Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 30 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXXIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 30 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

INDICE

Dimissioni:

Presidente

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Sulla validità della votazione di un emendamento:

Macrelli

Presidente

Fioretto

Manzini

Russo Perez

Codacci Pisanelli

Dominedò

Nobile

Calosso

Selvaggi

Verifica del numero legale:

Presidente

Presentazione di relazioni:

Di Giovanni

Presidente

Svolgimento di due interpellanze:

Presidente

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Persico

Micheli

Morandi

Di Vittorio

Vanoni

Ferrari

Fanfani, Ministro del lavoro e della previdenza sociale

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Grassi, Ministro di grazia e giustizia

Laconi

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Dimissioni.

PRESIDENTE. Comunico che mi è pervenuta dall’onorevole Martino Enrico la seguente lettera:

«Onorevole Signor Presidente dell’Assemblea Costituente,

Roma, 29 ottobre 1947

«Nella mia qualità di Ministro d’Italia a Belgrado, mi trovo nella impossibilità di svolgere degnamente il mio mandato di deputato all’Assemblea Costituente.

«Mi onoro pertanto rivolgermi all’Assemblea Costituente perché mi voglia dispensare dal mandato, rendendo così possibile al mio successore di svolgere le sue funzioni nell’interesse superiore del Paese.

«Nel lasciare l’onorato mandato rivolgo a Lei, onorevole Presidente, e ai colleghi tutti il mio cordiale saluto e i migliori auguri per l’alto compito cui sono stati chiamati dalla volontà popolare.

«Con ossequio.

«On. Enrico Martino».

Se non vi sono obiezioni pongo ai voti l’accettazione delle dimissioni dell’onorevole Martino Enrico.

(Sono accettate).

Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso una domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Laconi, per il reato di cui all’articolo 18 del testo unico della legge di pubblica sicurezza.

Sarà inviata alla Commissione competente.

Sulla validità della votazione di un emendamento.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi! Ci sia consentito di tornare con tutta serenità sulla votazione della seduta di stamani a proposito della Regione emiliana. Pur non intendendo risollevare eccezione alcuna per il computo dei voti fatta dalla Segreteria, dobbiamo tuttavia rilevare, in base alle stesse parole dell’illustre signor Presidente, che può essere obiettivamente posto in dubbio che l’Assemblea, al momento della votazione, avesse adeguata scienza dei presupposti e dell’oggetto della medesima.

Se così è, come sembra, si verifica l’ipotesi, già contemplata dalla prassi e dai trattati parlamentari, per cui se i deputati votanti riconoscono di avere per errore votato contro la propria intenzione, vien meno il presupposto stesso della validità di una deliberazione. Precedenti storici sorreggono questa tesi. Chiediamo pertanto che, in vista delle circostanze obiettive che abbiamo ora esposto, il Presidente sottoponga ancora la votazione alla volontà dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Macrelli, in ordine all’esito della votazione eseguita stamani circa un emendamento presentato dall’onorevole Corbino, relativo alla elencazione delle Regioni storico-tradizionali contenuta nell’articolo 123 del progetto di Costituzione, ha rilevato che può essere avvenuto che la votazione si sia svolta in un momento nel quale non tutti quanti i membri dell’Assemblea presenti nell’Aula avevano pienamente afferrato il valore ed il significato della votazione stessa, ed ha chiesto che questa sia ripetuta.

È un problema che riguarda l’Assemblea la quale ha dato il voto e che, evidentemente, può o non può accettare la proposta e condividere le considerazioni dell’onorevole Macrelli.

FIORITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FIORITTO. Credo che sarebbe umiliante per l’Assemblea ritornare con mia motivazione simile sulla deliberazione già presa, e ritengo che sia pericolosissimo questo esempio che daremmo a noi stessi per l’avvenire della prassi parlamentare, perché si potrebbe sempre esporre il dubbio che l’Assemblea non abbia compreso l’oggetto ed il motivo della votazione, ed allora ogni votazione dovrebbe essere nuovamente sottoposta a riesame, e non ci sarebbe più quella garanzia di serietà e di sicurezza che deve accompagnare le decisioni di un’Assemblea legislativa.

MANZINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANZINI. Mi permetto di appoggiare la tesi del collega Macrelli, perché, se apprezzo in tutto il suo valore morale e giuridico l’obiezione che è stata fatta alla sua proposta, e riconosco che il precedente può suscitare una preoccupazione comprensibile, tuttavia i modi coi quali si è svolta la votazione di stamani avvalorano pienamente la tesi proposta dall’onorevole Macrelli.

Come proponente di un emendamento, che è stato la causale forse di questa variazione, aggiungo che un gruppo di coloro che hanno votato stamani, per opinioni dichiarate nelle successive votazioni, non hanno afferrato appieno il significato di quella votazione, perché l’emendamento da noi presentato, cioè la modifica della congiunzione Emilia e Romagna in Emilia-Romagna voleva riaffermare l’unità della Regione. Ma nella differenziazione nominale, per innegabile carattere di tradizione, di storia, di lingua, alcuni di coloro che avevano aderito a questo emendamento, il cui significato è motivo di ogni equivoco, hanno aderito perché non hanno colto tutta l’importanza della proposta dell’onorevole Corbino.

Quindi, siccome si tratta di una votazione importante, a vasta ripercussione e che può profondamente incidere sullo stato d’animo delle nostre popolazioni, e poiché la stessa mozione approvata ieri sera, ove si parla di Regioni storico-tradizionali, è in perfetta coerenza con la rivendicazione del nome Romagna, ormai consacrato dall’uso, io penso che la motivazione sia perfettamente fondata e che essa, anche per testimonianza individuabile di coloro che hanno votato, possa essere accolta, ponendo di nuovo in votazione l’argomento.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Io sono fra coloro che si dolgono che il nome di Romagna venga cancellato dall’elenco delle Regioni; però mi associo alle considerazioni che sono state fatte testé a questo riguardo e ritengo assurda la proposta dell’onorevole Macrelli. Io non conosco i precedenti parlamentari, ma dubito che ci possano essere precedenti favorevoli alla tesi Macrelli. Egli dice che è da supporre che parecchi di coloro che hanno votato, hanno votato senza sapere che cosa votassero. Ora questo mi sembra ingiurioso per l’Assemblea.

MACRELLI. Non è esatto.

RUSSO PEREZ. Comunque io dico che un galantuomo qualsiasi, se non sa che cosa vota, non deve votare. Per non costituire un pericoloso precedente, io propongo che l’Assemblea respinga la proposta dell’onorevole Macrelli.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Si è detto che sarebbe un pericoloso precedente, ma, come l’onorevole Presidente ha avuto più volte occasione di dire, quando l’Assemblea abbia deliberato sopra una determinata decisione, non è detto che vi sia una vera e propria preclusione. È stato più volte affermato che l’Assemblea può tornare sopra le sue deliberazioni.

Per dimostrare tale tesi, si potrebbero portare molti elementi di carattere giuridico, ma io faccio soltanto presente che, come quando si vota una legge e la si è approvata articolo per articolo, tuttavia la si può anche respingere nella votazione finale a scrutinio segreto; così non è detto che, quando questa Assemblea abbia deliberato, la sua deliberazione le impedisca di tornare su di essa, ove lo creda.

Per quanto riguarda la legislazione, è noto che si può sempre abrogare la legge, e come la si può abrogare dopo averla emanata, così si può ritornare sulle parti di essa già deliberate. Per queste ragioni ritengo che, anche dal punto di vista strettamente giuridico, non ci sia nulla da obiettare. Senza considerare poi che non mancano i precedenti parlamentari, dai quali è facile desumere che le Assemblee legislative hanno più volte usato la facoltà di ritornare sulle proprie deliberazioni precedenti, pure nel corso della discussione relativa a un medesimo progetto di legge.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, personalmente debbo dissentire dal collega che mi ha preceduto, e più esattamente dalle premesse che lo hanno ispirato, in quanto sono il primo a volermi di regola inchinare ad una votazione già verificatasi, con tutte le conseguenze giuridiche e politiche che ad essa si collegano in via di principio.

Ma se, in via di eccezione, vedessi ricorrere delle circostanze straordinarie di carattere obiettivo, le quali possano sorreggere l’ipotesi di una non sicura validità della precedente deliberazione, evidentemente noi ci muoveremmo su un diverso terreno.

A me pare che le circostanze straordinarie, le quali eventualmente possono dare corpo a questa eccezione rispetto alla regola, e quindi non costituirebbero alcun pericolo di precedente, in quanto perciò stesso riaffermerebbero il principio della validità vincolante e preclusiva di ogni deliberazione valida, siano le seguenti.

Primo: il fatto dell’immediata reazione pubblica in Aula da parte dell’onorevole Macrelli, prima ancora che si passasse ad altri argomenti e che, in un certo senso, si formasse cosa giudicata sulla decisione avvenuta, quando ancora sussisteva invariata la composizione dei deputati presenti e votanti.

È vero che l’onorevole Macrelli ha motivato in base al dubbio sull’accertamento dei voti, dubbio che cade dinnanzi all’accertamento formale del Presidente. Ma è altrettanto vero – ed ecco il secondo elemento obiettivo del problema – che tempestivamente fu allora prospettata alla Presidenza l’eventualità che l’argomento non dovesse essere quello dell’inesatto computo, bensì quello della non piena scienza e coscienza dell’Assemblea nel momento della votazione. Mi si dirà che tutto ciò non si confà al prestigio della deliberazione di un’Assemblea. Ed io a ciò sottoscriverò, normalmente, senza però escludere che, eccezionalmente, possa ben verificarsi il caso. E, sempre che eccezionalmente il fatto avvenga, esso non può non tradursi in un difetto nei presupposti della deliberazione, difetto che ne inficia la validità e che determina da parte nostra il diritto e il dovere di ritornare nel merito.

In terzo luogo, è da considerare che i presentatori degli stessi emendamenti, che al momento della discussione sembravano porsi in antitesi con l’argomento che ha determinato la votazione de quo, hanno testé parlato per chiarire che non essi intendevano che l’emendamento proposto potesse determinare il conflitto di cui parliamo.

Io mi permetto obiettivamente, e con estrema serenità di prospettare all’Assemblea questo triplice ordine di circostanze, in aderenza alle quali ritengo che potremmo deferire con piena tranquillità alla maggioranza della volontà assembleare il quesito sulla riproponibilità o meno della votazione. (Commenti – Approvazioni).

Una voce a destra. Sofisma!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, poiché si sono manifestate opinioni contrarie sull’argomento, è evidente che questa non può essere una questione da risolversi direttamente dalla Presidenza, ovvero con la consueta formula: «Poiché non si sono sollevate obiezioni, si accede alla proposta».

Desidero precisare che si è detto da una parte e dall’altra che precedenti storici esistono o non esistono; in effetti, si sono verificati episodi di questa natura, sia durante i lavori della Camera, come durante i lavori del Senato e, precisamente, in alcune occasioni nelle quali – per il fatto che, appunto, a votazione già proclamata, alcuni membri delle due Assemblee hanno detto o fatto comprendere che non avevano partecipato alla votazione con piena conoscenza della materia su cui si votava – i Presidenti di quelle due Assemblee hanno ritenuto di poter procedere nuovamente alla votazione.

Evidentemente, occorre che vi siano manifestazioni di questo genere. L’onorevole Macrelli ci ha detto che, dopo la votazione avvenuta, un certo numero di colleghi si è, appunto, espresso in tal modo.

Questa è la situazione obiettiva.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Chiedo all’onorevole Presidente se risulti dai precedenti, come penso, che nei casi invocati, la richiesta di una nuova votazione sia stata fatta immediatamente dopo il voto, nella stessa seduta. Ci troviamo ora in un’altra seduta. Pensi l’Assemblea cosa potrebbe accadere domani: che un’Assemblea, che abbia votato una determinata proposta in un determinato senso, in un’altra seduta, voti la stessa proposta, in modo diverso: ma è assurdo!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, a questo punto è l’Assemblea che deve decidere. Vi è dunque una proposta dell’onorevole Macrelli di ripetere la votazione eseguita stamane in relazione all’emendamento dell’onorevole Corbino, inteso a ridurre alla semplice formula «Emilia» la formula del testo della Commissione «Emilia e Romagna».

L’onorevole Macrelli appoggia tale sua proposta con il fatto che una parte dei membri dell’Assemblea, i quali hanno partecipato alla votazione, hanno successivamente dichiarato che essi avevano dato il loro voto senza aver bene afferrato l’oggetto della votazione stessa.

FIORITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FIORITTO. Un solo rilievo, onorevole Presidente: i diritti dei deputati assenti, di quelli cioè che hanno votato formando la maggioranza nella precedente seduta, ma che non sono più presenti ora a questa seconda votazione che si vorrebbe fare, chi può tutelarli con questo sistema? (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Fioritto, a questa sua osservazione, non posso se non rispondere una cosa: ogni decisione dell’Assemblea ha il presupposto che tutti i membri dell’Assemblea, quindi anche gli assenti, accettano in ogni determinato momento le decisioni dell’Assemblea stessa, le quali impegnano gli assenti allo stesso modo dei presenti. (Approvazioni).

Pongo pertanto in votazione la proposta dell’onorevole Macrelli di procedere alla ripetizione della votazione sull’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Corbino, di cui ho or ora ricordato il testo.

(Dopo prova e controprova, la proposta è approvata).

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ, lo protesto solennemente contro questo precedente, e mi dispiace che sia stato il nostro Presidente a istituirlo!

PRESIDENTE. È l’Assemblea che l’ha istituito.

RUSSO PEREZ. Lei l’ha proposto. Una legge approvata oggi sarà bocciata domani. (Rumori). Se si è sbagliato, si riconosca l’errore e basta!

 PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sulla base della decisione presa dall’Assemblea nell’attuale votazione, procediamo alla nuova votazione dell’emendamento dell’onorevole Corbino.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Onorevole Presidente, penso che, prima di procedere a qualunque altra votazione, abbiamo l’obbligo di accertare in modo preciso che cosa dicono in proposito le pubblicazioni statistiche ufficiali delle quali si fa menzione nell’ordine del giorno approvato questa mattina. Mi pare che questa sia la stessa pregiudiziale che aveva avanzato l’onorevole Corbino.

A me pare che la votazione di stamane non avrebbe dovuto nemmeno aver luogo, per non correre il rischio di mettersi in contraddizione con una votazione precedente. Per non ripetere l’errore bisogna ora accertarsi di ciò che dicono le statistiche ufficiali. Se in esse si parla della Romagna, si potrà tornare sulla deliberazione presa, onde eliminare la contradizione fra le due deliberazioni dell’Assemblea. Altrimenti, a mio avviso, non si può tornare su una decisione già presa.

CALOSSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALOSSO. Di questo piccolo problema – in cui dovrebbe essere facile andare d’accordo – mi sono occupato quando ero Commissario della «Dante», e quindi c’erano questi problemi linguistici di mezzo, ed ho notato che il fascismo (voi lo sapete) ha distrutto i nomi storici di diverse città e di diversi paesi. E mi ero trovato sorpreso nel vedere che Castrogiovanni, paese con tutta una sua storia, principale fortezza siciliana, aveva avuto il suo nome distrutto, mangiato, per metterci al suo posto una parola stranamente archeologica che nessuno conosceva in Italia. E così il fascismo ha fatto anche a Roma, dove ha fatto di tutto per distruggere il senso della terza Roma moderna per metterci dei ruderi, come ha fatto a Borgo San Donnino.

Ora questo si fa di solito nei paesi coloniali. Ma se domani, supponiamo, a Londra (dove studiano il latino) venisse in mente a qualcuno di chiamare Londra Londinium, ci sarebbe una sollevazione generale. E così avverrebbe se si tentasse di chiamare Torino Augusta Taurinorum!

Ora l’Emilia, se guardiamo bene, come parola, viene dall’antica Roma soltanto, ed è passata nei manuali scolastici dagli ultimi 60-70 anni.

Non è mai esistita. Prima del 1870, diciamo così, nel nostro Risorgimento non esisteva questa parola. Emilia. C’erano allora i Ducati e la Romagna, paese storico che ha tutti i numeri per essere altamente caro agli italiani. Dante stesso, che chiama bastardi i romagnoli, li chiama tuttavia romagnoli. Non c’è che dire. (Si ride).

Ora noi non possiamo cancellare un nome millenario, storico, dantesco, per mettere un nome, Emilia, che, in fondo, è un po’ archeologico, benché le scuole elementari lo abbiano fatto passare negli ultimi 50-60 anni.

È un senso di italianità elementare. Mi pare che non sia una cosa bella togliere la parola Romagna per metterne una, in fondo, fittizia. Mi sembra che su questo dovremmo andare tutti d’accordo. (Applausi).

PRESIDENTE. Procediamo dunque alla votazione, onorevoli colleghi. Vi è una proposta di emendamento dell’onorevole Corbino, come bene ricordano, di sostituire all’articolo 123 il termine «Emilia e Romagna» con l’altro: «Emilia».

Comunico che è stata chiesta la verifica del numero legale dagli onorevoli Buonocore, Benedettini, Mastrojanni, Cannizzo, Mazza, Condorelli, Miccolis, Pat, Russo Perez, Colitto, Corsini, Bencivenga, Bergamini, Rodi, Coppa.

Verifica del numero legale.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Segretario a fare la chiama per la verifica del numero legale.

COVELLI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la chiama).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la chiama. Prego gli onorevoli segretari di fare il computo dei presenti.

(Gli onorevoli segretari fanno il computo dei presenti).

Comunico che l’Assemblea è in numero legale.

Sono presenti:

Amadei – Amendola – Andreotti – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Bennani – Benvenuti – Bergamini –Bernamonti – Bernardi – Bertola – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi –Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bordon – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Buonocore.

Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caso – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Corsini – Cosattini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo.

De Caro Gerardo – De Gasperi – Della Seta – De Maria – De Michelis Paolo – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Fantoni – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Foa – Fogagnolo – Foresi –Fornara – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Gronchi – Guariento – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Iotti Nilde.

Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Manzini – Marazza – Marchesi – Marconi – Martinelli – Marzarotto – Massini – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Monterisi – Moranino – Morelli Luigi – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino – Musotto.

Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Pollastrelli – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pellegrini – Perassi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.

Raimondi – Rapelli – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Ruggeri Luigi – Ruini – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Scarpa – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Selvaggi – Sicignano – Simonini – Spallicci – Spataro – Stampacchia – Storchi.

Tambroni Armaroli – Tega – Terranova – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Vanoni – Vernocchi – Viale – Vicentini – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zuccarini.

Sono in congedo:

Angelucci.

Bertone.

Cairo – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Cavallari.

Dozza.

Gasparotto.

Jacini.

Porzio.

Ravagnan – Romita – Rumor.

Sardiello

Tosato.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

MACRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MACRELLI. Onorevoli colleghi! Voi avete assistito oggi alla discussione su una mia proposta, attorno alla quale si sono espressi oratori di varie parti. Non solo di fronte a voi, ma soprattutto negli ambulacri della Camera si è accennato a qualche cosa di grave e di inevitabile, ed io mi permetto di richiamare su ciò l’attenzione dell’Assemblea Costituente. Si è detto cioè che questo sarebbe stato un precedente pericoloso per la vita dell’Assemblea, per le manifestazioni della volontà dell’Assemblea; facili, quindi, le speculazioni, particolarmente di ordine politico, in un momento delicato come quello che sta attraversando il Paese. Io intendo rispondere subito a questo proposito. I colleghi che erano presenti stamane debbono ricordare che io ho espresso immediatamente non la mia protesta, ma il mio rilievo per la votazione dell’Assemblea sulla Regione emiliana, ed ho detto immediatamente che si trattava soltanto di riesaminare il metodo della votazione, senza però con questo creare un precedente, perché come vecchio parlamentare e come uomo di legge conosco il significato di certi atti e di certe deliberazioni. Io potrei dichiararmi, e mi dichiaro lieto dei risultati della votazione. In fondo, l’Assemblea Costituente oggi è venuta incontro a quelle che erano state già le proposte della Commissione dei Settantacinque, a quelli che erano i nostri voti i nostri desideri che rispondevano ai voti e ai desideri della popolazione di Romagna. Si è creduto di cancellare con una votazione un po’ strana – la definirò soltanto così – la storia di una. Regione che ha non soltanto un nome, ma una tradizione, costumi, metodi di vita, affermazioni in ogni campo dell’attività umana, conosciuta non soltanto perché l’ha ricordata Dante, non soltanto perché l’ha ricordata Machiavelli, ma per quel contributo magnifico che ha dato, in ogni momento, per tutte le cause di giustizia e di libertà (Commenti). Lo so che quando si parla di Romagna voi ricordate l’uomo che definì sorda e grigia l’Aula nella quale noi oggi parliamo come rappresentanti del popolo e della Repubblica italiana; però vorrei ricordare a voi, all’Italia che ci ascolta fuori di qui, che l’innominato non è creatura dell’animo e del pensiero di Romagna, ma si è fatto altrove, si è educato altrove. (Commenti).

Comunque, onorevoli colleghi, ho accettato con lieto animo le vostre decisioni e la vostra votazione. Ma poiché non intendiamo che il fatto costituisca peraltro motivo di speculazione per infirmare quelle che sono state le delibere di questa Assemblea, dichiaro di ritirare la mia proposta e la trasformo in un ordine del giorno, che è un invito alla Commissione di coordinamento a volere, se è possibile, e se costituzionalmente è aderente alla realtà, allo spirito ed alla parola del mandato che abbiamo, in sede di revisione formale, determinare i nomi delle Regioni, tenendo conto delle denominazioni storico-tradizionali.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Per quanto riguarda la sostanza, sono d’accordo con l’onorevole Macrelli e sarei lieto che il voto espresso per la nobile Regione romagnola venisse accolto secondo la proposta da lui fatta; ma per la forma non posso far passare inosservato quello che è accaduto. Ciò che ha detto l’onorevole Macrelli aggrava la situazione. Egli ha detto che sin da questa mattina egli osservò che, a suo giudizio, la votazione poteva essere non regolare. Ne do atto; ma a questo suo rilievo la Presidenza dell’Assemblea rispose che il computo era stato ben fatto e che, a giudizio del Presidente e degli scrutatori, la differenza era di ben dieci voti. I deputati hanno ascoltato queste dichiarazioni e da questo rilievo della Presidenza sono stati ancora di più richiamati a comprendere l’importanza del voto dato.

Per conseguenza si sarebbe istituito un precedente molto pericoloso. Io trovo, quindi, che la nuova proposta dell’onorevole Macrelli esprime il segno della sua grande maturità parlamentare, ma osservo soltanto che egli lascia un po’ scoperta la Presidenza. (Commenti).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Onorevole Presidente, io non entro in merito alla questione. Ma, riferendomi a quella pregiudiziale che io avevo poco fa affacciata, mi par necessario che il Comitato di coordinamento tenga presente l’ordine del giorno Targetti, che è stato approvato e che parla di Regioni storiche tradizionali secondo le pubblicazioni ufficiali statistiche.

Per mio conto, non avrei alcuna difficoltà a veder menzionata la Romagna a fianco dell’Emilia. Ma non vorrei che si creasse con ciò un precedente che potrebbe essere invocato da altre Regioni.

Domani potrebbe essere il Salento o la Daunia o la Peucezia a invocare un analogo trattamento. E perché si dovrebbe negarlo?

D’altra parte mi permetto comunicare all’Assemblea il risultato delle indagini che or ora ho fatto sulle pubblicazioni ufficiali statistiche. In esse mai si parla della Romagna, ma bensì esclusivamente di Emilia. Ho davanti a me l’annuario statistico italiano del 1942. Nell’elenco delle Regioni compare bensì il Molise accanto all’Abruzzo, non mai la Romagna a fianco dell’Emilia. Né mi sono accontentato di queste pubblicazioni recenti. Ecco l’annuario statistico ufficiale del 1878, ed anche qui si parla di Emilia e non di altro, e dell’Emilia si dà la superficie che comprende evidentemente anche la Romagna. Non saprei, quindi, come la Commissione di coordinamento potrebbe modificare la dizione di questa Regione, senza mettersi in aperta contradizione, dopo una votazione già presa dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Macrelli, Badini Confalonieri, Braschi, Reale Vito, Cosattini, Laconi, Fornara, De Mercurio, Spallicci, Vischioni, Pacciardi, hanno presentato la seguente proposta:

«L’Assemblea Costituente invita la Commissione di coordinamento a volere, in sede di revisione formale, determinare i nomi delle Regioni, tenendo conto delle denominazioni storiche tradizionali».

L’onorevole Macrelli ha già dato la motivazione di questa sua proposta. Penso che si possa senz’altro metterla in votazione.

SELVAGGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Se è esatto quello che ha detto l’onorevole Nobile, cioè che dagli annuari statistici risulta che questa Regione è chiamata soltanto «Emilia», non vedo come possa, da parte della Commissione di coordinamento, essere presa in considerazione la proposta, giustissima, dell’onorevole Macrelli.

PRESIDENTE. Vuol dire che la Commissione, in sede di coordinamento, controllando le votazioni avvenute alle quali è impegnata, darà il valore che ritiene a questa raccomandazione.

SELVAGGI. Mi duole, allora, per l’onorevole Macrelli. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la raccomandazione di cui ho dato testé lettura.

(È approvata).

Presentazione di relazioni.

DI GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI GIOVANNI. Mi onoro di presentare le relazioni della Commissione per le autorizzazioni a procedere sulle tre seguenti domande del Ministro di grazia e giustizia, per autorizzazioni a procedere:

contro il deputato Colombi Arturo, per il reato di cui all’articolo 595, commi secondo e terzo, del Codice penale;

contro il deputato Cremaschi Olindo, per il reato di cui all’articolo 336 del Codice penale.

PRESIDENTE. Saranno stampate e distribuite.

Svolgimento di due interpellanze.

PRESIDENTE. Rendo noto che il Governo ha dichiarato di essere pronto alla discussione immediata dell’interpellanza presentata ieri sera dagli onorevoli Morandi ed altri.

Comunico che un’altra interpellanza di contenuto analogo, è stata presentata dagli onorevoli Di Vittorio, Bitossi, Roveda, Noce Teresa, Massini, Fiore, Bosi e Negro.

Ne do lettura:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’industria e commercio e del lavoro e previdenza sociale:

1°) per conoscere quali misure intende prendere il Governo per parare la grave situazione determinata nell’industria italiana – specialmente nel Nord – dalla minaccia di licenziamenti in massa di operai e di impiegati da parte degli industriali, alcuni dei quali tentano di rallentare o fermare artificialmente la produzione a fini speculativi, mentre l’interesse evidente del Paese è quello di sviluppare al massimo la produzione stessa;

2°) per sapere se il Governo intende realizzare finalmente la promessa legalizzazione ed estensione dei consigli di gestione, la cui funzione è particolarmente necessaria nella situazione presente, per accertare la effettiva capacità di sviluppo e di assorbimento di mano d’opera delle aziende, per stimolare la produzione ed impedirne ogni freno doloso, per assecondare la tendenza al ribasso dei prezzi ed estenderla ai prodotti industriali;

3°) per conoscere se il Governo intende attuare una politica di grandi lavori pubblici d’effettiva utilità, per attenuare la disoccupazione ed alleviare la miseria della grande massa dei disoccupati, la cui situazione si prospetta più tragica in vista dell’inverno».

Chiedo al Governo quando intenda discutere questa interpellanza.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Sarà discussa insieme alla precedente.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevole Presidente, ho presentato di urgenza ieri mattina una interrogazione al Ministro delle finanze.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, lei sa che queste questioni si pongono in fine di seduta.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Signor Presidente, io desidero una volta tanto protestare contro questo sistema di trasformare la nostra Assemblea Costituente, che deve provvedere e pensare alla Costituzione, in una continua discussione intorno a questioni particolari, attraverso queste interpellanze e queste interrogazioni le quali, col pretesto dell’urgenza (Commenti a sinistra), si presentano all’ultima ora per premere sul Governo a ciò che esso improvvisi risposte, che non possono evidentemente esser date all’ultima ora come si pretende. Questo impedisce al Governo il suo lavoro. Bisogna mettere anche in rilievo che noi qui siamo con un altro mandato; io non posso pertanto consentire – si capisce, lo si faccia in casi eccezionali – che, alla fine di tutte le sedute, ci sia sempre un gruppo di interpellanze e di interrogazioni sopra i più vari argomenti: mi pare che questo assolutamente esorbiti dal nostro mandato. (Proteste a sinistra).

La cosa è effettivamente in questi termini, colleghi della sinistra; e io, che sono rappresentante del popolo come voi, protesto contro questo sistema e vi invito a provvedere diversamente; in caso contrario, io presenterò ogni volta le mie eccezioni.

L’onorevole Persico, ad esempio, ha rivolto una domanda molto giusta per la denuncia della patrimoniale, in quanto vi è un termine di scadenza; ma effettivamente questa richiesta da lui fatta è stata già presentata da altri alla Presidenza per il Ministero delle finanze. Il Ministro delle finanze ha già ripetuto in diverse occasioni che egli non crede, non intende consentire…

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, per favore, non si sostituisca al Ministro delle finanze, la prego.

MICHELI, Onorevole Presidente, io non intendo di assumere la veste di Ministro che da tempo più non ho. Però si dimostrava opportuno… (Interruzione del deputato Fogagnolo). Ma lei, onorevole Fogagnolo, per quale ragione si rivolge a me? Dica chiaro almeno, perché possa rispondere…

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, la prego, non raccolga le interruzioni!

MICHELI. Ripeto dunque che con questo sistema di presentare tutte queste interpellanze e tutte queste interrogazioni non si può più andar avanti, tanti sono i piccoli casi locali che avvengono dovunque ogni giorno e che in tutte le provincie d’Italia possono essere comodi per gli interessi elettorali di tutti questi bravi signori, a destra e a sinistra (Commenti a sinistra). Io prego di tener presente che non è opportuno, che non si può – ciascuno di noi ha diritto di discutere, ma entro certi limiti… (Interruzioni a sinistra) …Onorevole Nenni, lei interrompa pure; io risponderò anche a lei, quando avrò capito, come già in altre occasioni le ho risposto. Dicevo, che non si può continuare così; lo abbiamo consentito, tollerato, ma purché non diventi una cosa quotidiana. Il Governo non può essere qui invece che al suo lavoro a rispondere a questo grandinare di interrogazioni, che sono fatte evidentemente per altre ragioni.

Per questo ho espresso il mio pensiero e la mia protesta. Voi sarete di parere diverso se lo esporrete io lo ascolterò ben volentieri, come voi avete finito per ascoltare me.

PRESIDENTE. Diamo inizio ora allo svolgimento delle due interpellanze.

Pregherei l’Assemblea di conservare la tranquillità e di permettere che si svolga regolarmente quest’ultima parte del nostro lavoro.

La prima interpellanza è quella presentata dagli onorevoli: Morandi, Lombardi Riccardo, Giacometti, Lizzadri, Nenni, Malagugini, Giua, Barbareschi, Grazia Verenin, De Michelis, Sansone, Pressinotti, Bonomelli, Fiorentino, Vischioni:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri del lavoro e previdenza sociale e dell’industria e commercio:

1°) sull’atteggiamento che il Governo intende di assumere nei confronti della situazione creatasi nel Paese in seguito all’offensiva padronale per guadagnare mano libera nel licenziamento dei lavoratori, situazione che ha provocato l’odierno sciopero dimostrativo, deciso dal Consiglio generale delle leghe di Milano, e sta per determinare l’estensione delle agitazioni e degli scioperi in molti altri centri;

2°) sul punto di vista del Governo in merito alla opportunità di procedere al riconoscimento giuridico dei consigli di gestione, i quali si sono dimostrati nelle recenti esperienze come gli organi più propri a interpretare e a rappresentare gli interessi generali della produzione, evitando che essi possano essere compromessi dall’inasprirsi dei conflitti».

L’onorevole Morandi ha facoltà di svolgerla.

MORANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io mi atterrò nello svolgimento di questa interpellanza all’argomento essenziale. Desidero tuttavia fare una dichiarazione preliminare: sarebbe assolutamente lontano dal vero chi pensasse che noi si sia voluto cogliere questa occasione per muovere un attacco di sorpresa al Governo. (Commenti al centro).

Voci ai centro. No! no!

MORANDI. Veramente no, onorevoli colleghi! Del resto noi avremmo concertato diversamente questa mossa, e non avremmo insistito per avere quest’oggi, allo scorcio della nostra sessione di lavori, la discussione.

Sono ben lieto che l’onorevole Presidente del Consiglio e i Ministri interessati si siano dichiarati disposti a farlo e li ringrazio.

È sul fatto preciso delle gravi agitazioni che oggi turbano il mondo del lavoro che noi vogliamo richiamare l’attenzione e le responsabilità del Governo. Io penso che nessuno possa seriamente sostenere che si tratti di montature, che si tratti della solita opera dei sobillatori, quando si parla, per la sola città di Milano, di un numero di licenziamenti previsto, richiesto, che interessa la vita di 50-60 mila famiglie! quando si parla – e ne ha fatto cenno ieri sera l’onorevole Ministro del lavoro – di 40 o di 30 mila, e non importa fossero anche 20 mila, licenziati a Genova.

Non si può dire dunque, che manchi una legittima ragione di allarme per le masse operaie, ed è di questa agitazione che noi ci vogliamo fare interpreti.

L’onorevole Ministro del lavoro, al quale noi non vogliamo affatto attribuire l’intenzione di aver voluto determinare uno stato di cose come quello che si è creato, ha inteso dare ieri sera in anticipo delle giustificazioni dell’operato del Governo. Egli ha dichiarato che tutte le trattative, sono state condotte con la partecipazione delle organizzazioni sindacali e che è in un’atmosfera di serenità – per non dire di cordialità – che le trattative oggi proseguono.

Voglio precisare al riguardo che non è sugli aspetti procedurali della questione, e non è certamente sui personali intendimenti dell’onorevole Fanfani – che noi apprezziamo come uomo che dà tutta la sua personale attività ai doveri del suo ufficio – non è su questo punto che noi vogliamo soffermarci e che noi chiediamo delle spiegazioni.

È invece sulla sostanza della questione, è invece su quest’altro punto: sugli effetti pratici, sulle risultanze che una certa iniziativa del Governo ha avuto. Di questa iniziativa il Governo porta una dichiarata responsabilità, ed è in base a ciò che noi dobbiamo chiamarlo anche responsabile del seguito che essa minaccia di avere, andando di là, noi vogliamo supporre, di quella che era la volontà e l’intenzione del Governo.

Onorevoli colleghi, signori del Governo, è questa che noi oggi trattiamo una annosa questione. Noi abbiamo avuto modo di misurarne molte volte la complessità e tutta la delicatezza. Non è una questione, dunque, alla quale il Governo si trovi di fronte all’improvviso.

Quando si parla di blocco o di sblocco dei licenziamenti noi sappiamo tutti che si usano dei termini assolutamente impropri. La situazione di oggi ha una comparabilità molto relativa con quella creatasi per effetto del decreto dell’agosto 1945 che impediva i licenziamenti.

Da quella data ad oggi molta strada si è fatta: in grandissima parte questo problema, che a un certo punto è sembrato pregiudicare la possibilità della nostra ripresa, in grandissima misura questo problema si è andato via via sgonfiando.

Dunque, vediamo a che cosa si riduce, quali sono i termini propri della questione odierna. Non è per rivolgere una imputazione al Governo che noi intendiamo di precisare preliminarmente questo punto: ché è proprio dal decreto che ho chiamato Fanfani, del 12 agosto di quest’anno, pubblicato in data del 13 settembre, che si sono originati i fatti che oggi si lamentano, ossia quella che è stata una gara da parte degli imprenditori nel denunziare una così numerosa serie di casi passibili di licenziamento. Il decreto del Ministro del lavoro prendeva le mosse da un accordo intervenuto fra le organizzazioni padronali e le organizzazioni dei lavoratori in data del 7 agosto (se ben ricordo) sulla famosa questione delle Commissioni interne, circa il nuovo statuto o nuovo regolamento delle Commissioni interne. A questo punto nacque, si originò un’altra questione, quella della interpretazione che la Confindustria, le organizzazioni padronali, davano delle conseguenze derivanti dal fatto stesso. La Confindustria si esprimeva al riguardo, molto esplicitamente, sostenendo che, raggiunto l’accordo sul punto Commissioni interne e demandati a queste Commissioni certi compiti, che sono precisati nel regolamento, veniva automaticamente meno ogni ragione giuridica e di fatto del blocco dei licenziamenti, ossia di limitazioni alla facoltà dell’imprenditore di licenziare i propri dipendenti. È sulla traccia di questa interpretazione data dalla Confindustria all’accordo del 7 agosto, che il Ministro del lavoro si mosse, e intese di stabilire certe provvidenze a termini del decreto 12 agosto.

Cosa avveniva in conseguenza della pubblicazione di questo decreto? Il decreto prevede la concessione di una integrazione salariale per un periodo di due mesi ai lavoratori che vengono licenziati e stabiliva un termine al riguardo, fissando agli imprenditori uno spazio di tempo massimo di due mesi per procedere ai licenziamenti, tale termine veniva dunque a cadere al 13 novembre. Si segnava così, ripeto, la data entro la quale gli industriali avrebbero dovuto comunicare alle Commissioni interne i licenziamenti. Il Ministro del lavoro ha riconosciuto in seguito l’errore e certa precipitazione in cui era caduto. Né io gliene voglio fare assolutamente una imputazione diretta e personale. Volentieri noi gli diamo atto di avere riconosciuto l’opportunità di variare i termini fissati dal decreto. Avemmo intanto in questo mese una riunione, presieduta dal Presidente del Consiglio, fra le organizzazioni padronali e le organizzazioni dei lavoratori per risolvere la pregiudiziale questione di merito. Conclusione di quell’incontro fu il riconoscimento dell’equivoco nella interpretazione degli accordi del 7 agosto.

Sicché si spostò il termine per i licenziamenti a dicembre. La questione è aperta ancora, ed è oggetto di trattative fra le due organizzazioni e di mediazione sollecita da parte del Ministro del lavoro. Io non voglio entrare nella materia di queste trattative. Non è qui, la sede. Ma voglio richiamare un fatto indiscutibile e facilmente constatabile da tutti: il fatto che qualcuno ha approfittato di quel che non era probabilmente nelle intenzioni del Ministro del lavoro. Come si sono comportati infatti gli industriali, dalla data di pubblicazione di questo decreto? Essi hanno dato la interpretazione più estensiva e, noi vogliamo sostenere, la più ingiustificata, alla possibilità che ad essi si offriva di licenziare senza limitazione di numero i propri dipendenti.

Pare a noi chiaro che essi in questa occasione abbiano cercato di conseguire questo preciso risultato: aver mano libera, avere piena libertà di licenziare a loro piacimento, sottoponendo le Commissioni interne, alle quali è demandato l’esame e il parere sulle richieste dei licenziamenti da parte degli imprenditori, ad una tale pressione da costringerle a scendere sul terreno della lotta.

Abbiamo visto delle aziende che non hanno mai avuto e non hanno mai denunciato alcuna eccedenza di mano d’opera, procedere alla richiesta di una serie di licenziamenti. Evidentemente, lo scopo che essi avevano in vista era ed è tutt’altro da quello che è assegnato al provvedimento del Ministro del lavoro.

Non si tratta qui di scaricare l’azienda di mano d’opera eccedente, ma piuttosto di liberarla di quegli elementi che non sono grati. Abbiamo visto e vediamo una serie di aziende, che non hanno minimamente curato in tutto questo tempo di risolvere i problemi della ricostruzione e che insistono oggi per ottenere finanziamenti dallo Stato, annunziare licenziamenti in massa.

Si tratta di vere e proprie decimazioni. Questo non avviene soltanto a Milano ed a Genova, ma in molti altri centri d’importanza minore. Guardiamo il caso tipico della O.M. che impiega nei sui stabilimenti di Brescia e di Gardone circa sei mila operai e che ha chiesto di licenziarne 3.500. Ora, fra l’altro, uno di questi stabilimenti appartiene alla Direzione generale dell’Artiglieria, la quale aveva assegnato alla ditta una serie di lavori interessanti la produzione bellica.

È questo un esempio che ci rappresenta la natura, la caratteristica tipica del problema che concerne la conversione nel settore della meccanica e che non si risolve coi licenziamenti. Questo avviene oggi nella provincia di Brescia che, caso unico per tutta l’Alta Italia, ebbe, sotto l’amministrazione Alleata, la facoltà di procedere liberamente ai licenziamenti, facoltà di cui gli imprenditori bresciani si valsero anche largamente.

Vi potrei citare casi non meno caratteristici, ma non voglio tediare l’Assemblea. Ve ne sono di chiaramente sospetti. Vi è il caso di una piccola azienda milanese di Sesto San Giovanni che impiega duecento operai e che li ha licenziati, o li vorrebbe licenziare, tutti quanti in tronco. Ha dichiarato sabato che intendeva chiudere i battenti il lunedì.

Una situazione particolare è quella delle aziende dell’I.R.I., come ieri anche il Ministro del lavoro dichiarava, e va considerata a sé. Questo a motivo dello speciale carattere della gestione e della speciale natura delle aziende, che sono in buona parte aziende già destinate alla produzione bellica.

Però, io devo rilevare che proprio in seno all’I.R.I. è stato da vario tempo affrontato il caso più grave, quello dell’Ansaldo, e questo caso Ansaldo, che aveva consentito nell’ambito aziendale di addivenire ad accordi risolutivi, è stato tenuto in mora. Osservo poi, che non si procede invero, con troppa cautela in materia di licenziamenti nelle aziende siderurgiche dell’I.R.I., perché è noto a tutti noi che il Presidente della Finsider ha la fissazione dei licenziamenti. Il Presidente della Finsider prese pubblicamente posizione sulla stampa ancora nel settembre scorso, al tempo in cui il Governo aveva investito una Commissione ministeriale dello studio e dell’esame della questione. Il Presidente della Finsider dispone a suo arbitrio delle maestranze e, con questo, anche delle sorti della nostra siderurgia.

Un certo programma di ricostruzione era stato fatto e messo in attuazione per gli stabilimenti siderurgici di Piombino. Oggi pare che il programma sia cambiato e che anche là la ricostruzione non debba effettuarsi nelle misure e nelle forme prestabilite col concorso degli organi ministeriali. Si tratterebbe poi, di licenziare in tronco tutte le maestranze e chiudere gli stabilimenti siderurgici di Porto Ferraio; la questione, se richiede di essere considerata sotto particolari aspetti economico-tecnici, non può essere risolta in questa forma drastica che colpirebbe, per l’incidenza che ha, la vita di tutta l’isola.

Il problema della esuberanza della mano d’opera va praticamente circoscritto alla industria meccanica, al campo della grande meccanica. Abbiamo qualche riferimento utile da prendere, per quel che riguarda le esperienze fatte in questo recente periodo: il caso della Fiat, il caso, cui ho fatto cenno, dell’Ansaldo. Essi ci indicano molto bene che la portata vera della questione non è misurata dall’onere finanziario, derivante dal fatto di dover corrispondere dei salari a delle maestranze eccedenti; ma è costituita piuttosto dal fatto che, con questa palla al piede, le aziende possono andare a fondo. La soluzione del problema non può essere che graduale. Il primo raddrizzamento si deve conseguire in via amministrativa. Si tratta di assicurare alla parte eccedente di mano d’opera un certo trattamento economico (non importa se di due o di sei o di dodici mesi; non deriva da qui il peso) ed i consentire all’azienda di accantonare la parte di mano d’opera eccedente, per procedere su un piano di maggiore equilibrio alla programmazione della produzione. Con questo avremmo già fatto un gran passo verso la soluzione del problema, e non dobbiamo lasciarci fissare all’incantesimo di quel tanto di paga che deve essere corrisposto alla mano d’opera in eccesso.

Ora, non possiamo assolutamente dire che ci sia stata della intransigenza e sia mancata la volontà di contribuire alla soluzione di questo problema da parte delle organizzazioni sindacali. Invece, molte considerazioni si potrebbero fare per la inerzia da imputare agli industriali.

Abbiamo degli esempi molto interessanti – possono essere presenti a quanti conoscono la nostra industria – di aziende meccaniche, che hanno ricostituito gli impianti, ma soprattutto i programmi di lavoro. Esistono esempi significativi come è quello di un grande complesso tessile in Italia che attende alla produzione di macchinario tessile e per una tale mole, da essere in difficoltà nell’espletamento del lavoro; vuol dire dunque, che l’orizzonte non è completamente chiuso per la meccanica italiana. È necessario che questo orizzonte non si chiuda sulla nostra meccanica, che è la migliore speranza del nostro avvenire. Ora, prima di pensare a soluzioni semplicistiche, come quelle che s’inseguono oggi da parte di molti imprenditori, prima di arrivare alla esportazione di stabilimenti interi ed alla esportazione – più che di emigrazione si tratta di esportazione – di mano d’opera specializzata, si dovrebbe, con l’intervento e l’assistenza del Governo, studiare meglio quello che è l’organico legame di questa situazione disagiata, di cui oggi risente la nostra industria meccanica per l’esuberanza di mano d’opera, con i problemi più seri e gravi della nostra conversione e ricostruzione.

Ritorno al tema, onorevoli colleghi, per porre questa domanda: avevano ragione gli industriali di prendere l’atteggiamento aggressivo che hanno assunto, quando, per la stessa testimonianza che ce ne ha fatto il Ministro del lavoro, le organizzazioni sindacali hanno dimostrato così largo spirito di conciliazione? Badate che non è facile, per chi rappresenta i lavoratori e ne deve tutelare gli interessi, andare a convincerli alle soglie dell’inverno, quando così fitte sono già le schiere di disoccupati, che è necessario lasciare le fabbriche ed accontentarsi di un avvenire limitato a pochi mesi.

Noi abbiamo visto quale preziosa collaborazione abbiano prestato, per avviare a soluzione questo problema, i consigli di gestione ed ecco perché noi riproponiamo, in connessione all’argomento dei licenziamenti, la questione del loro riconoscimento.

È al Governo ch’io rivolgo in proposito un’altra domanda: come esso ha corrisposto a questa disposizione che i lavoratori hanno manifestato, ed a quello che è stato l’intervento positivo e, in molti casi, risolutivo dei consigli di gestione? Il caso Ansaldo, così grave, non avrebbe potuto nemmeno cominciare a trattarsi senza l’intervento, pieno di comprensione, del consiglio di gestione.

I consigli di gestione non sono di certo svaniti, perché il Governo, ad un certo punto, se ne è disinteressato. Forse non tutti i colleghi sanno che in Italia oggi si contano oltre 700 consigli di gestione, e che questi 700 consigli di gestione, non dico che controllino, ma estendono la loro possibilità d’influenza su un milione e più di lavoratori.

Perché si vuol respingere la collaborazione che si offre? Del resto, parliamoci chiaro su questo punto, onorevoli colleghi: le agitazioni disturbano tutti, ma che cosa si fa per evitarle? Cosa si fa per evitare gli scioperi? Che cosa si fa per eliminare i legittimi sospetti che nascono nell’animo dei lavoratori? Quale è stato il contegno assunto dagli imprenditori su una questione e sull’altra, sulla questione dell’esuberanza di mano d’opera e sulla questione dei consigli di gestione? Un irrigidimento totale, minacce di ricatto, questo è stato il modo di condursi di questi signori. E giustamente, fondatamente si è potuto parlare di condizioni dettate dalle associazioni padronali al Governo.

Domandiamo al Governo che smentisca con i suoi atti questi sospetti.

Vediamo quale linguaggio tiene certa stampa, che noi sappiamo benissimo a quali casse attinge. Io potrei portarvi dei dati, informazioni e cifre strabilianti sulla campagna condotta dalla Confindustria presso i suoi organizzati per munirsi dei mezzi necessari a controbattere questa che è una campagna spontanea della massa lavoratrice, la quale rivendica il suo diritto a partecipare alla gestione dell’economia aziendale; per schiacciare i consigli di gestione, per agitare l’opinione pubblica, per impressionare e ricattare anche il Governo.

Noi ci dobbiamo chiedere quali vedute abbia la classe padronale oggi, quale mira persegua questo organismo padronale. Ma il mio discorso sarebbe troppo lungo, se io volessi fare riferimento a quella che si intravvede essere la vera politica economica oggi voluta dalla classe padronale, che forse tenta di ridurci in certe strette pericolose, per averci poi alla sua mercé.

Il Governo tenta di puntellare in qualche modo questa situazione, ricorrendo a provvedimenti di carattere finanziario, come la creazione del FIM e gli stanziamenti per la piccola industria, proponendosi evidentemente di controbilanciare certi effetti pericolosi del tentativo deflazionistico oggi in corso.

Non voglio entrare nel merito di queste questioni. Noi ci riserviamo di domandare spiegazioni al Governo in altri momenti, ma richiamo la vostra attenzione sul fatto che tutte queste cose si svolgono in un ambiente ovattato di silenzio, tenendo all’oscuro perfino l’Assemblea. In ogni caso il Governo pensa che si debba contendere al lavoratore il diritto di sapere quella che è la sua sorte, partecipando al processo della produzione. Io mi domando che interesse ha il Governo a condursi in questo modo e perché non cerca un sostegno dove lo potrebbe trovare, se le sue reali intenzioni sono quelle che dichiara.

Assistiamo a dei maneggi che avvengono fuori di ogni possibilità di controllo nel campo dell’industria di Stato: si dispone, si fa, si disfà, come meglio aggrada e non si sa più a chi far risalire la responsabilità di questa condotta. Ho fatto già riferimento al caso della siderurgia italiana, che è tipico a questo riguardo. Ecco dunque le ragioni delle richieste che fanno i lavoratori dell’I.R.I per ottenere dal Governo assicurazioni più esplicite di quelle che non abbiano avuto fino ad oggi al riguardo.

Come tante altre questioni che oggi angustiano la vita dei lavoratori, questa dei licenziamenti non va isolata, onorevole Ministro del lavoro, perché non è che uno degli aspetti di quella politica di produzione, che non è possibile di pensare riserbi ai lavoratori la parte di strumenti passivi; di quella politica della produzione che dev’essere pertanto svolta sotto il controllo dei lavoratori stessi.

Ebbene, io rilevo che troppe lacune a questo riguardo presenta la visione governativa, per quanto si riferisce alla materia dei licenziamenti: il Governo ha dato tutta l’impressione di muoversi sotto pressioni imperative, perché quello che è oggi ancora oggetto di trattative poteva essere utilmente e più prudentemente definito già in precedenza. La. questione dei termini fissati dal decreto poteva essere trattata prima; la questione delle scuole di riqualificazione e gli stanziamenti che si fanno a questo scopo non costituiscono neppure una questione nuova che sorga soltanto oggi. Ora, il Governo, prima di prendere l’iniziativa col suo decreto, avrebbe dovuto portare già come risolte queste particolari questioni. La gradualità poi, onorevole Ministro Fanfani, di cui si parla e di cui ella giustamente si preoccupa, da che cosa è garantita? Che cosa si è fatto perché gli industriali seguissero una certa norma, e non si lanciassero invece così alla corsa per toccare tutt’altra meta, cioè la possibilità di essere liberi, senza alcun vincolo, nel disporre dei propri dipendenti?

C’è anche un’altra questione: una questione che va chiarita e risolta prima che si addivenga all’applicazione di provvedimenti qualsivoglia, ed è il trattamento che si intende di riserbare all’Italia centro-meridionale, poiché non è soltanto nel Nord che grava sui lavoratori la minaccia del licenziamento. Anzi, fatte le debite proporzioni, più grave ancora è questa minaccia per i lavoratori meridionali. Fino ad oggi noi non abbiamo sentito parlare di garanzie, di misure, di tutela nei confronti dei lavoratori del Centro e Sud Italia.

Voglio concludere, voglio dare una dimostrazione del nostro senso di misura agli onorevoli colleghi del Governo, che forse hanno male interpretato ieri la portata e il fine della nostra interpellanza; una prova della nostra buona volontà di contribuire alla soluzione di problemi che investono le sorti di tutto il Paese. Perché, se noi abbiamo buone ragioni per preoccuparci della vita dei lavoratori, abbiamo anche dato dimostrazione – non da oggi, ma per tutti questi anni – di interessarci non meno alle sorti della produzione e dell’economia nazionale.

Insomma, pare a noi che si corra un po’ troppo da parte di certa gente, che manifesta delle nostalgie per un passato che è decisamente passato e che non può più ritornare.

Che cosa vogliono questi signori? Che noi si rinfreschi loro la memoria, che hanno troppo labile? che noi si ricordi loro quel che i lavoratori hanno fatto, quel che i lavoratori hanno dato per salvare la nostra industria? Dove erano allora certi burbanzosi rappresentanti del grande capitale, che oggi trattano a nome dell’industria italiana?

È su questo titolo, onorevole Presidente del Consiglio, che noi abbiamo fondato il diritto dei lavoratori ad una partecipazione alla vita dell’industria e dell’economia nazionale. Ma è anche a un altro titolo che noi insistiamo nella nostra richiesta che i Consigli di gestione abbiano una regolamentazione giuridica; è in base ad una motivazione più interna e più propria al problema economico, perché questi Consigli di gestione, di cui si è fatta larga esperienza, sono divenuti una esigenza dei tempi.

Un’altra volta, forse, se ne tratterà in modo più specifico: io ho dei grossi dossiers da cui poter estrarre segnalazioni interessanti. Mi limito ad una citazione sola, che riguarda un grande industriale torinese, il quale nella primavera di quest’anno – in una data dunque non troppo remota – così si esprimeva, interrogato per avere il suo giudizio su quel progetto di legge che, ad un certo momento, chi allora era membro del Governo rese noto al pubblico e dette alla stampa:

«Quanto è detto nel progetto è stato già messo in pratica nella mia azienda: da tempo è mia abitudine far partecipare i lavoratori alla direzione della mia gestione, perché so quanto questo sia utile per il raggiungimento degli scopi produttivi…

«Il progetto di legge che ho esaminato corrisponde alle necessità attuali dell’industria, dalle quali non si può prescindere».

Interrogato su un’altra questione più delicata, perché la Confindustria avesse assunto atteggiamento così ostile, egli rispondeva: «Evidentemente la posizione di intransigenza dimostrata verso i Consigli di gestione è ingiusta: noi abbiamo ricevuto alcuni rimproveri…». Chi riceveva rimproveri era il Presidente di un’azienda di una certa portata, l’«Italgas» di Torino; ma gli industriali che non stavano a questa quota non ricevevano rimproveri, ma intimidazioni. Ebbene, noi vogliamo sapere dal Governo se è a queste intimidazioni che esso si è arreso.

E se non è così, vogliamo sapere per quali ragioni esso si sottragga, come oggi fa, alla considerazione di una questione che era stata posta e ribadita da tutti i Governi precedenti. Su questa questione noi abbiamo da rivolgere un franco avvertimento al Governo:

Questi diritti, quando si sono col sangue conquistati, non si sopprimono, non si lasciano sopprimere: queste rivendicazioni che sono nell’animo, nel cuore delle masse lavoratrici italiane, non si soffocano.

E allora volete voi proprio che essi diventino il segno di agitazioni permanenti, che non cesseranno fino a quando non abbiano conseguito il loro scopo? Che cosa vi si chiede infine? Che cosa vi si chiede da parte dei lavoratori, se non di assumere una parte delle gravose responsabilità che voi portate oggi dinanzi al Paese, onorevoli colleghi del Governo?

È a queste domande che noi chiediamo risposta. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Di Vittorio ha facoltà di svolgere l’interpellanza di cui ho dato precedentemente lettura.

DI VITTORIO. Onorevoli colleghi! Lo scopo di questa mia interpellanza analoga a quella già svolta dal collega Morandi è di denunziare al Paese e al Governo la gravità della situazione economica che va maturando nel Paese e l’aggravamento incessante delle condizioni di vita dei lavoratori che si verifica in questo periodo, più preoccupante specialmente per l’avvicinarsi del prossimo inverno.

Uno degli aspetti più caratteristici dell’aggravamento della situazione delle masse lavoratrici è dato dalla portata che i grandi industriali vogliono dare allo sblocco dei licenziamenti. A proposito del blocco dei licenziamenti, si sono dette molte cose: alcune giuste, la maggior parte ingiuste. Si sono, in particolare, individuate nel blocco dei licenziamenti tutte le ragioni che avrebbero ostacolato o impedito un ulteriore sviluppo della produzione industriale italiana.

Il blocco dei licenziamenti avrebbe impedito o, per lo meno, reso più difficile il risanamento delle aziende produttive. Ebbene, noi affermiamo che il blocco dei licenziamenti – misura socialmente indispensabile nel momento in cui è stata presa, misura di giustizia verso i lavoratori che avevano difeso con eroismo le aziende industriali italiane – ha risposto anche a determinate esigenze produttive.

Tutti sappiamo che, quando la situazione è difficile, la soluzione che si cerca è sempre la più facile: quella che si poggia sulla forza d’inerzia, quella che richiede il minore sforzo a chi può disporre, a chi può deliberare. E la cosa che più immediatamente veniva allo spirito degli industriali italiani era quella di liberarsi della mano d’opera considerata esuberante.

Il blocco dei licenziamenti, fra l’altro, obbligando gli industriali a pagare la mano d’opera che essi consideravano esuberante, ha contribuito a stimolare la loro iniziativa, a far loro escogitare tutte le possibilità produttive per cercare di utilizzare quella mano d’opera che erano costretti a pagare ugualmente. E ciò ha permesso di accelerare la ricostruzione di alcune industrie, che erano state distrutte o semi-distrutte; ed ha permesso anche la ricerca di altre iniziative che hanno accelerato il processo di trasformazione dell’industria di guerra in industria di pace; hanno permesso una maggiore utilizzazione della mano d’opera, e perciò hanno facilitato una relativa ripresa della nostra industria.

Con ciò noi non abbiamo mai inteso di teorizzare il blocco dei licenziamenti come una misura di carattere permanente. Era ed è una misura di carattere eccezionale; e noi – le organizzazioni sindacali – abbiamo sempre dato prova d’un grande senso di responsabilità, cercando di concorrere a risolvere il più rapidamente possibile questo problema nell’interesse del risanamento delle aziende e quindi dell’economia del Paese, e nell’interesse dei lavoratori.

Noi consideriamo la difesa degli interessi legittimi di ciascuna categoria di lavoratori nel grande quadro degli interessi generali del Paese; ma vi è troppa gente in Italia che concepisce la difesa degli interessi del Paese indipendentemente dall’interesse e dalle esigenze di vita dei lavoratori. I lavoratori sono una parte fondamentale del Paese e, se volete, anche dell’economia del Paese. E la preoccupazione di non gettare sulla strada, attraverso una disoccupazione di carattere permanente, una parte importante dei lavoratori italiani, è una preoccupazione che corrisponde agli interessi generali del Paese, anche di natura economica, oltre che sociale ed umana.

Perciò noi vogliamo ricercare la soluzione di questi problemi che si pongono nelle nostre aziende, nella nostra economia in generale, in funzione della difesa degli interessi dei lavoratori, i quali nel loro complesso coincidono sempre con gli interessi generali del Paese.

Si è affermata la tendenza degli industriali italiani a considerare lo sblocco dei licenziamenti come il fatto che deve loro consentire di abbandonarsi a licenziamenti in massa.

Noi abbiamo considerato la questione del blocco dei licenziamenti dallo scorso luglio fino ai primi di agosto e, come il problema si presentava in quel momento, sembrava che esso fosse limitato esclusivamente al settore metalmeccanico e più particolarmente alle aziende I.R.I. Assistevamo ad un certo sviluppo dell’attività industriale che dava a noi la speranza di una certa capacità di assorbimento di mano d’opera da parte di altre aziende e di altre industrie; perciò, la Confederazione del lavoro non si oppose al principio dello sblocco dei licenziamenti, per risolvere con la necessaria regolarità questo problema.

Oggi la situazione si presenta in un modo del tutto diverso. Oggi piovono dappertutto alle Commissioni interne e ai sindacati delle domande di licenziamenti in massa. Allora la situazione è diversa! Ed è diversa dal giorno in cui il Ministro del lavoro, onorevole Fanfani, ha emesso il noto decreto sullo sblocco dei licenziamenti. (Interruzione del Ministro del lavoro).

Io ho sentito l’affermazione di ieri sera, che mi pare ripeta ora l’onorevole Fanfani. Mi dispiace di dover dire all’onorevole Fanfani – del quale riconosco la solerzia e la buona volontà che quotidianamente impiega per cercare di dare una soluzione ragionevole alle controversie del lavoro – che non è esatto che la Confederazione del lavoro abbia dato il suo parere favorevole alla promulgazione di quel decreto. Anzi, subito dopo il decreto, in un numero del «Notiziario» della Confederazione Generale del Lavoro…

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Disse una bugia!

DI VITTORIO. …noi abbiamo (posso far vedere il numero del giornale) preso posizione sul decreto ed abbiamo riaffermato il nostro concetto che l’accordo del 7 agosto, relativo al funzionamento delle commissioni interne, realizzava una delle condizioni dello sblocco dei licenziamenti, ma non realizzava un’altra condizione che era fondamentale ed importante.

Ma adesso la questione come era vista allora è superata. Adesso si vuole licenziare in massa, si vogliono chiudere delle fabbriche, si vogliono smobilitare interi reparti. Noi non possiamo consentire a questi licenziamenti in massa dei lavoratori, alla soglia d’un inverno che sarà fra i più penosi per la gran massa dei lavoratori italiani!

Noi domandiamo che vi sia la possibilità per i lavoratori di aver modo di accertare quali sono le cause di un certo rallentamento della produzione da parte di alcuni grandi industriali e quali sono le cause per cui si minaccia la chiusura di interi stabilimenti.

Vi sono stabilimenti in condizioni economiche risolvibili facilmente, come la Breda, con parecchi miliardi di commissioni, con un capitale rilevantissimo di cui soltanto una percentuale irrilevante è impegnata verso le banche.

Questo complesso minaccia di chiudere per delle difficoltà di carattere creditizio. Noi abbiamo il fondato sospetto che molti industriali italiani tentano artificialmente, cioè dolosamente, di rallentare il ritmo della produzione. Perché? Per due ragioni fondamentali: la prima di carattere speculativo, perché molti industriali hanno accumulato degli stocks importanti, sperando di venderli sempre un mese dopo a un prezzo superiore. Oggi di fronte alla prospettiva, sia pure ancora incerta, di flessione dei prezzi, questi signori vogliono liberarsi degli stocks e non vogliono liberarsene come dovrebbe avvenire normalmente gettando il prodotto sul mercato. Facendo questo eserciterebbero una influenza nel senso di diminuire i prezzi. Essi lo vogliono fare lentamente, con comodo, rallentando la produzione, rarefacendo la produzione, in modo da impedire che la tendenza alla flessione dei prezzi abbia ad affermarsi in Italia. E poiché l’interesse evidente e fondamentale del Paese, del popolo italiano, è quello di sviluppare al massimo grado la produzione in tutti i rami, noi pensiamo che sia dovere del Governo e che sia dovere dei lavoratori di impedire che vi sia un rallentamento doloso della produzione da parte di alcuni grandi industriali.

Ma a questo punto interviene un’altra ragione di carattere politico. La grande plutocrazia industriale italiana che insieme ai grandi agrari è stata sempre e sarà sempre l’anima della reazione nel nostro Paese, ha interesse ad aggravare la situazione economica, a peggiorare la situazione delle masse per darne la colpa alla Repubblica e alla democrazia in generale e cercare di trarne un vantaggio ai fini di una ripresa reazionaria nel nostro Paese. Vi sono fenomeni che non si potrebbero capire diversamente. Per esempio, la Fiat di Torino produceva 150 macchine al giorno. Attualmente ha commissioni per degli anni. Se un cittadino qualsiasi domanda una macchina alla Fiat si sente dire che deve aspettare un anno e mezzo, due anni. Per disposizioni superiori la produzione è stata ridotta a 130 da 150 macchine al giorno.

La Pirelli, un’azienda floridissima (il mercato è tutt’altro che saturo; anche il mercato interno italiano), anch’essa ha chiesto una riduzione del personale. Motivazione: bisogna ridurre la produzione. E perché bisogna ridurre la produzione di gomme in Italia? Perché bisogna mantenere i prezzi elevati. Perché si guarda al fine speculativo e perché bisogna aggravare sempre di più la situazione per dar modo alla reazione italiana di trovare un salvatore che venga a liberare questo popolo dalla fame, dalla miseria, dal caos ecc. ecc.

Questi i motivi della volontà degli industriali di chiudere le fabbriche, di ridurre al minimo l’occupazione dei lavoratori. Ma vi è anche un altro scopo di carattere ricattatorio. Non possiamo dimenticare che in tutto il periodo fascista i grandi industriali italiani si sono abituati molto bene all’essenza del regime corporativo; essenza che consiste fondamentalmente in ciò: quando le aziende vanno bene e si realizzano dei profitti, i profitti appartengono agli industriali; quando poi le industrie vanno male e bisogna rimetterci qualche cosa, allora deve essere lo Stato, deve essere il popolo italiano a pagare le perdite di queste industrie. Oggi molti degli industriali italiani che pretendono di non poter pagare i salari e gli stipendi agli operai e agli impiegati, hanno investito centinaia di milioni (milioni di profitti realizzati nelle aziende, dalle aziende) in terreni, in palazzi, in ville ed in altri beni di lusso, operando in tal modo una maggiore concentrazione di ricchezza nelle proprie mani.

Oggi che le industrie devono superare alcune difficoltà anche di carattere obiettivo, questi signori dicono di non poter pagare e ricorrono allo Stato per poter pagare, perpetuando l’abitudine che hanno preso sotto il regime fascista e che, in realtà, non rimonta esclusivamente al regime fascista stesso.

Bisogna che il Governo prenda delle misure per obbligare questi signori, che hanno ricavato centinaia di milioni e miliardi di profitti da quelle aziende che oggi vogliono chiudere, a smobilitare questi capitali investiti in altri beni ed a rinsanguare le aziende industriali con questi capitali, senza ricorrere allo Stato.

È necessario che il Governo prenda misure per impedire che un signore qualsiasi, a fine speculativo, a fine ricattatorio o a fini politici, possa mettere sulla strada migliaia e migliaia di operai, di impiegati e di tecnici nel nostro Paese e concorrere ad aggravare la situazione generale. E questo lo si può impedire soltanto se si prendono misure straordinarie che permettano al Governo, ai lavoratori, ai consumatori, al Paese di accertare qual è la situazione reale delle aziende e se risulta da questi accertamenti che la situazione dell’azienda è vitale, è sanabile, bisogna sanarla ed obbligare il proprietario a sanarla con i suoi mezzi, smobilitando quei beni a cui ho accennato. Se egli non vuol farlo, lo Stato democratico, lo Stato della Repubblica, come espressione del popolo, deve avere la forza e la volontà di impossessarsi di queste aziende, di assicurare una gestione straordinaria, per fare in modo che le aziende, fonte di lavoro, di produzione, di beni, di ricchezza del popolo italiano possano continuare a vivere se sono vitali. (Commenti). Io credo che misure di questo genere nella situazione attuale siano pienamente giustificate. Che cosa dà ai grandi industriali italiani ed anche ai grandi agrari l’ardire di assumere così sovente un atteggiamento d’intransigenza e qualche volta sprezzante, nei confronti delle masse lavoratrici, atteggiamento alcune volte provocatorio? Io ho detto quello che fanno tanti industriali che dichiarano senz’altro di non poter pagare i salari, di dover chiudere le aziende, poco curandosi del destino dei lavoratori messi sul lastrico.

Il collega onorevole Morandi ha accennato all’atteggiamento avuto recentemente dalla Confindustria nei confronti della Confederazione del lavoro. Vi è l’atteggiamento dei grandi agrari. Tutta l’Assemblea e tutto il Paese conoscono il famoso lodo De Gasperi e tutte le peripezie di questo lodo. Dovrebbe essere applicato per tutti. Non viene applicato nella maggior parte delle provincie italiane; viene soltanto applicato dove la forza delle organizzazioni sindacali è così potente da imporne l’applicazione.

Dove l’organizzazione sindacale è meno forte, allora gli agrari dichiarano esplicitamente e pubblicamente che non intendono applicarlo. È ancora di ieri uno sciopero generale a Grosseto, determinato dal fatto che gli agrari avevano dichiarato di non voler rispettare un contratto di lavoro da loro sottoscritto.

Ancora oggi vi è una agitazione, vi è una ripresa della grande agitazione dei braccianti del Nord originata dal fatto che gli agricoltori nel corso dello sciopero di settembre si erano impegnati a discutere con i rappresentanti dei lavoratori alcuni punti relativi a rivendicazioni importantissime dei lavoratori stessi, fra cui quella di porre alcune limitazioni alla facoltà di disdetta (cioè regolare le disdette per i salariati fissi attraverso una commissione mista che è il modo più legale e più normale per risolvere queste questioni in tutti i paesi civili).

L’organizzazione dei lavoratori, perché non ha voluto che fosse compromesso un solo chicco di riso dallo sciopero dei braccianti del Nord, ha cessato lo sciopero dietro la promessa dei signori agrari che questi punti sarebbero stati trattati e che si sarebbe trovata una soluzione sodisfacente per le parti.

Finita la mietitura, i signori agrari non hanno voluto nemmeno che si discutesse la questione per quest’anno. Vi è dunque una nuova agitazione dei braccianti del Nord. Da queste situazioni che cosa risulta? Risulta che vi è da parte dei grandi datori di lavoro, dei grandi industriali e dei grandi agrari, la volontà determinata di attaccare, di contrattaccare, le organizzazioni sindacali e le masse lavoratrici. E bisogna dire, onorevole De Gasperi, che questi strati dirigenti dell’economia italiana, questi strati tradizionalmente e naturalmente reazionari del nostro Paese, hanno tratto incoraggiamento e ardimento dalla confusione del vostro Governo, che è un Governo di destra.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Dai vostri errori. (Applausi al centro).

DI VITTORIO. Noi non crediamo di avere commesso errori.

Io credo – pensavo almeno di dimostrarlo, sulla base di fatti controllabili, perché di dominio pubblico – che sono i grandi datori di lavoro a provocare gli scioperi. (Commenti al centro – Si ride). Ridete; avete diritto di ridere. Saremmo forse noi a provocare gli scioperi senza ragione? (Commenti al centro).

Perché non protestate contro chi non applica il lodo De Gasperi? Perché non protestate contro chi non applica i contratti di lavoro sottoscritti, a danno dei lavoratori? (Applausi a sinistra). Perché non protestate contro gli industriali che riducono alla fame diecine di migliaia di operai?

Potrei dimostrare con delle statistiche che nelle provincie dove v’è stato o vi può essere uno sciopero vittorioso, gli agrari applicano il lodo De Gasperi; mentre dove essi pensano che scioperi non ve ne possano essere, lì si rifiutano apertamente di applicarlo.

Cosa deve fare l’organizzazione operaia? Rinunziare alla difesa dei diritti e del pane dei lavoratori? Signori, l’organizzazione sindacale non rinunzierà mai ad assolvere la sua funzione di tutela dei diritti dei lavoratori. (Applausi a sinistra).

Noi crediamo che la soluzione ai problemi, che angosciano il Paese, non si debba trovare in misure di carattere negativo.

Vi è mano d’opera esuberante? Licenziamo della gente ed il problema è risolto. No, signori, il problema non si risolve così. Anche se ne risolve uno, ne sorge immediatamente un altro.

Noi dobbiamo cercare la soluzione in una via di progresso, in una via di sviluppo della produzione. Dobbiamo ricercare nuove fonti di lavoro, utilizzare tutte le possibilità produttive che ci sono nel nostro Paese e che non sono tutte utilizzate.

E vediamo come sia il Governo a dare il cattivo esempio in questa direzione.

Il Governo può fare di più per dare lavoro agli operai italiani? Io credo, senza dubbio, che può fare di più.

È stato rilevato – e tutti lo sanno del resto – che tutta la crisi legata al blocco o sblocco dei licenziamenti si concentra fondamentalmente nel settore metal-meccanico.

In questo settore, dunque, non vi è lavoro sufficiente, per occupare utilmente tutta la mano d’opera, tutti gli impiegati e tutti i tecnici di questa industria.

La cosa è un po’ strana, perché è vero che noi siamo in una situazione diversa rispetto all’ante-guerra, ma è anche vero che il mercato metal-meccanico tedesco è scomparso praticamente dall’Europa e noi, che abbiamo avuto le officine salve, soprattutto per merito dei lavoratori, dovremmo essere in condizione di supplire in qualche modo alle deficienze del mercato tedesco.

TOGNI, Ministro dell’industria e del commercio. I costi.

DI VITTORIO. E se noi facessimo una politica di scambi commerciali con l’estero più larga di quella che non si fa, che questo Governo non vuole fare, per ragioni di tendenza, se riuscissimo a riallacciare relazioni commerciali con l’Europa orientale che ha bisogno di tanti prodotti, fabbricabili in Italia, si potrebbe dare più lavoro alla mano d’opera italiana. (Commenti a destra).

Ma vi è di peggio. Vi sono grandi complessi metal-meccanici italiani, che in questo momento domandano il licenziamento di diecine di migliaia di operai.

Ad esempio, l’Ansaldo ed altri complessi, come la San Giorgio, possono costruire materiale ferroviario di ogni genere. Vi sono gli arsenali militari italiani – della guerra e della marina – dei quali si dice che abbiano mano d’opera esuberante e che bisognerà licenziare in parte ecc.

All’arsenale di Taranto sono stati licenziati 450 operai recentemente. Stiamo lottando per cercare di mantenerne almeno una parte al lavoro. Questi arsenali sono capaci di costruire materiale ferroviario di ogni genere, con piccoli adattamenti. Cosa avviene? Una cosa che, per me, ha valore di scandalo: il Governo italiano ha ordinato 1000 carri ferroviari all’industria belga, carri che dobbiamo pagare in valuta straniera. Io dico: perché far questo quando questi carri potrebbero essere costruiti in Italia e dar lavoro a migliaia e migliaia di lavoratori italiani? (Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Questi sono errori!

TOGNI, Ministro dell’industria e del commercio. E le materie prime? (Commenti a sinistra).

Di VITTORIO. E vi è ancora un fatto: io leggo in una relazione, un documento che non può essere messo in dubbio, che il prezzo convenuto con l’industria belga, per la fornitura di questi carri, corrisponde all’incirca agli stessi prezzi che i carri sarebbero costati in Italia. Non c’è nemmeno la scusante di averli dall’estero con maggior convenienza di quanta non ve ne sia costruendoli nel nostro Paese. Noi crediamo che un Governo che volesse fare una politica produttivistica, diretta a sviluppare l’industria, dovrebbe, nelle relazioni commerciali con gli altri paesi, difendere con maggiore energia il diritto dei lavoratori italiani a lavorare nel proprio Paese. Non voglio far riferimento ad alcuni commenti che sarebbero stati fatti in proposito, quando qualche osservazione è stata mossa su queste importanti ordinazioni all’estero, che ammontano a miliardi di lire. Cioè i lavoratori italiani dovrebbero andare a lavorare nel Belgio, dove sarebbero obbligati a lavorare in concorrenza con i lavoratori belgi, ecc., ecc. Ma è evidente che vi e, da parte delle classi dirigenti italiane, un interesse evidente ad aggravare la situazione per i fini speculativi e reazionari ai quali ho prima accennato.

Ora, io penso che, mai come in questo momento, sia per assecondare il processo di sviluppo della produzione di cui il nostro Paese ha bisogno, sia per aumentare il reddito nazionale e migliorare le condizioni di vita del popolo italiano e fare, nello stesso tempo, una politica di massimo assorbimento della mano d’opera, mai come in questo momento siano stati necessari i Consigli di gestione.

Questi Consigli di gestione sono stati promessi a più riprese dallo stesso onorevole De Gasperi. È stata formulata una legge, che un Governo presieduto dall’onorevole De Gasperi aveva fatto propria, e che prometteva di presentare ben presto, non so se all’Assemblea Costituente od al Consiglio dei Ministri, perché divenisse una legge dello Stato. Oggi, i Consigli di gestione sono indispensabili, non solo per esercitare il controllo necessario nell’interesse della produzione e per la difesa dei consumatori contro i monopoli e le tendenze monopolistiche della grande industria italiana, non soltanto per sviluppare la produzione, ma anche per controllare l’esigenza effettiva dell’industria e permettere agli operai, ai tecnici, agli impiegati di collaborare alla soluzione dei problemi economici e produttivi del nostro Paese, e quindi assecondare l’azione necessaria per lo sviluppo economico dell’Italia.

Ebbene, questo non si è fatto e noi domandiamo che i Consigli di gestione vengano al più presto legalizzati ed estesi a tutte le aziende di una certa importanza, secondo il progetto Morandi, dichiarando che i lavoratori italiani non rinunciano a questi strumenti di democratizzazione delle aziende, quali sono i Consigli di gestione, e che essi svilupperanno la lotta per ottenere che i Consigli di gestione esistano e funzionino in tutte le aziende di un certo interesse.

Adesso, in rapporto a quanto ho detto, vi è la questione dei prezzi. Io ho visto che il Governo si è attribuito naturalmente il merito della flessione di alcuni prezzi, specialmente dei prezzi dei grassi in genere e dell’olio in particolare. Il ribasso del prezzo dell’olio è dovuto in gran parte all’abbondantissimo raccolto di ulive di quest’anno.

FANFANI, Ministro del lavoro e della, previdenza sociale. Provvidenza di Dio.

DI VITTORIO. Io so che voi vi attribuite tutti i meriti del buon raccolto e che poi darete a noi tutte le responsabilità, comprese quelle dei cattivi raccolti.

Però, noi notiamo che il Governo oggi non è armato, o non lo è sufficientemente, per assecondare la tendenza al ribasso di alcuni prezzi e cercare di generalizzarla. Noi, Confederazione del lavoro, avevamo suggerito al Governo uno strumento, avevamo chiesto la riforma dei Comitati dei prezzi, sia quello centrale che quelli provinciali, per far entrare una rappresentanza più larga in questi Comitati, perché, appoggiati sugli Enti di consumo e sulle Cooperative, potessero contribuire a facilitare la compressione, o almeno la stabilizzazione dei prezzi. Il Governo al memoriale della Confederazione del lavoro rispose che aveva accettato questo punto. Difatti lo accettò: il Comitato dei prezzi è stato modificato, ma in peggio! Infatti, mentre quello di prima era deliberativo, e per quanto piccola, la rappresentanza dei lavoratori e dei consumatori poteva esercitare qualche influenza nel senso di impedire l’aumento dei prezzi, adesso ne avete fatto uno più largo (la rappresentanza dei consumatori dei lavoratori non è aumentata) ma è un Comitato che ha soltanto poteri consultivi. II problema, quindi, è stato risolto alla rovescia. Perciò, il Governo oggi non ha i mezzi che sarebbero necessari per assecondare questa tendenza al ribasso, tendenza al ribasso che per ora si verifica quasi esclusivamente nel settore agricolo. Noi salutiamo questo ribasso, cerchiamo di intensificarlo, ma dobbiamo estendere questo ribasso ai prodotti industriali.

Io non ho mai capito perché il Governo non ha accettato una delle proposte della Confederazione del lavoro inclusa nel memoriale presentato l’estate scorsa: che cioè grandi industriali italiani di prodotti di largo consumo popolare, come tessuti, scarpe ed altri prodotti indispensabili alle famiglie delle masse popolari, fossero obbligati a cedere determinati quantitativi dì queste merci agli enti comunali di consumo, cooperative, spacci aziendali, ecc., a prezzi all’ingrosso e controllati, in modo da sottrarre queste merci alla speculazione, distribuendole direttamente ai lavoratori in condizioni più disagiate, ed alleviare così la miseria di questi lavoratori. Perché il Governo non ha accettato questa proposta? Perché evidentemente non si vogliono ledere in nessuna misura gli interessi egoistici dei grandi industriali, i quali oggi, in combutta con gli altri strati di grossi speculatori, combinano i trust industriali con i trust commerciali e realizzano il doppio profitto industriale e commerciale. Noi domandiamo che queste misure si applichino in modo da estendere la flessione dei prezzi anche ai prodotti industriali. Infine, noi siamo preoccupati di che cosa pensa il Governo per il prossimo inverno. Noi abbiamo almeno un milione e mezzo di disoccupati in Italia e la grande maggioranza di questi non ha sussidio. Il sussidio è limitato a quelle poche centinaia di migliaia di disoccupati che si trovano in determinate condizioni previste dalla legge.

Che cosa si pensa di fare per questi disoccupati alla soglia del prossimo inverno? È stato annunciato un programma di lavori pubblici. Sono stati dati al Ministero dei lavori pubblici 60 miliardi. Ora, è troppo poco rispetto ai bisogni, e questi bisogni dei disoccupati coincidono con i bisogni fondamentali del Paese. Noi abbiamo in Italia delle grandi opere di bonifica, di irrigazione, di trasformazione fondiaria da intraprendere, che possono permettersi di conquistare nell’agricoltura centinaia di migliaia di ettari, ed altri lavori che possano immediatamente aumentare il reddito nazionale e dare nuove fonti di lavoro e di vita al popolo italiano.

Bisogna che il Governo faccia una politica economica e di lavoro diretta a procurarsi i mezzi necessari per dare lavoro alla maggior parte dei disoccupati, per alleviare i disoccupati e, quindi, la miseria dei lavoratori, facendo produrre, facendo lavorare, accrescendo le possibilità di vita del nostro Paese. E noi non vediamo che vi sia una politica di questo genere. Concludendo, i lavoratori italiani si opporranno a quei signori industriali che pretendono di abbandonarsi ai licenziamenti in massa, si opporranno a quei grandi agrari che non vogliono rinunciare a nessuno dei loro antichi ed iniqui privilegi, e cercano di peggiorare ancora le condizioni della grande massa di braccianti, salariati agricoli e lavoratori della terra in generale.

I lavoratori italiani comprendono molto bene, vedono chiaramente che a questa offensiva sul terreno sociale e sul terreno sindacale contro le condizioni di vita dei lavoratori corrisponde un’offensiva sul terreno politico, che è caratterizzata non Soltanto dalla formazione di questo Governo, dallo spostamento a destra del Governo, ma è caratterizzata anche e soprattutto dal sorgere di tutti questi movimenti neofascisti di ogni genere, che in Italia in questo momento credono di aver riconquistato la possibilità di affermarsi e di poter sperare di riprendere il sopravvento.

I lavoratori italiani comprendono tutto questo e comprendono che per essi la questione del pane è legata strettamente alla questione della libertà; perciò i lavoratori italiani hanno la forza, la capacità, la maturità di difendere gli interessi del Paese, gli interessi della produzione e di difendere, col loro pane, la libertà di tutto il popolo italiano. (Applausi a sinistra).

VANONI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Vanoni, non ho sentito pronunciare il suo nome.

VANONI. Si è parlato di un trattato di commercio stipulato durante il periodo in cui ero Ministro del commerciò con l’estero e mi corre l’obbligo di dare spiegazioni obiettive su questo trattato.

PRESIDENTE. Le faccio presente che i Ministri e gli ex Ministri, chiamati in causa durante ima discussione politica, hanno diritto di parlare per dare chiarimenti o informazioni.

Ma, in sede di interpellanze, onorevole Vanoni, un richiamo più o meno generico non è sufficiente per far mutare il metodo della discussione. In sede di interpellanza possono parlare l’interpellante e il Ministro interpellato.

VANONI. Signor Presidente, è stato fatto un accenno preciso ad un atto di Governo, di cui sono in parte responsabile.

Il trattato di commercio in questione ha rappresentato la condizione precisa per una fornitura di 50 mila tonnellate di materiale siderurgico, destinato prevalentemente alla costruzione di vagoni ferroviari in Italia. Tutti coloro che conoscono questo grosso problema della nostra economia in questo momento, sanno che la difficoltà maggiore della nostra ricostruzione ferroviaria è costituita dalla scarsità di materie prime necessarie per la costruzione di vagoni.

La politica che è sempre stata seguita dal Dicastero che ho avuto l’onore di presiedere per qualche tempo è proprio stata diretta a garantire l’approvvigionamento dei materiali necessari per la ricostruzione ferroviaria. Tanto è vero che quando dal Dicastero dei trasporti, allora retto dall’onorevole Ferrari – che certamente non era un plutocrate affamatore – venne proposto di fare una commissione di altri mille carri ferroviari in Svizzera io mi opposi e svolsi l’azione perché venisse comprato, con l’equivalente in valuta, il materiale necessario alla costruzione di carri ferroviari in Italia.

Questa è stata la politica che abbiamo seguito e che, ho motivo di ritenere, segua tuttora il Governo in carica.

FERRARI Chiedo di parlare. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi! Se veramente noi non vorremo convincerci una buona volta che il Regolamento ha una sua ragion d’essere e finché di conseguenza non rinunceremo ad ogni tentativo di evadere in qualche modo da esso, nessuna delle nostre discussioni potrà presentare carattere di coerenza.

Poiché, tuttavia, l’onorevole Vanoni ha chiesto di parlare ed ha anzi parlato prima ancora che io gliene dessi facoltà, è evidente che anche l’onorevole Ferrari ha acquisito il diritto alla parola.

Onorevole Ferrari, ha facoltà di parlare.

FERRARI. Quello che ha detto l’onorevole Vanoni è esatto; soltanto, debbo rettificare un punto. L’onorevole Vanoni ha detto cioè che da parte del Ministero dei trasporti era venuta – così almeno ho creduto di intendere – la richiesta di forniture di carri ferroviari dalla Svizzera: io mi sono opposto, ha detto l’onorevole Vanoni.

Orbene, non è che sia venuta la richiesta dal Ministero dei trasporti a quello del Commercio estero. È venuta l’offerta da parte della Svizzera e il Ministero dei trasporti, data la situazione di rapporti di credito tra l’Italia e la Svizzera, ha ritenuto doveroso di portare la questione anche dinanzi al Ministro del Commercio estero.

Ma l’opinione del Ministro Vanoni era anche l’opinione del sottoscritto e ci trovammo, pertanto, d’accordo entrambi nel respingere la richiesta, perché precisamente ci trovammo d’accordo nell’adottare il criterio di far entrare materie prime per far lavorare i nostri operai.

Questo solo intendevo precisare; mi riserbo di chiedere nuovamente di parlare dopo che avrà risposto l’onorevole Ministro alle interpellanze, qualora venissi ancora chiamato in causa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro del lavoro e della previdenza sociale ha facoltà di rispondere.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. La preoccupazione costante del Governo, cui ho l’onore di appartenere dal momento della sua costituzione, è stata quella di individuare, impostare e svolgere una razionale politica del lavoro. Naturalmente, una razionale politica del lavoro non può avere per obbiettivi che i seguenti: la massima occupazione possibile, compatibilmente con i mezzi ed i limiti del nostro Paese; l’adeguamento più perfetto possibile delle retribuzioni al costo della vita dei lavoratori; il miglioramento di tutte le forme di retribuzione familiare; il miglioramento di tutte le forme di retribuzione previdenziale; le agevolazioni e le misure per una nuova occupazione all’interno, o, disgraziatamente – nei casi in cui all’interno non sia possibile – all’estero; l’assistenza infine in tutti quei casi in cui, per le misure precedenti, non fosse stato possibile realizzare la massima occupazione prevista.

In occasione della discussione in questa Assemblea delle mozioni degli onorevoli Nenni e Togliatti di sfiducia al Governo, il Ministro del lavoro, per un insieme di circostanze, non ebbe la possibilità di intrattenere i colleghi su questa politica del lavoro. Io non posso quindi, in questa occasione, non esprimere la più viva gratitudine agli onorevoli colleghi Morandi e Di Vittorio, i quali, con le loro interpellanze, mi concedono ora di impostare la discussione, partendo da una larga visione dei problemi stessi. E naturalmente, sia consentito al primo membro del Governo che prende la parola sull’interpellanza di ringraziare l’opposizione per avere offerta l’occasione di dire una parola di precisazione sulla gravità (per il momento diciamo solo gravità) del problema dei licenziamenti che, secondo la parola un poco apocalittica dell’onorevole Di Vittorio, starebbero non soltanto provenendo dalle direzioni delle imprese, ma addirittura piovendo dal cielo.

Alto livello di occupazione; massimo livello possibile di occupazione. Che cosa ha fatto il Governo a questo proposito?

Settore agricolo. C’è un decreto Segni per il passaggio dall’ammasso totale all’ammasso per contingente che, a detta dei competenti, ma soprattutto in base alle prime risultanze intorno alle semine, sta a dimostrare che ha rappresentato un incoraggiamento all’applicazione ai lavori dei campi.

C’è poi un decreto – uno di quei tanti decreti che ieri sera l’onorevole Morandi con benevolenza attribuiva a chi vi parla – sulla massima occupazione in agricoltura, discusso ampiamente con le Confederazioni interessate, in funzione del quale gli esperti ritengono che cento o centoventimila braccianti potranno nel prossimo inverno trovare occupazione.

Settore industriale. Il decreto istitutivo del «Fondo industria meccanica» non so come si voglia interpretare dagli amici o dagli oppositori; mi pare che nelle intenzioni del Governo e nella valutazione obiettiva sia un provvedimento il quale ha per fine, e lo raggiungerà, quello di intervenire a mantenere il più alto livello possibile di occupazione proprio in questo settore dell’industria meccanica, sulla cui difficoltà l’onorevole Morandi, non da ora del resto, ha richiamato la comune attenzione.

Si è parlato dagli onorevoli interpellanti delle imprese I.R.I., soprattutto di quelle navali o naval-meccaniche, e si è detto: «Perché non procurare lavoro a queste imprese?». Orbene, uno dei decreti del Governo prevede proprio questo: la garanzia, mi pare, per oltre dieci miliardi di lire all’Ansaldo e alle imprese I.R.I. genovesi per procedere a lavori che uno Stato estero ha affidato all’Italia. È quindi un provvedimento il quale ha una funzione precipua: impedire il licenziamento di notevoli masse di lavoratori dell’Ansaldo.

Ordinazioni di costruzioni ferroviarie. Qui non ritornerò nuovamente, anche per evitare nuovi interventi di colleghi che ebbero l’onere e l’onore di essere Ministri nei passati Governi, sulla questione delle ordinazioni di carri ferroviari al Belgio.

DI VITTORIO. È una questione recente; è un’altra cosa quella alla quale si riferiva l’onorevole Vanoni.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Allora mi scusi di aver ritoccato questo argomento.

C’è da ricordare, però, che il piano triennale di finanziamenti per 175 miliardi per costruzioni e ricostruzioni ferroviarie, ha evidentemente questo scopo: di garantire a tutte le imprese italiane che attendono a questi lavori la possibilità di continuare l’assorbimento della mano d’opera in essi impiegata. Del resto, che questo avvenga lo si dimostra con due rilievi: alcune delle industrie che si trovano in crisi nell’Alta Italia, in tanto possono continuare a pagare i salari ai loro dipendenti, in quanto l’Amministrazione delle ferrovie ha anticipato l’ammontare delle somme dei costi di pari lavori che ancora queste imprese stanno eseguendo; usiamo un eufemismo: stanno eseguendo.

Riordinamento e finanziamento dell’I.R.I. Ma tutti quelli che sono al corrente di queste faccende, sanno che il Governo non ha lesinato niente all’I.R.I. perché lavorasse ed ha preso anche dei provvedimenti perché si riordinasse.

E non possiamo dimenticare la fatica del commissario ingegner Longo, il quale si accinge all’opera di risanamento e di ricostruzione di questo nostro Ente statale.

Il decreto del 24 di questo mese, che garantisce il credito per sei miliardi di lire alle medie e piccole industrie; il preannunciato decreto che dovrebbe facilitare – e faciliterà – l’afflusso di capitali esteri; il preannunciato decreto dei prossimi giorni sulle agevolazioni all’artigianato ed alle imprese artigiane: ecco altri mezzi di massima occupazione.

E poiché si è accennato agli arsenali della Marina e della guerra, non possiamo dimenticare che l’arsenale di Piacenza, coi suoi 7000 operai, è stato trasformato in arsenale che fabbrica macchine agricole, per intervento del Governo! (Approvazioni).

Adeguamento delle retribuzioni al costo della vita: aumenti agli statali del giugno 1947 e dell’ottobre 1947, che complessivamente vengono a costituire un onere (che il Governo in parte ha affrontato e che in parte sta studiando di affrontare) di un centinaio di miliardi di lire; aumenti che lasciano ancora un’amarezza in fondo al cuore, amarezza che è quella di non potere veramente provvedere a questo esercito di fedeli lavoratori e collaboratori dello Stato italiano con quella larghezza che sarebbe necessaria, considerando la loro grande responsabilità e le troppe pene che da molti anni stanno soffrendo. (Vivi applausi).

Partecipazione alle vertenze salariali. Se voi mi consentite, onorevoli colleghi, io sorvolo questo argomento perché non vorrei involontariamente essere portato a parlare dell’azione che in questi mesi ho dovuto svolgere in questo settore. Posso dire soltanto questo: che per concordi dichiarazioni delle parti, dichiarazioni anche scritte, è stato sempre constatato come l’intervento del Governo (e non solo mio, ma anche di tutto il Governo e del Presidente del Consiglio), è stato sempre decisivo per realizzare positive e durature conquiste in questo settore. (Applausi).

Ma l’adeguamento delle retribuzioni al costo della vita si fa non solo aumentandole retribuzioni nominali, ma anche accrescendo il potere di acquisto.

La politica dei prezzi. Naturalmente non ha ragione l’onorevole Di Vittorio quando dice che noi ci vogliamo attribuire i meriti della Provvidenza per i recenti buoni raccolti. No, vogliamo solo cogliere l’occasione per ringraziarla! (Applausi al centro).

Dobbiamo ringraziare anche altri interventi, proprio in questo settore agricolo: i lavoratori, i lavoratori che hanno predisposto e preparato, nonostante enormi difficoltà, gli ottimi raccolti che in questo scorcio di autunno noi stiamo ammassando!

Se mi consentite, infine, c’è da ringraziare qualche altro; c’è da ringraziare il senatore Einaudi che con certi provvedimenti ha finalmente trovato modo di mettere paura agli speculatori! (Applausi al centro – Interruzione dell’onorevole Scoccimarro).

E speriamo, onorevole Scoccimarro, che li accresca anche per il futuro!

C’è l’altro settore: quello dei miglioramenti delle retribuzioni e degli assegni familiari. Quando siamo arrivati al Governo, in questo quarto Gabinetto De Gasperi, ho constatato che ancora i lavoratori agricoli ricevevano come assegno familiare l’enorme somma di 80 centesimi al giorno! Il primo decreto che ho avuto l’onore di sottoporre alla firma del Capo dello Stato, il 7 giugno, è stato quello che aumentava questa retribuzione irrisoria; anzi questo impedimento alla retta contabilità. E finalmente, il 24 ottobre, a seguito degli accordi e degli interventi del Governo nella ormai famosa vertenza bracciantile del settembre, è stato approvato il decreto che aumenta ulteriormente gli assegni familiari dei lavoratori agricoli, moltiplicando di 37 volte la quota che noi abbiamo trovato arrivando al Governo.

Industrie: decreti recenti hanno portato all’aumento dal 25 al 40 per cento a seconda delle categorie, gli assegni familiari.

Commercio: aumento del 50 per cento.

Miglioramento delle previdenze, cioè delle retribuzioni previdenziali.

Quando il nostro Governo si è costituito, tra le eredità dei passati Governi, abbiamo trovato questo: che grazie a delle trattative lunghissime non si era ancora arrivati in porto per procedere a un aumento delle pensioni agli assicurati dell’Istituto di previdenza sociale.

Io non posso qui altro che fare una lode all’onorevole D’Aragona, che impostò per primo il problema ed ebbe l’idea del fondo di solidarietà sociale, e al suo successore e mio predecessore, l’onorevole Romita, che insieme all’onorevole Togni, fece di tutto per arrivare in porto. Evidentemente ciascun Ministro poteva e doveva essere fiero di realizzare questa misura. Purtroppo è capitata a me la sorte di portare in porto questa lunga fatica e di portarla, indipendentemente dalla mia buona volontà o della sua, onorevole Di Vittorio, in termini ed entità tale da non dare tranquillità di vita ai pensionati, pur diminuendo per lo meno le forti apprensioni che i pensionati della previdenza sociale avevano; e continuano ad avere nonostante gli aumenti.

Comunque 29 miliardi di lire anche in questa circostanza passarono a beneficio di queste categorie benemerite di anziani e invalidi; anche col concorso dei lavoratori, ai quali non soltanto in questa occasione, onorevole Di Vittorio, ma ben prima di ora, con tutti i mezzi consentiti oggi dal progresso alla voce e al pensiero umano, ho cercato di dare testimonianza per questo loro atto generoso e, se lei mi consente, onorevole Di Vittorio, anche doveroso. (Applausi al centro).

Il problema degli statali. Anche qui due successivi aumenti. Anche in questi giorni è stato deliberato un aumento, nel giorno stesso in cui la C.G.I.L. premurosamente, come era suo dovere, faceva analoga richiesta al Governo.

Malattie. L’indennità malattia in agricoltura è aumentata quattro volte; l’indennità del commercio in questi giorni – decreto del 24 ottobre – aumentava sette volte; indennità infortuni in agricoltura aumentata quattro volte e questa volta senza aumentarne le prestazioni, perché per errato calcolo negli anni precedenti si prelevava più di quanto si pagasse. È un miracolo di quella riforma ante lettera degli istituti previdenziali, che io spero si ripeta parecchie volte per arrivare davvero ad impostare e risolvere questo problema della riforma previdenziale su basi razionali, che sono anche quelle della diminuzione del costo delle prestazioni.

Assistenza. Il problema della disoccupazione.

Le statistiche della disoccupazione dal gennaio 1946 in poi sono aumentate con ritmo vertiginoso, e ad un vecchio studioso di statistiche la semplice indicazione dell’ammontare e dell’andamento della curva non poteva tardare a rivelare che c’era qualche anomalia. Le anomalie sono saltate fuori quando sono cominciati gli accertamenti: fior di occupati i quali erano iscritti fra i disoccupati ed alcuni di questi – onorevole Di Vittorio, lei non ne ha colpa, ma neanche io ne ho colpa, nessuno ne ha colpa, ne hanno colpa solo loro – andavano ad ingrossare la piccola pattuglia dei disoccupati italiani che percepiscono l’indennità. E bene hanno fatto coloro che presiedevano all’amministrazione della giustizia in Italia a provvedere energicamente. Devo aggiungere che, per quanto riguarda Roma, si è dovuto un po’ attenuare l’energia, perché temevamo di dover trasferire troppi falsi disoccupati non proprio in case di lavoro. (ilarità).

Comunque, dagli accertamenti in materia di disoccupazione sono saltate fuori delle cose veramente spassose. Fra l’altro, questo, che l’Italia è l’unico Paese in Europa e nel mondo, in cui i disoccupati o gli iscritti agli Uffici di collocamento, dal giugno al settembre, anziché aumentare, diminuiscono. Perché? Perché si continua a spulciare e a trovare continuamente che c’è gente la quale indebitamente, qualche volta per negligenza (anzi, rendiamo onore ai nostri concittadini, la maggior parte delle volte per negligenza) resta, dopo due o tre mesi dall’occupazione, iscritta ancora nelle liste.

Per affrontare il problema della disoccupazione bisognava incominciare ad accertare il fenomeno. Gli accertamenti sono in corso, ed è in funzione di questi accertamenti che il Governo è potuto arrivare ad una conclusione.

PAJETTA GIAN CARLO. È un problema anagrafico.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Magari fosse solo anagrafico!

Ne veniva fuori questo, che, accertando che in Italia non esistevano due milioni e 200.000 disoccupati, come figurava nel febbraio scorso, ma forse la metà, il Governo poteva impostare una soluzione meno spilorcia del sussidio di disoccupazione e vedere, racimolando tutte le riserve possibili, se questo sussidio poteva essere aumentato oltre le 50 lire che noi abbiamo trovato. Il 12 agosto di quest’anno, con decreto di quella data entrato in vigore il 13 settembre, infatti, il sussidio di disoccupazione è passato da cinquanta a duecento lire. Ed in quell’occasione – altra prova della collaborazione che dall’esterno forse nessuno immaginerebbe, fra Governo e Associazioni e Confederazioni sindacali – quando esaminando insieme il provvedimento con le varie organizzazioni di categoria, uno dei Segretari della C.G.I.L., Fernando Santi, ebbe a dirmi: ma, probabilmente, è poco indovinato dal punto di vista psicologico il portare l’indennità di disoccupazione da cinquanta a duecento lire e contemporaneamente dire che le duecento lire conglobano anche l’indennità di caro-pane, io non ebbi che da ringraziare questo Segretario della C.G.I.L., e dire: benissimo, il Governo è disposto anche a far sì che le duecento lire abbiano non nel loro interno, ma all’esterno, l’indennità di caro-pane. Contemporaneamente quadruplicammo l’indennità dei figli a carico. E lo stesso 12 agosto provvedemmo per il nuovo trattamento di integrazione. Naturalmente siamo qui arrivati alla serie dei provvedimenti di cui si sta discutendo.

Devo, prima di entrare nella discussione, ricordare un altro decreto dei primi di ottobre, quello che garantisce i salari arretrati di un mese e l’indennità di licenziamento agli operai e agli impiegati di imprese, che per dissesto venissero a cessare la propria attività. Credo sia un provvedimento unico al mondo, almeno negli Stati occidentali.

Su quello che si è potuto fare in materia di nuova occupazione, distinguendo in due settori all’interno e all’estero, farò un breve accenno. L’onorevole Di Vittorio nella sua interpellanza e nel suo svolgimento ha detto: «Occorre fare dei lavori pubblici». Ha parlato di una cifra: 60 miliardi. Sono esattamente 65, ed in questa misura: 25 all’agricoltura, 40 ai lavori pubblici, i miliardi stanziati dal Governo. Il Governo ha mobilitato e sta mobilitando questa somma per far sì che durante la stagione invernale i lavoratori, più che avere sussidi, abbiano lavoro. L’onorevole Di Vittorio dice che sono pochi: anche io sono convinto di questo, come pure lo sono tutti i membri del Governo. Evidentemente, c’è un limite alla soddisfazione dei nostri desideri. In tutta questa politica, come in tutti quanti gli aspetti della politica. E il limite da che cosa è rappresentato? In questo caso specifico, dalla necessità di non aumentare ulteriormente la circolazione, dalla necessità quindi di trovare delle entrate che facciano fronte a queste spese ed a tante altre che ogni giorno aumentano.

A proposito di questa nuova occupazione interna, il grande problema, la tragedia della situazione italiana è: disoccupati, possibilità di occupazione; e nessun incontro, nessun matrimonio legittimo fra l’occupazione ed i disoccupati. Perché? Perché per troppi anni giovani italiani sono stati avviati non ad operazioni di pace ed a opere costruttive, ma ad opere distruttive. Occorre in ritardo quindi, con una serie di inconvenienti gravissimi, provvedere a dare a questi giovani quello che non ebbero quando era tempo: la qualificazione professionale. Il problema è stato sollevato dalla C.G.I.L. da tempo. Questo problema ugualmente noi abbiamo sollevato, su esso desideriamo arrivare a concreti provvedimenti oltre quelli già presi. Per questo il Governo ha deliberato lo stanziamento di due miliardi per corsi di qualificazione.

Queste intenzioni ho comunicato in questi giorni alle organizzazioni sindacali interessate perché collaborino col Governo a dare la forma più idonea ai corsi, per far sì che non si moltiplichino le scuole, che non sarebbero frequentate a 30-35 anni. Con la fame e la paura della disoccupazione, non si va nelle scuole a mangiare i libri. Viceversa, occorrono macchine, cantieri, reparti in cui uomini, che in ritardo arrivarono alla qualificazione, possano qualificarsi nell’unico modo possibile a quell’età: cioè lavorando e imparando. Imparare, ma naturalmente avendo una situazione che non può essere quella del semplice disoccupato.

Proprio stamani, onorevole Di Vittorio, ho avuto la risposta che lo schema è piaciuto anche alla Confindustria. La Confindustria ha detto che è disposta, secondo le promesse che lei stesso ha sentito nei giorni scorsi, a dare un contributo affinché la somma di due miliardi sia integrata. Queste faccende dovete discuterle fra di voi, onorevole Di Vittorio: il Governo fa il notaio. Bisogna che queste 200 lire che oggi i disoccupati hanno, siano, non dico raddoppiate, ma possibilmente un po’ più che raddoppiate.

Il mercato estero del lavoro: è una valvola che ha funzionato come ha potuto. Gli accordi stipulati dai passati Governi sono stati eseguiti meglio che si poteva, con qualche notevole inconveniente, che il Comitato interministeriale dell’emigrazione, al quale partecipano le organizzazioni interessate, sta affrontando. Sono in corso tentativi e trattative per migliorare gli accordi stessi: missione Jacini in Argentina, fra pochi giorni riunione della commissione mista italo-francese, alcune nostre richieste che si stanno formulando alla Svezia, non per migliorare la situazione, che è ottima in Isvezia, ma per aumentare il contingente: altre trattative con la Cecoslovacchia per aumentare il contingente e per far sì che i nostri emigranti in quel Paese abbiano un trattamento rispondente al trattamento salariale, soprattutto per quanto riguarda gli assegni familiari, percepito in Italia.

A proposito di emigrazione, tutti possono visitare il centro di Milano, realizzato dal Governo in una forma, non voglio dire signorile, ma decorosa, affinché tutte quante le delegazioni straniere, che in questo centro sono accolte per convogliare nei rispettivi paesi i nostri emigranti, abbiano la sensazione che in Italia i lavoratori sono trattati bene; non dico perché imparino, ma perché si convincano che il trattamento da noi fatto ai nostri lavoratori pretendiamo sia fatto ad essi anche negli altri Paesi. (Applausi al centro).

Con questi ultimi provvedimenti e con questi ultimi accenni siamo arrivati proprio al nocciolo della questione, impostata in termini sufficientemente obiettivi, certamente sereni, dall’onorevole Morandi.

Esamineremo questi provvedimenti, che avrebbero dato la stura allo sblocco; ma prima mi sia consentito riferirmi ad una cifra, che il Presidente del Consiglio indicò qui nelle sue dichiarazioni conclusive del dibattito sulla mozione di sfiducia al Governo. Egli disse che coi provvedimenti presi dal Governo – come era suo dovere – tra il 7 giugno e il 2 ottobre, solo nel settore privato, solo in materia previdenziale (assegni familiari, assistenza), si erano travasati o si erano adottate disposizioni perché si travasassero, nel corso dell’anno finanziario 1947-48, dalle tasche degli abbienti a quelle, troppo spesso perfino sdrucite, dei lavoratori, 80 miliardi di lire; con l’ultimo provvedimento abbiamo superato i 90. E questo dica come noi cerchiamo, meglio che possiamo, di fare il nostro dovere, stimolati, per di più, come siamo, dall’accusa che saremmo un Governo contrario ai lavoratori.

Capite, ora – e vi svelo un nostro segreto, colleghi dell’opposizione – che più insistete su questa accusa, più noi faremo di tutto per andare incontro ai lavoratori. (Applausi al centro).

SCOCCIMARRO. Adesso che lo sappiamo lo faremo senza economia.

Presidenza del Presidente TERRACINI

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Il problema dello sblocco dei licenziamenti, più esattamente chiamato dall’onorevole Morandi problema della smobilitazione o, meglio, della riduzione del sovraccarico di lavoro o della, potremmo dire, razionalità dell’impiego dei lavoratori, non è nuovo; non voglio dire che nacque quando nacque il blocco; il problema dello sblocco nacque, però, nell’agosto del 1946. Allora il Governo decise di costituire una Commissione interministeriale con Sottocommissioni per studiarlo e avviarlo a soluzione. In una di quelle riunioni, a cui partecipava naturalmente anche la Confederazione generale del lavoro, fu dichiarato dalla C.G.I.L., nel verbale 14 dicembre 1946 che: «La Confederazione subordinava le trattative relative allo sblocco dei licenziamenti alla regolamentazione delle funzioni e dei compiti delle Commissioni interne». In quell’occasione la Confederazione italiana dell’industria propose che, per non mettere sul lastrico le maestranze licenziate, fossero devoluti adeguati sussidi di disoccupazione, ed il Ministro del lavoro – aggiungeva la Confindustria – avrebbe dovuto esaminare con molta attenzione la possibilità di instaurare una larga politica di sussidi di disoccupazione. Questo verbale fotografa abbastanza bene le rispettive posizioni quali erano all’inizio di questa vertenza e di questo problema.

Nel mese di luglio 1947 si parlava ancora dello sblocco, ma non era stata ancora trovata una soluzione, anche perché la Confederazione generale del lavoro continuava ad insistere e – a mio modo di vedere – giustamente, sulla necessità di premettere ad una attuazione dello sblocco, l’individuazione e la determinazione dell’organo atto a disciplinare questo sblocco, tornando alla sua posizione del 14 dicembre 1946. In varie lettere, che ho, la Confederazione più volte, alle richieste della Confindustria e alle mie, sempre insistette nel dire: bisogna, prima di fare una legge la quali confermi – questo era il punto di vista del Governo – l’esistenza legale della possibilità dello sblocco o dia – questo era il punto di vista dalla C.G.I.L. – la possibilità dello sblocco stesso, realizzare un accordo per le Commissioni interne. L’accordo per le Commissioni interne verteva soprattutto sulla formulazione dell’articolo 2, il quale avrebbe dovuto stabilire le funzioni generali delle Commissioni interne. Senza che si fosse stabilito l’articolo 2, non si poteva arrivare ad applicare l’articolo 3, che già era stato formulato, d’accordo tra le due Confederazioni, e che prevedeva le modalità di intervento della Commissione interna nella gradualità dei licenziamenti. Naturalmente in questa circostanza il Governo, intervenendo, si assunse l’obbligo e l’onere di predisporre i due provvedimenti, che più volte le due Confederazioni avevano richiesti. Un primo provvedimento che regolasse meglio la materia delle integrazioni, vale a dire provvedesse ad una ulteriore assistenza per i lavoratori licenziati; un secondo provvedimento che, in un successivo periodo di licenziamento, desse un sussidio di disoccupazione meno visibile di quello che fino allora si era dato. La Confederazione generale del lavoro discusse insieme con noi, in gran parte, questi provvedimenti, i quali furono trattati alla presenza non dell’onorevole Di Vittorio, il quale era assente, perché si trovava in non so quale zona d’Italia, per appianare e dissipare gli scioperi (Ilarità al centro), ma alla presenza di Santi, di Rubinacci e, certamente, di Bitossi, prima che Bitossi si recasse in Russia con la nota nostra missione sindacale. Orbene in quella circostanza – debbo dire le cose come stanno – i rappresentanti della Confederazione generale del lavoro, ad esclusione dell’onorevole Di Vittorio, che era assente, discutendo con me il famoso articolo 2 dell’accordo per le Commissioni interne, arrivarono a dire che lo sblocco si doveva attuare contemporaneamente con due provvedimenti: uno di natura sindacale (accordo fra le Confederazioni) ed uno di natura governativa. Naturalmente, aggiunsero che secondo loro la perfezione del sistema si sarebbe ottenuta quando la Confindustria si fosse decisa ad esaminare la loro vecchia proposta (proposta dei lavoratori) di integrare l’indennità di licenziamento, e quando da parte del Governo si fossero prese misure per i corsi di riqualificazione.

Ecco la genesi di tutta la legislazione che stiamo studiando.

Il 1° di agosto il Consiglio dei Ministri, mi pare alle 8 e mezzo di mattino, si riunì per approvare il decreto sul nuovo sistema di integrazione ed il decreto sull’aumento dei sussidi dei disoccupati, cioè il sistema congegnato. In quegli stessi giorni la Confindustria e la Confederazione generale del lavoro stavano ultimando, in riunioni alle quali io stesso partecipavo, l’accordo per le Commissioni interne. Nello stesso giorno in cui io discutevo e facevo approvare i due decreti, la Confederazione generale del lavoro scriveva un’ultima lettera con le sue richieste ulteriori, a proposito del decreto che noi stavamo approvando, in data 1° agosto. Ma io ricevetti la lettera, sebbene più rapidamente del solito, solo il 2 agosto, quando il decreto era già stato approvato. Comunque, gran parte delle richieste sulle quali tornava la Confederazione del lavoro, poiché oralmente mi erano già state fatte, erano già accolte nel decreto. Per esempio, l’onorevole Morandi mi ha rimproverato di aver fissato due mesi di tempo per far sì che i lavoratori licenziati dovessero beneficiare dei sussidi e delle provvidenze predisposte. Ma questi due mesi costituivano la richiesta precisa della Confederazione generale del lavoro!

Lettera n. 23265 – onorevole Di Vittorio – in data 1° agosto, con le firme autentiche di Bitossi, Pastore ed un’altra che mi pare di Santi. A questo proposito, esattamente la Confederazione chiedeva inoltre che venissero allargati i termini per poter fare le prescritte domande, e secondo la richiesta orale (qui non si arrivava a specificazione, ma nei giorni precedenti il Santi ne aveva già fatta la richiesta orale) io avevo modificato in 15 giorni anche questo termine per le prescritte autorizzazioni. Naturalmente, la Confederazione generale del lavoro faceva altre richieste. Io risposi subito, il giorno 2, e lamentai che queste ulteriori richieste aggiuntive a quelle altre che erano state fatte, mi fossero formulate il giorno in cui ne discuteva il Consiglio dei Ministri e fossero pervenute dopo che la approvazione stessa del decreto era avvenuta. Comunque, per riparare ad alcune di queste richieste (problema della gradualità dei licenziamenti e istituzione di scuole di qualificazione professionale) il Governo che cosa ha fatto? Ha fatto e fa quello che in questi giorni i giornali hanno detto e che qui in parte si discute: ha prorogato ulteriormente, non di un mese, come aveva chiesto la Confederazione generale del lavoro, ma di un altro mese e mezzo, fino al 31 dicembre, i termini per questi sblocchi, per consentire una maggiore graduazione di questi licenziamenti. Del resto, il Governo, come l’onorevole Di Vittorio avrà visto nella discussione di lunedì sera, non è alieno dal considerare le proposte che dovessero venire dalle due parti, perché nessun proposito c’è nell’animo dei governanti d’Italia di prendere i lavoratori e buttarli sul lastrico per la gioia sadica e impolitica di vedere aumentare le proteste contro il Governo stesso. Ora, dall’insieme di queste richieste risulta che la Confederazione del lavoro chiedeva la gradualità dei licenziamenti; ma lo strumento per attuare questa gradualità la Confederazione se lo era già assicurato ottimamente con l’articolo 3 dell’accordo fra le Commissioni interne del 7 agosto, il quale, al paragrafo 2 dice: «la Direzione dell’azienda e la Commissione interna, su richiesta di quest’ultima, esamineranno, con spirito di mutua comprensione, i motivi del licenziamento e le possibilità concrete da attuare, per evitarle senza costituire un carico improduttivo per l’azienda. A tal fine si terrà conto di elementi obiettivi, fra cui l’anzianità, il carico di famiglia, la situazione economica familiare, le capacità tecniche e di rendimento, ecc.». Nell’ipotesi che l’accordo non si raggiunga, vi è il paragrafo 3, che dice: nel caso che non si sia realizzato un accordo nella materia dei licenziamenti, la questione sarà deferita alla Camera del lavoro ed alle associazioni territoriali degli industriali, che esamineranno le ragioni addotte dalle due parti per addivenire ad un accordo. La procedura di conciliazione tra le organizzazioni Competenti deve essere tassativamente esaurita entro un termine di tre settimane dal giorno della comunicazione della Commissione interna. Poi ci sono altri paragrafi che prevedono altri aspetti del problema.

Quindi lo strumento c’era per la graduazione, e debbo anche aggiungere che ha funzionato. Quando tra breve noi passeremo a delimitare l’entità del fenomeno per vedere come si manifesta, vedremo che se oggi, pochi o molti, i licenziamenti minacciati non si sono attuati, si deve proprio al fatto che ha funzionato il paragrafo 3 di questo articolo. Quindi, il sistema «legge ed accordo» ha funzionato, e non certo a danno dei lavoratori. Dovremo fare qualche cosa di più per perfezionare questo sistema, nella eventualità che questo sistema abbia delle manchevolezze; e su questo punto siamo tutti d’accordo. Circa le modalità del funzionamento di questo sistema ha già in parte intrattenuto l’Assemblea l’onorevole Morandi.

In una circolare che il Ministero del lavoro ha emanato in data 28 agosto a tutte le organizzazioni di categoria, ai prefetti, agli uffici del lavoro ed agli ispettorati, per far sì che non nascessero equivoci e per richiamare l’attenzione sulla gravità del problema, sulla necessità che nessuno vedesse in questo sblocco una specie di inizio di carnevale per mettere della gente sulla strada, in questa circolare sono spiegate a parte tutte le modalità. Il sistema prevedeva l’eventualità che i licenziati, una volta che l’evento si fosse verificato, avessero bisogno di particolare assistenza. E che cosa stabiliva? Stabiliva che per i primi 60 giorni successivi alla data del licenziamento, la Cassa integrazione operai dell’industria dovesse pagare, a suo completo carico, i due terzi della retribuzione globale corrispondente a 40 ore settimanali e gli assegni familiari nella misura normale, a carico della Cassa relativa, il che vuol dire che viene consentito il trattamento che i lavoratori avevano in quelle aziende con supero di personale. Per i successivi 120 giorni son concessi gli assegni di disoccupazione previsti. E proprio per far sì che questi non fossero la cosa poco lauta di cui abbiamo parlato, in quella stessa data del 12 agosto si emanava l’altro decreto che portava l’indennità di disoccupazione da 50 a 200 lire e quadruplicava la quota per i figli a carico.

Dice l’onorevole Morandi che il Governo poteva far prima le trattative che adesso sta conducendo, a proposito dei termini e dei corsi. Ma queste trattative furono fatte: ho dimostrato come, a proposito dei termini, non ho fatto altro che accogliere la richiesta della Conflavoro, che probabilmente si è ingannata. In che modo? È facile spiegarlo: si è ingannata dello stesso inganno al quale soggiacque il Ministro del lavoro, pensando cioè che se lo sblocco si doveva fare, era molto più opportuno che si realizzasse prima dell’inverno, per non farlo cadere nel pieno dell’inverno stesso. È lo stesso motivo che oggi, quando ci ha portato a prorogare il termine oltre il prefisso 13 novembre, al 31 dicembre, ci ha fatto sorgere contemporaneamente nell’animo la preoccupazione di spostare ancora questa data; perché non credo che il giorno di San Silvestro sia il più adatto a mettere gli uomini fuori del luogo di lavoro.

Resta da chiarire – l’onorevole Morandi ha toccato questo problema, ma l’hanno toccato anche le due Confederazioni – il problema del trattamento ai lavoratori dell’Italia centro-meridionale.

Ora, bisogna tener presente che con questo provvedimento volevamo risolvere il problema dello sblocco e, naturalmente, il problema dello sblocco si poteva risolvere dove il blocco c’era stato. Nell’Italia meridionale il blocco, giuridicamente, non ci fu; di fatto, è vero, ci furono stabilimenti ed imprese che, per pressioni politiche dovute alla necessità di provvedere a bisogni umani, furono sovraccaricate di personale. Il problema bisognerà affrontarlo e bisognerà risolverlo.

In questo senso le due Confederazioni lunedì sera si sono trovate d’accordo, e credo che stiano formulando uno dei tanti promemoria al Governo e spero lo facciano in termini concreti, perché evidentemente non si può pensare di stabilire un trattamento speciale come quello fatto a questi lavoratori, a tutti i lavoratori licenziati per qualsiasi motivo. E bisognerà identificare bene l’obiettivo da raggiungere, che sia analogo a quello che abbiamo voluto raggiungere per l’Italia settentrionale.

Sulle ultime discussioni che tra Confindustria e Conflavoro ci sono state dalla fine di settembre alla metà di ottobre, sulla interpretazione dello sblocco, sulle modalità relative, chiedo venia all’Assemblea se non mi trattengo, anche perché la questione è ormai superata. Ed è superata nel senso che ho sempre auspicato e cercato di far conoscere attraverso i giornali, cioè con serenità, con un senso di intesa; perché qui non è un problema di una categoria o di un’altra: è un problema di uomini che rischiano di trovarsi nel pieno dell’inverno in condizioni che nessuno di noi invidia. E naturalmente il Governo non può essere cieco di fronte a questo fatto; ma naturalmente nemmeno cieche devono essere le parti in causa.

Ho potuto constatare proprio ieri sera – rispondendo brevemente all’onorevole Morandi, accennavo appunto a questo fatto – ho potuto constatare, dicevo, che ieri sera questo equivoco era già completamente dissipato. Io mi auguro, pertanto, che l’atmosfera di comprensione che ieri c’era tra le due Confederazioni continui a beneficio di questi cittadini italiani, i quali non chiedono se non di continuare a lavorare e di passare l’inverno nel modo meno grave possibile.

C’è, sì, il problema dell’entità del fenomeno. Guardate: lo sblocco ha prodotto una serie di effetti. Fra l’altro, uno di cui posso dare notizia – immagino che qualcuno non ci crederà – è questo: un’impresa di Torino ha incominciato ad assumere lavoratori oltre quelli che aveva, dopo che è avvenuto lo sblocco; e ne ha detto le ragioni. Ha incominciato ad assumere dopo che era venuto lo sblocco perché, finché c’era il blocco temeva che, una volta assunti questi lavoratori per necessità di lavoro, fosse ad essa poi impossibile licenziarli, quando la necessità di lavoro fosse venuta meno.

DI VITTORIO. Si era ovviato a questa difficoltà: dopo il 25 aprile.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Sì, in parte si era ovviato; però, oltre a questi, ci furono anche gli aspetti non benevoli, per i quali io trovò legittimo che i partiti, i rappresentanti dei partiti, abbiano sollevato il problema nell’Assemblea ed abbiano chiesto chiarimenti al Governo.

L’onorevole Morandi ha detto che, per la sola città di Milano, si sarebbero fatti, o si starebbero facendo, licenziamenti che interessano dalle quaranta alle cinquantamila famiglie; a Genova, dalle quindici alle ventimila. Per fortuna, io posso assicurare l’onorevole Morandi che non è questa l’entità dei guai che si profilano all’orizzonte.

Io ho dei dati. Prego l’Assemblea di esimermi dal leggerli integralmente, azienda per azienda; anche perché sarebbe mio desiderio non renderli di pubblica ragione per un senso di riguardo verso i lavoratori stessi. Posso dire comunque che, per le province di Milano e di Varese, i licenziamenti preannunciati, e non ancora notificati come tali, ma proposti a queste famose commissioni interne, oscillano fra i 4150 e i 5150.

DI VITTORIO. Ma se solo la Caproni…

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Un momento: questi sono i dati precisi ed esatti dell’ispettorato del lavoro di Milano.

Una voce a sinistra. Ma sono dati fantastici!

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Se l’assemblea lo desidera, posso fornirli alla Presidenza, ma vorrei, come ho già detto, non renderli di pubblica ragione per un senso di riguardo verso i lavoratori delle aziende indicate.

Facendo dei calcoli sulla capacità produttiva attuale della O.M., si arriva, sì, a una certa cifra complessiva di esuberanti cui accennava poc’anzi l’onorevole Morandi, ma ancora alla notifica in ragione di questa cifra non si è arrivati.

Per un’altra impresa bresciana, si è arrivati ad una cifra di molto, di molto inferiore, a quella cui accennava l’onorevole Morandi. Genova: il capo dell’ispettorato del lavoro di Genova ha comunicato che a tutto stamane sono stati effettuati licenziamenti solo in casi sporadici, in numero non superiore a dieci. (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Perché li abbiamo impediti.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Li avete impediti perché il sistema funziona.

Una voce a sinistra. No, perché c’è una discussione in corso.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Come no? Attraverso l’articolo 3 delle Commissioni interne. E posso dire di più: che sono stati impediti anche dal fatto che è venuta la proroga, perché molti di questi industriali dicevano – e la ragione è credibile – che fino a quando il termine era il 13 novembre non potevano assumersi oltre la responsabilità di licenziare gli operai anche quella di licenziarli scaduto il termine, mettendoli cioè in condizioni di non partecipare ai benefici previsti dalla legge. Quindi è pensabile che questa proroga abbia funzionato come una battuta d’arresto e consenta, dando tempo alle Commissioni interne, che ne hanno diritto in base all’accordo fatto, di intervenire per predisporre quella gradualità per i casi assolutamente indifferibili; per gli altri hanno diritto di chiedere la sospensione.

Ora, per Genova la situazione si presenta peggiore di quella di Milano, perché esistono lì dei complessi, o meglio un complesso I.R.I., che è particolarmente sovraccarico di lavoratori. Orbene, sommando tutte queste possibilità di licenziamenti (perché io ho avuto assicurazione precise dai dirigenti dell’I.R.I. che ancora nessun licenziamento è stato fatto e che sono state prese le misure perché non siano fatti fino a che non avremmo studiato, preordinato, individuato, o meglio, realizzato…

Una voce a sinistra. Ma se abbiamo delle lettere che ci dicono che sono stati licenziati!

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. No, signori: sono preannunciati. E si arriva per Genova, qualora tutti questi preannunci si realizzassero, scaglionati in un tempo assai lungo, o meglio non lungo quanto desidereremmo noi; lungo rispetto alla brevità minacciata nei giorni scorsi, ad un totale di diecimila lavoratori.

Torino. Fino al 20 ottobre si sono avuti soltanto pochi licenziamenti. Dal 20 ottobre ad oggi si sono licenziati meno di 300 operai. Un grande complesso come quello della Fiat, che occupa 50 mila operai, prevede un licenziamento di duecento operai. (Commenti al centro).

In totale, per Torino e provincia si prevedono dei licenziamenti nei prossimi mesi, e non nei prossimi giorni, tra i 4500 e i 5000 operai.

Poiché io non attingo ad una sola fonte (credo che sia mio dovere), sono ricorso a fonti diverse. (Il Ministero del lavoro ha anche questa fortuna, di avere due diverse fonti: gli Uffici del lavoro e gli Ispettorati del lavoro). Per quanto riguarda precisamente Torino ho ricevuto oltre a questa comunicazione, anche un telegramma di altra fonte, sempre ufficiale del Ministero del lavoro, il quale diceva: «Licenziamenti sinora effettuati in Torino e provincia dopo 20 ottobre seguono andamento normale. Licenziamenti probabili ora preannunciati settore industriale ammontano globalmente a poche centinaia di unità. Segue espresso». E naturalmente l’espresso ci dirà i termini della questione.

Da una terza fonte risulta che in provincia di Milano sarebbero stati dati preannunci di licenziamenti per 4000 lavoratori.

Per il resto della Lombardia 8500; per la Liguria 10.000 (le cifre collimano); per il Piemonte, da 3 a 4000; per l’Emilia 1000; per il Veneto 1000. In totale, fra 27.500 e 28.500. Naturalmente, tutti questi sono casi in contestazione fra le Commissioni interne e le direzioni degli stabilimenti, non sono licenziamenti effettuati.

Finora l’I.R.I. ha licenziato in tutta Italia solamente 400 operai, nella Filotecnica, a Milano.

Il sopraccarico dell’I.R.I. è notevole; notevole soprattutto a Genova e meno notevole a Milano. Complessivamente questo sopraccarico attuale, urgente, non supera le 11.000 unità.

C’è il problema dell’I.R.I. nell’Italia meridionale, ma ho avuto la confortante notizia che per quanto riguarda Napoli non si prevedono – anzi si escludono in modo assoluto – licenziamenti da parte dell’I.R.I. Anzi si predispongono piani perché venga mantenuta la capacità lavorativa attuale, e questo in funzione proprio dell’ormai noto stato di disagio in cui, specialmente a Napoli, la classe dei lavoratori metalmeccanici si trova.

Si è accennato anche alla Finsider. Ora i dirigenti della Finsider, oggi stesso mi hanno fatto arrivare all’ultimo momento, nel primo pomeriggio, l’assicurazione che le eccedenze (non licenziati o preannunciati licenziati!), le eccedenze del complesso industriale vanno fra 3500 e 4000. Quindi, nemmeno da questa parte vedremo una pioggia di licenziamenti!

C’è il problema di Taranto. Credo che i Cantieri navali di Taranto abbiano dato una prova di come si debba attuare il provvedimento. Che cosa hanno fatto? Prima di preannunciare licenziamenti, cioè prima di creare uno stato d’animo difficile ed inspiegabile per chi non capisce la gravità del provvedimento stesso, i dirigenti dei Cantieri navali di Taranto si sono rivolti alla Confederazione dei lavoratori e al Ministero del lavoro ed hanno detto: studiamo, prima di preannunciare questi provvedimenti, le modalità per assorbire l’assorbibile, per avviare gli avviabili in altri settori. E, attraverso l’intervento (che i dirigenti di Cantieri di Napoli del resto dichiararono apertamente) della Confederazione del lavoro e – per la parte che gli spettava – del Ministero del lavoro, è stato disposto un piano graduale e in parte un avviamento ad altri settori di queste quattro o quattrocentomila unità dei Cantieri navali di Taranto.

È questo, anzi, un tipico esempio, che conviene segnalare, di quello che può l’intesa fra gli interessati.

Una voce a sinistra. Corporativismo.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Non è corporativismo, è intesa fra la Confederazione del lavoro e la Confederazione industriale.

Attraverso questa intesa si arrivò anche ad una razionalizzazione (e mi pare che fu proprio l’onorevole Di Vittorio che persuase la commissione interna ad intenderne l’opportunità nell’interesse di tutta la massa dei lavoratori), la razionalizzazione del pagamento dei cottimi.

Ho creduto mio dovere segnalare questo esempio, perché mi pare che in questo momento – in cui forse alcuni per loro conto hanno creduto di approfittare di questa legge di sblocchi senza prendere cura delle conseguenze – l’esempio di quello che è avvenuto a Taranto possa segnare per tutte quante le imprese la via da seguire.

Percentuale. La percentuale, oltre ai 27 mila licenziamenti previsti nell’alta Italia, è per ipotesi di altri 13 mila. Se volete aggiungiamo altri 10 mila. Altri 23 mila per le altre Regioni d’Italia in base alle notizie che ho…

BITOSSI. Savona, Imperia, La Spezia, Livorno.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Io ho tutte le notizie possibili in questo momento. Non gioco al lotto e quindi non posso tirare fuori delle cifre a caso. (Applausi al centro).

LIZZADRI. Le tira lei le cifre.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ad ogni modo ho aggiunto a queste cifre altri 23 mila casi prevedibili…

LIZZADRI. Come fa a dirlo? Questi sono numeri al lotto.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Per larghezza. Si arriverebbe in questa ipotesi a 50 mila licenziabili. I 50 mila licenziabili rispetto al totale degli occupati nell’industria in Italia sono meno dell’uno per cento e se ci si riferisce (non mi rallegro di questo, ma siccome bisogna misurare il fenomeno, cerco di misurare tutto insieme; vedremo poi come ridurlo) solo al settore dei metalmeccanici, al quale nella generalità dei casi questi licenziamenti si riferiscono, si arriva la circa il 4 per cento. Se vogliamo attenerci solo alle cifre note, e cioè ai 27 mila licenziabili dell’Alta Italia preannunziati, rispetto agli occupati nel settore industriale, trasporti e comunicazioni nell’Alta Italia – due milioni e duecentomila – i 27 mila sono uno ed un mezzo per cento. Se vogliamo scendere invece ai confronti regionali e si confrontano ì disoccupati preannunziati per ogni regione, con gli occupati nel settore industriale in ogni regione, si arriva a questa percentuale: meno dell’uno per cento in Piemonte; quattro per cento in Liguria…

Una voce a sinistra. Sempre la Liguria!

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. È la regione che più ci deve preoccupare.

Dicevo il quattro per cento in Liguria; 1,3 per cento in Lombardia; 0,3 per cento nel Veneto e 0,4 per cento nell’Emilia.

Ma devo aggiungere che per queste due ultime regioni non possiamo lasciarci sollevare da queste cifre, perché si tratta di due regioni eminentemente agricole, in cui la disoccupazione massima e quindi la nostra massima preoccupazione deve essere rappresentata dai braccianti e dai disoccupati agricoli.

Questo è stato il motivo per il quale il Governo, predisponendo un piano di opere pubbliche, ha preso particolarmente in considerazione queste regioni destinando ad esse una somma di miliardi che è notevolmente superiore a quella destinata alle altre regioni.

In questa situazione, che preoccupa, che cosa si chiede dai lavoratori e dai rappresentanti dei lavoratori?

Io credo di ritenere che si può ricorrere a dei testi per così dire ufficiali, certo, molto autorevoli, come un articolo di Fernando Santi sull’Avanti di ieri, il quale fa dei rilievi. Comincia col riconoscere che vi sono delle aziende (il riconoscimento è stato fatto dall’onorevole Morandi e ripetuto dall’onorevole Di Vittorio) in cui il peso della manodopera non può più continuare senza che rischi di schiacciare la possibilità di vita dell’azienda stessa, riconoscimento che tutti facciamo. È un riconoscimento il quale non esonera dal predisporre tutti i mezzi opportuni per far sì che di questa smobilitazione il peso non sia portato dai lavoratori.

Aggiunge Fernando Santi: «Gli industriali hanno attinto per ventenni alle proprie aziende non investendo i larghi profitti in riserve o impianti, ma in attività extra aziendali. Queste ricchezze devono tornare al patrimonio dell’azienda o costituire comunque garanzie per i finanziamenti che si sollecitano».

Evidentemente questo passo io penso che dovrebbe essere sottoscritto da tutti quanti noi.

DI VITTORIO. Trasformatelo in una legge.

FANFANI, Ministro del Lavoro e della previdenza sociale. Se l’onorevole Di Vittorio ha letto e meditato il decreto istitutivo del fondo per l’industria meccanica avrà visto che in esso è previsto anche questo.

La Confederazione generale italiana del lavoro – aggiunge Santi – chiede anche che si provveda a dare una qualifica professionale ai lavoratori che ne sono sprovvisti, per facilitarne l’assorbimento in quei settori che avvertono la mancanza di specializzati e per agevolare l’avvio a quei Paesi che ne fanno richiesta.

Siamo perfettamente d’accordo. Ci stiamo muovendo su questa strada. Desidero essere aiutato da tutti quelli che possono.

Ed aggiunge il Santi: devono a ciò contribuire lo Stato e gli industriali, poiché tanto il Paese, quanto questi ultimi beneficiano duella maggiore capacità produttiva della mano d’opera qualificata.

Pienamente d’accordo anche su questo, e non soltanto in teoria, ma in pratica, perché il decreto sui corsi che insieme dobbiamo discutere prima di arrivare ad una sua determinazione in sede legislativa, prevede proprio questo: il concorso dello Stato con due miliardi, un concorso proporzionale al numero dei disoccupati da parte degli industriali.

L’onorevole Bitossi è un po’ diffidente sul concorso degli industriali…

BITOSSI. Possono bastare per le scuole professionali di duemila persone?

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Se l’onorevole Bitossi desidera schiarimenti, gliene posso dare. Se noi pensassimo di creare delle scuole professionali, coi professori, coi banchi, coi calamai, colle macchine, i due miliardi farebbero ridere. Ma noi non vogliamo questo. Io penso che voi non volete questo. Io non presterei la mia collaborazione ad una cosa di questo genere, nonostante che con questo io precluda per l’eternità la mia candidatura al Ministero dell’istruzione pubblica.

Ma che cosa si deve fare? Incoraggiare i corsi che vi sono già. L’onorevole Bitossi sa che vi sono già. Vanno migliorati, ma esistono per esempio quelli dell’E.N.A.L. e dell’I.M.P.L.I. che l’anno scorso avviarono ad una migliore istruzione professionale, o ad un perfezionamento professionale qualche cosa come 70.000 lavoratori. Sono troppo scolastici ancora: occorre trasformarli nel senso che insieme desideriamo.

Si tratta di usare questi due miliardi per integrare le indennità di disoccupazione dei lavoratori, per far sì che si migliorino operando in settori speciali, industriali o dell’edilizia. Questi due miliardi servono ad avviare a questo perfezionamento qualche cosa come centoventimila lavoratori. Penso, onorevole Bitossi, che se solo con questo espediente si dovesse provvedere alla disoccupazione italiana, io dovrei associarmi al suo sorriso. Ma io non penso che solo con questo mezzo si debba provvedere. Bisogna fare qualche cosa di ragionevole perché molti lavoratori di qualificazione non ne hanno bisogno, altri lavoratori hanno bisogno di altre forme d’intervento. Per altri v’è tutto un sistema di lavori pubblici ai quali l’onorevole Di Vittorio ha accennato, e per i quali ha dato qualche notizia. Spero che nei prossimi giorni ne vengano di ulteriori, ma soprattutto spero che nei prossimi giorni si inizino questi lavori pubblici. Con le notizie soltanto la gente non si fa lavorare.

Sono state fatte altre richieste (le desumo dal Globo di stamane) dai lavoratori dell’alta Italia. Il giornale dice che queste nuove richieste verranno trasmesse al Governo. Le ho lette, ed ho visto che nella quasi totalità per quel che riguarda l’economia noi possiamo trovarci d’accordo. Non solo, dico che siamo su questa strada; che stiamo operando in questo senso.

Ho già accennato all’incontro avvenuto nei giorni scorsi fra la Confindustria e la C.G.I.L. Non torno su questo argomento: mi pare di buon auspicio. Naturalmente, occorre realizzare le speranze, e far sì che a quella riunione altre ne seguano; e siano riunioni fattive, concrete, che offrano la possibilità ed i mezzi di andare incontro a questi lavoratori.

Per quanto riguarda il problema di Genova, io posso dire che mi sono preoccupato della situazione. Ho qui perfino una cartina topografica. In una città come Genova non è indifferente far sorgere una scuola a Cornigliano o in un’altra zona. Quindi, bisogna provvedere razionalmente anche a questo aspetto che sembra secondario ma che è molto importante ai fini di far cosa utile ai lavoratori stessi.

V’è il problema dell’emigrazione: ho detto già qualche cosa.

V’è il problema dei corsi. Ho qui lo schema del decreto che insieme stiamo preparando. V’è tutta una serie (e potrei leggere la cronologia) di riunioni fatte o da farsi da ora all’8 novembre nelle varie zone d’Italia con l’intervento degli interessati: prefetti, Uffici del lavoro, Ispettorati del lavoro, per far sì che questi corsi escano dalla teoria e dal provvedimento per entrare nella realtà.

Questa, la rassegna che, a proposito del problema sollevato dagli onorevoli Morandi e Di Vittorio, fio ho creduto opportuno di fare per precisare la genesi del fenomeno e la sua attuale intensità; per aggiungere una parola sugli sviluppi, che potrebbero essere gravi di questo stesso fenomeno; sulla necessità, quindi, che oltre alle provvidenze prese dal Governo tutti quanti i cittadini italiani interessati a questo problema – evidentemente, primi gli industriali – manifestino appieno un grande senso di responsabilità.

Stiamo a trattare non di un semplice fenomeno economico, ma di un fenomeno economico che, come quasi tutti – vorrei dire, tutti – coinvolge problemi di esistenza, di dignità, di benessere di tutti quanti i lavoratori, e – starei per dire – di tutti quanti gli uomini.

È necessario che in questo momento venga, anche da parte del Governo, un invito a tutti coloro che possono intervenire favorevolmente per limitare il fenomeno, per combatterlo e, in una parola, per ridurlo; e per far sì che questa politica della massima occupazione possibile venga spinta davvero al massimo.

Non si tratta di fare un’opera che torni a beneficio di questo o di altri Governi: si tratta di fare un’opera che torni a beneficio di tutti quanti i nostri concittadini. (Vivissimi applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Morandi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORANDI. Sarò molto breve nella mia replica, per dichiarare la mia insoddisfazione.

L’onorevole Ministro ha portato all’Assemblea una larga visione, come egli si è espresso, dei problemi del lavoro, forse troppo larga, fino a sommergere l’oggetto dalla materia propria dell’interpellanza.

Non starò a riprendere uno per uno gli argomenti ed i punti programmatici da lui esposti. Dirò soltanto che gli sviluppi di una politica della massima occupazione non hanno avuto finora fondamento troppo solido nella politica governativa. Poiché è vero certamente che la determinazione di procedere agli ammassi per contingente non è stata presa a questo fine, come non hanno avuto in vista quale loro scopo diretto la massima occupazione, i provvedimenti di carattere finanziario, cui ha fatto riferimento.

Di queste cose, come ho già accennato, noi ci riserviamo di riparlare in altro momento.

Onorevole Ministro, ella però è caduta in un grave sbaglio parlando dell’I.R.I., evidentemente perché male informato. Ha detto che si è già provveduto alla sua sistemazione perché di recente sono stati dati dieci miliardi a questo istituto.

FANFANI. Ministro del lavoro e della previdenza sociale. I dieci miliardi sono per la garanzia delle navi costruibili presso l’Ansaldo; forse mi sono espresso male.

MORANDI. Onorevole Fanfani, il Ministro del tesoro le può certamente dire in quale situazione versi l’I.R.I. I fondi assegnatigli, entro metà novembre saranno assorbiti per intero semplicemente dal pagamento delle paghe.

Quanto alla copertura delle commesse estere per ordinazione di naviglio, voglio osservare che soltanto l’Ansaldo è scoperta per 20-25 miliardi. Tale grave questione si è originata dalla nostra politica valutaria e forse anche da qualche errore nella stipulazione dei contratti.

Il Ministro del lavoro ci ha dato ancora una volta l’attestazione dello scarso interesse che il Governo porta alla situazione dell’I.R.I., della leggerezza con la quale ne tratta.

Voglio soffermarmi su un punto solo di quello che il Ministro Fanfani ha spiegato essere stato il processo di formazione della situazione attuale, la genesi, più particolarmente, dei provvedimenti da lui presi. Mi riferisco alle trattative che si svolsero nel settembre dello scorso anno, e all’indagine condotta da una commissione ministeriale. L’atteggiamento della Confederazione del lavoro risultò allora chiarissimo oltre che dalla lettera, soprattutto dallo spirito nel quale le trattative si svolsero, trattative cui parteciparono personalmente dei Ministri.

Si subordinava al nuovo accordo per le commissioni interne, non già l’attuazione dello sblocco, ma l’inizio di trattative per lo sblocco dei licenziamenti. Ho partecipato di persona a queste trattative e posso testimoniarne.

Ora, però, io avevo già prevenuto l’onorevole Ministro che poco ci poteva interessare, in merito all’argomento da noi svolto, la questione procedurale e la genesi dei provvedimenti. C’interessano molto di più le conseguenze derivatene di fatto: a questo proposito debbo dire che quando l’onorevole Ministro Fanfani sostiene che la gradualità nell’attuazione dello sblocco dei licenziamenti era automaticamente assicurata dalle facoltà di esame che erano conferite alle commissioni interne, io obietto che esse non potevano essere uno strumento valido allo scopo. Si trattava piuttosto di limitare con norme obiettive la quantità od il volume dei licenzia menti. È chiaro infatti che se gli industriali volessero – come pare che facciano – svolgere una loro politica del lavoro e tenere un atteggiamento tale da costringere le commissioni interne a negare ogni volta il loro assenso alle richieste di licenziamento avanzate in modo così smisurato per fare alla fine saltare il sistema, non v’è procedura migliore da offrire loro di quella che oggi si prevede. Per quanto riguarda il centro-sud l’onorevole Ministro ci ha detto che se ne tratta, e sta bene, ma questo avviene ora, e il provvedimento porta la data del 12 agosto. Ha la sua importanza quel che l’onorevole Ministro ha riferito circa l’entità del fenomeno. Mi consenta però di dubitare che le cifre di cui è in possesso rispondano alla realtà, non perché manchi veridicità alle cifre, nel momento in cui esse furono rilevate, ma perché il fenomeno si presenta con un aspetto incalzante e soggetto ad un accrescimento continuo.

FANFANI, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Sono state rilevate stamattina,

MORANDI. Ella sa come funzionano questi apparati: non sarà certamente la situazione odierna che sarà stata rilevata dagli uffici del lavoro. Ad ogni modo, sommando le cifre che Ella ha portato, si avrebbe un complesso di 63.000 licenziamenti, e non 50.000. Noi però non abbiamo capito se siano da considerare tanti o pochi questi 50.000 o 60.000, il che importa un criterio di valutazione nei confronti del fenomeno. Se la cifra d’altronde fosse così ridotta, sarebbe da domandarsi per quale ragione si chiede lo sblocco da parte degli industriali con tanto accanimento e perché tanta spilorceria si pratica da parte del Governo nell’erogare i sussidi e nell’assegnare i termini.

Evidentemente è perché significa che ben altra ampiezza abbia ad assumere il fenomeno dei licenziamenti. Ora, a me pare che l’onorevole Ministro, al quale attesto ancora una volta la mia personale estimazione, abbia un po’ troppo incautamente preso oggi la difesa dei fatti, piuttosto che non del proprio operato. Egli ha voluto dare piena legittimazione a quel che sta avvenendo, e che ha causato lo sciopero a Milano, come potrà causare domani agitazioni e scioperi in altri centri. Egli ha detto che il Governo ha sentito e sente questa che è l’angoscia dei lavoratori. Sì, lo ha sentito teoricamente, ma non ci ha detto come intende di reagire davanti ad una situazione derivata come risultanza pratica, non che gli intendimenti che hanno ispirato le provvidenze prese, ma dal comportamento degli industriali. È quello che volevamo sapere, è questo che dobbiamo sapere.

V’è ancora qualcosa di assai grave, che si limita da parte nostra ad una constatazione in due parole. Io trovò una lacuna anche troppo significativa nella risposta del Ministro. Egli non ha fatto parola dei consigli di gestione. Eppure noi non abbiamo portato la questione dei consigli di gestione così per farlo, lateralmente, ma l’abbiamo svolta dall’interno del problema considerato, come una questione di fondo, per lo meno così la vediamo. Perché ancora questa volta, in questo momento, il Governo sfugge ad esse? Non possiamo usare altra parola che questa.

Onorevole Presidente del Consiglio ed onorevoli colleghi, commossi e preoccupati degli avvenimenti di questi giorni, noi avevamo cercato di provocare una parola che tranquillasse oggi le masse lavoratrici. È questa la nostra funzione. Onorevole Fanfani, non abbiamo bisogno dei suoi suggerimenti. È questo proprio che noi vogliamo fare: incalzare il Governo, tenerlo sotto un assillo continuo perché operi a vantaggio dei lavoratori piuttosto che contro di essi.

Ora, questa parola che noi abbiamo inteso di provocare non è venuta. Io non vorrei allora che la deliberata moderazione con la quale ho svolto l’interpellanza, fosse interpretata come un atto di debolezza o di cedimento. Credo di aver portato delle questioni non vuote del tutto, credo di aver pacatamente precisato, sotto qualche aspetto per lo meno, il significato e la portata di una questione come questa.

La risposta che abbiamo avuto non ci rassicura per niente. Pertanto non abbiamo a questo punto che da lasciare la parola ai fatti. Noi ci riserviamo di risollevare questa questione dopo la breve vacanza che l’Assemblea sta per prendersi, qualora la situazione non migliorasse. E, naturalmente, saremo anche più duri, se così si richiede per ottenere maggiore ascolto. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Di Vittorio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI VITTORIO. Onorevoli colleghi, il discorso dell’onorevole Fanfani, così ricco di dettagli sull’azione svolta dal suo Dicastero, credo che abbia eluso, come giustamente osservava anche il collega Morandi, la questione fondamentale posta dalla nostra interpellanza.

La questione fondamentale è questa: in presenza dei risultati generali della politica economica del Governo, in presenza della minaccia di licenziamenti in massa annunciati da numerosi industriali (e tornerò brevemente sui dati dell’onorevole Fanfani) si sono provocate nel Paese, alla vigilia dell’inverno, profonde preoccupazioni, particolarmente nelle masse lavoratrici.

Noi abbiamo chiesto al Governo se intendesse svolgere una politica economica produttivistica, di stimolo alla produzione, ricorrendo ai mezzi che sono necessari per raggiungere questo scopo, impedendo che ci si appoggi sulla forza di inerzia dei licenziamento e dell’abbandono al loro destino di migliaia e migliaia di lavoratori per vincere le difficoltà attuali; e se intendesse modificare la sua politica generale, per quanto riguarda il commercio con i paesi esteri e per aumentare le possibilità di lavoro e di esportazione del nostro Paese.

A queste domande, però, l’onorevole Fanfani praticamente non ha risposto. Il Ministro del lavoro ha ridotto il fenomeno dei licenziamenti annunciati a proporzioni assai modeste.

Tutti noi ci auguriamo che il fenomeno sia in realtà più modesto ancora; però, fra i dati che sono giunti all’onorevole Fanfani e quelli che sono giunti alla Confederazione del lavoro, vi è una grande sproporzione.

D’altra parte, non possiamo credere che la Confederazione dell’industria avrebbe posto il problema dello sblocco con l’acutezza, l’intransigenza, la forza con cui l’ha sostenuto se si fosse trattato appena di 4000 licenziamenti a Milano, di qualche centinaio a Torino, e di altre poche centinaia in altre province. Se la Confederazione dell’industria ha posto il problema come l’ha posto, compiendo verso la Confederazione del lavoro un atto di sfiducia, che noi abbiamo rintuzzato con forme moderate, ispirandoci sempre al più alto spirito di responsabilità, ma che è un fatto senza precedenti nella storia dei rapporti sindacali non soltanto in Italia, fra due grandi organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori; è evidente che il fenomeno ha proporzioni ben più imponenti di quelle che risultano dai dati comunicatici dall’onorevole Fanfani.

Comunque, noi desideriamo che il Paese sappia, che il Governo sappia che le masse lavoratrici e le loro organizzazioni sindacali, ispirandosi sempre alla preoccupazione non solo di non nuocere alla economia del Paese, ma di fare tutto ciò che è possibile per risanarla e svilupparla, non permetteranno però che si possa disporre dei lavoratori, delle grandi masse dei lavoratori come delle cose; non permetteranno cioè che si effettuino licenziamenti in massa.

I lavoratori insistono ed insisteranno perché si attui una politica che forzi in tutta la misura del possibile la produzione e l’assorbimento della mano d’opera in tutti i lavori produttivi che si possono eseguire nel nostro Paese (e non vengono eseguiti) e dei quali ho già fatto cenno.

Noi abbiamo posto, come urgente ed attuale, il problema dei consigli di gestione nell’interesse della produzione, perché si possano fare gli accertamenti necessari affinché i grandi industriali, e i monopoli, siano posti in condizione di non nuocere agli interessi del Paese, e quindi dei consumatori. Nell’interesse dell’economia generale del Paese vogliamo che i lavoratori, attraverso i consigli di gestione, cessino di essere semplici locatori di braccia e di menti – per quanto riguarda i tecnici e i dirigenti – e diventino invece i compartecipi coscienti, consapevoli, corresponsabili della produzione.

Voi, ai consigli di gestione non avete fatto nessuna allusione. È evidente: l’ostilità ai consigli di gestione si spiega soltanto per il fatto che i signori industriali tengono a riaffermare ed a consolidare il concetto dell’assolutismo del padrone nella fabbrica, considerando i lavoratori come gente che non deve partecipare, che non deve avere nessuna corresponsabilità, come dei semplici locatori di braccia.

I consigli di gestione esistono anche in altri paesi. I comités d’entreprise hanno dato in Francia eccellenti risultati, specialmente nelle aziende in cui hanno potuto svolgere con maggiore libertà la loro funzione; le aziende nazionalizzate della grande industria metalmeccanica, con la partecipazione dei comitati di impresa, hanno raggiunto e superato la produzione dell’anteguerra.

Ebbene, poiché attraverso i consigli di gestione i lavoratori possono procurarsi delle garanzie positive contro ogni possibilità di abusi e di ingiustizie da parte dei padroni, dei grandi industriali, noi insistiamo nel chiedere che questi organismi siano legalizzati ed estesi in Italia a tutte le aziende di notevole importanza. Il Governo non fa parola di tutto ciò; è per questo quindi che noi diciamo che i consigli di gestione, già funzionanti in Italia, terranno prossimamente un grande congresso cui inviteranno numerose commissioni interne funzionanti nell’ambito delle aziende. In questo loro congresso, essi riaffermeranno la volontà dei lavoratori italiani di partecipare al processo della produzione con eguale responsabilità, per poter collaborare allo sviluppo economico del Paese.

Si è parlato anche dell’I.R.I. e si sono dette delle cose di carattere generico. I consigli di gestione dell’I.R.I. da circa un anno ed anche da maggior tempo hanno elaborato un piano di riorganizzazione dell’istituto e delle principali aziende da esso dipendenti, fra cui l’Ansaldo. Il piano di riorganizzazione dell’Ansaldo prevedeva alcuni contributi importanti da parte dello Stato, ma presupponeva un risanamento di carattere definitivo.

Non si è preso in considerazione il progetto di riorganizzazione dell’I.R.I. e, in generale, tutti i problemi sono rimasti insoluti e si sono anzi aggravati e complicati. Questo accenno può contribuire a far risaltare l’utilità che i consigli di gestione possono avere e il torto che ha il Governo di non volerli accogliere e di non volerne nemmeno parlare per non dire al Paese le ragioni per cui si ostacola questa aspirazione che costituisce una profonda esigenza dei lavoratori italiani e del Paese.

Io domando perciò che il Governo si pronunzi sul problema fondamentale allo scopo di rassicurare i lavoratori che è sua intenzione di far qualche cosa di più, molto di più di quel tanto che ha previsto sinora in Italia e soprattutto esprima il proprio pensiero intorno ai consigli di gestione. (Applausi a sinistra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io vorrei che il problema dei consigli di gestione che qui qualche volta in forma polemica è stato trattato, fosse invece discusso in forma, direi, tangenziale. Se non esistesse infatti un organo di collaborazione operaia, voi avreste allora ragione di cercare questo organo nei consigli di gestione; ma poiché esiste un accordo fra i lavoratori e gli industriali per la procedura da seguire in caso di necessità di sblocchi e poiché quest’organo è rappresentato dalle commissioni interne le quali hanno un ufficio decisivo e determinante, io non ravviso la esigenza immediata dei consigli di gestione; i quali, del resto, investono un problema di ben maggiore ampiezza, tanto che potremmo continuare questa discussione per tutta la notte, senza giungere ad una conclusione. Essi riguardano infatti la produzione in genere.

È quindi ridicolo pensare che con un organo di tal genere si possano mutare le basi della produzione. (Proteste a sinistra). Ne potremo del resto parlare a tempo debito; non è però per niente vero che sia questo dei consigli di gestione un rimedio per la materia specifica dello sblocco dei licenziamenti. (Commenti a sinistra).

Ad ogni modo, parliamoci seriamente: credete che si possa oggi, per legge, imporre i consigli di gestione?

Voci a sinistra. Sì! Sì!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io dico di no. (Interruzioni – Rumori a sinistra). Quando siamo venuti a questo banco per la quarta volta si era di recente ottenuto un accordo sulle commissioni interne, e allora abbiamo dichiarato: come è stato possibile ottenere un accordo tra le rappresentanze dei lavoratori sindacati e i rappresentanti degli industriali sulle commissioni interne, così deve essere possibile ottenere un accordo sui consigli di gestione.

Questa è la strada che si doveva percorrere anche nell’azione degli altri Ministeri. Ne abbiamo discusso anche con Morandi, ne abbiamo discusso tante volte: si trattava di ottenere la collaborazione, attorno a questo progetto, delle due parti, perché se i consigli di gestione costituiscono uno strumento di cooperazione con gli industriali, le industrie si possono salvare, ma se rappresentano un nuovo elemento di rottura allora ci portano al disastro. (Vivi applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Cacciatore).

PRESIDENTE. Facciano silenzio!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Le basti il fatto, onorevole Cacciatore, che in quasi tutte queste industrie in cui si arriva al blocco, nelle quali la produttività è scarsa e per le quali dobbiamo arrivare a misure così antipatiche, in quasi tutte, dico, esistono i consigli di gestione. (Rumori a sinistra).

Io riconosco che il problema dei consigli di gestione è molto importante. Io dico però: in un momento di crisi, in cui tutte le forze devono concentrarsi (Interruzioni a sinistra), bisogna che i consigli di gestione nascano dalla collaborazione fra gli uni e gli altri, ed è questo che si deve cercare. (Interruzioni).

Voi potete avere in mano un modo di attuazione, e il Governo si affretterà a consolidarlo, a dar forma giuridica a tutti questi accordi che valgano ad ottenerlo. Se in un certo momento questo non sarà possibile bisognerà ricorrere anche a forme di legge. Si farà; ma non in un momento di crisi industriale. (Vivi applausi al centro e a destra – Rumori a sinistra).

Quanto alle nostre disposizioni pratiche, vi basti l’esempio che stiamo introducendo – è stato deciso il 24 – il consiglio di gestione nell’unica grossa industria statale che abbiamo, l’industria del carbone in Sardegna, e in più, anche la partecipazione dei lavoratori al consiglio di amministrazione. Tutto questo prima non v’era. Noi non siamo contrari ai consigli di gestione; però… (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Però?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. …però crediamo che si debba agire in un clima d’accordo, come si è fatto, per le commissioni interne, e a tutti gli sforzi che. tendono a questo scopo noi daremo il nostro appoggio.

Una voce a sinistra. Però, però!

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Però vi dico questo: che se continuano le agitazioni e gli scioperi, in questa maniera non si salva l’Italia e non si salva la Repubblica! (Vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Lo svolgimento delle interpellanze è così esaurito.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Caso, Riccio e Firrao hanno presentato la seguente interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere le ragioni che hanno determinato la soppressione dell’Ispettorato provinciale forestale di Napoli, danneggiando il prestigio, sia pure in un settore soltanto, della grande città mediterranea e della sua provincia e mettendo in serio pericolo quella tutela boschiva che, all’indomani delle distruzioni belliche, merita invece di essere intensificata onde riparare i danni e dare nuovo rigoglio al patrimonio boschivo».

Mi riservo di darne notizia al Ministro competente perché faccia sapere quando intenda rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Ed ora, onorevoli colleghi, penso che possiamo sospendere per alcuni giorni i nostri lavori, per riprenderli il 6 del prossimo mese, alle 11, per lo svolgimento di interrogazioni. A tal proposito faccio presente che il Ministro dei lavori pubblici ha chiesto che per quella seduta siano poste all’ordine del giorno tutte le interrogazioni che gli sono state rivolte in questi ultimi tempi.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, alle 16, ritengo che si potranno discutere i seguenti disegni di legge:

«Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico».

«Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia».

Poi, tempo avanzando, seguirà la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana; ma, comunque, nella seduta antimeridiana del giorno 7 potremo incominciare la discussione generale sopra gli ultimi due Titoli del progetto di Costituzione, e cioè: «La Magistratura» e le «Garanzie costituzionali».

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Prego l’Assemblea di voler consentire che la discussione dei due disegni di legge, annunziata dal Presidente, anziché nella seduta pomeridiana del 6 si faccia in una seduta posteriore al giorno 7, dato che fino a quel giorno sono impegnato, e con me credo molti dei colleghi avvocati, al Congresso forense di Firenze.

PRESIDENTE. Il Ministro di grazia e giustizia chiede di rinviare di un paio di giorni la discussione dei due disegni di legge testé citati, perché a quella discussione egli desidera di essere presente. Credo che si possa senz’altro accogliere la proposta dell’onorevole Grassi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Proporrei di iniziare l’esame dei disegni di legge nella seduta di lunedì 10 novembre.

PRESIDENTE. Terremo conto di questo suo desiderio. Credo che non vi siano ragioni particolari per non accettare la sua idea. Però questa sera l’Assemblea non deve prendere alcuna decisione per le sedute dal 7 in poi.

Se non vi sono osservazioni, rimane stabilito che la seduta antimeridiana di giovedì 6 novembre sarà dedicata alle interrogazioni e la pomeridiana al seguito della discussione del progetto di Costituzione.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e del bilancio, per sapere se risponde a verità la notizia secondo la quale il personale del Poligrafico dello Stato si sarebbe rifiutato di procedere alla stampa del fascicolo della Gazzetta Ufficiale contenente il nuovo ordinamento dell’Istituto Poligrafico stesso, e si sia poi indotto a dar corso alla pubblicazione in seguito a formale promessa che le disposizioni concernenti un limitato intervento dei rappresentanti del personale nel Consiglio di amministrazione, sarebbero state modificate nel senso desiderato dal personale medesimo.

«Nell’occasione si desidera conoscere se il Governo non ravvisi l’opportunità di rendere la stampa delle carte valori e quella delle leggi dello Stato indipendenti da intollerabili interventi esterni, incompatibili con la delicatezza della materia e col principio di sovranità dello Stato.

«Di Fausto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, sui provvedimenti che intende di adottare per indurre la Prefettura di Bergamo a riconsegnare alla Ditta Fratelli Pero di Mortara l’autovettura Fiat 1100 targata PV 15190 (ora arbitrariamente targata BG 11564) rapinata dai fascisti, ed ora illecitamente tenuta da quella questura.

«In proposito si fa presente:

1°) che nel febbraio 1944 alcuni elementi della guardia fascista repubblicana di Vigevano si impossessarono della autovettura Fiat 1100 targata PV 15190 della Ditta Fratelli Pero di Mortara (Pavia);

2°) che tale autovettura andò a finire alla Prefettura di Bergamo, presso la quale a qualcuno ha fatto comodo di cogliere l’occasione (invece di restituirla alla ditta rapinata) di tentarne l’espropriazione trasmettendo, per la ditta rapinata, all’ufficio disciplina autoveicoli di Pavia, un assegno bancario di lire 28.800 in data 9 marzo 1945, quale prezzo di acquisto;

3°) che all’economato del Ministero dell’interno non risulta nessuna annotazione relativa a tale acquisto;

4°) che i fratelli Pero, non intendendo di sanzionare in qualsiasi modo la violenza e il danno subìto non soltanto si rifiutarono di ritirare il predetto assegno (che pertanto rimase a disposizione del mittente), ma fin dal gennaio 1946 presentarono domanda al Ministero dell’interno per avere in restituzione la loro automobile, e ottenere i compensi relativi, senza peraltro ottenere alcuna risposta;

5°) che da allora la Ditta Fratelli Pero svolse numerose pratiche presso il Ministero dell’interno, la Direzione generale di pubblica sicurezza, la Prefettura di Pavia e quella di Bergamo, il Ministero dei trasporti (Ispettorato generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione), la Questura di Bergamo e che pure l’interrogante, da oltre un anno, sta occupandosi di ciò, senza risultato alcuno;

6°) che il prefetto di Bergamo, con sua nota 17 ottobre 1946 comunicava all’interrogante che l’autovettura Fiat 1100 targata PV 15190, dopo essere stata per breve tempo presso quella Prefettura, era stata ritirata dal Ministero dell’interno e che nulla egli poteva fare in proposito; cosa che non rispondeva al vero, perché l’autovettura medesima è sempre rimasta ed è tuttora presso la Questura di Bergamo;

7°) che il 29 ottobre 1946 i fratelli Carlo e Giuseppe Pero si presentarono alla Prefettura di Bergamo muniti di una regolare decisione del direttore comparti mentale di Milano, dell’Ispettorato generale della motorizzazione civile, in data 23 dello stesso mese, numero 16604/G-106; con la quale si autorizzava la ditta stessa a ritirare l’autoveicolo in parola dalla Prefettura medesima, alla quale pure si comunicava la predetta autorizzazione, in copia; ma si sentirono rispondere che la macchina non era più a Bergamo, perché ritirata, insieme ad altre, dal Ministero dell’interno; e dopo loro vive insistenze, si ammise da quei funzionari che la macchina era ancora presso la Questura, ma che il questore riteneva di dover attendere il benestare del Ministero per farne la consegna;

8°) che la voluminosa corrispondenza in proposito svoltasi da allora culminò (come ultima beffa della Prefettura di Bergamo alla Ditta Pero, all’interrogante, alla Direzione generale di pubblica sicurezza e al Ministero) con la lettera 30 agosto 1947, n. 13694, con la quale la Prefettura comunicava alla Direzione generale della pubblica sicurezza che l’autovettura di cui trattasi è ferma presso l’autorimessa della Questura di quella città, perché bisognosa di riparazioni, e che non è ancora stata restituita ai fratelli Pero perché si devono ricuperare prima le seguenti somme: lire 33.879 per riparazioni fatte durante i tre anni di illecito uso; lire 28.000 spedite all’ufficio disciplina autoveicoli di Pavia;

9°) che tutto ciò si è fatto e si fa da funzionari impegnati in tal modo a compromettere il prestigio dello Stato e delle alte autorità che lo rappresentano. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Canevari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti ha preso contro il questore di Milano che arbitrariamente ha vietato l’affissione di un manifesto della Fiom, tendente ad informare la cittadinanza sulla minaccia che incombeva su parecchie decine di migliaia di lavoratori di essere licenziati.

«I vari pretesti con i quali il questore di Milano ha vietato l’affissione sono una palese violazione della libertà di stampa, e valga, a dimostrazione della puerilità dei pretesti, la lettura del manifesto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Roveda».

PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà posta all’ordine del giorno e svolta a suo turno, trasmettendosi ai Ministri competente le altre per le quali si chiede la risposta scritta.

La sedata termina alle 21.45.

Ordine del giorno per la seduta di giovedì 6 novembre 1947.

Alle ore 11:

Interrogazioni.

Alle ore 16:

  1. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
  2. Discussione dei seguenti disegni di legge:

Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10). – Relatore Bettiol.

Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia. (11). – Relatore Bozzi.