte dell’Assemblea Costituente, specialmente sul mio ordine del giorno che l’onorevole Piccioni poco fa ha ricordato. Perciò secondo il mio avviso può benissimo essere posto in votazione. (Applausi).

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Suppongo che i colleghi, almeno molti di essi, sanno come io sia un sostenitore della Regione in cui ho avuto i natali, il Salento. Ciò è risaputo e voglio qui dirlo preventivamente perché poi, in seguito, non possa eventualmente sembrare contradittorio quello che potrà essere il mio atteggiamento nello sviluppo di questa discussione.

La questione delle Regioni, della loro istituzione, è fuori discussione, perché già suparata dalla nostra Assemblea: se bene o male, lo dirà il tempo. È stata superata; onde le preoccupazioni di alcuni colleghi, dell’onorevole Piccioni, per esempio, non credo che abbiano più alcun fondamento. Noi, in questo momento, non più della creazione della Regione discutiamo, sibbene dobbiamo esaminare solo la proposta, che ci viene da più parti, di rinviare alla legge la determinazione e fissazione delle varie Regioni in cui l’Italia deve essere divisa. Mi si potrà domandare perché io, sostenitore fervido della mia Regione – in quanto è stata creata la Regione in Italia – perché io sono oggi disposto ad accedere a questi ordini del giorno i quali rinviano al Parlamento, al futuro Parlamento, la decisione circa le diverse circoscrizioni regionali; perché, rispondo subito, mi è parso che in questo ultimo periodo, specialmente da quando la questione dell’articolo 123 è stata riportata all’Assemblea, mi è parso, dicevo, che vi fosse una specie di crisi nelle coscienze: singolarmente e collettivamente considerate. Abbiamo visto un certo movimento diretto a smuovere posizioni che avevamo ragione di ritenere salde e ferme; movimento che ha base ed origine, sembrerebbe, in interessi diversi dei diversi settori; e può essere spiegato con sopravvenuti interessi di carattere elettoralistico di partiti, perché molti recenti atteggiamenti penso siano ispirati proprio da preoccupazioni di carattere elettoralistico. Ed è così che molti di noi si sono soffermati e sono venuti nella conclusione che forse la questione non è matura per poterla portare alla decisione in questa Costituente così preoccupata dalle prossime elezioni politiche. In verità molte cose sono accadute, vorrei dire assai equivoche, a cominciare dall’atteggiamento del Comitato di coordinamento; il quale, dopo aver fatto una elencazione delle Regioni giusta le decisioni della seconda Sottocommissione, è venuto (e mi si dice neanche in una seduta plenaria, completa, ma ad opera di quattro o cinque che si sono visti nel pomeriggio del 27 luglio di quest’anno) nella determinazione di potere, motu proprio, cancellare quelle che hanno poi arbitrariamente battezzato regioni di nuova formazione, come se, nel nostro diritto, vi fossero mai state Regioni riconosciute…

PRESIDENTE. Onorevole Stampacchia, ho l’impressione che lei non stia parlando della pregiudiziale, ma di un ordine del giorno. Atteniamoci per adesso alla questione pregiudiziale. Se sarà respinta, avrà modo di spiegarci perché ritiene che quell’ordine del giorno debba essere accettato.

STAMPACCHIA. Io mi riferisco al fatto per potere discutere così se l’ordine del giorno in esame può esser messo in votazione, perché – checché ne pensi l’onorevole Piccioni, il quale ritiene che le deliberazioni precedenti costituiscano un impedimento a metterlo in discussione – è evidente che noi non poniamo oggi in discussione la Regione. La Regione è creata. Noi pensiamo però, ci preoccupiamo di farla funzionare bene per non creare dei mostriciattoli che potranno dar poi delle sorprese…

PICCIONI. Dei mostriciattoli mi pare vogliate crearli voi.

RUBILLI. Tutto questo conferma che siamo impreparati a questa riforma.

STAMPACCHIA. Vorrei fare una osservazione agli amici della Democrazia cristiana, ed è questa: che quando loro parlano, noi siamo abituati, almeno io personalmente, ad ascoltarli sereni. Perché allora pensano d’impedirci di parlare con frequenti interruzioni? Perché turbare quella cordialità di rapporti fra Gruppo e Gruppo, che pure, penso, è indispensabile pur la serietà e la più rapida conclusione dei nostri lavori?

Tornando in argomento, io dicevo: noi non c’imbattiamo in nessuna ragione di preclusioni nel Regolamento che c’impedisca di decidere sulla pregiudiziale. Noi, onorevole Piccioni, non vogliamo in questo momento tornare a discutere della Regione. Noi diciamo che la questione Regione – per quella parte che in questo momento è oggetto di discussione – ci appare non matura nella sua completezza perché, come abbiamo inteso, vi sono cento e cento domande diverse ed ognuna di questa è contrastante con le altre.

L’onorevole Lussu ha detto che egli, per quanto attiene al Molise, è in una condizione di favore in quanto che non ha ragioni elettoralistiche che lo muovano; io dico che mi trovo come lui in una condizione di favore, inquantoché tutte e tre le provincie salentine, che chiedono di essere elevate a Regione, sono d’accordo in questa richiesta, è quindi non si può avere alcun sospetto che essa abbia carattere elettoralistico.

Io dico che non siamo maturi questa sera per decidere quali e quante devono essere le Regioni.

Allora, salvo che io non debba ancora parlare più a lungo se fosse respinto l’ordine del giorno in esame, voglio dire che mi associo, e con me gli amici del mio Gruppo, all’ordine del giorno il quale rinvia alla legge la determinazione di tutte le Regioni, perché non sarebbe opportuno che noi questa sera – per la fretta che abbiamo e l’incomprensione di vitalissimi problemi locali – pregiudicassimo le aspirazioni di parecchi settori. In Italia, insomma, e concludo, questa delle Regioni tradizionali e storiche, è una bella trovata, una fantasia di quanti vogliono soffocare le dette aspirazioni. Ogni settore italiano può dire di avere una storia e una tradizione. Vedremo poi (e lo diranno le stesse popolazioni) quali di questi settori meritino o non meritino di essere elevati a Regioni, e il Parlamento sanzionerà allora la volontà dei settori interessati, se un colpo di maggioranza non voglia questa notte soffocare la loro voce.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Onorevoli colleghi, se ho ben compreso, l’onorevole Piccioni ha sollevato una questione pregiudiziale nel senso che si oppone a che venga messo in votazione l’ordine del giorno di cui primo firmatario è l’onorevole De Martino. Ritengo doveroso associarmi a questa pregiudiziale. Il motivo è evidente. L’ordine del giorno, così come è formulato, per i suoi termini stessi e per il suo contenuto, non soltanto rimette in discussione tutto il problema dell’ordinamento regionale come l’abbiamo già esaminato e deciso, ma contradice a tutto l’orientamento che abbiamo dato agli articoli della Costituzione approvati in merito a questo ordinamento. Qualcuno di noi poteva essere d’accordo con questa formulazione all’inizio del dibattito. Qualcuno di noi ha anche sostenuto questo punto di vista e nelle riunioni preparatorie e nelle discussioni nell’Aula; il punto di vista, cioè, che fosse da preferirsi un decentramento esclusivamente amministrativo. Ma questa non è stata la decisione dell’Assemblea; questo non è stato il risultato dei nostri dibattiti che sono durati circa tre mesi. Abbiamo deciso per un decentramento regionale non solo amministrativo, cioè burocratico, ma politico, democratico e in parte anche legislativo, entro quei limiti che abbiamo fissati. Come possiamo oggi con un ordine del giorno contradire a tutto quello che abbiamo fatto in questo senso? Sono d’accordo con l’onorevole Piccioni che questa non sarebbe una cosa seria. Non accetto nemmeno l’argomentazione dell’onorevole Stampacchia secondo la quale potremmo sempre prendere una deliberazione contraria ad una precedente. È vero che una Assemblea legislativa può votare a distanza di alcuni mesi due leggi le quali siano contradittorie, ma la Costituzione è una sola legge. Noi, dal momento che abbiamo iniziato a votare sul primo articolo della Costituzione al momento in cui ne voteremo l’ultimo articolo, compiamo un atto costituzionale secondo una decisione unica e non possiamo contradirci. Anche se l’argomento formale venisse respinto, però rimane sempre l’argomento sostanziale. Se noi oggi contradicessimo all’indirizzo che abbiamo dato a questa parte della Costituzione, riapriremo il problema della Costituzione in generale, perché verremmo a distruggere una delle colonne su cui abbiamo fondato tutto l’edificio che abbiamo sino ad oggi costruito.

Uscendo dal limite della pregiudiziale, ritengo che porre oggi il problema di una consultazione generale di tutta la popolazione italiana, per sapere a quale delle Regioni ciascuna provincia o ciascun comune vogliano appartenere, sia cosa difficilmente accettabile.

MAZZONI. Si seguirebbe un metodo democratico.

TOGLIATTI. Ma si tratterebbe di un rinvio di fatto della organizzazione dell’ordinamento regionale, perché la consultazione richiederebbe uno o due anni e un lavoro enorme.

RUBILLI. Basta sentire gli organi responsabili.

TOGLIATTI. Vogliamo avere le Regioni costituite sulla base delle nostre decisioni nel più breve termine possibile: questa è la nostra aspirazione. Senza porre ostacoli che ci impediscano di arrivare praticamente a questo risultato, lasciamo aperta una possibilità democratica di correzioni. Vi è un articolo che le prevede; applichiamo quell’articolo. Questa è la giusta linea democratica.

Per tutti questi motivi ritengo che questo ordine del giorno non possa essere messo in discussione, perché in contradizione con tutto il risultato attuale del nostro lavoro. (Applausi).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Dopo voci così autorevoli avrei l’obbligo di tacere; però la coscienza mi induce a dire il mio pensiero a proposito della pregiudiziale sollevata dall’onorevole Piccioni.

Noi abbiamo, anche in sede di ordinamento regionale, rinviato tante cose alla legge; e quindi, dal punto di vista formale, non vedo perché non si possa rinviare anche la questione della definizione delle circoscrizioni regionali. Dal punto di vista sostanziale, l’onorevole Piccioni ha adoperato una frase grave; ha detto che con ciò quelli di noi, che siano disposti ad appoggiare l’ordine del giorno di cui si discute, in qualche modo intenderebbero sabotare la riforma regionale. Ora, io mi domando: cosa vuol dire sabotare? Sabotare perché vogliamo rinviare di un anno la definizione delle circoscrizioni regionali? Sabotare perché vogliamo rimandare al Parlamento futuro la definizione di tutte le innumerevoli controversie, che sorgono attorno alle circoscrizioni? A me sembra grave che siasi adoperata tale parola contro chi vuol essere prudente e non vuole improvvisare in una materia così complessa e di tale importanza.

Ma forse si dubita che il futuro Parlamento potrebbe ritornare su questa grave questione dell’ordinamento regionale e non farne più nulla; specialmente se l’esperimento in corso con le autonomie già concesse dovesse, come è probabile, risultare negativo? Forse si dubita che, fra un anno o due, questa malaugurata riforma, di cui ancora oggi vi sono tanti fanatici assertori, potrebbe persino ad essi apparire non più opportuna? Ma, se così fosse, se questo dubbio vi è; sarebbe una ragione di più per non precipitare oggi una decisione su una questione così complessa quale è quella delle circoscrizioni regionali. Molti entusiasmi regionalistici sono già svaniti da quando l’Assemblea ha iniziato i suoi lavori. Forse, tra un anno, i superstiti, fanatici sostenitori dell’incauta riforma potrebbero aprire gli occhi davanti alla realtà, ed accorgersi che il popolo italiano, in questo travagliato dopoguerra, quando vi è da rimettere in piedi l’economia del paese, non ha proprio bisogno di così avventata riforma nella struttura statale, che certamente ritarderà il ritorno alla normalità, all’equilibrio, di cui pur così vivo è il bisogno.

Concludendo, non vedo, a mio modesto avviso, perché non si possa e dal punto di vista della sostanza e da quello formale mettere in votazione l’ordine del giorno De Martino.

COVELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COVELLI. Ritengo, signor Presidente, che si passi da un’enormità all’altra. A parte i funambolismi che vediamo in quest’Aula, per cui taluni settori si presentano oggi in una veste diversa da quella in cui si presentarono qualche tempo fa, non vedo il motivo per cui una manifestazione democratica – dal momento che qui si parla di democrazia e di libertà ad ogni piè sospinto – debba perfino incontrare proposte pregiudiziali come quella dell’onorevole Piccioni. L’ordine del giorno De Martino dice esattamente che, confermando quel che è stato già discusso, cioè la Regione, che a nostro parere è una delle prime sciagure che la Repubblica ha donato all’Italia (Proteste al centro e a sinistra), confermando questo principio acquisito dalla volontà della Costituente, si vuol dare diritto alle popolazioni che debbono costituire queste Regioni, di scegliersi le provincie entro cui debbono essere raggruppate.

Noi sentiamo, per esempio, sviluppare argomentazioni contrastanti perfino da membri dell’Assemblea della stessa provincia e ciò costituisce una prova di più del fatto che oggi non si è nelle condizioni adatte a per poter esaminare i diversi problemi di questa o quella Regione e confermare con gesto antidemocratico e totalitario, onorevole Piccioni ed onorevole Togliatti, delle decisioni su cui non si potrebbe più tornare. (Rumori al centro e a sinistra).

MAZZONI. Solo oggi ve ne siete accorti?

COVELLI. In ogni caso noi invochiamo non solo il diritto di consultare le popolazioni interessate sulla creazione delle Regioni, una volta che è stato acquisito, ma invochiamo oltre tutto che, commesso un errore, ed i precedenti, onorevole Togliatti, i precedenti non sono confortanti per il regionalismo italiano, si corregga e si dia la possibilità alla Regione di vivere domani senza originare ribellioni. Infatti sussiste la preoccupazione, che domani certe provincie non ne vorranno sapere di quello che voi sancite oggi.

Pertanto, non solo riteniamo fuori luogo la proposta di non mettere in votazione l’ordine del giorno De Martino, ma ravvisiamo in essa un manifestarsi di pericolosi principî antidemocratici. (Commenti al centro e a sinistra).

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Parlerò brevemente sulla questione pregiudiziale giacché le argomentazioni esposte per la irricevibilità dell’ordine del giorno De Martino sono più che fondate, dal punto di vista formale e di merito.

Riguardo alla sostanza basta osservare che in concreto il rimandare la determinazione delle Regioni alla legge, cioè il rimandare alle future Camere legislative, significherebbe impedire l’attuazione della riforma, per lo meno per tutte le Regioni d’Italia, salvo quelle che già sono dotate di autonomia; significherebbe impedire che la riforma sia oggi attuata, il che non solo è in contrasto con tutto lo spirito della riforma, ma anche con varie disposizioni tassative del progetto di Costituzione già approvate dall’Assemblea, fra le quali quella relativa al Senato, che deve essere costituito sulla base regionale.

Ora, non approvare oggi l’articolo, che specifica quali debbono essere le Regioni, significherebbe impedire la costituzione di uno degli organi legislativi del futuro Parlamento.

Riguardo alla questione formale, l’onorevole Rubilli, dal suo punto di vista, può anche avere ragione, perché egli effettivamente nel suo antico ordine del giorno negava la utilità di tutto l’ordinamento regionale; però, se non erro, fra gli ordini del giorno che a suo tempo quest’Assemblea esaminò e votò c’era, oltre il suo, un ordine del giorno firmato per primo dall’onorevole Bonomi, nel quale si riconosceva la utilità della riforma regionale, ma si chiedeva il rinvio (qui non ho gli atti, ma si possono confrontare) semplicemente per un più approfondito esame; cioè per lo stesso motivo per il quale si chiederebbe ora il rinvio riguardo alla delimitazione delle circoscrizioni regionali.

Orbene, se l’Assemblea ha deciso l’istituzione della Regione, se l’Assemblea non ha la possibilità di ritornare su questa decisione solenne, se si deve dare esecuzione a quello che l’Assemblea ha già stabilito, è evidente che ciò non può farsi se non arrivando ora – vedremo come dopo – alla delimitazione delle circoscrizioni regionali.

Quindi, la proposta di non accettare, dal punto di vista pregiudiziale, l’ordine del giorno De Martino, è completamente fondata non solo per la sostanza, ma anche per la forma.

COVELLI. Ma perché è fondata? Qui si vuole la disgregazione del Paese.

PRESIDENTE. Onorevole Covelli, la prego.

Ritengo che la discussione sulla pregiudiziale sia stata esauriente; poiché, però, sono stati richiamati alcuni precedenti desidero ricordare che fu nella seduta del 22 luglio che si avanzò una proposta di rinvio dell’articolo 123.

Presentatore della proposta era l’onorevole Fuschini il quale, come risulta dal resoconto sommario della seduta, ne dava ragione rilevando che l’esame di questo articolo avrebbe richiesto un lungo dibattito dati i vari e contrastanti interessi investiti e pertanto sarebbe stato opportuno rinviarne l’esame alla ripresa dei lavori dopo la sospensione estiva. Questa proposta, posta in votazione, fu approvata dall’Assemblea.

Ritengo anche opportuno precisare che gli ordini del giorno richiamati, come quelli che contrasterebbero con la pregiudiziale, sono quelli dell’onorevole Grieco e dell’onorevole Rubilli. Il primo era del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente riconosce la necessità di effettuare un ampio decentramento amministrativo democratico dello Stato, a mezzo della creazione dell’Ente Regione, avente facoltà legislativa di integrazione e di attuazione, per le materie da stabilirsi, onde adattare alle condizioni locali le leggi della Repubblica;

riconosce la necessità della conservazione e del potenziamento dell’Ente Provincia;

decide che il Titolo V si limiti ad affermare i principî costituzionali dell’Ente Regione, rinviando ad una legge speciale la regolamentazione delle funzioni del nuovo Ente e dei suoi rapporti con le Provincie, i Comuni e lo Stato».

L’ordine del giorno Rubilli era così formulato:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che l’istituzione dell’Ente Regione non risponde ad alcuna necessità che si sia realmente manifestata, e non può seriamente ritenersi in alcun modo richiesta o reclamata dal popolo italiano;

che i giusti ed opportuni criteri di decentramento potranno essere attuati indipendentemente dalla creazione di enti regionali;

che ad ogni modo, per ora almeno, una grande riforma come quella che si prospetta per le Regioni non appare, anche secondo il progetto, ben ponderata nelle sue non lievi conseguenze dal punto di vista politico, amministrativo e specialmente finanziario, sicché non sembra possibile, di fronte alle enormi difficoltà del periodo che si attraversa, lanciarsi con leggerezza incontro ad incognite preoccupanti e pericolose;

delibera, anche senza affermazioni vaghe e generiche, le quali potrebbero rappresentare inopportuni ed affrettati vincoli, che sia rinviato senz’altro alla Camera legislativa l’esame di pratici, concreti e completi progetti di legge, sia pure di carattere costituzionale, per un oculato decentramento, che giunga, se possibile, anche ad una riforma regionale, ed intanto sia stralciato dalla Costituzione in esame l’intero Titolo V, relativo alle Regioni e ai Comuni».

Avverto ora che sulla pregiudiziale sollevata dall’onorevole Piccioni, gli onorevoli Vigna, Costantini, Nobili Tito Oro, Tonello, Lopardi, Nobile, Tomba, Vernocchi, Cosattini, Nasi, Costa, Fogagnolo, Tega, Santi, Caldera, Pistoia, Giacometti, Pressinotti, Bernardi, Grilli, Fioritto, Bonomelli hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto.

Poiché sono presenti soltanto tredici firmatari della richiesta, chiedo se questa è appoggiata.

(È appoggiata).

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Io chiedo, sebbene un po’ in ritardo, ai presentatori dell’ordine del giorno De Martino se sono disposti a sopprimere la parola «amministrativo» che si legge nel primo comma del loro ordine del giorno.

Perché mi pare che le affermazioni dell’onorevole Togliatti siano senza dubbio fondate e d’altronde occorre chiarezza prima di prendere una decisione, richiederei appunto questa soppressione.

PRESIDENTE. L’onorevole De Martino, quale primo firmatario dell’ordine del giorno, ha facoltà di rispondere.

DE MARTINO. Non ho difficoltà ad aderire, onorevole Presidente.

PRESIDENTE. Allora, su proposta dell’onorevole Badini Confalonieri e dietro consenso dell’onorevole De Martino, nella sua qualità di primo firmatario, si toglie dall’ordine del giorno in discussione la parola «amministrativo».

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico ora la votazione segreta sulla pregiudiziale dell’onorevole Piccioni, secondo la quale l’ordine del giorno dell’onorevole De Martino ed altri non può essere messo in votazione, perché contrastante con precedenti deliberazioni dell’Assemblea.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti                              310

Votanti                               309

Astenuti                              1

Maggioranza           155

Voti favorevoli        221

Voti contrari            88

(L’Assemblea approva la pregiudiziale).

Hanno preso parte alla votazione:

Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Belotti – Benedetti – Benvenuti – Bernamonti – Bernardi – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bucci – Bulloni – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caronia – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti– Cevolotto – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonnétti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsini – Cosattini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo –De Palma – De Unterrichter Maria – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foresi – Fornara – France-schini – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino.

Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Novella – Numeroso.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggiero Carlo – Ruini.

Saggin – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Santi – Saragat – Scalfaro – Scarpa –      Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Segni – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tosi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Vanoni – Viale – Vicentini – Vigna – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Cavallari.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello.

Tosato.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non si porrà in votazione l’ordine del giorno a firma dell’onorevole De Martino ed altri.

Vi è invece l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Targetti. L’onorevole Moro aveva già fatto, prima della sospensione della seduta, una dichiarazione di voto.

Sull’ordine del giorno Targetti sono stati presentati alcuni emendamenti che ritengo tuttavia non siano, nella loro maggioranza, pertinenti all’ordine del giorno stesso. Di fatto, essi mirano a mutarne completamente il valore e il significato.

L’ordine del giorno Targetti, è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente delibera che, salva la procedura per istituire nuove Regioni, siano nell’articolo 123 istituite le Regioni storico-tradizionali di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche».

Ora, l’onorevole Camposarcuno propone il seguente emendamento aggiuntivo:

«Intendesi compreso fra le Regioni d’Italia il Molise, indipendentemente dall’Abruzzo».

Vi è anche un emendamento aggiuntivo dell’onorevole Codacci Pisanelli:

«Intendesi compreso fra le Regioni d’Italia anche il Salento».

È chiaro che questi non possono essere considerati emendamenti all’ordine del giorno dell’onorevole Targetti, ma proposte a sé stanti, che l’Assemblea esaminerà dopo che si sia votato sull’ordine del giorno Targetti.

Vi è invece un emendamento firmato dagli onorevoli Colitto, Morelli Renato e altri, del seguente tenore:

«Sopprimere le parole: di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche».

Se l’emendamento fosse accolto – e può senz’altro essere posto in votazione poiché è strettamente pertinente al concetto dell’ordine del giorno dell’onorevole Targetti – questo dovrebbe essere ridotto a questa formulazione: «L’Assemblea Costituente delibera che, salva la procedura per istituire nuove Regioni, siano nell’articolo 123 costituite le Regioni storico-tradizionali».

Comunque mi pare questo l’unico emendamento che possa essere preso in considerazione in questa sede.

Se l’ordine del giorno dell’onorevole Targetti non venisse accolto, allora gli emendamenti dell’onorevole Codacci Pisanelli e dell’onorevole Camposarcuno si ripresenterebbero come emendamenti al testo proposto dalla Commissione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Ritirerei il mio ordine del giorno e aderirei all’emendamento dell’onorevole Camposarcuno.

Non capisco, ve lo confesso, la portata dell’emendamento Colitto-Morelli ed altri per cui verrebbe a sparire l’ultima parte «pubblicazioni ufficiali statistiche».

Che cosa si intende dire con questa frase? Lo chiederei all’onorevole Targetti. Quali sono queste «pubblicazioni ufficiali statistiche»? È nelle «pubblicazioni ufficiali statistiche» compreso il Molise? A me non pare che sia compreso. Per queste ragioni, io sarei favorevole anche all’ordine del giorno Targetti con l’emendamento aggiuntivo Camposarcuno, ordine del giorno, che si dovrebbe votare per divisione, a mio parere, perché si può votare e per la prima parte e per la seconda.

PRESIDENTE. L’onorevole Ambrosini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

AMBROSINI. La Commissione accetta l’ordine del giorno Targetti per vari ordini di considerazioni. In sostanza si tratta di precisare per il momento quali debbono essere le Regioni.

Le considerazioni che hanno portato la Commissione ad accettare questo ordine del giorno sono di opportunità e di merito. Di opportunità, perché andare ora a fare le indagini relativamente a tutte le situazioni particolari con le lungaggini correlative e le discussioni che si protrarrebbero a lungo, significherebbe portare una grave remora alla economia tutta del progetto. Ragioni di sostanza: devo anzitutto fare un accenno all’emendamento del quale si è fatto eco l’onorevole Lussu, col quale si chiede la soppressione delle ultime parole dell’ordine del giorno Targetti «di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche». La Commissione ritiene che debba mantenersi anche quest’ultima parte dell’ordine del giorno, perché se si dicesse soltanto: «Le Regioni storico-tradizionali», potrebbe nascere qualche questione, mentre se si aggiunge «di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche», si fa un riferimento preciso, che elimina ogni equivoco. Il che non impedisce, naturalmente, che revisioni rispondenti ai desideri delle popolazioni possano essere disposte da questa Assemblea e dalle future Camere legislative.

Detto questo, rispondo subito alla domanda che va al cuore della questione posta dall’onorevole Colitto. Egli dice: come mai la Commissione dei diciotto ha accettato un ordine del giorno che muta il deliberato precedente. Anzi, se non sbaglio, egli tassativamente ci chiede: «Quale fatto nuovo è avvenuto?».

Egregio collega Colitto, il fatto nuovo è evidente: il progetto fu redatto in base al riconoscimento delle provincie come circoscrizioni di decentramento statale e regionale. Quando questa Assemblea, con una deliberazione precisa, riconobbe le provincie quali enti autarchici, evidentemente spostò su questo punto fondamentale l’asse del progetto. Nel primo tempo, data quella configurazione della provincia, io e diversi altri componenti del Comitato sentimmo di poter aderire alle richieste dei rappresentanti di talune piccole regioni, perché gli inconvenienti derivanti dalla ristrettezza della circoscrizione regionale sarebbero stati in parte diminuiti dal fatto che le provincie non avrebbero avuto una propria specifica rappresentanza, una propria finanza, dei propri uffici, ecc. Ma, quando l’Assemblea spostò questo, che era uno dei punti fondamentali del progetto, allora evidentemente bisognava rivedere le posizioni. Infatti se è possibile, ed anche forse consigliabile, che le provincie siano conservate come enti autarchici in una grande Regione, come ad esempio la Sicilia, ciò non è possibile nelle piccole Regioni, composte di poche provincie e specie di due provincie, dove avverrebbe una sovrapposizione di funzioni e di organi, incompatibile con un buon funzionamento degli istituti. La situazione diventerebbe ancora più complicata nel caso di una Regione composta di una sola provincia. È il caso del Molise. I colleghi sanno che io fui sensibile di fronte alle richieste del Molise e che ne determinai quasi, nel primo tempo, il riconoscimento come Regione a sé stante. Non fui io che presi l’iniziativa di revocare quel riconoscimento. Ma non posso negare che ora, con la provincia ente autarchico, ci troveremmo in questa posizione veramente strana, di una Regione la quale nello stesso tempo è provincia. Ed allora come si spiegherebbe la coesistenza di un Consiglio provinciale e un’Assemblea regionale?

MORELLI RENATO. Ma la provincia non fa parte dell’ordinamento costituzionale.

AMBROSINI. Io dissi a lei, onorevole Morelli, e dissi all’onorevole Camposarcuno che vi era una soluzione; vi suggerii una possibilità; e mi meraviglio come voi non ne abbiate approfittato. Voi avreste dovuto proporre che il progetto a questo punto subisse una modifica nel senso che alla provincia del Molise si dessero le attribuzioni della Regione, facendone una provincia con lo status di Regione; col che si sarebbero eliminati gli inconvenienti e l’assurdità suaccennati.

Comunque, al punto in cui siamo arrivati, noi, come Commissione, abbiamo accettato l’ordine del giorno dell’onorevole Targetti, con l’intesa però che debba essere integrato da un articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Mortati, e credo approvato da parecchi Gruppi di questa Assemblea; articolo aggiuntivo nel quale si fa salva, infra cinque anni dall’approvazione della Costituzione, la possibilità di modificazione o, meglio ancora, di fusione e di creazione di nuove Regioni, senza (e con questo, onorevoli Morelli e Camposarcuno, credo di essere venuto incontro al vostro desiderio), senza richiedere le condizioni speciali previste dall’articolo 125, che potrebbero rappresentare una preclusione specialmente per il Molise. Ora, data questa situazione, data l’impossibilità, o per lo meno l’estrema difficoltà, di continuare le indagini, dati i contrasti (perché, purtroppo, io ho sentito la voce degli onorevoli Bosco Lucarelli ed altri contrari al vostro assunto), dati i contrasti che si sono manifestati fra le varie regioni e le difficoltà che ha l’Assemblea di decidere, il Comitato ha creduto di accettare per il momento una soluzione che può risolvere le difficoltà attuali senza pregiudicare per nulla l’avvenire, specie per il Molise. È per queste complesse ragioni di opportunità e di merito, sulle quali in seguito forse noi dovremo tornare, che il Comitato accetta l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Targetti.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevole Presidente, io ho presentato all’ordine del giorno Targetti un emendamento, che lei ha ricordato dianzi. Se lo consente, vorrei brevemente svolgerlo. Onorevoli colleghi, sono vivamente turbato, nel prendere a quest’ora così tarda la parola per difendere quello che al Molise sembra un sacrosanto diritto. Sono turbato, perché pensavo che l’Assemblea dovesse essere concorde nel riconoscerlo. Nel nostro Molise sono venute personalità di prim’ordine di tutti i partiti. Recatesi sul posto, avendo sentito i bisogni del nostro paese, non hanno esitato un istante a dire, sulle piazze, che sarebbero venute nel Parlamento a sostenere le ragioni del Molise. Da ultimo, il Ministro dei lavori pubblici, onorevole Tupini, in tutte le piazze del Molise è venuto a. dire: «Avete ragione!». E adesso io vedo con dolore infinito la Democrazia cristiana concorde nel sostenere il contrario. Il Molise è un paese di montanari. Crede di trattare con persone, che hanno scritto sulla loro bandiera: lealtà! lealtà! lealtà! Ora noi non la vediamo, o signori della Democrazia cristiana, questa lealtà nei confronti della nostra terra. Ed io sono dolente di dover dichiarare che, come sulle piazze del Molise siete venuti a dire che difendevate il nostro buon diritto, io andrò predicando che il Molise non avrà raggiunto le sue idealità, per le quali combatte da trenta anni, proprio per colpa della Democrazia cristiana. Ognuno assuma, in questo momento particolarmente delicato per il mio paese, le sue responsabilità. Noi sapremo trarre le conseguenze.

Io propongo che sia eliminata dall’ordine del giorno Targetti l’ultima frase: «di cui alle comunicazioni ufficiali statistiche». Perché? Rispondo subito alla domanda.

Io sono d’accordo con i presentatori dell’ordine del giorno Targetti nel criterio informatore, che dovrebbe regolare la determinazione delle Regioni nel nuovo assetto costituzionale dello Stato.

Qual è questo principio informatore? Si vogliono le Regioni storiche tradizionali. (Commenti). E sia. Ma volete usarmi, onorevoli colleghi, la cortesia, prima di prendere una qualsiasi decisione, di ripiegarvi un po’ sulle carte, in cui è scritta la storia del nostro Paese? Volete tener presente quello che è stato il Molise nei confronti dell’Abruzzo dal 1861 in poi? Volete tener presente quello che sta facendo il Governo, in questo momento, nei confronti del Molise o dell’Abruzzo? Lo volete tener presente? O, solo perché avete fretta, volete, signori, distruggere la vita del nostro Molise? (Commenti al centro). Abbiate bontà. È stato l’onorevole Chatrian nel nostro Molise è ha detto che abbiamo ragione. Vi è stato l’onorevole Restagno ed ugualmente lo ha detto. (Interruzioni al centro).

GRONCHI. Abbia il senso delle proporzioni. Il Molise schiavo dell’Abruzzo, che enormità!

COLITTO. Ma chi lo ha detto? Io sto ricercando il criterio che presiede alla determinazione delle Regioni. Si vogliono per il momento porre nell’elenco solo le Regioni di carattere storico. Ed allora io vorrei domandare agli insigni avversari della mia tesi, dove hanno letto che il Molise non è una Regione storica tradizionale.

Nel 1861 il Molise dal Governo italiano fu unito all’Abruzzo.

Una voce al centro. Non c’era Tupini, allora!

COLITTO. Le questioni che interessano il Paese non si risolvono con le battute di spirito o con simpatici sorrisi. Assumete, signori, le vostre responsabilità! (Rumori al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, credo che si sia avuta la possibilità di constatare, da quando ho l’onore di presiedere questa Assemblea, che io garantisco il diritto di parlare a tutti, e pertanto vi prego di permettere all’onorevole Colitto di proseguire.

COLITTO. Nel 1861 il Molise fu unito dal Governo italiano (Interruzione al centro) all’Abruzzo. Ma quel che interessa sottolineare è questo: che fu all’Abruzzo unito soltanto per ragioni statistiche, soltanto per ragioni statistiche. Ciò è ricordato anche dal giornale «La Costituente» del 15 ottobre dello scorso anno.

Ci troviamo, quindi, di fronte a due Regioni, l’Abruzzo ed il Molise, che, sebbene contigue, costituiscono da secoli, dal punto di vista geografico, etnico ed economico, due Regioni distinte, le quali vennero, ai primordi del Regno d’Italia, riunite, ripeto, soltanto per ragioni statistiche. Ora, che cosa domandiamo noi? Ripiegate un istante, onorevoli colleghi, su voi stessi e considerate quello che noi chiediamo. Che cosa chiediamo? Chiediamo di rimanere nella condizione in cui ci troviamo, e non di essere posti in una posizione deteriore. Chiarisco il mio pensiero. Fin quando si è trattato di unione dell’Abruzzo e del Molise per ragioni statistiche noi non abbiamo risentito danno dalla vicinanza con l’Abruzzo. Tutta la legislazione italiana, che naturalmente i miei illustri avversari dovrebbero conoscere e sulla quale dovrebbero soffermarsi per poter decidere cognita causa della questione, tutta la legislazione italiana, dicevo, ha sempre tenuto distinto l’Abruzzo dal Molise. Quando alcuni anni fa furono creati i provveditorati regionali per le opere pubbliche, fu creato quello per gli Abruzzi e Molise con sede in Aquila, perché si occupasse anche del Molise. Ebbene, dopo qualche anno, il Molise dovette essere distaccato dal provveditorato regionale predetto ed aggregato a quello di Napoli. Quando furono creati i provveditorati agli studi regionali, ne fu istituito uno nell’Abruzzo ed uno nel Molise. E proprio in questi ultimi anni si è sentita la necessità di creare una sottocommissione regionale dell’industria per il Molise, un ufficio regionale per l’assistenza post-bellica con sede in Campobasso, una sezione pel Molise dell’Azienda nazionale autonoma delle strade statali e si è riconosciuto dall’Istituto nazionale assistenza per malattie ai lavoratori avere il Molise diritto ad un suo rappresentante.

L’onorevole Lussu, che io ringrazio dal profondo del cuore, a nome dei Molisani tutti per le belle parole da lui pronunciate, ha già detto in quante altre occasioni il legislatore ha tenuto presente l’Abruzzo distaccato e separato dal Molise.

Che cosa ora chiediamo noi? Chiediamo che le cose restino come sono. Che cosa possiamo chiedere di meno, onorevoli colleghi? Desideriamo che le cose restino come sono, e cioè che Abruzzo e Molise restino in quella situazione, nella quale dal 1861 si trovano. Non ci opponiamo a che si continuino a mandare le statistiche ad Aquila: le continueremo a mandare. Le dobbiamo continuare a mandare a Pescara o a Chieti? Le continueremo a mandare. Ma, se si approva il progetto così come è stato proposto, il Molise viene a far parte di un organismo, che, data la sua struttura, assume rilevanza nel campo giuridico, nel campo tecnico, nel campo economico, nel campo agricolo. Ed allora enormi saranno i suoi danni.

Pensi l’Assemblea che Aquila è la capitale del compartimento assicurativo Aquila-Campobasso.. Ebbene il Ministero ha dovuto alla fine disporre che la liquidazione degli infortuni si svolga a Campobasso, perché per andare da Campobasso ad Aquila occorrono tre giorni.

Vi dicevo, onorevoli colleghi, che quello che sto affermando per il Molise è stato riconosciuto da membri illustri di questa Assemblea. Tutti hanno detto che abbiamo ragione; ma lo hanno detto soprattutto i deputati, le associazioni ed i Consigli provinciali dell’Abruzzo, con una generosità, con una benevolenza, con una serenità, con una obiettività degna del massimo elogio. Essi hanno proclamato, rivolgendosi a noi: avete ragione. Il Molise ha ragione di essere considerato come una Regione a sé stante.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, ecco perché io dico di approvare l’emendamento Targetti, ma di sopprimere le parole: «di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche». È ridicolo, signori, che si debba provvedere alla determinazione delle Regioni d’Italia in base al criterio delle pubblicazioni ufficiali statistiche! Se questo criterio viene soppresso, allora noi diciamo: sono Regioni d’Italia le Regioni storiche tradizionali. E, poiché non è dubbio che dal secolo XII il Molise è stato il Molise, io credo che non esista in Italia una Regione, che dal punto di vista storico meriti più del Molise di essere riconosciuta come Regione a sé stante nel quadro del nuovo ordinamento costituzionale dello Stato. (Applausi).

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. L’ordine del giorno Targetti propone che, salva la procedura per istituire nuove Regioni, siano nell’articolo 123 costituite le Regioni storiche tradizionali, di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche.

Noi abbiamo due testi, uno preparato dalla prima Sottocommissione, e poi votato dalla Commissione dei Settantacinque, ed un altro emendato in seguito al coordinamento da parte del Comitato, il quale ha creduto di coordinare modificando l’articolo 123. Ho inteso le spiegazioni dell’onorevole Ambrosini, esimio costituzionalista, che ci ha detto che, se nel testo veniva introdotta la provincia come un ente amministrativo facente parte della Regione, poteva dare luogo ciò ad una modifica di coordinamento.

Io non sono perfettamente convinto di questo e credo che l’Assemblea debba avere davanti a sé il testo che fu votato dalla Commissione dei Settantacinque; perché non era nelle funzioni del Comitato di coordinamento (di cui anch’io feci parte ad un certo momento) di poter modificare sostanzialmente un articolo precedentemente votato dalle Sottocommissioni, articolo che sostanzialmente, come abbiamo inteso dalla accorata parola dell’onorevole Colitto, può rappresentare la voce delle popolazioni che noi presentiamo qui direttamente, in quanto ognuno è legato alla sua origine, alla sua situazione, alla sua terra. Io sento di essere ferito profondamente da questa modifica sostanziale portata da parte del Comitato coordinatore.

Le ragioni modificative portate non mi soddisfano, perché è stato detto che le Regioni attuali – avendo la provincia carattere di ente amministrativo – non potevano essere modificate e non potevano formarsi Regioni più piccole; basta pensare che la Basilicata rimane sempre come una di quelle Regioni conservate dal Comitato coordinatore, pur essendo sostanzialmente una provincia, e così pure l’Umbria, che effettivamente è stata sempre una sola provincia, o altre di quelle che sono fra le 14 conservate dal Comitato di coordinamento.

Quindi, non è esatta l’osservazione presentata dall’onorevole Ambrosini, che si doveva portare per necessità una modifica sostanziale all’articolo 123. Io penso che gran parte di questa bufera serale non ci sarebbe stata se l’articolo 123 fosse venuto nel suo testo originale.

D’altra parte io dico: quando l’Assemblea ha votato questo ordine del giorno che cosa ha fatto? Ha fatto un testo costituzionale? No. Dobbiamo tornare daccapo e stabilire quali sono queste Regioni storiche tradizionali, ed allora mi pare che ha ragione l’onorevole Colitto. Vale la pena di votare questo ordine del giorno se dobbiamo tornare a stabilire quali sono le Regioni storiche tradizionali? Perché non si trova in Italia la storia tradizionale se non risaliamo molto indietro nel tempo.

Per esempio nel Mezzogiorno, dal 1000 in poi, attraverso normanni, angioini, aragonesi, non c’è stata che una sola organizzazione statale: il regno di Napoli, le forme amministrative assunte in questo complesso statale, forme amministrative che hanno preso caratteristiche diverse a seconda delle diverse epoche. Ma se tradizioni ci sono state, sono state tradizioni puramente amministrative. Ora l’amministrazione, non fa la storia. Ed allora, quali sono le forme storiche di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche?

Ora, diciamo, nel testo di un ordine del giorno che vorrebbe essere di indirizzo costituzionale, affidarci soltanto alle forme statistiche ufficiali mi pare assurdo. Quindi, se vogliamo tenere il senso della nostra responsabilità rispetto alle popolazioni che rappresentiamo, diciamo francamente quali sono queste Regioni. Non è che voglio discutere di questa o di quell’altra Regione; io voglio risparmiare ora questa indagine. Rimettiamoci ad una Commissione: nominiamo noi, se vogliamo, una Commissione. Ma credete, onorevoli colleghi, non si tratta di una piccola cosa, sulla quale si può ridere o irridere: è una cosa sostanzialmente sentita da alcune popolazioni, che sarebbero defraudate del loro diritto se non faremo bene questa costruzione della Repubblica su forma regionale. (Applausi a destra).

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Io mi riferisco a quel giusto richiamo che lei, onorevole Presidente, mi ha fatto poco fa. Il fatto si è che volevo evitare una discussione la quale mi sembra non si debba sollevare in questo momento. Il Molise infatti, se le mie cognizioni sono esatte, non raggiungerebbe i 500 mila abitanti, ed è pertanto necessario discutere prima la questione di carattere generale proposta con l’articolo 125 del testo della Commissione. Detto articolo parla di Regioni che potrebbero essere create qualora raggiungessero un minimo di 500 mila abitanti.

Vorrei, in buona sostanza, osservare (e per questo motivo mi sono permesso di interrompere l’oratore) che abbiamo una questione generale da risolvere, in base alla decisione della quale la questione del Molise potrà, oppur no, venire in discussione.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Faccio osservare all’onorevole Badini Confalonieri che l’articolo 125, da lui richiamato, riguarda le Regioni che saranno create ex novo, dopo che sarà entrata in vigore la Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Rivera ha proposto di aggiungere alle parole «regioni storico-tradizionali» la parola «ante-fascismo». (Commenti). L’onorevole Rivera ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

RIVERA. Onorevoli colleghi, non mi sembrava che occorresse, in una Assemblea come questa, una spiegazione particolare di questa aggiunta che vorrei fosse fatta alle parole «storico-tradizionali», che peraltro sarebbe pleonastica, in quanto ritengo che il periodo fascista non appartenga al periodo storico-tradizionale italiano.

Però io ho inteso qui un argomento, che cioè questa Assemblea non intende portare delle variazioni alla antica costituzione e delimitazione delle Regioni, in quanto vuole che ciò avvenga solo per auto-decisione da parte delle stesse popolazioni, successivamente, in variazione di quello che sarà il ripristino delle Regioni storico-tradizionali.

Orbene, io dico: se vogliamo riconoscere alle popolazioni questo diritto di cambiare nel futuro la costituzione da quella antica delle nostre Regioni, noi dobbiamo parimenti dichiarare di non volere riconoscere nessuna di quelle variazioni territoriali che fossero avvenute nelle Regioni durante il periodo fascista. A me sembra, cioè, che, se vogliamo risparmiarci l’arbitrio di fare mutamenti nella costituzione storica e tradizionale delle nostre Regioni, dobbiamo preliminarmente condannare l’arbitrio di mutamenti fatti dal fascismo durante il periodo in cui imperversò nel nostro Paese.

Questo è lo spirito del mio emendamento, che raccomando alla vostra benevolenza. Non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ambrosini a esprimere al riguardo l’avviso della Commissione.

AMBROSINI. Io debbo brevemente rispondere alle nobili parole dell’onorevole Grassi. Tutti i miei colleghi della Commissione ed io abbiamo sentito il richiamo dei colleghi che parlavano in nome della loro Regione; senonché abbiamo visto che era impossibile arrivare ad una soluzione perché, quando nella Sottocommissione riconoscemmo al Molise la capacità di essere Regione, sorsero naturalmente le richieste di altri onorevoli colleghi, suffragate dal consenso delle rispettive popolazioni, per domandare lo stesso trattamento.

Siccome poi tutte queste richieste andavano al punto tale da complicare non poco il sistema, si arrivò a quella decisione salomonica delle Regioni storiche tradizionali. Indubbiamente l’ottimo non è possibile; ma poiché questa Assemblea deve por termine ai suoi lavori il 31 dicembre e poiché una ricerca in proposito assorbirebbe di certo molto tempo, non solo per la ricerca in se stessa, ma anche e forse più per le discussioni che avverrebbero di conseguenza, questa è la ragione di opportunità cui io accennai e per la quale il Comitato di coordinamento credette di accedere all’ordine del giorno Targetti.

Aveva questo potere? Lo aveva, sì, perché il Comitato aveva ricevuta in questo senso una delega amplissima. Io debbo tuttavia dichiarare con molta chiarezza che a quest’ultima formulazione non presi parte, perché mi sentivo quasi legato ad una precedente decisione. Debbo però onestamente soggiungere, per dovere di coscienza – come ho dichiarato anche questa mattina al mio Gruppo – che debbo assumere io pure questa responsabilità, perché, adottando una decisione che vada incontro alle richieste di una parte di Regioni o di una Regione, noi saremmo fatalmente costretti, per un dovere di coerenza e di onestà, ad esaminare per lo meno tutte le altre richieste. Ci ritroveremmo allora in quel groviglio cui prima ho accennato e dal quale non ci fu possibile districarci or è circa un anno.

Onorevoli colleghi, io non vado alla questione di sostanza che ha ripreso l’onorevole Grassi; questa questione prenderebbe molto tempo. D’altra parte, non è proprio l’ora. Ma che un ordinamento regionale basato su una sola provincia possa essere cosa opportuna e fattibile, io assolutamente nego.

BOZZI. Sono funzioni diverse quelle della provincia.

AMBROSINI. È indubbio, onorevole Bozzi. Quando l’Assemblea ha approvato il mantenimento della provincia come ente autarchico, ha certamente voluto non solo conservarle quelle funzioni molto ristrette che ha oggi, ma ha creduto di segnare un indirizzo, per cui la provincia dovesse essere potenziata. Ciò nondimeno, noi non dobbiamo dimenticare che vi sono per ogni Regione assemblee rappresentative, uffici inerenti a queste assemblee e uffici degli enti.

Ora, tutto naturalmente può farsi: ma dalla complicazione di tutti questi organismi, è evidente che non potrebbe mai derivare un bene per le popolazioni.

Una voce a sinistra. E poi sempre sei senatori come per la Lombardia!

AMBROSINI. Questa è un’altra questione. Gli egregi colleghi sanno che io non ero favorevole ad attribuire alle varie Regioni un numero fisso ed eguale, anche minimo, di rappresentanti nel Senato, perché tale sistema richiamava quello federale. Ma non posso negare che ha una sua logica. Ma non dobbiamo adesso occuparci di questo argomento.

Vado alla conclusione: mi rendo perfettamente conto delle aspirazioni e dell’ansia, dello slancio accorato di parecchi onorevoli colleghi; però ritengo che, salvo a rimettere in discussione tutto il problema, al punto in cui siamo, noi non potremmo che accedere a quella che è la via segnata nell’ordine del giorno Targetti. E nel finire, tornando al Molise, debbo dire che ce ne siamo preoccupati nei vari stadi di elaborazione del progetto ed anche ora. Ed in proposito, all’egregio onorevole Colitto, che tanto aspra parola ha voluto lanciare contro il Gruppo al quale appartengo – quasi minacciando di metterlo alla gogna davanti alle popolazioni del Molise – io debbo aggiungere questo: che il Gruppo della Democrazia cristiana si è tanto preoccupato della situazione del Molise da arrivare a proporre l’articolo aggiuntivo, in virtù del quale sarà possibile al Molise di chiedere la modificazione della situazione attuale «anche senza il concorso delle condizioni di cui all’articolo 125» del progetto di Costituzione.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare sul mio emendamento. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, onorevoli colleghi.

Onorevole Codacci Pisanelli, quando abbiamo incominciato questo esame dell’ordine del giorno dell’onorevole Targetti, mi sono permesso di mettere in evidenza che, degli emendamenti presentati, alcuni evidentemente non potevano essere presi in considerazione. E lei sa che il Regolamento dà una certa facoltà a questo proposito al Presidente del l’Assemblea.

Credo che lei stesso sia d’accordo con me quando io dico che il suo emendamento di fatto viene a contraddire all’affermazione contenuta nell’ordine del giorno Targetti. Non è pertanto un emendamento all’ordine del giorno Targetti; è un’altra proposta.

Io vorrei che si riconoscesse la ragionevolezza di queste mie osservazioni e che l’Assemblea stessa, o anche direttamente gli interessati mi evitassero l’obbligo spiacevole di dover io, con la mia autorità, impedire ad un collega di sostenere la presa in considerazione di una proposta inammissibile.

Ad ogni modo le do la facoltà di parlare, onorevole Codacci Pisanelli.

CODACCI PISANELLI. Mi rimetto completamente alla sua decisione; volevo soltanto precisare che non ritenevo si trattasse di un emendamento in contradizione con l’ordine del giorno Targetti, in quanto penso sarei riuscito a dimostrare che il Salento deve essere considerato fra le Regioni storiche italiane. Comunque mi rimetto a lei, non disturberò più oltre l’Assemblea, specialmente quando di fronte ad un problema grave come l’attuale, nonostante la correttezza e la dignità dell’atteggiamento sempre da me tenuto, noto segni di intolleranza nei miei riguardi. (Commenti).

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’ordine del giorno Targetti e degli emendamenti che sono stati presentati.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento, malgrado i chiarimenti forniti in contrario, con onesta parola, dal Relatore onorevole Ambrosini, perché la mia determinazione di votare in tal senso dipende da uno stato d’animo e da una convinzione.

Lo stato d’animo è di sorpresa. Tutte le elaborazioni della Commissione su questo argomento sono come «collaudate» dalle informazioni contenute in un foglietto che, per quanto anonimo, deve essere considerato ufficiale, in quanto redatto e pubblicato a cura della stessa Commissione, nel quale si legge: «Concludendo, delle nuove Regioni proposte, il solo Molise ha riscosso l’approvazione quasi generale degli Enti interpellati». Ebbene, malgrado questa constatazione, il Molise è scomparso dalle Regioni elencate nel precedente testo della Commissione.

La convinzione è questa: che, dal nuovo ordinamento che si è voluto dare allo Stato italiano, deriva necessariamente il rispetto delle Regioni storico-tradizionali. Io non voglio quindi girare intorno all’argomento opposto da un uomo politico dell’autorità dell’onorevole Piccioni e da un giurista del valore dell’onorevole Ambrosini: che il Molise ha una sola provincia. Ma secondo me le provincie non hanno niente a che fare con la struttura fondamentale dello Stato. Se c’è una provincia estesa come quella di Campobasso che raggruppa oltre 140 comuni, essa può essere modificata in avvenire e divisa in due o tre provincie (c’è già una proposta per la zona di Isernia). Viceversa io credo che l’Assemblea debba in tutta serietà considerare che il Molise ha una estensione quasi uguale a quella della Liguria ed una popolazione quasi uguale a quella dell’Umbria e della Basilicata..

Non è quindi contemplando l’esistenza di una sola provincia che possiamo risolvere il problema, ma guardando al carattere storico-tradizionale delle Regioni ed alle reali esigenze delle popolazioni. E pongo termine alla mia dichiarazione con la preghiera, rivolta soprattutto ai partiti che ritengono di avere una rappresentanza de jure di tutti i lavoratori, di tener presente che i lavoratori molisani, gente semplice e povera, saranno costretti a far capo alla lontana Aquila, come capoluogo di Regione, il giorno in cui il Molise venisse aggregato agli Abruzzi.

SPALLICCI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SPALLICCI. Io dichiaro che voterò in favore dell’ordine del giorno dell’onorevole Targetti, sia pure con qualche riserva. Accolgo l’invocazione del Relatore, onorevole Ambrosini, di non gettarci nel groviglio delle discussioni, che potrebbero essere di una difficoltà inaudita, sulle divisioni e suddivisioni delle circoscrizioni regionali. Io comprendo che l’Assemblea non ha nessuna intenzione di trasformare quest’Aula in una fiera di vanità municipali. Credo che ognuno abbia amore alla piccola Patria regionale contemperato coll’amore per la grande Patria italiana. Quindi rinunzio anche a quell’emendamento che avevo presentato per la mia Regione romagnola che volevo creare autonoma, divisa dal resto dell’Emilia. (Commenti). Non condivido il criterio dell’onorevole Targetti che parla delle Regioni «storico-tradizionali di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche» per quanto la Romagna possa anche considerarsi, sia dal lato storico, sia dal lato geografico, rientrante anche in questo ordine di idee. Ma dico soprattutto, in omaggio a quello che stabilisce l’articolo 125, che creazioni di Regioni nuove possono essere fatte indipendentemente da queste «pubblicazioni ufficiali statistiche», e non c’è bisogno di riferirsi a queste, quando le popolazioni interessate vogliano fondere vecchie Regioni o crearne di nuove.

Ad ogni modo, ripeto, rinunzio al mio emendamento, però desidero che rimanga agli atti questo desiderio che è espresso, sia pure in linea molto subordinata, cioè del riconoscimento in avvenire di una Regione autonoma romagnola che comprenda realmente la vera Romagna, non la Romagna delle quattro legazioni pontificie – Ferrara, Bologna, Forlì, Ravenna – ma la vera Romagna, che comprenda due Provincie, Forlì e Ravenna con la costituenda di Rimini e il circondario di Imola, come ci dà la possibilità di sperare l’emendamento Mortati.

LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Ho la convinzione che possiamo votare l’ordine del giorno Targetti con l’emendamento Camposarcuno. E credo che questo possa essere consentito, di modo che quelli che si trovano nella mia situazione possano votare senza equivoci. Desidererei pregare i firmatari dell’ordine del giorno Colitto perché rinunzino al loro emendamento di soppressione delle «pubblicazioni ufficiali statistiche», perché si potrebbe discutere all’infinito per sapere se il Molise sia storico o no, mentre è molto più chiaro l’emendamento aggiuntivo Camposarcuno. Debbo dire che io voto con tranquilla coscienza questo ordine del giorno più l’emendamento aggiuntivo Camposarcuno, nonostante le dichiarazioni del collega onorevole Ambrosini. E debbo dire che le sue dichiarazioni, contrariamente alle sue abitudini, al suo temperamento, e al suo passato, mancano di un certo coraggio. Egli ha chiesto in sostanza: come faccio io a votare per il Molise, della cui autonomia regionale sono convinto? Dovrei anche votare per le altre Regioni.

AMBROSINI. No.

LUSSU. Allora, per gentilezza, segua il mio esempio che è molto chiaro. Io voto per il Molise, perché mi pare che, costituito l’ente Regione in Italia, sia ingiusto che noi condanniamo il Molise a pendere dall’Aquila; e non voterò per le altre nuove Regioni, per le quali mi rimetto al futuro Parlamento. Ma per il Molise è indispensabile provvedere immediatamente; per le altre no. E debbo aggiungere, perché vorrei che ai colleghi non sorgesse nessun sospetto: il collega Colitto ha parlato di personalità che hanno visitato il Molise: io non sono una personalità. Comunque io non sono mai andato dalla guerra in poi nel Molise perché non volevo, in nessuna forma, farmi, sia pure minimamente, commuovere o inebriare, fra le altre cose, dal vino locale, ché è eccellente. Parlo quindi in modo assolutamente obiettivo.

Poi mi permetto dirle, onorevole collega Ambrosini, che la storia della provincia non regge un solo minuto in piedi. Il Molise non potrebbe costituirsi in Regione perché è provincia unica? Ma è l’ideale. Avere una Regione che è provincia unica è l’ideale. Ma, se proprio si volesse, nel Molise si potrebbero costituire due provincie e persino tre! Comunque, io dico che una provincia unica regge magnificamente come Regione. Le disposizioni transitorie potrebbero agevolmente regolare la questione.

SERENI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SERENI. Mi associo a quanto ha detto or ora l’onorevole Lussu. Insieme con un gruppo di deputati comunisti del Mezzogiorno voterò l’emendamento Colitto. Precisiamo che intendiamo dare al nostro voto all’emendamento Colitto un significato esclusivo per quanto concerne il Molise.

FIORITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FIORITTO. È chiaro che se viene approvato l’ordine del giorno Targetti, saltano via tutti gli emendamenti e tutte le proposte di aggiunta di nuove Regioni. Io sono fra i proponenti della Regione Daunia e credevo che si sarebbe arrivati alla discussione del perfezionamento di questa polverizzazione dell’Italia in varie Regioni. Ora non entro più nel merito. In un momento in cui l’Assemblea è commossa dalle parole degli onorevoli Colitto, Lussu e Sereni, in favore del Molise, non voglio profittare della commozione e spezzare una lancia per questa suddivisione. Ho preso la parola soltanto per dichiarare che voto l’ordine del giorno Targetti con una riserva sulla frase che accenna alle Regioni storico-tradizionali, poiché questo ordine del giorno ha un carattere provvisorio: quando noi affermiamo in esso che le Regioni provvisoriamente saranno divise in quel modo come sono state divise nell’ultimo elenco della Commissione per ragioni storiche e tradizionali, noi veniamo a pregiudicare quella che sarà l’azione legislativa futura, poiché avremo già affermato un carattere storico tradizionale, ed io devo richiamare l’attenzione dei colleghi, che hanno presentato emendamenti per la creazione di altre Regioni, sull’impegno che essi prendono sottoscrivendo senza riserve la frase «storico-tradizionale». Epperò, con questa esplicita riserva, posso votare l’ordine del giorno Targetti.

CAMANGI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMANGI. Il Gruppo repubblicano voterà l’emendamento del collega Colitto, intendendo con questo stabilire che fra le Regioni storico-tradizionali il Gruppo riconosce il Molise.

GHIDINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. L’onorevole Ambrosini è stato facilmente profeta quando ha osservato che, accogliendosi l’emendamento Colitto per quanto si riferisce al Molise, si suscitavano le questioni che si riferiscono alle altre circoscrizioni delle quali hanno parlato, anche poco fa, i colleghi: la Romagna, il Salento, la Daunia ecc. Per mio conto ritengo che il dilemma sia questo: o noi accettiamo il nuovo testo proposto dal Comitato di coordinamento, il quale contiene l’elencazione di queste Regioni – siano poi Regioni le quali siano tali per ragioni economiche, storiche o geografiche, questo non m’importa – oppure accettiamo la nuova formulazione fatta dal Comitato di redazione. Non c’è altro. Per mio conto, se voto l’ordine del giorno Targetti, lo voto in quanto si voti anche l’emendamento Mortati; perché anche la Regione Emiliano-Lunense può vantare ragioni non soltanto di carattere economico ma anche di carattere storico veramente imponenti. Non so se l’Assemblea conosca queste ragioni; ma se dovessimo entrare nel merito sarebbe agevole esporre le ragioni di carattere economico e storico che militano a favore della Emiliano-Lunense. Non mi trattengo sull’argomento e mi riservo di farlo in altra occasione. Meglio lo potranno far altri. Intendo pertanto che questa istanza sia implicita nell’ordine del giorno Mortati. Ma se oggi fosse votato l’emendamento a favore del Molise, dovrebbero tornare alla ribalta anche le questioni che riguardano il Salento, la Daunia, e l’Emiliano-Lunense.

Voterò, con questa riserva e con questo chiarimento, l’ordine del giorno Targetti-Lami Starnuti la cui ragione fondamentale penso sia questa: che oggi non possiamo non votare le circoscrizioni regionali, in quanto sono il presupposto e il fondamento di altri istituti già consacrati nella Costituzione.

AMBROSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMBROSINI. Due parole per fatto personale. L’onorevole Lussu ha detto che la mia determinazione sarebbe stata determinata da debolezza e quasi da mancanza di coraggio. No, assolutamente no. Se sono conciliante, non è per debolezza, ma per temperamento di conciliazione; e divento fermo e non cedo quando così mi detta la coscienza. Di questa fermezza e di questo coraggio credo di aver dato prova anche oggi, assumendo la responsabilità di un’adesione all’ordine del giorno Targetti, al quale pure ero stato estraneo, e più ancora assumendone la difesa, pur sapendo le opposizioni ed i risentimenti, infondati e ingiusti, ma sempre risentimenti che avrei suscitato.

CAMPOSARCUNO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPOSARCUNO. Onorevoli colleghi, vi chiedo pochi minuti di benevola attenzione, perché il problema, che si sta agitando in questo momento, non interessa un Partito, ma un’intera nobilissima Regione, che attende il responso della nostra Assemblea.

Il Molise, onorevoli colleghi, non è una delle Regioni nate di recente, ma affonda le sue origini nei millenni (Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Camposarcuno, tenga presente che, quando numerosi deputati firmano la stessa proposta, è implicito che v’è delega ad uno di svolgerla: e l’emendamento di cui lei parla è stato già svolto. Si limiti a una dichiarazione di voto.

CAMPOSARCUNO. Fra le Regioni storiche vi è anche il Molise, che vuole essere distaccato dagli Abruzzi. (Interruzioni a sinistra,). Questa sua volontà è stata dimostrata in ogni tempo e in diverse circostanze; le enumero solamente, senza commento.

Quando nelle elezioni politiche del 1921 (Interruzioni à sinistra) si creò il collegio elettorale Avellino-Benevento-Campobasso, il senso di ribellione dei molisani fu così vivo, che i candidati di tutti i partiti si rifiutarono di far parte delle proprie liste nella circoscrizione e si presentarono in unica lista regionale contraddistinta dallo stemma del Molise. Non valsero a farli recedere da tale decisione lusinghe e disciplina di partito. La volontà popolare ebbe accenti di disperazione che non fu possibile contenere. Nel 1922 (Interruzioni a sinistra) vi fu il primo congresso regionale molisano svoltosi a Campobasso. Il grido di dolore del Molise per la sua umiliante situazione fu di una solennità austera. Fra gli altri problemi fu dibattuto quello della Regione; si riconobbe avere il Molise i caratteri geografici, storici, economici, sociali e spirituali per costituire Regione a sé stante; si rilevò che il Molise si trovava in una condizione ibrida e svantaggiosa; si affermò solennemente la necessità del Molise Regione e si invocò dal Governo il riconoscimento di tale diritto, a torto misconosciuto. (Commenti a sinistra).

Durante il regime fascista non fu possibile parlare di autonomia regionale: ma appena riapparvero i primi segni di libertà, dopo la dittatura e la violenza, il Molise tornò alla sua battaglia con inesausto vigore.

Il primo Comitato molisano di liberazione, in occasione della formazione della Consulta Nazionale, alla unanimità, rivendicò per il Molise il diritto di essere riconosciuto Regione.

In vista del nuovo ordinamento statale, il problema si è reso ancora più vivo. Nel 1945 la Deputazione provinciale del Molise rivendicò ancora una volta il diritto antico di avere il riconoscimento regionale. Un riconoscimento aveva dato anche il fascismo, perché quando furono creati regionalmente i Provveditorati agli studi, il Ministro della pubblica istruzione istituì il Provveditorato agli studi del Molise con sede in Campobasso.

Di recente il Ministro per l’industria e il commercio, creando delle sottocommissioni regionali per l’Italia meridionale, ne ha istituito una nel Molise, con sede in Campobasso.

Il Ministro dell’assistenza post-bellica, istituendo i suoi organi regionali in tutta l’Italia, ha riconosciuto il Molise come Regione, creando un ufficio regionale in Campobasso.

Oggi vi è il Comitato di agitazione «Pro Molise» che, interpretando l’unanime volontà dei molisani amanti della propria terra, ha lanciato ancora una volta l’allarme per la realizzazione dell’antico sogno di tutti i molisani. Nel novembre del 1946, in occasione del secondo Congresso regionale svoltosi in Campobasso, furono presenti i rappresentanti di tutti i Comuni, di tutti gli enti, dei sindacati, della Camera del lavoro, dei partiti, della cultura. Ancora una volta la realtà s’impose e la necessità del riconoscimento regionale, data la impossibilità di unire il Molise alle altre provincie confinanti (Foggia, Benevento, Caserta) per diversità di aspirazioni, di storia, di tradizioni, di costumi, di linguaggio, apparve imperiosa e indilazionabile. L’ordine del giorno che chiuse i lavori del Congresso ne fu la dimostrazione più luminosa ed inequivocabile.

Alla Commissione dei Settantacinque ed alla seconda Sottocommissione dell’Assemblea Costituente sono state illustrate le ragioni che vanta il Molise per il suo riconoscimento regionale. Ed il Molise è stato proposto quale Regione a sé stante.

La risoluzione del problema è per il Molise di una urgenza indilazionabile. Sono perciò assai perplesso e sorpreso, dopo tutti questi precedenti, delle tendenze manifestate da diverse parti dell’Assemblea di rinviare l’esame della questione molisana.

Io elevo qui il grido di dolore della mia gente che attende di essere liberata da una situazione umiliante.

Io mi inchinerò innanzi alle decisioni dell’Assemblea, ma riaffermo ancora una volta il diritto del Molise di essere riconosciuto Regione a sé stante.

E dico, ad alta voce, che i molisani non desisteranno dalla loro santa lotta sino a quando non sarà resa ad essi giustizia. È questo un solenne giuramento che faccio innanzi agli uomini e innanzi a Dio.

Deve essere riparato l’errore commesso con la unità d’Italia, quando, per la impreparazione e la incomprensione delle classi dirigenti del tempo, si unì «ufficialmente e statisticamente» il Molise agli Abruzzi. Fu un errore funesto perché fra gli Abruzzi e il Molise non vi è stata, né vi poteva essere, alcuna opera comune, essendo diversi i bisogni, gli interessi, le usanze, le tradizioni delle due Regioni. Sono differenti le condizioni dell’agricoltura, dell’industria, della viabilità, dell’ordinamento giudiziario.

La stessa denominazione dell’attuale artificiosa circoscrizione – Abruzzi e Molise – dimostra chiaramente che di due Regioni se ne è fatta, con arbitrio inqualificabile, una sola.

Poche e malagevoli sono le strade di comunicazione fra gli Abruzzi e il Molise; difficili, anche nella stagione buona, i rapporti con l’Aquila; per giungervi da Campobasso occorrono giornate intere di viaggio; nei mesi invernali, le comunicazioni sono assolutamente interrotte. Praticamente le due Regioni sono state sempre divise, con completa autonomia di azione, con disagio e danno infinito, particolarmente del Molise.

Tale situazione dolorosa deve cessare ad opera dell’Assemblea Costituente.

Invoco giustizia, nell’assoluta e ferma convinzione e certezza di interpretare il pensiero unanime di tutta la gente molisana.

Consentite, infine, onorevoli colleghi, che vi chieda di non commettere un altro errore che porterebbe a conseguenze illogiche. Se il Molise non fosse riconosciuto come Regione a sé stante, verrebbe a trovarsi in una delle condizioni più inverosimili. Rimanendo nello stato attuale, dovrebbe procedere alla elezione del Senato con gli Abruzzi e all’elezione della Camera legislativa con Benevento. (Rumori a sinistra).

DE CARO RAFFAELE. Con quattrocentomila abitanti ha sei senatori!

CAMPOSARCUNO. Io vi chiedo che il Molise sia effettivamente riconosciuto Regione a sé stante, anche se le altre questioni regionali debbono essere, in questo momento, rinviate.

È questo un atto di giustizia e di equità: è, soprattutto, una verità che l’Assemblea Costituente, sono sicuro, riconoscerà con la sua votazione. (Applausi).

LOPARDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOPARDI. Nato in Abruzzo, vissuto sempre in Abruzzo, oso affermare con tutta coscienza, che nella mia esperienza di cittadino, di amministratore, di professionista e di uomo politico, ho sempre constatato la totale estraneità della vita del Molise dalla vita dell’Abruzzo, per sentimenti, affetti ed interessi. Tutte le amministrazioni pubbliche dell’Abruzzo, tutte le deputazioni provinciali e tutte le maggiori municipalità della mia terra hanno espresso voto favorevole alla costituzione in Regione autonoma del Molise. Per queste ragioni, tenendo presente i sentimenti che animano la mia terra, dichiaro che voterò a favore dell’emendamento in discussione.

PRESIDENTE. Passiamo alle votazioni sull’ordine del giorno dell’onorevole Targetti di cui do lettura:

«L’Assemblea Costituente delibera che, salva la procedura per istituire nuove Regioni, siano nell’articolo 123 costituite le Regioni storico-tradizionali, di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche».

Pongo in votazione la prima parte: «L’Assemblea Costituente delibera che, salva la procedura per istituire nuove Regioni, siano nell’articolo 123 costituite le Regioni storico-tradizionali».

(È approvata).

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Rivera di aggiungere la parola «antifascismo».

(Non è approvata),

Passiamo ora all’ultima parte del testo dell’ordine del giorno Targetti del quale è stata chiesta la soppressione dagli onorevoli Colitto, Morelli Renato e altri: «di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche».

Su questa ultima parte dell’ordine del giorno Targetti vi è una richiesta di votazione a scrutinio segreto, presentata dagli onorevoli Moro e altri.

LUSSU. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Chiedo un chiarimento sul preciso significato della votazione. L’eventuale accoglimento dell’emendamento Colitto significa costituzione della Regione Molise, sì o no? Bisogna dirlo, altrimenti discuteremo, dopo, delle ore per l’interpretazione di questo punto. Io preferirei che i firmatari dell’emendamento Colitto si associassero all’emendamento Camposarcuno, che è chiaro.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. In tanto non mi sono associato all’emendamento Camposarcuno inquanto ho avuto l’impressione che il signor Presidente non intendesse mettere in votazione quegli emendamenti aggiuntivi. Se invece l’emendamento Camposarcuno viene messo in votazione, io non trovo difficoltà ad associarmi.

PRESIDENTE. A me pare che chi è più in condizione di poterci dare l’esatto significato della eventuale soppressione di queste parole, siano i colleghi i quali hanno redatto l’ordine del giorno Targetti. Non è evidentemente dall’interpretazione che si dà alla proposta di soppressione di queste parole che si potrà sapere che cosa vuole significare la formulazione da votare.

Ha pertanto facoltà di parlare l’onorevole Lami Starnuti, che ha svolto l’ordine del giorno.

LAMI STARNUTI. Avevo già dichiarato, svolgendo l’ordine del giorno, che intendevamo aderire al nuovo testo del Comitato di redazione e che per Regioni storiche noi intendevamo esattamente, e solamente, quelle indicate nel nuovo testo della Commissione. Aggiungo che noi non accettiamo né l’emendamento dell’onorevole Colitto, né quello dell’onorevole Camposarcuno.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ritengo che si possa risolvere il quesito procedendo in questo modo: votando adesso la soppressione delle ultime parole dell’ordine del giorno e poi i due emendamenti che ho dichiarato non strettamente pertinenti. Ma, poiché, forse, senza quella votazione potrebbe restare un equivoco sul significato della decisione dell’Assemblea, metterò in votazione, successivamente, le due proposte che si riferiscono appunto l’una alla inclusione eventuale fra le Regioni storico-tradizionali dell’Abruzzo l’altra, per equità, del Molise e del Salento.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Faccio presente all’Assemblea che, con le parole che si vorrebbe sopprimere, si è stabilito un principio che sarebbe molto pericoloso modificare; perché, se torniamo alle Regioni tradizionali senza la specificazione che si tratta delle Regioni come ora sono costituite, alcune di esse – ad esempio il Lazio – verrebbero profondamente modificate; la provincia di Rieti non è tradizionalmente nel Lazio (è stata aggiunta dopo); la provincia di Latina comprende ora anche Formia, che non faceva parte del Lazio, il cui confine storico è subito dopo Terracina.

Noi, con la soppressione dell’ultima parte dell’articolo proposto, veniamo a modificare la struttura di alcune Provincie e di alcune Regioni. Non è senza ragione che si è fatto quel richiamo alle Provincie quali risultano delle statistiche ufficiali.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. La soppressione dell’ultima parte dell’ordine del giorno Targetti-Lami Starnuti equivale all’annullamento dell’ordine del giorno stesso. Io ho cercato di comprendere le conseguenze che ne deriverebbero: la proposta è tale da annullare completamente il valore dell’ordine del giorno Targetti-Lami Starnuti. Io penso che se si intendeva puramente e semplicemente annullare il valore di tale ordine del giorno, bastava votare contro di esso: non c’era nessuna ragione per adottare questa forma complicata. Ma io credo che invece c’è in questa Assemblea un certo numero di colleghi che, pur condividendo integralmente l’ordine del giorno Targetti-Lami Starnuti, vuole però stabilire determinate eccezioni per l’una o per l’altra Regione. Ed allora noi dobbiamo semplificare la votazione in questo modo: dobbiamo o votare prima sulle eccezioni eventuali, oppure sull’ordine del giorno dell’onorevole Targetti, riservandoci di votare poi sulle eccezioni eventuali.

In ogni caso, quindi, bisognerebbe escludere la votazione sull’emendamento Colitto.

Se il Presidente concede questa riserva, e cioè concede la riserva di votare le eccezioni eventuali dopo la votazione dell’ordine del giorno Targetti, credo che l’onorevole Colitto possa tranquillamente ritirare la sua proposta.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Dati i chiarimenti offerti dal signor Presidente, penso che sia inutile una votazione sull’emendamento da me presentato.

Io dichiaro formalmente di ritirarlo, se, come ha detto il signor Presidente, sarà posto in votazione l’emendamento aggiuntivo. Allora su questo l’Assemblea potrà votare.

Io rinunzio, quindi, alla mia proposta.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. A me pare che se noi votiamo l’intero testo dell’ordine del giorno Lami Starnuti, col riferimento finale, non sia possibile votare successivamente una eccezione a questo criterio, ove fosse stabilito.

Altrimenti, dovremmo concludere che quell’ultima frase dell’ordine del giorno a cui i presentatori hanno dato uno specifico significato sia, invece, priva di ogni valore effettivo.

Evidentemente, una votazione chiara avverrebbe – secondo il nostro modestissimo avviso – in questi termini: o si vota l’intera dizione dell’ordine del giorno Lami, e allora risultandone che oggi, costituzionalmente, le Regioni non sono altre che quelle comprese nell’articolo 123 del nuovo testo della Commissione, coloro i quali intendono apportare aggiunte per il Molise o per altre Regioni, voteranno contro. Fra parentesi, il nostro pensiero in questa materia è che non si può pensare di sollevare la questione per una sola Regione. Amico Lussu, lei sentirà il nostro amico Micheli battersi sul suo stesso terreno, sostenendo che le stesse ed equivalenti ragioni obiettive che esistono per il Molise ci sono anche per la sua Regione (Interruzioni dei deputati Colitto e Lussu). E così altri colleghi: poiché è innegabile che in questa discussione non manca neppure un «pathos» rispettabile che anima e riscalda le parole dei difensori delle nuove Regioni, quasi che esse gemessero sotto i ceppi di una straniera altra nazione che le angaria. Chiudo la parentesi ed accenno all’altro termine: la votazione sarà pure chiara qualora sia mantenuta divisa l’ultima parte del collega Lami Starnuti. Infatti chi voterà per la soppressione di questa ultima parte potrà riservarsi di proporre in sede dell’articolo 123 e il Molise e il Sannio e la Daunia e altre novissime Regioni; mentre chi voterà contro la soppressione è evidente, invece, che intende non aggiungere altre Regioni in confronto a quelle tradizionali. Noi siamo, quindi, per il mantenimento della votazione per divisione sull’ultima parte dell’ordine del giorno Lami Starnuti.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, poiché l’onorevole Colitto ha dichiarato di ritirare il suo emendamento soppressivo dell’ultima parte del testo dell’ordine del giorno Targetti, chiedo ai presentatori della richiesta di votazione a scrutinio segreto se la mantengono.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Vorrei capire il senso del ritiro di questo emendamento da parte dell’onorevole Colitto.

Credo che il collega Gronchi sia stato molto chiaro. Il senso dell’ordine del giorno è questo; votandolo integralmente, intendiamo precludere la via al riconoscimento di nuove Regioni, almeno in questo momento. È evidente che noi diamo questo senso alla votazione. Vorremmo sapere se, dopo avere votato in questo senso, qualora l’articolo fosse approvato, taluno possa venire a chiedere il riconoscimento di altre Regioni. Vorrei sapere cioè qual è il senso che, accanto alla interpretazione che diamo noi, conferiscono gli altri colleghi a questa votazione.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Non condivido la opinione espressa dall’onorevole Gronchi: il richiamo alle statistiche si riferisce agli Abruzzi e al Molise considerati come una sola Regione.

Chiedo quindi che si proponga all’Assemblea una votazione che riguardi il distacco del Molise dagli Abruzzi, che del resto è propugnato dagli stessi abruzzesi.

Soltanto a questa condizione noi potremmo ritirare l’emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Colitto e all’onorevole Morelli se, di fronte alle dichiarazioni dell’onorevole Gronchi e dell’onorevole Moro a tenore delle quali questa votazione, se positiva, avrà un carattere preclusivo, intendono mantenere la loro dichiarazione di rinunzia all’emendamento soppressivo, o se abbiano invece mutato il loro atteggiamento.

COLITTO. Evidentemente lo abbiamo mutato, onorevole Presidente; insistiamo sul nostro emendamento.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Abbiano la bontà i colleghi della Democrazia cristiana di voler permettere che si chiarisca il più possibile la votazione.

L’onorevole Gronchi dice: chi vota per l’ordine del giorno Targetti vuole implicitamente che si escluda qualsiasi emendamento aggiuntivo. Ora, sotto questo riguardo, io debbo dichiarare che vi sono in quest’Aula parecchi colleghi, ed io sono fra questi, che non condividono il pensiero ufficiale della Democrazia cristiana. (Commenti al centro).

Qual è il problema infatti? Il problema è questo: di fronte a questa questione delle nuove Regioni, la Democrazia cristiana si trova in una situazione diversa da quella in cui si trovano molti fra noi, in quanto essa è obbligata a sostenerle tutte o ad avversarle tutte. Noi no. Molti fra noi intendono votare sì per il Molise e la sospensiva per le altre.

La Democrazia cristiana è obbligata a sostenere tutte queste Regioni, oppure a non sostenerne nessuna. Invece in quest’Aula vi sono, io credo, più che parecchi, molti, i quali votano «sì» per il Molise – perché la situazione del Molise è particolare (e non insisto) – e votano «no» per la Daunia, o che so io. Sia allora consentito a questi colleghi di esprimersi secondo la loro coscienza; il problema non si può eludere. Trovi il Presidente il modo di votare: o prima il Molise, o dopo; ma non precluda, per chi vota l’ordine del giorno Targetti, la possibilità di altre votazioni. Perché io ed altri intendiamo votare quell’ordine del giorno, ma intendiamo di avere anche il diritto di votare per altre Regioni. (Applausi a destra).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei dire una parola, perché credo di essere io responsabile della discussione. La frase «secondo le pubblicazioni ufficiali statistiche» l’ho suggerita proprio io (Commenti a sinistra), perché intendevo riferirmi ad un dato di fatto: quando noi diciamo «Piemonte», non v’è niente nella legislazione italiana che definisca il Piemonte; ed allora ho pensato che per definire il Piemonte occorra riferirsi a quello che si chiama «Piemonte» nelle «pubblicazioni ufficiali statistiche». Credo poi che vi sia la possibilità di mantenere intatto l’ordine del giorno Targetti, senza compromettere, come afferma il collega Gronchi, il problema del Molise, perché in tutte le statistiche voi trovate «Abruzzi», «Molise», «Abruzzi e Molise», in maniera che quando noi abbiamo votato «Regioni secondo le indicazioni ufficiali statistiche», non ci siamo per nulla vincolati a fare degli Abruzzi e del Molise una sola Regione, perché in sede di elencazione delle Regioni, prevista dal nuovo testo del Comitato di coordinamento, quando arriveremo agli Abruzzi e Molise, potremo votare se queste Regioni statisticamente si debbano considerare come una o come due regioni.

Non mi pare perciò il caso di togliere il periodo che l’amico Colitto vorrebbe levare, perché altrimenti non avremmo nessuna definizione delle Regioni a cui riferirsi. Potremo rimandare la questione del Molise al risultato di una votazione separata.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Sono costretto a riprendere la parola, perché queste varie e diverse interpretazioni rendono sempre più difficile il capire che cosa votiamo.

Ora, è autorevolissima l’opinione dell’onorevole Corbino relativa a questa inclusione negli annuari statistici del Molise, ma mi pare che ciò sia in contraddizione con l’interpretazione ufficiale che l’onorevole Lami Starnuti ha dato al suo ordine del giorno.

Mi perdoni l’Assemblea, ma per evitare contestazioni successive alla votazione, pregherei i presentatori dell’ordine del giorno di chiarire univocamente che cosa intendono con l’espressione che stiamo per votare.

PRESIDENTE. Onorevole Moro, i presentatori dell’ordine del giorno hanno già, a più riprese, chiarito il loro pensiero.

MORO. Mi permetta: v’è una domanda dell’onorevole Lussu e v’è anche una interpretazione dell’onorevole Corbino. Credo che sia legittimo sapere quale significato dà la Presidenza a questa votazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino non è presentatore dell’ordine del giorno e pertanto ciò che egli ha detto, lo ha detto a titolo di informazione. Ma l’onorevole Lami Starnuti, che è firmatario e che ha svolto l’ordine del giorno, ha detto all’Assemblea in qual modo interpreta il suo ordine del giorno.

PICCIONI. Quindi è preclusivo di altri emendamenti, nel caso che sia accettato, compreso quello dell’onorevole Colitto. Altrimenti facciamo delle votazioni superflue.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Se questo può tranquillizzare maggiormente gli onorevoli Moro e Piccioni, io aggiungo la mia voce a quella dell’onorevole Lami Starnuti, come altro firmatario dell’ordine del giorno, per precisare che l’integrale votazione dell’ordine del giorno è indubbiamente preclusiva di qualsiasi altra votazione.

PRESIDENTE. Dopo queste precise dichiarazioni, possiamo passare alla votazione: coloro che ritengono che, oltre alle Regioni elencate nel nuovo testo dell’articolo 123 presentato dalla Commissione, devono esserne aggiunte altre, ad esempio il Molise come sostenuto da alcuni, tengano conto che, votando il testo integrale dell’ordine del giorno Targetti, rendono poi impossibile la realizzazione di questo loro desiderio. È evidente che, chi vuol lasciare la via aperta a queste inclusioni, data l’interpretazione dell’ordine del giorno Targetti, dovrebbe votare contro.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Questa volta, onorevole Lussu, le chiedo venia, ma ormai la questione è chiarita e non posso più dare la parola a nessuno. (Approvazioni).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Passiamo, pertanto, alla votazione dell’ultima parte dell’ordine del giorno Targetti: «di cui alle pubblicazioni ufficiali statistiche», per la quale, come si ricorda, è stato chiesto lo scrutinio segreto.

Avverto che, coloro i quali sono favorevoli all’emendamento soppressivo proposto dall’onorevole Colitto, voteranno contro.

Indico la votazione segreta.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Interrogazioni e interpellanze con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico, intanto, che sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sulla opportunità di agevolare il passaggio ai consorzi degli ortofrutticoltori e alla loro Associazione delle attrezzature strumentali del cessato ente, perché siano sollecitamente messe in piena attività, nell’interesse dei relativi servizi e ai fini di utilità generale.

«Canevari».

«Al Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga assolutamente indispensabile prorogare di almeno un mese il termine per la presentazione delle denunce riguardanti la imposta straordinaria sul patrimonio, in quanto la legge relativa è stata pubblicata soltanto in data 25 ottobre 1947 in un supplemento della Gazzetta Ufficiale, non ancora noto, né a Roma, né tanto meno nelle province, ed in quanto mancano le istruzioni ministeriali necessarie per rendere possibile in pratica la presentazione delle denunce.

«Persico».

«Al Ministro delle finanze, perché dica se non creda opportuna una ulteriore, definitiva e congrua proroga del termine per la presentazione delle denunzie ai fini della imposta straordinaria sul patrimonio, atteso che il decreto 11 ottobre 1947, n. 1131, contenente le disposizioni relative all’imposta stessa, è stato pubblicato soltanto il 25 corrente in apposito supplemento della Gazzetta Ufficiale.

«Perrone Capano».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri degli affari esteri e della difesa, per conoscere se intendano avviare o se già abbiano avviate iniziative per il rimpatrio delle salme di caduti italiani sepolti in territorio estero; e, in caso affermativo, quali provvedimenti si intenda adottare per sopperire alle spese inerenti alla traslazione delle salme stesse o, almeno, per aiutare economicamente quelle famiglie di caduti che intendessero affrontare l’onere relativo.

«Geuna, Giacchero».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’agricoltura e foreste e del tesoro, per sapere se non intendano – visto l’articolo 6 del decreto legislativo 1° luglio 1946, n. 31 (Lex 1946, p. 904) e visto il decreto ministeriale 3 luglio 1947 (Lex 1947, p. 1307, n. 27) – decretare che il contributo da erogarsi a favore delle aziende agricole, che hanno subito danni di guerra, non venga limitato – come stabilisce l’articolo unico del sullodato decreto ministeriale 3 luglio 1947 – alle sole 20 province a sud della linea gotica, che venga esteso anche a tutte quelle province dell’Italia settentrionale, che hanno subito i maggiori danni nella lotta partigiana per la liberazione; ad esempio, la trascuratissima provincia di Torino, nella quale vi sono parecchie centinaia di aziende agricole che sono state completamente distrutte dalla furia vandalica delle orde nazi-fasciste e che nulla ancora hanno ricevuto, quale contributo statale, per la ricostruzione dei loro beni mobili strumentali.

«Geuna, Stella, Giacchero, Scotti Alessandro».

Mi riservo di darne notizia ai Ministri competenti perché facciano sapere quando intendano rispondere.

Comunico, inoltre, che è stata presentata la seguente interpellanza con richiesta di svolgimento urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’industria e commercio:

1°) sull’atteggiamento che il Governo intende di assumere nei confronti della situazione creatasi nel Paese in seguito all’offensiva padronale per guadagnare mano libera nel licenziamento dei lavoratori, situazione che ha provocato l’odierno sciopero dimostrativo, deciso dal Consiglio generale delle leghe di Milano, e sta per determinare l’estensione delle agitazioni e degli scioperi in molti altri centri;

2°) sul punto di vista del Governo in merito alla opportunità di procedere al riconoscimento giuridico dei Consigli di gestione, i quali si sono dimostrati nelle recenti esperienze come gli organi più propri a interpretare e rappresentare gli interessi generali della produzione, evitando che essi possano essere compromessi dall’inasprirsi dei conflitti.

«Morandi, Lombardi Riccardo, Giacometti, Lizzadri, Nenni, Malagugini, Giua, Barbareschi, Grazia Verenin, De Michelis, Sansone, Pressinotti, Bonomelli, Fiorentino, Vischioni».

Chiedo all’onorevole Presidente del Consiglio di comunicare quando ritiene che possa essere svolta.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo ha promesso che provocherà delle riunioni con entrambe le Confederazioni. Comunque esso segue attentamente tutte le fasi con la massima attenzione e nell’interesse delle classi lavoratrici.

Dirà in una delle sedute odierne quando avrà completato la raccolta di tutti gli elementi affinché il dibattito sia efficace e conclusivo.

MORANDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORANDI. Considerando l’importanza dei fatti chiedo, a nome anche degli altri firmatari, lo svolgimento con tutta urgenza dell’interpellanza, prima che l’Assemblea prenda le vacanze. La situazione che ha provocato lo sciopero odierno di Milano è a tutti nota. Per effetto del decreto Fanfani è stata precipitata la temporanea soluzione della intricata e complessa questione dello sblocco dei licenziamenti. Il Ministro del lavoro ha bensì protratto i termini che erano stati stabiliti nel decreto, e che hanno determinato una vera corsa ai licenziamenti da parte degli imprenditori, ma intanto la minaccia di essere privati di lavoro incombe su decine e decine di migliaia di lavoratori. D’altra parte, l’atteggiamento assunto da parte padronale è caratterizzato, a parer nostro, da una serie di casi prospettanti una falcidia del tutto ingiustificata delle maestranze. Il che scopre forse altri fini che non siano quelli della eliminazione della mano d’opera esuberante. E di questo noi giustamente ci preoccupiamo. Lo sciopero di Milano deve essere di grave avvertimento. Il Governo deve dare serio affidamento di voler meglio ponderare la questione e risolverla d’accordo con l’organizzazione sindacale. Ed è in una tale condizione che riteniamo acquisti oggi tutta una nuova attualità il riconoscimento giuridico dei Consigli di gestione che si sono dimostrati – tipico il caso dell’Ansaldo – gli organi di mediazione più adatti per la risoluzione di questi conflitti di interesse. L’interpellanza, ritengo, potrebbe essere svolta in una delle sedute odierne.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Dico subito che, alla ripresa dei lavori, oggi stesso, indicherò il giorno in cui potrò rispondere.

In quanto all’atteggiamento del Governo non avrei nessuna difficoltà a rispondere subito, perché esso risulta abbastanza chiaro da documenti e da conferenze, sicché non dobbiamo che comunicare quello che abbiamo fatto.

Se si affronta questo problema, vorrei che fossimo in grado di fissarne la estensione e la profondità, dando delle assicurazioni tranquillanti a questa massa in agitazione. Per questo dico: lasciatemi il tempo di poter fare delle precisazioni; oggi, nel pomeriggio, senz’altro.

MORAND1. Non è nostra intenzione cogliere di sorpresa il Governo, ma si tratta di questioni urgenti (Commenti) per cui s’impone una sollecita trattazione della materia.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Poiché l’onorevole Morandi mi ha chiamato in causa ed ha voluto attribuire l’origine di questo fenomeno al decreto, che ha chiamato Fanfani, devo immediatamente precisare come di decreti, che potrebbero chiamarsi Fanfani, ve ne sono diversi.

MORANDI. Mi riferivo al decreto dell’agosto scorso.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Evidentemente, quello dell’agosto è un decreto Fanfani, ma stilato con l’accordo della Confederazione generale del lavoro e della Confederazione degli industriali dopo molteplici discussioni e abbinato ad un accordo fra le parti promosso dal Governo, perché le parti non riuscivano ad intendersi, a proposito delle Commissioni interne; e fu tanto concordato fra la Confederazione degli industriali e la Confederazione generale del lavoro, che il Governo fu pregato di attendere, prima di sottoporlo alla firma, che le due Confederazioni avessero firmato l’accordo per il famoso articolo 2 delle Commissioni interne.

Una voce a sinistra. Non si parlava allora di smobilitazione, come si parla ora.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. In quella occasione le parti che si incontrarono ed il rappresentante del Governo, che presiedeva la riunione, furono preoccupati del duplice aspetto della questione: problema della gradualità e problema dell’assistenza.

In quella circostanza, su richiesta delle parti, fu protratto il termine utile per procedere allo sblocco, in condizioni tali da garantire un minimo di assistenza ai lavoratori, dal mese previsto inizialmente, a due mesi. Il decreto fu pubblicato il 12 settembre; il termine veniva a decorrere dal 13 settembre al 13 novembre. Naturalmente, quando le parti, negli ultimi contrasti, fecero presente come non fosse opportuno mantenersi in questi 60 giorni, per non far sì che la generalità dei licenziamenti avvenisse nei primi giorni di novembre, il Governo di buon grado accedette al suggerimento di protrarre ancora il termine, anzi le parti richiesero un mese, nella riunione che ebbero e che fu promossa dal Presidente del Consiglio. Il Governo ritenne opportuno di andare oltre le richieste delle parti e poiché il mese di proroga sarebbe scaduto il 13 dicembre, al Governo parve bene prorogarlo fino al 31 dicembre. Inoltre vi è stato, sempre per iniziativa del Governo, un nuovo incontro ancora lunedì scorso e fu confortante, almeno per chi assisteva, constatare che Confindustria e Confederazione generale italiana del lavoro intravedevano la possibilità di procedere alla richiesta di una ulteriore proroga allo scopo di attuare la massima gradualità possibile, in coincidenza con l’entrata in vigore di altri provvedimenti, diretti a riassorbire questa mano d’opera licenziata, per essere riqualificata al momento opportuno, e per i quali provvedimenti il Governo, ancor prima di questa riunione, aveva fatto lo stanziamento opportuno di due miliardi ed aveva promesso un decreto che nei giorni scorsi è stato comunicato nel suo testo alle due Confederazioni affinché, prima che il Governo proceda all’integrale approvazione del decreto sui corsi di riqualificazione dei lavoratori licenziati, le due Confederazioni potessero far sapere il loro punto di vista ed aiutare il Governo a trovare la forma più concreta e più adatta per questa opera di riqualificazione.

Posso dire di più: questa sera mi sono state comunicate dalla Confindustria le osservazioni che aveva da fare in proposito e l’onorevole Di Vittorio, col quale ho trattato il problema, mi ha assicurato che domani potrà comunicarmi anch’egli le osservazioni necessarie a far sì che questo provvedimento vada il più lontano possibile per accogliere la massima parte delle esigenze prospettate e, se possibile, per sodisfarle tutte. Poiché il Governo non vuole aspettare per provvedere che gli eventi si siano verificati, avant’ieri ha già tenuto una riunione con i dirigenti dell’I.R.I. per studiare uno specifico problema, quello dei licenziamenti dalle aziende dell’I.R.I., con particolare riferimento alla città di Genova. A seguito di quella riunione, ieri sera i dirigenti dell’I.R.I. si sono incontrati col Ministro dei lavori pubblici per identificare specificamente dei lavori che, su iniziativa dell’I.R.I., si è detto essere, se svolti in prossimità della città di Genova, in grado di riassorbire gran parte della mano d’opera che eventualmente dovrebbe essere licenziata. A questo proposito i giornali hanno parlato di 40.000 licenziati a Genova, mentre ieri l’altro il Commissario dell’I.R.I. mi assicurava che questa cifra non sarebbe stata assolutamente raggiunta. (Interruzione del deputato Negro).

Poiché i giornali avevano parlato di questo e l’opinione pubblica è espressa, oltre che dai resoconti di questa nostra Assemblea, anche dai giornali, mi sembra doveroso richiamare il seguente fatto: il responsabile Commissario dell’I.R.I., subito dopo la riunione che ho avuto con lei, onorevole Negro, avvertiva che questo sblocco del personale dell’I.R.I. sarà graduato entro e forse oltre i termini previsti dai decreti di proroga. Comunque, per quanto riguarda i licenziamenti previsti, già ieri sera predisponemmo un piano per cui per i primi 300 lavoratori sono stati già fissati i criteri per l’assorbimento, non in azienda dove v’è esuberanza di mano d’opera, ma in altri rami in cui vi sia possibilità d’occuparla. (Interruzioni a sinistra).

Comunque, l’Assemblea è pregata di dare i suoi lumi al Governo per portare a risoluzione questo gravissimo problema. (Applausi al centro).

MORANDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Morandi, o concludiamo la discussione e consideriamo l’interpellanza svolta, oppure stabiliamo la data in cui l’interpellanza sarà svolta.

MORANDI. Il Ministro del lavoro è entrato nel vivo dell’argomento. Egli ci ha fatto un quadro un po’ troppo idilliaco di questa situazione. Non è una mia fantasia lo sciopero di Milano… (Interruzioni al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il problema è questo: o il Governo è disposto in questo momento ad affrontare la discussione, ed allora continuiamo la seduta, oppure il Governo riconferma le sue intenzioni, e in tal caso la togliamo.

Prego il Presidente del Consiglio di esprimere il suo parere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Spero di poter dire che saremo pronti oggi stesso. Comunque, se l’Assemblea intende proseguire, il Governo è a disposizione.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevoli colleghi, spetta al Governo la facoltà di indicare la data di svolgimento delle interpellanze ed il Governo ha dichiarato appunto che farà sapere in una delle sedute odierne quando intenda che sia svolta questa interpellanza.

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta sull’ultima parte dell’ordine del giorno presentato dall’onorevole Targetti:

Presenti e votanti     286

Maggioranza           144

Voti favorevoli        203

Voti contrari            83

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bei Adele – Bellato – Belotti – Benvenuti – Bernamonti – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Camangi – Campusarcuno – Cannizzo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caronia – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foresi – Fornara – Franceschini – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Meda Luigi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino.

Negro – Nenni – Nicotra Maria – Novella – Numeroso.

Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Ruggiero Carlo – Ruini.

Saggin – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tosi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Vanoni – Viale – Vicentini – Vigna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Cavallari.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello.

Tosato.

Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 11 di oggi, 30 ottobre.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere i motivi che si oppongono alla concessione preferenziale di tradotte e di carri ferroviari ai consorzi e alle cooperative fra produttori agricoli per il trasporto della paglia destinata ai loro soci, i quali – specie in Piemonte – hanno assoluto e urgente bisogno di paglia per le necessità degli allevamenti.

«Secondo informazioni raccolte in Piemonte, le cartiere, che godono di particolare preferenza per i trasporti ferroviari, hanno scorte di paglia più che sufficienti.

«L’interrogante fa presente che cooperative di contadini del Piemonte, che hanno notevoli depositi di paglia nell’Italia centro-meridionale, non sono riuscite ad ottenere un solo vagone, mentre varie ditte, che possono disporre di vagoni e tradotte, offrono la paglia sui mercati dell’Italia settentrionale a prezzi elevatissimi.

«Scotti Alessandro, Giacchero, Raimondi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non ritenga opportuno ed urgente provvedere allo stanziamento di una prima somma occorrente per la costruzione del carcere giudiziario a Foggia, tenuto conto delle esigenze del servizio della giustizia, giusta reiterate segnalazioni del Ministero di grazia e giustizia, e della grave disoccupazione che affligge detta città, particolarmente nel campo dell’edilizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Imperiale».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per chiedere se non ritenga opportuno, a parziale modifica delle tariffe per i trasporti ferroviari, introdotte il 1° agosto 1947, trasferire la voce «legna da ardere» alla prima categoria che comprende i generi di maggiore consumo (alimentari, ecc.).

«L’interrogante fa presente che l’aumento introdotto è così sensibile da incidere sul prezzo di vendita della legna da ardere, nella misura del 25 per cento, e che tale aumento pone le classi povere nell’impossibilità di provvedersi del combustibile indispensabile al riscaldamento.

«Il provvedimento che l’interrogante si permette suggerire, nell’impossibilità di renderlo generale, dovrebbe essere concesso almeno per i trasporti diretti ai comuni e a tutti gli enti pubblici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pistoia».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga necessario e urgente provvedere alla riattivazione della ferrovia Piacenza Cremona. All’uopo si osserva:

1°) trattasi di un tronco ferroviario che, per il fatto di collegare due importanti capoluoghi di provincia, oltreché numerosi centri intermedi della Bassa Piacentina, deve ritenersi d’importanza rilevante;

2°) se è vero che per indisponibilità di materiale, venne momentaneamente sospeso il riattivamento della ferrovia, destinandosi pure qualche parte del materiale pesante all’armamento di ferrovie di più grande traffico, è anche vero che, in seguito anche alle pressioni e agli insistenti reclami degli enti e delle popolazioni interessati, il Ministero dava formale assicurazione che la riattivazione del tronco in parola sarebbe stata disposta nel minor tempo possibile;

3°) trascorsi invano parecchi mesi ed avvicinandosi la stagione invernale col conseguente rincrudimento del disagio, che la mancanza del servizio in oggetto comporta per gli abitanti della zona interessata, gli interroganti chiedono all’onorevole Ministro quali siano i suoi propositi riguardo alla soluzione di questo problema che, per molti aspetti, è ormai divenuto indilazionabile. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Arata, Bernamonti, Pallastrelli, Mazzoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere se e quali trattative siano in corso per ottenere dal Governo degli Stati Uniti d’America un congruo aumento della quota per gli espatri dei connazionali extra contingente, per dar modo di far fronte in questo periodo di immediato dopo guerra a casi eccezionalissimi in cui considerazioni di umanità impongono di concedere l’autorizzazione all’espatrio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e della pubblica istruzione, per conoscere se non si ritenga necessario sollecitare il finanziamento per l’istituzione e la trasformazione delle scuole elementari sussidiate in scuole di Stato, in conformità delle proposte già presentate per le singole provincie; i quali provvedimenti si debbono ravvisare indilazionabili di fronte alle esigenze della popolazione ed all’iniziato anno scolastico. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere quali effettive misure siano state adottate all’aeroporto di Ciampino in Roma – approdo diretto degli aerei provenienti dal Cairo – in vista del grave andamento dell’epidemia colerica in Egitto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Fausto».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere con quale programma e con quali mezzi sia stato impostato il problema della ricostruzione del ponte sul fiume Po, a Piacenza.

«È vero che, da qualche tempo, sono stati intrapresi alcuni lavori, ma essi, oltre che trovarsi ancora allo stato iniziale, procedono con tale lentezza e palese modestia di mezzi, da non rappresentare alcun serio indizio di un concreto e deciso proposito ricostruttivo.

«D’altra parte la ricostruzione di questo ponte – il cui carattere di interesse nazionale non è necessario rilevare – non può oltre procrastinarsi senza enorme danno per le comunicazioni e i traffici tra le regioni interessate.

«Neppure a tale gravissima deficienza può congruamente sopperire la costruzione del ponte in barche elevata a valle, in località Finarda, perché trattasi di un’opera non soltanto di limitata capacità, ma che è pure soggetta a continui periodi di completa interruzione (come in oggi si verifica) in dipendenza delle variazioni del livello delle acque.

«Di qui la necessità di avviare l’intensissimo e vitale traffico verso lontani passaggi, in altre provincie, oppure di ricorrere al sistema del traghetto su barche, con quali ingorghi, ostacoli, insufficienze e spese è inutile descrivere.

«Su questo essenziale problema si richiama pertanto la pronta e rigorosa attenzione dell’Amministrazione competente. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Arata, Pallastrelli, Micheli, Ferrari, Valenti, Mazzoni».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se è a sua conoscenza, e se la notizia è esatta, che: tutti gli aventi obblighi militari che hanno prestato servizio alle dipendenze della Croce Rossa Italiana nel corso della guerra, invece di ricevere lire 18,50 al giorno, così come era stato disposto dal Ministero della guerra, hanno ricevuto lire 3,30 al giorno come i normali soldati mobilitati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gervasi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per rimuovere la ormai intollerabile situazione creatasi per gli alloggi dei ferrovieri residenti a Pescara.

«Come è risaputo, tale città è una delle più sinistrate di tutto il compartimento di Ancona, nell’ambito del quale si è già provveduto– sia pure insufficientemente – alla costruzione di notevoli lotti di case economiche per i ferrovieri di Terni, Foligno, Ortona, Giulianova, ecc.

«Così ad Ancona si sono costruiti 305 alloggi e si è disposta testé la costruzione di altri 100; mentre a Pescara finora sono stati assegnati appena 40 alloggi, dei quali solo 22 effettivamente costruiti a tutt’oggi. Ciò malgrado che i ferrovieri ivi residenti ammontino a parecchie centinaia e siano tuttora condannati con le loro famiglie ad abitare in tuguri malsani o addirittura lontani dal centro urbano, con grave loro disagio e fors’anco con detrimento del servizio.

«Si chiede pertanto che siano disposti al riguardo, e di urgenza, adeguati provvedimenti, usando ai ferrovieri di Pescara lo stesso trattamento già fatto ai ferrovieri degli altri centri del compartimento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Lopardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non creda urgente realizzare un programma di costruzioni ferroviarie in Sicilia includendo le linee: 1°) Giardini – Francavilla – Randazzo – Leonforte; 2°) Francavilla – Taormina – Castroreale – Barcellona; 3°) Capo d’Orlando – Naso – Tortorici – Taormina; per rendere giustizia alle laboriose popolazioni di così importanti centri agricoli, che attendono da una perequazione delle spese di utilità pubblica, la valorizzazione e la rinascita dell’economia siciliana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia per segnalare le gravi incertezze sorte presso i vari Tribunali circa l’interpretazione dell’articolo 1 del decreto di amnistia 8 maggio 1947, n. 460, laddove si dichiara che «è concessa amnistia per i reati punibili… nei casi in cui i procedimenti sono tuttora sospesi in applicazione degli articoli 2, 5 e 11 della legge 9 luglio 1940, n. 924».

«La formula «tuttora sospesi» ripete in sostanza l’infelice dizione del decreto di amnistia 2 settembre 1919, n. 1414, che ha dato luogo, presso la magistratura giudicante, a decisioni contraddittorie, finché non vennero emanati i successivi chiarimenti della legge del 1920.

«Qualche Tribunale ha ritenuto che il beneficio sia applicabile soltanto nei casi in cui l’azione penale sia stata arrestata dal verificarsi delle condizioni previste dalla legge 9 luglio 1940, n. 924, e non sia stata più rimessa in moto con qualche atto della procedura.

Qualche altro Tribunale invece ha ritenuto che l’amnistia sia in ogni caso applicabile, quando trattisi di processi che siano stati sospesi per effetto della legge del 1940 e che siano tuttora pendenti in attesa del giudizio.

«La relazione dell’onorevole Ministro sembrerebbe appoggiare questa seconda tesi di più ampia interpretazione del decreto, perché in essa si è posto l’accento su un’unica condizione per l’applicabilità del beneficio, e cioè che il processo sia stato sospeso nel corso delle ostilità; e ciò allo scopo di non colpire con sanzioni di carattere penale chi è già ritornato da lungo tempo alla vita civile, dopo le tragiche vicende della guerra, per fatti che appartengono ormai a un mondo crollato. Del resto è da tenersi presente il criterio che scaturisce dall’articolo 9 del decreto, secondo il quale l’amnistia non si applica nei casi in cui l’imputato, prima che sia pronunziata sentenza di non doversi procedere per amnistia, dichiari di non voler usufruire del beneficio: ciò infatti sta ad indicare che il procedimento ha già subito un atto della procedura, colla citazione e la celebrazione del dibattimento.

«Infine l’interpretazione restrittiva del decreto non solo offenderebbe la larga concezione del Ministro e le ragioni sociali che lo hanno determinato alla concessione del beneficio, ma verrebbe a creare in definitiva una situazione di palese ingiustizia, perché, mentre nei piccoli Tribunali molti processi non potrebbero usufruire dell’amnistia, perché nel frattempo è stato compiuto un atto della procedura, nei grandi Tribunali invece, ove migliaia di procedimenti giacciono, data la enorme mole di lavoro, tuttora fermi, gli imputati verrebbero a godere dell’amnistia.

«In tal modo si verificherebbe una diversità di trattamento non attribuibile alla sostanza del reato e alla natura della causa, ma a motivi estranei al procedimento, dando luogo a casi di palese ingiustizia.

«Ciò premesso gli interroganti domandano che l’onorevole Ministro voglia chiarire il significato e l’estensione dell’articolo 1 del citato decreto d’amnistia, in coerenza colle ragioni dedotte nella relazione al Capo provvisorio dello Stato. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bernardi, Pressinotti, Giacometti, Bonomelli, Vischioni, Mariani Enrico».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dei trasporti, per conoscere se non credano opportuno e giusto estendere a tutto il personale aggregato degli Istituti di prevenzione e di pena (cappellani, sanitari, suore, ecc.) la concessione per i viaggi a riduzione (tariffa C), della quale fruiscono tutti i dipendenti civili delle Amministrazioni dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camposarcuno».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dell’agricoltura e foreste, dei lavori pubblici e del lavoro e previdenza sociale, sul problema del Mezzogiorno e, in particolare, sulle direttive e sui mezzi adottati e da adottare per fronteggiare tempestivamente la grave disoccupazione che affligge quelle regioni e per attendere al tempo stesso alle maggiori e sostanziali esigenze delle popolazioni meridionali.

«Perrone Capano, Caccuri, Sullo, Recca, Rodi, Monterisi».

PRESIDENTE. La prima interrogazione testé letta sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 2.40.

Ordine del giorno per le sedute di oggi.

Alle ore 11 e alle 16:

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
  2. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).

Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia. (11).

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Disegno di legge (Discussione è approvazione):

Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21).

Presidente

Perassi

Condorelli

Cevolotto, Relatore

Conti

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Marinaro

Tonello

Fabbri, Presidente della Commissione

Avanzini

Dominedò

Gullo Fausto

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Colitto

Benedettini

Lussu

Cianca

Dominedò

Mortati

Schiavetti

Per l’elezione di tre membri della Corte costituzionale prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana:

Caronia

Presidente

La seduta comincia alle 10.30.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Tosato.

(È concesso).

Discussione del disegno di legge: Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca Discussione del disegnò di legge: Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21).

Dichiaro aperta la discussione generale.

PERASSI. Chiedo di parlare..

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Confesso di non avere ben capito la portata di questo disegno di legge. Mi pare che dobbiamo anzitutto vedere quali modificazioni esso porterebbe al diritto vigente.

In questa materia – come si rileva nella relazione ministeriale – esistono già delle norme contenute in diverse leggi: nella legge sullo stato giuridico degli impiegati civili, nella legge concernente i segretari comunali e, ritengo, anche nello stato giuridico degli ufficiali. Vi si prevede la mancata fede al giuramento come un fatto che dà luogo a sanzioni disciplinali, e precisamente a due: la revoca o, nei casi più gravi, la destituzione.

Leggendo il disegno di legge si constata anzitutto che in esso si parla soltanto di revoca. Vuol dire che la destituzione viene tolta come sanzione in questo caso? Ecco la prima domanda.

In secondo luogo, nel progetto del Governo, e soprattutto nel disegno di legge come è stato emendato dalla Commissione, si precisa l’oggetto del fatto che sarebbe colpito da quella sanzione.

In tal caso, è per lo meno da porsi questa domanda: Questa legge, rispetto al diritto vigente, che cosa tende a fare ? Sembra doversi rispondere che essa avrebbe l’effetto di rendere più tenue la sanzione applicabile al caso previsto. Se così è, rilevo che bisogna anzitutto affermare nettamente che non si può qualificare questa legge come una legge eccezionale per il consolidamento della Repubblica. Bisogna dire, invece, che essa viene a mitigare le norme legislative vigenti. Chiedo che a questo riguardo sarebbe utile avere un chiarimento dall’onorevole Relatore.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, è interessante seguire l’evoluzione della legislazione del nostro Paese in questa materia, al fine di consolarci in rapporto ai progressi che costantemente si realizzano sulla via della democrazia e della libertà.

La legge del 1908, fatta ai tempi dei regimi liberali, non prevedeva sanzioni particolari per l’infrazione al giuramento. Ed era ovvio, perché c’era una norma sufficientissima, l’articolo 53 lettera c) che prevedeva la perdita dell’impiego per mancanze contro l’onore e per qualsiasi mancanza che dimostri difetto di senso morale. L’infrazione al giuramento è una delle più gravi mancanze contro l’onore, e chi veramente infrange il giuramento cade indubbiamente sotto questa sanzione.

Fu soltanto il fascismo, al quale oggi ci ricolleghiamo con la legge proposta, che intese il bisogno – per ovvie ragioni – di creare specifiche sanzioni per la contravvenzione al giuramento ed usò le stesse parole che ritornano oggi nella legge democratica che si propone al voto della nostra Assemblea.

Si disse, all’articolo 64 della legge 30 dicembre 1923, che si perde l’ufficio per mancata fede al giuramento, sia che essa si concreti in una o più infrazioni disciplinari, sia in atteggiamenti che contradicano fondamentalmente al giuramento stesso. Non vi è chi non veda la gravità, il carattere inquisitorio della seconda ipotesi di questa legge, perché sono condannati non soltanto le infrazioni disciplinari, ma finanche gli atteggiamenti, ed è solo un regime che si appresta a diventare dittatoriale e che sa di doversi dirigere verso il totalitarismo, che può creare delle sanzioni giuridiche contro gli atteggiamenti.

Però, i progressi della democrazia e della libertà sono continuati nello stesso senso nella legislazione dell’Assemblea Costituente, cioè spero, nei lavori legislativi che precedono le decisioni dell’Assemblea Costituente, perché ancora mi illuderei o vorrei illudermi che un voto negativo dell’Assemblea Costituente potesse disdire quelle che sono le mie facili previsioni sulla sorte di questa legge.

Il progetto ministeriale, che vorrebbe essere un attenuazione della legge fascista, in fondo, mi pare che non l’attenui affatto, perché parla ancora di infrazioni disciplinari ma sente il bisogno di calcare l’accento sull’aspetto politico di queste infrazioni disciplinari. Difatti, mentre la legge fascista parlava di «una o più infrazioni disciplinari», la legge che si propone all’Assemblea democratica italiana parla di «infrazioni disciplinari in rapporto al contenuto politico del giuramento».

Ma quello che veramente sorprende è che la Commissione non si è contentata di quello che ha fatto e di quello che ha proposto il Governo. Ha creduto di andare oltre perché, mentre il Governo si ferma alle infrazioni disciplinari, che sono delle entità giuridiche abbastanza chiare e determinate, la Commissione propone che non si parli più di infrazioni disciplinari, ma si scenda nell’indeterminato, si parli di atti in genere, cioè di atti i quali teoricamente potrebbero anche non rivestire il carattere di infrazioni disciplinari, ma che comunque denunzino al giudice, denunzino all’inquisitore, una tendenza a venir meno al giuramento, che sia in contrasto con il giuramento.

Certamente non è un progresso quello che ha fatto la Commissione. In questa situazione onorevoli colleghi, chi è liberale, chi crede nelle sorti della democrazia, di fronte alle proposte del Governo, di fronte alle proposte della Commissione, trova un rifugio nella legge fascista, che è certamente più liberale.

Io vorrei il voto contrario contro questa legge e vorrei la soppressione di quell’infame articolo della legge fascista che condanna, alla luce del secondo ventesimo, financo gli atteggiamenti; e mi preoccupo… delle mie basette, le quali potrebbero essere considerate come un atteggiamento, che sono anzi già state considerate in questa Assemblea come un atteggiamento.

E vorrei che si tornasse alla legge del 1908, la quale considera l’infrazione al giuramento sotto l’unica specie sotto cui va considerata, come mancanza alla fede, all’onore. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. Onorevoli colleghi, l’onorevole Perassi ha chiesto spiegazioni sull’origine di questa legge e sui motivi che hanno determinato il Ministero a proporla. Credo che sia il Governo precedente a questo che ha proposto la legge; ad ogni modo, l’intenzione del Ministero, chiara ed evidente, è stata proprio quella di attenuare le sanzioni tuttora in vigore per la mancata fede al giuramento.

Attualmente, infatti, vige il testo unico sull’impiego civile, il quale, agli articoli 64 e 65, commina, per la mancata fede al giuramento, la revoca dall’impiego e, nei casi più gravi, la destituzione. Per la mancata fede al giuramento, indiscriminatamente. La legge che propone il Governo stabilisce invece che le infrazioni al giuramento, la mancata fede al giuramento, punibili con la sola revoca dall’impiego, quindi con una sanzione minore, anche per i casi più gravi, della destituzione, sono le infrazioni commesse nell’esercizio delle funzioni.

Fuori quindi dell’esercizio delle funzioni dell’impiegato, l’atteggiamento di ognuno è perfettamente libero e un impiegato il quale, ad esempio, dopo aver giurato, faccia, fuori dell’esercizio delle sue funzioni impiegatizie, propaganda monarchica, o si dichiari monarchico, o si iscriva ad un circolo monarchico non è punibile.

È evidente, quindi, che ciò che ha detto l’onorevole Condorelli non ha fondamento, perché, se si tornasse alla formula, un po’ vaga, della legge del 1908, che parla di perdita dell’impiego per mancanza contro l’onore, e si intendesse per mancanza contro l’onore qualunque infrazione al giuramento, si dovrebbe estendere il giudizio anche a quegli atteggiamenti o a quelle infrazioni che fossero compiute fuori dell’esercizio delle funzioni impiegatizie.

Sotto questo aspetto non vi è dubbio che la nuova legge non è, in realtà, una legge che aggravi la situazione precedente, ma anzi è una legge che l’attenua. Nella volontà del Governo proponente è chiaro che si è voluto democraticamente lasciare libertà di atteggiamento a tutti, fuori dell’esercizio delle funzioni, in modo che il giuramento riguardi soltanto ciò che l’impiegato compie nel suo ufficio, ma non lo vincoli per la sua azione nella vita privata.

Non vi è il carattere inquisitoriale della legge cui ha accennato l’onorevole Condorelli. La Commissione si è preoccupata di modificare, molto lievemente, il testo proposto dal Governo. Questo diceva che gli impiegati che «commettono una o più infrazioni disciplinari che contrastino direttamente col giuramento prestato» sono revocati dall’impiego. La Commissione ha proposto di sostituire ad «infrazioni disciplinari» la parola «atti». Tanto poco vi è un carattere o una intenzione inquisitoriale in questo, che la proposta è partita da tutta la Commissione. Perché, se anche si vuole escludere che l’atto, compiuto fuori dal servizio o fuori dall’impiego sia comunque censurabile, è evidente che nell’esercizio delle funzioni non si può ammettere che l’impiegato sia passibile di sanzione soltanto se compia un’infrazione disciplinare, e non anche se compia un atto che non sia infrazione disciplinare, ma che sia comunque contrario al giuramento. Poniamo (per fare un esempio) il caso dell’impiegato che nel suo ufficio distribuisca del materiale – giornali od opuscoli di propaganda monarchica – mano a mano che gli impiegati vengono a contatto con lui. Si può discutere se questa sia un’infrazione disciplinar. D’accordo che tutto può essere «infrazione disciplinare» in ufficio, perché si può due che un impiegato non deve far niente che sia estraneo al suo ufficio, nell’interno dell’ufficio stesso. Ma il fatto di regalare un giornale o un opuscolo può anche non essere valutato come infrazione disciplinare. Ma si può ammettere che sia lecita un’azione di questa specie?

Così pure, quando il testo proposto dal Governo parla di atteggiamenti in fondamentale contrasto con il giuramento, si riferisce a fatti che nell’ufficio non possono essere tollerati. Pensate, per esempio, a un impiegato il quale si presenti costantemente in ufficio ostentando un distintivo monarchico, per dimostrare pubblicamente, in ufficio, la sua fede in contrasto con quella giurata alla Repubblica. Non si tratta – in questo caso – di un’infrazione disciplinare; questo non è neanche un atto, è un atteggiamento. Ma l’atteggiamento non è tollerabile.

Ecco la ragione per la quale abbiamo mantenuto il testo che è stato proposto dal Governo. Non mi pare che perciò la legge possa essere definita una legge inquisitoriale.

Si è proposto alla Commissione un quesito, che la Commissione non ha risolto e che ha lasciato risolvere alla Costituente. Ed è questo: la volontà di restringere nell’ambito delle funzioni il giudizio sugli atti e sugli atteggiamenti degli impiegati può essere democraticamente plausibile e va accettata senza riserva per quel che si riferisce agli impiegati civili, ma è ammissibile per gli ufficiali delle Forze armate? Ecco il problema.

Era stato proposto un emendamento il quale stabilisce che per gli ufficiali delle Forze armate, in ogni caso, gli atti e gli atteggiamenti fuori di servizio in contrasto poi giuramento prestato dovevano portare alla perdita dell’impiego.

Ma poi la Commissione non ha formulato una precisa proposta anche perché, dal esame della situazione dei militari, si passava necessariamente all’esame anche di altre situazioni degne anch’esse di attenzione. Per esempio, è ammissibile che un questore, sia pure fuori dal suo ufficio, si iscriva ad un circolo monarchico, faccia propaganda monarchica, si dichiari apertamente monarchico? Evidentemente no.

Non ci siamo nascosti la difficoltà della posizione ed abbiamo quindi mantenuto su questo punto il testo proposto dal Governo senza emendamenti, lasciando alla Costituente di vedere se alcuni casi particolari dovranno essere regolati in modo differente.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Ho già avuto occasione di dichiararlo, e ripeto che io voterò contro questa legge, come voterò contro quella che dovrà venire in discussione domani. Qualunque limitazione della libertà mi troverà sempre contrario! Però, all’onorevole Condorelli e ai colleghi monarchici o liberali e agli altri che non so che cosa siano in definitiva…

CONDORELLI. Quello che sono io lo sanno tutti perché lo dico sempre!

CONTI. Essi dicono che la Repubblica è liberticida, che la povera monarchia ci faceva vivere una vita deliziosa.

CONDORELLI. Sempre!

CONTI. Onorevole Condorelli, domani quando si discuteranno le leggine per la repressione del fascismo e dei tentativi di restaurazione monarchica, l’affogherò con le documentazioni!

CONDORELLI. Badi che so nuotare! (Si ride).

CONTI. Non se la caverà, glielo dico io!

Oggi desidero dire una mia parola a proposito di queste disposizioni sul comportamento degli impiegati. Non si vogliono impiegati monarchici. E perché non si devono lasciare? Che volete che facciano gli impiegati monarchici?

Io ne conosco qualcuno e qualcuno temerario. Giorni or sono, in un ufficio militare, un avvocato ha assistito ad escandescenze di un pover’uomo, che disse parole irriguardose perfino contro il Presidente della Repubblica! È un disgraziato! Ma che gli volete fare? Io l’avrei invitato a prendere un caffè o gli avrei detto di prendere un gelato, così si sarebbe calmato!

Però, onorevoli monarchici, bisogna che vi ricordiate sempre che la monarchia è stata la persecutrice della libertà in tutti i tempi! (Interruzione del deputato Russo Perez). Onorevole Russo Perez, questa non è materia su cui si possa scherzare o fare dell’ipocrisia.

RUSSO PEREZ. Onorevole Conti, durante la monarchia lei non è stato mai molestato da nessuno. È l’esempio della vigoria fisica.

CONTI. In questa materia io non transigo.

RUSSO PEREZ. Lo so!

CONTI. Voi dite che si fa luogo, con questa legge, alla persecuzione all’impiegato. Ma la monarchia appena mise mano ai poteri dopo la caduta del Borbone, dell’Austria e degli altri regimi del passato, incominciò subito a fare falcidie nel campo impiegatizio. Ecco tra i tanti casi: Eugenio Rossi, di Reggio Emilia, sostituto segretario della Procura generale a Modena, il 2 gennaio 1860 fu destituito dall’impiego per il contegno politico dopo l’assunzione in servizio.

CONDORELLI. Era contro l’unità d’Italia, non contro la monarchia.

CONTI. Ma che dice? Domani gliene racconterò parecchie. Faremo divertire l’Assemblea una mezz’ora.

Il pensiero è sempre stato perseguitato dalla monarchia. L’onorevole Condorelli, che è abbastanza colto, non ha dimenticato il nome di Ruggero Bonghi. Ebbene, Ruggero Bonghi non fu sottoposto a giudizio disciplinare quando difese il principio monarchico puro, quando, col suo famoso opuscolo sulla costituzionalità o meno del regime monarchico, sostenne che non si poteva ammettere che il regime monarchico costituzionale diventasse un regime parlamentare?

GASPAROTTO. E Carducci?

CONTI. Giolitti, il grande liberale, perseguitò Bonghi fino al punto che voleva farlo destituire da Consigliere di Stato.

CONDORELLI. Ma questa era la monarchia? Era il Re che faceva questo? Ma la legge è legge.

CONTI. Voglio ricordare un altro episodio. Il professore Maffeo Pantaleoni fu sottoposto a procedura disciplinare dal Consiglio superiore della pubblica istruzione per avere, in una sua lettera al Secolo, nel 1896, dopo la disfatta di Adua, quindi ad una certa età matura della monarchia in Italia, fatto allusione al «Signore che tutti sanno». Il «Signore che tutti sanno» era Umberto, il responsabile del disastro africano del 1896.

Onorevole Condorelli, Pantaleoni dovette riparare in Svizzera e tutti sappiamo che fu onorato con l’assunzione alla cattedra di economia della Università di Ginevra.

Onorevole Presidente, per oggi non ho niente altro da dire.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. Ho chiesto di parlare per avvertire l’Assemblea che occorre aggiungere l’articolo 2, del seguente tenore:

«La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

È una formula che non si può omettere.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Mi sembra che anche qui ci sia l’equivoco sorto ieri a proposito del disegno di legge portante modificazioni al Codice penale. Anche questa, che stiamo esaminando, non è una legge costituzionale. È irrilevante, agli effetti di tale qualificazione, che l’esame del disegno di legge sia stato deferito alla Commissione della Costituzione. Quindi l’articolo deve essere quello usato per le leggi ordinarie.

CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione ed io abbiamo ritenuto che si tratti di una legge costituzionale, per il fatto che è stata mandata alla Commissione dei Settantacinque, invece che alla normale Commissione legislativa.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, io difendo una legge già preparata dal precedente Gabinetto e che viene in discussione presso l’Assemblea solo oggi. Le osservazioni fatte dall’onorevole Perassi, che si concludono nel dire che sarebbe inutile questo provvedimento, in quanto che già le leggi esistenti prevedono le conseguenze della mancata fedeltà al giuramento, trovano, secondo me e secondo la Commissione, difficoltà di applicazione nella legge del 23 dicembre 1946, che stabilì le nuove formule del giuramento da prestarsi, e lo estese, oltre che ai dipendenti civili dello Stato, a cui si riferisce la legge del 30 dicembre 1923 sullo stato giuridico degli impiegati, ed oltre che ai segretari comunali, a tutti i dipendenti locali. Quindi l’estensione del giuramento ha reso necessario, secondo il Governo, la presentazione di questo disegno di legge, il quale cercasse di estendere anche alle altre categorie quello che era disposto per alcune categorie. Si è creduto, pertanto, di fare una disposizione unica e si è ritenuto opportuno introdurre con questo articolo unico la possibilità di dare una disposizione di sanzione rispetto alla mancata fedeltà al giuramento.

Per quanto si riferisce, poi, alle osservazioni mosse in un senso e nell’altro – sensi che poi tutti quanti si congiungono in una forma negativa – da parte degli onorevoli Condorelli e Conti, la ragione mi pare sia stata già esposta da parte del Relatore. Non è che la disposizione non esiste. La disposizione c’è già. La possibilità della revoca non è un fatto che si introduce con questa legge, la quale non cerca che adattare disposizioni, già esistenti in una legge del 1923, alla situazione creatasi con la nuova formula del giuramento nei confronti della Repubblica.

Si dice: voi avreste dovuto abolire il paragrafo f) dell’articolo 64 in quanto che questo è stato introdotto dal fascismo, perché prima del fascismo l’articolo 64 si fermava alla revoca dell’impiego per mancanze contro l’onore, ecc. ecc. È vero. Il fascismo ha introdotto questo paragrafo f), ma le leggi fasciste sono disgraziatamente ancora in vigore. Quindi, in fondo, questa disposizione non fa che sostituire, ad una legge che esisteva, delle disposizioni che, secondo quello che ha detto il Relatore, sono state attenuate, perché si è stabilito tassativamente che le infrazioni disciplinari sono considerate in quanto possano imputarsi all’impiegato; non al cittadino, ma all’impiegato nelle sue funzioni, nel suo ufficio. Ecco la limitazione. Si mantiene l’infrazione nel campo dell’ufficio, nel campo delle funzioni. Ed ecco perché diventa infrazione e non è atto semplice. Non solo, ma quando si parla di atteggiamento, come nell’articolo 64 del 1923 si parlava di atteggiamento che contraddicesse fondamentalmente al giuramento stesso, si è detto non solo che questo atteggiamento è nel campo dell’attività dell’impiegato e non del cittadino, ma si è voluto far risaltare che l’atteggiamento deve essere di fedeltà al nuovo ordinamento istituzionale dello Stato. Questa è la portata del provvedimento. Quindi è inutile drammatizzare. Non si è voluto fare molto di più di quello che c’era effettivamente nella legislazione e che non è stato abolito: si è voluto soltanto completare, si è voluto precisare meglio che l’atteggiamento non è generico contro il giuramento, ma contro il giuramento in quanto vincolo di fedeltà all’istituto della Repubblica e all’osservanza delle leggi, mentre prima non si precisavano questi due limiti.

Data questa portata, mi pare che la legge debba essere confortata dal vostro voto. Voi tutti volete innestare la legislazione precedente all’istituto repubblicano, confermato dopo il referendum del 2 giugno.

Per quanto si riferisce alle modifiche apportate dalla Commissione, si tratta soltanto di una modifica in senso tecnico. La Commissione ha proposto di dire, invece che «infrazioni», «atti». Vorrei pregare la Commissione di mantenere il testo governativo, perché l’infrazione rappresenta l’atto proprio nell’esercizio delle funzioni, che diventa infrazione.

lo penso che il testo, così come è stato formulato dal Governo, potrebbe rispondere meglio a quei concetti ai quali vuole ispirarsi il provvedimento stesso. L’onorevole relatore ha accennato all’eventualità di un emendamento, che non è stato presentato, e che quindi sarebbe inutile discutere: se sia il caso cioè di aggiungere un comma per le Forze armate. Ma io credo che basti mantenersi nei limiti delle disposizioni stabilite nel nostro testo, il quale è effettivamente esauriente: si rivolge agli impiegati civili, che sono regolali dallo stato giuridico del 1923; e si rivolge ai militari e a tutti i dipendenti degli enti locali.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Vorrei solo chiarire un equivoco. Non ho detto che la legge è inutile. Mi ero posto un quesito sulla portata della legge rispetto allo stato attuale della legislazione e sono lieto di aver provocato i chiarimenti dell’onorevole Relatore. Ciò che interessa rilevare è, soprattutto, che la legge attenua le norme vigenti in materia. Le attenua nel senso che precisa meglio l’oggetto della sanzione disciplinare e – almeno così risulta dal testo – prevede solo la revoca. Stando al testo proposto, la destituzione non sarebbe più in nessun caso applicabile per mancata fede al giuramento, mentre le leggi vigenti prevedono la revoca e, nei casi più gravi, la destituzione.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. L’articolo 65 rimane lo stesso.

PERASSI. Questo è un punto delicato: una volta adottato questo disegno di legge, si ammette che unica sanzione disciplinare per mancata fede al giuramento è la revoca. Mi pare difficile sostenere una tesi diversa.

Comunque, se c’è questo dubbio, si potrebbe chiarire.

Il mio intervento, ad ogni modo, desidero ripeterlo, aveva unicamente lo scopo di mettere in evidenza che, secondo il testo presentato, la legge non si può affatto qualificare come una. legge eccezionale.

MARINARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha. facoltà.

MARINARO. Concordo quasi del tutto con l’onorevole Perassi: non ha niente a che vedere in questa questione l’articolo 64 della, legge sullo stato giuridico degli impiegati, al quale fa esplicito riferimento la relazione ministeriale. Essa infatti dice che scopo di questa legge è anzitutto quello di confermare la disposizione dell’articolo 64 della legge del 1923.

Ora, nello scorso anno, il 23 dicembre, abbiamo approvato una legge sul giuramento, che in questa Aula si disse essere legge di carattere assolutamente formale, non sostanziale; e questa dichiarazione, che venne da più parti dell’Assemblea, fece in modo che la legge fosse approvata con una entità di voti veramente rilevante. Ora, il giuramento che gli impiegati dello Stato hanno prestato successivamente a quella data è il giuramento prescritto dalla legge 23 dicembre 1946, la quale stabiliva delle formule speciali in relazione al nuovo Stato repubblicano. Non solo, ma tutti gli impiegati, che avevano precedentemente prestato giuramento secondo la legge sullo stato giuridico del 1923, furono invitati, tutti indistintamente, a rinnovare il giuramento in base alle nuove disposizioni conformi alle istituzioni repubblicane dello Stato.

Questo concetto, che affiora nella relazione ministeriale, fatto proprio dalla Sottocommissione e poi dalla Commissione dei Settantacinque, è concetto perfettamente pretestuoso e non ha riferimento alcuno con l’articolo 64 della legge sullo stato giuridico degli impiegati.

Non solo per queste ragioni io voterò contro questo disegno di legge, ma anche per una questione di sostanza, in quanto che nella stessa relazione ministeriale si legge che «era indispensabile determinare l’elemento materiale che avrebbe portato alla revoca dall’impiego». Questo elemento materiale è ben definito e determinato in tutte le disposizioni regolamentari di ogni singola amministrazione; di guisa che sembra oggi difficile, direi assurdo, collegare la mancata fede al giuramento, un fatto cioè che può considerarsi retrospettivo, con la infrazione disciplinare.

In questo mi sembra che stia soprattutto la mostruosità del concetto contenuto nella leggina in esame. In sostanza, onorevoli colleghi, noi processiamo un impiegato, fino al punto di destituirlo dall’impiego, per il solo fatto di supporre, poiché nessuno potrà mai accertarlo, che ci sia stata una intenzionale mancata fede al giuramento prestato, nella estrinsecazione di un fatto disciplinare che si riferisce all’adempimento dei propri doveri di ufficio.

Per l’un motivo e per l’altro, a me pare che le considerazioni fatte nella relazione ministeriale e nella relazione della Commissione siano del tutto infondate.

Ma voglio richiamare l’attenzione dell’Assemblea su altra circostanza, che mi sembra di capitale importanza. Sostanzialmente, quest’articolo unico, specialmente nella forma, non fa altro che riprodurre l’articolo 51-bis della legge sullo stato giuridico degli impiegati del 1923; questo articolo, che fu uno dei più mostruosi strumenti di persecuzione da parte del fascismo, fu abolito, successivamente alla liberazione, dal Governo di quell’epoca con apposito decreto del 16 novembre 1945, poiché si ritenne che quella disposizione, introdotta dal fascismo nel 1927, fosse uno strumento di persecuzione.

Ora, a distanza di appena due anni non si fa altro che far rivivere quella disposizione dell’articolo 51-bis che i Governi precedenti avevano abolito. E questo mi sembra veramente inconcepibile. Sembra anzi fatale, onorevoli colleghi, che l’antifascismo, sempre che voglia dare una prova manifesta di quella che è stata l’attività del fascismo, non sappia far altro che battere le stesse vie del fascismo. (Applausi a destra – Commenti all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO. Relatore. La risposta all’onorevole Marinaro è molto semplice e molto breve. Dire che il giuramento è una legge formale e non una legge sostanziale mi pare che non significhi niente, mi scusi l’onorevole Marinaro. Noi abbiamo, bene o male – si può essere favorevoli o contrari per ragioni di principio – stabilito che gli impiegati debbono giurare; e questo giuramento deve essere una cosa seria. Sarebbe assurdo imporre un giuramento e poi ammettere che questo giuramento lo si è richiesto per ischerzo e che chi, nell’esercizio delle sue funzioni, manca fede al giuramento non deve subire alcuna sanzione.

Quanto all’osservazione dell’onorevole Marinaro, che l’articolo 64 del testo unico sull’impiego civile (che stabilisce la revoca, per mancata fede al giuramento in tutti i casi, anche per la mancata fede commessa fuori d’ufficio, anche nell’estrinsecazione dell’attività politica privata), si potrebbe applicare solo a giuramenti anteriori e non al giuramento ora richiesto dalla nostra Repubblica, mi sembra che sia basato su un errore. Qualunque sia il giuramento che è imposto in un dato momento, se vi è una disposizione di legge sullo stato giuridico degli impiegati, la quale stabilisce una sanzione per la mancata fede al giuramento, essa si applica alla mancata fede anche a questo giuramento. Quindi è perfettamente esatta la posizione assunta dalla Commissione.

Nemmeno mi pare esatto dire che L’attuale disegno di legge riproduce l’articolo 51-bis della legge del 1923. Abbiamo detto ed abbiamo chiarito, ed il Ministro ha spiegato nel modo più preciso, il perché dalla nuova disposizione che, come l’onorevole Perassi giustamente ha osservato, attenua e non aggrava le sanzioni contro chi manca al giuramento ed impone la fedeltà al giuramento all’impiegato soltanto nell’ambito delle sue funzioni impiegatizie. Questo è naturalmente necessario, per la dignità stessa dell’amministrazione e per la dignità stessa del giuramento, che altrimenti diventerebbe una formalità priva di qualsiasi significato. Sarà un bene o sarà un male imporre il giuramento? Su questo si può discutere. Ma una volta ammesso il giuramento, ci deve essere una pronta e severa sanzione per chi vi manca nell’esercizio delle proprie funzioni.

Quanto poi all’osservazione dell’onorevole Perassi, che cioè questa legge, così limitata, non è una legge costituzionale, la Commissione, credo, si rimette all’Assemblea. Può essere vero che, così limitata, questa non si può considerare una legge costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, io non ho che da confermare quanto l’onorevole Relatore ha detto nei confronti delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Marinaro.

Qui non si tratta di riprodurre un nuovo articolo 51-bis, ma di ridurre la portata larga dell’ultimo comma dell’articolo 64. È inutile dire frasi roboanti, su di una disposizione molto semplice in esecuzione ad un giuramento prestato, giuramento che lega tutti gli impiegati dello Stato repubblicano. Fuori dello Stato, il cittadino può essere libero di fare quello che crede, ma nel campo dello Stato bisogna che mantenga fede al giuramento prestato.

Questa è la portata dell’articolo. Io sono un liberale e credo che si mantenga rispetto alla libertà quando si dice che i funzionari, nel campo delle loro funzioni, devono rispettare il giuramento che hanno prestato.

Per quello che si riferisce all’articolo 2, proposto dal Relatore, io condivido le osservazioni dell’onorevole Perassi. Queste non sono norme di portata costituzionale perché noi ci inseriamo in un regolamento dello stato giuridico, che non è una legge costituzionale. E dobbiamo anche considerare che una legge costituzionale implicherebbe poi quelle tali revisioni, con quei tali quorum, che l’Assemblea non ha ancora approvato. La formula dev’essere compilata secondo la proposta dell’onorevole Perassi.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Ho chiesto di parlare per un chiarimento. Volere o no questa è una legge di eccezione. Dato il momento che attraversiamo, con le attuali agitazioni di carattere economico, anche i funzionari dello Stato, per non morire di fame, possono essere costretti ad uno sciopero. Domani, un Governo reazionario potrebbe dire: voi, funzionari dello Stato, non siete andati in ufficio, non avete adempiuto con fedeltà ed onore alle vostre funzioni. Ora, io chiedo: si può applicare la legge in questo caso? Bisogna che la Camera lo dica chiaramente, perché allora è una legge da forca ed io non la voterò.

CEVOLOTTO, Relatore. Mi pare chiaro ed evidente che non può il fatto dello sciopero essere compreso nella mancata fede al giuramento.

TONELLO. Mi basta questa dichiarazione.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la. discussione generale. Passiamo all’esame dell’articolo 1 il quale, nel testo del Governo, è del seguente tenore:

«Il dipendente civile o militare dello Stato o il dipendente degli Enti locali, tenuti a prestare giuramento a norma degli articoli 2, 3 e 4 della legge 23 dicembre 1946, n. 478, incorrono nella revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento, indipendentemente dall’eventuale azione penale, se commettono una o più infrazioni disciplinari che contrastino direttamente col giuramento prestato, ovvero se assumono, nell’esercizio delle loro funzioni, atteggiamenti in fondamentale contradizione con l’obbligo di fedeltà alla Repubblica e al suo Capo, o di leale osservanza delle leggi dello Stato».

La Commissione ha proposto la seguente formulazione:

«I dipendenti civili o militari dello Stato o dipendenti degli Enti locali, che hanno prestato giuramento a norma degli articoli 2, 3 e 4 della legge 23 dicembre 1946, n. 478, incorrono nella revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento, indipendentemente dall’eventuale azione penale, se commettono, nell’esercizio delle loro funzioni, uno o più atti che contrastino direttamente col giuramento stesso, ovvero se assumono, nell’esercizio delle loro funzioni, atteggiamenti in fondamentale contradizione coll’obbligo di fedeltà alla Repubblica e al suo Capo, o di leale osservanza delle leggi dello Stato».

Prego il Ministro di grazia e giustizia di dichiarare se accetta che si discuta sul testo della Commissione.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto il testo della Commissione, però domando alla Commissione se insiste nella sostituzione della parola «atti» alla formula: «infrazioni disciplinari».

PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri ha facoltà di rispondere in nome della Commissione.

FABBRI, Presidente della Commissione. La maggioranza della Commissione è stata favorevole all’espressione «atti» anziché a quella di «infrazioni disciplinari» perché è parso che la frase «infrazioni disciplinari» messa in relazione all’impiego implicasse anche il concetto di lievi mancanze, rispetto alle quali l’unica sanzione prevista della revoca dall’impiego risultava di evidente gravità e inesorabilità. È parso alla Commissione che bisognasse bensì rimanere nell’ambito di quelli che sono i doveri dell’impiego civile o militare, ma che una eventuale infrazione di carattere disciplinare non potesse implicare di per sé la sanzione prevista da questa legge, che è quella gravissima, da applicarsi soltanto nei casi estremi, secondo la legge sull’impiego pubblico. Questo è stato il concetto per cui effettivamente la maggioranza della Commissione deliberò, dopo avere attentamente esaminato il problema, la sostituzione della espressione «atti» con quella di «infrazioni». Ora, siccome io non ho adesso la possibilità di consultare la Commissione, non posso che riferire quella che è stata la determinazione della maggioranza.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Condorelli, Colitto, Rodi, Bergamini, Corbino, Perrone Capano, Rodinò Mario ed altri hanno proposto il seguente emendamento sostitutivo:

«È abrogata la disposizione di cui alla lettera f) del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2960, ed è sostituita con la seguente:

«Si incorre nella revoca dell’impiego per mancanza contro l’onore e per qualsiasi mancanza che dimostri difetto di senso morale».

L’onorevole Condorelli ha già svolto questo emendamento.

L’onorevole Avanzini ha presentato un emendamento del seguente tenore:

«Sopprimere le ultime parole dell’articolo unico, dalle parole: ovvero se assumono, ecc.».

L’onorevole Avanzini ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

AVANZINI. Già qualche altro oratore ha accennato alla opportunità della soppressione delle ultime parole dell’articolo 1 della legge. Io l’avevo già proposto perché mi pareva appunto, che questa parte dell’articolo portasse la legge all’arbitrio o alla indeterminatezza.

Il richiamo alla infrazione disciplinare esaurisce tutta intera la materia delle sanzioni e mi sembra che non vi sia bisogno di aggiungere altro.

C’è di più: questo richiamo della infrazione disciplinare fissa il fatto, lo individua, come oggetto della sanzione, mentre «atteggiamento» è un termine eccessivamente generico e vago, talché si presta ad una valutazione estremamente soggettiva, in quanto per atteggiamento potrebbe essere considerata anche una parola, un gesto, un attacco qualsiasi; e non bisogna dimenticare che questo troverebbe una sanzione gravissima, che consiste nella revoca dall’impiego.

Quindi, a nostro avviso, onorevoli colleghi, la prima parte dell’articolo esaurisce completamente la tutela della fede che deve essere mantenuta al giuramento e pertanto si presenta opportuna la soppressione della seconda parte.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. Per quanto si riferisce all’emendamento dell’onorevole Condorelli, quello che abbiamo già detto in precedenza l’onorevole Fabbri ed io e quello che ha detto il Ministro, chiarisce perché la Commissione non può accettarlo.

Per quanto si riferisce all’emendamento proposto dall’onorevole Avanzini, noi non ci nascondiamo che, col fatto di aver sostituito la parola «atti» alle parole «infrazioni disciplinari», realmente ci si è avvicinati in questa prima parte, con una migliore specificazione, al concetto della seconda parte dell’articolo. Mentre la distinzione fra «infrazioni disciplinari» e «atteggiamenti» era molto chiara nel testo ministeriale, invece la diversità tra «atti» e «atteggiamenti» è molto meno rilevante.

Quindi, su questo punto la Commissione si rimette alla Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Confermo quanto ha detto il Relatore. Non possiamo accettare la proposta abrogativa della lettera f) dell’articolo 64 per sostituirla con quanto propone l’onorevole Condorelli, perché la Lettera e) dice proprio quello che vuol dire l’onorevole Condorelli. C’è già la revoca dall’impiego per mancanza contro l’onore e per qualsiasi mancanza che dimostri difetto di senso morale.

Circa l’emendamento presentato dall’onorevole Avanzini, io confermo quello che ha detto il Relatore. La posizione assunta dal Governo riguardava due situazioni diverse: una era infrazione, e quindi due infrazioni potevano portare alla revoca, anche se non riferentesi al giuramento. Ma se si vuole adottare il testo della Commissione, osservo che la parola «atti» non significa «infrazioni». Se si adottasse questa formula potremmo considerare inutile la seconda parte: però penso che bisogna sempre mantenere le ultime parole.

FABBRI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Presidente della Commissione. Con La soppressione proposta dall’onorevole Avanzini è evidente che si richiama la formula che è stata assunta dal giurante e quindi tutta la parte successiva potrebbe cadere, sempre secondo la proposta Avanzini.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. In ogni modo, mi rimetto alla Commissione.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Vorrei chiedere un chiarimento. C’è una ulteriore differenza tra il testo del Governo e quello della Commissione, quando si parla, nel primo, di «dipendenti tenuti a prestare giuramento» e, nel secondo, «dipendenti… che hanno prestato giuramento».

Gradirei conoscere la posizione che prende il Governo.

PRESIDENTE. Mi pare che l’onorevole Ministro abbia detto di esser disposto ad accedere al testo della Commissione: comunque l’onorevole Ministro ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho già detto che possiamo anche accettare il testo della Commissione; l’importante è che i dipendenti siano tenuti al giuramento: se poi l’hanno già prestato o debbono ancora prestarlo, è cosa di poca importanza.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, mantiene il suo emendamento?

CONDORELLI. Lo mantengo, onorevole Presidente, e vorrei, nel tempo stesso, pregare l’onorevole Ministro di un chiarimento: la lettera e) dell’articolo 64 relativa alla mancata fede al giuramento, sia che essa si concreti in una o più infrazioni disciplinari, non è la stessa lettera f) di cui ho proposto io l’abrogazione?

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi pare di essere stato molto chiaro. L’onorevole Condorelli propone, in altri termini, l’abrogazione della lettera f) sostituendo le seguenti parole: «Si incorre nella revoca dell’impiego per mancanza al senso dell’onore e per qualsiasi mancanza che dimostri difetto di senso morale». Ora, io ho osservato che la lettera e) dell’articolo 64 dice già sostanzialmente la stessa cosa: questo è il punto.

CONDORELLI. Si tratta di abrogare una legge illiberale e antidemocratica; comunque, limito il testo del mio emendamento alle parole: «È abrogata la disposizione di cui alla lettera f) del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2960».

PRESIDENTE. Va bene. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Condorelli.

(Non è approvato).

Onorevole Avanzini, mantiene il suo emendamento?

AVANZINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Fausto ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: che hanno prestato, le parole: che prestano».

Domando se è appoggiato.

(È appoggiato).

Invito l’onorevole Cevolotto ad esprimere il parere della Commissione.

CEVOLOTTO, Relatore. L’emendamento dell’onorevole Gullo è dettato evidentemente da questo scrupolo: che la formula «che hanno prestato giuramento» possa riferirsi soltanto a quegli impiegati che al momento dell’entrata in vigore della legge hanno già prestato giuramento, non a tutti quelli che lo presteranno in seguito.

È una questione di forma, quindi, non di sostanza. La Commissione si rimette all’Assemblea, sebbene lo scrupolo dell’onorevole Gullo sembri forse eccessivo.

PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Concordo con l’onorevole Relatore.

FABBRI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI, Presidente della Commissione. In linea di chiarimento posso dire che la maggioranza della Commissione variò la formula «che sono tenuti a prestare» in quella «che hanno prestato», in quanto partì dal concetto che una grave sanzione per mancata fede al giuramento lo presupponga e non si possa irrogare a coloro che eventualmente si rifiutino di prestarlo.

Non capisco nemmeno – e in questo momento parlo a titolo personale – la portata precisa della sostituzione proposta dall’onorevole Gullo, perché nel momento in cui i dipendenti dall’amministrazione prestano il giuramento evidentemente non possono contravvenirvi, ma ciò può accadere solo dopo che lo hanno prestato. Quindi non vedo le ragioni della modifica proposta dall’onorevole Gullo, mentre ho dette le ragioni della modifica introdotta deliberatamente dalla maggioranza della Commissione.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Io ne faccio una questione di tecnica legislativa, perché la legge usa sempre il presente. Nel momento che giura l’impiegato deve sapere che incorre nella sanzione ove manchi al giuramento. Non si dice, infatti, «chi ha ucciso, è punito», ma «chi cagiona la morte, è punito», perché nel momento in cui uccide, deve sapere che incorre nella punizione. Tecnicamente, la legge usa sempre il presente. Quindi l’impiegato, nel momento in cui presta giuramento, sa di incorrere nelle pene stabilite ove manchi ad esso.

Potrebbe darsi luogo, poi, a questo equivoco: anzi, letteralmente parlando, la legge andrebbe interpretata così: soltanto chi ha giurato alla data della entrata in vigore della legge, incorrerebbe nelle pene previste.

PRESIDENTE. Porrò per primo in votazione l’emendamento dell’onorevole Gullo.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro di votare contro l’emendamento dell’onorevole Gullo, perché nella norma in esame il tempo presente non deve concernere il giuramento, bensì il fatto che determina un’infrazione al giuramento preesistente. Come è nel testo. E non ho altro da aggiungere.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del testo della Commissione, con l’emendamento Gullo:

«I dipendenti civili o militari dello Stato o i dipendenti degli Enti locali, che prestano giuramento a norma degli articoli 2. 3 e 4 della legge 23 dicembre 1946, n. 478».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione la stessa prima parte nel testo della Commissione:

«I dipendenti civili o militari dello Stato o i dipendenti degli Enti locali, che hanno prestato giuramento a norma degli articoli 2, 3 e 4 della legge 23 dicembre 1946, n. 478».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole:

«incorrono nella revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento, indipendentemente dall’eventuale azione penale».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«se commettono nell’esercizio delle loro funzioni uno o più atti che contrastino direttamente col giuramento».

(Sono approvate).

Avverto che, a questo punto, vi è l’emendamento Avanzini di soppressione dell’ultima parte dell’articolo; il Ministro Grassi, accettando sostanzialmente la proposta, ritiene però che si debbano lasciare le ultime parole: «di fedeltà alla Repubblica e al suo Capo e alle leggi dello Stato».

L’onorevole Avanzini accetta?

AVANZINI. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo ai voti queste parole, avvertendo che la loro approvazione significherà soppressione delle parole: «ovvero se assumono, nell’esercizio delle loro funzioni, atteggiamenti in fondamentale contradizione con l’obbligo», conformemente all’emendamento Avanzini accettato dal Governo.

(Sono approvate).

Passiamo al secondo articolo, secondo la proposta dell’onorevole Cevolotto, accettata dal Ministro di grazia e giustizia, di completamento del testo primitivo del disegno di legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

Avverto che era stata sollevata la questione se si dovesse parlare di legge costituzionale. La Commissione ha accettato la proposta Perassi di soppressione della parola «costituzionale».

Pongo pertanto in votazione la formula testé letta.

(È approvata).

Se non vi sono osservazioni, questa legge, e le altre discusse ieri e poste all’ordine del giorno per la votazione, saranno votate a scrutinio segreto nella seduta pomeridiana.

(Così rimane stabilito).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Vi sono due questioni ancora da affrontare e decidere prima della sospensione dei nostri lavori: la prima è quella relativa all’elenco delle Regioni; la seconda si riferisce al terzo comma della prima disposizione transitoria del progetto di Costituzione.

Come i colleghi ricordano, era stata sospesa la decisione relativamente all’articolo 47 della legge sull’elettorato attivo, allo scopo, appunto, di decidere dapprima su questo terzo comma della prima norma transitoria.

Si tratta di vedere se in questo momento dobbiamo affrontare questa questione oppure l’elenco delle Regioni. Io penso che sarebbe meglio affrontare la discussione della norma transitoria, per i riferimenti che ha con la legge sull’elettorato attivo.

Il terzo comma della prima disposizione transitoria del progetto di Costituzione è del seguente tenore:

«Sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste».

Il Comitato di redazione, avendo preso in esame la discussione avvenuta in questa Assemblea in sede di legge sull’elettorato attivo, ha proposto il seguente nuovo testo:

«Sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per i capi responsabili del regime fascista».

Il Comitato stesso ha proposto poi un ordine del giorno del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente afferma che le limitazioni, di cui all’ultimo comma dell’articolo I delle Disposizioni transitorie della Costituzione, sono da applicarsi a coloro che hanno ricoperto le seguenti cariche nel regime fascista e in quello repubblicano sociale fascista:

1°) ministri e sottosegretari di Stato in carica dal 5 gennaio 1925;

2°) senatori, tranne quelli non deferiti all’Alta Corte di giustizia o per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza; deputati delle legislature XXVII, XXVIII e XXIX, tranne i deputati della XXVII che non giurarono, o che furono dichiarati decaduti con la mozione del 9 novembre 1926 o che fecero parte della Consulta nazionale; consiglieri nazionali;

3°) membri del consiglio nazionale del partito fascista o del partito fascista repubblicano; membri del tribunale speciale per la difesa dello Stato e dei tribunali speciali della repubblica sociale fascista;

4°) alti gerarchi del partito fascista sino al grado di segretario federale (provinciale) incluso;

5°) ufficiali generali della milizia volontaria sicurezza nazionale in servizio permanente retribuito, eccettuati gli addetti ai servizi speciali; ufficiali della guardia nazionale repubblicana, delle brigate nere, delle legioni autonome e dei reparti speciali di polizia della repubblica sociale fascista;

6°) capi di provincia e questori nominati dalla repubblica sociale fascista».

Gli onorevoli Russo Perez, Mazza, Condorelli, Lettieri, La Gravinese Nicola, Lagravinese Pasquale hanno presentato il seguente emendamento al testo della Commissione:

«Sopprimere il comma.

«Ove l’emendamento soppressivo non fosse approvato, sostituire il comma col seguente:

«Possono essere stabilite con leggi limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste, purché non si estendano a casi non contemplati da precedenti leggi e l’elettore non sia stato già sottoposto a giudizio individuale, nel qual caso sarà da rispettare il giudicato».

Non essendo presente l’onorevole Russo Perez e rinunciando gli altri firmatari a svolgere l’emendamento, passiamo al successivo emendamento degli onorevoli Colitto e Marinaro che è del seguente tenore:

«Sopprimere il comma.

«Subordinatamente aggiungere: In nessun caso, però, potrà derogarsi a leggi precedenti più favorevoli e saranno rispettati i giudicati».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

COLITTO. Io dirò brevemente le ragioni, per cui penso che il mio emendamento debba essere accolto. Numerose norme sono state dal 1944 ad oggi emanate, che, considerando il regime fascista ora una «condizione permanente di illegalità», ora uno «stato di fatto mai legittimato», ora un «periodo di vacanza della giustizia», si sono proposte il fine di liquidare il sistema, che per oltre un ventennio aveva di sé improntato la vita del Paese, e spianare la via maestra della democrazia. Volgendo, ora, la nostra attenzione alle sole norme comminanti quella particolare sanzione, che è la sospensione dai diritti elettorali attivi e passivi, possiamo, salvo errore, affermare che ben tre provvedimenti legislativi (il decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159; il decreto legislativo luogotenenziale 26 aprile 1945, n. 149; il decreto legislativo luogotenenziale 18 febbraio 1946, n. 32) sono stati in detto periodo emanati, nei quali di detta sanzione è parola. E tali norme hanno preso in esame l’attività di tutti coloro, che, vissuti durante il regime, hanno tenuto cariche o si sono comportati in guisa da meritare la grave sanzione. E tutti sono stati sottoposti a procedimento, durante il quale si è indagato proprio se dovessero o no essere privati del diritto di voto.

Queste persone sono state giudicate. Nei confronti di ciascuna è stata emanata una sentenza, ora di assoluzione ora di condanna. Se nei confronti di alcuni (pochi o molti) non si è emanata la sentenza o addirittura non si sono fatte investigazioni, ciò è accaduto perché una norma legislativa stabiliva (appunto per determinare nel Paese un’aura di pacificazione) che il procedimento non potesse essere espletato, se fosse decorso il periodo di un anno dalla entrata in vigore della legge. Io ricordo in proposito l’articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 25 aprile 1945, n. 149.

Ora, se di ogni persona l’attività, proprio ai fini della privazione o meno del diritto di voto, è stata esaminata e definita in base a norme e da magistrature create dalla nuova democrazia, se è certo che tutte le persone, che sono indicate nell’ordine del giorno proposto dal Comitato di coordinamento – tutte, nessuna esclusa – hanno subito una procedura, avente la precisa finalità – ripeto – di accertare se esse potevano o no essere sottoposte alla sanzione della privazione del diritto di voto, se per ciascuna di esse è stata emanata una sentenza, per cui esse sono state o prosciolte o condannate alla privazione del diritto di voto per un determinato periodo di tempo, ritengo che sarebbe grave errore fare dei passi indietro, sottoponendo a novello esame una attività già esaminata. Noi verremmo a sottoporre di nuovo queste persone a procedimenti, noi verremmo di nuovo ad indagare se queste persone hanno o no il diritto di votare, mentre ciò è stato già fatto in base a disposizioni, che sono state emanate proprio dai Governi della liberazione dal 1944 in poi.

Vogliamo il «bis in idem»? Vogliamo di nuovo la distruzione dei giudicati? Vogliamo di nuovo norme di carattere retroattivo? Se questo è il desiderio dell’Assemblea, l’ordine del giorno si approvi. Ma se, nella patria del diritto, dobbiamo proporci di non ricadere più nell’errore di emanare leggi con effetto retroattivo, leggi che distruggano l’autorità della res judicata, mi pare che il capoverso dell’articolo 3 delle disposizioni transitorie non debba essere approvato. E ciò senza dire che non è proprio opportuno lasciare nella Costituzione la traccia di una situazione contingente e di una faziosità, che ci auguriamo superata.

Ho proposto una subordinata. Ho detto: vogliamo che una norma, come che sia, venga in materia emanata? E sia! Ma allora, per lo meno, dobbiamo riconoscere efficacia a leggi precedenti più favorevoli e, per lo meno, dobbiamo far sì che siano rispettati i giudicati.

Chiarisco il mio pensiero. Vi sono persone, che non furono giudicate, ma acquisirono il diritto di non poter essere più giudicate. Si pensò allora – e giustamente – che certe posizioni dovessero essere definite con sollecitudine. Avrebbero dovuto essere definite entro il 29 aprile 1946. Possiamo ora, dopo diciotto mesi dalla scadenza del termine, fare, ripeto, passi indietro e tornare ad esaminare quelle posizioni? Che accadrà poi dei giudicati? Le leggi precedenti stabilivano una penalità in materia: stabilivano che le persone, sottoposte a procedimento, potessero essere private del diritto di voto per un tempo non superiore ai dieci anni. Le Commissioni, quindi, potevano privarle del diritto di voto anche per uno-due anni. In virtù, quindi, della disposizione precedente, un gerarca fascista ha bene potuto essere giudicato e condannato alla privazione del diritto di voto, per esempio, per due anni. Ora, se questi due anni andranno a scadere il 31 dicembre 1947, quale sarà la situazione di quel gerarca – approvandosi la disposizione, di cui ci stiamo occupando – di questo gerarca, il quale è stato già condannato ed ha già scontato la sua pena? Dovrebbe essere di nuovo privato del diritto di voto? E che dire di coloro, che, appartenendo a pubbliche amministrazioni, hanno subito diversi procedimenti di epurazione e ne sono usciti prosciolti, e che oggi si vedrebbero privati dei diritti politici in base a nuove leggi, che eventualmente accoglierebbero quel criterio di condanna per categorie, che fu sempre escluso nella legislazione sulla epurazione? Ancora una volta vogliamo annullare la forza dei giudicati? Alla domanda non si può rispondere affermativamente. Non può rispondere affermativamente l’Italia, che ha al proprio attivo una tradizione fulgidissima di dottrina giuridica, l’Italia, che, inoltre, in ogni direzione grida un reciso «Basta!» con gli odi e le divisioni, che il popolo proprio più non sente ed anzi depreca, come profondamente deleteri per la sua vita ed il suo progresso.

Ecco perché io insisto nella mia proposta. Per lo meno si accetti la mia proposta subordinata.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha proposto il seguente emendamento:

«Sopprimere il comma.

«Subordinatamente, dopo le. parole: responsabilità fasciste, aggiungere: individuali già accertate con provvedimento definitivo.

«La limitazione non può essere superiore ad anni cinque».

L’onorevole Benedettini ha facoltà di svolgere l’emendamento.

BENEDETTINI. Mi associo, per quanto riguarda la soppressione del capoverso, a quanto ha detto l’onorevole Colitto.

Io ho proposto un emendamento in via. subordinata, perché ritengo che si possano escludere dal diritto di voto solo alcune persone, per responsabilità fascista, quando queste responsabilità siano già interamente accertate.

Pertanto, io escludo la possibilità che questo provvedimento vada esteso a intere categorie. Lo escludo in quanto, se vi sono responsabilità individuali accertate con provvedimento definitivo, non vedo perché individui già giudicati e che hanno avuto una precisa rivalutazione, per quanto riguarda le responsabilità o meno, debbano essere esclusi dal voto.

Si può essere stati consiglieri nazionali, si può avere appartenuto al partito fascista, ma si può essere state delle persone oneste, capaci e degne (Interruzioni a sinistra) di vivere nel nostro consesso, perché già con provvedimento definitivo è stata chiusa la loro situazione giuridica. Ecco perché ritengo ingiusto generalizzare un giudizio per intiere categorie ed escludere dal diritto di voto gente di indiscusso ingegno, di indiscussa preparazione e di indiscussa capacità. (Commenti a sinistra). Non è giusto ed è antigiuridico escludere da questo diritto categorie intere. Qui si riapre un’altra volta una piaga grandissima. Noi lavoriamo per la pacificazione e per questa ci siamo sempre battuti.

Se un individuo è stato già giudicato e si è detto: «del suo passato non se ne parla più e può partecipare alla vita degli italiani», ebbene, questo individuo ha il sacrosanto diritto di partecipare alla vita politica del nostro Paese! (Rumori a sinistra). Ripeto che non è dignitoso per noi italiani escludere intiere categorie: non è né dignitoso né giusto. (Commenti a sinistra).

L’appartenere a una categoria, quando si è stati persone oneste, non è sufficiente per essere esclusi da un diritto come il diritto di voto. Fortunatamente abbiamo delle possibilità, perché l’Italia è stata sempre la culla del diritto e non può ammettere che nelle nuove leggi sia così violato il diritto in una forma che farebbe rabbrividire. (Vivi rumori a sinistra).

TONELLO. Hanno tradito il Paese e la Patria!

BENEDETTINI. Una legge che vuol porre al bando intere categorie di cittadini e non fa le dovute discriminazioni, non è legge, ma arbitrio: una legge può privare del diritto di voto dei cittadini, non in quanto abbiano ricoperto delle cariche, ma in quanto abbiano mal operato.

Vi sono indubbiamente tra i Ministri, i senatori, i deputati ed i consiglieri nazionali del passato regime uomini che rovinarono il Paese e che per leggerezza, o per malafede, o per vigliaccheria, o perché solo preoccupati dei loro interessi personali, furono incuranti del male che con la loro azione causavano all’Italia. Vi furono certamente uomini che specularono sul fascismo, si arricchirono ed aumentarono le loro ricchezze lavorando prima al servizio dei tedeschi e poi degli angloamericani, e che oggi speculano sulle rovine della Patria e sulle miserie del popolo italiano per accrescere i loro già pingui patrimoni. Codesti signori vanno privati del diritto di voto di cui non saprebbero che fare, e dovrebbero essere privati altresì delle ingenti ricchezze accumulate a danno delle classi povere del popolo italiano.

Vi sono però, onorevoli colleghi, fra i Ministri, i senatori, i deputati ed i consiglieri nazionali del passato regime, uomini di profondo ingegno, di vasta cultura e di larga preparazione nel campo economico, politico e sociale e dirò, particolarmente, sindacale (Rumori a sinistra), i quali non solo non hanno demeritato, ma hanno anzi ben meritato dal Paese; uomini che potrebbero dare in quest’ora un notevole contributo, se stessero ai posti di comando. (Rumori a sinistra). Sono uomini i quali si affermarono non perché fascisti, ma perché ben dotati di ingegno, di preparazione, di spirito d’iniziativa e che entrarono poveri nel fascismo e ne uscirono poverissimi ed onesti avendo servito il Paese in pace ed in guerra. (Vivi rumori a sinistra).

MORANINO. Questa è apologia del fascismo!

BENEDETTINI. Questo dico, non solo per le più alte cariche, ma anche per le minori, vale a dire per gli ufficiali, i podestà, i federali. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prego di far silenzio.

BENEDETTINI. Dunque se noi vogliamo punire i colpevoli – ed è giusto che così sia fatto – è necessario colpire gli uomini per le loro attività singole e non perché appartenenti a determinate categorie sociali.

Guardiamoci bene dal commettere un tale errore che certamente sconteremmo, giacché in tali questioni non possiamo dimenticare il fattore politico. Questo fattore ci porta a considerare che, oggi, quelli che furono fascisti vanno inquadrandosi negli altri partiti, cosicché si può affermare che non vi sia partito, dall’estrema destra all’estrema sinistra, che non conti tra le sue fila ex fascisti. (Commenti prolungati a sinistra).

Se una giusta legge priverà del diritto di voto coloro che come fascisti ebbero delle colpe, gli italiani, senza distinzione di parte, saranno contentissimi e noi elimineremmo sempre più la possibilità di rinascita del fascismo sotto qualsiasi forma. Se, al contrario, con una legge iniqua si priveranno del diritto di voto decine e decine di migliaia di ex fascisti, molti dei quali ebbero il solo torto di essere dotati di ingegno e di cultura (Proteste a sinistra) e di aver servito con senso di dovere e onestà la Patria, noi costringeremmo questi ex fascisti – oggi dispersi, divisi nei vari partiti – a ricostituirsi in unità, perché qualificati fra i reprobi.

Noi abbiamo il preciso dovere di interpretare il sentimento della maggioranza degli italiani… (Interruzioni a sinistra – Rumori) e non di dare seguito alle parole di pochi spiriti i quali credono di farsi un nome, di passare alla storia, di imporsi all’attenzione delle masse proponendo emendamenti che avrebbero il solo effetto di dividere ancora più gli italiani. (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. Doveva pronunciare ieri, 28 ottobre, questo discorso!

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, mi pare che lei stia sviando molto dall’argomento. La prego di restare all’emendamento.

BENEDETTINI. Noi che da quest’Aula ogni giorno ci vantiamo di batterci per la libertà e la democrazia, dopo un ventennio di dittatura, non dobbiamo dare vita a leggi inique che la dittatura fascista non emanò mai… (Interruzioni a sinistra). Non facciamo – come disse un altro antifascista, l’onorevole Nitti – che nella Costituzione e nelle leggi noi si debba mettere insieme la parte peggiore del fascismo, senza mettere quella che fu la parte migliore. (Commenti a sinistra).

Io vi esorto a ricordare il passato, sia remoto che prossimo. E questo passato ci grida che nell’aprile del 1945 circa 300.000 italiani furono uccisi nel Nord. (Rumori vivissimi e prolungati a sinistra – Interruzioni – Commenti).

SCOTTI FRANCESCO. Sono stati giustiziati giustamente i repubblichini; ma non sono mai stati 300.000.

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, le impedisco di proseguire su questo tono. La prego immediatamente di concludere. (Vivi rumori a sinistra).

Onorevoli colleghi, mi stupisco dell’assoluta mancanza di sensibilità politica che si manifesta. Nel momento stesso in cui, in una maniera che ritengo un po’ più autorevole di quella di ciascuno dei membri dell’Assemblea, faccio un richiamo all’onorevole Benedettini, con le loro grida incomposte, tolgono ogni valore al mio richiamo, il quale o appare così obbligato, come fatto sotto la loro pressione o si perde in queste grida incomposte.

Onorevole Benedettini, mi rammarico vivamente per la frase che lei ha pronunciato, e la prego di concludere immediatamente restando al tema del suo emendamento.

BENEDETTINI. È, dunque, per un senso di pace e di concordia, che io avrei proposto di abolire senz’altro il terzo comma della disposizione: ma l’esito avuto dalla proposta dell’onorevole Bencivenga mi consiglia di presentare un opportuno emendamento subordinato:

«Dopo le parole: responsabilità fasciste, aggiungere: individuali già accertate con provvedimento definitivo.

«La limitazione non può essere superiore ad anni cinque».

Questo emendamento, che raccomando alla vostra approvazione, è destinato a dare forma e vita alla nuova legge; legge di giustizia e non di vendetta, di pace e non di odio.

Onorevoli colleghi, nel decidere, nel legiferare, non ci dimentichiamo le condizioni dell’Italia e degli italiani: l’una e gli altri vogliono pace, concordia, giustizia e lavoro. (Applausi all’estrema destra).

LUSSU. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.

PRESIDENTE. A che proposito?

LUSSU. A proposito delle parole che sento pronunciare qui. Noi, l’ultima volta che abbiamo discusso di questo problema, in sede di articolo 47, ci siamo fermati, in seguito alla richiesta sospensiva presentata da un collega dell’estrema destra. Ma a me pare evidente, ed a ciascuno di noi pare evidente, che la sospensiva riguarda il punto dell’articolo 47 non ancora toccato. Quando io sento, quindi, riprendere questioni sulle quali ci siamo già pronunciati, ho l’impressione che usciamo dal Regolamento.

PRESIDENTE. Ho l’impressione che lei ancora non si sia reso conto, onorevole Lussu, che all’ordine del giorno questa mattina non c’è la legge sull’elettorato attivo, e che non stiamo trattando dell’articolo 47 della, legge, ma del terzo comma della prima disposizione transitoria del testo costituzionale. È questo l’argomento intorno al quale l’Assemblea deve discutere e decidere. E ciò appunto in dipendenza di una decisione dell’Assemblea che, su proposta di uno dei suoi membri, ha deciso di discutere prima il terzo comma della prima disposizione transitoria della Costituzione, e poi, in dipendenza delle decisioni che saranno prese, circa le disposizioni dell’articolo 47 di quel progetto di legge.

Noi siamo pertanto in tema costituzionale ed ogni richiamo all’articolo 47 della legge sull’elettorato attivo è al di fuori della nostra discussione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Mi permetta, signor Presidente, che io dissenta.

Non sono d’accordo col suo punto di vista: noi ci troviamo oggi qui, all’improvviso, di fronte ad un problema che era ben chiaro nella volontà dell’Assemblea.

Il problema riguardava l’articolo 47. Oggi assistiamo ad uno scambio di parole, di ordini del giorno, alla rievocazione di principî sui quali avevamo già deciso con votazioni.

Ho, quindi, il diritto di chiedere che la discussione rientri nei suoi veri termini e che non sia consentito negare ciò su cui l’Assemblea ha deciso.

Mi pare che questa sia una questione procedurale estremamente chiara e legittima.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sull’incidente sollevato dall’onorevole Lussu, per prima cosa dirò che mi pare un po’ avventato il dire che la questione sia stata portata all’improvviso all’Assemblea. Cinque giorni fa, quando esposi il programma di lavoro, ebbi occasione di specificare che avremmo trattato anche questo argomento. I colleghi che erano presenti certamente se ne ricorderanno.

Ma l’onorevole Lussu ha sollevato una questione più ampia: che, senza un’espressa decisione dell’Assemblea, la Presidenza ha sospeso la discussione di un disegno di legge in corso di esame ed ha – mi permetta, onorevole Lussu – surrettiziamente introdotto l’esame di un argomento che non doveva ancora essere presentato all’Assemblea.

Ricordo pertanto che nella seduta antimeridiana del 19 settembre, mentre si discuteva sul disegno di legge concernente la disciplina dell’elettorato attivo, l’onorevole Russo Perez presentò una mozione d’ordine con la quale sosteneva che non si potesse discutere ancora l’articolo 47 di quella legge, se prima non si fosse deciso sopra il terzo comma della prima disposizione transitoria del progetto di Costituzione, e pertanto proponeva di sospendere la discussione in corso per riprenderla solo dopo approvato tale comma.

La mozione d’ordine fu discussa per un’intera mattinata dagli onorevoli Russo Perez, Mazzoni, Cianca, Bellavista, Schiavetti, Uberti, Marazza, Togliatti, Mastino Pietro, Condorelli, e la proposta di sospensiva fu, come risulta dal resoconto, dopo prova e controprova e votazione per divisione, approvata.

E la proposta di sospensiva era così stata spiegata dall’onorevole Russo Perez, come risulta dal resoconto sommario:

«Precisa che la sua proposta tende a che si sospenda la discussione dell’articolo 47 fino a quando l’Assemblea non abbia deciso sulla prima disposizione transitoria del progetto di Costituzione».

Nella seduta antimeridiana del 24 settembre l’Assemblea riprese in esame la questione, non già per ritornare sopra la decisione presa, ma per esaminare in qual modo pratico si potesse attuare la sospensiva approvata, avendo il Ministro dell’interno fatto presente che, allo scopo di preparare le liste elettorali in tempo debito, in vista di elezioni non troppo lontane, non poteva attendere oltre.

Leggo dal resoconto sommario:

«Scelba, Ministro dell’interno, ricorda che occorre avere al più presto lo strumento tecnico necessario per potere senz’altro procedere alla compilazione delle liste elettorali.

«Dato che l’articolo 47, sospeso, non è essenziale a tal fine, prega l’Assemblea di approvare la legge elettorale, con l’impegno del Governo di ripresentare le disposizioni contenute negli articoli 47 e seguenti in sede di legge sull’elettorato passivo, disposizioni che avrebbero valore naturalmente anche per la legge in esame».

«Uberti, Relatore, osserva che si potrebbe accettare la proposta del Ministro, per evitare un ritardo eccessivo nell’applicazione della legge. Propone peraltro di stralciare gli articoli 47-50 per farne una legge a parte, e non di rinviarli alla legge sull’elettorato passivo».

L’onorevole Ruini accetta questa proposta dell’onorevole Uberti, e l’Assemblea, dopo prova e controprova, approva la proposta dell’onorevole Uberti, fatta propria dall’onorevole Ruini.

Qual è, dunque, la situazione, onorevole Lussu? Questa, che l’Assemblea ha deciso – e non la Presidenza ha cercato di far accogliere dall’Assemblea – che l’articolo 47 fosse rinviato e in un secondo tempo ha accettato che esso fosse materia di un nuovo disegno di legge, e che questo disegno di legge fosse presentato e discusso solo dopo che l’Assemblea avesse deciso in ordine alla prima norma transitoria del progetto di Costituzione, che comprende il terzo comma di cui stiamo discutendo.

Mi pare, quindi, che le osservazioni dell’onorevole Lussu non abbiano fondamento, poiché l’Assemblea ha legittimamente disposto di mettere all’ordine del giorno di oggi questo argomento, sul quale occorre giungere ad una decisione, che renda poi possibile un disegno di legge che comprenda la materia dell’articolo 47 del vecchio disegno di legge.

LUSSU. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Ella mi attribuisce, signor Presidente, con eccessivo spirito critico, di avere posto in dubbio la serenità del Presidente nell’esercizio della sua carica. Quando ho detto che questo ordine del giorno ci era stato presentato di sorpresa, non ho inteso già di affermare che l’onorevole Presidente ci avesse sorpreso, per cui la discussione avvenisse mentre noi eravamo impreparati a sostenerla; ho inteso dire invece semplicemente che noi, di fronte a questa discussione, venivamo manifestamente a trovarci carenti di quegli elementi che i più – ed io in particolare – giudichiamo indispensabili e per seguire la discussione e per decidere in merito ad essa.

Non appena, quindi, ho ascoltato questi interventi, ho chiesto che mi venissero sottoposti gli atti ufficiali scritti, che noi non possiamo tutti i giorni andar ricercando, perché altrimenti dovremmo venir qui con delle valigie; ed è stato soltanto grazie alla cortesia di un collega che ne ho potuto prendere visione.

Io quindi non ho inteso di alludere se non ad una sorpresa soggettiva; non ho inteso cioè di muovere un appunto all’onorevole Presidente, perché non sarebbe stato il caso.

Circa poi il resto, l’onorevole Presidente mi consentirà che io mi dica sorpreso del modo come si procede in Commissione, per cui l’articolo 47, già per metà discusso ed approvato, improvvisamente viene ad essere ripresentato, insieme con l’altro prezioso articolo 50, in veste di una futura legge particolare da discutere.

Io mi permetto quindi di esprimere, per tutto questo, la mia più alta sorpresa.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, mi pareva di averle fornito gli elementi sufficienti perché lei arrivasse a comprendere che non è in sede di Commissione che tutto questo è stato deciso, ma in sede di Assemblea. Ora, è evidente che ognuno può essere più o meno soddisfatto dei risultati delle votazioni che avvengono in Assemblea, ma nessuno può dire che esse abbiano alcunché di recondito nei principî ai quali si richiamano e nel modo come si svolgono.

LUSSU. Mi permetta, onorevole Presidente: io chiedo a lei e in pari tempo chiedo a tutti i colleghi dell’Assemblea di tener presente come il Regolamento che disciplina i nostri lavori contempli, al Capo XIV, la disciplina delle votazioni. V’è forse nel Regolamento stesso qualche altro luogo ove si parli ancora di tale disciplina e ove sia consentito che delle materie già sottoposte all’esame dell’Assemblea e da questa approvate possano divenir lettera morta?

È questa, onorevoli colleghi, una domanda che io rivolgo, sì, a tutti i colleghi dell’Assemblea, ma che rivolgo in modo particolare al Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, non riesco a comprendere le sue obiezioni.

L’Assemblea ha deciso, ed è appunto compito del Presidente di fare applicare ciò che è stato deliberato in quelle votazioni. Di ciò che lei ha detto potrà tenersi conto, se mai, quando l’Assemblea sarà chiamata ad esaminare quella nuova formulazione che il Governo presenterà. Se in quella formulazione non si terrà conto di ciò che l’Assemblea aveva già deliberato, la sua eccezione potrà essere sostenuta ed anche accettata. Ma in questo momento ella non può anticipare gli eventi, prevedendo che le decisioni dell’Assemblea saranno tenute in non cale.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Ringrazio l’onorevole Presidente per l’esposizione fatta circa i precedenti di questo dibattito. Io pongo alla mia coscienza, prima che al Presidente, dei quesiti.

Noi abbiamo discusso in settembre l’articolo 47 della legge sull’elettorato attivo ed abbiamo approvato alcuni numeri compresi in quell’articolo. Vale a dire, abbiamo espresso la volontà della maggioranza della Assemblea su determinate sanzioni con cui devono essere colpite determinate categorie. Rimane acquisito all’attività di questa Costituente il fatto che su quei problemi delle soluzioni sono state prese.

Ora io domando a me stesso – e chiedo al Presidente – quale sia la sorte di questi punti che sono stati discussi e decisi. Vale a dire: è possibile oggi fare una discussione, la quale contraddice alle decisioni che sono state prese dall’Assemblea Costituente durante il dibattito dell’articolo 47? È vero che c’è stata la sospensiva, ma la sospensiva è intervenuta quando su determinate questioni – ripeto – la decisione era stata presa.

Lo stesso articolo che abbiamo sotto gli occhi è una modificazione di quella che è stata la decisione della maggioranza dell’Assemblea.

PRESIDENTE. È un ordine del giorno.

CIANCA. Non solo si tratta dell’ordine del giorno, ma dello stesso articolo modificato, perché questo nuovo articolo, se mi permette l’onorevole Presidente, incide sulle decisioni da noi adottate in settembre.

PRESIDENTE. Onorevole Cianca, scusi se l’interrompo, ma è proprio per il desiderio di non prolungare una discussione che forse può essere evitata.

Lei aveva preso la parola in sede di quella discussione che io ho richiamato ed aveva lungamente esposto le sue considerazioni. Lei era contrario al rinvio ed ha anche motivato la sua opposizione.

Tuttavia l’Assemblea, allo scopo di evitare deliberazioni sulla legge dell’elettorato attivo che avrebbero potuto poi trovarsi in contrasto con una norma costituzionale, ha deciso di deliberare prima sulla materia costituzionale e poi di redigere la nuova legge.

Oggi si approva la norma costituzionale transitoria che aprirà la via della deliberazione sull’emendamento dell’onorevole Schiavetti all’articolo 47 della legge sull’elettorato.

Siamo quindi nell’ordine logico delle cose: stabilire prima la norma costituzionale e poi la norma legislativa.

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIANCA. Io non contesto affatto le ragioni che lei ha esposte, però rilevo che arriveremmo a questa conclusione: che a un mese e mezzo di distanza l’Assemblea voterebbe oggi in pieno contrasto con quello che decise allora.

PRESIDENTE. Onorevole Cianca, l’Assemblea Costituente, in sede costituzionale, può votare una norma che porti alla necessità di modificare una norma legislativa. Questo è evidente. Può rammaricarsene qualcuno, ma d’altra parte non si può fare diversamente, dato che questa è un’Assemblea Costituente.

LUSSU. Solo a scrutinio segreto si poteva annullare quanto, sull’articolo 47, abbiamo già votato.

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, lei precipita i tempi.

Aspetti a fare constatazioni del genere.

CIANCA. Vuol dire che noi ci rassegneremo a formulare dei giudizi sulla coerenza dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevole Cianca, ciascuno farà quello che crede più opportuno e doveroso.

Ritengo che si possa ora proseguire nell’esame degli emendamenti.

Gli onorevoli Dominedò e Giacchero propongono di sopprimere il comma.

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DOMINEDÒ. Non credo che occorra un apposito discorso per l’emendamento soppressivo, che ho l’onore di sottoporre al voto dell’Assemblea, sia pure a titolo personale insieme al collega Giacchero.

Mi limiterò a considerare che il suo spirito informatore è anzitutto di natura tecnica, giuridica e costituzionale, trattandosi qui di materia che, se mai, dovrebbe essere di competenza delle leggi speciali, come infatti è avvenuto con la legge che già risolve il problema, mediante limitazioni al diritto di voto nei confronti dei singoli soggetti, a seguito di apposito giudizio.

Se così è, ne deriva che una Costituzione democratica, protesa verso una costruzione positiva, e non solamente limitantesi a una negazione del passato, non può introdurre condanne per categoria, distinguendo ancora una volta i cittadini optimo jure da quelli non optimo jure. Di qui il vantaggio, anche politico, di non fare nemmeno menzione dei relitti di un ordine totalitario che deve considerarsi come appartenente definitivamente al passato, nello sforzo creativo di una vera democrazia. (Commenti).

UBERTI. V’è l’articolo 45 della Costituzione che lo rende necessario.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Monticelli, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«Fino ad un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione la legge può stabilire una limitazione alla eleggibilità e al diritto di voto per rilevanti responsabilità nell’ex regime fascista».

Non essendo presente l’onorevole Monticelli si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati:

«Sostituirlo col seguente:

«In deroga all’articolo 45, la legge potrà stabilire, per non oltre un quinquennio dalla data di entrata in vigore della Costituzione, limitazioni alla eleggibilità ed al diritto di voto per coloro che sono da ritenere responsabili, in grado eminente, della formazione e del mantenimento del cessato regime fascista per la natura delle cariche ricoperte o dell’attività esercitata, obiettivamente determinata, in una delle seguenti categorie:

membri del governo, del gran consiglio, degli organi legislativi, del tribunale speciale, della milizia volontaria sicurezza nazionale, delle gerarchie del partito fino al grado di segretario provinciale, funzionari direttivi militari e civili della cosiddetta repubblica sociale».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Dichiaro di accettare il testo della Commissione, rinunciando ad una mia precedente proposta, la quale riguardava anche l’esclusione dal corpo della Costituzione della elencazione delle categorie degli esclusi dall’elettorato per indegnità fascista.

Insisto però sul mio emendamento per quanto attiene a due altri punti: in primo luogo nel richiedere che sia inserito, al principio del comma, l’inciso: «In deroga all’articolo 45». Questa inserzione mi sembra opportuna se non necessaria. Forse non è necessaria perché la stessa inserzione nella Costituzione di una disposizione transitoria, quale quella dell’ultimo capoverso dell’articolo 1, fa argomentare per il carattere eccezionale delle limitazioni in essa sancite. Tale carattere eccezionale può argomentarsi anche dalla sospensione che l’Assemblea ha deliberato dell’articolo 47 della legge sulle liste elettorali, al momento in cui si discutevano gli emendamenti dell’onorevole Schiavetti, sospensione motivata dalla convinzione che si vertesse in materia costituzionale.

Tuttavia, anche considerando tutto questo, credo sia opportuno stabilire in modo testuale che queste limitazioni costituiscono deroga all’articolo 45. Ciò perché l’articolo 45, in seguito alle modificazioni apportate al suo testo dall’Assemblea, consente l’esclusione del diritto di voto in caso di indegnità morale. Ora, potrebbe essere sollevato il dubbio che in questi casi di indegnità morale siano compresi o comprensibili anche casi di indegnità dovuta alla posizione politica del cittadino. Il che si deve escludere perché contrastante con il significato voluto attribuire a quella espressione. A mettere in rilievo tale significato giova operare un’interpretazione autentica all’articolo, attraverso la modifica da me proposta dell’ultimo comma dell’articolo 1, disposizioni transitorie, che tende a precisare il carattere di deroga alla norma generale in materia di limitazioni al diritto di voto.

Il secondo punto per cui mi distacco dal testo della Commissione riguarda la determinazione del termine massimo entro il quale queste sanzioni devono essere introdotte. Già il concetto della temporaneità è affermato in quel testo: ma a me pare opportuno delimitare l’estensione di questa in un quinquennio. Mi pare sia questo un termine sufficiente, essendo da presumere il sopravvenire dopo di esso di un periodo di normalizzazione, di attenuazione delle passioni politiche che non riabiliti di per sé gli ex gerarchi fascisti, ma consenta, per l’elettorato passivo, di affidare alla stessa spontanea selezione del corpo elettorale la determinazione, in via di fatto, delle indegnità. Selezione che riuscirà tanto più rigorosa e sodisfacente quanto più il nuovo regime democratico si sarà consolidato nella coscienza dei cittadini, con la felice risoluzione dei problemi che affaticano la Nazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti ha proposto di tornare al testo primitivo del progetto. Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

SCHIAVETTI. Qui ci troviamo di fronte a due atti del Comitato di redazione che sono in contraddizione l’uno con l’altro ed a noi resta la legittima curiosità di sapere perché il Comitato ha affrontato così leggermente una contraddizione formale.

C’è la disposizione per cui sarebbero esclusi dall’eleggibilità e dal diritto di voto i capi responsabili del regime fascista. Poi v’è un ordine del giorno, sempre proposto dal Comitato di redazione, in cui si specificano le speciali categorie da escludere. E qui abbiamo la sorpresa, per non dire altro, di trovare fra i capi responsabili del regime fascista anche gli ufficiali della guarda nazionale repubblicana, delle brigate nere, ecc. Ora è evidente che qui v’è stata una certa improvvisazione da parte degli egregi colleghi del Comitato, e noi, che siamo solleciti del loro buon nome, non vorremmo che essi cadessero in una contraddizione che non farebbe loro onore. Animati quindi da spirito cristiano, facciamo la proposta, per troncare tutte queste discussioni ed anche per cercare di portare la discussione sopra un piano di sincerità, di ritornare al testo del primitivo progetto di Costituzione per cui sarebbero ammesse limitazioni temporanee all’eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste. Questo ci permetterà poi, nella discussione sull’articolo 47, la più ampia latitudine e potremo quindi esaminare le singole categorie onde vedere quelle che sono da escludere e quelle che non sono da escludere. Altrimenti, in caso contrario, noi ci legheremmo le mani e rischieremmo di trovare degli egregi avvocati i quali ci direbbero che l’ordine del giorno è in contraddizione con l’emendamento del Comitato di coordinamento, e trarrebbero da questa contraddizione la possibilità di non arrivare a nessuna conclusione. Chi parla non è avvocato, ma è un uomo di buon senso animato da passione e volontà politica. Domando che si tagli corto a queste contraddizioni, le quali possono celare manovre di carattere politico, e che si ritorni al vecchio progetto di Costituzione.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.

Per l’elezione di tre membri della Corte costituzionale prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana.

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Mi occuperò brevemente della elezione dei membri della Corte costituzionale della regione siciliana.

Mi richiamo a quanto ebbi a richiedere alla Presidenza circa il rinvio dell’elezione dei membri della Corte costituzionale della Regione siciliana per chiedere all’onorevole Presidente quando intende mettere all’ordine del giorno l’elezione di detti membri.

PRESIDENTE. Faccio presente all’onorevole Caronia che, avvertendo l’importanza della questione, mi sono preoccupato d’interpellare i Presidenti di tutti i Gruppi parlamentari o un loro rappresentante; e ieri mattina, in una apposita riunione, i presenti, all’unanimità, sono arrivati alla conclusione che non fosse in questo momento da porsi all’ordine del giorno dell’Assemblea questa nomina, e che si dovrebbe attendere, quindi, un momento più opportuno. Pertanto, dinanzi ad una opinione così unanime, la Presidenza ha ritenuto e ritiene di non porre per adesso all’ordine del giorno l’elezione dei tre membri effettivi e del membro supplente della Corte costituzionale siciliana, che devono essere designati per l’appunto dall’Assemblea Costituente.

CARONIA. Mi permetto di dissentire da quanto hanno deciso i pochi che pretendono di rappresentare la volontà dei Gruppi. Rimandare sine die la nomina dei tre membri della Corte costituzionale significa paralizzare l’attività della Regione. La Regione deve poter vivere; il Governo della Regione deve poter funzionare. Quindi è inderogabile la nomina dei membri della Corte costituzionale.

Abbiamo già degli esempi recenti di veti posti dal Commissario governativo alla Regione siciliana per provvedimenti importantissimi. Io non intendo entrare nel merito della questione di ciò che sarà domani, dopo il coordinamento e dopo le decisioni che l’Assemblea avrà preso sulla Corte costituzionale Nazionale. Intendo riferirmi al bisogno che, in via transitoria, finché tutti questi provvedimenti siano presi, la Regione possa funzionare. Non vedo il motivo per cui oggi si debba procrastinare la nomina dei membri della Corte costituzionale perché il Governo della Regione non trovi intralci nel suo compito. Quindi, insisto perché nel più breve tempo possibile sia posta all’ordine del giorno l’elezione dei tre membri della Corte costituzionale per la Regione siciliana, secondo le norme stabilite dallo Statuto regionale in vigore.

PRESIDENTE. Onorevole Caronia, non posso mettere in dubbio la capacità e il diritto che di rappresentare i propri Gruppi avessero i convenuti a quella riunione, dai Gruppi stessi designati a parteciparvi. Non credo di poter contestare agli onorevoli Gronchi, Scoccimarro, Nasi, Rodinò Mario, Nenni, Perrone Capano, Saragat, Facchinetti, Reale Vito e Bergamini il diritto di rappresentare i rispettivi Gruppi e di parlare a loro nome. Poiché i colleghi, dei quali ho fatto nomi, ieri mattina unanimemente sono pervenuti a quella conclusione, mi sono ritenuto autorizzato, come ritengo di esserlo in questo momento, a pensare che essi abbiano espresso il pensiero dei rispettivi Gruppi.

Comunque, onorevole Caronia, Ella può sempre presentare una proposta formale sulla quale l’Assemblea deciderà.

CARONIA. Faccio proposta formale che siano eletti subito i tre membri della Corte costituzionale per la Regione.

La seduta termina alle 13.5.

MARTEDÌ 28 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXV.

SEDUTA DI MARTEDÌ 28 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEI VICEPRESIDENTI BOSCO LUCARELLI E CONTI

INDICE

Disegno di legge (Discussione e approvazione):.

Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane. (24).

Presidente

Disegno di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro. (25).

Presidente

Perassi

Villani, Relatore

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Chiostergi

Comunicazione del Presidente del Consiglio dei Ministri:

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Disegno di legge (Discussione e approvazione):

Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947. (29).

Presidente

Nobile

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Disegno di legge (Discussione e approvazione):

Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).

Presidente

Rubilli

Russo Perez

Condorelli

Costantini

Bozzi, Relatore

Bergamini

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Conti

Clerici

Nobile

Gasparotto

Macrelli

Fabbri

Codacci Pisanelli

Dominedò

Crispo

Nasi

Nobili Tito Oro

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Disegno di legge (Discussione e votazione):

Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9).

Presidente

Ruggiero

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Lagravinese  Pasquale

Colitto, Relatore

Badini Confalonieri

Russo Perez

Sansone

Perrone Capano

Macrelli

Camangi

Angelini

Dominedò

Boldrini

La Rocca

Fabbri

Perassi

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente .

Grassi, Ministrò di grazia e giustizia

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Discussione del disegno di legge: Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane. (24).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del seguente disegno di legge: «Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane». (24).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, passiamo all’esame dei singoli articoli.

Si dia lettura dell’articolo 1:

RICCIO, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data allo scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 1.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Per l’attuazione del precedente articolo 1 è autorizzata la spesa di lire 1.200.000.000 da stanziare nello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa (Marina).

«Il Ministro del tesoro è autorizzato a provvedere, con propri decreti, alle occorrenti variazioni di bilancio».

PRESIDENTE. Pongo ai voti l’articolo 2. (È approvato).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal 1° giugno 1946».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro. (25).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: «Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del Lavoro». (25).

Dichiaro aperta la discussione generale. Non essendovi oratori iscritti e nessuno chiedendo di parlare, passiamo all’esame dei singoli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

RICCIO, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data ai seguenti Atti internazionali adottati a Montreal dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel corso della sua XXIX sessione, il 9 ottobre 1946:

  1. a) Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro;
  2. b) Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime XXVIII sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni, e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società della Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro».

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Sebbene sia chiusa la discussione generale, mi si consenta di rilevare brevissimamente l’importanza di questo Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il quale corona un movimento di emancipazione, si potrebbe dire, della Organizzazione Internazionale del Lavoro, la quale, creata nel 1919, come istituzione organicamente collegata con la Società delle Nazioni, ha dimostrato una vitalità che le ha permesso, non soltanto di sopravvivere durante la tormenta della guerra, ma di affermare via via la propria autonomia e la propria indipendenza.

Quando la Società delle Nazioni si estinse, si pose il problema di dare un assetto indipendente all’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Questo procedimento si è svolto in due tempi: il primo, mediante un atto del 1945 che ha portato alla Costituzione dell’Organizzazione alcuni emendamenti necessari ed urgenti, che sono entrati in vigore nel settembre 1946. L’Atto di emendamento, a cui si riferisce il disegno di legge in discussione, è più ampio e porta altre modificazioni alla Costituzione, le quali si possono dividere in due gruppi: alcune di esse sono formali e tecniche, come è stato rilevato nelle due relazioni, ma ve ne è qualche altra, che io credo meriti di essere rilevata, prima che l’Assemblea Costituente passi al voto sul testo del disegno di legge.

Vi è infatti, qualche emendamento che non è di pura forma, ma che ha una importanza notevole. Io vorrei, in particolare, accennare ad un emendamento relativo al valore che viene a darsi, secondo la nuova Costituzione, alle convenzioni e alle raccomandazioni che sono adottate dalla Conferenza Generale del Lavoro. Secondo le norme finora vigenti, quando la Conferenza adottava un progetto di convenzione (così si diceva allora) o una raccomandazione, sorgeva bensì un obbligo nei singoli Stati membri, ma era un obbligo puramente formale, cioè quello di sottoporre tali atti all’esame degli organi competenti. Ora, la innovazione notevole che è stata introdotta su questo punto consiste in questo: che ogni Governo è tenuto verso l’Organizzazione a comunicare periodicamente le ragioni per le quali non ritiene di potere dar corso alle convenzioni o alle raccomandazioni. È evidente che questa norma ha una portata, se non giuridicamente molto importante, politicamente interessante, perché costituisce uno stimolo ai diversi Governi perché diano corso a ciò che la Conferenza del Lavoro ha adottato. In questo senso essa merita di essere rilevata, e credo di essere interprete di molti che siedono in questa Assemblea, nel salutare come felice questa innovazione. Aggiungo che questa innovazione si ricollega nello spirito ad una proposta, anche molto più ardita, che era stata fatta nel 1919 dalla Delegazione italiana nella Commissione che elaborò il testo della prima Costituzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Ciò premesso, mi permetto di segnalare all’attenzione del Governo, in questo momento rappresentato dal Ministro della giustizia, una questione puramente formale, ed è questa: nel documento allegato al disegno di legge, i due atti internazionali, che ne formano oggetto, sono preceduti da una lettera. È la lettera burocratica con la quale l’Ufficio Internazionale del Lavoro ha trasmesso ai diversi Governi i testi dell’Atto di emendamento alla Costituzione e della convenzione che segue. Ora, è evidente che solo per una svista tale lettera è stata allegata al disegno di legge. La legge dovrà portare come allegato soltanto i testi dei due atti internazionali, ai quali essa dà piena ed intera esecuzione.

L’altra osservazione puramente formale, direi quasi tipografica, è questa: nel testo dell’Atto di emendamento allegato al disegno di legge, si trova, a pagina 32 del documento, il periodo che comincia con le parole: «En foi de quoi».

Questo periodo non deve figurare dove è stato stampato, perché non è il seguito della colonna sotto la quale è stato inserito. In realtà, questo periodo costituisce la chiusa degli articoli dell’Atto di emendamento che precedono l’annesso, che vi è inserito. Ora, stampandosi nella Gazzetta Ufficiale la legge che stiamo esaminando, quel periodo dovrà essere spostato e stampato in maniera che si veda qual è la sua posizione logica nell’Atto di emendamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di rispondere l’onorevole Relatore.

VILLANI, Relatore. Non posso che associarmi alle considerazioni fatte dall’onorevole Perassi, soprattutto per quel che riguarda la parte da lui sottolineata, concernente l’importante innovazione alla quale ha fatto cenno nell’esame da lui fatto del testo che ci è stato sottoposto. Per quel che riguarda l’ultima considerazione fatta dall’onorevole Perassi, evidentemente si tratta di errore di stampa o meglio – direi – di impaginazione.

È evidente che in una legge, che è legge nostra, non può esservi accenno a quello che è l’organo che ce la ha consigliata; soprattutto, non ci può essere la firma del Presidente della Conferenza o del Direttore generale del Bureau: ragione per cui credo si possa accettare senz’altro il suggerimento dell’onorevole Perassi, ed approvare la legge così come ci è stata inviata.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro di grazia e giustizia.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo non può che tener conto delle considerazioni fatte dall’onorevole Perassi nella redazione della legge.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. È la prima lettera che bisogna togliere, non la firma del testo. Le firme del testo devono restare. È una questione di forma, che non ha molta importanza.

VILLANI, Relatore. La lettera non ha che un carattere informativo.

PRESIDENTE. Queste lettere non fanno parte del testo: sono materia d’informazione. Noi stiamo discutendo l’articolo 1, onorevole Perassi. In esso non è richiamato nessuno di questi documenti.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. L’articolo 1 del disegno di legge richiama gli atti internazionali, a cui si riferisce, e che devono essere pubblicati come parti integranti della legge. Quelle che ho fatto sono osservazioni puramente formali, che il Ministro Guardasigilli ha perfettamente intese.

VILLANI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VILLANI, Relatore. Vorrei far osservare che la legge che ci è sottoposta non consta che di due articoli; tutto il rimanente materiale non ha che carattere informativo: ragione per cui noi, approvando la legge, non facciamo che la sola cosa che ci è richiesta. Il rimanente, ripeto, ha carattere informativo e vale a spiegarci i motivi per cui ci è sottoposta la legge, che è stilata in due articoli.

PRESIDENTE. Se in uno degli articoli del testo del disegno di legge fossero stati inseriti i documenti ad esso allegati, allora queste osservazioni sarebbero pertinenti; ma così non è. Per la pubblicazione che il Governo dovrà fare del testo della Costituzione della Organizzazione Internazionale del Lavoro, le sue osservazioni sono utili; e il Governo dice infatti che ne terrà conto.

In questo momento l’Assemblea può dunque procedere alla votazione, indipendentemente dalla sua considerazione che non sarà comunque trascurata dal Governo, ma solo in un momento successivo, quando si tratterà di definire il testo di questi documenti, affinché costituiscano una base per l’attività dello Stato italiano.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Credo necessario ripetere che l’Atto di emendamento e la convenzione che segue devono figurare allegati alla legge che stiamo esaminando, come avviene per tutte le leggi che danno piena ed intera esecuzione a trattati internazionali.

PRESIDENTE. La sua osservazione, onorevole Perassi, vale per l’attività successiva da svolgersi da parte del Governo; ma essa non viene a modificare l’atto dell’Assemblea, che è limitato all’approvazione degli articoli 1 e 2 e del complesso del progetto di legge sottopostoci.

Comunque, il Governo, per bocca dell’onorevole Grassi, ha dato l’assicurazione richiesta.

Pongo in votazione l’articolo 1 testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Comunicazione dei Presidente del Consiglio dei Ministri.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi onoro di informare l’Assemblea che, con decreto del Capo provvisorio dello Stato in data 25 corrente, su mia proposta, di concerto col Ministro delle finanze, l’onorevole Piero Malvestiti, deputato all’Assemblea Costituente, è stato nominato Sottosegretario di Stato per le finanze.

Discussione del disegno di legge: Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947. (29).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947». (29).

Dichiaro aperta la discussione generale.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Al punto 16 dell’accordo è detto:

«Gli immigranti potranno effettuare liberamente le rimesse che desiderino al tasso di cambio che verrà stabilito a tempo opportuno».

Desidero sapere per quale ragione non sia stato stabilito fin da ora di quale tasso di cambio si tratti. Dopotutto è da sperare che non passi molto tempo, prima che gli emigrati siano in condizione di mandare danaro in Italia alle loro famiglie. A quale cambio ciò avverrà? A quello ufficiale del pesos? O forse ad uno più favorevole? Qui nulla si dice. Sicché domani si potrebbe avere in proposito anche qualche spiacevole sorpresa. Desidero, perciò, chiarimenti dal Ministro.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Presidente del Consiglio assicura in questo momento che trattative per il perfezionamento delle singole clausole sono ancora in corso.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame degli articoli. Si dia lettura dell’articolo 1.

RICCIO, Segretario, legge:

«Piena ed intera esecuzione è data all’Accordo fra l’Italia e l’Argentina, in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione. (È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed ha effetto dal giorno dello scambio delle ratifiche».

PRESIDENTE. Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare l’onorevole Rubilli, Ne ha facoltà.

RUBILLI. Onorevoli colleghi, per conto mio, sostengo il testo governativo, e mi dichiaro contrario alle modificazioni che sono state apportate, specialmente all’articolo 1, dalla Commissione. Queste modificazioni sono improntate ad un senso di asprezza, che io ritengo inopportuno ed assolutamente ingiustificato. Comprendo forse la bontà dei sentimenti a cui si sono informati i componenti della Commissione: impulsi patriottici, deprecazione del passato, monito per l’avvenire. Ma mi pare che la rievocazione di questi sentimenti sia inutile ed inopportuna a proposito della legge che viene al nostro esame.

Bisogna pure considerare che si tratta di una diecina di persone, forse anche un po’ di più, ma certo non molte, né moltissime, che a mio avviso debbono ritenersi tutte quante nelle identiche condizioni, perché alcuni senatori non vennero deferiti per la decadenza, e quindi si riconobbe l’integrità dei loro precedenti politici; altri, è vero, furono deferiti per la decadenza, ma sono stati completamente discriminati. Ed allora mi pare perciò che la condizione di questi secondi sia completamente identica alla condizione dei primi, perché essi sono stati discriminati, non in base a leggi fasciste, ma in base a leggi nostre, con giudizio delle nostre autorità democratiche, e questo giudizio noi abbiamo il dovere di rispettare. Quindi la condizione può ritenersi identica, tra quelli non denunziati e quelli discriminati. Si tratta, ripeto, di dieci, dodici, sia pure un po’ di più – non so bene – ma sempre di uomini politici di indiscusso valore personale: vi sono dei nomi che rispondono a quelli di Benedetto Croce, di Einaudi, di Sforza (il quale in questo momento rappresenta l’Italia all’estero, in Inghilterra), ed anche del nostro collega Bergamini e di altri presso a poco consimili. Non riesco a spiegarmi, di fronte a questi uomini, il senso di asprezza cui si è improntata la Commissione. Quali sono le ragioni per cui il Senato debba dichiararsi abolito? Su questo punto nessuna difficoltà. È una disposizione che può essere benissimo accolta ad unanimità, dopo le norme che abbiamo approvate sulla seconda Camera con la legge costituzionale.

Può sorgere divergenza solamente sulla condizione che deve esser fatta a questi pochissimi senatori i quali sono rimasti o perché non deferiti o perché discriminati.

Orbene, il capoverso dell’articolo 1 del testo governativo dice:

«I componenti del Senato perdono le guarentigie, le prerogative e i diritti inerenti alla carica. Tuttavia hanno diritto al titolo di senatore onorario e conservano le attuali facilitazioni ferroviarie coloro che non furono deferiti all’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo per la dichiarazione di decadenza dalla carica o per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza».

Queste sono state le due sole concessioni fatte dal Governo. Si potrà dire, dal punto di vista giuridico, che il titolo di senatore onorario è assai discutibile, perché il Senato di oggi e di domani sarà diverso dal Senato di prima, completamente anzi dissimile, e non ne è la continuazione. Quindi, è un nuovo Senato, è una nuova organizzazione a base elettiva. Però, conserva lo stesso nome: Senato è questo che verrà, Senato si chiamava anche quello che oggi viene completamente abolito. Ora, se in base a questa identità di denominazione il Governo ha creduto di concedere a poche persone il titolo di senatore onorario, perché ribellarsi a questo atto di deferenza, a questo atto di educazione politica, a questa dichiarazione di ben servito per quei senatori non proposti per la decadenza oppure completamente discriminati?

Io non me lo so spiegare. Quindi, ritengo che sia inopportuno respingere la proposta del Governo. Poteva il Governo non farla questa concessione, ma, una volta che l’ha fatta, il respingerla mi pare che sia compiere un atto sgarbato, assolutamente inutile e inopportuno per questi uomini che pure in gran parte onorano, hanno onorato e onoreranno la Nazione.

Che ci trovate di male, che c’è da ridire se questi che non sono più senatori in carica conservano almeno un titolo che vale quasi come un’onorificenza? Compiere un atto spiacevole, senza ragione, inutilmente. Diamo il titolo di senatori onorari, giacché è stato proposto. Se non fosse stato escogitato dal Governo, nessuno ci avrebbe pensato, ma toglierlo, dopo la proposta, mi pare inopportuno.

Vengo poi alla seconda concessione, sulla quale io richiamo tutta quanta l’attenzione dell’Assemblea, perché non solo il toglierla mi sembra inopportuno, non solo mi pare sgarbato, come dicevo poco fa per l’altra concessione puramente onorifica, ma costituirebbe un fatto assolutamente illegale, è una violazione di legge, che si può considerare come una specie di prepotenza. Non si capisce bene a questo punto quale sia il vero concetto della Commissione. Io ho stentato a comprenderlo, perché una parte dell’articolo proposto dalla Commissione elimina anche le facilitazioni ferroviarie, mentre in un punto della relazione è detto: «La Commissione ha voluto che risultasse ben chiaro che la dizione «diritti inerenti alla carica», dei quali è dichiarata la decadenza, non dovesse comportare preclusione per la concessione delle facilitazioni di viaggio e dell’accesso alla sede del Senato».

Ed allora che cosa si deve fare? Il Governo ha dato, e voi togliete, poi tergiversate, oppure volete che la concessione rimanga, ma dopo una nuova legge che non si sa se sarà proposta ed approvata. Né basta; perché di seguito la Commissione, quasi pentita, rilascia a questi Senatori un biglietto di raccomandazione per il Governo, perché il Governo estenda ad essi le facilitazioni ferroviarie, cosicché il Governo gliele ha date, voi le togliete e nello stesso tempo raccomandate la concessione, in un ordine del giorno che proponete all’approvazione dell’Assemblea. Io non vi capisco affatto.

BOZZI, Relatore. Glielo spiegherò io, onorevole Rubilli.

RUBILLI. Lasciamo stare le parole che potrete dire, ma nella sostanza voi l’avete tolta questa facilitazione, mentre nel testo governativo c’era. Ora, questo provvedimento che proponete, a mio modesto avviso, è illegale, perché rappresenta una violazione di un diritto già acquisito.

Il senatore quando è stato regolarmente nominato, è stato nominato in base alle nostre leggi. Orbene, se in base alle nostre leggi, a leggi democratiche, i senatori, in virtù della nomina, avevano acquisito la permanente facilitazione ferroviaria, voi vedete che ci volete indurre alla violazione di un diritto, la quale diventa un atto che rasenta la prepotenza. Molti sono anziani e non viaggiano nemmeno. È quindi una questione più di forma che di altro. Io vedo perciò in questo un senso di dispregio che non è opportuno, né può dirsi giustificato. Ed è tanto vero che si tratta di un diritto acquisito che, per toglierlo, avete bisogno di una legge che altrimenti sarebbe inutile, perché non occorrerebbe alcuna legge per sopprimere le facilitazioni ferroviarie, se queste fossero connesse all’esercizio della carica, quando la carica è abolita. E voi stessi della Commissione formulate l’articolo dicendo che gli ex senatori perdono i loro diritti; adunque si tratta di una vera e propria sanzione punitiva.

Badate però che così fece il fascismo compiendo un atto del tutto identico, quando si istituì la Camera dei fasci e delle corporazioni. Prima si era di già imposta una tassa che non era nella legge e ad ogni modo gli ex deputati che avevano acquistato diritto alla tessera permanente ferroviaria si rassegnarono a pagarla, cosicché nel dicembre di ogni anno si mandava con vaglia alla Direzione Generale delle Ferrovie la somma richiesta, e si aveva la tessera di libera circolazione ferroviaria. Con l’istituzione poi della detta Camera dei fasci e delle corporazioni, gli ex deputati mandarono i vaglia, ma passarono dicembre, gennaio, febbraio e le tessere non arrivarono. Gli ex deputati protestarono alla Direzione generale delle ferrovie e questa rispose: noi siamo completamente in regola secondo la legge, perché abbiamo compilato le tessere e le abbiamo mandate alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Quindi abbiamo fatto quello che occorreva. Poi si seppe che le tessere erano state fermate personalmente dal Capo del Governo, il quale, si capisce, aveva delle questioni personali verso gli ex deputati.

GASPAROTTO. Ma nessuno di noi protestò!

RUBILLI. Nessuno protestò; facemmo bene a non protestare. E fra i tanti atti di prepotenza, subimmo anche questo. Anzi si seppe che, ad onta delle insistenze di quelli che stavano attorno al Capo del Governo, questi rimase irremovibile, e, per suo ordine, le tessere non vennero più concesse, e nemmeno fu restituita la tassa, sia anche ciò detto qui incidentalmente.

Alcuni volevano persino ricorrere al Consiglio di Stato per la violazione della legge. Però più prudentemente io dissi: «Che Consiglio di Stato, che Corte dei Conti od altro! Qui non esiste più niente, che volete fare?».

Ora, onorevoli colleghi, per i Senatori la legge stabilisce queste facilitazioni ferroviarie e per legge sono date; per quale ragione, mi domando, vogliamo noi oggi violare la legge? (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Ma perché debbono viaggiare?

RUBILLI. Viaggino o non viaggino, poco importa, ma è certo che la concessione deriva dalla legge, la quale stabiliva che il Senatore, appena nominato, acquistava diritto alla permanente facilitazione ferroviaria…

COSTANTINI. Abrogate anche quella legge, e così andrà bene!

RUBILLI. Voi potete abolire e distruggere tutte le leggi come meglio vi pare, ma a me sembra che la proposta della Commissione possa anche rappresentare un atto di pura marca fascista (Proteste a sinistra), ed io non credo assolutamente che un atto simile possa emanarsi dalla democratica nostra Assemblea Costituente! (Applausi al centro e a destra).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Mi associo alle proposte ed alle considerazioni dell’onorevole Rubilli.

Per quanto riguarda il titolo di senatori onorari, faccio osservare che è anche consigliabile che i vecchi senatori abbiano questo titolo perché, altrimenti, nessuno – per esempio – potrebbe impedir loro di scrivere sulla loro carta da visita: senatore del regno d’Italia. (Commenti).

Una voce a sinistra. Dell’ex regno d’Italia!

RUSSO PEREZ. Nessuno potrebbe impedire loro questo e anche di aggiungere, intelligentemente, il millesimo in cui furono nominati e il millesimo in cui furono deposti, perché quello che spesso qui non si ricorda è che le leggi non aboliscono la storia!

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io voterò contro questa legge, non per omaggio al glorioso istituto che oggi formalmente si sopprime, perché, pur votando la soppressione – ormai necessaria – si potrebbe ugualmente rendere omaggio a quello che questo istituto ha significato nella storia d’Italia. Ma voterò contro perché disapprovo pienamente l’occasio legis, che è poi la causa essenziale di questa legge. L’occasio legis, che si converte qui in causa legis, l’abbiamo appresa dalla stessa parola del Guardasigilli: fu pubblicata una sentenza della Corte di cassazione che annullava le decisioni dell’Alta Corte di Giustizia che dichiaravano decaduti dalla carica 32 senatori; e molti altri senatori si apprestavano a richiedere la stessa riparazione di legge. E allora, non potendosi annullare la sentenza della Cassazione in base alla quale quei senatori ritornavano nel Senato dal quale erano stati incostituzionalmente esclusi, si annulla il Senato.

Questo è un caso gravissimo di sviamento del potere legislativo (Commenti a sinistra): il legislativo, non potendo distruggere una sentenza, distrugge l’istituto e crea una grave ingiustizia, perché già da questa legge si prevede un trattamento favorevole per i senatori che ebbero la fortuna di vedere respinta dall’Alta Corte di Giustizia l’accusa dell’Alto Commissario per le sanzioni, rispetto a quello che si vuol fare a danno di quei senatori che non ottennero invece la discrimina.

Adesso noi poniamo un certo numero di cittadini, indubbiamente ragguardevoli, se non per numero, per la qualità, nella situazione di non potere aver giustizia, perché, avendo cessato di funzionare l’Alta Corte di Giustizia, essa non può più respingere quelle accuse. Il Senato, che sarebbe stato l’unica legittima Alta Corte di Giustizia, più non c’è e questi cittadini debbono rimanere sotto il peso di un’accusa non giudicata, debbono rassegnarsi ad un brutale diniego di giustizia, solo perché hanno avuto la sventura di essere senatori.

È chiaro che questa non è se non un’ennesima violazione di giustizia che si fa per scopi di parte, ed io protesto solennemente. (Applausi a destra – Commenti).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Ho l’impressione che questa legge, di limitatissime proporzioni, venga drammatizzata in questa Assemblea per finalità esclusivamente politiche e, soprattutto, per sentimentalità o residui di sentimentalità monarchiche, come abbiamo testé avuto modo di constatare da parte dell’onorevole Condorelli, il quale non difende il Senato in sé e per sé, come Camera legislativa, ma lo difende come sopravvivenza di quella monarchia che oggi non c’è più e che egli ancora ama.

Signori! Per me, la questione può essere limitata a una breve proposizione: può oggi l’Assemblea Costituente, che è sovrana e che ha tutti i poteri legislativi, fare una legge la quale annulli, estingua quell’organismo che si chiamava Senato del Regno? A questo riguardo, io sono dell’opinione di Pitt: il Parlamento può tutto, caro onorevole Condorelli, tranne che cambiare un uomo in donna.

CONDORELLI. Lo scriva in una legge, questo.

COSTANTINI. Il Parlamento può tutto, nel campo legislativo, in quanto è espressione democratica della volontà popolare. Ed è soprattutto dopo una catastrofe alla quale noi dobbiamo ancora rimediare che questo speciale Parlamento ha il diritto e il dovere di guardare al passato. Ma, intendiamoci: qui si esorbita, si esce dal terreno concreto, si esula dai termini essenziali della questione.

Sulla potestà legislativa dell’Assemblea in questa materia, per conto mio, non vi può essere dubbio: e allora, se non vi può essere dubbio, la questione si riduce a un semplice problema di opportunità. Quando io sento l’amico onorevole Rubilli, il quale mi parla di un atto di prepotenza simile a quelli che ha compiuto il fascismo, io mi meraviglio, conoscendo l’onorevole Rubidi intimamente, che un simile raffronto sia proprio partito da lui. Quando sento che noi commetteremmo un atto sgarbato e senza motivo, io mi domando perché debba essere sgarbato, se gli ex senatori, da Sforza all’onorevole Bergamini, a Benedetto Croce, sono ancora oggi nel democratico Parlamento italiano, nell’interezza, nella pienezza non solo della loro funzione, ma anche del loro prestigio.

E allora, onorevole Rubilli, se riteniamo di dover stabilire la soppressione del Senato del Regno, lo riteniamo indipendentemente dalle persone che lo compongono, in quanto è come «istituto» che esso viene a decadere.

Senta, onorevole Rubilli, che cosa vuole che importi questo titolo di «senatore onorario», che non esiste né nella tradizione né nella legge? Senatori o si è o non si è. Sciolto il Senato regio, non si è più senatori; e, caro onorevole Russo Perez, se qualcuno, come credete, avesse delle velleità, potrà anche mettere sul proprio biglietto da visita: «ex senatore del regno»: farà ridere parecchi; commuoverà altri: il fatto però non avrà molta importanza.

Passando dalla definizione di senatore onorario a quell’altra questione, quella delle facilitazioni ferroviarie, via, è un immeschinire la questione con una tessera permanente di circolazione! Lasciate perdere!

RUBILLI. Non per il vantaggio materiale, ma per il significato morale! (Commenti a sinistra).

COSTANTINI. Onorevole Rubilli, non dica questo: significato morale il montare in treno senza pagare il biglietto? Non credo che acquisti in dignità quell’ex senatore il quale potesse avere riconosciuta questa facoltà, come lei richiede!

Ma la Commissione, con senso di larghezza e, direi anche, di generosità, proponendoci il testo del disegno di legge da approvare (e forse, forse non è inesatto che vi sia una specie di contradizione là dove invita con un ordine del giorno il Governo a provvedere al riguardo) ha avuto anche la prudenza di dire: «Lasciamo al Governo di regolare questa questione nel modo che riterrà più opportuno». Lasciamo, direi io, ai nuovi senatori – ed è anche giusto – di stabilire se gli ex senatori, compresi in specifiche categorie, avranno o no il diritto di accedere alla sede del Senato!

E allora, onorevoli colleghi, non avviliamo la faccenda; teniamoci press a poco a quelle che sono le posizioni di principio. No, io non credo che ciò si debba fare per un atto di ripicca contro una sentenza della Cassazione, ma per un dovere che ci è imposto in quanto organismo democratico dell’Italia repubblicana, noi dobbiamo stabilire la soppressione del Senato. Stabiliamola, e non avremo per nulla a pentircene, caro Rubilli; e i vecchi senatori che sono ancora al mondo e costituiscono una gloria della nostra civiltà, e un’illustrazione della scienza, non abbia paura, potranno democraticamente essere rieletti e riprendere onorificamente, e questa volta per volontà di popolo, il loro posto in un’Assemblea repubblicana e veramente democratica. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

BOZZI, Relatore. L’onorevole Rubilli, come avete inteso, ha mosso delle aspre critiche agli emendamenti proposti dalla Commissione al testo di legge governativo. Egli ha parlato di un senso di asprezza che avrebbe animato i membri della Commissione contro i senatori, ha accennato quanto meno ad un provvedimento inopportuno, ha infine dichiarato i nostri emendamenti espressione di una prepotenza di marca fascista.

Io vorrei rassicurare l’onorevole Rubilli che i sentimenti e i ragionamenti che hanno condotto tutti i membri della Commissione nel dibattito, che è stato largo e anche approfondito, sono stati sentimenti e ragionamenti improntati alla massima obiettività e intonati alla insopprimibile esigenza di questo momento storico, nonché alla natura e ai connotati propri di una legge costituzionale, quale è quella che è presentata alla nostra approvazione.

Cosa propone il disegno di legge del Governo?

Dice che il Senato è soppresso, ed in conseguenza di questa soppressione decadono, per una necessità logica e giuridica imprescindibile, le guarentigie, le prerogative e i diritti che competevano ai Senatori.

Credo che su questo punto nessuna obiezione da alcuna parte possa esser mossa, salvo che alcuno non voglia sostenere che debba o possa sopravvivere il Senato del regno.

Ma il Governo a questa proposizione prima, fondamentale: soppressione del Senato regio e decadenza dei membri di esso dalle guarentigie, dalle prerogative e dai diritti inerenti alla carica, ne aggiunge un’altra e dice: i senatori che non furono mai deferiti all’Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo, o che, a questa deferiti, furono dichiarati non decaduti, per i quali cioè la proposta di decadenza non fu accolta (o, soggiungo io, accolta in un primo momento, fu dalla stessa Alta Corte di Giustizia in un secondo momento revocata), queste due categorie di senatori acquisiscono il titolo di senatori onorari e conservano alcune concessioni.

La questione principale, secondo il punto di vista della Commissione, s’incentra in questa qualifica che alcuni vorrebbero attribuire ai non deferiti, o non decaduti: senatori onorari!

Ora, onorevole Rubilli, la Commissione ha tenuto presente che vi erano codeste due categorie, e ha ritenuto che esse non potessero essere assimilabili a quelle dei Senatori dichiarati decaduti. Ma questa considerazione la Commissione ha ritenuto che dovesse farsi a tutt’altro fine, per la estimazione da parte dell’opinione pubblica, e per altre provvidenze, come quella se possa competere a tutti gli ex senatori o soltanto ad alcuni il diritto dall’elettorato attivo. E oggi vediamo che il senatore Bergamini è qui nell’Assemblea Costituente, il senatore Einaudi è membro del Governo e il senatore De Nicola è Presidente della Repubblica, perché si è considerato che di questa categoria di senatori dovesse esser fatto un apprezzamento particolare.

Ma, una volta soppresso il Senato regio, dal momento che quest’organo non esiste più, con quali vincoli, sia pure onorari, sia pure ideali noi potremmo collegare questi ex senatori, degni della massima considerazione, ad un organo che più non esiste, dico di più: ad un organo superato storicamente?

Domani, sì, vi sarà un Senato, onorevole Rubilli, ma sarà un Senato impostato tutto su una base diversa, strutturale e funzionale. Non sarà Senato del regno, ma sarà Senato della Repubblica, non sarà nominato dall’alto, ma sarà eletto dal popolo, avrà tutta una fisonomia propria; non sarà più a vita, ma sarà di durata limitata nel tempo.

E allora questi ex senatori regi come potremo collegarli – se non con uno sforzo che – sarebbe anacronistico – ad un’istituzione soppressa, decaduta e, quel che più conta, superata storicamente?

Con questo noi non abbiamo voluto negare il dovuto rispetto a categorie che rispetto meritavano e meritano ancora, ma per tutt’altro ordine di considerazioni. Di fronte ad un organo soppresso, in sostanza, non vi può essere più sopravvivenza di sorta, anche soltanto onoraria. Non vi può essere distinzione! Per altri scopi potranno essere fatte distinzioni, ma non mai in funzione di questa legge e in questa sede! Perciò non abbiamo voluto fare nessuna discriminazione, in omaggio a valutazioni obiettive, che vorrei dire di piena ortodossia giuridica Costituzionale.

E poi viene la questione delle concessioni. Dice l’onorevole Rubilli: voi avete violato un diritto quesito, voi avete compiuto un atto di prepotenza..

Ma, onorevole Rubilli, io mi appello al suo senso giuridico. Ma quali diritti quesiti? Se vi era un diritto, questo diritto era inerente ad una carica, ad una funzione, non era un diritto che vivesse a sé, autonomo: esso spettava al senatore in quanto tale, in quanto facesse parte di un organo a cui erano demandate talune funzioni; ma, venuta meno questa carica, queste funzioni, non poteva naturalmente, non decadere quell’accessorio diritto (Interruzione del deputato Rubilli). Quindi, non potevano non decadere anche questi minori diritti, onorevole Rubilli. (Interruzione del deputalo Rubilli).

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, per favore, non interrompa.

BOZZI, Relatore. Il fatto, onorevole Rubilli, che questi diritti fossero consacrati in una legge, non ha nessun significato e perciò non possiamo parlare di diritti quesiti: figura del resto assai discussa in sede di diritto pubblico, e costituzionale in ispecie.

Ma, a parte questo, il principio che ci ha guidato, era questo: la concessione ferroviaria era un diritto, sì, ma un diritto connesso ed inerente ad una determinata carica, ad una determinata funzione. Cessata questa carica, cessata questa funzione, il diritto svanisce.

E non abbiamo voluto ammettere codeste agevolazioni ferroviarie, anche per due altre considerazioni, la prima delle quali è questa: non abbiamo voluto avvilire una legge costituzionale, che deve anche avere una certa solennità ed una certa dignità, con l’inserirvi la menzione della concessione di biglietti ferroviari. Noi avremmo svilito il contenuto della legge costituzionale, che ha una portata storica.

E poi c’è una considerazione più profonda, onorevole Rubilli. Se noi avessimo inserito la concessione di diritti ferroviari in questa norma, noi avremmo dato a questi senatori onorari un diritto garantito da una legge costituzionale, perché oggi noi non votiamo una legge ordinaria, ma una legge costituzionale, cioè un diritto più forte e meglio garantito di quello che abbiamo noi, e che hanno gli ex deputati.

Sicché, se per avventura, domani questa concessione ferroviaria ai senatori onorari si fosse voluta modificare, limitarla o estenderla, noi avremmo dovuto adottare la procedura per la revisione costituzionale. Si arriverebbe a questa stortura giuridica: che il diritto a viaggiare gratuitamente agli ex senatori sarebbe spettato per una norma costituzionale, con tutte le conseguenze giuridiche che da ciò scaturiscono. Perciò non ne abbiamo parlato. Ed allora che cosa abbiamo detto? Si vogliono fare queste agevolazioni? Si facciano, ma si facciano secondo le vie normali della legge ordinaria. Le concessioni ai deputati e ad altre categorie sono previste da una legge ordinaria: l’ultima edizione è una legge del 1941, che è citata nella relazione. Abbiamo, in conseguenza, proposto questo al Governo: se volete concedere agevolazioni ferroviarie, noi siamo d’accordo con voi; la maggioranza della Commissione è d’accordo; ma dovete farlo con una legge ordinaria, secondo la normale procedura che si adotta per questo genere di concessioni. Quindi, come l’onorevole Rubilli e gli altri colleghi vedono, la Commissione si è mantenuta su un filo rigoroso di logica generale e di logica giuridica costituzionale. Non sentimenti di asprezza, ma nemmeno sentimenti di tenerezza: vorrei dire, una valutazione obiettiva della situazione. È questa la ratio che giustifica l’emendamento che noi abbiamo proposto. Per quanto poi riguardano le critiche dell’onorevole Condorelli ad esse è stato già risposto.

Esse vanno assai lontano. Io vorrei ricordare all’onorevole Condorelli che vi è già una legge che fa cessare il Senato dalle sue funzioni. E questo atto, che noi siamo chiamati ad esaminare, non è altro che una conseguenza, non è altro che lo scioglimento di una riserva che era contenuta in quella legge. D’altra parte, onorevole Condorelli, il Senato del Regno, può dispiacere, ma è finito. Questo è un dato storico che è anche giuridico e comporta certe conseguenze di fronte alle quali bisogna piegarsi.

Per quanto attiene alle sentenze della Cassazione, non sarà sfuggito, al senso giuridico dell’onorevole Condorelli che né nell’emendamento del Ministro e ancora meno nell’emendamento della Commissione, si fa alcun richiamo alla sentenza della Cassazione. Anche per questo, l’emendamento proposto dalla Commissione si raccomanda, secondo il mio punto di vista, all’approvazione da parte dell’Assemblea. (Applausi).

BERGAMINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERGAMINI. L’onorevole Bozzi accenna, nella relazione, alla frequentazione del palazzo del Senato. Mi pare che ciò, dal punto di vista morale, sia molto più importante delle concessioni ferroviarie, che sono un favore materiale. Per i senatori che hanno frequentato il Senato per vent’anni durante il fascismo e ne hanno subito tutte le umiliazioni, credo che moralmente sarebbe molto più importante potere frequentare il Senato che avere il famoso biglietto ferroviario.

BOZZI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI, Relatore. Quanto ha detto l’onorevole Bergamini è una considerazione che la Commissione ha tenuto presente, ma non ne ha fatto menzione nell’ordine del giorno, perché quell’ordine del giorno ha per destinatario il Governo. Nel progetto del Governo non si fa menzione del diritto di accesso da parte degli ex senatori alla sede del Senato. Noi lo abbiamo detto nella relazione, ma crediamo che ciò costituisca materia di competenza del Senato medesimo. Potrà nel Regolamento e dovrà, secondo il mio personale punto di vista, essere riconosciuto il diritto a codeste categorie di ex senatori di frequentare la sede del Senato. Ma non credo che il Governo e noi possiamo votare una legge che stabilisca questo diritto. Comunque, assicuro l’onorevole Bergamini nel senso che noi abbiamo avuto per primi il pensiero di concedere questo diritto e abbiamo creduto che esso dovesse essere consacrato nel Regolamento del nuovo Senato.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Prego gli onorevoli colleghi di considerare che questo disegno di legge è stato dal Governo proposto in quanto conseguenza diretta del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, col quale si dispose che il Senato cessasse dalle sue funzioni con decorrenza 25 giugno di detto anno, ossia il giorno che coincideva con la convocazione di questa Assemblea Costituente. E nello stesso decreto si lasciava all’Assemblea Costituente la decisione sulla situazione giuridica personale dei Senatori. Questa è la premessa dell’attuale legge, che non costituisce quindi un fatto nuovo. È una continuazione, uno svolgimento di avvenimenti e di effetti giuridici che si sono iniziati con l’Assemblea Costituente la quale, entrando in funzione, sopprimeva di fatto le Assemblee legislative preesistenti con lo Statuto albertino. Questa è la situazione di fatto. Non solo, ma io credo che nelle intenzioni del Governo, il quale dispose quel provvedimento legislativo, c’era il concetto che il Senato fosse soppresso. Le parole «cessato nelle sue funzioni» furono invece, nella pratica attuazione, interpretate come la cessazione di funzioni legislative, ma i componenti del Senato continuarono a considerarsi ancora senatori in tutte le funzioni che non fossero legislative, tanto è vero che, così come dissi altra volta all’Assemblea e così come ripete oggi la relazione dell’onorevole Bozzi, il Senato continuò a considerarsi ancora organo giurisdizionale. Quindi l’Alta Corte di Giustizia, nel campo del Senato, continuò a funzionare, e non soltanto per qualche contravvenzione, ma anche per qualche cosa di molto più grave. Questa è la situazione giuridica.

Quindi era necessario, indispensabile che il giorno in cui l’Assemblea Costituente avesse istituito il Senato della Repubblica, si dichiarasse in forma solenne che il Senato albertino era soppresso. Mi pare che questo sia nel compito dell’Assemblea Costituente, e quindi credo che il Governo, presentando questo disegno di legge, non abbia fatto che agire in conformità della legge. Su questo primo punto non ci dovrebbero essere discussioni, non ci dovrebbero essere discordanze, non ci dovrebbero essere interpretazioni diverse. Che cosa ha inteso fare il Governo con la seconda parte, che è stata modificata dalla Commissione? Siccome quello stesso provvedimento diceva che la posizione personale dei senatori sarebbe stata regolata dall’Assemblea Costituente, ha ritenuto di dover dare ad alcune categorie di senatori (ai quali ha accennato l’onorevole Bergamini, e di cui egli stesso è un esemplare: ossia una categoria che era stata discriminata) qualche distinzione nella posizione giuridica, in quanto che si capisce, come l’onorevole Bozzi ha detto e come è logico, dalla soppressione viene la decadenza dei senatori da tutti i loro privilegi, guarentigie e diritti.

L’Assemblea ritiene o non ritiene di fare questa distinzione? Il Governo si rimette a quello che l’Assemblea deciderà.

Quindi, il fatto di essere senatori o senatori onorari era una delle distinzioni che il Governo credeva di proporre all’Assemblea. L’onorevole Bozzi dice: «Ma la distinzione di queste persone non c’è bisogno che venga dalla lettera della legge: viene dai fatti e dalla storia». È vero, peraltro, che vi sono le decisioni di una Alta Corte di Giustizia, di cui ha fatto parte il Presidente dell’Assemblea, che ha ritenuto che alcuni senatori fossero ancora degni di non essere dichiarati decaduti. In fondo, è oggi che li dichiariamo decaduti, perché in un certo momento c’è stata la distinzione fra senatori decaduti e non decaduti.

Oggi, con questa legge, sopprimendo il Senato, sciogliamo la riserva nei confronti giuridici dei senatori e li dichiariamo tutti decaduti. Ora, si dice: «È possibile che confondiate gli uni con gli altri?». All’Assemblea spetta questa decisione.

Ad ogni modo, questa è la portata del senso giuridico del provvedimento del Governo.

Per quanto riguarda le agevolazioni ferroviarie, possiamo essere d’accordo che, invece di metterle in questa legge, si potrà provvedere con un decreto legislativo. Il Governo ha creduto sempre di deferire all’Assemblea maggiori poteri. Non vedo nessuna difficoltà che si possa decidere per legge la possibilità di dare queste facilitazioni ferroviarie.

Il Governo, ripeto, non ha difficoltà, se l’Assemblea ritiene di approvare l’emendamento proposto dalla Commissione, di seguire la Commissione in questa sua volontà, in quanto che si rimette alla sovranità dell’Assemblea.

Per quanto si riferisce all’articolo 2, che l’onorevole Bozzi non ha precisato, vorrei pregare la Commissione di riflettere sulla portata di questo articolo che io non conoscevo. Ivi è detto: «Restano ferme le disposizioni del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 settembre 1946, n. 117», ritenendo in questa maniera di aver detto la stessa cosa in una forma tecnico-legislativa più esatta – dice l’onorevole relatore – della formula presentata dal Governo.

Tengo a far presente all’onorevole relatore, alla Commissione e all’Assemblea che il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, 6 settembre, all’articolo 1 diceva: «I servizi amministrativi del Senato sono affidati ad un Commissario nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Commissario esercita a tal fine attribuzioni già spettanti al Presidente del Senato».

Ora, noi non abbiamo ritenuto sufficiente questo, perché non c’era, in questo decreto, nessuna indicazione della durata dei poteri. Quindi abbiamo ritenuto più esatto – anzi necessario – stabilire che, fino a quando non entreranno in funzione le nuove Assemblee o, per lo meno, fino a quando non entrerà in funzione il Senato della Repubblica, «I servizi amministrativi del soppresso Senato sono affidati ad un Commissario, ecc.».

È una questione di tecnica legislativa.

Ma c’è ancora di più. Si è ritenuto, nella pratica, che questo decreto legislativo non fosse sufficiente a stabilire i poteri del Commissario, perché gli attribuiva soltanto le funzioni spettanti al Presidente, mentre era necessario aggiungere anche quelle del Consiglio di Presidenza; anzi, nella pratica, quasi tutte le funzioni appartengono al Consiglio di Presidenza.

Per queste due ragioni, di limite e di competenza del Commissario, e per altre, che per ragioni di tecnica giuridica preferisco non riferire, ritengo sia meglio stabilire questi poteri con legge costituzionale.

Pertanto, prego la Commissione di rifarsi al testo governativo. Comunque, mi rimetto al voto dell’Assemblea.

BOZZI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI, Relatore. Le due categorie di ex senatori, alle quali fa riferimento l’articolo 1 del disegno governativo, non sono costituite, come ritiene l’onorevole Rubilli, da dieci o dodici persone. La categoria dei senatori non denunziati all’Alta Corte per le sanzioni contro il fascismo, per la dichiarazione di decadenza dalla carica, consta oggi di dodici senatori. La categoria dei senatori, per i quali l’Alta Corte respinse in prima istanza la proposta di decadenza (categoria alla quale si riferisce anche l’articolo 1 del disegno governativo) consta di 80 persone, alcune delle quali decedute. La categoria dei senatori, per i quali l’Alta Corte in un primo tempo pronunziò la decadenza e poi revocò essa stessa tale pronunzia, categoria che non si potrebbe non equiparare alla prima, consta di 19 persone, alcune delle quali decedute; in tutto, quindi, più di 100 persone.

D’altra parte, volevo dire, completando quanto ho dichiarato poco fa, che nella legge del 1944 per le sanzioni contro il fascismo, l’articolo 8 prevedeva il procedimento dell’Alta Corte, che portava eventualmente alla pronunzia di decadenza; questa procedura speciale nei confronti dei senatori fu instaurata perché ancora vigeva la monarchia. Il referendum era una cosa lontana, e non si sapeva se esso avrebbe potuto confermare la monarchia o portare alla Repubblica; quindi, in previsione di questo evento, si fece luogo un giudizio di epurazione o di selezione politica. Una volta che il popolo si è pronunziato per la Repubblica, questa selezione politica, fatta a quei determinati fini, non ha più ragione d’essere.

Per l’articolo 2 la Commissione, come è chiarito nella relazione, aveva avuto presenti le due fonti giuridiche, dalle quali derivano i poteri dell’attuale Commissario, ma aveva creduto, per ragioni che essa ha interpretato di più esatta tecnica legislativa, che potesse essere consigliata la formula dell’emendamento.

Tuttavia sull’articolo 2 non insistiamo e accettiamo il testo proposto dal Governo.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea, nel deliberare la soppressione del Senato, non dimentica quelli dei suoi membri che seppero tenere testa al governo fascista». (Commenti).

Questo ordine del giorno deve essere votato prima del passaggio all’esame degli articoli.

CONTI. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Non voterò questo ordine del giorno, perché ritengo che i senatori non dovevano tener testa al fascismo ed a Mussolini, ma dovevano tener testa al re, che tradì la Nazione. (Commenti a destra – Applausi a sinistra).

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Propongo il seguente emendamento all’ordine del giorno dell’onorevole Nobile: «Mantennero alte la dignità e la indipendenza della carica».

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSÒ PEREZ. Voterò contro il testo dell’onorevole Nobile, per la dizione: «tener testa» che mi sembra poco seria e per l’enorme difficoltà di scoprire le teste che tennero testa.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Dichiaro di accettare l’emendamento dell’onorevole Clerici.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dichiaro che voterò contro qualsiasi ordine del giorno perché noi, e prima di noi il Paese, conosciamo nome per nome, persona per persona, quelli che hanno tenuto fede alle proprie idee ed un ordine del giorno di questo genere platonico, non so se sarebbe conforme alla dignità di questa Assemblea. (Applausi a sinistra).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. A me è sembrato, onorevoli colleghi, che, nel momento in cui con tanta solennità sta per venir soppressa una Assemblea la quale era già soppressa di fatto e morta nel cuore degli italiani da venti anni, noi non avremmo potuto dimenticare coloro che seppero resistere nel Senato al fascismo. Pochi uomini, che si contano sulle punte delle dita: alcuni li ha nominati il collega Rubilli, altri sono meno noti. Qualcuno di essi anche non è più. Comunque, non dovremmo dimenticarli. È un tributo di riconoscimento per la dignità con cui essi seppero difendere il regime democratico, in mezzo alla generale viltà di quel tempo. In questo momento, in questa Assemblea, bisognava dare loro un segno di riconoscimento.

Non insisto sull’ordine del giorno dal momento che ritengo e penso, anche dalle dichiarazioni fatte da alcuni dei nostri colleghi, che in sostanza essi condividono questo mio sentimento.

PRESIDENTE. Sta bene.

Passiamo ora all’esame degli articoli. Comunico che l’onorevole Ministro di grazia e giustizia accetta che la discussione avvenga per l’articolo 1 sul testo della Commissione e per gli articoli 2 e 3 sul testo del Governo.

Si dia lettura dell’articolo 1 nel testo della Commissione.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il Senato, cessato dalle sue funzioni in virtù del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48, è soppresso.

«Gli ex senatori perdono le guarentigie, le prerogative e i diritti inerenti alla carica».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Conti ha proposto un emendamento sostitutivo del secondo comma:

«Le guarentigie, le prerogative e i diritti degli ex senatori cessano col cessare delle funzioni».

L’onorevole Conti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CONTI. Ho voluto eliminare la parola «perdono», che mi sembra implichi il concetto di una sanzione. Noi siamo cavallereschi. Eliminiamo il «perdono» ed esprimiamoci nella forma che ho proposto.

MACRELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Onorevoli colleghi, è inutile dirvi che il Gruppo repubblicano voterà il testo presentato dalla Commissione e in questo momento accettato dal Governo.

Le ragioni sono evidenti: ragioni giuridiche che risalgono allo spirito del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48; vi è poi, la deliberazione già presa dalla Assemblea Costituente l’altra sera, quando essa a proposito dell’articolo 52, ha affermato che il Parlamento è costituito non solo dalla Camera dei Deputati ma anche dal Senato della Repubblica. Ma ci sono anche delle ragioni politiche e morali. Io ho sentito da alcuni banchi sorgere delle proteste, quasi nostalgie di un passato che non ritorna più. Evidentemente, qualcuno di questa Assemblea dimentica che c’è stata una data che ha modificato sostanzialmente la storia e penso la vita del popolo italiano: quella del 2 giugno 1946. Oggi siamo in regime repubblicano e questo non si può e non si deve dimenticare. Tutto quello che costituisce residuo del passato deve essere eliminato. Badate: non è senza significato che la data in cui noi discutiamo ed approviamo questo disegno di legge che sopprime una istituzione di privilegi coincide con un’altra data che non è certo storica, ma che costituisce l’umiliazione e la vergogna d’Italia: il 28 ottobre, che il Senato regio cercò di valorizzare col suo servilismo. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Relatore il parere della Commissione.

BOZZI, Relatore. Noi accentiamo la proposta dell’onorevole Conti limitatamente alla sostituzione della parola «perdono» con la parola «decadono». Pertanto il testo diventa il seguente:

«Gli ex senatori decadono dalle guarentigie, dalle prerogative e dai diritti inerenti alla carica».

PRESIDENTE. L’onorevole Conti accetta questa modifica?

CONTI. L’accetto.

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro il capoverso dell’articolo 1, perché non ho nessuna disposizione alla criptografia, e trovo che quando il capoverso dice molto esplicitamente che i «senatori cessano dalle guarentigie, prerogative e diritti inerenti alla loro carica» ciò è in perfetta contraddizione con le dichiarazioni della Commissione, dove è detto che la Commissione ha voluto che risultasse ben chiaro (e secondo me, risulta il contrario) che la dizione «diritti inerenti alla carica» non dovesse comportare preclusione per le facilitazioni di viaggio ed accesso alla sede del Senato. Ora, queste sonò prerogative e diritti che un certo numero di senatori ha piena ragione di veder rispettati senza equivoci.

Gli onorevoli commissari proponenti dicono che non intendono pregiudicare questa situazione di cose, mentre secondo me ciò è escluso dal testo della legge.

Vi è poi l’argomento dell’onorevole Bozzi, il quale dice: badate, siccome noi facciamo una legge solenne costituzionale, non intendiamo con questo precludere l’esercizio del potete legislativo ordinario il quale faccia una leggina per consentire queste facilitazioni. L’argomento mi pare non solo erroneo ma rovesciabile, perché se questa legge costituzionale è incompatibile (come è chiaro che è incompatibile) con la leggina ordinaria di là da venire, vieta essa al potere legislativo ordinario di dare quelle tali concessioni e fare quelle tali facilitazioni. A meno che la legge costituzionale non dica: «salvo le facilitazioni e le agevolazioni, ecc., che saranno concesse o revocate con legge» e cioè con legge ordinaria.

Allora il discorso diventa chiaro, mentre oggi si ha proprio il contrario della chiarezza, e insisto nel far considerare all’Assemblea che questa dichiarazione della Commissione dal punto di vista logico è assolutamente criptografica, perché dice il contrario di quello che noi siamo invitati a votare.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Dichiaro che voterò contro il primo comma proposto dalla Commissione, unicamente per una questione di forma: perché ritengo che sia più corretto il testo del Governo. Infatti la dizione: «il Senato cessa dalle funzioni» non mi pare esatta.

Quanto al secondo comma, voterò contro la formulazione della Commissione e mi dichiaro favorevole al testo del Governo.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, in correlazione a quanto detto in sede di Commissione, che voterò a favore del principio di cessazione di un istituto, legato ad una struttura costituzionale superata dall’avvento di una nuova e diversa struttura.

Questo per quanto riguarda l’organo.

Per quanto riguarda le persone, dichiaro di votare a favore del testo della Commissione e non del testo originario del Governo – mi pare che il testo della Commissione sia del resto accettato dal Governo stesso – per questa duplice ragione. Per quanto riguarda le agevolazioni personali relative a titoli o a riconoscimenti onorari, sembra evidente che, pure con quel tributo di riconoscimento morale e politico testé fatto ai membri del Senato che se ne sono resi meritevoli, questi riconoscimenti onorari presuppongono il collegamento tra l’investito della qualifica onoraria e la sussistenza di un organo da cui la qualifica stessa deriva. In ipotesi, potrebbe domani il nuovo Senato deliberare ciò, se lo credesse; ma non si può concepire oggi, a mio parere, un privilegio derivante da un organo soppresso.

Sul secondo problema, l’osservazione del Relatore mi pare sia esatta: non è questa la sede adatta per deliberare in merito alle facilitazioni ferroviarie.

Potrei essere d’accordo con l’onorevole Fabbri; non so se l’argomento sia insuperabile. Ma si potrebbe aggiungere: «salve le agevolazioni concesse dalla legge».

In ogni modo, mi rimetto alle conclusioni della Commissione e dichiaro che voterò a favore del testo proposto dalla Commissione stessa.

CRISPO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Voterò contro il capoverso, perché mi sembra del tutto superfluo. Se si stabilisce nel primo comma che il Senato è soppresso, e si riconosce che, come conseguenza, i senatori decadono dai diritti inerenti alla carica, evidentemente non è il caso di stabilire in un capoverso che i senatori perdono le guarentigie, le prerogative e i diritti inerenti alla carica.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma:

«Il Senato, cessato dalle sue funzioni in virtù del decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48, è soppresso».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Gli ex senatori decadono dalle prerogative, dalle guarentigie, dai diritti inerenti alla carica».

Su questo secondo comma, è pervenuta richiesta di votazione a scrutinio segreto da parte degli onorevoli Russo Perez, Bergamini, Fabbri, Condorelli, Perrone Capano, Marinaro, Miccolis, Lagravinese Pasquale, Rodi, Corsini, Colitto, Costiglia, Rubilli, Benedettini, Crispo, Villabruna. (Commenti).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     305

Maggioranza           153

Voti favorevoli        236

Voti contrari                        69

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazoli –Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Bennani – Bergamini – Bernamonti – Bernardi – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Caccuri – Calosso – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Canonia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiostergi – Ciampitti – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Donati.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiorentino – Foa – Foresi – Fornara – Franceschini – Fusco.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Mazzei – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Moranino – Moro – Mortati – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pellegrini – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pollastrini Elettra – Ponti – Priolo – Proia – Pucci.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rodi – Romano – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Russo Perez.

Salerno – Sampietro – Sansone – Santi – Saragat – Scarpa – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Sullo Fiorentino.

Targetti – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Vanoni – Varvaro – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Cavallari.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello – Schiavetti.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33).

PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo al secondo comma:

«salvo le facilitazioni di viaggio e le prerogative di accesso alla sede del Senato che potranno essere consentite o revocate a determinate categorie di ex senatori con legge ordinaria».

Chiedo il parere della Commissione.

ROZZI, Relatore. La Commissione crede che questa menzione aggiuntiva proposta dall’onorevole Fabbri non debba essere inserita perché già è esplicitamente dichiarato, sia nella relazione, sia soprattutto nell’ordine del giorno che sarà sottoposto all’approvazione dell’Assemblea, che dicendosi «decadenza dai diritti» non ci si riferisce però alla agevolazioni ferroviarie e al diritto di accesso alla sede del Senato.

D’altra parte, la preoccupazione di ordine giuridico sollevata dall’onorevole Fabbri non sembra alla Commissione fondata, perché le agevolazioni ferroviarie, il diritto di accesso alla sede del Senato non si possono considerare diritti inerenti strettamente alla carica di senatore, in altri termini questi diritti decadono, in quanto i senatori non sono più tali, ma ciò non toglie che possano in virtù di una legge ordinaria nuova risorgere, così come il diritto di libera circolazione al deputato cessa in quanto la persona cessa dalla carica di deputato, ma risorge in rapporto alla qualifica di ex deputato. La stessa situazione si riproduce, naturalmente nuova, per i senatori perché il senatore decade come componente del Senato soppresso, ma riacquista parte dei diritti come ex senatore, con una legge nuova che proponiamo al Governo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Fabbri:

«salvo le facilitazioni di viaggio e le prerogative di accesso alla sede del Senato che potranno essere consentite o revocate a determinate categorie di ex senatori con legge ordinaria».

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Passiamo all’articolo 2 nel testo del Governo.

Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Fino a quando non entreranno in funzione le nuove Assemblee legislative dello Stato, i servizi amministrativi del soppresso Senato sono affidati ad un commissario nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

«Per lo svolgimento del predetto incarico il commissario esercita le attribuzioni già spettanti al Presidente e al Consiglio di Presidenza del Senato».

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: non entreranno in funzione le nuove Assemblee legislative dello Stato, sostituire: non entrerà in funzione il Senato della Repubblica».

Il Governo e la Commissione accettano questo emendamento?

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto.

BOZZI, Relatore. Anche la Commissione accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 2 con l’emendamento dell’onorevole Perassi:

«Fino a quando non entrerà in funzione il Senato della Repubblica, i servizi amministrativi del soppresso Senato sono affidati ad un commissario nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Per lo svolgimento del predetto incarico il commissario esercita le attribuzioni già spettanti al Presidente e al Consiglio di Presidenza del Senato».

(È approvato – Si approva l’articolo 2).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge.

«La presente legge costituzionale sarà promulgata dal Capo dello Stato entro 5 giorni dalla sua approvazione ed entrerà in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Ed ora passiamo alla votazione dell’ordine del giorno della Commissione,

«L’Assemblea invita il Governo a provvedere nei modi di legge ad estendere le facilitazioni ferroviarie, previste dalla legge 5 dicembre 1941, n. 1476, in favore degli ex deputati, agli ex senatori che non furono deferiti, per la dichiarazione di decadenza, all’Alta Corte di Giustizia, o per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza, con esclusione di tutti gli altri ex senatori, ancorché abbiano ottenuto o possano ottenere pronuncia di annullamento della dichiarazione di decadenza».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto l’ordine del giorno presentato dalla Commissione in quanto risponde ad una proposta fatta dal Governo. Vorrei pregare la Commissione ed il Relatore di togliere le parole: «previste dalla legge 5 dicembre 1941, n. 1476, in favore degli ex deputati».

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

BOZZI, Relatore. La Commissione accetta.

NASI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NASI. Devo fare una breve dichiarazione, poiché sono fra coloro che non condividono l’ordine del giorno che ora viene messo in votazione. Noi stiamo per redigere l’atto di morte del Senato, e abbiamo ritenuto, e riteniamo, che non sia il caso, col dovuto ossequio ad alcuni esemplari – come è stato detto da alcuni – di tener conto dei cadaveri esposti fuori da questo rito che noi stiamo celebrando.

Noi dovremmo concedere, dunque, l’elemosina che ci viene con insistenza richiesta del biglietto ferroviario a più di cento persone, ma fra questi cento – io con ciò non intendo ritornare sui criteri dell’epurazione – vi sono uomini che non hanno affatto servita la Patria, che, anzi, l’hanno tradita, vi sono uomini che lo stesso Conte Sforza, in una lontana intervista, ha dichiarato di aver salvato per amore di liberalità. Vi sono uomini come il Visconti, podestà di Milano, fino il 25 luglio, vi sono uomini come il Senatore Crespi, che ha fatto più male all’Italia col suo Corriere della Sera che il Senato e la Camera uniti insieme. Io credo che questi non meritino alcun beneficio.

’altra parte, dobbiamo fare una -constatazione: da quando davanti questa Assemblea nella Commissione si è cominciato a parlare di senatori e di ex senatori l’aria è diventata poco respirabile. Ricordo che l’articolo 47 dell’elettorato attivo si è dovuto stralciare appunto per causa loro. Ora dovremmo continuare a subire i loro intrighi. Noi abbiamo soppresso il Senato, e non esistono quindi più i senatori. Credo perciò che non dobbiamo prendere nessun provvedimento che sia a beneficio di gente che se ne rese indegna e a riconoscimento di un organo che avvilì l’Italia. (Applausi a sinistra).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io proporrei che le facilitazioni si limitino soltanto agli ex senatori che non furono deferiti all’Alta Corte di Giustizia, e questo in accordo a quello che ho dichiarato prima. I senatori che non furono deferiti all’Alta Corte di Giustizia erano appena in numero di dodici, dei quali qualcuno disgraziatamente è morto, mentre invece i senatori che erano stati deferiti ammontano a ottanta. Ora voglio far osservare che dei novantasette senatori elencati nella pubblicazione ufficiale che ho qui, soltanto diciannove preesistevano al fascismo. Tutti gli altri furono nominati dal Governo fascista e la maggior parte di essi anche in epoca relativamente recente: nel 1930, nel 1934, nel 1939, e perfino nel 1943. Non si può, dunque, mettere in dubbio che, salvo alcune onorevolissime eccezioni, la maggior parte di essi avessero delle beneinerenze fasciste. Ora mi meraviglia che la Assemblea, la quale poco fa ha esitato a tributare in doveroso omaggio a quegli otto o nove senatori che tennero alto il nome della democrazia in un momento di generale viltà, si accinga ora a riconoscere benemerenze a senatori schiettamente fascisti. Quindi propongo che quella categoria di senatori sia eliminata dall’ordine del giorno. Se questo non avvenisse, voterò contro tutto l’ordine del giorno.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Vorrei sintetizzare, onorevoli colleghi, e tentare di risolvere due questioni che sono emerse da questa discussione e sulle quali l’Assemblea si mostra ancora evidentemente sospesa ed incerta: la prima è una questione di forma, l’altra è una questione di sostanza. Entrambe discendono dalla risoluzione che sopprime il Senato del Regno, e trovano ancora la loro giustificazione nella sorpresa che il disegno di legge ha determinato in qualche parte dell’Assemblea.

Contro di esso si sono levati molti oppositori ad invocare pei senatori non colpiti dalla epurazione un diritto quesito a conservare le funzioni senatorie; non si sono domandati questi colleghi se un siffatto diritto, dato che possa per alcuni senatori sussistere, sia sufficiente ad impedire alla Costituente di sopprimere il Senato di nomina regia per sostituirgli il Senato della Repubblica eletto dal suffragio popolare. E non si sono chiesti come potrebbero rendersi compossibili e compatibili in quest’organo nuovo, membri del vecchio Senato regio nominati a vita con membri di quello della Repubblica da eleggere per soli sei anni. Non c’era che una sola soluzione: era quella adottata e adottarla era nei poteri della Costituente. D’altra parte quei senatori che si pretende abbiano subito un torto inconcepibile, che hanno perduto il diritto di rimanere a vita senatori del Re, conservano quello, comune a tutti i cittadini che non abbiano sulla coscienza malefatte fasciste, di divenire senatori della Repubblica per volontà di popolo. Di fronte a queste insuperabili considerazioni la resistenza è crollata nella votazione sull’articolo 1; ma ha conservata la residua speranza di qualche onore, di qualche prerogativa, di qualche beneficio che possa, a ricordo dell’alta carica un giorno ricoperta, riservarsi ai senatori non epurati.

E il disegno di legge aveva incoraggiato la speranza, specie per quanto riguarda la concessione, del permanente ferroviario. Ma la Commissione ha ritenuto che l’argomento decampasse dalle funzioni della Costituente e fosse troppo povera cosa per interessare questa Assemblea; ha dichiarata la questione di competenza del Governo, ha formulato un ordine del giorno per chiedergli questa concessione a favore dei senatori spodestati e ora pretende di sottoporlo alla nostra approvazione.

Ecco che si presenta la questione di forma: se per la Commissione non est hic locus per sancire il beneficio della concessione ferroviaria, se il tema è troppo povera cosa per interessare la Costituente in questo solenne momento, se anzi esso non costituisce materia costituzionale, non è da dire altrettanto per l’ordine del giorno che noi dovremmo votare per chiedere al Governo di provvedere esso alla concessione? Io non so vedere differenza fra l’occuparcene per provvedervi noi e l’occuparcene per indurre il Governo a provvedervi esso; e consiglierei la Commissione a esonerare dal voto l’Assemblea e a trasmettere essa al Governo come proprio e come votato dai propri membri l’ordine del giorno, quale propria raccomandazione. I senatori avrebbero tutto da guadagnare; mentre il prevedibile rigetto dell’ordine del giorno da parte dell’Assemblea avrebbe per effetto di mettere il Governo nella condizione di non poterne fare più niente.

Ma c’è pure, come ho detto, una questione di sostanza: gli oppositori e gli incerti si sono rappresentati la soppressione del Senato come proposito balzato dalla iniziativa del Governo e della Costituente, come la freccia del Parto, come una ingiustizia cosciente cui si debba rimediare con qualche concessione sub specie di riparazione. Nulla di più inesatto. L’aspettativa della ripresa delle funzioni parlamentari da parte dei senatori non epurati poté apparire legittima in base al decreto 7 agosto 1943 del Governo Badoglio che, sciogliendo la Camera dei fasci e corporazioni, assumeva l’impegno di convocare le due Camere non oltre il quarto mese dalla fine delle ostilità. Ma quel decreto era stato abrogato dal decreto luogotenenziale del 25 giugno 1944, che i nostri giuspubblicisti considerarono concordi come una Carta costituzionale provvisoria. Questo decreto dichiarò che la questione istituzionale sarebbe stata risolta, non appena cessate le ostilità, da un’Assemblea Costituente. Se, per effetto di questo, che fu un impegno fra principe e Governo, l’ordinamento politico del Paese cadeva sotto la illimitata revisione di tale l’Assemblea, era evidente fin d’allora, e maggiormente lo divenne dopo il decreto-legge 16 marzo 1946 e dopo il decreto-legge 24 giugno 1946 che interpretò il risultato del referendum istituzionale del 2 giugno dello stesso anno, che o il Senato sarebbe addirittura scomparso, se la Costituente avesse adottato il sistema unicamerale, o esso sarebbe stato sostituito da un Senato democratico eletto a suffragio diretto dal popolo nel caso opposto. Nell’uno e nell’altro caso i senatori a nomina vitalizia, anche se non epurati, avrebbero cessato dalle loro funzioni. Senonché, si obietta che il contrario aveva potuto far presumere l’averli sottoposti a selezione attraverso il procedimento di epurazione. L’obiezione non ha fondamento giuridico: il procedimento di epurazione fu adottato solo in quanto non si ritenne dignitoso che, sia pure provvisoriamente, rimanessero in carica uomini che avevano concorso alla soppressione delle libertà e che avevano tradito il Paese. Ma ciò non bastava ad abrogare il decreto legislativo 25 giugno 1944 né a sopprimere in questa parte i poteri della revisione istituzionale alla Costituente attribuiti. In altri termini, pendeva una condizione ed era necessario, nella eventualità che la Costituente non sopprimesse il Senato, selezionare i senatori meritevoli di rientrarvi come che sia, da coloro che questo diritto non avrebbero più in alcun caso meritato.

PRESIDENTE. Questo esame è già stato fatto in sede di discussione generale su questo disegno di legge.

NOBILI TITO ORO. È vero, onorevole Presidente: ma mi sono accorto che una parte di noi è dominata ancora dalla preoccupazione che i senatori non epurati subiscano oggi un arbitrio da parte del Governo e della Costituente, e ho voluto dimostrare quanto ingiustificata sia, per le ragioni storiche che ho esposte, questa impressione; in quanto è da essa che trae origine e forza lo zelo di coloro che vogliono si provveda in questa sede alla conferma almeno delle concessioni ferroviarie, quasi ad solacium amissi honoris.

Il decreto 25 giugno 1944, sopprimendo il decreto Badoglio, dimostrò ex tunc che di convocazione del Parlamento non si poteva parlare finché la Costituente non avesse detto la parola definitiva, e che pertanto ogni concepita aspettativa di investiti dalla monarchia poteva essere illusoria.

La Costituente la propria parola l’ha pronunciata da parecchi giorni e l’ha confermata or ora, anche in forma solenne, col votare fra gli applausi la soppressione definitiva del Senato del Regno, che sarà sostituito da una istituzione completamente rinnovata, sotto il nome di Senato della Repubblica, consacrazione di fede nelle insopprimibili ed eterne libertà, e nella potenza immanente dei valori della democrazia, fonti vive di progresso sociale e di civiltà.

D’altra parte i senatori non epurati, se anche rimanessero delusi nella aspettativa che loro attribuiscono gli oppositori del disegno di legge, conserveranno sempre il diritto di entrare anche essi nel nuovo Senato attraverso il crisma della volontà popolare; e questo è per i meritevoli il più vero, il più decisivo conforto di fronte al disappunto di oggi.

Per questi motivi, qualora la Commissione non ritenesse di ritirare il proprio ordine del giorno per farne magari oggetto di propria raccomandazione al Governo, noi confidiamo che l’Assemblea saprà rifiutarsi di approvarlo. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli mi fa pervenire un emendamento, a tenore del quale la concessione delle facilitazioni previste oltre che agli ex senatori che non furono deferiti e agli ex senatori per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza, dovrebbe essere estesa a coloro per i quali sia stata annullata l’ordinanza di decadenza.

Mi pare che questo sia in contradizione con la votazione fatta poco fa sul testo del disegno di legge. Sta all’Assemblea giudicarne; ma ritengo mio dovere segnalare ciò.

Peraltro, siccome l’emendamento non porta le dieci firme regolamentari, domando se sia appoggiato.

(Non è appoggiato).

Pongo in votazione la prima parte dell’ordine del giorno della Commissione:

«L’Assemblea invita il Governo a provvedere nei modi di legge alle facilitazioni ferroviarie agli ex senatori che non furono deferiti, per la dichiarazione di decadenza, all’Alta Corte di giustizia».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Dato che l’Assemblea ha respinto la prima parte, non porrò più in votazione la seconda parte.

Questo disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Discussione del disegno di legge: Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Discussione del disegno di legge: Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9).

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare l’onorevole Ruggiero. Ne ha facoltà.

RUGGIERO. Onorevoli colleghi! Farò delle considerazioni di carattere tecnico sull’articolo 277 della legge sulle modificazioni al Codice penale.

L’articolo 277, secondo me, va considerato in rapporto al precedente articolo 276, dato che nell’uno e nell’altro esiste la tutela di un obietto comune, che è la libertà del Presidente della Repubblica. L’articolo 276 dice: «Chiunque attenta alla vita, alla incolumità e alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».

PRESIDENTE. Onorevole Ruggiero, in sede di discussione generale non si può discutere sui singoli articoli.

Lei intende fare alcune osservazioni sulle modifiche apportate dall’articolo 2, in merito all’articolo 277 del Codice penale. Si tratta, dunque, di una questione da discutere in sede di articolo 2.

RUGGIERO. In sede di discussione generale io intendevo desumere dal complesso della legge quell’articolo che, secondo me, merita maggior attenzione e considerazione. Mi pare di rimanere nell’ambito della discussione generale anche se questa, per ragioni tecniche, deve convergere su uno dei punti contenuti in uno degli articoli.

PRESIDENTE. È naturale che si scelga l’argomento, ma non lo si sceglie fra gli argomenti specifici la cui sede di discussione è all’esame degli articoli. Comunque, dato che il suo intendimento è di parlare in relazione ad un determinato articolo, potrà farlo al momento opportuno.

Nessun altro chiedendo di parlare dichiaro chiusa la discussione generale. Passiamo all’esame dei singoli articoli.

Onorevole Grassi, poiché la Commissione ha apportato degli emendamenti al testo del Governo, chiede che si discuta sul testo della Commissione?

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Penso che sia meglio seguire il testo del Governo.

PRESIDENTE. Allora consideriamo il testo della Commissione come una serie di emendamenti al testo del Governo.

Si dia lettura dell’articolo 1.

RICCIO, Segretario, legge:

«Al libro II, titolo I, capo II, del Codice penale, approvato con decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, sono apportate le modificazioni indicate nell’articolo seguente».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto la formula proposta dalla Commissione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 1 nel testo della Commissione:

«Al libro II, titolo I, capi II, IV e V, del Codice penale, approvato con decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, sono apportate le modificazioni indicate nell’articolo seguente».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 2. Questo articolo sostituisce con nuovi testi gli articoli 276, 277, 278, 279, 283, 289, 290, e 213 del Codice penale. Porrò in discussione questi articoli separatamente. Si dia lettura del primo articolo.

RICCIO, Segretario, legge:

«Art. 276. (Attentato contro il Presidente della Repubblica). – Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».

PRESIDENTE. Avverto che è stato proposto dagli onorevoli Lagravinese Pasquale, Miccolis, Corsini, Perrone Capano, La Gravinese Nicola, Coppa, Condorelli, Rodinò Mario, Recca, Reale Vito e Perugi, il seguente emendamento sostitutivo:

«Chiunque attenti alla vita, all’incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito, nel caso di attentato alla vita, con la reclusione non inferiore ai venti anni e, negli altri casi, con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se dal fatto deriva la morte, si applica l’ergastolo nel caso di attentato alla vita, e la reclusione non inferiore a venti anni negli altri casi».

L’onorevole Lagravinese Pasquale ha fa facoltà di svolgere il suo emendamento.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

LAGRAVINESE PASQUALE. Questo emendamento è un emendamento sostitutivo, che trae il suo fondamento dallo spirito, dalla mens che ha informato il provvedimento legislativo, che oggi ci occupa. Per questo spirito, per questa mens del legislatore, non è possibile oggi assimilare, agli effetti penali, la persona del re con la persona del Presidente della Repubblica.

Il monarca, l’antico monarca, con tutte le sue prerogative e con i suoi attributi, è arrivato fino alle soglie della nostra epoca con il peso evidente dei secoli feudali. Egli, per definizione, era sacro, inviolabile, aveva quasi gli attributi della divinità, come capo di una dinastia; la sua soppressione violenta ha dato anche luogo (la storia ce lo insegna) a guerre dinastiche. Il regicidio era un delitto particolare, a sé stante, contemplato con obbrobrio, con raccapriccio, e naturalmente oggi, in periodo repubblicano, in opposizione ad un regicidio, non può esistere, per esempio, un presidenticidio.

Quindi è chiaro, mi sembra, che questa considerazione, questo concetto sacro, quasi sacerdotale, mistico della monarchia ha informato la legislazione delle epoche attraverso i secoli addirittura fino al giorno d’oggi. La persona del re, essendo considerata sacra, intangibile, si supponeva logicamente che ogni offesa ad essa dovesse essere punita con una norma severissima; e questo concetto, noi lo ritroviamo anche nel Codice Rocco, il quale poi ripete e riproduce quasi fedelmente le norme dei precedenti Codici: per questo Codice, per esempio, non esiste nessuna distinzione e discriminazione (ecco il carattere sacerdotale della monarchia) non solo sul nome, de iuris, dei reati, perché nulla pare che importi al legislatore se si tratti di un attacco, di una offesa o attentato alla vita, alla libertà, alla incolumità del monarca. Sono tre ipotesi digradanti, ma agli effetti della discriminazione, sono trattati egualmente dal legislatore, al quale neanche importa l’effetto dannoso di questi reati: non vuole, cioè, sapere se restano allo stato di tentativo o sono consumati, se dalla consumazione ne è derivata la morte oppure un graffio sul naso; è lo stesso: la pena massima per l’attacco alla sacertà del monarca.

Ora è chiaro che questa concezione non la possiamo trasfondere nella legislazione democratica, in sede di regime repubblicano. Se noi dovessimo considerare il Presidente della Repubblica alla stessa stregua concettuale del monarca, io mi domando in che cosa consisterebbe questa nostra tanto declamata democrazia.

Una riprova vi è nello stesso Codice Rocco il quale, allontanandosi gradualmente dalla persona sacra, intangibile, del monarca, passa alle altre ipotesi degli attacchi alla vita e all’incolumità delle altre persone della famiglia reale. Quindi non più intangibili, uomini; non più dei, uomini.

E allora quando il nostro Codice contempla le ipotesi delle offese, degli attentati ai membri della famiglia reale si allontana dalla sacertà, si allontana dal misticismo che accompagna la persona del monarca e tratta anche i membri della famiglia reale come uomini. E come uomo noi dobbiamo trattare il Presidente della Repubblica.

Non basta, oggi, come ha fatto il Governo e come ha fatto anche la Commissione, dopo il mutamento istituzionale, sostituire nei testi del Codice la parola «monarca» con la espressione «Presidente della Repubblica». Il Governo, infatti, cancella tutte le prerogative che riguardavano i fascisti, il fascismo, il Capo del Governo, il Gran Consiglio del fascismo e non colpisce la sostanza della norma giuridica, la quale deve essere necessariamente mutata.

Pertanto, io, non innovando nulla, ma seguendo il metodo usato dal Governo e dalla Commissione, mi sono attenuto al Codice, precisamente, come ha fatto il Governo e come ha fatto la Commissione. Soltanto che la Commissione si ferma davanti alla sacertà del Presidente della Repubblica, mentre io ho seguito il Codice. E siccome il Codice, quando non si tratta del monarca, distingue le responsabilità, e quindi le pene, non si capisce perché noi, con lo stesso sistema, non dobbiamo applicare delle pene graduali per i reati contro la persona del Presidente della Repubblica. Per conseguenza non ho fatto che andare un po’ oltre il margine che si è imposto il Governo e che si è imposto anche la Commissione, e chiedo l’applicazione delle pene relativamente ai vari attentati configurati secondo una responsabilità graduale.

Naturalmente nessuno si può lamentare di questo; neanche qualche repubblicano dell’ultima ora, il quale può ancora conservare qualche nostalgia del passato regime, non si può lamentare se ho degradato il Presidente della Repubblica allontanandolo dalla persona sacra del re; in fondo, pur facendolo scendere dal trono, gli ho conservato il rango di un principe del sangue.

Ecco perché chiedo che sia mantenuta la disposizione del Codice penale riguardante l’applicazione della pena, secondo le varie responsabilità, secondo l’entità del danno che dall’attentato può seguire.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei illustrare all’onorevole Lagravinese e all’Assemblea la reale portata del provvedimento legislativo del mio predecessore che mi corre l’obbligo di difendere qui: si è cercato, in sostanza, di eliminare alcuni articoli non più intonati al sistema politico e giuridico dello Stato. Non si è fatto che perseguire l’intento di sostituire alcune parole che si riferivano al re, alla monarchia e agli organi del precedente regime, con altre inerenti alla nuova situazione repubblicana dello Stato italiano.

È così che si è sostituito alla pena di morte per gli attentati alla persona del re la pena dell’ergastolo per i corrispondenti attentati alla persona del Presidente della Repubblica. Questi articoli dunque da noi emendati non hanno una portata innovatrice, ma solo una portata formale, nel senso di una sostituzione di una formulazione ad un’altra ormai superata.

Pertanto la proposta dell’onorevole Lagravinese di tornare al Codice del 1889, è anche una proposta che può indubbiamente esser presa in considerazione, ma se noi vogliamo entrare nel campo della discussione di merito su ogni disposizione, io credo che non finiremmo più, oltre al fatto che mi permetto di fare osservare, che noi non saremmo nemmeno preparati a questo.

Limitiamoci, quindi, per ora, a queste proposte formali. Rivolgo in questo senso una preghiera all’onorevole Lagravinese ed agli altri oratori, convinto come sono della necessità di imprimere un ritmo rapido a questa nostra discussione, se veramente vogliamo approvar questa legge. Restiamo, cioè, nell’ambito dello spirito e degli intendimenti con cui il Governo ha presentato questo disegno di legge all’Assemblea e con cui la Commissione stessa lo ha accolto.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. La Commissione si associa a quanto ha detto l’onorevole Guardasigilli. Effettivamente con la legge, che ci accingiamo ad approvare, non intendiamo sottoporre ad un accurato riesame le disposizioni del Codice penale per apportare ad esse delle modifiche. Noi intendiamo semplicemente sostituire alle disposizioni del Codice penale, che si riferiscono alle istituzioni dei periodo monarchico, le modifiche rese necessarie dalla sostituzione, in Italia, della Repubblica alla monarchia.

Se, d’altra parte, vogliamo scendere nel merito, dobbiamo riconoscere che non esiste alcuna ragione per far discendere di un gradino il Presidente della Repubblica dall’altissimo posto, nel quale la Costituzione e gli ordinamenti dello Stato e la volontà del popolo italiano lo hanno collocato.

PRESIDENTE. Onorevole Lagravinese, mantiene il suo emendamento?

LAGRAVINESE PASQUALE. Desidero semplicemente dire che quanto hanno osservato l’onorevole Ministro e l’onorevole Relatore non è del tutto esatto. Essi infatti non si sono limitati alle modifiche esteriori di cui ci hanno parlato, non si sono limitati cioè a mutare soltanto le intitolazioni degli articoli, ma, ad esempio, per l’articolo 278, hanno modificata anche la pena.

Pertanto mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Lagravinese Pasquale e altri, testé letto.

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’articolo 276:

«Attentato contro il Presidente della Repubblica. – Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».

(È approvato).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 277. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge.

«Offesa alla libertà del Presidente della Repubblica. – Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, attenta alla libertà del Presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni».

PRESIDENTE. L’onorevole Ruggiero ha proposto il seguente emendamento:

«Abrogare l’articolo 277».

Ha facoltà di svolgerlo.

RUGGIERO. Onorevoli colleghi, mi rendo conto delle dichiarazioni dell’onorevole Grassi e dell’onorevole Colitto che hanno definito il carattere provvisorio di questa legge; però ritengo che nell’articolo in esame, cioè nell’articolo 277, esista un residuo di eccesso di garanzia data a certe prerogative, che forse non avevano nessuna ragione concreta di essere, ma furono concesse durante il passato regime, cioè in un tempo in cui si era presi dalla mania di creare prerogative al riguardo di certe personalità.

E in effetti, quando si metta l’articolo 277 in rapporto col precedente, il 276, noi ci accorgiamo, dopo un esame anche sommario, che nell’uno e nell’altro articolo viene preso in considerazione un elemento comune, che è quello della libertà del Presidente della Repubblica.

Dice l’articolo 276: «Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo».

Come appare chiaro, in questo articolo è presa in considerazione la libertà personale del Presidente della Repubblica.

Ove si legga l’articolo 277 si trova che «chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, attenta alla libertà del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da cinque a quindici anni».

Come vedete, nell’un articolo e nell’altro viene presa in considerazione la libertà del Presidente della Repubblica.

Ora, si può pensare, leggendo l’articolo 277, che quando si incorre nell’espressione «fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente», si voglia creare nell’articolo 277 una condizione di fatto che nel 276 non ricorra. Il che, invece, non è esatto, perché e nell’articolo276 e nell’articolo 277, le condizioni di fatto sono le stesse e si risolvono tutte e due nell’attentato. La diversità sta in questo: nell’obietto della tutela penale; nella diversità dell’obietto della tutela penale. Nell’articolo 276 viene presa in considerazione la libertà personale del Presidente. Nell’articolo 277 viene presa in considerazione una libertà che non ha né specificazione, né qualificazione. Basterebbe questa osservazione per arrivare alla conclusione che l’articolo 277, messo in rapporto con l’articolo 276, rende dubbia l’interpretazione di entrambe le norme.

Ora, qual è l’origine dei due articoli? Derivano tutti e due dal Codice penale del 1930. Il Guardasigilli dell’epoca spiegò che in un primo caso venne presa in considerazione la libertà personale e nel secondo caso la libertà morale del re. Egli disse: «ho fissato in un primo articolo le sanzioni per gli attentati alla libertà personale del re, ma nel nuovo regolamento seguo la incriminazione meno grave degli attentati e considero così quelli che consistono nell’aggredire la libertà morale del re».

Insomma si tratterebbe di prendere in considerazione e regolare diversamente gli attentati alla libertà personale ed alla libertà morale del Presidente. Ma per arrivare a questa differenza bisognerebbe leggere i lavori preparatori e la relazione del Guardasigilli. Il che mi pare non sia proprio l’ideale per una legge che deve essere intesa da tutti per la sua semplicità e chiarezza.

Nella Commissione parlamentare del 1930 incaricata della compilazione del progetto di questo Codice non si parlava neppure di questa duplice forma di libertà, per questo motivo: perché quella Commissione diceva che quella che il Guardasigilli intendeva essere una forma di libertà di carattere morale, doveva essere intesa e punita invece come una violazione che trovava la sua identità nella offesa, nell’oltraggio, nel vilipendio della persona dell’allora sovrano.

Nel 1889 la disposizione non è contemplata. Quindi i precedenti storici davano torto al Guardasigilli che fece la relazione del Codice 1930.

Per questi motivi io penso che non si debba far luogo all’approvazione di questo articolo. Primo, perché è molto difficile dare la configurazione di un’offesa alla libertà morale del re o del Presidente della Repubblica. Secondo, perché è molto difficile trovare i confini dell’offesa alla libertà morale.

Ma vi è un’altra considerazione di carattere sociale su cui richiamo la vostra benevola attenzione per qualche momento ancora. Noi ci troviamo di fronte ad una disposizione che parla di libertà, e ne parla in maniera indeterminata, inqualificata. Ora, non vedete voi che nasce un contrasto fra quella libertà qualificata di cui all’articolo 276 e questa libertà indeterminata ed squalificata di cui all’articolo 277?

I fatti contemplati sono uguali nell’uno e nell’altro articolo, perché nell’uno e nell’altro si parla di attentato. È diverso solo l’oggetto della sanzione penale, cioè la libertà.

Ora, nell’articolo 277 non essendo delimitata la libertà in un suo ambito circoscritto che valga a definirla, per libertà dobbiamo intendere qualcosa di assolutamente generico, che abbia un’ampiezza indefinita. Voi mi insegnate che noi abbiamo tre libertà: una libertà individuale, che comprende la libertà personale, fisica e morale. Ora, siccome qui, nell’articolo 277 non è chiarita la qualificazione di libertà morale, né di libertà fisica, io sono autorizzato a pensare che quando si parla di libertà nell’articolo 277 si parla di libertà nel senso più lato.

Ed allora chi impedisce ad una rigorosa interpretazioni di fare rientrare tutti i casi di violazione di libertà proprio nell’articolo 277 e non nel 276? Perché, se nell’articolo 277 si parla di una libertà senza confine e senza limiti, nell’articolo 277 entrerebbe ogni ragione di violazione.

Per questi motivi chiedo che venga accolto il mio emendamento e venga soppressa l’articolo 277 della legge in esame, dovendo intendersi compresa la violazione alla libertà morale del Presidente nella sanzione che punisce l’oltraggio e l’offesa al Presidente stesso.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Io sono di parere opposto a quello testé espresso dall’onorevole Ruggiero perché, quando nell’articolo 276 si parla di attentato alla libertà personale, s’intende quella che in diritto penale ordinario si chiama sequestro di persona. Quando nell’articolo 277 si parla genericamente di attentato alla libertà ci si riferisce, per esempio, sempre per far riferimento al diritto penale ordinario, al delitto di minaccia. Quando nell’articolo 278 si parla di onore e di prestigio, ci si vuol riferire ai particolari delitti di ingiuria e di diffamazione commessi nei confronti del Presidente della Repubblica.

Sono dunque tre categorie diverse di delitti che ho voluto richiamare per chiarire il concetto e che mi pare giustifichino i tre diversi articoli sottoposti all’approvazione dell’Assemblea.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io non posso che richiamarmi a quanto ho detto precedentemente e che l’onorevole Ruggiero aveva già accettato, in via generale.

Il Governo, mantenendo questo disegno di legge, non fa che modificare il vecchio Codice, che aveva ipotizzato la figura della libertà distinta dalla libertà personale, sostituendo alla figura del re quella del Presidente della Repubblica.

Io prescindo dalla discussione di merito. Vi sono diverse forme di libertà, come ha detto l’onorevole Badini Confalonieri. La prima libertà, alla quale si riferisce l’articolo precedente, è senza dubbio la libertà della persona fisica; quindi gli attentati fatti alla persona fisica del Capo dello Stato vengono puniti con la disposizione prevista dall’articolo precedente.

L’articolo successivo – che non è stato innovato – si riferisce alla libertà morale, cioè a quegli attentati che possono essere esercitati per limitare la libertà morale del Capo dello Stato. Non credo che possiamo togliere questa norma.

Ad ogni modo esiste una Commissione che esaminerà tutto il Codice penale e che ha fatto già delle proposte concrete.

Ha già pronti alcuni libri, ma non si possono presentare a questa Assemblea; si presenteranno all’Assemblea legislativa di domani. Adesso prego l’Assemblea di non voler modificare tutte le ipotesi previste nel Codice penale, tenendo presente che noi vogliamo soltanto sostituire alla figura scomparsa del re, quella del Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. La Commissione non può accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Ruggiero. Per poterlo accogliere la Commissione dovrebbe essere convinta che l’articolo 277 del Codice penale non è che la ripetizione dell’articolo 276. Ora questo non è, perché l’obiettività giuridica dell’uno articolo è diversa dalla obiettività giuridica dell’altro. Nell’articolo 276 si punisce l’attentato alla libertà personale; nell’articolo 277 si punisce, invece, l’attentato alla libertà, che la dottrina qualifica, concorde, diversa da quella personale. È superfluo fare degli esempi. Non è possibile, poi, parlare di equivoci, come ne parlava dianzi l’onorevole Ruggiero, perché nell’articolo 277 non si ripeta la parola «libertà», già usata nell’articolo precedente, ma si usa la dizione «fuori dei casi previsti dall’articolo precedente», che appunto impedisce ogni equivoco. Si comprende subito, leggendosi l’articolo 277, che con questo è previsto l’attentato ad una libertà diversa da quella di cui è parola nel 276. Mi sembra, del resto, che sia opportuno stabilire per un delitto, ad esempio, di minaccia, una pena inferiore a quella che il legislatore stabilisce, per esempio, per il sequestro di persona.

Queste sono le ragioni per le quali la Commissione non può accogliere l’emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 277, testé letto, avvertendo che l’onorevole Ruggiero ne ha proposto la soppressione.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 278. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Offese all’onore del Presidente della Repubblica. – Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni».

PRESIDENTE. Faccio presente che la Commissione ha proposto di aggiungere nella intitolazione, dopo le parole «all’onore», le altre «o al prestigio», e che il Governo ha accettato.

A questo articolo, è stato presentato, dagli onorevoli Lagravinese Pasquale, Miccolis, Corsini, Perugi, Coppa, Perrone Capano, Condorelli, La Gravinese Nicola, Recca, Reale Vito, Rodinò Mario un emendamento del seguente tenore:

«Sostituire le parole: è punito con la reclusione da uno a cinque anni, con: è punito con la reclusione da due a sette anni».

L’onorevole Lagravinese Pasquale ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

LAGRAVINESE PASQUALE. Per lo stesso concetto di equità per cui il Presidente della Repubblica, come ho inutilmente affermato pochi minuti fa, non può essere confuso nell’aureola mistica, sacerdotale del monarca, non può essere neppure confuso con l’ultimo dei cittadini. Lo stesso concetto di equità: non è il monarca, ma non è neppure l’ultimo dei cittadini.

Ora, io rilevo innanzitutto la immediata smentita a quello che ha detto il rappresentante del Governo, e cioè che l’attuale disegno si limiterebbe a cambiare soltanto i nomi. In questo articolo, in contrasto alla disposizione parallela nel nostro Codice penale, quando il Governo si è trovato di fronte non più alla persona fisica, all’incolumità del Presidente, ma si è trovato di fronte al suo onore, ha diminuito la pena.

Innanzitutto questo, teoricamente, non mi sembra ben fatto, perché tante volte l’onore è qualche cosa di più rilevante della stessa vita. Ma mi sembra importante per il fatto che questo dimostra che il Governo ha già fatto opera di innovazione legislativa, mutando la pena del Codice. Non è vero che ha sostituito soltanto il nome del re con il nome del Presidente della Repubblica, che ha cancellato gli altri nomi che oggi non ci sono più; ma ha fatto opera legislativa, innovando la pena prevista dal corrispondente articolo del Codice penale. Ed io questo non lo capisco, sia in fatto e sia in diritto, perché se noi guardiamo l’articolo del Codice penale che riguarda la diffamazione, cioè l’offesa all’onore del privato umilissimo cittadino, noi vediamo che con l’ultima ipotesi dell’aggravante dell’articolo 595, la pena per diffamazione può arrivare fino a quattro anni e mezzo. Ed allora, concedere sei mesi in più per l’onore del Presidente della Repubblica, francamente mi sembra troppo poco. Quello che io chiedo, anche per rispetto a quello che ha dichiarato il Governo, che non ha mutato nulla, è che sia mantenuto in quell’articolo la pena precisa che il corrispondente articolo del Codice prevedeva per offesa all’onore e al prestigio del monarca – e oggi al Presidente della Repubblica – e cioè da due a sette anni di reclusione. È una questione di equità.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro di grazia e giustizia.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io penso che, se è stata presentata la proposta di ridurre la pena sulla base di un anno a 5 anni di reclusione, non si intendeva con questo introdurre una diminuzione nei confronti del prestigio del Presidente della Repubblica. Siccome l’articolo precedente stabiliva da due a sette anni per il re e da uno a cinque anni per la regina, il Governo ha preferito prendere questo secondo limite. Io non ne faccio una ragione essenziale, ma penso che mantenere uno a cinque anni sia sufficiente.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

COLITTO, Relatore. La Commissione si associa alle considerazioni del Ministro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Lagravinese Pasquale e altri.

(Non è approvato).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 278:

«Offese all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica. – Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 279: se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Resa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica. – Chiunque, pubblicamente, fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la responsabilità degli atti del Governo, è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire mille a diecimila».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Russo Perez, Mazza, Benedettini, Condorelli, Rodi, Coppa, Corsini, Giacchero, Cremaschi Carlo, Carratelli, hanno presentato il seguente emendamento:

«Abrogare l’articolo 279».

L’onorevole Russo Perez ha facoltà di svolgerlo.

RUSSO PEREZ. Vi leggo l’articolo: «Chiunque, pubblicamente, fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la responsabilità degli atti del Governo, ecc.». Supponete, per esempio, il caso di un giornalista, il quale scriva che il Presidente della Repubblica, con la minaccia di sciogliere la Camera, ha provocato un determinato atteggiamento del Governo. Io dico: o l’accusa è infondata o l’accusa è fondata.

Se l’accusa è infondata si ricade nella disposizione dell’articolo 278, perché indubbiamente si è offeso l’onore e il prestigio del Presidente della Repubblica. Se, viceversa, l’accusa è fondata vi sono da fare due casi: o questa accusa è mossa in modo villano, offensivo, duro, e si ricade sempre nell’articolo 278; o viceversa è fatta in forma larvata, e mi sembra eccessivo si debba perseguire penalmente il cittadino in tal caso.

Ecco perché ho proposto un emendamento soppressivo di questo articolo, che del resto in 85 anni di regno è stato applicalo una o due volte.

GRASSI. Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Né ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei pregare l’onorevole Russo Perez di non insistere, per le ragioni predette. Noi non facciamo che sostituire le disposizioni che avevamo nel Codice precedente.

PRESIDENTE. Onorevole Russo Perez, accetta l’invito del Governo?

RUSSO PEREZ. Per quanto nulla vieti che si possa cogliere questa occasione per abrogare una disposizione di legge, accetto l’invito del Ministro a recedere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Questo articolo ha figura speciale, perché riguarda la irresponsabilità del Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 279 testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 283. Si dia lettura del testo del Governo.

RICCIO, Segretario, legge:

«(Attentato contro la Costituzione dello Stato).– «Chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni».

PRESIDENTE. La Commissione ha così modificato questo articolo:

«(Attentato contro la Costituzione dello Stato).– «Chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a venti anni».

Gli onorevoli Badini Confalonieri, Corsini, Rodi, Crispo, Fusco, Rubilli, Giacchero, Carratelli, Condorelli, Benedettini hanno presentato il seguente emendamento al testo della Commissione:

«Sostituire alle parole: è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni, le parole: è punito con l’ergastolo e nei casi meno gravi con la reclusione non inferiore a dodici anni».

L’onorevole Badini Confalonieri ha facoltà di svolgere l’emendamento.

BADINI CONFALONIERI. Vorrei anzitutto dire al Ministro che in questo caso l’emendamento da noi sottoposto all’attenzione dell’Assemblea non è fuor di luogo; perché in questo caso il disegno di legge governativo non si è attenuto all’articolo 283 del Codice del 1930, il quale prevedeva nei confronti dell’attentato contro la Costituzione dello Stato la pena dell’ergastolo. Il disegno di legge ministeriale propone la pena della reclusione non inferiore a dodici anni. A cotesto proposito la Commissione ha proposto un emendamento e, quale motivazione dello stesso, nella relazione si legge:

«Ritiene la Commissione che sia opportuno salvaguardare tale Costituzione più energicamente che sia possibile; propone quindi che sia stabilita la pena della reclusione non inferiore a venti anni».

Mentre non si può disconoscere il fondamento della proposta della Commissione, occorre anche considerare che essa è caduta in un indubbio errore tecnico, quando ha previsto la reclusione non inferiore a venti anni; poiché per l’articolo 23 del Codice penale la reclusione va da quindici giorni ad un massimo di ventiquattro anni. Ora è certo che non si può consentire una facoltà discrezionale al giudice, che sia così ristretta, cioè da un minimo di venti anni ad un massimo di ventiquattro anni di reclusione. Ne consegue la necessità di modificare la proposta della Commissione, che, esatta nella motivazione, pecca tuttavia, al tempo stesso, per eccesso e per difetto. Pecca per difetto, in quanto è indubbio che l’attentato alla Costituzione è un fatto talmente grave, che non ce ne può essere altro maggiore: quando si attenta alla Costituzione si vogliono sovvertire tutte le nostre istituzioni democratiche ed il fondamento dello Stato; ed ogni altro reato previsto nella legge in discussione riverbera la sua gravità da questo. Se abbiamo testé votato nei confronti dell’attentato contro il Presidente della Repubblica, che impersona proprio la Costituzione, la pena dell’ergastolo, è giusto che nei confronti dell’attentato alla Costituzione non si commini pena nel massimo minore.

Pecca per eccesso perché indubbiamente ci sono casi meno gravi, infrazioni più lievi, che vanno diversamente considerate, per le quali mi pare opportuno consentire che il giudice abbia potere discrezionale maggiore.

Ed allora noi possiamo correggere questo eccesso, consentendo nei casi meno gravi una reclusione non inferiore a dodici anni, così come nel disegno di legge proposto dal Ministro era stato scritto.

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. A nome del mio Gruppo, dichiaro che accettiamo l’articolo 283 nel testo proposto dal Governo.

L’onorevole Badini Confalonieri si riferiva testé alla pena dell’ergastolo prevista dal Codice del 1930 e portava qui quella esasperazione delle pene voluta dal fascismo per i reati di tale specie, esasperazione che ha torturato tanti italiani in quel periodo, per la palese sproporzione della pena.

Voler punire con l’ergastolo «un fatto diretto a mutare» (un fatto che peraltro non si precisa, per cui dovremmo opporci all’articolo com’è, in quanto c’è in esso una evidente genericità) mi sembra dare al magistrato un potere non proporzionato al fatto stesso.

Ritengo che quanto è stato proposto, cioè una pena non inferiore a dodici anni, sia già una pena forte. E poi ritengo che non si debbano discutere le leggi col misurare gli anni di reclusione. Ritengo opportuno ricordare l’argomento di Beccaria a proposito della pena di morte e cioè: «Chi è deciso a commettere un delitto non si spaventa dell’entità della pena». È necessario che ci sia la sanzione punitiva e mi sembra veramente che questo voler soppesare – aumentando e diminuendo – gli anni di reclusione significa svuotare di contenuto l’essenza giuridica degli articoli stessi.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, io vado anche al di là di quel che ha detto l’onorevole Sansone, e colgo anzi l’occasione per esprimere la mia sorpresa per quanto ho sentito ripetutamente affermare, in occasione della discussione di questo progetto, dal rappresentante del Governo, che ci ha tenuto a ribadire – e l’ha fatto ripetutamente – che in sostanza con questa legge non si è voluto fare altro che sostituire alcune parole del Codice del 1930 con alcune altre.

Ora, il rilievo, che viene fatto immediatamente di opporre ad una osservazione di questo genere, è che questa sostituzione di parole forse era addirittura superflua, perché gli avvenimenti storici che si sono prodotti in Italia l’avevano già automaticamente compiuta. Ma, a questo punto, bisogna aggiungere – e questo rilievo riguarda esattamente l’articolo di cui ci stiamo occupando e contro il quale dichiaro che voterò senz’altro – che noi siamo di fronte ad uno dei capitoli più ignobili del Codice penale fascista, uno di quei capitoli del Codice penale fascista in cui si esercitò tutto lo studio del legislatore del tempo, non solo per applicare pene severissime, ma per dare ai giudici, che dovevano essere giudici di parte, il potere di condannare chiunque non fosse gradito al regime, sempre che fosse incorso in qualche fatto che, anche genericamente, si fosse potuto prestare agli intendimenti repressivi del regime stesso. (Commenti).

Rilevo che si doveva cogliere questa occasione per dare tutta un’altra impostazione giuridica, politica e democratica al capitolo di legge di cui dovevamo operare le modifiche.

L’articolo 283, consacra, a mio avviso, uno dei casi più tipici di norme giuridiche di una latitudine e di una equivocità di espressione tali, da consentire ad un giudice di parte la condanna di chicchessia, perché ho sempre sentito insegnare a scuola e durante la mia non breve pratica forense, che una norma giuridica deve avere come suo principale elemento, come sua sostanziale essenza, la precisione e la delimitazione. Deve riferirsi cioè ad un fatto che possa essere chiaramente oggettivato e contestato. Non deve essere elastica, e di una elasticità tale che ci si possa far entrare o ci si possa escludere tutto ciò che, a seconda dei diversi momenti e dei diversi venti che spirino, torni gradito e torni sgradito. Qui si dice: «chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato». Questa, non meno delle altre degli altri articoli in esame, è un’espressione di una genericità veramente sorprendente e costituisce un’offesa allo spirito e al senso giuridico di ogni buon italiano e di ogni buon democratico. Dichiaro quindi che voterò contro l’articolo 283 e contro l’intera legge, perché ritengo sia da respingere l’impostazione data dal Ministro alle modifiche legislative in oggetto e a questa discussione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi pare strano che debba ripetere quel che ho detto fin dal primo momento; mi pare ancor più strano che lo debba ripetere in occasione di questo articolo, che tra tutti è proprio quello che più a ragione deve rimanere. Si tratta di difendere la Costituzione che stiamo facendo.

Si tratta di difendere l’ordinamento giuridico dello Stato. Ora, questo tipo di reato è sempre esistito in ogni legislazione penale, perché, se vogliamo difendere le persone, dobbiamo difendere la persona per eccellenza, che è lo Stato nella sua costituzione e nella sua formazione. Mi fa meraviglia sentir dire che questo reato non esiste più e che non deve esistere. Allora, dovremmo dire che chi attenta contro lo Stato non deve avere nessuna pena? Possiamo essere d’accordo in quello che diceva l’onorevole Sansone, di mantenere i limiti che aveva stabiliti il testo governativo, perché mi pare che pene da dodici a ventiquattro anni siano più che sufficienti per mantenersi in un giusto limite. Ma non posso ammettere il concetto che questo tipo di reato, che è mantenuto sempre nelle nostre legislazioni e nelle legislazioni di tutti gli Stati democratici, non debba essere mantenuto a difesa della democrazia, della Repubblica e della libertà generale.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. Quello che ha detto l’onorevole Perrone Capano desta anche la mia meraviglia, perché noi siamo qui riuniti per redigere la nuova Costituzione della Repubblica italiana, e mi sembra strano che proprio nel momento, in cui si redige questa Costituzione, si possa chiedere la soppressione di una norma, che costituisce la difesa della Costituzione che si sta formando. La norma riproduce, d’altra parte, esattamente la corrispondente norma del Codice penale Zanardelli, e dall’epoca in cui il Codice Zanardelli venne emanato fino ad oggi, nessuno ha mai scritto che si trattava di una norma vaga o generica, che meritava di essere soppressa.

Per quanto riguarda la pena, la Commissione rileva che secondo l’articolo 283 del Codice Rocco era fissata la pena dell’ergastolo. Il Governo ritenne tale pena esagerata e stabilì nel progetto una pena non inferiore ai 12 anni. La Commissione ha ritenuto di distaccarsi sia dal Codice Rocco sia dalla proposta del Governo, ed ha seguito una via di mezzo: non si è fermata all’ergastolo, non si è fermata ai 12 anni, ed ha proposto la pena della reclusione non inferiore ai 20 anni. Ma è evidente che la Commissione non ha nessuna ragione precisa per insistere sulla sua proposta. Provveda l’Assemblea nel suo illuminato giudizio.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Avevo chiesto di parlare prima del Guardasigilli e prima del Relatore. Forse al Presidente è sfuggita la mia richiesta. Ad ogni modo esprimo ora il pensiero che avrei espresso allora, soprattutto dopo aver sentito da quel banco, e proprio dall’onorevole Perrone Capano, quello che voi avete sentito: noi non dovremmo porre nella legge nessun articolo a difesa della Costituzione.

PERRONE CAPANO. Non ho detto questo.

MACRELLI. Questo è il pensiero che ha espresso l’onorevole Perrone Capano, e ritengo per lo meno strana la sua proposta.

Noi abbiamo un diritto e un dovere: quello di difendere le istituzioni nuove, sorte dalla libera coscienza del popolo italiano; abbiamo il diritto e il dovere di difendere la Costituzione che noi, rappresentanti del popolo, abbiamo dato e stiamo dando alla Repubblica.

Ora, non dimentichiamo che si tratta di modificare il disposto dell’articolo 283 del famigerato Codice Rocco, che ha portato i suoi segni eversori, non soltanto nel campo del diritto costituzionale ma anche nel diritto pubblico e penale. Non dimentichiamo questo. È l’affermazione di una volontà di forza e di violenza morale e materiale che si è inclusa, non solo in questo articolo, ma in molti articoli del Codice penale.

E ricordo all’onorevole Perrone Capano, come ricordo anche agli altri colleghi, che l’articolo 283 riguardava non soltanto gli atti diretti a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, ma anche l’ordine di successione al trono coi mezzi non consentiti dalle ordinarie Costituzioni dello Stato; e si affermava questo principio: che qualunque atto, compiuto nei confronti della Costituzione, era punito con l’ergastolo. La Repubblica è generosa! Questo pensiero è stato detto in altri tempi, da altri uomini, e noi ripetiamo lo stesso concetto, ma intendiamo difendere la Costituzione. Ecco perché noi voteremo la proposta della Commissione. Noi non abbiamo la libidine delle pene e delle punizioni, però abbiamo – ripeto – un dovere e un diritto: quello di difenderci preventivamente contro tutti e contro tutto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Badini Confalonieri, inteso a sostituire le parole «è punito con la reclusione non inferiore ai venti anni», con le altre «è punito con l’ergastolo, e nei casi meno gravi, con la reclusione non inferiore ai dodici anni».

(Non è approvato).

Pongo in votazione l’articolo 283 nel testo del Governo:

«Chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni».

(È approvato).

Segue l’articolo 289. Si dia lettura del testo del Governo.

RICCIO, Segretario, legge:

«(Attentato contro gli organi costituzionali). – È punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:

1°) al Presidente della Repubblica, al Governo della Repubblica o al Presidente del Consiglio dei Ministri l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge;

2°) all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative l’esercizio delle loro funzioni.

«La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto la seguente formulazione:

«(Attentato contro gli organi costituzionali). – E punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:

1°) al Presidente della Repubblica o al Governo della Repubblica l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge;

2°) all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative o ad una di queste l’esercizio delle loro funzioni.

«La pena è della reclusione da uno a cinque anni, se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette».

A questo articolo gli onorevoli Camangi, Chiostergi, Magrini, Macrelli, Zuccarini, Spallicci, Della Seta, Azzi, Facchinetti, Conti, Bellusci hanno proposto il seguente emendamento:

«Al numero due, dopo la parola «legislative» inserire le parole «nazionali e regionali».

L’onorevole Camangi ha facoltà di svolgere l’emendamento stesso.

CAMANGI. Rinunzio a svolgerlo, perché mi pare chiarissimo: si tratta di colmare una lacuna, poiché è nata anche l’Assemblea regionale che ha le sue attribuzioni e che merita di avere la stessa tutela delle altre Assemblee legislative.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro di grazia e giustizia.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Dichiaro di accettare la modifica della Commissione con la quale si toglie una figura particolare al Presidente del Consiglio. Siccome, effettivamente, la figura del Primo Ministro è quella di un primus inter pares, trovo giusto che si possa accettare la soppressione di un titolo particolare per il Capo del Governo.

Per quanto riguarda la modifica proposta dagli onorevoli Camangi ed altri, che vorrebbero aggiungere le parole «nazionali e regionali», io avrei qualche preoccupazione a questo riguardo.

Noi stiamo difendendo le istituzioni dello Stato; ancora non so se possiamo considerare le Assemblee regionali come una istituzione dello Stato. Noi ci manteniamo, in ogni modo, nella forma mantenendo la vecchia tradizione, la vecchia legge. Se domani nella riforma del Codice penale si vorrà estendere la tutela anche alle Assemblee regionali, esamineremo il problema; ma in questo momento dare alle Assemblee regionali le prerogative delle Assemblee legislative non so se possiamo farlo.

Quindi, sarei per il mantenimento del testo presentato dal Governo ed accettato dalla Commissione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. Date le dichiarazioni del Ministro, penso che possa essere sottoposto a votazione il testo proposto dalla Commissione.

Il testo proposto dalla Commissione diversifica da quello presentato dal Governo in due punti: uno di sostanza e l’altro di forma.

La Commissione ha tolto al numero uno le parole «e al Presidente del Consiglio dei Ministri» ed ha aggiunto al numero due alle parole «all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative» queste altre «o ad una di queste», anche per euritmia legislativa, essendo dette parole anche nell’articolo 290.

Poiché, come ho detto, il Ministro ha accettato le modifiche apportate dalla Commissione al testo governativo, ritengo, ripeto, che si possa mettere in votazione il testo della Commissione. Circa, poi, il rilievo formulato dal collega onorevole Camangi, io mi permetto di osservare che indubbiamente gli attentati del genere di quelli previsti dall’articolo in esame all’attività dei Consigli regionali è opportuno che siano previsti da una disposizione di legge. Penso, tuttavia, che non sia il caso di occuparsene ora, perché noi adesso stiamo discutendo dell’articolo 289 del Codice penale, che prevede gli attentati agli organi costituzionali dello Stato, e tali le Assemblee regionali non possono essere considerate.

Vorrei, quindi, pregare l’onorevole Camangi di rinviare ad altra sede la sua proposta.

PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Sansone ha presentato un emendamento tendente a sopprimere il n. 1 dell’articolo 289. Ha facoltà di svolgerlo.

SANSONE. Onorevoli colleghi, è stato poc’anzi respinto l’emendamento soppressivo dell’onorevole Ruggiero: io mi permetto tuttavia di osservare che ora ci troviamo esattamente di fronte ad un duplicazione, in quanto noi, con l’articolo 277 che abbiamo approvato, abbiamo già previsto i casi dell’attentato alla libertà del Presidente della Repubblica.

Il dire quindi adesso che è punito con la reclusione non inferiore ai dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commetta un fatto diretto ad impedire, in tutto o in parte, con quello che segue, mi sembra del tutto pleonastico, nel senso che noi, con questo testo, implicitamente alludiamo non ad altro che a quell’attentato alla libertà di cui all’articolo 287. (Commenti).

No, onorevoli colleghi: dovete scusarmi. Si intende che l’emendamento potrà anche essere respinto, insisto però su di esso perché sono convinto che questa discussione, sia pure breve, potrà darci un elemento interpretativo.

ANGELINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELINI. Mi permetto di dichiarare che a me pare che le osservazioni fatte dall’onorevole Ministro e dall’onorevole Relatore della Commissione a proposito dell’emendamento presentato dal collega onorevole Camangi non siano esatte. L’articolo 2 parla infatti di Assemblea Costituente e di Assemblee legislative, per l’esercizio delle loro funzioni. Ora, noi abbiamo approvato degli articoli della Costituzione i quali commettono il potere legislativo, per certe determinate materie, alle Assemblee regionali.

Quella stessa tutela quindi che noi dobbiamo stabilire nei confronti della Camera dei deputati e del Senato io ritengo debba essere anche di conseguenza estesa alle Assemblee regionali, in quanto esse hanno il potere legislativo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ministro Guardasigilli a esprimere l’avviso del Governo sull’emendamento dell’onorevole Sansone.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei pregare l’onorevole Sansone di non insistere sul suo emendamento, giacché la situazione giuridica prevista in questo articolo è assolutamente diversa da quella contemplata negli altri. In quelli, infatti, noi abbiamo previsto gli attentati ad una libertà prima fisica, poi, nell’altro articolo, morale del Presidente; qui invece si prevede il Presidente non già come persona fisica, ma come organo costituzionale, si prevede cioè la Presidenza in se stessa.

Un impedimento dell’esercizio della funzione costituzionale propria del Presidente della Repubblica è un reato che si configura evidentemente a sé. Si tratta dunque di un articolo che, come dicevo, prevede la figura del Presidente in quanto organo costituzionale.

Ho inteso l’onorevole Angelini associarsi alla proposta dell’onorevole Camangi. Vorrei osservare che, siccome si tratta di un articolo di Codice penale, quindi di legge in cui diamo disposizioni punitive per reati contro gli organi costituzionali, non mi pare sia il caso di estendere il principio per dire se una Regione dev’essere compresa o no. Questo lo dirà il nuovo Codice penale, e la questione sarà dunque decisa in quella sede. Del resto non credo che non occupandosene ora si farà un gran torto alle Regioni.

Decideremo dunque in un altro momento se la Regione debba essere considerata come organo costituzionale per sé stante, ma per ora vorrei che ci mantenessimo nei limiti già stabiliti.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Sansone.

COLITTO, Relatore. All’onorevole Sansone, che è un sottile giurista, non posso non ricordare che l’articolo 279 considera il Capo dello Stato nell’esercizio delle sue funzioni e l’articolo 277 il Capo dello Stato fuori delle sue funzioni.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Per quanto riguarda la proposta di soppressione delle sanzioni penali a tutela della persona del Presidente del Consiglio, dichiaro, anche a nome degli amici del mio Gruppo, che noi, in coerenza di quanto abbiamo già sostenuto nella Commissione dei 75, riteniamo che debba essere espressamente menzionata nella norma in esame anche la figura del Presidente del Consiglio. Per quanto lo si voglia considerare come primus inter pares, egli sarebbe sempre un organo, e nell’assunzione delle responsabilità inerenti all’esercizio del suo potere si spiega la necessità della tutela penale.

Ma noi riteniamo che ci sia qualcosa di diverso e di più del primus inter pares, se è vero che proprio in questi giorni abbiamo approvato in sede costituzionale il concetto per cui il Presidente del Consiglio dirige la politica del Governo e ne assume la responsabilità.

Quindi mi permetto richiamare l’attenzione dell’Assemblea sulla necessità che la decisione che stiamo per prendere in sede di legge speciale risulti armonica coi criteri sanciti in sede costituzionale.

Contemplata pertanto la figura giuridica e costituzionale del Presidente del Consiglio, quale tutore e titolare del potere di coordinamento, credo che in conseguenza noi siamo dinanzi ad un soggetto che debba essere suscettibile di tutela penale autonoma.

Per questi motivi chiediamo che sia messo ai voti anche il testo del Governo, per il quale noi voteremo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei chiarire meglio la questione all’onorevole Dominedò. Il testo governativo parlava del Presidente della Repubblica, del Governo della Repubblica e del Presidente del Consiglio. La Commissione ha detto: siccome il Governo della Repubblica si personifica nella persona del Presidente del Consiglio principalmente, e poi negli altri membri del Governo, non vi è necessità di ripetere «Presidente del Consiglio» come se fosse una figura separata. Questa spiccata separazione aveva invece ragion d’essere nel testo precedente, perché allora si trattava del Capo del Governo duce del fascismo che rappresentava una figura indipendente dal Governo stesso.

Un attentato che si compia contro le attribuzioni del Governo comprende essenzialmente il Presidente del Consiglio. Quindi è inutile fare questa separazione e questa ripetizione, che non corrispondono più a quella separazione che c’era il passato.

Per questi motivi io prego l’Assemblea di accettare la proposta fatta dalla Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore insiste?

COLITTO, Relatore. La Commissione insiste sul suo testo.

PRESIDENTE. L’onorevole Dominedò, che ha fatto suo il testo del Governo, lo mantiene?

DOMINEDÒ. Lo mantengo.

PRESIDENTE. L’onorevole Sansone mantiene il suo emendamento?

SANSONE. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 289 nel testo della Commissione.

Pongo in votazione le parole:

«Attentato contro gli organi costituzionali. – È punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:

1°) al Presidente della Repubblica».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«o al Presidente del Consiglio dei Ministri», di cui al testo del Governo, fatto proprio dall’onorevole Dominedò.

(Dopo prova e controprova, non sono approvate).

Pongo in votazione le rimanenti parole dell’alinea.

«o al governo della Repubblica l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge».

(Sono approvate).

Pongo ai voti il secondo alinea del primo comma:

«all’Assemblea Costituente o alle Assemblee legislative o ad una di queste l’esercizio delle loro funzioni».

(È approvato).

Pongo ai voti l’emendamento Camangi, tendente ad inserire dopo le parole «Assemblee legislative» le altre: «nazionali e regionali».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, è approvato).

COLITTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO, Relatore. Data la votazione testé fatta dall’Assemblea, penso che debba essere correlativamente modificato il titolo dell’articolo. Nel titolo si parla di attentati contro gli organi costituzionali. Ora, se è esatto che le assemblee regionali non sono tali, è necessario che si aggiunga nel titolo: «e contro le Assemblee regionali».

PRESIDENTE. Votiamo ora l’ultimo comma; poi voteremo l’intitolazione dell’articolo.

Pongo in votazione l’ultimo comma:

«La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette».

(È approvato – L’articolo è così approvato).

L’onorevole Relatore propone che l’intitolazione dell’articolo sia modificata in questo senso: «Attentato contro gli organi costituzionali e contro le assemblee regionali».

Pongo in votazione questa proposta.

(È approvata).

Passiamo all’articolo 290: se dia lettura nel testo del Governo.

RICCIO, Segretario, legge:

«Vilipendio delle istituzioni costituzionali. – Chiunque pubblicamente vilipende l’Assemblea Costituente o le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o l’Ordine giudiziario, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

«La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto la seguente dizione:

«Vilipendio della Repubblica e delle istituzioni costituzionali. – Chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica o le istituzioni costituzionali è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

«La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende l’Ordine giudiziario o le Forze armate dello Stato».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mantengo il testo governativo; accetto solo che si aggiungano nel titolo le parole: «della Repubblica». L’articolo parlava della corona. La corona è un istituto singolo, mentre la Repubblica è l’insieme delle istituzioni. Non posso accettare però: «e delle istituzioni costituzionali» in genere. Bisogna precisare quali sono, per stabilire il reato. La forma del Governo era invece «l’Assemblea Costituente o le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o l’ordine giudiziario». Vorrei si mantenesse il testo del Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore per esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. La Commissione parla nel testo da essa proposto di «istituzioni costituzionali». Nella relazione, però, si è chiarito che con le parole predette si era creduto di usare una formula sintetica al posto di una elencazione. Se vogliamo abbandonare la formula della Commissione e specificare le istituzioni tutelate, facciamo pure. La Commissione non si oppone. Nella dizione del testo governativo si parla di Assemblea Costituente, di Assemblee legislative e del Governo. Non credo che si debbano fare aggiunte.

PRESIDENTE. Allora aderisce al testo governativo?

COLITTO, Relatore. Aderisco.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Boldrini, Moscatelli, Longo, Barontini Ilio, Farina, Cavallotti, Barontini Anelito, Secchia, Lussu e Scotti Alessandro hanno proposto il seguente emendamento:

«Dopo le parole: le Forze armate dello Stato, aggiungere: e quelle della liberazione».

L’onorevole Boldrini ha facoltà di svolgere l’emendamento.

BOLDRINI. La ragione per cui abbiamo presentato questo emendamento è di carattere profondamente morale. Sono due anni che assistiamo alla campagna di calunnie e di svalorizzazione della resistenza italiana. Sono due anni che assistiamo alla campagna di improperi contro gli uomini della liberazione: campagna di diffamazione senza scrupoli, che è arrivata fino al paradosso di dire che la guerra della resistenza non è esistita; campagna di diffamazione che ha fatto del male ai nostro Paese all’interno, ma soprattutto ha fatto del male al nostro Paese all’estero. Molti di voi, che hanno avuto contatti con rappresentanti di altri Paesi, si saranno sentiti chiedere: «Ma come, voi in Italia avete fatto la guerra di liberazione? Ma quale guerra di liberazione, quando la vostra stampa la diffama?».

Ma chi diffama questa guerra di liberazione? È forse il popolo? No certamente. Se desiderate la dimostrazione pratica, guardate alla manifestazione dell’ultimo 25 aprile in cui diecine di migliaia di cittadini sono scesi sulle piazze d’Italia per ricordare l’insurrezione vittoriosa!

Chi offende allora la guerra di liberazione? Sono quegli uomini che oggi vorrebbero attentare alla Repubblica, alla democrazia.

Ebbene, voi state per approvare una legge per la difesa della Repubblica; ma prima di tutto dovete tutelare l’onore di coloro, che hanno riscattato il Paese ed hanno dato la possibilità di creare la Repubblica e di convocare l’Assemblea Costituente. (Applausi a sinistra).

Volete approvare una legge, che impedisca fra l’altro il vilipendio delle Forze armate? Ebbene, signori, le Forze armate non hanno forse ereditato lo spirito della resistenza? Non hanno esse stesse preso parte alla resistenza? Ricordate il contributo della marina e di alcuni gruppi dell’esercito: battaglia di porta San Paolo, battaglia di Piombino, di Lero, di Cefalonia; ricordate il contributo dato dall’aviazione! Molti degli ufficiali, che oggi sono nelle Forze armate, non hanno forse militato nelle forze della resistenza?

Ed allora noi saremmo di fronte a questa situazione: che, da una parte, vogliamo tutelare il patrimonio morale delle Forze armate e, dall’altra, permettiamo che una pagina di storia, che è storia delle Forze armate, venga vilipesa. I reduci di Cefalonia e di Lero hanno chiesto di essere partigiani ad honorem. È un titolo di onore per gli ufficiali dell’esercito, della marina e dell’aviazione essere partigiani, tanto che essi portano il nastrino della guerra partigiana.

Signori, se da una parte volete difendere il patrimonio morale delle Forze armate, dovete difendere anche il patrimonio della guerra di liberazione, perché queste due cose sono inscindibili, sono unite l’una all’altra. Ma credo ci sia soprattutto una ragione altamente morale che deve far accettare l’emendamento proposto, e cioè deve essere una riparazione solenne che l’Assemblea Costituente deve fare, una riparazione solenne verso coloro che sono caduti, verso le famiglie dei nostri Caduti, le quali oggi, pur attendendo da mesi e mesi la pensione, vogliono soprattutto una parola di riconoscenza dal Paese. Deve essere una riparazione solenne verso tutti coloro che hanno dato il loro contributo di sangue e di sacrificio per il riscatto nazionale. Deve essere soprattutto una difesa del testamento morale della resistenza, scritto da uomini di tutte le correnti politiche, da Galimberti a Don Morosini, dal colonnello Montezemolo a Buozzi; da Curiel a Dante di Nanni, testamento morale scritto da centinaia e centinaia di donne con alla testa Irma Bandiera. Signori, è la difesa della pagina di storia del secondo Risorgimento italiano. Fate questo atto di riparazione solenne. Esso sarà un atto dignitoso dell’Assemblea Costituente italiana. Non dimenticate la seduta tempestosa del 18 marzo 1861, quando Garibaldi chiese che fosse rispettato l’onore delle Camicie Rosse; allora si votò contro; il Paese ne ha però fatto solenne ammenda; le nuove generazioni dal 1861 in poi si sono educate allo spirito della resistenza garibaldina. Fate che oggi non succeda quello che successe allora. Fate che il vostro voto sia voto di fiducia verso coloro che hanno combattuto, un voto di riparazione verso coloro che hanno dato il loro supremo sacrificio, un voto che ponga finalmente il suggello più solenne nella pagina della liberazione nazionale. (Vivissimi applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Ruggiero ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma: La pena è aumentata se il vilipendio viene commesso al cospetto delle dette istituzioni».

L’onorevole Ruggiero ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

RUGGIERO. Osservo che forse è necessario configurare questo caso, perché era già configurato nell’articolo 123 del Codice penale del 1889 e perché configurato in tutti i Codici. Vi è di più: la tutela che si chiede per le istituzioni di carattere costituzionale è già sancita in tutti i Codici, anche per le istituzioni che non rivestono un carattere propriamente costituzionale. Per questo motivo chiedo che l’emendamento venga accolto ipotizzando questo un aggravamento del vilipendio, con necessari conseguenti aumenti di pena.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Signor Presidente, prendo la parola unicamente perché credo che sia più opportuno votare sul testo della Commissione. La ragione è questa: noi ci rendiamo perfettamente conto dello scopo di questo disegno di legge, che tende semplicemente ad adeguare la legislazione penale alla nuova situazione. Non entriamo nel merito, perché questo articolo costituisce, a nostro modo di vedere, una delle questioni più delicate dell’attuale disegno di legge in votazione e meriterebbe una discussione ampia e minuta. Ma il concetto fondamentale è questo: che non si è d’accordo sull’interpretazione del famoso «vilipendio», e poiché l’interpretazione può essere quanto mai elastica e non è possibile stabilire i confini tra ingiuria, oltraggio, offesa e vilipendio e non è neanche possibile stabilire quali sono gli oggetti di questa tutela, crediamo che non sia opportuno cristallizzarci in una elencazione categorica e tassativa. Lasciamo, pertanto, che l’oggetto della tutela sia l’essenza degli istituti, come è già stato del resto largamente riconosciuto da tutta la dottrina, italiana e straniera. (Commenti).

PRESIDENTE. Mi pare, onorevole La Rocca, che l’ordine del nostro lavoro con la sua proposta diventi complicato. La prego di rinunciare alla sua proposta, perché la votazione sull’articolo 290 sarà una votazione per commi e si potrà pacificamente risolvere il problema con le votazioni sui singoli punti.

LA ROCCA. E appunto questa la ragione per la quale crediamo che non sia il caso di specificare e indicare gli organi che incarnerebbero queste famose istituzioni costituzionali e che sarebbe meglio lasciare questo all’interpretazione della dottrina. (Commenti).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho pregato la Commissione, la quale ha aderito, di tornare al testo governativo, perché è indispensabile, per stabilire l’esistenza di un reato, che si sappia se il reato esiste nei confronti di determinate istituzioni. Non solo, ma sorgerebbe un dubbio, se si adottasse la formula generica: «contro le dette istituzioni»; si potrebbe pensare che, perché il reato di vilipendio sorgesse, che esso fosse commesso contro tutte le istituzioni e non contro una soltanto, mentre noi quando specifichiamo e diciamo quali sono queste istituzioni verso cui il vilipendio costituisce un reato, mi pare che facciamo cosa lodevole, perché la tecnica legislativa deve essere precisa e perciò in tal modo, con una maggiore specificazione, facciamo sì che il congegno sia perfettamente chiuso.

Quindi ho pregato la Commissione, che ha aderito, di accettare il testo presentato dal Governo, inserendo anche la Repubblica come complesso delle istituzioni, perché quando si dice Repubblica si colpisce tutto il complesso delle istituzioni. Comprendiamola pure; ma quando diciamo istituzioni costituzionali dobbiamo dire quali sono quelle che, offese, costituiscono vilipendio, e dobbiamo dirlo anche specificatamente perché, secondo la formula, potrebbe sembrare che il vilipendio ad una sola di queste non costituisca reato.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Ricordo al Ministro di grazia e giustizia che la formula proposta dalla Commissione è la stessa formula del Codice Zanardelli, che era poi la formula tratta dal progetto del 1887, sebbene più ristretta. E nessuno, credo, potrà ritenere che la formula del progetto Zanardelli non fosse inspirata a criteri di democrazia o che non volesse tutelare determinate istituzioni.

PRESIDENTE. Quale è il parere della Commissione?

COLITTO, Relatore. Fra l’opinione del Ministro e quella dell’onorevole La Rocca non vedo contrasto. Dicono tutti e due, a mio avviso, la stessa cosa. L’onorevole La Rocca ritiene che si debba usare una formula sintetica ed il Ministro pensa che si debba specificare. Ora, se l’onorevole La Rocca affermasse che, oltre gli organi costituzionali indicati dal Ministro, esistessero altri organi costituzionali meritevoli di tutela, io comprenderei il suo atteggiamento, ma quando egli questo non afferma, io credo che si possa usare la formula indicata dal Ministro,.

PRESIDENTE. Poiché il Ministro ed il Relatore sono d’accordo, penso che si debba votare sul testo governativo. Prego ora l’onorevole Ministro di volere esprimere il suo avviso sugli emendamenti Boldrini e Ruggiero.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia.

Il mio parere è questo: non c’è dubbio che da parte dell’Assemblea e da parte del Governo vi debba essere la massima riverenza possibile verso le forze della liberazione, ma può darsi che la situazione giuridica non sia completamente a posto. I reati in parola sono messi sotto il titolo di reati contro la personalità dello Stato, ed io non so se le forze della liberazione possono considerarsi come organi della personalità dello Stato. Comunque, io mi rimetto all’Assemblea. Vi è poi un’osservazione di carattere tecnico; le forze della liberazione, per quanto siano state organizzate ed abbiano avuto la loro forma giuridica, non so se oggi rappresentano una forma giuridica del Governo e se ci sia qualche organo che le rappresenti giuridicamente. L’esercito, la marina e l’aeronautica hanno i loro rappresentanti e possono costituirsi in giudizio per chiedere l’azione penale. Non so se le forze della liberazione possono fare altrettanto.

Una voce al centro. C’è l’A.N.P.I.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi rimetto all’Assemblea. Le forze della liberazione devono avere una tutela, ma non so se tecnicamente o giuridicamente si possa inserire questa tutela in un articolo di questa legge.

Quanto all’emendamento dell’onorevole Ruggiero non so come si potrebbe fare un reato al cospetto della Repubblica! Mi pare che sia un po’ difficile precisare e mi sembra un po’ esagerato aggiungere quest’aggravante.

PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

COLITTO, Relatore. Circa l’emendamento dell’onorevole Ruggiero mi associo a ciò che ha detto l’onorevole Ministro. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Boldrini, io devo confessare che, essendo qui solo a rappresentare la Commissione, mi trovo in una specie di disagio spirituale. Posso esprimere il mio parere personale, ma non il parere della Commissione.

Il mio parere personale è questo. Se debbo interrogare il mio cuore, allora io sottoscrivo senz’altro quello che ha detto il collega Boldrini: ma, se debbo interrogare il mio criterio giuridico, debba dire di essere di diverso avviso. Perché? Perché l’articolo 290 del Codice penale, del quale ci stiamo occupando, prevede due categorie di istituzioni: quelle propriamente costituzionali, cioè non subordinate ad alcun organo speciale, e le altre, che non sono costituzionali, ma alle stesse parificate quanto alla tutela.

Ora istituzioni sono indubbiamente l’Ordine giudiziario e le Forze armate. Queste trovano la loro precisa identificazione giuridica nel Codice penale militare. Ma una identificazione giuridica, così come è possibile per le Forze armate, non credo che sia possibile (mi posso ingannare) per le Forze della liberazione.

Questo, ripeto, è, però, un mio pensiero personale. Prenda l’Assemblea la decisione che crede.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruggiero se mantiene il suo emendamento.

RUGGIERO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Boldrini se mantiene il suo emendamento.

BOLDRINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione. Pongo anzitutto in votazione il titolo dell’articolo 290 nel testo del Governo:

«Vilipendio delle istituzioni costituzionali».

(È approvato).

Pongo in votazione le parole:

«Chiunque pubblicamente vilipende l’Assemblea Costituente».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«o le Assemblee legislative o una di queste».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«ovvero il Governo».

(Dopo prova e controprova sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«o l’Ordine giudiziario».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

(Sono approvate).

COLITTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO, Relatore. La Commissione ha ritenuto di parlare dell’ordine giudiziario nel capoverso dell’articolo, ritenendo che l’Ordine giudiziario non fosse una istituzione costituzionale.

La Commissione si è occupata dell’Ordine giudiziario e lo ha contemplato nel capoverso, parlandone insieme con le Forze armate, e pensa che la proposta possa essere approvata.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASS1, Ministro di grazia e giustizia. A differenza di quello che è il punto di vista della Commissione, io invece ho dichiarato di mantenere la forma stabilita e presentata già dal mio predecessore, in quanto è funzione della sovranità quella di dare un giudizio. Mi pare d’altra parte che sia impossibile venir meno a quello che è un deliberato già preso dall’Assemblea.

PRESIDENTE. E evidente che non si può mutar nulla di quanto è stato stabilito dall’Assemblea.

Pongo in votazione il secondo comma:

«La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento Boldrini, tendente ad aggiungere, dopo le parole: «le Forze armate dello Stato» le altre: «e quelle della liberazione».

(Dopo prova e controprova, è approvato – Vivi, prolungati applausi a sinistra – Si grida: Viva i partigiani!).

Una voce a sinistra. Viva anche i partigiani della Democrazia cristiana! (Applausi a sinistra).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Propongo che il titolo dell’articolo sia completato, con l’aggiunta delle parole:

«e delle Forze armate».

PRESIDENTE. Chiedo al Relatore di esprimere il proprio parere su questa proposta.

COLITTO, Relatore. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il titolo dell’articolo 290, con l’emendamento Fabbri:

«Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze armate».

(È approvato).

Pongo, ora, in votazione l’emendamento dell’onorevole Ruggiero:

«Aggiungere il seguente comma:

«La pena è aumentata se il vilipendio viene commesso al cospetto delle dette istituzioni».

(Non è approvato).

L’articolo 290 è così approvato.

Segue l’articolo 298, per il quale la Commissione non ha proposto alcuna variante. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«(Offese contro i rappresentanti di Stati esteri). – Le disposizioni dei tre articoli precedenti si applicano anche se i fatti, ivi preveduti, sono commessi contro rappresentanti di Stati esteri, accreditati presso il Governo della Repubblica, in qualità di Capi di missione diplomatica, a causa o nell’esercizio delle loro funzioni».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Segue l’articolo 313. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«(Autorizzazione o richiesta a procedimento). – Per i delitti preveduti dagli articoli 244, 245, 265, 267, 269, 273, 274, 277, 278, 279, 287 e 288 non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.

«Parimenti non si può procedere senza tale autorizzazione per i delitti preveduti dagli articoli 247, 248, 249, 250, 251 e 252, quando sono commessi a danno di uno Stato estero alleato o associato, a fine di guerra, allo Stato italiano.

«Per il delitto preveduto nell’articolo 290, quando è commesso contro l’Assemblea Costituente ovvero contro le Assemblee legislative, non si può procedere senza l’autorizzazione dell’Assemblea contro la quale il vilipendio è diretto. Negli altri casi non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.

«I delitti preveduti dagli articoli 296, 297, 298 in relazione agli articoli 296 e 297, e dall’articolo 299 sono punibili a richiesta del Ministro di grazia e giustizia».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto la seguente formulazione: Le modifiche riguardano il titolo e il terzo comma:

«Art. 313. (Autorizzazione a procedere o richiesta di procedimento). – Per i delitti preveduti dagli articoli 244, 245, 265, 267, 269, 273, 274, 277, 278, 279, 287 e 288 non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.

«Parimenti non si può procedere senza tale autorizzazione per i delitti preveduti dagli articoli 247, 248, 249, 250, 251 e 252, quando sono commessi a danno di uno Stato estero alleato o associato, a fine di guerra, allo Stato italiano.

«Per il delitto preveduto nell’articolo 290, quando è commesso contro l’Assemblea Costituente ovvero contro le Assemblee legislative o una di queste, non si può procedere senza l’autorizzazione dell’Assemblea contro la quale il vilipendio è diretto. Negli altri casi non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della giustizia.

«I delitti preveduti dagli articoli 296, 297, 298 in relazione agli articoli 296 e 297, e dall’articolo 299 sono punibili a richiesta del Ministro della giustizia».

Chiedo al Governo di dichiarare se accetta il testo della Commissione.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 313 nel testo proposto dalla Commissione ed accettato dal Governo.

(È approvato).

È così approvato l’articolo 2 del disegno di legge nel suo complesso.

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«L’articolo 127 del Codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 127. (Richiesta di procedimento per offese al Presidente della Repubblica). – Salvo quanto è disposto nel titolo primo del libro secondo di questo Codice, qualora un delitto punibile a querela della persona offesa sia commesso in danno del Presidente della Repubblica, alla querela è sostituita la richiesta del Ministro della giustizia».

PRESIDENTE. La Commissione propone soltanto di modificare così il titolo dell’articolo 127 del Codice penale:

«Richiesta di procedimento per delitti contro il Presidente della Repubblica».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia accetta il testo della Commissione?

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3 del disegno di. legge, con la modifica proposta dalla Commissione e accettata dal Governo.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 4. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Ai fini dell’applicazione delle precedenti disposizioni, alla carica di Presidente della Repubblica è equiparata quella di Capo provvisorio dello Stato».

PRESIDENTE. La Commissione ha proposto il seguente nuovo testo:

«L’articolo 280 del Codice penale, abrogato dal decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288, è sostituito dal seguente:

«Art. 280. (Parificazione al Presidente della Repubblica di chi ne fa le veci). – Agli effetti degli articoli 276, 277, 278, 279 e 289 sono parificati al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci e il Capo provvisorio dello Stato».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Prego la Commissione di non insistere, perché non ritengo che si possa dedicare un articolo del Codice al Capo provvisorio dello Stato, trattandosi appunto di una figura meramente transitoria.

Il Codice deve statuire norme di carattere permanente e non deve occuparsi di materia contingente; d’altro canto la formula proposta dalla Commissione è tecnicamente inesatta, in quanto vorrebbe sostituire un articolo (il 280 del Codice penale) già abrogato.

Forse la Commissione contempla il caso di colui che sostituisce il Presidente nei casi previsti dalla Costituzione. Ma allora si dovrebbero fare due articoli, il primo, l’attuale articolo 4 previsto dal progetto e l’altro – che potrebbe essere un articolo bis – del seguente tenore:

«Agli effetti degli articoli 276, 277, 278, 279 e 289 è parificato al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci».

Così distinguiamo le due formule: per il Capo provvisorio dello Stato manteniamo la formula transitoria del progetto e per il sostituto del Presidente la norma permanente – un articolo del Codice da collocare dopo l’articolo 290 – nel senso che ho detto.

PRESIDENTE. La Commissione accetta?

COLITTO, Relatore. La Commissione mantiene il suo testo; non si oppone, tuttavia, a che, per il Capo provvisorio dello Stato, si faccia un articolo a parte.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia.

Le ipotesi che fa la Commissione sono due: una riguarda il Capo provvisorio dello Stato, e non può non essere una disposizione transitoria, e l’altra che parifica al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci, e questa deve essere una norma permanente. Il Governo propone di mantenere l’articolo 4 nel testo ministeriale, in quanto riguarda una norma transitoria, e per la parificazione al Presidente della Repubblica di chi ne fa le veci propone un articolo 290-bis del Codice penale.

COLITTO, Relatore. Accetto.

PRESIDENTE. Come l’Assemblea ha udito, il Governo propone, e la Commissione accetta, di votare l’articolo 4 nel testo ministeriale e di aggiungere un articolo 290-bis, da includere evidentemente nell’articolo 2 del progetto, dopo l’articolo 290 del Codice, del seguente tenore:

«Articolo 290-bis (Parificazione al Presidente della Repubblica di chi ne fa le veci). – Agli effetti degli articoli 276, 277, 278, 279 e 289 è parificato al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci».

Questi due articoli saranno votati con riserva di coordinamento.

Pongo in votazione l’articolo 4 nel testo ministeriale, del seguente tenore:

«Ai fini dell’applicazione delle precedenti disposizioni, alla carica di Presidente della Repubblica è equiparata quella di Capo provvisorio dello Stato».

(È approvato).

Pongo in votazione l’articolo 290-bis del Codice, testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 5. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

COLITTO, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO, Relatore. Nella seduta del 16 marzo 1947 si disse che la presente legge è una legge costituzionale. Allora la formula dell’articolo 5 dovrebbe essere quella delle altre leggi costituzionali.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. In realtà nel resoconto, al quale si richiama l’onorevole Colitto, si legge la comunicazione che il Governo ha presentato direttamente all’Assemblea, a norma dell’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, tre disegni di leggi di carattere costituzionale. Il disegno di legge, che si sta approvando; è uno di essi. Ma nel testo presentato dal Governo il disegno in questione non è qualificato come disegno di legge costituzionale, come, invece, è dichiarata legge costituzionale quella concernente la soppressione del Senato. Comunque, a prescindere da inesattezze formali, è evidente che quella che abbiamo oggi discussa è una legge che si limita a portare alcune modificazioni al Codice penale. Essa riguarda una materia che non è costituzionale e perciò non deve avere la forma di una legge costituzionale. La formula dell’ultimo articolo, pertanto, deve essere quella usuale delle leggi ordinarie.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, insiste?

COLITTO. Non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 5, testé letto, nel testo ministeriale.

(È approvato).

Passiamo al titolo della legge. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane».

PRESIDENTE. La Commissione propone di sostituirlo col seguente:

«Modificazioni al Codice penale per la parte riguardante i delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato».

Chiedo al Governo di esprimere il proprio parere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo accetta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il titolo della legge nella formulazione proposta dalla Commissione ed accettata dal Governo.

(È approvato).

È così esaurito l’esame di questo disegno di legge. Chiedo all’Assemblea l’autorizzazione di procedere al coordinamento del disegno di legge.

(Così rimane stabilito).

Se l’Assemblea consente, questo e gli altri disegni di legge esaminati oggi, saranno votati a scrutinio segreto nella seduta antimeridiana di domani.

(Così rimane stabilito).

Comunico che domani vi saranno due sedute, alle 10.30 e alle 16.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico all’Assemblea che sono state presentate alla Presidenza le seguenti interrogazioni, con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga necessario revocare alla Società Garigliano e suoi successori la concessione della costruzione del bacino idroelettrico del Taloro (Nuoro), già iniziata e poi abbandonata, costruzione di importanza vitale per l’avvenire industriale dell’Isola. oltreché agricolo per la provincia di Nuoro e avente altresì – quale bacino a monte di quello del Tirso – la funzione importantissima di regolare le piene e impedire gli straripamenti che nella presente stagione provocano l’allagamento di diecine di migliaia di ettari del più fertile terreno isolano, distruggendo le semine o rendendo impossibili altri lavori agricoli autunnali.

«Murgia».

«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere se, di fronte ad una modifica dell’ordinamento degli studi dell’Università di Trieste da parte del Governo del territorio libero, corrisponda a verità quanto si afferma circa l’intenzione del Governo italiano di non riconoscere più pieno valore alle lauree rilasciate dall’Ateneo triestino.

«Bettiol, Ermini, Colombo Emilio, Caronia, Colonnetti, Lazzati».

«Al Ministro delle finanze, per conoscere se, in considerazione dell’attuale situazione del mercato dei titoli, non ravvisi l’opportunità di rivedere la tabella dei valori medi dei titoli quotati in borsa da tenersi in calcolo ai fini dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, determinati a norma dell’articolo 18 della legge 1° settembre 1947, n. 828.

«Marinaro».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali ragioni impediscono l’inizio dei lavori per la sistemazione delle fognature nel comune di Larino in provincia di Campobasso.

«Detti lavori furono compresi nel programma di opere in favore del Molise sin dall’ottobre 1946, per un importo di 10 milioni.

«Successivamente l’ingegnere capo del Genio civile in Campobasso dette formale assicurazione al sindaco di Larino che la detta somma era stata stanziata.

«Conseguentemente, a spese e cura del Comune interessato, fu redatto il progetto, trasmesso con sollecitudine al competente ufficio del Genio civile.

«Ma d’improvviso – per ragioni che si ignorano – i fondi sono stati stornati. A beneficio di chi?

«In data 12 agosto 1947, in occasione della visita del Ministro Tupini a Larino, fu data formale assicurazione dal provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise che i fondi erano invece tuttora a disposizione, motivo per cui era possibile eseguire i lavori. Fu richiesto, a tale scopo, il progetto che era stato già trasmesso sin dal 18 giugno 1947.

«Si apprende ora dagli uffici periferici che i lavori non sono compresi fra quelli da eseguirsi nel corrente esercizio, contrariamente alle assicurazioni date, anche di recente, dal Ministro.

«Tali stridenti contradizioni, oltre che inconcepibili, non giovano di certo a tranquillizzare la popolazione interessata che vede, con vivo rammarico, ancora una volta differita la soluzione di un vitale problema cittadino.

«Camposarcuno».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quale ingegnere sia stato designato, ed in base a quali criteri, per i lavori relativi ai beni immobiliari di proprietà dello Stato italiano in Varsavia.

«Nobile».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri del tesoro e delle finanze, per sapere se non credano opportuno dare le disposizioni e adottare i provvedimenti necessari – di immediata esecuzione – perché siano esaurite nel più breve termine le pratiche per le pensioni di guerra e degli infortunati civili.

«Macrelli».

Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo si riserva di comunicare quando intende rispondere a queste interrogazioni.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere – in riferimento a una precedente interrogazione con richiesta di risposta scritta non apparsa esauriente all’interrogante – quali provvedimenti intende adottare per gli insegnanti di educazione fisica provenienti dagli Istituti di magistero governativi e vincitori di regolari concorsi, estromessi dai ruoli dello Stato nel 1923 a seguito della riforma Gentile e passati alla dipendenza di un ente privato (ENEL) e poscia, con decreto del famigerato gerarca Ricci, liquidati a 55 anni, e cioè 10 anni prima del previsto, visto che il decreto legislativo 23 aprile 1947, mentre ha sistemato nei ruoli anche i provenienti dalle Accademie di Roma e di Orvieto, ha dimenticato di rendere giustizia alla categoria summenzionata e più meritevole, attualmente ridotta ad esiguo numero (per cui non v’è da preoccuparsi di eventuali oneri finanziari), per i quali sarebbe opportuna e di giustizia la riassunzione in servizio al fine di potere utilizzare la loro provata capacità in vantaggio dell’educazione fisica italiana ed anche a riparazione di un torto da essi ingiustamente subito.

«Vinciguerra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere quali provvedimenti intende prendere in favore degli agenti di custodia, i quali, benché il loro Corpo sia stato inquadrato con decreto legislativo n. 508 del 21 agosto 1945 fra i Corpi di polizia dello Stato e giuridicamente ed economicamente equiparato ad essi, ricevono un trattamento inferiore a quello degli agenti e militi degli altri Corpi. E se non ritiene che tale situazione svantaggiosa possa essere d’impedimento al normale svolgimento delle funzioni degli agenti di custodia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere:

1°) se sia a sua conoscenza che i proprietari terrieri sardi chiedono a mezzo procedimento giudiziario, ed ottengono, come già diversi casi hanno dimostrato, la dismissione dei terreni degli affittuari e dei soci delle cooperative che applicano il decreto sulla diminuzione dei canoni di affitto in misura del 30 per cento, approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 agosto 1947, perché tale decreto non è stato ancora inserito nella Gazzetta Ufficiale;

2°) se gli sia pervenuta la notizia del vivo allarme che esiste fra i contadini i quali, impossibilitati anche per lo scarso raccolto dell’annata, a versare interamente il canone di affitto, intendono opporsi alle sentenze dei Tribunali;

3°) e se ritenga intervenire con provvedimenti di urgenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le cause che ritardano enormemente i pagamenti per gli indennizzi e le requisizioni di guerra; e particolarmente per sapere i motivi per cui il competente ufficio di via Lucullo, 14, di Roma, non ha mai risposto alla domanda presentata dal signor Primo Bruno Volpi, delegato della ditta Lombardo Patricelli & C. di Pescara, intesa a ottenere il pagamento per 185 mila mattoni requisiti dal comando militare inglese già residente a Vasto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuno modificare lo statuto del Circolo ufficiali delle Forze armate d’Italia (Ente di diritto pubblico), e di ispirare il nuovo statuto alle esigenze democratiche e repubblicane dello Stato. E se non ritenga pertanto necessario, abrogato il decreto luogotenenziale 2 novembre 1945, n. 900, stabilire una nuova organizzazione interna che, inspirandosi al principio della perfetta uguaglianza, anche dal punto di vista formale, di tutti i soci, come tali, consenta la partecipazione degli elementi idonei, indipendentemente dal grado che rivestono alle cariche sociali e alla vita del Circolo. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Lussu, Cevolotto, Azzi, Gasparotto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze, del tesoro, dell’interno, della marina mercantile e dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano necessario far revocare al più presto ogni autorizzazione concessa ai Comuni di istituire un diritto, nel limite massimo del 5 per cento del valore, sui prodotti della pesca e della molluschicoltura (a sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 177).

«Ciò per il carattere aleatorio e stagionale della pesca e molluschicoltura; per gli oneri cui è già sottoposta la produzione ittica; per la concorrenza di prodotti ittici di importazione; per le limitazioni nell’esercizio di pescare; oltre che per infinite ragioni economiche e sociali che consigliano di non gravare più oltre il povero pescatore.(L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bastianetto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, sulle ragioni per le quali finora non è stato emanato il regolamento per l’applicazione del decreto legislativo 13 settembre, n. 253, relativo alla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie, rilevando che la mancanza del regolamento impedisce l’elezione degli organi direttivi degli ordini stessi, secondo gli articoli 22 e 24 del citato decreto, e lascia in carica a tempo indeterminato le Commissioni straordinarie nominate dai prefetti e dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Michele».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, contrariamente al voto già espresso dal Consiglio superiore, intenda riaprire le iscrizioni alle Facoltà universitarie di scienze politiche.

«Marchesi».

PRESIDENTE. La prima interrogazione sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure la interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 21.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30 e alle 16:

  1. – Discussione del disegno di legge:

Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21).

  1. – Votazione a scrutinio segreto di cinque disegni di legge.
  2. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

LUNEDÌ 27 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 27 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Commemorazione del Cardinale Carlo Salotti:

Corsanego

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Fusco

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Pesenti

Marazza Sottosegretario di Stato per l’interno

Morini

Marinaro

Sampietro

Costa

La Rocca

Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri

Gasparotto

Cavalli, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio

Arata

Vinciguerra

Bulloni

Perrone Capano

Pastore Raffaele

Trulli

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Commemorazione del Cardinale Carlo Salotti.

CORSANEGO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORSANEGO. Mi sia permesso, onorevole signor Presidente e onorevoli colleghi, di partecipare anche in quest’Aula al rimpianto per la fine terrena dell’Eminentissimo Cardinale Carlo Salotti, Vescovo di Palestrina e Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti.

Si è spenta con lui la vivida luce di un apostolo infaticabile della civiltà cristiana, di uno dei più eloquenti e appassionati assertori della grande missione dell’Italia nel mondo; ma soprattutto di un coraggiosissimo, audace e tenace difensore delle libertà civili, che levò intrepida la sua voce nelle tenebre del servaggio, con la mano e la parola fermamente tesa, come fra Cristoforo, contro i vari Don Rodrigo del nostro recente passato.

Ed è giusto che in quest’Aula, più che la serie degli alti uffici ricoperti nei dicasteri ecclesiastici che lo condussero meritatamente alla Porpora, siano ricordati la sua difesa della libertà, la sua predilezione per la classe operaia da cui proveniva – era figlio di un falegname di Grotte di Castro – il suo infiammato amore per l’Italia, da lui considerata come il paradiso del tempo, come considerava il cielo la patria per l’eternità.

Quando più gemevamo ed eravamo oppressi sotto il giogo nazifascista, Egli, nei suoi discorsi eloquentissimi, nelle lettere pastorali parlò così alto e forte contro le tirannie e a tutela delle libertà dell’uomo e del cittadino, da meritarsi da parte dei dominatori di allora persino la minaccia di arresto. All’indomani della strage delle Fosse Ardeatine scriveva fra l’altro che «bisognava riportare la coscienza cristiana nella vita pubblica, dove oggi l’egoismo soffoca i sentimenti più nobili, lo sfruttamento più disonesto fa strage dei deboli e dei poveri, l’odio contro i fratelli divampa furiosamente, e i delitti si consumano con un cinismo brutale».

E a chi tentava di farlo tacere, Egli, araldo della Chiesa che, per dirla con una frase manzoniana, da tanti secoli soffre, combatte e prega, durante un regime che le permetteva di pregare, purché lo facesse a bassa voce, le permetteva di soffrire, purché si lamentasse il meno possibile, ma quanto al combattere voleva che non se ne facesse nulla per non avere fastidi, rispondeva intrepido: verbum Dei non est alligatum.

Coloro che poi in questi giorni in cui la Salma fu esposta nella camera ardente si meravigliavano che folte schiere di operai delle officine e degli stabilimenti di Roma l’avessero visitata, ignoravano che il compianto Cardinale, dall’epoca lontana in cui assisteva la Società Artistica Operaia, mai aveva tralasciato di difendere gli interessi morali e materiali dei lavoratori, che Egli andava a trovare sul campo stesso della loro quotidiana fatica, come ricordano gli operai del gas e i minatori della Maremma toscana.

Propugnando le più ardite riforme sociali per diminuire – son parole sue – «quelle eccessive concentrazioni di ricchezza, spesso scandalose, perché non sempre onestamente acquistate», Egli affermò che le classi lavoratrici sono i cardini vitali della prosperità nazionale.

Finalmente, dal giorno in cui aveva servito la Patria sotto uniforme del soldato, fino all’estremo palpito della sua vita, l’Italia era stata l’oggetto dei suoi pensieri, del suo affetto, e la sua pace interna, il suo decoro e la sua giusta gloria all’estero furono l’argomento quotidiano delle sue conversazioni private e una nota sempre fremente e presente nei suoi infuocati discorsi.

E sul letto di morte, ricevendo gli estremi conforti della Fede pronunziò queste chiare parole che furono le ultime: «Offro le mie ultime sofferenze per la Chiesa, per il Papa e per la mia Italia»,

Sono certo perciò, onorevoli colleghi, di interpretare l’unanime pensiero della Camera, al di fuori di ogni divisione di parte, rendendo omaggio alla figura del Cardinale Carlo Salotti, la cui memoria resterà fra noi come modello della vita esemplare di chi ha pregato e operato, combattuto e sofferto per le fortune congiunte dell’Italia e della civiltà cristiana. (Applausi).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. A nome del Governo, mi associo al lutto della Chiesa Romana per la scomparsa del Cardinale Salotti.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, credo di interpretare il sentimento dell’Assemblea, associandomi alle parole nobilissime dell’onorevole Corsanego, le quali seguono le condoglianze dell’Assemblea alla famiglia del Cardinale Salotti, espresse col telegramma già inviato dal Presidente onorevole Terracini, in questi termini:

«Prendendo viva parte al suo personale cordoglio, rimpiango perdita uomo eminente che nella Chiesa e fra il popolo traduceva in pratica azione gli insegnamenti e la virtù della sua fede». (Applausi).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella dei deputati Fusco, De Michele, Numeroso e Caso, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere i motivi che hanno determinato il recente provvedimento di sospensione del decreto di aggregazione dei mandamenti di Roccamonfina e di Mignano al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, provvedimento che procrastina, ai danni della provincia di Caserta, l’applicazione del principio costantemente seguito della coincidenza della circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa. Gli interroganti chiedono ancora di conoscere quali assicurazioni e precisazioni possa il Governo dare sulla revoca della disposta sospensione, di fronte alla grave agitazione manifestatasi nell’intera provincia di Caserta, giustificata dal fatto che recentemente, in applicazione dello stesso principio, i mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano sono stati trasferiti dalla circoscrizione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a quella del Tribunale di Napoli».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ricordo agli onorevoli interroganti e all’Assemblea che, con decreto luogotenenziale 11 giugno 1945, fu istituita la provincia di Caserta e che, con l’articolo 6 di questo decreto, venne autorizzato il Ministero di grazia e giustizia a disporre l’adattamento dell’ordinamento giudiziario della giurisdizione a quello che era in loco l’ordinamento amministrativo.

In base a queste disposizioni amministrative, il mio predecessore, onorevole Gullo, dispose che i tre mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano, della provincia di Napoli, che facevano parte del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ne venissero distaccati e passassero al tribunale di Napoli, in quanto che questi mandamenti non facevano più parte della provincia di Caserta, ma di quella di Napoli.

Premetto che l’unico tribunale della provincia di Caserta è quello di Santa Maria Capua Vetere. Questa dunque la situazione che io ho trovato al Ministero, in relazione a questa giusta disposizione del mio predecessore. Pertanto il tribunale di Santa Maria Capua Vetere attraverso i suoi organi rappresentativi, mi fece presente l’opportunità che i tribunali di Campobasso e di Cassino venissero aggregati a quello di Santa Maria Capua Vetere, seguendo il medesimo principio.

Infatti, il Ministero di grazia e di giustizia, seguendo questa direttiva, emanò un nuovo provvedimento con cui aggregò al tribunale di Santa Maria Capua Vetere le preture di Mignano e Roccamonfina che appartenevano al tribunale di Cassino. Questo provvedimento fu preso in ossequio a una disposizione normativa di legge; esso tuttavia ha urtato il tribunale di Cassino che è insorto contro questa che ha chiamato mutilazione della sua giurisdizione.

Di fronte, pertanto, a tale disposizione, tenendo presente che non soltanto il provvedimento non ha avuto ancora esecuzione, in quanto esso avrebbe dovuto averla soltanto il primo gennaio 1948, ma tenendo presente anche la circostanza che il tribunale di Cassino si trovava ad avere in passato una larghissima giurisdizione che comprendeva anche Gaeta e Formia, mentre poi in seguito è stato ridotto, è parso opportuno riprendere in esame la questione.

È da notarsi inoltre che Cassino è stata la città martire: non so se tutti voi, colleghi, l’avete vista, dopo questa immane guerra, nelle lacrimevoli condizioni in cui è ridotta; è infatti purtroppo una triste realtà che la guerra, per nostra fortuna liberatrice, ha recato però, purtroppo, nuove piaghe sanguinose alla nostra Italia, e Cassino ha preso il provvedimento di cui vi ho fatto parola come un’offesa al sacrificio inenarrabile da essa compiuto.

V’è inoltre un’altra considerazione ancora, ed è che è in corso lo studio di un nuovo adattamento e di nuove modifiche alle circoscrizioni amministrative, in vista del prossimo ordinamento regionale, in quanto una parte marginale del Lazio potrà staccarsi per essere aggregata alla Campania.

Per tutte queste considerazioni dunque, il Governo è venuto nella decisione di sospendere l’applicazione del provvedimento. Non si tratta di una revoca, ma della semplice sospensione di un provvedimento che dovrà andare in attuazione il 1° gennaio 1948 – c’è quindi tempo – in attesa di esaminare quello che sarà l’ordinamento amministrativo, per adattarlo a quello giurisdizionale di Santa Maria Capua Vetere.

Mi rendo conto delle lamentele di Santa Maria Capua Vetere, che da un certo punto di vista appaiono giustificate. Ma devo far notare che, trattandosi per Santa Maria Capua Vetere di un tribunale unico, esso rappresenta 500 mila persone, mentre quello di Cassino rappresenta soltanto 230 mila persone. Non credo che questa sia una ragione per modificare il principio fondamentale che le giurisdizioni amministrative devono combaciare con quelle giurisdizionali.

Dal momento che è allo studio una modificazione della situazione amministrativa, non si porta nessun pregiudizio a Santa Maria Capua Vetere se si attende qualche mese.

Di fronte a questo spirito del Governo, di mantenere fermo tutto ciò che rimarrà alla provincia di Caserta, io credo che gli onorevoli interroganti possano ritenersi sodisfatti. Tanto più che di questi tre mandamenti, uno rimane assegnato definitivamente a Santa Maria Capua Vetere.

Rimarrebbero gli altri due mandamenti. È possibile che di questi due uno, Roccamonfina, rimanga a Santa Maria Capua Vetere, mentre forse l’altro andrebbe al Tribunale di Cassino. Si tratterebbe di spostare soltanto 13 mila persone, ciò che risponde alle esigenze della popolazione, che ha manifestato il suo desiderio di essere aggregata a Santa Maria Capua Vetere, mentre il comune di Mignano è contrario, e mi ha fatto pervenire telegrammi e voti per l’aggregazione al Tribunale di Cassino.

Ad ogni modo, la questione non è per nulla pregiudicata. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sarà l’unico Tribunale della provincia di Caserta: quindi nessuna preoccupazione che il principio fondamentale, che l’ordinamento amministrativo combaci con quello giudiziario, non debba essere rispettato.

PRESIDENTE. L’onorevole Fusco ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FUSCO. La risposta dell’onorevole Ministro non può certamente accontentare me e non fa che aumentare lo scontento della Curia del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ove gli avvocati, in numero di 350, sono in sciopero dal 17 ottobre, in segno di protesta per questo provvedimento di sospensione.

Ed il provvedimento, assai inopportuno, ha determinato uno scontento generale in tutta Terra di lavoro, che si è già manifestato con uno sciopero dimostrativo, mentre si profila uno sciopero generale provinciale.

Perché non è solo il fatto della mutilazione del Tribunale, ma si tratta di tutta una serie di ingiustizie che questa provincia sta subendo.

I gravi danni arrecati al tribunale di Santa Maria s’inseriscono in questa serie di ingiustizie. La provincia di Caserta fu soppressa dal dittatore, perché era una provincia non molto fascista, anzi niente affatto fascista. Era una delle più ampie provincie d’Italia, delle più rappresentative, delle più laboriose ed industriose, con una popolazione tranquilla e serena. Il dittatore l’abolì e per 20 anni essa fu una borgata di Napoli, alla mercè dei vari Marziale, e fu trattata come una landa deserta. Poi venne la ricostituzione della provincia, dopo 20 anni, ma non so perché, invece di ricostituire la provincia per intero, fu ricostituita a metà, quasi a far pensare che avesse avuto ragione il dittatore nel sopprimerla… per lo meno a metà! Di quello che ha subito la provincia dal 1945, dal momento cioè in cui fu ricostituita ad oggi, è inutile far parola. La provincia di Caserta reclama (e colgo l’occasione per farne vivissima preghiera al Governo) che essa non sia la cenerentola delle provincie italiane! È stata molto trascurata; l’opera di ricostruzione è rimasta allo stato iniziale, e noi invece abbiamo il diritto ed il dovere di invocare dal Governo una maggiore cura dei nostri interessi. Non abbiamo strade, che sono state riparate solo in parte; i ponti non sono stati ricostruiti; né fognatura, né edifici scolastici, né case municipali: i problemi delle irrigazioni e delle bonifiche non sono stati neppure avviati verso una sperata soluzione. Incombe poi su di noi il problema gravissimo dell’acqua potabile; ben cinquantanove comuni non hanno che qualche cisterna piovana solamente; si è progettato il grande acquedotto del Torano che dovrebbe servire Napoli e Caserta, ma per esso è preventivata una spesa di ventidue miliardi, che finora non ci è stata concessa, ed in alcuni paesi si continua, e chi sa per quanti anni ancora si continuerà a morire di sete! Abbiamo altri problemi gravissimi che non ci è stato possibile risolvere.

PRESIDENTE. Occupiamoci delle preture, onorevole Fusco.

FUSCO. Sì, occupiamoci delle preture. Abbiamo avuto un’altra ingiustizia, malgrado tutta la buona volontà del Ministro, mio illustre e carissimo amico. Devo dire che l’onorevole Grassi ha fatto di tutto per accontentarci, ma non so per quale ragione i suoi propositi sono stati frustrati. Perché non è vero che le popolazioni di quelle preture vogliono restare con il tribunale di Cassino e non intendono aggregarsi a quello di Santa Maria Capua Vetere. Tutt’altro! Io ho qui un telegramma del sindaco Pettoruti e della Camera del lavoro di Roccamonfina che telegrafano in questo senso: «Grave agitazione popolazione mandamento per timore sospensione provvedimento che aggrega questa pretura tribunale Santa Maria Capua Vetere. Poiché interessi pochi avvocati Cassino non debbono essere anteposti a quelli di queste popolazioni rurali. Eventuale sospensione o revoca provvedimento determinerebbe gravissime perturbazioni popolari».

Quindi, Roccamonfina, che aveva espresso reiterate volte questo suo desiderio, anche prima del distacco dei mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano, telegrafa in questa maniera: che cioè ci può essere un grave turbamento popolare! Quelle popolazioni, quindi, intendono essere aggregate al tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non a quello di Cassino.

Il Sindaco di Mignano, professore Albanese, mi ha scritto questa lettera, allorquando fu emesso il provvedimento di aggregazione del mandamento di Mignano al tribunale di Santa Maria Capua Vetere: «Provvedimento mi riempie di gioia e sono sicuro che assegnazione del mio mandamento al tribunale di Santa Maria Capua Vetere sarà inizio di un’era di benessere per tutti».

Quindi le due popolazioni vogliono essere con Santa Maria Capua Vetere e non con Cassino, perché ad esse conviene per ragioni di vicinanza, di traffico, di consuetudine di rapporti.

Ma io mi permetto di osservare: perché, quando noi avemmo il primo decreto di mutilazione e telegrafammo (fui proprio io) al Ministro Grassi perché si fossero sospesi i provvedimenti che aggregavano Nola, Cicciano e Acerra a Napoli, perché il Ministro, allora, quando noi osservavamo che sarebbe stato necessario rinviare ad epoca più opportuna, allorché sarebbero state determinate le Regioni, ci disse che era impossibile accontentarci perché il decreto era stato già emesso? Ora, invece si accoglie questa richieste di Cassino per gli stessi criteri che per noi furono infecondi.

Allora guardi, onorevole Ministro: è una questione di disparità di trattamento, che giustamente ha ferito il prestigio della Curia Sammaritana e l’intera provincia di Caserta, la quale si ribella contro un’ingiustizia così oltraggiosa ed ha il fermo proposito di ottenere un’adeguata riparazione.

Noi rendiamo il dovuto omaggio a Cassino. Nessuno più di noi ha compianto le sue sventure, le sue stragi, le sue rovine e i suoi dolori. Ma penso che il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, onorevole Ministro, che fu fondato nel 1808, che era il più importante tribunale dopo quello di Napoli, che nel 1860 e nel 1862 fu amputato dei territori che hanno formato i tribunali di Benevento e di Cassino, e che oggi è stato privato ancora di tre mandamenti importantissimi, riducendo così la competenza territoriale d’un tribunale dove ci sono 350 avvocati che lavorano; allora questo tribunale di Santa Maria Capua Vetere deve sempre soggiacere ad un ingiusto destino che pare voglia annullarlo e ridurlo ad una modesta Pretura!

Una volta la legge è stata applicata a danno di Santa Maria Capua Vetere: una seconda volta la stessa legge è stata applicata egualmente a danno, pur con criteri opposti e sconcordanti. Ma questa è una vera ingiustizia. Noi non meritiamo questo torto!

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Fusco.

FUSCO. Il fatto della sospensione, cioè di rinviare di qualche mese, (sappiamo che cosa sono questa sospensioni) noi non lo comprendiamo: si oppongono ragioni di carattere giuridico e morale; perché se noi, che chiedemmo al Ministro la sospensione del provvedimento di aggregazione dei tre mandamenti a Napoli, non fummo accontentati, non è giusto che tale sospensione venga invece concessa, a Cassino: le stesse ragioni da noi invocate, ma non accolte, non possono militare a vantaggio di Cassino.

Se facciamo del sentimentalismo, perché Cassino è stata città sinistrata, allora non ne parliamo più; ma se la legge deve essere applicata, e la legge va applicata, invoco che il Ministro ritorni sui suoi passi e riveda il decreto e faccia cessare questo stato di agitazione gravissima nella provincia di Caserta, soprattutto in rapporto alle esigenze locali del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che non deve essere ulteriormente mutilato e messo alla mercé dei capricci del destino o di altre interferenze che non hanno niente a che fare con la giustizia. (Applausi).

PRESIDENTE. Se non vi è nulla in contrario, passiamo all’interrogazione degli onorevoli Pesenti, Foa, Dugoni, Cevolotto, Sapienza, De Vita, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri di grazia e giustizia e delle finanze, «per conoscere le ragioni per le quali, nel procedimento per avocazione di profitti di regime promosso dall’intendenza di finanza di Roma a carico del noto profittatore e sostenitore del regime fascista, Giorgio Berlutti, editore dell’altrettanto nota «Libreria del Littorio» e di altri organismi di propaganda, che vivevano parassitariamente a carico del contribuente e dello Stato: 1°) non sia stato assoggettato a sequestro conservativo anche il giornale II Globo, di cui il Berlutti è proprietario insieme con la Federazione dei dirigenti industriali, per cui si assiste oggi allo spettacolo che il più diffuso organo economico-finanziario italiano si trova nelle mani dell’editore ufficiale del partito fascista e di uno degli scrittori di propaganda più attivi dello stesso partito; 2°) l’Avvocatura generale dello Stato non abbia validamente tutelato gli interessi dello Stato, impedendo che il sequestro già dato dal Presidente del tribunale di Roma il 1° marzo 1947 venisse revocato – limitatamente alla Casa editrice R. Carabba di Lanciano – come invece è avvenuto il 4 aprile successivo; 3°) sia stato nominato sequestratario dei beni del Berlutti, il professore Alfonso Linguiti, il quale, per i suoi trascorsi politici, meriterebbe egli stesso di essere sottoposto a procedimento per avocazione; e, infine, le ragioni per le quali il medesimo professore Linguiti non sia stato almeno sostituito, in conseguenza del fatto che non ha dato la minima esecuzione al detto sequestro, durante i 34 giorni in cui tale provvedimento è rimasto in vita, limitatamente alla Casa editrice R. Carabba».

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Risponderò io per il Ministro delle finanze.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Circa il primo punto dell’interrogazione, cioè perché non sia stata sottoposta alla misura cautelare del sequestro conservativo la società giornale Il Globo in occasione della procedura instaurata a carico del signor Giorgio Berlutti, si precisa che detta società fu costituita solo il 6 febbraio 1945, onde non poteva essere soggetta ad accertamenti per profitti di regime, ovviamente non conseguiti prima della sua costituzione, né la misura cautelare poteva essere adottata a carico della Società per la considerazione che il Berlutti ne fosse azionista, giacché, ai sensi della legislazione vigente (Decreto-legge luogotenenziale 26 marzo 1946, n. 134, articolo 32, lettera c), il sequestro dell’azienda sociale può essere richiesto solo se i nove decimi del capitale azionario siano del profittatore di regime. Il Berlutti, invece, possiede solo 240 su 600 azioni, cioè i quattro decimi di esse: pertanto, mentre il complesso dell’azienda non ha potuto essere assoggettato alla misura cautelare, tutte le azioni appartenenti al Berlutti sono state sequestrate.

Circa il secondo punto, relativo al dissequestro della Società Editrice «Carabba», disposto dal Presidente del tribunale di Roma, si precisa che il sequestro fu richiesto e fu concesso, perché dalle prime indagini era risultato che al Berlutti appartenessero oltre i nove decimi delle azioni sociali, successivamente, attraverso migliori accertamenti effettuati sulla scorta di documenti autentici aventi data certa (prontamente esibiti dalla Società a corredo del suo ricorso) risultò che la partecipazione del Berlutti nella «Carabba» non raggiungeva la percentuale richiesta dalla legge; onde il provvedimento disposto non appariva legittimo e fu revocato dal Presidente del tribunale in data 3 aprile 1947.

Il terzo punto dell’interrogazione riflette, per la prima parte, la scelta del sequestratane nominato nella persona del professore Alfonso Linguiti, il quale (al dire degli interroganti) meriterebbe di essere sottoposto egli stesso a procedimento per avocazione. Al riguardo si osserva che la scelta dei sequestratari è dalla legge rimessa alla competenza esclusiva del Presidente del tribunale, al quale sono attribuiti i più larghi poteri discrezionali. Ogni intervento al riguardo da parte dell’Amministrazione, per indurre il magistrato a revocare il provvedimento di nomina sarebbe stato perciò inammissibile.

La seconda parte riflette la mancata sostituzione del professore Linguiti, per avere egli omesso la materiale esecuzione del sequestro nei confronti della Società «Carabba», durante i 34 giorni in cui tale provvedimento è rimasto in vita. Deve al riguardo ricordarsi quanto si è detto dianzi circa la illegittimità del provvedimento di sequestro, riscontrata immediatamente dopo la emanazione di esso; illegittimità sottolineata dal Presidente del tribunale nel suo provvedimento ove si legge che, in mancanza di una diretta ragione creditoria della finanza nei confronti della «Carabba», la misura richiesta era «più che inopportuna, addirittura infondata».

Essendosi resa prontamente conto di tale illegittimità prima ancora della revoca del provvedimento, era evidentemente opportuno che l’Amministrazione desse disposizioni al sequestratario (come le ha date) di non procedere all’esecuzione del sequestro nei confronti della Società «Carabba»: e ciò, non solo per ragioni di giustizia e di stretto diritto, ma anche in considerazione delle ripercussioni che la notizia del provvedimento illegittimo non aveva mancato di produrre negli ambienti interessati. Secondo precise segnalazioni pervenute dal Ministero del lavoro, dalla prefettura di Chieti, dal Ministero dell’interno ed anche direttamente dalla Sezione di Lanciano della Camera confederale del lavoro, vivo fu lo stato di agitazione tra tutto il personale della casa editrice per la minaccia incombente del licenziamento, in conseguenza del dissesto dell’azienda, e preoccupante, anche ai fini dell’ordine pubblico, la minaccia di sciopero generale da parte di tutte le masse lavoratrici di Lanciano.

PRESIDENTE. L’onorevole Pesenti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PESENTI. L’onorevole Petrilli ha dato una risposta che, da un punto di vista strettamente giuridico, sembra dar ragione all’Amministrazione.

Ma tutta l’azione svolta dall’Amministrazione delle finanze in generale e dalla Direzione generale della finanza straordinaria in particolare, denota che gli interessi dell’Amministrazione – quindi, dello Stato – non sono stati sufficientemente difesi in questa occasione. La figura del Berlutti come profittatore fascista è ben nota anche per il fatto che tutta la sua attività è stata resa possibile da sussidi da parte dello Stato e da parte del partito fascista. Naturalmente, questo non è un motivo perché si possa contravvenire a quelle che sono le singole disposizioni della legge per l’avocazione dei profitti di regime; ma se la legge stabilisce che in una società occorre che i nove decimi siano posseduti dal socio profittatore, perché la società possa essere messa sotto sequestro, è certo che nella società Carabba, se il Berlutti possiede soltanto 950 su 5000 azioni, però ha, per mezzo di una serie di tratte e di altri crediti verso la Carabba, una posizione preminente. Ora, ben aveva fatto l’Amministrazione all’inizio chiedendo il sequestro conservativo; ed è proprio strano che l’Amministrazione stessa sia stata quella che ha spinto alla revoca del sequestro. Non corrisponde al vero infatti, che le maestranze avessero svolto un’azione per richiedere la revoca del sequestro, perché avevano già trovato una soluzione per la regolare continuazione dell’attività editoriale con la costituzione di una cooperativa che avrebbe potuto agire sotto la direzione, dal punto di vista giuridico, dell’Amministrazione che aveva emanato il sequestro. Tutta l’attività dell’Amministrazione nel complesso procedimento che noi abbiamo potuto seguire denota la precisa volontà di aiutare il Berlutti ad uscire dalla situazione, poco piacevole per lui ma giustificata per i suoi precedenti politici, nella quale si era posto. Questo è tanto più grave in quanto ha dato l’impressione che, essendo il Berlutti oggi collegato per attività editoriale ed altro a noti uomini politici della Democrazia cristiana, vi siano state delle pressioni di carattere politico perché il caso si svolgesse nel modo con cui si è svolto.

Perciò, io prego l’onorevole Petrilli di rivedere più attentamente l’azione dell’Amministrazione perché questo noto profittatore del regime non sfugga alle giuste sanzioni.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Sta bene.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Merini e Cairo, al Ministro dell’interno, «per conoscere se, di fronte alla riconosciuta impossibilità di stroncare il giuoco, illecito e clandestino, che dilaga per le città e le borgate d’Italia, non ritenga urgente e necessario regolare e disciplinare il giuoco stesso attraverso opportune provvidenze legislative, che ne convoglino gli eventuali gettiti consentiti a scopi di ricostruzione nazionale».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il giuoco d’azzardo è punito come reato dal vigente Codice penale cui potrebbe derogarsi soltanto con leggi speciali. Ora, il Consiglio dei Ministri, riesaminando la materia nella seduta del 20 dicembre 1946, ha ritenuto di non modificare le precedenti determinazioni, che davano appunto al Ministro dell’interno il preciso mandato di ordinare la chiusura di tutte le case da giuoco esistenti, fatta eccezione per quelle comunali di San Remo, Campione e Venezia, a motivo dei diritti acquisiti, in forza dei provvedimenti legislativi in base ai quali esse vennero istituite e regolate.

E poiché il diffondersi del vizio, denunziandone la gravità, non consiglia certo di favorirlo per nessuna ragione, il Ministro dell’interno ritiene doveroso intensificarne sempre più la repressione; ed in tal senso ha dato alle autorità competenti rigorose istruzioni, come del resto il Ministro dell’interno ebbe già a riferire all’Assemblea nel luglio scorso, rispondendo ad un’interrogazione dell’onorevole Benedetti.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. La mia interrogazione prende le mosse precisamente dalla risposta data dal Ministro dell’interno nel luglio scorso all’onorevole Benedetti.

In quella occasione il Ministro Scelba ha dovuto riconoscere l’impotenza delle autorità a frenare il giuoco clandestino e ricordava l’episodio clamoroso di Milano, che si riassume nella risposta data dal Prefetto alle disposizioni repressive impartite dal Ministro; risposta che suonava in questi termini: «non è possibile impedire che si giuochi a Mirano, perché succederebbe il finimondo». Da quella risposta del Ministro, dicevo, ha preso le mosse la mia interrogazione; non perché il Ministro dicesse qualcosa di nuovo – tutti sappiamo come dilaghi il giuoco clandestino, non represso, anzi tollerato in tutte le città e le borgate d’Italia – ma perché le parole del Ministro erano il crisma, il riconoscimento ufficiale di questa impossibilità per il Governo di evitare il dilagare del male.

Io ritengo che sia necessario uscire da questa politica di incertezza e, direi, di doppio giuoco. O noi partiamo da un criterio superiore di moralità, per cui diciamo che il giuoco d’azzardo è immorale e dobbiamo stroncarlo in tutti i modi – ed allora abbiamo due strade e dobbiamo seguirle entrambe: stroncare davvero il giuoco clandestino attraverso nuove disposizioni draconiane, che vanno dal ritiro della licenza ai vari locali che lo favoriscono, all’arresto preventivo, al mandato di cattura; eliminare inoltre anche le case così dette ufficiali, perché la morale non ammette strappi, eccezioni e deroghe; tanto più che queste case, cioè quelle di Campione, Venezia e San Remo, vivono in deroga ed in violazione stessa delle disposizioni del Codice penale; poiché nessun provvedimento, che non sia una nuova legge fatta appositamente e non una disposizione amministrativa, può derogare alle disposizioni del Codice penale; e nessuna autorità può dichiarare cosa in contrasto a questa affermazione che è una realtà giuridica: la legge speciale è una legge amministrativa, che non deroga alla disposizione del Codice penale, che vieta il giuoco d’azzardo in Italia. Ed allora, o seguire questa strada – ed aboliamo le case di San Remo, Campione e Venezia – oppure arrivare alla regolamentazione, con una legge che ci impedisca di avere il danno e le beffe; le beffe di tutti coloro i quali giocano e fanno i loro comodi e sono in genere la parte peggiore della società, perché il giuoco clandestino è in mano di avventurieri e gangsters, perché giuocano nel rischio solo gli avventurieri ed i gangsters (mi si perdoni il bisticcio). Si giuoca dappertutto e succedono di questi fatti: che si deroga alle disposizioni specifiche con la cosiddetta «tolleranza». Ricordo a questo proposito un episodio clamoroso accaduto in una stazione termale italiana, dove si giuocava con il permesso provvisorio che comportava una percentuale altissima a favore di determinati istituti di beneficienza. Ad un certo momento si è ritirato il permesso. Ebbene: la soppressione non è durata nemmeno ventiquattr’ore. Infatti nella stessa sera della giornata in cui il permesso fu ritirato, si giuocò di nuovo in un luogo distante appena cinquanta metri, senza nemmeno nascondere le luci. Si giuocava non con il permesso regolare, ma con la cosiddetta «tolleranza».

Una voce al centro. Era un permesso rilasciato dagli alleati.

MORINI. No, non era un permesso rilasciato dagli alleati. Ed unico risultato è stato questo: che quel gruppo – che giuocava con la «tolleranza» invece che col permesso normale – non dava più quel 40-50 per cento agli istituti di beneficenza ma intascava integralmente i profitti. Sono a centinaia questi episodi, i quali accadono perché con le cosiddette tolleranze concesse in varie parti d’Italia è possibile ogni supposizione ed ogni sospetto, perché è possibile ogni mercimonio. Ed allora non resta che l’altra strada, quella che noi indichiamo nella nostra interrogazione: disciplinare il giuoco stesso attraverso opportune provvidenze legislative che ne convoglino gli eventuali gettiti a scopo di ricostruzione nazionale e cioè, se c’è davvero questa insopprimibile situazione, uscendo da quella che è la forma generica della nostra interrogazione, noi proponiamo che si diano autorizzazioni a centri termali o climatici, a favore però di centri sinistrati e di enti i quali abbiano bisogno di determinati gettiti straordinari per risanare le ferite inferte loro direttamente dalla guerra. (Interruzione al centro). O aboliamo tutto o regoliamo; ma non possiamo ricorrere continuamente alle mezze misure. Ricordatevi che gli unici oppositori a questo nostro programma sono proprio coloro i quali vogliono mantenere il monopolio del giuoco – illegale monopolio – in due o tre centri d’Italia. Io sono d’accordo nell’abolire tutto, ma se dobbiamo concedere delle eccezioni, facciamo in modo che di queste profittino i centri colpiti e gli enti bisognosi senza favoritismi e senza monopoli.

Concludo, signor Presidente: se queste mie brevi osservazioni verranno vagliate, si troverà l’unica soluzione possibile, equa e giusta, che si presenta per il problema che io ho sottoposto alla vostra attenzione.

PRESIDENTE. Seguono le interrogazioni degli onorevoli:

Morini, al Ministro dell’interno, «per sapere se sono stati accertati i precedenti politici dell’attuale concessionario del Casinò di San Remo e ciò allo scopo di decidere con cognizione di causa sul visto che il Ministero deve apporre o negare alla deliberazione di concessione 17 aprile 1947 del Consiglio comunale di San Remo»;

Marinaro, al Ministro dell’interno, «per conoscere quale fondamento di verità abbiano le voci che circolano intorno alla gestione del Casinò di San Remo, e specificatamente se sia vero che quel Comune, con tre successive deliberazioni, opportunamente preordinate, abbia concesso la gestione del detto Casinò a tre diversi gruppi finanziari, attualmente in causa fra loro e con lo stesso Comune, il quale, pertanto, sarebbe esposto a notevoli danni, conseguenza ineluttabile della complessa situazione giudiziaria che si è venuta a creare. Nel caso affermativo, se non ritenga opportuno soprassedere, anche per evidenti ragioni di sana amministrazione, dal ratificare l’ultimo contratto di concessione stipulato dal Comune, disponendo senz’altro la chiusura del Casinò, o, quanto meno, se non creda di disporre una rigorosa inchiesta su tutta la situazione e sui fatti ed atti che l’hanno determinata. adottando nel frattempo i provvedimenti cautelativi del caso, allo scopo principalmente di evitare che la deplorata attuale situazione sfoci, come sarebbe assai probabile in uno scandalo di vasta proporzione»;

Sampietro, al Ministro dell’interno, «per sapere quali urgenti provvedimenti intenda prendere nei confronti degli attuali concessionari del Casinò di San Remo, delle cui attività e precedenti si sono già fatti eco sia la stampa che, alla Costituente, altri colleghi con specifiche interrogazioni».

Poiché si riferiscono allo stesso argomento, possono essere svolte congiuntamente.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il 1° dicembre del 1945, decisa la riapertura del Casinò di San Remo, l’amministrazione comunale di quella città approvava un nuovo capitolato di oneri e indiceva una licitazione privata, a seguito della quale risultò aggiudicatario tale Candini, che peraltro la Giunta municipale dichiarava dopo decaduto e sostituiva con delibera 24 dicembre con un gruppo costituito da tali Aitano, Soldaini e Leone, nonché dalla Compagnia italiana ricostruzione e turismo – CIRT –, gruppo il quale, stipulato il 30 dello stesso mese il relativo contratto, veniva immesso nel possesso del Casinò e lo riapriva al pubblico.

Avendo però la gestione dato luogo ad alcuni rilievi che determinavano l’intervento del Ministero, al quale era stata nel frattempo sottoposta per l’omologazione la concessione della CIRT, ed avendo frattanto un altro gruppo rappresentato dalla Compagnia italiana industria turistica – CIIT – pignorato i mobili del Casinò in dipendenza di taluni crediti vantati verso due dei concessionari ed insieme avanzate al Ministero proposte di una nuova concessione, la Giunta municipale con delibera 8 dicembre 1946, adottata in via di urgenza, dichiarò decaduto il gruppo CIRT, rescisse il contratto 30 dicembre 1945 e concesse la gestione al gruppo CIIT. Tale delibera non venne però ratificata dal Consiglio comunale, non venne sottoposta all’autorità tutoria e non ebbe mai esecuzione. Per contro, il 24 marzo 1947, il Consiglio comunale demandava ad una commissione di studiare e proporre l’applicazione delle richieste ministeriali riflettenti alcune modifiche al contratto e l’osservanza di altre condizioni fra le quali l’estromissione di due dei concessionari, con l’aumento della cauzione da 100 a 180 milioni, e la formulazione di nuovi controlli.

Tale commissione riferì il 17 aprile al Consiglio il quale lo stesso giorno deliberava di accettarne le conclusioni conformi alle evidenti richieste ministeriali.

La commissione intanto aveva già curato un controllo più intenso sull’andamento della gestione del Casinò, disponendo Ira l’altro una severa e rigorosa inchiesta da parte di un ispettore generale. Da tale inchiesta, eseguita nel gennaio 1947, risultò effettivamente che la CIRT era incorsa in alcune irregolarità, non tali però – è sembrato – da rendere consigliabile la dichiarazione di decadenza. Peraltro, le irregolarità stesse, in seguito a continui controlli del Ministero, della Prefettura e del Comune, erano state gradatamente eliminate, cosicché l’inconveniente non costituì un argomento per il Consiglio comunale invocabile per negare alla CIRT la conferma della concessione. Il citato atto 17 aprile 1947 è stato così approvato il 9 giugno successivo dall’autorità tutoria e trovasi attualmente all’esame del Ministero.

Non è perciò esatto che vi siano state diverse concessioni, bensì tre diverse deliberazioni in ordine alla concessione in argomento, che può divenire operativa dopo la prescritta omologazione.

Di esse, una sola ha riportato le approvazioni tutorie che devono precedere il provvedimento di omologazione, e precisamente quella del 17 aprile 1947. Da parte sua, il Ministero, prima di adottare o meno il provvedimento e di sottoporre la concessione a nuovo limite e condizione, sta conducendo una accurata istruttoria, sia dal punto di vista della legalità degli atti come dal punto di vista del merito, data la complessità delle questioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. Non posso dichiararmi sodisfatto dopo le dichiarazioni del Sottosegretario all’interno onorevole Marazza, che non ha risposto completamente alla mia interrogazione, nei confronti della quale ha promesso di continuare a fare determinate ricerche. Ora, questa promessa non è specifica e per questo io non mi dichiaro sodisfatto. Uno degli elementi delicati delle concessioni di giuoco che lo Stato fa a determinati enti è il controllo delle subconcessioni. Infatti l’ente concessionario non ha interesse, per varie ragioni, di gestire direttamente come avviene, ad esempio, per il Casinò di San Remo, e naturalmente subconcede; però per questa subconcessione è necessario un controllo che non è soltanto morale, ma che deve essere anche un controllo politico.

Io non sono di quelli che vogliono la persecuzione dei fascisti. All’indomani della liberazione ho detto di perdonare. Riconfermo qui questa mia posizione; però dico anche, che fra plotone di esecuzione, galera ed epurazione da una parte ed i premi di centinaia di milioni dall’altra, in mezzo a queste due forme c’è tutta una gamma di tolleranza, di oblio, di perdono, ma che sia perdono senza premi.

Ora è pacifico che il subconcessionario di San Remo è una delle «belle figure» del fascismo venticinquennale. Dalle stesse ricerche fatte, al Ministero dell’interno è risultato che questo concessionario era uno dei fedeli di Mussolini, che già nel 1924 è stato chiamato all’Ufficio stampa del Ministero dell’interno da dove è passato al Gabinetto particolare del Sottosegretario di Stato Teruzzi; successivamente all’Ufficio stampa di Mussolini; poi al Tevere come Direttore amministrativo; poi Segretario generale del Comitato italo-tedesco dell’autarchia; poi mandato da Mussolini in Albania come consigliere di Verlaci, eppoi passato al Consiglio Nazionale delle ricerche come rappresentante di Mussolini. A tutto ciò aggiungo tre domande: è stato anche fascista repubblichino? È il libellista «Ignifer» contro gli ebrei? C’è una diffida della Questura di Roma nei suoi confronti, perché non si interessi più di affari? Su queste tre domande il Ministro dell’interno farà opportune ricerche e dirà se è vero, o no.

Ora, ufficiosamente, mi si è detto: «Tutte queste cariche che hai denunciato sono, in definitiva, legate al fatto che era funzionario del Ministero dell’interno» Esatto. Però io dico che per dare queste cariche ad un funzionario si è evidentemente cercato un funzionario fascista. Anche mio padre era un funzionario – ma non fascista – e finì in altro modo. Migliaia e migliaia di funzionari non fascisti non sono finiti con quelle cariche. Quindi, questa carica è il termometro del fascismo di quelli che venivano scelti appositamente per questo loro merito.

Io ripeto che non è assolutamente possibile consentire concessioni – che danno 100 milioni al mese al subconcessionario – ad individui di questa specie. E questo per una infinità di ragioni, che potrebbero anche essere queste: che queste centinaia di milioni possono anche finire a certe organizzazioni contro le quali dovremo fare prossimamente una legge apposita, la legge per la difesa della Repubblica.

Finirò con alcune osservazioni, signor Presidente. Il problema non è un problema personale: non so chi sia questo subconcessionario, non ho niente contro di lui. È un problema di ordine generale. Il fascismo è stato posto in essere, si è detto, per determinati eccessi di certi circoli della sinistra. Accetto la formulazione, a patto che si interpreti in questi termini: che certi eccessi spostano verso questo fascismo – che nasce per ragioni proprie, ovunque c’è da difendere il privilegio – determinate categorie che non sarebbero fasciste. Ma, signori del Governo, il fascismo è nato allora e può rinascere, soprattutto per l’impressione di debolezza che diamo attraverso questi fatti. Se nel 1919 – permettetemi la digressione – il Partito socialista avesse risposto alla distruzione dell’Avanti con la distruzione del Popolo d’Italia, forse gli eventi avrebbero preso un altro indirizzo.

Non dobbiamo dare questa impressione di debolezza, perché sarebbe criminoso e colpevole.

Concludo, signor Presidente: io affido al Sottosegretario all’interno il controllo rigoroso dei fatti che ho denunciato e dico al Sottosegretario e al Ministro dell’interno che non si deve, non si può dare una autorizzazione di giuoco a uomini che hanno questi precedenti politici.

PRESIDENTE. L’onorevole Marinaro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MARINARO. Io non mi occuperò degli uomini che sono interessati a questo sciagurato affare. Penso, è anzi mia convinzione, che si tratti di una unione di vampiri, dai peggiori precedenti politici e morali, scaraventatisi addosso a questo affare di San Remo in cerca di lauti e disonesti guadagni.

Ma questa è cosa che non mi riguarda direttamente.

Io intendo occuparmi della faccenda sotto l’aspetto prevalentemente amministrativo, e domando: come è mai possibile che l’Amministrazione comunale di San Remo in soli sette mesi abbia potuto adottare tre diverse e contraddittorie deliberazioni? S’intende, onorevole Sottosegretario, che la concessione è una; ma le parti sono diverse e le condizioni cambiano, di guisa che abbiamo avuto che quella primitiva deliberazione – con la quale ancora sotto l’Amministrazione alleata veniva concesso l’appalto della gestione di San Remo al primo gruppo finanziario – è rimasta in vita per sette mesi in attesa che intanto il Ministero dell’interno desse la sua ratifica, indispensabile, perché, nel frattempo, la città di San Remo era passata sotto l’amministrazione del Governo italiano. Il Ministero dell’interno attende ben otto mesi e non si pronunzia; e intanto quella autorizzazione, con relativo contratto, ha piena esecuzione. A distanza di otto mesi, il Ministero finalmente interviene e fa sapere che potrebbe ratificare soltanto se alcuni componenti del gruppo finanziario venissero estromessi.

Intanto, per tutta risposta, il Consiglio comunale di San Remo plaude a quella gestione e si augura che le cose vadano sempre nello stesso modo. Ma a dicembre, a distanza cioè di tre mesi, muta la scena e la Giunta comunale – non il Consiglio, si noti, che soltanto sarebbe stato competente – ma la Giunta comunale, in via di urgenza, adotta una deliberazione con cui estromette il primo gruppo e dà a un nuovo gruppo finanziario la concessione, gruppo di cui fa parte un torbido speculatore, cui alludeva poco fa l’onorevole Morini. Questo signore si era messo d’accordo infatti con questo successivo gruppo finanziario e, unitosi con dei prestanome – richiamo particolarmente su ciò l’attenzione dell’onorevole Sottosegretario – con i prestanome di un ordine religioso che i primi concessionari avevano finanziato, rimanendo poi delusi nelle loro aspettative, tanto che successivamente avevano creduto opportuno di intromettersi nella gestione del Casinò di San Remo, attraverso dunque, dicevo, questi prestanome, la concessione passa a questo secondo gruppo finanziario.

E intanto il Consiglio comunale è chiamato a ratificare la deliberazione presa in via di urgenza dalla Giunta, ma di fatto la respinge: ciò avviene precisamente dopo due mesi.

Successivamente si giunge alla deliberazione del 17 aprile in base alla quale la concessione per la gestione del Casinò viene data a un terzo gruppo finanziario nel quale entra e rimane sempre quel tale mestatore che ha creato tutta questa difficile situazione sfociata in uno scandalo evidente e di cui si parla dovunque.

Questa deliberazione oggi, a distanza di sei mesi circa, non è ancora stata ratificata dal Ministero dell’interno, il che dimostra che lo stesso Ministero non sa che via scegliere di fronte a così intricata situazione. Ma sta il fatto che, di fronte a questi contratti intorno ai quali sono sorte niente meno quarantasette cause, nelle quali è stato chiamato come responsabile lo stesso Comune e per le quali il Comune è esposto a danni notevolissimi, nonché infine di fronte a ben tre ricorsi dinanzi al Consiglio di Stato, sta il fatto, dicevo, che il Ministero dell’interno non prende ancora l’unica decisione che veramente si impone: quella cioè di chiudere il Casinò di San Remo, anche per considerazioni inerenti alla pubblica moralità, e di disporre una rigorosa inchiesta la quale accerti quali sono stati i fatti che hanno dato luogo a tale incresciosa situazione.

Io mi auguro, pertanto, che l’onorevole Sottosegretario per l’interno vorrà scegliere questa via.

Non è possibile continuare senza compromettere la dignità, il prestigio, il decoro della pubblica amministrazione; non è possibile che si continui a far gestire il Casinò di San Remo in questa complicata situazione giudiziaria e morale senza che il Ministero ne esca menomato nel suo prestigio.

PRESIDENTE. L’onorevole Sampietro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SAMPIETRO. Dopo quanto è stato detto dagli onorevoli Morini e Marinaro non ho che da insistere perché venga accolta dal Ministero dell’interno la proposta, se si vuole draconiana, della chiusura per un’inchiesta. E se proprio ciò non fosse possibile o non fosse consigliabile anche per motivi non di ordine pubblico, ma economici, per i dipendenti della organizzazione in San Remo, sarebbe desiderabile che si arrivasse senz’altro all’inchiesta, tanto più che qui si è fatta una precisazione, cioè quella relativa ad un ex alto funzionario del Ministero dell’interno, il quale ex funzionario aveva rapporti nello stesso Ministero dell’interno, da dove egli ha tratto appoggi per poter manovrare e in Roma e fuori di Roma, e particolarmente alla periferia, in San Remo e in quella stessa provincia: sicché dal primo gruppo egli ha potuto passare nel secondo e poi nel terzo, e sia del secondo che del terzo essere il «manovratore».

Per cui concludo, raccomandando ed insistendo perché il Ministero dell’interno provveda a questa inchiesta, che, se vuole essere completa e vuole essere tranquillante, dovrebbe essere collegiale, cioè di più di una persona.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Se l’onorevole Sampietro, accennando ad amicizie di uno dei concessionari con funzionari del Ministero dell’interno, avesse avuto – cosa che non credo – l’intenzione di gettare l’ombra di un dubbio qualsiasi sulla correttezza dell’ufficio che se ne occupa, io debbo vivacissimamente protestare.

MARINARO. Non è più in servizio quel funzionario.

SAMPIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SAMPIETRO. Chiarisco subito: non si tratta di funzionari di carriera, in servizio; si tratta di persona già allontanata dal Ministero dell’interno; comunque, non dell’ufficio del Sottosegretario Marazza.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Colgo l’occasione per riaffermare nel modo più preciso e solenne che i funzionari che si incaricano delle concessioni sono degnissimi della fiducia che in loro ripone il Governo.

SAMPIETRO. Appunto per questo noi insistiamo perché l’inchiesta venga svolta dal Ministero dell’interno e non da altri Ministeri.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Costa, Bettiol, Merlin Angelina e Gui, ai Ministri dei lavori pubblici, della pubblica istruzione e del tesoro, «per sapere se sia vero che, mentre è già stato promulgato e pubblicato un decreto legislativo del Capo dello Stato, che proroga il termine per l’esecuzione del piano regolatore della città di Ferrara, viceversa non si intenda provvedere per analoga proroga del termine, scadente il 31 luglio, di esecuzione del piano regolatore della città di Padova, e ciò su invito, non prescritto, della Ragioneria generale dello Stato, mentre il Ministero dell’istruzione ancora non ha dato il parere prescritto di competenza propria».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Ministero del tesoro in un primo momento si era preoccupato delle conseguenze onerose che la esecuzione del piano regolatore di Padova, al pari di quello di altre città, poteva determinare a carico del bilancio dell’ente interessato, attualmente notevolmente deficitario, e di riflesso a carico del bilancio dello Stato. Successivamente, avendo il Ministero dei lavori pubblici prospettato gli inconvenienti che sarebbero derivati dalla mancata concessione della proroga, specie per le prevedibili vertenze con i proprietari di cespiti già espropriati, e avendo fatto altresì presente che i lavori di piano regolatore vengono attuati gradualmente (bene inteso in relazione alle possibilità finanziarie degli enti) il Ministero del tesoro ha aderito alla proroga dei termini proposta per taluni comuni e non ha difficoltà ad aderire a quella del piano regolatore di Padova.

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

COSTA. Io potrei dichiararmi sodisfatto. Senonché l’onorevole Sottosegretario ha concluso dicendo che non avrebbe difficoltà ad aderire. M’interessa sapere se e quando aderirà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Appena il Ministero dei lavori pubblici ci richiederà nuovamente l’adesione. Perché in un primo momento, il Ministero dei lavori pubblici aveva chiesto l’adesione e, come ho detto, il Ministero del tesoro si era opposto. Ora, anche in via breve, personalmente, ho fatto sapere al Ministero dei lavori pubblici che il Ministero del tesoro aveva cambiato opinione e avendo già dato l’adesione pel piano regolatore di Ferrara, e per quello di Como, non aveva nessuna difficoltà a dare l’adesione anche per quello di Padova.

Ho parlato personalmente ieri mattina col Capo di Gabinetto del Ministro dei lavori pubblici precisando che il Ministero del tesoro avrebbe dato immediatamente la propria adesione ad una nuova richiesta del Ministero dei lavori pubblici, e il Capo di Gabinetto mi ha assicurato che avrebbe fatto pervenire la richiesta formale, così da provocare la risposta in senso positivo.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole La Rocca, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per conoscere in base a quale utilità reale e alla stregua di quale criterio di opportunità, si consente, in una città come Napoli, colpita, forse, come nessun’altra città italiana dalla crisi delle abitazioni, l’abolizione del Commissariato degli alloggi. Anche ad ammettere che tale Commissariato, per colpa o per debolezza di diligenti, non abbia funzionato sino ad oggi come sarebbe stato desiderabile, resta sempre il fatto, certissimo, che l’abolizione del Commissariato non significa e non può significare altro se non il dare mano libera agli speculatori, i quali, profittando delle circostanze, fanno salire alle stelle i prezzi di un qualsiasi piccolo appartamento e provvedono di un alloggio, sia pure a condizioni usuraie, i ricchissimi, cioè quelli che hanno rubato e rubano al mercato nero, e condannano a rimanere sul lastrico i lavoratori onesti e senza casa che, non ostante la migliore loro volontà, non hanno modo di alimentare lo strozzinaggio e sodisfare l’ingordigia insaziata di taluni proprietari, affittuari, mediatori e speculatori d’immobili urbani».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. La mia risposta sarà necessariamente più breve dell’interrogazione. (Si ride). Infatti l’abolizione del Commissariato degli alloggi nella città di Napoli è dovuta alla delibera con la quale quella amministrazione comunale ha deciso di non avvalersi della facoltà concessale dal decreto legislativo 30 giugno 1947 n. 458 ed ha deciso di non chiederne la proroga. Né può il Ministero dell’interno provvedere comunque in contrasto con la delibera stessa, bensì unicamente attendere, come sta di fatto attendendo, all’adozione di mezzi idonei per alleviarne almeno i più gravi inconvenienti, cioè gli sfratti non giustificati.

PRESIDENTE. L’onorevole La Rocca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

LA ROCCA. Mi rendevo perfettamente conto, onorevoli colleghi, di ciò che l’onorevole Sottosegretario per l’interno avrebbe detto al riguardo.

So benissimo che le grandi città hanno la facoltà di mantenere o meno il Commissariato degli alloggi. Ma, pure ammettendo che il Commissariato a Napoli, forse per deficienze, per debolezze, per colpa di uomini, non ha funzionato come sarebbe stato desiderabile, osservo che esso costituiva quanto meno un freno alle speculazioni e rappresentava nello stesso tempo una speranza per coloro che vanno alla ricerca di un appartamento, e trovarne uno a Napoli è divenuta una cosa quasi impossibile.

Ma ho voluto cogliere l’occasione per richiamare seriamente l’attenzione del Governo sul grave problema edilizio napoletano, perché, se non si riesce entro breve tempo a dare alla popolazione di Napoli (che supera già il milione) uno sfogo al problema edilizio, questa situazione rischia di esplodere in manifestazioni poco liete, sia dal punto di vista igienico, sia dal punto di vista etico, sia dal punto di vista sociale.

Desidero informare il Governo e tutta l’Assemblea della gravità della situazione dal punto di vista del sovraffollamento, che a Napoli sale al due per cento per ogni stanza, dal punto di vista medio, cioè come valore intermedio fra distanze grandissime, nel senso cioè che non è che due persone abitino in una stanza a Napoli, ma a Napoli esiste il doppio, quanto a persone, dei vani disponibili.

Il Governo sa benissimo che nel 1931 furono fatti dei rilievi al riguardo nei maggiori centri urbani e da questi rilievi (chiedo scusa se debbo dare troppo spesso la parola alle cifre) apparì che la concentrazione a Napoli è veramente enorme e preoccupante. Più della metà della popolazione, cioè il 55,8 per cento, beneficia di un solo quarto delle abitazioni (25,6 per cento), mentre la residua parte della popolazione, corrispondente a meno della metà – il 42,2 per cento – beneficia di 3/4 delle abitazioni (74,2), in questo senso: che mentre nei quartieri signorili c’è la possibilità che una persona abiti in una stanza o magari in due, tre, quattro, cinque, nei quartieri popolari c’è un ammassamento che veramente preoccupa ed allarma dal punto di vista igienico, dal punto di vista morale, dal punto di vista sociale, con diciotto persone in una stanza.

La situazione, che si dimostrò già insostenibile, specialmente nel confronto delle altre città, nelle quali la concentrazione apparve notevolmente inferiore, è tale che, mentre a Napoli è del 0.30, a Roma è del 0.20, a Milano del 0.14, a Torino del 0.11, a Genova del 0.4; differenze che diventano ancora più serie quando vengano messe in rapporto col grado medio di affollamento di ciascuna città.

E il distacco appare con maggiore evidenza attraverso un procedimento di riduzione della situazione della città di Napoli in confronto alle altre città: risulta infatti che per sistemare la popolazione napoletana, rispetto alla stessa situazione in atto a Roma nel 1931, sarebbe stata necessaria la costruzione di almeno 130.000 vani nei riguardi di Roma; nei riguardi di Milano (cioè, per adeguare la situazione di Milano a quella di Napoli) sarebbe occorsa la costruzione di 204.000 vani; per quella di Torino ne sarebbero occorsi 253.000; per raggiungere le condizioni medie di affollamento esistenti a Genova, sarebbero stati necessari altri 500.000 vani.

Cosicché la situazione è chiaramente espressa da questo quadro: a Napoli nel 1931 vi era un affollamento di 1.89 per stanza di fronte ad 1.36 per Roma, 1.22 per Milano, 1.13 per Torino e 0.80 per Genova.

Questa situazione, che non è stata in alcuno modo modificata con le successive costruzioni, cioè con quei 25 mila vani costruiti a Napoli dopo il 1931 e che non hanno nemmeno in parte rimediato alle demolizioni avvenute, per una specie di bonifica nel centro della città ai rioni della Carità e al rione Flegreo, con lo scoppio della guerra, è venuta ad aggravarsi, perché sono stati distrutti oltre 60 mila vani nei quartieri adiacenti al porto, alla zona industriale e alla ferrovia; onde la popolazione lavoratrice di Napoli, che abita in questi quartieri, è stata costretta a stringersi nei rioni vicini. A Napoli si ha, quindi, questa situazione: che nei bassi, nei fondaci abbiamo fino a 18, 19, 20 persone in un vano, in un vano dove dormono marito, moglie e figli maschi e femmine delle più diverse età con tutte le conseguenze che ne derivano e su cui non credo sia il caso, per ovvie ragioni, di insistere. Quello che nasce da questa situazione, dal punto di vista igienico, credo non sia il caso di ricordarlo. Basta dare un’occhiata alla statistica, basta ricordare puramente e semplicemente questo; che mentre a Napoli la mortalità per tubercolosi nel 1942-43 costituiva 1,03 di tutte le cause di morte; diventa nel 1944, 1,49; nel 1945, 1,83; nel 1946, il 2 per cento delle cause di tutte le mortalità, e mi pare che questi indici siano più eloquenti di qualsiasi discorso si possa compiere al riguardo, e credo che sia anche opportuno che l’Assemblea e il Governo in particolar modo, siano informati di questo: che vi sono sezioni come Porto, Mercato, San Lorenzo, San Ferdinando, Poggioreale, dove noi giungiamo a un affollamento medio di oltre tre persone per stanza, intendendo, come ho già chiarito, per affollamento medio una specie di cifra intermedia fra valori quanto mai distanti.

Ritengo che il Governo abbia il dovere di sostituire qualcosa a Napoli all’abolito Commissariato alloggi, anche se la legge dà puramente e semplicemente all’Amministrazione questa facoltà. Credo che a Napoli nella condizione in cui essa è oggi, qualche cosa debba esistere per regolare non solo la questione degli sfratti, ma per dare un quartino o un appartamento a chi è senza tetto (e sono centinaia di migliaia di persone), se non altro per arginare, infrenare la speculazione, che raggiunge veramente proporzioni spaventose, proporzioni inaudite.

Credo che il Governo, oltre a dare questa facoltà con provvedimenti eccezionali al Prefetto o ad altri, debba assolutamente, senza lesine, né cavillamenti, intervenire con energia, allo scopo di provvedere alle gravi necessità di Napoli, per la salute stessa della città, che non accetta più di essere luogo di dimenticanza cantato dalle sirene, ma vuole riprendere il suo compito di guida e faro del Mezzogiorno; e non può assolvere questo suo ruolo se è ridotta in condizioni così miserande sotto l’aspetto edilizio. Credo che per la salute dei napoletani, e per l’interesse sociale, per la ricostruzione e ripresa economica della grande città e di tutto il Mezzogiorno, bisogna risolvere urgentemente questo problema, sostenendo tutti gli istituti di costruzione, tutti gli istituti di case popolari, aiutandone le iniziative private, regolando il mercato, disponendo, dal punto di vista patrimoniale, di esentare da ogni imposta le nuove costruzioni, cercando di adottare tutti quei provvedimenti che valgono ad aiutare questa grave situazione nell’interesse di Napoli e nell’interesse del Mezzogiorno. Il problema dev’essere posto sul piano nazionale. Napoli è l’anello di congiunzione tra nord e sud: ed è una delle leve più potenti per la rinascita del nostro Paese.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Gasparotto, al Ministro degli affari esteri, «per sapere quale azione abbia svolta o intenda svolgere ulteriormente per ottenere la liberazione degli italiani deportati in Jugoslavia, la cui sorte tristamente ignota – come dice il recente messaggio ricevuto dall’interrogante – da ventisei mesi cagiona lutti e miserie indicibili».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La dolorosa questione degli italiani deportati in Jugoslavia dalla Venezia Giulia è stata sin dal maggio 1945 oggetto della più viva attenzione da parte del Ministero degli affari esteri, che in mancanza di normali rapporti diplomatici con il Governo di Belgrado, si è valso di ogni possibile tramite, al fine di ottenere la loro restituzione od almeno precise notizie sulla loro sorte. In particolare vanno rammentate le ripetute pressanti richieste di intervento rivolte alle Autorità alleate, alle quali da ultimo, nel dicembre 1946, e nel gennaio 1947, vennero trasmesse, per quei passi che esse potessero compiere a Belgrado, elenchi di deportati compilati a cura del Ministero. Passi vennero pure compiuti tramite la Croce Rossa, il Vaticano e direttamente presso la Rappresentanza Diplomatica Jugoslava in Roma.

Recentemente questa Legazione di Jugoslavia presso il Vaticano ha incominciato a fornire qualche notizia su alcuni dei nostri connazionali, che dalle autorità competenti jugoslave sono stati segnalati detenuti in carcere per scontare la pena loro inflitta da tribunali jugoslavi.

In seguito alla recente ripresa delle relazioni diplomatiche con la Jugoslavia, è stato provveduto a fornire la Legazione in Belgrado di tutta la documentazione in materia e degli elenchi dei deportati o internati, affinché essa possa interessarsi dei singoli casi ed esaminare di nuovo la questione nel suo complesso, attraverso contatti diretti con il Governo jugoslavo.

Assicuro che la questione è tenuta vivamente presente dal Governo italiano, e che anche recentemente sono state inviate istruzioni alla Legazione d’Italia in Belgrado affinché intensifichi la sua azione in vista di una soluzione che possa placare l’ansia di tante famiglie, che è condivisa da tutto il popolo italiano.

PRESIDENTE. L’onorevole Gasparotto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GASPAROTTO. Prendo atto della sobria risposta del rappresentante del Ministero degli esteri. Prendo atto, più di quello che ha detto che è stato fatto, di quello che promette di fare. Comprendo la gravità e la delicatezza dell’argomento, e mi propongo di parlarne con meditata prudenza per non fare torbide acque già agitate. Si è detto da qualcuno che su questo tema penoso meglio si conviene il silenzio. Ma io non potevo non raccogliere il grido di migliaia di madri che, direttamente, o a mezzo del Comitato dei deportati giuliani, hanno fatto giungere la voce fino a me, dopo aver bussato invano alle porte del Ministero degli esteri. Queste madri hanno il diritto di sapere quello che è avvenuto dei loro figli. Il Comitato dei deportati giuliani mi scrive da Gorizia in data recente: «Non vi è famiglia italiana nelle nostre terre che non sia da ventisette mesi nella più crudele incertezza sulle sorti del suo caro, parente, affine o amico, strappato in una notte angosciosa del maggio 1945 al suo focolare, incarcerato senza ombra di colpa e condannato a un destino tanto più pauroso quanto più ci rimane ignoto».

Un’altra madre italiana da Milano scrive: «sono Edvige Barbieri, una disperata madre italiana che si rivolge al vostro cuore perché mi aiuti a sapere cosa è avvenuto di mio figlio, il Guardiamarina Eugenio Barbieri nato a Fiume il 22 ottobre 1923, dove aveva conseguito il diploma di Capo mercantile all’Istituto nautico. Si trovava nell’aprile 1945 al Comando italiano di marina a Pola. Da notizie del cappellano militare ho saputo che fu fatto prigioniero. Da allora nulla ho più saputo della sorte di questo mio figliuolo».

La moglie di un senatore italiano, la signora Lidia Bacci Urbani, dice: «È necessario che in Italia sorga qualche voce perché l’angoscia delle madri possa essere placata, perché possa essere placato il mio dolore e possa avere notizie del mio amatissimo consorte. Egli è il senatore Icilio Bacci. Arrestato il 21 maggio 1945 (leggo soltanto la parte sostanziale ed ometto le parole più amare) e detenuto nel carcere di Fiume fino al 10 agosto dello stesso anno, fu trasportato poi in luogo ignoto, per essere sottoposto a processo. Dove lo portarono? Che cosa è avvenuto? Egli è vecchio e ammalato… Non è umano che una famiglia debba restare nella più angosciosa ignoranza, né si possono far scomparire le persone senza renderne conto. Non voglio parlare della personalità di mio marito, delle doti sue di uomo e patriota: dirò soltanto che era ed è un italiano, di cui qualcuno deve rispondere».

Icilio Bacci era un fascista, fascista dissidente. In onore alla sua memoria – perché certamente non è più – posso ricordare che non ha aderito al governo repubblichino. È rimasto al suo posto quale preside della Provincia del Carnaro che lui stesso aveva fondata. Ma fascista o non fascista, era un italiano, e il Governo italiano deve difendere tutti i suoi cittadini, perché le madri non possono rinnegare i propri figli.

Perciò, le madri italiane hanno il diritto di sapere se i loro figli sono morti, hanno diritto di sapere perché sono morti, quando sono morti, dove sono morti o dove, almeno, sono sepolte le loro ossa. Se non sarà dato, a tanta distanza di tempo, di poter recuperare le salme, esse hanno diritto di vedersi almeno restituite le ossa.

I cimiteri del confine orientale, il cimitero del mio paese, a tanti anni dalla fine del primo conflitto mondiale, sono tutti pieni di fosse di morti tedeschi e jugoslavi. Noi li conserviamo ancora intatti questi morti, perché le madri possano venire quando vogliano, a riprenderli. Domandiamo che altrettanto sia fatto al di là del confine. Noi abbiamo aperto procedimenti, in obbedienza al trattato di pace, contro gli italiani criminali di guerra: avremmo diritto di domandare reciprocità di trattamento anche contro altri criminali che hanno infierito ed hanno soppresso nostri cittadini senza processo, sospetti di una sola colpa, quella di essere italiani. Ma, signori, troppo dolore e troppe delusioni ci ha dato questa guerra.

Passando l’altro giorno sulla strada di Trieste, alle foci del Timavo, non ho più ritrovato l’erma di pietra che ricordava i morti della Terza Armata. È stata distrutta. Eppure gli eroi della Terza Armata erano morti non per la nostra libertà soltanto, ma anche per la libertà degli jugoslavi. (Applausi).

Domando che la pietra venga rimessa al suo posto. A Trieste, la cella di Oberdan, dove il martire passò le sue ultime ore, per troppo tempo, e non dagli jugoslavi, è stata trasformata in un magazzino di viveri per le truppe alleate. Domando se sia stata riconsacrata.

Nessuno più di me è lontano da alimentare spiriti nazionalistici; ho già detto che la mia stessa origine mi porta ad auspicare con fierezza di animo la riconciliazione col vicino popolo jugoslavo. Ma per ritornare amici, come eravamo un tempo e come intendiamo di ritornare, per riaffratellare gli uomini nella pacifica convivenza dei popoli, occorre che non qui, ma anche al di là dell’Isonzo sia ristabilita la giustizia, e siano rispettate le nostre memorie. Occorre, soprattutto, che sia ristabilito il rispetto alla vita umana, che la storia di tutto il mondo ci insegna essere il termine di passaggio dalla barbarie alla civiltà. (Vivi applausi).

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo replica all’onorevole Gasparotto assicurando che tutti i passi possibili sono stati tentati e saranno compiuti nel futuro.

Invito, tramite l’onorevole interrogante, le famiglie che si sono rivolte a lui e gli altri interessati a fornire dei dati precisi, perché molte volte il Ministero degli affari esteri si trova nella impossibilità di andare incontro alla loro richieste, perché vengono trasmessi dei dati assolutamente insufficienti.

Posso aggiungere che da comunicazioni fatte al Governo risulta che la Jugoslavia ci segue in questo nostro desiderio; il nostro Ministro ed i funzionari che sono a Belgrado – ai quali rendo omaggio per gli sforzi compiuti in questo primo tempo – hanno fatto opera veramente feconda. Ma il compito è molto complesso, anche per le vicende della guerra e la situazione dei luoghi del vicino Stato.

L’appello alla concordia ed alla conciliazione, che l’onorevole Gasparotto ha rivolto in questo momento alla Jugoslavia, sono certo avrà eco favorevole; trasmettendolo, il Ministero degli affari esteri aggiungerà le invocazioni delle madri e dei parenti dei deportati per far sì che questo elemento, che può essere ancora di dissenso, abbia a cessare per la piena riconciliazione tra noi e il popolo vicino, che vivamente auspichiamo. (Applausi).

GASPAROTTO. Ringrazio.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Arata, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’industria e commercio, dei trasporti e dell’agricoltura e foreste, «per sapere se non ritengano necessario ed urgente intervenire, con adeguati provvedimenti, nel grave problema del rifornimento della legna da ardere per il riscaldamento invernale. Questo problema – al pari di quello della persistente ascesa dei prezzi dei generi alimentari – si vien facendo ogni giorno più angoscioso e allarmante, specie per certe categorie della popolazione, prive delle possibilità economiche che consentano loro di fronteggiare i prezzi della legna, avviati a continuo vertiginoso aumento. Ai fini anche del mantenimento dell’ordine pubblico, che verrebbe certamente ad essere, un giorno, turbato, sembra rendersi indispensabile un superiore intervento anche nel campo dei trasporti ferroviari, una parte dei quali dovrebbe essere riservata al rifornimento di determinate collettività particolarmente bisognose».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. La larga incetta di legna, fatta in tutte le zone di produzione, con conseguente notevole rincaro del prezzo, è stata prevalentemente determinata dal timore che nella prossima stagione invernale la quantità di combustibile fossile a disposizione per il riscaldamento ad uso civile sarebbe risultata assolutamente insufficiente rispetto alle necessità, specie delle Regioni settentrionali, e pertanto da integrarsi con legna da ardere di libero acquisto sul mercato nazionale.

La nota decisione di massima del Comitato carboni del 31 luglio scorso di accantonare una massa di un milione di tonnellate di combustibili fossili da ripartirsi fra le diverse provincie in relazione alle rispettive necessità nel prossimo inverno – decisione resa esecutiva con la circolare 124 del 25 agosto 1947 del Ministro industria e commercio – risolvendo sostanzialmente il problema del riscaldamento, ha costituito una remora ed ha esercitato una sensibile azione normalizzatrice sul traffico affannoso che la speculazione, facendo leva sulle preoccupazioni diffuse in larghi strati della popolazione, ebbe a provocare nel mercato della legna da ardere.

Si deve anche ritenere che il migliorato andamento dei rifornimenti di combustibili fossili sia destinato ad incidere sull’assorbimento della legna effettuato da parte di alcuni settori industriali, con conseguente aumento della disponibilità per gli usi civili.

Ciò premesso, per ora si esclude che da parte del Ministero dell’industria e commercio, attualmente orientato verso lo sblocco dei combustibili nazionali, si disponga per il ripristino della distribuzione della legna col sistema delle assegnazioni. Qualora particolari situazioni locali in rapporto al problema in argomento richiedessero l’adozione di temporanei provvedimenti di emergenza, dai Prefetti interessati potrebbe venir richiesto al Ministero dell’industria l’autorizzazione a disporre il blocco sulla esportazione di limitate quote di legna da ardere per il soddisfacimento delle esigenze del consumo locale.

In merito poi alla preoccupazione dell’onorevole interrogante, relativa alla opportunità di riservare i mezzi di trasporto per rifornimento di legna a determinate collettività, si precisa che il Ministero dei trasporti, con circolare in data 10 giugno 1947, inviata a tutti i Prefetti dell’Alta Italia, ha provveduto al regolamento di detta materia. Le richieste di tali mezzi di trasporto sono cioè state accettate e si accettano soltanto se il destinatario sia un ente comunale, oppure assistenziale, oppure ospedaliero, oppure ditta di riconosciuta importanza, che acquisti la legna per le proprie maestranze. Le richieste stesse debbono presentarsi alla Direzione generale delle Ferrovie dello Stato per il tramite dei Prefetti delle provincie, nelle quali è destinata la legna. I Prefetti debbono offrire poi la garanzia che la legna verrà effettivamente utilizzata dagli enti suddetti e ciò allo scopo di evitare la speculazione privata.

PRESIDENTE. L’onorevole Arata ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ARATA. Prendo atto volentieri della risposta dell’onorevole Sottosegretario per quel che riguarda le disposizioni del Ministro in relazione all’eventuale emergenza che dovesse verificarsi in certe località, per cui possa essere ritenuta opportuna qualche provvidenza di carattere straordinario per approvvigionarle di legna.

Prendo atto appunto di questa porta lasciata aperta, per far presente che in realtà quest’emergenza, per talune località, deve già considerarsi avverata. Per quanto riguarda i ribassi di prezzo nella legna, mi auguro che la mia interrogazione possa presto considerarsi superata dagli eventi.

Però, onorevole Sottosegretario, è pure un fatto che oggi la legna ha ancora un prezzo altissimo per certe categorie e per certi portafogli. Non solo, ma è anche vero che il carbone in certe città non fu potuto ancora distribuire. Ormai il freddo ha incominciato a mordere. È bene, specie per quel che riguarda il carbone, che l’onorevole Ministro si preoccupi di venire incontro il più possibile ed il più presto possibile, alle categorie più bisognose, non solo tenendo d’occhio le grandi città – ed è questa la mia preoccupazione, onorevole Sottosegretario – ma anche le piccole città. Infatti anche le maestranze operaie ed i dipendenti di enti pubblici di piccole città soffrono di questa situazione, come nei grandi centri. Su questo punto mi sembra che vi sia qualche lacuna nelle provvidenze adottate dal Governo.

A Piacenza, per esempio, non fa meno freddo che a Torino o a Milano, e la vita non è meno cara che a Milano, a Torino e a Genova: anzi, proprio stamattina mi diceva il prefetto che essa è una delle città dell’Alta Italia dove la vita è più cara. Gli operai di Piacenza e gli impiegati del comune, tanto per fare un esempio, debbono quindi affrontare l’inverno con prospettive che non sono meno terribili di quelle dei colleghi di Milano e delle altre grandi città. Pertanto rivolgo uno speciale appello al Ministro perché si renda conto della situazione e del fatto che l’inverno è purtroppo già iniziato, specie per l’Alta Italia, e voglia pertanto dare seria e pronta attuazione ai suoi lodevoli propositi. In tal senso e con queste riserve posso dichiararmi sodisfatto.

CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e commercio. Posso assicurare lo onorevole interrogante che il Ministero terrà conto delle sue giuste osservazioni.

ARATA. Per i carri ferroviari il problema è molto grave. Mi rendo conto della inevitabilità di certi inconvenienti, perché quando i mezzi sono scarsi ed i postulanti sono molti è fatale che vi debbano essere degli inconvenienti e che la scelta non sempre corrisponda a criteri di rigorosa giustizia. Io me ne rendo conto, ma anche qui è questione di misura. Se purtroppo, in qualche settore, è inevitabile che nasca qualche scandalo, è però necessario che esso non dilaghi e non diventi la regola. Il problema dei carri ferroviari che devono portare legna a maestranze, collettività o a determinati enti, dev’essere risolto nel modo più conforme possibile a giustizia, senza costringere queste collettività a costosi viaggi a Roma, a lunghi soggiorni in questa città ecc. ecc.

La concessione dei carri ferroviari è un problema sul quale, qua e là, sono sorti sospetti e insinuazioni: vorrei che la parola dell’onorevole Sottosegretario costituisse non solo la promessa, ma la garanzia che anche questo scabroso aspetto dei nostri trasporti ferroviari si avvierà presto verso la normalità, nel segno del dovere e della giustizia.

PRESIDENTE. Per l’assenza da Roma dei Ministri dell’agricoltura e delle foreste e dei lavori pubblici, sono rinviate ad altra seduta le seguenti interrogazioni:

Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici»;

Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non creda opportuno favorire ed incoraggiare l’allevamento del baco da seta e l’allevamento delle api, per incrementare la produzione e la ricchezza nazionale»;

Arata, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se non ritenga opportuno che, a differenza della condotta negativa tenuta su questo punto dal Governo negli anni decorsi, siano disposti sin d’ora, e comunque prima della semina, opportuni piani e provvidenze diretti ad ottenere il massimo incremento della prossima campagna granaria, evitandosi così che, nella completa oscurità circa gli orientamenti e i disegni del Governo, essa abbia ancora a svolgersi con criteri e piani di mera convenienza aziendale e personale, sovente contrastanti col superiore interesse e le esigenze della collettività»;

Colombo e Zotta, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se e quando intenda provvedere alla sistemazione degli acquedotti della Lucania ove, per la scarsa manutenzione e per la inadeguatezza degli impianti, intere popolazioni sono prive di acqua, con grave pregiudizio della salute e dell’igiene»;

Vinciguerra, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere le ragioni per le quali Ariano Irpino (Avellino) non è stata compresa nel provvedimento legislativo in corso presso l’ufficio legislativo dei lavori pubblici relativo all’acquedotto consorziale dell’Alta Irpinia, mentre Ariano, comune di trentamila abitanti, difetta di acqua potabile, avendo una tubolatura inquinata da infiltrazioni e con scarsissimo rendimento, per cui nella città il tifo è quasi endemico. Per conoscere altresì se invece l’onorevole Ministro non ritenga opportuno e di giustizia disporre che Ariano derivi l’alimentazione idrica dall’acquedotto pugliese, non essendo valide e fondate le ragioni che l’Ente obietta in contrario»;

De Martino, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere se esistono speciali ragioni che determinano nell’Azienda della strada la volontà o la necessità di ben mantenere le strade nazionali del Nord, del Centro e di parte dell’Italia meridionale, precisamente fino alla città di Salerno, mentre da Salerno in giù le strade nazionali sono quasi completamente abbandonate».

Scotti Alessandro, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per la prossima annata agraria 1947-48 in merito agli ammassi obbligatori dei cereali e se ritenga di accedere alle generali richieste dei contadini, abolendo i detti ammassi che si sono dimostrati di grave onere per il bilancio dello Stato e di gravissimo peso per i produttori, non dando, d’altra parte, per risultato che una sensibile contrazione della produzione. L’interrogante fa presente che l’abolizione degli ammassi, sia pure sostituita in via provvisoria con quegli accorgimenti che potranno rivelarsi opportuni, consentirà di provvedere con maggiore sicurezza al sostentamento dei meno abbienti, specie addivenendosi alla somministrazione di una parte del salario o stipendio in natura, a cura ed a carico, naturalmente, dei datori di lavoro. Ricorda che, essendo imminenti i lavori preparatori per la semina, questa, nell’ipotesi della persistenza del regime di ammasso, si attuerebbe – dato lo stato d’animo diffuso nelle campagne – su scala ridottissima»;

Scotti Alessandro, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga opportuno soprassedere alla costituzione del Consorzio nazionale canapa, se pure con la sola partecipazione degli agricoltori, essendo tale provvedimento in contrasto con la volontà dei canapicoltori, i quali chiedono la libera disponibilità del loro prodotto. L’ammasso obbligatorio della canapa avrebbe quale risultato un’ulteriore riduzione di tale coltura, con grave danno dell’economia nazionale»;

Giacchero, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se, vista la continua diminuzione delle superfici coltivate a grano e l’insufficienza delle assegnazioni di concimi chimici (circa 13 chilogrammi per ettaro) non ritenga di dovere urgentemente stabilire, prima degli inizi dei lavori di semina, il prezzo del grano per il futuro raccolto del 1948 e impegnarsi ad assegnare ad ogni comune ed a prezzo ragionevolmente proporzionale a quello del grano e tempestivamente un quantitativo sufficiente di concimi chimici»;

Miccolis, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano Il Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi. Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatoti, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini. Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione dei prezzi».

È pure rinviata, su richiesta del Ministro delle finanze, l’interrogazione seguente dei deputati Tremelloni, Segala e Ghidini: al Ministro delle finanze, «per conoscere quale fondamento di verità abbia la notizia, apparsa sui giornali, che in Sicilia è stata abolita la nominatività obbligatoria dei titoli azionari. E per sapere, nel caso in cui la notizia sia esatta, quale atteggiamento intende prendere il Governo».

VINCIGUERRA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VINCIGUERRA. Desidererei che l’onorevole Ministro dei lavori pubblici si decidesse a dare una risposta alla mia interrogazione. Non vorrei che rispondesse quando la situazione fosse irrimediabilmente pregiudicata.

PRESIDENTE. Comunicheremo al Ministro dei lavori pubblici il suo desiderio.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Bulloni, al Ministro dell’industria e commercio, «per conoscere se e quali provvedimenti siano allo studio per la soluzione dei problemi connessi con la crisi dell’energia elettrica nell’Alta Italia e se non ravvisi l’opportunità della costituzione di un commissariato permanente per l’Alta Italia, con sede in Milano, che abbia autorità e mezzi e possa applicare sanzioni per imporre e ottenere la disciplina della revisione della produzione e del consumo, il cui maggiore e più importante compito dovrebbe essere la ripartizione dell’energia prodotta nell’Alta Italia fra le società distributrici, e con l’urgenza reclamata dal fine di permettere alle industrie di prepararsi alla nuova disciplina dell’uso dell’energia elettrica, talché queste possano preparare trasformazione di impianti termoelettrici in impianti a combustibile e intensificare al massimo la produzione nei mesi abbondanti per ottenere scorte di magazzino, perché non si ripeta nel prossimo inverno il danno incalcolabile causato all’economia del Paese dalle limitazioni imposte lo scorso inverno nella fornitura di energia alle regioni dell’Alta Italia, limitazioni che hanno imposto, altresì, alle popolazioni penose privazioni e gravi sofferenze, suscitando inconvenienti anche d’ordine sociale per le inevitabili interruzioni del lavoro».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria ed il commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI, Sotto segretario di Stato per l’industria e. il commercio. Con provvedimento legislativo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 5 settembre 1947 sono stati confermati in carica i due Commissari regionali per l’energia elettrica, rispettivamente per l’Alta Italia, con sede in Milano, e per l’Italia Centro-Meridionale, con sede in Roma. Il coordinamento fra i due Commissari, per lo scambio di energia fra il Nord e il Centro Sud, è assicurato dalla Commissione centrale per il razionamento dell’energia elettrica, che tenderà ad unificare, per quanto possibile, e fin dove sarà conveniente, i criteri e i metodi di funzionamento dei due Commissariati, allo scopo di ripartire equamente le disponibilità di energia elettrica e la riduzione di consumo nei periodi di scarsa disponibilità. Sono in corso di attuazione distacchi di forti utenze di energia elettrica, segnatamente allo scopo di ottenere che i bacini idrici si trovino al massimo invaso all’epoca del disgelo.

Anche a questo fine l’energia di supero è stata ceduta dal Nord al Sud, e si è potuto accumulare energia elettrica in bacini che la rendono al Nord in proporzione convenuta. Peraltro, sono stati attuati alcuni collegamenti che saranno pronti per il periodo critico invernale, atti a facilitare e rendere possibile la concessione di maggiore quantità di energia in confronto al passato, anche nell’ambito cioè della giurisdizione di ciascun Commissariato regionale.

La recente maggiore disponibilità di combustibili solidi e liquidi ha consentito di fare maggiori assegnazioni agli utenti, e così resterà alleggerita la richiesta di energia elettrica per quanto si riferisce agli usi domestici ed anche l’industria manufatturiera se ne avvantaggerà.

Si ritiene pertanto che le provvidenze adottate allevieranno gli inconvenienti che si sono verificati lo scorso anno.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BULLONI. Premesso che la mia interrogazione risale al 7 luglio scorso, mi dichiaro solo parzialmente sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario, in quanto la stessa non affronta in modo completo lo specifico oggetto della mia interrogazione, relativo ad un grave problema d’ordine economico e sociale connesso con la crisi della energia elettrica nell’Alta Italia.

Prendo atto soltanto che quest’anno si è anticipata la nomina del Commissario Regionale per l’energia elettrica, cui sono stati estesi fino al 30 aprile 1948, con decreto 25-7-1947, le funzioni e i poteri di cui al decreto del Capo Provvisorio dello Stato in data 26 ottobre 1946.

Incalcolabile è stato il danno causato all’economia del Paese dalle limitazioni imposte lo scorso inverno nelle forniture di energia alle regioni dell’Alta Italia, limitazioni che hanno provocato altresì alle popolazioni penose privazioni e gravi sofferenze, suscitando inconvenienti anche d’ordine sociale per le inevitabili interruzioni del lavoro.

Poiché tale situazione non abbia a ripetersi nel prossimo inverno, occorreva che il Governo, con l’urgenza reclamata dalla gravità del problema, disponesse gli studi necessari per mettere in relazione la crisi dell’ultimo inverno con quella degli anni precedenti al fine di:

1°) individuarne le cause;

2°) provvedere di conseguenza per il futuro.

Sarebbe venuto così a rilevare che la causa principale della crisi non si deve tanto alla inevitabile deficienza di energia invernale (che potrà venire parzialmente attenuata da nuovi impianti) quanto all’indiscriminato consumo di energia senza un proporzionato rapporto colla sua producibilità, e ciò anche per il fatto che il Commissariato regionale per l’energia elettrica venne nominato lo scorso anno solo nel tardo ottobre.

Si sarebbe poi convinto che ad aggravare la crisi ha contribuito il dilagare delle utilizzazioni termiche: nell’industria, a causa della deficienza dei combustibili e del caro costo in confronto del costo dell’energia elettrica; negli usi domestici per cucina e il riscaldamento, a causa della ridotta fornitura di gas, della mancanza di carbone, della carenza e del proibitivo costo della legna.

Così, l’indisciplina dei consumatori, attraverso gli abusivi prelievi di novembre e dicembre; finì per divorare in questi due mesi la razione che sarebbe stata sufficiente fino a marzo, rendendo necessari in gennaio provvedimenti draconiani.

Quali i conseguenti provvedimenti che si sarebbero dovuti adottare?

Per quanto riguarda le industrie, si dovevano rivedere le attuali condizioni di fornitura di energia, per modo che venissero prefissati gli usi e le lavorazioni, che possono utilizzare l’energia durante l’intero anno, gli usi e le lavorazioni che possono utilizzarla nei mesi di produzione media, gli usi e le lavorazioni che possono utilizzarla solo nei mesi di abbondanza, mirando per tal modo a realizzare nei limiti del possibile l’aderenza del diagramma del consumo con quello della producibilità.

Per quanto riguarda gli usi domestici, si dovevano prescrivere rigide limitazioni all’uso della corrente così detta industriale e proibire l’uso dell’energia elettrica a scopo di riscaldamento.

Ad ogni società distributrice avrebbe dovuto essere assegnata una determinata quota di energia invernale, estiva e media, di quella prodotta nell’Alta Italia, con riguardo alle necessità e alle caratteristiche della zona servita dalla società.

Ma per l’attuazione di tali provvedimenti, in attesa che si costruiscano nuovi impianti, per cui occorreranno lunghi anni, s’imponeva di necessità la immediata costituzione di un Commissariato permanente per l’Alta Italia, che avesse autorità e mezzi e potesse disporre, a differenza del provvedimento attuale, di adeguate sanzioni, legalmente incontestabili, per imporre ed ottenere la disciplina della produzione e del consumo, attraverso la ripartizione dell’energia prodotta nell’Alta Italia tra le società distributrici.

Ognuno avverte, poi, che tale Commissariato, con le attribuzioni e coi poteri ricordati, avrebbe dovuto entrare subito in funzione, per permettere alle industrie di prepararsi alla nuova disciplina, talché potessero trasformare gli impianti termoelettrici in impianti a combustibile, e intensificare al massimo la produzione nei mesi abbondanti per ottenere scorte di magazzino.

La sede non consente più esauriente discussione in argomento. Credo, però, di avere dato utili suggerimenti, ricavati dalla dolorosa esperienza del passato e dallo studio di tecnici approfonditi in materia.

E mi permetto, concludendo, ricordare al Governo che, nei tempi di emergenza quale l’attuale, esso deve dirigere e controllare i settori più vitali, come il campo della produzione e della distribuzione dell’energia elettrica, per dare la necessaria soddisfazione ad un primordiale interesse della vita nazionale.

PRESIDENTE. Seguono le interrogazioni che, trattando lo stesso oggetto, possono essere svolte congiuntamente:

Perrone Capano, Rodi e Monterisi, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «sui recenti fatti di Gravina: per conoscere esattamente le cause determinatrici, il modo come si sono svolti e i rimedi che si intendono adottare per eliminare in Puglia e nel Mezzogiorno episodi del genere»;

Pastore Raffaele e Assennato, ai Ministri dell’interno, dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, «per conoscere quali provvedimenti sono stati adottati per assodare le responsabilità per i fatti di Gravina e conoscere quali provvedimenti intendono adottare per fronteggiare la disoccupazione in provincia di Bari, allo scopo di evitare il ripetersi di incidenti»;

Trulli, Coppa e Rodinò Mario, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere in ordine alla gravissima situazione che si va determinando in Gravina di Puglia, con probabilità di estensione ai paesi viciniori, per la improvvisa agitazione dei braccianti agricoli, agitazione che si aggrava di ora in ora, e che, dall’altra parte, non trova per opera dell’autorità tutoria, quella immediata garanzia che sarebbe necessaria per evitare conseguenze luttuose. Si aggiunga che gli agricoltori locali sono stati inopinatamente e sproporzionatamente sottoposti a versamenti di denaro alla Camera del lavoro per sodisfare le richieste dei predetti lavoratori, che aumentano senza limiti durante la discussione».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. A Gravina, come in molti altri centri della provincia di Bari, vi è una forte disoccupazione sia nel bracciantato agricolo che nel campo edile e industriale. Il 18 dicembre, la Commissione paritetica per l’avviamento al lavoro della mano d’opera disoccupata, iniziò le operazioni per l’assunzione di circa 150 lavoratori da parte di ditte che avevano provveduto alla denunzia aziendale.

Però talune aziende, malgrado gli accordi intercorsi, si rifiutarono di mantenere gli impegni. Di qui il malcontento che, aggiungendosi al disagio esistente in vasto numero di disoccupati, produsse anche un vivo senso di sfiducia. Si arrivò così alla mattina del 20 corrente, quando i braccianti agricoli, con l’adesione di alcuni prestatori d’opera edili e di altre categorie, proclamavano lo sciopero generale.

Gli scioperanti, in numero notevolissimo, bloccarono il traffico, obbligando a chiudere i negozi e comunque a desistere dal lavoro. Furono istituiti blocchi stradali che inibirono il passaggio sia ai mezzi, sia alle persone che si recavano nelle campagne.

Fu pertanto immediatamente disposto l’invio di un funzionario di prefettura, di un funzionario di pubblica sicurezza e di un primo nucleo di settantacinque uomini. È necessario aver presente che gli scioperanti erano diretti da un comitato di agitazione non controllato né dalla locale autorità comunale né dai dirigenti sindacali. Gli scioperanti avevano infatti manifestato la loro assoluta sfiducia sia nei confronti dell’una che degli altri.

Nel pomeriggio del giorno 21 si riunivano nella sede comunale i rappresentanti del comune, dei locali dirigenti sindacali e degli scioperanti, allo scopo di comporre la vertenza. Ma, durante la riunione, un numeroso gruppo di scioperanti, constatato che essa si protraeva a lungo senza giungere ancora alla dovuta conclusione, irruppe nella sala, determinando una vivace discussione, degenerata ben presto in tafferuglio.

Fu così che rimase ferito un rappresentante degli agricoltori presenti. Ristabilita la calma, l’accordo fu raggiunto. In base ad esso, gli agricoltori presenti, tra i quali era il presidente dell’associazione, si impegnarono, fra l’altro, di anticipare a mezzo cambiale l’importo di quindici giornate lavorative per ogni operaio ingaggiato, nonché di assumere al lavoro per sei mesi un’aliquota di disoccupati.

Gli scioperanti però non vollero prestar fede all’impegno assunto dagli agricoltori sia perché questo era stato sottoscritto solo da un numero limitato di lavoratori, sia perché eccepivano che altre volte si era verificato che promesse fatte ed accordi raggiunti non fossero stati mantenuti.

Sicché, la stessa sera del 21 e la mattina successiva, squadre di scioperanti si recarono nelle masserie della zona lasciando in esse solo il proprietario e un guardiano ed obbligando il rimanente personale a recarsi in paese.

Nel pomeriggio un forte nucleo di scioperanti, presumendo erroneamente che due lavoratori fossero stati fermati dalla pubblica sicurezza e condotti nella caserma dei carabinieri, tentò di penetrare nella stessa caserma, senza però riuscirvi per l’energico contegno tenuto dai militari. Eguale tentativo ripetevano presso il carcere locale, ritenendo che in esso si fossero rifugiati alcuni agricoltori. Anche questo tentativo fu frustrato dal pronto intervento della forza pubblica.

A seguito di questi fatti il giorno 22 mattina fu inviato sul posto un altro contingente di rinforzi, al comando dello stesso comandante della compagnia interna dei carabinieri di Bari, e costituito da mezza compagnia autocarrata, da otto autoblindo, oltre che da un nuovo contingente di uomini.

Questi rinforzi, all’ingresso del paese, furono costretti a forzare il primo posto di blocco, presidiato da un gruppo di dimostranti, e, superando altri tentativi di resistenza, riuscirono a raggiungere il centro dell’abitato. Giunti in piazza Sacelli, con l’impiego di autoblindo scortate da uomini appiedati, i militari riuscirono a disperdere i dimostranti, ma all’altezza della Camera del lavoro, mentre numerosi gruppi affluivano da altri sbocchi stradali, dalla finestra di una casa adiacente alla sede della Camera del lavoro stessa fu sparato qualche colpo di arma da fuoco, e un proiettile colpì di striscio alla mano sinistra uno dei carabinieri, producendogli una lesione guaribile in venti giorni.

La forza pubblica, a scopo di intimidazione, rispose con alcuni colpi di mitra sparati in aria, senza raggiungere, peraltro, l’intento, perché improvvisamente, da varie strade, gruppi imponenti di uomini e di donne, armati di bastoni e taluni anche di armi da fuoco, avanzarono in massa, chiedendo a gran voce «pane e lavoro». Trattavasi di più di cinquemila persone.

Si tentò di contenerne l’urto, ma poiché le forze di polizia, per quanto notevoli, stavano per essere serrate sulla piazza e attaccate da quattro direzioni, nell’impossibilità di fronteggiare la situazione senza arrischiare uno spargimento di sangue a causa, ripeto, del numero inadeguato della forza pubblica, il funzionario preposto al servizio fece ripiegare le forze sulla strada principale Gravina-Bari, all’altezza della caserma dell’Arma, sia per bloccare la massa in un’unica direzione, evitando un attacco alle spalle, sia per scongiurare eventuali tentativi di invasione della caserma.

Ivi la massa urlante contro gli agrari, nel proclamare che non intendeva fare atti di violenza contro la forza pubblica, minacciò gravi rappresaglie contro i datori di lavoro qualora non fossero stati allontanati dalla città i rinforzi giunti nella mattinata, credendo che essi fossero stati inviati a richiesta e su istigazione degli agricoltori per opprimere i diritti dei lavoratori.

Nel corso della giornata del 22 si registrò un episodio di violenza. Verso mezzogiorno, mentre gli scioperanti si agitavano presso il centro abitato, un operaio, tale Cassano, transitando armato di moschetto vicino all’abitazione del proprietario Leone Nunzio, rivolse ad un figlio di questi parole provocatorie, minacciandolo con l’arma. Nella colluttazione che seguì, il Cassano riportava lesioni guaribili in dodici giorni e il Leone lesioni guaribili in oltre un mese. Il Cassano ritornava subito dopo con numerosi compagni, in buona parte armati, sparando in direzione delle porte e delle finestre dell’abitazione del Leone. Facinorosi, quindi, irruppero nello stabile, uccisero a colpi d’arma da fuoco due muli e un cavallo, devastarono infissi e vetri, assalirono il proprietario Leone Nunzio, producendogli lesioni guaribili in giorni dieci.

Intanto nei giorni 21, 22 e 23 corrente si erano svolte nel Municipio di Gravina varie riunioni, con l’intervento di un funzionario di prefettura, di rappresentanti sindacali, della Federterra, dei reduci e combattenti e dei datori di lavoro e lavoratori allo scopo di risolvere la vertenza.

Fino al 25 corrente furono ingaggiati 250 braccianti agricoli e 200 lavoratori. La riassunzione dei rimanenti disoccupati, che si aggirano intorno al migliaio, prosegue lentamente a causa anche della irreperibilità di alcuni datori di lavoro allontanatisi a seguito delle violenze intercorse sul posto.

Indagini sono in corso per gli accertamenti relativi agli autori delle violenze e ai promotori, nei confronti dei quali sarà proceduto a termini di legge.

Nel pomeriggio del 23 corrente si stabilì una calma relativa, e parte delle forze di polizia poté essere ritirata.

Al fine di fronteggiare la disoccupazione, che in provincia di Bari si fa ascendere a settantacinquemila unità secondo alcuni e a quarantamila secondo altri, il prefetto riunì in prefettura il giorno 22 le altre autorità provinciali, gli esponenti delle organizzazioni sindacali, dei partiti politici e dell’Associazione combattenti per discutere circa i mezzi più idonei.

Nella riunione fu deciso di costituire un comitato dei lavori per stabilire quanti disoccupati potranno essere assunti nei vari settori dell’industria, del commercio e della agricoltura. Lo stesso Comitato si interesserà della raccolta di fondi per l’esecuzione di lavori di pubblica utilità.

Fu altresì deciso di esplicare una vasta e coordinata azione per ottenere adeguati stanziamenti di fondi su quelli predisposti dal Ministero competente sul piano nazionale per la prosecuzione e l’inizio di lavori pubblici.

Dopo di che la situazione, deplorevole quant’altre mai, è avviata a distensione. Gli esercizi pubblici che erano rimasti chiusi sono andati rapidamente riaprendosi.

Circa le cause economiche generali che agitano le popolazioni in provincia di Bari e in ciascuna provincia delle Puglie, esse sono ben note al Governo, che conosce lo stato di grande disagio in cui versano i lavoratori e segue la situazione nell’intento di adottare ogni possibile provvedimento per lenire la disoccupazione operaia, particolarmente acuta per cause stagionali nell’agricoltura, e per la crisi particolarmente grave nel campo edilizio.

Il Ministero dell’interno sin dall’inverno scorso ha promosso la costituzione di un’apposita commissione che fu presieduta dall’allora Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale, e di cui fecero parte rappresentanti del Ministero dell’interno, del Ministero dell’agricoltura e del Ministero del lavoro, allo scopo di studiare il problema della disoccupazione nelle province pugliesi sotto tutti gli aspetti e proporne i modi di soluzione.

Detta commissione ha presentato una relazione le cui conclusioni riguardano particolarmente la competenza del Ministero dell’agricoltura e di quello dei lavori pubblici.

Per incarico del Ministro dei lavori pubblici, al quale pure è rivolta una delle interrogazioni a cui rispondo, devo dire che, per quanto si attiene ai lavori di sua competenza, risultano eseguiti di recente lavori per 150 milioni di opere stradali e fognature; sono in corso altri lavori stradali per 7 milioni, in via di ultimazione, a carico dell’ultima assegnazione di fondi compresa nel programma, e circa 5 milioni di lavori che saranno autorizzati appena i Comuni avranno aggiornato i prezzi.

Circa i lavori di bonifica che sono eseguiti col controllo dell’ufficio del Genio civile è da segnalare che nello scorso esercizio sono stati eseguiti lavori per 50 milioni.

Vi è poi da attuare un programma di opere a carico delle province, che importano complessivamente 80 milioni di lavori di cui una parte – 20 milioni – è stata già appaltata ed iniziata, e quindi sospesa per un incaglio dipendente dal finanziamento da eseguirsi dal Banco di Napoli; ma, risolte queste difficoltà, sono stati ripresi proprio stamane.

Oltre a questi lavori, è proposito del Ministero dei lavori pubblici di disporne per altri notevoli importi, in modo da apportare un non lieve soccorso a questa che è indubbiamente una delle piaghe più gravi del nostro Paese.

PRESIDENTE. L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, io sono spiacente, nonostante la lunghezza della risposta dell’onorevole Sottosegretario, di non potermi dichiarare sodisfatto della risposta stessa. E questa mia insoddisfazione riflette in modo particolare la risposta relativa al quesito che io ponevo circa le cause che il Governo attribuisce e i rimedi che esso intende attuare per fronteggiare il grave problema dal quale deriva l’episodio di Gravina: episodio, tutta la gravità del quale l’onorevole Sottosegretario ha esposto e che potrebbe essere (Dio sperda l’augurio!) non l’ultimo di una dolorosa catena di episodi simili che abbiamo il diritto e il dovere di prevenire e di evitare.

Ormai è ricorrente – può dirsi – il caso di incidenti più o meno gravi, dell’indole e della portata di quello di Gravina, in Puglia e nel Mezzogiorno, non appena incominciano ad annunciarsi i rigori autunnali.

Il Governo dice: la causa di questi fatti è notoria e risale all’entità della disoccupazione che affligge l’Italia meridionale.

Ora io mi domando: crede il Governo di poter continuare a fronteggiare questo grave e doloroso fenomeno della disoccupazione meridionale e, soprattutto, della disoccupazione pugliese, distribuendo in sostanza legnate ai braccianti e agli agricoltori?

Il Governo parte da un presupposto che a mio avviso è assolutamente sbagliato: è un presupposto che influenza quasi sempre le disposizioni dei prefetti e che si risolve poi in un motivo per aggravare la speculazione che di questa piaga sociale fanno gli agitatori di professione, da un lato, e per far nascere della cattiva volontà e della sfiducia dall’altro, nell’ambiente più direttamente chiamato a fronteggiare il fenomeno stesso.

Si parte – in altri termini – soprattutto dal presupposto che vi possa essere equazione assoluta fra braccianti agricoli, braccianti in genere e agricoltura, nelle province pugliesi e, in modo particolare, nella provincia di Bari.

Ora, questo è assolutamente inesatto: non vi è equazione, ma vi è sproporzione laggiù, notoriamente e notevolmente, fra popolazione e territorio. Basti pensare che nella sola provincia di Bari vi sono duecento abitanti per chilometro quadrato.

Ed allora il problema si circoscrive e si racchiude nella ricerca e nell’adozione del mezzo atto ad occupare, a sistemare preventivamente l’eccedenza di braccia che non trova impiego nell’agricoltura. Sostanzialmente il Governo sino ad oggi (e quando io parlo del Governo non mi riferisco soltanto a questo Governo, ma, in genere, anche ai Governi che hanno preceduto l’attuale, perché – è purtroppo dolorosa la constatazione – sono quasi tutti i Governi che si sono succeduti alla testa dello Stato, che hanno dimenticato e dimenticano sostanzialmente i problemi del Mezzogiorno e trascurano la adozione dei mezzi atti a risolvere una volta per sempre ed adeguatamente i problemi stessi), in sostanza, dicevo, il Governo sin oggi ha adottato in realtà due soli provvedimenti che hanno di mira la finalità di fronteggiare la disoccupazione e di assorbire i braccianti e questi provvedimenti sono: il decreto 16 settembre 1947, n. 929, che è stato definito il provvedimento relativo al massimo impiego di mano d’opera in agricoltura, ed il provvedimento più antico che aveva come finalità l’istituzione e il funzionamento di un ente per la trasformazione agraria e per l’irrigazione di Puglia e Lucania. Ora, sta di fatto che entrambi questi provvedimenti hanno un’efficacia relativa, in quanto l’uno, il primo, chiarisce la situazione e ne risolve un solo aspetto; il secondo è destinato a funzionare e ad esercitare i suoi effetti soltanto in futuro e in un futuro molto lontano.

Ed invero il primo, il provvedimento relativo al massimo impiego di mano d’opera in agricoltura, a che mira? Quali sono gli effetti che può produrre? Da un lato esso tende a compiere quella che è stata chiamata la deflazione della disoccupazione, cioè la selezione dei disoccupati. Ottimo scopo che, raggiunto, varrà ad eliminare dai quadri bracciantili i profittatori della disoccupazione che non sono pochi e non sono poco onerosi. Il secondo obiettivo del decreto stesso è quello di vincolare gli agricoltori, cioè le aziende agricole, al dovere, al compito di assorbire il massimo possibile di unità lavorative di cui ciascuna di esse è suscettibile. Anche questo è un encomiabile obiettivo, ma quando saranno stati raggiunti entrambi tali obiettivi (ed io mi auguro che il decreto sia messo in esecuzione presto e bene in modo che risponda alla sua lettera e al suo spirito) avremo saputo quanti esattamente sono i disoccupati in Puglia, nel Mezzogiorno, in ciascuna provincia, e quale sarà il carico massimo di mano d’opera che l’agricoltura potrà assorbire.

A questo punto, dopo la chiarificazione, il problema rimarrà grave e pesante come prima e più di prima, perché la eccedenza nascente dalla sproporzione di cui parlavo, fra capacità di assorbimento del territorio e popolazione, risulterà in tutta la sua estensione. Il Governo si deve preoccupare in tempo di affrontare questa eccedenza. Ecco tutto. La tattica che si segue, e che è quella che produce i risultati spiacevoli dei quali facevo cenno poco prima, è questa: accertata l’eccedenza, riversarla sull’agricoltura! Ebbene, questo è assurdo. Gli stessi esponenti delle Camere del Lavoro e della Federterra riconoscono che è assurdo e che non si deve verificare perché si traduce in realtà in un grave disturbo per la produzione e nell’imposizione di una ulteriore e gravissima imposta a carico delle aziende, le quali sono già gravate da un carico notevolissimo di imposte. Un operaio costa oggi 300 mila lire all’anno!

Sperare dunque che il decreto possa portare ad una equazione anche relativa fra il bracciantato disponibile e la capacità di assorbimento delle aziende, è sperare troppo perché ormai tutti dovrebbero sapere che, nelle zone di cui ci occupiamo, tutto ciò che era possibile fare con le sole risorse locali e con le sole iniziative degli agricoltori e dei lavoratori locali, è stato fatto. Ciò che si ha da fare richiede l’intervento dello Stato sotto un triplice aspetto: di programmazione, di organizzazione, e di integrazione delle iniziative private. La terra, nelle nostre province, è migliorata largamente, è coltivata ottimamente, è frazionatissima. Dove sussistono ancora aziende medie e aziende grandi la forma di conduzione più largamente praticata è quella della colonia parziaria. Permane ancora la cultura estensiva ove la terra è ingrata e nelle parti malariche che sono quelle relative per l’appunto a comuni come Gravina, come Spinazzola, ecc., nei quali si verifica il maggior numero di episodi deplorevoli del genere di quelli di cui ci occupiamo oggi.

Dunque non si può fare affidamento soltanto su questo decreto diretto a provocare il massimo impiego di mano d’opera nella agricoltura. Si è fatta la legge per l’irrigazione, ma è rimasta sulla carta, e sono rimasti sulla carta anche i pochi milioni che dovevano servire come dotazione di quell’Ente e che sarebbero bastati e basteranno, quando saranno erogati, solamente ad assicurare la costituzione degli uffici, ma non la messa in esecuzione degli obiettivi che l’Ente si propone.

A questo punto abbiamo diritto di domandare e di dire al Governo: ma credete di potere, con palliativi, con interventi saltuari, con provvedimenti una volta sì e una volta no, con soccorsi occasionali attraverso lavori pubblici comunali e sporadici, migliorare questa situazione? In questa maniera voi aggraverete ma non risolverete il problema.

Una voce a sinistra. Gi vuole la riforma agraria.

PERRONE CAPANO. Noi vi diciamo che bisogna fare un serio e organico e tempestivo programma di lavori pubblici, avendo di mira in particolare il settore dell’agricoltura. Bisogna dotare le Commissioni, che si sono costituite per il massimo impiego di mano d’opera in agricoltura, dei fondi occorrenti perché esse, che avranno nelle mani la dimostrazione matematica, numerica, della esistenza di quote eccedenti la possibilità di assorbimento locale, provvedano, ove occorra, all’assorbimento in lavori pubblici, in lavori utili per l’agricoltura, in riattazione di strade, con la sistemazione dei nostri porti che sono ancora abbandonati e con la ricostruzione di molte nostre città meridionali che sono ancora distrutte; provvedano – dicevo – ad assorbire e a dare tempestivamente lavoro a chi lo chiede, perché chi chiede lavoro e pane ha diritto di avere l’uno e l’altro, come chi dice che non può sopportare un peso oltre certi limiti dice una cosa giustissima.

A questo punto mi si lasci il diritto di dire che quando noi, rappresentanti del Mezzogiorno, chiediamo quello che io ho chiesto per i braccianti e per gli agricoltori delle nostre zone, altro non domandiamo che un atto di giustizia che ci ponga sullo stesso piano dei nostri amici del settentrione di Italia. Per l’Alta Italia si è tempestivamente provveduto e si continua a provvedere; si continuano a sovvenzionare le industrie ed a tutelare gli operai, a distribuire miliardi, affinché le industrie non crollino, affinché gli operai non siano licenziati. Nel Mezzogiorno non si sono distribuiti miliardi a nessuno, e nessuno li ha cercati; perché nel Mezzogiorno abbiamo una coscienza del nostro dovere che è altissima, e un senso ed una predisposizione al sacrificio che sono del pari altissimi. Si tratta di una giustizia equitativa alla quale abbiamo diritto. (Commenti a sinistra).

Anche nei riguardi degli operai potrei dire che è ingiusto il trattamento fatto agli operai meridionali, perché, se un blocco dei licenziamenti vi è stato, è stato quello per gli operai del Nord, non per quelli del Sud. Ed oggi, mentre si apprestano i mezzi per sbloccare i licenziamenti e quindi per licenziare gli operai delle industrie settentrionali, si prepara un progetto che in definitiva riconoscerà maggiori diritti agli operai del Nord di quelli che spettano e spetteranno agli operai del Sud che siano licenziati.

Gli operai e gli industriali del Nord e gli agricoltori ed i lavoratori del Sud devono essere posti sullo stesso piano.

Mi riprometto di ritornare su questo argomento trasformando la mia interrogazione in interpellanza, perché di questo problema dobbiamo parlare ampiamente, e dobbiamo arrivare ad una conclusione concreta e sodisfacente per tutte le singole categorie della produzione e del lavoro. (Applausi al centro e a destra – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Pastore ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PASTORE RAFFAELE. Non posso dichiararmi sodisfatto, perché l’onorevole Sottosegretario non ha fatto altro che richiamare la cronaca dei fatti di Gravina, senza risalire alle cause.

Anzitutto non bisogna passare sotto silenzio che l’episodio di Gravina non è stato il solo del genere, ma che nello spazio di due settimane è stato preceduto da quelli di Ginosa e di Putignano.

Quali sono le cause? Il Governo doveva saperle. Le organizzazioni operaie delle Puglie, fin dal 1944, hanno presentato ai Ministri competenti del tempo il piano necessario per la trasformazione agraria, onde fare fronte alla disoccupazione che inevitabilmente si sarebbe dovuta verificare, col cessare dei lavori che gli alleati davano a 35.000 braccianti. Se noi continuiamo a lavorare la terra come la si lavorava quaranta o cinquanta anni fa, si capisce che avremo sempre la disoccupazione, che aumenterà di giorno in giorno.

Dalle statistiche ufficiali si rileva che, a fine settembre, noi avevamo in Puglia centocinquantamila disoccupati. In provincia di Bari, coltivandosi la terra come la coltivava mio nonno, che era un agricoltore, si possono impiegare 16 milioni di giornate lavorative in un anno, che, divise per la popolazione agricola, significano 115 giornate per ogni lavoratore all’anno. Domando al Governo: può un bracciante agricolo vivere lavorando soltanto 115 giorni all’anno?

Si parla sempre di lavori pubblici, ma i lavori pubblici non possono risolvere la situazione: una strada, una volta fatta, non si può rifare. Per cui, d’accordo con l’organizzazione dei datori di lavoro, si stabili di impiegare in agricoltura un numero sufficiente di operai, per potere coltivare il terreno razionalmente, almeno in senso relativo. L’accordo stipulato fu consacrato in un decreto prefettizio, che non è stato rispettato. Ma chi non l’ha rispettato? Questo è il nocciolo della situazione; questo è il motivo per cui molte volte i nostri contadini sono costretti a ricorrere allo sciopero per far rispettare gli accordi già conchiusi e sanzionati con provvedimenti delle Autorità.

Ci sono grossi latifondisti, i quali, come diceva il professore Alemanni, si ricordano di essere proprietari di terreni solo il 15 agosto, quando vengono a riscuotere i canoni di affitto. Sono stati proprio questi a ricorrere al Consiglio di Stato contro il decreto prefettizio, facendo dichiarare incostituzionale il provvedimento.

PERRONE CAPANO. Il Governo ha riparato e ha riparato bene.

PASTORE RAFFAELE. Un pochino in ritardo ed in maniera inadeguata, in quanto al provvedimento legislativo sono state messe le pastoie. L’articolo 6 del decreto 16 settembre 1947 n. 929 stabilisce la nomina di una Commissione ministeriale che deve autorizzare i Prefetti ad emettere i decreti; ma quando si costituirà questa Commissione? È necessario che i contadini facciano lo sciopero generale per indurre il Prefetto a chiedere l’autorizzazione ad emetterli? Perché, in linea transitoria, non si concede ai Prefetti la facoltà di provvedere in merito?

MONTERISI. Occorre la riforma agraria.

PASTORE RAFFAELE. Di riforma agraria si parla soltanto in periodo elettorale; ma, poi, in effetti, si rimanda al nuovo Parlamento! Intanto i decreti già emessi sul collocamento della mano d’opera in agricoltura non vengono applicati in nessun paese della Puglia.

C’è un altro decreto; quello Segni per l’occupazione dei terreni incolti. L’onorevole Perrone Capano diceva che in provincia di Bari i terreni sono coltivati. Mi permetto di osservare: non in tutta la provincia. Noi abbiamo esempi, i quali dimostrano che il decreto Segni troverebbe applicazione nella provincia; però, per i suoi difetti, non è applicato, in quanto è imbrigliato dalla magistratura, la quale non fa altro che sabotare lo spirito della legge.

Per esempio: in data 26 giugno una cooperativa domandò l’assegnazione di terreni incolti. La discussione davanti alla Commissione è avvenuta in data 25 settembre, dopo tre mesi! Intanto, non ostante il tempo trascorso, non s’era nemmeno provveduto ad accertare lo stato di coltivazione dei terreni richiesti, e questo, evidentemente, per dar tempo ai proprietari di procedere a lavorazioni affrettate, per fare apparire il terreno come coltivato e far cadere, quindi, la domanda di concessione; ma, nonostante questo, l’ispettorato agrario, in seguito a sopraluoghi, ha dichiarato incolti ben 75 ettari di terreno.

In seguito al decreto prefettizio di occupazione, la cooperativa si recò a prendere possesso della quota assegnata; ma incontrò l’opposizione del proprietario, il quale, però, si dichiarò propenso a venire ad un accordo.

Sentite ora cosa scrive il legale del proprietario alla cooperativa:

«Vi comunichiamo la proposta di massima trasmessaci in questo momento dal nostro cliente signor Carlo Spagnoletti Zeuli…

«Vorrete tener presente la migliore delle ipotesi e sempre che le decisioni a voi favorevoli risultassero legali contro l’impugnativa del proprietario» (notate bene che il decreto prefettizio non è impugnabile, ma il proprietario terriero pugliese lo impugna ugualmente, detta le sue condizioni, se i contadini vogliono la terra, altrimenti non l’avranno). La lettera continua: «Vi converrà dunque confrontare attentamente i vantaggi offerti dalla enunciata soluzione amichevole, con quelli che un atteggiamento intransigente potrebbe offrirvi solo dopo inevitabile giudizio, cui la vostra intransigenza ci costringerebbe, con tutte le lungaggini, le spese e le incognite proprie di ogni vertenza giudiziaria». Questo scrive il legale del proprietario alla cooperativa! In conclusione dice: se volete i terreni, dovete accettare le condizioni offerte dal proprietario, altrimenti faremo causa, perché noi i denari li abbiamo ed andremo per le lunghe finché vi stancherete di spendere! Mi domando quale sia il mezzo che il lavoratore può opporre: egli non ha denaro e combatte il milionario terriero soltanto con la forza fisica, quella forza fisica che il lavoratore è costretto ad adoperare quando si è vista negata la giustizia! Altra volta i decreti prefettizi sono stati annullati dalla Magistratura in provincia di Bari, per cui c’è un’altra mia interrogazione al Ministro di grazia e giustizia.

E passiamo ai piani di trasformazione ed ai consorzi di bonifica.

In provincia di Bari abbiamo due consorzi di bonifica: quello del Locone e Basentello e quello della Silica. Finora per questi due comprensori sono state progettate opere per 850 milioni. I progetti di massima comportano una spesa a carico dello Stato per due miliardi e 457 milioni, mentre lo opere che dovrebbero essere a carico dei proprietari ammontano a sette miliardi: complessivamente dovremmo avere disponibili circa 10 miliardi, coi quali si potrebbe dar lavoro ad un’immensa massa di disoccupati e mettere a coltivazione una grande estensione di terreno.

Però i consorzi di bonifica, così come sono stati istituiti, sono nelle mani dei grossi agrari, che dispongono del voto plurimo, ed essi fanno soltanto eseguire i lavori che sono a carico dello Stato, rimandando l’esecuzione di quelli che sono a loro carico. Si dice che mancano i piani; ma non è vero. Io ho rivolto un’altra interrogazione al Ministro dell’agricoltura, che mi ha risposto che si sta studiando! In provincia di Foggia, ad esempio, c’è un piano già reso esecutivo, compilato dal professor Carrante, attuale direttore per la produzione agricola al Ministero di agricoltura, e dal professor Medici, che non sono certamente dei sovversivi. Perché non si fa eseguire questo piano? Quanti operai potrebbero lavorare, se venisse attuato quel piano? Ma questo non si fa.

Ebbene, venite a vedere, o signori, come dormono i contadini delle nostre aziende pugliesi. Essi non hanno dormitori, e se non si portano un sacco da casa, dormono sulla paglia nuda, coprendosi col mantello, se lo posseggono! Questi sono i problemi meridionali, i quali allontanano il contadino dalla terra.

Ultimamente e ad iniziativa del Consorzio agrario di Bari, abbiamo introdotto nella provincia la coltivazione del tabacco; ma anche in questo non abbiamo trovato comprensione da parte del Governo.

Le domande di concessione avanzate non sono state accolte dalla Direzione dei monopoli, adducendosi il motivo che l’attuale produzione supera il consumo interno. Anche se fosse così, nella provincia si potrebbe coltivare tabacco per l’esportazione. Il direttore dei monopoli della Turchia, che ha visitato il nostro tabacco alla Fiera del Levante, ha dichiarato che gli era venuto il sospetto che quello non fosse tabacco nazionale, ma tabacco d’importazione, date le sue pregiate qualità. Ora, se le qualità che si possono produrre sono talmente pregiate da potersi esportare, perché non autorizzarne la produzione? Si parla tanto di necessità di esportazione che è la valvola di sicurezza per la nostra economia e poi si arresta la produzione del prodotto esportabile!

Con decreto del luglio 1946, n. 31, vengono concessi sussidi per i miglioramenti agrari. Pare che quest’anno il Governo non abbia stanziato nessuna somma per detti miglioramenti; ed i sussidi assegnati l’anno scorso sono stati erogati col contagocce. I contadini devono prima fare i lavori e poi, dopo sei, sette mesi, avere il danaro!

Noi richiamiamo l’attenzione del Governo sul problema della provincia di Bari.

Anche l’Ente della irrigazione, diceva bene l’onorevole Perrone Capano, è stato fatto sulla carta. Quando s’iniziano i lavori per l’irrigazione? Il decreto stesso è anche monco, perché parla di trasformazioni agrarie solo nelle zone da irrigare, mentre ci sono anche 100.000 ettari di terreno nella provincia di Bari – la Murgia – che bisogna trasformare, perché sono incolti e tenuti a pascolo povero.

È necessario che il decreto venga rivisto, se vogliamo effettivamente provvedere ai bisogni di quei lavoratori. Io mi auguro che il Governo voglia prenderli a cuore.

Nell’ultima ripartizione di fondi, la provincia di Bari è stata trattata peggio delle altre. Con 1 milione e 100.000 abitanti e con la densità di popolazione agricola di 200 abitanti per chilometro quadrato, ha ottenuto molto meno delle altre provincie. Ai deputati della provincia, senza distinzione di colore politico, l’altro giorno l’onorevole Tupini ha promesso che avrebbe riparato l’errore in una prossima ripartizione. Noi ci auguriamo che provveda, e subito. Oggi una parte dei lavoratori è occupata nella raccolta delle olive; ma ben presto questo lavoro avrà termine ed allora il numero dei disoccupati salirà. Che diremo a questa massa che non domanda agi, ma solo lavoro per vivere? Le organizzazioni operaie non avranno la possibilità di evitare incidenti. Allora il Governo sarà costretto ad intervenire. Non sarebbe meglio prevenire i tumulti?

Mi auguro che esso voglia tener presente queste nostre osservazioni e provvedere. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Trulli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TRULLI. Siamo in sede di interrogazione, e a noi non rimane che dichiararci più o meno sodisfatti. È come se volessimo richiudere la prima parte di un libro, che si riaprirà poi; anzi, onorevole Sottosegretario di Stato, ho il dispiacere di dirle che non è improbabile che lei dovrà forse occuparsi ancora di questa dolorosa vicenda: come una metastasi la situazione si è spostata e si sposterà. La mia interrogazione porta una indicazione precisa a questo riguardo: ad Altamura già vi sono i primi segni premonitori di un nuovo sciopero; e voglio raccomandare ai rappresentanti dell’autorità tutoria di esercitare principalmente la loro mansione sotto il profilo spirituale. L’onorevole Pastore sa che io non parlo a nome dei proprietari e degli agricoltori; egli sa che io sono soltanto un lavoratore. I proprietari, gli agricoltori – questa è la situazione – vorrebbero arrivare ad una soluzione; ma appena essi muovono qualche rilievo, fanno qualche critica alle richieste dei lavoratori, questi ultimi (e mi assumo la responsabilità di quello che affermo in questo momento) rispondono preannunciando il ripetersi dei fatti di Gravina. Questa è la dura, l’amara realtà, onorevole Sottosegretario di Stato.

Sono d’accordo perfettamente con l’onorevole Perrone Capano. I problemi locali sono in quelle zone gravissimi, e bisogna discuterli sotto il profilo tecnico, così come hanno fatto sia l’onorevole Perrone Capano che l’onorevole Pastore; bisogna allora trasformare queste interrogazioni in interpellanze.

Devo concludere con la raccomandazione al Governo di occuparsi una buona volta dei problemi del Mezzogiorno, che attendono ancora e sempre di essere risolti. Non voglio parlare di sperequazione, fra Nord e Sud, perché questo argomento è doloroso per tutti noi italiani; ma faccio un appello vivissimo, un appello che parte dal cuore di un figlio di lavoratori, affinché il Governo si occupi del Mezzogiorno, che rimane l’eterno trascurato. Signori del Governo, vi dovete render conto di questa verità: che nel bilancio dei milioni che affluiscono dalle Casse dello Stato al Nord e al Sud vi è sempre una passività a danno dell’Italia meridionale.

E una raccomandazione vorrei fare al collega Pastore. Grave è la nostra situazione. Vi è una esuberanza di manodopera; vi è una relativa indifferenza da parte del Governo. Ma, per carità, in nome del nostro sventurato Paese, a questa povera gente che ha fame, che ha veramente fame, portiamo la nostra voce di pacificazione. Non eccitiamo le folle, onorevole Pastore, non le eccitiamo, mettiamoci nella condizione che la popolazione non reagisca, assalendo la forza pubblica che interviene, come è intervenuta a Gravina, per mettere pace e per evitare che il sangue italiano sia per mano fraterna fatto scorrere sulle nostre piazze. Portiamo una buona volta a quelle popolazioni una nostra parola di pacificazione: faremo con ciò opera veramente meritoria nei confronti dei nostri buoni, generosi lavoratori, che hanno bisogno di essere assistiti, ma che alle invocazioni alla concordia sono sempre state sensibili.

Rinnovo al Governo la raccomandazione di preoccuparsi e di occuparsi delle condizioni delle popolazioni del Mezzogiorno, specialmente alla vigilia dell’inverno. E da noi, onorevole Sottosegretario, l’inverno è duro; e lo sarà specialmente quest’anno.

Si preoccupi il Governo, provveda ed avrà fatto opera meritoria, veramente fattiva, nei confronti del Mezzogiorno. (Applausi).

PRESIDENTE. Le seguenti interrogazioni sono rinviate a domanda dei Ministri interessati:

Caso, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere come intenda sistemare giuridicamente la posizione di alcuni insegnanti delle scuole di avviamento al lavoro, i quali, non essendo di ruolo, non godono dei benefici di legge pur prestando a volte per decenni il loro incondizionato servizio allo Stato; e se non ritenga opera di giustizia promuovere un decreto legislativo che parifichi agli altri funzionari statali il trattamento da farsi doverosamente agli insegnanti delle scuole di avviamento al lavoro»;

Martino Gaetano, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere le ragioni che hanno indotto l’Alto Commissario per l’alimentazione a rifornire l’Italia meridionale, ed in particolare la città di Messina, di pasta alimentare (fabbricata nei pastifici dell’Italia settentrionale) piuttosto che di grano, arrecando così un grave danno alle maestranze ed alle industrie locali».

È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni all’ordine del giorno.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:

«Al Ministro del tesoro, per conoscere se, dinanzi all’attuale situazione del mercato dei titoli, evidentemente pregiudizievole all’economia nazionale, non gli risulti che esista una larga speculazione al ribasso, di cui potrebbe essere indice l’entità delle vendite allo scoperto; e se, nel caso affermativo, non creda opportuno adottare urgenti provvedimenti, ivi compreso quello di rendere obbligatoria l’effettiva consegna dei titoli da parte del venditore al momento stesso della vendita.

«Marinaro».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non ritenga necessario ed urgente di procedere, oltreché al nuovo censimento demografico (l’ultimo si ebbe 11 anni fa), ad un censimento industriale e commerciale, o almeno ad un’estesa inchiesta industriale che consenta una conoscenza esatta delle attuali condizioni e dell’attuale struttura della attrezzatura produttiva del Paese, dell’occupazione, delle esigenze di rammodernamento degli impianti, dell’ampiezza della riconversione effettuata o da effettuarsi.

«Tremelloni».

«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se si è già fatto, o s’intende fare, con la sollecitudine che le condizioni attuali richiedono, un approfondito esame delle possibilità di occupazione e di migrazione, riassunto in un organico «bilancio umano», odierno e prospettico, che consenta di evitare forti e improvvise sproporzioni tra le risorse lavorative disponibili e quelle occupate; e per sapere a che punto sono gli studi per un piano organico di rieducazione e di qualificazione professionale, cui più volte si è accennato nei dibattiti parlamentari.

«Tremelloni».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo si riserva di far sapere quando intenda rispondere a queste interrogazioni.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga giusto ed opportuno, previa, occorrendo, abrogazione della legge 24 giugno 1929, n. 1112, che dava facoltà ai Comuni e alle Provincie di dispensare dal servizio il personale di ruolo per qualsiasi motivo di inidoneità, senza obbligo della preventiva comunicazione agli interessati dei motivi e delle cause della dispensa e colla sola indicazione, anche generica, della causa della dispensa nel relativo provvedimento, concedere ai funzionari dispensati in base a tale legge, di riaprire il giudizio colla garanzia della procedura ordinaria (contestazione dell’addebito, commissione di disciplina, ricorso, ecc.), affinché sia consentita una riparazione anche a quei dispensati senza giusto motivo che, non potendo dimostrare di essere stati dispensati esclusivamente per motivi politici, non possono valersi del disposto del decreto 6 gennaio 1944, n. 9.

«Grilli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i motivi che hanno portato alla destituzione dell’avvocato Gerardo Marchese da segretario del Comitato provinciale U.N.R.R.A. di Potenza.

«Mancini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga conveniente ed utile provvedere con legge alla revoca di tutti i titoli nobiliari conferiti durante il regime fascista e, nella assoluta maggioranza, per benemerenze di carattere esclusivamente politico.

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere per quali ragioni le promesse fatte, con la risposta data il 19 giugno 1947 dal Ministro all’interrogante, non siano state in nessun modo mantenute; tanto che sulla linea Roma-Cassino le condizioni di viaggio, sia per lo stato delle vetture, sia per i continui ritardi di orario, sono – specialmente di fronte all’approssimarsi dell’inverno – addirittura intollerabili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per sapere se la Ragioneria generale dello Stato, come organo esecutivo, abbia la facoltà di trasformare con norme interne le disposizioni legislative, come è avvenuto con la circolare 21 marzo 1947, n. 117491, la quale nega il compenso per lavoro straordinario ai funzionari dello Stato che sono in missione, adducendo che essi non hanno limitazione di orario per l’incarico ricevuto e che l’indennità di missione rimunera globalmente tutte le prestazioni inerenti all’incarico, mentre l’articolo 5 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 19, precisa con quali assegni non è cumulabile il compenso per lavoro straordinario.

«L’indennità di missione non è compresa tra gli assegni non cumulabili, ed è perciò che nel caso citato, è stata violata la legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fabriani».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti siano allo studio del Governo onde assicurare a coloro che sono privi della vista – i quali si dibattono molto spesso nella più grave indigenza – un lavoro od una assistenza di carattere continuativo, e ciò anche in esecuzione dei principî di solidarietà umana che sono consacrati nella nuova Costituzione. E per conoscere, inoltre, quali provvedimenti siano allo studio per riattivare l’Ente nazionale lavoro per i ciechi di Firenze. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Costantini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali provvidenze il Governo intenda attuare nei confronti dei beni dei nostri emigrati in Brasile, posti sotto sequestro. Sono note infatti le favorevoli disposizioni d’animo di buona parte dell’opinione pubblica brasiliana a questo riguardo e la necessità che il Brasile ha di favorire la corrente immigratoria italiana, che tanto incremento ha fornito allo sviluppo, in ispecie agricolo, del paese e che di certo non potrebbe mai svilupparsi nel clima di sfiducia creato dal suddetto provvedimento; ma non si conosce se e che cosa il Governo italiano abbia fatto al fine di una favorevole soluzione del problema che pure riveste notevole importanza nel quadro delle relazioni fra i due paesi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno che il Ministero chiarisca l’interpretazione da dare all’articolo 50 della legge 1° settembre 1947, n. 828, istitutiva della imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. Infatti, mentre il decreto legislativo luogotenenziale 12 marzo 1945, n. 70, istitutivo degli ultimi buoni del tesoro 5 per cento scadenti il 1° aprile 1950, stabiliva all’articolo 3, comma terzo, che detti buoni saranno accettati come contante in base al prezzo di emissione più interessi maturati in pagamento di una eventuale futura imposta personale straordinaria sul patrimonio, nell’attuale legge nessun cenno è fatto dei buoni del tesoro poliennali, creando lunghe ed incresciose discussioni con l’Amministrazione finanziaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere se e quando intendono intervenire in favore del comune di Battipaglia (Salerno), il quale vede frustrata ogni iniziativa di ricostruzione del centro abitato dall’abbandono in cui versa un quartiere completamente demolito nel 1943, dove sorgevano le case di proprietà demaniale, di cui ora rimangono le aree ricoperte di detriti e sporcizie. Le proposte avanzate dall’Amministrazione comunale per ottenere la cessione dei ruderi si arenarono per intralci burocratici, e il Genio civile non ha preso alcuna utile iniziativa. Si impone da parte del Governo un intervento tempestivo ed energico per motivi di igiene, di estetica ma soprattutto per dare a centinaia di famiglie che vivono in condizioni di indescrivibile e incredibile disagio un alloggio decoroso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per chiedere se, dinanzi alla persistente, allarmante deviazione degli spiriti – fatta evidente dal succedersi di attentati alla vita dei singoli ed alla sicurezza collettiva e da sintomatiche manifestazioni di intolleranza, precorritrici di guerra civile – non ritenga di dover sottoporre all’esame dell’Assemblea Costituente provvedimenti di emergenza comprensivi della pena di morte, che – applicata con procedura rapida – ove le responsabilità siano palesi o confesse, sarà atto di giustizia esemplare, capace di contenere lo scatenarsi degli istinti primordiali, che minacciano la stessa convivenza civile.

«Altre speciali provvidenze, suggerite dalle supreme esigenze di ricostruzione della vita associata, dovrebbero tendere alla totale pacificazione interna – alla bonifica ed alla tutela dell’infanzia abbandonata – alla difesa del costume e ad assicurare la già invocata integrale oculata e vigile applicazione della legge sulla stampa, per la estrema difesa della società nazionale, insidiata nei superstiti valori morali.

«Di Fausto».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Anche l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Governo non vi si apponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 19.20.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane. (24). – Relatore De Palma.

Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’organizzazione del Lavoro. (25). – Relatore Villani.

Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947. (29). – Relatore Piemonte.

Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33). – Relatore Bozzi.

Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9). – Relatore Colitto.

Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21). – Relatore Cevolotto.

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 25 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXIII.

SEDUTA DI SABATO 25 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Corbino

Condorelli

Clerici

Di Vittorio

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nobile

Moro

Tosato

Romano

Bozzi

Laconi

Presentazione di una relazione:

Cevolotto

Presidente

Sull’ordine del giorno:

Scoccimarro

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 10.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Cotellessa e Schiavetti.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Iniziamo l’esame dell’articolo 92. Se che dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio economico nazionale, composto nei modi stabiliti dalla legge, è organo di consulenza del Parlamenti e del Governo in materia economica; ed esercita le altre funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti; L’onorevole Nitti ha proposto di sopprimerlo. Non essendo presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Anche l’onorevole Corbino ha proposto di sopprimere l’articolo.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CORBINO. Il problema del quale si tratta ha una importanza rilevante dal punto di vista dell’assetto amministrativo e tecnico-economico del Paese; ma non credo che, malgrado tale importanza rilevante, esso debba trovare una enunciazione esplicita nella Carta costituzionale. Noi abbiamo in Italia una lunga, magnifica tradizione in materia di organi consultivi.

Basta ricordare il Consiglio superiore dell’industria, il Consiglio superiore del commercio, il Consiglio superiore dell’agricoltura, la Commissione consultiva per la pesca, la Commissione permanente per l’industria della seta, il Consiglio superiore del lavoro con gli uffici del lavoro, che allora avevano carattere completamente diverso da quello che hanno oggi; in quanto che erano veramente e semplicemente organi consultivi, per tutto ciò che concerne la legislazione sociale. Quindi, anche senza esplicito riferimento costituzionale, abbiamo sempre avuto organi consultivi necessari e sufficienti per dare al Governo e al Parlamento i mezzi di studio dei problemi economici più gravi del Paese. Tanto meno poi appare la necessità di creare attraverso la Carta costituzionale un organo speciale a questo scopo, quando si tenga presente che abbiamo dato ad ogni Camera un potere d’inchiesta, che non ha neanche il limite nel consenso dell’altra Camera; di modo che il Parlamento può, o attraverso organi permanenti, o attraverso organi transitori predisporre tutte le indagini di cui esso senta la necessità per lo studio continuo dei problemi economici.

Ecco perché io penso che non convenga assolutamente cristallizzare, con una formula che potrebbe rispondere alla necessità di oggi, ma potrebbe non rispondere alle necessità future, la strutturarle competenze, gli attributi di un organo consultivo di questa natura. In subordinata alla proposta di soppressione, io presento una proposta di rinvio, nel senso di coordinare la proposta della Commissione relativa alla creazione del Consiglio economico nazionale, alla proposta di articolo aggiuntivo che porta la firma degli onorevoli Di Vittorio, Bitossi, Bibolotti.

Evidentemente, l’emendamento ora presentato dall’onorevole Clerici vuol essere forse un primo tentativo di coordinare la proposta Di Vittorio con quella dalla Commissione. Per l’estrema complessità della materia converrebbe dar tempo alla Commissione per studiare fino a qual limite possa giungere l’iniziativa legislativa,, della quale parla l’onorevole Clerici – collegandosi probabilmente con la richiesta di riconoscimento del diritto di contribuire direttamente all’elaborazione di una legislazione sociale, di cui all’articolo proposto dal collega Di Vittorio – e per decidere se accogliere l’idea di inserire nel Consiglio economico nazionale un Consiglio economico del lavoro. Comunque, se le mie proposte di soppressione o di rinvio non dovessero essere accettate, in sede di discussione del testo della Commissione o dell’emendamento dell’onorevole Clerici, vedremo come trovare un accordo tra le varie correnti.

PRESIDENTE. Lei fa una questione formale ed immediata di questa sua proposta di rinvio?

CORBINO. Non è una questione immediata. È una delle proposte che potremo poi prendere in esame.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Consiglio economico nazionale, composto nei modi stabiliti dalla legge, è organo di consulenza del Parlamento e del Governo in materia economica.

«In tale materia può esercitare l’iniziativa prevista dall’articolo 68.

«Esso esercita anche tutte le funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

«Aggiungere il seguente comma:

«In ogni Regione è costituito un Consiglio economico regionale, composto nei modi stabiliti dalla legge.

«Il Consiglio economico regionale è organo di consulenza dei pubblici poteri nelle materie interessanti l’economia regionale, ed esercita tutte le altre funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerli.

L’onorevole Bertone ha proposto di sopprimere l’articolo. Non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgere l’emendamento.

Gli onorevoli Quintieri Quinto, Condorelli, Lucifero e Fabbri hanno presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: Il Consiglio economico nazionale, aggiungere: degli esperti».

L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgerlo.

CONDORELLI. È per rendere più ampia la possibilità di scelta, perché ci sono dei tecnici che forse non si potrebbero considerare dei tecnici economici (per esempio gli ingegneri e gli agronomi), per rendere perciò più ampia la scelta anche tra queste persone è per aderire ad una richiesta, che è venuta dall’ordine degli ingegneri che è stato presentato il nostro emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Il Consiglio economico e del lavoro, composto, nei modi stabiliti dalla legge da tecnici e da rappresentanti delle categorie produttive, è l’organo di consulenza del Parlamento e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono dalla legge attribuite; ha l’iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione sociale, secondo i principi od entro i limiti stabiliti dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Onorevoli colleghi! Il mio emendamento non ha bisogno di molti chiarimenti, anche perché, come con la solita acutezza ha osservato or ora l’onorevole Corbino, esso tende a conglobare tutto quanto vi è di vitale e di nuovo nell’articolo aggiuntivo presentato dagli onorevoli Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti.

Ma io credo, onorevole Corbino, che, come il secolo scorso si è aperto con la istituzione da parte di Napoleone della Corte dei conti e del Consiglio di Stato – che non erano novità in modo assoluto, ma furono relativamente una novità rispetto alle istituzioni del passato – così a metà di questo secolo, che è per eccellenza e dovrà essere sempre più il secolo del lavoro, sia opportuno che, sia pure in termini generici, adatti e conformi ai lineamenti severi della Costituzione, sia anche stabilito il «Consiglio economico e del lavoro», che acquista un’importanza ben diversa e maggiore, ed in ciò sta la novità, da quelli che erano i vari Consigli consultivi in epoca prefascista e da quelli stessi che rimarranno più limitati e specifici, presso i vari Ministeri.

lo ho proposto la terminologia «Consiglio economico e del lavoro», per dire con un termine vasto e comprensivo che questo Consiglio potrà, com’è evidente – come è già avvenuto con l’esperimento fatto qualche settimana fa a Roma – e sta per rinnovarsi a Milano – suddividersi in tante sezioni e in tanti uffici, quanti man mano lo svolgimento del tempo e delle circostanze suggeriranno e richiederanno.

Ritengo che il termine «Consiglio economico e del lavoro» dia pienamente soddisfazione a quelle, per me legittime e sacrosante aspirazioni, di cui si sono resi interpreti gli onorevoli Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti nel loro articolo aggiuntivo non ancora da essi illustrato.

Ed ecco il mio emendamento. Non è pubblicato, quindi mi permetto di leggerlo: «Il Consiglio economico e del lavoro, composto, nei modi stabiliti dalla legge» (quindi vi è tutta la possibilità dell’evoluzione in sede amministrativa e legislativa secondo i suggerimenti e le esperienze) «da tecnici» (per parte mia nessuna difficoltà a dire esperti in luogo di tecnici; anzi trovo che l’osservazione dell’onorevole Condorelli merita accoglimento e si può sostituire alla parola tecnici quella di esperti che è più larga) «e da rappresentanti delle categorie produttive» (questo è il nocciolo della proposta degli onorevoli sindacalisti Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti) «è l’organo di consulenza del Parlamento e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono dalla legge attribuite» (anche qui il solito concetto di adeguare man mano la legislazione alle necessità, emergenze ed opportunità future) «ha l’iniziativa legislativa» (cosa che mi sembra non dover stupire perché all’articolo 68 abbiamo riconosciuto ampiamente questa iniziativa legislativa ad organi ed enti) «e può contribuire alla elaborazione della legislazione sociale secondo i principî ed entro limiti stabiliti dalla legge». (Anche qui vi è la parte sostanziale della proposta degli onorevoli Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti).

È un articolo, quindi, questo da me proposto che, a mio avviso, dovrebbe essere votato ed avrebbe ragione di avere collocazione nella nostra Costituzione, così come gli altri che indicano le diverse istituzioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Tale Consiglio economico e del lavoro sarà adunque, un organo nuovo, che si svolgerà nel tempo. La Costituzione deve però preannunciarlo ed in certo modo prefigurarlo.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Di Vittorio, Bitossi e Bibolotti hanno presentato il seguente articolo aggiuntivo:

«Ai sindacati è riconosciuto il diritto di contribuire direttamente alla elaborazione di una legislazione sociale adeguata ai bisogni dei lavoratori e di controllarne l’applicazione mediante la costituzione di un Consiglio nazionale del lavoro elettivo, nel quale saranno rappresentati il Governo e le categorie produttrici in misura che tenga conto della loro efficienza numerica».

L’onorevole Di Vittorio ha facoltà di svolgerlo.

DI VITTORIO. Constato con soddisfazione che l’emendamento proposto dall’onorevole Clerici si approssima moltissimo nella sostanza a quello da me proposto.

Vorrei domandare all’onorevole Clerici se non sia possibile fare lievi modifiche al suo emendamento. La prima modifica che propongo è questa: nella dizione dell’onorevole Clerici si dice «Consiglio economico e del lavoro»; io sopprimerei «e» e direi «Consiglio economico del lavoro», in modo che sia possibile comprendere le due idee senza subordinazione dell’una all’altra.

L’altra modifica che propongo è più sostanziale, ed è quella di aggiungere, quando si accenna alla composizione di questo Consiglio, un accenno alla misura della rappresentanza delle categorie produttrici. La frase che vorrei aggiungere è la seguente:

«In misura che tenga conto della loro importanza numerica».

Le categorie produttrici, che possono a giusto titolo essere chiamate a far parte di questo Consiglio economico del lavoro sono numerose, e non tutte hanno la stessa importanza, né dal punto di vista numerico, né da quello produttivo. Allora, è giusto che questa rappresentanza si ispiri, almeno in misura largamente approssimativa, al concetto di una rappresentanza proporzionale in base alla importanza effettiva che ha nel processo produttivo dell’economia del Paese ciascuna categoria.

Ma io non voglio tacere la preoccupazione fondamentale che ho e che è la seguente: era invalso, specialmente in Italia, il costume di considerare (specialmente nel regime corporativo fascista) tutte le categorie di lavoratori e datori di lavoro in condizioni di assoluta eguaglianza, anche nei casi in cui la categoria dei lavoratori, per esempio, rappresenti interessi vitali di un milione di persone, quella dei datori di lavoro rappresenti interessi, altrettanto legittimi, ma di cento persone.

Io comprendo che vi è anche una differenza nella natura di questa rappresentanza, ma io penso che in un regime democratico, il numero delle persone che bisogna considerare, deve avere una importanza ed un riconoscimento perché, se anche una piccola categoria di cittadini ha una importanza particolare in rapporto al capitale che può rappresentare, è anche vero che, se un’altra categoria è tanto vasta da rappresentare una parte imponente della Nazione, abbia un’importanza proporzionata al suo numero.

Perciò io proporrei questo emendamento, e, poiché credo che non sia in contrasto con i principî sociali della parte a cui appartiene l’onorevole Clerici, credo che possa essere accettato anche da lui, almeno questo è l’augurio che io mi faccio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini per esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’Assemblea ricorda che nel progetto della Commissione era, all’articolo 92, contemplata l’istituzione di un Consiglio economico, come organo di consulenza del Parlamento e del Governo in materia economica, con le attribuzioni che la legge avrebbe stabilito. Quando arrivammo al Titolo dei «rapporti economici» nella prima parte della Costituzione, l’onorevole Di Vittorio ed altri colleghi proposero un articolo che riguardava i sindacati, riguardava il mondo del lavoro, e stabiliva che i sindacati avrebbero avuto il diritto di partecipare alla elaborazione della legislazione sociale nei modi che sarebbero stati regolati dalla legge. L’Assemblea accolse il concetto dell’articolo proposto e rinviò, per un coordinamento, la definizione di questa materia a quando si sarebbe trattato del Consiglio economico. Il momento è venuto.

Temevo che non potesse realizzarsi per oggi un pieno accordo. Ma pei contatti presi, comunicando a vari colleghi una bozza di testo, credo di esservi riuscito. La proposta dell’onorevole Clerici corrisponde, quasi in tutto, alle aspirazioni dell’onorevole Di Vittorio.

Si parte anzitutto dal concetto che non vi debbano essere due organi e due Consigli nazionali separati: quello economico e l’altro del lavoro. È indispensabile un coordinamento di tutta la vita economica e di tutte le questioni del lavoro. Vi potranno essere due sezioni, più sezioni; ma il Consiglio deve essere uno.

Quanto al nome, io personalmente non avrei alcuna difficoltà a chiamarlo «Consiglio economico del lavoro»; perché ciò corrisponde alle mie vedute sopra l’economia del lavoro, che ormai sostituisce quella del capitalismo storico. L’espressione «Consiglio economico del lavoro» corrisponderebbe poi, e riprenderebbe i motivi fondamentali di repubblica fondata sul lavoro, che aprono, come le prime note di una sinfonia, la nostra Costituzione. Ma io non farò mai battaglia per un nome; sono così poco nominalista io! Ciò che importa è la realtà e la concretezza.

L’onorevole Clerici propone di aggiungere un «e»; «Consiglio economico e del lavoro». Non faremo la battaglia dell’«e». L’onorevole Clerici può aver le sue ragioni; temendo che col mettere soltanto «del lavoro» sembrino esclusi i problemi del commercio, dell’industria e di altri settori; (il che per verità non è, dato il modo in cui va compresa la formulazione: «economia del lavoro»). A dirimere ogni dubbio si potrebbe adottare l’espressione: «Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro». Scegliete pure. Se volete, ve ne troverò degli altri. Per non decidere in fretta, potreste lasciare la scelta del nome al momento finale di revisione e di coordinamento del testo della Costituzione.

Un’altra differenza fra l’onorevole Clerici e l’onorevole Di Vittorio c’è; in quanto l’onorevole Di Vittorio ammette bensì che facciano parte del Consiglio anche periti o esperti (si potrebbe accettare quest’ultima espressione «esperti» di un altro emendamento), ma domanda che nel testo dell’articolo si indichi che per le rappresentanze delle categorie produttive si tenga conto della consistenza numerica. Il criterio di distinguere fra categoria e categoria di lavoratori, e fra categoria e categoria di imprenditori, è evidentemente, giusto; ma dà luogo a controversie e dubbi rilevanti, se si vuol trasportare alla proporzione reciproca, ramo per ramo, di lavoratori e di imprenditori; una grossa azienda in società anonima non può contare per uno ed i suoi operai per centomila. Quando si discusse la formazione del Senato, i democristiani, sostenendo la rappresentanza organica, misero avanti il criterio quantitativo del numero, ma aggiunsero l’altro della qualità. Non è detto che non si potrebbe raggiungere un accordo, combinando i due criteri; ma la formula che si otterrebbe sarebbe estremamente generica; e l’ascerebbe l’adito ad incertezze ed a dubbi; potrebbe spaventare e potrebbe essere innocua. Ciò che importa è di vedere le soluzioni concrete, le proporzioni effettive di rappresentanze; e sarebbe meglio non dir nulla nella Costituzione, e rimandare la questione alla legge istitutiva del Consiglio nazionale.

Ciò che importa è che oggi decidiamo, e mettiamo nella Costituzione, il principio del Consiglio economico del lavoro, che esiste in tanti altri paesi, e che sarà sinteticamente espresso, nell’articolo che adotteremo, in modo da poterlo configurare con un tipo nostro ed italiano. Si realizzerà così una delle tenaci aspirazioni, che ho manifestato nei miei libri e nella mia attività, dal 1906 in poi.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Vorrei domandare all’onorevole Clerici se accoglie il mio emendamento nel suo.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha facoltà di rispondere alla richiesta dell’onorevole Di Vittorio.

CLERICI. Aderisco al punto di vista dell’onorevole Ruini particolarmente per quanto riguarda il secondo degli emendamenti che l’onorevole Di Vittorio ha avuto l’amabilità di propormi. Ritengo poi che debba essere lasciato alla legge, che sicuramente andrà evolvendosi secondo le necessità sociali che si svolgeranno in futuro, lo stabilire la proporzione delle diverse categorie e classi rappresentate.

Per la verità, onorevole Di Vittorio, non ho ben capito il concetto da lei sostenuto circa la diversa misura ed il diverso valore delle rappresentanze. Lei intende riferirsi da una parte ai datori di lavoro e dall’altra ai datori di opera, oppure intende il diverso peso sociale ed economico delle diverse categorie produttrici, per esempio i metallurgici di fronte ai fabbricanti di guanti, oppure intende altri concetti?

DI VITTORIO. L’uno e l’altro.

CLERICI. Ma, in realtà, onorevole Di Vittorio, occorre, per non sopravalutare codesta sua preoccupazione, tener presente che siamo davanti ad un organo per ora soltanto consultivo. Io ho viva fede in un parlamento futuro – scusatemi il termine – corporativo (corporativo nel senso buono, sano e democratico della parola); ho perciò molta fiducia che l’organo che noi stiamo per istituire darà larghi frutti in prosieguo di tempo. Ora però non dobbiamo dimenticarci che è un organo consultivo, e in un organo consultivo non ha tanto valore il numero dei rappresentanti quanto il fatto che il numero sia rappresentato. Ciascun rappresentante varrà per quello che esso rappresenta e socialmente e politicamente. I diversi valori di tutte queste rappresentanze saranno secondo il merito valutati e dal Governo e dal Parlamento. Io vorrei quindi pregare l’onorevole Di Vittorio di rimettere tutto questo alla futura legge, la quale presenta maggiori possibilità di modificazioni, e cioè di evoluzione e di progresso.

Quanto poi al primo punto, io riterrei essenziale – e in ciò dissento alquanto anche da ciò che ha detto, con ispirito conciliativo superiore, l’onorevole Presidente Ruini – la particella «e»; essa ha importanza, giacché noi non costituiamo soltanto un consiglio economico del lavoro. Infatti il lavoro, pur avendo, come è indubbio, grandissima importanza nel mondo nostro, e pertanto meritando giusto riconoscimento secondo lo stesso spirito che ci ha animato, come ha poc’anzi ricordato l’onorevole Ruini, nella redazione dei primi articoli della Costituzione, il lavoro dicevo, non è tutto, non può essere tutto: l’economia è più vasta; essa è una direttiva, il lavoro attuazione, indubbiamente una delle principali attuazioni; ma esso non può annullare – e non lo potrebbe neppure in un regime comunista – gli altri settori, le altre categorie della economia. Vi sarà infatti un settore della produzione, uno della circolazione, uno del credito, uno per l’emigrazione, ed altri, ciascuno con singole necessità e problemi, ai quali bisognerà provvedere.

Resto quindi fermo nella mia proposta di denominare tale organo «consiglio dell’economia e del lavoro» o di usare altro termine che esprima i concetti che or ora ho avuto l’onore di esporre.

DI VITTORIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Aderisco alla formulazione suggerita dall’onorevole Ruini. Per quanto riguarda poi l’altra mia proposta non avrei difficoltà a rinviarla alla legge. Osservo però che non si tratta di una questione di secondaria importanza.

CLERICI. È una questione importantissima.

DI VITTORIO. È una questione di principio, che io vorrei tosse affermata nella Costituzione, la quale ha appunto il compito di fissare determinati principi ai quali si dovrebbe ispirare il nuovo Parlamento, ai quali si dovrebbe ispirare la legislazione della Repubblica italiana.

Ora, io vorrei affermare il principio che non è vero che in tutti gli organismi dello Stato in cui si tratti di interessi di varie categorie di cittadini e di produttori, gli interessi dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro siano eguali, anche se gli uni sono un milione e gli altri sono, poniamo, dieci o cento. Non è vero questo: non è vero perché, intanto, gli interessi di un milione di persone sono interessi di carattere collettivo, di carattere sociale, mentre quelli di dieci o di cento persone possono anche essere interessi egoistici, anche se legittimi, e, in taluni casi, anche di carattere antisociale, cioè contrastanti con gli interessi generali della società.

Non è giusto quindi porli, in una Costituzione democratica, sullo stesso piano di uguaglianza. Perciò l’affermazione di questo principio potrebbe servire a dare un indirizzo più democratico alla nostra futura legislazione e ad estendere questo criterio anche alle altre categorie, che non siano quelle contrapposte dei lavoratori e dei datori di lavoro, come, ad esempio, quella cui alludeva l’onorevole Clerici. C’è infatti una differenza fra, poniamo, la categoria dei guantai e quella dei metallurgici. Io non vorrei dilungarmi poi a discutere l’osservazione, che, se ben ricordo, in una riunione della Commissione dei Settantacinque, aveva fatto l’onorevole Moro, il quale esprimeva la preoccupazione che nella mia enunciazione il numero potesse essere con rapporto alla qualità. Se fosse così, aggiungerei anche: «tenendo conto dell’importanza numerica e qualitativa», appunto per chiarire che, non intendo contrapporre il numero alla qualità, non intendo soffocare la qualità per il numero.

Del resto, la formula che ho suggerito è molto larga, molto tenue: si dice: «in misura che tenga conto»; quindi non si tratta di fissare un principio rigido, una proporzionale pura, assoluta, ma affermare nella maniera più tenue possibile il principio che non è vero che gli interessi di dieci persone equivalgono agli interessi di un milione o anche di dieci milioni di persone nella società democratica italiana.

È per queste ragioni che io insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Allora, onorevole Di Vittorio, del suo testo di articolo aggiuntivo, che si riconnette a questo articolo 92, lei conserverebbe l’ultima frase: «in misura che tenga conto della loro efficienza numerica».

DI VITTORIO. Sì, onorevole Presidente, ma vorrei aggiungere, per il motivo che ho già spiegato, «e qualitativa»; appunto per dissipare la preoccupazione che è affiorata.

RUINI, Presidente della Commissione per a Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che i due presentatori degli emendamenti sarebbero d’accordo nell’accettare il nuovo titolo: Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

PRESIDENTE. Abbiamo, dunque, onorevoli colleghi, il testo presentato dall’onorevole Clerici, che la Commissione ha accolto come base della votazione.

Al testo dell’onorevole Clerici la Commissione ha dichiarato di includere la proposta dell’onorevole Condorelli, sostituendo, cioè, alla parola «tecnici», la parola «esperti»; e l’onorevole Clerici ha accettato questa modificazione.

Vi è poi la modificazione proposta dal Presidente della Commissione, di sostituire il termine «Consiglio economico e del lavoro» con quello di «Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro», accogliendo, così, anche una delle proposte dell’onorevole Di Vittorio, il quale ha dichiarato di accettare questa formula definitiva.

Resta poi da votare in modo particolare la proposta dell’onorevole Di Vittorio di inserire, al punto in cui si parla delle categorie produttive, le seguenti parole; «in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa».

Allora pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Clerici, con le modificazioni accettate dal proponente:

«Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, composto nei modi stabiliti dalla legge, da esperti e da rappresentanti delle categorie produttive».

(È approvata).

Passiamo ora alla votazione dell’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Di Vittorio, del seguente tenore:

«in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Mi sembra inammissibile che una questione così importante possa essere decisa da un’Assemblea così poco numerosa. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Nobile, non ci sono dissensi su questo punto. (Approvazioni).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Di Vittorio, riprendendo un concetto già espresso nel nostro ordine del giorno.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Di Vittorio: «in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa».

(È approvato).

Pongo in votazione le seguenti parole: «è l’organo di consulenza del Parlamento e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono dalla legge attribuite».

(Sono approvate).

Pongo in votazione l’ultima parte del testo proposto dall’onorevole Clerici:

«ha l’iniziativa legislativa e può contribuire all’elaborazione della legislazione sociale secondo i principî ed entro i limiti stabiliti dalla legge».

(È approvata).

Pertanto il testo dell’articolo 92 risulta nel suo complesso, così approvato:

«Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro composto, nei modi stabiliti dalla legge, da esperti e rappresentanti delle categorie produttive in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa, è l’organo di consulenza del Parlamento e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono dalla legge attribuite; ha l’iniziativa legislativa e può contribuire all’elaborazione della legislazione sociale secondo i principî ed entro i limiti stabiliti dalla legge».

L’onorevole Corbino ha proposto il seguente articolo aggiuntivo 86-bis:

«Il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica».

L’onorevole Corbino ha fatto presente che nel testo della Costituzione è previsto il giuramento per il Presidente della Repubblica, ed egli ritiene che sia necessario prescriverlo anche per il Presidente del Consiglio e per i Ministri. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il pensiero della Commissione.

TOSATO. La Commissione accetta la proposta dell’onorevole Corbino.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo aggiuntivo dell’onorevole Corbino testé letto.

(È approvato).

Passiamo all’articolo 93. Se ne dia lettura.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione.

La Corte dei Conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e quello anche successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo dello Stato sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente al Parlamento sul risultato del riscontro effettuato.

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza degli istituti suddetti e dei loro componenti di fronte al Governo».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Romano ha proposto di sostituire il primo comma col seguente:

«Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa».

L’onorevole Romano ha facoltà di svolgere l’emendamento.

ROMANO. Ritengo che non si possa oggi discutere questa prima parte dell’articolo 93, in quanto sotto il Titolo quarto, all’articolo 95, ho presentato un emendamento nel quale si sostiene l’unità dell’ordine giudiziario. Ora non è possibile parlare del particolare se non si prende prima in esame il generale. Perché qualora si dovesse affermare il principio dell’unità dell’ordine giudiziario, cadrebbe il Consiglio di Stato come organo giudiziario; pertanto ritengo che si debba rinviare la discussione a dopo esaminato l’articolo 95.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. In ordine a questo emendamento presentato dal collega Romano, io vorrei rilevare che le osservazioni da lui fatte non mi sembra abbiano validità in quanto la frase «e di tutela della giustizia nell’amministrazione» si riferisce anche alla funzione consultiva.

La funzione consultiva e quella giurisdizionale sono aspetti diversi attraverso i quali si raggiunge questo unico scopo che è la tutela della giustizia nell’amministrazione, ed è logico che, anche per ragioni di tecnica, parlando per la prima volta di questo istituto si debba far parola di questa funzione che è predominante.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ritiene che questa espressione di «giustizia nell’amministrazione», che ha una tradizione nei riguardi del Consiglio di Stato, non pregiudichi in alcun modo la questione se la giurisdizione debba essere unica o no. La giustizia nell’amministrazione si riferisce (siamo qui nel titolo dell’amministrazione) al Consiglio di Stato nelle sue funzioni anche consultive: né debbo ricordare che, al di fuori della giurisdizione, vi è il ricorso in via straordinaria al Capo dello Stato, che ha perfettamente lo scopo della giustizia nell’amministrazione. L’onorevole Romano potrebbe benissimo votare quest’articolo, e poi sostenere a suo luogo l’unità della giurisdizione.

PRESIDENTE. Onorevole Romano, la Commissione non accetta il suo emendamento soppressivo. Lei vi insiste?

ROMANO. Ritengo che sia nei poteri del Presidente dell’Assemblea di rinviare la discussione di questo emendamento perché non è logicamente possibile discutere una parte speciale senza discutere il principio generale affermante l’unità dell’ordine giudiziario, se non si discute cioè l’articolo 95, là dove si afferma il principio dell’unità dell’ordine giudiziario, unità che è stata affermata anche dall’Ordine dei Magistrati. Quindi non è il caso di entrare in questa discussione particolare che pregiudicherebbe la discussione dell’articolo 95.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Vorrei rassicurare l’onorevole Romano che la formula contenuta nell’articolo 93 relativa alla tutela della giustizia nell’amministrazione, non pregiudica affatto l’altra questione dell’unità della giurisdizione, questione che evidentemente sta a cuore all’onorevole Romano. Mi permetto di far rilevare che questa definizione dei compiti del Consiglio di Stato contenuta nell’articolo 93, è compresa nella sezione del Titolo III dedicata, espressamente, alla Pubblica Amministrazione. Quindi in questo Titolo non è pregiudicata alcuna questione che attenga alla funzione giurisdizionale. D’altra parte l’onorevole Romano sa che la funzione di consulenza giuridico-amministrativa del Consiglio di Stato si estende ai ricorsi straordinari al Capo dello Stato. Si tratta di ricorsi amministrativi, che sono decisi con provvedimenti amministrativi, ma non hanno grande importanza per la tutela della giustizia nell’amministrazione. Per la decisione di tali ricorsi il parere del Consiglio di Stato è obbligatorio, e, praticamente, vincolante. È rarissimo il caso che il parere del Consiglio di Stato non sia seguito. Il Consiglio di Stato in tutta la sua attività consultiva è uno strumento prezioso, il suo intervento costituisce un apporto considerevole ai fini di assicurare la giustizia dell’amministrazione. Questa sua funzione non può essere trascurata nella definizione dei suoi compiti. Il problema dell’unità della giurisdizione, e quindi della conservazione o meno della competenza giurisdizionale del Consiglio, non resta affatto pregiudicato. Su questo punto l’onorevole Romano può essere tranquillo.

ROMANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROMANO. Se si tenesse presente il mio emendamento all’articolo 95, il problema si vedrebbe diversamente.

Comunque faccio proposta formale di rinvio dell’esame del primo comma dell’articolo 93.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Romano, tendente a rinviare l’esame del primo comma dell’articolo 93.

(Non è approvata).

Pongo ora in votazione la prima parte del primo comma:

«Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa».

(È approvata).

Pongo ora in votazione la seconda parte della quale l’onorevole Romano chiede la soppressione:

«e di tutela della giustizia nell’amministrazione».

(È approvata).

Passiamo al secondo comma.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Chiedo che il secondo comma sia posto ai voti per divisione. Noi voteremo contro il primo periodo, perché riteniamo che non abbia rilievo costituzionale. In altre costituzioni non si fa cenno del controllo di legittimità sugli atti di Governo. Se il primo periodo sarà approvato, voteremo a favore dei successivi, i quali danno compiutezza all’intero comma.

PRESIDENTE. Procediamo allora alla votazione per divisione del secondo comma dell’articolo 93.

Pongo in votazione il primo periodo:

«La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e quello anche successivo sulla gestione del bilancio dello Stato».

(È approvato).

Pongo in votazione i due successivi periodi del secondo comma:

«Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla, legge, al controllo dello Stato sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente al Parlamento sul risultato del riscontro effettuato».

(Sono approvati).

Pongo in votazione il terzo comma:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza degli istituti suddetti e dei loro componenti di fronte al Governo».

(È approvato).

L’articolo 93 è stato pertanto approvato nel testo del progetto.

Abbiamo così concluso, onorevoli colleghi, l’esame e le votazioni, sui primi tre Titoli della Parte II della Costituzione. E credo che possiamo essere sodisfatti del lavoro svolto nel corso di questo mese. Resta il Titolo IV, che è molto importante; rimangono pure da votare alcuni articoli del Titolo V, il Titolo VI e le disposizioni finali e transitorie; ma ritengo che potremo concludere felicemente anche questo lavoro, nonché quello dell’esame delle leggi elettorali e delle altre leggi, entro il termine che ci siamo fissati.

Presentazione di una relazione.

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Mi onoro di presentare la relazione al disegno di legge: Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento.

PRESIDENTE. Sarà stampata e distribuita.

Sull’ordine dei lavori.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Chiedo che nella prossima settimana si metta in discussione il terzo comma della prima disposizione finale e transitoria del progetto di Costituzione sulle limitazioni per responsabilità fasciste all’esercizio dei diritti di elettorato attivo e passivo, onde poter definire la questione rimasta in sospeso con l’articolo 47 della legge sull’elettorato attivo.

PRESIDENTE. Credo che la Commissione incaricata di questo esame consegnerà nei prossimi giorni le sue conclusioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere in ordine alla gravissima situazione che si va determinando in Gravina di Puglia, con probabilità di estensione ai paesi viciniori, per la improvvisa agitazione dei braccianti agricoli, agitazione che si aggrava di ora in ora, e che, dall’altra parte, non trova per opera dell’Autorità tutoria, quella immediata garanzia che sarebbe necessaria per evitare conseguenze luttuose.

«Si aggiunga che gli agricoltori locali sono stati inopinatamente e sproporzionatamente sottoposti a versamenti di denaro alla Camera del lavoro per sodisfare le richieste dei predetti lavoratori, che aumentano senza limiti durante la discussione.

«Trulli, Coppa, Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se e come intenda intervenire, attraverso gli organi competenti, perché siano al più presto regolati i rapporti sorti, in base alle vigenti leggi, fra la Società «Terni», da una parte, e i cittadini privati e le Amministrazioni comunali di una vasta zona della provincia di Rieti, dall’altra, in dipendenza della costruzione, da parte della stessa Società «Terni», di due grandi bacini per la produzione della energia elettrica.

«Più particolarmente, constatate le inadempienze della Società, l’interrogante chiede siano ravvisati i mezzi idonei per ottenere che il diretto intervento del Ministero dei lavori pubblici imponga:

1°) l’esecuzione e ricostruzione delle opere pubbliche sommerse, non ricostruite affatto, o non completate;

2°) la ricostruzione delle private abitazioni sommerse;

3°) la riparazione dei danni di vario ordine prodotti alle reti stradali e il risarcimento di quelli causati alle strade demaniali non ricostruite;

4°) la definizione di tutte le pendenze e vertenze in corso e la risoluzione di tutti i problemi di pubblico interesse previsti dalla legge, attraverso la pubblicazione di un chiaro e tassativo disciplinare, che precisi gli obblighi della «Terni» ed eviti formule incerte che provocano lunghe discussioni e servono a procrastinare od eludere la soddisfazione degli obblighi verso le popolazioni danneggiate;

5°) la concessione agli Enti locali dei canoni, anche arretrati, previsti dalla legge 11 dicembre 1933 ed il loro aggiornamento al valore attuale della moneta;

6°) la concessione a tutti i Comuni rivieraschi – tenuti presenti gli speciali diritti del comune di Rieti – del quantitativo di energia elettrica e degli ulteriori canoni previsti dagli articoli 52 e 53 del decreto 11 dicembre 1933 in conformità delle richieste contenute nel memoriale redatto dall’Amministrazione comunale di Castel di Tora e trasmesso agli organi competenti;

7°) l’adozione infine di provvedimenti che valgano a rassicurare le popolazioni che i privilegi consentiti all’industria non possono e non debbono tradursi in sopraffazioni ai danni di pubbliche amministrazioni e di privati cittadini lasciati indifesi di fronte ai danni delle gravi e intollerabili esigenze industriali quando non siano frenate e controllate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti urgenti intenda adottare per lenire la situazione angosciosa, veramente indegna di un paese civile, in cui vive la popolazione di Vastogirardi (Campobasso) che è senza acqua, senza cimitero, senza fognature, senza scuole e con la illuminazione elettrica soltanto al centro del paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paolucci».

PRESIDENTE. La prima di queste interrogazioni sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno. Le altre saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 11.10

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 27 ottobre.

Alle ore 16:

Interrogazioni.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 24 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXII.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 24 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEI VICEPRESIDENTI TARGETTI E BOSCO LUCARELLI

INDICE

Congedi:

Bosco Lucarelli

Presidente

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio:

Laconi

Rossi Paolo

Moro

Bozzi

Presidente

Disegno di legge (Presentazione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

Perassi

Conti

La Rocca

Clerici

Mastino Pietro

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Colitto

Targetti

Stampacchia

Rubilli

Fuschini

Mazzei

Mortati

Corbino

Corbi

Nitti

Russo Perez

Tonello

Tosato

Martino Gaetano

Arata

Persico

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nobile

Benvenuti

Costantini

Dominedò

Carpano Maglioli

Romano

Bettiol

Fabbri

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Presentazione di relazioni:

Bozzi

Piemonte

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.30.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Cavallari e Rumor.

(Sono concessi).

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso una domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Storchi per il reato di cui all’articolo 595, secondo capoverso, e 57, n. 1, del Codice penale.

Sarà inviata alla Commissione competente.

Presentazione di un disegno di legge.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare il seguente disegno di legge:

«Approvazione del Trattato di pace fra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947, e relativo scambio di Note».

PRESIDENTE. Do atto al Ministro degli affari esteri della presentazione di questo disegno di legge che sarà inviato alla Commissione competente.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Do lettura del testo concordato dalla Commissione, che sostituisce gli articoli 87 e 88 del progetto di Costituzione, fondendoli in un articolo unico:

«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.

«Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata ad appello nominale.

«Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.

«Un voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.

«La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

I colleghi che avevano presentato emendamenti al testo dell’articolo 88 possono adesso, sulla base di questa nuova redazione, considerare l’opportunità o meno di mantenere i loro emendamenti. Coloro che li conservano avranno naturalmente il diritto di svolgerli.

L’onorevole Colitto aveva presentalo i seguenti emendamenti all’articolo 88:

«Al primo comma, alla parola: Un, con la quale il comma si inizia, sostituire: Il, ed aggiungere, dopo le parole: o dell’altra Camera, le seguenti: o di entrambe, o dell’Assemblea Nazionale.

«Al terzo comma, sopprimere le parole: di una delle Camere, ed aggiungere dopo le parole: deve convocare, le seguenti: entro otto giorni dal voto».

Li mantiene?

COLITTO. Il primo emendamento da me proposto è stato incluso nel nuovo testo predisposto dalla Commissione, quindi non ho più ragione di insistere.

Quanto all’altro emendamento pure da me proposto, esso non ha più ragione di essere in quanto il testo è stato modificato sopprimendosi l’ultimo comma.

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti e altri avevano presentato i seguenti emendamenti all’articolo 77:

«Sopprimere il primo comma.

«Sostituire gli altri commi col seguente:

«Entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per chiederne la fiducia. La fiducia è accordata da ciascuna delle Camere con voto nominale e a maggioranza assoluta dei presenti. Il rifiuto della fiducia anche da parte di una sola Camera importa dimissioni».

Ora l’onorevole Targetti ha proposto di sostituire all’ultimo comma del testo concordato dalla Commissione alle parole: «un quinto» le altre: «un decimo».

Ha facoltà di svolgere il nuovo emendamento.

TARGETTI. Noi ritiriamo i nostri emendamenti, perché in sostanza la nuova formulazione dell’articolo presentata dalla Commissione accoglie quanto avevamo proposto. In un punto solo non si può aderire al nuovo testo, cioè nella determinazione del numero minimo di presentatori della mozione di sfiducia. La proposta della Commissione stabilisce un quinto come minimo. Noi riteniamo che se si mantenesse così alto il minimo dei presentatori di una mozione di sfiducia, si verrebbe in pratica a ledere il diritto delle minoranze, che, anche quando sono numericamente deboli, hanno sempre il diritto di non trovare ostacoli nel far valere la loro opinione. Anche se i pareri sono ancora discordi sopra il numero dei componenti del nuovo Parlamento, giacché mentre abbiamo deciso che deve esserci un rappresentante per ogni 80 mila abitanti, ci si chiede se la popolazione da tenersi a base debba essere quella stabilita dall’ultimo censimento che è del 1936, o, come parrebbe più logico, quella risultante dai dati aggiornati dall’Istituto di statistica, in qualunque ipotesi l’Assemblea vorrà riconoscere che la necessità dell’adesione di un quinto dei membri componenti la Camera dei Deputati per avere una mozione di sfiducia, toglierebbe la possibilità alle minoranze di farsi valere.

D’altra parte la riduzione ad un decimo ci sembra che non presenti nessun pericolo, perché un decimo dei componenti la Camera rappresenta sempre un numero ragguardevole di deputati ed anche di senatori. D’altra parte, quando manchi una fondata possibilità di buon esito, non sarà facile trovare il numero sufficiente di componenti, rispettivamente nell’una o nell’altra Camera, per iniziare una discussione inutile.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia aveva proposto all’articolo 88 i seguenti emendamenti:

«Al secondo comma, sostituire alle parole: un quarto dei, la parola: quaranta, ed alla parola: tre, l’altra: cinque».

«Sopprimere il terzo comma».

Onorevole Stampacchia, li mantiene?

STAMPACCHIA. Li mantengo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerli.

STAMPACCHIA. Poche parole per dire che lo scopo del primo emendamento è quello di ridurre, come risulta dall’emendamento stesso, il numero dei presentatori della mozione di sfiducia. A mio avviso, la ragione che giustifica la mia proposta non è soltanto quella a cui il compagno e collega onorevole Targetti ha accennato, ma anche l’altra: che, quando occorre raccogliere le firme, il Parlamento possa trovarsi chiuso; deputati e senatori lontani, perciò, da Roma, con dimora spesso sconosciuta. In tale ipotesi, assai ardua diventa la raccolta delle firme di un quinto o anche di un decimo dei componenti la Camera o il Senato. Quindi anche la sessantina di firme – quante, all’incirca, attenendoci al decimo, ne occorrerebbero, calcolando che il Parlamento possa raccogliere seicento deputati col prossimo censimento – costituisce cifra eccessiva.

Ed eccessiva appare anche se si consideri che è doveroso, in regime democratico, dare la possibilità ai piccoli partiti di potersi muovere sopra questo terreno parlamentare, e perciò è doveroso assicurare loro praticamente il diritto di presentare mozioni di sfiducia. Tali mozioni non sempre per fini di schermaglia parlamentare vengono presentate, ma assai spesso per parlare al Paese.

La proposta non credo abbia bisogno di maggiori illustrazioni. Ho poi anche proposto che il termine prima del quale non deve esser messa in discussione la mozione non sia di tre giorni, ma di cinque. I tre giorni mi sembrano troppo brevi perché i deputati possano tempestivamente essere avvertiti (specialmente se la Camera non è aperta) e possano così giungere a Roma in tempo per discutere la mozione. È perciò che ho proposto cinque giorni, anziché i tre di cui nel progetto.

Infine, ho proposto l’abolizione dell’ultimo capoverso di questo articolo, il quale importerebbe che il Governo, avuto il voto di sfiducia da una delle Camere, possa appellarsi all’Assemblea Nazionale. Ma di codesta Assemblea ho detto questa mane, e non mi ripeterò.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Macrelli e De Vita avevano presentato il seguente emendamento all’articolo 88:

«Sopprimere il terzo comma».

Non essendo presenti, si intende che abbiamo rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Rubilli aveva proposto di sopprimere il terzo comma dell’articolo 88. Mantiene l’emendamento?

RUBILLI. Ho visto dal nuovo testo dell’articolo 88 che l’emendamento è già accolto: se altri non si oppone a quello che ha proposto la Commissione, prendo atto e ringrazio, ben lieto che sia stato eliminato quel poco serio appello da parte del Governo all’Assemblea Nazionale in caso di voto di sfiducia.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini aveva presentato il seguente emendamento all’articolo 88:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Dopo il voto di sfiducia di una delle Camere, dato con voto nominale ed a maggioranza assoluta dei suoi componenti, il Governo deve dimettersi».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Mi limiterò a dichiarare che sono favorevole al nuovo testo concordato fra la Commissione e i proponenti dei vari emendamenti. Però, mi permetto di fare una osservazione sull’ultimo comma, e cioè sul comma che suona così: «La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

Ora, questa limitazione alla possibilità da parte dei deputati, singolarmente considerati, di poter presentare mozioni di sfiducia, ritengo che sia molto grave. L’iniziativa di chiedere una discussione politica, anche se si intende iniziarla con una manifestazione di sfiducia, non deve essere sottoposta ad una così forte limitazione, cioè di un quinto dei membri di ciascuna Camera che la sottoscrivano. Con ciò, secondo me, si offende quello che è il principio del rispetto delle minoranze che, anche se modeste, hanno una funzione utile nelle Assemblee politiche. Un quinto della Camera dei Deputati, che sarà forse di 550 membri, vorrebbe significare che soltanto con centodieci deputati si può presentare una mozione politica. Ciò sarebbe veramente enorme.

Bisogna dunque correggere queste esagerazioni e fissare un numero minore. Vi sono, nel Regolamento della Camera, delle disposizioni molto equilibrate. Si chiedono per l’appello nominale 15 sottoscrittori; per la votazione segreta 20 sottoscrittori. La mozione, con questo Regolamento, poteva essere firmata anche da un solo deputato. Con la proposta del progetto si rende quasi impossibile ai gruppi minori, che non sono pochi, provocare discussioni di politica generale.

Voi credete, mettendo questa limitazione, di impedire le discussioni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no.

CONTI. Gli assalti alla diligenza!

FUSCHINI. Gli assalti alla diligenza si impediscono con l’altra disposizione che stabilisce che una mozione non può essere posta all’ordine del giorno prima di tre giorni dalla sua presentazione. Io vorrei che la Commissione si persuadesse che questa limitazione, rappresentata dall’alto numero di firmatari di una mozione, è eccessiva ed offende la libertà di discussione.

D’altra parte, una disposizione di tal genere non vi è bisogno di metterla nella Carta costituzionale; potrà essere oggetto di una disposizione del Regolamento delle due Camere, anche perché il loro numero di membri è differente e il numero dei sottoscrittori di una mozione deve essere messo in rapporto con il complesso numerico di ogni Camera.

La Commissione non creda di salvare i Governi: quando essi hanno delle forti maggioranze, non possono temere le discussioni; se sono deboli è meglio spazzarli via al più presto.

Le discussioni politiche servono per valutare la forza del Governo e per educare il popolo; non credo siano inutili, ma siano invece necessarie ed indispensabili. Se non ci sono o se si vogliono limitare, credo non si possa instaurare un vero regime democratico. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Mazzei ha presentato il seguente emendamento sostitutivo del secondo comma dell’articolo 88:

«Una mozione di sfiducia non può essere presentata alla Camera se non è motivata. La discussione della mozione non può aver luogo prima di tre giorni dalla sua presentazione e se non vi consente almeno un quarto dei componenti della Camera».

Ha facoltà di svolgerlo.

MAZZEI. Il nostro emendamento va riferito all’ultimo comma del nuovo testo presentato dalla Commissione.

Il concetto ispiratore dell’articolo del progetto, nonché della nuova formulazione data dalla Commissione, è di assicurare quanto più possibile la stabilità dei Governi in regime parlamentare e cercare di far sì che il regime parlamentare non decada facilmente in parlamentarismo.

Questo criterio generale è avallato da noi repubblicani, che sentiamo fermamente l’esigenza della stabilità dei Governi, esigenza inderogabile per chi non vuole ricadere nel vecchio parlamentarismo e vuole viceversa creare una democrazia nuova, rettificando alla luce dell’esperienza politica del nostro e degli altri Paesi, lo schema tradizionale del regime parlamentare per adeguarlo di tempi nuovi.

Però, noi ci siamo anche preoccupati del pericolo che potrebbe nascere dal richiedere un numero troppo alto di firmatari della mozione di fiducia, come condizione di presentabilità di una mozione del genere ed abbiamo adottato un criterio del tutto diverso da quello del progetto, non solo nella procedura, e che contempera, secondo noi, sia l’esigenza della stabilità dei Governi e dell’eliminazione dei dibattiti che non hanno probabilità di alcun concreto risultato, sia l’altra esigenza di non escludere e non menomare l’esercizio pieno del diritto di opposizione da parte dei gruppi di scarsa consistenza numerica e dei singoli deputati.

Vi rileggo il testo dell’emendamento: «Una mozione di sfiducia non può essere presentata alla Camera se non è motivata. La discussione della mozione non può aver luogo prima di tre giorni dalla sua presentazione e se non vi consenta almeno un quarto dei componenti della Camera». Cosa si mantiene in questa forma del vecchio testo? L’esigenza generale e basta. Perché, adottando la nostra formula, una mozione di sfiducia può essere presentata anche da un solo deputato, in applicazione del principio dell’iniziativa parlamentare di ogni rappresentante del popolo, che, secondo me, è essenziale a qualsiasi sistema democratico a base parlamentare. Si rispetta questo principio, ma non si dà adito alla possibilità che si abbia una discussione dilagante per giorni e giorni, quando questa discussione non ha probabilità alcuna di consenso. Infatti, può essere presentata da chiunque, dal singolo o da un gruppo per piccolo che sia, una mozione di sfiducia; ma perché possa procedersi alla discussione si richiede – secondo la mia proposta – che consenta alla discussione della mozione almeno un quarto dei componenti dell’Assemblea. Se la cifra di un quarto sembrasse eccessiva, si potrebbe forse, limitare ad un quinto, ma la questione della cifra ha un’importanza minore nel sistema sostenuto da me e da altri amici repubblicani. L’importante è, per noi, che il quarto (o il quinto) dei componenti dell’Assemblea non debba avallare a priori la mozione che un singolo o un piccolo gruppo presenta: basta che una parte notevole dell’Assemblea ritenga che la mozione di sfiducia presentata meriti di essere discussa e che essa sia fondata su motivi sufficienti a dar luogo a un dibattito politico capace di minare le basi di maggioranza su cui il Governo poggia.

Basta, in altri termini, che, dopo trascorsi tre giorni dalla presentazione di una mozione di sfiducia, e precisamente prima dell’apertura della discussione, il Presidente dell’Assemblea chieda e si accerti che vi sia un quarto dei componenti della Camera che consente alla discussione della mozione.

Posta in questi termini la questione, è sufficiente, perché si proceda alla discussione della mozione di sfiducia, che vi sia un certo numero di deputati i quali, senza impegnarsi preventivamente ed in modo assoluto ad appoggiarla e votarla, nella Camera dicano: «Sì, mette conto di discutere questa mozione». Non si tratta di avere a priori oltre un centinaio di impegnativi consensi precostituiti, come nel sistema previsto dal progetto della Commissione dei Settantacinque, che è perciò molto più limitativa della libertà delle opposizioni di quanto non sia il sistema da me illustrato. Il quale non richiede alcun preciso e preventivo impegno di una parte notevole della Camera su di una determinata mozione di sfiducia. Chiunque voglia proporre una mozione di sfiducia può farlo, ma perché abbia luogo la discussione occorre che una parte rilevante dei componenti della Camera la ritenga utile.

Secondo noi la formula illustrata risponde – ripeto – all’esigenza della libera e piena iniziativa parlamentare dei piccoli gruppi delle minoranze, rispettando anche il principio di liberà iniziativa di ogni deputato, e risponde altresì all’esigenza della stabilità del Governo, fondamentale per chiunque non voglia correre il rischio della degenerazione parlamentaristica, che è uno dei più pericolosi incentivi ai colpi di Stato ed alle dittature, forse più pericoloso di quanto non sia l’attribuzione di troppo vasti poteri al Governo.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati aveva presentato il seguente emendamento al vecchio testo dell’articolo:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Il voto di sfiducia, emesso nelle condizioni di cui al comma precedente, obbliga il Governo alle dimissioni, salvo l’applicazione dell’articolo 84».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Si trattava di un chiarimento, ma mi rimetto al testo della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino ha presentato il seguente emendamento al nuovo testo della Commissione:

«Sopprimere il primo comma.

«Invertire l’ordine del secondo e del terzo comma, ponendo il terzo comma come primo».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Credo che non ci sia molto da dire. Ho l’impressione che fra il primo e il terzo comma del nuovo testo ci sia una affermazione generica sulla maniera con cui la fiducia deve essere votata. Quindi, io direi: poniamo al Governo l’obbligo di presentarsi entro 10 giorni per chiedere la fiducia, con il che l’affermazione del primo comma diventa inutile, e poi stabiliamo le norme per la concessione della fiducia e per la presentazione della mozione di sfiducia.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbi aveva presentato il seguente emendamento al testo iniziale della Commissione:

«Sostituire il terzo comma dell’articolo 87 col seguente:

«La fiducia o la sfiducia sono deliberate su mozione motivata con voto nominale»

Aveva anche proposto di sopprimere l’articolo 88. Mantiene gli emendamenti?

CORBI. Signor Presidente, avendo la Commissione presentato un nuovo testo nel quale vengono accolte talune delle nostre richieste, ritiro gli emendamenti.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Il nuovo testo ha accolto alcune proposte che erano nei miei emendamenti. Sono contento che il primo comma sia riuscito in una forma semplice: «II Governo deve avere la fiducia delle due Camere».

Passiamo all’altro comma: «Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata ad appello nominale». Io comprendo che si accordi la fiducia o la sfiducia (sono due cose diverse), ma la sfiducia deve essere motivata, mentre la fiducia non è mai motivata. Se non vi è nessuna osservazione vuol dire che si accoglie quello che il Governo dice. Perché motivare la fiducia, cioè dare un certificato di buona condotta? Si può respingere, ma non spiegare perché si accoglie una proposta del Governo.

Quindi, credo che la motivazione non sia completamente felice. Laddove si dice che entro 10 giorni il Ministero dovrà presentarsi alle Camere per avere il consenso o il dissenso di questa Assemblea, credo che il termine di 10 giorni sia arbitrario. Perché in 10 giorni?

Io non so quali siano i termini in altri Paesi. Non ricordo. Ricordo che da noi non vi era mai un termine stabilito di 3, 10, 15 giorni: il Ministero si presentava alla Camera appena poteva, perché il Ministero ha spesso delle difficoltà per cui non può dare immediate e concrete proposte su taluni avvenimenti. Qui si dice che un Ministero si deve presentare alla Camera, naturalmente, ma determinare il termine non è una cosa facile né, spesso, conveniente.

Quanto poi all’ultimo comma, che dice che la mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera e non può essere messa in votazione prima di tre giorni dalla sua presentazione, debbo osservare che in questa Assemblea attuale non vi sono che tre partiti, o forse due partiti, che hanno il quinto della Camera. Anche la proposta di un decimo non mi pare accettabile. Quando avete detto un decimo voi avete già detto una cifra importante: sarebbero 50 persone che desiderano che si voti la sfiducia.

Io pregherei di non mettere limiti di questa natura. Si potrà stabilire secondo la convenienza, onde io propongo che si riduca il più possibile questo numero.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Mi pare di aver compreso che siamo tutti d’accordo sulla impossibilità o quasi di raccogliere cento firme, che sarebbero anche inutili o per lo meno non indispensabili.

Si tratta di stabilire dunque quale è il numero più adatto da preferire. Io proporrei trenta persone, perché bene hanno il diritto trenta deputati di inoltrare la mozione, provocando un serio dibattito sulla politica dal Governo. Formulo quindi questa proposta concreta: che il numero dei proponenti la mozione sia ridotto a trenta.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Vorrei domandare alla Commissione se esistono altre Costituzioni nelle quali è stabilito il numero delle firme necessario per presentare una mozione di sfiducia. Se non esistono, io chiederei che si abolisse, perché mi pare sia materia regolamentare.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Avevo proposto al terzo comma dell’articolo 87 di aggiungere, dopo le parole: «con voto nominale» le altre: «al quale i membri del Governo non possono partecipare».

Siccome nell’ultimo testo formulato dalla Commissione non vedo cenno di accoglimento di questo emendamento, vorrei sapere quale è l’atteggiamento della Commissione al riguardo.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati.

TOSATO. Credo sia opportuno, anziché soffermarmi a considerare distintamente e successivamente i singoli emendamenti che sono stati presentati – dei quali veramente non saprei con esattezza quali sono confermati e fino a che punto, e quali sono stati ritirati – credo sia opportuno illustrare il significato e la logica del testo che la Commissione ha presentato. Chiarendovi il testo della Commissione, verranno in considerazione alcune osservazioni che a questo proposito sono state fatte durante lo svolgimento dei vari emendamenti.

Il testo della Commissione segue questo ordine di idee: fissa, nei primi due commi i principî fondamentali; nei commi successivi stabilisce norme di carattere consequenziale e procedurale.

Secondo l’onorevole Corbino, si potrebbe senz’altro sopprimere il primo comma. Da un certo punto di vista l’onorevole Corbino ha anche ragione; infatti, se si dice che ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia, è chiaro che il Governo deve godere la fiducia delle due Camere…

CORBINO. C’è anche il mio secondo emendamento con il quale chiedo di invertire l’ordine del secondo e del terzo comma, ponendo il terzo comma come primo.

TOSATO. La Commissione è partita da un altro punto di vista, fissando anzitutto il principio del Governo parlamentare, in base al quale il Governo deve avere la fiducia delle Camere. Stiamo facendo la Costituzione e la Costituzione deve essere semplice e procedere per principî. Il principio fondamentale che, a nostro avviso, è anzitutto necessario affermare, è quello che il Governo deve godere la fiducia delle Camere.

In questo primo comma presentato dalla Commissione è risolta la questione che ha tanto preoccupato l’Assemblea. Il testo del progetto parlava di Assemblea Nazionale; sono stati accolti tutti gli emendamenti, si è stabilito che il Governo deve avere la fiducia delle due Camere, le quali – secondo il principio bicamerale – agiranno sempre separatamente.

L’orientamento prevalso in questa Assemblea è così rispettato e sancito. Permettetemi però di manifestarvi al riguardo le mie gravi preoccupazioni. Noi lasciamo aperta la porta a situazioni molto difficili e molto gravi, e che potranno mettere a dura prova, e non so con quale risultato, l’intero edificio costituzionale.

Abbiamo creato due Camere composte ed elette diversamente, l’una col sistema proporzionale, l’altra a collegio uninominale.

So che qualcuno di voi è molto ottimista a questo proposito, in quanto pensa che tra le due Assemblee non si verificheranno mai gravi e profondi conflitti. Me lo auguro. Con tutta franchezza, debbo però confessarvi che personalmente non sono altrettanto ottimista e penso che fra le due Camere gravi dissensi potranno spesso e facilmente verificarsi. Può darsi, ed è molto probabile, data la diversità dei sistemi elettorali, che in una Camera domini una maggioranza di un dato colore, e nell’altra Camera una maggioranza di colore ben diverso. Non so, in questa ipotesi, come si potrà costituire e come potrà funzionare un Governo se questo, come vuole l’onorevole Fabbri, deve reggersi poggiando su due piedi. Andremo incontro a scioglimenti continui? Ad ogni modo, l’Assemblea si è pronunciata contro la riunione delle due Camere per risolvere la questione della fiducia al Governo e non è il caso di insistere sotto questo riguardo.

Il secondo comma, fissa un essenziale requisito di forma. «Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante votazione motivata e ad appello nominale». Resta così esclusa qualsiasi possibilità di dubbi e di incertezze. Secondo il testo che noi vi proponiamo, sia per quanto riguarda la concessione, sia per quanto riguardarla revoca della fiducia – revoca che porta come necessaria conseguenza le dimissioni del Governo, occorre un atto specifico, quello appunto che si denomina mozione. Pertanto, al fine di rovesciare il Governo, e di obbligarlo a dimettersi, non è sufficiente, anzi è esclusa, qualsiasi altra forma di manifestazione della volontà – quale, ad esempio, l’ordine del giorno – delle Camere. Occorre un apposito atto, la mozione.

E non basta una mozione pura e semplice: si richiede che la mozione sia motivata. A questo proposito, l’onorevole Nitti ha fatto alcune osservazioni. Egli ha detto – se non ho mal compreso – che, se si possono intendere le ragioni che consigliano l’obbligatorietà della motivazione per l’espressione della sfiducia, non è invece altrettanto facile poter intendere quali siano le ragioni che consigliano la motivazione per la concessione della fiducia. Ora, a me pare che il problema posto dall’onorevole Nitti sia soltanto apparente. È chiaro infatti che quando un Governo si presenta con un determinato programma per chiedere la fiducia alle Camere e riesce ad ottenerla, la mozione che approva le dichiarazioni del Governo e accorda la fiducia, risulta pienamente motivata. Il richiamo e l’approvazione delle dichiarazioni del programma del Governo non costituiscono implicitamente la motivazione della mozione di fiducia?

Il requisito della motivazione si propone di conseguire un duplice effetto. Da un lato, nella concessione della fiducia, di impegnare Governo e Camera ad un dato programma; dall’altro, nella revoca della fiducia, di fissare esattamente i termini del contrasto fra Governo e Parlamento, il che è particolarmente importante nell’ipotesi che si addivenga allo scioglimento delle Camere, affinché il popolo possa pronunziarsi sui termini del contrasto stesso. D’altra parte, attraverso la motivazione, si riesce ad identificare l’opposizione o le opposizioni, e quindi ad accertare se esistono le condizioni che giustificano la caduta del Governo, e la formazione, in sua vece, di una nuova compagine ministeriale.

Che poi la mozione debba essere votata ad appello nominale, è cosa ovvia, intorno alla quale non ci può essere discussione.

Viene in considerazione, a questo punto, una proposta formulata dall’onorevole Tonello. Secondo il collega Tonello, i membri del Governo dovrebbero venire esclusi dal diritto di partecipare alle votazioni di mozioni di fiducia o di sfiducia al Governo. Io confesso che non comprendo quale sia l’intendimento che ha animato l’onorevole Tonello nel presentare questa sua proposta; i membri del Governo sono anch’essi deputati; e il Governo, nella forma parlamentare, non è un insieme che deve stare, come il Presidente, super partes, con i relativi obblighi di astensione, ecc. D’altra parte l’onorevole Tonello consentirà che se i deputati si presentano come Ministri, è sperabile abbiano almeno fiducia in se stessi.

La proposta dell’onorevole Tonello sarebbe accettabile in una sola ipotesi, ipotesi peraltro che non si vede in qual modo potrebbe praticamente tradursi in realtà: nell’ipotesi cioè che quei deputati dell’opposizione, i quali saranno poi eventualmente chiamati, dopo il rovesciamento del Governo, a succedere ad esso, si potessero in qualche modo identificare in tempo utile – il che appunto è impossibile – così da poter escludere ancor essi dal diritto di voto. (Si ride).

La fiducia dunque si accorda al Governo mediante un atto specifico, la mozione, la quale deve essere motivata e approvata ad appello nominale. Una volta costituito, il Governo deve presentarsi alla Camera, per ottenere, si intende, la fiducia. Il testo che la Commissione vi propone stabilisce a questo proposito un termine di 10 giorni, accogliendo così l’emendamento presentato dall’onorevole Targetti.

Contro questo termine della presentazione entro dieci giorni sono state fatte osservazioni, specialmente da parte dell’onorevole Nitti. L’onorevole Nitti ha osservato che è un termine arbitrario. Siamo perfettamente d’accordo. Tuttavia si è ritenuto che stabilire un obbligo del Governo di presentarsi entro un certo termine di fronte alle Camere sia una garanzia per l’attuazione della forma del Governo che si intende costituire, e per il controllo politico da parte delle Assemblee legislative.

Il quarto comma del testo proposto stabilisce che «un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su una proposta del Governo non importa l’obbligo di dimissioni». Su questo punto, giustificato da ragioni ben note, e che d’altronde si ricollega strettamente alla disciplina del Governo parlamentare che intendiamo istituire, non ci sono state osservazioni, e non è quindi il caso che io mi soffermi.

«La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera».

Questo requisito, contenuto nella prima parte dell’ultimo comma dell’articolo, ha incontrato vivaci resistenze, anzi ostilità. Si è detto che questa disposizione rappresenta una violazione dei diritti delle minoranze; che è una imposizione del tutto arbitraria; perché, in definitiva, nelle Assemblee rappresentative ciascuno può chiedere una discussione sulla politica del Governo, allo scopo anche di rovesciarlo, ecc.

Ora, io vorrei osservare a questo proposito che una discussione sulla politica del Governo può sempre avvenire; basta che anche un solo deputato presenti un’interpellanza. Qui si regola la mozione di sfiducia, che ha un fine specifico: quello di rovesciare il Governo, per costituire un nuovo Governo. Ora, è evidente che un atto di così grande importanza – che segna l’inizio di una vera e propria battaglia politica allo scopo di rovesciare il Governo in carica e sostituirlo con nuovo Governo – può essere giustificato soltanto in quanto ci siano determinate garanzie di serietà, e qualche probabilità di successo.

Non si dà battaglia – una battaglia che determina un lungo periodo di stasi nella attività del Governo e delle Camere – per il solo gusto di dare battaglia. Tutti ricordano gli inconvenienti del passato, quando si aveva continuamente il cosiddetto «assalto alla diligenza». Ciò è inammissibile.

D’altra parte, in pratica, se effettivamente sussiste una qualche possibilità e probabilità di rovesciare il Governo, il requisito che la mozione sia firmata da un quinto dei deputati o dei senatori, non è affatto eccessivo. Ciò che è insopportabile è lasciare libero corso, con grave danno della cosa pubblica, e delle stesse istituzioni democratiche, a qualsiasi velleità crisaiuola. (Commenti). Non basta perciò che la mozione di sfiducia sia firmata da pochi. (Interruzioni dei deputati Russo Perez, Rubilli e Conti).

Ad ogni modo, bisogna scegliere fra due punti di vista diversi ed opposti. Si ritiene opportuno di lasciare a qualsiasi gruppo, anche minimo, di deputati, la possibilità di presentare mozioni di sfiducia, di aprire continuamente discussioni di carattere generale sulla politica del Governo, allo scopo di rovesciarlo, senza che vi sia un minimo di probabilità che questa mozione di sfiducia venga presa veramente in considerazione, agli effetti che essa si propone? O, invece, si vuole che la mozione di sfiducia possa essere presentata soltanto in quanto vi siano già delle probabilità o delle possibilità che la mozione che viene presentata abbia successo? Noi della Commissione seguiamo questo secondo punto di vista, e intendiamo rigorosamente mantenerlo. Decida ora l’Assemblea.

Per quanto riguarda l’esigenza che la mozione di sfiducia non possa essere posta in discussione se non dopo tre giorni dalla presentazione, l’onorevole Stampacchia, mi pare, propone sia stabilito un termine diverso, di cinque giorni. Ora osservo anzitutto che, dato lo stato odierno delle comunicazioni, in tre giorni si viene da tutto il mondo. Aggiungo poi che il testo stabilisce semplicemente questo, che la mozione non può essere posta in discussione prima di tre giorni, ma non esclude che non possa discutersi dopo tre giorni. Quindi, in definitiva, l’esigenza fatta presente dall’onorevole Stampacchia se non è direttamente sodisfatta, non è nemmeno esclusa.

PRESIDENTE. Chiederò ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Onorevole Corbino, ella mantiene il suo emendamento?

CORBINO. Lo mantengo. Ma sarei disposto a ritirarlo se si potesse convenire di sopprimere il terzo comma, venendo così incontro anche alla proposta dell’onorevole Nitti, dato che il terzo comma è la conferma del primo con l’aggiunta dell’obbligo della presentazione del Governo entro dieci giorni. Ove si faccia l’ipotesi che il Presidente del Consiglio al decimo giorno abbia un mal di testa e non si possa presentare, si cadrebbe fuori della Costituzione. Propongo, quindi, di sopprimere il terzo comma e di affermare il principio che il Governo deve avere la fiducia. Se la Commissione accetta, allora io consento a ritirare il mio emendamento; se no insisto.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione in proposito.

TOSATO. La Commissione insiste nel suo testo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, ella mantiene il suo emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Mazzei, ella mantiene il suo emendamento?

MAZZEI. Lo mantengo e chiedo di conoscere cosa ne pensa la Commissione, dato che ha mostrato di non prenderlo in esame.

PRESIDENTE. La risposta della Commissione era implicita nelle dichiarazioni che sono state fatte.

MAZZEI. Si trattava di una questione del tutto diversa.

PRESIDENTE. Prego allora l’onorevole Tosato di esprimere chiaramente in proposito il pensiero della Commissione.

TOSATO. Se ho ben compreso, l’onorevole Mazzei vorrebbe che la mozione di sfiducia possa essere firmata anche da un solo deputato, ma che non possa essere posta in discussione se essa non ottiene l’adesione di almeno un quarto dei componenti le Camere, dopo di che soltanto la discussione potrebbe avvenire.

Date le ragioni per cui abbiamo stabilito il requisito di un decimo, non mi pare che possiamo accogliere la proposta dell’onorevole Mazzei.

PRESIDENTE. Onorevole Stampacchia, mantiene i suoi emendamenti?

STAMPACCHIA. Li mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, mantiene la sua proposta?

RUBILLI. La mantengo.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Può darsi che la mia proposta non fosse sufficientemente motivata; ma la risposta che mi ha dato l’onorevole Tosato non è sodisfacente (Commenti) perché ella, onorevole Tosato, è venuto a dire che se si dovessero astenere dalla votazione i Ministri e i Sottosegretari, dovrebbero astenersi anche quelli che aspirano al Governo. (Commenti – Si ride).

Non è una ragione seria questa che mi si porta avanti. Io ho fatto una questione di dignità e di morale che ha il suo valore anche politico e che praticamente può avere grande importanza. Perché se il Ministero resta in piedi per i voti dei Ministri e dei Sottosegretari, quel Ministero è esautorato. (Approvazioni – Commenti). Questa è la verità!

Voi non potete esautorare la Camera in tal modo! La Camera è sovrana, ed è essa che giudica il Governo. Servirà a voi e servirà anche agli altri, non importa niente. Ma io dico che quando la Camera giudica il Governo, il Governo è sub judice ed è la Camera che deve decidere se il Governo deve o non deve rimanere. Si capisce che coloro che sono al potere vogliono rimanervi finché possono, ma rimanervi senza dignità, non è degno di un Governo. Quindi mantengo la mia opinione e mi appellerò anche al Paese! (Commenti).

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Io speravo che i chiarimenti dell’onorevole Tosato mi avrebbero meglio illuminato sul significato e sullo scopo dell’ultimo comma di questo nuovo testo che ci è presentato.

Credo di capire che, in sostanza, lo scopo per il quale si specifica o si vuole specificare nella Carta costituzionale la modalità con la quale deve essere discussa una mozione di sfiducia, (cosa che apparentemente non dovrebbe trovar posto in una Carta costituzionale ma, se mai, in un Regolamento della Camera o in un Regolamento del Senato) è da ricercare nel fatto che questa mozione di sfiducia rappresenta un istituto nuovo nel nostro diritto pubblico. Che io sappia, non è mai esistita infatti la mozione di sfiducia. È sempre esistita la richiesta della fiducia da parte del Governo. E se questa è la ragione per la quale la Commissione ritiene che, sulle modalità di discussione della mozione di sfiducia, si debba soffermare la Carta costituzionale, non ho nulla da obiettare. Ma avrei desiderato, allora, aver chiarito meglio perché si richiede un numero di firme di un quinto, di un quarto o di meno o di più membri dell’Assemblea per la discussione di una mozione di sfiducia.

Ha detto poc’anzi l’onorevole Mazzei che, secondo la Commissione, lo scopo è quello di assicurare la stabilità del Governo e, poiché l’onorevole relatore non ha smentito questa affermazione dell’onorevole Mazzei, devo ritenere che veramente questo è il pensiero della Commissione.

Ed allora consentitemi che io esprima la mia meraviglia, onorevoli colleghi! Ma come può essere in giuoco la stabilità del Governo? Se la mozione ha un numero di firme che è pari a un quarto o a un quinto dei membri dell’Assemblea, non è in giuoco la stabilità del Governo; se invece è in numero inferiore, allora è in giuoco la stabilità del Governo! Spiegatemi questo: se non è in giuoco la stabilità del Governo per una mozione di sfiducia che porti un gran numero di firme, come può essere compromessa la stessa stabilità del Governo per una mozione che porti un numero troppo limitato di firme? Può essere – è vero – che, nel corso della discussione, quella che prima era una minoranza diventi maggioranza.. Ma non vi pare allora, che questa è una. ragione sufficiente proprio perché non si imponga un numero così cospicuo di firme per la presentazione della mozione di sfiducia? Se questa possibilità c’è, che nel corso della discussione i deputati si convincano delle buone ragioni di chi ha firmato la mozione di sfiducia, non deve allora essere ritenuta sufficiente anche una sola firma perché la mozione di sfiducia venga discussa? Ma voi potete dirmi che c’è un’altra ragione, non quella della stabilità del Governo: il non far perdere tempo all’Assemblea per sterili discussioni. Potrebbe non essere un argomento serio quello che è portato alla ribalta della opinione pubblica e per cui è invocata la discussione in Assemblea. Questa potrebbe essere una plausibile ragione. Ma allora, non esistono forse i mezzi nella procedura ordinaria, perché tale discussione non abbia luogo? Quando si tratterà di iscrivere all’ordine del giorno, entro il limite di tempo prestabilito di 3 giorni, una mozione di sfiducia, che non è una mozione seria, non potrà il Governo appellarsi alla Camera, e chiedere che venga respinta la richiesta della iscrizione di essa all’ordine del giorno? In verità, io non vedo serie ragioni perché nella nostra Carta costituzionale si abbia a consacrare uno sproposito come questo.

Io penso che noi voteremo per divisione su quest’ultimo comma dell’articolo proposto dalla Commissione. Se così sarà, dichiaro che voterò contro la prima parte di quest’ultimo comma, cioè quella che dice: «la mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera».

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Avevo presentato questa mattina un emendamento. Poiché due dei tre concetti da me svolti furono accolti nel testo della Commissione, vi rinunzio senz’altro.

Ma ce n’è un terzo, quello che riguarda la soppressione della «motivazione» per la «mozione di fiducia» e sono lieto di aver avuto in questo il consenso dell’onorevole Nitti.

Ora, la Commissione, mentre è rigida nel richiedere la motivazione per la mozione di sfiducia, mi sembra che non lo sia altrettanto per quel che riguarda la mozione di fiducia.

Vorrei chiedere alla Commissione se insiste nel chiedere che anche la mozione di fiducia sia motivata.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Ma di fatto è sempre motivata, è una motivazione in bianco. Anche adesso quando un Governo si presenta alle Camere ed ottiene la fiducia, l’ordine del Giorno di fiducia reca: «Udite le dichiarazioni del Governo ecc.».

«Udite le dichiarazioni del Governo» è una motivazione in bianco, ma è una motivazione; che richiama il programma esposto dal Governo come motivo della fiducia.

ARATA. Ne prendo atto e in questi sensi rinunzio al mio emendamento anche su questa parte.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ritiro il mio emendamento soppressivo del primo comma, ma insisto sulla soppressione del terzo.

PRESIDENTE. L’onorevole Tonello, mantiene il suo emendamento?

TONELLO. Piuttosto che ostinarmi a mantenerlo, vorrei che rimanesse come una raccomandazione, affidandomi, una volta, tanto, alla coscienza dei colleghi che saranno al Governo. (Commenti).

PRESIDENTE. Procediamo allora alla votazione per divisione dell’articolo.

Pongo in votazione il primo comma:

«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata ad appello nominale».

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma, del quale l’onorevole Corbino ha proposto la soppressione:

«Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenere la fiducia».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto comma:

«Un voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni».

(È approvato).

Passiamo al quinto comma:

«La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

Su questo comma vi sono alcuni emendamenti, fra i quali ha la precedenza quello dell’onorevole Mazzei, che più si discosta dal testo della Commissione:

«Una mozione di sfiducia non può essere presentata alla Camera se non è motivata. La discussione della mozione non può aver luogo prima di tre giorni dalla sua presentazione e se non vi consente almeno un quarto dei componenti la Camera».

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Vorrei fare un’altra proposta, cioè quella di sopprimere quest’ultimo capoverso, perché, mentre le speciali modalità per il voto di sfiducia si potevano capire nella legge 16 marzo 1946 di fronte all’Assemblea Costituente, che era eletta soltanto per fare la Costituzione e che non aveva carattere strettamente legislativo, non si comprende come nella Costituzione dello Stato si debbano fissare speciali modalità per il voto di sfiducia. Se mai, è questione di Regolamento.

PRESIDENTE. C’è una proposta dell’onorevole Rubilli a questo proposito.

PERSICO. Allora mi associo alla proposta Rubilli.

MAZZEI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZEI. Desidero chiarire che, secondo il nostro emendamento, la mozione di sfiducia va messa senz’altro all’ordine del giorno, ma per procedersi alla discussione bisogna che vi consenta un quarto dei componenti dell’Assemblea. E ciò è cosa diversa dall’appoggio di cui si parla nel Regolamento della Camera.

PRESIDENTE. Mi permetta, onorevole Mazzei, di chiarire il valore e il significato di questa sua proposta. È evidente che, nel momento in cui si chiederà alla Camera o al Senato della Repubblica se un quarto dei componenti appoggiano la mozione di sfiducia presentata da un solo deputato, comincia di fatto la discussione di merito sulla mozione di sfiducia. Ritengo perciò che anche soltanto per chiedere se un quarto dei presenti acconsenta che la mozione di sfiducia sia presa in considerazione, sarà necessario mettere all’ordine del giorno la questione, che non si potrà insinuare in fine della seduta, come una qualsiasi comunicazione ordinaria.

Pongo in votazione l’emendamento Mazzei testé letto:

(Non è approvato).

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Rubilli:

«Sostituire le parole dell’ultimo comma: La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera, con le seguenti: La mozione di sfiducia deve essere presentata secondo le modalità che sono stabilite dai Regolamenti delle due Camere».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rimandare al Regolamento potrebbe apparire inutile perché si sa che tutte le norme sulla votazione sono stabilite dal Regolamento. La formula del rinvio non migliorerebbe poi, dal lato stilistico, non darebbe lustro al testo della Costituzione.

Vi è un certo stile delle Costituzioni a cui bisogna badare. In quanto al merito è un po’ strano quanto avviene. La seconda Sottocommissione era partita col fermo e concorde proposito di impedire più che fosse possibile l’instabilità e l’eccessiva mutevolezza dei Governi. A tal fine si era pensato da alcuni, perfino, che il Parlamento eleggesse il Governo per un certo tempo; e così via, con una gamma di proposte e di procedure perché i voti di sfiducia non fossero improvvisi e poco meditati. L’idea dell’Assemblea Nazionale venne fuori specialmente qui, per rendere possibile il ricorso contro il voto di sfiducia pronunciato in prima istanza da una Camera. Si avanzarono poi cifre di maggioranze speciali e di quorum, tenendo conto che un Governo può essere in minoranza davanti alle opposizioni, ma queste possono essere non concordi fra loro, e nessuna più forte numericamente del partito al Governo. Non entrerò in particolari, e non esaminerò più a lungo questi temi, che anche fuori d’Italia destano molte preoccupazioni; ed una maggiore stabilità di Governi è quasi una parola d’ordine. Ecco che qui, nell’Assemblea, tutto muta. Nella Commissione dei Settantacinque io dovevo reagire a chi voleva troppo consolidare i Governi, e troppo irrigidire i procedimenti per tenerli in vita. Ma qui si passa da un eccesso all’altro. E viene in prima linea, l’opposta preoccupazione che non sia ferita la libertà di discussione del Parlamento e non siano imposti vincoli alla sua facoltà, di dare o no la fiducia ai Governi.

Insisto soprattutto sulla necessità di non consentire gli «assalti alla diligenza», e le «bucce di limone», su cui si facevano scivolare i Governi, quando, per esempio, a fine seduta si veniva fuori ad un tratto con un ordine del giorno, o dando significato di sfiducia ad un voto qualunque, e si votava di sorpresa. È indispensabile: primo: stabilire che la sfiducia non può essere votata che in base a mozione motivata, da presentarsi almeno tre giorni primi della discussione.

Secondo: che la mozione sia motivata; e ciò non solo per un argomento generale di serietà, nel senso che le decisioni delle Camere siano espressamente ragionate (non dirò come debbono esserlo gli atti dell’Amministrazione) almeno nelle questioni più importanti; ma per la specifica opportunità, quando si apre una crisi, di dare un’indicazione sul modo di risolverla. Terzo: occorre un quorum per la presentazione della mozione di sfiducia. E qui specialmente si apre il dissenso.

La questione diventa impensatamente politica; le estreme sinistre e gli stessi liberali (che pur hanno, nei loro scritti, invocato la stabilità del governo) protestano ora a gran voce perché, richiedendo il quorum di presentazione, si… soffocherebbe la libertà di discussione al Parlamento. Per verità non riesco a capire. La discussione sulla politica del Governo si potrà fare sempre, in mille modi, con interpellanze, con mozioni ordinarie, con l’esame dei progetti di legge. Non si toglie il diritto di discutere alle minoranze. Ma la questione di mutar il governo deve essere posta esplicitamente; con una speciale forma di mozione – la mozione di sfiducia – che, sia pure istituto nuovo nella nostra vita parlamentare, si rivela istituto necessario.

Si tratta di una procedura speciale ed eccezionale. Non solo per render meno instabili i Governi, ma – l’onorevole Martino ha visto bene – per evitare discussioni all’infinito. Sappiamo cosa avviene in simili occasioni, di mozioni di sfiducia come di presentazioni del governo: ciascuno si sente in diritto ed in obbligo di dire la sua; si parla de omnibus rebus et de quibusdam aliis, e le discussioni durano settimane e settimane; sono discussioni panoramiche su tutto ciò che avviene nell’Italia e nel mondo; si va a frugare in ogni angolo dell’amministrazione; si portano questioncelle locali; è un bucato generale, che non si addice alla serietà del Parlamento.

Libertà di discussione, sì; ma norme e cautele per le questioni di sfiducia, e per l’istituto di una speciale mozione, che appunto si stabilisce. Il quorum d’un quinto non può ritenersi eccessivo; se non si trova un quinto dei membri della Camera per dare battaglia, vuol dire che è inutile dare battaglia.

Onorevoli colleghi, credete voi che il Paese sia contento delle continue logomachie sulle questioni di fiducia? Bisogna ricorrere a tali discussioni quand’è necessario; non per perdere tempo. Si eserciti la libera critica nelle forme ordinarie, ma si tenga presente quanto di serietà richiede l’onore ed il prestigio del Parlamento. (Applausi).

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Desidero chiarire all’onorevole Ruini che nell’emendamento da noi presentato non si nasconde alcuna buccia di limone; vi è un equivoco da parte sua. Noi abbiamo chiesto la soppressione della prima parte del quinto comma, non della seconda parte; non chiediamo la soppressione dell’intero comma; rimarrebbe la dizione «non può essere posta in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

La seconda parte del comma costituisce materia di legge costituzionale, appunto perché deve rappresentare una garanzia per tutti, per il Governo, per le Camere, per la serietà della discussione.

Per la prima parte sono d’accordo con l’onorevole Ruini che occorrono delle garanzie, per quanto riguarda la discussione relativa al voto di sfiducia. Ma dovremmo essere d’accordo anche su questo: che non si tratta in tal caso di materia costituzionale, ma di materia regolamentare, e sono i Regolamenti delle Camere legislative che dovranno provvedere in proposito.

Mi è sembrato di notare che forse la maggioranza dell’Assemblea neppure condivida il concetto della Commissione, cioè che un quinto dei deputati (cento-centoventi) debba firmare la mozione, tanto meno poi io, lo condivido.

Ed allora abbiamo pensato: a prescindere dalle discordi opinioni sul numero dei deputati firmatari della mozione, effettivamente si tratta di materia regolamentare – perché sono i regolamenti delle rispettive Assemblee che stabiliscono le modalità delle discussioni – e già troppe materie regolamentari abbiamo inserite nella Costituzione (ho di già in precedenza notato, ad esempio, che l’articolo 69 riguarda integralmente solo materie regolamentari); perciò mi sembra che, trattandosi pure di una questione abbastanza delicata, impegnare fin da ora le Camere che verranno sulle modalità con le quali andrà presentata la mozione per un voto di sfiducia ci induca ad assumere una responsabilità che esula un poco dai limiti delle nostre attribuzioni. La seconda parte sì, lo ripeto, può rimanere, poiché riguarda materia costituzionale e perciò noi non ci opponiamo; ma per quanto si riferisce alla prima parte, sia perché c’è pieno dissenso nella maggioranza della Camera rispetto alla proposta della Commissione, sia perché si tratta di materia esclusivamente regolamentare, noi crediamo che il nostro emendamento all’articolo 88 debba essere accolto.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Desidero soltanto dire che allora non sono più d’accordo con l’onorevole Rubilli.

PRESIDENTE. Comunico che sull’emendamento Rubilli è stata chiesta la votazione segreta dagli onorevoli Pajetta Giuliano, Iotti Leonilde, Moranino, Barontini Anelito, Carini, Saccenti, Ricci, Bucci, Laconi, Chiarini, Landi, Grieco, Corbi, Allegato, Imperiale, Pucci, Cavallotti, Ruggeri, Mezzadra, Pajetta Giancarlo.

Si tenga presente che secondo le ultime spiegazioni date dall’onorevole Rubilli questo emendamento non è sostitutivo di tutto l’ultimo comma dell’articolo, ma solo della prima parte che si riferisce al modo di presentazione della mozione e non al termine di tempo entro cui va posta in discussione.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     341

Maggioranza           171

Voti favorevoli        165

Voti contrari            176

(L’Assemblea non approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti –Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Corsini – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Firrao – Flecchia – Foresi – Fornara – Fresa – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Landi – La Pira – La Rocca – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Mariani Enrico – Marina Mario – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazza – Mazzei – Meda Luigi – Medi Enrico – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Murgia.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Patrissi – Pecorari – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Santi – Sapienza – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Trulli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dozza – Dugoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello.

Presentazione di una relazione.

BOZZI. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi onoro di presentare la relazione sul disegno di legge: Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia.

PRESIDENTE. Sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Targetti, il quale propone di sostituire alle parole «un quinto» le altre «un decimo» in maniera che il testo risulti del tenore seguente:

«La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti la Camera».

Gli onorevoli Bordon, Giacometti, Vernocchi ed altri hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto di questo emendamento.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Volevo domandare se, dato l’esito della votazione, non potrebbe forse essere più utilmente messo in votazione prima di tutti gli altri, l’emendamento presentato dall’onorevole Mazzei che mi sembra forse più adatto per conciliare le tendenze opposte.

L’emendamento Mazzei si potrebbe trasformare in questo senso:

«La discussione di una mozione di sfiducia non può avere luogo prima di tre giorni dalla presentazione e se non vi consenta il quarto dei componenti della Camera».

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, ma è lo stesso emendamento dell’onorevole Mazzei che l’Assemblea ha già respinto: l’abbiamo votato per primo.

Comunico che sull’emendamento Targetti è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Carpano Maglioli, Fiorentino, Tomba, Barbareschi, Fedeli Aldo, Faralli, Vischioni, Pistoia, Vernocchi, Tega, Fornara, Bordon, Costa, Giacometti, Stampacchia, Corbi, Pajetta Giancarlo, Iotti Leonilde, Fantuzzi. Moranino.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione. Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     325

Maggioranza           163

Voti favorevoli        170

Voti contrari             155

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte, alla votazione:

Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Bennani – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Bocconi – Boldrini – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsini – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michelis Paolo – De Palma – Di Fausto – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fanfani – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Firrao – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Fresa – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mazzei – Meda Luigi – Medi Enrico – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Momigliano – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli.

Nasi – Negarville – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Sampietro – Santi – Sapienza – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Sforza – Siles – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Trulli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Varvaro – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dozza – Dugoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello.

Presentazione di una relazione.

PIEMONTE. Chiedo di parlare per presentare una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione sul disegno di legge: Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947.

PRESIDENTE. Sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione dell’ultima parte dell’ultimo comma dell’articolo nel testo della Commissione:

«e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

(È approvata).

Il testo unificato degli articoli 87 e 88 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.

«Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata ad appello nominale.

«Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.

«Un voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa l’obbligo di dimissioni.

«La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».

L’onorevole Mortati ha proposto il seguente articolo aggiuntivo 88-bis:

«Il Presidente della Repubblica può subordinare l’accettazione delle dimissioni del Governo, presentate all’infuori del caso di cui all’articolo precedente, all’espressione di un esplicito voto da parte del Parlamento intorno alla politica governativa».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Questo emendamento si ricollega ad una prassi già esistente nel vecchio ordinamento costituzionale, di cui ho parlato questa mattina in un altro breve intervento, tendente a rendere chiare le relazioni fra Governo e Parlamento, allo scopo di mettere il popolo, il quale può ad un certo momento essere chiamato giudice di eventuali contrasti, in condizioni di valutarne i termini. Ad ogni modo, mi rimetto a quanto la Commissione riterrà opportuno di fare.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione non ha potuto esaminare questo emendamento dell’onorevole Mortati. Quindi credo opportuno che lo si rinvii. Resta approvato l’articolo com’è. Si vedrà in seguito se sia il caso di fare un articolo aggiuntivo o anche un nuovo comma dell’articolo che abbiamo deliberato. Pronunciarsi su due piedi, non mi sembra opportuno.

PRESIDENTE. Vi è, dunque, la proposta da parte del Presidente della Commissione dei Settantacinque di rinviare la decisione in merito alla proposta di un articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati. Se non vi sono osservazioni si intende accettata.

(Così rimane stabilito).

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Mi pare che a questo punto dovremmo passare all’esame dell’articolo 84, in relazione alla domanda di sospensiva fatta a suo tempo dall’onorevole Corbino, di rinviare la votazione di questo articolo dopo la votazione degli articoli 87 e 88.

PRESIDENTE. Allora riprendiamo l’esame dell’articolo 84. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere».

PRESIDENTE. Parte degli emendamenti presentati a questo articolo sono stati già svolti in una seduta precedente.

L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 84 col seguente:

«Su proposta del Consiglio dei Ministri e sentito il parere dei Presidenti delle due Camere, il Presidente della Repubblica può decretare lo scioglimento delle Camere legislative solo nel caso in cui in un medesimo periodo di 18 mesi siano avvenute due crisi ministeriali.

«In nessun caso, però, le Camere potranno essere sciolte prima che siano trascorsi diciotto mesi della legislatura».

L’onorevole Nobile ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

NOBILE. L’emendamento non è che la riproduzione di un articolo della Costituzione francese e corrisponde, su per giù, a quello presentato dall’onorevole Carpano. La sola differenza consiste nei limiti di tempo.

Nell’emendamento Carpano si stabilisce che le Camere possono essere sciolte, quando siansi verificate due crisi ministeriali nel corso di sei mesi. Con ciò si verrebbe ad ammettere la possibilità che si abbia una crisi ogni tre mesi! Purtroppo, qualche volta ciò è accaduto in Italia, ma parlarne nella Costituzione mi sembra inammissibile.

Se un emendamento del genere va approvato dall’Assemblea, vorrei, perciò, raccomandare i termini di tempo stabiliti nell’articolo 51 della Costituzione francese, che a me sembrano più ragionevoli. E non ho altro da aggiungere. A me piacerebbe veder approvata una proposta simile per due considerazioni: da un lato essa limiterebbe i poteri di scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica; dall’altro, contribuirebbe implicitamente ad una maggiore stabilità del Governo, perché inviterebbe le Camere ad una maggiore riflessione prima di dare per la seconda volta un voto di sfiducia.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo parere sugli emendamenti.

TOSATO. Relativamente all’articolo 84 sono stati presentati vari emendamenti.

Circa gli emendamenti presentati dagli onorevoli Benvenuti e Dominedò ho avuto occasione di esprimere il pensiero della Commissione. La Commissione è contraria ad ammettere una possibilità di scioglimento della Camera da parte del Presidente della Repubblica in via di prerogativa, cioè, secondo il significato attribuito a questo termine dai presentatori degli emendamenti, senza il concorso di un Ministro che assuma la responsabilità dell’atto del Presidente.

La Commissione resta ferma al principio fondamentale che nessun atto del Presidente possa aver luogo senza la controfirma di un Ministro responsabile.

Per quanto riguarda l’emendamento presentato dall’onorevole Costantini secondo il quale «il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere con il consenso espresso dei rispettivi Presidenti» la Commissione è dolente di dover esprimere un apprezzamento negativo. Quando mai i Presidenti delle Camere vorranno assumersi la responsabilità, di accordare al Presidente l’assenso per lo scioglimento delle Camere? Quando mai questi Presidenti, eletti dalle Camere, vorranno assumersi questa responsabilità di fronte ai membri delle Camere? L’emendamento proposto affida ai Presidenti un compito estraneo alle loro funzioni, e li mette, senza ragione, in una situazione impossibile. Praticamente, l’onorevole Costantini se ne renderà conto, lo scioglimento delle Camere non avrà mai luogo, e se avverrà, avrà luogo quando i Presidenti siano sicuri del consenso delle Camere. (Interruzione del deputato Costantini).

Secondo l’emendamento dell’onorevole Nitti i Presidenti delle Camere non dovrebbero essere nemmeno sentiti. Ora, è evidente onorevole Nitti, che il testo della Commissione rappresenta precisamente una transazione: transazione nei limiti del possibile per conservare la natura e gli scopi dell’istituto tra due tendenze opposte, la tendenza che vuol subordinare assolutamente la possibilità del Presidente di sciogliere le Camere all’assenso di organi diversi da quelli del Governo, e l’altra tendenza che vuol realizzare puramente e semplicemente la discrezionalità del Presidente col suo Governo per lo scioglimento delle Camere. Il progetto rappresenta questo tentativo di conciliazione nel senso che per un atto così importante si deve bensì sentire il parere dei Presidenti delle Camere, salvo però l’apprezzamento che di esso faranno il Governo e sopra tutto il Presidente della Repubblica. L’emendamento dell’onorevole Nitti però – leggo meglio – vuole anche limitare il potere del Capo dello Stato allo scioglimento della Camera dei deputati. Ora, la Commissione non può accogliere tale proposta.

L’emendamento presentato dall’onorevole Nitti ha una sua ragion d’essere in relazione alla sua proposta originale relativamente al Senato. L’onorevole Nitti suggeriva, come ricordate, un Senato avente una durata maggiore della durata della Camera dei deputati, e soprattutto un Senato rinnovabile parzialmente ogni biennio o triennio. Ora, dato che l’Assemblea ha respinto questo suggerimento, escludendo il rinnovamento parziale del Senato, non v’è alcuna ragione di limitare lo scioglimento alla Camera dei deputati, escludendone la possibilità per il Senato. Non sarebbe più giustificato, questo trattamento diverso per le due Camere.

Secondo l’onorevole Colitto bisognerebbe precisare che il Presidente può sciogliere entrambe le Camere o anche una di esse.

Il testo della Commissione è generico, dice semplicemente: il Presidente può sciogliere le Camere. Ma io credo che il testo del progetto comprenda implicitamente questa proposta esplicita fatta dall’onorevole Colitto.

Faccio una ipotesi. La Camera dei deputati dura cinque anni, il Senato sei anni. Nel giro di poche legislature l’elezione del Senato, salvo scioglimenti anticipati, potrà cadere dopo due o tre anni da quella della Camera dei deputati; e con l’elezione del Senato manifestarsi una situazione politica totalmente cambiata, cambiata tanto da infirmare il valore rappresentativo della Camera dei deputati, eletta precedentemente.

Ritengo che in questo caso, il Presidente della Repubblica possa sciogliere soltanto la Camera dei deputati, e non il Senato appena uscito dal suffragio popolare.

Comunque, la Commissione non è contraria a questa precisazione proposta dall’onorevole Colitto.

Secondo l’emendamento presentato dall’onorevole Carpano ed altri, il Presidente della Repubblica potrebbe, sì, sciogliere le Camere, ma non prima di un anno dalla loro elezione, e nel caso che si siano verificate due successive crisi di Governo, in seguito a voto di sfiducia, nel periodo di un semestre.

Quindi, secondo questo emendamento, il potere di scioglimento del Presidente sarebbe subordinato a due condizioni: una generale, in ogni caso nessuno scioglimento prima che sia trascorso un anno dalle elezioni delle Camere stesse; seconda condizione, scioglimento possibile soltanto in quanto nel giro di un semestre siano intervenute due crisi ministeriali per voto di sfiducia delle Camere.

La Commissione osserva che, per quanto riguarda il termine di un anno – e questo vale per l’emendamento analogo, sotto questo aspetto, dell’onorevole Nobile (che propone invece un termine di diciotto mesi) – esso evidentemente ha qualcosa di arbitrario e in definitiva servirebbe a frustrare quelle esigenze che si intendono sodisfare precisamente col potere di scioglimento. Può darsi infatti che le esigenze, che giustifichino il potere di scioglimento da parte del Presidente della Repubblica, si manifestino prima di un anno o di diciotto mesi dalla elezione delle Camere.

Questa arbitrarietà di un termine vale anche per l’altro requisito positivo posto dall’onorevole Carpano: cioè lo scioglimento è possibile soltanto in quanto siano intervenute due crisi nel giro di un semestre. Questo requisito positivo da un lato è arbitrario, dall’altro, in definitiva, potrebbe portare alla conseguenza di subordinare sempre l’esercizio del potere di scioglimento da parte del Presidente alla volontà delle Camere; perché è evidente che, se lo scioglimento è possibile soltanto in quanto le Camere votino la sfiducia al Governo due volte nel giro del semestre, le Camere che non vogliono restare sciolte, potranno facilmente rinviare il voto di sfiducia poco dopo il decorso del semestre dalla crisi precedente, rendendo così sempre impossibile lo scioglimento.

Per queste ragioni la Commissione non può accettare l’emendamento Carpano e quello, analogo, proposto dall’onorevole Nobile.

L’emendamento proposto dall’onorevole Bosco Lucarelli vorrebbe aggiungere un comma: «In tal caso i poteri delle Camere non sono prorogati fino alla riunione delle nuove Camere».

Tutti ricordano che l’Assemblea ha approvato l’istituto della prorogatio, in forza del quale le Camere, anche scadute, possono essere convocate; s’intende, in circostanze straordinarie, che ne rendono opportuna, anzi necessaria, la convocazione. Secondo l’onorevole Bosco Lucarelli si dovrebbe fare una eccezione a questo istituto della prorogatio nel caso in cui le Camere cessino non per morte naturale, ma per scioglimento.

Ora, credo che questo emendamento sia determinato da preoccupazioni che, in fondo, non hanno effettiva giustificazione. Vi sono due ipotesi da fare: o il Governo è posto in minoranza delle Camere: in Questo caso il Governo può suggerire al Presidente, ed il Presidente consentire, lo scioglimento delle Camere: ed è evidente che in questo caso le Camere non potranno essere convocate per discutere e votare la sfiducia al Governo: ciò è escluso dal fatto che il Presidente ha fatto esercizio del potere di scioglimento; oppure il Governo conserva la fiducia delle Camere. Se ciò nonostante queste vengono sciolte, questo implica tra il Governo e l’Assemblea e tra l’Assemblea ed il Paese un dissidio in forza del quale il Presidente ha ritenuto opportuno sciogliere le Camere ed indire nuove elezioni. Lo scioglimento può essere anche giustificato dal manifestarsi della necessità di risolvere gravi questioni, questioni del tutto nuove, sulle quali il corpo elettorale non ha avuto occasione di prendere posizione attraverso le elezioni. È evidente che in questi casi non si può invocare la prorogatio dei poteri delle Camere, per discutere della fiducia al Governo. In ambedue le ipotesi indicate si abuserebbe della proroga dei poteri per combattere il Governo e, in definitiva, per porre in discussione lo scioglimento, il che è evidentemente inammissibile e escluso. Per tutte le altre questioni, non attinenti la fiducia al Governo, la possibilità della convocazione dev’essere sempre ammessa, e tanto più, aggiungo, quando le Camere sono sciolte. Gli eventi straordinari che giustificano la convocazione delle Camere scadute possono verificarsi anche a Camere sciolte – si pensi ad esempio al caso di emanazione di decreti-legge di urgenza – e quindi, anche nell’ipotesi di scioglimento, anzi a maggior ragione, la prorogatio ha ragion d’essere. D’altronde ripeto: la proroga non può essere invocata, data la sua natura e la sua funzione, se non per casi ed eventi veramente straordinari e urgenti.

Vengo all’emendamento dell’onorevole Romano, il quale propone di aggiungere questo comma: «Allo scioglimento delle due Camere seguirà l’elezione del Presidente della Repubblica da farsi entro sei mesi dalla elezione delle Camere stesse». Evidentemente questo emendamento, dopo gli articoli che abbiamo già approvato, non ha più ragion d’essere e cade.

La Commissione non è aliena dall’accettare l’emendamento dell’onorevole Laconi, sebbene ritenga sia superfluo. Infatti abbiamo già votato un articolo in forza del quale non si procede ad elezione del Presidente della Repubblica nel caso in cui questa elezione cada nell’ultimo semestre di vita delle Camere. È evidente che una norma di correttezza costituzionale imporrà identica condotta da parte del Presidente della Repubblica per quanto riguarda lo scioglimento.

Tuttavia, se l’onorevole Laconi insiste, la Commissione non ha difficoltà ad accettare la sua proposta.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori degli emendamenti se intendono mantenerli.

Onorevole Benvenuti, mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. Lo ritiro, riservandomi di ripresentarlo quando si discuterà il problema della Corte costituzionale.

PRESIDENTE. Sta bene. E lei, onorevole Costantini?

COSTANTINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, lo mantiene?

NITTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Dominedò?

DOMINEDÒ. Lo ritiro, ma a proposito di questo emendamento debbo una parola di risposta all’onorevole Orlando, il quale mi ha fatto l’onore di un apposito intervento.

Mi è sembrato, in primo luogo, che l’onorevole Orlando collegasse eccessivamente l’ipotesi prospettata nel mio emendamento a quella delle prerogative in via personale. Viceversa, fra i due casi, a prescindere dal distacco obiettivo, vi è questo divario: che nelle prerogative in via strettamente personale, classiche e tradizionali, è senza altro esclusa la controfirma del Governo, mentre qui la controfirma è sempre possibile, anche se non necessaria, agli effetti della validità.

In secondo luogo, l’obiezione che la proposta in parola risulti inconciliabile col principio di irresponsabilità, viene del tutto meno quando invece si postuli un’ipotesi di responsabilità a seguito dell’esercizio di questo potere autonomo e indipendente; ciò che espressamente mi riservavo di fare.

In terzo luogo, ed ultimo, la proposta, piuttosto che rivolta al passato, appare protesa verso il futuro, in quanto tendente ad accogliere un aspetto del potere presidenziale del Capo dello Stato per inserirlo organicamente nel sistema del Governo parlamentare da noi adottato.

Mi rendo conto che questo tentativo di sintesi possa forse eccessivamente turbare lo schema già predisposto dalla Commissione, e perciò, in omaggio alla maggioranza prevalsa nell’ambito del mio Gruppo, non insisto a che l’emendamento sia posto in votazione.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Colitto è stato accettato dalla Commissione.

Onorevole Carpano Maglioli, mantiene il suo emendamento?

CARPANO MAGLIOLI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Bosco Lucarelli?

BOSCO LUCARELLI. Dopo le dichiarazioni della Commissione, che devono essere intese come una interpretazione autentica, secondo le quali in questi casi le Camere funzionerebbero solo per gli atti di ordinaria amministrazione, non insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. L’emendamento dell’onorevole Romano è stato assorbito.

Onorevole Laconi, mantiene l’emendamento?

LACONI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, mantiene l’emendamento?

NOBILE. Ritiro il mio emendamento in quanto sostanzialmente non differisce da quello dell’onorevole Carpano Maglioli al quale mi associo. Vorrei però, quando verrà in votazione l’emendamento Carpano, proporre che sia votato per divisione, separando quanto concerne il termine di tempo.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla votazione.

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il nostro Gruppo voterà favorevolmente all’emendamento che porta il mio nome, in quanto è stata approvata nell’articolo 81 la disposizione che in caso di scioglimento delle Camere i poteri del Presidente sono automaticamente prorogati. Se noi a questo punto non stabilissimo un certo limite nella facoltà del Presidente, riguardo allo scioglimento delle Camere, il Presidente della Repubblica avrebbe la possibilità di fare un piccolo colpo di stato legale, e cioè potrebbe sciogliere le Camere per avere prorogati i poteri e avvalersi di questo potere prorogato per influenzare le nuove elezioni. Se domani il Presidente della Repubblica, allo scadere del suo mandato, si trovasse con due Camere le quali in modo evidente non gli fossero favorevoli, egli potrebbe benissimo sciogliere le Camere e prorogare i suoi poteri per avere nuove Camere che potrebbero essere a lui più favorevoli.

Ora, questo sarebbe tanto più grave se per caso non dovesse passare l’emendamento dell’onorevole Carpano, perché allora il diritto di scioglimento del Presidente sarebbe senza limiti in quanto il Presidente potrebbe sciogliere le Camere appena elette. Siccome una tradizione democratica in Italia non vi è ancora, penso che non sia male di stabilire delle clausole a questo riguardo.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Volevo precisare che il nostro Gruppo voterà il testo della Commissione salvo l’emendamento dell’onorevole Laconi, che accetta, e voterà contro tutti gli altri emendamenti. È un problema grave questo, che abbiamo accuratamente esaminato. Non c’è nessun dubbio che nel sistema della nostra Costituzione lo scioglimento anticipato sia una necessità. Si potrebbe pensare diversamente se avessimo ammesso il sistema della legislatura breve, ma con Camere che durano cinque o sei anni e con la mutevolezza della pubblica opinione in Italia, sarebbe impossibile immaginare un sistema diverso. Lo scioglimento è inevitabile. Si deve osservare che l’istituto dello scioglimento è postulato necessario dell’altro istituto che è rappresentato dal referendum popolare introdotto dalla nostra Costituzione. Sarebbe un assurdo intollerabile ed un evidente pericolo politico che una maggioranza parlamentare battuta da un massiccio referendum popolare potesse e dovesse sopravvivere per cinque o sei anni. Ammesso il principio ci pare che la formula più esatta sia quella concordata dalla Commissione e riteniamo pertanto che gli altri emendamenti siano nettamente da respingere.

All’autorevole parola dell’onorevole Orlando si può rispondere che non occorre stabilizzarsi su formule scientifiche; tanto più che, avendo già votato l’articolo 84, abbiamo escluso la interpretazione di un potere personale del Presidente della Repubblica, ed abbiamo creato, non un atto di prerogativa, ma un atto di Governo circondato da una garanzia nuova: la garanzia del parere favorevole dei Presidenti delle due Assemblee.

E vengo all’emendamento presentato dall’onorevole Costantini, nei confronti del quale osservo che le Camere non hanno una naturale tendenza al suicidio, e che, se si dovesse ottenere sempre che i due Presidenti di entrambe le Camere si dichiarassero favorevoli allo scioglimento anticipato della Camera che rappresentano, non arriveremmo mai ad ottenere lo scioglimento quando dall’esito di elezioni parziali la coscienza pubblica deducesse l’assoluta necessità di un mutamento di Governo.

Ma l’emendamento dell’onorevole Carpano è quello che più ci ha preoccupato. Io a questo vorrei opporre la seguente considerazione: supponga l’onorevole Carpano che tre crisi successive rivelino l’impossibilità di costituire un Governo. Abbiamo il caso del comune di Roma, per esempio: può darsi che lo stesso succeda sul piano nazionale… (Interruzione del deputato Carpano Maglioli).

Ma, onorevole Carpano, qui non c’è la possibilità di nominare un Commissario.

Si può nominare un Commissario per l’amministrazione del comune di Roma, ma non per l’amministrazione dell’Italia. Ed io suppongo che se, come si è proposto, non potranno votare i membri del Governo e la maggioranza effettiva è soltanto di quattro o cinque voti, possano anche manifestarsi quattro o cinque successivi dinieghi di fiducia. Ed allora cosa può fare il Capo dello Stato se non può ricorrere alle nuove elezioni? È un caso che si può anche verificare e bisogna, necessariamente, valutarlo.

Del resto dico all’onorevole Carpano: delle due l’una: o le crisi non si verificheranno ed allora è evidente che non c’è bisogno dello scioglimento; o vi saranno crisi multiple, ed allora sarebbe pericoloso porre un limite di tempo prima del quale non sia possibile procedere allo scioglimento.

Del resto, mi pare ovvio che il Presidente della Repubblica, che è anch’egli figlio della stessa maggioranza, sarà estremamente cauto nel valersi di questa facoltà, così come sarà estremamente cauto il Governo. C’è il mito di Saturno nella leggenda, ma non c’è il mito opposto dei figli che mangino il padre. I membri del Governo sono figli della maggioranza e si suppone che non possano battersi contro la maggioranza che li ha espressi. Credo che il Presidente sarà estremamente cauto nel valersi di questa somma sua facoltà. Se poi la maggioranza nuova gli darà ragione tanto meglio; se gli darà torto tanto peggio per lui. Farà come tanti altri Presidenti: se ne andrà.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il nostro Gruppo, ritenendo che il potere di scioglimento delle Camere sia uno strumento indispensabile per adeguare la rappresentanza popolare ai reali mutamenti dell’opinione pubblica, al di fuori della durata normale delle legislature, voterà in favore dell’articolo 84 e contro tutti gli emendamenti modificativi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento sostitutivo dell’onorevole Costantini:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere col consenso espresso dei rispettivi Presidenti».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione il testo della Commissione con l’emendamento Colitto, accettato dalla Commissione:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di esse».

(È approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento presentato dall’onorevole Carpano Maglioli e altri, tendente ad aggiungere al testo ora votato le seguenti parole:

«non prima di un anno dalla loro elezione e nel caso che abbiano dato luogo a due mutamenti di Governo a seguito di voto di sfiducia nello spazio di un semestre».

Su questo emendamento è pervenuta una richiesta di votazione per scrutinio segreto degli onorevoli Maltagliati, Laconi, Vernocchi, Giacometti, Fedeli Aldo, Pistoia, Scoccimarro, Sicignano, Corbi, Grieco, Pesenti, Gallico Spano Nadia, Fedeli Armando, Saccenti e altri.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     309

Maggioranza           155

Voti favorevoli         116

Voti contrari                        193

(L’Assemblea, non approva).

Hanno preso parie alla votazione:

Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Basile – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Bennani – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bocconi – Boldrini – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro.

Caccuri – Calamandrei – Camangi – Camposarcuno – Candela – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cimenti – Cingolani – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsini – Cosatimi – Costa – Costantini – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fiorentino – Firrao – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Gonella – Gorreri – Gortani – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jervolino.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena –Longo – Lozza – Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Mariani Enrico – Martinelli – Martino Enrico – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Murgia.

Nasi – Negarville – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Orlando Camillo.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Recca – Restagno – Restivo – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Sampietro – Santi – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Segni – Sforza – Sicignano – Siles – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vernocchi – Veroni – Vicentini – Vigna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso – Cavallari.

De Caro Raffaele – Dozza – Dugoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Laconi, accettato dalla Commissione, tendente ad aggiungere il seguente comma:

«Non può usare di tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato».

(È approvato).

L’articolo 84 risulta nel suo complesso, salvo coordinamento, così approvato:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di esse.

«Non può usare di tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato».

Siamo così arrivati quasi al termine di questo Titolo. Occorre che terminiamo l’approvazione degli articoli 89, 90, 91, 92 e 93 entro la giornata di domani.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo sia difficile, perché dobbiamo esaminare l’articolo relativo al Consiglio economico.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, è necessario che finiamo domani, perché nella prossima settimana dovremo esaminare una serie di disegni di legge che sono pronti e devono essere votati prima dell’interruzione dei nostri lavori. D’altra parte, la prossima settimana dovremo risolvere la questione delle Regioni. Se concludiamo domani questa parte, la prossima settimana potremo terminare il nostro programma.

Dovremo, pertanto, domani anticipare l’inizio della seduta.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo sarebbe più conveniente, e molti colleghi sarebbero più contenti, se, anziché anticipare la seduta di domani, si interrompesse adesso fino alle 22, per riprendere con una seduta notturna.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, pongo in votazione la proposta dell’onorevole Corbino.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

(La seduta, sospesa alle 20.45, è ripresa alle 22.30).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, riprendiamo l’esame del secondo comma dell’articolo 52, nel quale, per la prima volta nel progetto di Costituzione, si parla dell’Assemblea Nazionale. Nel testo del progetto esso è di questo tenore:

«Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale nei casi preveduti dalla Costituzione».

L’onorevole Perassi ha proposto il seguente emendamento sostitutivo:

«Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei casi stabiliti dalla Costituzione»,

Gli onorevoli Bozzi e Nitti avevano proposto il seguente emendamento:

«Nei soli casi preveduti dalla Costituzione le due Camere deliberano congiuntamente».

Onorevole Bozzi, mantiene l’emendamento?

BOZZI. Lo mantengo senza svolgerlo,

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino aveva presentato, insieme agli onorevoli Condorelli e Russo Perez, il seguente emendamento sostitutivo:

«Il Parlamento si riunisce in seduta plenaria nei casi stabiliti dalla Costituzione».

Onorevole Corbino, mantiene il suo emendamento?

CORBINO. Aderisco al lesto proposto dall’onorevole Perassi.

PRESIDENTE. L’onorevole Macrelli aveva presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Le due Camere si riuniscono in seduta plenaria nei casi stabiliti dalla Costituzione».

Non essendo l’onorevole Macrelli presente, il suo emendamento si intende decaduto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se vi ricordate, onorevoli colleghi, avevamo soprasseduto all’esame di questo secondo comma dell’articolo 52 perché non sapevamo che cosa sarebbe stato della riunione in comune delle due Camere. Il concetto della riunione in comune delle due Camere è ormai affermato, sia pure in casi limitati; come l’elezione del Capo dello Stato, e la sua messa in accusa. La riunione delle due Camere c’è; dobbiamo darle un nome? Vi è la proposta dell’anonimato, del nome x; e si informa a tale criterio l’emendamento Nitti-Bozzi, che parla di «deliberazioni» in comune delle due Camere; e come sostanza mi potrebbe bastare, anche perché si mette l’accento sulla «deliberazione» e si dà così alle due Camere riunite un contenuto che va al di là della semplice funzione elettorale o di accusa; e lascia aperte le porte all’avvenire, ad altri casi in cui con modifiche costituzionali si potrà richiedere la riunione delle due Camere.

Non vi ho nascosto, e vi ho detto altre volte, le ragioni per cui fui e sono favorevole a questo istituto, mentre sono nettamente contrario al monocameralismo. Le due Camere lavorano, normalmente, e per definizione, in modo separato; ma – posto che sono tutte due elettive ed a piena parità – nulla vieta che si possano riunire assieme, in date occasioni, per funzioni che possono meglio adempiere che se fossero separate. Con la nostra Costituzione non vogliamo fare salti nel buio; ma anche tentare qualche via nuova, con cautela e prudenza; e così si fa, rendendo possibili le riunioni comuni in casi che debbono essere stabiliti tassativamente dalla Costituzione. Mi sembra strano che siano proprio deputati d’estrema sinistra a non comprendere la portata dell’istituto; e ad aver paura della «terza Camera»; mentre vi è dall’opposta parte chi ha paura che ci si avvia, per siffatta strada, ad una Camera sola. Né una né tre; c’è una riunione, per dati casi, delle due Camere; e l’avete ammessa nella Costituzione: ed è bene che le diamo un nome.

Gli onorevoli Corbino e Perassi propongono di tirar fuori il nome glorioso e tradizionale di Parlamento per designare le riunioni dei membri delle due Camere. Niente di male; significherebbe per un certo aspetto dar maggiore rilievo all’istituto. Parlando di adunanze «plenarie» o «comuni», si sottolinea di più una certa unità e quasi normalità del Parlamento a Camere riunite. Ma può forse sorgere qualche incertezza ed equivoco sul nome di Parlamento; che è usato appunto tradizionalmente per designare le due Camere, quando lavorano separatamente; ora invece verrebbe spostato ad indicare più specificamente i casi – in realtà eccezionali – in cui le due Camere si riuniscono insieme. La dizione Perassi parla di riunione dei membri delle due Camere, e non di riunione delle due Camere; è una sottile distinzione; e può essere accettata, anche se non si chiama la riunione col nome di Parlamento.

Confesso che vorrei ritornare alla espressione originariamente proposta di Assemblea generale; che è adoperata spesso anche all’estero; e che comunque dà la più diretta impressione – meglio che adunanza plenaria o comune – di ciò che si ha, quando le due Camere si riuniscono assieme. La parola, che ha sollevato tante apprensioni e fobie, non le desta più, ora che tutti hanno accolto – seppure a scartamento ridotto, per ora (verranno poi le revisioni costituzionali) – l’istituto della riunione. Ma, qualunque nome si adotti, resta ormai la sostanza.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere l’emendamento presentato:

«Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere solo nei casi stabiliti dalla Costituzione».

PERASSI. Il Presidente della Commissione ha manifestato l’opinione che convenga mantenere la dizione: «Assemblea Nazionale» usata nel progetto per denominare la riunione delle due Camere. Io non avrei difficoltà, tuttavia mi pare che sia da considerare una soluzione anche più semplice.

Noi abbiamo nel progetto il Titolo: «Il Parlamento». Vi si dice anzitutto: «Il Parlamento è composto dalle due Camere». Poiché abbiamo determinato i casi in cui i componenti le due Camere si riuniscono insieme, si tratta ora di dare il nome a questa formazione.

Osservo anzitutto che la formula: «Camere riunite», che è stata da taluni proposta, dal punto di vista tecnico non sarebbe molto felice, perché in realtà non è che le Camere come tali si riuniscono; è che i componenti le due Camere formano insieme un collegio, che prende deliberazioni collegiali, distinte da quella che è la volontà delle singole Camere. La deliberazione di quel che si chiamerà il Parlamento o Assemblea Nazionale non è né un accordo né un atto collettivo, ma l’atto di un organo collegiale, i cui componenti sono individualmente i membri delle Camere. Volendo raffigurare le cose – direi quasi – cinematograficamente, supposto che si tenga in quest’Aula la riunione delle due Camere, è molto probabile che non si vedrebbe distinzione di seggi tra deputati e senatori.

Ora, una volta ben stabilito giuridicamente che questi atti, sia pure pochi (l’elezione, la messa in istato d’accusa e qualche altra elezione che forse verrà), sono di competenza di questo organo in tal modo costituito, si rende necessario di dargli un nome appropriato. Quale nome? Qui sorge la questione: quale scegliere? Se si consultano le Costituzioni dei diversi Stati esteri, nei quali esiste un istituto analogo, si ritrovano diverse denominazioni: Congresso, Assemblea Nazionale, Skupcina, Soviet supremo. Sono tutti nomi che indicano l’organo corrispondente a quello di cui stiamo parlando. Quale di queste diverse denominazioni scegliere? Mi pare che la parola «Parlamento» sia innanzitutto italianissima e poiché è già usata nel Titolo, mi pare convenga usarla anche in questo significato specifico, cioè per indicare il collegio formato con i componenti le due Camere.

Senza voler dare un peso particolare ad esempi stranieri, ricordo che la nuova Costituzione francese segue il medesimo sistema. Voi sapete che nella nuova Costituzione francese la prima Camera si chiama Assemblea Nazionale, la seconda Consiglio della Repubblica. Ora, la parola «Parlamento», nella nuova Costituzione francese, è usata precisamente per indicare l’organo collegiale risultante dall’insieme dei membri dell’Assemblea Nazionale e del Consiglio della Repubblica. Così si dice che l’elezione del Presidente della Repubblica è fatta dal Parlamento.

Per queste considerazioni, prendendo lo spunto dalla proposta fatta dall’onorevole Corbino, mi sono indotto a proporre la parola «Parlamento», formulando il testo nella seguente maniera: «Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere solo nei casi stabiliti dalla Costituzione». Dicendosi «solo» nei casi preveduti dalla Costituzione, si precisa rigorosamente quale è la competenza di quest’organo e si toglie quindi qualsiasi preoccupazione che possa essere affiorata nel corso della discussione.

Per queste considerazioni propongo che si adotti questa formula.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io sono autorizzato a difendere, come Presidente della Commissione, la designazione di Assemblea Nazionale, che essa ha fin dall’inizio adottato. Non c’è ragione di accettare l’espressione di «Parlamento» proposta all’ultima parola. Con l’espressione «Parlamento» – ripeto – sembra che si vada più in là che con l’altra «Assemblea Nazionale»; che non è altro che il nome della riunione (eccezionale) delle due Camere; mentre invece, secondo la proposta testé fatta, si vuol parlare proprio di Parlamento in sua adunanza plenaria o comune; come se tale fosse funzione normale; e come se il Parlamento avesse ragione di essere proprio pel suo lavoro in comune. Ho detto perché preferisco «Assemblea generale», che dovrebbe spaventare meno gli ortodossi.

Ma le questioni di nomenclatura contano poco. Andiamo avanti.

PRESIDENTE. Pongo dapprima in votazione la formula degli onorevoli Bozzi e Nitti, che massimamente si allontana dal testo del progetto:

«Nei soli casi preveduti dalla Costituzione le due Camere deliberano congiuntamente».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo ora in votazione la formula proposta dall’onorevole Perassi:

«Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere soltanto nei casi stabiliti dalla Costituzione».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

L’articolo 52 risulta nel suo complesso così approvato:

«Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

«Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere soltanto nei casi stabiliti dalla Costituzione».

Ricordo che abbiamo già approvato il primo comma dell’articolo 60; resta da approvare il secondo. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«La Presidenza dell’Assemblea Nazionale è assunta per la durata di un anno, alternativamente, dal Presidente della Camera dei deputati e dal Presidente della Camera dei senatori».

L’onorevole Bosco Lucarelli aveva presentato e svolto il seguente emendamento:

«Al secondo comma, alla parola: anno, sostituire la parola: semestre».

L’onorevole Fuschini aveva proposto di sopprimere il comma ma vi ha rinunziato.

L’onorevole Corbino aveva presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

Quando le due Camere siedono congiuntamente l’Ufficio di Presidenza è quello della Camera dei deputati».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Onorevole Presidente, il contenuto di questo mio emendamento è così chiaro! Si tratta di integrare l’indicazione del Presidente per il Parlamento, ai termini del secondo capoverso dell’articolo 52, con il concetto più largo dell’ufficio di Presidenza. Infatti, quando un’Assemblea così numerosa si riunisce, non sorge soltanto il problema della scelta del presidente, ma sorge anche quello dell’indicazione di tutto l’ufficio di presidenza.

A ciò tende quindi il mio emendamento, il quale indica nell’ufficio di Presidenza della Camera dei deputati l’ufficio competente per presiedere le sedute del Parlamento a Camere riunite.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione su questo emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho alcuna difficoltà ad accoglierlo, salvo il coordinamento dal punto di vista della forma.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione l’emendamento presentato dall’onorevole Corbino, accettato dalla Commissione:

«Quando le due Camere siedono congiuntamente, l’Ufficio di Presidenza è quello della Camera dei deputati».

(È approvato).

L’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli si intende, così, assorbito.

Passiamo al primo comma dell’articolo 61, sul quale è rimasta in sospeso la decisione relativa alle parole: «e l’Assemblea Nazionale».

Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera e l’Assemblea Nazionale adottano il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei loro membri».

PRESIDENTE. Gli onorevoli Costantini, Fedeli Aldo, Tonello, Fiorentino, Pistoia, Carpano Maglioli, Fornara, Vernocchi, De Michelis e Mariani Enrico, avevano presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi membri; l’Assemblea Nazionale applicherà il regolamento della Camera dei deputati.

L’onorevole Conti aveva presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per la seduta dell’Assemblea Nazionale si applica il regolamento della Camera dei deputati».

Invito l’onorevole Ruini a esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. A me pare che sarebbe più opportuno non mettere nulla a questo proposito nella Costituzione: il Parlamento riunito sceglierà il regolamento che vuole.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, a me sembra che sarebbe opportuno introdurre una disposizione a questo riguardo. Le due Camere riunite dovrebbero funzionare di rado, in occasione di circostanze del tutto eccezionali e dovrebbero, quel che è più, riunirsi per poche ore. Se esse dovessero darsi un regolamento, penso che dovrebbero invece protrarre molto a lungo i loro lavori, il che non mi pare sia nell’intendimento di questa Assemblea.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Desidero far osservare che la riunione delle due Camere comporta delle esigenze che non sono naturalmente le stesse delle due Camere che lavorano separatamente. È ben vero che noi abbiamo detto che l’ufficio di presidenza sarà quello della Camera dei deputati; ma, per esempio, circa il modo di fare la votazione per il Presidente della Repubblica, come sul modo di discutere eventualmente la messa in istato di accusa dello stesso Presidente, vi potranno essere delle norme che solo il Parlamento riunito in Assemblea potrà stabilire caso per caso. Non tutte le disposizioni, io penso, del Regolamento della Camera possono essere efficaci per un’Assemblea dove vi sono senatori e deputati. Non basterà in diversi casi applicare sic et simpliciter il Regolamento della Camera; bisognerà lasciare la possibilità che a questo Regolamento siano apportate quelle eccezioni che deriveranno dal modo di funzionare delle Camere riunite.

Ho fatto questa osservazione, perché ne sia tenuto conto dalla Commissione, la quale potrà, se lo creda, trovare un inciso che rispecchi questa mia preoccupazione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Si potrebbe trovare una soluzione in questo senso: noi potremmo non parlare nella Costituzione del regolamento del Parlamento, e nelle Disposizioni transitorie stabilire che per la prima elezione del Presidente, successiva all’entrata in vigore della Costituzione, varranno le norme del Regolamento della Camera, in quanto siano applicabili, salvo poi al Parlamento il diritto di darsi quel regolamento che considererà più opportuno.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Io ritengo che questa del regolamento del Parlamento non sia materia di Disposizioni transitorie; discende dai principî che un organo costituzionale ha un’autonomia interna per quanto riguarda il modo di procedere nell’esercizio delle sue funzioni. Riterrei, quindi, quasi una scorrettezza, dal punto di vista costituzionale, dato il principio dell’autonomia del Parlamento, come di qualsiasi altro organo costituzionale, imporre ad esso il regolamento interno di un’Assemblea piuttosto che di una altra. È una questione questa del regolamento interno del Parlamento, che sarà facile risolvere, soddisfacendo a quelle che sono le esigenze particolari dell’Assemblea, tenendo presenti quelle particolari esigenze cui giustamente faceva cenno l’onorevole Fuschini.

Per questo propongo che nel testo costituzionale non si faccia parola del regolamento interno del Parlamento.

PRESIDENTE. La Commissione, in sostanza, non presenta a questo proposito alcuna proposta.

Chiedo all’onorevole Conti se mantiene il suo emendamento.

CONTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Poiché nessuno dei proponenti dell’emendamento Costantini è presente, si intende decaduto.

Pertanto nella Costituzione non si farà cenno di questo particolare problema.

(Così rimane stabilito).

Nello stesso articolo 61 la formula: «Assemblea Nazionale» è riportata al secondo comma, dove si dice che «le sedute sono pubbliche; tuttavia le Camere e l’Assemblea possono deliberare di riunirsi in Comitato segreto», e al terzo comma, dove si dice che «le deliberazioni delle Camere e dell’Assemblea non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri, ecc.».

Chiedo il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Propongo che si sostituisca la parola: «Assemblea Nazionale» con l’altra: «Parlamento».

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione di sostituire nei commi secondo e terzo dell’articolo 61 alla parola: «Assemblea» l’altra: «Parlamento».

(È approvata).

Abbiamo così completato l’esame di tutti gli articoli di questo Titolo.

Passiamo all’articolo 89. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo di tutti i Dicasteri, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri.

«I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e personalmente degli atti dei loro Dicasteri.

«La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri».

PRESIDENTE. Gli onorevoli La Rocca, Grieco, Gallico Spano Nadia, Pajetta Giuliano, Mattei Teresa, Scotti Francesco, Maltagliati, Laconi, Mancini, Corbi, Priolo e Baldassari, hanno proposto il seguente emendamento:

«Sostituire il primo periodo del primo comma col seguente:

«Il Presidente del Consiglio è responsabile della politica generale del Governo».

L’onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.

LA ROCCA. Il concetto informatore di questo emendamento sta in questo: si intende dare al Presidente del Consiglio – come è giusto – un certo rilievo, ma non s’intende fare del Presidente del Consiglio colui che domina, che sovrasta, che dà la sua impronta personale all’indirizzo generale della politica del Paese, che concentra se non nella lettera del testo costituzionale, nella pratica, un po’ tutti i poteri: quelli dell’Assemblea, in quanto egli, come capo dell’esecutivo governativo, finisce essere lo strumento, il braccio, l’azione della volontà delle Camere popolari; quelli del Presidente della Repubblica, in quanto il Presidente del Consiglio risponde degli atti del Presidente della Repubblica con la firma.

Con tale somma di attribuzioni nelle sue mani, infatti, ha il modo di spianare la strada alla dittatura, come afferma e teme lo stesso onorevole Orlando, che indubbiamente è il più alto, il più autorevole tecnico di questa Assemblea nel campo costituzionale, ed è l’espressione più schietta della corrente liberale.

L’onorevole Nitti, l’altro giorno, in sede di discussione dell’articolo 86 per la designazione del Presidente del Consiglio, si riferiva a quella che è la pratica in alcuni paesi a regime parlamentare; e cioè il Presidente è l’uomo che meglio rappresenta ed esprime l’opinione pubblica in un dato momento e raccoglie la fiducia generale; è la persona più indicata a dirigere la politica, in una determinata situazione.

Ma, in tutti i paesi, non c’è nessuna formula costituzionale che attribuisca dei particolari poteri al Capo del Governo, al Presidente del Consiglio, il quale potrà per suo prestigio personale, per circostanze particolari esistenti nella Nazione, porre il suo sigillo sulla politica generale. Tutti si augurano che possano dalle assemblee popolari esprimersi tanti Cavour, ma non possiamo assolutamente concepire che vi siano dei Cavour per legge, per testo costituzionale; perché, in fondo, quando si attribuisce al Presidente del Consiglio la facoltà di dirigere la politica generale del Governo, si ammette che l’indirizzo politico possa essere dato dal Presidente del Consiglio e non più dal Consiglio dei Ministri, nel suo insieme, nel suo complesso, com’è necessario, se non si vuole uscire dal binario del sistema democratico, parlamentare, e mettersi su un altro terreno.

Non è il caso, a quest’ora, di entrare in tanti dettagli sull’argomento. Ma poiché, in sede di discussione dell’articolo 86, è stata richiamata la pratica per sostenere la tesi della prevalenza del premier inglese, c’è qui da ricordare un fatto estremamente semplice. È vero che in Inghilterra il Primo Ministro ha un particolare rilievo: però questo rilievo al Primo Ministro, in Inghilterra, non deriva dalla lettera e neppure dallo spirito della Costituzione. È una questione di fatto; basato su elementi che, fuori del Regno Unito, non esistono al riguardo, e non si possono temere smentite.

Fin dal tempo di Pitt che cosa è avvenuto? È avvenuto che il Primo Ministro, cioè colui che praticamente dà la sua impronta a tutta la politica, colui che dirige il Gabinetto e dirige il lavoro legislativo, è l’uomo più popolare, per essere veramente il Capo di un partito, che, di un determinato periodo storico ha la reale maggioranza nel Paese. Questo accade in Inghilterra dove è sempre esistito il sistema dei due poteri dei Wighs e dei Tories, dei conservatori, e dei liberali; dei conservatori e dei laburisti. Noi qui agiamo in un clima storico completamente diverso, con forze politiche frazionate. Ci auguriamo che si possa giungere ad una situazione che divida il Paese in due forze politiche. (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Proprio no.

LA ROCCA. Ed allora è proprio il caso di pensare anche a questo. Ma oggi noi dobbiamo tener conto di quella che è la realtà concreta.

In Inghilterra il Primo Ministro ha l’autorità che esercita non alla stregua del testo della Costituzione, ma per il fatto che il Primo Ministro è il Leader, cioè il Capo del Partito della maggioranza nel Paese e nel Parlamento; e tutti sanno, e qui non è il caso di ricordare, che il Gabinetto inglese è veramente il Comitato, l’espressione schietta della volontà della maggioranza parlamentare. Perciò i poteri, attribuiti concretamente al Primo Ministro in Inghilterra, nascono dal fatto che il Primo Ministro ha un suo rilievo, ha una sua personalità, ha una sua autorità che gli deriva dalla situazione politica particolare. In Italia, allo stato delle cose, non è ammissibile che il Primo Ministro abbia un suo ruolo distinto, in forza di una legge costituzionale. Abbiamo già troppo concesso, consacrando un articolo, nel testo della Costituzione, alla figura del Presidente del Consiglio. Questo non esiste in nessuna Costituzione. Noi rischiamo di fare del Presidente del Consiglio un uomo a cavallo, una statua equestre, alla stregua della legge fondamentale dello Stato. È giusto che egli coordini l’attività dei vari Dicasteri. Ma affermare che il Presidente del Consiglio dirige, cioè è veramente la leva, è il timone, è il motore di tutto il Gabinetto, che dà la sua impronta, la sua fisonomia alla politica generale del Governo, cioè all’indirizzo politico generale del Paese, a me pare che significhi attribuire al Presidente un potere troppo grande, un potere tale da consentirgli di prendere e seguire una sua strada, pure se in contrasto con altri membri del Gabinetto. Ed alla luce dell’esperienza pratica che abbiamo compiuto, credo che non sia il caso di creare le premesse politiche della rinascita di un bonapartismo in Italia. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, dopo le parole: e l’organizzazione dei Ministeri, aggiungere le seguenti: e può stabilire un Consiglio di Gabinetto formato da alcuni Ministri».

Ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Il mio emendamento non ha altro scopo che quello di dare un valore costituzionale ad un istituto che non è né nella prassi costituzionale italiana, né soprattutto in quella di molti altri Paesi. Quando i Ministeri diventano, non direi pletorici ma, per necessità di cose, formati da un numero sempre più notevole di Ministri, spontaneamente, specialmente in momenti gravi ed importanti, si impone la necessità di istituire un Comitato ridotto e riservato a quelli che sono i Ministri principali, cioè a coloro che hanno non solo una responsabilità amministrativa notevole, ma altresì una prevalente responsabilità politica. In Inghilterra, ormai da molti decenni, accanto al Ministero, che è formato da diecine di Ministri, alcuni dei quali con funzioni antiquate, funziona un Consiglio o Gabinetto, che non è stabilito preventivamente secondo la importanza e la natura dei Dicasteri, formato dai più autorevoli rappresentanti delle correnti che esistono anche in un partito e in un governo di partito e dai più autorevoli personaggi del Governo, e cioè il Presidente del Consiglio, il Ministro degli esteri, e il Cancelliere dello Scacchiere, presso a poco il nostro Ministro del Tesoro, che in Inghilterra ha notevole importanza, ed è il secondo Ministro, il capo economico del Ministero, quasi quello che nel Ministero attuale nostro è il Vice Presidente Einaudi. Vi sono a volte altri Ministri, spesso a titolo personale.

Durante l’altra guerra, 1915-18, tanto in Inghilterra, quanto in Francia, quanto in Italia, quanto in Belgio, ed in altri Stati minori, naturalmente per le necessità belliche, sorsero questi comitati ristretti di Ministri, i quali avevano in realtà una prevalenza politica verso i loro colleghi. Ed anche da noi, dopo Salerno, finché è durata l’esarchia, e poi ancora col secondo Ministero De Gasperi, dopo il 2 di giugno, funzionò un Consiglio di Gabinetto il quale, se non vado errato, delibava le principali questioni e dirigeva la politica del Ministero nelle materie più importanti. Basterebbe ricordare la serie delle decisioni e dei decreti, che hanno formato il mezzo di trapasso, così felice, dalla Monarchia alla Repubblica. Dopo era formato dal rappresentante principale di ciascuno dei sei partiti e poi dei tre partiti. Ora, questo istituto, a mio avviso, potrà essere assai fecondo per l’avvenire, anche perché, io penso, che, anziché diminuire, il numero dei Ministri andrà aumentando. È la vita moderna che si complica; e la vita politica, che della prima non è che il riflesso e la sintesi, non può non complicarsi a sua volta. I Ministri dell’epoca del 1848 e del Risorgimento erano 7 o 8. I Ministri dei primi Parlamenti francesi di Luigi XVIII e di Carlo X da cinque e sei. I Ministri nel Seicento si riducevano a 4-5 personaggi intorno al Re.

Però è da chiedersi, e lo chiedo soprattutto ai numerosi onorevoli colleghi che hanno seduto nei vari Ministeri, se è opportuno che la tavola ministeriale si allunghi sempre di più; se questo è efficiente agli effetti di governare, agli effetti di non perdere eccessivo tempo nelle deliberazioni; se è utile ed indispensabile che in tutte le deliberazioni, Ministri, i quali pure hanno grande rilevanza amministrativa, abbiano a sedere sempre con gli altri, o se non sia invece forse auspicabile che i Ministri principali abbiano a formare un più ristretto ed agile comitato permanente per le questioni più importanti di vera rilevanza e sostanza politica.

A questo vuole tendere il mio emendamento, il quale altro non stabilisce se non la facoltà per le leggi future di organizzare un Consiglio di Gabinetto, formato da alcuni Ministri di una frase generica, ma che dà la possibilità di sorgere a questo nuovo istituto, o per dir meglio, lo istituisce e consacra costituzionalmente; giacché io ritengo che di questo istituto, che dovrebbe avere un carattere permanente e, quindi, distinguersi da altri Comitati, suggeriti man mano da ragioni particolari e contingenti, come attualmente è il Comitato Italiano della Ricostruzione, venga fatto un cenno nella nostra Costituzione. Perché questo? Perché in realtà non è soltanto un istituto di carattere amministrativo, al quale le leggi che regolano i Ministeri, provvedano opportunamente, direi naturalmente, ma è anche un istituto che ha riflessi costituzionali, in quanto modifica e persino abroga il principio della parità dei Ministri tra loro, e stabilisce fra i membri di un Governo una posizione per alcuni, che non direi di privilegio, ma per la quale di certo essi collegialmente divengono primi inter pares, caratteristica una volta soltanto del Presidente del Consiglio.

Ritengo cioè che, dato che facciamo una Costituzione che speriamo duri parecchi decenni, sia opportuno inserirvi questo accenno specifico a un istituto, che probabilmente andrà sviluppandosi secondo i bisogni e le necessità future.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Carpano Maglioli, Targetti, Costa, Giacometti e Fedeli Aldo hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma dell’articolo 89 sopprimere le parole: e ne è responsabile».

«Sopprimere, pure, la parola: promuovendo».

«Al terzo comma, alle parole: della Presidenza del Consiglio, sostituire le altre: del Consiglio dei Ministri».

«Sopprimere le parole: e l’organizzazione».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CARPANO MAGLIOLI. Proponiamo che al primo comma, dove si dice «Il primo Ministro dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile» si sopprima la dizione «e ne è responsabile».

Ciò perché prima di tutto la responsabilità è dell’intero Governo e non solo del Primo Ministro; secondariamente, perché è in contrasto con quanto è disposto nel secondo comma, dove si legge: «I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e personalmente degli atti dei loro dicasteri». Perciò ci sembra opportuno, anche per togliere questa caratteristica di Primo Ministro che ci ricorda una figura certo non simpatica, di sopprimere la dizione: «e ne è responsabile».

Pensiamo sia opportuno anche sopprimere il «promuovendo», perché pensiamo che ogni Ministro debba avere una certa libertà in materia di attività politica; ed il Presidente del Consiglio dovrà coordinare questa attività al fine di avere il massimo rendimento nella direzione della cosa pubblica.

Infine, al terzo comma, dove dice «La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio» vogliamo sostituire «del Consiglio dei Ministri»: perché non vogliamo né un solo Ministero, né un Primo Ministro, né una Presidenza del Consiglio; ma che il Presidente del Consiglio sia un primus inter pares.

Chiediamo di sopprimere la parola «organizzazione», sempre al terzo comma, dove si legge «e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri». Ogni Ministro deve avere la libertà di organizzare i proprî dicasteri seguendo le linee generali programmate, ma deve poter dare una impronta propria, pur coordinata sempre con gli altri Ministeri, all’azione di direzione del Presidente del Consiglio.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Desidero intervenire nella discussione di questo articolo, specialmente per rilevare che l’articolo 89 non è una novità nel nostro ordinamento costituzionale. Le attribuzioni ed i compiti del Presidente del Consiglio non derivano nella nostra tradizione legislativa parlamentare dalla legge fascista «sul Capo del Governo», ma risalgono ad un periodo molto più lontano, risalgono cioè alla legge, anzi al decreto del 14 novembre 1901, n. 466, col quale si stabilivano quali fossero le competenze, le responsabilità ed i poteri che aveva il Presidente del Consiglio dei Ministri nel passato regime monarchico. È bene ricordare che la figura del Presidente del Consiglio in quel decreto fu stabilita in una maniera molto precisa e molto chiara, che – direi – era più specificata di quanto non sia nell’articolo 89 che stiamo discutendo. Il Presidente del Consiglio aveva, per questo decreto, un potere di controllo ed un potere di rappresentanza di tutto il Gabinetto e l’articolo 6 precisava in una maniera chiara ed esplicita che il «Presidente del Consiglio» doveva mantenere l’unità – come dice il nostro articolo 89 – di indirizzo politico ed amministrativo di tutti i Ministeri e doveva curare l’adempimento degli impegni presi dal Governo nelle sue relazioni col Parlamento e nelle manifestazioni fatte al Paese. Il Presidente del Consiglio presentava al Parlamento i disegni di legge che riguardavano l’amministrazione generale dello Stato ed aveva diritto di chiedere ai Ministri l’elenco dei decreti reali che si portavano alla firma; ciascun Ministro doveva comunicarne la nota preventivamente al Presidente del Consiglio; il Presidente del Consiglio aveva diritto di non mettere all’ordine del giorno determinate pratiche e determinate trattazioni di affari.

Quindi vi era un rapporto di subordinazione dei Ministri rispetto al Presidente del Consiglio: questo per precise disposizioni di questo decreto che fu sempre applicato senza attenuazioni.

La responsabilità politica di fronte alle Camere era sì del Governo nel suo complesso, ma la responsabilità specifica di questo indirizzo era riservata di fatto ed anche, direi, di diritto, per disposizione specifica, al Presidente del Consiglio.

Ora, io non voglio tediare l’Assemblea con osservazioni che sarebbero fuori luogo in questo momento, ma mi sembra che quando l’onorevole La Rocca, nel proporre il suo emendamento, dichiara che «il Presidente del Consiglio è responsabile» ma non «dirige» la politica del Governo, cada in una palese contraddizione, perché non si comprende come si possa concretare una responsabilità qualsiasi in colui che non ha la facoltà di dirigere. Se il Presidente del Consiglio non ha la facoltà di dirigere, di coordinare e di mantenere l’indirizzo politico e le direttive politiche del suo Ministero, quale responsabilità gli si potrebbe attribuire? Quindi se si ammette la responsabilità, come afferma l’onorevole La Rocca, si deve anche ammettere la potestà di dirigere e di mantenere l’unità dell’indirizzo politico.

Gli onorevoli colleghi socialisti mi pare che propongano emendamenti diversi dalla posizione assunta dall’onorevole La Rocca. Ed a questo riguardo trovo che è pure contradittorio il loro emendamento: essi vorrebbero che il Presidente dirigesse la politica generale e non ne fosse responsabile. Qui si invertono i termini: ma come si può pretendere che si diriga e che non si sia nel tempo stesso responsabile?

CARPANO MAGLIOLI. Il decreto del 1901 non parla affatto della responsabilità del primo Ministro.

FUSCHINI. Non è esatto, onorevole Carpano. Se deve mantenere l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo, vuol dire che egli dirige il Gabinetto e ne è quindi il maggior responsabile. Anche quando si fa riferimento alla teoria del primo fra eguali, si deve sempre riconoscere che si chiama primo colui che è più responsabile degli altri, altrimenti anche questa frase primus inter pares non avrebbe significato se non si volesse dire che il primo è responsabile prima di tutti gli altri. Il singolo Ministro è responsabile dell’amministrazione che egli dirige sotto l’osservanza delle direttive del Presidente, e quando un Ministro singolo è colpito dalla sfiducia del Parlamento, voi potete ben comprendere che non è ferito nel suo prestigio soltanto il singolo Ministro, ma indirettamente un po’ tutto il Ministero.

Mi sia consentito poi di fare una osservazione molto semplice a proposito dell’emendamento proposto dall’onorevole Carpano al terzo comma. L’onorevole Carpano propone che il numero e l’organizzazione dei Ministeri deve essere stabilito per legge. Ora, se il numero dei Ministeri deve essere stabilito per legge, non capisco per quale ragione la Presidenza del Consiglio non dovrebbe costituirsi in un Ministero. L’onorevole Carpano, che è stato Sottosegretario, e simpatico Sottosegretario, al Ministero dell’interno, avrà facilmente capito e compreso quale somma di servizi oggi sia attribuita alla Presidenza del Consiglio. Ora, questi servizi debbono avere un loro ordinamento burocratico e una loro direzione organica come tutti gli altri servizi che compongono i diversi Ministeri.

In conclusione, ritengo che tanto l’emendamento dell’onorevole La Rocca come quello dell’onorevole Carpano non possano essere accolti dall’Assemblea. Aderisco quindi completamente alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione non può accettare nessuno dei tre emendamenti che sono stati presentati relativamente all’articolo 89. L’emendamento dell’onorevole La Rocca e quello dell’onorevole Carpano sembra a noi che si elidano a vicenda. Secondo l’emendamento dell’onorevole La Rocca, il primo comma dovrebbe ridursi alla affermazione generale che il Presidente del Consiglio è responsabile della politica del Governo.

Ora, veramente, questa formulazione non è tale da rispondere alle esigenze cui l’onorevole La Rocca si riferiva. Se noi ci fermassimo ad una considerazione così generica, della responsabilità del Presidente del Consiglio per la politica generale del Governo, probabilmente, anzi certamente, i poteri del Presidente del Consiglio risulterebbero più ampi di quanto non risultino dal testo presentato dalla Commissione, la quale, sì, indica e stabilisce alcuni poteri derivanti dalla responsabilità del Presidente del Consiglio, ma, fissandoli, al tempo stesso li limita.

Per quanto riguarda l’emendamento presentato dall’onorevole Carpano, anche questo emendamento non trova concorde la Commissione. In un certo senso è un emendamento anche questo un po’ contradittorio. Secondo l’onorevole Carpano, l’articolo 89 dovrebbe limitarsi a stabilire che il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo, sopprimendo la frase: «e ne è responsabile».

L’onorevole Carpano sostiene che questo inciso del progetto è superfluo perché il secondo comma stabilisce chiaramente che i Ministri sono corresponsabili degli atti del Consiglio dei Ministri; ma la verità è che se fosse tolto quell’inciso, e restasse solo l’affermazione del secondo comma, per cui i Ministri sono collegialmente responsabili degli atti del Consiglio dei Ministri, la posizione del Primo Ministro sarebbe completamente svuotata di ogni significato. La conclusione sarebbe questa: che il Primo Ministro dirige e coordina la politica generale del Governo col concorso e col consenso di tutti i Ministri collegialmente responsabili; cosicché la politica del Governo dovrebbe essere diretta totalmente ed esclusivamente dal Consiglio dei Ministri. Per tal modo si affermerebbe una concezione diversa da quella prevalsa nel testo del progetto.

D’altra parte io non comprendo bene le preoccupazioni che sono derivate da questa proposta di emendamento, vero è che è dato al Primo Ministro il potere di dirigere la politica generale del Governo, ma se il secondo comma dell’articolo 89 stabilisce che i Ministri rispondono collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, è evidente che questa responsabilità collettiva dei Ministri in Consiglio dei Ministri implica una necessaria adesione dei Ministri stessi alla politica generale del Presidente del Consiglio, e quindi sostanzialmente una limitazione dei poteri del Presidente del Consiglio: perciò io credo non ci sia ragione di preoccupazione, in quanto i poteri del Presidente del Consiglio non sono così assoluti ed esclusivi, come potrebbe sembrare a prima vista. Ma la figura del Presidente del Consiglio è un’esigenza e un fatto che non si può e non si deve eliminare. È il Presidente del Consiglio che dà tono e fisionomia al Governo; è il Presidente che imprime l’indirizzo fondamentale al Ministero; è il Presidente del Consiglio che mantiene l’unità di indirizzo, che promuove e coordina, nell’armonica generale intesa dei suoi collaboratori, l’attività dei Ministri, individualmente e in Consiglio dei Ministri. La formula proposta dalla Commissione vuol essere l’espressione di un necessario equilibrio ponderato, al fine di assicurare l’unità organica del Governo.

La Commissione non può neppure accogliere la proposta di emendamento presentata dall’onorevole Carpano Maglioli relativamente al terzo comma. L’onorevole Carpano Maglioli propone di specificare che l’ordinamento rinviato alla legge deve riferirsi non già genericamente alla Presidenza del Consiglio, ma alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Orbene: o si tratta di una precisazione di carattere meramente formale, e allora essa mi sembra del tutto superflua; o si tratta invece di una precisazione che vuole avere un intendimento sostanziale, quello di attenuare la figura del Presidente del Consiglio, e allora è inaccettabile, in quanto è evidente che l’organizzazione della Presidenza del Consiglio non può riguardare soltanto ciò che si riferisce al Consiglio dei Ministri in senso stretto. La Presidenza del Consiglio ha compiti più vasti, che non attengono soltanto all’attività del Consiglio.

Così pure la Commissione non può accettare l’eliminazione della parola «organizzazione», suggerita pure dall’onorevole Carpano. L’organizzazione del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri sfugge alla potestà regolamentare di competenza propria dell’esecutivo; si tratta di organi di primaria importanza costituzionale il cui regolamento non può essere rilasciato al Governo. È da ricordare d’altra parte che nella prima parte della Costituzione abbiamo fissato una norma di grande portata. Abbiamo stabilito il principio generale della responsabilità diretta dei pubblici funzionarî. È pertanto necessario che in questa materia intervenga assolutamente una legge. Si intende che questa legge non distruggerà una certa potestà dei Ministri di ordinare, in certo modo, gli uffici dipendenti: ma purché ciò avvenga sempre nell’ambito di binari fondamentali stabiliti dalla legge. Ripeto che siamo in sede costituzionale e non in sede regolamentare.

La Commissione non può neppure accogliere l’emendamento presentato dall’onorevole Clerici, il quale suggerisce una formula in base alla quale dovrebbe essere esplicitamente accordata al Presidente del Consiglio la facoltà di stabilire un Consiglio di Gabinetto formato da alcuni Ministri. La proposta non sembra accettabile: essa è superflua o contrastante col principio della determinazione legislativa del numero e dell’ordinamento dei Ministeri. E superflua in quanto il Presidente del Consiglio può sempre istituire, a dati scopi, comitati ristretti di Ministri; è contradittoria al principio indicato, in quanto il numero dei Ministri è fissato per legge, e tutti i Ministri fanno parte del Consiglio. D’altra parte: a che serve una norma che consenta al Presidente di costituire nell’ambito del Consiglio un più ristretto Gabinetto? Essa avrebbe giustificazione in quanto si determinassero le funzioni e i rapporti del Gabinetto col Consiglio e con i singoli Ministri. Il collega onorevole Clerici pensa all’esempio inglese. Ma appunto l’esempio inglese è il risultato di circostanze varie, e per quanto sia entrato ormai fra le istituzioni costituzionali, circa la sua composizione e i suoi compiti rimane un’ampia discrezionalità al Primo Ministro.

In Italia non abbiamo né la tradizione né l’esperienza che consenta di dettare in proposito norme di un qualche contenuto.

Per queste ragioni vorrei consigliare l’onorevole Clerici di non insistere sul suo emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono. Onorevole La Rocca, lei mantiene il suo emendamento?

LA ROCCA. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Clerici?

CLERICI. Date le ragioni esposte dall’onorevole Tosato, ritiro il mio emendamento e lo trasformo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Onorevole Carpano Maglioli?

CARPANO MAGLIOLI. Mantengo solo quello relativo a! primo comma, soppressivo delle parole «e ne è responsabile».

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora alle votazioni.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Noi chiediamo che l’articolo sia posto in votazione per divisione, e cioè separando la prima parte che dice: «Il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile», dalla seconda parte, costituita dal periodo successivo.

Chiediamo questa divisione perché siamo dell’opinione – ed è questa la ragione per la quale abbiamo ritirato l’emendamento che si riferiva alla soppressione della parola «promuovendo» – che sarebbe opportuno sopprimere tutta la seconda parte che comincia dalle parole: «mantiene» e finisce con le parole «dei Ministri». A questo proposito noi ci riportiamo anche a quello che ci ha ricordato l’onorevole Fuschini con la sua specifica competenza in materia; ci riportiamo, cioè, alle disposizioni della legge che regola il Consiglio dei Ministri (legge, se non erro, del 1901) e osserviamo che questa legge, questo decreto reale diceva che il Presidente del Consiglio mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo di tutto il Ministero. (L’Assemblea vede che vi è corrispondenza esatta con la formula proposta dal testo della Commissione). Allora noi diciamo: fino a che si tratta di ripetere una formula, una norma che è nel decreto reale relativo al Consiglio dei Ministri, si fa una cosa evidentemente fuori posto.

PERASSI. Perché?

TARGETTI. Perché la considerazione che fa parte di questo decreto dimostra come non sia materia costituzionale, tant’è che vi sono molte Costituzioni che non ne fanno parola.

Poi si aggiunge quello che a noi dispiace, cioè «promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri». Perché? Perché in linea di fatto si intende che debba accadere e sia accaduto che vi sia stata una certa opera di propulsione e di coordinamento da parte del Presidente del Consiglio, il quale, forse, necessariamente è portato ad esercitare. Ma trasformando una situazione di fatto in una situazione giuridica, in una situazione di diritto, si accentua il significato della cosa stessa.

Questa non è una mia semplice osservazione. Uno studioso che si è occupato di queste nostre proposte ha osservato a questo proposito che in questa dizione vi era, si risentiva un po’ il ricordo della figura del primo Ministro dell’epoca fascista; perché questo studioso osservava che in realtà, nella pratica della nostra vita politica prima del fascismo, il Presidente del Consiglio ha avuto sì una posizione di preminenza, ma in realtà è stato sempre il suo Ministero, il suo Governo, che ha rappresentato un determinato indirizzo, tanto che si sono avuti casi in cui il Ministero prendeva nome non solo dal Presidente del Consiglio ma anche da qualche Ministro. Ricordo ai più anziani il Gabinetto Zanardelli-Giolitti, ai meno anziani il Gabinetto Sonnino-Salandra. Questo per dire che nella pratica il Presidente del Consiglio non era quello che da sé solo dava, il colorito al Ministero, ma vi erano casi in cui questo tono, questo colorito veniva dato dal Presidente del Consiglio e dal Ministro degli interni. Ed in genere il colore era dato dall’insieme del Ministero. Questa figura del Presidente del Consiglio noi vorremmo che fosse mantenuta nell’Italia repubblicana invece di porre il Presidente del Consiglio in una posizione di assoluta preminenza che lo fa un po’ assomigliare al Primo Ministro di così infausta memoria.

Tanto meno noi concordiamo con quanto ha detto l’onorevole Fuschini che per la nomina fatta sopra sua proposta i Ministri fossero quasi in uno stato di subordinazione rispetto al Presidente del Consiglio.

TOSATO. Non è subordinazione.

TARGETTI. D’accordo, tutt’altro che subordinazione. Per queste considerazioni, affrettatamente esposte, proponiamo la soppressione del secondo periodo dell’articolo.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Farò una brevissima dichiarazione di voto, pur riconoscendo alle osservazioni fatte dal collega onorevole Targetti rispetto al loro contenuto storico, un fondamento di verità. Ma, appunto perché le sue osservazioni hanno carattere solamente storico, mi pare che non siano conciliabili con la realtà del momento presente, realtà che ad un certo punto è incompatibile con l’emendamento proposto dall’onorevole La Rocca.

In sostanza nessuno meglio di me sarebbe felicissimo se noi potessimo avere un Presidente del Consiglio che lasciasse ai suoi Ministri il compito di fare quel che vogliono e se ne potesse andare a spasso dalla mattina alla sera. Vuol dire che lo Stato non si occuperebbe più d’altro che di quelli che erano i suoi compiti secondo la concezione del vecchio Stato liberale.

Ma noi abbiamo fatto una Costituzione in cui abbiamo imposto allo Stato tanti di quegli obblighi, per cui deve provvedere dall’assistenza ai lattanti negli stabilimenti dove vi sono gestanti od altro, al latifondo, all’organizzazione dell’industria e dei trasporti, per cui quel Governo che verrà da domani in poi dovrà provvedere a centomila cose che richiederanno un’unità strettissima di indirizzo e l’obbligo del Capo del Governo di esercitare un’effettiva direzione politica di tutti i rami del Ministero.

Ecco perché, pur riconoscendo nelle osservazioni dell’onorevole Targetti qualcosa che mi ricorda i bei tempi antichi e che ho letto sui libri (Interruzione del deputato Targetti) …e allora, onorevole Targetti, che tutti e due abbiamo letto sui libri; credo che il testo della Commissione risponda meglio alle caratteristiche del Governo che noi dovremo formare dal 1948 in poi.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Avverto che anche il primo periodo del primo comma dell’articolo 89 dovrà essere votato in due parti distinte. Infatti vi è l’emendamento dell’onorevole Carpano, a tenore del quale bisogna sopprimere le parole: «e ne è responsabile». E pertanto faremo una prima votazione su questa frase: «Il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo»; successivamente su quest’altra frase: «e ne è responsabile»; ed infine voteremo il secondo periodo di questo primo comma.

Pongo quindi in votazione la prima parte del primo comma:

«Il Primo Ministro dirige la politica generale del Governo».

(È approvata).

Pongo ora in votazione le parole:

«e ne è responsabile»

delle quali l’onorevole Carpano Maglioli ha chiesto la soppressione.

(Dopo prova e controprova, sono approvate).

Passiamo al secondo periodo del primo comma:

«Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo di tutti i Dicasteri, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri».

Ricordo che l’onorevole Targetti ha proposto di sopprimere questo secondo periodo.

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Passiamo al secondo comma:

«I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e personalmente degli atti dei loro Dicasteri»

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. La Commissione sostituisce la parola: «personalmente» con l’altra: «individualmente».

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione il secondo comma testé letto, con la modifica di forma proposta dalla Commissione.

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma:

«La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri».

(È approvato).

L’articolo 89 risulta pertanto votato nel testo proposto dalla Commissione, salvo la modificazione apportatavi dalla stessa all’ultimo momento, sostituendo la parola: «individualmente» all’altra: «personalmente».

Passiamo all’articolo 90. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il Primo Ministro ed i Ministri possono essere messi in istato d’accusa dalle due Camere per atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni».

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. La Commissione propone direttamente due emendamenti a questo articolo. Anzitutto: sostituire al «Primo Ministro», il «Presidente del Consiglio dei Ministri», secondo la terminologia accolta dall’Assemblea; alle parole «possono essere messi», sostituire le parole «sono messi», secondo la formula già usata per il Presidente della Repubblica. E infine, alle parole «dalle due Camere per atti compiuti» sostituire: «dal Parlamento per reati commessi».

PRESIDENTE. Sta bene. Do lettura del nuovo testo, quale risulta dopo le proposte della Commissione:

«Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri sono messi in istato di accusa dal Parlamento per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni».

A questo articolo l’onorevole Corsanego, aveva proposto il seguente emendamento:

«Alle parole: essere messi in stato di accusa dalle due Camere, sostituire le parole: essere messi in stato di accusa da ciascuna delle due Camere».

Analogo emendamento aveva presentato l’onorevole Bettiol.

Questi emendamenti sono però integralmente accolti nel nuovo testo formulato dalla Commissione.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Nel testo è detto che per la messa in istato di accusa del Presidente del Consiglio e dei Ministri occorre la decisione dell’una e dell’altra Camera. Io credo invece che basterebbe una delle due Camere e quindi propongo la seguente formulazione:

«Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri possono essere messi in istato di accusa da ciascuna delle due Camere per i reati compiuti nell’esercizio delle loro funzioni».

Se si tratta di un reato non c’è motivo che alla denuncia si arrivi solo attraverso la deliberazione di entrambe le Camere.

PRESIDENTE. Trattandosi di un emendamento presentato nel corso della discussione, domando se è appoggiato.

(È appoggiato).

Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

Pongo ai voti il nuovo testo dell’articolo 90 proposto dalla Commissione, di cui do ancora una volta lettura:

«Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri sono messi in istato di accusa dal Parlamento per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni».

(È approvato).

Passiamo agli emendamenti aggiuntivi.

L’onorevole Romano ha proposto due articoli aggiuntivi. Il primo (art. 90-bis) è del seguente tenore:

«Il Governo non può battere moneta senza la previa autorizzazione del Parlamento».

L’onorevole Romano ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. Pare che l’articolo aggiuntivo proposto sia stato appreso da qualcuno come una stranezza; ebbene, penso che non vi sia nulla di strano giacché una norma consimile è esistita anche in Inghilterra. Ho voluto appositamente controllare un commento della Costituzione inglese in modo da essere sicuro del precedente costituzionale.

Per illustrare l’emendamento aggiuntivo proposto, ritengo necessario richiamare i precedenti legislativi riguardanti gli istituti di emissione. La legge fondamentale, che regolava i tre istituti di emissione, cioè Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia, legge che in gran parte regge tuttora l’unico istituto di emissione, è quella del 10 agosto 1943, n. 449, che fu detta di riordinamento degli istituti di emissione.

Insieme con varie modificazioni successive essa venne fusa in un primo testo unico del 1900 approvato con regio decreto 9 ottobre 1900, n. 373, ed in un secondo testo unico del 1910, approvato con regio decreto 28 aprile 1910, n. 204.

Modificazioni di capitale importanza del testo unico del 1910 si ebbero col regio decreto 17 giugno 1928, n. 1377, decreto col quale furono sanzionati gli accordi conclusi il 5 maggio 1928 tra il Tesoro e la Banca d’Italia. Altre modificazioni pur esse importanti si ebbero nel 1935 in ordine alla circolazione dei biglietti. In ultimo vi è stato il decreto di riforma bancaria del 1936 per effetto del quale, oltre ad essere state mutate la figura giuridica e la costituzione della Banca d’Italia, nuove norme sono state stabilite nei riguardi del suo ordinamento, delle sue operazioni e delle sue funzioni.

Nell’articolo primo del decreto del giugno 1928 si legge: «Saranno presi accordi tra il Ministero delle finanze e la Banca d’Italia per evitare aumenti di circolazione negli stessi margini risultanti dal rapporto proporzionale considerato nell’articolo 4 del regio decreto-legge 21 dicembre 1927, n. 2325».

Quindi l’istituto unico di emissione, supremo regolatore del mercato, ha il dovere di mantenere la circolazione dei propri biglietti in determinati limiti e di non accrescerla in modo non rispondente al migliore andamento del mercato monetario.

In tal maniera il limite della circolazione effettiva rimaneva affidato alla prudenza dell’istituto di emissione, che doveva tener conto del mercato monetario e della riserva, che veniva distinta in ordinaria e straordinaria. Questo sistema fu temporaneamente modificato nel 1935, disponendosi la sospensione in linea provvisoria ed eccezionale dell’obbligo della riserva (regio decreto-legge 21 luglio 1935, n. 1293, e regio decreto-legge 5 settembre 1935, n. 1647).

Col sistema fino ad oggi adottato siamo venuti a trovarci nella condizione di non conoscere il volume della massa circolante, anche perché, dopo l’invasione del nostro territorio, hanno funzionato più torchi in Italia: quello italiano, quello tedesco e quello americano. Altra confusione è stata originata dall’abbandono delle nostre intendenze in Jugoslavia e in Africa.

Penso che sia venuto il momento di tenere una buona volta conto che a parità di circolazione e di volume di merci le variazioni dei prezzi sono proporzionate a quelle della quantità di moneta.

Tutto ciò mi ha indotto, col conforto del precedente avanti accennato, a proporre una norma che possa costituire un freno alla circolazione cartacea. Nell’emissione della moneta il legislatore deve preoccuparsi di costringere il Governo ad una condotta seria. La carta moneta è un credito, fonte di questo credito è la fiducia. Le industrie, l’agricoltura ed il commercio ruotano intorno a questa fiducia.

La vita di questa fondamentale attività dell’uomo si svolge appunto in quel complesso di operazioni che avvengono attraverso le banche, le quali sono diventate tanti sistemi planetari ruotanti intorno a quegli astri di fiducia che sono le banche di emissione. Lasciare incontrollata l’emissione di carta moneta significa lasciare aperto il varco a pericoli diversi. Quando un Governo intende preparare una guerra fa prima girare il torchio e con la carta-moneta mette in moto gli alti forni. Allo stesso espediente ricorre quando vuole attuare un protezionismo industriale.

Il Parlamento, rimasto estraneo a questi atti, che incidono nella vita del Paese, viene a trovarsi in un secondo tempo di fronte al fatto compiuto. Penso quindi che sia doveroso controllare l’emissione della carta moneta, giacché la fiducia nella moneta è in rapporto alla condotta più o meno seria del Governo. Controllare questa condotta è dovere dei Parlamenti.

Oggi prevale la tendenza a tutto controllare, anche quando il controllo costituisce un intralcio.

Invece per l’emissione della moneta ci si rimette alla prudenza dell’istituto di emissione.

Se la moneta rappresenta in qualche modo la fiducia che si può riporre in un popolo, questo ha il diritto ed il dovere di vigilare e controllare a mezzo dei suoi rappresentanti la nascita della moneta, strumento onnipotente ed onnipresente della vita economica del Paese. (Commenti).

PRESIDENTE. Invito la Commissione ad esprimere il proprio avviso sull’articolo aggiuntivo 90-bis proposto dall’onorevole Romano.

TOSATO. La Commissione non può accettare questo articolo aggiuntivo.

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

L’onorevole Romano ha proposto inoltre un articolo aggiuntivo 90-ter del seguente tenore:

«Durante la stessa legislatura nessun membro del Parlamento può essere chiamato più di una volta a far parte del Governo.

«Tale divieto è limitato a due terzi dei membri del Governo».

Ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. Lo scopo del mio articolo aggiuntivo era di ravvivare la legge della circolazione dell’élite, di quella circolazione che mira appunto a formare la classe dirigente del Paese e ad impedire il formarsi del «feudo politico», come lo chiamava Gaetano Mosca, feudo alle volte più preoccupante di quello terriero; ma, vista la temperatura dell’Assemblea, ritiro la mia proposta. (Commenti prolungati).

Questi commenti denotano in chi li fa una mancanza di riguardo e quelli fatti alla mia proposta precedente, sul controllo parlamentare delle emissioni monetarie, dimostrano che alcuni non hanno compreso l’importanza del problema. (Commenti). Questa è un’offesa che si fa al Paese. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Romano, le ho permesso di esprimere alcune parole di protesta, ma la prego di contenersi.

ROMANO. Nessuno di coloro che hanno dimostrato di non comprendere la serietà del problema può affermare che il Paese non desideri un controllo parlamentare sulle emissioni.

PRESIDENTE. Passiamo alla Sezione II del Titolo III: La Pubblica Amministrazione. Per questa sera occorrerebbe deliberare in merito all’articolo 91. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I pubblici uffici sono organizzati in base a disposizioni di legge, in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

«Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto pubblico si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

«I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

«I pubblici impiegati membri del Parlamento non possono conseguire promozioni se non per anzianità».

A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Corbino, tendente a sopprimerlo.

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CORBINO. Ho proposto la soppressione di tutto l’articolo per non presentare una serie di emendamenti che per essere illustrati avrebbero fatto perdere molto tempo all’Assemblea. Ho l’impressione che questo articolo contenga alcune norme completamente superflue. Qualcuna potrebbe restare, qualche altra potrebbe essere trasferita più opportunamente ad altri articoli già approvati. Ma in fondo, tutto o quasi l’articolo potrebbe essere soppresso. Se tuttavia l’Assemblea decide di esaminare i singoli capoversi, vedremo quello che si può salvare. Sin d’ora vorrei raccomandare alla Commissione di spostare all’articolo 62 l’ultimo capoverso, perché credo che sarebbe meglio collocare la relativa disposizione insieme con quella che determina i casi di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Colitto, tendente a sostituire l’intero articolo 91 con il seguente:

«L’organizzazione dell’Amministrazione centrale e di quella locale è regolata dalla legge».

Ma l’onorevole Colitto non è presente.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Faccio mio, come subordinato a quello soppressivo da me proposto, l’emendamento Colitto, con il quale la materia dell’articolo 91 sarebbe riassunta in una formula assai breve.

PRESIDENTE. Sta bene. Seguono due emendamenti degli onorevoli Numeroso e Bettiol, del seguente tenore:

«Al primo comma, sopprimere le parole: in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I pubblici impiegati esercitano le toro funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione».

BETTIOL. Vi rinunziamo.

PRESIDENTE. Sta bene. Segue l’emendamento dell’onorevole Romano, tendente a sopprimere l’ultimo comma.

L’onorevole Romano ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. L’articolo così come è formulato nella sua ultima parte, di cui ho chiesto la soppressione, contiene una vera e propria sanzione contro i funzionari dello Stato, colpevoli unicamente di essere stati eletti membri del Parlamento. Tanto valeva dichiarare la incompatibilità tra il mandato politico ed il pubblico impiego.

L’ultima parte dell’articolo 91 contiene quasi un implicito incoraggiamento al professionismo politico. Il funzionario, il quale sa che, accettando il mandato politico, dovrà rassegnarsi alla fine della sua carriera, è indotto a rinunziare ad un cammino ormai sbarrato e a darsi al professionismo politico. È di questo che bisogna preoccuparsi, è questa la mala pianta di oggi; ed è quasi puerile preoccuparsi nella Carta costituzionale della eventuale promozione dell’impiegato dello Stato, promozione che potrebbe essere sospettata di acceleramento in dipendenza della veste di deputato e di senatore.

Non aumentiamo per via indiretta le file del professionismo politico. Tutti sappiamo che la promozione per un impiegato statale importa un misero giovamento, cioè l’aumento di qualche centinaio di lire mensili. Sono le funzioni occulte, quelle che incidono nell’alta banca e nella grande industria, che possono turbare la serenità e la obiettività del mandato politico, non lo scatto del povero Travet.

Con l’ultimo capoverso, di cui ho chiesto la soppressione, per via indiretta si pongono d’altra parte i funzionari più retti dello Stato nella condizione di rinunziare a qualsiasi attività politica, e si sottrae quindi alla libera scelta dell’elettore tutta una classe benemerita, che oggi in Italia ha raggiunto quasi un milione di uomini.

Ho dato una fugace lettura all’elenco dei deputati di questa Assemblea: solo una quarantina sono alle dipendenze dello Stato: professori di Università, pochi consiglieri di Stato, tre magistrati, alcuni professori di scuole medie, qualche impiegato ferroviario e, se non erro, un maestro elementare. Se si tiene conto che gli impiegati dello Stato oltrepassano il milione, la percentuale non è preoccupante.

Bisogna poi considerare il sistema delle promozioni nel nostro ordinamento amministrativo. Le modalità variano da una amministrazione all’altra: si può essere promossi per concorso per esame, per concorso per titoli, per merito distinto, per merito comparativo, per scrutinio, per anzianità. I meno capaci arrivano con quest’ultimo sistema, cioè, per anzianità. Ebbene, all’impiegato dello Stato eletto deputato si lascia aperta solo questa via. A nulla vale che egli si distingua con esami o con pubblicazioni; la via è sbarrata. L’Amministrazione non potrà valersi di un buon elemento condannato a rimanere nel grado inferiore perché eletto deputato. È opportuno poi osservare che le influenze politiche ordinariamente operano meglio dal di fuori, quando il protetto non è nell’agone politico.

Concludendo, la norma di cui ho chiesto la soppressione è inopportuna o quanto meno eccessiva. Anche vi fosse qualche caso sporadico di quelli che hanno preoccupato i compilatori del progetto, la rarissima eccezione non deve far nascere la sensazione di carattere generale, che preventivamente colpisce tutta una classe, che più si sente legata alla vita dello Stato. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Calamandrei ha presentato il seguente emendamento

«Sostituire l’ultimo comma col seguente:

«I componenti del Parlamento, che siano pubblici impiegati, o impiegati di enti pubblici o controllati dallo Stato, non possono conseguire promozioni nell’impiego, né nomine ad uffici direttivi, anche temporanei, né trasferimenti».

Non essendo l’onorevole Calamandrei presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

Invito l’onorevole Tosato ad esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti testé svolti.

TOSATO. La Commissione non può accettare la proposta radicale fatta dall’onorevole Corbino di sopprimere l’intero articolo 91, perché questo articolo contiene disposizioni aventi grande importanza costituzionale: si fissa il principio che l’organizzazione dei pubblici uffici deve essere fatta per legge; si fissa quello che nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza al fine di precisare la responsabilità personale dei funzionari; si stabilisce il principio fondamentale dell’obbligo del concorso per coprire i pubblici uffici, ed infine quelli che i pubblici impiegati sono esclusivamente al servizio dell’Amministrazione e non possono, quando sono membri del Parlamento, conseguire promozioni se non per anzianità.

Sono tutti principî di carattere fondamentale, di importanza costituzionale, che la Commissione ritiene opportuno vengano fissati nella Costituzione. Si vedrà poi, in sede di coordinamento, se sia opportuno togliere qualche sovrabbondanza verbale: ma la sostanza dell’articolo dovrebbe rimanere.

Per quanto riguarda poi l’emendamento presentato dall’onorevole Romano, la Commissione dichiara di essere di parere avverso e pertanto non può accoglierlo. È da notarsi infatti che tale emendamento non tiene alcun conto della linea di conciliazione fra opposte esigenze seguita dalla Commissione. Fra la esclusione infatti di qualsiasi possibilità di promozione, di trasferimento od altro, e l’assoluto mantenimento di ogni diritto in questo senso da parte degli impiegati dello Stato che siano stati eletti deputati, la Commissione ha seguito una linea intermedia sulla quale intende rimanere ferma.

PRESIDENTE. Gli onorevoli La Rocca e Togliatti hanno presentato il seguente comma aggiuntivo:

«La legge determina i modi e le forme in cui si esercita il controllo popolare sulle pubbliche amministrazioni».

Domando se sia appoggiato.

(È appoggiato).

L’onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.

LA ROCCA. Signor Presidente, a me parrebbe di ingiuriare l’Assemblea se illustrassi questo emendamento, che è basato su un concetto universalmente accolto, che cioè debba essere esercitato un controllo sulla pubblica Amministrazione. Da chi? Evidentemente da chi è la fonte, la sorgente della sovranità, del potere. Noi, in sede costituzionale, non possiamo entrare in particolari e dobbiamo pertanto rinviare alla legge la determinazione dei modi e delle forme in cui questo controllo, quanto mai necessario, si esercita sulla pubblica Amministrazione.

PRESIDENTE. Invito la Commissione ad esprimere il proprio parere su questo emendamento.

TOSATO. Alla Commissione sembra che questo emendamento sia per lo meno superfluo, nel senso che la legge può sempre stabilire forme di controllo non previste dalla Costituzione e non previste ancora dalle leggi vigenti. Vi sono d’altra parte già leggi fondamentali che assicurano un controllo popolare sulle pubbliche amministrazioni. Per l’Amministrazione centrale, vi sono infatti i controlli esercitati dai membri delle assemblee rappresentative; per quanto riguarda gli enti locali di pubblica amministrazione, sia regionali che provinciali e comunali, il controllo è esercitato attraverso gli organi rappresentativi di questi enti locali.

La possibilità di stabilire ulteriori forme di controlli popolari sulla pubblica Amministrazione, secondo le esigenze fatte presenti dagli onorevoli presentatori, non è affatto esclusa; non essendovi alcuna disposizione costituzionale che ponga in materia divieti, una estensione e un ulteriore incremento dei controlli popolari è sempre possibile. Perciò l’emendamento proposto appare superfluo.

PRESIDENTE. Domando agli onorevoli colleghi che hanno presentato emendamenti all’articolo 91 se, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Tosato, li mantengano. Onorevole Corbino?

CORBINO. Rinunzio al mio emendamento e anche a quello dell’onorevole Colitto.

PRESIDENTE. Onorevole Romano?

ROMANO. Mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Calamandrei, l’emendamento si intende decaduto. Onorevole La Rocca?

LA ROCCA. Insistiamo.

PRESIDENTE. Passiamo allora alle votazioni. Voteremo l’articolo 91 comma per comma.

Pongo in votazione il primo comma, del quale do nuovamente lettura:

«I pubblici uffici sono organizzati in base a disposizioni di legge, in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma:

«Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto pubblico si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io pregherei di mettere questo comma ai voti per divisione, in quanto sono d’accordo per il concorso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, ma credo eccessivo, e credo anche che possa essere un grave errore, quello di rendere obbligatorio il concorso anche per gli impiegati degli enti di diritto pubblico, perché con l’espressione generica di enti di diritto pubblico si abbraccia un’infinità di enti, molti dei quali, fra l’altro, regolano il rapporto di impiego con i loro dipendenti in base alla legge sull’impiego privato, con la competenza, quindi, dei tribunali ordinari per le relative controversie, le quali non rientrano nella competenza del Consiglio di Stato.

Se, ad esempio l’Ente per la protezione degli animali, per cambiare un cassiere o un usciere, dovesse fare un pubblico concorso, la spesa per il pubblico concorso sarebbe superiore allo stipendio di molti mesi dell’impiegato.

L’espressione «enti pubblici» è di una genericità tale che vi sarebbero compresi innumerevoli enti: è inutile fare un’esemplificazione. Comunque, se per ogni impiegato si dovesse fare un concorso, sarebbe la fine del mondo.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Indubbiamente l’osservazione dell’onorevole Fabbri è pertinente date la molteplicità e la varietà degli enti di diritto pubblico.

Noi ci rendiamo perfettamente conto del fondamento della obiezione da lui sollevata. Vorrei pregare però l’onorevole Fabbri di trasformare la sua richiesta in suggerimento alla Commissione, la quale cercherà una formula più esatta.

Sul principio generale che per gli uffici pubblici, intesi in senso stretto, occorra un pubblico concorso, credo siamo tutti d’accordo, perché esso rappresenta una garanzia.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Il mio spirito è il più vicino possibile alla richiesta dell’onorevole Tosato; solo mi domando se è una questione di coordinazione e di sola opportunità di dicitura, che possa rientrare nella competenza del Comitato di redazione, quella di far sparire gli enti pubblici, oppure di farne una precisazione tale di determinate categorie, onde per lo meno si comprenda che si tratta di quegli enti pubblici, ad esempio, i cui dipendenti sono soggetti alla giurisdizione del Consiglio di Stato. Stabilendo un criterio direttivo si potrà pervenire in senso lato ad una certa classificazione, ma, in difetto, varianti di pura forma alla norma potrebbero far nascere un pasticcetto.

Mi rimetto comunque al parere dell’Assemblea.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Volevo accennare appunto alla possibilità e al compito della Commissione di trovare una formula restrittiva rispetto a quella generica e amplissima di «enti di diritto pubblico». Comunque, mi permetto di far osservare all’onorevole Fabbri che nell’ultima proposizione del comma si dice «salvo i casi stabiliti dalla legge»; in questa formula si ha precisamente la possibilità di venire incontro alle difficoltà sollevate dallo stesso onorevole Fabbri.

PRESIDENTE. Di fronte alla richiesta dell’onorevole Fabbri, occorre comunque votare per divisione.

Pongo in votazione le parole:

«Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«e negli enti di diritto pubblico»

(Non sono approvate).

Pongo in votazione le restanti parole:

«si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».

(Sono approvate).

Pongo ai voti il terzo comma nel testo del progetto:

«I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione».

(È approvato).

Ricordo che l’onorevole Romano ha presentato un emendamento soppressivo dell’ultimo comma, il quale, nel testo del progetto, è del seguente tenore:

«I pubblici impiegati membri del Parlamento non possono conseguire promozioni se non per anzianità».

Pongo in votazione questo comma, ricordando che i colleghi favorevoli all’emendamento soppressivo manifesteranno la loro volontà votando contro il comma stesso.

(Dopo prova e controprova, è approvato).

Pongo ora in votazione il comma aggiuntivo proposto dagli onorevoli La Rocca e Togliatti che rileggo:

«La legge determina i modi e le forme in cui si esercita il controllo popolare sulle pubbliche amministrazioni».

(Non è approvato).

Il testo approvato dell’articolo 91 è pertanto quello del progetto, con la soppressione, nel secondo comma, delle parole «e negli enti di diritto pubblico».

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 10.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere se, dato il grave onere che l’aumento delle tasse universitarie costituisce per gli studenti con modesti mezzi di fortuna, non ritengano opportuno procedere ad una conveniente ed equa riduzione.

«L’interrogante chiede risposta urgente.

«Priolo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti abbiano presi per evitare che la ristampa dell’Enciclopedia Treccani venga affidata ancora a quegli elementi fascisti che già ne avevano diretto la compilazione.

«Spallicci, Chiostergi, Camangi, Azzi, Magrini, Paolucci, Zuccarini, Longhena».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritenga opportuno sistemare in pianta stabile gli insegnanti delle scuole elementari, che abbiano prestato almeno cinque anni di servizio provvisorio, ripetendosi il trattamento di favore – che fu accolto da tutti con grande soddisfazione – usato a taluni gruppi di personale assunti appunto in servizio nella scuola prima del 1937 a titolo provvisorio. (Vedasi regio decreto 22 novembre 1937, n. 1998). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

Colitto.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni, per le quali la città di Campobasso non è stata ancora riconosciuta come stazione climatica montana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

Colitto.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere le ragioni per le quali è stato improvvisamente soppresso il servizio automobilistico Miranda-Isernia, in provincia di Campobasso, che di tanta utilità era anche per numerosi lavoratori dei due paesi e per studenti; e per sapere se non ritenga necessario senz’altro ripristinarlo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

Colitto.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se, di fronte ai gravi e numerosi inconvenienti verificatisi nella funzione dei giudici conciliatori, non ritenga opportuno:

  1. a) di ridurre il limite della competenza per valore dei giudici conciliatori;
  2. b) di ripristinare le preture soppresse dal fascismo, con congruo aumento delle sezioni distaccate;
  3. c) di affidare ai pretori la sistematica assistenza e sorveglianza dei giudici conciliatori, in modo da rendere possibile l’efficace svolgimento della loro funzione, che di fatto in tanti piccoli Comuni è ora sovente costretta a rinunziare a far valere in tale sede le proprie ragioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bubbio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere che cosa intende fare per accelerare l’istituzione a Napoli del Centro raccolta emigranti per l’Argentina.

«Il ritardo nell’attuazione, per difficoltà burocratico-amministrative, danneggia gravemente non solo la città e il porto napoletano, ma soprattutto gli emigranti meridionali che sono costretti, pur essendo numerosi, a sacrifici notevoli per raggiungere altri porti. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Sullo, Bosco Lucarelli, Firrao, Nicotra Maria, Carratelli, Quintieri Adolfo, Castelli Avolio, Codacci Pisanelli, Reale Vito, Rodinò Ugo».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 0.35.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 24 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 24 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Interrogazione (Svolgimento):

Presidente

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Colonnetti

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Bettiol

Monticelli

Corbi

Tosato

Calosso

Lussu

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Condorelli

Fabbri

Mortati

Corbino

Bozzi

Macrelli

Fuschini

Arata

Stampacchia

Tonello

Targetti

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Interrogazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha dichiarato di esser pronto a rispondere all’interrogazione presentata nella tornata del 16 settembre ultimo scorso dai deputati Colonnetti, Giacchero, Firrao, Di Fausto, di cui do lettura:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se e quali provvedimenti intendano adottare di fronte all’allarmante moltiplicarsi dei disastri edilizi, e se non credano giunta l’ora di prendere in considerazione le proposte che i vari organi del Consiglio nazionale delle ricerche hanno ripetutamente formulate per un miglioramento della tecnica delle costruzioni – proposte che sono state fino ad ora rese vane dalla resistenza passiva della burocrazia e dall’ostinato rifiuto del Tesoro a concedere quel minimo di mezzi finanziari che sarebbero stati necessari per la loro attuazione.

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Se l’onorevole Colonnetti e i colleghi che si sono uniti alla sua interrogazione avessero esteso la medesima anche al Ministro del tesoro forse la risposta del Governo potrebbe essere più sodisfacente.

In ogni caso l’onorevole Colonnetti mi ha fornito la gradevole occasione di esaminare tutti i precedenti della materia che formano oggetto dell’interrogazione.

Come l’onorevole Colonnetti sa, la materia della produzione dei leganti idraulici è disciplinata da una legge fondamentale, quella del novembre 1939, legge che non fa che raccogliere tutte le istanze, le considerazioni, gli studi, le proposte che prima di essa furono elaborati dal Consiglio nazionale delle ricerche.

La materia dovrebbe essere di competenza speciale del Ministero dell’industria e commercio. Senonché anche il mio Ministero se n’è occupato a più riprese e a volta a volta ha adottato determinati provvedimenti.

Non voglio risalire molto lontano. Mi limito solo alle circolari che sono state emanate dal Ministero dei lavori pubblici nell’aprile 1945 e nel gennaio 1946. Con queste circolari, spedite ai vari uffici del genio civile, gli ingegneri del genio civile erano invitati – e rimangono quindi tuttora invitati – ad esercitare una assidua opera di controllo sia nelle cementerie, sia nei luoghi ove il cemento viene adoperato.

Questo controllo dovrebbe farsi mensilmente, e consiste nel prelievo di una quantità idonea di cemento che viene spedita ai laboratori più vicini, i quali dispongano di mezzi per gli accertamenti.

Compete ai laboratori rilasciare dei certificati attestanti se il cemento che viene immesso al consumo è più o meno idoneo ad essere utilizzato.

Copia dei certificati viene mensilmente mandata al mio Ministero, che li esamina. E quando nulla ha da dire al riguardo, naturalmente, non fa che prenderne atto; quando invece trova che il prodotto è inferiore ai limiti di resistenza o di tolleranza o comunque deteriore per qualità, ne fa segnalazione al Ministero dell’industria e commercio per gli opportuni provvedimenti.

Tutte queste ispezioni e questi controlli sono sempre regolati dalla legge fondamentale del novembre 1939.

Inoltre il mio Ministero, nell’aprile di questo anno, per intensificare la sorveglianza e il controllo, ha emanato nuove disposizioni in virtù delle quali il controllo non si limita soltanto alle cementerie e ai luoghi doveri cementi vengono adoperati, ma deve farsi anche in forme cosiddette volanti presso i luoghi di spedizione, durante il trasporto e dovunque essi si trovino. A seguito di tali accertamenti improvvisi o saltuari, se ne risulta una qualità di cemento diverso o di qualità inferiore a quella denunciata all’esterno, si fa anche luogo a denunzia penale per frode in commercio ai sensi dell’articolo 515 del Codice penale.

Recentemente ho dato anche nuove disposizioni ai funzionari del mio Ministero perché, in unione a quelli del Ministero dell’industria, studino e propongano altri sistemi di accertamento e di controllo, rapidi e semplici, onde corrispondere alle esigenze denunciate dall’onorevole Colonnetti. Il quale è certamente informato delle trattative in corso tra i funzionari del mio Dicastero e quelli del Consiglio nazionale delle ricerche, al fine di correggere e aggiornare con nuove e più adatte disposizioni la legge del 1939.

Detti studi sono ormai a buon punto ed è nei miei propositi tradurli al più presto in norme di legge.

Assicuro pertanto l’onorevole Colonnetti ed i colleghi che con lui hanno firmato l’interrogazione, di tenermi a loro disposizione per qualsiasi eventuale suggerimento e proposta, in modo che le nuove auspicate provvidenze corrispondano all’aspettativa del Paese, il quale ha diritto di pretendere che i materiali di costruzione abbiano i necessari coefficienti di stabilità e garantiscano perciò la maggiore tranquillità. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COLONNETTI. Io sono grato al Ministro dei lavori pubblici per le sue dichiarazioni che ci confermano – sebbene non ce ne fosse davvero bisogno – il suo vivo e fattivo interessamento al problema ed il suo alto senso di responsabilità nella gestione dell’Amministrazione alla quale presiede.

E penso che, proprio per questo suo senso di responsabilità, non gli spiacerà ch’io mi permetta di richiamare la sua attenzione su di uno stato di fatto che è in stridente contrasto con le sue intenzioni e con le disposizioni da lui emanate.

È verissimo che a disciplinare la tecnica delle costruzioni in cemento armato vige il decreto del 16 novembre 1939, n. 2229, il quale ha precisamente per iscopo di provvedere a quella vigilanza ed a quei controlli che io invoco in questo momento.

Dice quel decreto – all’articolo 2 – che «la qualità e le proprietà dei materiali impiegati nella esecuzione delle opere in conglomerato cementizio semplice ed armato devono essere comprovate, prima e durante il corso dei lavori, da certificati rilasciati da uno dei laboratori ufficiali».

Aggiunge – all’articolo 16 – che da queste prove deve risultare una certa resistenza dei calcestruzzi, soggetta a certe condizioni che io per brevità non vi starò qui ad elencare, ma che in ogni caso «non dovrà mai risultare inferiore a 120 chilogrammi per centimetro quadrato, per i conglomerati di cemento normale.

«Non raggiungendosi a 28 giorni di stagionatura la resistenza richiesta, la prova dev’essere ripetuta a 60 giorni su altri provini prelevati contemporaneamente ai primi.

«Qualora nella seconda prova la resistenza prescritta non sia raggiunta, il direttore dei lavori provvede, secondo i casi, alla sospensione dei lavori, ed eventualmente al rafforzamento delle opere o alla loro demolizione».

Finalmente – all’articolo 50 – quel decreto impone al direttore dei lavori «l’obbligo di allegare ai documenti di collaudo i certificati delle prove eseguite a norma delle disposizioni precedenti».

Ora, in questo, come in tutti i decreti, c’è un comma che manda «a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare».

Io non so bene a chi spetti di fare osservare le disposizioni che ho riferito; se all’autorità tutoria in generale (ai prefetti, per esempio) oppure agli organi tecnici dello Stato. Ma so che quelle disposizioni non sono osservate e che nessuno si occupa di farle osservare.

I laboratori ufficiali ricevono bensì continuamente dei campioni di cementi e di calcestruzzi da provare.

Ma i risultati sono spesso, troppo spesso, di gran lunga inferiori ai limiti regolamentari. Su cementi dichiarati da 500 chilogrammi per centimetro quadrato, si riscontrano resistenze che raggiungono a mala pena i 350 chilogrammi. Calcestruzzi che dovrebbero sopportare 120 chilogrammi per centimetro quadrato, si rompono sovente sotto carichi di soli 65, 70, 75 chilogrammi: poco più della metà del prescritto!

Di fronte a risultati di questo genere sono relativamente poche le richieste di prove a due mesi; esse d’altronde confermano quasi sempre le insufficienze già constatate alla scadenza di 28 giorni.

Ora, i laboratori ufficiali hanno soltanto il dovere di comunicare i risultati delle prove a chi le prove stesse ha richieste; essi non hanno alcun mandato né alcuna possibilità di indagare se e dove i materiali di cui si tratta vengono impiegati e messi in opera: non hanno alcun mandato né alcuna possibilità di accertare se, là dove i risultati sono sfavorevoli, le costruzioni in corso vengano, come di dovere, sospese o rinforzate o demolite.

Ma abbiamo ragione di dubitare molto che questo si faccia!

Perciò qualche direttore di laboratorio di mia conoscenza ha creduto suo dovere richiamare, sui risultati cui sopra ho accennato, l’attenzione del Genio civile.

Io non dubito che l’ingegnere Capo del Genio civile avrà fatto il suo dovere trasmettendo quelle segnalazioni al Ministero dei lavori pubblici. Non dubito che il Ministero dei lavori pubblici avrà fatto il suo dovere trasmettendole al Ministero dell’industria.

Non so che uso debba farne il Ministero dell’industria. Ma ciò che io chiedo al Ministro è se nel frattempo qualcuno si è incaricato di identificare e mettere in mora coloro che impiegavano quei materiali, e di impedire che quelle costruzioni venissero ultimate e collaudate.

Consentite, onorevoli colleghi, che a questo proposito io vi racconti un piccolo episodio che dimostra fino a quale punto si sia giunti.

Alcuni giorni or sono un nostro collega, da molti di voi ben conosciuto ed apprezzato, l’onorevole Casalini, che in questo momento è Vice sindaco di Torino, mi raccontava che, avendo avuto qualche dubbio sopra una costruzione in corso per scuole municipali, si era recato personalmente sul posto ed esaminando la struttura in cemento armato aveva constatato che in alcuni punti il calcestruzzo si sgretolava sotto la semplice pressione della mano, lasciando scoperti i ferri dell’armatura perfettamente puliti – indice non dubbio di inesistente aderenza – sicché aveva dovuto personalmente provvedere a far sospendere i lavori e ad ordinare che tutta un’ala del fabbricato fosso rifatta.

Ma tutto questo è avvenuto in una scuola di Torino per lo zelo e la personale competenza dell’onorevole Casalini.

Non possiamo pensare di affidarci soltanto all’alea di siffatti interventi personali. Ci deve essere qualche organo che funzioni per arrestare abusi di questo genere, abusi che hanno portato a disastri, a vittime umane. Non basta che ad ogni disastro si promuova un’inchiesta onde stabilire le responsabilità. Attraverso l’inchiesta si troverà sempre una qualche causa occasionale che spiega l’incidente. Ma vi è un fatto, universalmente accertato, il quale basta da solo a spiegare tutti i disastri, ed è che vi sono sul mercato notevoli quantità di cementi di pessima qualità e che questi vengono regolarmente ed impunemente utilizzati, senza che direttori di lavori e collaudatori intervengano ad impedirlo, senza che le autorità provvedano ad accertare e a colpire le responsabilità di costoro.

Se l’ultimo articolo del decreto che io vi ho citato fosse applicato, se cioè i collaudatori effettivamente esigessero ed allegassero i certificati di prova dei materiali rilasciati dai nostri laboratori, quanti collaudi sarebbero negativi!

Il Ministro ha accennato agli studi in corso.

Anche su questo punto mi permetto di dirgli che egli si fa delle illusioni sulla rapidità e sulla efficacia di tali studi.

Questi sono infatti cominciati da tempo, auspici i suoi predecessori; e, sulla base di essi, è stato redatto il nuovo testo che io da mesi ho in bozze sul tavolo. Questo nuovo testo, fra l’altro, porta a 160 chilogrammi per centimetro quadrato il limite inferiore di resistenza, dei calcestruzzi che, nel vecchio testo, era di 120 chilogrammi, dimostrando chiaramente che la Commissione ha riconosciuto insufficiente la norma vigente.

Ma che valore ha questo, se, mentre le bozze del nuovo decreto girano da un Ministero all’altro e da ciascuno di essi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in attesa di raccogliere tutti i necessari consensi, si continuano ad impiegare impunemente calcestruzzi che non rispondono né alle norme nuove né alle vecchie?

Il Ministro ha alluso all’opportunità che la mia interpellanza fosse rivolta anche al Ministro del tesoro.

Io non ho mai mancato di cogliere ogni occasione per tormentare il Ministro del tesoro, allo scopo di ottenere da lui i mezzi necessari per il finanziamento di ogni genere di studi e di ricerche. Ed accetto il cortese rimprovero dell’onorevole Tupini e lo assicuro che continuerò ad insistere.

Qui, oggi, una cosa mi preme soprattutto, ed è di attirare la di lui attenzione e la vostra, onorevoli colleghi, sopra l’aspetto tecnico del problema e sulla necessità di provvedimenti.

Sono tuttavia grato all’onorevole Ministro per la sua osservazione, la quale mi permette di segnalare e di lamentare le continue difficoltà che il Ministero del tesoro frappone a tutte le nostre richieste di finanziamento; di segnalare e di lamentare le condizioni di non funzionalità in cui sono troppo spesso lasciati i nostri laboratori di ricerca.

Conviene che si sappia, qui e fuori di qui, che ogni studio, ogni ricerca opportunamente finanziata si tradurrebbe in progressi reali della nostra tecnica che è rimasta arretrata in questi ultimi anni. All’estero si sono fatti progressi notevoli; la tecnica delle costruzioni si è affinata e perfezionata, si sono introdotti nell’uso comune i cementi ad alta resistenza, i cementi espansivi, e si è diffuso l’impiego dei cementi armati precompressi.

Da noi esiste una Commissione per i cementi ad alta resistenza, che fu costituita nel 1938 o forse nel 1939: non lo so con precisione, perché in quell’epoca io ero considerato un reprobo e non ne facevo parte. Ma ne faccio parte da tre anni, e vi posso dire che essa si raduna regolarmente una volta all’anno col solo risultato di rinviare ogni decisione alla volta successiva.

Ora i cementi ad alta resistenza si fabbricano all’estero, ed in Italia esiste una fabbrica che è in condizione di produrli; ma io ho l’impressione che è ancor lontano il giorno in cui li potremo impiegare nelle nostre costruzioni.

La stessa cosa accade per i cementi armati precompressi.

Da parte del Consiglio nazionale delle ricerche sono state formulate proposte intese ad ottenere dal Ministero dei lavori pubblici l’autorizzazione all’impiego in Italia, della nuovissima tecnica, e la sua regolamentazione. La questione, dal punto di vista tecnico, è matura a tal segno che travi precompressi si incominciano a costruire e ad impiegare senza alcuna autorizzazione e senza alcun controllo; il che può anche dar luogo a gravi inconvenienti. Ma il regolamento relativo è sempre allo studio!

Io segnalo questo stato di cose al Ministro non per uno sterile e vano desiderio di fare critiche, ma per dargli una prova concreta di collaborazione fattiva, e soprattutto per dimostrargli la fiducia che nutro nella sincerità dei suoi propositi e nel senso di responsabilità con cui regge il suo Dicastero.

Egli sa che il Consiglio nazionale delle ricerche è a disposizione per ogni genere di studi, e chiede soltanto che questi studi non restino lettera morta, come è accaduto, per esempio, per tutte le proposte fatte dai diversi Congressi che il Consiglio delle ricerche ha promossi in vista della ricostruzione edilizia. Raccolte in un grosso volume, quelle proposte stanno ad attestare lo spirito di iniziativa e la volontà di collaborazione degli ingegneri e degli architetti italiana però neppur una di esse è stata dal Ministero presa in considerazione.

Al Ministro noi saremo grati se egli vorrà per l’avvenire più largamente valersi dell’opera nostra, appoggiando e valorizzando, coll’autorità che gli deriva dalla sua altissima carica, quegli studi che il Consiglio va promuovendo su temi, in ordine ai quali qualunque nuovo ritrovato, qualunque anche lieve progresso tecnico si traduce in un risparmio di materiali e quindi in un concreto vantaggio per l’economia nazionale. (Applausi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

In relazione all’articolo 85, approvato ieri, l’onorevole Bettiol ha presentato il seguente articolo aggiuntivo:

«Il Presidente della Repubblica, mentre dura in carica, non può essere perseguito per violazioni alla legge penale commesse fuori dell’esercizio delle sue funzioni».

L’onorevole Bettiol ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Mi permetto di attirare l’attenzione dell’Assemblea su un argomento piuttosto importante che ieri non è stato trattato quando si è parlato della responsabilità penale e politica del Presidente della Repubblica per reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni: vale a dire il problema del trattamento giuridico penale riservato al Presidente della Repubblica, per quei fatti che violano la legge penale commessi mentre il Presidente della Repubblica è in carica.

Il quid iuris in questo determinato caso non è puramente cerebrale e astratto, ma potrebbe avere nel nostro Paese, come ne ha avuto in altri, manifestazioni concrete.

Le soluzioni possibili dal punto di vista teoretico sono tre: prima, il Presidente sta completamente al di sopra della legge penali, come il monarca del tempo passato, ciò che è in contrasto irriducibile coi fondamentali principî democratici, ai quali si ispirala nostra Costituzione; seconda, considerarlo soltanto esente da pena, cioè ammettere che in concreto il reato si possa raffigurare, ma per motivi particolari rinunziare all’applicazione della pena, tanto durante il tempo in cui il Presidente è in carica che dopo; questa sarebbe una immunità di carattere personale, che si avvicina alla esenzione completa dall’obbligo di osservare la legge penale: terza soluzione è quella che guarda il problema sotto il profilo della giurisdizione e considera i fatti perpetrati dal Presidente della Repubblica come fatti per i quali non si può esperire azione penale, mentre il Presidente della Repubblica rimane in carica; si tratterebbe di una pura esenzione da giurisdizione. Ritengo che quest’ultima soluzione sia, dal punto di vista politico, la più adeguata alle premesse democratiche della Costituzione e risponda quindi alle direttive politiche fondamentali, alle quali dobbiamo ispirarci.

Detto questo, mi permetto di presentare o come comma aggiuntivo o come articolo a sé il seguente emendamento:

«Il Presidente della Repubblica, mentre dura in carica, non può essere perseguito per violazioni della legge penale commesse fuori dell’esercizio delle sue funzioni».

Resta chiarito che questa esenzione da giurisdizione dura fin quando il Presidente è in carica; quando il Presidente ritorna privato cittadino, questo suo privilegio processuale viene meno ed egli può essere tradotto davanti ai giudici per rispondere del reato perpetrato mentre era in carica, a1 di fuori dell’esercizio delle sue funzioni.

Ma, se durante l’esercizio delle sue funzioni il Presidente commette un grave reato, penso che la forza delle cose sia tale, da creare in concreto l’obbligo di dimissioni da parte del Presidente della Repubblica.

Non si deve dimenticare che gli articoli della Costituzione non sono principî meramente ideali, ma sono ancorati alla realtà politica e sociale.

PRESIDENTE. Ieri sera l’onorevole Bozzi si era riservato di fare una proposta analoga e l’Assemblea aveva accettato senz’altro di discuterla.

L’onorevole Bettiol ha iniziato la discussione, svolgendo l’articolo aggiuntivo da lui redatto.

Ma ve n’è un altro sulla stessa materia, che porta le firme degli onorevoli Monticelli, Arcangeli, Bosco Lucarelli, Camposarcuno, Ferrarese, De Palma, Angelini, Fuschini, Balduzzi, Cappi e De Unterrichter Maria:

«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni».

L’onorevole Monticelli ha facoltà di svolgerlo.

MONTICELLI. L’osservazione fatta ieri sera dal collega onorevole Bozzi, mise in rilievo questa lacuna del progetto di Costituzione, che consente la possibilità, per il Presidente della Repubblica, di essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni. Io ritengo che durante l’esercizio delle sue funzioni il Presidente della Repubblica non debba essere esposto alla prima denunzia che potrebbe essere fatta non soltanto per un reato colposo, ma anche per un reato come la diffamazione o l’ingiuria, che lo costringerebbe a dover render conto delle sue azioni prima al Procuratore della Repubblica e poi al Magistrato. Ciò verrebbe ad infierire notevolmente sulla sua autorità.

Queste considerazioni, ed i rilievi fatti stamane dall’onorevole Bettiol, che in sostanza collimano perfettamente con l’osservazione che io ed altri colleghi abbiamo fatto, in quanto nessuna sostanziale differenza vi è fra noi, perché il collega Bettiol parla di esenzione dalla legge penale finché il Presidente è in carica, mentre noi sosteniamo che il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto, finché è in carica, a procedimento penale, dimostrano che anche se la forma è diversa, il concetto è lo stesso. L’importante è che la norma, sotto forma di articolo aggiuntivo, venga inserita nella Costituzione a garanzia della figura del Presidente della Repubblica e soprattutto allo scopo di assicurargli quella giusta posizione di indipendenza di cui egli ha bisogno. Perciò insisto affinché l’Assemblea voti questo nostro articolo aggiuntivo.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbi ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo al testo proposto dall’onorevole Bettiol: «salvo che le Camere riunite non ravvisino un caso di impedimento».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORBI. Condivido il concetto informatore dell’emendamento presentato dall’onorevole Bettiol, ma mi sembra che su una materia così delicata sia un dovere delle Camere riunite poter stabilire quando si ravvisi impedimento, perché il Presidente della Repubblica possa ancora mantenere le funzioni delle quali è stato investito.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione non ha avuto la possibilità di riunirsi per esaminare gli emendamenti presentati poco fa. Già ieri ho avuto occasione di accennare alle ragioni in base alle quali, sia in sede di Commissione dei Settantacinque, sia, ancor prima, in sede di seconda Sottocommissione, non è sembrato opportuno stabilire una norma precisa nella Costituzione relativamente alla responsabilità penale del Presidente per fatti che non si ricolleghino né direttamente né indirettamente all’esercizio delle sue funzioni. In particolare, una sospensione completa del procedimento penale, per reati comuni, a favore del Presidente, è sembrata eccessiva. D’altra parte un’assimilazione completa del Presidente della Repubblica con i deputati, estendendo al primo le identiche immunità previste per i secondi, non è sembrata adeguata alla figura e alla posizione del Presidente. Oggi la questione torna con gli emendamenti proposti dall’onorevole Bettiol e dall’onorevole Monticelli ed altri. In sostanza i due emendamenti coincidono nell’idea fondamentale che sia sospeso il procedimento penale a carico del Presidente per gli eventuali reati da lui commessi, che non si riconnettono affatto all’esercizio delle sue funzioni. La, Commissione, a questo punto, dopo quanto ho detto, può fare soltanto rilievi di pura forma; si può rilevare che, mentre sotto un certo aspetto sarebbe preferibile, dal punto di vista formale, l’emendamento proposto dall’onorevole Monticelli, in cui si afferma che il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni, d’altra parte l’emendamento Bettiol è più sodisfacente; in quanto fa espresso riferimento ai casi per i quali si contempla la sospensione di procedimento penale a carico del Presidente.

Per quanto riguarda l’emendamento aggiuntivo presentato dall’onorevole Corbi, la Commissione ritiene che è forse superfluo; in questi casi si ha uno di quegli impedimenti per i quali è già prevista la sospensione delle funzioni e la supplenza del Presidente da parte del Presidente del Senato.

CALOSSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOSSO. Io non vedo la necessità di costituire al Capo dello Stato una posizione speciale. Noi abbiamo una magistratura che è sovrana ed è uno dei poteri dello Stato.

Ora, la stessa immunità parlamentare mi pare che sia sorta in antico, soprattutto come una difesa del potere sovrano.

Esiste una magistratura, ed io non capisco perché le si debba togliere questa funzione. Perfino presso certi popoli coloniali vi è la possibilità di chiamare dinanzi al giudice il governatore che rappresenta il potere sovrano .

Poiché abbiamo una magistratura, non comprendo perché non dobbiamo farla funzionare in maniera ordinaria. Sarebbe un procedimento più semplice lasciar fare alla magistratura, nella quale dovremmo avere fiducia. Piuttosto, si dovrebbe migliorare la magistratura, che non è ancora davvero indipendente.

FUSCHINI. Che cosa si dovrebbe fare?

CALOSSO. Ci vuole una magistratura abbastanza buona. (Interruzione dell’onorevole Badini Confalonieri).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

CALOSSO. Non mi pare, d’altra parte, che sia una misura eccessivamente democratica togliere alla magistratura una zona del suo ufficio, salvo il motivo specifico di difenderla da un regime assoluto. Comunque, io voterò contro.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. La Commissione con la quale mi sono consultato, resta ferma nella sua idea che non sia opportuna in materia, una disposizione espressa della Costituzione.

Tuttavia, se l’Assemblea ritiene di dover invece stabilire una disposizione su questo argomento, proporrei questo testo:

«Il Presidente della Repubblica non può, mentre è in carica, essere sottoposto a procedimento penale per fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni, salvo che le Camere riunite ravvisino un caso di impedimento all’esercizio delle funzioni medesime».

PRESIDENTE. Faccio presente che la Commissione ha dichiarato di mantenere la sua convinzione precedente: che non sia necessario inserire una norma di questo genere nel testo della Costituzione. Ove tuttavia, l’Assemblea lo ritenesse necessario, la formulazione accettata dalla Commissione è quella comunicata dall’onorevole Tosato, formulazione nella quale si è tenuto conto delle proposte degli onorevoli Bettiol, Monticelli e Corbi.

Chiedo all’onorevole Bettiol se mantiene il suo emendamento.

BETTIOL. Lo ritiro ed accedo alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Monticelli mantiene il suo emendamento?

MONTICELLI. Insisto nella mia formulazione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Se la Commissione conserva l’emendamento che è stato testé letto, io dichiaro che voterò contro, rimanendo coerente alle decisioni che furono prese all’unanimità in seno alla Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Noi abbiamo formulato un nuovo testo in un modo diverso da quello proposto dall’onorevole Monticelli, per prestazione tecnica, non per andare contro il progetto, che dobbiamo mantenere perché così fu stabilito a suo tempo; ma riteniamo che – se fosse respinto – sarebbe preferibile la dizione che ha letto poc’anzi l’onorevole Tosato.

MONTICELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTICELLI. Faccio presente che io posso aderire alla proposta ora fatta dal Presidente della Commissione per la Costituzione, solo nel caso che si proceda alla votazione per divisione.

PRESIDENTE. Non si tratta per intanto di votare semplicemente per divisione, si tratta di votare un testo oppure un altro. Il testo della Commissione non combacia col suo, onorevole Monticelli. Do lettura del testo proposto dall’onorevole Monticelli:

«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni»,

Il testo della Commissione è invece il seguente:

«Il Presidente della Repubblica non può, mentre è in carica, essere sottoposto a procedimento penale per fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni, salvo che le Camera riunite ravvisino un caso di impedimento dell’esercizio delle funzioni medesime».

MONTICELLI. Mi pare che vi sia una differenza tra le due proposte, in quanto il mio emendamento è più lato.

PRESIDENTE. Non discutiamo sulle cose su cui siamo d’accordo, onorevole Monticelli. Lei ha chiesto che si voti per divisione. Ora, che cosa si può votare per divisione? II testo della Commissione. Il suo testo non si può votare per divisione, perché contiene un solo concetto; per questo, se lei chiede di votare per divisione, implicitamente accetta che si voti sul testo della Commissione.

MONTICELLI. La mia dichiarazione era subordinata a quanto ha detto il Presidente della Commissione. Egli ha detto, riferendosi alla formulazione dell’articolo proposta dall’onorevole Tosato: lei può fare le sue riserve votando contro, quando si tratterà della votazione sulla seconda parte.

Ora, invece, si chiede di decidere se occorra dare al Presidente della Repubblica una esenzione da giurisdizione più larga o più ristretta, e quindi se si debba applicare il concetto di restringere la esenzione soltanto per i fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni. È logico che in tal caso vi è contrasto. E poiché non ci siamo capiti, io insisto sulla mia formulazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Monticelli, il Comitato dei diciotto prima di tutto, voglio ripeterlo, non può che mantenere la originaria proposta di non mettere nulla nella Costituzione, proposta deliberata a suo tempo per le considerazioni così largamente svolte in seno alla seconda Sottocommissione. Certo è che, dopo aver parlato della irresponsabilità negli atti di ufficio, non si dice nulla di quelli fuori ufficio; si deve ritenere per essi la responsabilità: ma la Sottocommissione ha ritenuto che o si tratterà di violazioni lievi, e non si darà corso ai procedimenti; o di violazioni gravi, che rendano impossibile la sua permanenza in ufficio: nei quali casi si avrà una delle figure dell’impedimento, di cui parla altrove la Costituzione. L’argomento è così delicato che la Commissione ritenne a suo tempo che fosse meglio lasciarne la risoluzione alla prassi.

Non disconosco tuttavia, che l’opposta tesi di contemplare la questione con qualche norma può avere – appunto per la delicatezza del tema – qualche argomento a favore: ove prevalesse, è bene che vi sia un testo tecnicamente ben congegnato. Ci troviamo di fronte tre formule. Quella Monticelli, che ci sembra preferibile all’altra Bettiol, perché parla di sottoposizione a procedimento penale, anziché di violazione di norme penali. Invece la formula Bettiol è più completa, in quanto precisa che si tratta di atti compiuti fuori dell’esercizio delle funzioni di Presidente. Infine la terza proposta Corbi è che, stabilita in massima la temporanea immunità finché dura l’ufficio, si dia la possibilità alle Camere unite di intervenire nei casi più gravi, ravvisando l’esistenza di uno degli impedimenti, che implicano la sospensione del Presidente dalle sue funzioni; nel qual caso il giudizio avrà luogo, e – ove dia luogo a condanna – l’impedimento diventerà assoluto ed il Presidente cesserà dalla sua carica.

Noi del Comitato dobbiamo rimanere fedeli alla proposta originaria di non metter nulla; ma, ove l’Assemblea decida diversamente, ci sembra che non potrebbe ammettersi immunità anche temporanea, senza che nei casi gravi si possa colpire un Presidente reo di gravi reati commessi. Con che si cercherebbe di tradurre in un articolo la soluzione di fatto, che si proponeva la Commissione col silenzio.

CORBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBI. Alle varie formule proposte noi avremmo preferito quella concordata poco fa dalla Commissione, anche perché in essa era stato tenuto conto dei nostri suggerimenti. Tuttavia, poiché abbiamo udito ora l’onorevole Ruini, il quale è tornato ad essere del parere di non introdurre alcun testo nella Costituzione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No: lo sono sempre stato; l’ha detto anche l’onorevole Tosato. La Commissione non ha mai mutato il punto di vista manifestato ab origine. Ha solo, ed era suo dovere, incanalato tecnicamente la discussione.

CORBI. Comunque sia, poiché l’onorevole Ruini ci ha manifestato che la Commissione è del parere di non introdurre alcun testo, che cioè essa è contraria a questo articolo aggiuntivo, qualunque ne sia la formulazione, poiché noi condividiamo questa posizione, dichiaro che voteremo contro tutti i vari emendamenti proposti al riguardo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io chiedo che la votazione avvenga per divisione in rapporto a «salvo che».

PRESIDENTE. Voteremo prima l’emendamento Monticelli, dove non esiste il «salvo che»; eventualmente dopo, se non risulterà approvato il testo dell’onorevole Monticelli, voteremo per divisione quello della Commissione.

MONTICELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTICELLI. In seguito alle spiegazioni fornite dall’onorevole Presidente della Commissione, io dichiaro di aderire alla formulazione dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE. Sta bene; metteremo subito in votazione il testo della Commissione, secondo la richiesta dell’onorevole Condorelli.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Mi permetto di osservare che ci si sta disorientando, mentre, in seguito agli interventi dei colleghi che hanno testé parlato e soprattutto in seguito a quello dell’onorevole Corbi, la situazione era stata sufficientemente chiarita. L’emendamento della Commissione non può essere messo in votazione, perché la Commissione è per l’abolizione dell’articolo aggiuntivo. Pertanto, il collega Monticelli non può far suo il testo proposto dalla Commissione, perché la Commissione in sostanza lo ritira. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, precisiamo i termini della questione. La Commissione aveva stabilito di non includere questo testo e, di fatto, essa è rimasta fedele a questo suo punto di vista, come ha dichiarato ora l’onorevole Ruini. Poiché, tuttavia, sono stati presentati dei testi aggiuntivi, la Commissione ha cercato di dare al concetto espresso in questi testi aggiuntivi la formulazione che ad essa è sembrata migliore: ma è evidente che essa è subordinata al non accoglimento da parte dell’Assemblea del punto di vista di non introdurre nella Costituzione questo articolo aggiuntivo.

MONTICELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTICELLI. Onorevole Presidente, per semplificare, faccio mio il testo elaborato dall’onorevole Tosato, rinunziando alla mia formulazione.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro qualsiasi emendamento che pretenda riempire la lacuna e modifichi il silenzio mantenuto nel testo di progetto della Costituzione, perché resto coerente alle conclusioni cui pervenimmo nella Sottocommissione. In sostanza noi ritenemmo che la formulazione della norma era nella fattispecie soverchiamente difficile, in quanto bisognava fare un’ipotesi di reato; e anche il dire, come propone l’onorevole Bettiol, «reati al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni» avrebbe quasi significato che, viceversa, nell’esercizio delle sue funzioni il Capo dello Stato reati avrebbe potuto commettere, purché non fossero di tradimento o di violazione della Costituzione.

La sospensione dell’azione penale finché era in carica, era norma che pure preoccupava dal punto di vista che sarebbe sembrato che da parte delle Assemblee non fosse mai, in nessun caso, revocabile la nomina del Presidente; mentre noi pensavamo invece che, anche senza dirlo, trattandosi di una nomina da parte del Parlamento, in occasione della quale non si scioglie l’organo che ha fatto questa nomina, sia sempre possibile, in astratto, pensare anche alla legittimità della revoca. Allora, delle due l’una: o il fatto cosiddetto penale era di così lieve entità che non valeva assolutamente la pena di occuparsene (e soltanto alla scadenza dei sette anni il giudice avrebbe in pratica potuto pensare alla sua perseguibilità), oppure, viceversa, se il fatto fosse di tale gravità da rendere necessario un procedimento penale, ed avveniva durante l’esercizio delle funzioni, sarebbe stato agevole senz’altro al Parlamento constatare l’incompatibilità, per questa ipotesi concreta di delinquenza intervenuta da parte del Presidente della Repubblica, e quindi revocandolo, sostituirlo con un altro.

Io trovo, quindi, che politicamente, la soluzione più brillante fu quella del silenzio, perché in una Costituzione non si possono prevedere tutte le infinite fattispecie, per delle ipotesi che a priori si palesano molto difficili ad accadere. E anche di fronte all’esempio dell’onorevole Bozzi, il quale faceva l’ipotesi di un investimento colposo con l’automobile, ricordo benissimo che in Commissione dicemmo: «Speriamo che lo chauffeur non sia stato nominato direttamente dal Capo dello Stato e che sia commesso di un determinato ordinamento amministrativo, cosicché si possa procedere contro lo chauffeur, senza disturbare il Presidente della Repubblica che viaggiava a bordo della macchina».

Questa fu la ragione concreta per cui, dopo un profondo esame, deliberammo che ci fosse nel testo del progetto una lacuna, un vuoto. A questo vuoto e a questa lacuna io mi attengo fedelmente.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Volevo porre semplicemente una questione regolamentare: chiedere cioè se sia opportuno e conforme al Regolamento mettere la questione nei termini proposti, visto che c’è una pregiudiziale, cioè la proposta di non dire niente, di conservare il silenzio sulla questione che l’onorevole Monticelli vorrebbe regolamentare.

Mettendo in votazione una formulazione di carattere positivo, si fa venire meno la possibilità di un’espressione chiara del pensiero dei votanti. Infatti vengono necessariamente a confluire nel voto contrario all’emendamento tanto coloro che ritengono più opportuno eliminare dalla Costituzione ogni statuizione sull’argomento, quanto coloro che, pur ammettendo una disciplina della materia, non consentono nella formulazione proposta con l’emendamento.

PRESIDENTE. Non esiste alcuna pregiudiziale; nessuno l’ha posta, e pertanto l’onorevole Monticelli ha diritto di presentare il suo emendamento.

MORTATI. La Commissione l’ha posta.

PRESIDENTE. La Commissione non può porre pregiudiziali. Essa ha semplicemente esposto il suo avviso sulla proposta fatta.

Pongo in votazione la prima parte dell’articolo aggiuntivo nel testo della Commissione, fatto proprio dall’onorevole Monticelli:

«Il Presidente della Repubblica non può, mentre è in carica, essere sottoposto a procedimento penale per fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Essendo stata respinta questa prima parte, non possiamo procedere alla votazione della seconda.

Passiamo all’esame dell’articolo 87. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Primo Ministro e Ministri debbono avere la fiducia del Parlamento.

«Entro otto giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta all’Assemblea Nazionale per chiederne la fiducia.

«La fiducia è accordata su mozione motivata, con voto nominale ed a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea».

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere il primo comma».

«Al terzo comma, sopprimere le parole: ed a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea».

Ha facoltà di svolgerli.

CORBINO. Ho proposto la soppressione del primo comma dell’articolo 87, perché mi pare inutile che si dica che Presidente del Consiglio e Ministri debbono avere la fiducia del Parlamento quando, al secondo comma, si dice: «Entro otto giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta all’Assemblea Nazionale» (o alle Camere) «per chiederne la fiducia». È quindi evidente che nel secondo comma è implicito il concetto contenuto nel primo comma.

D’altra parte la questione potrebbe prospettarsi sotto il problema della fiducia del Parlamento, cioè a dire delle Camere riunite, e quindi collegarsi con l’articolo 88.

Siccome per quanto concerne l’articolo 88 io resterò nell’ordine di idee che la fiducia debba essere data separatamente da ciascuna delle due Camere, sono contrario all’affermazione contenuta nel primo capoverso dell’articolo 87.

Quanto all’emendamento soppressivo dell’ultima parte del terzo comma, esso è subordinato al fatto che l’Assemblea respinga l’emendamento Nitti-Bozzi, soppressivo dell’intero comma.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Nitti e Bozzi hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

Il Governo deve avere la fiducia del Parlamento».

«Sopprimere il secondo e il terzo comma».

In assenza dell’onorevole Nitti, ha facoltà di svolgere l’emendamento l’onorevole Bozzi.

BOZZI. Il primo emendamento proposto dall’onorevole Nitti e da me ha un carattere meramente formale: anziché dire: «Primo Ministro e Ministri», si dice: «Il Governo», perché nell’articolo precedente è detto come è costituito il Governo.

L’altro emendamento da noi presentato mira appunto a sopprimere il secondo e terzo comma.

Vi sono enunciazioni superflue o pericolose. Perché fare obbligo al Governo di presentarsi alle Camere entro 8 giorni? Se circostanze di forza maggiore lo costringessero a presentarsi entro un termine maggiore, che cosa succederebbe? Qual è la sanzione? La decadenza del Governo, forse? Evidentemente non è il caso di inserire una norma di questo genere nella Costituzione.

Anche l’ultimo comma, dove si dice che la fiducia è accordata su mozione motivata, appare superfluo. Si capisce che la fiducia fa seguito ad una discussione che traccia implicitamente le linee del compito governativo. La fiducia si dà sulla base delle dichiarazioni del Governo. Motivata può essere, invece, la mozione di sfiducia.

Valore maggiore ha invece l’ultimo alinea, dove si richiede per la fiducia la maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea. Questa maggioranza assoluta è per noi eccessiva; può essere difficile raggiungerla. Cosa succederà allora? Perché vogliamo rendere tanto difficile la costituzione del Governo? Noi proponiamo la soppressione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Macrelli e De Vita hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il secondo e il terzo comma».

L’onorevole Macrelli ha facoltà di svolgerlo.

MACRELLI. Insieme col collega De Vita avevo presentato un emendamento all’articolo 87 per la soppressione del secondo e terzo comma.

Però ho creduto opportuno di presentare stamattina un emendamento che non è più soppressivo, ma completa la dizione dell’articolo 87.

Infatti il primo comma dell’articolo 87 nella sua formulazione può prestarsi ad equivoci pericolosi. II Presidente del Consiglio e i Ministri devono avere la fiducia del Parlamento. Noi pensiamo che il Governo debba assumere una responsabilità, solidale anche per quel che riguarda gli atti dei singoli Ministri. E allora abbiamo presentato questo emendamento sostitutivo dell’articolo 87:

«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Entro 10 giorni dalla sua formazione deve presentarsi alle due Camere per chiederne la fiducia».

Non credo che questo emendamento abbia bisogno di illustrazioni. Le parole e lo spirito servono esattamente ad interpretare il pensiero dei proponenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al secondo comma, alle parole: all’Assemblea Nazionale, sostituire le parole: alle Camere.

«Al terzo comma, alle parole: dei componenti l’Assemblea, sostituire le parole: dei componenti di ciascuna Camera».

Ha facoltà di svolgerli.

FUSCHINI. Non voglio aggiungere nessun chiarimento ai miei emendamenti, che si riferiscono semplicemente al problema dell’Assemblea. Siccome l’Assemblea Nazionale è caduta, io avevo proposto questo emendamento per sostituire ad essa le due Camere: ogni Camera deve dare la fiducia al Governo.

Ma ho l’impressione che la Commissione abbia redatto un nuovo testo che tiene conto dei vari emendamenti, e domanderei al Presidente se è pervenuto al suo seggio questo nuovo testo della Commissione, perché allora la discussione potrebbe essere risparmiata.

Certamente è fuori di dubbio che tanto la fiducia quanto la sfiducia devono esser date dalle due Camere separate. Quindi ogni atto di fiducia di una Camera sola non è sufficiente per mantenere in vita un Governo, mentre è sufficiente l’atto di sfiducia di una sola Camera per farlo cadere.

È bene però conoscere se la Commissione ha disposto un nuovo articolo per poterci regolare.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, fino a questo momento non ho ricevuto nessun testo elaborato dalla Commissione, ma solo un testo dell’onorevole Tosato, presentato a titolo personale. Per questo motivo non ne ho dato e non ne darò lettura, se non quando darò la parola all’onorevole Tosato perché lo svolga.

L’onorevole Arata ha presentato gli emendamenti:

«Al secondo comma, alle parole: all’Assemblea Nazionale, sostituire: alle Camere.

«Sostituire il terzo comma col seguente: «La fiducia è accordata con voto nominale, a maggioranza».

Ha facoltà di svolgerli.

ARATA. Rinunzio a svolgere il primo emendamento perché, oltre alle ragioni che sono state accennate, credo che la questione dell’Assemblea Nazionale sia chiarita e definita.

L’altro emendamento concernente il terzo comma, è diretto, in primo luogo, a depennare la parola «motivata» dal testo del comma, nel senso che la fiducia intenderei venisse accordata con voto nominale, a maggioranza, su mozione, ma senza dire che questa debba anche essere motivata. Questo perché, se noi siamo persuasi che le parole inutili in una Costituzione sono, più che inutili, dannose, in quanto possono prestarsi ad equivoci, dovremmo anche convenire che questo particolare requisito, di cui dovrebbe rivestirsi la mozione di fiducia, possa essere senz’altro trascurato. Noi stiamo invero contemplando il caso di un Governo che si presenta per la prima volta alle Camere per rispondere, non già di una attività che abbia svolto, ma unicamente nel programma che intende attuare. Tutta la sua attività si compendia, cioè, nell’enunciazione di un programma e nella formulazione di certe promesse.

In questo caso che cosa noi dobbiamo motivare? che cosa, cioè, può e deve motivare una mozione di fiducia? Dovrà la mozione, tradursi nella solita formula: «La Camera, udite le comunicazioni del Governo, le approva», oppure dovrà essere una formula diversa? Nel primo caso non c’è bisogno alcuno di inserire nella Costituzione un qualsiasi obbligo di motivazione, perché quella formula si usa, direi quasi, da tempo immemorabile, e mai s’è sentito il bisogno di renderla obbligatoria in un qualsiasi testo di legge o di regolamento. Oppure si vuole una motivazione più vestita, più completa; ma, onorevoli colleghi, in questo caso mi sembra che non faremmo una cosa seria, a mio modesto avviso, perché noi, in fondo, andremmo ad esigere una motivazione che si convertirebbe in questo giro di parole, in questa tautologia: «La Camera esprime la sua fiducia al Governò perché il Governo le dà fiducia». Non può essere, infatti, diversamente, perché una mozione di fiducia che deve approvare un Governo non per l’opera e per l’attività che ha prestato, ma unicamente per il programma e per le promesse che ha enunciate, non può, evidentemente, motivare niente. E allora non sembra forse più serio erigere che la motivazione, in quanto non è che la base di un giudizio positivo o negativo in relazione ad una attività prestata, venga formulata dopo che si sia maturata la situazione di fatto che un tal giudizio possa giustificare e legittimare? Queste sono le osservazioni che ho voluto prospettare, nella fiducia di non avere detto cose inesatte e nella fiducia quindi che il mio emendamento venga accolto.

Per quello che riguarda la maggioranza qualificata, il problema è certamente più serio.

Con l’articolo 61 noi abbiamo votato la norma di principio secondo cui le deliberazioni dell’Assemblea, per essere valide, debbono essere votate a maggioranza dei presenti, e con la presenza della maggioranza dei componenti il corpo votante. Questo in linea di massima. Abbiamo però votato anche delle eccezioni, e cioè che la Costituzione indicherà i casi in cui viene richiesta una maggioranza qualificata.

Ora è evidente che, perché sia richiesta, questa maggioranza qualificata, debba trattarsi di una votazione che abbia un oggetto di speciale gravità, e comportante effetti giuridici a politici di speciale rilievo. È quindi da vedere se la votazione sulla mozione di fiducia ad un Governo, che si presenta per la prima volta alla Camera, abbia questo carattere. Indubbiamente, a prima vista, questo carattere di speciale importanza balza agli occhi.

Scopo, infatti, del progetto, nel richiedere una maggioranza qualificata, è che il Governo parta con un numero minimo di suffragi tale da garantire che il percorso sia il più sicuro, il più lungo, il più saldo che sia possibile. Ma a me sorge questo dubbio, o cioè che noi, nella preoccupazione che il Governo possa avviarsi verso un cammino il più lungo ed il più sicuro possibile, si finisca addirittura col non farlo partire affatto. Mi sorge cioè il dubbio che, trattandosi di un nuovo Governo, il rimedio sia troppo energico e possa produrre degli effetti peggiori del male che si vuole combattere.

Si vuole, infatti, che il Governo possa intraprendere la sua opera con un particolare numero di suffragi, e cioè superiore alla maggioranza. semplice.

Ebbene, che faremo il giorno in cui l’Assemblea, per la sua composizione politica, o per il numero degli assenti o per quello degli astenuti (sempre possibili di fronte ad un Governo per il quale c’è soltanto l’attesa), che faremo, dunque, se, per tutte queste cause, l’Assemblea non potrà dare quella votazione e cioè non potrà esprimere dal proprio seno quella tale superiore maggioranza? E che faremo se, trattandosi di una votazione su mozione di fiducia, il Governo avrà la maggioranza qualificata in una Camera, mentre nell’altra, composta, ad esempio, di 550 deputati, con 50 assenti e 100 astenuti, 150 votano la sfiducia, e 250 la fiducia? Che faremo di fronte a questi risultati? Vorremo noi ugualmente impedire al Governo ogni possibilità di esperimento?

lo penso, onorevoli colleghi, che la questione sia talmente seria da imporsi alla vostra attenzione anche senza bisogno di altre parole. D’altra parte, io so di parlare a persone più intelligenti e più sperimentate di me, e pertanto mi limito a porre la tesi e ad impostare il tema. La conclusione, poi, la Assemblea la trarrà da sé.

Mi permetto solo un’ultima osservazione.

È mia convinzione che il progetto, nel chiedere che la mozione di fiducia debba essere motivata e che debba ottenere la maggioranza assoluta dei componenti la Camera, abbia tenuto presente che la votazione avvenga innanzi ad un’unica Assemblea: l’Assemblea Nazionale. Ora, una volta eliminata l’Assemblea Nazionale e una volta ammesso che la votazione avviene in due Camere distinte, a me sembra che una maggioranza semplice, cioè non qualificata – ottenuta dal Governo nelle due Camere – equivalga (come valore sintomatico, informativo, politico) alla maggioranza qualificata ottenuta in una sola Camera.

Ecco perché io penso che anche questo mio emendamento verrà benevolmente accolto dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Seguono i seguenti tre emendamenti presentati dall’onorevole Stampacchia:

«Al secondo comma, alle parole: All’Assemblea Nazionale, sostituire: a ciascuna delle due Camere.

«Al terzo comma, alle parole: con voto nominale, aggiungere: cui non partecipano i membri del Governo, ed alle parole: l’Assemblea, sostituire: di ciascuna delle due Camere.

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Il Governo s’intende dimesso di diritto, se non abbia la fiducia di ciascuna delle due Camere».

Ha facoltà, di svolgerli.

STAMPACCHIA. Poche osservazioni, e con brevi parole – com’è mio costume – sugli emendamenti da me presentati.

Voglio innanzi tutto, per prendere le mosse al mio dire, ricordare che l’articolo 87 prevede che il voto di fiducia il Governo debba domandarlo in partenza – come direbbe l’onorevole Arata – dinanzi all’Assemblea Nazionale. Ora di accordo – io e il mio Gruppo – che il Governo prima d’iniziare la sua fatica è mestieri si accerti di godere la fiducia del Parlamento, che rappresenta il Paese. Però qui è da fermare preliminarmente che, secondo la nuova struttura costituzionale dello Stato, entrambi i due rami del Parlamento rappresentano il Paese, a differenza della vecchia struttura per la quale il Senato, di nomina regia, non poteva arrogarsi tale rappresentanza e, potrei aggiungere, non se l’arrogò mai: se pure in qualche momento eccezionale e storico espresse con molta vivacità ed efficacia il sentimento della Nazione.

Tanto ricordato, voglio rilevare che della proposta Assemblea Nazionale, ora in esame, si è già discusso parecchio; e – se non m’inganno – la tendenza della maggioranza di noi tutti è di non parlarne più, di non ammetterla quale una terza Camera e di statuire soltanto la riunione plenaria dei due rami del Parlamento per qualche speciale, eccezionale funzione, come la nomina del Presidente della Repubblica ed altra analoga, da fissare nella Costituzione in termini e limiti rigorosamente tassativi. E da tener presento ancora che, pur essendo una parte della Costituente propensa al sistema unicamerale, non di meno, di accordo e per l’accordo, il sistema bicamerale è prevalso. Adottato tale sistema, ritengo doversi garantire rigorosamente l’autonomia delle istituite due Camere, le quali trovansi sì sul medesimo piano, perché entrambe elettive, ma restano pur distinte l’una dall’altra con figura e personalità proprie, perché giustamente le volemmo differenziate – per evitare incongruente duplicato – dando alla base di ciascuna una struttura elettorale diversa. Da ciò deriva intuitivamente, che il Governo è indispensabile si abbia la fiducia di entrambi i due rami del Parlamento considerati singolarmente e singolarmente consultati.

In vero, chiamando le due Camere confuse insieme in Assemblea plenaria per dare il voto di fiducia al Governo o per altri oggetti, a quali conseguenze si perverrebbe? Che di fatto annulleremmo il sistema bicamerale stesso, in quanto che creeremmo un’Assemblea di nuovo tipo. L’onorevole Nitti ha detto di quale tipo, dimostrandone l’assurdità.

In essa tutti i voti si fonderanno e tutti avranno lo stesso valore, quale sia la loro origine: della Camera dei deputati o del Senato. Ora, ricordiamo quello che ha osservato in proposito l’onorevole Corbino. Noi potremmo avere una maggioranza artificiosa, la quale effettivamente, o sia pure eventualmente, potrebbe non rispondere al pensiero dell’una o dell’altra Camera. Noi riteniamo – ripeto – che il Governo debba avere la fiducia di entrambe le Camere, ma singolarmente prese. In altri tempi bastava la fiducia da parte della Camera dei deputati, poiché – per quanto io ricordo e so – il Senato non era e non fu mai chiamato a dar voto di fiducia al Governo. Però la struttura albertina era assai diversa: il Senato era di nomina regia, e doveva perciò avere una funzione legislativa soltanto moderatrice di quelli che potevano essere gl’impeti della Camera elettiva se il voto popolare portasse masse di sinistra alla predetta Camera. Oggi, invece, abbiamo le due Camere, le quali entrambe hanno un’origine elettiva e popolare, senza però che alcuna delle due abbia funzione moderatrice dell’altra, essendosi soltanto voluto che l’elaborazione separatamente fatta da ciascuno dei due rami del Parlamento giovasse ad un giudizio più ponderato. Il voto di ciascuna delle due Camere bisogna adunque che valga per se stesso. È per questo che noi abbiamo voluto differenziarle all’origine, creando il collegio uninominale pel Senato e invece per la Camera dei deputati il collegio plurinominale a base proporzionale. Dunque, vi sono delle differenze; e se si sono volute, per differenziare le due Camere, non possiamo fondere insieme i voti dell’una Camera e dell’altra, e giungere al risultato, previsto – come ricordai – dall’onorevole Corbino, che la maggioranza di una delle due Camere resti jugulata, soverchiata dal voto dell’altra: che la maggioranza di quindici, venti o più voti di fiducia o sfiducia risultanti dal voto di 500 deputati possa essere messa nel nulla da una differenza in senso contrario risultante dal voto di 200 senatori. Il mio pensiero personale è – e ritengo di interpretare il pensiero di tutti i compagni – che il voto di fiducia – e aggiungo di sfiducia – debba valere sia che provenga da una Camera, sia dall’altra. Il Governo deve avere il voto di fiducia della Camera dei deputati ed il voto di fiducia del Senato perché possa assumere di fronte al Paese d’avere la fiducia del Parlamento. Ed ora passando al terzo comma dell’articolo 87, ricorderò che esso dice: «La fiducia è accordata, su mozione motivata, con voto nominale ed a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea». Io ho proposto che si aggiunga dopo le parole «con voto nominale» le altre: «a cui non partecipano i membri del Governo».

È ridicolo, infatti, che i Ministri ed i Sottosegretari diano il voto di fiducia a se stessi, nel momento in cui si deve stabilire se essi godano la fiducia del Parlamento. È successo qualche volta – in tempo remoto – che un Governo è rimasto, per pochissimi voti, anche per uno solo, e ciò perché i giudicabili avevano giudicato di loro stessi, partecipando alla votazione, votandosi la fiducia. Nel capoverso si parla poi di «maggioranza assoluta». Bisogna vedere se sia proprio il caso di volere detta maggioranza assoluta, senza correre il rischio delle manovre dei gruppi o di partiti tendenti ad evitare la formazione di una maggioranza assoluta nella votazione riguardante la fiducia o la sfiducia al Governo.

È per queste considerazioni che io proporrei di sostituire alle parole «maggioranza assoluta» le parole «maggioranza dei presenti».

PRESIDENTE. Onorevole Stampacchia, Ella non ha presentalo alcun emendamento a questo proposito. Siccome il concetto è stato già svolto da numerosi altri colleghi, la prego di attenersi agli emendamenti da lei proposti.

STAMPACCHIA. Ha ragione; «la maggioranza assoluta» mi è sfuggita nello stilare l’emendamento, pure essendo nella mia intenzione di parlarne. Comunque in riguardo ho detto il mio pensiero.

Vengo infine a svolgere l’emendamento aggiuntivo.

Noi abbiamo detto che il Governo, anche in partenza, deve avere il voto di fiducia delle due Camere; è però necessario – perché il precetto non corra, qualche volta il rischio di rimanere senza effetto ed inefficace – che vi sia la sanzione per il caso che il Governo non abbia la fiducia; cioè occorre che si dica espressamente che il voto di sfiducia o la mancata fiducia importa di diritto le dimissioni del Governo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dall’onorevole Tonello:

«Al terzo comma, dopo le parole: con voto nominale, aggiungere: al quale i membri del Governo non possono partecipare».

Ha facoltà di svolgerlo.

TONELLO. L’onorevole Stampacchia ha poco fa dichiarato di accettare l’aggiunta che io ho proposto a quest’altro capoverso dell’articolo 85. Dichiaro però che questa idea di aggiungere l’esclusione dei membri del Governo dalla partecipazione al voto di fiducia verso se stessi, comprendendo cioè sia i Ministri che i Sottosegretari, mi venne durante l’ultima votazione sulla fiducia al Governo (Si ride al centro).

Rimasi sconcertato e meravigliato nel vedere giovincelli imberbi di politica che correvano a votare la fiducia verso se stessi. (Commenti al centro). Oh Dio! Ad una certa età, quando si hanno i capelli bianchi, si può anche avere fiducia in se stessi, perché tutta l’esperienza passata della vita può dimostrare fino a qual grado può giungere questa fiducia anche nel cervello degli altri. Ma quando si è giovani in politica è meglio lasciarsi giudicare dagli altri ed avere tanta modestia da attendere questo giudizio dagli altri. Perciò, onorevoli colleghi, io ho proposto che dal voto siano esclusi i Ministri e Sottosegretari. Si tratta di una ventina di voti circa dai quali dipende la vita o la morte di un Ministero. Che direste voi di un Ministero che sta in piedi soltanto perché è riuscito ad ottenere la maggioranza con i voti che ha dato a se stesso, pur non avendo la fiducia della Camera? I Ministri ed i Sottosegretari sono sub judice, e debbono per ciò essere giudicati nella loro opera e deve essere appunto la Camera a giudicare. Se essi avranno ben operato e non avranno rimorsi sulla coscienza avranno senza dubbio i voti della Camera. Mi pare che una simile proposta dovrebbe essere accettata da tutti i colleghi.

COSTANTINI. Infatti il principio vale per tutti.

TONELLO. Infatti se vale per un Ministero, poniamo per il Ministero De Gasperi, domani potrebbe valere per il Ministero Tonello (Si ride). Non v’è parzialità: vale per tutti e per ciò invito i colleghi ad accettare un principio di moralità pubblica e di critica morale che un individuo deve fare nel valutare la propria opera e le proprie azioni. Per ciò insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione ha presentato il seguente nuovo testo:

«Il Presidente del Consiglio e i Ministri debbono avere la fiducia del Parlamento.

«La fiducia è accordata su mozione motivata e votata ad appello nominale».

Proseguiamo, intanto, nello svolgimento degli emendamenti.

L’onorevole Mortati ha proposto il seguente emendamento:

«All’ultimo comma sopprimere la parola: assoluta, dopo la parola: maggioranza».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento è stato già accolto nella formulazione della Commissione di cui si è data ora lettura, ed è quindi il caso di aggiungere solo brevissime considerazioni a quelle già enunciate da altri colleghi, come l’onorevole Corbino, che hanno fatto proposte analoghe. In sostanza, la soppressione del requisito della maggioranza assoluta pel voto di fiducia si basa sulla considerazione della attuale situazione politica italiana, caratterizzata dalla mancanza di grandi partiti e dalla necessità di dar vita a Ministeri di coalizione. In presenza di una siffatta situazione può sembrare opportuno, proprio ai fini della stabilità del Governo, non richiedere una maggioranza assoluta. Chi propose il testo del progetto, e fra questi anch’io, si indusse a porre la condizione della maggioranza assoluta nella convinzione che essa potesse contribuire a dare maggiore saldezza alla compagine del Governo.

Ma una più matura considerazione ha portato a ritenere che il mantenimento di una disposizione di questo genere potesse in certi casi riuscire controproducente, ed anzitutto rendere più difficile la risoluzione delle crisi, prolungando il periodo di carenza del Governo, ed in secondo luogo rendere più debole la compagine del Ministero, che, dovendo contare su un maggior numero di consensi, sarebbe costretto ad includere nel suo seno elementi di maggiore eterogeneità, e, quindi, perdere di compattezza. È chiaro che più sono i gruppi e gruppetti che entrano nella coalizione di Governo più si accrescono le possibilità di crisi, per l’uscita dalla coalizione stessa di qualcuno di essi.

Siccome il mio emendamento presuppone il mantenimento degli ultimi due commi, e viceversa vi sono proposte di sopprimerli, se il Presidente me lo consente, io dirò brevissimamente le ragioni che, a mio avviso, ne consigliano il mantenimento.

La proposta di sopprimere gli ultimi due commi nella loro totalità, o quella recentemente svolta dall’onorevole Arata che vuole eliminare l’obbligo della motivazione per la mozione di fiducia, muovono da un fraintendimento dello spirito che ha accennato la formulazione della norma. Spirito che può così riassumersi: mettere i deputati che votano la fiducia di fronte alla responsabilità del voto che danno: impegnarli, quindi, di fronte al Paese al programma di Governo cui essi aderiscono e costringerli a dire le ragioni dell’eventuale successivo loro distacco dalla coalizione di Governo.

Una delle cause di instabilità del Governo è costituita dalle crisi extraparlamentari, dall’improvviso ritiro dalla coalizione dei Gruppi che appoggiano il Governo, di uno di essi, ritiro che può determinare una crisi senza che si conoscano le ragioni che l’hanno determinata. A risanare tale situazione giova il prescrivere l’adesione espressa e positiva ad un certo programma di Governo precisamente formulato, onde dar modo al corpo elettorale di valutare l’atteggiamento dei Gruppi che ritirano l’adesione al Governo, il cui programma sia stato da loro approvato.

L’obbligo, quindi, di un conferimento della fiducia in modo esplicito, ed attraverso un’indicazione dei motivi per cui è data, giova a rendere chiari i termini delle relazioni fra Governo e Parlamento, ed a costringere i Partiti a dichiarare le ragioni di dissenso sopravvenute, ciò che consente al popolo un giudizio consapevole, al momento delle elezioni, sull’attività, dei suoi mandatari. Accettato il principio consacrato nei due commi in discussione, sarà facile intendersi sulle modalità di attuazione, modificando eventualmente in modo più elastico il termine prescritto per la presentazione del nuovo Governo alle Camere. L’importante è, ripeto, sancire che il Ministero non può ritenersi costituito in modo definitivo se non sia investito dalla fiducia, con voto positivo. Ciò che importa come conseguenza che non sia possibile uno scioglimento delle Camere da parte di un Governo prima che si sia ad esse presentato.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbi ha presentato il seguente emendamento sostitutivo del terzo comma:

«La fiducia o la sfiducia è deliberata su mozione motivata con voto nominale».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORBI. Noi abbiamo presentato un emendamento sostitutivo del terzo comma dell’articolo 87 e anche un emendamento soppressivo dell’articolo 88. I due articoli sono strettamente legati fra loro.

PRESIDENTE. Ora parliamo dell’articolo 87, poi parleremo dell’articolo 88.

CORBI. La giustificazione dell’emendamento proposto da me all’articolo 87 sta appunto nel fatto che questo articolo è strettamente legato a quello successivo. Perciò chiedo di svolgere contemporaneamente i due emendamenti.

Non sono d’accordo anzitutto con quei colleghi che hanno sostenuto la necessità di una maggioranza qualificata: in secondo luogo i due emendamenti da me proposti tendono ad evitare una procedura che necessariamente genererebbe conflitti ed inconvenienti gravi.

Si sostiene nel primo comma dell’articolo 88 che un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su una proposta del Governo non importa dimissioni. Penso invece che convenga rimettere alla prassi, e non a norme costituzionali, una decisione che spetta al giudizio ed alla sensibilità politica del Governo; il quale giustamente potrà ritenere di dimettersi a seconda della Camera che respinge una sua proposta (la quale può implicare la fiducia), considerandone la maggiore o minore autorevolezza.

Nel secondo comma dello stesso articolo si vuole che un quarto dei componenti dell’Assemblea sia il numero minimo per presentare una mozione di sfiducia; mi sembra che la richiesta sia eccessiva, perché quello di proporre la sfiducia non solo è un diritto delle minoranze, ma è diritto di ogni deputato. E invero chi può escludere che nel corso di una discussione un solo deputato possa esporre argomenti e fatti tali da raccogliere la maggioranza dei consensi? Io credo poi che sia opportuno sopprimere senz’altro anche la seconda parte di questo comma che più opportunamente può essere inserita nel Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Corbi, mi perdoni, lei non sta cercando di motivare la sua proposta di emendamento all’articolo 87 richiamandosi alla sua proposta riguardante l’articolo 88: ma sta spiegando comma per comma perché propone la soppressione dell’articolo 88. In questo modo, anticipa troppo gli eventi.

All’onorevole Stampacchia, che voleva ugualmente illustrare un emendamento all’articolo 88, ho rivolto preghiera di rinunciarvi. La prego di tener conto di queste considerazioni e di rimanere nel quadro della discussione.

CORBI. La proposta di soppressione dell’articolo 88 trova riferimento nella formula da me proposta per l’articolo 87.

PRESIDENTE. Comprendo; ma resti nel quadro della discussione.

CORBI. Restando nel quadro della discussione, insisto sugli emendamenti proposti. Ho preso atto dell’emendamento proposto dalla Commissione che, mi sembra, si rende partecipe di quanto da me esposto e mi auguro che questo stesso emendamento sia accolto dall’Assemblea. Penso insomma che sia opportuno fondere gli articoli 87 e 88 in un solo articolo composto di tre brevi e semplici formulazioni.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Carpano Maglioli, Costantini, Costa, Ghislandi, Fedeli Aldo, Cosattini e Giacometti hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere il primo comma dell’articolo 87».

 

«Sostituire gli altri commi col seguente:

«Entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica per chiederne la fiducia. La fiducia è accordala da ciascuna delle Camere con voto nominale e a maggioranza assoluta dei presenti. Il rifiuto della fiducia, anche di una sola Camera, importa dimissioni».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. L’accenno specifico alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica non ha altro significato che di porre l’articolo in relazione alle norme della Costituzione già approvate per il Parlamento. L’emendamento si propone poi di stabilire in modo esplicito le conseguenze del voto di sfiducia.

È certo – si può essere tutti d’accordo – che la Costituzione avrebbe anche potuto fare a meno di occuparsi di questa materia. perché c’era una prassi che aveva un valore indiscusso ed avrebbe seguitato ad averlo anche per l’avvenire. Ma, una volta affermato il principio del voto di fiducia, e che un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su di un disegno di legge non porta come conseguenza le dimissioni del Governo, noi crediamo sia necessario fare la previsione anche nell’altro senso, cioè dire chiaramente che un voto di sfiducia, o il rifiuto del voto di fiducia, domandato dal Governo a tenore della Costituzione, porta alle dimissioni del Governo stesso.

Dato che il progetto ha voluto fissare un termine entro il quale il Governo deve presentarsi alle Camere per chiederne la fiducia, noi proponiamo di prolungarlo, portandolo da otto a dieci giorni.

È comunque probabile che alcune delle nostre proposte possano essere ritirate in seguito al nuovo testo dell’articolo che presenterà il Comitato di redazione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Dato lo stretto legame che esiste fra gli articoli 87 e 88, prospetto l’opportunità che siano svolti, prima che la Commissione esprima il proprio parere, anche gli emendamenti relativi all’articolo 88; e di affrontare successivamente la votazione complessiva su tutto l’argomento della fiducia e della sfiducia.

PRESIDENTE. È stato preannunciato un nuovo testo della Commissione in materia. Quando pensa che possa essere presentato, onorevole Tosato?

TOSATO. Ci riserviamo di presentarlo al termine dello svolgimento di tutti gli emendamenti, anche perché immagino che, come al solito, avremo qualche emendamento dell’ultima ora.

PRESIDENTE. Credo che sarebbe meglio che rinviassimo ora la discussione, ma che, all’inizio della seduta pomeridiana, la Commissione presentasse il suo nuovo testo. Avremmo così il vantaggio che alcuni dei presentatori di emendamenti, trovandoli probabilmente accolti in esso, potrebbero rinunziare a svolgerli.

TOSATO. Faremo allora tutto il possibile per presentare all’inizio della seduta pomeridiana il nuovo testo.

Una voce. Bisognerebbe allora iniziare la seduta alle 17.

PRESIDENTE. La seduta sarebbe convocata per le 16. Potremo invece iniziarla alle 16.30. In quella mezz’ora i membri della Commissione potranno tentare di raccogliere le loro idee per presentare, all’inizio della seduta, il nuovo testo.

Onorevoli colleghi, tengano presente che, non appena avremo concluso le votazioni sul Titolo in esame, l’Assemblea dovrà discutere e votare sull’articolo 123, che contiene l’elencazione delle Regioni. Dovremo affrettarne la discussione, perché le decisioni definitive in merito sono state sollecitate dal Ministero dell’interno, cui occorrono per poter redigere il progetto di legge relativo alla elezione del Senato della Repubblica.

La seduta termina alle 13.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sul processo verbale:

Bordon

Lussu

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Corbino

Colitto

Tosato

Benvenuti

Badini Confalonieri

Fuschini

Perassi

Costa

Nobile

Mastino Pietro

Bettiol

Sicignano

Bozzi

De Martino

Preti

Conti

La Rocca

Nitti

Fabbri

Laconi

Moro

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Presentazione di una relazione:

Bettiol

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

BORDON. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BORDON. Sono venuto ieri in quest’Aula, dopo che era stato votato l’articolo 79 ed ho appreso che, mentre nella mattinata era stato approvato l’emendamento presentato dagli onorevoli Laconi, Carboni ed altri, secondo il quale l’articolo 79 sarebbe così formulato: «II Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale con la partecipazione di tre delegati per ogni Consiglio regionale eletti dal Consiglio, in modo che sia assicurata la rappresentanza della minoranza», successivamente, nel pomeriggio, l’onorevole Corbino aveva presentato un emendamento aggiuntivo del seguente tenore: «ad eccezione della Valle d’Aosta».

Ora, a prescindere dal fatto che l’emendamento non è stato adottato con procedura conforme al Regolamento, di fronte a questa formula imprecisa e generica, mi domando quale portata essa abbia e cosa siasi voluto dire con essa. Deve intendersi che con l’articolo 79 la Val d’Aosta non potrà, in base al criterio numerico della sua popolazione, partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica senza alcun delegato, che non siano il suo rappresentante alla Camera e al Senato, o significa solo che la Regione non vi partecipa col numero fissato per le altre Regioni? Ecco le ragioni di dubbio che richiedono maggiori precisazioni e chiarimenti, poiché ritengo che la prima ipotesi sia senz’altro da scartare.

Se è vero che la Val d’Aosta non possa, in base alla sua popolazione (che non è però solo di 60.000 abitanti, come erroneamente si disse, ma di 90.000) partecipare a tale elezione con tre delegati, non mi parrebbe logicamente fondata che essa non possa prendervi parte anche con un delegato.

Comunque, la formula deve rispecchiare la volontà precisa dell’Assemblea, e poiché lo stesso onorevole Corbino conviene nel riconoscere che egli non intendeva dare al suo emendamento altra portata che quella di ridurre, per la Valle d’Aosta, in ragione della sua popolazione, il numero dei delegati ad uno solo, è evidente che questa formula va chiarita, perché ad essa non si dia un contenuto diverso da quello che fu nell’intenzione dell’Assemblea.

La precisazione tanto più si impone, in quanto non si potrebbe in ogni caso introdurre nel testo l’eccezione proposta, ad evitare false interpretazioni, senza menzionare espressamente la ragione numerica della popolazione, dalla quale tale emendamento fu suggerito.

Per queste ragioni, formulo il voto che il Comitato voglia, in sede di redazione dell’articolo in esame, esprimere esattamente quella che è la volontà dell’Assemblea, e in conformità ad essa, precisare che, la Valle d’Aosta, parteciperà all’elezione del Presidente con un solo delegato.

LUSSU. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. È una semplice dichiarazione sul processo verbale. Effettivamente ieri nel pomeriggio, quando si è votato l’emendamento dell’onorevole Corbino, io, distratto da un’altra riunione per un altro problema costituzionale, non mi sono trovato nell’Aula. Se fossi stato presente, sento il dovere di dichiarare, che secondo la mia coscienza, non avrei permesso che senza nessuna obiezione l’emendamento dell’onorevole Corbino passasse. Mi sembra, infatti, straordinario che mentre con quell’emendamento si vuole difendere la partecipazione delle Regioni, nel modo con cui è indicata, alle elezioni del Presidente, si escluda da questa partecipazione la Regione della Valle d’Aosta. Se fossi stato presente avrei proposto una modifica a quell’emendamento. Sarebbe stato opportuno cambiare totalmente sistema, se tale sistema non avesse potuto consentire la partecipazione di tutte le Regioni, nessuna esclusa, alle elezioni presidenziali.

PRESIDENTE. Onorevole Bordon, poiché ella ha, quanto meno, sfiorato la questione procedurale, quasi facendo una censura per il metodo che si è seguito, voglio farle presente che, ogni volta che l’Assemblea con la sua azione concreta, modifica di fatto una norma del Regolamento, senza che si sollevino eccezioni, ciò significa che l’Assemblea ha inteso di farlo con la potestà che le compete, né da parte di deputati assenti si possono sollevare obiezioni. Lei non doveva neppure accennare a ciò. Ma poiché lei ha parlato, era mio dovere fare questa precisazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche io non sono lieto del modo con cui l’onorevole Bordon ha messo la questione, infirmando ciò che, con assoluta correttezza, il nostro Presidente ha fatto, nei riguardi di una deliberazione presa dall’Assemblea, come era suo diritto.

Del resto, tutta la posizione che l’onorevole Bordon ha preso è inesatta. Non si può ora dire: noi ritorniamo su una deliberazione. Io dovrei oppormi. Non c’è che un punto di vista che merita considerazione, ed è questo: l’Assemblea ha preso una deliberazione, la cui interpretazione può essere dubbia. Può apparir dubbio che si sia voluto togliere alla Valle d’Aosta ogni rappresentante del Consiglio regionale nell’elezione del Capo dello Stato; o si sia voluto attribuirne meno di tre. A nome del Comitato dichiaro che non abbiamo nulla in contrario ad attribuire un rappresentante alla Val d’Aosta, e considereremo la questione nella revisione e nel coordinamento finale del testo di Costituzione.

(Il processo verbale è approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ricordo che, poiché l’Assemblea ha stamane deciso di rinviare di qualche giorno l’elezione di tre membri dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana, iniziamo ora col secondo punto dell’ordine del giorno: «Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Stamattina abbiamo proceduto, in sede di articolo 71, all’approvazione per alzata di mano del primo comma; poi all’approvazione per appello nominale della prima parte del secondò comma dell’emendamento Bozzi. Dopo che ho proclamato il risultato di quella votazione, l’onorevole Bozzi ha dichiarato di ritirare l’ultima parte del suo emendamento; e pertanto la votazione alla quale abbiamo proceduto questa mattina esaurisce il nostro lavoro nei confronti dell’emendamento Bozzi.

Pongo ora in votazione il secondo comma nel testo della Commissione:

«Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nel termine fissato dalle Camere stesse».

(È approvato).

Al terzo comma c’è l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli, in parte sostitutivo del terzo comma e in parte aggiuntivo, del seguente tenore:

«Le leggi non potranno avere effetto retroattivo, né entreranno in vigore prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che contengano la dichiarazione di urgenza.

«Le norme giuridiche non costituzionali, disciplinanti una determinata materia, potranno essere raccolte e coordinate in unico testo mediante decreto del Capo dello Stato.

«I testi unici avranno valore di promulgazione novativa delle leggi in essi comprese, alle quali potranno solo recare modificazioni di pura forma, salvo apposita più ampia delega legislativa».

La Commissione ha dichiarato di non accogliere questo emendamento.

Pongo in votazione il primo comma di questo emendamento.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo e il terzo comma aggiuntivi.

(Non sono approvati).

Pongo in votazione il terzo comma dell’articolo 71, nel testo della Commissione, includendovi i due emendamenti Perassi e Colitto, accettati dalla Commissione:

«Le leggi entrano in vigore non prima del quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere stabiliscano d’accordo un termine diverso».

(È approvato).

L’articolo 71 nel suo complesso resta pertanto così approvato:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione, se le Camere confermano la precedente deliberazione.

«Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nei termini fissati dalle Camere stesse.

«Le leggi entrano in vigore non prima del quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere stabiliscano d’accordo un termine diverso».

Possiamo passare ora all’esame dell’articolo 67, che avevamo provvisoriamente accantonato, in attesa di decidere sopra gli altri articoli di questo Titolo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Proporrei di soprassedere ancora all’articolo 67, per la grossa questione se la fiducia o la sfiducia debba essere data dall’Assemblea Nazionale o no. Intanto si potrebbe seguire l’ordine indicato dall’onorevole Corbino.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. In relazione alla votazione avvenuta sull’articolo 71, si potrebbe completare l’articolo 83, per quel capoverso dell’emendamento Caronia, che era rimasto in sospeso e che era subordinato appunto all’articolo 71.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo si farà in sede di coordinamento.

PRESIDENTE. Esaminiamo allora l’articolo 67. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«La funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere».

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi ha già svolto il seguente emendamento e ha dichiarato di ritirarlo:

«La funzione legislativa è collettivamente esercitata dal Presidente della Repubblica e dalle due Camere».

L’onorevole Colitto ha proposto di sostituire l’articolo col seguente:

«La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere».

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

COLITTO. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Caronia e Giordani hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere la parola: collettivamente.

«Subordinatamente, sostituire il comma col seguente:

«Le leggi sono formate con il concorso delle due Camere».

Poiché i proponenti sono assenti, s’intende che abbiano rinunziato allo svolgimento.

L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Essendo l’emendamento presentato dall’onorevole Colitto di carattere formale, lo pregherei di volerlo trasformare in raccomandazione; ne sarà tenuto conto in sede di revisione formale.

Per quanto riguarda la sostanza dell’articolo 67, mi pare che, dopo la votazione intervenuta relativamente al potere del Presidente della Repubblica di rinviare alle Camere le leggi da esse deliberate, il principio fissato nell’articolo 67 per cui il potere legislativo spetta alle due Camere resta confermato.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Aderisco all’invito dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 67 nel testo proposto dalla Commissione:

«La funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere».

(È approvato).

Passiamo all’esame dell’articolo 85. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal Primo Ministro e dai Ministri competenti che ne assumono la responsabilità.

«Il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione.

«In tali casi può essere messo in stato di accusa dall’Assemblea Nazionale a maggioranza assoluta dei suoi membri».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo è quello degli onorevoli Dominedò e Benvenuti, del seguente tenore:

«Al primo comma, alle parole: Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato, sostituire le parole: Gli atti del Presidente della Repubblica, esclusi quelli in via di prerogativa, non sono validi se non controfirmati».

L’onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Il concetto di dare un potere autonomo al Presidente deriva dalla necessità – a mio avviso – di metterlo in condizioni di affrontare un’azione di incostituzionalità per leggi e decreti e regolamenti che gli fossero proposti e che fossero in contrasto con l’ordinamento costituzionale dello Stato. Vorrei porre un quesito alla Commissione, nel senso cioè che fosse chiarito nell’articolo 85 cosa si intende con questa forma: «il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione». Vorrei porre formalmente il quesito alla Commissione, affinché sia chiarito se per violazione della Costituzione da parte del Presidente della Repubblica debba intendersi la violazione di quelle norme specifiche che riguardano le sue specifiche attribuzioni, ovvero anche, come io fermamente ritengo, il perfezionamento di atti legislativi di qualsiasi tipo, che nel loro contenuto sostanziale concretino una violazione delle libertà, costituzionali o dell’ordinamento costituzionale dello Stato. Io mi schiero, ripeto, a favore di questa seconda soluzione. Ritengo cioè che il Presidente della Repubblica sia responsabile per violazione della Costituzione anche in relazione agli atti legislativi, alla cui elaborazione egli naturalmente non ha partecipato, ma ai quali egli conferisce efficacia colla promulgazione. Responsabilità da limitarsi rigorosamente al caso della incostituzionalità, direi anzi, di anticostituzionalità dei provvedimenti legislativi sottoposti alla sua firma.

Naturalmente, qui sorge un problema delicato: è il problema della situazione che si viene a creare qualora il Presidente della Repubblica, posto dinanzi ad atti, leggi, regolamenti, che violino sostanzialmente le libertà dei cittadini o l’ordinamento costituzionale dello Stato, si rifiuti di firmarli e di promulgarli, onde non incorrere in responsabilità per violazione della Costituzione. In questo caso vi è una soluzione semplice, che evita ogni arresto al meccanismo legislativo dello Stato. Quella cioè di munire il Presidente di azione di incostituzionalità da esercitarsi (all’atto stesso del rifiuto della firma) contro qualsiasi atto che il Presidente stesso, per non incorrere in responsabilità per violazione della Costituzione, non firma né promulga. Solo dopo che la Corte Suprema avrà confermato la costituzionalità, il Presidente firmerà e promulgherà.

Ecco, onorevoli colleghi, come risorge il problema della «prerogativa»: termine che riconosco improprio e che dovrebbe piuttosto definirsi potere autonomo del Presidente della Repubblica: tale potere, di agire per incostituzionalità, non potrebbe evidentemente mai venire esercitato qualora il Presidente dovesse munirsi della controfirma di quegli organi (nella fattispecie del Governo) i quali a lui sottopongono per l’approvazione proprio quegli atti che, costituzionalmente, egli non può firmare perché anticostituzionali.

Onorevoli colleghi, il giorno in cui il Presidente della Repubblica, nell’assumere la propria funzione, giura fedeltà alla Costituzione, potrà tale atto venire interpretato nel senso che egli, dopo il giuramento, diventi costituzionalmente obbligato a firmare e promulgare atti incostituzionali, atti violatori delle libertà dei cittadini? In questo senso risorge fatalmente la necessità di introdurre l’emendamento da me proposto che modificherei così: nel senso cioè che nessun atto del Presidente della Repubblica sarà valido se non controfirmato dal suo Governo «salvo le eccezioni stabilite dalla Costituzione».

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Crispo, Cifaldi, e Morelli Renato, del seguente tenore:

«Al terzo comma, alle parole: può essere messo, sostituire le seguenti: sarà messo; e dopo le parole: stato di accusa, aggiungere le seguenti: e giudicato».

Nessuno dei firmatari è presente.

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. In assenza dell’onorevole Crispo e degli altri firmatari dell’emendamento, lo faccio mio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

BADINI CONFALONIERI. Si tratta di un emendamento esclusivamente formale.

È chiaro che se il Presidente della Repubblica commette un alto tradimento o una violazione della Costituzione, egli «deve» essere messo in istato di accusa, non «può» essere messo in istato di accusa.

Per quanto riguarda il secondo emendamento, cioè l’aggiunta dell’espressione «e giudicato», dichiaro di ritirarlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Fuschini:

«Al terzo comma, alle parole: dall’Assemblea Nazionale, sostituire le parole: da ciascuna Camera».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Al terzo comma si accenna al caso che il Presidente può essere messo in istato di accusa dall’Assemblea Nazionale, a maggioranza assoluta dei suoi membri. Ora, io ho sostituito alle parole «dall’Assemblea Nazionale», le altre «da ciascuna Camera», perché su questo punto dell’accusa a carico del Presidente, ogni Camera deve essere libera nella sua autonomia di mettere in istato di accusa il Presidente della Repubblica. Questo emendamento non ha bisogne di ulteriore illustrazione. Una volta che l’Assemblea Nazionale non esiste più, è necessario sostituire all’Assemblea Nazionale la potestà di ogni Camera separata, per poter stabilire il caso di tradimento, ecc. Effettivamente, quando noi abbiamo chiesto che il Presidente della Repubblica giuri fedeltà alla Costituzione, ciò è già abbastanza impegnativo perché egli adempia al suo primo dovere di fare rispettare la Costituzione.

Se il Presidente della Repubblica dovesse egli stesso garantire, con il proprio esame sulle leggi che gli vengono sottoposte per la firma, il rispetto della Costituzione, noi daremmo al Presidente della Repubblica una preoccupazione quotidiana, perché anche senza volerlo, anche quando egli avesse i mezzi adatti per fare questo esame minuto dal punto di vista giuridico, il Presidente sarebbe messo nella condizione di essere sempre titubante nelle sue decisioni, e nella stessa situazione si troverebbe il Ministro che controfirma i decreti del Presidente della Repubblica.

Ora bisogna avere un po’ di garbo in queste disposizioni, altrimenti, per volere tutelare il rispetto della Costituzione, rischiamo di porre gli organi più importanti, come il Presidente della Repubblica e il Primo Ministro, in una condizione di perenne travaglio.

Dal momento che noi abbiamo creato un organo apposito per garantire il rispetto della Costituzione, e dal momento che le Camere sono esse sole responsabili della formazione delle leggi, non è concepibile di rendere responsabile il Presidente della Repubblica, che è obbligato a promulgare le leggi anche se in queste vi è qualche disposizione che viola la Costituzione.

Vi è il rimedio della Corte Costituzionale, per cui non vi è alcuna necessità di chiamarne responsabile il Presidente della Repubblica.

Pertanto, limiterei la messa in istato di accusa del Presidente della Repubblica soltanto al caso di alto tradimento.

Mi sono permesso di fare queste osservazioni che non so se possano essere accolte dall’Assemblea; comunque, esse rispecchiano il mio modo di vedere.

In sostanza, si tratta di sopprimere al secondo comma le parole: «e per violazione della Costituzione».

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma coi seguenti:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.

«Gli atti aventi valore di legge e gli altri atti del Presidente della Repubblica che saranno determinati dalla legge devono essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Il primo comma dell’articolo 85 nel testo del progetto dice:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal Primo Ministro e dai Ministri competenti che ne assumono la responsabilità».

Perché è stato detto che ogni atto del Presidente della Repubblica esige la controfirma, non soltanto dei Ministri proponenti, ma anche del Primo Ministro? L’idea che ha ispirato questa disposizione si riconnette ad altre del progetto nelle quali si delinea, con particolare rilievo, la figura del Presidente del Consiglio dei Ministri. Seguendo questa idea, si è voluto includere la disposizione che stiamo discutendo. Senonché, considerando bene le cose da un punto di vista pratico, ci sembra che la disposizione sia andata un po’ oltre il necessario, in quanto dicendosi che qualsiasi atto del Presidente della Repubblica deve essere controfirmato anche dal Primo Ministro, si stabilisce una norma eccessivamente pesante: basti pensare alle conseguenze pratiche della sua applicazione.

Tenuto conto di queste considerazioni essenzialmente pratiche, ho presentato un emendamento col quale si propone di modificare la disposizione in questo senso:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.

«Gli atti aventi valore di legge e gli altri atti del Presidente della Repubblica, che saranno determinati dalla legge, devono essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

Le ragioni di questo emendamento, come ho detto, sono ragioni essenzialmente pratiche. Rilevo, a questo riguardo, che la prassi attuale è stabilita dal Testo unico delle leggi sulla promulgazione e pubblicazione delle leggi e decreti, il cui articolo 14 dice: «Le leggi e i decreti devono portare alla fine, oltre la data, la firma del re e la controfirma del Ministro proponente. Le leggi devono essere controfirmate anche dal Capo del Governo, Primo Ministro, e così pure i decreti per i quali sia stata necessaria una deliberazione del Consiglio dei Ministri». Questo è il sistema attuale; ora, senza scendere a troppi particolari nella Costituzione, quello che sembra opportuno è di indicare certi atti particolarmente importanti del Presidente della Repubblica per i quali sembra consigliabile e necessario costituzionalmente che, oltre la firma del Ministro proponente, vi sia anche la controfirma del Presidente del Consiglio.

Per gli altri, è bene lasciare alla legge il compito di determinare per quali occorra anche tale controfirma del Presidente del Consiglio e per quali invece essa non si ravvisi necessaria. Ritengo opportuno rilevare che per alcuni atti costituzionali del Presidente della Repubblica, non espressamente indicati nel secondo comma del mio emendamento, la controfirma del Presidente del Consiglio è costituzionalmente obbligatoria in base al primo comma, in quanto si tratta di atti emanati su proposta del Presidente del Consiglio.

Queste dunque le ragioni, di carattere essenzialmente pratico, che hanno inspirato l’emendamento che propongo all’Assemblea.

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: Primo Ministro, sostituire le parole: Presidente del Consiglio dei Ministri».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Sta bene. Invito l’onorevole Tosato a esprimere il parere della Commissione intorno agli emendamenti presentati.

TOSATO. La Commissione accoglie anzitutto l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi per evidenti ragioni di carattere pratico.

Per quanto riguarda poi, l’emendamento presentato or ora dall’onorevole Costa, io pregherei il collega Costa e l’Assemblea di volere per il momento soprassedere sulla questione della denominazione più opportuna da riservare al Presidente del Consiglio. La questione terminologica è collegata con quella più sostanziale della figura e delle attribuzioni del Presidente del Consiglio; sarà opportuno quindi esaminarla in sede di discussione del successivo articolo 86. La definizione che prevarrà in quella sede avrà valore anche per tutti gli altri articoli ove si fa menzione del Presidente del Consiglio.

Per quanto riguarda poi gli altri emendamenti, di carattere sostanziale, non ho bisogno di molte parole per pronunciarmi. Con l’emendamento presentato dall’onorevole Benvenuti si insiste nella proposta di escludere dalla necessità della controfirma dei Ministri responsabili taluni atti del Presidente della Repubblica.

Ricordo che, a questo proposito, già ieri sera l’onorevole Orlando ci ha illustrato le ragioni fondamentali in base alle quali non è possibile accogliere l’emendamento. Io non entro qui nella questione teorica e storica intorno all’origine e al contenuto del concetto di prerogativa. Qui la prerogativa ha un significato del tutto particolare: qui significa atto del Presidente non controfirmato dal Ministro responsabile.

Ora, è evidente che noi non possiamo accogliere l’emendamento perché esso infirmerebbe un principio relativo ad un argomento che non consente posizioni eccezionali. L’irresponsabilità del Presidente non può patire eccezioni. Noi riteniamo essenziale al tipo di ordinamento che si sta creando con questa Costituzione, che nessun atto del Presidente sia valido se non è controfirmato dal Ministro competente, il quale ne assume la responsabilità. Altrimenti la figura del Capo dello Stato subisce una radicale trasformazione.

Per quanto riguarda poi l’emendamento presentato dall’onorevole Crispo e da altri colleghi, la Commissione propone la dizione «è messo in stato di accusa», anziché «sarà messo», come i presentatori dell’emendamento propongono.

Circa i due emendamenti presentati dall’onorevole Fuschini, il secondo dei quali coincide in parte, se non erro, con quello presentato dall’onorevole Benvenuti, la Commissione si pronuncia sfavorevolmente. L’onorevole Fuschini propone che la messa in stato di accusa del Presidente sia di competenza non dell’Assemblea Nazionale, ma delle due Camere.

La Commissione non è concorde per questa ragione: qui non si tratta di riaprire la discussione sull’Assemblea Nazionale; la Commissione ricorda soltanto questo elemento di fatto: il Presidente della Repubblica è eletto a Camere riunite; ora, sembra che se il Presidente è eletto dalle Camere riunite, anche l’accusa deve essere riservata alle Camere sempre riunite. Ciò tanto più per la considerazione che un atto di accusa del Presidente può portare effettivamente alla deposizione del Presidente stesso. Mi pare che sia tale la delicatezza, l’importanza e la gravità dell’atto di accusa del Presidente che, se organo competente ad eleggere il Presidente sono le due Camere riunite, siano egualmente competenti le stesse Camere riunite per l’atto di accusa.

Ad ogni modo, su questo deciderà, come sempre, del resto, l’Assemblea.

Per quanto riguarda l’altro emendamento presentato all’articolo 85, cioè relativamente alla proposta di escludere una responsabilità del Presidente della Repubblica per violazione della Costituzione, io debbo richiamare l’attenzione dell’Assemblea su un punto che ha una certa importanza. Noi ci siamo preoccupati di dare al Presidente della Repubblica una certa consistenza, sia pure limitata a quella di essere guardiano e custode della Costituzione. Era logico, quindi, che, partendo da questo concetto, si rendesse il Presidente responsabile per violazione della Costituzione. Se il Presidente è responsabile degli atti posti in essere in contrasto con la Costituzione, è chiaro che il Presidente avrà il potere e il dovere di opporsi agli atti incostituzionali del Governo, appunto per non essere coinvolto ed essere corresponsabile. Quindi, il fatto che il Presidente sia responsabile per violazione della Costituzione, rafforza in un certo senso la posizione del Presidente. Indubbiamente, la responsabilità del Presidente per violazione della Costituzione può dar luogo a gravi inconvenienti. Siamo perfettamente d’accordo. Ma, a che cosa di riferisce sostanzialmente il pensiero della Commissione proponendo di sancire la responsabilità del Presidente per violazione della Costituzione? Evidentemente a violazioni gravi, commesse con dolo o colpa grave. È chiaro che per una violazione della Costituzione puramente formale non si avrà mai la messa in accusa del Presidente. Ma una responsabilità del Presidente per violazioni sostanziali e gravi della Costituzione a noi sembra un elemento indispensabile per concretare quella figura di Presidente che noi abbiamo precisamente voluto creare.

Mi pare che non vi siano altri emendamenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Benvenuti ha fatto pervenire la redazione definitiva del suo emendamento a questo articolo:

«Il Presidente della Repubblica non promulga le leggi e non firma atti di nessun genere che violino le libertà costituzionali o gli ordinamenti costituzionali della Repubblica. Ove tali leggi o atti siano proposti alla sua approvazione, egli propone azione di incostituzionalità nelle forme previste dalla Costituzione».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei proporre la soppressione dell’ultimo comma dell’articolo 85, che si riferisce alla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica in caso di alto tradimento; e la ragione che mi muove a fare questa proposta è la seguente: che se si parla di messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica, e non si dice altro, rimane poi, a sapere come mai si regolerà la rappresentanza dello Stato mentre pende il procedimento davanti all’Assemblea Nazionale.

Quindi, mi sembra che la miglior cosa sarebbe abolire il comma in questione, a meno che non si precisi nella Costituzione stessa chi regge lo Stato mentre pende il giudizio contro il Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione su questi emendamenti.

TOSATO. La Commissione non può accettare l’emendamento dell’onorevole Benvenuti.

Per quanto riguarda la promulgazione delle leggi il Presidente si troverà in questa situazione: egli è obbligato a promulgare le leggi. Se avesse da fare osservazioni e rilievi rispetto alla costituzionalità di una legge per motivi di indole formale, ma soprattutto di indole sostanziale, è evidente che avrà il diritto e il dovere di usare del suo potere di rinviare la legge. Dopo di che è obbligato a promulgarla, e per un atto obbligatorio egli non può essere responsabile. Abbiamo stabilito infatti che il potere legislativo spetta alle due Camere. Se le Camere hanno deliberato, e nel caso di rinvio, confermato l’approvazione di una legge, il Presidente deve promulgarla e sarà esente da responsabilità, limitatamente s’intende alla costituzionalità sostanziale, non formale, della legge.

Per tutti gli altri atti che non attengono all’esercizio della funzione legislativa, è evidente che la responsabilità del Presidente della Repubblica sussiste, nei limiti, s’intende, in cui può essere accertata la sua responsabilità per violazioni della Costituzione, per tutti gli atti cioè, in cui il Capo dello Stato deve costituzionalmente intervenire.

Quanto all’emendamento dell’onorevole Nobile, mi permetto di ricordare che quando ieri abbiamo parlato dei casi di impedimento del Presidente si è fatto esplicito riferimento al caso della messa in istato d’accusa del Presidente.

Per queste ragioni la Commissione non può accogliere le proposte degli onorevoli Benvenuti e Nobile.

PRESIDENTE. Onorevole Benvenuti, ella mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. A me sembra che si debba tener conto delle considerazioni del collega onorevole Fuschini, il quale ha messo in relazione il problema della responsabilità costituzionale del Capo dello Stato con la creazione della Corte costituzionale. Senonché tutto il ragionamento dell’onorevole Fuschini, nel merito del quale non entro, ha come premessa che esista il sindacato di costituzionalità e l’organo relativo.

Poiché a tutt’oggi quest’organo non è entrato nella Costituzione, io, onorevole Presidente, proporrei che la decisione sul mio emendamento sia rinviata in quella sede per esaminare se fra i soggetti attivi dell’azione di incostituzionalità debba stare come io ritengo, il Presidente della Repubblica e in quali condizioni.

Quindi rinvierei a quella sede la discussione e la votazione di questa materia.

PRESIDENTE. Onorevole Benvenuti, lei chiede che il suo emendamento sia rinviato a dopo che sia decisa la questione della Corte costituzionale. Ma osservo che, comunque, la Corte costituzionale, se sarà costituita, avrebbe un compito che nulla ha a che fare con la violazione della Costituzione da parte del Presidente della Repubblica, perché la Corte dovrebbe controllare se le leggi sono o no costituzionali, mentre, quando si parla di violazione della Costituzione da parte del Presidente della Repubblica, ci si riferisce agli atti del Presidente indipendentemente dalla formazione delle leggi e quindi dal loro contenuto. Comunque la Commissione si è pronunciata circa la sua proposta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei far rilevare che l’Alta Corte costituzionale giudica anche dei Ministri. Quindi un certo riferimento vi può essere con quello che l’onorevole Benvenuti propone. Si tratta di vedere, se il Presidente della Repubblica (io non sarei di questa opinione) possa promuovere azione di incostituzionalità; mentre d’altra parte potrebbe egli essere oggetto di giudizio di incostituzionalità. La proposta Benvenuti di rinvio è opportuno sia accolta.

PRESIDENTE. Faccio osservare che il rinvio dell’emendamento implicherebbe anche il rinvio dell’esame del secondo comma dell’articolo in discussione.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Io penso che, nel momento in cui si stanno stabilendo le responsabilità del Presidente della Repubblica e, nello stesso tempo, si considera la possibilità di renderlo responsabile per violazioni della Costituzione, il principio sul quale dovrebbe poggiare l’eventuale sua responsabilità debba essere subito stabilito, e debba essere subito stabilito indipendentemente dalle riserve e dalle considerazioni dell’onorevole Fuschini. S’intende che la responsabilità per violazione della Costituzione dev’essere limitata ai casi in cui sussista una responsabilità personale e dolosa del Presidente della Repubblica.

Ove invece si tratti di una responsabilità puramente fondata sul fatto che egli completa, in base alla Costituzione, l’operato delle Assemblee, allora non vi sarà una responsabilità punibile.

Ove noi rimandassimo la questione a quando sarà discussa l’istituzione dell’Alta Corte costituzionale, potremmo creare l’organo diretto a correggere le violazioni della Costituzione, ma lasciare impunite le violazioni commesse e volute dal Presidente.

Siccome poi la valutazione cui si dovrà procedere per decidere se vi sia una tale violazione che determini o no l’opportunità di una denuncia, sorgerà solo di fronte ai casi pratici, toglierei la formula «sarà denunciato» e metterei «può» essere denunciato, così come è detto ora nell’articolo 85.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Cerchiamo d’intenderci. Onorevole Benvenuti, se lei insiste perché sia modificato il testo dell’articolo 85, la Commissione deve respingere il suo emendamento e chiedere che si voti l’articolo 85, per le ragioni dette dall’onorevole Tosato, perché verremmo a creare una figura di Capo dello Stato diversa da quella che abbiamo voluto. L’onorevole Benvenuti, sia pure per un nobile scrupolo di tutela della costituzionalità, verrebbe a distruggere la figura del Capo dello Stato che abbiamo delineato. Se si vota ora l’articolo 85 nel nostro testo, non abbiamo difficoltà acché sia a suo tempo, a proposito della Corte costituzionale, esaminato se e come sarà possibile un intervento del Capo del Governo. Rinvio dell’emendamento Benvenuti, per quella parte che può coesistere con l’articolo 85, va bene; ma non rinvio dell’articolo 85. Bisogna dunque, la prego, che ella rinunci alla prima parte del suo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Benvenuti, mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. Ritiro la prima parte. Quanto alla seconda, mi riservo di ripresentarla in sede di garanzie costituzionali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Benissimo.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, lei mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Io ho ascoltato le ragioni che ha addotto l’onorevole Tosato. Ritengo che la sua dichiarazione possa tradursi in una formula da inserirsi nel testo della Costituzione nel senso che si dica: «violazione dolosa della Costituzione».

Se la Commissione accetta la inclusione della parola «dolosa» io ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo parere.

TOSATO. La Commissione accoglie l’emendamento in via di raccomandazione, accettandone il concetto, sul quale siamo d’accordo. Si tratta di trovare la formula più opportuna.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Presenterò un emendamento all’articolo 85, perché mi pare, in sostanza, che nel secondo comma dove è detto: «tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione» i fatti non siano specificati. Bisognerebbe mantenere per il Presidente della Repubblica un principio di libertà, fondamentale per tutti i cittadini, dal più umile a quello che è più in alto nella gerarchia politica. Vorrei che questo articolo suonasse un po’ diversamente, nel senso che si dicesse «tranne che per i delitti di alto tradimento», in modo che ci si richiamasse ai delitti di «alto tradimento», quei delitti che sono pubblicati nel Codice penale sotto un apposito titolo.

Vorrei anche che si dicesse «o per attentato alla Costituzione», perché la formula «violazione della Costituzione», anche se si specifica che si tratta di violazione dolosa, non configura un reato. Nel Codice penale, invece, esiste un articolo particolare nel quale si parla di «attentato alla Costituzione».

Quindi credo che dal punto di vista tecnico e politico sia più felice la mia espressione che quella contenuta nel progetto di Costituzione, per cui, ripeto, propongo che si dica al secondo comma del l’articolo 85 «tranne per i delitti di alto tradimento o per attentato alla Costituzione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Bettiol, sono le formule costituzionali consuete. Si tratta di questo: noi non possiamo lasciare che la nostra Costituzione non dica una parola delle violazioni della Costituzione che il Presidente della Repubblica può compiere. È vero che il Presidente è irresponsabile, e che la responsabilità dei suoi atti è dei Ministri che li controfirmarono; ma vi possono essere dei casi nei quali il Presidente, agisce senza chiedere la controfirma, e viola la Costituzione; o altri atti predeterminati da lui personalmente, sia pure con l’assenso dei Ministri, per violare la Costituzione; ed allora deve esser colpito. Né basterebbe dire «alto tradimento», che è ipotesi più specifica; mentre vi sono altre violazioni, che meritano di esser colpite.

Sembrerebbe giusto che fossero colpite solo le violazioni dolose, o anche solo quelle dove è colpa grave, non le altre semplicemente colpose; ma è un punto che, per la sua espressione giuridica, dovrei ancora meditare.

Debbo poi osservare, su un altro punto, all’onorevole Bettiol che, in giudizi di violazione della Costituzione, e di denuncia, a tale effetto, del Presidente della Repubblica, non occorre che il Presidente della Repubblica incorra in una rubrica di reato specificato dalla legge penale. In materie analoghe, per giudizi di Ministri all’Alta Corte (e cioè al Senato) durante lo Statuto albertino, si è ritenuto – ed Orlando ha scritto al riguardo una pagina ammirabile – che vi possa esser giudizio e condanna anche per atti non rubricati appositamente nel Codice penale, ma che implichino violazione costituzionale. E del resto la rubrica è qui: nella disposizione della Costituzione, che cercheremo di precisare in sede di revisione e coordinamento.

Pregherei l’onorevole Bettiol di non insistere nel suo emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Sicignano, insieme con l’onorevole Musolino, ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire le parole: per violazione della Costituzione, con le altre: per azione contro la Costituzione».

D’onorevole Sicignano ha facoltà di svolgerlo.

SICIGNANO. Ho creduto di presentare questa mia modifica, alla quale avevo per altro pensato molto tempo fa, perché dallo svolgimento della discussione mi sono accorto che l’Assemblea vuole formulare un concetto più chiaro e preciso di quello che si legge nel progetto, il quale parla semplicemente di violazione della Costituzione.

Ora poiché si è detto che questa violazione della Costituzione potrebbe indurre a gravissimi provvedimenti, col deferimento ad una speciale Corte di Giustizia del Presidente della Repubblica, io credo che questo concetto vada formulato nei termini da me precisati, perché il concetto espresso dalla parola azione include l’altra di dolo ossia azione voluta scientemente.

Perché un’azione contro la Costituzione implica e contiene sicuramente il concetto della volontarietà dell’atto compiuto dal Presidente della Repubblica. Non qualunque involontaria violazione della Costituzione, che potrebbe essere eventualmente consumata anche dalle normali Camere legislative, può far sottoporre il Presidente della Repubblica a questo grave procedimento, ma soltanto un’azione con la quale egli viola la Costituzione e pertanto la sovranità popolare e le pubbliche libertà.

Soltanto in questi casi si può dire che il Presidente della Repubblica si pone contro la Costituzione dello Stato; e soltanto in questi casi potremmo chiedere che si ricorra a questo gravissimo provvedimento, e che il Presidente della Repubblica non sia più degno di coprire l’altissima carica. Perciò prego di accettare questa precisazione che dà una maggiore chiarezza al concetto che vogliamo esprimere.

BOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io non intendo fare un emendamento, ma intendo chiedere una spiegazione senza la quale mi troverei in difficoltà nel votare. Qui si prevede la irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni.

Io domando: per gli atti illeciti, per i reati, che il Presidente può compiere fuori dell’esercizio delle sue funzioni, esiste una regolamentazione o no?

TOSATO. No!

BOZZI. Se, per esempio, il Presidente della Repubblica guida un’automobile, investe una persona e l’uccide può essere o no processato?

PRESIDENTE. Di questo si dovrebbe parlare in sede di Commissione.

BOZZI. Io noto come dicevo che vi è una grave lacuna, ed è bene che l’Assemblea lo sappia. Metto da parte l’idea del delitto doloso; ma per i reati colposi, per le contravvenzioni, il Presidente può essere chiamato in giudizio. Ci si dovrà richiamare per analogia all’immunità prevista per i deputati, ma vi potrà essere un giudice che constaterà che l’immunità è prevista per i deputati e i senatori e non per il Presidente della Repubblica. Il problema è di responsabilità: secondo me, va risolto. Noto questa lacuna. Non faccio un emendamento, ma richiamo l’attenzione dell’Assemblea su questo punto.

PRESIDENTE. L’onorevole De Martino propone di sostituire la forma negativa dell’articolo 85 con una forma positiva e cioè:

«Gli atti del Presidente della Repubblica sono validi se controfirmati, ecc.».

L’onorevole De Martino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DE MARTINO. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione a proposito dell’emendamento Sicignano.

TOSATO. Prego l’onorevole Sicignano di non insistere nel suo emendamento, perché la formula «violazione della Costituzione» è una formula ormai comune, rispetto alla quale non vedo nessuna ragione di modificazioni. In una Costituzione non si possono fare tutte le precisazioni che si vorrebbero.

Desidero rispondere a una domanda dell’onorevole Bozzi. Perché il progetto di Costituzione non parla della responsabilità del Presidente per atti che non si connettono all’esercizio delle sue funzioni? L’onorevole Bozzi sa perfettamente che abbiamo discusso la questione in sede di Commissione, e ne abbiamo discusso ampiamente. Siamo giunti alla conclusione che non era opportuno stabilire a questo proposito una norma precisa. Si tratta dei reati compiuti dal Presidente fuori dell’esercizio delle sue funzioni.

È evidente che per questi reati egli è responsabile. Questo almeno il punto di vista della Commissione. Ma noi abbiamo ritenuto egualmente inopportuno sia stabilire l’improcedibilità verso il Presidente durante il periodo del suo mandato, sia assimilare a questo proposito il Presidente ai membri delle Camere, attribuendogli le medesime immunità.

PRETI. Chiedo di parlare per un chiarimento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Chiedo se votando questo comma si pregiudichi la questione del decreto di scioglimento delle Camere. Cioè, se noi votando secondo quanto ci viene proposto e stabilendo che ogni atto del Presidente della Repubblica deve essere controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, intendiamo dire che anche il decreto di scioglimento delle Camere deve essere controfirmato dal Presidente del Consiglio, di guisa che questi ne assume la responsabilità? Oppure no?

TOSATO, Relatore. Senz’altro.

PRETI. Dunque votando in questo modo pregiudicheremo senz’altro la votazione dell’articolo 84.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di rispondere.

TOSATO. Nessun atto del Presidente può essere posto in essere senza la controfirma del Ministro responsabile.

D’altra parte, se la Costituzione assicura al Presidente il potere di scioglimento, è evidente che questo potere può essere posto in essere dal Presidente della Repubblica in quanto ci sia il Ministro che ne assuma la responsabilità.

PRETI. L’interpretazione data dall’onorevole Tosato mi conferma che noi pregiudichiamo l’articolo 84. Infatti dello scioglimento delle Camere non deve essere propriamente responsabile il Primo Ministro, dato che questo atto, così come la designazione del Presidente del Consiglio, costituisce una effettiva decisione del Presidente della Repubblica.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi dispiace di dover fare un’osservazione. Si ha pienamente diritto di discutere, ma a questo modo si va all’infinito.

Gli emendamenti, dice il Regolamento, devono essere presentati due giorni prima, o in caso diverso con dieci firme; e la Commissione ha diritto di chiedere il rinvio per quelli che vengono presentati all’ultima ora.

Finora non ci siamo valsi di questo diritto. Ma, se continua la pioggia di emendamenti all’ultima ora, dovremo chiedere il rinvio, perché, anche su questioni puramente tecniche, non si può decidere su due piedi.

L’onorevole Bozzi si è riservato di presentare una formulazione concreta per la questione se il Presidente della Repubblica sia perseguibile o no per reati commessi fuori dell’esercizio delle sue funzioni. Presenti le sue proposte, e le esamineremo. Non so se, come si è accennato, potrebbe adottarsi la garanzia di una autorizzazione del Parlamento per dar corso al giudizio penale. Mi pare istituto non adeguato.

BOZZI. E per i deputati?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Pei deputati e senatori è un’altra cosa. Qui è in giuoco il Capo dello Stato; e se vi deve essere espressa garanzia, dovrebbe essere un’altra. Ma riparleremo a parte della questione, quando discuteremo dell’emendamento che l’onorevole Bozzi presenterà; ed allora vedremo se mettere una garanzia o no.

COSTA. Ma nell’articolo 65 si è provveduto per i deputati ed i senatori!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Preti osserva che non si può approvare l’articolo 85, senza decidere implicitamente sull’articolo 84, che abbiamo rinviato. Non mi sembra; si potrebbe, ammesso il principio generale della irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti controfirmati dai Ministri, ammettere una sola eccezione, lo scioglimento delle Camere, in cui non vi sarebbe controfirma, e vi sarebbe quindi responsabilità. Ma l’onorevole Preti è recisamente contrario alle funzioni che sarebbero «prerogative» del Capo dello Stato; e mi sembra che non dovrebbe ammettere eccezione al principio dell’articolo 85, anche nel caso dell’articolo 84.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Prendo atto delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Ruini, nel senso cioè che il problema da me sollevato non è pregiudicato dalla votazione del secondo comma dell’articolo 85, che riguarda un altro ordine di problemi, cioè la responsabilità del Presidente della Repubblica nell’esercizio delle sue funzioni.

Io, se lei consente, onorevole Presidente, mi riservo di presentare domani un emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, naturalmente non si tratterà di un emendamento all’articolo 85, ma di un articolo aggiuntivo.

BOZZI. Evidentemente.

PRESIDENTE. Allora concludiamo. Onorevole Costa, per l’emendamento da lei presentato resta inteso che, a seconda della decisione che si prenderà sull’articolo 86 esso acquisterà validità o meno.

Onorevole De Martino Carmine: la proposta da lei presentata sarà presa in considerazione dal Comitato nella redazione definitiva del testo della Costituzione. Lei, onorevole Sicignano, insiste nel suo emendamento?

SICIGNANO. Non insisto.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Bettiol?

BETTIOL. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del testo dell’emendamento Perassi accettato dalla Commissione come sostitutivo del primo comma dell’articolo 85:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti che ne assumono la responsabilità.

«Gli atti aventi valore di legge e gli altri atti del Presidente della Repubblica che saranno determinati dalla legge, devono essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

Voteremo questi due commi separatamente. Pongo in votazione il primo comma:

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

(È approvato).

E adesso passiamo al secondo comma del testo della Commissione, che è del seguente tenore:

«Il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione».

A questo comma l’onorevole Bettiol ha proposto di sostituire alle parole: «tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione», le altre: «tranne che per i delitti di alto tradimento e per attentato alla Costituzione».

La Commissione ha dichiarato di non accettare questo emendamento.

Pongo ora in votazione la prima parte di questo secondo comma, nel testo della Commissione:

«Il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte nella formulazione Bettiol: «tranne che per i delitti di alto tradimento e per attentato alla Costituzione».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione il testo della Commissione: «tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione».

(È approvato).

Onorevole Fuschini, le chiedo se mantiene il suo emendamento a questo comma, tendente ad aggiungere la parola «dolosa» dopo «violazione».

FUSCHINI. Sono ossequiente alla dichiarazione che ha fatto la Commissione e aderisco alla sua proposta.

PRESIDENTE. Passiamo ora all’ultimo comma dell’articolo 85.

Faccio presente che l’onorevole Nobile ha presentato una proposta soppressiva di tutto il comma. Chiedo all’onorevole Nobile se mantiene la sua proposta.

NOBILE. La ritiro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ultimo comma con l’emendamento Crispo nella forma accettata dalla Commissione:

«In tali casi è messo in stato di accusa dalle Camere riunite a maggioranza assoluta dei loro membri».

(È approvato).

L’articolo 85 risulta nel suo complesso così approvato:

«Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Gli atti aventi valore di legge e gli altri atti del Presidente della Repubblica che saranno determinati dalla legge devono essere controfirmati anche dal Presidente del Consiglio.

«Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni tranne che per alto tradimento o per violazione della Costituzione.

«In tali casi è messo in stato di accusa dalle Camere riunite a maggioranza assoluta dei loro membri».

Onorevoli colleghi, abbiamo così finito di esaminare il Titolo relativo al Parlamento e al Capo dello Stato, salvo gli articoli ed i commi che riguardano l’Assemblea Nazionale.

Ma per esaurire del tutto questa materia, dobbiamo ancora prendere in esame l’emendamento presentato dall’onorevole Preti, che riguarda il Titolo di questa parte della Costituzione. L’onorevole Preti ha proposto di sostituire l’attuale intestazione «Il Capo dello Stato» con l’altra: «Il Presidente della Repubblica».

L’onorevole Preti ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PRETI. Avevo presentato lo stesso emendamento a proposito dell’articolo 83: ma mi arresi in quella sede alle ragioni esposte dall’onorevole Tosato.

Per quanto riguarda l’intitolazione, però, credo che la Commissione dovrebbe a sua volta rendersi conto delle ragioni già da me esposte.

In tutte le Costituzioni democratiche il corrispondente Titolo è intestato a «Il Presidente della Repubblica», in quanto vengono con ciò meglio precisate e designate le funzioni di questo organo costituzionale. Conservare ancora nel titolo «Il Capo dello Stato» potrebbe anche significare un riallacciamento a quelle costituzioni ottocentesche, con la tradizione delle quali – come ha detto oggi l’onorevole Ruini – noi vogliamo nettamente rompere.

Per questo confido che la Camera vorrà accogliere il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

PERASSI. La Commissione accetta l’emendamento proposto dall’onorevole Preti.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Preti di sostituire l’intestazione del Titolo: «Il Capo dello Stato» con l’altra: «Il Presidente della Repubblica».

(È approvata).

Passiamo ora all’esame del titolo III.

IL GOVERNO

Sezione I.

Il Consiglio dei Ministri.

Si dia lettura dell’articolo 86:

RICCIO, Segretario, legge:

«Il Governo della Repubblica è composto del Primo Ministro, Presidente del Consiglio, e dei Ministri.

«Il Presidente della Repubblica nomina il Primo Ministro e, su proposta di questo, i Ministri».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Conti ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: Primo Ministro, Presidente del Consiglio, sostituire le parole: Presidente dei Ministri; o, subordinatamente: Presidente del Governo».

Ha facoltà di svolgerlo.

CONTI. Rinunzio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dall’onorevole Colitto:

«Al primo comma, dopo le parole: del Primo Ministro, Presidente del Consiglio, aggiungere le seguenti altre: del Consiglio dei Ministri».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. La norma dell’articolo 86, a mio avviso, deve subire una piccola modificazione.

Gli organi, infatti, dell’Amministrazione centrale sono non soltanto il Primo Ministro e i Ministri, ma anche il Consiglio dei Ministri. Questo è tanto vero che la sezione prima della parte del progetto di Costituzione di cui ci stiamo occupando, è intitolata appunto «Consiglio dei Ministri». Ora, se il titolo ha per intestazione «Il Governo» e la Sezione prima ha per intestazione «Il Consiglio dei Ministri» vuol dire che, secondo il progetto, non può ritenersi che l’espressione Governo sia uguale a Consiglio dei Ministri.

Anche nel primo comma dell’articolo 86 è scritto che il Primo Ministro è Presidente del Consiglio. Senonché non si vede, poi, il Consiglio tra gli organi centrali dell’Amministrazione dello Stato. Il Consiglio dei Ministri, come tutti sanno, è l’organo che svolge di continuo la funzione di coordinamento dell’attività amministrativa posta in essere dai vari Ministri, seguendo l’indirizzo politico generale segnato dalle Camere e dal Capo del Governo, e delibera su tutti gli affari che, per la loro natura o per la loro importanza, richiedono un accordo ed una collaborazione dei membri del Governo.

Ecco perché ho presentato un emendamento, che tende appunto a porre tra gli organi dell’amministrazione attiva dello Stato, a fianco del Primo Ministro e dei Ministri, il Consiglio dei Ministri.

Che se poi con la parola «Governo» s’intende indicare il Consiglio dei Ministri, allora propongo che nel primo comma dell’articolo alle parole «Il Governo» siano sostituite le altre «Il Consiglio dei Ministri».

Mi rendo conto che nell’articolo ricorre più volte la parola «Ministri», il che dà vita ad un periodo che all’orecchio suona non troppo dolcemente; ma io penso che occorra, per ora, guardare alla sostanza, rinviando ad un secondo momento il lavoro di lima, da un punto di vista, starei per dire, musicale.

PRESIDENTE. Gli onorevoli La Rocca, Grieco, Spano e altri hanno presentato il seguente emendamento:

Sostituirlo con il seguente:

«Il Governo della Repubblica è costituito dal Consiglio dei Ministri.

«I Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica».

L’onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.

LA ROCCA. Questo nostro emendamento, onorevoli colleghi, è ispirato al concetto di impedire che il Gabinetto, cioè l’organo dell’esecutivo governativo, appaia come costituito di due elementi diversi e distinti: il Primo Ministro e i Ministri. Il concetto veramente democratico – praticato del resto per anni anche in Italia – è che il Gabinetto debba costituire un organo collegiale, che risponda nel suo insieme dell’indirizzo generale del Governo.

Non è che ci si voglia opporre ad una dizione di sapore più o meno mussoliniano, ma è che tendiamo ad impedire che nel Gabinetto venga a costituirsi una funzione staccata, preminente, avulsa e del tutto indipendente dal Ministero: quella del suo Presidente. Il Gabinetto deve essere un organo unico, investito nella fiducia dei Parlamento, lasciando da parte, a questo proposito, la questione dei Ministri, che sono poi nominati dal Presidente della Repubblica, senza, cioè, entrare nel merito del particolare che il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio, il quale, poi provvede a proporre i singoli Ministri.

PRESIDENTE. Ricordo che l’onorevole Costa si era riservato di ripresentare all’articolo 86 l’emendamento già svolto in sede di esame dell’articolo 85, col quale proponeva di sostituire alle parole: «Primo Ministro» le altre: «Presidente del Consiglio dei Ministri».

Invito pertanto l’onorevole Tosato a pronunziarsi a nome della Commissione sugli emendamenti presentati, tenendo presente anche quello dell’onorevole Costa.

TOSATO. Prescindiamo per un momento da quella che può essere una pura questione di parole, se si debba cioè parlare di Primo Ministro o di Presidente del Consiglio dei Ministri: è una questione, sotto un certo aspetto, puramente terminologica. Esaminerò quindi senz’altro l’emendamento proposto dall’onorevole La Rocca e dagli altri colleghi. Secondo questo emendamento, «il Governo della Repubblica è costituito dal Consiglio dei Ministri». Ora, faccio presente che, se l’Assemblea approva questo emendamento, ne deriverebbero conseguenze inaccettabili. La conseguenza sarebbe questa: che il Governo dello Stato sarebbe un organo collegiale, che dovrebbe agire sempre collegialmente, in quanto i Ministri, come tali, non figurano più come organi costituzionali; esistono soltanto in quanto fanno parte del Consiglio dei Ministri e deliberano in Consiglio dei Ministri. Questa sarebbe la conseguenza logica dell’accoglimento di questa formula.

Altra conseguenza dell’accoglimento di questa formula sarebbe la seguente: il ritorno a posizioni antiche, superate, caratteristiche dei primi ordinamenti costituzionali, quando tutti i Ministri erano nella stessa posizione di fronte al Capo dello Stato, e il Capo dello Stato nominava indistintamente, uno per uno, i singoli Ministri, ponendoli tutti, però, sullo stesso piano. Donde, in definitiva, un aumento del potere del Capo dello Stato, al quale è riservato lo stesso potere di scelta sia per quanto riguarda il Primo Ministro, sia per quanto riguarda tutti gli altri Ministri. Io credo che queste semplici considerazioni siano sufficienti a far comprendere la inammissibilità di questo emendamento che viene proposto dall’onorevole La Rocca.

In secondo luogo, l’onorevole La Rocca ha riconosciuto che il Governo deve essere qualche cosa di organico. Orbene, se l’onorevole La Rocca e gli altri firmatari di questo emendamento avvertono questa necessità dell’unità organica del Governo, è evidente che questa unità organica può essere assicurata soltanto in quanto vi sia un Primo Ministro, il quale ha precisamente il compito di ridurre ad unità organica la pluralità dei Ministri, di mantenere l’unità organica del Gabinetto e di far sì che la politica necessariamente unitaria del Governo sia concordemente e fedelmente perseguita da tutti i membri del Governo.

Per queste ragioni i colleghi della Commissione qui presenti non possono accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole La Rocca.

Vorrei pregare inoltre l’onorevole Conti di non insistere nel suo emendamento. Presidente del Governo: è una formula del tutto nuova. In queste materie credo sia opportuno seguire la tradizione. Vi sono due termini tradizionali relativamente a questa materia: Primo Ministro e Presidente del Consiglio. L’Assemblea scelga fra questi due quello che ritiene più opportuno.

Quanto all’emendamento dell’onorevole Colitto: è una questione di forma. Sostanzialmente siamo d’accordo. Ella propone la formula: «Il Governo è composto del Primo Ministro, Presidente del Consiglio, del Consiglio dei Ministri, e dei Ministri, ecc.». Esattissimo. Ma vi sono esigenze di forma, ripetizioni che conviene evitare. La formula del progetto: «Primo Ministro, Presidente del Consiglio», è ellittica, ma contiene quanto ella vorrebbe specificare.

PRESIDENTE. Chiedo ai singoli presentatori di emendamenti se li mantengono. Onorevole Conti?

CONTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto?

COLITTO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole La Rocca?

LA ROCCA. Lo mantengo.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Mi pare questa una discussione in gran parte inutile. In ogni Paese il Capo dello Stato incarica un deputato o un senatore, diciamo così, di formare il Governo. Questa è la regola, dovunque; dovunque esistono queste forme costituzionali, vi è un incaricato di fare il Governo. L’incaricato di fare il Governo è un uomo che riassume o tutta la situazione politica o una gran parte, ed è sempre, o quasi sempre, dotato, se non di grande autorità, per lo meno di esperienza. Ora, l’idea di abolire, diciamo così, il Primo Ministro e di fare una specie di formazione collettiva, l’idea di dire che il Primo Ministro e tutti i Ministri sono eguali mi pare assurda. Ma eguali in che cosa? Sono disuguali, perché il Primo Ministro ha una grande funzione: egli deve agire non solo come coordinatore, ma deve assumere la responsabilità politica dell’azione di Governo.

In ogni Paese il Primo Ministro ha una speciale funzione. Nel Paese da cui vengono le forme costituzionali, l’Inghilterra, il Primo Ministro è una figura a sé, e non si può considerare che si possano formare organizzazioni collettive senza la responsabilità del Primo Ministro.

Perché il Primo Ministro ha una funzione non solo di capo, ma di coordinatore. Tutti i Ministri variano frequentemente, ma non il Primo Ministro. Nei grandi Paesi costituzionali come l’Inghilterra, i Primi Ministri variano pochissimo. Voi troverete che in cento anni di storia parlamentare i Primi Ministri durano ciascuno nella loro carica dieci, dodici, quattordici o quindici anni. Perché il Primo Ministro che rappresenta tutti i partiti e tutte le organizzazioni, è una persona che deve avere non solo un prestigio personale, ma anche una grande esperienza politica. Ed in un Paese come l’Inghilterra, maestra nella pratica costituzionale, il Primo Ministro viene in generale da un’alta carica politica, in modo da riassumere tutta una storia costituzionale. Negli ultimi cinquant’anni il Primo Ministro è stato scelto fra i Cancellieri dello Scacchiere; è cioè un uomo che ha potuto studiare la formazione di tutti i dicasteri.

Il Primo Ministro è dunque diverso dagli altri, sia per autorità, sia per esperienza. Non si nomina mai Primo Ministro una persona nuova alla vita politica. Anche un giovane può essere un grande Ministro, ma un giovane non è mai Primo Ministro. Bisogna risalire nella storia ad una figura come quella di un Pitt per trovare un’eccezione.

Provenendo, come dicevo, dalla carica di Cancelliere dello Scacchiere, il Primo Ministro in Inghilterra ha già potuto rendersi conto dell’andamento di tutti i Ministeri e conoscere tutte le amministrazioni. Quindi non è soltanto un propulsore, ma anche un coordinatore.

La nomina di Ministri che non abbiano alcuna differenza fra loro, non è un concetto democratico, ma semplicemente un equivoco. Si capisce che in un Governo di Gabinetto tutti i Ministri, avendo la loro azione particolare, hanno anche la loro personale responsabilità e con i loro errori e con le loro diversità d’indirizzo possono provocare la crisi di Governo. Ma la direzione finale della politica spetta sempre al Primo Ministro.

Quindi prego di non insistere in una modificazione che non ha alcuna necessità storica, né alcuna necessità politica. È un’idea demagogica che tutti i Ministri debbano essere uguali. In pratica questa uguaglianza forzata è impossibile e non risponde ad alcuna utilità.

Quanto al nome di Primo Ministro o Presidente del Consiglio la cosa è piuttosto indifferente. Ma credo che sia meglio conservare il vecchio titolo italiano di Presidente del Consiglio. Perché cambiare? Le novità devono servire per le cose utili, e non per le inutili.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei osservare che la distinzione fra i Ministri e il Presidente del Consiglio dei Ministri è già acquisita – se non mi sbaglio – alla nuova Costituzione attraverso l’emendamento che oggi stesso abbiamo approvato dell’onorevole Perassi.

Quindi, rimettere in discussione un punto già definitivamente acquisito mi pare superfluo. Una differenza fra Presidente del Consiglio e singoli Ministri è stata già statuita.

Si riduce dunque la questione, secondo me, ad una questione di nomenclatura: se si debba parlare di Presidente del Consiglio dei Ministri o di primo Ministro. Confesso che questa dicitura «primo Ministro» mi suona straordinariamente male e, quindi, sarei propenso a parlare esclusivamente del Presidente del Consiglio e dei singoli Ministri. In questo senso è la mia proposta formale.

PRESIDENTE. Passiamo alle votazioni. L’emendamento dell’onorevole La Rocca deve avere la precedenza, poiché si allontana più di ogni altro dal testo della Commissione.

Lo rileggo:

«Il Governo della Repubblica è costituito dal Consiglio dei Ministri.

«I Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica».

È stato chiesto su questo emendamento l’appello nominale dagli onorevoli Bettiol, Siles, Lizier, Coppi, Angelucci, Bosco Lucarelli, Rapelli, Monticelli, Bertone, Restagno, Rodinò Ugo, Recca, De Michele, Chieffi, De Martino, Jervolino.

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Dato che sulla interpretazione di questo emendamento si è stabilito un certo equivoco, che tiene distinti perfino i colleghi del Partito socialista da noi, io penso sia utile che io dichiari a nome del mio Gruppo che noi voteremo favorevolmente all’emendamento dell’onorevole La Rocca, intendendo che esso non esclude affatto la figura del Presidente del Consiglio (Commenti al centro), la cui esistenza è non solo contemplata da un articolo che abbiamo già votato, ma sarà anche contemplata, senza nostra opposizione, da articoli che voteremo in seguito.

BERTONE. Chi lo nomina?

LACONI. L’unica cosa che noi vogliamo escludere è la doppia nomina che attualmente è contemplata dall’articolo 86. Questa doppia nomina noi crediamo non abbia ragione d’essere; basta un solo atto di nomina di tutto il Governo, dato che concepiamo la figura del Presidente del Consiglio come un primus inter pares.

Con questa precisazione dichiaro che voteremo a favore dell’emendamento dell’onorevole La Rocca.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei spiegare all’onorevole La Rocca ciò che avviene finora e che non ha dato luogo a nessun dubbio, e risponde ad una corretta piassi costituzionale; venuta fuori con un senso profondamente democratico in Inghilterra. Il Consiglio dei Ministri inglese era presieduto dal Re, ma una volta un balordo Re di Casa Hannover, che non sapeva parlare l’inglese, non andò più alle sedute; ed allora il Consiglio dei Ministri acquistò una sua individualità, si svolse in Governo di Gabinetto; e lo presiedé il più autorevole dei Ministri, un personaggio a ciò indicato, che assunse un compito di preminenza e di direzione sugli altri Ministri. Nacque di qui la figura del Primo Ministro, che non ha nulla da fare con quella del Cancelliere, responsabile davanti al Capo dello Stato e non al Parlamento. Il Primo Ministro, designato in sostanza dal Parlamento, è un istituto che difatti esiste nelle Costituzioni scritte ed in quelle non scritte, come l’inglese. Badate bene, voi oppositori che non volete parlarne, non vi opponete ad una innovazione; cancellate ciò che già esiste dovunque. Altro è la questione del nome; se non volete mettere Primo Ministro e volete attenervi invece alla espressione per noi tradizionale di Presidente del Consiglio dei Ministri, niente di male; ciò che importa è la sostanza dell’istituto, che non vogliamo distruggere, ma confermare nel testo della Costituzione.

Anche l’onorevole Laconi mi sembra non tenga conto di quanto già avviene, e non vi è nessuna ragione che sia modificato. In caso di crisi il Capo dello Stato, dopo aver incaricato un uomo politico di formare il nuovo Gabinetto, lo nomina, ove egli riesca, Presidente del Consiglio con un decreto distinto; poi, su proposta del Presidente stesso, nomina i Ministri che comporranno, sotto la presidenza del già nominato Presidente, il Consiglio dei Ministri. Sono due atti distinti di nomina; e che siano distinti è perfettamente logico e costituzionalmente corretto.

Volete buttar giù la prassi ormai consolidata ? Noi vogliamo conservarla; e – poiché la nostra è una Costituzione scritta – scriverla nella Costituzione. Se non la mettessimo, sembrerebbe che accogliessimo le obiezioni che abbiamo qui udite e che vanno al di là dell’espressione formale, volendo intaccare il concetto stesso di Presidente del Consiglio; togliamo pure il nome di Primo Ministro; ma resta la figura direttiva e coordinatrice del Presidente, che traduce in atto l’indispensabile esigenza della unità e solidarietà di Gabinetto. (Proteste al centro).

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Aderisco, nella sostanza, al concetto espresso dall’onorevole Ruini.

Noi non intendiamo in alcun modo sopprimere la figura del Presidente del Consiglio che, d’altra parte, è definita dal successivo articolo 89; la nostra proposta comporta che il Presidente della Repubblica nomini il Presidente del Consiglio e questi i Ministri. (Commenti al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prendo atto con piacere che ella viene incontro ad una soluzione che era stata proposta dall’onorevole Fabbri, e che potrebbe essere accolta.

LACONI. V’è un equivoco (Commenti).

PRESIDENTE. Desidero far presente che v’è un emendamento il quale modifica in tutto il testo proposto dalla Commissione. Mi pare quindi che non si possa parlare di equivoco, quando ci si trova di fronte a due testi completamente diversi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. L’equivoco sorge dall’interpretazione che della nostra proposta dà l’onorevole Ruini. Se il Presidente della Commissione dice che noi, attraverso l’emendamento che abbiamo proposto, vogliamo sostituire una tecnica ad un’altra, sbaglia, perché noi non vogliamo affatto abolire l’attuale tecnica della nomina del Governo, cioè la consultazione di un particolare esponente politico e la nomina, attraverso questa consultazione, del Governo. Tutto questo noi sappiamo che è nella prassi e rimarrà; però questo non ha rilievo costituzionale e pensiamo che non debba risultare nella Costituzione. Il farlo risultare nella Costituzione significa rendere responsabile rispetto al Capo dello Stato e rispetto alle Camere il Primo Ministro: significa accettare il metodo delle dimissioni del Primo Ministro che comportano automaticamente le dimissioni del Governo. Noi pensiamo che questo metodo non sia democratico (Commenti al centro), anche se è stato introdotto dal Gabinetto De Gasperi. (Commenti).

Riteniamo che, anche se questa prassi dovesse essere seguita in avvenire, essa non debba però avere rilievo costituzionale. Non si deve riconoscere al Presidente del Consiglio il diritto di considerarsi rappresentante unico di tutto il Governo; la sua volontà deve essere sempre condizionata al voto di tutto l’organo collegiale, che egli presiede.

Per queste ragioni, insistiamo nel nostro emendamento. (Commenti al centro).

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sull’emendamento La Rocca che è stato così modificato:

«Il Governo della Repubblica è costituito dal Consiglio dei Ministri.

«Il Presidente del Consiglio e i Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Trulli.

Si faccia la chiama.

COVELLI, Segretario, fa la chiama:

Rispondono sì:

Allegato – Assennato.

Baldassari – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bei Adele – Bernamonti – Bianchi Bruno – Bonomelli – Bucci.

Cacciatore – Carpano Maglioli – Cavallotti – Cerreti – Chiarini – Colombi Arturo – Corbi – Cremaschi Olindo.

De Michelis Paolo – D’Onofrio.

Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Fogagnolo.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grieco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Laconi – Landi – La Rocca – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longo – Lozza.

Maffi – Magnani – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Mattei Teresa – Mezzadra – Molinelli – Montalbano – Moranino – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Nenni – Nobili Tito Oro.

Pajetta Giuliano – Pastore Raffaele – Pieri Gino – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rossi Giuseppe – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Sapienza – Scarpa – Scoccimarro – Scotti Francesco – Sicignano – Stampacchia.

Togliatti.

Vischioni.

Zannerini.

Rispondono no:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Arata – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bastianetto – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Bonino – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caronia – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Castiglia – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Einaudi.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Fedeli Aldo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Foa – Foresi – Franceschini – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Garlato – Gasparotto – Germano – Ghidini – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Grassi – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

Labriola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – Lizier – Longhena – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffioli – Magrini – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marinaro – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Momigliano – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morini – Moro – Mortati – Murgia.

Nitti – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perrone Capano – Perugi – Piccioni – Ponti – Preziosi – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Recca – Restagno – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Paolo – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Salizzoni – Sampietro – Saragat – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Sforza – Siles – Simonini – Spallicci – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi –; Treves – Trimarchi – Trulli – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Villabruna – Villani.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso.

Dozza – Dugoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Martino Gaetano – Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita.

Sardiello.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari fanno il computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sull’emendamento La Rocca:

Presenti e votanti     348

Maggioranza           175

Hanno risposto     90

Hanno risposto no    258

(L’Assemblea non approva).

Presentazione di una relazione.

BETTIOL. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Ho l’onore di presentare la relazione al disegno di legge:

«Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico».

PRESIDENTE. Sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Passiamo ora al primo comma dell’articolo 86, che l’onorevole Costa ha proposto sia così modificato:

«Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente, dal Consiglio dei Ministri e dai Ministri».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Aderirei all’emendamento Costa se si dicesse: «il Presidente del Consiglio dei Ministri».

PRESIDENTE. Questa è la proposta dell’onorevole Colitto, che voteremo dopo.

CORBINO. Il Consiglio dei Ministri, che forma il titolo della Sezione, non è ricordato in nessuno degli articoli della Sezione stessa, salvo che nell’articolo 89 in via incidentale.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io, subordinatamente, ho chiesto che la formulazione dell’articolo fosse modificata. Invece di dire «Il Governo della Repubblica è composto», ho proposto che si dica «Il Consiglio dei Ministri è composto». Se la Commissione accetta questa formulazione la si potrebbe votare.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Il Comitato di redazione non ha avuto la possibilità di raccogliersi per esaminare questi emendamenti. Quindi, non posso rispondere che a titolo personale.

Personalmente, vorrei pregare l’onorevole Corbino e gli altri proponenti di queste modificazioni, che dopo il voto testé intervenuto hanno un carattere solamente formale, di trasformarle in raccomandazioni, delle quali sarà tenuto conto in sede di revisione finale. Ormai, sostanzialmente, la questione è decisa attraverso il voto dato.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Propongo di votare il primo comma dell’articolo 86 per divisione. Automaticamente, si verranno in tal modo a risolvere tutti i quesiti proposti.

PRESIDENTE. Ma v’è una diversa formulazione proposta dall’onorevole Colitto. La mantiene, onorevole Colitto?

COLITTO. Non insisto su questa proposta. Mantengo invece il mio primitivo emendamento, che non è soltanto di forma.

PRESIDENTE. Onorevole Costa, mantiene il suo emendamento?

COSTA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Conti, mantiene l’emendamento?

CONTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Procediamo allora alle votazioni sul primo comma dell’articolo 86 per divisione, inserendo via via i vari emendamenti sostitutivi e aggiuntivi.

Pongo in votazione le parole, di cui all’emendamento sostitutivo proposto dall’onorevole Costa:

«Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, sono approvate).

Occorre ora porre ai voti le parole, di cui all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Colitto:

«dal Consiglio dei Ministri».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Vorrei chiedere quale è il pensiero della Commissione su questo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Moro, la Commissione ha fatto questa sola osservazione: che l’articolo non risulterà troppo piacevole dal punto di vista fonetico, per la continua ripetizione della parola «Ministri», e ha rivolto ai presentatori di emendamenti l’invito di rimettersi per l’elaborazione conclusiva alla Commissione stessa, che avrebbe tenuto conto delle varie proposte.

Pongo in votazione l’emendamento Colitto:

«dal Consiglio dei Ministri».

(È approvato).

Pongo in votazione le parole del progetto:

«e dai Ministri».

(Sono approvate).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo del progetto, coordinato con il risultato delle votazioni testé avvenute:

«Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questi, i Ministri».

(È approvato).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Evidentemente il coordinamento con la sostituzione delle parole «Primo Ministro» con le altre «Presidente del Consiglio dei Ministri» dovrà avvenire anche per le altre norme già approvate: ad esempio per l’articolo 85.

PRESIDENTE. Certamente.

Do lettura del testo dell’articolo 86 quale risulta approvato, salvo, naturalmente, il coordinamento:

«Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Consiglio dei Ministri e dai Ministri.

«Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questi, i Ministri».

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Ai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere se non credano opportuno diminuire l’onere delle tasse universitarie, che rendono difficile la possibilità di frequenza ai corsi agli studenti meno forniti di mezzi di fortuna.

«Spallicci, De Mercurio, Paolucci, Della Seta, Macrelli, Facchinetti, Fortuna».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, sui recenti fatti di Gravina: per conoscere esattamente le cause determinatrici, il modo come si sono svolti e i rimedi che si intendono adottare per eliminare in Puglia e nel Mezzogiorno episodi del genere.

«Perrone Capano».

«Ai Ministri dell’interno, dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti sono stati adottati per assodare le responsabilità per i fatti di Gravina e conoscere quali provvedimenti intendono adottare per fronteggiare la disoccupazione in provincia di Bari, allo scopo di evitare il ripetersi di incidenti.

«Pastore Raffaele, Assennato».

«Ai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere se intendano rivedere la posizione giuridica dei direttori didattici e degli ispettori scolastici, inquadrando i primi nel grado VIII e ciò per eliminare la grave ingiustizia per cui essi, all’apice della carriera, raggiungano soltanto il grado IX, come i maestri elementari. L’interrogante segnala l’urgenza del problema, data l’agitazione in atto e lo sciopero minacciato.

«Riccio».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Governo si riserva di far conoscere quando potrà rispondere a queste interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

COVELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere quando presumibilmente sarà riattivata del tutto la ferrovia Porrettana (tratto Pistoia-Bologna), così necessaria alla ripresa del traffico in quel settore montano e se non ritenga opportuno accelerare i lavori di ricostruzione con tutti i mezzi possibili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti ha adottato o intende adottare per la migliore manutenzione o sistemazione delle strade nella provincia di Pistoia, oggetto di precedenti premure dell’interrogante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere:

  1. a) se nella imminenza della scadenza del termine per la presentazione delle dichiarazioni, agli effetti della imposta progressiva sul patrimonio, non ritenga opportuno ed urgente di dare istruzioni e chiarimenti ai denuncianti sul modo con cui essi debbono contenersi relativamente al valore da dichiarare per i fabbricati nei casi in cui essi abbiano presentato domanda di rettifica ai sensi della circolare 18 giugno 1947, n. 79880;
  2. b) se non ritenga equo ed opportuno di dare disposizioni agli Uffici delle imposte affinché, in attesa di definizione delle domande di rettifica presentate dai contribuenti, ai sensi della predetta circolare, diano esecuzione agli sgravi in tutti i casi in cui siano rivalutati per cinque i valori dei fabbricati definiti almeno negli anni 1945 e 1946 e ciò prima della scadenza della rata del ruolo ora passato in riscossione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Santi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici, del tesoro e delle finanze, per sapere come gli Istituti per le case popolari, finanziati dallo Stato per la ripresa della costruzione delle abitazioni, possono integrare le somme loro assegnate con prestiti a mutuo, dato che gli istituti di credito dichiarano di non essere in grado di fornire i capitali richiesti a lungo termine ed alle condizioni che sarebbero compatibili coi canoni di affitto che gli inquilini di tali Istituti possono corrispondere. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Simonini, D’Aragona».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se creda di emettere senza ulteriore ritardo le norme relative alla liquidazione dei danni per le case occupate dalle truppe degli Alleati, considerando che molte famiglie hanno subito la perdita quasi completa di mobili, suppellettili, indumenti anche di non lieve valore, e ridotte quasi in uno stato d’indigenza aspettano con ansia un giusto, legittimo risarcimento, mentre le autorità locali competenti dicono di non poter procedere in alcun modo all’esame delle relative pratiche, essendo ancora in attesa delle suddette norme.

«L’interrogante fa rilevare l’urgenza del problema. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rubilli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali difficoltà si frappongano alla pubblicazione dei risultati dell’inchiesta espletata dalla Giunta provinciale amministrativa di Frosinone sulle irregolarità con cui si svolsero il 31 marzo 1946 le elezioni amministrative nel comune di Torrice. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cifaldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non intenda accogliere la deliberazione del Consiglio comunale di Burgio (Agrigento), in data 24 novembre 1946, diretta ad ottenere il ripristino in detto comune della Pretura, arbitrariamente soppressa nel 1923 dal governo fascista. Il pretore di Ribera ha trasmesso la richiesta anzidetta con parere favorevole, basandosi sui dati dei procedimenti civili e penali del quinquennio 1942-46, secondo i quali nell’antica giurisdizione della ripristinanda Pretura si sono avuti 806 processi penali e 141 processi civili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montalbano».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.45.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.