Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLIII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 10 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Interrogazione (Svolgimento):

Presidente

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Rossi Paolo

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Fuschini

Colitto

Mortati

Clerici

Stampacchia

Tonello

Uberti

Priolo

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Lucifero

Costantini

Buffoni

Lussu

Laconi

Nitti

Romano

Rossi Paolo

Gasparotto

La seduta comincia alle 11.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Caso, Dozza, Pera, Sapienza, Sardiello.

(Sono concessi).

Svolgimento di interrogazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha chiesto di rispondere all’interrogazione presentata dagli onorevoli Rossi Paolo, Lami Starnuti, Segala, Mazzoni, Carboni Angelo, Persico:

«Al Ministro dell’interno, sulle violenze commesse durante la campagna elettorale in Roma contro candidati del P.S.L.I. e in particolare modo sull’aggressione organizzata contro un membro dell’Assemblea Costituente, l’onorevole Matteotti; e per sapere quali urgenti disposizioni intenda prendere per assicurare le libertà di riunione, di parola e di voto».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Desidero chiedere agli onorevoli interroganti se intendono estendere l’interrogazione, che riguarda i fatti del giorno 7 anche ai fatti del giorno 8.

ROSSI PAOLO. Evidentemente.

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Marazza, c’è una interrogazione specifica sui fatti del giorno 8?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. No.

PRESIDENTE. Allora, c’è una interrogazione sui fatti del giorno 7 e solo su questi è stata posta la questione.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Era per economia di tempo che volevo rispondere anche sui fatti del giorno 8.

PRESIDENTE. Ma poiché lei ha posto la domanda agli onorevoli interroganti, se questi desiderano altre informazioni dovranno presentare un’altra interrogazione.

ROSSI PAOLO. Se la potessi presentare oralmente, ne sarei lieto, perché così l’onorevole Sottosegretario potrebbe venire incontro al mio desiderio di avere la risposta più completa possibile.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, il Sottosegretario, nella sua risposta, può toccare qualunque tema connesso o non connesso con l’argomento, ma io ho fatto l’osservazione semplicemente per il modo con cui è stata posta la questione. L’onorevole Sottosegretario aveva chiesto a lei se intendeva avere la risposta su fatti che non erano considerati nell’interrogazione, e ciò non era normale.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Desideravo semplicemente sapere se potevo rispondere anche per i fatti del giorno 8 per economia di tempo. Comunque, i fatti sono i seguenti:

La sera del giorno 7, l’onorevole Matteotti, unitamente ad altri elementi del suo partito, andava compiendo in Roma una serie di piccoli comizi a bordo di una camionetta munita di altoparlante. Questi comizi non erano stati, evidentemente, preannunziati all’autorità di pubblica sicurezza la quale, altrettanto evidentemente, non poteva perciò trovarsi nelle singole località.

Giunti nella piazza di Pietralata ed avendo tentato di iniziare il suo discorso, una folla di trecento persone (a tanto fu valutata) cominciava ad intonare «Bandiera rossa» e ad emettere urla, mentre da parte di una turba di ragazzi presenti veniva inscenata un’altra manifestazione ostile, mediante rumori determinati da barattoli di latta usati a mo’ di tamburi.

Naturalmente il discorso dell’onorevole Matteotti non poté essere nemmeno iniziato. La cosa determinò l’irritazione da parte dei suoi amici e ne derivarono dei tafferugli. Nel corso di questi tafferugli vi furono dei contusi.

Devo dichiarare espressamente che per le circostanze già accennate, nelle quali questo comizio ebbe a svolgersi, non credo si possano riscontrare responsabilità delle autorità preposte alla tutela dell’ordine, le quali, appena informate, sono intervenute ed hanno impedito che i tafferugli, ai quali ho accennato, degenerassero in più gravi conflitti. L’onorevole Matteotti, con i suoi amici, si allontanò poco dopo ed altri incidenti non se ne sono avuti. Però l’avvenuto non poteva non preoccupare l’autorità di pubblica sicurezza ancora di più perché, in questa campagna elettorale per le elezioni del comune di Roma, episodi del genere si sono ripetuti in parecchie località ed abbastanza frequentemente. Di conseguenza il Questore convocava presso di sé la Giunta elettorale di uno dei partiti in lotta, cioè del Blocco del popolo, che veniva indicato come quello al quale apparteneva la massa dei dimostranti, ed esercitava presso questa Giunta la massima pressione onde ottenere che episodi del genere non si verificassero in avvenire. Reclamava inoltre che si facesse dell’accaduto una pubblica deplorazione. La Giunta, così convocata, aderiva all’invito; s’impegnava a fare opera presso i propri aderenti affinché venisse rispettata, in ogni caso, la libertà di parola di tutti gli oratori; e inoltre si impegnava anche ad una pubblica deplorazione.

Il Questore, non accontentatosi di queste assicurazioni, richiamava subito tutti gli organi di pubblica sicurezza da lui dipendenti ad esercitare la massima sorveglianza affinché questi deplorevoli incidenti non si verificassero più: comunque, ad intervenire prontamente in ogni circostanza e a procedere con la massima energia nei confronti di tutti i disturbatori. Non si faceva aspettare, tuttavia, un nuovo, altrettanto deplorevole incidente, perché la sera del giorno seguente lo stesso onorevole Matteotti, dovendo tenere un comizio in piazza Testaccio, vi trovava addensata una folla valutata a 1500 persone, le quali dimostravano, come già la folla della sera precedente, la propria vivissima ostilità all’oratore che parlava da un balcone poco elevato sulla piazza e che veniva minacciato violentemente. La vivacità della dimostrazione e la gravità del pericolo che pareva minacciasse l’onorevole Matteotti, determinarono l’intervento di reparti celeri della Pubblica Sicurezza che si trovavano disposti nelle vicinanze e che, quando l’onorevole Matteotti intese ritirarsi, lo protessero e impedirono che incidenti dovessero avvenire.

Naturalmente, così parlando e così dimostrando – almeno spero – che da parte delle autorità preposte all’ordine fu fatto quanto stava in loro, io non intendo esaurire l’argomento perché in una questione di questo genere non può mancare, anche da parte del Governo, una parola di viva deplorazione: tanto più viva, io vorrei dire, nella specie, perché, se penso a ciò che ha significato e significherà sempre per tutti noi e per tutto il popolo italiano il nome di Matteotti, non posso non reagire con tutte le forze a chi ha offeso nel figlio del Martire la libertà che è l’aureola del suo martirio. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ROSSI PAOLO. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per l’interno, specialmente per le parole che hanno coronato le sue dichiarazioni; ma egli mi consentirà di non entrare nel merito dei provvedimenti adottati dall’autorità per garantire la libertà di parola. È di tutta evidenza che la nostra interrogazione non postulava una risposta pratica; e sia ben chiaro per tutti che non invochiamo dal Governo alcun provvedimento particolare. Il problema non è un problema di polizia e forse nemmeno un problema politico nel senso stretto della parola. È un problema morale di estrema delicatezza. Non lo possono risolvere, evidentemente, né il Questore di Roma, né l’onorevole Ministro dell’interno. Solo la coscienza popolare, solo un rinnovato sentimento democratico che penetri più profondamente nell’animo degli italiani possono dare quelle garanzie di vita civile, che sarebbe ingenuo e forse anche contradittorio domandare soltanto ai congegni politico-amministrativi dello Stato.

La dignità dell’individuo si chiama onore e la dignità dei popoli si chiama libertà; libertà ed onore sono dunque una sola cosa ed hanno una sola garanzia nell’onore e nella libertà. Non invochiamo dunque particolari interventi governativi, ma io voglio esprimere con semplicità il profondo dolore, la protesta e lo sdegno per il fatto che, mentre ancora si sta elaborando faticosamente la struttura dalle istituzioni democratiche conquistate attraverso una soma così grande di sacrifici e di umiliazioni, manipoli di giovani, purtroppo organizzati ed addestrati, impediscano sistematicamente l’esercizio dei fondamentali e primari diritti di riunione e di parola. Come accadde all’onorevole Simonini a Guastalla, all’onorevole D’Aragona a Livorno e a molti altri amici in altre parti d’Italia, ad un deputato alla Costituente fu avantieri impedito di parlare a Roma ed egli fu anche duramente malmenato: ciò che l’onorevole Sottosegretario all’interno non ci ha detto con chiarezza.

Non pronunzierò il nome di quel deputato perché ci sono nomi che non vanno riportati dalla storia alla polemica e perché la libertà è di tutti ed è ugualmente grave offesa che se ne privi il primo, come l’ultimo dei cittadini italiani. Né quel deputato vorrebbe mai essere distinto dagli altri: quando il padre

… tinse del suo sangue

gli arsi lastrici di giugno,

fu per la libertà di tutti gli italiani (Approvazioni) per i figli creò con la sua morte un solo privilegio, quello di essere primi nella lotta e nel sacrificio ed essi lo esercitarono semplicemente, trovando giusto e doveroso di collocarsi colà dove c’è da affrontare l’ingiustizia e la prepotenza.

Il fascismo se ne è andato, ma non avremo rinnovato nulla, se i manganelli continueranno a roteare, solo per il fatto che abbiano cambiato mano; tanto più, onorevoli colleghi, che spesso non hanno nemmeno cambiato mano. (Applausi). Le mani che li agitano sono le stesse e sono soltanto diverse le parole ed i simboli che accompagnano le stesse violenze contro le stesse persone.

Ma non vogliamo cadere in alcuna esagerazione.

L’onorevole Togliatti ha chiuso il suo ultimo discorso rievocando, attraverso una pagina di Engels, il plurisecolare, luminoso, fervido martirio cristiano. E confesso che trovai nella retorica di quella bella perorazione un certo vizio di proporzione. Né la questione dei manifesti e degli altoparlanti si può accostare all’ultima persecuzione, che fu, secondo gli storici, la più sanguinosa contro i cristiani, né mi pare, in coscienza, che sia proporzionato e architettonico il paragone fra Diocleziano e l’onorevole Scelba. (Si ride).

LACONI. Venti anni di galera non se li ricorda?

ROSSI PAOLO. Ma, Scelba non c’era!

I nostri giovani (e mando di qui un saluto a due che non sono deputati, Solari e Feliziani, che son dovuti andare all’ospedale di San Giovanni) (Interruzioni a sinistra) e i meno giovani che, minacciati e percossi una sera, affrontano, con tutta tranquillità, la sera dopo, nuove, previste, orchestrate e aggravate violenze, non pretendono, per così poco, la palma del martirio, né chiederanno per un tale atto di modesto e di doveroso coraggio civile di essere paragonabili, per esempio, a quell’Ignazio antiocheno che, in confronto dei leoni ruggenti, disse forse la più bella parola del martiriologio cristiano: «Frumento sono io del Signore e i denti delle fiere mi macineranno per fare di me una farina più pura e più bianca».

I nostri compagni sanno che il loro dovere è quello di affrontare con animo sereno e senza inflazioni retoriche queste, e se occorre peggiori, violenze, per dire a qualunque costo la verità, la nostra verità, alla classe operaia, ideologicamente captata e chiusa con artifizi nelle paratie stagne di un esasperato e pericoloso monismo psicologico.

E voglio affermare a loro nome, pacatamente, senza alcuna iattanza, ma senza alcun timore, che questo dovere lo compiremo fino in fondo, sia che il Governo faccia quanto può e deve per garantire l’esercizio dei diritti politici, sia che non lo faccia; sia che le violenze si attenuino, come spero, sia che si accrescano ancora.

Io dico volutamente in quest’Aula, anche per rispondere ad alcune frasi che ho udito qui, e che mi pareva suonassero: «Provate a venire a dire queste cose nei comizi e davanti agli operai, nelle fabbriche», io dico: verremo (Commenti a sinistra). Ci fischieranno, ci batteranno. Nessuno di noi è minimamente intimidito o minimamente scoraggiato per gli incidenti di Roma. Non temiamo per l’avvenire.

La democrazia ha in comune con la verità questo singolare privilegio, amici, se permettete; che qualunque cosa si faccia a pro o contro di essa, finisce col tempo, per ritornare in sua esaltazione! (Applausi).

LACONI. Avete aspettato vent’anni!

ROSSI PAOLO. Non io, che mi son fatto bastonare dieci volte; lei forse ha aspettato vent’anni. (Applausi – Congratulazioni – Commenti all’estrema sinistra).

Seguito della discussione del Progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo esaminare l’articolo 59. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Le due Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre.

«Ciascuna Camera si riunisce inoltre in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente, o su richiesta del Presidente della Repubblica o di un terzo dei membri della Camera.

«Quando si riunisce una Camera, è convocata di diritto anche l’altra».

Sull’articolo 59 non sono stati presentati emendamenti.

Pongo in votazione il primo comma: «Le due Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma.

(È approvato).

Pongo in votazione il terzo comma.

(È approvato).

Allora, il testo dell’articolo 59 è stato approvato così come proposto dalla Commissione.

Passiamo all’articolo 60. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera elegge nel proprio seno il Presidente e l’Ufficio di Presidenza.

«La Presidenza dell’Assemblea Nazionale è assunta per la durata di un anno, alternativamente, dal Presidente della Camera dei Deputati e dal Presidente della Camera dei Senatori».

PRESIDENTE. Faccio presente che il secondo comma di questo articolo si riferisce all’Assemblea Nazionale, di cui è stato deciso di trattare al momento nel quale si saranno definiti i compiti e la competenza delle Camere.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Vorrei domandare a quale punto ella intenderebbe mettere in discussione la creazione dell’Assemblea Nazionale.

PRESIDENTE. Non appena concluso il Titolo del potere legislativo.

FUSCHINI. Vi sono delle interferenze, però, che sopravvengono proprio nella distinzione dei compiti delle due Camere. Io credo, che sarebbe meglio fare prima questa discussione.

PRESIDENTE. L’Assemblea, su proposta degli onorevoli Mortati, Tosato ed altri, ha preso questa deliberazione, in sede di esame dell’articolo 52:

«Si propone la sospensione di ogni deliberazione sull’ultimo comma dell’articolo 52 fino a quando non saranno deliberate le disposizioni relative alla formazione del Senato ed alla nomina del Capo dello Stato».

In questo momento lei propone una nuova soluzione. L’Assemblea può sempre rivedere la decisione già presa; ma la cosa più opportuna mi pare sia quella di decidere in merito all’Assemblea Nazionale nel momento in cui si sia deciso tutto quanto attiene alla Camera e al Senato. Evidentemente, dipende dalle facoltà e dai poteri dell’una e dell’altra Camera lo stabilire se il terzo istituto, l’Assemblea Nazionale, debba o no, essere costituito.

Onorevole Fuschini, restiamo alla deliberazione presa: vuol dire che la sua proposta di emendamento la esamineremo in quella sede.

PRESIDENTE. Allora, pongo in votazione il primo comma dell’articolo 60, sul quale non sono stati presentati emendamenti:

«Ciascuna Camera elegge nel proprio seno il Presidente e l’Ufficio di Presidenza».

(È approvato).

Il secondo comma sarà esaminato quando esamineremo la questione dell’Assemblea Nazionale.

Passiamo all’articolo 61. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera e l’Assemblea Nazionale adottano il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei loro membri.

«Le sedute sono pubbliche; tuttavia le Camere e l’Assemblea possono deliberare di riunirsi in Comitato segreto.

«Le deliberazioni delle Camere e dell’Assemblea non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri è se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale.

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

PRESIDENTE. Resta inteso, onorevoli colleghi, che ogni riferimento all’Assemblea Nazionale nel contesto di questo articolo evidentemente non ci impegna nella deliberazione di merito, in quanto tutto ciò che si riferisce all’Assemblea Nazionale lo decideremo quando esamineremo il problema nel suo complesso.

All’articolo 61 l’onorevole Colitto ha proposto i seguenti emendamenti:

«Al secondo, comma, alle parole: in comitato segreto, sostituire le altre: senza la presenza del pubblico».

«Sopprimere il terzo comma».

«Al quarto comma sopprimere le parole: se richiesti».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerli.

COLITTO. A questo articolo io ho proposto tre emendamenti. Il primo capoverso dell’articolo 61, dopo aver disposto che le sedute delle Camere e dell’Assemblea Nazionale sono pubbliche, aggiunge che le une e l’altra possono deliberare di riunirsi in comitato segreto. Ora, io propongo che alle parole «in comitato segreto» siano sostituite le altre «senza la presenza del pubblico». Queste ultime sembrano a me più precise. Non si può, infatti, disconoscere che, pur essendo il pubblico assente dalle sedute, le Camere e l’Assemblea Nazionale restano tali e non si trasformano, per effetto appunto dell’assenza del pubblico, in «comitato».

Parlandosi di «comitato», sembra a me che le Camere, solo perché si chiudono le porte, subiscano una certa trasformazione, non essendo più Camere, ma diventando comitato.

Anche lo Statuto albertino, all’articolo 52, dopo aver disposto che le sedute delle Camere sono pubbliche, dice: «Ma quando dieci membri ne facciano per iscritto domanda, esse possono deliberare in segreto». Ugualmente dispone l’articolo 38 della Costituzione polacca, là dove stabilisce che la dieta può deliberare «la segretezza della discussione». Così il paragrafo 37 della Costituzione estone, il quale dispone che l’Assemblea può decidere di «riunirsi in seduta segreta».

Nessuna Costituzione parla di «comitato». La commissione speciale della seconda Sottocommissione propose, del resto, la seguente formulazione, in cui non si parlava di «comitato»: «Le sedute delle Camere sono pubbliche. Tuttavia, con l’approvazione di due terzi delle Camere stesse, possono essere segrete». Non si comprende, poi, come la stessa seconda Sottocommissione in un secondo tempo, abbia potuto preferire l’altra formulazione di «comitato», e proprio non mi spiego le ragioni che possono aver determinato questo mutamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma è un mutamento che non ha alcuna importanza sostanziale.

COLITTO. Ho chiesto poi la soppressione del terzo comma, il quale fissa le norme regolatrici delle deliberazioni delle Camere e dell’Assemblea Nazionale, le quali non sarebbero valide, se non con la presenza della maggioranza dei loro membri ed adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione non prescrivesse una maggioranza speciale.

Ho chiesto dunque la soppressione di questo comma, perché a me sembra che ciò possa formare oggetto più che di norma costituzionale, di norma del regolamento delle due Camere.

Ho chiesto poi, con un terzo emendamento, la soppressione, all’ultimo comma, delle parole «se richiesti». A me sembra, infatti, che i membri del Governo abbiano non solo il diritto, ma il dovere di assistere alle sedute della Camera; mi sembra, quindi, strano che si parli di dovere solo quando intervenga una formale richiesta.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato due emendamenti, del seguente tenore:

«Sostituire il terzo comma coi seguenti:

«Le deliberazioni non sono valide se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo i casi di deroga stabiliti dalla Costituzione.

«Il Regolamento interno determina le condizioni per la validità delle sedute».

«Sopprimere il quarto comma:

«In via subordinata, ove il comma fosse conservato, aggiungere dopo la parola: sedute, le altre: nonché alle riunioni delle Commissioni nei casi dell’articolo 69, terzo comma».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerli.

MORTATI. Il primo di questi due miei emendamenti presenta un carattere prevalentemente formale. Esso consiste, soprattutto, in una proposta di rinvio della determinazione delle condizioni relative alla validità delle sedute in sede di regolamento.

Con il mio secondo emendamento, propongo invece la soppressione del quarto comma, che è quello ove è detto che i membri del Governo, anche se non fanno parte della Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute e che debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano. Tale disposizione infatti era necessaria nelle vecchie carte costituzionali di quei paesi che non erano retti dal regime parlamentare o nei quali esso non era ancora consolidato, ma non ha evidentemente più ragione d’essere in Stati, come nel nostro, in cui il regime parlamentare sia stato esplicitamente consacrato nella Costituzione.

L’obbligo dei membri del Governo di intervenire alle sedute delle Camere emerge dalla natura stessa del Governo parlamentare, che esige una immediatezza e continuità di rapporti fra Governo e Camere, appunto per il principio della responsabilità del Governo di fronte alle Camere.

Non sussiste poi neanche quell’altra ragione, che può in altri Paesi suggerire una disposizione del genere, cioè il divieto per un Ministro, che non sia membro delle Camere, di prendere parte alle sedute delle Camere stesse, perché c’è da noi una consuetudine, consolidata nel senso che i Ministri hanno diritto di partecipare alle sedute delle Camere, anche se non ne fanno parte.

Quindi, in relazione a queste considerazioni, mi sembra che si potrebbe sopprimere il comma, contribuendo così alla semplificazione della struttura formale del lesto costituzionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici ha presentato il seguente emendamento:

«Inserire tra il terzo e il quarto comma il seguente:

«La ripetuta negligente assenza dai lavori parlamentari verrà dai regolamenti stabilita quale causa di decadenza dal mandato parlamentare».

Ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Onorevoli colleghi, ho poco da aggiungere all’emendamento aggiuntivo che ho presentato, e che si ricollega, mi pare, a quanto ha detto testé il collega onorevole Colitto.

Il mio emendamento tende a stabilire non solo il diritto, ma il dovere da parte delle Camere future di statuire nel loro regolamento interno un principio, che essendo di notevole importanza costituzionale, a mio avviso deve essere anche inserito nella Carta costituzionale; bisogna cioè stabilire che il deputato o il senatore, cioè in genere il parlamentare, il quale con negligenza persistente viola il dovere del suo ufficio, mancando sistematicamente e negligentemente ai lavori parlamentari, può decadere dal mandato.

Io credo che sia bene che il principio venga stabilito nella nostra Costituzione e che il Regolamento lo riconfermi e lo sviluppi perché è uno scandalo che alcuni parlamentari concepiscano la loro funzione unicamente per vantaggio, decoro e utile personali propri, od almeno, col loro contegno, lascino credere che questa è la ragione per la quale hanno richiesto e mantengono il mandato parlamentare. E non è giusto che da qualche collega si consideri la Camera o il Senato come una specie di «club», al quale si va, anziché a giocare a bridge o a dama, ad alzare la mano per votare, senza neanche essere al corrente dei lavori precedenti, tanto più che la Camera futura e il Senato futuro, che dovranno compiere un lungo lavoro di controllo e un pesante lavoro legislativo, specialmente nelle Commissioni, avranno necessità che le Commissioni non vadano deserte, come avviene purtroppo sovente anche per le sedute di alcune Commissioni di questa stessa nostra Costituente.

Pertanto, mi sembra che sia legittimo che la rappresentanza costituzionale del Paese, che noi, cioè, che siamo la Nazione che legifera, inseriamo nella Costituzione questo imperativo, che non è un impedimento o una limitazione che vengano posti all’esercizio del mandato parlamentare, dal momento che è la stessa rappresentanza della Nazione – cioè noi – a porre questo dovere; dovere che risponde, in fin dei conti, anche alla serietà sociale e al fatto che ormai deputati e senatori sono, se non pagati, indennizzati, e quindi sono compensati del tempo che dedicano ai lavori parlamentari.

Mi pare giusto che, mentre gli umili operai ed impiegati, andando al lavoro, devono persino far notare, secondo la prassi moderna, sulla carta che contrassegna la loro presenza, l’ora del loro ingresso, il deputato e il senatore non trascurino negligentemente e sistematicamente i lavori parlamentari, pena la decadenza. Tanto più che vi è la possibilità, col sistema attuale elettorale, di far succedere a colui contro il quale è pronunciata la decadenza, il candidato che viene immediatamente dopo nella lista. Ritengo, quindi, che questo principio debba essere affermato nella Costituzione italiana.

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

STAMPACCHIA. Sugli emendamenti presentati ed anche sulla proposta Clerici e sul terzo capoverso dell’articolo 61.

PRESIDENTE. Dica pure, onorevole Stampacchia, tenendo però presente che discussioni generali sugli articoli non ne abbiamo fatte mai, per espressa deliberazione dell’Assemblea.

STAMPACCHIA. Osservo, fermandomi preliminarmente sul terzo capoverso dell’articolo 61, che quanto esso disciplina costituisce materia regolamentare. Se noi fissiamo nella Costituzione tale disposizione – specialmente nella progettata forma assai cruda ed anche semplice – si potrà verificare che chiunque, anche i terzi estranei all’Assemblea, potranno ricorrere a quel qualsiasi organo cui sarà demandato di tutelare la Costituzione, ed impugnare le deliberazioni dell’Assemblea legislativa deducendo che nella deliberazione mancò il numero legale. E passo innanzi, perché credo che la cosa è così intuitiva che non ha bisogno di ulteriore svolgimento.

Per quanto riguarda i membri del Governo, di cui si parla al quarto capoverso, osservo che qui s’introduce un sistema già abbandonato dopo il 2 giugno 1946 – e che solo recentemente lo si è fatto rivivere – e cioè che gli estranei al Parlamento, o ad uno dei suoi rami, possano far parte del Governo. Quando ciò accadeva, vi era il correttivo, possibile solo con lo Statuto Albertino, della nomina a senatori di codesti estranei.

Pertanto, io riterrei, in questa materia, che sarebbe disposizione di carattere veramente democratico stabilire in modo esplicito che i membri del Governo non possano essere scelti se non tra gli eletti del popolo. E quindi ritengo che, ad evitare che la questione sia oggi definitivamente pregiudicata, si debba votare contro l’inciso del capoverso il quale ammette esplicitamente che i membri del Governo possono non far parte delle Camere.

Per quanto attiene all’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Clerici si permetta a me – che ho coscienza di essere tra i più assidui perché sempre presente ai lavori di questa Assemblea – di osservare che i deputati e i senatori eletti dal corpo elettorale devono dar conto della loro attività soltanto al corpo elettorale che li ha mandati ad uno dei due rami del Parlamento; diversamente si corre il rischio che un colpo di maggioranza possa ingiustamente colpire alcuno o alcuni che si assentano dall’Assemblea. L’assenza può qualche volta assumere particolare significato politico e non essere indice di noncuranza, di negligenza, di disinteresse ai lavori parlamentari. In proposito voglio ricordare che, dopo il delitto Matteotti, un cospicuo numero di deputati – e non soltanto di questi settori di sinistra – ritennero, come atto di solenne protesta, di doversi assentare dal Parlamento per non partecipare ulteriormente ai lavori di quella Camera veramente indegna; e si ritirarono, come allora si disse, sull’Aventino. Atto adunque fu quello squisitamente politico. Ebbene, che cosa fece allora il fascismo? Trasse motivo dall’assenza per dichiarare decaduti quei deputati.

Concludendo: l’assenza può avere significazione politica; onde è necessario sia fermo che della loro attività i membri del Parlamento debbono rispondere soltanto di fronte ai propri elettori e che le Assemblee non hanno diritto di rivedere, di controllare comunque, quell’attività. (Applausi a sinistra).

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Alcune parole voglio aggiungere su quanto hanno detto l’onorevole Clerici e l’onorevole Stampacchia.

Che sia deplorevole che vi siano colleghi che non compiono il loro dovere, siamo d’accordo. Io, che ho l’abitudine di assistere a tutte le sedute del Parlamento, molte volte ho provato un senso di disgusto per questa assenza di colleghi in tutti i banchi. Ma, fra constatare questo e derivarne provvedimenti quasi disciplinari, c’è una bella distanza.

Convengo sulla sconvenienza di un uomo che, investito di un mandato dai propri elettori, se ne infischia del mandato, fa i propri interessi e trascura i doveri parlamentari in modo biasimevole; e sono d’accordo che gli elettori faranno molto bene a ricordarsi di questa trascuratezza abituale del deputato.

Ma soprattutto, secondo me, dovrebbero agire i partiti. Viviamo in tempo di partiti. I partiti hanno l’obbligo anche di vigilare sull’attività dei propri aderenti e obbligarli ad essere presenti.

Io so che anche il mio partito, quando ha avuto bisogno di avere presenti i compagni, ha mandato dei telegrammi, ha mandato delle sollecitazioni ed altrettanto avranno fatto gli altri partiti. Il deputato, quando riceve una sollecitazione dal partito, deve pensare che questa sollecitazione non risponde al capriccio di un segretario qualunque del partito, ma all’interesse degli elettori.

Quindi, io proporrei che non si mettesse nella Costituzione questa minaccia, diciamo procedurale, contro il deputato assente, tanto più che vi può essere il caso di un deputato il quale sia più utile fuori del Parlamento che sui banchi del Parlamento stesso. In un momento di eccitazione politica, quando qualche cosa interessa le masse dei lavoratori ed esse richiedono il loro deputato sul posto, non è allora giusto che un deputato, il quale corra sui campi dello sciopero o sui campi dell’agitazione per cercare di comporre delle divergenze e cerchi insomma di fare il proprio dovere fuori dai banchi di Montecitorio, sia poi chiamato all’ordine perché non ha assistito alle sedute.

Non tutti quelli che sono assenti da qui lo sono per trascuratezza. Molti hanno degli impegni, tanto più che questi impegni erano necessari per tirare avanti. Adesso con l’aumento dell’indennità parlamentare a molti si è data la possibilità di vivere, ma prima molti colleghi avevano bisogno, per poter vivere, di svolgere la loro professione. Quindi, che sia soltanto sancito questo obbligo morale che ciascun deputato deve sentire. Questo perché sarebbe troppo ripugnante che oltre ad essere chiamati all’ordine dai nostri elettori, dovessimo essere chiamati all’ordine anche dal Parlamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Per le sedute dell’Assemblea Nazionale si applica il regolamento della Camera dei deputati».

Poiché si riferisce all’Assemblea Nazionale, verrà posto in discussione al momento in cui esamineremo quel problema generale.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Non sono d’accordo con il mio collega, onorevole Clerici, perché ritengo che il mandato parlamentare debba risiedere essenzialmente nella coscienza del rappresentante stesso, in quanto vi possono essere varie forme di esprimere il mandato parlamentare e vi può essere un determinato momento in cui anche l’assenza dall’Assemblea può assumere un valore politico, come l’assunse nel 1924.

Per questi motivi dichiaro che sono contrario all’emendamento ed anzi pregherei lo onorevole Clerici di non insistere. (Applausi).

PRIOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRIOLO. L’inciso, che l’onorevole Clerici vuole inserire, è inopportuno ed anche, me lo consenta il collega, offensivo; i deputati hanno fatto sempre il loro dovere e continueranno a farlo.

Poiché la nostra Costituzione varrà per le future assemblee legislative debbo fare presente, in nome anche della mia modesta esperienza, che esse non avranno il ritmo ininterrotto ed intenso della Costituente, assemblea sui generis, che ha tenuto e dovrà tenere in avvenire sedute continue, onde assolutamente concludere i suoi lavori entro il 31 dicembre prossimo.

Se in alcuni giorni, pochi in vero, si notarono assenze di deputati, ciò si deve onestamente spiegare con le giuste necessità dei medesimi di trasferirsi in provincia per ragioni politiche apprezzabili o talvolta per impellenti motivi privati. Non avverrà così con le assemblee legislative normali, il cui ritmo di lavoro è diverso, intervallato da periodi di vacanza e che darà modo ai deputati di conciliare i doveri della carica con le altre esigenze. Io ricordo che nelle assemblee normali solo il lunedì, seduta di interrogazioni, si notava un certo assenteismo, cosa che non avveniva negli altri giorni.

Tutto ciò dico in aggiunta a quanto ha saggiamente osservato il collega onorevole Uberti e che perfettamente condivido.

Dichiaro perciò a nome del mio Gruppo che, ove non venga ritirato, voteremo contro l’inciso proposto dall’onorevole Clerici. (Applausi).

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’articolo 61, al primo comma, non ha nessuna proposta di emendamento. Resterà sempre da togliere «e l’Assemblea Nazionale» perché è materia rinviata.

Nel secondo comma abbiamo un emendamento dell’onorevole Colitto, al quale non piacciono le parole «in Comitato segreto». Non c’era nessun intento recondito nel mettere «Comitato»: che è parola classica nel diritto costituzionale e nelle Costituzioni. Ad ogni modo non accetterei la formula che egli propone «senza la presenza del pubblico». Se vogliamo mettere «in seduta segreta» invece di «Comitato segreto», non c’è niente di male. Fugheremo le tenebrose impressioni dell’onorevole Colitto.

Veniamo al terzo comma in cui gli emendamenti sono più numerosi. Bisognerà anche qui togliere «e dell’Assemblea», perché è materia rinviata. Che cosa ha voluto fare la Commissione nel terzo comma dell’articolo 61? Ha seguito questi criteri: che bisogna rinviare per quello che è possibile al regolamento delle Camere, per alleggerire il più possibile il testo della Costituzione, ma che è opportuno stabilire in questa alcuni principî essenziali che sanciscono garanzie costituzionali e dànno la sicurezza del funzionamento dell’Assemblea. E allora, che cosa ha stabilito? Due principî: che le sedute non sono valide se non è presente la maggioranza dei deputati; e che le deliberazioni non sono valide se non sono approvate dalla maggioranza dei presenti. Ecco due principî lineari che si completano e che, anche per una certa ragione estetica, stanno bene insieme. Si è aggiunto che i casi in cui occorrano maggioranze qualificate, sono previsti della Costituzione. Mi pare che sia un sistema che possa reggere.

L’onorevole Colitto propone di sopprimere senz’altro ogni disposizione. Mi oppongo, perché vi devono essere criteri di garanzia costituzionale per cui una Camera non possa tener sedute con tre o quattro presenti soltanto, né deliberare senza che vi sia una vera maggioranza di presenti.

L’onorevole Mortati propone alcune modifiche, che sono più che altro di forma, molto sottili, ed io lo prego di non insistere perché adottandole potrebbe sorgere qualche dubbio. Intanto egli rinvia la questione della presenza necessaria della metà dei deputati al Regolamento, dicendo che il Regolamento farà quello che vorrà. Non mi pare opportuno. Questa norma deve essere un criterio da mettere qui; anche per andare incontro all’esigenza da cui parte l’onorevole Clerici, che vi deve essere una effettiva serietà nei lavori delle Camere. Non comprendo perché l’onorevole Mortati rinvii uno dei punti, la validità delle sedute; e metta qui la validità delle deliberazioni, ma con espressione poco felice, perché la deroga sembra che sia per essere in meno, non in più.

Prego l’onorevole Mortati di ritirare il suo emendamento, di fronte alla disposizione più lineare ed insieme più opportuna e corretta, che il Comitato mantiene.

All’ultimo comma che riguarda i membri del Governo è stabilito che essi, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Disposizioni di questo genere sono contenute in molte Costituzioni; e riguardano due punti: che i membri del Governo che appartengono ad una Camera, possono partecipare anche ai lavori dell’altra (naturalmente senza voto); e che i membri del Governo, che non appartengono a nessuna Camera, possono (sempre senza voto) partecipare ai lavori di tutte due.

Debbo anzitutto una rettifica all’onorevole Stampacchia. Non possiamo stabilire che il Governo debba essere costituito soltanto di membri del Parlamento. Vi possono essere dei casi in cui sia necessario che partecipino al Governo elementi che non fan parte del Parlamento; sarà un caso estremamente eccezionale; ma non è escluso nella prassi più rigorosamente democratica; chi giudica ed ammette è in definitiva il Parlamento, che deve dare o no la fiducia; sarebbe errore escludere costituzionalmente tale possibilità.

L’onorevole Mortati propone di sopprimere l’intero comma, osservando che la disposizione si addiceva agli statuti di vecchio tipo, in cui non era ben affermato il regime parlamentare. Riconosco anch’io ed aggiungo che storicamente regime parlamentare vuol dire anche regime di gabinetto; e presuppone la fiducia del Parlamento nel Governo; così che chiunque fa parte del Governo deve poter partecipare e rispondere nelle sedute al Parlamento. Anche se non è scritto nella Costituzione, ciò può considerarsi acquisito alla nostra prassi costituzionale; e possono bastare norme di regolamento. Crederei meglio mettere qualcosa nel nostro testo; ma poiché non si tratta di necessità, ma di opportunità, il Comitato non solleva formale difficoltà acché il comma sia soppresso.

Veniamo alla proposta aggiuntiva Clerici.

Dichiaro, anzitutto, di riconoscere ed apprezzare la giusta esigenza da cui egli muove. Desidero però sottoporre alla sua mente così chiara, questi tre punti: primo, la sua disposizione non esiste in nessuna Costituzione; secondo, il vero giudice del suo rappresentante è il corpo elettorale; terzo, il più grave: è stato osservato dall’onorevole Uberti, che si potrebbe dare l’adito ad abusi; perché, in fondo, l’Aventino fu stroncato, ed ebbe luogo la famosa mozione di espulsione dalla Camera, perché si disse che gli aventiniani non adempivano al loro mandato di intervenire alle sedute. In mano ad una maggioranza faziosa la formulazione Clerici potrebbe essere pericolosa. Prego l’onorevole Clerici di non insistere sul suo articolo aggiuntivo. Si potrà, col Regolamento delle Camere, colpire in altro modo i deputati assenti, con denuncia in piena Camera ed al pubblico, con soppressione dell’intera indennità, dei biglietti di circolazione o in altri modi; senza arrivare alla decadenza.

PRESIDENTE. Domando ai presentatori degli emendamenti se, dopo aver udite le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, mantengono i loro emendamenti. Onorevole Colitto?

COLITTO. Riguardo al primo emendamento, aderisco alla formula proposta dall’onorevole Ruini: «in seduta segreta».

Non insisto nel secondo emendamento.

Il terzo mio emendamento non ha più ragione d’essere, avendo la Commissione accolto la proposta Mortati di sopprimere il quarto comma.

PRESIDENTE. E lei onorevole Mortati?

MORTATI. Aderisco al cortese invito dell’onorevole Ruini per quanto riguarda il primo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Clerici?

CLERICI. Facendo omaggio all’ultimo argomento espresso dall’onorevole Ruini, argomento che si riallaccia a quanto detto dall’onorevole Uberti, e pur restando dell’opinione personale che il Regolamento potrà ovviare ai colpi di maggioranza, tuttavia, siccome la libertà del deputato è cosa così sacra, che bisogna cercare di impedire ogni pericolo di qualsiasi attentato ad essa, ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 61, tolte le parole «Assemblea nazionale»:

«Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento con maggioranza assoluta dei propri membri».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma, nella formula che risulta dalla proposta dell’onorevole Colitto, modificata dall’onorevole Ruini:

«Le sedute sono pubbliche. Tuttavia le Camere possono deliberare di riunirsi in seduta segreta».

(È approvato).

Passiamo al terzo comma: «Le deliberazioni delle Camere non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale».

Poiché tanto l’emendamento Mortati, quanto la proposta soppressiva dell’onorevole Colitto sono state ritirate, pongo in votazione il testo della Commissione.

(È approvato).

Rimane l’ultimo comma: «I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

L’onorevole Mortati ha proposto che fosse soppresso, e l’onorevole Ruini ha aderito.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Su questa soppressione dell’ultimo comma io faccio presente che, chi non è membro delle Camere non può entrare nelle Camere. Infatti anche quando un Senatore era nominato Ministro, riceveva l’autorizzazione, in qualità di Ministro, a presenziare alle sedute della Camera dei deputati. In Inghilterra non è ammessa nemmeno questa eccezione.

Una norma che autorizzi coloro i quali non sono membri delle Camere, ma del Governo, a poter partecipare alle sedute delle Camere in questa loro qualità, ritengo che si debba conservare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Come ho già detto, io considero che la disposizione del comma sia già compresa nello spirito e nella prassi costituzionale italiana; che nulla vieta sia diversa da quella inglese; non occorre un articolo di Costituzione: basta il Regolamento e la consuetudine a stabilire che un Ministro membro di una sola Camera, o di nessuna, partecipi ai lavori parlamentari.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Vorrei che fosse aggiunto questo: che, quando si tratta di un voto di fiducia o sfiducia al Governo, i membri del Governo si debbano astenere. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Tonello, metta per iscritto la sua proposta: non si può presentare un emendamento esprimendo una propria idea in forma verbale.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Faccio noto che il fatto di poter partecipare e non presenziare soltanto alle sedute del Parlamento, deriva da un diritto conferito dagli elettori a determinati cittadini. Chi non ha ricevuto dagli elettori questo diritto non può discutere nell’Aula di nessun ramo. Bisogna stabilire quindi, come si è sempre fatto, questa norma: che i membri del Governo possano partecipare, senza diritto di voto, alle sedute delle Camere; che i membri di una Camera, che siano membri del Governo possano, senza diritto di voto, assistere alle sedute dell’altra Camera. Io insisto perché questo concetto sia mantenuto nella Costituzione, perché per me è un concetto costituzionale.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Onorevole Presidente, l’ultimo comma, del quale ora stiamo discutendo, stabilisce che «i membri del Governo hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute». Ora la domanda che in me viene spontanea, sebbene sia sorta con ritardo, è questa: richiesti da chi?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dal Parlamento!

COSTANTINI. Non si tratterà di una petizione formale di tutta l’Assemblea legislativa!

PRESIDENTE. Onorevole Costantini, se ha qualche proposta concreta, la faccia nella forma dovuta.

COSTANTINI. Io vorrei precisare: «se richiesti dall’ufficio di presidenza». (Commenti).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rispondo innanzi tutto all’onorevole Costantini che la formula «se richiesti» mi pare la più adatta, perché lascia un certo criterio elastico. Se nella Camera si manifesta, da qualche parte, la richiesta che un membro del Governo partecipi per una ragione determinata ad una seduta, e la Camera non si oppone, questa è già una richiesta, alla quale deve ottemperare, senza bisogno di una deliberazione formale della Camera stessa o del suo ufficio di Presidenza.

In quanto poi all’onorevole Lucifero, io ripeto, per la terza volta, che il Comitato non ritiene indispensabile che sia collocata nella Costituzione la materia di cui si discute. Si tratta di un giudizio di opportunità. Ma, appunto per questo, se vi sono qui nell’Assemblea colleghi che credono opportuno l’inserimento – e se alcuni, come l’onorevole Lucifero, credono addirittura che sia necessario –, il Comitato non ha ragione di opporsi a ciò che è ripristino della originaria formula della Commissione; la quale – ripeto ancora e sempre – dovrà nella sua sostanza aver vigore in ogni caso, in forza di un articolo della Costituzione, del Regolamento delle Camere o del costume.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Io penso che sia più conveniente mantenere questa disposizione, per gli argomenti esposti dall’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE. Siccome vi sono alcuni membri dell’Assemblea che non aderiscono alla conclusione iniziale cui era giunto il Comitato dei diciotto, metterò in votazione anche l’ultimo comma: «I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti l’obbligo, di assistere alle sedute».

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Vorrei sapere se la Commissione accetta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per la quarta volta dichiaro che il Comitato non si opponeva alla soppressione proposta dall’onorevole Mortati, anche per evitare altre discussioni – io ho sempre presente la necessità di non perdere tempo –; ma se vi è chi insiste per mantenere il testo originario della Commissione, aderisco acché questo sia mantenuto.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Il Presidente della Commissione è estremamente debole nel difendere alcuni principî accettati. Perché deve rimettersi all’Assemblea a causa di qualche dubbio sorto? Non deve rimettersi affatto. Questi dubbi non hanno ragione di essere. Noi siamo in materia di vita costituzionale e sappiamo perfettamente che la vita costituzionale non è solo regolata dal diritto scritto, ma anche dalla consuetudine. Le preoccupazioni, per esempio, dell’onorevole Lucifero, non hanno alcun valore per noi, perché nella vita costituzionale italiana, nelle due Camere potevano entrare anche i non appartenenti ad esse, se erano Ministri.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per verità, c’era lo Statuto.

LUSSU. Non ha importanza. Ciò è entrato nella nostra tradizione, ed anche qui Ministri e Sottosegretari sono entrati nell’Aula.

RUINI, Presidente della Commissione perla Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Lussu, che faceva parte della Commissione, poteva benissimo opporsi ad initio alla disposizione che era stata introdotta nel testo della Commissione anche col suo assenso. Se è debolezza mutar opinione, egli è il più debole di tutti. Io non ho mutato opinione. L’onorevole Lussu che del resto ha tante volte combattuto il Comitato, perché sosteneva il testo presentato, si sbaglia se vede una mia debolezza, quando cerco di tener conto di ragionevoli proposte di emendamento. È piuttosto debolezza, onorevole Lussu, incaponirsi, e lei ne sa qualche cosa, in piccole e legnose questioni formali. Io compio il mio dovere, cercando di abbreviare la discussione e di far più presto che si può. Per questo cedo di fronte a proposte di piccola o nulla importanza. È irrilevante costituzionalmente – lo ripeto non so per quale ennesima volta – che questo comma vi sia o no nella Costituzione, ma, se una parte dell’Assemblea vuol metterlo, tornare al testo originario, dobbiamo mantenerlo.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei far notare che in questa disposizione è introdotto di straforo il principio che i membri del Governo possono non appartenere alle Camere. Io non vorrei che la votazione riuscisse così confusa, che la Assemblea non avvertisse l’importanza di ciò che vota. Penso che sarebbe opportuno votare per divisione, in modo che da prima si affermasse se possono essere membri del Governo persone non facenti parte delle Camere, e poi se hanno diritto all’ingresso alla Camera.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. C’è una mia proposta subordinata nel senso che, non accettando l’emendamento soppressivo, si aggiunga anche la menzione dell’obbligo o diritto di partecipare alle Commissioni da parte dei Ministri e membri del Governo. Mi pare che se si mantiene l’inciso (che secondo me non ha ragione di essere mantenuto) bisognerebbe specificare ogni cosa, per derimere dubbi circa la possibilità di intervento dei membri del Governo nelle Commissioni, dubbi sorti anche in passato su questo punto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero e chiedo che non si massimalizzino questioni di scarsa importanza.

I colleghi dovrebbero tener conto che la Commissione ha studiato per un anno il progetto; e non presentare emendamenti minimi, che fanno perdere tempo. L’onorevole Mortati, ad esempio, propone di aggiungere che i Ministri, che non sono membri d’una Camera, possono partecipare alle sedute di Commissioni di cui non si è parlato ancora fin qui nel progetto. Ma c’è proprio bisogno di dirlo? «Sedute» non comprende tutto? Certe sottigliezze non precisano, ma sciupano la linea semplice e costituzionale, che deve avere la Costituzione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’ultimo comma: «I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

L’onorevole Laconi ha chiesto la votazione per divisione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io rinunzio, ma è importante che risulti chiaro che si introduce in sede costituzionale questo principio: che i membri del Governo possono non essere membri del Parlamento. Io non voglio parlare contro questa possibilità, ma altra cosa è ammetterla di fatto, altra cosa è prevederla in un esplicito articolo di Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Stampacchia ha presentato il seguente emendamento, che ha già svolto:

«Sopprimere l’inciso: anche se non fanno parte delle Camere».

Gli onorevoli Costantini, Nobile, Tonello, Stampacchia, Tega, Nobili Tito Oro hanno proposto il seguente emendamento:

«I membri del Governo hanno diritto e dovere di assistere alle sedute». (Commenti al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ha senso. Come possono allora fare i Ministri?

PRESIDENTE. Voteremo dunque per divisione, necessariamente, date le molte proposte di emendamenti.

Pongo in votazione la prima parte del comma:

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Un solo chiarimento. Faccio notare che il non votare «anche se non fanno parte della Camera» può creare difficoltà di diverso ordine, oltre che abbandonare completamente una tradizione non solo italiana, ma di quasi tutto il mondo.

Prima di tutto, renderebbe impossibile servirsi, in circostanze eccezionali, di particolari competenze al Governo, o, almeno, metterebbe nella impossibilità che esse possano riferire alla Camera. Ad esempio, potrebbe succedere che, in caso di guerra, si prenda un generale e lo si faccia Ministro della guerra, ma lo si metterebbe nella impossibilità di riferire alle Camere, di rispondere alle interpellanze e di mantenere i contatti fra Governo e Parlamento.

D’altra parte, si creerebbe la situazione che c’è in Inghilterra, cioè che il Ministro senatore non potrebbe intervenire alle sedute della Camera dei deputati e che il Ministro deputato non potrebbe intervenire alle sedute del Senato. Ho desiderato illustrare questa situazione, come, del resto, ha fatto anche l’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi aveva premesso che chiariva, e non ha fatto alcuna opera di convinzione per sostenere l’una o l’altra tesi. D’altra parte, non ritengo che siano necessarie tante illustrazioni, perché ho l’impressione che la maggioranza della Camera sia già orientata.

Pongo in votazione le seguenti parole:

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«hanno diritto».

(Sono approvate).

Passiamo alla votazione delle parole proposte dall’onorevole Costantini:

«e dovere».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei richiamare l’attenzione dell’onorevole Costantini sulle conseguenze pratiche di questa aggiunta: se mancherà un membro del Governo, a richiesta di un deputato si dovrà sospendere la seduta? Votando una disposizione di questo genere mettiamo il Governo in condizione di far funzionare la Camera quando fa ad esso comodo. (Approvazioni al centro).

Un deputato qualsiasi chiede la presenza del Ministro dei lavori pubblici e si sospende la seduta in attesa del Ministro. Molto comodo per il Governo, ed io mi oppongo.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Osservo all’onorevole Lucifero che nella formulazione della Commissione può proprio avvenire quanto egli deplora nell’emendamento, che io ho proposto appunto per ovviare a tale inconveniente.

Nel testo della Commissione è scritto che i membri del Governo hanno l’obbligo di intervenire, se richiesti.

Prima ho formulato una precisa domanda: richiesti da chi? Mi è stato risposto: dal Parlamento.

Dai membri del Parlamento o dal Parlamento, corpo collegiale? Allora, il quesito che pongo è il seguente: se nel testo costituzionale noi non mettiamo chi ha il diritto di richiedere la presenza di un membro del Governo, avverrà che qualunque deputato potrà chiedere ad un signor Ministro di intervenire ad una seduta. Con quali conseguenze, allora, onorevole Lucifero, se non proprio quelle che lei deplora? Tanto più che il testo costituzionale, di fronte alla mia proposta che parla di «dovere», dice «obbligo». E l’obbligo è più del dovere, perché lascia supporre anche un atto coercitivo, onde averne l’adempimento.

Allora, proprio per ovviare all’inconveniente accennato dall’onorevole Lucifero, ho creduto di proporre il mio emendamento.

Naturalmente, il dovere verrà esercitato quando il signor Ministro riterrà che sia di effettivo interesse partecipare alle sedute della Camera.

Questo è lo spirito che ha informato il mio emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero fare alcune osservazioni semplicissime e molto pratiche. Se noi stabiliamo il dovere dei Ministri di assistere alle sedute, senz’altro, si deve logicamente intendere: a tutte le sedute. Ma un Ministro che ha tante cose da fare, come potrebbe assistere ora, per esempio, a tutti i nostri lavori di costituenti, mattina e sera? È meglio dire che devono assistere, se ne sono richiesti.

Sono stati espressi dubbi anche dall’onorevole Lucifero. Ma in che mondo viviamo? Se la richiesta non è seria, è evidente che si alzeranno gli altri deputati e si pronunceranno contro. Il pericolo che i Ministri possono, assentandosi dalle sedute, fare ostruzionismo al lavoro parlamentare è semplicemente fantastico. Né occorre formale ordinanza o decreto di Camera o di Presidenza per condurre nell’Aula, manu armata, i Ministri.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Senza mancare di riguardo all’Assemblea, debbo confessare che mi pare che noi stiamo facendo una discussione sterile.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Verissimo.

NITTI. Questa non è materia di costituzione, è materia di regolamento.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Io l’avevo detto.

NITTI. Qual è la situazione dei Ministri? In Inghilterra essi non possono intervenire alle sedute se non sono membri della Camera; in America, i Ministri non sono che segretari del Presidente.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In America non c’è il regime parlamentare.

NITTI. In Francia, com’era da noi, intervenivano in tutti e due i rami del Parlamento. E i Sottosegretari, che furono una tardiva invenzione di Crispi, in principio non entrarono: poi entrarono.

Ora, cosa significa dovere? È la solidarietà del Ministero; un Ministro può anche rispondere per altri Ministri; può rispondere per tutte le questioni che riguardano il Gabinetto: lo fate voi stessi. E allora perché facciamo tutte queste questioni? Lasciamo questa materia ai regolamenti. Noi facciamo una Costituzione, non facciamo un regolamento: manteniamoci dunque in questa linea. (Applausi).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Costantini: «e dovere».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione le parole: «e, se richiesti, obbligo di assistere alle sedute».

(Sono approvate).

Abbiamo ora la proposta dell’onorevole Mortati di aggiungere; dopo la parola: «sedute» le altre: «nonché alle riunioni delle Commissioni, nei casi dell’articolo 69, terzo comma».

MORTATI. La ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. Non è rimasta allora che un’ultima frase, l’ultima proposizione: «Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano». La pongo in votazione.

(È approvata).

Pertanto l’articolo 61 nel suo complesso risulta così approvato:

«Ciascuna Camera adotta un proprio regolamento a maggioranza assoluta dei propri membri.

«Le sedute sono pubbliche; tuttavia le Camere possono deliberare di riunirsi in seduta segreta.

«Le deliberazioni delle Camere non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro membri e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la costituzione non prescriva una maggioranza speciale.

«I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto e, se richiesti, l’obbligo di assistere alle sedute. Debbono essere intesi ogni volta che lo richiedano».

Passiamo all’articolo 62. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge.

«La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore.

«Nessuno può essere contemporaneamente membro delle due Camere».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma sopprimere le parole: di ineleggibilità e».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Io ho proposto di sopprimere al primo comma le parole: «di ineleggibilità e», perché dell’eleggibilità si è parlato negli articoli 54 e 55 della Costituzione.

Poiché la materia della eleggibilità è già stata trattata in altra parte della Costituzione, penso che non se ne debba parlare novellamente qui.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non credo che siano ragioni sufficienti quelle addotte dall’onorevole Colitto. Negli articoli che egli ha citato si tratta di alcune condizioni di eleggibilità; non di tutti i casi di ineleggibilità, che devono essere previsti e regolati dalla legge elettorale. Caso mai bisognerebbe riferirsi all’articolo 45. Ma io sono sicuro che l’onorevole Colitto non insisterà, anche tenendo presente – egli che ha tanto cura della forma – che «ineleggibilità ed incompatibilità» è una formula inscindibile e classica, che si completa e suona bene nelle costituzioni.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, lei insiste nel suo emendamento?

COLITTO. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione il primo comma dell’articolo 62:

«La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma dell’articolo:

«Nessuno può essere contemporaneamente membro delle due Camere».

(È approvato).

Allora, l’articolo 62 è approvato nel testo della Commissione.

Passiamo all’articolo 63. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri».

PRESIDENTE. A questo articolo l’onorevole Romano ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 63 col seguente:

«La Corte di cassazione giudica dei titoli di ammissione dei membri delle due Camere.

«Il collegio giudicante è costituito da tutti i presidenti di sezione della Suprema Corte e presieduto dal primo presidente della Corte stessa».

Ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. L’argomento ha formato oggetto anche di discussioni nei Parlamenti passati, il che dimostra che anche i deputati di allora rimasero insoddisfatti di quanto decidevano le Giunte parlamentari.

Oggi la verifica dei poteri viene fatta in prima istanza, diciamo così, dalle Giunte parlamentari, e dall’Assemblea stessa, in seconda istanza.

Se si considera che le assemblee ordinariamente sono espressione dei partiti, delle correnti politiche, è facile dedurre che questi due organi funzionano da parte e da giudici, il che desta preoccupazioni.

Basterebbe questo rilievo per ritenere ordinariamente poco sereno il giudizio. Sulla decisione di tutte le questioni influiscono elementi diversi, figuriamoci in questioni di natura politica che sono sempre permeate di passione.

Quindi questo è uno dei motivi per cui i Parlamenti del passato si sono occupati più volte della questione.

Prova ne è che nella nostra biblioteca esistono monografie e discorsi contrari alla Giunta parlamentare.

E la prova è che anche nella nostra biblioteca vi sono monografie di parlamentari diversi che se ne sono occupati.

Si è detto che le Giunte parlamentari sono formate da giuristi, da maestri del diritto, e che quindi dovrebbe tranquillizzare, ma va osservato che di frequente sono chiamati a farvi parte anche profani del diritto e, quindi, finiscono per seguire gli esperti; ora se questi si avvalgono della loro capacità per fare prevalere lo spirito di parte, gli altri sono indotti ad avallare incoscientemente un giudizio errato.

Ma prescindendo dal giudizio, gli inconvenienti si possono verificare anche al di fuori del giudizio della Giunta; e la storia parlamentare registra diversi di questi inconvenienti.

Noi abbiamo assistito, anche recentemente, a casi di deputati che sono rimasti nell’Assemblea per tutta la legislatura ed alcuni hanno anche ricoperto posti di Governo, senza avere avuto la convalida della Giunta e dell’Assemblea.

Si può osservare che, demandando la verifica dei poteri ad organi estranei al Parlamento, si verrebbe quasi a ledere la sovranità dell’Assemblea; ma questo rilievo io penso che non sia del tutto fondato. Basta osservare che, finché l’elezione non è convalidata, non si può considerare l’eletto parte integrante dell’Assemblea. Quindi, se un organo estraneo all’Assemblea giudica sulla convalida, sostanzialmente non viola la sovranità dell’Assemblea stessa.

Ora, demandando alla Suprema Corte di Cassazione la verifica dei poteri, gli inconvenienti che si sono finora lamentati verrebbero in gran parte ad essere eliminati. Il magistrato ordinario è libero da vincoli di amicizia e di convinzioni politiche che legano fra loro i membri di partiti; per i magistrati non hanno valore le convenienze, le così dette opportunità politiche.

Il magistrato, per suo stesso abito mentale, è condotto a ritenersi superiore a tutte queste miserie della vita politica.

Queste qualità sono garanzia della serenità del responso.

Si è detto che le contestazioni investono ordinariamente questioni politiche. La verità è che il movente è l’ambizione politica, ma le contestazioni riguardano o questioni di diritto, e sono le più numerose, o reati, e sono le meno numerose.

Ma in entrambi i casi trattasi di applicare e interpretare la legge, e questa competenza specifica è propria del magistrato.

Con l’emendamento aggiuntivo di oggi ho inteso costituire il collegio giudicante con i presidenti di sezione della Corte di Cassazione per prevenire nella formazione manovre politiche.

Penso che l’emendamento possa essere accolto. (Interruzioni).

Voci a sinistra. Basta con la magistratura fascista!

ROMANO. La magistratura non si è mai sporcata di fascismo, è rimasta sempre al suo posto e lo è anche oggi. Siete voi che la volete asservita, ma non vi riuscirete. (Commenti).

PRESIDENTE. Seguono gli emendamenti presentati dall’onorevole Calamandrei:

Sostituirlo con i seguenti:

Art. …

«Ciascuna Camera è giudice dei titoli di ammissione dei propri componenti, previa indagine di una Giunta permanente, nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari Gruppi della Camera, e fornita degli stessi poteri istruttori che ha l’Autorità giudiziaria.

«Spetta a detta Giunta indagare, anche di ufficio, sulle cause di ineleggibilità e di incompatibilità sopraggiunte dopo le elezioni, per riferirne alla Camera, che può dichiarare la decadenza dalla carica del deputato o senatore diventato ineleggibile o incompatibile».

Art. …

«Ciascuna Camera è giudice delle accuse mosse nel Parlamento alla onorabilità dei suoi componenti. Non si può addivenire alla discussione e deliberazione pubblica su tali accuse, se prima non si sia pronunciata su di esse, a richiesta degli interessati o anche di ufficio, la Giunta permanente di cui al precedente articolo, la quale indaga sulla fondatezza delle medesime e ne riferisce alla Camera per gli opportuni provvedimenti».

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Faccio miei i due emendamenti dell’onorevole Calamandrei, assente.

Pregherei di rinviarne l’esame al momento in cui si discuterà l’articolo 78.

Difatti l’onorevole Calamandrei, nel redigere questi articoli, ha volutamente lasciato in bianco la numerazione, perché quella materia andrebbe trattata in fondo al Titolo.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, la sua richiesta di rinvio può aver valore per la seconda delle formulazioni; la prima, invece, deve essere trattata in questa sede.

ROSSI PAOLO. Illustrerò allora brevemente la seconda proposto. Mi pare che sia evidente che devono essere le Camere giudici dei titoli d’ammissione dei propri membri e mi pare che questo supremo giudizio non possa essere affidato ad altri corpi che non siano le Camere stesse. È vero, però, che si tratta di una materia di estrema delicatezza, e quindi la garanzia contenuta nell’alinea dell’emendamento proposto dall’onorevole Calamandrei mi sembra che acquisti rilevanza costituzionale ed ecceda i limiti del semplice regolamento. Ritengo opportuno che si dica nella Costituzione che quella che si chiamerà la Giunta permanente delle elezioni debba essere nominata col criterio della rappresentanza proporzionale dei Gruppi della Camera.

È davvero materia troppo delicata ed è materia troppo importante per lasciarla affidata unicamente alle norme regolamentari.

Possiamo votare con tranquillità che la Giunta delle elezioni deve essere nominata con la rappresentanza proporzionale di tutti i Gruppi che fanno parte della Camera.

Rimane la seconda parte dell’emendamento Calamandrei. Tra i poteri della Giunta vi deve essere evidentemente anche quello di esaminare la ineleggibilità o la incompatibilità sopraggiunta ed è opportuno che ciò abbia rilevanza costituzionale e non sia affidato semplicemente al Regolamento.

Per queste ragioni invito l’Assemblea a votare il secondo degli emendamenti Calamandrei.

Per il primo credo che il Presidente concordi con me circa l’opportunità di rinviarne la trattazione all’articolo 78.

PRESIDENTE. Sta bene.

Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati:

«Sostituirlo col seguente:

«Un tribunale elettorale, composto, in numero pari, di magistrati della Cassazione, del Consiglio di Stato e di membri eletti dalle due Camere, e presieduto dal primo presidente della Cassazione, giudica del possesso dei requisiti per la nomina a membro del Parlamento, nonché delle questioni relative alla perdita del mandato.

«Compete a ciascuna Camera la pronuncia definitiva sull’ammissione dei propri membri e sulla loro cessazione».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MORTATI. Ho ripresentato in questa sede una proposta già fatta in sede di Commissione per la Costituzione, e che allora non fu coronata da successo. Probabilmente non lo sarà neanche adesso, ma ad ogni modo io sento il dovere di insistere in essa, sembrandomi corrispondere ad un’esigenza rilevante. Rilevante per quei paesi, come il nostro, dove non vi è ancora un saldo costume che conduce allo spontaneo rispetto delle regole del giuoco. Uno dei problemi fondamentali della nostra nascente democrazia è precisamente quello di creare guarentigie abbastanza solide per la tutela delle minoranze. Il mio emendamento tende precisamente a raggiungere questo intento di tutelare i diritti delle minoranze in quella sede così delicata che è l’accertamento dei titoli per l’ammissione dei membri delle Camere. Il pericolo che questo accertamento si faccia con criteri politici non è solo eventuale, ma concreto, ed esso tende a divenire sempre più grave via via che la lotta politica assume carattere di maggiore asprezza, e che assume un particolare rilievo quando si accolga, come si è fatto da noi per il Senato, il principio del collegio uninominale. Infatti, l’interesse di fare annullare l’elezione di avversari politici nel caso della rappresentanza proporzionale può essere tenue, subentrando un altro deputato dello stesso partito, ma è molto più grave quando si tratta di elezione con il collegio uninominale, perché in tal caso l’annullamento può condurre ad uno spostamento del rapporto delle forze politiche. Non sembra fondata l’obiezione che si muove alle proposte di sottrarre, in tutto o in parte, al Parlamento la verifica dei titoli dei propri membri, quella cioè di far venire meno l’autonomia e compromettere le guarentigie inerenti alla posizione di organo supremo da esso rivestito. A parte la considerazione che, secondo la mia proposta, il giudizio definitivo rimane al Parlamento, è da osservare che l’accertamento dei titoli di ammissione si compie attraverso un esame di pura legittimità, e quindi meglio può essere adempiuto da un organo che, per la sua composizione, dia affidamento di poterlo compiere con maggiore competenza ed indipendenza.

Si può poi ricordare che il sistema da me proposto si accosta a quello vigente in Inghilterra fin dal 1868, in una nazione cioè che ha una illustre tradizione di rispetto della autonomia del Parlamento, ma che, con un sano empirismo, ha saputo rinunziare ad una eccessiva rigidezza del principio della separazione dei poteri quando ciò appariva utile ad un rafforzamento delle garanzie della libertà.

Vorrei poi richiamare l’attenzione dei colleghi sull’ultima parte del mio emendamento, che prevede l’accertamento da parte di un organo imparziale anche per la pronuncia della decadenza dei membri del Parlamento. Si può ricordare un esempio macroscopico di abuso del Parlamento in questa materia: e cioè la decadenza dichiarata dal Parlamento fascista dei deputati aventiniani.

L’esistenza di una norma del genere di quella proposta avrebbe potuto per lo meno rendere più difficile l’abuso.

Una voce a sinistra. Sarebbe stato lo stesso! È stata la violenza! (Commenti).

ROMANO. La Magistratura è stata sempre al suo posto! (Proteste all’estrema sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Romano, non interrompa!

SCOCA. È un magistrato che difende la Magistratura!

PRESIDENTE. Nessuno glielo vieta, ma deve prendere regolarmente la parola. Già un’altra volta l’onorevole Romano ha chiesto la parola a questo scopo.

MORTATI. Per concludere, mi paro utile che sia distinta la questione di principio, circa l’opportunità della sottrazione al Parlamento, in via totale o parziale, del giudizio di verifica dei poteri, dall’altra relativa ai modi concreti di realizzazione del medesimo. Tali modi possono essere molteplici e lo studio di quello da ritenere preferibile potrebbe compiersi utilmente solo dopo avere risolto approssimativamente il primo punto.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Desidererei esprimere la mia opinione ed anche la mia sorpresa sulla insistenza dell’onorevole Mortati a presentare questo emendamento, dopo che in seno alla Commissione è stato accolto, non dico con spirito negativo, ma con sdegno generale. L’onorevole Mortati ha il pieno diritto come deputato di presentare un emendamento; ma io credo che la sua cortesia non mi negherà l’uguale diritto che io ho di esprimere il mio sentimento. Io sento lo stesso senso di offesa nell’esaminare questo emendamento, così come la sentirei se l’onorevole Mortati, in base alle considerazioni note e arcinote sulla superiore linea imparziale della Magistratura e della Cassazione, avesse proposto che il Presidente della nostra Assemblea fosse addirittura Presidente della Corte di cassazione.

L’Inghilterra! Sta bene, l’Inghilterra. Onorevole Mortati, non si faccia trascinare dall’esempio di un paese come l’Inghilterra, perché, se fossimo sempre conseguenti nella linea di questo esempio, noi dovremmo riesaminare i nostri istituti e vedere se non sia il caso, per la nostra salute pubblica, d’introdurre la Camera dei Lords o, meglio ancora, rimettere in piedi l’istituto monarchico!

Ora, l’Inghilterra ha la sua storia, le sue tradizioni ed il suo sviluppo giuridico, costituzionale, politico. Noi ne abbiamo un altro; ed è in base a questa nostra diversa situazione che io considero questo emendamento proprio particolare di un uomo non politico – me lo permetta l’onorevole Mortati. Solo un costituzionalista, estraneo alla politica, poteva presentare un emendamento di questo genere e per giunta insistere nel suo errore.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dichiaro di aderire al testo proposto dalla Commissione, perché mi sembra che resterebbe esautorata l’Assemblea se rinunciasse a questo suo diritto, che è affermato da tutta la tradizione della democrazia italiana. Dai banchi dell’esterna, in tempi lontani, da Cavallotti a Imbriani, esso fu fissato, e successivamente adottato e costantemente mantenuto. Del resto, in onore del Parlamento italiano, dobbiamo riconoscere che nei casi controversi si è sempre resa giustizia, e che le Commissioni inquirenti delegate all’istruttoria in materia di corruzione elettorale hanno giudicato serenamente e obbiettivamente. Il precedente, accennato dall’onorevole Mortati, del 9 novembre 1926, non calza. Fu quello un gesto squisitamente rivoluzionario. Io era allora deputato; appartenevo a quella Assemblea: non ho certo votato quella deliberazione. Fu nell’occasione in cui era iscritto all’ordine del giorno il disegno di legge per l’istituzione del Tribunale speciale straordinario che contemplava anche il ripristino della pena di morte, mentre intorno a quel progetto l’opposizione dell’Aula si era particolarmente agguerrita, che inopinatamente, senza che fosse stata iscritta all’ordine del giorno, fu presentata la proposta della defenestrazione degli aventiniani, passando sopra a Regolamenti e a consuetudini parlamentari.

Quindi, il richiamo non regge. Si tratta del più turpe atto rivoluzionario che abbia compiuto il fascismo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le proposte degli onorevoli Romano e Mortati hanno posto questo problema: togliere al Parlamento la verifica dei poteri, che finora gli è spettata in Italia.

Il problema ha qualche riflesso altrove. In alcuni Paesi è stato creato un tribunale elettorale; in nessuno però il compito è stato deferito alla Cassazione ordinaria.

Nella proposta Mortati non si capisce bene cosa sia il suo tribunale elettorale; è piuttosto una giunta istruttoria, perché compete a ciascuna Camera la pronunzia definitiva per l’ammissione dei suoi membri. Quindi, figura ibrida, che il Comitato non accetta per la sua imprecisione, e per l’imperfezione della disposizione.

Il problema da porre nella sua pienezza è se si debba istituire uno speciale tribunale elettorale, spossessando le Camere di una loro funzione tradizionale.

La Commissione ha stabilito, fin dall’inizio dei suoi lavori – ed ora il Comitato non ha nessuna ragione di cambiare questa decisione – che la verifica dei poteri resti a ciascuna Camera. Vi è anche una ragione pratica: che – se entrassimo nell’idea d’un tribunale elettorale – dovremmo prevederne e regolarne bene la composizione. Ma vi ha di più: crediamo che non si possa spossessare il Parlamento di una sua attribuzione, cui è legato un valore altamente democratico.

Aggiungo che, nell’esercizio dei loro poteri di verifica, dopo tutto, i due rami del Parlamento non hanno mai compiuto gravissimi abusi. È inutile dire male di noi stessi. Vi possono essere state incertezze. Ma in tutta la loro storia le Camere hanno mostrato senso di giustizia in questa materia.

L’onorevole Rossi ha fatto propri gli emendamenti presentati dall’onorevole Calamandrei. Questi, che è un altissimo giurista, onore del nostro Paese, ha scritto lunghi articoli, che non credo sia il caso di mettere nella nostra Costituzione. Potrebbe essere accettato un solo punto. L’articolo 63 dice: «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri». Si è sempre inteso che quando sopravviene una causa di ineleggibilità o di incompatibilità, questa sia compresa nell’«ammissione» e ricada sempre nel giudizio di verifica della Camera. Se si vuole chiarire bene questo punto e togliere ogni (pur non fondatissimo) dubbio, si può dire così: «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».

Non credo che siano da introdurre nella Costituzione tutte le modalità riguardanti la Giunta delle elezioni e la questione della rappresentanza dei vari Gruppi. Esse sono comprese nello spirito della Disposizione generale. Una soverchia minuzia toglierebbe la semplicità dello stile costituzionale. Sono norme da stabilirsi con i Regolamenti delle Camere; né – perché ciò possa avvenire – occorre che la Costituzione ne faccia esplicita delega ai Regolamenti.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se intendono conservarli. Onorevole Rossi Paolo?

ROSSI PAOLO. Non insisto ed accetto le proposte dell’onorevole Ruini.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Romano?

ROMANO. Aderisco al testo dell’emendamento Mortati.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Mortati?

MORTATI. Lo conservo come affermazione di principio, pur rendendomi conto della opportunità di rielaborare più accuratamente i dettagli del procedimento proposto. Non trovo però del tutto esatti i rilievi mossi dall’onorevole Ruini, perché esso ricalca, nei tratti fondamentali, il sistema inglese, caratterizzato da un duplice giudizio innanzi alla Corte di giustizia, e in via definitiva innanzi alla Camera. La Camera ha l’ultima parola, ma difficilmente essa potrebbe distaccarsi dalla soluzione di un organo così autorevole come il proposto tribunale elettorale.

Sono vere le osservazioni dell’onorevole Lussu sulle differenze fra il costume politico inglese e il nostro: ma non per questo si debbono tacciare di astrazione tutti i tentativi di avviarsi verso un rinnovamento di questo costume. È da ricordare che anche altri Paesi del continente, ispirati ad un ideale di più perfezionata democrazia, come la Cecoslovacchia e la Germania di Weimar, per citare solo i più importanti esempi, hanno costituito tribunali elettorali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se ella stessa, che è così autorevole studioso, riconosce che il suo emendamento dovrebbe essere riveduto e corretto e che ha delle linee che non le pare possano reggere – non si può istituire un tribunale e poi dargli solo funzioni istruttorie – io la prego di ritirarlo.

MORTATI. Ritiro il mio emendamento.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Lo faccio mio senza l’ultimo capoverso. (Commenti). Sono membro della Giunta delle elezioni e quindi non voglio entrare nella discussione, ma traggo la mia convinzione da una esperienza vissuta e sofferta. Io credo che sia una garanzia per tutti che un organo misto esamini ogni elezione contestata. Almeno sarà una garanzia per il Parlamento, perché non si facciano certi commenti e certe polemiche che certamente non sono utili al suo prestigio, né alla sua funzionalità. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Mortati senza l’ultimo capoverso che è, secondo me, in contradizione con il resto. Chiedo pertanto che sia posto in votazione.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Mortati, fatto proprio dall’onorevole Lucifero senza l’ultimo comma, sostitutivo dell’articolo 63 del progetto. Ne do nuovamente lettura:

«Un tribunale elettorale, composto, in numero pari, di magistrati della Cassazione, del Consiglio di Stato e di membri eletti dalle due Camere, e presieduto dal primo Presidente della cassazione, giudica del possesso dei requisiti per la nomina a membro del Parlamento, nonché delle questioni relative alla perdita del mandato».

Lo pongo ai voti.

(Non è approvato).

Occorre ora votare l’articolo 63 nel testo del progetto, completato dalla aggiunta suggerita dal Presidente della Commissione, il quale ha ripreso un concetto contenuto nell’emendamento Calamandrei, fatto proprio e svolto dall’onorevole Rossi Paolo.

Il testo dell’articolo 63 risulta pertanto del seguente tenore:

«Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei propri membri e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».

Lo pongo ai voti.

(È approvato).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La sedata termina alle 13.10.