ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCLXXVI.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Congedo:
Presidente
Disegno di legge (Discussione è approvazione):
Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21).
Presidente
Perassi
Condorelli
Cevolotto, Relatore
Conti
Grassi, Ministro di grazia e giustizia
Marinaro
Tonello
Fabbri, Presidente della Commissione
Avanzini
Dominedò
Gullo Fausto
Presidente
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Colitto
Benedettini
Lussu
Cianca
Dominedò
Mortati
Schiavetti
Per l’elezione di tre membri della Corte costituzionale prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana:
Caronia
Presidente
La seduta comincia alle 10.30.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.
(È approvato).
Congedo.
PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Tosato.
(È concesso).
Discussione del disegno di legge: Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca Discussione del disegnò di legge: Revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento. (21).
Dichiaro aperta la discussione generale.
PERASSI. Chiedo di parlare..
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. Confesso di non avere ben capito la portata di questo disegno di legge. Mi pare che dobbiamo anzitutto vedere quali modificazioni esso porterebbe al diritto vigente.
In questa materia – come si rileva nella relazione ministeriale – esistono già delle norme contenute in diverse leggi: nella legge sullo stato giuridico degli impiegati civili, nella legge concernente i segretari comunali e, ritengo, anche nello stato giuridico degli ufficiali. Vi si prevede la mancata fede al giuramento come un fatto che dà luogo a sanzioni disciplinali, e precisamente a due: la revoca o, nei casi più gravi, la destituzione.
Leggendo il disegno di legge si constata anzitutto che in esso si parla soltanto di revoca. Vuol dire che la destituzione viene tolta come sanzione in questo caso? Ecco la prima domanda.
In secondo luogo, nel progetto del Governo, e soprattutto nel disegno di legge come è stato emendato dalla Commissione, si precisa l’oggetto del fatto che sarebbe colpito da quella sanzione.
In tal caso, è per lo meno da porsi questa domanda: Questa legge, rispetto al diritto vigente, che cosa tende a fare ? Sembra doversi rispondere che essa avrebbe l’effetto di rendere più tenue la sanzione applicabile al caso previsto. Se così è, rilevo che bisogna anzitutto affermare nettamente che non si può qualificare questa legge come una legge eccezionale per il consolidamento della Repubblica. Bisogna dire, invece, che essa viene a mitigare le norme legislative vigenti. Chiedo che a questo riguardo sarebbe utile avere un chiarimento dall’onorevole Relatore.
CONDORELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONDORELLI. Onorevoli colleghi, è interessante seguire l’evoluzione della legislazione del nostro Paese in questa materia, al fine di consolarci in rapporto ai progressi che costantemente si realizzano sulla via della democrazia e della libertà.
La legge del 1908, fatta ai tempi dei regimi liberali, non prevedeva sanzioni particolari per l’infrazione al giuramento. Ed era ovvio, perché c’era una norma sufficientissima, l’articolo 53 lettera c) che prevedeva la perdita dell’impiego per mancanze contro l’onore e per qualsiasi mancanza che dimostri difetto di senso morale. L’infrazione al giuramento è una delle più gravi mancanze contro l’onore, e chi veramente infrange il giuramento cade indubbiamente sotto questa sanzione.
Fu soltanto il fascismo, al quale oggi ci ricolleghiamo con la legge proposta, che intese il bisogno – per ovvie ragioni – di creare specifiche sanzioni per la contravvenzione al giuramento ed usò le stesse parole che ritornano oggi nella legge democratica che si propone al voto della nostra Assemblea.
Si disse, all’articolo 64 della legge 30 dicembre 1923, che si perde l’ufficio per mancata fede al giuramento, sia che essa si concreti in una o più infrazioni disciplinari, sia in atteggiamenti che contradicano fondamentalmente al giuramento stesso. Non vi è chi non veda la gravità, il carattere inquisitorio della seconda ipotesi di questa legge, perché sono condannati non soltanto le infrazioni disciplinari, ma finanche gli atteggiamenti, ed è solo un regime che si appresta a diventare dittatoriale e che sa di doversi dirigere verso il totalitarismo, che può creare delle sanzioni giuridiche contro gli atteggiamenti.
Però, i progressi della democrazia e della libertà sono continuati nello stesso senso nella legislazione dell’Assemblea Costituente, cioè spero, nei lavori legislativi che precedono le decisioni dell’Assemblea Costituente, perché ancora mi illuderei o vorrei illudermi che un voto negativo dell’Assemblea Costituente potesse disdire quelle che sono le mie facili previsioni sulla sorte di questa legge.
Il progetto ministeriale, che vorrebbe essere un attenuazione della legge fascista, in fondo, mi pare che non l’attenui affatto, perché parla ancora di infrazioni disciplinari ma sente il bisogno di calcare l’accento sull’aspetto politico di queste infrazioni disciplinari. Difatti, mentre la legge fascista parlava di «una o più infrazioni disciplinari», la legge che si propone all’Assemblea democratica italiana parla di «infrazioni disciplinari in rapporto al contenuto politico del giuramento».
Ma quello che veramente sorprende è che la Commissione non si è contentata di quello che ha fatto e di quello che ha proposto il Governo. Ha creduto di andare oltre perché, mentre il Governo si ferma alle infrazioni disciplinari, che sono delle entità giuridiche abbastanza chiare e determinate, la Commissione propone che non si parli più di infrazioni disciplinari, ma si scenda nell’indeterminato, si parli di atti in genere, cioè di atti i quali teoricamente potrebbero anche non rivestire il carattere di infrazioni disciplinari, ma che comunque denunzino al giudice, denunzino all’inquisitore, una tendenza a venir meno al giuramento, che sia in contrasto con il giuramento.
Certamente non è un progresso quello che ha fatto la Commissione. In questa situazione onorevoli colleghi, chi è liberale, chi crede nelle sorti della democrazia, di fronte alle proposte del Governo, di fronte alle proposte della Commissione, trova un rifugio nella legge fascista, che è certamente più liberale.
Io vorrei il voto contrario contro questa legge e vorrei la soppressione di quell’infame articolo della legge fascista che condanna, alla luce del secondo ventesimo, financo gli atteggiamenti; e mi preoccupo… delle mie basette, le quali potrebbero essere considerate come un atteggiamento, che sono anzi già state considerate in questa Assemblea come un atteggiamento.
E vorrei che si tornasse alla legge del 1908, la quale considera l’infrazione al giuramento sotto l’unica specie sotto cui va considerata, come mancanza alla fede, all’onore. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore a esprimere il parere della Commissione.
CEVOLOTTO, Relatore. Onorevoli colleghi, l’onorevole Perassi ha chiesto spiegazioni sull’origine di questa legge e sui motivi che hanno determinato il Ministero a proporla. Credo che sia il Governo precedente a questo che ha proposto la legge; ad ogni modo, l’intenzione del Ministero, chiara ed evidente, è stata proprio quella di attenuare le sanzioni tuttora in vigore per la mancata fede al giuramento.
Attualmente, infatti, vige il testo unico sull’impiego civile, il quale, agli articoli 64 e 65, commina, per la mancata fede al giuramento, la revoca dall’impiego e, nei casi più gravi, la destituzione. Per la mancata fede al giuramento, indiscriminatamente. La legge che propone il Governo stabilisce invece che le infrazioni al giuramento, la mancata fede al giuramento, punibili con la sola revoca dall’impiego, quindi con una sanzione minore, anche per i casi più gravi, della destituzione, sono le infrazioni commesse nell’esercizio delle funzioni.
Fuori quindi dell’esercizio delle funzioni dell’impiegato, l’atteggiamento di ognuno è perfettamente libero e un impiegato il quale, ad esempio, dopo aver giurato, faccia, fuori dell’esercizio delle sue funzioni impiegatizie, propaganda monarchica, o si dichiari monarchico, o si iscriva ad un circolo monarchico non è punibile.
È evidente, quindi, che ciò che ha detto l’onorevole Condorelli non ha fondamento, perché, se si tornasse alla formula, un po’ vaga, della legge del 1908, che parla di perdita dell’impiego per mancanza contro l’onore, e si intendesse per mancanza contro l’onore qualunque infrazione al giuramento, si dovrebbe estendere il giudizio anche a quegli atteggiamenti o a quelle infrazioni che fossero compiute fuori dell’esercizio delle funzioni impiegatizie.
Sotto questo aspetto non vi è dubbio che la nuova legge non è, in realtà, una legge che aggravi la situazione precedente, ma anzi è una legge che l’attenua. Nella volontà del Governo proponente è chiaro che si è voluto democraticamente lasciare libertà di atteggiamento a tutti, fuori dell’esercizio delle funzioni, in modo che il giuramento riguardi soltanto ciò che l’impiegato compie nel suo ufficio, ma non lo vincoli per la sua azione nella vita privata.
Non vi è il carattere inquisitoriale della legge cui ha accennato l’onorevole Condorelli. La Commissione si è preoccupata di modificare, molto lievemente, il testo proposto dal Governo. Questo diceva che gli impiegati che «commettono una o più infrazioni disciplinari che contrastino direttamente col giuramento prestato» sono revocati dall’impiego. La Commissione ha proposto di sostituire ad «infrazioni disciplinari» la parola «atti». Tanto poco vi è un carattere o una intenzione inquisitoriale in questo, che la proposta è partita da tutta la Commissione. Perché, se anche si vuole escludere che l’atto, compiuto fuori dal servizio o fuori dall’impiego sia comunque censurabile, è evidente che nell’esercizio delle funzioni non si può ammettere che l’impiegato sia passibile di sanzione soltanto se compia un’infrazione disciplinare, e non anche se compia un atto che non sia infrazione disciplinare, ma che sia comunque contrario al giuramento. Poniamo (per fare un esempio) il caso dell’impiegato che nel suo ufficio distribuisca del materiale – giornali od opuscoli di propaganda monarchica – mano a mano che gli impiegati vengono a contatto con lui. Si può discutere se questa sia un’infrazione disciplinar. D’accordo che tutto può essere «infrazione disciplinare» in ufficio, perché si può due che un impiegato non deve far niente che sia estraneo al suo ufficio, nell’interno dell’ufficio stesso. Ma il fatto di regalare un giornale o un opuscolo può anche non essere valutato come infrazione disciplinare. Ma si può ammettere che sia lecita un’azione di questa specie?
Così pure, quando il testo proposto dal Governo parla di atteggiamenti in fondamentale contrasto con il giuramento, si riferisce a fatti che nell’ufficio non possono essere tollerati. Pensate, per esempio, a un impiegato il quale si presenti costantemente in ufficio ostentando un distintivo monarchico, per dimostrare pubblicamente, in ufficio, la sua fede in contrasto con quella giurata alla Repubblica. Non si tratta – in questo caso – di un’infrazione disciplinare; questo non è neanche un atto, è un atteggiamento. Ma l’atteggiamento non è tollerabile.
Ecco la ragione per la quale abbiamo mantenuto il testo che è stato proposto dal Governo. Non mi pare che perciò la legge possa essere definita una legge inquisitoriale.
Si è proposto alla Commissione un quesito, che la Commissione non ha risolto e che ha lasciato risolvere alla Costituente. Ed è questo: la volontà di restringere nell’ambito delle funzioni il giudizio sugli atti e sugli atteggiamenti degli impiegati può essere democraticamente plausibile e va accettata senza riserva per quel che si riferisce agli impiegati civili, ma è ammissibile per gli ufficiali delle Forze armate? Ecco il problema.
Era stato proposto un emendamento il quale stabilisce che per gli ufficiali delle Forze armate, in ogni caso, gli atti e gli atteggiamenti fuori di servizio in contrasto poi giuramento prestato dovevano portare alla perdita dell’impiego.
Ma poi la Commissione non ha formulato una precisa proposta anche perché, dal esame della situazione dei militari, si passava necessariamente all’esame anche di altre situazioni degne anch’esse di attenzione. Per esempio, è ammissibile che un questore, sia pure fuori dal suo ufficio, si iscriva ad un circolo monarchico, faccia propaganda monarchica, si dichiari apertamente monarchico? Evidentemente no.
Non ci siamo nascosti la difficoltà della posizione ed abbiamo quindi mantenuto su questo punto il testo proposto dal Governo senza emendamenti, lasciando alla Costituente di vedere se alcuni casi particolari dovranno essere regolati in modo differente.
CONTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONTI. Ho già avuto occasione di dichiararlo, e ripeto che io voterò contro questa legge, come voterò contro quella che dovrà venire in discussione domani. Qualunque limitazione della libertà mi troverà sempre contrario! Però, all’onorevole Condorelli e ai colleghi monarchici o liberali e agli altri che non so che cosa siano in definitiva…
CONDORELLI. Quello che sono io lo sanno tutti perché lo dico sempre!
CONTI. Essi dicono che la Repubblica è liberticida, che la povera monarchia ci faceva vivere una vita deliziosa.
CONDORELLI. Sempre!
CONTI. Onorevole Condorelli, domani quando si discuteranno le leggine per la repressione del fascismo e dei tentativi di restaurazione monarchica, l’affogherò con le documentazioni!
CONDORELLI. Badi che so nuotare! (Si ride).
CONTI. Non se la caverà, glielo dico io!
Oggi desidero dire una mia parola a proposito di queste disposizioni sul comportamento degli impiegati. Non si vogliono impiegati monarchici. E perché non si devono lasciare? Che volete che facciano gli impiegati monarchici?
Io ne conosco qualcuno e qualcuno temerario. Giorni or sono, in un ufficio militare, un avvocato ha assistito ad escandescenze di un pover’uomo, che disse parole irriguardose perfino contro il Presidente della Repubblica! È un disgraziato! Ma che gli volete fare? Io l’avrei invitato a prendere un caffè o gli avrei detto di prendere un gelato, così si sarebbe calmato!
Però, onorevoli monarchici, bisogna che vi ricordiate sempre che la monarchia è stata la persecutrice della libertà in tutti i tempi! (Interruzione del deputato Russo Perez). Onorevole Russo Perez, questa non è materia su cui si possa scherzare o fare dell’ipocrisia.
RUSSO PEREZ. Onorevole Conti, durante la monarchia lei non è stato mai molestato da nessuno. È l’esempio della vigoria fisica.
CONTI. In questa materia io non transigo.
RUSSO PEREZ. Lo so!
CONTI. Voi dite che si fa luogo, con questa legge, alla persecuzione all’impiegato. Ma la monarchia appena mise mano ai poteri dopo la caduta del Borbone, dell’Austria e degli altri regimi del passato, incominciò subito a fare falcidie nel campo impiegatizio. Ecco tra i tanti casi: Eugenio Rossi, di Reggio Emilia, sostituto segretario della Procura generale a Modena, il 2 gennaio 1860 fu destituito dall’impiego per il contegno politico dopo l’assunzione in servizio.
CONDORELLI. Era contro l’unità d’Italia, non contro la monarchia.
CONTI. Ma che dice? Domani gliene racconterò parecchie. Faremo divertire l’Assemblea una mezz’ora.
Il pensiero è sempre stato perseguitato dalla monarchia. L’onorevole Condorelli, che è abbastanza colto, non ha dimenticato il nome di Ruggero Bonghi. Ebbene, Ruggero Bonghi non fu sottoposto a giudizio disciplinare quando difese il principio monarchico puro, quando, col suo famoso opuscolo sulla costituzionalità o meno del regime monarchico, sostenne che non si poteva ammettere che il regime monarchico costituzionale diventasse un regime parlamentare?
GASPAROTTO. E Carducci?
CONTI. Giolitti, il grande liberale, perseguitò Bonghi fino al punto che voleva farlo destituire da Consigliere di Stato.
CONDORELLI. Ma questa era la monarchia? Era il Re che faceva questo? Ma la legge è legge.
CONTI. Voglio ricordare un altro episodio. Il professore Maffeo Pantaleoni fu sottoposto a procedura disciplinare dal Consiglio superiore della pubblica istruzione per avere, in una sua lettera al Secolo, nel 1896, dopo la disfatta di Adua, quindi ad una certa età matura della monarchia in Italia, fatto allusione al «Signore che tutti sanno». Il «Signore che tutti sanno» era Umberto, il responsabile del disastro africano del 1896.
Onorevole Condorelli, Pantaleoni dovette riparare in Svizzera e tutti sappiamo che fu onorato con l’assunzione alla cattedra di economia della Università di Ginevra.
Onorevole Presidente, per oggi non ho niente altro da dire.
CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CEVOLOTTO, Relatore. Ho chiesto di parlare per avvertire l’Assemblea che occorre aggiungere l’articolo 2, del seguente tenore:
«La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».
È una formula che non si può omettere.
PERASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. Mi sembra che anche qui ci sia l’equivoco sorto ieri a proposito del disegno di legge portante modificazioni al Codice penale. Anche questa, che stiamo esaminando, non è una legge costituzionale. È irrilevante, agli effetti di tale qualificazione, che l’esame del disegno di legge sia stato deferito alla Commissione della Costituzione. Quindi l’articolo deve essere quello usato per le leggi ordinarie.
CEVOLOTTO, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CEVOLOTTO, Relatore. La Commissione ed io abbiamo ritenuto che si tratti di una legge costituzionale, per il fatto che è stata mandata alla Commissione dei Settantacinque, invece che alla normale Commissione legislativa.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, io difendo una legge già preparata dal precedente Gabinetto e che viene in discussione presso l’Assemblea solo oggi. Le osservazioni fatte dall’onorevole Perassi, che si concludono nel dire che sarebbe inutile questo provvedimento, in quanto che già le leggi esistenti prevedono le conseguenze della mancata fedeltà al giuramento, trovano, secondo me e secondo la Commissione, difficoltà di applicazione nella legge del 23 dicembre 1946, che stabilì le nuove formule del giuramento da prestarsi, e lo estese, oltre che ai dipendenti civili dello Stato, a cui si riferisce la legge del 30 dicembre 1923 sullo stato giuridico degli impiegati, ed oltre che ai segretari comunali, a tutti i dipendenti locali. Quindi l’estensione del giuramento ha reso necessario, secondo il Governo, la presentazione di questo disegno di legge, il quale cercasse di estendere anche alle altre categorie quello che era disposto per alcune categorie. Si è creduto, pertanto, di fare una disposizione unica e si è ritenuto opportuno introdurre con questo articolo unico la possibilità di dare una disposizione di sanzione rispetto alla mancata fedeltà al giuramento.
Per quanto si riferisce, poi, alle osservazioni mosse in un senso e nell’altro – sensi che poi tutti quanti si congiungono in una forma negativa – da parte degli onorevoli Condorelli e Conti, la ragione mi pare sia stata già esposta da parte del Relatore. Non è che la disposizione non esiste. La disposizione c’è già. La possibilità della revoca non è un fatto che si introduce con questa legge, la quale non cerca che adattare disposizioni, già esistenti in una legge del 1923, alla situazione creatasi con la nuova formula del giuramento nei confronti della Repubblica.
Si dice: voi avreste dovuto abolire il paragrafo f) dell’articolo 64 in quanto che questo è stato introdotto dal fascismo, perché prima del fascismo l’articolo 64 si fermava alla revoca dell’impiego per mancanze contro l’onore, ecc. ecc. È vero. Il fascismo ha introdotto questo paragrafo f), ma le leggi fasciste sono disgraziatamente ancora in vigore. Quindi, in fondo, questa disposizione non fa che sostituire, ad una legge che esisteva, delle disposizioni che, secondo quello che ha detto il Relatore, sono state attenuate, perché si è stabilito tassativamente che le infrazioni disciplinari sono considerate in quanto possano imputarsi all’impiegato; non al cittadino, ma all’impiegato nelle sue funzioni, nel suo ufficio. Ecco la limitazione. Si mantiene l’infrazione nel campo dell’ufficio, nel campo delle funzioni. Ed ecco perché diventa infrazione e non è atto semplice. Non solo, ma quando si parla di atteggiamento, come nell’articolo 64 del 1923 si parlava di atteggiamento che contraddicesse fondamentalmente al giuramento stesso, si è detto non solo che questo atteggiamento è nel campo dell’attività dell’impiegato e non del cittadino, ma si è voluto far risaltare che l’atteggiamento deve essere di fedeltà al nuovo ordinamento istituzionale dello Stato. Questa è la portata del provvedimento. Quindi è inutile drammatizzare. Non si è voluto fare molto di più di quello che c’era effettivamente nella legislazione e che non è stato abolito: si è voluto soltanto completare, si è voluto precisare meglio che l’atteggiamento non è generico contro il giuramento, ma contro il giuramento in quanto vincolo di fedeltà all’istituto della Repubblica e all’osservanza delle leggi, mentre prima non si precisavano questi due limiti.
Data questa portata, mi pare che la legge debba essere confortata dal vostro voto. Voi tutti volete innestare la legislazione precedente all’istituto repubblicano, confermato dopo il referendum del 2 giugno.
Per quanto si riferisce alle modifiche apportate dalla Commissione, si tratta soltanto di una modifica in senso tecnico. La Commissione ha proposto di dire, invece che «infrazioni», «atti». Vorrei pregare la Commissione di mantenere il testo governativo, perché l’infrazione rappresenta l’atto proprio nell’esercizio delle funzioni, che diventa infrazione.
lo penso che il testo, così come è stato formulato dal Governo, potrebbe rispondere meglio a quei concetti ai quali vuole ispirarsi il provvedimento stesso. L’onorevole relatore ha accennato all’eventualità di un emendamento, che non è stato presentato, e che quindi sarebbe inutile discutere: se sia il caso cioè di aggiungere un comma per le Forze armate. Ma io credo che basti mantenersi nei limiti delle disposizioni stabilite nel nostro testo, il quale è effettivamente esauriente: si rivolge agli impiegati civili, che sono regolali dallo stato giuridico del 1923; e si rivolge ai militari e a tutti i dipendenti degli enti locali.
PERASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. Vorrei solo chiarire un equivoco. Non ho detto che la legge è inutile. Mi ero posto un quesito sulla portata della legge rispetto allo stato attuale della legislazione e sono lieto di aver provocato i chiarimenti dell’onorevole Relatore. Ciò che interessa rilevare è, soprattutto, che la legge attenua le norme vigenti in materia. Le attenua nel senso che precisa meglio l’oggetto della sanzione disciplinare e – almeno così risulta dal testo – prevede solo la revoca. Stando al testo proposto, la destituzione non sarebbe più in nessun caso applicabile per mancata fede al giuramento, mentre le leggi vigenti prevedono la revoca e, nei casi più gravi, la destituzione.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. L’articolo 65 rimane lo stesso.
PERASSI. Questo è un punto delicato: una volta adottato questo disegno di legge, si ammette che unica sanzione disciplinare per mancata fede al giuramento è la revoca. Mi pare difficile sostenere una tesi diversa.
Comunque, se c’è questo dubbio, si potrebbe chiarire.
Il mio intervento, ad ogni modo, desidero ripeterlo, aveva unicamente lo scopo di mettere in evidenza che, secondo il testo presentato, la legge non si può affatto qualificare come una. legge eccezionale.
MARINARO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha. facoltà.
MARINARO. Concordo quasi del tutto con l’onorevole Perassi: non ha niente a che vedere in questa questione l’articolo 64 della, legge sullo stato giuridico degli impiegati, al quale fa esplicito riferimento la relazione ministeriale. Essa infatti dice che scopo di questa legge è anzitutto quello di confermare la disposizione dell’articolo 64 della legge del 1923.
Ora, nello scorso anno, il 23 dicembre, abbiamo approvato una legge sul giuramento, che in questa Aula si disse essere legge di carattere assolutamente formale, non sostanziale; e questa dichiarazione, che venne da più parti dell’Assemblea, fece in modo che la legge fosse approvata con una entità di voti veramente rilevante. Ora, il giuramento che gli impiegati dello Stato hanno prestato successivamente a quella data è il giuramento prescritto dalla legge 23 dicembre 1946, la quale stabiliva delle formule speciali in relazione al nuovo Stato repubblicano. Non solo, ma tutti gli impiegati, che avevano precedentemente prestato giuramento secondo la legge sullo stato giuridico del 1923, furono invitati, tutti indistintamente, a rinnovare il giuramento in base alle nuove disposizioni conformi alle istituzioni repubblicane dello Stato.
Questo concetto, che affiora nella relazione ministeriale, fatto proprio dalla Sottocommissione e poi dalla Commissione dei Settantacinque, è concetto perfettamente pretestuoso e non ha riferimento alcuno con l’articolo 64 della legge sullo stato giuridico degli impiegati.
Non solo per queste ragioni io voterò contro questo disegno di legge, ma anche per una questione di sostanza, in quanto che nella stessa relazione ministeriale si legge che «era indispensabile determinare l’elemento materiale che avrebbe portato alla revoca dall’impiego». Questo elemento materiale è ben definito e determinato in tutte le disposizioni regolamentari di ogni singola amministrazione; di guisa che sembra oggi difficile, direi assurdo, collegare la mancata fede al giuramento, un fatto cioè che può considerarsi retrospettivo, con la infrazione disciplinare.
In questo mi sembra che stia soprattutto la mostruosità del concetto contenuto nella leggina in esame. In sostanza, onorevoli colleghi, noi processiamo un impiegato, fino al punto di destituirlo dall’impiego, per il solo fatto di supporre, poiché nessuno potrà mai accertarlo, che ci sia stata una intenzionale mancata fede al giuramento prestato, nella estrinsecazione di un fatto disciplinare che si riferisce all’adempimento dei propri doveri di ufficio.
Per l’un motivo e per l’altro, a me pare che le considerazioni fatte nella relazione ministeriale e nella relazione della Commissione siano del tutto infondate.
Ma voglio richiamare l’attenzione dell’Assemblea su altra circostanza, che mi sembra di capitale importanza. Sostanzialmente, quest’articolo unico, specialmente nella forma, non fa altro che riprodurre l’articolo 51-bis della legge sullo stato giuridico degli impiegati del 1923; questo articolo, che fu uno dei più mostruosi strumenti di persecuzione da parte del fascismo, fu abolito, successivamente alla liberazione, dal Governo di quell’epoca con apposito decreto del 16 novembre 1945, poiché si ritenne che quella disposizione, introdotta dal fascismo nel 1927, fosse uno strumento di persecuzione.
Ora, a distanza di appena due anni non si fa altro che far rivivere quella disposizione dell’articolo 51-bis che i Governi precedenti avevano abolito. E questo mi sembra veramente inconcepibile. Sembra anzi fatale, onorevoli colleghi, che l’antifascismo, sempre che voglia dare una prova manifesta di quella che è stata l’attività del fascismo, non sappia far altro che battere le stesse vie del fascismo. (Applausi a destra – Commenti all’estrema sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
CEVOLOTTO. Relatore. La risposta all’onorevole Marinaro è molto semplice e molto breve. Dire che il giuramento è una legge formale e non una legge sostanziale mi pare che non significhi niente, mi scusi l’onorevole Marinaro. Noi abbiamo, bene o male – si può essere favorevoli o contrari per ragioni di principio – stabilito che gli impiegati debbono giurare; e questo giuramento deve essere una cosa seria. Sarebbe assurdo imporre un giuramento e poi ammettere che questo giuramento lo si è richiesto per ischerzo e che chi, nell’esercizio delle sue funzioni, manca fede al giuramento non deve subire alcuna sanzione.
Quanto all’osservazione dell’onorevole Marinaro, che l’articolo 64 del testo unico sull’impiego civile (che stabilisce la revoca, per mancata fede al giuramento in tutti i casi, anche per la mancata fede commessa fuori d’ufficio, anche nell’estrinsecazione dell’attività politica privata), si potrebbe applicare solo a giuramenti anteriori e non al giuramento ora richiesto dalla nostra Repubblica, mi sembra che sia basato su un errore. Qualunque sia il giuramento che è imposto in un dato momento, se vi è una disposizione di legge sullo stato giuridico degli impiegati, la quale stabilisce una sanzione per la mancata fede al giuramento, essa si applica alla mancata fede anche a questo giuramento. Quindi è perfettamente esatta la posizione assunta dalla Commissione.
Nemmeno mi pare esatto dire che L’attuale disegno di legge riproduce l’articolo 51-bis della legge del 1923. Abbiamo detto ed abbiamo chiarito, ed il Ministro ha spiegato nel modo più preciso, il perché dalla nuova disposizione che, come l’onorevole Perassi giustamente ha osservato, attenua e non aggrava le sanzioni contro chi manca al giuramento ed impone la fedeltà al giuramento all’impiegato soltanto nell’ambito delle sue funzioni impiegatizie. Questo è naturalmente necessario, per la dignità stessa dell’amministrazione e per la dignità stessa del giuramento, che altrimenti diventerebbe una formalità priva di qualsiasi significato. Sarà un bene o sarà un male imporre il giuramento? Su questo si può discutere. Ma una volta ammesso il giuramento, ci deve essere una pronta e severa sanzione per chi vi manca nell’esercizio delle proprie funzioni.
Quanto poi all’osservazione dell’onorevole Perassi, che cioè questa legge, così limitata, non è una legge costituzionale, la Commissione, credo, si rimette all’Assemblea. Può essere vero che, così limitata, questa non si può considerare una legge costituzionale.
PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, io non ho che da confermare quanto l’onorevole Relatore ha detto nei confronti delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Marinaro.
Qui non si tratta di riprodurre un nuovo articolo 51-bis, ma di ridurre la portata larga dell’ultimo comma dell’articolo 64. È inutile dire frasi roboanti, su di una disposizione molto semplice in esecuzione ad un giuramento prestato, giuramento che lega tutti gli impiegati dello Stato repubblicano. Fuori dello Stato, il cittadino può essere libero di fare quello che crede, ma nel campo dello Stato bisogna che mantenga fede al giuramento prestato.
Questa è la portata dell’articolo. Io sono un liberale e credo che si mantenga rispetto alla libertà quando si dice che i funzionari, nel campo delle loro funzioni, devono rispettare il giuramento che hanno prestato.
Per quello che si riferisce all’articolo 2, proposto dal Relatore, io condivido le osservazioni dell’onorevole Perassi. Queste non sono norme di portata costituzionale perché noi ci inseriamo in un regolamento dello stato giuridico, che non è una legge costituzionale. E dobbiamo anche considerare che una legge costituzionale implicherebbe poi quelle tali revisioni, con quei tali quorum, che l’Assemblea non ha ancora approvato. La formula dev’essere compilata secondo la proposta dell’onorevole Perassi.
TONELLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TONELLO. Ho chiesto di parlare per un chiarimento. Volere o no questa è una legge di eccezione. Dato il momento che attraversiamo, con le attuali agitazioni di carattere economico, anche i funzionari dello Stato, per non morire di fame, possono essere costretti ad uno sciopero. Domani, un Governo reazionario potrebbe dire: voi, funzionari dello Stato, non siete andati in ufficio, non avete adempiuto con fedeltà ed onore alle vostre funzioni. Ora, io chiedo: si può applicare la legge in questo caso? Bisogna che la Camera lo dica chiaramente, perché allora è una legge da forca ed io non la voterò.
CEVOLOTTO, Relatore. Mi pare chiaro ed evidente che non può il fatto dello sciopero essere compreso nella mancata fede al giuramento.
TONELLO. Mi basta questa dichiarazione.
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la. discussione generale. Passiamo all’esame dell’articolo 1 il quale, nel testo del Governo, è del seguente tenore:
«Il dipendente civile o militare dello Stato o il dipendente degli Enti locali, tenuti a prestare giuramento a norma degli articoli 2, 3 e 4 della legge 23 dicembre 1946, n. 478, incorrono nella revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento, indipendentemente dall’eventuale azione penale, se commettono una o più infrazioni disciplinari che contrastino direttamente col giuramento prestato, ovvero se assumono, nell’esercizio delle loro funzioni, atteggiamenti in fondamentale contradizione con l’obbligo di fedeltà alla Repubblica e al suo Capo, o di leale osservanza delle leggi dello Stato».
La Commissione ha proposto la seguente formulazione:
«I dipendenti civili o militari dello Stato o dipendenti degli Enti locali, che hanno prestato giuramento a norma degli articoli 2, 3 e 4 della legge 23 dicembre 1946, n. 478, incorrono nella revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento, indipendentemente dall’eventuale azione penale, se commettono, nell’esercizio delle loro funzioni, uno o più atti che contrastino direttamente col giuramento stesso, ovvero se assumono, nell’esercizio delle loro funzioni, atteggiamenti in fondamentale contradizione coll’obbligo di fedeltà alla Repubblica e al suo Capo, o di leale osservanza delle leggi dello Stato».
Prego il Ministro di grazia e giustizia di dichiarare se accetta che si discuta sul testo della Commissione.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Accetto il testo della Commissione, però domando alla Commissione se insiste nella sostituzione della parola «atti» alla formula: «infrazioni disciplinari».
PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri ha facoltà di rispondere in nome della Commissione.
FABBRI, Presidente della Commissione. La maggioranza della Commissione è stata favorevole all’espressione «atti» anziché a quella di «infrazioni disciplinari» perché è parso che la frase «infrazioni disciplinari» messa in relazione all’impiego implicasse anche il concetto di lievi mancanze, rispetto alle quali l’unica sanzione prevista della revoca dall’impiego risultava di evidente gravità e inesorabilità. È parso alla Commissione che bisognasse bensì rimanere nell’ambito di quelli che sono i doveri dell’impiego civile o militare, ma che una eventuale infrazione di carattere disciplinare non potesse implicare di per sé la sanzione prevista da questa legge, che è quella gravissima, da applicarsi soltanto nei casi estremi, secondo la legge sull’impiego pubblico. Questo è stato il concetto per cui effettivamente la maggioranza della Commissione deliberò, dopo avere attentamente esaminato il problema, la sostituzione della espressione «atti» con quella di «infrazioni». Ora, siccome io non ho adesso la possibilità di consultare la Commissione, non posso che riferire quella che è stata la determinazione della maggioranza.
PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Condorelli, Colitto, Rodi, Bergamini, Corbino, Perrone Capano, Rodinò Mario ed altri hanno proposto il seguente emendamento sostitutivo:
«È abrogata la disposizione di cui alla lettera f) del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2960, ed è sostituita con la seguente:
«Si incorre nella revoca dell’impiego per mancanza contro l’onore e per qualsiasi mancanza che dimostri difetto di senso morale».
L’onorevole Condorelli ha già svolto questo emendamento.
L’onorevole Avanzini ha presentato un emendamento del seguente tenore:
«Sopprimere le ultime parole dell’articolo unico, dalle parole: ovvero se assumono, ecc.».
L’onorevole Avanzini ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
AVANZINI. Già qualche altro oratore ha accennato alla opportunità della soppressione delle ultime parole dell’articolo 1 della legge. Io l’avevo già proposto perché mi pareva appunto, che questa parte dell’articolo portasse la legge all’arbitrio o alla indeterminatezza.
Il richiamo alla infrazione disciplinare esaurisce tutta intera la materia delle sanzioni e mi sembra che non vi sia bisogno di aggiungere altro.
C’è di più: questo richiamo della infrazione disciplinare fissa il fatto, lo individua, come oggetto della sanzione, mentre «atteggiamento» è un termine eccessivamente generico e vago, talché si presta ad una valutazione estremamente soggettiva, in quanto per atteggiamento potrebbe essere considerata anche una parola, un gesto, un attacco qualsiasi; e non bisogna dimenticare che questo troverebbe una sanzione gravissima, che consiste nella revoca dall’impiego.
Quindi, a nostro avviso, onorevoli colleghi, la prima parte dell’articolo esaurisce completamente la tutela della fede che deve essere mantenuta al giuramento e pertanto si presenta opportuna la soppressione della seconda parte.
PRESIDENTE. L’onorevole Relatore ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.
CEVOLOTTO, Relatore. Per quanto si riferisce all’emendamento dell’onorevole Condorelli, quello che abbiamo già detto in precedenza l’onorevole Fabbri ed io e quello che ha detto il Ministro, chiarisce perché la Commissione non può accettarlo.
Per quanto si riferisce all’emendamento proposto dall’onorevole Avanzini, noi non ci nascondiamo che, col fatto di aver sostituito la parola «atti» alle parole «infrazioni disciplinari», realmente ci si è avvicinati in questa prima parte, con una migliore specificazione, al concetto della seconda parte dell’articolo. Mentre la distinzione fra «infrazioni disciplinari» e «atteggiamenti» era molto chiara nel testo ministeriale, invece la diversità tra «atti» e «atteggiamenti» è molto meno rilevante.
Quindi, su questo punto la Commissione si rimette alla Assemblea.
PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di esprimere il parere del Governo.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Confermo quanto ha detto il Relatore. Non possiamo accettare la proposta abrogativa della lettera f) dell’articolo 64 per sostituirla con quanto propone l’onorevole Condorelli, perché la Lettera e) dice proprio quello che vuol dire l’onorevole Condorelli. C’è già la revoca dall’impiego per mancanza contro l’onore e per qualsiasi mancanza che dimostri difetto di senso morale.
Circa l’emendamento presentato dall’onorevole Avanzini, io confermo quello che ha detto il Relatore. La posizione assunta dal Governo riguardava due situazioni diverse: una era infrazione, e quindi due infrazioni potevano portare alla revoca, anche se non riferentesi al giuramento. Ma se si vuole adottare il testo della Commissione, osservo che la parola «atti» non significa «infrazioni». Se si adottasse questa formula potremmo considerare inutile la seconda parte: però penso che bisogna sempre mantenere le ultime parole.
FABBRI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI, Presidente della Commissione. Con La soppressione proposta dall’onorevole Avanzini è evidente che si richiama la formula che è stata assunta dal giurante e quindi tutta la parte successiva potrebbe cadere, sempre secondo la proposta Avanzini.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. In ogni modo, mi rimetto alla Commissione.
DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMINEDÒ. Vorrei chiedere un chiarimento. C’è una ulteriore differenza tra il testo del Governo e quello della Commissione, quando si parla, nel primo, di «dipendenti tenuti a prestare giuramento» e, nel secondo, «dipendenti… che hanno prestato giuramento».
Gradirei conoscere la posizione che prende il Governo.
PRESIDENTE. Mi pare che l’onorevole Ministro abbia detto di esser disposto ad accedere al testo della Commissione: comunque l’onorevole Ministro ha facoltà di rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho già detto che possiamo anche accettare il testo della Commissione; l’importante è che i dipendenti siano tenuti al giuramento: se poi l’hanno già prestato o debbono ancora prestarlo, è cosa di poca importanza.
PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, mantiene il suo emendamento?
CONDORELLI. Lo mantengo, onorevole Presidente, e vorrei, nel tempo stesso, pregare l’onorevole Ministro di un chiarimento: la lettera e) dell’articolo 64 relativa alla mancata fede al giuramento, sia che essa si concreti in una o più infrazioni disciplinari, non è la stessa lettera f) di cui ho proposto io l’abrogazione?
PRESIDENTE. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi pare di essere stato molto chiaro. L’onorevole Condorelli propone, in altri termini, l’abrogazione della lettera f) sostituendo le seguenti parole: «Si incorre nella revoca dell’impiego per mancanza al senso dell’onore e per qualsiasi mancanza che dimostri difetto di senso morale». Ora, io ho osservato che la lettera e) dell’articolo 64 dice già sostanzialmente la stessa cosa: questo è il punto.
CONDORELLI. Si tratta di abrogare una legge illiberale e antidemocratica; comunque, limito il testo del mio emendamento alle parole: «È abrogata la disposizione di cui alla lettera f) del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2960».
PRESIDENTE. Va bene. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Condorelli.
(Non è approvato).
Onorevole Avanzini, mantiene il suo emendamento?
AVANZINI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. L’onorevole Gullo Fausto ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire alle parole: che hanno prestato, le parole: che prestano».
Domando se è appoggiato.
(È appoggiato).
Invito l’onorevole Cevolotto ad esprimere il parere della Commissione.
CEVOLOTTO, Relatore. L’emendamento dell’onorevole Gullo è dettato evidentemente da questo scrupolo: che la formula «che hanno prestato giuramento» possa riferirsi soltanto a quegli impiegati che al momento dell’entrata in vigore della legge hanno già prestato giuramento, non a tutti quelli che lo presteranno in seguito.
È una questione di forma, quindi, non di sostanza. La Commissione si rimette all’Assemblea, sebbene lo scrupolo dell’onorevole Gullo sembri forse eccessivo.
PRESIDENTE. Quale è il parere del Governo?
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Concordo con l’onorevole Relatore.
FABBRI, Presidente della Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI, Presidente della Commissione. In linea di chiarimento posso dire che la maggioranza della Commissione variò la formula «che sono tenuti a prestare» in quella «che hanno prestato», in quanto partì dal concetto che una grave sanzione per mancata fede al giuramento lo presupponga e non si possa irrogare a coloro che eventualmente si rifiutino di prestarlo.
Non capisco nemmeno – e in questo momento parlo a titolo personale – la portata precisa della sostituzione proposta dall’onorevole Gullo, perché nel momento in cui i dipendenti dall’amministrazione prestano il giuramento evidentemente non possono contravvenirvi, ma ciò può accadere solo dopo che lo hanno prestato. Quindi non vedo le ragioni della modifica proposta dall’onorevole Gullo, mentre ho dette le ragioni della modifica introdotta deliberatamente dalla maggioranza della Commissione.
GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GULLO FAUSTO. Io ne faccio una questione di tecnica legislativa, perché la legge usa sempre il presente. Nel momento che giura l’impiegato deve sapere che incorre nella sanzione ove manchi al giuramento. Non si dice, infatti, «chi ha ucciso, è punito», ma «chi cagiona la morte, è punito», perché nel momento in cui uccide, deve sapere che incorre nella punizione. Tecnicamente, la legge usa sempre il presente. Quindi l’impiegato, nel momento in cui presta giuramento, sa di incorrere nelle pene stabilite ove manchi ad esso.
Potrebbe darsi luogo, poi, a questo equivoco: anzi, letteralmente parlando, la legge andrebbe interpretata così: soltanto chi ha giurato alla data della entrata in vigore della legge, incorrerebbe nelle pene previste.
PRESIDENTE. Porrò per primo in votazione l’emendamento dell’onorevole Gullo.
DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per una dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMINEDÒ. Dichiaro di votare contro l’emendamento dell’onorevole Gullo, perché nella norma in esame il tempo presente non deve concernere il giuramento, bensì il fatto che determina un’infrazione al giuramento preesistente. Come è nel testo. E non ho altro da aggiungere.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del testo della Commissione, con l’emendamento Gullo:
«I dipendenti civili o militari dello Stato o i dipendenti degli Enti locali, che prestano giuramento a norma degli articoli 2. 3 e 4 della legge 23 dicembre 1946, n. 478».
(Dopo prova e controprova, non è approvata).
Pongo in votazione la stessa prima parte nel testo della Commissione:
«I dipendenti civili o militari dello Stato o i dipendenti degli Enti locali, che hanno prestato giuramento a norma degli articoli 2, 3 e 4 della legge 23 dicembre 1946, n. 478».
(È approvata).
Pongo in votazione le parole:
«incorrono nella revoca dall’impiego per mancata fede al giuramento, indipendentemente dall’eventuale azione penale».
(Sono approvate).
Pongo in votazione le parole:
«se commettono nell’esercizio delle loro funzioni uno o più atti che contrastino direttamente col giuramento».
(Sono approvate).
Avverto che, a questo punto, vi è l’emendamento Avanzini di soppressione dell’ultima parte dell’articolo; il Ministro Grassi, accettando sostanzialmente la proposta, ritiene però che si debbano lasciare le ultime parole: «di fedeltà alla Repubblica e al suo Capo e alle leggi dello Stato».
L’onorevole Avanzini accetta?
AVANZINI. Accetto.
PRESIDENTE. Pongo ai voti queste parole, avvertendo che la loro approvazione significherà soppressione delle parole: «ovvero se assumono, nell’esercizio delle loro funzioni, atteggiamenti in fondamentale contradizione con l’obbligo», conformemente all’emendamento Avanzini accettato dal Governo.
(Sono approvate).
Passiamo al secondo articolo, secondo la proposta dell’onorevole Cevolotto, accettata dal Ministro di grazia e giustizia, di completamento del testo primitivo del disegno di legge:
«La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».
Avverto che era stata sollevata la questione se si dovesse parlare di legge costituzionale. La Commissione ha accettato la proposta Perassi di soppressione della parola «costituzionale».
Pongo pertanto in votazione la formula testé letta.
(È approvata).
Se non vi sono osservazioni, questa legge, e le altre discusse ieri e poste all’ordine del giorno per la votazione, saranno votate a scrutinio segreto nella seduta pomeridiana.
(Così rimane stabilito).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».
Vi sono due questioni ancora da affrontare e decidere prima della sospensione dei nostri lavori: la prima è quella relativa all’elenco delle Regioni; la seconda si riferisce al terzo comma della prima disposizione transitoria del progetto di Costituzione.
Come i colleghi ricordano, era stata sospesa la decisione relativamente all’articolo 47 della legge sull’elettorato attivo, allo scopo, appunto, di decidere dapprima su questo terzo comma della prima norma transitoria.
Si tratta di vedere se in questo momento dobbiamo affrontare questa questione oppure l’elenco delle Regioni. Io penso che sarebbe meglio affrontare la discussione della norma transitoria, per i riferimenti che ha con la legge sull’elettorato attivo.
Il terzo comma della prima disposizione transitoria del progetto di Costituzione è del seguente tenore:
«Sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste».
Il Comitato di redazione, avendo preso in esame la discussione avvenuta in questa Assemblea in sede di legge sull’elettorato attivo, ha proposto il seguente nuovo testo:
«Sono stabilite con legge limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per i capi responsabili del regime fascista».
Il Comitato stesso ha proposto poi un ordine del giorno del seguente tenore:
«L’Assemblea Costituente afferma che le limitazioni, di cui all’ultimo comma dell’articolo I delle Disposizioni transitorie della Costituzione, sono da applicarsi a coloro che hanno ricoperto le seguenti cariche nel regime fascista e in quello repubblicano sociale fascista:
1°) ministri e sottosegretari di Stato in carica dal 5 gennaio 1925;
2°) senatori, tranne quelli non deferiti all’Alta Corte di giustizia o per i quali l’Alta Corte ha respinto la proposta di decadenza; deputati delle legislature XXVII, XXVIII e XXIX, tranne i deputati della XXVII che non giurarono, o che furono dichiarati decaduti con la mozione del 9 novembre 1926 o che fecero parte della Consulta nazionale; consiglieri nazionali;
3°) membri del consiglio nazionale del partito fascista o del partito fascista repubblicano; membri del tribunale speciale per la difesa dello Stato e dei tribunali speciali della repubblica sociale fascista;
4°) alti gerarchi del partito fascista sino al grado di segretario federale (provinciale) incluso;
5°) ufficiali generali della milizia volontaria sicurezza nazionale in servizio permanente retribuito, eccettuati gli addetti ai servizi speciali; ufficiali della guardia nazionale repubblicana, delle brigate nere, delle legioni autonome e dei reparti speciali di polizia della repubblica sociale fascista;
6°) capi di provincia e questori nominati dalla repubblica sociale fascista».
Gli onorevoli Russo Perez, Mazza, Condorelli, Lettieri, La Gravinese Nicola, Lagravinese Pasquale hanno presentato il seguente emendamento al testo della Commissione:
«Sopprimere il comma.
«Ove l’emendamento soppressivo non fosse approvato, sostituire il comma col seguente:
«Possono essere stabilite con leggi limitazioni temporanee alla eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste, purché non si estendano a casi non contemplati da precedenti leggi e l’elettore non sia stato già sottoposto a giudizio individuale, nel qual caso sarà da rispettare il giudicato».
Non essendo presente l’onorevole Russo Perez e rinunciando gli altri firmatari a svolgere l’emendamento, passiamo al successivo emendamento degli onorevoli Colitto e Marinaro che è del seguente tenore:
«Sopprimere il comma.
«Subordinatamente aggiungere: In nessun caso, però, potrà derogarsi a leggi precedenti più favorevoli e saranno rispettati i giudicati».
L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
COLITTO. Io dirò brevemente le ragioni, per cui penso che il mio emendamento debba essere accolto. Numerose norme sono state dal 1944 ad oggi emanate, che, considerando il regime fascista ora una «condizione permanente di illegalità», ora uno «stato di fatto mai legittimato», ora un «periodo di vacanza della giustizia», si sono proposte il fine di liquidare il sistema, che per oltre un ventennio aveva di sé improntato la vita del Paese, e spianare la via maestra della democrazia. Volgendo, ora, la nostra attenzione alle sole norme comminanti quella particolare sanzione, che è la sospensione dai diritti elettorali attivi e passivi, possiamo, salvo errore, affermare che ben tre provvedimenti legislativi (il decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159; il decreto legislativo luogotenenziale 26 aprile 1945, n. 149; il decreto legislativo luogotenenziale 18 febbraio 1946, n. 32) sono stati in detto periodo emanati, nei quali di detta sanzione è parola. E tali norme hanno preso in esame l’attività di tutti coloro, che, vissuti durante il regime, hanno tenuto cariche o si sono comportati in guisa da meritare la grave sanzione. E tutti sono stati sottoposti a procedimento, durante il quale si è indagato proprio se dovessero o no essere privati del diritto di voto.
Queste persone sono state giudicate. Nei confronti di ciascuna è stata emanata una sentenza, ora di assoluzione ora di condanna. Se nei confronti di alcuni (pochi o molti) non si è emanata la sentenza o addirittura non si sono fatte investigazioni, ciò è accaduto perché una norma legislativa stabiliva (appunto per determinare nel Paese un’aura di pacificazione) che il procedimento non potesse essere espletato, se fosse decorso il periodo di un anno dalla entrata in vigore della legge. Io ricordo in proposito l’articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 25 aprile 1945, n. 149.
Ora, se di ogni persona l’attività, proprio ai fini della privazione o meno del diritto di voto, è stata esaminata e definita in base a norme e da magistrature create dalla nuova democrazia, se è certo che tutte le persone, che sono indicate nell’ordine del giorno proposto dal Comitato di coordinamento – tutte, nessuna esclusa – hanno subito una procedura, avente la precisa finalità – ripeto – di accertare se esse potevano o no essere sottoposte alla sanzione della privazione del diritto di voto, se per ciascuna di esse è stata emanata una sentenza, per cui esse sono state o prosciolte o condannate alla privazione del diritto di voto per un determinato periodo di tempo, ritengo che sarebbe grave errore fare dei passi indietro, sottoponendo a novello esame una attività già esaminata. Noi verremmo a sottoporre di nuovo queste persone a procedimenti, noi verremmo di nuovo ad indagare se queste persone hanno o no il diritto di votare, mentre ciò è stato già fatto in base a disposizioni, che sono state emanate proprio dai Governi della liberazione dal 1944 in poi.
Vogliamo il «bis in idem»? Vogliamo di nuovo la distruzione dei giudicati? Vogliamo di nuovo norme di carattere retroattivo? Se questo è il desiderio dell’Assemblea, l’ordine del giorno si approvi. Ma se, nella patria del diritto, dobbiamo proporci di non ricadere più nell’errore di emanare leggi con effetto retroattivo, leggi che distruggano l’autorità della res judicata, mi pare che il capoverso dell’articolo 3 delle disposizioni transitorie non debba essere approvato. E ciò senza dire che non è proprio opportuno lasciare nella Costituzione la traccia di una situazione contingente e di una faziosità, che ci auguriamo superata.
Ho proposto una subordinata. Ho detto: vogliamo che una norma, come che sia, venga in materia emanata? E sia! Ma allora, per lo meno, dobbiamo riconoscere efficacia a leggi precedenti più favorevoli e, per lo meno, dobbiamo far sì che siano rispettati i giudicati.
Chiarisco il mio pensiero. Vi sono persone, che non furono giudicate, ma acquisirono il diritto di non poter essere più giudicate. Si pensò allora – e giustamente – che certe posizioni dovessero essere definite con sollecitudine. Avrebbero dovuto essere definite entro il 29 aprile 1946. Possiamo ora, dopo diciotto mesi dalla scadenza del termine, fare, ripeto, passi indietro e tornare ad esaminare quelle posizioni? Che accadrà poi dei giudicati? Le leggi precedenti stabilivano una penalità in materia: stabilivano che le persone, sottoposte a procedimento, potessero essere private del diritto di voto per un tempo non superiore ai dieci anni. Le Commissioni, quindi, potevano privarle del diritto di voto anche per uno-due anni. In virtù, quindi, della disposizione precedente, un gerarca fascista ha bene potuto essere giudicato e condannato alla privazione del diritto di voto, per esempio, per due anni. Ora, se questi due anni andranno a scadere il 31 dicembre 1947, quale sarà la situazione di quel gerarca – approvandosi la disposizione, di cui ci stiamo occupando – di questo gerarca, il quale è stato già condannato ed ha già scontato la sua pena? Dovrebbe essere di nuovo privato del diritto di voto? E che dire di coloro, che, appartenendo a pubbliche amministrazioni, hanno subito diversi procedimenti di epurazione e ne sono usciti prosciolti, e che oggi si vedrebbero privati dei diritti politici in base a nuove leggi, che eventualmente accoglierebbero quel criterio di condanna per categorie, che fu sempre escluso nella legislazione sulla epurazione? Ancora una volta vogliamo annullare la forza dei giudicati? Alla domanda non si può rispondere affermativamente. Non può rispondere affermativamente l’Italia, che ha al proprio attivo una tradizione fulgidissima di dottrina giuridica, l’Italia, che, inoltre, in ogni direzione grida un reciso «Basta!» con gli odi e le divisioni, che il popolo proprio più non sente ed anzi depreca, come profondamente deleteri per la sua vita ed il suo progresso.
Ecco perché io insisto nella mia proposta. Per lo meno si accetti la mia proposta subordinata.
PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha proposto il seguente emendamento:
«Sopprimere il comma.
«Subordinatamente, dopo le. parole: responsabilità fasciste, aggiungere: individuali già accertate con provvedimento definitivo.
«La limitazione non può essere superiore ad anni cinque».
L’onorevole Benedettini ha facoltà di svolgere l’emendamento.
BENEDETTINI. Mi associo, per quanto riguarda la soppressione del capoverso, a quanto ha detto l’onorevole Colitto.
Io ho proposto un emendamento in via. subordinata, perché ritengo che si possano escludere dal diritto di voto solo alcune persone, per responsabilità fascista, quando queste responsabilità siano già interamente accertate.
Pertanto, io escludo la possibilità che questo provvedimento vada esteso a intere categorie. Lo escludo in quanto, se vi sono responsabilità individuali accertate con provvedimento definitivo, non vedo perché individui già giudicati e che hanno avuto una precisa rivalutazione, per quanto riguarda le responsabilità o meno, debbano essere esclusi dal voto.
Si può essere stati consiglieri nazionali, si può avere appartenuto al partito fascista, ma si può essere state delle persone oneste, capaci e degne (Interruzioni a sinistra) di vivere nel nostro consesso, perché già con provvedimento definitivo è stata chiusa la loro situazione giuridica. Ecco perché ritengo ingiusto generalizzare un giudizio per intiere categorie ed escludere dal diritto di voto gente di indiscusso ingegno, di indiscussa preparazione e di indiscussa capacità. (Commenti a sinistra). Non è giusto ed è antigiuridico escludere da questo diritto categorie intere. Qui si riapre un’altra volta una piaga grandissima. Noi lavoriamo per la pacificazione e per questa ci siamo sempre battuti.
Se un individuo è stato già giudicato e si è detto: «del suo passato non se ne parla più e può partecipare alla vita degli italiani», ebbene, questo individuo ha il sacrosanto diritto di partecipare alla vita politica del nostro Paese! (Rumori a sinistra). Ripeto che non è dignitoso per noi italiani escludere intiere categorie: non è né dignitoso né giusto. (Commenti a sinistra).
L’appartenere a una categoria, quando si è stati persone oneste, non è sufficiente per essere esclusi da un diritto come il diritto di voto. Fortunatamente abbiamo delle possibilità, perché l’Italia è stata sempre la culla del diritto e non può ammettere che nelle nuove leggi sia così violato il diritto in una forma che farebbe rabbrividire. (Vivi rumori a sinistra).
TONELLO. Hanno tradito il Paese e la Patria!
BENEDETTINI. Una legge che vuol porre al bando intere categorie di cittadini e non fa le dovute discriminazioni, non è legge, ma arbitrio: una legge può privare del diritto di voto dei cittadini, non in quanto abbiano ricoperto delle cariche, ma in quanto abbiano mal operato.
Vi sono indubbiamente tra i Ministri, i senatori, i deputati ed i consiglieri nazionali del passato regime uomini che rovinarono il Paese e che per leggerezza, o per malafede, o per vigliaccheria, o perché solo preoccupati dei loro interessi personali, furono incuranti del male che con la loro azione causavano all’Italia. Vi furono certamente uomini che specularono sul fascismo, si arricchirono ed aumentarono le loro ricchezze lavorando prima al servizio dei tedeschi e poi degli angloamericani, e che oggi speculano sulle rovine della Patria e sulle miserie del popolo italiano per accrescere i loro già pingui patrimoni. Codesti signori vanno privati del diritto di voto di cui non saprebbero che fare, e dovrebbero essere privati altresì delle ingenti ricchezze accumulate a danno delle classi povere del popolo italiano.
Vi sono però, onorevoli colleghi, fra i Ministri, i senatori, i deputati ed i consiglieri nazionali del passato regime, uomini di profondo ingegno, di vasta cultura e di larga preparazione nel campo economico, politico e sociale e dirò, particolarmente, sindacale (Rumori a sinistra), i quali non solo non hanno demeritato, ma hanno anzi ben meritato dal Paese; uomini che potrebbero dare in quest’ora un notevole contributo, se stessero ai posti di comando. (Rumori a sinistra). Sono uomini i quali si affermarono non perché fascisti, ma perché ben dotati di ingegno, di preparazione, di spirito d’iniziativa e che entrarono poveri nel fascismo e ne uscirono poverissimi ed onesti avendo servito il Paese in pace ed in guerra. (Vivi rumori a sinistra).
MORANINO. Questa è apologia del fascismo!
BENEDETTINI. Questo dico, non solo per le più alte cariche, ma anche per le minori, vale a dire per gli ufficiali, i podestà, i federali. (Rumori a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, prego di far silenzio.
BENEDETTINI. Dunque se noi vogliamo punire i colpevoli – ed è giusto che così sia fatto – è necessario colpire gli uomini per le loro attività singole e non perché appartenenti a determinate categorie sociali.
Guardiamoci bene dal commettere un tale errore che certamente sconteremmo, giacché in tali questioni non possiamo dimenticare il fattore politico. Questo fattore ci porta a considerare che, oggi, quelli che furono fascisti vanno inquadrandosi negli altri partiti, cosicché si può affermare che non vi sia partito, dall’estrema destra all’estrema sinistra, che non conti tra le sue fila ex fascisti. (Commenti prolungati a sinistra).
Se una giusta legge priverà del diritto di voto coloro che come fascisti ebbero delle colpe, gli italiani, senza distinzione di parte, saranno contentissimi e noi elimineremmo sempre più la possibilità di rinascita del fascismo sotto qualsiasi forma. Se, al contrario, con una legge iniqua si priveranno del diritto di voto decine e decine di migliaia di ex fascisti, molti dei quali ebbero il solo torto di essere dotati di ingegno e di cultura (Proteste a sinistra) e di aver servito con senso di dovere e onestà la Patria, noi costringeremmo questi ex fascisti – oggi dispersi, divisi nei vari partiti – a ricostituirsi in unità, perché qualificati fra i reprobi.
Noi abbiamo il preciso dovere di interpretare il sentimento della maggioranza degli italiani… (Interruzioni a sinistra – Rumori) e non di dare seguito alle parole di pochi spiriti i quali credono di farsi un nome, di passare alla storia, di imporsi all’attenzione delle masse proponendo emendamenti che avrebbero il solo effetto di dividere ancora più gli italiani. (Rumori a sinistra).
Una voce a sinistra. Doveva pronunciare ieri, 28 ottobre, questo discorso!
PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, mi pare che lei stia sviando molto dall’argomento. La prego di restare all’emendamento.
BENEDETTINI. Noi che da quest’Aula ogni giorno ci vantiamo di batterci per la libertà e la democrazia, dopo un ventennio di dittatura, non dobbiamo dare vita a leggi inique che la dittatura fascista non emanò mai… (Interruzioni a sinistra). Non facciamo – come disse un altro antifascista, l’onorevole Nitti – che nella Costituzione e nelle leggi noi si debba mettere insieme la parte peggiore del fascismo, senza mettere quella che fu la parte migliore. (Commenti a sinistra).
Io vi esorto a ricordare il passato, sia remoto che prossimo. E questo passato ci grida che nell’aprile del 1945 circa 300.000 italiani furono uccisi nel Nord. (Rumori vivissimi e prolungati a sinistra – Interruzioni – Commenti).
SCOTTI FRANCESCO. Sono stati giustiziati giustamente i repubblichini; ma non sono mai stati 300.000.
PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, le impedisco di proseguire su questo tono. La prego immediatamente di concludere. (Vivi rumori a sinistra).
Onorevoli colleghi, mi stupisco dell’assoluta mancanza di sensibilità politica che si manifesta. Nel momento stesso in cui, in una maniera che ritengo un po’ più autorevole di quella di ciascuno dei membri dell’Assemblea, faccio un richiamo all’onorevole Benedettini, con le loro grida incomposte, tolgono ogni valore al mio richiamo, il quale o appare così obbligato, come fatto sotto la loro pressione o si perde in queste grida incomposte.
Onorevole Benedettini, mi rammarico vivamente per la frase che lei ha pronunciato, e la prego di concludere immediatamente restando al tema del suo emendamento.
BENEDETTINI. È, dunque, per un senso di pace e di concordia, che io avrei proposto di abolire senz’altro il terzo comma della disposizione: ma l’esito avuto dalla proposta dell’onorevole Bencivenga mi consiglia di presentare un opportuno emendamento subordinato:
«Dopo le parole: responsabilità fasciste, aggiungere: individuali già accertate con provvedimento definitivo.
«La limitazione non può essere superiore ad anni cinque».
Questo emendamento, che raccomando alla vostra approvazione, è destinato a dare forma e vita alla nuova legge; legge di giustizia e non di vendetta, di pace e non di odio.
Onorevoli colleghi, nel decidere, nel legiferare, non ci dimentichiamo le condizioni dell’Italia e degli italiani: l’una e gli altri vogliono pace, concordia, giustizia e lavoro. (Applausi all’estrema destra).
LUSSU. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.
PRESIDENTE. A che proposito?
LUSSU. A proposito delle parole che sento pronunciare qui. Noi, l’ultima volta che abbiamo discusso di questo problema, in sede di articolo 47, ci siamo fermati, in seguito alla richiesta sospensiva presentata da un collega dell’estrema destra. Ma a me pare evidente, ed a ciascuno di noi pare evidente, che la sospensiva riguarda il punto dell’articolo 47 non ancora toccato. Quando io sento, quindi, riprendere questioni sulle quali ci siamo già pronunciati, ho l’impressione che usciamo dal Regolamento.
PRESIDENTE. Ho l’impressione che lei ancora non si sia reso conto, onorevole Lussu, che all’ordine del giorno questa mattina non c’è la legge sull’elettorato attivo, e che non stiamo trattando dell’articolo 47 della, legge, ma del terzo comma della prima disposizione transitoria del testo costituzionale. È questo l’argomento intorno al quale l’Assemblea deve discutere e decidere. E ciò appunto in dipendenza di una decisione dell’Assemblea che, su proposta di uno dei suoi membri, ha deciso di discutere prima il terzo comma della prima disposizione transitoria della Costituzione, e poi, in dipendenza delle decisioni che saranno prese, circa le disposizioni dell’articolo 47 di quel progetto di legge.
Noi siamo pertanto in tema costituzionale ed ogni richiamo all’articolo 47 della legge sull’elettorato attivo è al di fuori della nostra discussione.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Mi permetta, signor Presidente, che io dissenta.
Non sono d’accordo col suo punto di vista: noi ci troviamo oggi qui, all’improvviso, di fronte ad un problema che era ben chiaro nella volontà dell’Assemblea.
Il problema riguardava l’articolo 47. Oggi assistiamo ad uno scambio di parole, di ordini del giorno, alla rievocazione di principî sui quali avevamo già deciso con votazioni.
Ho, quindi, il diritto di chiedere che la discussione rientri nei suoi veri termini e che non sia consentito negare ciò su cui l’Assemblea ha deciso.
Mi pare che questa sia una questione procedurale estremamente chiara e legittima.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sull’incidente sollevato dall’onorevole Lussu, per prima cosa dirò che mi pare un po’ avventato il dire che la questione sia stata portata all’improvviso all’Assemblea. Cinque giorni fa, quando esposi il programma di lavoro, ebbi occasione di specificare che avremmo trattato anche questo argomento. I colleghi che erano presenti certamente se ne ricorderanno.
Ma l’onorevole Lussu ha sollevato una questione più ampia: che, senza un’espressa decisione dell’Assemblea, la Presidenza ha sospeso la discussione di un disegno di legge in corso di esame ed ha – mi permetta, onorevole Lussu – surrettiziamente introdotto l’esame di un argomento che non doveva ancora essere presentato all’Assemblea.
Ricordo pertanto che nella seduta antimeridiana del 19 settembre, mentre si discuteva sul disegno di legge concernente la disciplina dell’elettorato attivo, l’onorevole Russo Perez presentò una mozione d’ordine con la quale sosteneva che non si potesse discutere ancora l’articolo 47 di quella legge, se prima non si fosse deciso sopra il terzo comma della prima disposizione transitoria del progetto di Costituzione, e pertanto proponeva di sospendere la discussione in corso per riprenderla solo dopo approvato tale comma.
La mozione d’ordine fu discussa per un’intera mattinata dagli onorevoli Russo Perez, Mazzoni, Cianca, Bellavista, Schiavetti, Uberti, Marazza, Togliatti, Mastino Pietro, Condorelli, e la proposta di sospensiva fu, come risulta dal resoconto, dopo prova e controprova e votazione per divisione, approvata.
E la proposta di sospensiva era così stata spiegata dall’onorevole Russo Perez, come risulta dal resoconto sommario:
«Precisa che la sua proposta tende a che si sospenda la discussione dell’articolo 47 fino a quando l’Assemblea non abbia deciso sulla prima disposizione transitoria del progetto di Costituzione».
Nella seduta antimeridiana del 24 settembre l’Assemblea riprese in esame la questione, non già per ritornare sopra la decisione presa, ma per esaminare in qual modo pratico si potesse attuare la sospensiva approvata, avendo il Ministro dell’interno fatto presente che, allo scopo di preparare le liste elettorali in tempo debito, in vista di elezioni non troppo lontane, non poteva attendere oltre.
Leggo dal resoconto sommario:
«Scelba, Ministro dell’interno, ricorda che occorre avere al più presto lo strumento tecnico necessario per potere senz’altro procedere alla compilazione delle liste elettorali.
«Dato che l’articolo 47, sospeso, non è essenziale a tal fine, prega l’Assemblea di approvare la legge elettorale, con l’impegno del Governo di ripresentare le disposizioni contenute negli articoli 47 e seguenti in sede di legge sull’elettorato passivo, disposizioni che avrebbero valore naturalmente anche per la legge in esame».
«Uberti, Relatore, osserva che si potrebbe accettare la proposta del Ministro, per evitare un ritardo eccessivo nell’applicazione della legge. Propone peraltro di stralciare gli articoli 47-50 per farne una legge a parte, e non di rinviarli alla legge sull’elettorato passivo».
L’onorevole Ruini accetta questa proposta dell’onorevole Uberti, e l’Assemblea, dopo prova e controprova, approva la proposta dell’onorevole Uberti, fatta propria dall’onorevole Ruini.
Qual è, dunque, la situazione, onorevole Lussu? Questa, che l’Assemblea ha deciso – e non la Presidenza ha cercato di far accogliere dall’Assemblea – che l’articolo 47 fosse rinviato e in un secondo tempo ha accettato che esso fosse materia di un nuovo disegno di legge, e che questo disegno di legge fosse presentato e discusso solo dopo che l’Assemblea avesse deciso in ordine alla prima norma transitoria del progetto di Costituzione, che comprende il terzo comma di cui stiamo discutendo.
Mi pare, quindi, che le osservazioni dell’onorevole Lussu non abbiano fondamento, poiché l’Assemblea ha legittimamente disposto di mettere all’ordine del giorno di oggi questo argomento, sul quale occorre giungere ad una decisione, che renda poi possibile un disegno di legge che comprenda la materia dell’articolo 47 del vecchio disegno di legge.
LUSSU. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Ella mi attribuisce, signor Presidente, con eccessivo spirito critico, di avere posto in dubbio la serenità del Presidente nell’esercizio della sua carica. Quando ho detto che questo ordine del giorno ci era stato presentato di sorpresa, non ho inteso già di affermare che l’onorevole Presidente ci avesse sorpreso, per cui la discussione avvenisse mentre noi eravamo impreparati a sostenerla; ho inteso dire invece semplicemente che noi, di fronte a questa discussione, venivamo manifestamente a trovarci carenti di quegli elementi che i più – ed io in particolare – giudichiamo indispensabili e per seguire la discussione e per decidere in merito ad essa.
Non appena, quindi, ho ascoltato questi interventi, ho chiesto che mi venissero sottoposti gli atti ufficiali scritti, che noi non possiamo tutti i giorni andar ricercando, perché altrimenti dovremmo venir qui con delle valigie; ed è stato soltanto grazie alla cortesia di un collega che ne ho potuto prendere visione.
Io quindi non ho inteso di alludere se non ad una sorpresa soggettiva; non ho inteso cioè di muovere un appunto all’onorevole Presidente, perché non sarebbe stato il caso.
Circa poi il resto, l’onorevole Presidente mi consentirà che io mi dica sorpreso del modo come si procede in Commissione, per cui l’articolo 47, già per metà discusso ed approvato, improvvisamente viene ad essere ripresentato, insieme con l’altro prezioso articolo 50, in veste di una futura legge particolare da discutere.
Io mi permetto quindi di esprimere, per tutto questo, la mia più alta sorpresa.
PRESIDENTE. Onorevole Lussu, mi pareva di averle fornito gli elementi sufficienti perché lei arrivasse a comprendere che non è in sede di Commissione che tutto questo è stato deciso, ma in sede di Assemblea. Ora, è evidente che ognuno può essere più o meno soddisfatto dei risultati delle votazioni che avvengono in Assemblea, ma nessuno può dire che esse abbiano alcunché di recondito nei principî ai quali si richiamano e nel modo come si svolgono.
LUSSU. Mi permetta, onorevole Presidente: io chiedo a lei e in pari tempo chiedo a tutti i colleghi dell’Assemblea di tener presente come il Regolamento che disciplina i nostri lavori contempli, al Capo XIV, la disciplina delle votazioni. V’è forse nel Regolamento stesso qualche altro luogo ove si parli ancora di tale disciplina e ove sia consentito che delle materie già sottoposte all’esame dell’Assemblea e da questa approvate possano divenir lettera morta?
È questa, onorevoli colleghi, una domanda che io rivolgo, sì, a tutti i colleghi dell’Assemblea, ma che rivolgo in modo particolare al Presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Lussu, non riesco a comprendere le sue obiezioni.
L’Assemblea ha deciso, ed è appunto compito del Presidente di fare applicare ciò che è stato deliberato in quelle votazioni. Di ciò che lei ha detto potrà tenersi conto, se mai, quando l’Assemblea sarà chiamata ad esaminare quella nuova formulazione che il Governo presenterà. Se in quella formulazione non si terrà conto di ciò che l’Assemblea aveva già deliberato, la sua eccezione potrà essere sostenuta ed anche accettata. Ma in questo momento ella non può anticipare gli eventi, prevedendo che le decisioni dell’Assemblea saranno tenute in non cale.
CIANCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CIANCA. Ringrazio l’onorevole Presidente per l’esposizione fatta circa i precedenti di questo dibattito. Io pongo alla mia coscienza, prima che al Presidente, dei quesiti.
Noi abbiamo discusso in settembre l’articolo 47 della legge sull’elettorato attivo ed abbiamo approvato alcuni numeri compresi in quell’articolo. Vale a dire, abbiamo espresso la volontà della maggioranza della Assemblea su determinate sanzioni con cui devono essere colpite determinate categorie. Rimane acquisito all’attività di questa Costituente il fatto che su quei problemi delle soluzioni sono state prese.
Ora io domando a me stesso – e chiedo al Presidente – quale sia la sorte di questi punti che sono stati discussi e decisi. Vale a dire: è possibile oggi fare una discussione, la quale contraddice alle decisioni che sono state prese dall’Assemblea Costituente durante il dibattito dell’articolo 47? È vero che c’è stata la sospensiva, ma la sospensiva è intervenuta quando su determinate questioni – ripeto – la decisione era stata presa.
Lo stesso articolo che abbiamo sotto gli occhi è una modificazione di quella che è stata la decisione della maggioranza dell’Assemblea.
PRESIDENTE. È un ordine del giorno.
CIANCA. Non solo si tratta dell’ordine del giorno, ma dello stesso articolo modificato, perché questo nuovo articolo, se mi permette l’onorevole Presidente, incide sulle decisioni da noi adottate in settembre.
PRESIDENTE. Onorevole Cianca, scusi se l’interrompo, ma è proprio per il desiderio di non prolungare una discussione che forse può essere evitata.
Lei aveva preso la parola in sede di quella discussione che io ho richiamato ed aveva lungamente esposto le sue considerazioni. Lei era contrario al rinvio ed ha anche motivato la sua opposizione.
Tuttavia l’Assemblea, allo scopo di evitare deliberazioni sulla legge dell’elettorato attivo che avrebbero potuto poi trovarsi in contrasto con una norma costituzionale, ha deciso di deliberare prima sulla materia costituzionale e poi di redigere la nuova legge.
Oggi si approva la norma costituzionale transitoria che aprirà la via della deliberazione sull’emendamento dell’onorevole Schiavetti all’articolo 47 della legge sull’elettorato.
Siamo quindi nell’ordine logico delle cose: stabilire prima la norma costituzionale e poi la norma legislativa.
CIANCA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CIANCA. Io non contesto affatto le ragioni che lei ha esposte, però rilevo che arriveremmo a questa conclusione: che a un mese e mezzo di distanza l’Assemblea voterebbe oggi in pieno contrasto con quello che decise allora.
PRESIDENTE. Onorevole Cianca, l’Assemblea Costituente, in sede costituzionale, può votare una norma che porti alla necessità di modificare una norma legislativa. Questo è evidente. Può rammaricarsene qualcuno, ma d’altra parte non si può fare diversamente, dato che questa è un’Assemblea Costituente.
LUSSU. Solo a scrutinio segreto si poteva annullare quanto, sull’articolo 47, abbiamo già votato.
PRESIDENTE. Onorevole Lussu, lei precipita i tempi.
Aspetti a fare constatazioni del genere.
CIANCA. Vuol dire che noi ci rassegneremo a formulare dei giudizi sulla coerenza dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Onorevole Cianca, ciascuno farà quello che crede più opportuno e doveroso.
Ritengo che si possa ora proseguire nell’esame degli emendamenti.
Gli onorevoli Dominedò e Giacchero propongono di sopprimere il comma.
L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
DOMINEDÒ. Non credo che occorra un apposito discorso per l’emendamento soppressivo, che ho l’onore di sottoporre al voto dell’Assemblea, sia pure a titolo personale insieme al collega Giacchero.
Mi limiterò a considerare che il suo spirito informatore è anzitutto di natura tecnica, giuridica e costituzionale, trattandosi qui di materia che, se mai, dovrebbe essere di competenza delle leggi speciali, come infatti è avvenuto con la legge che già risolve il problema, mediante limitazioni al diritto di voto nei confronti dei singoli soggetti, a seguito di apposito giudizio.
Se così è, ne deriva che una Costituzione democratica, protesa verso una costruzione positiva, e non solamente limitantesi a una negazione del passato, non può introdurre condanne per categoria, distinguendo ancora una volta i cittadini optimo jure da quelli non optimo jure. Di qui il vantaggio, anche politico, di non fare nemmeno menzione dei relitti di un ordine totalitario che deve considerarsi come appartenente definitivamente al passato, nello sforzo creativo di una vera democrazia. (Commenti).
UBERTI. V’è l’articolo 45 della Costituzione che lo rende necessario.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Monticelli, del seguente tenore:
«Sostituirlo col seguente:
«Fino ad un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione la legge può stabilire una limitazione alla eleggibilità e al diritto di voto per rilevanti responsabilità nell’ex regime fascista».
Non essendo presente l’onorevole Monticelli si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati:
«Sostituirlo col seguente:
«In deroga all’articolo 45, la legge potrà stabilire, per non oltre un quinquennio dalla data di entrata in vigore della Costituzione, limitazioni alla eleggibilità ed al diritto di voto per coloro che sono da ritenere responsabili, in grado eminente, della formazione e del mantenimento del cessato regime fascista per la natura delle cariche ricoperte o dell’attività esercitata, obiettivamente determinata, in una delle seguenti categorie:
membri del governo, del gran consiglio, degli organi legislativi, del tribunale speciale, della milizia volontaria sicurezza nazionale, delle gerarchie del partito fino al grado di segretario provinciale, funzionari direttivi militari e civili della cosiddetta repubblica sociale».
Ha facoltà di svolgerlo.
MORTATI. Dichiaro di accettare il testo della Commissione, rinunciando ad una mia precedente proposta, la quale riguardava anche l’esclusione dal corpo della Costituzione della elencazione delle categorie degli esclusi dall’elettorato per indegnità fascista.
Insisto però sul mio emendamento per quanto attiene a due altri punti: in primo luogo nel richiedere che sia inserito, al principio del comma, l’inciso: «In deroga all’articolo 45». Questa inserzione mi sembra opportuna se non necessaria. Forse non è necessaria perché la stessa inserzione nella Costituzione di una disposizione transitoria, quale quella dell’ultimo capoverso dell’articolo 1, fa argomentare per il carattere eccezionale delle limitazioni in essa sancite. Tale carattere eccezionale può argomentarsi anche dalla sospensione che l’Assemblea ha deliberato dell’articolo 47 della legge sulle liste elettorali, al momento in cui si discutevano gli emendamenti dell’onorevole Schiavetti, sospensione motivata dalla convinzione che si vertesse in materia costituzionale.
Tuttavia, anche considerando tutto questo, credo sia opportuno stabilire in modo testuale che queste limitazioni costituiscono deroga all’articolo 45. Ciò perché l’articolo 45, in seguito alle modificazioni apportate al suo testo dall’Assemblea, consente l’esclusione del diritto di voto in caso di indegnità morale. Ora, potrebbe essere sollevato il dubbio che in questi casi di indegnità morale siano compresi o comprensibili anche casi di indegnità dovuta alla posizione politica del cittadino. Il che si deve escludere perché contrastante con il significato voluto attribuire a quella espressione. A mettere in rilievo tale significato giova operare un’interpretazione autentica all’articolo, attraverso la modifica da me proposta dell’ultimo comma dell’articolo 1, disposizioni transitorie, che tende a precisare il carattere di deroga alla norma generale in materia di limitazioni al diritto di voto.
Il secondo punto per cui mi distacco dal testo della Commissione riguarda la determinazione del termine massimo entro il quale queste sanzioni devono essere introdotte. Già il concetto della temporaneità è affermato in quel testo: ma a me pare opportuno delimitare l’estensione di questa in un quinquennio. Mi pare sia questo un termine sufficiente, essendo da presumere il sopravvenire dopo di esso di un periodo di normalizzazione, di attenuazione delle passioni politiche che non riabiliti di per sé gli ex gerarchi fascisti, ma consenta, per l’elettorato passivo, di affidare alla stessa spontanea selezione del corpo elettorale la determinazione, in via di fatto, delle indegnità. Selezione che riuscirà tanto più rigorosa e sodisfacente quanto più il nuovo regime democratico si sarà consolidato nella coscienza dei cittadini, con la felice risoluzione dei problemi che affaticano la Nazione.
PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti ha proposto di tornare al testo primitivo del progetto. Ha facoltà di svolgere l’emendamento.
SCHIAVETTI. Qui ci troviamo di fronte a due atti del Comitato di redazione che sono in contraddizione l’uno con l’altro ed a noi resta la legittima curiosità di sapere perché il Comitato ha affrontato così leggermente una contraddizione formale.
C’è la disposizione per cui sarebbero esclusi dall’eleggibilità e dal diritto di voto i capi responsabili del regime fascista. Poi v’è un ordine del giorno, sempre proposto dal Comitato di redazione, in cui si specificano le speciali categorie da escludere. E qui abbiamo la sorpresa, per non dire altro, di trovare fra i capi responsabili del regime fascista anche gli ufficiali della guarda nazionale repubblicana, delle brigate nere, ecc. Ora è evidente che qui v’è stata una certa improvvisazione da parte degli egregi colleghi del Comitato, e noi, che siamo solleciti del loro buon nome, non vorremmo che essi cadessero in una contraddizione che non farebbe loro onore. Animati quindi da spirito cristiano, facciamo la proposta, per troncare tutte queste discussioni ed anche per cercare di portare la discussione sopra un piano di sincerità, di ritornare al testo del primitivo progetto di Costituzione per cui sarebbero ammesse limitazioni temporanee all’eleggibilità e al diritto di voto per responsabilità fasciste. Questo ci permetterà poi, nella discussione sull’articolo 47, la più ampia latitudine e potremo quindi esaminare le singole categorie onde vedere quelle che sono da escludere e quelle che non sono da escludere. Altrimenti, in caso contrario, noi ci legheremmo le mani e rischieremmo di trovare degli egregi avvocati i quali ci direbbero che l’ordine del giorno è in contraddizione con l’emendamento del Comitato di coordinamento, e trarrebbero da questa contraddizione la possibilità di non arrivare a nessuna conclusione. Chi parla non è avvocato, ma è un uomo di buon senso animato da passione e volontà politica. Domando che si tagli corto a queste contraddizioni, le quali possono celare manovre di carattere politico, e che si ritorni al vecchio progetto di Costituzione.
PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.
Per l’elezione di tre membri della Corte costituzionale prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana.
CARONIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARONIA. Mi occuperò brevemente della elezione dei membri della Corte costituzionale della regione siciliana.
Mi richiamo a quanto ebbi a richiedere alla Presidenza circa il rinvio dell’elezione dei membri della Corte costituzionale della Regione siciliana per chiedere all’onorevole Presidente quando intende mettere all’ordine del giorno l’elezione di detti membri.
PRESIDENTE. Faccio presente all’onorevole Caronia che, avvertendo l’importanza della questione, mi sono preoccupato d’interpellare i Presidenti di tutti i Gruppi parlamentari o un loro rappresentante; e ieri mattina, in una apposita riunione, i presenti, all’unanimità, sono arrivati alla conclusione che non fosse in questo momento da porsi all’ordine del giorno dell’Assemblea questa nomina, e che si dovrebbe attendere, quindi, un momento più opportuno. Pertanto, dinanzi ad una opinione così unanime, la Presidenza ha ritenuto e ritiene di non porre per adesso all’ordine del giorno l’elezione dei tre membri effettivi e del membro supplente della Corte costituzionale siciliana, che devono essere designati per l’appunto dall’Assemblea Costituente.
CARONIA. Mi permetto di dissentire da quanto hanno deciso i pochi che pretendono di rappresentare la volontà dei Gruppi. Rimandare sine die la nomina dei tre membri della Corte costituzionale significa paralizzare l’attività della Regione. La Regione deve poter vivere; il Governo della Regione deve poter funzionare. Quindi è inderogabile la nomina dei membri della Corte costituzionale.
Abbiamo già degli esempi recenti di veti posti dal Commissario governativo alla Regione siciliana per provvedimenti importantissimi. Io non intendo entrare nel merito della questione di ciò che sarà domani, dopo il coordinamento e dopo le decisioni che l’Assemblea avrà preso sulla Corte costituzionale Nazionale. Intendo riferirmi al bisogno che, in via transitoria, finché tutti questi provvedimenti siano presi, la Regione possa funzionare. Non vedo il motivo per cui oggi si debba procrastinare la nomina dei membri della Corte costituzionale perché il Governo della Regione non trovi intralci nel suo compito. Quindi, insisto perché nel più breve tempo possibile sia posta all’ordine del giorno l’elezione dei tre membri della Corte costituzionale per la Regione siciliana, secondo le norme stabilite dallo Statuto regionale in vigore.
PRESIDENTE. Onorevole Caronia, non posso mettere in dubbio la capacità e il diritto che di rappresentare i propri Gruppi avessero i convenuti a quella riunione, dai Gruppi stessi designati a parteciparvi. Non credo di poter contestare agli onorevoli Gronchi, Scoccimarro, Nasi, Rodinò Mario, Nenni, Perrone Capano, Saragat, Facchinetti, Reale Vito e Bergamini il diritto di rappresentare i rispettivi Gruppi e di parlare a loro nome. Poiché i colleghi, dei quali ho fatto nomi, ieri mattina unanimemente sono pervenuti a quella conclusione, mi sono ritenuto autorizzato, come ritengo di esserlo in questo momento, a pensare che essi abbiano espresso il pensiero dei rispettivi Gruppi.
Comunque, onorevole Caronia, Ella può sempre presentare una proposta formale sulla quale l’Assemblea deciderà.
CARONIA. Faccio proposta formale che siano eletti subito i tre membri della Corte costituzionale per la Regione.
La seduta termina alle 13.5.