ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCLXXIV.
SEDUTA DI LUNEDÌ 27 OTTOBRE 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI
INDICE
Commemorazione del Cardinale Carlo Salotti:
Corsanego
Grassi, Ministro di grazia e giustizia
Presidente
Interrogazioni (Svolgimento):
Presidente
Grassi, Ministro di grazia e giustizia
Fusco
Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro
Pesenti
Marazza Sottosegretario di Stato per l’interno
Morini
Marinaro
Sampietro
Costa
La Rocca
Brusasca, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri
Gasparotto
Cavalli, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio
Arata
Vinciguerra
Bulloni
Perrone Capano
Pastore Raffaele
Trulli
Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Commemorazione del Cardinale Carlo Salotti.
CORSANEGO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORSANEGO. Mi sia permesso, onorevole signor Presidente e onorevoli colleghi, di partecipare anche in quest’Aula al rimpianto per la fine terrena dell’Eminentissimo Cardinale Carlo Salotti, Vescovo di Palestrina e Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti.
Si è spenta con lui la vivida luce di un apostolo infaticabile della civiltà cristiana, di uno dei più eloquenti e appassionati assertori della grande missione dell’Italia nel mondo; ma soprattutto di un coraggiosissimo, audace e tenace difensore delle libertà civili, che levò intrepida la sua voce nelle tenebre del servaggio, con la mano e la parola fermamente tesa, come fra Cristoforo, contro i vari Don Rodrigo del nostro recente passato.
Ed è giusto che in quest’Aula, più che la serie degli alti uffici ricoperti nei dicasteri ecclesiastici che lo condussero meritatamente alla Porpora, siano ricordati la sua difesa della libertà, la sua predilezione per la classe operaia da cui proveniva – era figlio di un falegname di Grotte di Castro – il suo infiammato amore per l’Italia, da lui considerata come il paradiso del tempo, come considerava il cielo la patria per l’eternità.
Quando più gemevamo ed eravamo oppressi sotto il giogo nazifascista, Egli, nei suoi discorsi eloquentissimi, nelle lettere pastorali parlò così alto e forte contro le tirannie e a tutela delle libertà dell’uomo e del cittadino, da meritarsi da parte dei dominatori di allora persino la minaccia di arresto. All’indomani della strage delle Fosse Ardeatine scriveva fra l’altro che «bisognava riportare la coscienza cristiana nella vita pubblica, dove oggi l’egoismo soffoca i sentimenti più nobili, lo sfruttamento più disonesto fa strage dei deboli e dei poveri, l’odio contro i fratelli divampa furiosamente, e i delitti si consumano con un cinismo brutale».
E a chi tentava di farlo tacere, Egli, araldo della Chiesa che, per dirla con una frase manzoniana, da tanti secoli soffre, combatte e prega, durante un regime che le permetteva di pregare, purché lo facesse a bassa voce, le permetteva di soffrire, purché si lamentasse il meno possibile, ma quanto al combattere voleva che non se ne facesse nulla per non avere fastidi, rispondeva intrepido: verbum Dei non est alligatum.
Coloro che poi in questi giorni in cui la Salma fu esposta nella camera ardente si meravigliavano che folte schiere di operai delle officine e degli stabilimenti di Roma l’avessero visitata, ignoravano che il compianto Cardinale, dall’epoca lontana in cui assisteva la Società Artistica Operaia, mai aveva tralasciato di difendere gli interessi morali e materiali dei lavoratori, che Egli andava a trovare sul campo stesso della loro quotidiana fatica, come ricordano gli operai del gas e i minatori della Maremma toscana.
Propugnando le più ardite riforme sociali per diminuire – son parole sue – «quelle eccessive concentrazioni di ricchezza, spesso scandalose, perché non sempre onestamente acquistate», Egli affermò che le classi lavoratrici sono i cardini vitali della prosperità nazionale.
Finalmente, dal giorno in cui aveva servito la Patria sotto uniforme del soldato, fino all’estremo palpito della sua vita, l’Italia era stata l’oggetto dei suoi pensieri, del suo affetto, e la sua pace interna, il suo decoro e la sua giusta gloria all’estero furono l’argomento quotidiano delle sue conversazioni private e una nota sempre fremente e presente nei suoi infuocati discorsi.
E sul letto di morte, ricevendo gli estremi conforti della Fede pronunziò queste chiare parole che furono le ultime: «Offro le mie ultime sofferenze per la Chiesa, per il Papa e per la mia Italia»,
Sono certo perciò, onorevoli colleghi, di interpretare l’unanime pensiero della Camera, al di fuori di ogni divisione di parte, rendendo omaggio alla figura del Cardinale Carlo Salotti, la cui memoria resterà fra noi come modello della vita esemplare di chi ha pregato e operato, combattuto e sofferto per le fortune congiunte dell’Italia e della civiltà cristiana. (Applausi).
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. A nome del Governo, mi associo al lutto della Chiesa Romana per la scomparsa del Cardinale Salotti.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, credo di interpretare il sentimento dell’Assemblea, associandomi alle parole nobilissime dell’onorevole Corsanego, le quali seguono le condoglianze dell’Assemblea alla famiglia del Cardinale Salotti, espresse col telegramma già inviato dal Presidente onorevole Terracini, in questi termini:
«Prendendo viva parte al suo personale cordoglio, rimpiango perdita uomo eminente che nella Chiesa e fra il popolo traduceva in pratica azione gli insegnamenti e la virtù della sua fede». (Applausi).
Interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.
La prima è quella dei deputati Fusco, De Michele, Numeroso e Caso, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere i motivi che hanno determinato il recente provvedimento di sospensione del decreto di aggregazione dei mandamenti di Roccamonfina e di Mignano al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, provvedimento che procrastina, ai danni della provincia di Caserta, l’applicazione del principio costantemente seguito della coincidenza della circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa. Gli interroganti chiedono ancora di conoscere quali assicurazioni e precisazioni possa il Governo dare sulla revoca della disposta sospensione, di fronte alla grave agitazione manifestatasi nell’intera provincia di Caserta, giustificata dal fatto che recentemente, in applicazione dello stesso principio, i mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano sono stati trasferiti dalla circoscrizione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a quella del Tribunale di Napoli».
L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ricordo agli onorevoli interroganti e all’Assemblea che, con decreto luogotenenziale 11 giugno 1945, fu istituita la provincia di Caserta e che, con l’articolo 6 di questo decreto, venne autorizzato il Ministero di grazia e giustizia a disporre l’adattamento dell’ordinamento giudiziario della giurisdizione a quello che era in loco l’ordinamento amministrativo.
In base a queste disposizioni amministrative, il mio predecessore, onorevole Gullo, dispose che i tre mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano, della provincia di Napoli, che facevano parte del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ne venissero distaccati e passassero al tribunale di Napoli, in quanto che questi mandamenti non facevano più parte della provincia di Caserta, ma di quella di Napoli.
Premetto che l’unico tribunale della provincia di Caserta è quello di Santa Maria Capua Vetere. Questa dunque la situazione che io ho trovato al Ministero, in relazione a questa giusta disposizione del mio predecessore. Pertanto il tribunale di Santa Maria Capua Vetere attraverso i suoi organi rappresentativi, mi fece presente l’opportunità che i tribunali di Campobasso e di Cassino venissero aggregati a quello di Santa Maria Capua Vetere, seguendo il medesimo principio.
Infatti, il Ministero di grazia e di giustizia, seguendo questa direttiva, emanò un nuovo provvedimento con cui aggregò al tribunale di Santa Maria Capua Vetere le preture di Mignano e Roccamonfina che appartenevano al tribunale di Cassino. Questo provvedimento fu preso in ossequio a una disposizione normativa di legge; esso tuttavia ha urtato il tribunale di Cassino che è insorto contro questa che ha chiamato mutilazione della sua giurisdizione.
Di fronte, pertanto, a tale disposizione, tenendo presente che non soltanto il provvedimento non ha avuto ancora esecuzione, in quanto esso avrebbe dovuto averla soltanto il primo gennaio 1948, ma tenendo presente anche la circostanza che il tribunale di Cassino si trovava ad avere in passato una larghissima giurisdizione che comprendeva anche Gaeta e Formia, mentre poi in seguito è stato ridotto, è parso opportuno riprendere in esame la questione.
È da notarsi inoltre che Cassino è stata la città martire: non so se tutti voi, colleghi, l’avete vista, dopo questa immane guerra, nelle lacrimevoli condizioni in cui è ridotta; è infatti purtroppo una triste realtà che la guerra, per nostra fortuna liberatrice, ha recato però, purtroppo, nuove piaghe sanguinose alla nostra Italia, e Cassino ha preso il provvedimento di cui vi ho fatto parola come un’offesa al sacrificio inenarrabile da essa compiuto.
V’è inoltre un’altra considerazione ancora, ed è che è in corso lo studio di un nuovo adattamento e di nuove modifiche alle circoscrizioni amministrative, in vista del prossimo ordinamento regionale, in quanto una parte marginale del Lazio potrà staccarsi per essere aggregata alla Campania.
Per tutte queste considerazioni dunque, il Governo è venuto nella decisione di sospendere l’applicazione del provvedimento. Non si tratta di una revoca, ma della semplice sospensione di un provvedimento che dovrà andare in attuazione il 1° gennaio 1948 – c’è quindi tempo – in attesa di esaminare quello che sarà l’ordinamento amministrativo, per adattarlo a quello giurisdizionale di Santa Maria Capua Vetere.
Mi rendo conto delle lamentele di Santa Maria Capua Vetere, che da un certo punto di vista appaiono giustificate. Ma devo far notare che, trattandosi per Santa Maria Capua Vetere di un tribunale unico, esso rappresenta 500 mila persone, mentre quello di Cassino rappresenta soltanto 230 mila persone. Non credo che questa sia una ragione per modificare il principio fondamentale che le giurisdizioni amministrative devono combaciare con quelle giurisdizionali.
Dal momento che è allo studio una modificazione della situazione amministrativa, non si porta nessun pregiudizio a Santa Maria Capua Vetere se si attende qualche mese.
Di fronte a questo spirito del Governo, di mantenere fermo tutto ciò che rimarrà alla provincia di Caserta, io credo che gli onorevoli interroganti possano ritenersi sodisfatti. Tanto più che di questi tre mandamenti, uno rimane assegnato definitivamente a Santa Maria Capua Vetere.
Rimarrebbero gli altri due mandamenti. È possibile che di questi due uno, Roccamonfina, rimanga a Santa Maria Capua Vetere, mentre forse l’altro andrebbe al Tribunale di Cassino. Si tratterebbe di spostare soltanto 13 mila persone, ciò che risponde alle esigenze della popolazione, che ha manifestato il suo desiderio di essere aggregata a Santa Maria Capua Vetere, mentre il comune di Mignano è contrario, e mi ha fatto pervenire telegrammi e voti per l’aggregazione al Tribunale di Cassino.
Ad ogni modo, la questione non è per nulla pregiudicata. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sarà l’unico Tribunale della provincia di Caserta: quindi nessuna preoccupazione che il principio fondamentale, che l’ordinamento amministrativo combaci con quello giudiziario, non debba essere rispettato.
PRESIDENTE. L’onorevole Fusco ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
FUSCO. La risposta dell’onorevole Ministro non può certamente accontentare me e non fa che aumentare lo scontento della Curia del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ove gli avvocati, in numero di 350, sono in sciopero dal 17 ottobre, in segno di protesta per questo provvedimento di sospensione.
Ed il provvedimento, assai inopportuno, ha determinato uno scontento generale in tutta Terra di lavoro, che si è già manifestato con uno sciopero dimostrativo, mentre si profila uno sciopero generale provinciale.
Perché non è solo il fatto della mutilazione del Tribunale, ma si tratta di tutta una serie di ingiustizie che questa provincia sta subendo.
I gravi danni arrecati al tribunale di Santa Maria s’inseriscono in questa serie di ingiustizie. La provincia di Caserta fu soppressa dal dittatore, perché era una provincia non molto fascista, anzi niente affatto fascista. Era una delle più ampie provincie d’Italia, delle più rappresentative, delle più laboriose ed industriose, con una popolazione tranquilla e serena. Il dittatore l’abolì e per 20 anni essa fu una borgata di Napoli, alla mercè dei vari Marziale, e fu trattata come una landa deserta. Poi venne la ricostituzione della provincia, dopo 20 anni, ma non so perché, invece di ricostituire la provincia per intero, fu ricostituita a metà, quasi a far pensare che avesse avuto ragione il dittatore nel sopprimerla… per lo meno a metà! Di quello che ha subito la provincia dal 1945, dal momento cioè in cui fu ricostituita ad oggi, è inutile far parola. La provincia di Caserta reclama (e colgo l’occasione per farne vivissima preghiera al Governo) che essa non sia la cenerentola delle provincie italiane! È stata molto trascurata; l’opera di ricostruzione è rimasta allo stato iniziale, e noi invece abbiamo il diritto ed il dovere di invocare dal Governo una maggiore cura dei nostri interessi. Non abbiamo strade, che sono state riparate solo in parte; i ponti non sono stati ricostruiti; né fognatura, né edifici scolastici, né case municipali: i problemi delle irrigazioni e delle bonifiche non sono stati neppure avviati verso una sperata soluzione. Incombe poi su di noi il problema gravissimo dell’acqua potabile; ben cinquantanove comuni non hanno che qualche cisterna piovana solamente; si è progettato il grande acquedotto del Torano che dovrebbe servire Napoli e Caserta, ma per esso è preventivata una spesa di ventidue miliardi, che finora non ci è stata concessa, ed in alcuni paesi si continua, e chi sa per quanti anni ancora si continuerà a morire di sete! Abbiamo altri problemi gravissimi che non ci è stato possibile risolvere.
PRESIDENTE. Occupiamoci delle preture, onorevole Fusco.
FUSCO. Sì, occupiamoci delle preture. Abbiamo avuto un’altra ingiustizia, malgrado tutta la buona volontà del Ministro, mio illustre e carissimo amico. Devo dire che l’onorevole Grassi ha fatto di tutto per accontentarci, ma non so per quale ragione i suoi propositi sono stati frustrati. Perché non è vero che le popolazioni di quelle preture vogliono restare con il tribunale di Cassino e non intendono aggregarsi a quello di Santa Maria Capua Vetere. Tutt’altro! Io ho qui un telegramma del sindaco Pettoruti e della Camera del lavoro di Roccamonfina che telegrafano in questo senso: «Grave agitazione popolazione mandamento per timore sospensione provvedimento che aggrega questa pretura tribunale Santa Maria Capua Vetere. Poiché interessi pochi avvocati Cassino non debbono essere anteposti a quelli di queste popolazioni rurali. Eventuale sospensione o revoca provvedimento determinerebbe gravissime perturbazioni popolari».
Quindi, Roccamonfina, che aveva espresso reiterate volte questo suo desiderio, anche prima del distacco dei mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano, telegrafa in questa maniera: che cioè ci può essere un grave turbamento popolare! Quelle popolazioni, quindi, intendono essere aggregate al tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non a quello di Cassino.
Il Sindaco di Mignano, professore Albanese, mi ha scritto questa lettera, allorquando fu emesso il provvedimento di aggregazione del mandamento di Mignano al tribunale di Santa Maria Capua Vetere: «Provvedimento mi riempie di gioia e sono sicuro che assegnazione del mio mandamento al tribunale di Santa Maria Capua Vetere sarà inizio di un’era di benessere per tutti».
Quindi le due popolazioni vogliono essere con Santa Maria Capua Vetere e non con Cassino, perché ad esse conviene per ragioni di vicinanza, di traffico, di consuetudine di rapporti.
Ma io mi permetto di osservare: perché, quando noi avemmo il primo decreto di mutilazione e telegrafammo (fui proprio io) al Ministro Grassi perché si fossero sospesi i provvedimenti che aggregavano Nola, Cicciano e Acerra a Napoli, perché il Ministro, allora, quando noi osservavamo che sarebbe stato necessario rinviare ad epoca più opportuna, allorché sarebbero state determinate le Regioni, ci disse che era impossibile accontentarci perché il decreto era stato già emesso? Ora, invece si accoglie questa richieste di Cassino per gli stessi criteri che per noi furono infecondi.
Allora guardi, onorevole Ministro: è una questione di disparità di trattamento, che giustamente ha ferito il prestigio della Curia Sammaritana e l’intera provincia di Caserta, la quale si ribella contro un’ingiustizia così oltraggiosa ed ha il fermo proposito di ottenere un’adeguata riparazione.
Noi rendiamo il dovuto omaggio a Cassino. Nessuno più di noi ha compianto le sue sventure, le sue stragi, le sue rovine e i suoi dolori. Ma penso che il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, onorevole Ministro, che fu fondato nel 1808, che era il più importante tribunale dopo quello di Napoli, che nel 1860 e nel 1862 fu amputato dei territori che hanno formato i tribunali di Benevento e di Cassino, e che oggi è stato privato ancora di tre mandamenti importantissimi, riducendo così la competenza territoriale d’un tribunale dove ci sono 350 avvocati che lavorano; allora questo tribunale di Santa Maria Capua Vetere deve sempre soggiacere ad un ingiusto destino che pare voglia annullarlo e ridurlo ad una modesta Pretura!
Una volta la legge è stata applicata a danno di Santa Maria Capua Vetere: una seconda volta la stessa legge è stata applicata egualmente a danno, pur con criteri opposti e sconcordanti. Ma questa è una vera ingiustizia. Noi non meritiamo questo torto!
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Fusco.
FUSCO. Il fatto della sospensione, cioè di rinviare di qualche mese, (sappiamo che cosa sono questa sospensioni) noi non lo comprendiamo: si oppongono ragioni di carattere giuridico e morale; perché se noi, che chiedemmo al Ministro la sospensione del provvedimento di aggregazione dei tre mandamenti a Napoli, non fummo accontentati, non è giusto che tale sospensione venga invece concessa, a Cassino: le stesse ragioni da noi invocate, ma non accolte, non possono militare a vantaggio di Cassino.
Se facciamo del sentimentalismo, perché Cassino è stata città sinistrata, allora non ne parliamo più; ma se la legge deve essere applicata, e la legge va applicata, invoco che il Ministro ritorni sui suoi passi e riveda il decreto e faccia cessare questo stato di agitazione gravissima nella provincia di Caserta, soprattutto in rapporto alle esigenze locali del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che non deve essere ulteriormente mutilato e messo alla mercé dei capricci del destino o di altre interferenze che non hanno niente a che fare con la giustizia. (Applausi).
PRESIDENTE. Se non vi è nulla in contrario, passiamo all’interrogazione degli onorevoli Pesenti, Foa, Dugoni, Cevolotto, Sapienza, De Vita, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri di grazia e giustizia e delle finanze, «per conoscere le ragioni per le quali, nel procedimento per avocazione di profitti di regime promosso dall’intendenza di finanza di Roma a carico del noto profittatore e sostenitore del regime fascista, Giorgio Berlutti, editore dell’altrettanto nota «Libreria del Littorio» e di altri organismi di propaganda, che vivevano parassitariamente a carico del contribuente e dello Stato: 1°) non sia stato assoggettato a sequestro conservativo anche il giornale II Globo, di cui il Berlutti è proprietario insieme con la Federazione dei dirigenti industriali, per cui si assiste oggi allo spettacolo che il più diffuso organo economico-finanziario italiano si trova nelle mani dell’editore ufficiale del partito fascista e di uno degli scrittori di propaganda più attivi dello stesso partito; 2°) l’Avvocatura generale dello Stato non abbia validamente tutelato gli interessi dello Stato, impedendo che il sequestro già dato dal Presidente del tribunale di Roma il 1° marzo 1947 venisse revocato – limitatamente alla Casa editrice R. Carabba di Lanciano – come invece è avvenuto il 4 aprile successivo; 3°) sia stato nominato sequestratario dei beni del Berlutti, il professore Alfonso Linguiti, il quale, per i suoi trascorsi politici, meriterebbe egli stesso di essere sottoposto a procedimento per avocazione; e, infine, le ragioni per le quali il medesimo professore Linguiti non sia stato almeno sostituito, in conseguenza del fatto che non ha dato la minima esecuzione al detto sequestro, durante i 34 giorni in cui tale provvedimento è rimasto in vita, limitatamente alla Casa editrice R. Carabba».
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Risponderò io per il Ministro delle finanze.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Circa il primo punto dell’interrogazione, cioè perché non sia stata sottoposta alla misura cautelare del sequestro conservativo la società giornale Il Globo in occasione della procedura instaurata a carico del signor Giorgio Berlutti, si precisa che detta società fu costituita solo il 6 febbraio 1945, onde non poteva essere soggetta ad accertamenti per profitti di regime, ovviamente non conseguiti prima della sua costituzione, né la misura cautelare poteva essere adottata a carico della Società per la considerazione che il Berlutti ne fosse azionista, giacché, ai sensi della legislazione vigente (Decreto-legge luogotenenziale 26 marzo 1946, n. 134, articolo 32, lettera c), il sequestro dell’azienda sociale può essere richiesto solo se i nove decimi del capitale azionario siano del profittatore di regime. Il Berlutti, invece, possiede solo 240 su 600 azioni, cioè i quattro decimi di esse: pertanto, mentre il complesso dell’azienda non ha potuto essere assoggettato alla misura cautelare, tutte le azioni appartenenti al Berlutti sono state sequestrate.
Circa il secondo punto, relativo al dissequestro della Società Editrice «Carabba», disposto dal Presidente del tribunale di Roma, si precisa che il sequestro fu richiesto e fu concesso, perché dalle prime indagini era risultato che al Berlutti appartenessero oltre i nove decimi delle azioni sociali, successivamente, attraverso migliori accertamenti effettuati sulla scorta di documenti autentici aventi data certa (prontamente esibiti dalla Società a corredo del suo ricorso) risultò che la partecipazione del Berlutti nella «Carabba» non raggiungeva la percentuale richiesta dalla legge; onde il provvedimento disposto non appariva legittimo e fu revocato dal Presidente del tribunale in data 3 aprile 1947.
Il terzo punto dell’interrogazione riflette, per la prima parte, la scelta del sequestratane nominato nella persona del professore Alfonso Linguiti, il quale (al dire degli interroganti) meriterebbe di essere sottoposto egli stesso a procedimento per avocazione. Al riguardo si osserva che la scelta dei sequestratari è dalla legge rimessa alla competenza esclusiva del Presidente del tribunale, al quale sono attribuiti i più larghi poteri discrezionali. Ogni intervento al riguardo da parte dell’Amministrazione, per indurre il magistrato a revocare il provvedimento di nomina sarebbe stato perciò inammissibile.
La seconda parte riflette la mancata sostituzione del professore Linguiti, per avere egli omesso la materiale esecuzione del sequestro nei confronti della Società «Carabba», durante i 34 giorni in cui tale provvedimento è rimasto in vita. Deve al riguardo ricordarsi quanto si è detto dianzi circa la illegittimità del provvedimento di sequestro, riscontrata immediatamente dopo la emanazione di esso; illegittimità sottolineata dal Presidente del tribunale nel suo provvedimento ove si legge che, in mancanza di una diretta ragione creditoria della finanza nei confronti della «Carabba», la misura richiesta era «più che inopportuna, addirittura infondata».
Essendosi resa prontamente conto di tale illegittimità prima ancora della revoca del provvedimento, era evidentemente opportuno che l’Amministrazione desse disposizioni al sequestratario (come le ha date) di non procedere all’esecuzione del sequestro nei confronti della Società «Carabba»: e ciò, non solo per ragioni di giustizia e di stretto diritto, ma anche in considerazione delle ripercussioni che la notizia del provvedimento illegittimo non aveva mancato di produrre negli ambienti interessati. Secondo precise segnalazioni pervenute dal Ministero del lavoro, dalla prefettura di Chieti, dal Ministero dell’interno ed anche direttamente dalla Sezione di Lanciano della Camera confederale del lavoro, vivo fu lo stato di agitazione tra tutto il personale della casa editrice per la minaccia incombente del licenziamento, in conseguenza del dissesto dell’azienda, e preoccupante, anche ai fini dell’ordine pubblico, la minaccia di sciopero generale da parte di tutte le masse lavoratrici di Lanciano.
PRESIDENTE. L’onorevole Pesenti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PESENTI. L’onorevole Petrilli ha dato una risposta che, da un punto di vista strettamente giuridico, sembra dar ragione all’Amministrazione.
Ma tutta l’azione svolta dall’Amministrazione delle finanze in generale e dalla Direzione generale della finanza straordinaria in particolare, denota che gli interessi dell’Amministrazione – quindi, dello Stato – non sono stati sufficientemente difesi in questa occasione. La figura del Berlutti come profittatore fascista è ben nota anche per il fatto che tutta la sua attività è stata resa possibile da sussidi da parte dello Stato e da parte del partito fascista. Naturalmente, questo non è un motivo perché si possa contravvenire a quelle che sono le singole disposizioni della legge per l’avocazione dei profitti di regime; ma se la legge stabilisce che in una società occorre che i nove decimi siano posseduti dal socio profittatore, perché la società possa essere messa sotto sequestro, è certo che nella società Carabba, se il Berlutti possiede soltanto 950 su 5000 azioni, però ha, per mezzo di una serie di tratte e di altri crediti verso la Carabba, una posizione preminente. Ora, ben aveva fatto l’Amministrazione all’inizio chiedendo il sequestro conservativo; ed è proprio strano che l’Amministrazione stessa sia stata quella che ha spinto alla revoca del sequestro. Non corrisponde al vero infatti, che le maestranze avessero svolto un’azione per richiedere la revoca del sequestro, perché avevano già trovato una soluzione per la regolare continuazione dell’attività editoriale con la costituzione di una cooperativa che avrebbe potuto agire sotto la direzione, dal punto di vista giuridico, dell’Amministrazione che aveva emanato il sequestro. Tutta l’attività dell’Amministrazione nel complesso procedimento che noi abbiamo potuto seguire denota la precisa volontà di aiutare il Berlutti ad uscire dalla situazione, poco piacevole per lui ma giustificata per i suoi precedenti politici, nella quale si era posto. Questo è tanto più grave in quanto ha dato l’impressione che, essendo il Berlutti oggi collegato per attività editoriale ed altro a noti uomini politici della Democrazia cristiana, vi siano state delle pressioni di carattere politico perché il caso si svolgesse nel modo con cui si è svolto.
Perciò, io prego l’onorevole Petrilli di rivedere più attentamente l’azione dell’Amministrazione perché questo noto profittatore del regime non sfugga alle giuste sanzioni.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Sta bene.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Merini e Cairo, al Ministro dell’interno, «per conoscere se, di fronte alla riconosciuta impossibilità di stroncare il giuoco, illecito e clandestino, che dilaga per le città e le borgate d’Italia, non ritenga urgente e necessario regolare e disciplinare il giuoco stesso attraverso opportune provvidenze legislative, che ne convoglino gli eventuali gettiti consentiti a scopi di ricostruzione nazionale».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il giuoco d’azzardo è punito come reato dal vigente Codice penale cui potrebbe derogarsi soltanto con leggi speciali. Ora, il Consiglio dei Ministri, riesaminando la materia nella seduta del 20 dicembre 1946, ha ritenuto di non modificare le precedenti determinazioni, che davano appunto al Ministro dell’interno il preciso mandato di ordinare la chiusura di tutte le case da giuoco esistenti, fatta eccezione per quelle comunali di San Remo, Campione e Venezia, a motivo dei diritti acquisiti, in forza dei provvedimenti legislativi in base ai quali esse vennero istituite e regolate.
E poiché il diffondersi del vizio, denunziandone la gravità, non consiglia certo di favorirlo per nessuna ragione, il Ministro dell’interno ritiene doveroso intensificarne sempre più la repressione; ed in tal senso ha dato alle autorità competenti rigorose istruzioni, come del resto il Ministro dell’interno ebbe già a riferire all’Assemblea nel luglio scorso, rispondendo ad un’interrogazione dell’onorevole Benedetti.
PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MORINI. La mia interrogazione prende le mosse precisamente dalla risposta data dal Ministro dell’interno nel luglio scorso all’onorevole Benedetti.
In quella occasione il Ministro Scelba ha dovuto riconoscere l’impotenza delle autorità a frenare il giuoco clandestino e ricordava l’episodio clamoroso di Milano, che si riassume nella risposta data dal Prefetto alle disposizioni repressive impartite dal Ministro; risposta che suonava in questi termini: «non è possibile impedire che si giuochi a Mirano, perché succederebbe il finimondo». Da quella risposta del Ministro, dicevo, ha preso le mosse la mia interrogazione; non perché il Ministro dicesse qualcosa di nuovo – tutti sappiamo come dilaghi il giuoco clandestino, non represso, anzi tollerato in tutte le città e le borgate d’Italia – ma perché le parole del Ministro erano il crisma, il riconoscimento ufficiale di questa impossibilità per il Governo di evitare il dilagare del male.
Io ritengo che sia necessario uscire da questa politica di incertezza e, direi, di doppio giuoco. O noi partiamo da un criterio superiore di moralità, per cui diciamo che il giuoco d’azzardo è immorale e dobbiamo stroncarlo in tutti i modi – ed allora abbiamo due strade e dobbiamo seguirle entrambe: stroncare davvero il giuoco clandestino attraverso nuove disposizioni draconiane, che vanno dal ritiro della licenza ai vari locali che lo favoriscono, all’arresto preventivo, al mandato di cattura; eliminare inoltre anche le case così dette ufficiali, perché la morale non ammette strappi, eccezioni e deroghe; tanto più che queste case, cioè quelle di Campione, Venezia e San Remo, vivono in deroga ed in violazione stessa delle disposizioni del Codice penale; poiché nessun provvedimento, che non sia una nuova legge fatta appositamente e non una disposizione amministrativa, può derogare alle disposizioni del Codice penale; e nessuna autorità può dichiarare cosa in contrasto a questa affermazione che è una realtà giuridica: la legge speciale è una legge amministrativa, che non deroga alla disposizione del Codice penale, che vieta il giuoco d’azzardo in Italia. Ed allora, o seguire questa strada – ed aboliamo le case di San Remo, Campione e Venezia – oppure arrivare alla regolamentazione, con una legge che ci impedisca di avere il danno e le beffe; le beffe di tutti coloro i quali giocano e fanno i loro comodi e sono in genere la parte peggiore della società, perché il giuoco clandestino è in mano di avventurieri e gangsters, perché giuocano nel rischio solo gli avventurieri ed i gangsters (mi si perdoni il bisticcio). Si giuoca dappertutto e succedono di questi fatti: che si deroga alle disposizioni specifiche con la cosiddetta «tolleranza». Ricordo a questo proposito un episodio clamoroso accaduto in una stazione termale italiana, dove si giuocava con il permesso provvisorio che comportava una percentuale altissima a favore di determinati istituti di beneficienza. Ad un certo momento si è ritirato il permesso. Ebbene: la soppressione non è durata nemmeno ventiquattr’ore. Infatti nella stessa sera della giornata in cui il permesso fu ritirato, si giuocò di nuovo in un luogo distante appena cinquanta metri, senza nemmeno nascondere le luci. Si giuocava non con il permesso regolare, ma con la cosiddetta «tolleranza».
Una voce al centro. Era un permesso rilasciato dagli alleati.
MORINI. No, non era un permesso rilasciato dagli alleati. Ed unico risultato è stato questo: che quel gruppo – che giuocava con la «tolleranza» invece che col permesso normale – non dava più quel 40-50 per cento agli istituti di beneficenza ma intascava integralmente i profitti. Sono a centinaia questi episodi, i quali accadono perché con le cosiddette tolleranze concesse in varie parti d’Italia è possibile ogni supposizione ed ogni sospetto, perché è possibile ogni mercimonio. Ed allora non resta che l’altra strada, quella che noi indichiamo nella nostra interrogazione: disciplinare il giuoco stesso attraverso opportune provvidenze legislative che ne convoglino gli eventuali gettiti a scopo di ricostruzione nazionale e cioè, se c’è davvero questa insopprimibile situazione, uscendo da quella che è la forma generica della nostra interrogazione, noi proponiamo che si diano autorizzazioni a centri termali o climatici, a favore però di centri sinistrati e di enti i quali abbiano bisogno di determinati gettiti straordinari per risanare le ferite inferte loro direttamente dalla guerra. (Interruzione al centro). O aboliamo tutto o regoliamo; ma non possiamo ricorrere continuamente alle mezze misure. Ricordatevi che gli unici oppositori a questo nostro programma sono proprio coloro i quali vogliono mantenere il monopolio del giuoco – illegale monopolio – in due o tre centri d’Italia. Io sono d’accordo nell’abolire tutto, ma se dobbiamo concedere delle eccezioni, facciamo in modo che di queste profittino i centri colpiti e gli enti bisognosi senza favoritismi e senza monopoli.
Concludo, signor Presidente: se queste mie brevi osservazioni verranno vagliate, si troverà l’unica soluzione possibile, equa e giusta, che si presenta per il problema che io ho sottoposto alla vostra attenzione.
PRESIDENTE. Seguono le interrogazioni degli onorevoli:
Morini, al Ministro dell’interno, «per sapere se sono stati accertati i precedenti politici dell’attuale concessionario del Casinò di San Remo e ciò allo scopo di decidere con cognizione di causa sul visto che il Ministero deve apporre o negare alla deliberazione di concessione 17 aprile 1947 del Consiglio comunale di San Remo»;
Marinaro, al Ministro dell’interno, «per conoscere quale fondamento di verità abbiano le voci che circolano intorno alla gestione del Casinò di San Remo, e specificatamente se sia vero che quel Comune, con tre successive deliberazioni, opportunamente preordinate, abbia concesso la gestione del detto Casinò a tre diversi gruppi finanziari, attualmente in causa fra loro e con lo stesso Comune, il quale, pertanto, sarebbe esposto a notevoli danni, conseguenza ineluttabile della complessa situazione giudiziaria che si è venuta a creare. Nel caso affermativo, se non ritenga opportuno soprassedere, anche per evidenti ragioni di sana amministrazione, dal ratificare l’ultimo contratto di concessione stipulato dal Comune, disponendo senz’altro la chiusura del Casinò, o, quanto meno, se non creda di disporre una rigorosa inchiesta su tutta la situazione e sui fatti ed atti che l’hanno determinata. adottando nel frattempo i provvedimenti cautelativi del caso, allo scopo principalmente di evitare che la deplorata attuale situazione sfoci, come sarebbe assai probabile in uno scandalo di vasta proporzione»;
Sampietro, al Ministro dell’interno, «per sapere quali urgenti provvedimenti intenda prendere nei confronti degli attuali concessionari del Casinò di San Remo, delle cui attività e precedenti si sono già fatti eco sia la stampa che, alla Costituente, altri colleghi con specifiche interrogazioni».
Poiché si riferiscono allo stesso argomento, possono essere svolte congiuntamente.
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il 1° dicembre del 1945, decisa la riapertura del Casinò di San Remo, l’amministrazione comunale di quella città approvava un nuovo capitolato di oneri e indiceva una licitazione privata, a seguito della quale risultò aggiudicatario tale Candini, che peraltro la Giunta municipale dichiarava dopo decaduto e sostituiva con delibera 24 dicembre con un gruppo costituito da tali Aitano, Soldaini e Leone, nonché dalla Compagnia italiana ricostruzione e turismo – CIRT –, gruppo il quale, stipulato il 30 dello stesso mese il relativo contratto, veniva immesso nel possesso del Casinò e lo riapriva al pubblico.
Avendo però la gestione dato luogo ad alcuni rilievi che determinavano l’intervento del Ministero, al quale era stata nel frattempo sottoposta per l’omologazione la concessione della CIRT, ed avendo frattanto un altro gruppo rappresentato dalla Compagnia italiana industria turistica – CIIT – pignorato i mobili del Casinò in dipendenza di taluni crediti vantati verso due dei concessionari ed insieme avanzate al Ministero proposte di una nuova concessione, la Giunta municipale con delibera 8 dicembre 1946, adottata in via di urgenza, dichiarò decaduto il gruppo CIRT, rescisse il contratto 30 dicembre 1945 e concesse la gestione al gruppo CIIT. Tale delibera non venne però ratificata dal Consiglio comunale, non venne sottoposta all’autorità tutoria e non ebbe mai esecuzione. Per contro, il 24 marzo 1947, il Consiglio comunale demandava ad una commissione di studiare e proporre l’applicazione delle richieste ministeriali riflettenti alcune modifiche al contratto e l’osservanza di altre condizioni fra le quali l’estromissione di due dei concessionari, con l’aumento della cauzione da 100 a 180 milioni, e la formulazione di nuovi controlli.
Tale commissione riferì il 17 aprile al Consiglio il quale lo stesso giorno deliberava di accettarne le conclusioni conformi alle evidenti richieste ministeriali.
La commissione intanto aveva già curato un controllo più intenso sull’andamento della gestione del Casinò, disponendo Ira l’altro una severa e rigorosa inchiesta da parte di un ispettore generale. Da tale inchiesta, eseguita nel gennaio 1947, risultò effettivamente che la CIRT era incorsa in alcune irregolarità, non tali però – è sembrato – da rendere consigliabile la dichiarazione di decadenza. Peraltro, le irregolarità stesse, in seguito a continui controlli del Ministero, della Prefettura e del Comune, erano state gradatamente eliminate, cosicché l’inconveniente non costituì un argomento per il Consiglio comunale invocabile per negare alla CIRT la conferma della concessione. Il citato atto 17 aprile 1947 è stato così approvato il 9 giugno successivo dall’autorità tutoria e trovasi attualmente all’esame del Ministero.
Non è perciò esatto che vi siano state diverse concessioni, bensì tre diverse deliberazioni in ordine alla concessione in argomento, che può divenire operativa dopo la prescritta omologazione.
Di esse, una sola ha riportato le approvazioni tutorie che devono precedere il provvedimento di omologazione, e precisamente quella del 17 aprile 1947. Da parte sua, il Ministero, prima di adottare o meno il provvedimento e di sottoporre la concessione a nuovo limite e condizione, sta conducendo una accurata istruttoria, sia dal punto di vista della legalità degli atti come dal punto di vista del merito, data la complessità delle questioni.
PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MORINI. Non posso dichiararmi sodisfatto dopo le dichiarazioni del Sottosegretario all’interno onorevole Marazza, che non ha risposto completamente alla mia interrogazione, nei confronti della quale ha promesso di continuare a fare determinate ricerche. Ora, questa promessa non è specifica e per questo io non mi dichiaro sodisfatto. Uno degli elementi delicati delle concessioni di giuoco che lo Stato fa a determinati enti è il controllo delle subconcessioni. Infatti l’ente concessionario non ha interesse, per varie ragioni, di gestire direttamente come avviene, ad esempio, per il Casinò di San Remo, e naturalmente subconcede; però per questa subconcessione è necessario un controllo che non è soltanto morale, ma che deve essere anche un controllo politico.
Io non sono di quelli che vogliono la persecuzione dei fascisti. All’indomani della liberazione ho detto di perdonare. Riconfermo qui questa mia posizione; però dico anche, che fra plotone di esecuzione, galera ed epurazione da una parte ed i premi di centinaia di milioni dall’altra, in mezzo a queste due forme c’è tutta una gamma di tolleranza, di oblio, di perdono, ma che sia perdono senza premi.
Ora è pacifico che il subconcessionario di San Remo è una delle «belle figure» del fascismo venticinquennale. Dalle stesse ricerche fatte, al Ministero dell’interno è risultato che questo concessionario era uno dei fedeli di Mussolini, che già nel 1924 è stato chiamato all’Ufficio stampa del Ministero dell’interno da dove è passato al Gabinetto particolare del Sottosegretario di Stato Teruzzi; successivamente all’Ufficio stampa di Mussolini; poi al Tevere come Direttore amministrativo; poi Segretario generale del Comitato italo-tedesco dell’autarchia; poi mandato da Mussolini in Albania come consigliere di Verlaci, eppoi passato al Consiglio Nazionale delle ricerche come rappresentante di Mussolini. A tutto ciò aggiungo tre domande: è stato anche fascista repubblichino? È il libellista «Ignifer» contro gli ebrei? C’è una diffida della Questura di Roma nei suoi confronti, perché non si interessi più di affari? Su queste tre domande il Ministro dell’interno farà opportune ricerche e dirà se è vero, o no.
Ora, ufficiosamente, mi si è detto: «Tutte queste cariche che hai denunciato sono, in definitiva, legate al fatto che era funzionario del Ministero dell’interno» Esatto. Però io dico che per dare queste cariche ad un funzionario si è evidentemente cercato un funzionario fascista. Anche mio padre era un funzionario – ma non fascista – e finì in altro modo. Migliaia e migliaia di funzionari non fascisti non sono finiti con quelle cariche. Quindi, questa carica è il termometro del fascismo di quelli che venivano scelti appositamente per questo loro merito.
Io ripeto che non è assolutamente possibile consentire concessioni – che danno 100 milioni al mese al subconcessionario – ad individui di questa specie. E questo per una infinità di ragioni, che potrebbero anche essere queste: che queste centinaia di milioni possono anche finire a certe organizzazioni contro le quali dovremo fare prossimamente una legge apposita, la legge per la difesa della Repubblica.
Finirò con alcune osservazioni, signor Presidente. Il problema non è un problema personale: non so chi sia questo subconcessionario, non ho niente contro di lui. È un problema di ordine generale. Il fascismo è stato posto in essere, si è detto, per determinati eccessi di certi circoli della sinistra. Accetto la formulazione, a patto che si interpreti in questi termini: che certi eccessi spostano verso questo fascismo – che nasce per ragioni proprie, ovunque c’è da difendere il privilegio – determinate categorie che non sarebbero fasciste. Ma, signori del Governo, il fascismo è nato allora e può rinascere, soprattutto per l’impressione di debolezza che diamo attraverso questi fatti. Se nel 1919 – permettetemi la digressione – il Partito socialista avesse risposto alla distruzione dell’Avanti con la distruzione del Popolo d’Italia, forse gli eventi avrebbero preso un altro indirizzo.
Non dobbiamo dare questa impressione di debolezza, perché sarebbe criminoso e colpevole.
Concludo, signor Presidente: io affido al Sottosegretario all’interno il controllo rigoroso dei fatti che ho denunciato e dico al Sottosegretario e al Ministro dell’interno che non si deve, non si può dare una autorizzazione di giuoco a uomini che hanno questi precedenti politici.
PRESIDENTE. L’onorevole Marinaro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MARINARO. Io non mi occuperò degli uomini che sono interessati a questo sciagurato affare. Penso, è anzi mia convinzione, che si tratti di una unione di vampiri, dai peggiori precedenti politici e morali, scaraventatisi addosso a questo affare di San Remo in cerca di lauti e disonesti guadagni.
Ma questa è cosa che non mi riguarda direttamente.
Io intendo occuparmi della faccenda sotto l’aspetto prevalentemente amministrativo, e domando: come è mai possibile che l’Amministrazione comunale di San Remo in soli sette mesi abbia potuto adottare tre diverse e contraddittorie deliberazioni? S’intende, onorevole Sottosegretario, che la concessione è una; ma le parti sono diverse e le condizioni cambiano, di guisa che abbiamo avuto che quella primitiva deliberazione – con la quale ancora sotto l’Amministrazione alleata veniva concesso l’appalto della gestione di San Remo al primo gruppo finanziario – è rimasta in vita per sette mesi in attesa che intanto il Ministero dell’interno desse la sua ratifica, indispensabile, perché, nel frattempo, la città di San Remo era passata sotto l’amministrazione del Governo italiano. Il Ministero dell’interno attende ben otto mesi e non si pronunzia; e intanto quella autorizzazione, con relativo contratto, ha piena esecuzione. A distanza di otto mesi, il Ministero finalmente interviene e fa sapere che potrebbe ratificare soltanto se alcuni componenti del gruppo finanziario venissero estromessi.
Intanto, per tutta risposta, il Consiglio comunale di San Remo plaude a quella gestione e si augura che le cose vadano sempre nello stesso modo. Ma a dicembre, a distanza cioè di tre mesi, muta la scena e la Giunta comunale – non il Consiglio, si noti, che soltanto sarebbe stato competente – ma la Giunta comunale, in via di urgenza, adotta una deliberazione con cui estromette il primo gruppo e dà a un nuovo gruppo finanziario la concessione, gruppo di cui fa parte un torbido speculatore, cui alludeva poco fa l’onorevole Morini. Questo signore si era messo d’accordo infatti con questo successivo gruppo finanziario e, unitosi con dei prestanome – richiamo particolarmente su ciò l’attenzione dell’onorevole Sottosegretario – con i prestanome di un ordine religioso che i primi concessionari avevano finanziato, rimanendo poi delusi nelle loro aspettative, tanto che successivamente avevano creduto opportuno di intromettersi nella gestione del Casinò di San Remo, attraverso dunque, dicevo, questi prestanome, la concessione passa a questo secondo gruppo finanziario.
E intanto il Consiglio comunale è chiamato a ratificare la deliberazione presa in via di urgenza dalla Giunta, ma di fatto la respinge: ciò avviene precisamente dopo due mesi.
Successivamente si giunge alla deliberazione del 17 aprile in base alla quale la concessione per la gestione del Casinò viene data a un terzo gruppo finanziario nel quale entra e rimane sempre quel tale mestatore che ha creato tutta questa difficile situazione sfociata in uno scandalo evidente e di cui si parla dovunque.
Questa deliberazione oggi, a distanza di sei mesi circa, non è ancora stata ratificata dal Ministero dell’interno, il che dimostra che lo stesso Ministero non sa che via scegliere di fronte a così intricata situazione. Ma sta il fatto che, di fronte a questi contratti intorno ai quali sono sorte niente meno quarantasette cause, nelle quali è stato chiamato come responsabile lo stesso Comune e per le quali il Comune è esposto a danni notevolissimi, nonché infine di fronte a ben tre ricorsi dinanzi al Consiglio di Stato, sta il fatto, dicevo, che il Ministero dell’interno non prende ancora l’unica decisione che veramente si impone: quella cioè di chiudere il Casinò di San Remo, anche per considerazioni inerenti alla pubblica moralità, e di disporre una rigorosa inchiesta la quale accerti quali sono stati i fatti che hanno dato luogo a tale incresciosa situazione.
Io mi auguro, pertanto, che l’onorevole Sottosegretario per l’interno vorrà scegliere questa via.
Non è possibile continuare senza compromettere la dignità, il prestigio, il decoro della pubblica amministrazione; non è possibile che si continui a far gestire il Casinò di San Remo in questa complicata situazione giudiziaria e morale senza che il Ministero ne esca menomato nel suo prestigio.
PRESIDENTE. L’onorevole Sampietro ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SAMPIETRO. Dopo quanto è stato detto dagli onorevoli Morini e Marinaro non ho che da insistere perché venga accolta dal Ministero dell’interno la proposta, se si vuole draconiana, della chiusura per un’inchiesta. E se proprio ciò non fosse possibile o non fosse consigliabile anche per motivi non di ordine pubblico, ma economici, per i dipendenti della organizzazione in San Remo, sarebbe desiderabile che si arrivasse senz’altro all’inchiesta, tanto più che qui si è fatta una precisazione, cioè quella relativa ad un ex alto funzionario del Ministero dell’interno, il quale ex funzionario aveva rapporti nello stesso Ministero dell’interno, da dove egli ha tratto appoggi per poter manovrare e in Roma e fuori di Roma, e particolarmente alla periferia, in San Remo e in quella stessa provincia: sicché dal primo gruppo egli ha potuto passare nel secondo e poi nel terzo, e sia del secondo che del terzo essere il «manovratore».
Per cui concludo, raccomandando ed insistendo perché il Ministero dell’interno provveda a questa inchiesta, che, se vuole essere completa e vuole essere tranquillante, dovrebbe essere collegiale, cioè di più di una persona.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Se l’onorevole Sampietro, accennando ad amicizie di uno dei concessionari con funzionari del Ministero dell’interno, avesse avuto – cosa che non credo – l’intenzione di gettare l’ombra di un dubbio qualsiasi sulla correttezza dell’ufficio che se ne occupa, io debbo vivacissimamente protestare.
MARINARO. Non è più in servizio quel funzionario.
SAMPIETRO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SAMPIETRO. Chiarisco subito: non si tratta di funzionari di carriera, in servizio; si tratta di persona già allontanata dal Ministero dell’interno; comunque, non dell’ufficio del Sottosegretario Marazza.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Colgo l’occasione per riaffermare nel modo più preciso e solenne che i funzionari che si incaricano delle concessioni sono degnissimi della fiducia che in loro ripone il Governo.
SAMPIETRO. Appunto per questo noi insistiamo perché l’inchiesta venga svolta dal Ministero dell’interno e non da altri Ministeri.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Costa, Bettiol, Merlin Angelina e Gui, ai Ministri dei lavori pubblici, della pubblica istruzione e del tesoro, «per sapere se sia vero che, mentre è già stato promulgato e pubblicato un decreto legislativo del Capo dello Stato, che proroga il termine per l’esecuzione del piano regolatore della città di Ferrara, viceversa non si intenda provvedere per analoga proroga del termine, scadente il 31 luglio, di esecuzione del piano regolatore della città di Padova, e ciò su invito, non prescritto, della Ragioneria generale dello Stato, mentre il Ministero dell’istruzione ancora non ha dato il parere prescritto di competenza propria».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Ministero del tesoro in un primo momento si era preoccupato delle conseguenze onerose che la esecuzione del piano regolatore di Padova, al pari di quello di altre città, poteva determinare a carico del bilancio dell’ente interessato, attualmente notevolmente deficitario, e di riflesso a carico del bilancio dello Stato. Successivamente, avendo il Ministero dei lavori pubblici prospettato gli inconvenienti che sarebbero derivati dalla mancata concessione della proroga, specie per le prevedibili vertenze con i proprietari di cespiti già espropriati, e avendo fatto altresì presente che i lavori di piano regolatore vengono attuati gradualmente (bene inteso in relazione alle possibilità finanziarie degli enti) il Ministero del tesoro ha aderito alla proroga dei termini proposta per taluni comuni e non ha difficoltà ad aderire a quella del piano regolatore di Padova.
PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
COSTA. Io potrei dichiararmi sodisfatto. Senonché l’onorevole Sottosegretario ha concluso dicendo che non avrebbe difficoltà ad aderire. M’interessa sapere se e quando aderirà.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Appena il Ministero dei lavori pubblici ci richiederà nuovamente l’adesione. Perché in un primo momento, il Ministero dei lavori pubblici aveva chiesto l’adesione e, come ho detto, il Ministero del tesoro si era opposto. Ora, anche in via breve, personalmente, ho fatto sapere al Ministero dei lavori pubblici che il Ministero del tesoro aveva cambiato opinione e avendo già dato l’adesione pel piano regolatore di Ferrara, e per quello di Como, non aveva nessuna difficoltà a dare l’adesione anche per quello di Padova.
Ho parlato personalmente ieri mattina col Capo di Gabinetto del Ministro dei lavori pubblici precisando che il Ministero del tesoro avrebbe dato immediatamente la propria adesione ad una nuova richiesta del Ministero dei lavori pubblici, e il Capo di Gabinetto mi ha assicurato che avrebbe fatto pervenire la richiesta formale, così da provocare la risposta in senso positivo.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole La Rocca, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per conoscere in base a quale utilità reale e alla stregua di quale criterio di opportunità, si consente, in una città come Napoli, colpita, forse, come nessun’altra città italiana dalla crisi delle abitazioni, l’abolizione del Commissariato degli alloggi. Anche ad ammettere che tale Commissariato, per colpa o per debolezza di diligenti, non abbia funzionato sino ad oggi come sarebbe stato desiderabile, resta sempre il fatto, certissimo, che l’abolizione del Commissariato non significa e non può significare altro se non il dare mano libera agli speculatori, i quali, profittando delle circostanze, fanno salire alle stelle i prezzi di un qualsiasi piccolo appartamento e provvedono di un alloggio, sia pure a condizioni usuraie, i ricchissimi, cioè quelli che hanno rubato e rubano al mercato nero, e condannano a rimanere sul lastrico i lavoratori onesti e senza casa che, non ostante la migliore loro volontà, non hanno modo di alimentare lo strozzinaggio e sodisfare l’ingordigia insaziata di taluni proprietari, affittuari, mediatori e speculatori d’immobili urbani».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. La mia risposta sarà necessariamente più breve dell’interrogazione. (Si ride). Infatti l’abolizione del Commissariato degli alloggi nella città di Napoli è dovuta alla delibera con la quale quella amministrazione comunale ha deciso di non avvalersi della facoltà concessale dal decreto legislativo 30 giugno 1947 n. 458 ed ha deciso di non chiederne la proroga. Né può il Ministero dell’interno provvedere comunque in contrasto con la delibera stessa, bensì unicamente attendere, come sta di fatto attendendo, all’adozione di mezzi idonei per alleviarne almeno i più gravi inconvenienti, cioè gli sfratti non giustificati.
PRESIDENTE. L’onorevole La Rocca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
LA ROCCA. Mi rendevo perfettamente conto, onorevoli colleghi, di ciò che l’onorevole Sottosegretario per l’interno avrebbe detto al riguardo.
So benissimo che le grandi città hanno la facoltà di mantenere o meno il Commissariato degli alloggi. Ma, pure ammettendo che il Commissariato a Napoli, forse per deficienze, per debolezze, per colpa di uomini, non ha funzionato come sarebbe stato desiderabile, osservo che esso costituiva quanto meno un freno alle speculazioni e rappresentava nello stesso tempo una speranza per coloro che vanno alla ricerca di un appartamento, e trovarne uno a Napoli è divenuta una cosa quasi impossibile.
Ma ho voluto cogliere l’occasione per richiamare seriamente l’attenzione del Governo sul grave problema edilizio napoletano, perché, se non si riesce entro breve tempo a dare alla popolazione di Napoli (che supera già il milione) uno sfogo al problema edilizio, questa situazione rischia di esplodere in manifestazioni poco liete, sia dal punto di vista igienico, sia dal punto di vista etico, sia dal punto di vista sociale.
Desidero informare il Governo e tutta l’Assemblea della gravità della situazione dal punto di vista del sovraffollamento, che a Napoli sale al due per cento per ogni stanza, dal punto di vista medio, cioè come valore intermedio fra distanze grandissime, nel senso cioè che non è che due persone abitino in una stanza a Napoli, ma a Napoli esiste il doppio, quanto a persone, dei vani disponibili.
Il Governo sa benissimo che nel 1931 furono fatti dei rilievi al riguardo nei maggiori centri urbani e da questi rilievi (chiedo scusa se debbo dare troppo spesso la parola alle cifre) apparì che la concentrazione a Napoli è veramente enorme e preoccupante. Più della metà della popolazione, cioè il 55,8 per cento, beneficia di un solo quarto delle abitazioni (25,6 per cento), mentre la residua parte della popolazione, corrispondente a meno della metà – il 42,2 per cento – beneficia di 3/4 delle abitazioni (74,2), in questo senso: che mentre nei quartieri signorili c’è la possibilità che una persona abiti in una stanza o magari in due, tre, quattro, cinque, nei quartieri popolari c’è un ammassamento che veramente preoccupa ed allarma dal punto di vista igienico, dal punto di vista morale, dal punto di vista sociale, con diciotto persone in una stanza.
La situazione, che si dimostrò già insostenibile, specialmente nel confronto delle altre città, nelle quali la concentrazione apparve notevolmente inferiore, è tale che, mentre a Napoli è del 0.30, a Roma è del 0.20, a Milano del 0.14, a Torino del 0.11, a Genova del 0.4; differenze che diventano ancora più serie quando vengano messe in rapporto col grado medio di affollamento di ciascuna città.
E il distacco appare con maggiore evidenza attraverso un procedimento di riduzione della situazione della città di Napoli in confronto alle altre città: risulta infatti che per sistemare la popolazione napoletana, rispetto alla stessa situazione in atto a Roma nel 1931, sarebbe stata necessaria la costruzione di almeno 130.000 vani nei riguardi di Roma; nei riguardi di Milano (cioè, per adeguare la situazione di Milano a quella di Napoli) sarebbe occorsa la costruzione di 204.000 vani; per quella di Torino ne sarebbero occorsi 253.000; per raggiungere le condizioni medie di affollamento esistenti a Genova, sarebbero stati necessari altri 500.000 vani.
Cosicché la situazione è chiaramente espressa da questo quadro: a Napoli nel 1931 vi era un affollamento di 1.89 per stanza di fronte ad 1.36 per Roma, 1.22 per Milano, 1.13 per Torino e 0.80 per Genova.
Questa situazione, che non è stata in alcuno modo modificata con le successive costruzioni, cioè con quei 25 mila vani costruiti a Napoli dopo il 1931 e che non hanno nemmeno in parte rimediato alle demolizioni avvenute, per una specie di bonifica nel centro della città ai rioni della Carità e al rione Flegreo, con lo scoppio della guerra, è venuta ad aggravarsi, perché sono stati distrutti oltre 60 mila vani nei quartieri adiacenti al porto, alla zona industriale e alla ferrovia; onde la popolazione lavoratrice di Napoli, che abita in questi quartieri, è stata costretta a stringersi nei rioni vicini. A Napoli si ha, quindi, questa situazione: che nei bassi, nei fondaci abbiamo fino a 18, 19, 20 persone in un vano, in un vano dove dormono marito, moglie e figli maschi e femmine delle più diverse età con tutte le conseguenze che ne derivano e su cui non credo sia il caso, per ovvie ragioni, di insistere. Quello che nasce da questa situazione, dal punto di vista igienico, credo non sia il caso di ricordarlo. Basta dare un’occhiata alla statistica, basta ricordare puramente e semplicemente questo; che mentre a Napoli la mortalità per tubercolosi nel 1942-43 costituiva 1,03 di tutte le cause di morte; diventa nel 1944, 1,49; nel 1945, 1,83; nel 1946, il 2 per cento delle cause di tutte le mortalità, e mi pare che questi indici siano più eloquenti di qualsiasi discorso si possa compiere al riguardo, e credo che sia anche opportuno che l’Assemblea e il Governo in particolar modo, siano informati di questo: che vi sono sezioni come Porto, Mercato, San Lorenzo, San Ferdinando, Poggioreale, dove noi giungiamo a un affollamento medio di oltre tre persone per stanza, intendendo, come ho già chiarito, per affollamento medio una specie di cifra intermedia fra valori quanto mai distanti.
Ritengo che il Governo abbia il dovere di sostituire qualcosa a Napoli all’abolito Commissariato alloggi, anche se la legge dà puramente e semplicemente all’Amministrazione questa facoltà. Credo che a Napoli nella condizione in cui essa è oggi, qualche cosa debba esistere per regolare non solo la questione degli sfratti, ma per dare un quartino o un appartamento a chi è senza tetto (e sono centinaia di migliaia di persone), se non altro per arginare, infrenare la speculazione, che raggiunge veramente proporzioni spaventose, proporzioni inaudite.
Credo che il Governo, oltre a dare questa facoltà con provvedimenti eccezionali al Prefetto o ad altri, debba assolutamente, senza lesine, né cavillamenti, intervenire con energia, allo scopo di provvedere alle gravi necessità di Napoli, per la salute stessa della città, che non accetta più di essere luogo di dimenticanza cantato dalle sirene, ma vuole riprendere il suo compito di guida e faro del Mezzogiorno; e non può assolvere questo suo ruolo se è ridotta in condizioni così miserande sotto l’aspetto edilizio. Credo che per la salute dei napoletani, e per l’interesse sociale, per la ricostruzione e ripresa economica della grande città e di tutto il Mezzogiorno, bisogna risolvere urgentemente questo problema, sostenendo tutti gli istituti di costruzione, tutti gli istituti di case popolari, aiutandone le iniziative private, regolando il mercato, disponendo, dal punto di vista patrimoniale, di esentare da ogni imposta le nuove costruzioni, cercando di adottare tutti quei provvedimenti che valgono ad aiutare questa grave situazione nell’interesse di Napoli e nell’interesse del Mezzogiorno. Il problema dev’essere posto sul piano nazionale. Napoli è l’anello di congiunzione tra nord e sud: ed è una delle leve più potenti per la rinascita del nostro Paese.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Gasparotto, al Ministro degli affari esteri, «per sapere quale azione abbia svolta o intenda svolgere ulteriormente per ottenere la liberazione degli italiani deportati in Jugoslavia, la cui sorte tristamente ignota – come dice il recente messaggio ricevuto dall’interrogante – da ventisei mesi cagiona lutti e miserie indicibili».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha facoltà di rispondere.
BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. La dolorosa questione degli italiani deportati in Jugoslavia dalla Venezia Giulia è stata sin dal maggio 1945 oggetto della più viva attenzione da parte del Ministero degli affari esteri, che in mancanza di normali rapporti diplomatici con il Governo di Belgrado, si è valso di ogni possibile tramite, al fine di ottenere la loro restituzione od almeno precise notizie sulla loro sorte. In particolare vanno rammentate le ripetute pressanti richieste di intervento rivolte alle Autorità alleate, alle quali da ultimo, nel dicembre 1946, e nel gennaio 1947, vennero trasmesse, per quei passi che esse potessero compiere a Belgrado, elenchi di deportati compilati a cura del Ministero. Passi vennero pure compiuti tramite la Croce Rossa, il Vaticano e direttamente presso la Rappresentanza Diplomatica Jugoslava in Roma.
Recentemente questa Legazione di Jugoslavia presso il Vaticano ha incominciato a fornire qualche notizia su alcuni dei nostri connazionali, che dalle autorità competenti jugoslave sono stati segnalati detenuti in carcere per scontare la pena loro inflitta da tribunali jugoslavi.
In seguito alla recente ripresa delle relazioni diplomatiche con la Jugoslavia, è stato provveduto a fornire la Legazione in Belgrado di tutta la documentazione in materia e degli elenchi dei deportati o internati, affinché essa possa interessarsi dei singoli casi ed esaminare di nuovo la questione nel suo complesso, attraverso contatti diretti con il Governo jugoslavo.
Assicuro che la questione è tenuta vivamente presente dal Governo italiano, e che anche recentemente sono state inviate istruzioni alla Legazione d’Italia in Belgrado affinché intensifichi la sua azione in vista di una soluzione che possa placare l’ansia di tante famiglie, che è condivisa da tutto il popolo italiano.
PRESIDENTE. L’onorevole Gasparotto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
GASPAROTTO. Prendo atto della sobria risposta del rappresentante del Ministero degli esteri. Prendo atto, più di quello che ha detto che è stato fatto, di quello che promette di fare. Comprendo la gravità e la delicatezza dell’argomento, e mi propongo di parlarne con meditata prudenza per non fare torbide acque già agitate. Si è detto da qualcuno che su questo tema penoso meglio si conviene il silenzio. Ma io non potevo non raccogliere il grido di migliaia di madri che, direttamente, o a mezzo del Comitato dei deportati giuliani, hanno fatto giungere la voce fino a me, dopo aver bussato invano alle porte del Ministero degli esteri. Queste madri hanno il diritto di sapere quello che è avvenuto dei loro figli. Il Comitato dei deportati giuliani mi scrive da Gorizia in data recente: «Non vi è famiglia italiana nelle nostre terre che non sia da ventisette mesi nella più crudele incertezza sulle sorti del suo caro, parente, affine o amico, strappato in una notte angosciosa del maggio 1945 al suo focolare, incarcerato senza ombra di colpa e condannato a un destino tanto più pauroso quanto più ci rimane ignoto».
Un’altra madre italiana da Milano scrive: «sono Edvige Barbieri, una disperata madre italiana che si rivolge al vostro cuore perché mi aiuti a sapere cosa è avvenuto di mio figlio, il Guardiamarina Eugenio Barbieri nato a Fiume il 22 ottobre 1923, dove aveva conseguito il diploma di Capo mercantile all’Istituto nautico. Si trovava nell’aprile 1945 al Comando italiano di marina a Pola. Da notizie del cappellano militare ho saputo che fu fatto prigioniero. Da allora nulla ho più saputo della sorte di questo mio figliuolo».
La moglie di un senatore italiano, la signora Lidia Bacci Urbani, dice: «È necessario che in Italia sorga qualche voce perché l’angoscia delle madri possa essere placata, perché possa essere placato il mio dolore e possa avere notizie del mio amatissimo consorte. Egli è il senatore Icilio Bacci. Arrestato il 21 maggio 1945 (leggo soltanto la parte sostanziale ed ometto le parole più amare) e detenuto nel carcere di Fiume fino al 10 agosto dello stesso anno, fu trasportato poi in luogo ignoto, per essere sottoposto a processo. Dove lo portarono? Che cosa è avvenuto? Egli è vecchio e ammalato… Non è umano che una famiglia debba restare nella più angosciosa ignoranza, né si possono far scomparire le persone senza renderne conto. Non voglio parlare della personalità di mio marito, delle doti sue di uomo e patriota: dirò soltanto che era ed è un italiano, di cui qualcuno deve rispondere».
Icilio Bacci era un fascista, fascista dissidente. In onore alla sua memoria – perché certamente non è più – posso ricordare che non ha aderito al governo repubblichino. È rimasto al suo posto quale preside della Provincia del Carnaro che lui stesso aveva fondata. Ma fascista o non fascista, era un italiano, e il Governo italiano deve difendere tutti i suoi cittadini, perché le madri non possono rinnegare i propri figli.
Perciò, le madri italiane hanno il diritto di sapere se i loro figli sono morti, hanno diritto di sapere perché sono morti, quando sono morti, dove sono morti o dove, almeno, sono sepolte le loro ossa. Se non sarà dato, a tanta distanza di tempo, di poter recuperare le salme, esse hanno diritto di vedersi almeno restituite le ossa.
I cimiteri del confine orientale, il cimitero del mio paese, a tanti anni dalla fine del primo conflitto mondiale, sono tutti pieni di fosse di morti tedeschi e jugoslavi. Noi li conserviamo ancora intatti questi morti, perché le madri possano venire quando vogliano, a riprenderli. Domandiamo che altrettanto sia fatto al di là del confine. Noi abbiamo aperto procedimenti, in obbedienza al trattato di pace, contro gli italiani criminali di guerra: avremmo diritto di domandare reciprocità di trattamento anche contro altri criminali che hanno infierito ed hanno soppresso nostri cittadini senza processo, sospetti di una sola colpa, quella di essere italiani. Ma, signori, troppo dolore e troppe delusioni ci ha dato questa guerra.
Passando l’altro giorno sulla strada di Trieste, alle foci del Timavo, non ho più ritrovato l’erma di pietra che ricordava i morti della Terza Armata. È stata distrutta. Eppure gli eroi della Terza Armata erano morti non per la nostra libertà soltanto, ma anche per la libertà degli jugoslavi. (Applausi).
Domando che la pietra venga rimessa al suo posto. A Trieste, la cella di Oberdan, dove il martire passò le sue ultime ore, per troppo tempo, e non dagli jugoslavi, è stata trasformata in un magazzino di viveri per le truppe alleate. Domando se sia stata riconsacrata.
Nessuno più di me è lontano da alimentare spiriti nazionalistici; ho già detto che la mia stessa origine mi porta ad auspicare con fierezza di animo la riconciliazione col vicino popolo jugoslavo. Ma per ritornare amici, come eravamo un tempo e come intendiamo di ritornare, per riaffratellare gli uomini nella pacifica convivenza dei popoli, occorre che non qui, ma anche al di là dell’Isonzo sia ristabilita la giustizia, e siano rispettate le nostre memorie. Occorre, soprattutto, che sia ristabilito il rispetto alla vita umana, che la storia di tutto il mondo ci insegna essere il termine di passaggio dalla barbarie alla civiltà. (Vivi applausi).
BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BRUSASCA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo replica all’onorevole Gasparotto assicurando che tutti i passi possibili sono stati tentati e saranno compiuti nel futuro.
Invito, tramite l’onorevole interrogante, le famiglie che si sono rivolte a lui e gli altri interessati a fornire dei dati precisi, perché molte volte il Ministero degli affari esteri si trova nella impossibilità di andare incontro alla loro richieste, perché vengono trasmessi dei dati assolutamente insufficienti.
Posso aggiungere che da comunicazioni fatte al Governo risulta che la Jugoslavia ci segue in questo nostro desiderio; il nostro Ministro ed i funzionari che sono a Belgrado – ai quali rendo omaggio per gli sforzi compiuti in questo primo tempo – hanno fatto opera veramente feconda. Ma il compito è molto complesso, anche per le vicende della guerra e la situazione dei luoghi del vicino Stato.
L’appello alla concordia ed alla conciliazione, che l’onorevole Gasparotto ha rivolto in questo momento alla Jugoslavia, sono certo avrà eco favorevole; trasmettendolo, il Ministero degli affari esteri aggiungerà le invocazioni delle madri e dei parenti dei deportati per far sì che questo elemento, che può essere ancora di dissenso, abbia a cessare per la piena riconciliazione tra noi e il popolo vicino, che vivamente auspichiamo. (Applausi).
GASPAROTTO. Ringrazio.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Arata, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’industria e commercio, dei trasporti e dell’agricoltura e foreste, «per sapere se non ritengano necessario ed urgente intervenire, con adeguati provvedimenti, nel grave problema del rifornimento della legna da ardere per il riscaldamento invernale. Questo problema – al pari di quello della persistente ascesa dei prezzi dei generi alimentari – si vien facendo ogni giorno più angoscioso e allarmante, specie per certe categorie della popolazione, prive delle possibilità economiche che consentano loro di fronteggiare i prezzi della legna, avviati a continuo vertiginoso aumento. Ai fini anche del mantenimento dell’ordine pubblico, che verrebbe certamente ad essere, un giorno, turbato, sembra rendersi indispensabile un superiore intervento anche nel campo dei trasporti ferroviari, una parte dei quali dovrebbe essere riservata al rifornimento di determinate collettività particolarmente bisognose».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio ha facoltà di rispondere.
CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. La larga incetta di legna, fatta in tutte le zone di produzione, con conseguente notevole rincaro del prezzo, è stata prevalentemente determinata dal timore che nella prossima stagione invernale la quantità di combustibile fossile a disposizione per il riscaldamento ad uso civile sarebbe risultata assolutamente insufficiente rispetto alle necessità, specie delle Regioni settentrionali, e pertanto da integrarsi con legna da ardere di libero acquisto sul mercato nazionale.
La nota decisione di massima del Comitato carboni del 31 luglio scorso di accantonare una massa di un milione di tonnellate di combustibili fossili da ripartirsi fra le diverse provincie in relazione alle rispettive necessità nel prossimo inverno – decisione resa esecutiva con la circolare 124 del 25 agosto 1947 del Ministro industria e commercio – risolvendo sostanzialmente il problema del riscaldamento, ha costituito una remora ed ha esercitato una sensibile azione normalizzatrice sul traffico affannoso che la speculazione, facendo leva sulle preoccupazioni diffuse in larghi strati della popolazione, ebbe a provocare nel mercato della legna da ardere.
Si deve anche ritenere che il migliorato andamento dei rifornimenti di combustibili fossili sia destinato ad incidere sull’assorbimento della legna effettuato da parte di alcuni settori industriali, con conseguente aumento della disponibilità per gli usi civili.
Ciò premesso, per ora si esclude che da parte del Ministero dell’industria e commercio, attualmente orientato verso lo sblocco dei combustibili nazionali, si disponga per il ripristino della distribuzione della legna col sistema delle assegnazioni. Qualora particolari situazioni locali in rapporto al problema in argomento richiedessero l’adozione di temporanei provvedimenti di emergenza, dai Prefetti interessati potrebbe venir richiesto al Ministero dell’industria l’autorizzazione a disporre il blocco sulla esportazione di limitate quote di legna da ardere per il soddisfacimento delle esigenze del consumo locale.
In merito poi alla preoccupazione dell’onorevole interrogante, relativa alla opportunità di riservare i mezzi di trasporto per rifornimento di legna a determinate collettività, si precisa che il Ministero dei trasporti, con circolare in data 10 giugno 1947, inviata a tutti i Prefetti dell’Alta Italia, ha provveduto al regolamento di detta materia. Le richieste di tali mezzi di trasporto sono cioè state accettate e si accettano soltanto se il destinatario sia un ente comunale, oppure assistenziale, oppure ospedaliero, oppure ditta di riconosciuta importanza, che acquisti la legna per le proprie maestranze. Le richieste stesse debbono presentarsi alla Direzione generale delle Ferrovie dello Stato per il tramite dei Prefetti delle provincie, nelle quali è destinata la legna. I Prefetti debbono offrire poi la garanzia che la legna verrà effettivamente utilizzata dagli enti suddetti e ciò allo scopo di evitare la speculazione privata.
PRESIDENTE. L’onorevole Arata ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
ARATA. Prendo atto volentieri della risposta dell’onorevole Sottosegretario per quel che riguarda le disposizioni del Ministro in relazione all’eventuale emergenza che dovesse verificarsi in certe località, per cui possa essere ritenuta opportuna qualche provvidenza di carattere straordinario per approvvigionarle di legna.
Prendo atto appunto di questa porta lasciata aperta, per far presente che in realtà quest’emergenza, per talune località, deve già considerarsi avverata. Per quanto riguarda i ribassi di prezzo nella legna, mi auguro che la mia interrogazione possa presto considerarsi superata dagli eventi.
Però, onorevole Sottosegretario, è pure un fatto che oggi la legna ha ancora un prezzo altissimo per certe categorie e per certi portafogli. Non solo, ma è anche vero che il carbone in certe città non fu potuto ancora distribuire. Ormai il freddo ha incominciato a mordere. È bene, specie per quel che riguarda il carbone, che l’onorevole Ministro si preoccupi di venire incontro il più possibile ed il più presto possibile, alle categorie più bisognose, non solo tenendo d’occhio le grandi città – ed è questa la mia preoccupazione, onorevole Sottosegretario – ma anche le piccole città. Infatti anche le maestranze operaie ed i dipendenti di enti pubblici di piccole città soffrono di questa situazione, come nei grandi centri. Su questo punto mi sembra che vi sia qualche lacuna nelle provvidenze adottate dal Governo.
A Piacenza, per esempio, non fa meno freddo che a Torino o a Milano, e la vita non è meno cara che a Milano, a Torino e a Genova: anzi, proprio stamattina mi diceva il prefetto che essa è una delle città dell’Alta Italia dove la vita è più cara. Gli operai di Piacenza e gli impiegati del comune, tanto per fare un esempio, debbono quindi affrontare l’inverno con prospettive che non sono meno terribili di quelle dei colleghi di Milano e delle altre grandi città. Pertanto rivolgo uno speciale appello al Ministro perché si renda conto della situazione e del fatto che l’inverno è purtroppo già iniziato, specie per l’Alta Italia, e voglia pertanto dare seria e pronta attuazione ai suoi lodevoli propositi. In tal senso e con queste riserve posso dichiararmi sodisfatto.
CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e commercio. Posso assicurare lo onorevole interrogante che il Ministero terrà conto delle sue giuste osservazioni.
ARATA. Per i carri ferroviari il problema è molto grave. Mi rendo conto della inevitabilità di certi inconvenienti, perché quando i mezzi sono scarsi ed i postulanti sono molti è fatale che vi debbano essere degli inconvenienti e che la scelta non sempre corrisponda a criteri di rigorosa giustizia. Io me ne rendo conto, ma anche qui è questione di misura. Se purtroppo, in qualche settore, è inevitabile che nasca qualche scandalo, è però necessario che esso non dilaghi e non diventi la regola. Il problema dei carri ferroviari che devono portare legna a maestranze, collettività o a determinati enti, dev’essere risolto nel modo più conforme possibile a giustizia, senza costringere queste collettività a costosi viaggi a Roma, a lunghi soggiorni in questa città ecc. ecc.
La concessione dei carri ferroviari è un problema sul quale, qua e là, sono sorti sospetti e insinuazioni: vorrei che la parola dell’onorevole Sottosegretario costituisse non solo la promessa, ma la garanzia che anche questo scabroso aspetto dei nostri trasporti ferroviari si avvierà presto verso la normalità, nel segno del dovere e della giustizia.
PRESIDENTE. Per l’assenza da Roma dei Ministri dell’agricoltura e delle foreste e dei lavori pubblici, sono rinviate ad altra seduta le seguenti interrogazioni:
Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici»;
Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non creda opportuno favorire ed incoraggiare l’allevamento del baco da seta e l’allevamento delle api, per incrementare la produzione e la ricchezza nazionale»;
Arata, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se non ritenga opportuno che, a differenza della condotta negativa tenuta su questo punto dal Governo negli anni decorsi, siano disposti sin d’ora, e comunque prima della semina, opportuni piani e provvidenze diretti ad ottenere il massimo incremento della prossima campagna granaria, evitandosi così che, nella completa oscurità circa gli orientamenti e i disegni del Governo, essa abbia ancora a svolgersi con criteri e piani di mera convenienza aziendale e personale, sovente contrastanti col superiore interesse e le esigenze della collettività»;
Colombo e Zotta, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se e quando intenda provvedere alla sistemazione degli acquedotti della Lucania ove, per la scarsa manutenzione e per la inadeguatezza degli impianti, intere popolazioni sono prive di acqua, con grave pregiudizio della salute e dell’igiene»;
Vinciguerra, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere le ragioni per le quali Ariano Irpino (Avellino) non è stata compresa nel provvedimento legislativo in corso presso l’ufficio legislativo dei lavori pubblici relativo all’acquedotto consorziale dell’Alta Irpinia, mentre Ariano, comune di trentamila abitanti, difetta di acqua potabile, avendo una tubolatura inquinata da infiltrazioni e con scarsissimo rendimento, per cui nella città il tifo è quasi endemico. Per conoscere altresì se invece l’onorevole Ministro non ritenga opportuno e di giustizia disporre che Ariano derivi l’alimentazione idrica dall’acquedotto pugliese, non essendo valide e fondate le ragioni che l’Ente obietta in contrario»;
De Martino, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere se esistono speciali ragioni che determinano nell’Azienda della strada la volontà o la necessità di ben mantenere le strade nazionali del Nord, del Centro e di parte dell’Italia meridionale, precisamente fino alla città di Salerno, mentre da Salerno in giù le strade nazionali sono quasi completamente abbandonate».
Scotti Alessandro, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere quali provvedimenti intenda adottare per la prossima annata agraria 1947-48 in merito agli ammassi obbligatori dei cereali e se ritenga di accedere alle generali richieste dei contadini, abolendo i detti ammassi che si sono dimostrati di grave onere per il bilancio dello Stato e di gravissimo peso per i produttori, non dando, d’altra parte, per risultato che una sensibile contrazione della produzione. L’interrogante fa presente che l’abolizione degli ammassi, sia pure sostituita in via provvisoria con quegli accorgimenti che potranno rivelarsi opportuni, consentirà di provvedere con maggiore sicurezza al sostentamento dei meno abbienti, specie addivenendosi alla somministrazione di una parte del salario o stipendio in natura, a cura ed a carico, naturalmente, dei datori di lavoro. Ricorda che, essendo imminenti i lavori preparatori per la semina, questa, nell’ipotesi della persistenza del regime di ammasso, si attuerebbe – dato lo stato d’animo diffuso nelle campagne – su scala ridottissima»;
Scotti Alessandro, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga opportuno soprassedere alla costituzione del Consorzio nazionale canapa, se pure con la sola partecipazione degli agricoltori, essendo tale provvedimento in contrasto con la volontà dei canapicoltori, i quali chiedono la libera disponibilità del loro prodotto. L’ammasso obbligatorio della canapa avrebbe quale risultato un’ulteriore riduzione di tale coltura, con grave danno dell’economia nazionale»;
Giacchero, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se, vista la continua diminuzione delle superfici coltivate a grano e l’insufficienza delle assegnazioni di concimi chimici (circa 13 chilogrammi per ettaro) non ritenga di dovere urgentemente stabilire, prima degli inizi dei lavori di semina, il prezzo del grano per il futuro raccolto del 1948 e impegnarsi ad assegnare ad ogni comune ed a prezzo ragionevolmente proporzionale a quello del grano e tempestivamente un quantitativo sufficiente di concimi chimici»;
Miccolis, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano Il Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi. Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatoti, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini. Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione dei prezzi».
È pure rinviata, su richiesta del Ministro delle finanze, l’interrogazione seguente dei deputati Tremelloni, Segala e Ghidini: al Ministro delle finanze, «per conoscere quale fondamento di verità abbia la notizia, apparsa sui giornali, che in Sicilia è stata abolita la nominatività obbligatoria dei titoli azionari. E per sapere, nel caso in cui la notizia sia esatta, quale atteggiamento intende prendere il Governo».
VINCIGUERRA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VINCIGUERRA. Desidererei che l’onorevole Ministro dei lavori pubblici si decidesse a dare una risposta alla mia interrogazione. Non vorrei che rispondesse quando la situazione fosse irrimediabilmente pregiudicata.
PRESIDENTE. Comunicheremo al Ministro dei lavori pubblici il suo desiderio.
Segue l’interrogazione dell’onorevole Bulloni, al Ministro dell’industria e commercio, «per conoscere se e quali provvedimenti siano allo studio per la soluzione dei problemi connessi con la crisi dell’energia elettrica nell’Alta Italia e se non ravvisi l’opportunità della costituzione di un commissariato permanente per l’Alta Italia, con sede in Milano, che abbia autorità e mezzi e possa applicare sanzioni per imporre e ottenere la disciplina della revisione della produzione e del consumo, il cui maggiore e più importante compito dovrebbe essere la ripartizione dell’energia prodotta nell’Alta Italia fra le società distributrici, e con l’urgenza reclamata dal fine di permettere alle industrie di prepararsi alla nuova disciplina dell’uso dell’energia elettrica, talché queste possano preparare trasformazione di impianti termoelettrici in impianti a combustibile e intensificare al massimo la produzione nei mesi abbondanti per ottenere scorte di magazzino, perché non si ripeta nel prossimo inverno il danno incalcolabile causato all’economia del Paese dalle limitazioni imposte lo scorso inverno nella fornitura di energia alle regioni dell’Alta Italia, limitazioni che hanno imposto, altresì, alle popolazioni penose privazioni e gravi sofferenze, suscitando inconvenienti anche d’ordine sociale per le inevitabili interruzioni del lavoro».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria ed il commercio ha facoltà di rispondere.
CAVALLI, Sotto segretario di Stato per l’industria e. il commercio. Con provvedimento legislativo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 5 settembre 1947 sono stati confermati in carica i due Commissari regionali per l’energia elettrica, rispettivamente per l’Alta Italia, con sede in Milano, e per l’Italia Centro-Meridionale, con sede in Roma. Il coordinamento fra i due Commissari, per lo scambio di energia fra il Nord e il Centro Sud, è assicurato dalla Commissione centrale per il razionamento dell’energia elettrica, che tenderà ad unificare, per quanto possibile, e fin dove sarà conveniente, i criteri e i metodi di funzionamento dei due Commissariati, allo scopo di ripartire equamente le disponibilità di energia elettrica e la riduzione di consumo nei periodi di scarsa disponibilità. Sono in corso di attuazione distacchi di forti utenze di energia elettrica, segnatamente allo scopo di ottenere che i bacini idrici si trovino al massimo invaso all’epoca del disgelo.
Anche a questo fine l’energia di supero è stata ceduta dal Nord al Sud, e si è potuto accumulare energia elettrica in bacini che la rendono al Nord in proporzione convenuta. Peraltro, sono stati attuati alcuni collegamenti che saranno pronti per il periodo critico invernale, atti a facilitare e rendere possibile la concessione di maggiore quantità di energia in confronto al passato, anche nell’ambito cioè della giurisdizione di ciascun Commissariato regionale.
La recente maggiore disponibilità di combustibili solidi e liquidi ha consentito di fare maggiori assegnazioni agli utenti, e così resterà alleggerita la richiesta di energia elettrica per quanto si riferisce agli usi domestici ed anche l’industria manufatturiera se ne avvantaggerà.
Si ritiene pertanto che le provvidenze adottate allevieranno gli inconvenienti che si sono verificati lo scorso anno.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
BULLONI. Premesso che la mia interrogazione risale al 7 luglio scorso, mi dichiaro solo parzialmente sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario, in quanto la stessa non affronta in modo completo lo specifico oggetto della mia interrogazione, relativo ad un grave problema d’ordine economico e sociale connesso con la crisi della energia elettrica nell’Alta Italia.
Prendo atto soltanto che quest’anno si è anticipata la nomina del Commissario Regionale per l’energia elettrica, cui sono stati estesi fino al 30 aprile 1948, con decreto 25-7-1947, le funzioni e i poteri di cui al decreto del Capo Provvisorio dello Stato in data 26 ottobre 1946.
Incalcolabile è stato il danno causato all’economia del Paese dalle limitazioni imposte lo scorso inverno nelle forniture di energia alle regioni dell’Alta Italia, limitazioni che hanno provocato altresì alle popolazioni penose privazioni e gravi sofferenze, suscitando inconvenienti anche d’ordine sociale per le inevitabili interruzioni del lavoro.
Poiché tale situazione non abbia a ripetersi nel prossimo inverno, occorreva che il Governo, con l’urgenza reclamata dalla gravità del problema, disponesse gli studi necessari per mettere in relazione la crisi dell’ultimo inverno con quella degli anni precedenti al fine di:
1°) individuarne le cause;
2°) provvedere di conseguenza per il futuro.
Sarebbe venuto così a rilevare che la causa principale della crisi non si deve tanto alla inevitabile deficienza di energia invernale (che potrà venire parzialmente attenuata da nuovi impianti) quanto all’indiscriminato consumo di energia senza un proporzionato rapporto colla sua producibilità, e ciò anche per il fatto che il Commissariato regionale per l’energia elettrica venne nominato lo scorso anno solo nel tardo ottobre.
Si sarebbe poi convinto che ad aggravare la crisi ha contribuito il dilagare delle utilizzazioni termiche: nell’industria, a causa della deficienza dei combustibili e del caro costo in confronto del costo dell’energia elettrica; negli usi domestici per cucina e il riscaldamento, a causa della ridotta fornitura di gas, della mancanza di carbone, della carenza e del proibitivo costo della legna.
Così, l’indisciplina dei consumatori, attraverso gli abusivi prelievi di novembre e dicembre; finì per divorare in questi due mesi la razione che sarebbe stata sufficiente fino a marzo, rendendo necessari in gennaio provvedimenti draconiani.
Quali i conseguenti provvedimenti che si sarebbero dovuti adottare?
Per quanto riguarda le industrie, si dovevano rivedere le attuali condizioni di fornitura di energia, per modo che venissero prefissati gli usi e le lavorazioni, che possono utilizzare l’energia durante l’intero anno, gli usi e le lavorazioni che possono utilizzarla nei mesi di produzione media, gli usi e le lavorazioni che possono utilizzarla solo nei mesi di abbondanza, mirando per tal modo a realizzare nei limiti del possibile l’aderenza del diagramma del consumo con quello della producibilità.
Per quanto riguarda gli usi domestici, si dovevano prescrivere rigide limitazioni all’uso della corrente così detta industriale e proibire l’uso dell’energia elettrica a scopo di riscaldamento.
Ad ogni società distributrice avrebbe dovuto essere assegnata una determinata quota di energia invernale, estiva e media, di quella prodotta nell’Alta Italia, con riguardo alle necessità e alle caratteristiche della zona servita dalla società.
Ma per l’attuazione di tali provvedimenti, in attesa che si costruiscano nuovi impianti, per cui occorreranno lunghi anni, s’imponeva di necessità la immediata costituzione di un Commissariato permanente per l’Alta Italia, che avesse autorità e mezzi e potesse disporre, a differenza del provvedimento attuale, di adeguate sanzioni, legalmente incontestabili, per imporre ed ottenere la disciplina della produzione e del consumo, attraverso la ripartizione dell’energia prodotta nell’Alta Italia tra le società distributrici.
Ognuno avverte, poi, che tale Commissariato, con le attribuzioni e coi poteri ricordati, avrebbe dovuto entrare subito in funzione, per permettere alle industrie di prepararsi alla nuova disciplina, talché potessero trasformare gli impianti termoelettrici in impianti a combustibile, e intensificare al massimo la produzione nei mesi abbondanti per ottenere scorte di magazzino.
La sede non consente più esauriente discussione in argomento. Credo, però, di avere dato utili suggerimenti, ricavati dalla dolorosa esperienza del passato e dallo studio di tecnici approfonditi in materia.
E mi permetto, concludendo, ricordare al Governo che, nei tempi di emergenza quale l’attuale, esso deve dirigere e controllare i settori più vitali, come il campo della produzione e della distribuzione dell’energia elettrica, per dare la necessaria soddisfazione ad un primordiale interesse della vita nazionale.
PRESIDENTE. Seguono le interrogazioni che, trattando lo stesso oggetto, possono essere svolte congiuntamente:
Perrone Capano, Rodi e Monterisi, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «sui recenti fatti di Gravina: per conoscere esattamente le cause determinatrici, il modo come si sono svolti e i rimedi che si intendono adottare per eliminare in Puglia e nel Mezzogiorno episodi del genere»;
Pastore Raffaele e Assennato, ai Ministri dell’interno, dell’agricoltura e foreste e dei lavori pubblici, «per conoscere quali provvedimenti sono stati adottati per assodare le responsabilità per i fatti di Gravina e conoscere quali provvedimenti intendono adottare per fronteggiare la disoccupazione in provincia di Bari, allo scopo di evitare il ripetersi di incidenti»;
Trulli, Coppa e Rodinò Mario, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere in ordine alla gravissima situazione che si va determinando in Gravina di Puglia, con probabilità di estensione ai paesi viciniori, per la improvvisa agitazione dei braccianti agricoli, agitazione che si aggrava di ora in ora, e che, dall’altra parte, non trova per opera dell’autorità tutoria, quella immediata garanzia che sarebbe necessaria per evitare conseguenze luttuose. Si aggiunga che gli agricoltori locali sono stati inopinatamente e sproporzionatamente sottoposti a versamenti di denaro alla Camera del lavoro per sodisfare le richieste dei predetti lavoratori, che aumentano senza limiti durante la discussione».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. A Gravina, come in molti altri centri della provincia di Bari, vi è una forte disoccupazione sia nel bracciantato agricolo che nel campo edile e industriale. Il 18 dicembre, la Commissione paritetica per l’avviamento al lavoro della mano d’opera disoccupata, iniziò le operazioni per l’assunzione di circa 150 lavoratori da parte di ditte che avevano provveduto alla denunzia aziendale.
Però talune aziende, malgrado gli accordi intercorsi, si rifiutarono di mantenere gli impegni. Di qui il malcontento che, aggiungendosi al disagio esistente in vasto numero di disoccupati, produsse anche un vivo senso di sfiducia. Si arrivò così alla mattina del 20 corrente, quando i braccianti agricoli, con l’adesione di alcuni prestatori d’opera edili e di altre categorie, proclamavano lo sciopero generale.
Gli scioperanti, in numero notevolissimo, bloccarono il traffico, obbligando a chiudere i negozi e comunque a desistere dal lavoro. Furono istituiti blocchi stradali che inibirono il passaggio sia ai mezzi, sia alle persone che si recavano nelle campagne.
Fu pertanto immediatamente disposto l’invio di un funzionario di prefettura, di un funzionario di pubblica sicurezza e di un primo nucleo di settantacinque uomini. È necessario aver presente che gli scioperanti erano diretti da un comitato di agitazione non controllato né dalla locale autorità comunale né dai dirigenti sindacali. Gli scioperanti avevano infatti manifestato la loro assoluta sfiducia sia nei confronti dell’una che degli altri.
Nel pomeriggio del giorno 21 si riunivano nella sede comunale i rappresentanti del comune, dei locali dirigenti sindacali e degli scioperanti, allo scopo di comporre la vertenza. Ma, durante la riunione, un numeroso gruppo di scioperanti, constatato che essa si protraeva a lungo senza giungere ancora alla dovuta conclusione, irruppe nella sala, determinando una vivace discussione, degenerata ben presto in tafferuglio.
Fu così che rimase ferito un rappresentante degli agricoltori presenti. Ristabilita la calma, l’accordo fu raggiunto. In base ad esso, gli agricoltori presenti, tra i quali era il presidente dell’associazione, si impegnarono, fra l’altro, di anticipare a mezzo cambiale l’importo di quindici giornate lavorative per ogni operaio ingaggiato, nonché di assumere al lavoro per sei mesi un’aliquota di disoccupati.
Gli scioperanti però non vollero prestar fede all’impegno assunto dagli agricoltori sia perché questo era stato sottoscritto solo da un numero limitato di lavoratori, sia perché eccepivano che altre volte si era verificato che promesse fatte ed accordi raggiunti non fossero stati mantenuti.
Sicché, la stessa sera del 21 e la mattina successiva, squadre di scioperanti si recarono nelle masserie della zona lasciando in esse solo il proprietario e un guardiano ed obbligando il rimanente personale a recarsi in paese.
Nel pomeriggio un forte nucleo di scioperanti, presumendo erroneamente che due lavoratori fossero stati fermati dalla pubblica sicurezza e condotti nella caserma dei carabinieri, tentò di penetrare nella stessa caserma, senza però riuscirvi per l’energico contegno tenuto dai militari. Eguale tentativo ripetevano presso il carcere locale, ritenendo che in esso si fossero rifugiati alcuni agricoltori. Anche questo tentativo fu frustrato dal pronto intervento della forza pubblica.
A seguito di questi fatti il giorno 22 mattina fu inviato sul posto un altro contingente di rinforzi, al comando dello stesso comandante della compagnia interna dei carabinieri di Bari, e costituito da mezza compagnia autocarrata, da otto autoblindo, oltre che da un nuovo contingente di uomini.
Questi rinforzi, all’ingresso del paese, furono costretti a forzare il primo posto di blocco, presidiato da un gruppo di dimostranti, e, superando altri tentativi di resistenza, riuscirono a raggiungere il centro dell’abitato. Giunti in piazza Sacelli, con l’impiego di autoblindo scortate da uomini appiedati, i militari riuscirono a disperdere i dimostranti, ma all’altezza della Camera del lavoro, mentre numerosi gruppi affluivano da altri sbocchi stradali, dalla finestra di una casa adiacente alla sede della Camera del lavoro stessa fu sparato qualche colpo di arma da fuoco, e un proiettile colpì di striscio alla mano sinistra uno dei carabinieri, producendogli una lesione guaribile in venti giorni.
La forza pubblica, a scopo di intimidazione, rispose con alcuni colpi di mitra sparati in aria, senza raggiungere, peraltro, l’intento, perché improvvisamente, da varie strade, gruppi imponenti di uomini e di donne, armati di bastoni e taluni anche di armi da fuoco, avanzarono in massa, chiedendo a gran voce «pane e lavoro». Trattavasi di più di cinquemila persone.
Si tentò di contenerne l’urto, ma poiché le forze di polizia, per quanto notevoli, stavano per essere serrate sulla piazza e attaccate da quattro direzioni, nell’impossibilità di fronteggiare la situazione senza arrischiare uno spargimento di sangue a causa, ripeto, del numero inadeguato della forza pubblica, il funzionario preposto al servizio fece ripiegare le forze sulla strada principale Gravina-Bari, all’altezza della caserma dell’Arma, sia per bloccare la massa in un’unica direzione, evitando un attacco alle spalle, sia per scongiurare eventuali tentativi di invasione della caserma.
Ivi la massa urlante contro gli agrari, nel proclamare che non intendeva fare atti di violenza contro la forza pubblica, minacciò gravi rappresaglie contro i datori di lavoro qualora non fossero stati allontanati dalla città i rinforzi giunti nella mattinata, credendo che essi fossero stati inviati a richiesta e su istigazione degli agricoltori per opprimere i diritti dei lavoratori.
Nel corso della giornata del 22 si registrò un episodio di violenza. Verso mezzogiorno, mentre gli scioperanti si agitavano presso il centro abitato, un operaio, tale Cassano, transitando armato di moschetto vicino all’abitazione del proprietario Leone Nunzio, rivolse ad un figlio di questi parole provocatorie, minacciandolo con l’arma. Nella colluttazione che seguì, il Cassano riportava lesioni guaribili in dodici giorni e il Leone lesioni guaribili in oltre un mese. Il Cassano ritornava subito dopo con numerosi compagni, in buona parte armati, sparando in direzione delle porte e delle finestre dell’abitazione del Leone. Facinorosi, quindi, irruppero nello stabile, uccisero a colpi d’arma da fuoco due muli e un cavallo, devastarono infissi e vetri, assalirono il proprietario Leone Nunzio, producendogli lesioni guaribili in giorni dieci.
Intanto nei giorni 21, 22 e 23 corrente si erano svolte nel Municipio di Gravina varie riunioni, con l’intervento di un funzionario di prefettura, di rappresentanti sindacali, della Federterra, dei reduci e combattenti e dei datori di lavoro e lavoratori allo scopo di risolvere la vertenza.
Fino al 25 corrente furono ingaggiati 250 braccianti agricoli e 200 lavoratori. La riassunzione dei rimanenti disoccupati, che si aggirano intorno al migliaio, prosegue lentamente a causa anche della irreperibilità di alcuni datori di lavoro allontanatisi a seguito delle violenze intercorse sul posto.
Indagini sono in corso per gli accertamenti relativi agli autori delle violenze e ai promotori, nei confronti dei quali sarà proceduto a termini di legge.
Nel pomeriggio del 23 corrente si stabilì una calma relativa, e parte delle forze di polizia poté essere ritirata.
Al fine di fronteggiare la disoccupazione, che in provincia di Bari si fa ascendere a settantacinquemila unità secondo alcuni e a quarantamila secondo altri, il prefetto riunì in prefettura il giorno 22 le altre autorità provinciali, gli esponenti delle organizzazioni sindacali, dei partiti politici e dell’Associazione combattenti per discutere circa i mezzi più idonei.
Nella riunione fu deciso di costituire un comitato dei lavori per stabilire quanti disoccupati potranno essere assunti nei vari settori dell’industria, del commercio e della agricoltura. Lo stesso Comitato si interesserà della raccolta di fondi per l’esecuzione di lavori di pubblica utilità.
Fu altresì deciso di esplicare una vasta e coordinata azione per ottenere adeguati stanziamenti di fondi su quelli predisposti dal Ministero competente sul piano nazionale per la prosecuzione e l’inizio di lavori pubblici.
Dopo di che la situazione, deplorevole quant’altre mai, è avviata a distensione. Gli esercizi pubblici che erano rimasti chiusi sono andati rapidamente riaprendosi.
Circa le cause economiche generali che agitano le popolazioni in provincia di Bari e in ciascuna provincia delle Puglie, esse sono ben note al Governo, che conosce lo stato di grande disagio in cui versano i lavoratori e segue la situazione nell’intento di adottare ogni possibile provvedimento per lenire la disoccupazione operaia, particolarmente acuta per cause stagionali nell’agricoltura, e per la crisi particolarmente grave nel campo edilizio.
Il Ministero dell’interno sin dall’inverno scorso ha promosso la costituzione di un’apposita commissione che fu presieduta dall’allora Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale, e di cui fecero parte rappresentanti del Ministero dell’interno, del Ministero dell’agricoltura e del Ministero del lavoro, allo scopo di studiare il problema della disoccupazione nelle province pugliesi sotto tutti gli aspetti e proporne i modi di soluzione.
Detta commissione ha presentato una relazione le cui conclusioni riguardano particolarmente la competenza del Ministero dell’agricoltura e di quello dei lavori pubblici.
Per incarico del Ministro dei lavori pubblici, al quale pure è rivolta una delle interrogazioni a cui rispondo, devo dire che, per quanto si attiene ai lavori di sua competenza, risultano eseguiti di recente lavori per 150 milioni di opere stradali e fognature; sono in corso altri lavori stradali per 7 milioni, in via di ultimazione, a carico dell’ultima assegnazione di fondi compresa nel programma, e circa 5 milioni di lavori che saranno autorizzati appena i Comuni avranno aggiornato i prezzi.
Circa i lavori di bonifica che sono eseguiti col controllo dell’ufficio del Genio civile è da segnalare che nello scorso esercizio sono stati eseguiti lavori per 50 milioni.
Vi è poi da attuare un programma di opere a carico delle province, che importano complessivamente 80 milioni di lavori di cui una parte – 20 milioni – è stata già appaltata ed iniziata, e quindi sospesa per un incaglio dipendente dal finanziamento da eseguirsi dal Banco di Napoli; ma, risolte queste difficoltà, sono stati ripresi proprio stamane.
Oltre a questi lavori, è proposito del Ministero dei lavori pubblici di disporne per altri notevoli importi, in modo da apportare un non lieve soccorso a questa che è indubbiamente una delle piaghe più gravi del nostro Paese.
PRESIDENTE. L’onorevole Perrone Capano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PERRONE CAPANO. Onorevoli colleghi, io sono spiacente, nonostante la lunghezza della risposta dell’onorevole Sottosegretario, di non potermi dichiarare sodisfatto della risposta stessa. E questa mia insoddisfazione riflette in modo particolare la risposta relativa al quesito che io ponevo circa le cause che il Governo attribuisce e i rimedi che esso intende attuare per fronteggiare il grave problema dal quale deriva l’episodio di Gravina: episodio, tutta la gravità del quale l’onorevole Sottosegretario ha esposto e che potrebbe essere (Dio sperda l’augurio!) non l’ultimo di una dolorosa catena di episodi simili che abbiamo il diritto e il dovere di prevenire e di evitare.
Ormai è ricorrente – può dirsi – il caso di incidenti più o meno gravi, dell’indole e della portata di quello di Gravina, in Puglia e nel Mezzogiorno, non appena incominciano ad annunciarsi i rigori autunnali.
Il Governo dice: la causa di questi fatti è notoria e risale all’entità della disoccupazione che affligge l’Italia meridionale.
Ora io mi domando: crede il Governo di poter continuare a fronteggiare questo grave e doloroso fenomeno della disoccupazione meridionale e, soprattutto, della disoccupazione pugliese, distribuendo in sostanza legnate ai braccianti e agli agricoltori?
Il Governo parte da un presupposto che a mio avviso è assolutamente sbagliato: è un presupposto che influenza quasi sempre le disposizioni dei prefetti e che si risolve poi in un motivo per aggravare la speculazione che di questa piaga sociale fanno gli agitatori di professione, da un lato, e per far nascere della cattiva volontà e della sfiducia dall’altro, nell’ambiente più direttamente chiamato a fronteggiare il fenomeno stesso.
Si parte – in altri termini – soprattutto dal presupposto che vi possa essere equazione assoluta fra braccianti agricoli, braccianti in genere e agricoltura, nelle province pugliesi e, in modo particolare, nella provincia di Bari.
Ora, questo è assolutamente inesatto: non vi è equazione, ma vi è sproporzione laggiù, notoriamente e notevolmente, fra popolazione e territorio. Basti pensare che nella sola provincia di Bari vi sono duecento abitanti per chilometro quadrato.
Ed allora il problema si circoscrive e si racchiude nella ricerca e nell’adozione del mezzo atto ad occupare, a sistemare preventivamente l’eccedenza di braccia che non trova impiego nell’agricoltura. Sostanzialmente il Governo sino ad oggi (e quando io parlo del Governo non mi riferisco soltanto a questo Governo, ma, in genere, anche ai Governi che hanno preceduto l’attuale, perché – è purtroppo dolorosa la constatazione – sono quasi tutti i Governi che si sono succeduti alla testa dello Stato, che hanno dimenticato e dimenticano sostanzialmente i problemi del Mezzogiorno e trascurano la adozione dei mezzi atti a risolvere una volta per sempre ed adeguatamente i problemi stessi), in sostanza, dicevo, il Governo sin oggi ha adottato in realtà due soli provvedimenti che hanno di mira la finalità di fronteggiare la disoccupazione e di assorbire i braccianti e questi provvedimenti sono: il decreto 16 settembre 1947, n. 929, che è stato definito il provvedimento relativo al massimo impiego di mano d’opera in agricoltura, ed il provvedimento più antico che aveva come finalità l’istituzione e il funzionamento di un ente per la trasformazione agraria e per l’irrigazione di Puglia e Lucania. Ora, sta di fatto che entrambi questi provvedimenti hanno un’efficacia relativa, in quanto l’uno, il primo, chiarisce la situazione e ne risolve un solo aspetto; il secondo è destinato a funzionare e ad esercitare i suoi effetti soltanto in futuro e in un futuro molto lontano.
Ed invero il primo, il provvedimento relativo al massimo impiego di mano d’opera in agricoltura, a che mira? Quali sono gli effetti che può produrre? Da un lato esso tende a compiere quella che è stata chiamata la deflazione della disoccupazione, cioè la selezione dei disoccupati. Ottimo scopo che, raggiunto, varrà ad eliminare dai quadri bracciantili i profittatori della disoccupazione che non sono pochi e non sono poco onerosi. Il secondo obiettivo del decreto stesso è quello di vincolare gli agricoltori, cioè le aziende agricole, al dovere, al compito di assorbire il massimo possibile di unità lavorative di cui ciascuna di esse è suscettibile. Anche questo è un encomiabile obiettivo, ma quando saranno stati raggiunti entrambi tali obiettivi (ed io mi auguro che il decreto sia messo in esecuzione presto e bene in modo che risponda alla sua lettera e al suo spirito) avremo saputo quanti esattamente sono i disoccupati in Puglia, nel Mezzogiorno, in ciascuna provincia, e quale sarà il carico massimo di mano d’opera che l’agricoltura potrà assorbire.
A questo punto, dopo la chiarificazione, il problema rimarrà grave e pesante come prima e più di prima, perché la eccedenza nascente dalla sproporzione di cui parlavo, fra capacità di assorbimento del territorio e popolazione, risulterà in tutta la sua estensione. Il Governo si deve preoccupare in tempo di affrontare questa eccedenza. Ecco tutto. La tattica che si segue, e che è quella che produce i risultati spiacevoli dei quali facevo cenno poco prima, è questa: accertata l’eccedenza, riversarla sull’agricoltura! Ebbene, questo è assurdo. Gli stessi esponenti delle Camere del Lavoro e della Federterra riconoscono che è assurdo e che non si deve verificare perché si traduce in realtà in un grave disturbo per la produzione e nell’imposizione di una ulteriore e gravissima imposta a carico delle aziende, le quali sono già gravate da un carico notevolissimo di imposte. Un operaio costa oggi 300 mila lire all’anno!
Sperare dunque che il decreto possa portare ad una equazione anche relativa fra il bracciantato disponibile e la capacità di assorbimento delle aziende, è sperare troppo perché ormai tutti dovrebbero sapere che, nelle zone di cui ci occupiamo, tutto ciò che era possibile fare con le sole risorse locali e con le sole iniziative degli agricoltori e dei lavoratori locali, è stato fatto. Ciò che si ha da fare richiede l’intervento dello Stato sotto un triplice aspetto: di programmazione, di organizzazione, e di integrazione delle iniziative private. La terra, nelle nostre province, è migliorata largamente, è coltivata ottimamente, è frazionatissima. Dove sussistono ancora aziende medie e aziende grandi la forma di conduzione più largamente praticata è quella della colonia parziaria. Permane ancora la cultura estensiva ove la terra è ingrata e nelle parti malariche che sono quelle relative per l’appunto a comuni come Gravina, come Spinazzola, ecc., nei quali si verifica il maggior numero di episodi deplorevoli del genere di quelli di cui ci occupiamo oggi.
Dunque non si può fare affidamento soltanto su questo decreto diretto a provocare il massimo impiego di mano d’opera nella agricoltura. Si è fatta la legge per l’irrigazione, ma è rimasta sulla carta, e sono rimasti sulla carta anche i pochi milioni che dovevano servire come dotazione di quell’Ente e che sarebbero bastati e basteranno, quando saranno erogati, solamente ad assicurare la costituzione degli uffici, ma non la messa in esecuzione degli obiettivi che l’Ente si propone.
A questo punto abbiamo diritto di domandare e di dire al Governo: ma credete di potere, con palliativi, con interventi saltuari, con provvedimenti una volta sì e una volta no, con soccorsi occasionali attraverso lavori pubblici comunali e sporadici, migliorare questa situazione? In questa maniera voi aggraverete ma non risolverete il problema.
Una voce a sinistra. Gi vuole la riforma agraria.
PERRONE CAPANO. Noi vi diciamo che bisogna fare un serio e organico e tempestivo programma di lavori pubblici, avendo di mira in particolare il settore dell’agricoltura. Bisogna dotare le Commissioni, che si sono costituite per il massimo impiego di mano d’opera in agricoltura, dei fondi occorrenti perché esse, che avranno nelle mani la dimostrazione matematica, numerica, della esistenza di quote eccedenti la possibilità di assorbimento locale, provvedano, ove occorra, all’assorbimento in lavori pubblici, in lavori utili per l’agricoltura, in riattazione di strade, con la sistemazione dei nostri porti che sono ancora abbandonati e con la ricostruzione di molte nostre città meridionali che sono ancora distrutte; provvedano – dicevo – ad assorbire e a dare tempestivamente lavoro a chi lo chiede, perché chi chiede lavoro e pane ha diritto di avere l’uno e l’altro, come chi dice che non può sopportare un peso oltre certi limiti dice una cosa giustissima.
A questo punto mi si lasci il diritto di dire che quando noi, rappresentanti del Mezzogiorno, chiediamo quello che io ho chiesto per i braccianti e per gli agricoltori delle nostre zone, altro non domandiamo che un atto di giustizia che ci ponga sullo stesso piano dei nostri amici del settentrione di Italia. Per l’Alta Italia si è tempestivamente provveduto e si continua a provvedere; si continuano a sovvenzionare le industrie ed a tutelare gli operai, a distribuire miliardi, affinché le industrie non crollino, affinché gli operai non siano licenziati. Nel Mezzogiorno non si sono distribuiti miliardi a nessuno, e nessuno li ha cercati; perché nel Mezzogiorno abbiamo una coscienza del nostro dovere che è altissima, e un senso ed una predisposizione al sacrificio che sono del pari altissimi. Si tratta di una giustizia equitativa alla quale abbiamo diritto. (Commenti a sinistra).
Anche nei riguardi degli operai potrei dire che è ingiusto il trattamento fatto agli operai meridionali, perché, se un blocco dei licenziamenti vi è stato, è stato quello per gli operai del Nord, non per quelli del Sud. Ed oggi, mentre si apprestano i mezzi per sbloccare i licenziamenti e quindi per licenziare gli operai delle industrie settentrionali, si prepara un progetto che in definitiva riconoscerà maggiori diritti agli operai del Nord di quelli che spettano e spetteranno agli operai del Sud che siano licenziati.
Gli operai e gli industriali del Nord e gli agricoltori ed i lavoratori del Sud devono essere posti sullo stesso piano.
Mi riprometto di ritornare su questo argomento trasformando la mia interrogazione in interpellanza, perché di questo problema dobbiamo parlare ampiamente, e dobbiamo arrivare ad una conclusione concreta e sodisfacente per tutte le singole categorie della produzione e del lavoro. (Applausi al centro e a destra – Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Pastore ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PASTORE RAFFAELE. Non posso dichiararmi sodisfatto, perché l’onorevole Sottosegretario non ha fatto altro che richiamare la cronaca dei fatti di Gravina, senza risalire alle cause.
Anzitutto non bisogna passare sotto silenzio che l’episodio di Gravina non è stato il solo del genere, ma che nello spazio di due settimane è stato preceduto da quelli di Ginosa e di Putignano.
Quali sono le cause? Il Governo doveva saperle. Le organizzazioni operaie delle Puglie, fin dal 1944, hanno presentato ai Ministri competenti del tempo il piano necessario per la trasformazione agraria, onde fare fronte alla disoccupazione che inevitabilmente si sarebbe dovuta verificare, col cessare dei lavori che gli alleati davano a 35.000 braccianti. Se noi continuiamo a lavorare la terra come la si lavorava quaranta o cinquanta anni fa, si capisce che avremo sempre la disoccupazione, che aumenterà di giorno in giorno.
Dalle statistiche ufficiali si rileva che, a fine settembre, noi avevamo in Puglia centocinquantamila disoccupati. In provincia di Bari, coltivandosi la terra come la coltivava mio nonno, che era un agricoltore, si possono impiegare 16 milioni di giornate lavorative in un anno, che, divise per la popolazione agricola, significano 115 giornate per ogni lavoratore all’anno. Domando al Governo: può un bracciante agricolo vivere lavorando soltanto 115 giorni all’anno?
Si parla sempre di lavori pubblici, ma i lavori pubblici non possono risolvere la situazione: una strada, una volta fatta, non si può rifare. Per cui, d’accordo con l’organizzazione dei datori di lavoro, si stabili di impiegare in agricoltura un numero sufficiente di operai, per potere coltivare il terreno razionalmente, almeno in senso relativo. L’accordo stipulato fu consacrato in un decreto prefettizio, che non è stato rispettato. Ma chi non l’ha rispettato? Questo è il nocciolo della situazione; questo è il motivo per cui molte volte i nostri contadini sono costretti a ricorrere allo sciopero per far rispettare gli accordi già conchiusi e sanzionati con provvedimenti delle Autorità.
Ci sono grossi latifondisti, i quali, come diceva il professore Alemanni, si ricordano di essere proprietari di terreni solo il 15 agosto, quando vengono a riscuotere i canoni di affitto. Sono stati proprio questi a ricorrere al Consiglio di Stato contro il decreto prefettizio, facendo dichiarare incostituzionale il provvedimento.
PERRONE CAPANO. Il Governo ha riparato e ha riparato bene.
PASTORE RAFFAELE. Un pochino in ritardo ed in maniera inadeguata, in quanto al provvedimento legislativo sono state messe le pastoie. L’articolo 6 del decreto 16 settembre 1947 n. 929 stabilisce la nomina di una Commissione ministeriale che deve autorizzare i Prefetti ad emettere i decreti; ma quando si costituirà questa Commissione? È necessario che i contadini facciano lo sciopero generale per indurre il Prefetto a chiedere l’autorizzazione ad emetterli? Perché, in linea transitoria, non si concede ai Prefetti la facoltà di provvedere in merito?
MONTERISI. Occorre la riforma agraria.
PASTORE RAFFAELE. Di riforma agraria si parla soltanto in periodo elettorale; ma, poi, in effetti, si rimanda al nuovo Parlamento! Intanto i decreti già emessi sul collocamento della mano d’opera in agricoltura non vengono applicati in nessun paese della Puglia.
C’è un altro decreto; quello Segni per l’occupazione dei terreni incolti. L’onorevole Perrone Capano diceva che in provincia di Bari i terreni sono coltivati. Mi permetto di osservare: non in tutta la provincia. Noi abbiamo esempi, i quali dimostrano che il decreto Segni troverebbe applicazione nella provincia; però, per i suoi difetti, non è applicato, in quanto è imbrigliato dalla magistratura, la quale non fa altro che sabotare lo spirito della legge.
Per esempio: in data 26 giugno una cooperativa domandò l’assegnazione di terreni incolti. La discussione davanti alla Commissione è avvenuta in data 25 settembre, dopo tre mesi! Intanto, non ostante il tempo trascorso, non s’era nemmeno provveduto ad accertare lo stato di coltivazione dei terreni richiesti, e questo, evidentemente, per dar tempo ai proprietari di procedere a lavorazioni affrettate, per fare apparire il terreno come coltivato e far cadere, quindi, la domanda di concessione; ma, nonostante questo, l’ispettorato agrario, in seguito a sopraluoghi, ha dichiarato incolti ben 75 ettari di terreno.
In seguito al decreto prefettizio di occupazione, la cooperativa si recò a prendere possesso della quota assegnata; ma incontrò l’opposizione del proprietario, il quale, però, si dichiarò propenso a venire ad un accordo.
Sentite ora cosa scrive il legale del proprietario alla cooperativa:
«Vi comunichiamo la proposta di massima trasmessaci in questo momento dal nostro cliente signor Carlo Spagnoletti Zeuli…
«Vorrete tener presente la migliore delle ipotesi e sempre che le decisioni a voi favorevoli risultassero legali contro l’impugnativa del proprietario» (notate bene che il decreto prefettizio non è impugnabile, ma il proprietario terriero pugliese lo impugna ugualmente, detta le sue condizioni, se i contadini vogliono la terra, altrimenti non l’avranno). La lettera continua: «Vi converrà dunque confrontare attentamente i vantaggi offerti dalla enunciata soluzione amichevole, con quelli che un atteggiamento intransigente potrebbe offrirvi solo dopo inevitabile giudizio, cui la vostra intransigenza ci costringerebbe, con tutte le lungaggini, le spese e le incognite proprie di ogni vertenza giudiziaria». Questo scrive il legale del proprietario alla cooperativa! In conclusione dice: se volete i terreni, dovete accettare le condizioni offerte dal proprietario, altrimenti faremo causa, perché noi i denari li abbiamo ed andremo per le lunghe finché vi stancherete di spendere! Mi domando quale sia il mezzo che il lavoratore può opporre: egli non ha denaro e combatte il milionario terriero soltanto con la forza fisica, quella forza fisica che il lavoratore è costretto ad adoperare quando si è vista negata la giustizia! Altra volta i decreti prefettizi sono stati annullati dalla Magistratura in provincia di Bari, per cui c’è un’altra mia interrogazione al Ministro di grazia e giustizia.
E passiamo ai piani di trasformazione ed ai consorzi di bonifica.
In provincia di Bari abbiamo due consorzi di bonifica: quello del Locone e Basentello e quello della Silica. Finora per questi due comprensori sono state progettate opere per 850 milioni. I progetti di massima comportano una spesa a carico dello Stato per due miliardi e 457 milioni, mentre lo opere che dovrebbero essere a carico dei proprietari ammontano a sette miliardi: complessivamente dovremmo avere disponibili circa 10 miliardi, coi quali si potrebbe dar lavoro ad un’immensa massa di disoccupati e mettere a coltivazione una grande estensione di terreno.
Però i consorzi di bonifica, così come sono stati istituiti, sono nelle mani dei grossi agrari, che dispongono del voto plurimo, ed essi fanno soltanto eseguire i lavori che sono a carico dello Stato, rimandando l’esecuzione di quelli che sono a loro carico. Si dice che mancano i piani; ma non è vero. Io ho rivolto un’altra interrogazione al Ministro dell’agricoltura, che mi ha risposto che si sta studiando! In provincia di Foggia, ad esempio, c’è un piano già reso esecutivo, compilato dal professor Carrante, attuale direttore per la produzione agricola al Ministero di agricoltura, e dal professor Medici, che non sono certamente dei sovversivi. Perché non si fa eseguire questo piano? Quanti operai potrebbero lavorare, se venisse attuato quel piano? Ma questo non si fa.
Ebbene, venite a vedere, o signori, come dormono i contadini delle nostre aziende pugliesi. Essi non hanno dormitori, e se non si portano un sacco da casa, dormono sulla paglia nuda, coprendosi col mantello, se lo posseggono! Questi sono i problemi meridionali, i quali allontanano il contadino dalla terra.
Ultimamente e ad iniziativa del Consorzio agrario di Bari, abbiamo introdotto nella provincia la coltivazione del tabacco; ma anche in questo non abbiamo trovato comprensione da parte del Governo.
Le domande di concessione avanzate non sono state accolte dalla Direzione dei monopoli, adducendosi il motivo che l’attuale produzione supera il consumo interno. Anche se fosse così, nella provincia si potrebbe coltivare tabacco per l’esportazione. Il direttore dei monopoli della Turchia, che ha visitato il nostro tabacco alla Fiera del Levante, ha dichiarato che gli era venuto il sospetto che quello non fosse tabacco nazionale, ma tabacco d’importazione, date le sue pregiate qualità. Ora, se le qualità che si possono produrre sono talmente pregiate da potersi esportare, perché non autorizzarne la produzione? Si parla tanto di necessità di esportazione che è la valvola di sicurezza per la nostra economia e poi si arresta la produzione del prodotto esportabile!
Con decreto del luglio 1946, n. 31, vengono concessi sussidi per i miglioramenti agrari. Pare che quest’anno il Governo non abbia stanziato nessuna somma per detti miglioramenti; ed i sussidi assegnati l’anno scorso sono stati erogati col contagocce. I contadini devono prima fare i lavori e poi, dopo sei, sette mesi, avere il danaro!
Noi richiamiamo l’attenzione del Governo sul problema della provincia di Bari.
Anche l’Ente della irrigazione, diceva bene l’onorevole Perrone Capano, è stato fatto sulla carta. Quando s’iniziano i lavori per l’irrigazione? Il decreto stesso è anche monco, perché parla di trasformazioni agrarie solo nelle zone da irrigare, mentre ci sono anche 100.000 ettari di terreno nella provincia di Bari – la Murgia – che bisogna trasformare, perché sono incolti e tenuti a pascolo povero.
È necessario che il decreto venga rivisto, se vogliamo effettivamente provvedere ai bisogni di quei lavoratori. Io mi auguro che il Governo voglia prenderli a cuore.
Nell’ultima ripartizione di fondi, la provincia di Bari è stata trattata peggio delle altre. Con 1 milione e 100.000 abitanti e con la densità di popolazione agricola di 200 abitanti per chilometro quadrato, ha ottenuto molto meno delle altre provincie. Ai deputati della provincia, senza distinzione di colore politico, l’altro giorno l’onorevole Tupini ha promesso che avrebbe riparato l’errore in una prossima ripartizione. Noi ci auguriamo che provveda, e subito. Oggi una parte dei lavoratori è occupata nella raccolta delle olive; ma ben presto questo lavoro avrà termine ed allora il numero dei disoccupati salirà. Che diremo a questa massa che non domanda agi, ma solo lavoro per vivere? Le organizzazioni operaie non avranno la possibilità di evitare incidenti. Allora il Governo sarà costretto ad intervenire. Non sarebbe meglio prevenire i tumulti?
Mi auguro che esso voglia tener presente queste nostre osservazioni e provvedere. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Trulli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
TRULLI. Siamo in sede di interrogazione, e a noi non rimane che dichiararci più o meno sodisfatti. È come se volessimo richiudere la prima parte di un libro, che si riaprirà poi; anzi, onorevole Sottosegretario di Stato, ho il dispiacere di dirle che non è improbabile che lei dovrà forse occuparsi ancora di questa dolorosa vicenda: come una metastasi la situazione si è spostata e si sposterà. La mia interrogazione porta una indicazione precisa a questo riguardo: ad Altamura già vi sono i primi segni premonitori di un nuovo sciopero; e voglio raccomandare ai rappresentanti dell’autorità tutoria di esercitare principalmente la loro mansione sotto il profilo spirituale. L’onorevole Pastore sa che io non parlo a nome dei proprietari e degli agricoltori; egli sa che io sono soltanto un lavoratore. I proprietari, gli agricoltori – questa è la situazione – vorrebbero arrivare ad una soluzione; ma appena essi muovono qualche rilievo, fanno qualche critica alle richieste dei lavoratori, questi ultimi (e mi assumo la responsabilità di quello che affermo in questo momento) rispondono preannunciando il ripetersi dei fatti di Gravina. Questa è la dura, l’amara realtà, onorevole Sottosegretario di Stato.
Sono d’accordo perfettamente con l’onorevole Perrone Capano. I problemi locali sono in quelle zone gravissimi, e bisogna discuterli sotto il profilo tecnico, così come hanno fatto sia l’onorevole Perrone Capano che l’onorevole Pastore; bisogna allora trasformare queste interrogazioni in interpellanze.
Devo concludere con la raccomandazione al Governo di occuparsi una buona volta dei problemi del Mezzogiorno, che attendono ancora e sempre di essere risolti. Non voglio parlare di sperequazione, fra Nord e Sud, perché questo argomento è doloroso per tutti noi italiani; ma faccio un appello vivissimo, un appello che parte dal cuore di un figlio di lavoratori, affinché il Governo si occupi del Mezzogiorno, che rimane l’eterno trascurato. Signori del Governo, vi dovete render conto di questa verità: che nel bilancio dei milioni che affluiscono dalle Casse dello Stato al Nord e al Sud vi è sempre una passività a danno dell’Italia meridionale.
E una raccomandazione vorrei fare al collega Pastore. Grave è la nostra situazione. Vi è una esuberanza di manodopera; vi è una relativa indifferenza da parte del Governo. Ma, per carità, in nome del nostro sventurato Paese, a questa povera gente che ha fame, che ha veramente fame, portiamo la nostra voce di pacificazione. Non eccitiamo le folle, onorevole Pastore, non le eccitiamo, mettiamoci nella condizione che la popolazione non reagisca, assalendo la forza pubblica che interviene, come è intervenuta a Gravina, per mettere pace e per evitare che il sangue italiano sia per mano fraterna fatto scorrere sulle nostre piazze. Portiamo una buona volta a quelle popolazioni una nostra parola di pacificazione: faremo con ciò opera veramente meritoria nei confronti dei nostri buoni, generosi lavoratori, che hanno bisogno di essere assistiti, ma che alle invocazioni alla concordia sono sempre state sensibili.
Rinnovo al Governo la raccomandazione di preoccuparsi e di occuparsi delle condizioni delle popolazioni del Mezzogiorno, specialmente alla vigilia dell’inverno. E da noi, onorevole Sottosegretario, l’inverno è duro; e lo sarà specialmente quest’anno.
Si preoccupi il Governo, provveda ed avrà fatto opera meritoria, veramente fattiva, nei confronti del Mezzogiorno. (Applausi).
PRESIDENTE. Le seguenti interrogazioni sono rinviate a domanda dei Ministri interessati:
Caso, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere come intenda sistemare giuridicamente la posizione di alcuni insegnanti delle scuole di avviamento al lavoro, i quali, non essendo di ruolo, non godono dei benefici di legge pur prestando a volte per decenni il loro incondizionato servizio allo Stato; e se non ritenga opera di giustizia promuovere un decreto legislativo che parifichi agli altri funzionari statali il trattamento da farsi doverosamente agli insegnanti delle scuole di avviamento al lavoro»;
Martino Gaetano, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere le ragioni che hanno indotto l’Alto Commissario per l’alimentazione a rifornire l’Italia meridionale, ed in particolare la città di Messina, di pasta alimentare (fabbricata nei pastifici dell’Italia settentrionale) piuttosto che di grano, arrecando così un grave danno alle maestranze ed alle industrie locali».
È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni all’ordine del giorno.
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:
«Al Ministro del tesoro, per conoscere se, dinanzi all’attuale situazione del mercato dei titoli, evidentemente pregiudizievole all’economia nazionale, non gli risulti che esista una larga speculazione al ribasso, di cui potrebbe essere indice l’entità delle vendite allo scoperto; e se, nel caso affermativo, non creda opportuno adottare urgenti provvedimenti, ivi compreso quello di rendere obbligatoria l’effettiva consegna dei titoli da parte del venditore al momento stesso della vendita.
«Marinaro».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non ritenga necessario ed urgente di procedere, oltreché al nuovo censimento demografico (l’ultimo si ebbe 11 anni fa), ad un censimento industriale e commerciale, o almeno ad un’estesa inchiesta industriale che consenta una conoscenza esatta delle attuali condizioni e dell’attuale struttura della attrezzatura produttiva del Paese, dell’occupazione, delle esigenze di rammodernamento degli impianti, dell’ampiezza della riconversione effettuata o da effettuarsi.
«Tremelloni».
«Al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se si è già fatto, o s’intende fare, con la sollecitudine che le condizioni attuali richiedono, un approfondito esame delle possibilità di occupazione e di migrazione, riassunto in un organico «bilancio umano», odierno e prospettico, che consenta di evitare forti e improvvise sproporzioni tra le risorse lavorative disponibili e quelle occupate; e per sapere a che punto sono gli studi per un piano organico di rieducazione e di qualificazione professionale, cui più volte si è accennato nei dibattiti parlamentari.
«Tremelloni».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo si riserva di far sapere quando intenda rispondere a queste interrogazioni.
Interrogazioni e interpellanza.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga giusto ed opportuno, previa, occorrendo, abrogazione della legge 24 giugno 1929, n. 1112, che dava facoltà ai Comuni e alle Provincie di dispensare dal servizio il personale di ruolo per qualsiasi motivo di inidoneità, senza obbligo della preventiva comunicazione agli interessati dei motivi e delle cause della dispensa e colla sola indicazione, anche generica, della causa della dispensa nel relativo provvedimento, concedere ai funzionari dispensati in base a tale legge, di riaprire il giudizio colla garanzia della procedura ordinaria (contestazione dell’addebito, commissione di disciplina, ricorso, ecc.), affinché sia consentita una riparazione anche a quei dispensati senza giusto motivo che, non potendo dimostrare di essere stati dispensati esclusivamente per motivi politici, non possono valersi del disposto del decreto 6 gennaio 1944, n. 9.
«Grilli».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i motivi che hanno portato alla destituzione dell’avvocato Gerardo Marchese da segretario del Comitato provinciale U.N.R.R.A. di Potenza.
«Mancini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non ritenga conveniente ed utile provvedere con legge alla revoca di tutti i titoli nobiliari conferiti durante il regime fascista e, nella assoluta maggioranza, per benemerenze di carattere esclusivamente politico.
«Costantini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere per quali ragioni le promesse fatte, con la risposta data il 19 giugno 1947 dal Ministro all’interrogante, non siano state in nessun modo mantenute; tanto che sulla linea Roma-Cassino le condizioni di viaggio, sia per lo stato delle vetture, sia per i continui ritardi di orario, sono – specialmente di fronte all’approssimarsi dell’inverno – addirittura intollerabili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Persico».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per sapere se la Ragioneria generale dello Stato, come organo esecutivo, abbia la facoltà di trasformare con norme interne le disposizioni legislative, come è avvenuto con la circolare 21 marzo 1947, n. 117491, la quale nega il compenso per lavoro straordinario ai funzionari dello Stato che sono in missione, adducendo che essi non hanno limitazione di orario per l’incarico ricevuto e che l’indennità di missione rimunera globalmente tutte le prestazioni inerenti all’incarico, mentre l’articolo 5 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 19, precisa con quali assegni non è cumulabile il compenso per lavoro straordinario.
«L’indennità di missione non è compresa tra gli assegni non cumulabili, ed è perciò che nel caso citato, è stata violata la legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Fabriani».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti siano allo studio del Governo onde assicurare a coloro che sono privi della vista – i quali si dibattono molto spesso nella più grave indigenza – un lavoro od una assistenza di carattere continuativo, e ciò anche in esecuzione dei principî di solidarietà umana che sono consacrati nella nuova Costituzione. E per conoscere, inoltre, quali provvedimenti siano allo studio per riattivare l’Ente nazionale lavoro per i ciechi di Firenze. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Costantini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali provvidenze il Governo intenda attuare nei confronti dei beni dei nostri emigrati in Brasile, posti sotto sequestro. Sono note infatti le favorevoli disposizioni d’animo di buona parte dell’opinione pubblica brasiliana a questo riguardo e la necessità che il Brasile ha di favorire la corrente immigratoria italiana, che tanto incremento ha fornito allo sviluppo, in ispecie agricolo, del paese e che di certo non potrebbe mai svilupparsi nel clima di sfiducia creato dal suddetto provvedimento; ma non si conosce se e che cosa il Governo italiano abbia fatto al fine di una favorevole soluzione del problema che pure riveste notevole importanza nel quadro delle relazioni fra i due paesi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Badini Confalonieri».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga opportuno che il Ministero chiarisca l’interpretazione da dare all’articolo 50 della legge 1° settembre 1947, n. 828, istitutiva della imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. Infatti, mentre il decreto legislativo luogotenenziale 12 marzo 1945, n. 70, istitutivo degli ultimi buoni del tesoro 5 per cento scadenti il 1° aprile 1950, stabiliva all’articolo 3, comma terzo, che detti buoni saranno accettati come contante in base al prezzo di emissione più interessi maturati in pagamento di una eventuale futura imposta personale straordinaria sul patrimonio, nell’attuale legge nessun cenno è fatto dei buoni del tesoro poliennali, creando lunghe ed incresciose discussioni con l’Amministrazione finanziaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Badini Confalonieri».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, per conoscere se e quando intendono intervenire in favore del comune di Battipaglia (Salerno), il quale vede frustrata ogni iniziativa di ricostruzione del centro abitato dall’abbandono in cui versa un quartiere completamente demolito nel 1943, dove sorgevano le case di proprietà demaniale, di cui ora rimangono le aree ricoperte di detriti e sporcizie. Le proposte avanzate dall’Amministrazione comunale per ottenere la cessione dei ruderi si arenarono per intralci burocratici, e il Genio civile non ha preso alcuna utile iniziativa. Si impone da parte del Governo un intervento tempestivo ed energico per motivi di igiene, di estetica ma soprattutto per dare a centinaia di famiglie che vivono in condizioni di indescrivibile e incredibile disagio un alloggio decoroso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«De Mercurio».
«Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per chiedere se, dinanzi alla persistente, allarmante deviazione degli spiriti – fatta evidente dal succedersi di attentati alla vita dei singoli ed alla sicurezza collettiva e da sintomatiche manifestazioni di intolleranza, precorritrici di guerra civile – non ritenga di dover sottoporre all’esame dell’Assemblea Costituente provvedimenti di emergenza comprensivi della pena di morte, che – applicata con procedura rapida – ove le responsabilità siano palesi o confesse, sarà atto di giustizia esemplare, capace di contenere lo scatenarsi degli istinti primordiali, che minacciano la stessa convivenza civile.
«Altre speciali provvidenze, suggerite dalle supreme esigenze di ricostruzione della vita associata, dovrebbero tendere alla totale pacificazione interna – alla bonifica ed alla tutela dell’infanzia abbandonata – alla difesa del costume e ad assicurare la già invocata integrale oculata e vigile applicazione della legge sulla stampa, per la estrema difesa della società nazionale, insidiata nei superstiti valori morali.
«Di Fausto».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
Anche l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Governo non vi si apponga nel termine regolamentare.
La seduta termina alle 19.20.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 16:
- – Discussione dei seguenti disegni di legge:
Approvazione dello scambio di Note effettuato in Roma fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate nelle acque territoriali italiane. (24). – Relatore De Palma.
Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’organizzazione Internazionale del Lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza Generale dell’organizzazione Internazionale del Lavoro nelle sue prime 28 Sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario Generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’organizzazione del Lavoro. (25). – Relatore Villani.
Approvazione dell’Accordo fra l’Italia e l’Argentina in materia di emigrazione, concluso a Roma il 21 febbraio 1947. (29). – Relatore Piemonte.
Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti. (33). – Relatore Bozzi.
Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane. (9). – Relatore Colitto.
Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21). – Relatore Cevolotto.
- – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.