Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 24 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 24 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Interrogazione (Svolgimento):

Presidente

Tupini, Ministro dei lavori pubblici

Colonnetti

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Bettiol

Monticelli

Corbi

Tosato

Calosso

Lussu

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Condorelli

Fabbri

Mortati

Corbino

Bozzi

Macrelli

Fuschini

Arata

Stampacchia

Tonello

Targetti

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Interrogazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha dichiarato di esser pronto a rispondere all’interrogazione presentata nella tornata del 16 settembre ultimo scorso dai deputati Colonnetti, Giacchero, Firrao, Di Fausto, di cui do lettura:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se e quali provvedimenti intendano adottare di fronte all’allarmante moltiplicarsi dei disastri edilizi, e se non credano giunta l’ora di prendere in considerazione le proposte che i vari organi del Consiglio nazionale delle ricerche hanno ripetutamente formulate per un miglioramento della tecnica delle costruzioni – proposte che sono state fino ad ora rese vane dalla resistenza passiva della burocrazia e dall’ostinato rifiuto del Tesoro a concedere quel minimo di mezzi finanziari che sarebbero stati necessari per la loro attuazione.

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Se l’onorevole Colonnetti e i colleghi che si sono uniti alla sua interrogazione avessero esteso la medesima anche al Ministro del tesoro forse la risposta del Governo potrebbe essere più sodisfacente.

In ogni caso l’onorevole Colonnetti mi ha fornito la gradevole occasione di esaminare tutti i precedenti della materia che formano oggetto dell’interrogazione.

Come l’onorevole Colonnetti sa, la materia della produzione dei leganti idraulici è disciplinata da una legge fondamentale, quella del novembre 1939, legge che non fa che raccogliere tutte le istanze, le considerazioni, gli studi, le proposte che prima di essa furono elaborati dal Consiglio nazionale delle ricerche.

La materia dovrebbe essere di competenza speciale del Ministero dell’industria e commercio. Senonché anche il mio Ministero se n’è occupato a più riprese e a volta a volta ha adottato determinati provvedimenti.

Non voglio risalire molto lontano. Mi limito solo alle circolari che sono state emanate dal Ministero dei lavori pubblici nell’aprile 1945 e nel gennaio 1946. Con queste circolari, spedite ai vari uffici del genio civile, gli ingegneri del genio civile erano invitati – e rimangono quindi tuttora invitati – ad esercitare una assidua opera di controllo sia nelle cementerie, sia nei luoghi ove il cemento viene adoperato.

Questo controllo dovrebbe farsi mensilmente, e consiste nel prelievo di una quantità idonea di cemento che viene spedita ai laboratori più vicini, i quali dispongano di mezzi per gli accertamenti.

Compete ai laboratori rilasciare dei certificati attestanti se il cemento che viene immesso al consumo è più o meno idoneo ad essere utilizzato.

Copia dei certificati viene mensilmente mandata al mio Ministero, che li esamina. E quando nulla ha da dire al riguardo, naturalmente, non fa che prenderne atto; quando invece trova che il prodotto è inferiore ai limiti di resistenza o di tolleranza o comunque deteriore per qualità, ne fa segnalazione al Ministero dell’industria e commercio per gli opportuni provvedimenti.

Tutte queste ispezioni e questi controlli sono sempre regolati dalla legge fondamentale del novembre 1939.

Inoltre il mio Ministero, nell’aprile di questo anno, per intensificare la sorveglianza e il controllo, ha emanato nuove disposizioni in virtù delle quali il controllo non si limita soltanto alle cementerie e ai luoghi doveri cementi vengono adoperati, ma deve farsi anche in forme cosiddette volanti presso i luoghi di spedizione, durante il trasporto e dovunque essi si trovino. A seguito di tali accertamenti improvvisi o saltuari, se ne risulta una qualità di cemento diverso o di qualità inferiore a quella denunciata all’esterno, si fa anche luogo a denunzia penale per frode in commercio ai sensi dell’articolo 515 del Codice penale.

Recentemente ho dato anche nuove disposizioni ai funzionari del mio Ministero perché, in unione a quelli del Ministero dell’industria, studino e propongano altri sistemi di accertamento e di controllo, rapidi e semplici, onde corrispondere alle esigenze denunciate dall’onorevole Colonnetti. Il quale è certamente informato delle trattative in corso tra i funzionari del mio Dicastero e quelli del Consiglio nazionale delle ricerche, al fine di correggere e aggiornare con nuove e più adatte disposizioni la legge del 1939.

Detti studi sono ormai a buon punto ed è nei miei propositi tradurli al più presto in norme di legge.

Assicuro pertanto l’onorevole Colonnetti ed i colleghi che con lui hanno firmato l’interrogazione, di tenermi a loro disposizione per qualsiasi eventuale suggerimento e proposta, in modo che le nuove auspicate provvidenze corrispondano all’aspettativa del Paese, il quale ha diritto di pretendere che i materiali di costruzione abbiano i necessari coefficienti di stabilità e garantiscano perciò la maggiore tranquillità. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COLONNETTI. Io sono grato al Ministro dei lavori pubblici per le sue dichiarazioni che ci confermano – sebbene non ce ne fosse davvero bisogno – il suo vivo e fattivo interessamento al problema ed il suo alto senso di responsabilità nella gestione dell’Amministrazione alla quale presiede.

E penso che, proprio per questo suo senso di responsabilità, non gli spiacerà ch’io mi permetta di richiamare la sua attenzione su di uno stato di fatto che è in stridente contrasto con le sue intenzioni e con le disposizioni da lui emanate.

È verissimo che a disciplinare la tecnica delle costruzioni in cemento armato vige il decreto del 16 novembre 1939, n. 2229, il quale ha precisamente per iscopo di provvedere a quella vigilanza ed a quei controlli che io invoco in questo momento.

Dice quel decreto – all’articolo 2 – che «la qualità e le proprietà dei materiali impiegati nella esecuzione delle opere in conglomerato cementizio semplice ed armato devono essere comprovate, prima e durante il corso dei lavori, da certificati rilasciati da uno dei laboratori ufficiali».

Aggiunge – all’articolo 16 – che da queste prove deve risultare una certa resistenza dei calcestruzzi, soggetta a certe condizioni che io per brevità non vi starò qui ad elencare, ma che in ogni caso «non dovrà mai risultare inferiore a 120 chilogrammi per centimetro quadrato, per i conglomerati di cemento normale.

«Non raggiungendosi a 28 giorni di stagionatura la resistenza richiesta, la prova dev’essere ripetuta a 60 giorni su altri provini prelevati contemporaneamente ai primi.

«Qualora nella seconda prova la resistenza prescritta non sia raggiunta, il direttore dei lavori provvede, secondo i casi, alla sospensione dei lavori, ed eventualmente al rafforzamento delle opere o alla loro demolizione».

Finalmente – all’articolo 50 – quel decreto impone al direttore dei lavori «l’obbligo di allegare ai documenti di collaudo i certificati delle prove eseguite a norma delle disposizioni precedenti».

Ora, in questo, come in tutti i decreti, c’è un comma che manda «a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare».

Io non so bene a chi spetti di fare osservare le disposizioni che ho riferito; se all’autorità tutoria in generale (ai prefetti, per esempio) oppure agli organi tecnici dello Stato. Ma so che quelle disposizioni non sono osservate e che nessuno si occupa di farle osservare.

I laboratori ufficiali ricevono bensì continuamente dei campioni di cementi e di calcestruzzi da provare.

Ma i risultati sono spesso, troppo spesso, di gran lunga inferiori ai limiti regolamentari. Su cementi dichiarati da 500 chilogrammi per centimetro quadrato, si riscontrano resistenze che raggiungono a mala pena i 350 chilogrammi. Calcestruzzi che dovrebbero sopportare 120 chilogrammi per centimetro quadrato, si rompono sovente sotto carichi di soli 65, 70, 75 chilogrammi: poco più della metà del prescritto!

Di fronte a risultati di questo genere sono relativamente poche le richieste di prove a due mesi; esse d’altronde confermano quasi sempre le insufficienze già constatate alla scadenza di 28 giorni.

Ora, i laboratori ufficiali hanno soltanto il dovere di comunicare i risultati delle prove a chi le prove stesse ha richieste; essi non hanno alcun mandato né alcuna possibilità di indagare se e dove i materiali di cui si tratta vengono impiegati e messi in opera: non hanno alcun mandato né alcuna possibilità di accertare se, là dove i risultati sono sfavorevoli, le costruzioni in corso vengano, come di dovere, sospese o rinforzate o demolite.

Ma abbiamo ragione di dubitare molto che questo si faccia!

Perciò qualche direttore di laboratorio di mia conoscenza ha creduto suo dovere richiamare, sui risultati cui sopra ho accennato, l’attenzione del Genio civile.

Io non dubito che l’ingegnere Capo del Genio civile avrà fatto il suo dovere trasmettendo quelle segnalazioni al Ministero dei lavori pubblici. Non dubito che il Ministero dei lavori pubblici avrà fatto il suo dovere trasmettendole al Ministero dell’industria.

Non so che uso debba farne il Ministero dell’industria. Ma ciò che io chiedo al Ministro è se nel frattempo qualcuno si è incaricato di identificare e mettere in mora coloro che impiegavano quei materiali, e di impedire che quelle costruzioni venissero ultimate e collaudate.

Consentite, onorevoli colleghi, che a questo proposito io vi racconti un piccolo episodio che dimostra fino a quale punto si sia giunti.

Alcuni giorni or sono un nostro collega, da molti di voi ben conosciuto ed apprezzato, l’onorevole Casalini, che in questo momento è Vice sindaco di Torino, mi raccontava che, avendo avuto qualche dubbio sopra una costruzione in corso per scuole municipali, si era recato personalmente sul posto ed esaminando la struttura in cemento armato aveva constatato che in alcuni punti il calcestruzzo si sgretolava sotto la semplice pressione della mano, lasciando scoperti i ferri dell’armatura perfettamente puliti – indice non dubbio di inesistente aderenza – sicché aveva dovuto personalmente provvedere a far sospendere i lavori e ad ordinare che tutta un’ala del fabbricato fosso rifatta.

Ma tutto questo è avvenuto in una scuola di Torino per lo zelo e la personale competenza dell’onorevole Casalini.

Non possiamo pensare di affidarci soltanto all’alea di siffatti interventi personali. Ci deve essere qualche organo che funzioni per arrestare abusi di questo genere, abusi che hanno portato a disastri, a vittime umane. Non basta che ad ogni disastro si promuova un’inchiesta onde stabilire le responsabilità. Attraverso l’inchiesta si troverà sempre una qualche causa occasionale che spiega l’incidente. Ma vi è un fatto, universalmente accertato, il quale basta da solo a spiegare tutti i disastri, ed è che vi sono sul mercato notevoli quantità di cementi di pessima qualità e che questi vengono regolarmente ed impunemente utilizzati, senza che direttori di lavori e collaudatori intervengano ad impedirlo, senza che le autorità provvedano ad accertare e a colpire le responsabilità di costoro.

Se l’ultimo articolo del decreto che io vi ho citato fosse applicato, se cioè i collaudatori effettivamente esigessero ed allegassero i certificati di prova dei materiali rilasciati dai nostri laboratori, quanti collaudi sarebbero negativi!

Il Ministro ha accennato agli studi in corso.

Anche su questo punto mi permetto di dirgli che egli si fa delle illusioni sulla rapidità e sulla efficacia di tali studi.

Questi sono infatti cominciati da tempo, auspici i suoi predecessori; e, sulla base di essi, è stato redatto il nuovo testo che io da mesi ho in bozze sul tavolo. Questo nuovo testo, fra l’altro, porta a 160 chilogrammi per centimetro quadrato il limite inferiore di resistenza, dei calcestruzzi che, nel vecchio testo, era di 120 chilogrammi, dimostrando chiaramente che la Commissione ha riconosciuto insufficiente la norma vigente.

Ma che valore ha questo, se, mentre le bozze del nuovo decreto girano da un Ministero all’altro e da ciascuno di essi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in attesa di raccogliere tutti i necessari consensi, si continuano ad impiegare impunemente calcestruzzi che non rispondono né alle norme nuove né alle vecchie?

Il Ministro ha alluso all’opportunità che la mia interpellanza fosse rivolta anche al Ministro del tesoro.

Io non ho mai mancato di cogliere ogni occasione per tormentare il Ministro del tesoro, allo scopo di ottenere da lui i mezzi necessari per il finanziamento di ogni genere di studi e di ricerche. Ed accetto il cortese rimprovero dell’onorevole Tupini e lo assicuro che continuerò ad insistere.

Qui, oggi, una cosa mi preme soprattutto, ed è di attirare la di lui attenzione e la vostra, onorevoli colleghi, sopra l’aspetto tecnico del problema e sulla necessità di provvedimenti.

Sono tuttavia grato all’onorevole Ministro per la sua osservazione, la quale mi permette di segnalare e di lamentare le continue difficoltà che il Ministero del tesoro frappone a tutte le nostre richieste di finanziamento; di segnalare e di lamentare le condizioni di non funzionalità in cui sono troppo spesso lasciati i nostri laboratori di ricerca.

Conviene che si sappia, qui e fuori di qui, che ogni studio, ogni ricerca opportunamente finanziata si tradurrebbe in progressi reali della nostra tecnica che è rimasta arretrata in questi ultimi anni. All’estero si sono fatti progressi notevoli; la tecnica delle costruzioni si è affinata e perfezionata, si sono introdotti nell’uso comune i cementi ad alta resistenza, i cementi espansivi, e si è diffuso l’impiego dei cementi armati precompressi.

Da noi esiste una Commissione per i cementi ad alta resistenza, che fu costituita nel 1938 o forse nel 1939: non lo so con precisione, perché in quell’epoca io ero considerato un reprobo e non ne facevo parte. Ma ne faccio parte da tre anni, e vi posso dire che essa si raduna regolarmente una volta all’anno col solo risultato di rinviare ogni decisione alla volta successiva.

Ora i cementi ad alta resistenza si fabbricano all’estero, ed in Italia esiste una fabbrica che è in condizione di produrli; ma io ho l’impressione che è ancor lontano il giorno in cui li potremo impiegare nelle nostre costruzioni.

La stessa cosa accade per i cementi armati precompressi.

Da parte del Consiglio nazionale delle ricerche sono state formulate proposte intese ad ottenere dal Ministero dei lavori pubblici l’autorizzazione all’impiego in Italia, della nuovissima tecnica, e la sua regolamentazione. La questione, dal punto di vista tecnico, è matura a tal segno che travi precompressi si incominciano a costruire e ad impiegare senza alcuna autorizzazione e senza alcun controllo; il che può anche dar luogo a gravi inconvenienti. Ma il regolamento relativo è sempre allo studio!

Io segnalo questo stato di cose al Ministro non per uno sterile e vano desiderio di fare critiche, ma per dargli una prova concreta di collaborazione fattiva, e soprattutto per dimostrargli la fiducia che nutro nella sincerità dei suoi propositi e nel senso di responsabilità con cui regge il suo Dicastero.

Egli sa che il Consiglio nazionale delle ricerche è a disposizione per ogni genere di studi, e chiede soltanto che questi studi non restino lettera morta, come è accaduto, per esempio, per tutte le proposte fatte dai diversi Congressi che il Consiglio delle ricerche ha promossi in vista della ricostruzione edilizia. Raccolte in un grosso volume, quelle proposte stanno ad attestare lo spirito di iniziativa e la volontà di collaborazione degli ingegneri e degli architetti italiana però neppur una di esse è stata dal Ministero presa in considerazione.

Al Ministro noi saremo grati se egli vorrà per l’avvenire più largamente valersi dell’opera nostra, appoggiando e valorizzando, coll’autorità che gli deriva dalla sua altissima carica, quegli studi che il Consiglio va promuovendo su temi, in ordine ai quali qualunque nuovo ritrovato, qualunque anche lieve progresso tecnico si traduce in un risparmio di materiali e quindi in un concreto vantaggio per l’economia nazionale. (Applausi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

In relazione all’articolo 85, approvato ieri, l’onorevole Bettiol ha presentato il seguente articolo aggiuntivo:

«Il Presidente della Repubblica, mentre dura in carica, non può essere perseguito per violazioni alla legge penale commesse fuori dell’esercizio delle sue funzioni».

L’onorevole Bettiol ha facoltà di svolgerlo.

BETTIOL. Mi permetto di attirare l’attenzione dell’Assemblea su un argomento piuttosto importante che ieri non è stato trattato quando si è parlato della responsabilità penale e politica del Presidente della Repubblica per reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni: vale a dire il problema del trattamento giuridico penale riservato al Presidente della Repubblica, per quei fatti che violano la legge penale commessi mentre il Presidente della Repubblica è in carica.

Il quid iuris in questo determinato caso non è puramente cerebrale e astratto, ma potrebbe avere nel nostro Paese, come ne ha avuto in altri, manifestazioni concrete.

Le soluzioni possibili dal punto di vista teoretico sono tre: prima, il Presidente sta completamente al di sopra della legge penali, come il monarca del tempo passato, ciò che è in contrasto irriducibile coi fondamentali principî democratici, ai quali si ispirala nostra Costituzione; seconda, considerarlo soltanto esente da pena, cioè ammettere che in concreto il reato si possa raffigurare, ma per motivi particolari rinunziare all’applicazione della pena, tanto durante il tempo in cui il Presidente è in carica che dopo; questa sarebbe una immunità di carattere personale, che si avvicina alla esenzione completa dall’obbligo di osservare la legge penale: terza soluzione è quella che guarda il problema sotto il profilo della giurisdizione e considera i fatti perpetrati dal Presidente della Repubblica come fatti per i quali non si può esperire azione penale, mentre il Presidente della Repubblica rimane in carica; si tratterebbe di una pura esenzione da giurisdizione. Ritengo che quest’ultima soluzione sia, dal punto di vista politico, la più adeguata alle premesse democratiche della Costituzione e risponda quindi alle direttive politiche fondamentali, alle quali dobbiamo ispirarci.

Detto questo, mi permetto di presentare o come comma aggiuntivo o come articolo a sé il seguente emendamento:

«Il Presidente della Repubblica, mentre dura in carica, non può essere perseguito per violazioni della legge penale commesse fuori dell’esercizio delle sue funzioni».

Resta chiarito che questa esenzione da giurisdizione dura fin quando il Presidente è in carica; quando il Presidente ritorna privato cittadino, questo suo privilegio processuale viene meno ed egli può essere tradotto davanti ai giudici per rispondere del reato perpetrato mentre era in carica, a1 di fuori dell’esercizio delle sue funzioni.

Ma, se durante l’esercizio delle sue funzioni il Presidente commette un grave reato, penso che la forza delle cose sia tale, da creare in concreto l’obbligo di dimissioni da parte del Presidente della Repubblica.

Non si deve dimenticare che gli articoli della Costituzione non sono principî meramente ideali, ma sono ancorati alla realtà politica e sociale.

PRESIDENTE. Ieri sera l’onorevole Bozzi si era riservato di fare una proposta analoga e l’Assemblea aveva accettato senz’altro di discuterla.

L’onorevole Bettiol ha iniziato la discussione, svolgendo l’articolo aggiuntivo da lui redatto.

Ma ve n’è un altro sulla stessa materia, che porta le firme degli onorevoli Monticelli, Arcangeli, Bosco Lucarelli, Camposarcuno, Ferrarese, De Palma, Angelini, Fuschini, Balduzzi, Cappi e De Unterrichter Maria:

«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni».

L’onorevole Monticelli ha facoltà di svolgerlo.

MONTICELLI. L’osservazione fatta ieri sera dal collega onorevole Bozzi, mise in rilievo questa lacuna del progetto di Costituzione, che consente la possibilità, per il Presidente della Repubblica, di essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni. Io ritengo che durante l’esercizio delle sue funzioni il Presidente della Repubblica non debba essere esposto alla prima denunzia che potrebbe essere fatta non soltanto per un reato colposo, ma anche per un reato come la diffamazione o l’ingiuria, che lo costringerebbe a dover render conto delle sue azioni prima al Procuratore della Repubblica e poi al Magistrato. Ciò verrebbe ad infierire notevolmente sulla sua autorità.

Queste considerazioni, ed i rilievi fatti stamane dall’onorevole Bettiol, che in sostanza collimano perfettamente con l’osservazione che io ed altri colleghi abbiamo fatto, in quanto nessuna sostanziale differenza vi è fra noi, perché il collega Bettiol parla di esenzione dalla legge penale finché il Presidente è in carica, mentre noi sosteniamo che il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto, finché è in carica, a procedimento penale, dimostrano che anche se la forma è diversa, il concetto è lo stesso. L’importante è che la norma, sotto forma di articolo aggiuntivo, venga inserita nella Costituzione a garanzia della figura del Presidente della Repubblica e soprattutto allo scopo di assicurargli quella giusta posizione di indipendenza di cui egli ha bisogno. Perciò insisto affinché l’Assemblea voti questo nostro articolo aggiuntivo.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbi ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo al testo proposto dall’onorevole Bettiol: «salvo che le Camere riunite non ravvisino un caso di impedimento».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORBI. Condivido il concetto informatore dell’emendamento presentato dall’onorevole Bettiol, ma mi sembra che su una materia così delicata sia un dovere delle Camere riunite poter stabilire quando si ravvisi impedimento, perché il Presidente della Repubblica possa ancora mantenere le funzioni delle quali è stato investito.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione non ha avuto la possibilità di riunirsi per esaminare gli emendamenti presentati poco fa. Già ieri ho avuto occasione di accennare alle ragioni in base alle quali, sia in sede di Commissione dei Settantacinque, sia, ancor prima, in sede di seconda Sottocommissione, non è sembrato opportuno stabilire una norma precisa nella Costituzione relativamente alla responsabilità penale del Presidente per fatti che non si ricolleghino né direttamente né indirettamente all’esercizio delle sue funzioni. In particolare, una sospensione completa del procedimento penale, per reati comuni, a favore del Presidente, è sembrata eccessiva. D’altra parte un’assimilazione completa del Presidente della Repubblica con i deputati, estendendo al primo le identiche immunità previste per i secondi, non è sembrata adeguata alla figura e alla posizione del Presidente. Oggi la questione torna con gli emendamenti proposti dall’onorevole Bettiol e dall’onorevole Monticelli ed altri. In sostanza i due emendamenti coincidono nell’idea fondamentale che sia sospeso il procedimento penale a carico del Presidente per gli eventuali reati da lui commessi, che non si riconnettono affatto all’esercizio delle sue funzioni. La, Commissione, a questo punto, dopo quanto ho detto, può fare soltanto rilievi di pura forma; si può rilevare che, mentre sotto un certo aspetto sarebbe preferibile, dal punto di vista formale, l’emendamento proposto dall’onorevole Monticelli, in cui si afferma che il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni, d’altra parte l’emendamento Bettiol è più sodisfacente; in quanto fa espresso riferimento ai casi per i quali si contempla la sospensione di procedimento penale a carico del Presidente.

Per quanto riguarda l’emendamento aggiuntivo presentato dall’onorevole Corbi, la Commissione ritiene che è forse superfluo; in questi casi si ha uno di quegli impedimenti per i quali è già prevista la sospensione delle funzioni e la supplenza del Presidente da parte del Presidente del Senato.

CALOSSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOSSO. Io non vedo la necessità di costituire al Capo dello Stato una posizione speciale. Noi abbiamo una magistratura che è sovrana ed è uno dei poteri dello Stato.

Ora, la stessa immunità parlamentare mi pare che sia sorta in antico, soprattutto come una difesa del potere sovrano.

Esiste una magistratura, ed io non capisco perché le si debba togliere questa funzione. Perfino presso certi popoli coloniali vi è la possibilità di chiamare dinanzi al giudice il governatore che rappresenta il potere sovrano .

Poiché abbiamo una magistratura, non comprendo perché non dobbiamo farla funzionare in maniera ordinaria. Sarebbe un procedimento più semplice lasciar fare alla magistratura, nella quale dovremmo avere fiducia. Piuttosto, si dovrebbe migliorare la magistratura, che non è ancora davvero indipendente.

FUSCHINI. Che cosa si dovrebbe fare?

CALOSSO. Ci vuole una magistratura abbastanza buona. (Interruzione dell’onorevole Badini Confalonieri).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

CALOSSO. Non mi pare, d’altra parte, che sia una misura eccessivamente democratica togliere alla magistratura una zona del suo ufficio, salvo il motivo specifico di difenderla da un regime assoluto. Comunque, io voterò contro.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. La Commissione con la quale mi sono consultato, resta ferma nella sua idea che non sia opportuna in materia, una disposizione espressa della Costituzione.

Tuttavia, se l’Assemblea ritiene di dover invece stabilire una disposizione su questo argomento, proporrei questo testo:

«Il Presidente della Repubblica non può, mentre è in carica, essere sottoposto a procedimento penale per fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni, salvo che le Camere riunite ravvisino un caso di impedimento all’esercizio delle funzioni medesime».

PRESIDENTE. Faccio presente che la Commissione ha dichiarato di mantenere la sua convinzione precedente: che non sia necessario inserire una norma di questo genere nel testo della Costituzione. Ove tuttavia, l’Assemblea lo ritenesse necessario, la formulazione accettata dalla Commissione è quella comunicata dall’onorevole Tosato, formulazione nella quale si è tenuto conto delle proposte degli onorevoli Bettiol, Monticelli e Corbi.

Chiedo all’onorevole Bettiol se mantiene il suo emendamento.

BETTIOL. Lo ritiro ed accedo alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Monticelli mantiene il suo emendamento?

MONTICELLI. Insisto nella mia formulazione.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Se la Commissione conserva l’emendamento che è stato testé letto, io dichiaro che voterò contro, rimanendo coerente alle decisioni che furono prese all’unanimità in seno alla Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Noi abbiamo formulato un nuovo testo in un modo diverso da quello proposto dall’onorevole Monticelli, per prestazione tecnica, non per andare contro il progetto, che dobbiamo mantenere perché così fu stabilito a suo tempo; ma riteniamo che – se fosse respinto – sarebbe preferibile la dizione che ha letto poc’anzi l’onorevole Tosato.

MONTICELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTICELLI. Faccio presente che io posso aderire alla proposta ora fatta dal Presidente della Commissione per la Costituzione, solo nel caso che si proceda alla votazione per divisione.

PRESIDENTE. Non si tratta per intanto di votare semplicemente per divisione, si tratta di votare un testo oppure un altro. Il testo della Commissione non combacia col suo, onorevole Monticelli. Do lettura del testo proposto dall’onorevole Monticelli:

«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedimento penale durante l’esercizio delle sue funzioni»,

Il testo della Commissione è invece il seguente:

«Il Presidente della Repubblica non può, mentre è in carica, essere sottoposto a procedimento penale per fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni, salvo che le Camera riunite ravvisino un caso di impedimento dell’esercizio delle funzioni medesime».

MONTICELLI. Mi pare che vi sia una differenza tra le due proposte, in quanto il mio emendamento è più lato.

PRESIDENTE. Non discutiamo sulle cose su cui siamo d’accordo, onorevole Monticelli. Lei ha chiesto che si voti per divisione. Ora, che cosa si può votare per divisione? II testo della Commissione. Il suo testo non si può votare per divisione, perché contiene un solo concetto; per questo, se lei chiede di votare per divisione, implicitamente accetta che si voti sul testo della Commissione.

MONTICELLI. La mia dichiarazione era subordinata a quanto ha detto il Presidente della Commissione. Egli ha detto, riferendosi alla formulazione dell’articolo proposta dall’onorevole Tosato: lei può fare le sue riserve votando contro, quando si tratterà della votazione sulla seconda parte.

Ora, invece, si chiede di decidere se occorra dare al Presidente della Repubblica una esenzione da giurisdizione più larga o più ristretta, e quindi se si debba applicare il concetto di restringere la esenzione soltanto per i fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni. È logico che in tal caso vi è contrasto. E poiché non ci siamo capiti, io insisto sulla mia formulazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Monticelli, il Comitato dei diciotto prima di tutto, voglio ripeterlo, non può che mantenere la originaria proposta di non mettere nulla nella Costituzione, proposta deliberata a suo tempo per le considerazioni così largamente svolte in seno alla seconda Sottocommissione. Certo è che, dopo aver parlato della irresponsabilità negli atti di ufficio, non si dice nulla di quelli fuori ufficio; si deve ritenere per essi la responsabilità: ma la Sottocommissione ha ritenuto che o si tratterà di violazioni lievi, e non si darà corso ai procedimenti; o di violazioni gravi, che rendano impossibile la sua permanenza in ufficio: nei quali casi si avrà una delle figure dell’impedimento, di cui parla altrove la Costituzione. L’argomento è così delicato che la Commissione ritenne a suo tempo che fosse meglio lasciarne la risoluzione alla prassi.

Non disconosco tuttavia, che l’opposta tesi di contemplare la questione con qualche norma può avere – appunto per la delicatezza del tema – qualche argomento a favore: ove prevalesse, è bene che vi sia un testo tecnicamente ben congegnato. Ci troviamo di fronte tre formule. Quella Monticelli, che ci sembra preferibile all’altra Bettiol, perché parla di sottoposizione a procedimento penale, anziché di violazione di norme penali. Invece la formula Bettiol è più completa, in quanto precisa che si tratta di atti compiuti fuori dell’esercizio delle funzioni di Presidente. Infine la terza proposta Corbi è che, stabilita in massima la temporanea immunità finché dura l’ufficio, si dia la possibilità alle Camere unite di intervenire nei casi più gravi, ravvisando l’esistenza di uno degli impedimenti, che implicano la sospensione del Presidente dalle sue funzioni; nel qual caso il giudizio avrà luogo, e – ove dia luogo a condanna – l’impedimento diventerà assoluto ed il Presidente cesserà dalla sua carica.

Noi del Comitato dobbiamo rimanere fedeli alla proposta originaria di non metter nulla; ma, ove l’Assemblea decida diversamente, ci sembra che non potrebbe ammettersi immunità anche temporanea, senza che nei casi gravi si possa colpire un Presidente reo di gravi reati commessi. Con che si cercherebbe di tradurre in un articolo la soluzione di fatto, che si proponeva la Commissione col silenzio.

CORBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBI. Alle varie formule proposte noi avremmo preferito quella concordata poco fa dalla Commissione, anche perché in essa era stato tenuto conto dei nostri suggerimenti. Tuttavia, poiché abbiamo udito ora l’onorevole Ruini, il quale è tornato ad essere del parere di non introdurre alcun testo nella Costituzione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No: lo sono sempre stato; l’ha detto anche l’onorevole Tosato. La Commissione non ha mai mutato il punto di vista manifestato ab origine. Ha solo, ed era suo dovere, incanalato tecnicamente la discussione.

CORBI. Comunque sia, poiché l’onorevole Ruini ci ha manifestato che la Commissione è del parere di non introdurre alcun testo, che cioè essa è contraria a questo articolo aggiuntivo, qualunque ne sia la formulazione, poiché noi condividiamo questa posizione, dichiaro che voteremo contro tutti i vari emendamenti proposti al riguardo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io chiedo che la votazione avvenga per divisione in rapporto a «salvo che».

PRESIDENTE. Voteremo prima l’emendamento Monticelli, dove non esiste il «salvo che»; eventualmente dopo, se non risulterà approvato il testo dell’onorevole Monticelli, voteremo per divisione quello della Commissione.

MONTICELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTICELLI. In seguito alle spiegazioni fornite dall’onorevole Presidente della Commissione, io dichiaro di aderire alla formulazione dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE. Sta bene; metteremo subito in votazione il testo della Commissione, secondo la richiesta dell’onorevole Condorelli.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Mi permetto di osservare che ci si sta disorientando, mentre, in seguito agli interventi dei colleghi che hanno testé parlato e soprattutto in seguito a quello dell’onorevole Corbi, la situazione era stata sufficientemente chiarita. L’emendamento della Commissione non può essere messo in votazione, perché la Commissione è per l’abolizione dell’articolo aggiuntivo. Pertanto, il collega Monticelli non può far suo il testo proposto dalla Commissione, perché la Commissione in sostanza lo ritira. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, precisiamo i termini della questione. La Commissione aveva stabilito di non includere questo testo e, di fatto, essa è rimasta fedele a questo suo punto di vista, come ha dichiarato ora l’onorevole Ruini. Poiché, tuttavia, sono stati presentati dei testi aggiuntivi, la Commissione ha cercato di dare al concetto espresso in questi testi aggiuntivi la formulazione che ad essa è sembrata migliore: ma è evidente che essa è subordinata al non accoglimento da parte dell’Assemblea del punto di vista di non introdurre nella Costituzione questo articolo aggiuntivo.

MONTICELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONTICELLI. Onorevole Presidente, per semplificare, faccio mio il testo elaborato dall’onorevole Tosato, rinunziando alla mia formulazione.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro qualsiasi emendamento che pretenda riempire la lacuna e modifichi il silenzio mantenuto nel testo di progetto della Costituzione, perché resto coerente alle conclusioni cui pervenimmo nella Sottocommissione. In sostanza noi ritenemmo che la formulazione della norma era nella fattispecie soverchiamente difficile, in quanto bisognava fare un’ipotesi di reato; e anche il dire, come propone l’onorevole Bettiol, «reati al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni» avrebbe quasi significato che, viceversa, nell’esercizio delle sue funzioni il Capo dello Stato reati avrebbe potuto commettere, purché non fossero di tradimento o di violazione della Costituzione.

La sospensione dell’azione penale finché era in carica, era norma che pure preoccupava dal punto di vista che sarebbe sembrato che da parte delle Assemblee non fosse mai, in nessun caso, revocabile la nomina del Presidente; mentre noi pensavamo invece che, anche senza dirlo, trattandosi di una nomina da parte del Parlamento, in occasione della quale non si scioglie l’organo che ha fatto questa nomina, sia sempre possibile, in astratto, pensare anche alla legittimità della revoca. Allora, delle due l’una: o il fatto cosiddetto penale era di così lieve entità che non valeva assolutamente la pena di occuparsene (e soltanto alla scadenza dei sette anni il giudice avrebbe in pratica potuto pensare alla sua perseguibilità), oppure, viceversa, se il fatto fosse di tale gravità da rendere necessario un procedimento penale, ed avveniva durante l’esercizio delle funzioni, sarebbe stato agevole senz’altro al Parlamento constatare l’incompatibilità, per questa ipotesi concreta di delinquenza intervenuta da parte del Presidente della Repubblica, e quindi revocandolo, sostituirlo con un altro.

Io trovo, quindi, che politicamente, la soluzione più brillante fu quella del silenzio, perché in una Costituzione non si possono prevedere tutte le infinite fattispecie, per delle ipotesi che a priori si palesano molto difficili ad accadere. E anche di fronte all’esempio dell’onorevole Bozzi, il quale faceva l’ipotesi di un investimento colposo con l’automobile, ricordo benissimo che in Commissione dicemmo: «Speriamo che lo chauffeur non sia stato nominato direttamente dal Capo dello Stato e che sia commesso di un determinato ordinamento amministrativo, cosicché si possa procedere contro lo chauffeur, senza disturbare il Presidente della Repubblica che viaggiava a bordo della macchina».

Questa fu la ragione concreta per cui, dopo un profondo esame, deliberammo che ci fosse nel testo del progetto una lacuna, un vuoto. A questo vuoto e a questa lacuna io mi attengo fedelmente.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Volevo porre semplicemente una questione regolamentare: chiedere cioè se sia opportuno e conforme al Regolamento mettere la questione nei termini proposti, visto che c’è una pregiudiziale, cioè la proposta di non dire niente, di conservare il silenzio sulla questione che l’onorevole Monticelli vorrebbe regolamentare.

Mettendo in votazione una formulazione di carattere positivo, si fa venire meno la possibilità di un’espressione chiara del pensiero dei votanti. Infatti vengono necessariamente a confluire nel voto contrario all’emendamento tanto coloro che ritengono più opportuno eliminare dalla Costituzione ogni statuizione sull’argomento, quanto coloro che, pur ammettendo una disciplina della materia, non consentono nella formulazione proposta con l’emendamento.

PRESIDENTE. Non esiste alcuna pregiudiziale; nessuno l’ha posta, e pertanto l’onorevole Monticelli ha diritto di presentare il suo emendamento.

MORTATI. La Commissione l’ha posta.

PRESIDENTE. La Commissione non può porre pregiudiziali. Essa ha semplicemente esposto il suo avviso sulla proposta fatta.

Pongo in votazione la prima parte dell’articolo aggiuntivo nel testo della Commissione, fatto proprio dall’onorevole Monticelli:

«Il Presidente della Repubblica non può, mentre è in carica, essere sottoposto a procedimento penale per fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni».

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

Essendo stata respinta questa prima parte, non possiamo procedere alla votazione della seconda.

Passiamo all’esame dell’articolo 87. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Primo Ministro e Ministri debbono avere la fiducia del Parlamento.

«Entro otto giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta all’Assemblea Nazionale per chiederne la fiducia.

«La fiducia è accordata su mozione motivata, con voto nominale ed a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea».

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere il primo comma».

«Al terzo comma, sopprimere le parole: ed a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea».

Ha facoltà di svolgerli.

CORBINO. Ho proposto la soppressione del primo comma dell’articolo 87, perché mi pare inutile che si dica che Presidente del Consiglio e Ministri debbono avere la fiducia del Parlamento quando, al secondo comma, si dice: «Entro otto giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta all’Assemblea Nazionale» (o alle Camere) «per chiederne la fiducia». È quindi evidente che nel secondo comma è implicito il concetto contenuto nel primo comma.

D’altra parte la questione potrebbe prospettarsi sotto il problema della fiducia del Parlamento, cioè a dire delle Camere riunite, e quindi collegarsi con l’articolo 88.

Siccome per quanto concerne l’articolo 88 io resterò nell’ordine di idee che la fiducia debba essere data separatamente da ciascuna delle due Camere, sono contrario all’affermazione contenuta nel primo capoverso dell’articolo 87.

Quanto all’emendamento soppressivo dell’ultima parte del terzo comma, esso è subordinato al fatto che l’Assemblea respinga l’emendamento Nitti-Bozzi, soppressivo dell’intero comma.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Nitti e Bozzi hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

Il Governo deve avere la fiducia del Parlamento».

«Sopprimere il secondo e il terzo comma».

In assenza dell’onorevole Nitti, ha facoltà di svolgere l’emendamento l’onorevole Bozzi.

BOZZI. Il primo emendamento proposto dall’onorevole Nitti e da me ha un carattere meramente formale: anziché dire: «Primo Ministro e Ministri», si dice: «Il Governo», perché nell’articolo precedente è detto come è costituito il Governo.

L’altro emendamento da noi presentato mira appunto a sopprimere il secondo e terzo comma.

Vi sono enunciazioni superflue o pericolose. Perché fare obbligo al Governo di presentarsi alle Camere entro 8 giorni? Se circostanze di forza maggiore lo costringessero a presentarsi entro un termine maggiore, che cosa succederebbe? Qual è la sanzione? La decadenza del Governo, forse? Evidentemente non è il caso di inserire una norma di questo genere nella Costituzione.

Anche l’ultimo comma, dove si dice che la fiducia è accordata su mozione motivata, appare superfluo. Si capisce che la fiducia fa seguito ad una discussione che traccia implicitamente le linee del compito governativo. La fiducia si dà sulla base delle dichiarazioni del Governo. Motivata può essere, invece, la mozione di sfiducia.

Valore maggiore ha invece l’ultimo alinea, dove si richiede per la fiducia la maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea. Questa maggioranza assoluta è per noi eccessiva; può essere difficile raggiungerla. Cosa succederà allora? Perché vogliamo rendere tanto difficile la costituzione del Governo? Noi proponiamo la soppressione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Macrelli e De Vita hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il secondo e il terzo comma».

L’onorevole Macrelli ha facoltà di svolgerlo.

MACRELLI. Insieme col collega De Vita avevo presentato un emendamento all’articolo 87 per la soppressione del secondo e terzo comma.

Però ho creduto opportuno di presentare stamattina un emendamento che non è più soppressivo, ma completa la dizione dell’articolo 87.

Infatti il primo comma dell’articolo 87 nella sua formulazione può prestarsi ad equivoci pericolosi. II Presidente del Consiglio e i Ministri devono avere la fiducia del Parlamento. Noi pensiamo che il Governo debba assumere una responsabilità, solidale anche per quel che riguarda gli atti dei singoli Ministri. E allora abbiamo presentato questo emendamento sostitutivo dell’articolo 87:

«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Entro 10 giorni dalla sua formazione deve presentarsi alle due Camere per chiederne la fiducia».

Non credo che questo emendamento abbia bisogno di illustrazioni. Le parole e lo spirito servono esattamente ad interpretare il pensiero dei proponenti.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al secondo comma, alle parole: all’Assemblea Nazionale, sostituire le parole: alle Camere.

«Al terzo comma, alle parole: dei componenti l’Assemblea, sostituire le parole: dei componenti di ciascuna Camera».

Ha facoltà di svolgerli.

FUSCHINI. Non voglio aggiungere nessun chiarimento ai miei emendamenti, che si riferiscono semplicemente al problema dell’Assemblea. Siccome l’Assemblea Nazionale è caduta, io avevo proposto questo emendamento per sostituire ad essa le due Camere: ogni Camera deve dare la fiducia al Governo.

Ma ho l’impressione che la Commissione abbia redatto un nuovo testo che tiene conto dei vari emendamenti, e domanderei al Presidente se è pervenuto al suo seggio questo nuovo testo della Commissione, perché allora la discussione potrebbe essere risparmiata.

Certamente è fuori di dubbio che tanto la fiducia quanto la sfiducia devono esser date dalle due Camere separate. Quindi ogni atto di fiducia di una Camera sola non è sufficiente per mantenere in vita un Governo, mentre è sufficiente l’atto di sfiducia di una sola Camera per farlo cadere.

È bene però conoscere se la Commissione ha disposto un nuovo articolo per poterci regolare.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, fino a questo momento non ho ricevuto nessun testo elaborato dalla Commissione, ma solo un testo dell’onorevole Tosato, presentato a titolo personale. Per questo motivo non ne ho dato e non ne darò lettura, se non quando darò la parola all’onorevole Tosato perché lo svolga.

L’onorevole Arata ha presentato gli emendamenti:

«Al secondo comma, alle parole: all’Assemblea Nazionale, sostituire: alle Camere.

«Sostituire il terzo comma col seguente: «La fiducia è accordata con voto nominale, a maggioranza».

Ha facoltà di svolgerli.

ARATA. Rinunzio a svolgere il primo emendamento perché, oltre alle ragioni che sono state accennate, credo che la questione dell’Assemblea Nazionale sia chiarita e definita.

L’altro emendamento concernente il terzo comma, è diretto, in primo luogo, a depennare la parola «motivata» dal testo del comma, nel senso che la fiducia intenderei venisse accordata con voto nominale, a maggioranza, su mozione, ma senza dire che questa debba anche essere motivata. Questo perché, se noi siamo persuasi che le parole inutili in una Costituzione sono, più che inutili, dannose, in quanto possono prestarsi ad equivoci, dovremmo anche convenire che questo particolare requisito, di cui dovrebbe rivestirsi la mozione di fiducia, possa essere senz’altro trascurato. Noi stiamo invero contemplando il caso di un Governo che si presenta per la prima volta alle Camere per rispondere, non già di una attività che abbia svolto, ma unicamente nel programma che intende attuare. Tutta la sua attività si compendia, cioè, nell’enunciazione di un programma e nella formulazione di certe promesse.

In questo caso che cosa noi dobbiamo motivare? che cosa, cioè, può e deve motivare una mozione di fiducia? Dovrà la mozione, tradursi nella solita formula: «La Camera, udite le comunicazioni del Governo, le approva», oppure dovrà essere una formula diversa? Nel primo caso non c’è bisogno alcuno di inserire nella Costituzione un qualsiasi obbligo di motivazione, perché quella formula si usa, direi quasi, da tempo immemorabile, e mai s’è sentito il bisogno di renderla obbligatoria in un qualsiasi testo di legge o di regolamento. Oppure si vuole una motivazione più vestita, più completa; ma, onorevoli colleghi, in questo caso mi sembra che non faremmo una cosa seria, a mio modesto avviso, perché noi, in fondo, andremmo ad esigere una motivazione che si convertirebbe in questo giro di parole, in questa tautologia: «La Camera esprime la sua fiducia al Governò perché il Governo le dà fiducia». Non può essere, infatti, diversamente, perché una mozione di fiducia che deve approvare un Governo non per l’opera e per l’attività che ha prestato, ma unicamente per il programma e per le promesse che ha enunciate, non può, evidentemente, motivare niente. E allora non sembra forse più serio erigere che la motivazione, in quanto non è che la base di un giudizio positivo o negativo in relazione ad una attività prestata, venga formulata dopo che si sia maturata la situazione di fatto che un tal giudizio possa giustificare e legittimare? Queste sono le osservazioni che ho voluto prospettare, nella fiducia di non avere detto cose inesatte e nella fiducia quindi che il mio emendamento venga accolto.

Per quello che riguarda la maggioranza qualificata, il problema è certamente più serio.

Con l’articolo 61 noi abbiamo votato la norma di principio secondo cui le deliberazioni dell’Assemblea, per essere valide, debbono essere votate a maggioranza dei presenti, e con la presenza della maggioranza dei componenti il corpo votante. Questo in linea di massima. Abbiamo però votato anche delle eccezioni, e cioè che la Costituzione indicherà i casi in cui viene richiesta una maggioranza qualificata.

Ora è evidente che, perché sia richiesta, questa maggioranza qualificata, debba trattarsi di una votazione che abbia un oggetto di speciale gravità, e comportante effetti giuridici a politici di speciale rilievo. È quindi da vedere se la votazione sulla mozione di fiducia ad un Governo, che si presenta per la prima volta alla Camera, abbia questo carattere. Indubbiamente, a prima vista, questo carattere di speciale importanza balza agli occhi.

Scopo, infatti, del progetto, nel richiedere una maggioranza qualificata, è che il Governo parta con un numero minimo di suffragi tale da garantire che il percorso sia il più sicuro, il più lungo, il più saldo che sia possibile. Ma a me sorge questo dubbio, o cioè che noi, nella preoccupazione che il Governo possa avviarsi verso un cammino il più lungo ed il più sicuro possibile, si finisca addirittura col non farlo partire affatto. Mi sorge cioè il dubbio che, trattandosi di un nuovo Governo, il rimedio sia troppo energico e possa produrre degli effetti peggiori del male che si vuole combattere.

Si vuole, infatti, che il Governo possa intraprendere la sua opera con un particolare numero di suffragi, e cioè superiore alla maggioranza. semplice.

Ebbene, che faremo il giorno in cui l’Assemblea, per la sua composizione politica, o per il numero degli assenti o per quello degli astenuti (sempre possibili di fronte ad un Governo per il quale c’è soltanto l’attesa), che faremo, dunque, se, per tutte queste cause, l’Assemblea non potrà dare quella votazione e cioè non potrà esprimere dal proprio seno quella tale superiore maggioranza? E che faremo se, trattandosi di una votazione su mozione di fiducia, il Governo avrà la maggioranza qualificata in una Camera, mentre nell’altra, composta, ad esempio, di 550 deputati, con 50 assenti e 100 astenuti, 150 votano la sfiducia, e 250 la fiducia? Che faremo di fronte a questi risultati? Vorremo noi ugualmente impedire al Governo ogni possibilità di esperimento?

lo penso, onorevoli colleghi, che la questione sia talmente seria da imporsi alla vostra attenzione anche senza bisogno di altre parole. D’altra parte, io so di parlare a persone più intelligenti e più sperimentate di me, e pertanto mi limito a porre la tesi e ad impostare il tema. La conclusione, poi, la Assemblea la trarrà da sé.

Mi permetto solo un’ultima osservazione.

È mia convinzione che il progetto, nel chiedere che la mozione di fiducia debba essere motivata e che debba ottenere la maggioranza assoluta dei componenti la Camera, abbia tenuto presente che la votazione avvenga innanzi ad un’unica Assemblea: l’Assemblea Nazionale. Ora, una volta eliminata l’Assemblea Nazionale e una volta ammesso che la votazione avviene in due Camere distinte, a me sembra che una maggioranza semplice, cioè non qualificata – ottenuta dal Governo nelle due Camere – equivalga (come valore sintomatico, informativo, politico) alla maggioranza qualificata ottenuta in una sola Camera.

Ecco perché io penso che anche questo mio emendamento verrà benevolmente accolto dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Seguono i seguenti tre emendamenti presentati dall’onorevole Stampacchia:

«Al secondo comma, alle parole: All’Assemblea Nazionale, sostituire: a ciascuna delle due Camere.

«Al terzo comma, alle parole: con voto nominale, aggiungere: cui non partecipano i membri del Governo, ed alle parole: l’Assemblea, sostituire: di ciascuna delle due Camere.

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Il Governo s’intende dimesso di diritto, se non abbia la fiducia di ciascuna delle due Camere».

Ha facoltà, di svolgerli.

STAMPACCHIA. Poche osservazioni, e con brevi parole – com’è mio costume – sugli emendamenti da me presentati.

Voglio innanzi tutto, per prendere le mosse al mio dire, ricordare che l’articolo 87 prevede che il voto di fiducia il Governo debba domandarlo in partenza – come direbbe l’onorevole Arata – dinanzi all’Assemblea Nazionale. Ora di accordo – io e il mio Gruppo – che il Governo prima d’iniziare la sua fatica è mestieri si accerti di godere la fiducia del Parlamento, che rappresenta il Paese. Però qui è da fermare preliminarmente che, secondo la nuova struttura costituzionale dello Stato, entrambi i due rami del Parlamento rappresentano il Paese, a differenza della vecchia struttura per la quale il Senato, di nomina regia, non poteva arrogarsi tale rappresentanza e, potrei aggiungere, non se l’arrogò mai: se pure in qualche momento eccezionale e storico espresse con molta vivacità ed efficacia il sentimento della Nazione.

Tanto ricordato, voglio rilevare che della proposta Assemblea Nazionale, ora in esame, si è già discusso parecchio; e – se non m’inganno – la tendenza della maggioranza di noi tutti è di non parlarne più, di non ammetterla quale una terza Camera e di statuire soltanto la riunione plenaria dei due rami del Parlamento per qualche speciale, eccezionale funzione, come la nomina del Presidente della Repubblica ed altra analoga, da fissare nella Costituzione in termini e limiti rigorosamente tassativi. E da tener presento ancora che, pur essendo una parte della Costituente propensa al sistema unicamerale, non di meno, di accordo e per l’accordo, il sistema bicamerale è prevalso. Adottato tale sistema, ritengo doversi garantire rigorosamente l’autonomia delle istituite due Camere, le quali trovansi sì sul medesimo piano, perché entrambe elettive, ma restano pur distinte l’una dall’altra con figura e personalità proprie, perché giustamente le volemmo differenziate – per evitare incongruente duplicato – dando alla base di ciascuna una struttura elettorale diversa. Da ciò deriva intuitivamente, che il Governo è indispensabile si abbia la fiducia di entrambi i due rami del Parlamento considerati singolarmente e singolarmente consultati.

In vero, chiamando le due Camere confuse insieme in Assemblea plenaria per dare il voto di fiducia al Governo o per altri oggetti, a quali conseguenze si perverrebbe? Che di fatto annulleremmo il sistema bicamerale stesso, in quanto che creeremmo un’Assemblea di nuovo tipo. L’onorevole Nitti ha detto di quale tipo, dimostrandone l’assurdità.

In essa tutti i voti si fonderanno e tutti avranno lo stesso valore, quale sia la loro origine: della Camera dei deputati o del Senato. Ora, ricordiamo quello che ha osservato in proposito l’onorevole Corbino. Noi potremmo avere una maggioranza artificiosa, la quale effettivamente, o sia pure eventualmente, potrebbe non rispondere al pensiero dell’una o dell’altra Camera. Noi riteniamo – ripeto – che il Governo debba avere la fiducia di entrambe le Camere, ma singolarmente prese. In altri tempi bastava la fiducia da parte della Camera dei deputati, poiché – per quanto io ricordo e so – il Senato non era e non fu mai chiamato a dar voto di fiducia al Governo. Però la struttura albertina era assai diversa: il Senato era di nomina regia, e doveva perciò avere una funzione legislativa soltanto moderatrice di quelli che potevano essere gl’impeti della Camera elettiva se il voto popolare portasse masse di sinistra alla predetta Camera. Oggi, invece, abbiamo le due Camere, le quali entrambe hanno un’origine elettiva e popolare, senza però che alcuna delle due abbia funzione moderatrice dell’altra, essendosi soltanto voluto che l’elaborazione separatamente fatta da ciascuno dei due rami del Parlamento giovasse ad un giudizio più ponderato. Il voto di ciascuna delle due Camere bisogna adunque che valga per se stesso. È per questo che noi abbiamo voluto differenziarle all’origine, creando il collegio uninominale pel Senato e invece per la Camera dei deputati il collegio plurinominale a base proporzionale. Dunque, vi sono delle differenze; e se si sono volute, per differenziare le due Camere, non possiamo fondere insieme i voti dell’una Camera e dell’altra, e giungere al risultato, previsto – come ricordai – dall’onorevole Corbino, che la maggioranza di una delle due Camere resti jugulata, soverchiata dal voto dell’altra: che la maggioranza di quindici, venti o più voti di fiducia o sfiducia risultanti dal voto di 500 deputati possa essere messa nel nulla da una differenza in senso contrario risultante dal voto di 200 senatori. Il mio pensiero personale è – e ritengo di interpretare il pensiero di tutti i compagni – che il voto di fiducia – e aggiungo di sfiducia – debba valere sia che provenga da una Camera, sia dall’altra. Il Governo deve avere il voto di fiducia della Camera dei deputati ed il voto di fiducia del Senato perché possa assumere di fronte al Paese d’avere la fiducia del Parlamento. Ed ora passando al terzo comma dell’articolo 87, ricorderò che esso dice: «La fiducia è accordata, su mozione motivata, con voto nominale ed a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea». Io ho proposto che si aggiunga dopo le parole «con voto nominale» le altre: «a cui non partecipano i membri del Governo».

È ridicolo, infatti, che i Ministri ed i Sottosegretari diano il voto di fiducia a se stessi, nel momento in cui si deve stabilire se essi godano la fiducia del Parlamento. È successo qualche volta – in tempo remoto – che un Governo è rimasto, per pochissimi voti, anche per uno solo, e ciò perché i giudicabili avevano giudicato di loro stessi, partecipando alla votazione, votandosi la fiducia. Nel capoverso si parla poi di «maggioranza assoluta». Bisogna vedere se sia proprio il caso di volere detta maggioranza assoluta, senza correre il rischio delle manovre dei gruppi o di partiti tendenti ad evitare la formazione di una maggioranza assoluta nella votazione riguardante la fiducia o la sfiducia al Governo.

È per queste considerazioni che io proporrei di sostituire alle parole «maggioranza assoluta» le parole «maggioranza dei presenti».

PRESIDENTE. Onorevole Stampacchia, Ella non ha presentalo alcun emendamento a questo proposito. Siccome il concetto è stato già svolto da numerosi altri colleghi, la prego di attenersi agli emendamenti da lei proposti.

STAMPACCHIA. Ha ragione; «la maggioranza assoluta» mi è sfuggita nello stilare l’emendamento, pure essendo nella mia intenzione di parlarne. Comunque in riguardo ho detto il mio pensiero.

Vengo infine a svolgere l’emendamento aggiuntivo.

Noi abbiamo detto che il Governo, anche in partenza, deve avere il voto di fiducia delle due Camere; è però necessario – perché il precetto non corra, qualche volta il rischio di rimanere senza effetto ed inefficace – che vi sia la sanzione per il caso che il Governo non abbia la fiducia; cioè occorre che si dica espressamente che il voto di sfiducia o la mancata fiducia importa di diritto le dimissioni del Governo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dall’onorevole Tonello:

«Al terzo comma, dopo le parole: con voto nominale, aggiungere: al quale i membri del Governo non possono partecipare».

Ha facoltà di svolgerlo.

TONELLO. L’onorevole Stampacchia ha poco fa dichiarato di accettare l’aggiunta che io ho proposto a quest’altro capoverso dell’articolo 85. Dichiaro però che questa idea di aggiungere l’esclusione dei membri del Governo dalla partecipazione al voto di fiducia verso se stessi, comprendendo cioè sia i Ministri che i Sottosegretari, mi venne durante l’ultima votazione sulla fiducia al Governo (Si ride al centro).

Rimasi sconcertato e meravigliato nel vedere giovincelli imberbi di politica che correvano a votare la fiducia verso se stessi. (Commenti al centro). Oh Dio! Ad una certa età, quando si hanno i capelli bianchi, si può anche avere fiducia in se stessi, perché tutta l’esperienza passata della vita può dimostrare fino a qual grado può giungere questa fiducia anche nel cervello degli altri. Ma quando si è giovani in politica è meglio lasciarsi giudicare dagli altri ed avere tanta modestia da attendere questo giudizio dagli altri. Perciò, onorevoli colleghi, io ho proposto che dal voto siano esclusi i Ministri e Sottosegretari. Si tratta di una ventina di voti circa dai quali dipende la vita o la morte di un Ministero. Che direste voi di un Ministero che sta in piedi soltanto perché è riuscito ad ottenere la maggioranza con i voti che ha dato a se stesso, pur non avendo la fiducia della Camera? I Ministri ed i Sottosegretari sono sub judice, e debbono per ciò essere giudicati nella loro opera e deve essere appunto la Camera a giudicare. Se essi avranno ben operato e non avranno rimorsi sulla coscienza avranno senza dubbio i voti della Camera. Mi pare che una simile proposta dovrebbe essere accettata da tutti i colleghi.

COSTANTINI. Infatti il principio vale per tutti.

TONELLO. Infatti se vale per un Ministero, poniamo per il Ministero De Gasperi, domani potrebbe valere per il Ministero Tonello (Si ride). Non v’è parzialità: vale per tutti e per ciò invito i colleghi ad accettare un principio di moralità pubblica e di critica morale che un individuo deve fare nel valutare la propria opera e le proprie azioni. Per ciò insisto nel mio emendamento.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione ha presentato il seguente nuovo testo:

«Il Presidente del Consiglio e i Ministri debbono avere la fiducia del Parlamento.

«La fiducia è accordata su mozione motivata e votata ad appello nominale».

Proseguiamo, intanto, nello svolgimento degli emendamenti.

L’onorevole Mortati ha proposto il seguente emendamento:

«All’ultimo comma sopprimere la parola: assoluta, dopo la parola: maggioranza».

Ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il mio emendamento è stato già accolto nella formulazione della Commissione di cui si è data ora lettura, ed è quindi il caso di aggiungere solo brevissime considerazioni a quelle già enunciate da altri colleghi, come l’onorevole Corbino, che hanno fatto proposte analoghe. In sostanza, la soppressione del requisito della maggioranza assoluta pel voto di fiducia si basa sulla considerazione della attuale situazione politica italiana, caratterizzata dalla mancanza di grandi partiti e dalla necessità di dar vita a Ministeri di coalizione. In presenza di una siffatta situazione può sembrare opportuno, proprio ai fini della stabilità del Governo, non richiedere una maggioranza assoluta. Chi propose il testo del progetto, e fra questi anch’io, si indusse a porre la condizione della maggioranza assoluta nella convinzione che essa potesse contribuire a dare maggiore saldezza alla compagine del Governo.

Ma una più matura considerazione ha portato a ritenere che il mantenimento di una disposizione di questo genere potesse in certi casi riuscire controproducente, ed anzitutto rendere più difficile la risoluzione delle crisi, prolungando il periodo di carenza del Governo, ed in secondo luogo rendere più debole la compagine del Ministero, che, dovendo contare su un maggior numero di consensi, sarebbe costretto ad includere nel suo seno elementi di maggiore eterogeneità, e, quindi, perdere di compattezza. È chiaro che più sono i gruppi e gruppetti che entrano nella coalizione di Governo più si accrescono le possibilità di crisi, per l’uscita dalla coalizione stessa di qualcuno di essi.

Siccome il mio emendamento presuppone il mantenimento degli ultimi due commi, e viceversa vi sono proposte di sopprimerli, se il Presidente me lo consente, io dirò brevissimamente le ragioni che, a mio avviso, ne consigliano il mantenimento.

La proposta di sopprimere gli ultimi due commi nella loro totalità, o quella recentemente svolta dall’onorevole Arata che vuole eliminare l’obbligo della motivazione per la mozione di fiducia, muovono da un fraintendimento dello spirito che ha accennato la formulazione della norma. Spirito che può così riassumersi: mettere i deputati che votano la fiducia di fronte alla responsabilità del voto che danno: impegnarli, quindi, di fronte al Paese al programma di Governo cui essi aderiscono e costringerli a dire le ragioni dell’eventuale successivo loro distacco dalla coalizione di Governo.

Una delle cause di instabilità del Governo è costituita dalle crisi extraparlamentari, dall’improvviso ritiro dalla coalizione dei Gruppi che appoggiano il Governo, di uno di essi, ritiro che può determinare una crisi senza che si conoscano le ragioni che l’hanno determinata. A risanare tale situazione giova il prescrivere l’adesione espressa e positiva ad un certo programma di Governo precisamente formulato, onde dar modo al corpo elettorale di valutare l’atteggiamento dei Gruppi che ritirano l’adesione al Governo, il cui programma sia stato da loro approvato.

L’obbligo, quindi, di un conferimento della fiducia in modo esplicito, ed attraverso un’indicazione dei motivi per cui è data, giova a rendere chiari i termini delle relazioni fra Governo e Parlamento, ed a costringere i Partiti a dichiarare le ragioni di dissenso sopravvenute, ciò che consente al popolo un giudizio consapevole, al momento delle elezioni, sull’attività, dei suoi mandatari. Accettato il principio consacrato nei due commi in discussione, sarà facile intendersi sulle modalità di attuazione, modificando eventualmente in modo più elastico il termine prescritto per la presentazione del nuovo Governo alle Camere. L’importante è, ripeto, sancire che il Ministero non può ritenersi costituito in modo definitivo se non sia investito dalla fiducia, con voto positivo. Ciò che importa come conseguenza che non sia possibile uno scioglimento delle Camere da parte di un Governo prima che si sia ad esse presentato.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbi ha presentato il seguente emendamento sostitutivo del terzo comma:

«La fiducia o la sfiducia è deliberata su mozione motivata con voto nominale».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORBI. Noi abbiamo presentato un emendamento sostitutivo del terzo comma dell’articolo 87 e anche un emendamento soppressivo dell’articolo 88. I due articoli sono strettamente legati fra loro.

PRESIDENTE. Ora parliamo dell’articolo 87, poi parleremo dell’articolo 88.

CORBI. La giustificazione dell’emendamento proposto da me all’articolo 87 sta appunto nel fatto che questo articolo è strettamente legato a quello successivo. Perciò chiedo di svolgere contemporaneamente i due emendamenti.

Non sono d’accordo anzitutto con quei colleghi che hanno sostenuto la necessità di una maggioranza qualificata: in secondo luogo i due emendamenti da me proposti tendono ad evitare una procedura che necessariamente genererebbe conflitti ed inconvenienti gravi.

Si sostiene nel primo comma dell’articolo 88 che un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su una proposta del Governo non importa dimissioni. Penso invece che convenga rimettere alla prassi, e non a norme costituzionali, una decisione che spetta al giudizio ed alla sensibilità politica del Governo; il quale giustamente potrà ritenere di dimettersi a seconda della Camera che respinge una sua proposta (la quale può implicare la fiducia), considerandone la maggiore o minore autorevolezza.

Nel secondo comma dello stesso articolo si vuole che un quarto dei componenti dell’Assemblea sia il numero minimo per presentare una mozione di sfiducia; mi sembra che la richiesta sia eccessiva, perché quello di proporre la sfiducia non solo è un diritto delle minoranze, ma è diritto di ogni deputato. E invero chi può escludere che nel corso di una discussione un solo deputato possa esporre argomenti e fatti tali da raccogliere la maggioranza dei consensi? Io credo poi che sia opportuno sopprimere senz’altro anche la seconda parte di questo comma che più opportunamente può essere inserita nel Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Corbi, mi perdoni, lei non sta cercando di motivare la sua proposta di emendamento all’articolo 87 richiamandosi alla sua proposta riguardante l’articolo 88: ma sta spiegando comma per comma perché propone la soppressione dell’articolo 88. In questo modo, anticipa troppo gli eventi.

All’onorevole Stampacchia, che voleva ugualmente illustrare un emendamento all’articolo 88, ho rivolto preghiera di rinunciarvi. La prego di tener conto di queste considerazioni e di rimanere nel quadro della discussione.

CORBI. La proposta di soppressione dell’articolo 88 trova riferimento nella formula da me proposta per l’articolo 87.

PRESIDENTE. Comprendo; ma resti nel quadro della discussione.

CORBI. Restando nel quadro della discussione, insisto sugli emendamenti proposti. Ho preso atto dell’emendamento proposto dalla Commissione che, mi sembra, si rende partecipe di quanto da me esposto e mi auguro che questo stesso emendamento sia accolto dall’Assemblea. Penso insomma che sia opportuno fondere gli articoli 87 e 88 in un solo articolo composto di tre brevi e semplici formulazioni.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Carpano Maglioli, Costantini, Costa, Ghislandi, Fedeli Aldo, Cosattini e Giacometti hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere il primo comma dell’articolo 87».

 

«Sostituire gli altri commi col seguente:

«Entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica per chiederne la fiducia. La fiducia è accordala da ciascuna delle Camere con voto nominale e a maggioranza assoluta dei presenti. Il rifiuto della fiducia, anche di una sola Camera, importa dimissioni».

L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.

TARGETTI. L’accenno specifico alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica non ha altro significato che di porre l’articolo in relazione alle norme della Costituzione già approvate per il Parlamento. L’emendamento si propone poi di stabilire in modo esplicito le conseguenze del voto di sfiducia.

È certo – si può essere tutti d’accordo – che la Costituzione avrebbe anche potuto fare a meno di occuparsi di questa materia. perché c’era una prassi che aveva un valore indiscusso ed avrebbe seguitato ad averlo anche per l’avvenire. Ma, una volta affermato il principio del voto di fiducia, e che un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su di un disegno di legge non porta come conseguenza le dimissioni del Governo, noi crediamo sia necessario fare la previsione anche nell’altro senso, cioè dire chiaramente che un voto di sfiducia, o il rifiuto del voto di fiducia, domandato dal Governo a tenore della Costituzione, porta alle dimissioni del Governo stesso.

Dato che il progetto ha voluto fissare un termine entro il quale il Governo deve presentarsi alle Camere per chiederne la fiducia, noi proponiamo di prolungarlo, portandolo da otto a dieci giorni.

È comunque probabile che alcune delle nostre proposte possano essere ritirate in seguito al nuovo testo dell’articolo che presenterà il Comitato di redazione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Dato lo stretto legame che esiste fra gli articoli 87 e 88, prospetto l’opportunità che siano svolti, prima che la Commissione esprima il proprio parere, anche gli emendamenti relativi all’articolo 88; e di affrontare successivamente la votazione complessiva su tutto l’argomento della fiducia e della sfiducia.

PRESIDENTE. È stato preannunciato un nuovo testo della Commissione in materia. Quando pensa che possa essere presentato, onorevole Tosato?

TOSATO. Ci riserviamo di presentarlo al termine dello svolgimento di tutti gli emendamenti, anche perché immagino che, come al solito, avremo qualche emendamento dell’ultima ora.

PRESIDENTE. Credo che sarebbe meglio che rinviassimo ora la discussione, ma che, all’inizio della seduta pomeridiana, la Commissione presentasse il suo nuovo testo. Avremmo così il vantaggio che alcuni dei presentatori di emendamenti, trovandoli probabilmente accolti in esso, potrebbero rinunziare a svolgerli.

TOSATO. Faremo allora tutto il possibile per presentare all’inizio della seduta pomeridiana il nuovo testo.

Una voce. Bisognerebbe allora iniziare la seduta alle 17.

PRESIDENTE. La seduta sarebbe convocata per le 16. Potremo invece iniziarla alle 16.30. In quella mezz’ora i membri della Commissione potranno tentare di raccogliere le loro idee per presentare, all’inizio della seduta, il nuovo testo.

Onorevoli colleghi, tengano presente che, non appena avremo concluso le votazioni sul Titolo in esame, l’Assemblea dovrà discutere e votare sull’articolo 123, che contiene l’elencazione delle Regioni. Dovremo affrettarne la discussione, perché le decisioni definitive in merito sono state sollecitate dal Ministero dell’interno, cui occorrono per poter redigere il progetto di legge relativo alla elezione del Senato della Repubblica.

La seduta termina alle 13.