ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCLII.
SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 9 OTTOBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Laconi
Avanzini
De Vita
Carboni Angelo
Nobili Tito Oro
Donati
Codacci Pisanelli
Bastianetto
Rodi
Arata
Moro
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Gasparotto
Clerici
Lussu
Nobile
Targetti
Perassi
Lucifero
Scoccimarro
Corbino
Fabbri
Bosco Lucarelli
Piccioni
Di Vittorio
Rossi Paolo
Camangi
Giannini
Benedettini
Bozzi
Votazione segreta:
Presidente
Risultato della votazione segreta:
Presidente
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Dobbiamo passare all’esame delle proposte relative alla costituzione del primo Senato della Repubblica, presentate dagli onorevoli Leone Giovanni, Martino Gaetano, De Vita e Laconi.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su che cosa, onorevole Laconi?
LAGONI. Su una questione pregiudiziale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Vorrei chiedere all’Assemblea se non ravvisi l’opportunità di discutere tale questione quando si discuterà delle norme transitorie.
AVANZINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AVANZINI. Ho chiesto di parlare al posto dell’onorevole Leone Giovanni, che ha dovuto assentarsi.
Vorrei prospettare l’opportunità, appunto perché si tratta della costituzione del Senato per la prima volta, e non del Senato organo definitivo, di rimandare la votazione di queste proposte in sede di esame e discussione delle disposizioni transitorie.
PRESIDENTE. Ieri sera questa questione è stata già accennata.
Rammento che all’inizio avevo appunto manifestato questa opinione, ma alcuni colleghi si erano espressi in contrario. Ci troviamo in questo momento, però, di fronte alla proposta precisa che tutto ciò che si riferisce alla costituzione del primo Senato della Repubblica sia rinviato – e come esame e come votazione – al momento in cui si esamineranno e si voteranno le norme transitorie.
Se nessuno ha da esprimere contrario avviso, pongo in votazione questa proposta.
(È approvata).
Passiamo ora all’esame dell’articolo 56. Se ne dia lettura.
DE VITA, Segretario, legge:
«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni d’età, e sono o sono stati:
decorati al valore nella guerra di liberazione 1943-1945, capi di formazioni regolari o partigiane con grado non inferiore a comandante di divisione;
Presidenti della Repubblica, Ministri o Sottosegretari di Stato, Deputati all’Assemblea Costituente o alla Camera dei deputati, membri non dichiarati decaduti del disciolto Senato;
membri per quattro anni complessivi di Consigli regionali o comunali;
professori ordinari di università e di istituti superiori, membri dell’Accademia dei Lincei e di corpi assimilati;
magistrati e funzionari dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni di gradi non inferiori o equiparati a quelli di consigliere di cassazione o direttore generale;
membri elettivi per quattro anni di consigli superiori presso le amministrazioni centrali; di consigli di ordini professionali; di consigli di Camere di commercio, industria ed agricoltura; di consigli direttivi nazionali, regionali o provinciali di organizzazioni sindacali;
membri per quattro anni di consigli di amministrazione o di gestione di aziende private o cooperative con almeno cento dipendenti o soci; imprenditori individuali, proprietari conduttori, dirigenti tecnici ed amministrativi di aziende di eguale importanza».
PRESIDENTE. Sono stati presentati a questo articolo vari emendamenti.
Il primo è quello dell’onorevole De Vita, del seguente tenore:
«Sostituirlo col seguente:
«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto quaranta anni di età».
L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.
DE VITA. A parte ogni considerazione sulla opportunità di mantenere nelle categorie di eleggibili a senatori, alcuni componenti, come i magistrati e i funzionari dello Stato di grado non inferiore al quarto, essendo assai discutibile se sia opportuno che alti magistrati e alti funzionari dello Stato partecipino alla viva lotta politica, ritengo che la Commissione si sia trovata dinanzi a difficoltà assai gravi nello stabilire le categorie elencate all’articolo 56.
È completa l’elencazione? Sono assai ristrette o sono troppo ampie le categorie elencate?
Mi pare che queste domande contengano la condanna al criterio seguito dalla Commissione, perché è assai difficile – direi quasi impossibile – trovare un criterio assoluto che valga a stabilire se una elencazione sia completa e se le categorie siano troppo ampie o assai ristrette.
Ritengo, peraltro, che ogni limitazione posta in questo campo sia non soltanto arbitraria, ma anche antidemocratica.
Per quanto riguarda il limite minimo di età – con la mia proposta elevato da 35 a 40 anni – ritengo di non dovere spendere troppe parole. L’emendamento è ispirato dalla considerazione che il Senato debba essere composto da elementi che, anche per la loro età, diano garanzia di serenità, di obiettività e soprattutto di maggiore ponderatezza nelle deliberazioni che saranno chiamati ad adottare.
PRESIDENTE. L’onorevole Carboni Angelo ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Preti, Lami Starnuti, Rossi Paolo, Di Giovanni, Ruggiero.
«Sostituirlo col seguente:
«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni di età al momento delle elezioni».
L’onorevole Carboni ha facoltà di svolgerlo.
CARBONI ANGELO. Il mio emendamento coincide esattamente con quello ora svolto dall’onorevole De Vita, salvo per quanto riguarda il limite di età, perché io mi sono attenuto a quello di 35 anni proposto dalla Commissione. L’onorevole De Vita propone invece che questo limite sia elevato a 40 anni, ed io non ho obiezioni da fare.
A quanto ha detto l’onorevole De Vita sul contenuto sostanziale del suo emendamento, coincidente – ripeto – col mio, cioè
che l’elencazione degli eleggibili a senatori non corrisponde ad un criterio di opportunità, perché quelle categorie da un lato appaiono troppo ristrette, dall’altro troppo larghe, a me pare si debba aggiungere un’altra considerazione, cioè che limitare l’eleggibilità a senatore a determinate categorie di cittadini, ritenuti presuntivamente più capaci ed idonei, sia un criterio antidemocratico, che offende la libertà di scelta da parte del corpo elettorale in base ad una valutazione concreta della capacità e dell’attitudine di ciascuno.
Però io credo che ormai questo della determinazione delle categorie degli eleggibili sia un argomento superato dagli eventi.
La formulazione dell’articolo in esame è il risultato della laboriosa ricerca, nella Commissione dei settantacinque, di un criterio differenziatore fra le due Camere, il Senato e la Camera dei deputati. Si volle fissare qualche cosa che differenziasse la formazione delle due Camere, e si credette di trovare questo elemento differenziatore, stabilendo l’obbligatorietà della scelta dei senatori in determinate categorie di cittadini.
Ora l’Assemblea ha fissato il criterio differenziatore in qualche cosa di molto più saldo e più efficace, perché ha votato due ordini del giorno, uno che determina in linea di massima che la Camera dei deputati debba essere eletta col sistema proporzionale, l’altro che il Senato debba essere eletto col sistema del collegio uninominale.
In questa maniera si viene a differenziare la formazione dell’una e dell’altra Camera in tale modo, da rendere inutile l’espediente dell’elencazione delle categorie di eleggibili a senatori.
Raccomando, quindi, il mio emendamento ai voti dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo, Malagugini, così concepito:
«Sostituirlo col seguente:
«A senatori sono eleggibili gli elettori che hanno compiuto trentacinque anni di età.
«Subordinatamente:
«Al terzo alinea sopprimere: o comunali, e sostituire: Deputazione provinciale o Giunta comunale.
«Al quarto alinea sopprimere: e di corpi assimilati.
«Sopprimere il settimo alinea».
Non essendo presente alcuno dei firmatari, si intende che abbiano rinunciato a svolgerlo.
L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«Sono eleggibili a senatori i cittadini elettori che abbiano compiuto i trentacinquenni di età».
Ha facoltà di svolgerlo.
NOBILI TITO ORO. Onorevoli colleghi, l’articolo 56 stabilisce le norme per la eleggibilità dei senatori e le relative limitazioni per età, per naturalità o domicilio e per categoria.
L’emendamento da me proposto, lasciando inalterata l’età stabilita dal progetto in trentacinque anni, elimina ogni altra limitazione, sia in ordine alla naturalità o al domicilio, sia in ordine alle categorie sociali, economiche, culturali, ecc.
Del requisito dell’età si è preoccupato pel nostro Gruppo il collega Targetti, il quale ha proposto che essa sia elevata a quaranta anni; e lo stesso Targetti, con altri colleghi, ha pure proposta la soppressione delle altre limitazioni sopra indicate. Tale emendamento, essendo decaduto per assenza dei proponenti, viene ripreso col mio, col quale perfettamente coincide, salvo per quanto riflette il requisito dell’età.
In ordine a questa, riconoscendo che l’unico giustificato criterio differenziale fra le due Camere può essere rappresentato dalla maggiore prudenza che contradistingue gli uomini più maturi negli anni, ho lasciata inalterata l’età proposta dal progetto in trentacinque anni almeno.
L’emendamento Targetti invece appoggia, come ho detto, la tendenza a portare l’età degli eligendi a un limite minimo più elevato, e almeno ai quaranta anni. Su questo punto vi è pertanto disaccordo fra la proposta mia e quella dei colleghi; la mia è più aderente a criteri di democrazia, l’altra maggiormente seconda la preoccupazione di creare un organo dotato di maggiore esperienza della vita, e quindi di maggiore prudenza. Mi permetto però di far presente all’Assemblea che trattasi tuttavia di una differenza così lieve da rendersi irrilevante: onde, per riguardo ai colleghi proponenti che non potranno intervenire nella discussione, preferisco, anziché prender partito per l’una piuttosto che per l’altra risoluzione, di rimettere la scelta all’Assemblea.
Sugli emendamenti da portare alle altre parti del testo sono invece pienamente d’accordo col collega Targetti. Noi non possiamo accettare la limitazione della eleggibilità in ragione di naturalità o di domicilio, nel senso di esigere che il candidato sia nato o domiciliato nella Regione che dovrebbe eleggerlo.
La nostra tradizione unitaria ha precedenti chiari: non gioverebbe ricercarla nelle disposizioni della Statuto albertino riguardanti il Senato, perché esso contemplava un Senato di nomina regia.
Ma il principio dello Stato-Nazione, cioè dello stato unitario attraverso la rappresentanza estensiva degli interessi generali dell’intero Paese per parte di ogni singolo parlamentare, era ben definito nelle disposizioni riguardanti la Camera dei deputati. Era ivi espressamente dichiarato, mi pare all’articolo 41, che il deputato non rappresenta soltanto il collegio dal quale è stato eletto, ma la intiera Nazione. D’altra parte in nessuna delle leggi elettorali dello Stato italiano è stato mai prescritto che per la eleggibilità del deputato occorresse che egli fosse o nato o domiciliato entro l’àmbito del collegio dove si fosse presentato candidato. Siffatta pretesa non trova del resto riscontro in alcuna altra Carta costituzionale, che non siano quelle di Paesi governati a sistema federale o a Federazione di stati. Ognuno comprende come questo non sia il caso nostro. Noi abbiamo continuamente riaffermato la decisa volontà del Paese di ispirarsi sempre a quell’indirizzo unitario al quale si è ispiralo il nostro Risorgimento, rispetto al quale la nostra fede rappresenta un superamento, non un rinnegamento.
L’unità d’Italia, nel moto spontaneo dei popoli verso le grandi formazioni che sollecitano l’abbattimento delle «barriere scellerate» e la fratellanza di tutte le genti, ha una tradizione degna; di epopea, costellata di lotte, di sacrifici, di martiriologio; e la convinzione della sua necessità formò il substrato etico e passionale delle lotte, delle rivolte insurrezionali che condussero alla costituzione dello Stato nazionale italiano. C’è qualcuno che si illuda di poter oggi, profittando della sciagura, dare il colpo di spugna alle conquiste che di tale movimento furono le conseguenze?
Di questo spirito, che le calamità mai non riuscirono a spegnere, è documento la Costituzione della Repubblica romana, che ammetteva alla propria Assemblea non i naturali soltanto del proprio territorio, ma i cittadini degli Stati tutti d’Italia che da sei mesi vi avessero preso stanza. Lo ricordino gli immemori!
Il Senato è uno dei due rami del Parlamento nazionale; e legifera, vigile tutore dell’interessi generali di tutto il Paese, sugli interessi medesimi; e attinge, nella formazione della propria Assemblea, a tutto il territorio nazionale, senza distinzioni territoriali: sotto tale riflesso tutti i cittadini devono poter partecipare all’Assemblea medesima, in qualunque parte del territorio siano nati, in qualunque parte siano stati proclamati candidati ed eletti. La limitazione della eleggibilità dei senatori in ragione della naturalità e del domicilio nell’ambito della Regione che dovrebbe eleggerlo, offende dunque la coscienza unitaria del Paese e le origini dello Stato italiano; essa può essere stata ispirata soltanto dalla esasperazione di quello spirito regionalista che mina ormai la compagine statale e che di recente faceva emettere in quest’Aula a un membro del Governo, una esclamazione di angoscia: «Nel 1947 si sono create le Regioni, e si è spenta l’Italia!». (Commenti).
Il grido non è mio, è di un membro di questo Governo; ma io sento tutta la portata di questa onesta preoccupazione.
È una preoccupazione alla quale bisogna reagire. Ma bisogna reagire anche alla infatuazione regionalista, come a un fenomeno patologico, di panico, di egoismo localistico, di incipiente disinteressamento per il risollevamento delia Nazione nel mondo. Quando indicammo il pericolo, ci si rispose che la creazione dell’ente Regione era la conseguenza necessaria dell’accettato principio delle autonomie locali, l’applicazione pura e semplice di quel decentramento amministrativo che noi stessi avevamo invocato. Ma qui si rende più evidente che non si fosse visto finora, che la riforma non vuole limitarsi a quel ragionevole decentramento che avrebbe potuto con successo svilupparsi sugli enti Provincia e Comune, ma arditamente si spinge sul terreno politico, tende a formare delle Regioni le circoscrizioni elettorali del Senato, dei Consigli regionali altrettanti grandi elettori di ben un terzo dei Senatori (e questo tentativo è fortunatamente naufragato), a imporre che questi siano scelti in seno ai nativi e ai domiciliati nella Regione stessa, e a considerarli come portatori in seno al Senato, della voce della Regione, come rappresentanti, in seno ad esso, degli interessi particolaristi di questa, anziché di quelli generali della Nazione. Di guisa che non potrebbe più parlarsi di semplice prefederalismo; si tratterebbe ormai di dar vita a un Senato in funzione di Camera Federale delle Regioni. Ecco perché è proprio necessario eliminare il sospetto che si tenda alla graduale distruzione dell’unità italiana a soddisfazione del tradizionale spirito guelfo. Ecco perché occorre eliminare la preoccupazione che i propositi dei sostenitori vadano molto al di là della lettera del progetto, come ha fatto dubitare l’onorevole Ambrosini, quando, a conclusione della sua dotta relazione orale, nella discussione generale sulle Regioni, ha ricordato il rimprovero fattogli dal suo Partito «di aver troppo contenuto la riforma».
Questa preoccupazione e quel sospetto noi non vogliamo che si diffonda, ma bisogna anche evitare che ad essi si dia esca in maniera da far credere che il nostro ordinamento si inoltri per la via del federalismo. La rappresentanza che si vuol dare ad interessi di Regione in una Assemblea a funzione e a fini nazionali, è completamente ingiustificata. Ingiustificata sotto tutti i rapporti, anche sotto quello della opportunità e dell’utilità. È logico che in ciascuna circoscrizione, sia ristretta, sia allargata, i Partiti prima, ed il popolo poi, il corpo elettorale in altri termini, abbiano sempre interesse di scegliere, per quanto possibile, gli elementi locali e di preferirli a quelli estranei. E ciò basta a far ritenere superflua e non necessaria la odiosa limitazione. Il peggio è che, per effetto di questa, il progetto preclude la via alle circoscrizioni di cercare i propri candidati in altre località, anche nel caso che una scelta sodisfacente ne sia stata impossibile nel proprio seno. Il vizio del progetto della tendenza maggioritaria è dunque individuato: essa antepone ai fini generali è unitari quelli particolaristici: così quando si batté per un Senato corporativo, a categorie d’interessi; così quando si batte per un Senato a rappresentanza d’interessi regionali; così quando, caduto il tentativo precedente, si batterà per un Senato aperto esclusivamente a limitate categorie culturali, economiche e sociali che non includono però le forze vive del lavoro. Per questi motivi noi ci batteremo contro questa prima parte dell’articolo 56 e sosterremo ad oltranza l’emendamento che abbiamo proposto.
E ora vengo all’ultima parte dell’emendamento, con la quale, contro la proposta della Commissione di accordare la eleggibilità a limitate categorie di cittadini, proponiamo la soppressione dell’elenco che lo sviluppa, per lasciare aperto, anche pel Senato il diritto di elettorato passivo a tutti i cittadini elettori indistintamente. Prima di tutto mi propongo questo quesito: l’elenco delle categorie proposte ha un carattere tassativo o vuole essere soltanto esemplificativo, un elenco tipo insomma, che permetta un allargamento per analogia, come ad esempio farebbe supporre a rafforzamento del principio favores sunt ampliandi, il fatto, che là dove si parla dei membri dell’Accademia dei Lincei si soggiunge immediatamente «o di altri corpi assimilati»? Nell’uno e nell’altro caso s’impongono dei rilievi.
Nella ipotesi che l’elenco voglia essere tassativo, non appare evidente che alcune categorie di eleggibili sono state incomprensibilmente pretermesse, senza che ne sia stata data alcuna spiegazione? Confrontando (questa non è una preoccupazione di partito, ed io la esprimo a titolo di puntualità costituzionale) lo Statuto albertino col nostro articolo 56, trovo, per esempio, che è omessa la categoria degli Arcivescovi e dei Vescovi dello Stato, e non si è voluto certamente escludere con ciò che costoro abbiano i requisiti per poter portare l’espressione della loro esperienza e della loro prudenza nelle deliberazioni interessanti il Paese. Non è da pensarlo, perché troppi elementi vigilavano a che una deliberazione di questo genere, e con questa portata non fosse assunta. E allora, quale è la ragione recondita, di questa esclusione? Forse la preoccupazione rispettosa ne ludibrio exponentur in una Assemblea agitata da passioni di parte? O forse per lasciare più libere, senza la preoccupazione del doveroso riguardo ai presuli dovuto, le manifestazioni dell’Assemblea? Non si tratta di una curiosità; era un nostro diritto saperlo, anche per la soddisfazione dovuta alle nostre coscienze. Il quesito resterà forse senza risposta.
A questa strana e inesplicata omissione si contrappone una intrusione storicamente ingiustificata, quella della categoria «degli imprenditori individuali, proprietari, conduttori… di aziende con almeno 100 dipendenti o soci».
Questa categoria mira ad introdurre, sebbene mascherata, l’antica categoria del censo; e ciò tanto più si rende evidente quando si pensi che oggi anche i maggiori tenimenti terrieri sono tutti organizzati ad impresa. E in contrapposto non c’è una categoria che riguardi le forze vive del lavoro, quelle forze che la Repubblica italiana, fondata sul lavoro, coll’articolo 1 della sua Costituzione, ha chiamato alla partecipazione effettiva a tutta l’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Il Senato fa o non fa parte della organizzazione politica del Paese?
L’esclusione dalla eleggibilità al Senato della Repubblica delle forze vive del lavoro, malgrado la proclamazione dell’articolo 1 della Costituzione, perpetrerebbe la più flagrante violazione di quei diritti essenziali che si vollero garantiti cogli articoli 2 e 3 della Costituzione, che a tutti i cittadini, di qualunque condizione sociale, assicurano eguaglianza assoluta anche nel godimento dei diritti politici; e susciterebbe il sospetto che la elencazione dell’articolo 56 sia stata adottata o, se vuolsi, mantenuta proprio allo scopo precipuo di escludere dal Senato i lavoratori. Né varrebbe opporre di avervi inclusi membri dei consigli direttivi nazionali, regionali e provinciali, delle organizzazioni sindacali, già che ciò non basterebbe a rendere eleggibili i lavoratori che non intraprendano la missione organizzativa.
Eppure sarebbe oltreché doveroso, socialmente e politicamente utilissimo aprire ai lavoratori tutte le vie, comprese quelle che conducono alle supreme Magistrature, eccitando in loro il desiderio di formarsi e di pervenire, sviluppandone l’amore allo studio e al perfezionamento tecnico. Conosco operai dei più svariati settori che, autodidatti, hanno raggiunto i gradi di coltura e di addestramento più sorprendente nelle lettere, nelle scienze, e nelle arti. Perché tenerli lontani dall’esercizio di un diritto politico che procede dalla sovranità popolare? Bisogna sapere ormai reagire al pregiudizio delle distinzioni aristocratiche. Ecco perché noi combattiamo l’elencazione dell’articolo 56, che è in funzione di una ingiustizia sociale che sarebbe delittuosa; e tanto più la combattiamo in quanto la si voglia considerare tassativa.
Passo all’esame dell’altra ipotesi. Se l’elenco dovesse considerarsi esemplificativo, occorrerebbe domandarsi chi sarà il giudice dell’analogia? Quanto dire della eleggibilità. Sarà l’ufficio del collegio uninominale? Sarà l’ufficio del collegio centrale oppure l’organo del Senato per la verifica dei poteri?
Comunque, quali garanzie di obiettività potranno avere le minoranze di fronte ad un giudizio di tal natura, devoluto ad uomini che non possono dare se non giudizi soggettivi e non sempre sono in grado di mantenersi obiettivi?
I quesiti propostici servono dunque a dimostrare che, dal punto di vista strutturale, il progetto di Costituzione rivela prima facie nell’articolo 56, i vizi che vi si annidano e ne fanno presentire le conseguenze.
Ma, indipendentemente da ciò, s’impone anche qui il rilievo di carattere politico. Come si concilia colla nostra Carta (che cogli articoli 6 e 7 esalta i cosiddetti diritti essenziali, e primo fra tutti quello dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte ai diritti politici) la esclusione dal Senato della categoria dei lavoratori, la più numerosa, e certamente la più benemerita, specie in questo momento di febbrile ricostruzione, e colla esclusione altresì dei ceti professionali e di tante altre categorie di cittadini, per milioni e milioni? Nessuna giustificazione potrà purtroppo valere a dimostrare che qui il principio democratico della eguaglianza dei cittadini e quello della sovranità popolare non siano stati sopraffatti dalla nostalgia anacronistica del privilegio di casta, mal dissimulata dall’adito al Senato che il progetto consente poi, evidente beffa, al consigliere comunale di Roccacannuccia.
Il rimedio esiste ed è nei principî: la scelta dei senatori, come quella dei deputati, spetta completamente e liberamente alla sovranità popolare. E il popolo la eserciterà sotto la guida dei partiti, attraverso il criterio che essi ne faranno nel loro senso di responsabilità e attraverso l’ulteriore selezione che sulle candidature sarà fatta dal corpo elettorale.
Alla direzione dei partiti politici è il fiore della intelligenza e dell’accorgimento che ciascuno di essi può dare: è di tutta certezza che questi uomini sapranno, nell’interesse stesso dei partiti, esercitare la scelta, in collaborazione dei comitati locali, con ogni avvedimento e colla precipua preoccupazione di non creare rappresentanze che nella contesa parlamentare siano preventivamente condannate alla inferiorità nei confronti degli altri partiti. E il buon senso del corpo elettorale farà il resto, nell’esercizio della più delicata funzione della sovranità popolare.
Non si deve rappresentare la funzione dei partiti come contrapposta a quella della sovranità popolare e parlare di sopraggiunta partitocrazia, quasi essi quella sovranità abbiano detronizzata o mirino a detronizzare: i partiti, non è chi non possa comprenderlo, sono invece gli organi di questa sovranità, che si esprime e si esercita sotto la loro guida, perché non potrebbe esprimersi ed esercitarsi se non per via di organizzazione.
Garanzie dunque ne abbiamo a sufficienza, perché il Senato, senza bisogno di ricorrere a limitazioni odiose e antistoriche, risulti dalla accurata scelta degli elementi più probi, più capaci, più prudenti. La caratteristica di questo ramo del Parlamento, alla quale conferirà anche la limitazione dell’età che sarà richiesta per la eleggibilità, sarà la prudenza, intesa non come spirito reattivo agli impulsi di progresso, ma come preoccupazione di quel maggiore avvedimento che solo la più lunga esperienza della vita può fornire. E, pertanto, questa caratteristica non potrà costituire motivo di minor simpatia da parte del popolo per il nascente Senato della Repubblica; e il popolo ne accompagnerà la nascita col fiducioso ricordo che quando prudentia senium spreta est res publica periclitavit.
Si sopprimano, dunque, le anacronistiche limitazioni così contrastanti collo spirito dello stesso progetto di Costituzione; si riconosca in pieno, anche per la elezione dei senatori, la sovranità del popolo; non si creino sospetti d’insincerità sull’opera nostra. Solo così potremo dimostrare che la nostra Carta costituzionale non per vana lustra ha fatto le proclamazioni contenute nei suoi primi tre articoli, ma col fermo proposito di garantire a tutti i cittadini indistintamente una assoluta eguaglianza sostanziale, politica e sociale. (Applausi a. sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Donati ha presentato il seguente emendamento:
Dopo la parola: elettori, togliere l’inciso: nati o domiciliati nella Regione.
Ha facoltà di svolgerlo.
DONATI. Onorevoli colleghi, non ho nulla da aggiungere a quanto è stato già a suo tempo esposto dall’onorevole Nitti ed ora dall’onorevole Nobili Oro in merito all’inopportunità di fare delle Regioni tanti compartimenti-stagni agli effetti dell’eleggibilità dei senatori. Voglio soltanto osservare, che, anche a voler tenere nella maggiore evidenza la base regionale, l’inciso di cui propongo la soppressione, non presenta alcuna utilità. Anzitutto è sempre inutile, e quindi dannosa una norma che può essere facilmente violata: tale è la norma proposta dalla Commissione perché, se il luogo di nascita non può essere cambiato, il domicilio può essere facilmente mutato, anche soltanto in vista delle elezioni.
D’altro canto, è frequente l’ipotesi di persone che hanno illustrato nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti o dell’attività industriale o nel campo della beneficienza la Regione dalla quale traggono origine, pur non essendovi nati perché, ad esempio, figli di impiegati che prestavano servizio fuori della Regione di origine e pure non essendovi neppure domiciliati. In tali casi, col testo della Commissione si preclude agli elettori di una regione la possibilità di elevare al Senato i suoi figli più degni.
Pertanto ritengo questo provvedimento dannoso ed insisto per la sua soppressione.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Cifaldi e Cairo hanno presentato il seguente emendamento:
«Dopo le parole: gli elettori, sopprimere l’inciso: nati o domiciliati nella Regione».
Poiché nessuno dei presentatori è presente, si intende che abbiamo rinunziato a svolgerlo.
Gli onorevoli Codacci Pisanelli, Castelli Avolio, Chatrian, Cingolani, Ermini, Tupini, Tozzi Condivi, De Palma hanno presentato i seguenti emendamenti:
«Al primo comma sopprimere le parole: nati o domiciliati nella Regione».
«Nel caso che il detto emendamento soppressivo non fosse approvato dall’Assemblea, aggiungere, alla fine dell’articolo stesso, il seguente comma:
«Il requisito della nascita o del domicilio nella Regione, di cui alla prima parte del presente articolo, non si applica a coloro che siano stati, in uno dei collegi della Regione, deputati alla Costituente o alla Camera dei deputati».
L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerli.
CODACCI PISANELLI. L’emendamento proposto ha bisogno appena di essere illustrato. Si riferisce in realtà al problema testé prospettato dall’oratore che mi ha preceduto, cioè quello di non esigere il requisito del domicilio, tanto più che il domicilio potrebbe essere eletto con tale facilità da non costituire garanzia di rapporto di particolare legame con la Regione o con la circoscrizione nella quale si aspira ad essere eletti. Non voglio dilungarmi su quanto è stato già illustrato dal collega. Ritengo che si possa fare a meno di porre i requisiti stabiliti nel progetto e quindi che questo emendamento possa essere accolto senza difficoltà, ove non si voglia escludere del tutto il requisito del domicilio.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Bastianetto, Bazoli, Montini, Caso, Bettiol, Lizier, Corsanego, Martinelli, Spataro e Cotellessa hanno presentato il seguente emendamento:
«Dopo le parole: gli elettori, sopprimere: nati o domiciliati nella Regione».
Onorevole Bastianetto, ha facoltà di svolgerlo.
BASTIANETTO. È già stato svolto dall’onorevole Donati alle cui conclusioni mi associo.
PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha presentato i seguenti emendamenti:
«Alle parole: trentacinque anni di età, sostituire le altre: quaranta anni di età».
«Sopprimere le categorie».
Non essendo egli presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerli.
L’onorevole Rodi ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire il primo alinea col seguente:
«I decorati al valore, invalidi e mutilati di tutte le guerre, che abbiano il grado non inferiore a generale di divisione».
Fo presente che questo è il primo degli emendamenti che si riferiscono alle categorie.
L’onorevole Rodi ha facoltà di svolgerlo.
RODI. Ho presentato questo emendamento, proponendomi di variarlo a seconda della discussione, perché il testo della Commissione mi sembra ambiguo, non soltanto nello spirito, ma anche, direi, nel senso grammaticale, perché dice: «Sono eleggibili a senatori i decorati al valore nella guerra di liberazione 1943-45, capi di formazioni regolari o partigiane con grado non inferiore a comandante di divisione».
Questa virgola, che ha separato la prima parte del periodo dalla seconda, lascia dei dubbi, nel senso cioè che siano compresi in questa categoria i decorati e poi i generali, oppure i generali di divisione che siano stati decorati al valore nella guerra del 1943-45? Per me già la stesura grammaticale non è troppo chiara. Ad ogni modo ho presentato questo emendamento: «i decorati al valore, invalidi e mutilati di tutte le guerre che abbiano il grado non inferiore a generale di divisione», nel senso cioè che ho voluto precisare che accanto ai decorati, poiché questo comma è destinato a chi è stato valoroso in guerra, si includessero anche gli invalidi e mutilati di tutte le guerre ed a questo proposito ho anche firmato un emendamento presentato da altri colleghi, affinché questa categoria sia compresa fra gli eleggibili a senatore. E poi ho desiderato eliminare le limitazioni riguardanti la guerra di liberazione 1943-45 perché, francamente, mi sembra ingiusto disconoscere in maniera così chiara e mortificante che le medaglie d’oro della guerra 1940-43 non debbano avere da parte del popolo italiano quel riconoscimento che loro spetta, perché, per quanto la si voglia dire una guerra fascista, per quanto si voglia dare a questa guerra un valore politico, non è meno vero che questa guerra l’abbiamo fatta come italiani e se in quel periodo ci sono state delle medaglie d’oro è addirittura offensivo escluderle a bella posta dall’elenco degli eleggibili a senatori. Pertanto il mio emendamento tende a questo: a comprendere tutti gli eroi indistintamente, poi gli invalidi e i mutilati di guerra. (Applausi a destra).
ARATA. Chiedo di parlare per una pregiudiziale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ARATA. Noi qui ora abbiamo iniziato la discussione degli emendamenti che riguardano le categorie degli eleggibili.
Proporrei, per economia della discussione, che si votasse senz’altro il primo comma dell’articolo 56 con gli emendamenti che lo riguardano, in quanto che, nel caso di votazione positiva, l’elencazione delle categorie verrebbe senz’altro a cadere e quindi elimineremmo la discussione di numerosi emendamenti che riguardano le varie categorie degli eleggibili.
PRESIDENTE. L’onorevole Arata, partendo dal presupposto che molti degli emendamenti sostitutivi, già svolti dai proponenti, concludono con la proposta di soppressione delle categorie, propone che si passi alla votazione di questi primi emendamenti che, se fossero accolti, renderebbero poi inutile ogni altra votazione.
C’è qualcuno che domanda la parola su questa proposta?
MORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Io credo che siano assennate le considerazioni dell’onorevole Arata. Solo vorrei fare osservare che, in fondo, la valutazione della opportunità di mantenere o meno le categorie deriva anche dall’apprezzamento che si faccia delle singole categorie così come sono presentate negli emendamenti proposti. È chiaro che non si può decidere in astratto. È opportuno che il principio della limitazione delle categorie di eleggibili sia considerato in concreto, in relazione alle categorie che sono effettivamente proposte.
Mi rendo conto che si guadagnerebbe del tempo, ma mi domando se non sia opportuno prolungare la discussione per illuminare meglio il punto di principio attraverso l’esame dei successivi emendamenti.
PRESIDENTE. L’onorevole Moro ha veramente obiettato che sarebbe necessaria ancora una certa chiarificazione per sapere se si accetta o meno il criterio.
Questa chiarificazione deriverebbe dall’esame delle categorie proposte; a seconda del carattere di queste categorie ritiene l’onorevole Moro che si possa o non si possa accettare il principio stesso.
Ma il criterio dell’onorevole Moro significa, in sostanza, respingere la proposta dell’onorevole Arata.
Se non vi sono altre osservazioni, pongo in votazione la proposta dell’onorevole Arata tendente a far precedere la votazione del primo comma dell’articolo 56 all’eventuale svolgimento degli emendamenti che riguardano le singole categorie di eleggibili alla carica di senatore.
(È approvata).
Invito l’onorevole Ruini a esprimere il pensiero della Commissione in ordine agli emendamenti svolti.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi, riferirò su ciò che ha stabilito il Comitato, non sicuro però, per ripetute esperienze, che i colleghi i quali hanno votato in un modo nel Comitato voteranno nello stesso modo anche nell’Assemblea. Veniamo ai gruppi di emendamenti presentati. Abbiamo innanzitutto gli emendamenti degli onorevoli Targetti, e quelli degli onorevoli Nobili Tito Oro, Donati, Cifaldi, Nitti ed altri e, in via subordinata, anche quello Codacci Pisanelli, che voglion sopprimere la condizione «nati e domiciliati nella Regione». A questo proposito, il Comitato ha tenuto presente che vi sono dei casi i quali dimostrano che la nascita o il domicilio nella Regione non assicurano il nesso di appartenenza diretta ed efficiente alla Regione stessa. Vi può essere un cittadino, figlio di un impiegato, il quale sia nato per combinazione in una Regione, ma non vi abbia più rimesso piede: questi potrebbe essere candidato. Viceversa vi possono essere altri, di genitori e di gente ab antiquo d’una Regione che sono nati fuori ed hanno domicilio altrove (un decisivo peso ha il domicilio legale), ma han conservato i vincoli più stretti, vi sono stati eletti deputati (l’amico Tupini ha citato il suo caso), e non potrebbero esservi nominati senatori.
Tutto sommato, il Comitato ha ritenuto a maggioranza che si debba togliere questa condizione, in quanto non raggiunge l’effetto voluto di imprimere un carattere di sicura regionalità.
Veniamo ora alla questione dell’età: il testo propone 35 anni, ma alcuni colleghi, gli onorevoli Nitti, De Vita, Conti, Carboni, hanno proposto che questo limite venga elevato sino ai 40 anni. Il Comitato ha aderito a tale emendamento, che gli è parso più consono al carattere del Senato: senato viene infatti da seniores.
Per quanto concerne le categorie degli eleggibili al Senato, ho già altra volta accennato, e debbo ora ricordare, come è stata impostata la loro formulazione. Il motivo fondamentale che le giustifica era di trovare, anche nella qualificazione dei senatori, una differenziazione del Senato dall’altra Camera, ed una accentuazione del suo carattere più particolare di competenza e di tecnicità. Per il criterio di qualificazione la seconda Sottocommissione, presieduta dall’onorevole Terracini, partì col proposito di andare incontro, se era possibile, all’idea sostenuta dall’onorevole Piccioni e da altri colleghi, delle categorie professionali, ispirate alla rappresentanza organica; era una via di mezzo; il corpo elettorale unico avrebbe scelto gli appartenenti a tali categorie. La Sottocommissione si pose al lavoro. Ma per strada si è trasformata la cosa: ed invece di categorie più propriamente professionali e di rappresentanza organica, si sono avute categorie di più complesso e vario ordine; così che l’intento originario della loro configurazione è andato perduto. L’elenco che è risultato dà luogo ad incertezze e fa sorgere il dubbio se convenga mantenere il sistema delle categorie od abbandonarlo.
Debbo ad ogni modo, rilevando un’osservazione dell’onorevole Nobili Tito Oro, che trova come la formula proposta, dimenticando e trascurando gli elementi operai, offenda e ferisca i principî del lavoro e della democrazia, osservare che fra le categorie vi sono quelle dei membri di Consigli, non solo nazionali o regionali, ma provinciali di organizzazioni sindacali, e ciò per gli operai come per i datori di lavoro; così che non vi è stata la dimenticanza denunciata.
Ma altri rilievi si possono fare. Vi è stato, in Sottocommissione e poi in Commissione plenaria, uno sforzo notevole per trovare un ordine logico e graduato delle categorie. Si è fatto capo soprattutto, al concetto di comprendervi chi già ha ed ha avuto in qualche modo un mandato, una designazione, una funzione di rappresentanza in un’assemblea politica o amministrativa, o professionale o, persino, in una società anonima o cooperativa. Ma si è poi creduto di dover ammettere anche chi, non avendo un titolo di questo genere, ad esempio dirigesse personalmente un’azienda della stessa vastità di quella stabilita nelle anonime e cooperative per renderne eleggibili gli amministratori.
Si è cercato di ricondurre le categorie a gruppi abbastanza organici che, in sostanza, oltre a quello dei decorati al valore, sarebbero quattro: cariche politiche, amministrative, ordini professionali e culturali, sindacati. Ma bisogna confessare che la formulazione ottenuta, con ogni sforzo, non è riuscita sodisfacente e sufficiente, anche per alcuni di quelli che avevano partecipato alla formulazione stessa; e poi, ha provocato così numerose proposte di soppressione. Il Comitato, pur ritenendo che sarebbe opportuno richiedere qualifiche speciali pei senatori, ha d’altra parte considerato che, essendo avvenuta in altro modo – con l’adozione dei sistemi elettorali – la differenziazione delle due Camere, vien meno la ragione più forte per il sistema delle categorie. Pertanto il Comitato ha aderito, a maggioranza, agli emendamenti soppressivi.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Gasparotto, Veroni, Villabruna, Bocconi, Lami Starnuti, Carboni Angelo, Filippini, Rossi Paolo, Arata, Bordon, hanno presentato il seguente emendamento:
«Aggiungere, oltre alle parole: nati o domiciliati, anche le altre: o residenti».
L’onorevole Gasparotto ha facoltà di svolgerlo.
GASPAROTTO. Sono favorevole alla soppressione delle categorie, ma ove a questo non si addivenisse, io dico che bisogna parlare non soltanto del luogo di nascita e del domicilio, ma anche della residenza, la quale ha grande importanza nell’attività dell’individuo. Il domicilio si confonde quasi sempre col luogo di nascita, ed è mantenuto soprattutto per ragioni affettive. La residenza, per definizione data dal Codice civile, è la sede principale dei propri affari ed interessi, ed è nella residenza che si esplica la maggior parte dell’attività del cittadino. Dunque, si potrebbe eventualmente sopprimere la voce «domicilio», per sostituirla con «residenza»; ma, per non perderci in quisquilie, proponiamo semplicemente di aggiungere «o residenti».
CLERICI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CLERICI. Chiedo all’onorevole Presidente che sia messo in votazione per divisione il punto dell’articolo 56, là dove dice: «nati o domiciliati nella Regione», perché – e faccio così anche una dichiarazione di voto – a me pare – ed il punto non è stato ancora rilevato dagli onorevoli colleghi – che con questa statuizione noi verremmo ad urtare il principio stabilito dall’articolo che voteremo tra poco, cioè dall’articolo 64 del progetto di Costituzione, il quale statuisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione».
Ricordo a me stesso che ciò è perfettamente conforme al moderno concetto di rappresentanza, in contrapposto a quello antico che stabiliva i cahiers, cioè mandato proprio e vincolativo. Oggi, adunque, al pari del deputato, il senatore rappresenta la Nazione. Per cui è assurdo che, poiché anche il Senato rappresenta la Nazione, debba porsi questa limitazione localistica.
PRESIDENTE. E allora, onorevoli colleghi, passiamo alla votazione che – secondo lo spirito della proposta dell’onorevole Arata, che l’Assemblea ha approvato – avverrà per divisione. Voteremo sul primo comma dell’articolo 56:
«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni di età, e sono o sono stati».
Poiché, d’altra parte, sono stati presentati emendamenti a diverse parti di questo primo comma, e precisamente alla prima parte, dove si afferma il principio della nascita o del domicilio nella Regione; e alla seconda che si riferisce all’età; e, infine, alle categorie, procederemo alla votazione in tre parti distinte, votando prima l’inciso:
«Sono eleggibili a senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione».
Faccio presente che hanno chiesto la soppressione dell’ultima parte di questo inciso «nati o domiciliati nella Regione» gli onorevoli Targetti, Donati, Nobili Tito Oro, Cifaldi, Codacci Pisanelli, Bastianetto.
LUSSU. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Io voterò la dichiarazione contemplata nel primo comma: «Sono eleggibili a senatori gli elettori nati e domiciliati» e sono disposto anche a votare l’aggiunta introdotta dal collega Gasparotto, se sarà votata.
Dichiaro che voterò questo perché nessuna delle ragioni esposte dall’onorevole Ruini ha minimamente convinto e non mi ha neppure convinto l’ultima ragione espressa dall’onorevole Clerici. Sono tutte finzioni, falsi ragionamenti che non possono far dimenticare quello che inizialmente la Commissione aveva inteso affermare. È chiaro che ogni deputato ed ogni senatore rappresenta la Nazione. Questo avveniva anche nel periodo in cui il sistema di elezione era il collegio uninominale; era una questione teorica, ma era ovvio ed ammesso da tutti che il deputato rappresentasse la Nazione. Così può rappresentare perfettamente la Nazione, conciliando gli interessi della Regione con quelli dello Stato e della Nazione, chi sia senatore con il requisito voluto di essere nato e domiciliato nella determinata Regione dove ha presentato la propria candidatura.
NOBILE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. Io voterò contro.
In un secolo in cui l’aeroplano ha raggiunto mille chilometri all’ora e l’automobile ha sorpassato i seicento, quando è possibile lavorare durante la giornata a Roma e dormire la notte a Milano, trovo assolutamente anacronistica ed assurda una tale disposizione nella nuova Costituzione della Repubblica.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Per necessità di chiarezza, metterò in votazione la formula:
«Sono eleggibili a senatore gli elettori».
(È approvata).
Pongo in votazione le parole:
«nati e domiciliati nella Regione».
(Non sono approvate).
Pertanto decade anche l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Gasparotto.
Sulla questione dell’età necessaria per porre la candidatura al Senato vi sono due sole proposte: la proposta di trentacinque anni, che è della Commissione, e l’altra, sostenuta dagli onorevoli De Vita, Conti e Nitti, di quaranta anni.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. I quarant’anni sono stati accettati anche da noi.
PRESIDENTE. Sta bene.
Pongo dunque in votazione la proposta di fissare l’eleggibilità dei senatori in quarant’anni.
(Dopo prova e controprova è approvata).
Passiamo ora alla votazione delle ultime parole del comma:
«e sono o sono stati».
I due verbi implicano evidentemente l’accettazione o meno del principio dell’elencazione delle categorie. Pertanto chi approva questa formulazione, implicitamente approva che esista una elencazione, salvo a definirla. Chi non approva esclude ogni elencazione di categoria, quindi ogni altro limite di eleggibilità all’infuori di quelli già votati con le due votazioni fatte or ora.
Faccio presente che è stata presentata domanda di votazione per appello nominale dagli onorevoli Bertola, Burato, Ferrarese, Tambroni, Vicentini, Nicotra Maria, Caso, Bosco Lucarelli, De Martino, Restagno. È stata anche presentata domanda di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Laconi, Scoccimarro, Grieco, Corbi, Moranino, Cavallari, Maltagliati, Scotti Francesco, Ravagnan, Rossi Maria Maddalena, Lombardi Carlo, Longo, Maffi, Pellegrini, Barontini Anelito, Saccenti, D’Onofrio, Musolino, Pastore Raffaele, Barontini Ilio, Minio.
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Ho chiesto la parola soltanto per ricordare che il nostro Gruppo aveva presentato un emendamento che portava all’abolizione delle categorie.
PRESIDENTE. Avverto che non si procede alla votazione delle proposte soppressive.
A norma del Regolamento, ha la precedenza la votazione a scrutinio segreto.
Votazione segreta.
PRESIDENTE. Procediamo alla votazione segreta.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(Gli onorevoli Segretari procedono alla numerazione dei voti).
Risultato della votazione segreta.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:
Presenti e votanti 360
Maggioranza 181
Voti favorevoli 180
Voti contrari 180
(Non essendo stata raggiunta la maggioranza, l’Assemblea non approva).
Hanno preso parte alla votazione:
Abozzi – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.
Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Bulloni Pietro – Burato.
Cacciatore – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciecolungo – Cimenti – Cingolani Mario– Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.
D’Amico – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.
Einaudi.
Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio.
Gabrieli – Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grassi – Grieco – Grilli Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.
Imperiale – Iotti Leonilde.
Jacometti – Jervolino.
Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Pira – Lazzari – Leone Francesco – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.
Macrelli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Manzini – Mariani Enrico – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.
Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Notarianni– Novella – Numeroso.
Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Perassi – Perlingieri – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Preziosi – Proia – Pucci.
Quarello – Quintieri Adolfo.
Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.
Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Santi – Sapienza – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Sereni – Siles – Silipo – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella.
Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.
Uberti.
Valenti – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani.
Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta.
Sono in congedo:
Angelini.
Cairo – Caporali – Carmagnola – Caroleo – Cevolotto.
Dugoni.
Jacini.
Mannironi – Martino Enrico – Martino Gaetano.
Perrone Capano – Porzio.
Russo Perez.
Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CODACCI PISANELLI. Sottopongo soltanto un quesito, signor Presidente. Non sono ben addentro nella prassi parlamentare; ma mi sembra che, trattandosi di votare il testo proposto nel progetto costituzionale e non un emendamento, il fatto che non sia stata raggiunta la maggioranza implica l’approvazione del testo. (Interruzioni a sinistra).
PRESIDENTE. Gradirei, onorevole Codacci Pisanelli, che lei precisasse il suo concetto.
CODACCI PISANELLI. Se permette, preciso. Quando ci troviamo di fronte agli emendamenti, sappiamo che, qualora l’emendamento raggiunga la parità, è respinto, perché non ha la maggioranza; ma quando si tratta di un articolo del progetto di Costituzione, presentato dalla Commissione dei Settantacinque, il fatto che non sia stato respinto dalla maggioranza implica l’approvazione di questo testo.
PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, le confesso che non riesco a cogliere la sua sottile distinzione. Mi sembra pacifico che, affinché un testo qualunque sia approvato, deve avere la maggioranza e, per calcolare la maggioranza, il computo è molto semplice. C’è una norma che ognuno conosce ed io, ogni volta che comunico i risultati di una votazione, indico per prima cosa qual è la quota di maggioranza. Poco fa ho letto queste cifre, che rileggo: presenti e votanti: 360; maggioranza: 181. Ciò significa che, perché si raggiunga il quoziente necessario all’approvazione, occorre avere almeno 181 voti, e tuttavia i voti favorevoli sono stati 180. Onorevole Codacci, mi pare che non ci sia discussione possibile.
CODACCI PISANELLI. Quanto alla distinzione che all’onorevole Presidente è sembrata molto sottile, mi pare che in realtà, sia differente l’ipotesi dell’emendamento da quella del testo presentato. L’emendamento porta modificazioni al testo, e quindi si richiede questa maggioranza; viceversa, quando si tratta di un progetto di legge, che è presentato per l’approvazione, a mio avviso il fatto che vi sia la parità implica l’approvazione e non il rigetto. È una questione che sottopongo all’Assemblea perché potrebbe presentarsi ancora in avvenire.
PRESIDENTE. Credevo di averla convinta La maggioranza non è una ipotesi, è una realtà immutabile. Data una certa cifra di votanti, qualunque cosa si voti (un testo, un emendamento, una mozione, un ordine del giorno), la maggioranza è un dato fisso ed immutabile, che si computa – le ripeto, onorevole Codacci Pisanelli – secondo regole elementari contenute in tutti i manuali. Applicata questa regola al numero di 360 presenti e votanti in quest’Aula, la maggioranza si fissa in 181. Si sono raccolti 180 voti, la conclusione è evidente.
Passeremo, ora, all’esame dell’articolo 57. Se ne dia lettura.
DE VITA, Segretario, legge:
«Il numero dei membri da eleggere per ciascuna Camera è stabilito con legge in base all’ultimo censimento generale della popolazione».
PRESIDENTE. Pregherei l’onorevole Mortati di voler rispondere ad un quesito che gli pongo. Egli ha presentato a questo articolo in emendamento del seguente tenore:
«Possono essere eleggibili al Parlamento gli italiani che non siano cittadini della Repubblica».
Ora, forse, penso che sarebbe meglio esaminare subito questa proposta Mortati, non come emendamento all’articolo 57, salvo poi a determinare la collocazione della norma.
Onorevole Mortati, vorrei il suo avviso al riguardo.
MORTATI. Propongo che l’esame dell’emendamento sia rinviato, e ciò per poter procedere ad una migliore sua elaborazione.
Infatti, se il principio affermato fosse accolto, occorrerebbe estenderne la portata oltre che alla elezione al Parlamento ad altre cariche parimenti elettive. Occorrerà inoltre forse elaborare meglio la formula, che, così come è stata proposta, vorrebbe tradurre la vecchia dizione di «italiani non regnicoli». Senonché, mentre questa aveva un suo significato consacrato dall’uso, la nuova formulazione potrebbe dar luogo a dubbi di interpretazione. Mi pare quindi sufficientemente giustificato il rinvio proposto.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE, Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta di rinvio dell’onorevole Mortati mi pare accettabile. Egli ha esposto due ragioni: la prima è che per la posizione sarebbe più opportuno collocare il suo emendamento nell’articolo 45, ove si parla della eleggibilità in generale; la seconda è di sostanza: si tratta di una questione, che desta subito interesse e simpatia, ma va esaminata attentamente per tutti i possibili riflessi, anche internazionali. È quindi opportuno rinviarla al Comitato.
PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, l’esame della proposta Mortati è rinviato.
(Così rimane stabilito).
Passiamo all’esame dell’articolo testé letto.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. A proposito dell’articolo 57 ho trovato già occasione di parlare in uno dei miei interventi. È stabilito in questo articolo 57 che il numero dei membri da eleggere nelle due Camere si riferisce alla popolazione in base all’ultimo censimento generale.
Io ho esposto come considerazione di fatto, che l’ultimo censimento che abbiamo è del 1936, cioè di quasi 12 anni fa, con un risultato di 43 milioni di abitanti. Poi l’Istituto centrale di statistica procedé man mano ad aggiornamenti che sono definitivi al 1947, con 45 milioni e mezzo, compresa la Venezia Giulia. Altri aggiornamenti al 1946, con la stessa cifra di 45 milioni e mezzo, ma senza la Venezia Giulia, sono ancora provvisori. Avremo dati definitivi, sempre in via di aggiornamento, pel 1947, ma non sappiamo se in tempo per le nuove elezioni. Tutto consiglia di non impegnarsi ora sulle basi di un censimento di 12 anni fa. La legge elettorale vedrà la possibilità e la convenienza di riferirsi ad un aggiornamento successivo.
Si aggiunge – e ciò non solo per le prime elezioni, ma come considerazione generale e permanente – che il riferimento al censimento non sembra materia di tale importanza costituzionale da dover essere inserito nel testo vero e proprio della Costituzione. Può essere rimandato alla legge come le son rinviate, ad esempio, le questioni di eleggibilità e d’incompatibilità.
PRESIDENTE. All’articolo 57 è stato presentato un emendamento dell’onorevole Perassi del seguente tenore:
«Alle parole: il numero dei membri da eleggere per ciascuna Camera, sostituire le seguenti: il numero dei membri di ciascuna Camera da eleggere in ragione degli abitanti».
L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.
PERASSI. L’emendamento non ha più ragione di essere, data la formula che è stata accolta da parte dell’Assemblea circa il modo di indicare il numero dei senatori per ciascuna Regione. Di fronte al ritiro dell’articolo l’emendamento decade.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi è dunque la proposta di ritirare l’articolo 57.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Io ritengo che quanto dice la Commissione possa fare oggetto di una norma transitoria, ma che sarà bene stabilire nella Costituzione quale sia il principio generale che dovrà vigere per la determinazione del numero dei deputati. Quindi lascerei l’articolo 57, salvo poi a fare, alla fine, data la situazione speciale in cui ci troviamo, una disposizione transitoria perché nella prima elezione si tenga presente la situazione esposta dall’onorevole Ruini.
Almeno costituzionalmente stabiliamo il principio.
MORTATI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORTATI. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Lucifero.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto che non vi è ragione assoluta di mettere disposizioni di questo genere nella Costituzione; ma non è questione che merita controversie e lunghe votazioni (come purtroppo avviene spesso). Per non perdere tempo accolgo la proposta Lucifero-Mortati.
PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione l’articolo 57, così come è nel testo:
«Il numero dei membri da eleggere per ciascuna Camera è stabilito con legge in base all’ultimo censimento generale della popolazione».
(È approvato).
Il Comitato di redazione terrà presente il suggerimento dell’onorevole Lucifero per ciò che si riferisce alla norma transitoria.
Passiamo all’articolo 58. Se ne dia lettura.
DE VITA, Segretario, legge:
«Le due Camere sono elette per cinque anni.
«I loro poteri sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere.
«La legislatura può essere prorogata solo nel caso di guerra in corso o di imminente pericolo di guerra.
«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. Il provvedimento che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni».
A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti.
L’onorevole Conti ha proposto di sostituire il primo comma col seguente:
«Le due Camere sono elette per quattro anni».
L’onorevole Conti non è presente.
SCOCCIMARRO. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Conti, e rinunzio a svolgerlo.
PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«La Camera dei Deputati è eletta per cinque anni. Il Senato viene rinnovato per metà ogni cinque anni».
L’onorevole Caronia non è presente.
CORBINO. Faccio mio l’emendamento presentato dall’onorevole Caronia.
PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.
CORBINO. L’emendamento dell’onorevole Caronia tende a dare al Senato un carattere di continuità di esistenza. Si può dissentire sui termini con i quali l’onorevole Caronia ha accennato alla durata media di una parte del Senato della Repubblica; ma sul principio che il Senato debba avere una durata diversa, sono d’accordo con l’onorevole Caronia.
In sostanza, se diamo alle due Camere lo stesso periodo di durata, noi avremo un periodo di vacanza completa di tutti gli organi costituzionali. Ma a me pare che, sia per le ragioni che ha già ripetutamente svolto l’onorevole Nitti – l’esperienza degli altri paesi è fondata sul principio della continuità di una delle due Camere, e precisamente del Senato – sia per dar modo di effettuare consultazioni elettorali per periodi di tempo più brevi di quello corrispondente alla durata massima della prima Camera, il principio di assegnare una durata differente alle due Camere, rinnovando la seconda in parte, meriti di essere accolto.
Per questa ragione faccio mio l’emendamento Caronia, riservandomi in sede di discussione di modificare eventualmente il termine di cinque anni che egli ha proposto.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dagli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo e Malagugini:
«Sopprimere il terzo comma».
TARGETTI. Lo ritiro, anche per gli altri firmatari.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Mortati del seguente tenore:
«Sostituire il terzo comma col seguente:
«La legislatura può essere prorogata con legge nel caso di guerra, o di eventi di uguale gravità, tali da rendere impossibile la con vocazione dei comizi».
L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.
MORTATI. L’onorevole Targetti ha rinunziato all’emendamento, oppure ha rinunziato a svolgerlo?
TARGETTI. L’ho ritirato.
MORTATI. Una volta caduto l’emendamento Targetti, che proponeva la soppressione dell’istituto della proroga legale, ben poco mi rimane da dire per illustrare il mio, il quale si limita a sostituire al testo della Commissione una dizione più comprensiva. Infatti la proroga della legislatura nel testo della Commissione è prevista solo in caso di guerra in corso o di imminente pericolo di guerra, mentre pare opportuno prevedere casi del tutto analoghi a quest’ultimo, che dovrebbero suggerire identica soluzione.
Il mio emendamento tende, appunto, a integrare in questo senso la norma proposta.
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Crederei che, sebbene ella non l’abbia menzionato, non sia caduto l’emendamento dell’onorevole Nitti, secondo il quale i senatori di nomina elettiva durano in carica sei anni e sono rinnovabili per un terzo ogni due anni.
Se l’emendamento non è decaduto, ed egli lo svolge, la cosa può essere interessante poiché udita dalla voce del proponente; altrimenti avrei una certa tendenza a fare mio l’emendamento cui mi riferisco.
PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, l’onorevole Nitti ha svolto, e anche ampiamente, questa sua proposta allorché ha avuto facoltà di parlare molte sedute fa, per svolgere i testi sostitutivi degli articoli 55 e seguenti, da lui proposti.
Poiché non ha dichiarato di ritirarlo, evidentemente questo emendamento si intende valido.
FABBRI. Quindi, suscettibile di votazione.
PRESIDENTE. Naturalmente; mi pare che l’onorevole Nitti l’abbia confermato anche ieri.
NITTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NITTI. Poche parole soltanto.
Non esiste nessun Senato che abbia la stessa durata della Camera dei deputati. Dove vi sono state Assemblee di senatori, esse hanno avuto quella funzione che viene dalla loro natura: il Senato non si scioglie, la Camera dei deputati può essere sciolta dal Presidente della Repubblica, il Senato dura. Ora, io avevo proposto che come in America il Senato non ha limiti di scadenza perché per esso è sancita la durata di sei anni, ma si rinnova ogni due, si adottasse anche noi il medesimo criterio. Parlare infatti della stessa durata del Senato e della Camera dei deputati è un assurdo, perché le due Assemblee hanno funzione e carattere diversi.
Noi dobbiamo dunque, lasciare il Senato sempre vivo, per far sì che esso abbia il prestigio necessario. Il Senato deve rimanere, se noi vogliamo mantenerlo con la sua natura; non dobbiamo quindi esporlo alle vicende d’una continua mutazione.
Dichiaro quindi di mantenere la mia proposta, che mi auguro verrà accolta.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo e Malagugini, hanno presentato il seguente emendamento:
«Al quarto comma, dopo le parole: dalla fine delle precedenti, aggiungere: tranne che sia dichiarato lo stato di guerra».
L’onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.
TARGETTI. Rinunzio a svolgerlo.
PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:
«Al quarto comma, sostituire le parole: Il provvedimento, con le seguenti: Il decreto del Presidente della Repubblica».
L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.
PERASSI. Il mio emendamento presenta un carattere meramente formale, esclusivamente tecnico. Anziché dire cioè «il provvedimento che indice le elezioni», propongo che si dica «il decreto del Presidente della Repubblica», perché in effetti l’atto con cui si indicono le elezioni è un atto di competenza del Presidente della Repubblica, come risulta dalla legge elettorale in corso di approvazione.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a pronunziarsi su questi emendamenti a nome della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi! Debbo esporre le ragioni che determinarono in origine la Commissione; né credo che alcunché sia mutato nell’indirizzo da essa seguito.
La Commissione partì dal concetto che occorreva differenziare le due Camere, ma non attribuire a ciascuna di esse diversità di funzioni. Si può anzi dire che il criterio della parificazione funzionale si accompagnasse nel nostro sistema a quello della differenziazione costitutiva. Ciò posto, si comprende come siasi adottata – né sorsero controversie al riguardo – una durata eguale per le due Camere.
Tutto il progetto è informato ad un criterio di simmetria e di equilibrio; che verrebbe meno con la diversa durata; non si avrebbero più, ad esempio, la legislatura, la sessione, il funzionamento parallelo e sincrono delle due Camere. La Commissione, pur non respingendo la bicameralità, ha tenuto presente che il Parlamento deve essere concepito con una logica connessione e con una corrispondenza di funzioni, che implica anche l’eguaglianza di durata. Né la Commissione ha inclinato è può inclinare al sistema del Senato perenne, con rinnovazioni parziali che muove in fondo da nostalgie di un organo ormai superato del vecchio regime; il Senato monarchico, perenne e continuamente rinnovato. La nuova democrazia vuole due Camere, differenziate, ma funzionanti in parallelo. Si aggiunga che le frequenti rinnovazioni parziali del Senato e la diversità di durata delle due Camere, farebbero sorgere la necessità di continue elezioni, complicate e costose per lo Stato, e terrebbero in continua febbre elettorale il popolo; né gioverebbero a quella stabilità dei Governi che è necessaria nell’interesse dello Stato. Il Comitato pertanto, tiene fermo: non rinnovazioni parziali, né durata diversa a quella della Camera dei deputati.
Vi è un emendamento Mortati che ammette la prorogabilità delle Camere non nel solo caso di guerra in corso o imminente, ma in quella di eventi d’eguale gravità, che rendano impossibile la convocazione dei comizi. Possono per verità darsi di questi casi; mi sembra di rammentare che si siano verificati col terremoto calabro-siculo. Ma il Comitato teme di allargare in modo poco determinato la facoltà di proroga, di cui si potrebbe abusare. Mantiene, quindi, la sua formulazione.
Mentre l’onorevole Mortati vuol allargare, l’onorevole Targetti vuol restringere la facoltà di proroga al caso di guerra già dichiarata. Il Comitato è incline a restringere più che ad allargare, crede però che sia meglio parlare genericamente di caso di guerra.
Quanto all’emendamento Perassi, non abbiamo difficoltà ad accettarlo.
PRESIDENTE. Faccio presente che l’onorevole Bosco Lucarelli ha presentato un emendamento col quale propone di sostituire le parole «settanta giorni» con le parole «novanta giorni».
Ha facoltà di svolgerlo.
BOSCO LUCARELLI. Mi permetto di esporre le ragioni per cui mi pare che il termine di 70 giorni sia troppo breve. Dobbiamo infatti tener presente che si tratta di compiere tutte le operazioni precedenti alle elezioni: la formazione delle liste, la loro presentazione, ecc. Specialmente per la Camera dei deputati, mi sembra che 70 giorni non siano sufficienti. Se la Commissione ritiene che 70 giorni siano sufficienti, vada per 70 giorni, ma se non sono sufficienti, credo che 90 giorni darebbero un maggiore margine di tempo sia per la formazione delle liste, sia per la loro presentazione, e in genere per tutte le formalità che la legge richiede, specialmente ripeto, per le elezioni della Camera dei deputati.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non credo che si possa accogliere l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli, perché è bene che non vi sia una troppo lunga pausa fra le due legislature. Si tratterà di accelerare il più possibile le procedure elettorali; e la legge elettorale provvederà in questo senso.
Devo poi fare un’osservazione. Non avevo tenuto presente che l’emendamento dell’onorevole Targetti non si riferisce al terzo, ma al quarto comma, ed in sostanza contempla il caso, per verità rarissimo, che siano già sciolte le Camere e bandite le nuove elezioni, e che capiti improvvisamente la guerra; In tal caso, dice l’onorevole Targetti, si possono rimandare le elezioni. Se la portata dell’emendamento Targetti è in questo senso, non suscita le stesse difficoltà che si creerebbero se si riferisse al comma antecedente.
PRESIDENTE. L’onorevole Corbino, ha presentato la seguente nuova formulazione dell’emendamento Caronia, che aveva fatto suo, del seguente tenore:
«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni. Il Senato della Repubblica viene rinnovato per un terzo ogni tre anni».
Si presenta qui, onorevoli colleghi, la questione principale, che è appunto questa: se il Senato debba essere rinnovato interamente ad ogni fine della sua legislatura – cioè seguire a questo proposito lo stesso destino e le stesse norme della Camera dei deputati – oppure debba rinnovasi parzialmente di tempo in tempo, salvo a stabilire i periodi di rinnovo.
Vi sono due proposte definite: una, per cui, a somiglianza della Camera dei deputati, il Senato ha un tempo stabilito di durata, eguale per tutti i senatori – proposta che è per l’appunto contenuta nel progetto di Costituzione; e vi è, invece, l’altra proposta, sostenuta dagli emendamenti Nitti, Caronia e Corbino, e da numerosi altri colleghi che hanno firmato l’emendamento Corbino. Secondo questi tre emendamenti, il Senato dovrebbe avere una durata così stabilita: per l’onorevole Nitti, di sei anni; per l’onorevole Caronia, di dieci anni; per l’onorevole Corbino, di nove anni.
L’onorevole Nitti propone il rinnovamento ogni due anni per un terzo; l’onorevole Corbino, ogni tre anni per un terzo, e l’onorevole Caronia, per metà ogni cinque anni.
Abbiamo, dunque, due sistemi. Occorre scegliere fra questi due sistemi. Per poter scegliere, onorevoli colleghi, ritengo che bisogna ricorrere alla votazione degli emendamenti.
Vi è l’emendamento dell’onorevole Corbino, il quale distingue la disposizione per la Camera e per il Senato, ed è del seguente tenore: «La Camera dei deputati è eletta per cinque anni, il Senato della Repubblica viene rinnovato per un terzo ogni tre anni».
Vi è poi la proposta dell’emendamento dell’onorevole Conti – fatto proprio dall’onorevole Scoccimarro – che riduce da cinque a quattro anni il termine del mandato, e pertanto bisognerà votare in precedenza questa proposta che emenda il testo della Commissione.
E pertanto, pongo per prima in votazione questa formula dell’onorevole Corbino, modificata dall’emendamento Conti-Scoccimarro: «La Camera dei deputati è eletta per quattro anni».
Faccio presente che, nel caso che venga respinta questa formulazione, metterò in votazione la stessa formulazione col periodo di durata proposto dall’onorevole Corbino: cinque anni.
CORBINO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Poiché il mio emendamento è quello che più si scosta dal contenuto del primo capoverso dell’articolo 58 – e si scosta precisamente nella durata della seconda Camera – non è detto che noi dobbiamo cominciare a votare con la Camera dei deputati e passare poi al Senato. Poiché l’articolo 58 dice: «Le due Camere», a me pare che sarebbe più chiaro votare prima il mio emendamento sul Senato, che è risolutivo rispetto alla questione generale; ove l’Assemblea respinga il mio emendamento sul Senato, implicitamente afferma il principio che le due Camere debbano avere la stessa durata.
Potremmo poi votare sull’emendamento dell’onorevole Scoccimarro.
PRESIDENTE. Prego il Presidente della Commissione di esprimere il suo avviso.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che, per chiarezza di votazione, l’Assemblea si debba pronunciare prima sul principio se le due Camere devono avere la stessa durata e poi sull’altro, se il Senato debba essere rinnovato parzialmente, invece che in una sola volta. Sono questioni connessw fra loro, ma che non si debbono confondere. Se non procediamo a votazioni ben chiare, possiamo incorrere in incertezze e dubbi, come è avvenuto altre volte. Ad ogni modo mi sembra che l’eguale durata delle Camere sia questione preliminare.
NITTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NITTI. Noi non possiamo fare una legislazione astrale, nelle nuvole. Quello che esiste nei paesi che hanno sperimentato da secoli queste forme politiche, noi lo dobbiamo tenere presente inevitabilmente. Dovunque, in Francia, come in Inghilterra, come in America, la Camera alta è una cosa diversa dalla Camera dei deputati. In Inghilterra vi è una Camera dei Lords che ha una diversa legislazione. Ma anch’essa segue le norme generali che vigono in tutti i paesi per la seconda Camera.
In America come si è fatto? Come si è fatto in Francia? Non mettiamoci fuori della realtà. Si è detto che la seconda Camera, il Senato, ha una sua funzione, ed ha quindi una continuità. Tutti i Governi passati in Inghilterra, in Francia, in America hanno tenuto conto di questo. Ora noi non possiamo dire che vogliamo in Italia sottomettere la Camera e il Senato alle stesse norme, perché ciò sarebbe assurdo. Infatti diversa è la loro funzione. Il Senato non si scioglie, la Camera si scioglie; hanno funzioni del tutto diverse: concorrono allo stesso fine, ma la loro funzione, i loro atteggiamenti sono diversi. È per questo che ho proposto di adottare gli stessi limiti che sono adottati in America per quanto riguarda il Senato: durata 6 anni, rinnovo ogni due anni.
MALAGUGINI. Ma allora facciamo le elezioni ogni momento!
NITTI. Certo! E bisognerebbe farle più spesso. In nessun altro paese è stato adottato il criterio che si vorrebbe adottare in Italia. In America si fanno le elezioni ogni due anni. Non è possibile cristallizzarsi, quando si entra qui dentro. Noi dobbiamo essere a contatto del popolo, bisogna sapere ciò che il popolo pensa di noi. Non possiamo crearci questo privilegio. Non c’è ragione di rifuggire dal fare le elezioni ogni due anni.
Insisto perciò nella mia proposta. Per la Camera dei deputati preferisco quattro anni. Anche coi Governi conservatori in Francia la Camera non è mai durata più di 4 anni. E perché noi dobbiamo oltrepassare questo limite? Perché mettere cinque anni? L’America fa le elezioni ogni due anni. E credete che sia una difficoltà?
Noi non possiamo accaparrarci. un privilegio. Già abbiamo fatto una Camera numerosissima e sconteremo questo errore. Ma sta bene che duri quattro anni, non di più.
Il Senato non può avere la stessa durata della Camera. Come Senato è permanente, ma deve rinnovarsi parzialmente almeno ogni due anni; altrimenti diventa qualcosa di massiccio, qualcosa di solido, di non permeabile, mentre dobbiamo sempre rimanere a contatto della vita popolare.
Ripeto che mantengo la mia proposta, che la Camera duri 4 anni. Sono disposto a subire 5 anni, sebbene io lo consideri un errore. Ma quattro anni è un termine già abbastanza lungo. In America dura due anni ed in Francia quattro. Per quanto riguarda il Senato, mantengo quello che ho detto, cioè ritengo sia necessario che esso non abbia la stessa durata della Camera, che non possa essere sciolto, ma che sia rinnovabile sempre, ogni due anni.
PICCIONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PICCIONI. Mi dispiace che ancora una volta non posso concordare con l’opinione dell’onorevole Nitti, ma devo fare osservare che la posizione rispettiva delle due Camere, così com’è delineata dal progetto di Costituzione, diverge profondamente da ogni altro esempio che si possa invocare presso le nazioni democratiche. Il concetto che ispira la formazione delle due Camere nel progetto di Costituzione è la funzionalità di esse, ed è un concetto che si riferisce non soltanto alla loro funzionalità legislativa vera e propria, ma anche alla loro partecipazione all’attività di Governo. Ora se noi prevediamo che nel giro di ogni due anni, quella che può essere la continuazione rappresentativa politica del Paese, che si rispecchia nell’una e nell’altra Camera, può essere modificata ed alterata fino al punto da mettere in forse la stessa maggioranza di Governo e la stessa sua stabilità, evidentemente facciamo cosa che non risponde ad uno degli scopi della nostra Costituzione, che è anche quello di garantire una certa continuità e una certa stabilità di Governo. Invano si invoca, a questo proposito, l’esempio americano, che sarebbe l’unico che potrebbe avere qualche riferimento (a differenza della Camera dei Lords inglese), perché in America la stabilità di Governo è garantita, quali possano essere le oscillazioni delle rappresentanze politiche delle due Camere, dalla forma presidenziale del Governo. Se si dovesse consentire in Italia che ogni due anni si debba ritornare, ad un diverso orientamento della maggioranza politica delle due Camere, evidentemente renderemmo più instabile, più illusoria quella che è la garanzia di una certa continuità che vogliamo conseguire.
A questo argomento, aggiungo l’altro che è stato accennato in una interruzione dell’onorevole Malagugini, e cioè che nelle condizioni in cui l’Italia si trova, nella febbre elettorale particolarmente caratteristica che prende il corpo elettorale, mi pare non sia augurabile di tenere il Paese permanentemente o quasi in questo stato di tensione febbrile.
Per queste considerazioni dichiaro che noi voteremo per la durata della seconda Camera in modo ininterrotto così come per la prima.
DI VITTORIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DI VITTORIO. Io credo che l’Assemblea debba ispirarsi ad una soluzione che sia la più democratica possibile, ed io sono persuaso che la soluzione più democratica è quella che propone l’onorevole Nitti, per due ragioni essenziali: la prima è quella di evitare una vacanza parlamentare totale, che faccia mancare di un controllo parlamentare il potere esecutivo.
La seconda ragione è quella di avere un contatto più diretto e più frequente con il Paese. Io comprendo la preoccupazione dell’onorevole Piccioni, ma non penso che ci possano essere dei mutamenti talmente profondi dell’opinione pubblica che il rinnovamento di un terzo del Senato possa mettere in pericolo la stabilità del Governo. E d’altra parte, se questo mutamento così profondo vi fosse nel Paese, perché noi dovremmo adottare un sistema che ci obbligherebbe a fingere di ignorare questo mutamento, ed avere così una rappresentanza parlamentare che non corrisponda più alla volontà del Paese?
PICCIONI. Perché non dovrebbe avvenire questo per l’altra Camera?
DI VITTORIO. La questione sarebbe differente; e allora l’osservazione del collega onorevole Malagugini sarebbe giusta. Non possiamo fare permanentemente le elezioni, ma il Senato lo dobbiamo rinnovare. Il punto è di sapere: lo dobbiamo rinnovare lo stesso giorno, contemporaneamente alla Camera dei deputati o lo dobbiamo rinnovare per un terzo ogni due anni? Questa seconda soluzione non modifica nulla; non fa fare elezioni in più: soltanto stabilisce una graduazione, un innovamento parziale, che permette ad una delle due Camere di essere sempre in attività e quindi di assicurare il controllo legislativo della rappresentanza popolare del potere esecutivo. Per queste ragioni, credo che l’Assemblea debba votare prima la durata della Camera dei deputati e poi quella del Senato.
Per concludere, vorrei porgere una preghiera all’onorevole Corbino. Poiché il suo emendamento non si differenzia in linea di principio da quello dell’onorevole Nitti, lo pregherei, per semplificare e dare un significato più chiaro a questo voto, di ritirare il suo emendamento e di associarsi a quello dell’onorevole Nitti.
ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROSSI PAOLO. Onorevoli colleghi, io personalmente, e credo il mio Gruppo, siamo contrari a questa distinzione fra senatori freschi e senatori stantii. Mi spiego: il Senato, nel modo in cui verrà formato, e cioè eletto con suffragio universale, con il sistema del collegio uninominale che favorisce la scelta di elementi che abbiano maggiore autorità, con numero notevolmente più ristretto di componenti rispetto alla prima Camera, sarà già una Camera che avrà in sé una prevalente autorità rispetto alla Camera dei Deputati. Se noi, per di più, costituiamo nel Senato un palladio, un usbergo della continuità politica e giuridica dello Stato, e ne facciano una Camera insolubile, mentre la Camera dei deputati si può sciogliere, anche prima del termine, noi creiamo una disparità fra i due organi del Parlamento e accresciamo un privilegio che siamo venuti, forse senza volere, conferendo al Senato rispetto alla Camera.
Per la seconda questione mi pare evidente un dilemma. Si fanno rinnovazioni parziali ogni due o tre anni. Delle due, una: o la metà rieletta nelle elezioni parziali riproduce, presso a poco, la composizione politica della parte del Senato che è rimasta in funzione, ed allora l’esperimento è inutile; o abbiamo quella distinzione, che dicevo pocanzi, fra senatori freschi e senatori coperti di polvere, fra senatori che hanno in sé una vera autorità politica e senatori che si devono riconoscere destituiti del suffragio popolare che hanno avuto anni prima. Ciò importa che questi senatori se ne vadano, si dimettano, o siano nella condizione di mancare di prestigio e di autorità rispetto agli altri, determinando la necessità o la convenienza di uno scioglimento.
Ed ecco l’ultimo argomento: quello delle elezioni più o meno frequenti.
Non vorrei essere tacciato di antidemocrazia. Ovviamente, preferisco delle elezioni anche tutti i giorni a dei periodi venticinquennali senza confronto elettorale; ma c’è il giusto mezzo, in cui bisogna stare.
Tutta la democrazia rappresentativa è fondata, onorevoli colleghi, sopra una astrazione. Sono persuaso che se noi consultassimo tutte le domeniche, invece che con la SISAL, coi comizi elettorali il popolo italiano, noi avremmo 52 risultati elettorali differenti all’anno. Noi siamo qui per i voti che abbiamo conseguito il 2 giugno; ma è probabile che la domenica 9 giugno vi sarebbe stata una sensibile variazione nei risultati elettorali. Ci sono anzi settimane nella vita politica italiana, in cui queste variazioni sono più che sensibili, amplissime. Penso che una certa astrazione occorra nella democrazia rappresentativa.
Bisogna rassegnarsi a constatare che ci sono momenti in cui la coincidenza delle forze numeriche dei partiti nel Parlamento e nel Paese non è assolutamente esatta.
Se pensiamo che abbiamo le elezioni politiche, poi ogni due anni le elezioni per il rinnovamento dei senatori, poi le elezioni amministrative, che nelle grandi città sono pure una sostanziale, intrinseca consultazione politica, ed infine – lo abbiamo finora dimenticato – le elezioni regionali, vediamo che il nostro Paese sarebbe mutato in un comizio continuo, e qualunque Governo non potrebbe reggersi seriamente e portare a compimento qualsiasi programma.
Per queste ragioni il nostro Gruppo voterà per il testo della Commissione.
CLERICI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CLERICI. A quanto ha detto l’onorevole Rossi mi permetto di aggiungere, come dichiarazione di voto personale, tre modeste osservazioni che mi paiono per altro ovvie.
La prima è questa: l’onorevole Di Vittorio ha invocato, come uno dei due argomenti principali della sussistenza del Senato anche durante lo scioglimento della Camera, quello che il Senato continui la sua funzione di controllo parlamentare.
Ora, io mi permetto di fare osservare all’onorevole Di Vittorio che esiste un principio fondamentale nel diritto parlamentare: le due Camere devono funzionare contemporaneamente; non può essere aperta l’una e chiusa l’altra; non può essere convocata l’una e l’altra rimanere sciolta.
Questo principio, che credo sia generale e costante nel diritto parlamentare, è stato confermato anche nel nostro progetto di Costituzione; infatti all’articolo 59 è detto: «Quando si riunisce una Camera è convocata di diritto anche l’altra». Ed allora, onorevole Di Vittorio, come concepire un controllo del Senato, mentre l’altra Camera è sciolta?
Ma vi è un secondo argomento, che mi pare molto evidente ed è che il progetto di Costituzione, innovando sapientemente e dando soddisfazione a quella che fu un’antica aspirazione democratica, la quale sfociò anche in alcune proposte concrete tra 1919 ed il 1922, ha stabilito al primo alinea dell’articolo 58 un principio, che secondo me è nuovo ed importante.
DI VITTORIO. Il Senato non era elettivo.
CLERICI. Il principio or ora da me ricordato, onorevole Di Vittorio, vale anche per il Senato elettivo, tanto è vero che era stabilito ed è stabilito anche in Francia e negli altri Paesi con Senato elettivo, ed è stabilito con questa disposizione che ora ho letto per il nostro Senato repubblicano. Dunque, quando si riunisce la Camera, è convocato anche il Senato della Repubblica.
Chiuso l’inciso e data la risposta all’onorevole Di Vittorio, torno al secondo mio argomento. Dunque il comma innovativo stabilisce: «I loro poteri sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere». E stabilito con ciò un principio nuovo e fecondo, perché anche dopo il decreto di convocazione dei comizi elettorali, e non solo fino al giorno delle elezioni, ma altresì fino al giorno in cui fisicamente i nuovi senatori ed i nuovi deputati occuperanno questi scanni e quelli di Palazzo Madama, le due vecchie Camere sussisteranno. Allora, onorevoli colleghi, il controllo vi è già, e permanente e vi è sempre la possibilità di autoconvocarsi da parte dell’uno o dell’altro Parlamento, e di conseguenza non vi è più un momento alcuno in cui si possa dire che il Parlamento sia vacante. Anzi avremo ora, per così dire, la permanenza tanto della Camera, come del Senato, perché sino al momento in cui i nuovi deputati ed i nuovi senatori non occuperanno gli stalli, la funzione legislativa e quella generale di controllo dello Stato è esercitata dai precedenti parlamentari.
Faccio in terzo luogo questa modestissima, pedestre osservazione, che forse appunto per la sua modestia è sfuggita a qualcuno. Si è pensato di fare un’elezione parziale di un terzo del Senato. Ma, tenuto presente che abbiamo già votato e deciso il principio che i senatori sono legati alla Regione, e che i seggi regionali non sono poi neanche numerosi, specie per le piccole Regioni, come è possibile risolvere il problema dello scomponimento in tre? Infatti occorrerebbe per tale disposizione che il numero dei senatori per ciascuna Regione fosse multiplo di tre e quindi divisibile per tre, altrimenti non so in quali difficoltà porremo il legislatore nello stabilire la legge elettorale del Senato, perché allora ci troveremo di fronte a questo fatto: che i senatori che debbono essere legati alla Regione debbono essere divisi per tre, quando – per la metà almeno dei casi – non saranno i seggi regionali dei senatori multipli del numero tre.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Desidererei sottolineare un fatto nuovo che, a mio parere, sta emergendo da questa discussione e dalla votazione sul Senato. Inizialmente tutti noi, almeno in forma subordinata, visti sparire i nostri temi principali, in gran maggioranza mi pare che fossimo d’accordo nel ritenere che il Senato avesse gli stessi poteri della Camera dei deputati. Ho l’impressione che pian piano si voglia fare del Senato una seconda Camera con qualche potere maggiore e con un prestigio certamente maggiore di quello della Camera dei deputati. Intanto abbiamo assistito stamattina, dopo aver già ridotto sensibilmente il numero dei senatori di fronte al numero dei deputati, abbiamo assistito – dicevo – alla introduzione nel Senato del Presidente della Repubblica. Basta questo solo fatto per attribuire al Senato uno speciale prestigio. Poi, ultimamente, per quanto in forma non eccessivamente corretta – a mio parere – ma comunque avvenuta, abbiamo anche assistito all’introduzione di «cinque uomini di chiara fama» i quali, aggiunti al Presidente della Repubblica, che è di chiarissima fama, evidentemente contribuiscono a dare un marcato prestigio al Senato. Ed allora io comprendo perfettamente perché l’onorevole Presidente Nitti insista nel voler dare al Senato questa sua particolare funzione di permanenza di fronte a quella che non ha la Camera dei deputati. Infatti l’onorevole Nitti ha sempre considerato il Senato, di fronte alla prima Camera, di maggior prestigio. «Il Senato romano», egli stesso ce l’ha ricordato più volte.
Ed allora, io sono dolente di non poter aderire alle argomentazioni espresse qui, con spirito democratico, dal collega Di Vittorio, il quale ha ritenuto scorgere nella proposta Nitti un principio di democrazia. Io pregherei sempre il collega Di Vittorio ed i compagni socialisti di diffidare, con estrema simpatia, della democrazia del Presidente Nitti (Si ride), il quale è certamente un grande democratico, ma tipo antico, direi quasi, me lo si perdoni, tipo conservatore, di fronte alle nuove esigenze democratiche. Poi, vedo subito il conflitto che si creerebbe inevitabilmente fra Senato e Camera dei deputati. Quando il Senato, rinfrescato con queste elezioni biennali, rappresenti più profondamente e indirettamente la volontà popolare, appare questa incredibile conclusione: che la Camera dei deputati, espressione sovrana, in ogni Paese, della volontà popolare, è diminuita di fronte al Senato, il quale rappresenta più direttamente la volontà popolare.
Ora, c’è un’altra considerazione che mi fa diffidare dell’apparente carattere democratico che l’onorevole Nitti vorrebbe dare al Senato o pensa che il Senato abbia, ed è il Senato francese, che lo stesso Presidente Nitti ci ha ricordato più volte. Ma il Senato francese, onorevole Presidente Nitti, non esiste più, e non esiste più appunto perché le correnti più democratiche del popolo francese hanno voluto sopprimere questo organismo, che in un certo senso, a torto o a ragione, appariva conservatore.
Concludendo: noi che siamo stati in maggioranza per l’uguaglianza dei poteri delle due Camere, non possiamo acconsentire alla proposta Nitti, sia pure sostenuta da elementi democratici, indubbiamente più progressivi. Come ultima conclusione, a mio parere, l’espressione democratica verrebbe a sparire se venisse introdotto quel sistema.
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Dichiaro che voterò a favore del rinnovamento periodico e parziale del Senato in ragione di un terzo dei suoi componenti, perché io ritengo che sia un vantaggio immenso per il regolare e democratico svolgimento della vita del Paese quello che è l’effetto delle elezioni parziali. Queste, senza sconvolgere tutto un Paese e senza invitare tutta la generalità dei cittadini alle urne, danno la possibilità, da parte del Governo, di tenere, come si suol dire, il polso del Paese in mano, e quindi conoscere, ad intervalli di tempo non troppo lunghi, quali sono le tendenze, in senso positivo o negativo, regressivo o progressivo, che si precisano attraverso le elezioni.
Questo concetto di far coincidere l’elezione generale delle due Camere in un momento solo, mi pare un gravissimo errore, in quanto c’è la possibilità che queste elezioni generali delle due Camere siano influenzate da un avvenimento che può essere utile o disutile a certi fini, ma di natura transitoria e che certo non dà quella sensazione di continuità di rapporto costante fra le espressioni del Paese e le esigenze della politica.
Quindi, le elezioni parziali sono una cosa utilissima, e proprio per questa ragione, fondamentale io voterò per il rinnovamento periodico del Senato in ragione di un terzo dei suoi componenti ogni due anni, od ogni tre anni, a seconda che sia di sei o di nove anni la durata della nomina.
Non vedo poi la concludenza dell’argomento dell’onorevole Clerici, che ciò sarebbe contrario alla base regionale del Senato. E, mi permetta che glielo dica: questa famosa base regionale egli ora l’afferma, ora la disconosce; ha votato per la cosiddetta base regionale del Senato, ma poi non ha voluto, fra i requisiti dell’eleggibilità dei senatori, che vi fosse quello della nascita o del domicilio nella Regione, perché ha osservato – e credo a ragione – che rappresentano la Nazione. Dopo aver abbandonato dunque la base regionale per un argomento, ora si riattacca alla base regionale per un altro, e pretende che il rinnovamento parziale del Senato non sia possibile perché i senatori in ogni Regione dovrebbero essere un multiplo di tre. Non c’è affatto questa necessità, perché in ragione di un terzo le elezioni parziali possono avvenire o in ragione di un terzo dei molti collegi uninominali o per un terzo delle varie Regioni, e quindi quando ci saranno le elezioni nel Piemonte e non nella Lombardia non è necessario che ci siano nel Piemonte per un terzo. Quello che è necessario è che ci sia questo rinnovamento parziale e che non ci sia mai completo il vuoto parlamentare accanto al Governo. E qui rievoco l’argomento democratico dell’onorevole Di Vittorio, al quale non è giusto opporre esigenze del sistema bicamerale, perché quando si dice funzionamento bicamerale, del quale sono stato sempre strenuo sostenitore; ciò non significa che la funzione bicamerale si esaurisca nell’attività legislativa e che la apertura delle due Camere e i lavori delle due Camere debbano avvenire con un assoluto parallelismo di giorni o settimane. Se uno dei due rami parlamentari, al momento della chiusura imminente dell’altro ramo, non ha finito una certa attività legislativa, evidentemente la può proseguire, e non c’è obbligo che vada in vacanza allo stesso giorno dell’altro ramo del Parlamento. Ma poi ci sono altrettante funzioni, e forse a volte più essenziali di quella legislativa, la funzione ispettiva, la funzione di controllo, ecc., e ci può essere un ramo del Parlamento che ha disposto una inchiesta, senza nessuna necessità che questa inchiesta sia contemporaneamente fatta dall’altro ramo del Parlamento. Ci può essere dunque, anche quando la durata della Camera dei deputati è scaduta, la necessità di un contatto fra gli esponenti del Governo e gli uomini parlamentari investiti di mandato in atto, e questi uomini parlamentari, se noi avremo un Senato che non si scioglie mai, composto sempre, in qualunque momento, almeno di due terzi dei suoi componenti, avranno la possibilità di essere sentiti dal Governo.
Con le elezioni generali fatte contemporaneamente per i due rami del Parlamento, e con i Ministri che, tutti, dovranno essere rieletti, si pregiudica il principio della continuità del funzionamento dello Stato.
A queste ed altre ragioni voglio aggiungerne un’ultima di carattere pratico, e cioè che anche la scelta dei candidati viene facilitata, come criterio di selezione, se non si devono contemporaneamente eleggere tutti gli esponenti e i rappresentanti del popolo, perché, evidentemente, se si fanno contemporaneamente le elezioni alle due Camere, non è ammissibile che gli stessi candidati siano usufruiti per l’una e per l’altra. Anche dunque dal punto di vista selettivo non ci sarà niente di male che le elezioni del Senato avvengano periodicamente, quando non sono indetti i comizi generali per la Camera dei deputati. La scelta dei candidati sarà molto più facile ed oculata ed avrà una maggiore facilità di buon esito.
Si fa, dagli avversari del rinnovamento parziale, l’obiezione che il Senato finirebbe per avere maggior prestigio della Camera: osservo che io sono stato sempre un sostenitore fermo della necessità che anche il Senato fosse eletto a suffragio universale, ed una volta stabilita la elezione a suffragio universale non mi preoccupo in nessun modo che il prestigio del Senato possa essere eventualmente maggiore del prestigio della Camera. Se noi abbiamo stabilito nel nostro spirito che gli uomini di 40 anni siano eventualmente più riflessivi e siano con maggiore prestigio di quelli di 25, evidentemente abbiamo stabilito che questa seconda Camera debba avere delle caratteristiche diverse e forse anche, per quanto possa dispiacere all’onorevole Lussu, più autorevoli di quelle della prima Camera. La questione sotto questo punto di vista mi pare del tutto secondaria, perché l’una e l’altra Camera sono elette a suffragio universale e l’una e l’altra Camera hanno delle esigenze proprie, sono di carattere non assolutamente identico l’una all’altra.
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Onorevoli colleghi, io non so se interpreto il pensiero dei colleghi del Gruppo, ma personalmente mi permetto di fare questa osservazione, o per meglio dire, questa dichiarazione: io non sono arrivato a comprendere i veri, reali e grandi vantaggi della proposta dell’onorevole Nitti, perché quando si dice che l’accoglimento di questa proposta assicurerebbe una continuità della funzione legislativa, si dice qualche cosa che è superato da quella nuova disposizione, già ricordata dal collega Clerici, per la quale le due Camere seguitano ad esercitare la loro attività fino a che non si è insediata la nuova Camera dei deputati e il nuovo Senato della Repubblica. Quindi un’interruzione dell’attività legislativa, una carenza non c’è. Siccome, come sembra, lo scopo principale della proposta dell’onorevole Nitti sarebbe quello di ovviare a questo inconveniente, non esistendo in realtà questo inconveniente, non vedo il vantaggio della proposta.
Un’altra osservazione, che è collegata a questa. L’onorevole Nitti sostiene la sua proposta anche sotto quest’altro punto di vista: che il Senato, in questo modo, potrebbe continuare ad esercitare la sua funzione, anche quando la prima Camera non funzionasse. Ma l’onorevole Nitti mi insegna che, non solo in conseguenza dei principî a cui si sono sempre informati i sistemi bicamerali, ma anche in conseguenza dei principî riaffermati dalla nostra Costituzione, una Camera non può vivere senza l’altra; non può agire, non può concludere, senza il concorso dell’altra.
Ecco perché (senza entrare in particolari, giacché l’Assemblea conosce, il funzionamento, l’architettura, la costruzione e la formazione delle leggi), ecco perché la nostra Costituzione stabilisce la contemporaneità assoluta nell’esercizio dell’attività dei due rami del Parlamento.
Se questo è, e se non si arriva a vedere l’utilità della proposta dell’onorevole Nitti, è quasi inutile mettere in rilievo quali ne sono gli inconvenienti, tra gli altri quello di venire a dare al Senato un’importanza preminente sopra la Camera dei deputati. Importanza preminente che non è certamente nel nostro pensiero.
Per queste modestissime considerazioni io, personalmente, non mi sentirei di approvare la proposta Nitti, pur riconoscendo che si tratta di una questione che può essere risolta anche positivamente, senza gravi conseguenze.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Signor Presidente, mi pare che questa discussione si sia un po’ perduta in alcune correnti laterali, e che sarà opportuno ricondurla al suo contenuto essenziale.
E sono giunto a questa conclusione, dal rilievo della diversa natura delle osservazioni dei sostenitori della tesi, che possiamo chiamare Nitti-Corbino, e degli oppositori di questa tesi.
Gli uni, cioè i sostenitori, hanno portato – di massima – argomenti positivi; gli altri, cioè gli oppugnatori di questa tesi, hanno portato di massima argomenti negativi, nel senso che, più che dire per quali ragioni essi preferirebbero un altro sistema, hanno soprattutto detto le regioni per cui non vogliono quel sistema.
Ora, una vecchia esperienza dialettica mi ha insegnato che questi argomenti sono, al solito, argomenti molto deboli.
Vorrei ricondurre la questione al fondo. Prima di tutto, si è da molti invocato il sistema escogitato dalla Commissione. Ora, intendiamoci bene, di questa Commissione facevo parte anch’io, i suoi lavori li ho seguiti; ma il sistema, ormai, è stato completamente cambiato. È inutile che noi ci appelliamo a quello che è stato il sistema che la Commissione aveva proposto: di quel sistema, ormai, è rimasto quello che noi abbiamo come base del progetto e che andiamo continuamente modificando. Anzi, noi abbiamo escogitato, stabilito, votato e codificato un sistema che è in contrasto con quello del progetto, proprio perché, evidentemente, la maggioranza di quest’Assemblea voleva che il sistema fosse diverso. Quindi, prima di tutto, dobbiamo considerare il problema dal punto di vista del nuovo sistema e non di quello che è stato abbandonato. E, dal punto di vista del nuovo sistema, noi vediamo una preoccupazione politica affiorare in alcuni, e di questa preoccupazione politica si è fatto portavoce l’onorevole Lussu, il quale teme di veder sorgere, con questo nuovo Senato della Repubblica, un organo conservatore.
Onorevole Lussu, io sono un conservatore; sono anzi uno di quei pochi conservatori in Italia che dicono di essere tali solo per differenziarsi dai moltissimi conservatori, che non hanno il coraggio di dirlo perché lo sono più di lui. (Applausi a sinistra).
Qui mi trovo però in una grande perplessità, perché io so che quei tali conservatori diversi da me hanno una paura matta di questo Senato, proprio per le ragioni opposte a quelle che ha prospettato lei e che ha prospettate, sia pure in altro senso, l’onorevole Paolo Rossi. Ma io sono guidato da un’altra considerazione. Io sono guidato, cioè dalla considerazione che questo Senato debba divenire un organo suscettivo di essere adoperato dallo Stato, mentre sarà lasciata al Paese la responsabilità di dagli quel colore che risponde più alle sue esigenze ed alle sue opinioni.
Io non mi sono dunque lasciato guidare dal timore che, votando questo o quell’emendamento, io potessi favorire o meno i miei avversari politici. Qui la questione è un’altra: noi dobbiamo fare sì o no uni Senato che si differenzi dalla Camera dei deputati? Che si differenzi soprattutto secondo le scaturigini che noi gli abbiamo dato? E allora, se così è, noi dobbiamo accettare questo concetto della continuità.
È del resto quello della continuità un concetto che abbiamo già accettato, con quell’istituto della prorogatio che, introdotto nella Costituzione, non sarà per noi che una garanzia di più.
Ma noi dobbiamo dare al Senato il suo carattere; e, d’altra parte, se il rinnovamento del Senato dovesse valere a dimostrare l’esistenza nel Paese di indirizzi nuovi, sarà prezioso appunto per poter seguire questi indirizzi. Perché infatti, onorevoli colleghi, dobbiamo noi temere dei mutamenti? L’opinione pubblica è quella che ci deve guidare; io non riesco davvero a comprendere una preoccupazione che possa derivare dal manifestarsi dell’opinione pubblica.
La verità è, onorevoli colleghi, che qui si confonde molto spesso l’organo con la funzione. Non si dimentichi che noi qui creiamo l’organo: esso poi funzionerà per suo conto. Oggi noi dobbiamo stabilire che il Senato abbia un carattere particolare; ebbene, possiamo noi astenerci dal conferire al Senato, per ciò stesso, un carattere di rinnovamento e di continuità?
È questo, onorevoli colleghi, il concetto conservatore: che cioè nulla si conserva se non si rinnovi continuamente. Che cosa sarà dunque mai del Senato se non si trasfonderà in esso questo continuo travaso di nuove idee? Questo è e deve essere il concetto del Senato. Nessuno tema allora che il Senato possa assumere maggior prestigio della Camera dei deputati; onorevoli colleghi, l’importante è che non abbia maggiori poteri: il prestigio se lo conquistano gli uomini e gli organismi che essi compongono con quello che fanno. Sarà pertanto compito della Camera dei deputati di mostrarsi ad un’altezza tale da non perdere di prestigio davanti al Senato; e, se la Camera dei deputati non sarà a tale altezza, non sarà a tale livello, meglio allora che, per l’interesse del Paese, sia precisamente il Senato ad avere tale maggior prestigio.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, poiché tutte le opinioni sono state espresse, non c’è ora che passare ai voti. L’onorevole Ruini ha fatto una proposta, che tuttavia penso non si possa attuare: la proposta di votare il principio. Molte volte noi abbiamo infatti potuto esperimentare la non opportunità di votare dei semplici principî, giacché non riesce poi facile trasferire i principî già approvati in una formulazione precisa.
La questione è già stata discussa alcune volte. D’altra parte, abbiamo davanti a noi degli emendamenti su cui possiamo votare.
Ho detto che l’emendamento dell’onorevole Corbino mi pare sia quello che meglio si presta per questa votazione. L’emendamento dell’onorevole Nitti si riferisce esclusivamente al Senato, mentre questo dell’onorevole Corbino pone il problema di ambedue le Camere. Questa la ragione per cui mi pare che il testo dell’onorevole Corbino sia quello che si presta più favorevolmente alla nostra votazione. Lo rileggo:
«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni. Il Senato della Repubblica viene rinnovato per un terzo ogni tre anni».
In questo emendamento è contenuto il principio della rinnovabilità periodica del Senato, sul quale l’onorevole Ruini proponeva di votare inizialmente.
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Mi pare che in questa formula proposta dall’onorevole Corbino sia indicata anche la durata della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. Sì: la Camera dei deputati – è detto – è eletta per cinque anni.
Infatti, onorevole Targetti, io avevo proposto poco fa che si votasse dapprima: «La Camera dei deputati è eletta»; e poi il limite di tempo, dato appunto che c’è un emendamento che vuole fissarlo a quattro anni.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Vorrei chiedere che fosse precisato se la durata complessiva del Senato sarebbe posta poi in votazione dopo l’eventuale rinnovabilità.
PRESIDENTE. Ho detto che non votiamo questioni di principio, ma formulazioni concrete; e le formulazioni sono quelle di cui ho già dato lettura.
Se sarà chiesto che si voti per divisione, evidentemente voteremo dapprima: «Il Senato viene rinnovato», e con ciò la questione di principio è affermata. Resta poi aperta la fissazione del termine di periodicità.
Credo ormai che si possa passare alla votazione della prima parte dell’emendamento dell’onorevole Corbino.
MORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Non abbiamo ben capito il valore di questa votazione.
Noi siamo dell’opinione che la Camera dei deputati sia eletta per cinque anni, come, d’altra parte, pensiamo che anche il Senato sia eletto per cinque anni. Quindi saremmo favorevoli al testo della Commissione.
Se ella mette in votazione questa prima parte dell’emendamento Corbino, questa prima parte, come tale, coincide con il nostro pensiero.
Ora, noi vorremmo sapere se, volendo votare contro la tesi del rinnovamento parziale del Senato, noi dobbiamo votare contro tutto questo emendamento.
PRESIDENTE. Onorevole Moro, lei voterà affermativamente: «La Camera dei deputati è eletta per cinque anni», e poi voterà contro la seconda parte: «Il Senato viene rinnovato».
Dato lo svolgimento delle votazioni, evidentemente occorrerà votare ora una formula redatta in via provvisoria, nella quale si ripeterà la dizione del testo, sostituendo però al soggetto attuale, l’altro: «Il Senato», e che potrà poi essere coordinata dal Comitato di redazione.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. La proposta fatta dall’onorevole Corbino, almeno per la sua prima parte, cioè per quella parte che riguarda la durata della Camera dei deputati, coincide con la proposta del Comitato di redazione.
Evidentemente la proposta che limita la durata a quattro anni deve avere la precedenza.
PRESIDENTE. Onorevole Laconi, ho infatti detto prima che la votazione sarebbe stata fatta inizialmente sulla formula: «La Camera dei deputati è eletta per quattro anni»; e poi, respinti i quattro anni, «per cinque», appunto per potere tener conto – nel quadro dell’emendamento Corbino – dell’emendamento Scoccimarro.
Faremo, successivamente, le seguenti votazioni: prima la Camera dei deputati con la durata di quattro anni e, eventualmente, dopo con la durata di cinque anni. Poi passeremo alla seconda parte dell’emendamento Corbino. Se fosse respinta, si porrebbe la necessità di votare per il Senato una formula uguale a quella votata per la Camera. Le due formule sarebbero poi coordinate.
Pongo pertanto in votazione questa formulazione:
«La Camera dei deputati è eletta per quattro anni».
(Dopo prova e controprova, non è approvata).
Pongo in votazione la prima parte dell’emendamento Corbino:
«La Camera dei deputati è eletta per cinque anni».
(È approvata).
Dobbiamo ora passare alla seconda parte che si riferisce al Senato. Si tenga presente che, votando la formula, di cui darò lettura, si accetta un Senato che si rinnova parzialmente e periodicamente.
E allora voteremo questa parte dell’emendamento Corbino che dice: «Il Senato viene rinnovato».
Ci fermiamo a questo punto perché vi sono altre proposte per una periodicità riferita ad un numero di anni diverso da quello proposto dall’onorevole Corbino.
Pongo dunque in votazione questa formulazione:
«Il Senato viene rinnovato».
(Non è approvata).
Passiamo dunque alla votazione in ordine al Senato, allo stesso modo con cui abbiamo votato per la Camera. Bisogna stabilire infatti se il Senato, pur rinnovandosi al completo ad ogni scadenza di mandato, debba avere una durata eguale a quella della Camera.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Io credo che almeno una cosa dovremmo impedire. Ormai siamo ai piccoli problemi, perché quelli grandi li abbiamo risolti. Dovremmo impedire la simultaneità delle elezioni, cioè la confusione infinita che si creerebbe nel Paese per una contemporanea consultazione elettorale, col sistema proporzionale e col collegio uninominale, con l’incrociarsi e il confondersi delle due lotte politiche, per cui la gente, che non passa la vita su questi problemi, sarebbe nell’assoluta impossibilità di esprimere una opinione che significhi qualche cosa. Noi dobbiamo stabilire per il Senato una durata maggiore o minore, ma dobbiamo fare in modo che le elezioni non coincidano, altrimenti fabbricheremmo una Torre di Babele. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Onorevole Lucifero, la prego di fare una proposta concreta.
LUCIFERO. L’onorevole Nitti ha detto, con una certa mia sorpresa, che in nessun popolo civile le legislature durano cinque o sei anni. In Inghilterra, in verità, durano sei anni e non hanno dato cattiva prova. Eppure credo che l’inglese sia un popolo civile. Io proporrei, quindi, che il Senato abbia la durata di sette anni in maniera che le elezioni per il Senato non si sovrappongano a quelle della Camera e non si finiscano le une per cominciare le altre.
CLERICI. Propongo la durata di sei anni.
LUCIFERO. Mi associo alla proposta dell’onorevole Clerici, ritirando la mia.
PRESIDENTE. Allora vi è la proposta della Commissione che il Senato abbia la stessa durata della Camera e la proposta Clerici, cui ha aderito l’onorevole Corbino, che il Senato duri in carica sei anni.
CAMANGI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAMANGI. Desidero far notare che, se si vuol dare una diversa durata alle due Camere per evitare la coincidenza delle elezioni, questa coincidenza, sia pure a più lunga scadenza, avverrà. (Commenti).
PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula proposta dall’onorevole Clerici, accettata dall’onorevole Lucifero.
«Il Senato della Repubblica è eletto per sei anni».
(È approvata).
Se non vi sono osservazioni, resta stabilito che il Comitato di redazione provvederà a coordinare le due formulazioni approvate, e cioè quella relativa alla Camera e l’altra relativa al Senato.
(Così rimane stabilito).
Passiamo al secondo comma dell’articolo 58:
«I loro poteri sono tuttavia prorogati sino alla riunione delle nuove Camere».
Lo pongo in votazione.
(È approvato).
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero fare un’osservazione più generale: con l’ultima votazione che ha portato – contro il mio pensiero – a sei anni la durata del Senato, si viene ad intaccare il concetto di legislatura, che era comune alle due Camere; e significava che le due Camere venivano elette nello stesso tempo e potevano essere sciolte nello stesso tempo.
Faccio le mie riserve, non solo per questo punto, ma per altri; perché molte disposizioni sistematiche del progetto, basate sul parallelo delle due Camere, vengono meno.
PRESIDENTE. Forse in questo caso la dizione significa che quella delle due Camere che in quel momento dovrebbe essere sciolta non lo sarà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questa dello scioglimento sarà materia di un successivo articolo, soltanto è mio dovere far presente che bisognerà, nell’elaborazione finale, rivedere e coordinare possibilmente alcune disposizioni.
PRESIDENTE. Segue il terzo comma:
«La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso o di imminente pericolo di guerra».
L’onorevole Mortati ha proposto il seguente emendamento sostitutivo:
«La legislatura può essere prorogata con legge nel caso di guerra, o di eventi di uguale gravità, tali da rendere impossibile la convocazione dei comizi».
NITTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NITTI. Ritengo che questa disposizione sia anche inutile. La Camera dei deputati eletta il 27 novembre 1913 durò fino al 29 settembre 1919; essa fu prorogata senza che la proroga fosse prevista da una disposizione statutaria. Si tratta del caso di necessità, che non occorre prevedere.
FABBRI. Lo Statuto albertino era flessibile. Ora si sta elaborando una Carta costituzionale a sistema rigido.
NITTI. Comunque, ritengo che questa disposizione sia superflua.
GIANNINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANNINI. Ritengo che, nell’interesse dell’uomo qualunque, bisogna vietare qualsiasi proroga delle Camere, anche in caso di guerra. È chiaro che, se scoppia una guerra, questa guerra scoppia principalmente perché la politica fatta dalle Camere ha portato alla guerra. (Commenti).
Sono molto lieto di vedere colleghi disposti alla ilarità; ma ritengo di non dire una cosa del tutto errata. Una guerra scoppia per tante ragioni, fra cui quella di una cattiva politica, fatta precisamente dalle due Camere, cioè dagli organi legislativi eletti dal popolo. Ed allora si stabilirebbe questa situazione immorale: che, per aver fatto una politica che ha portato alla guerra, il Corpo legislativo si autoprorogherebbe, per continuare a commettere gli errori che hanno portato alla guerra, approfittando dello stesso errore, la guerra.
Si stabilirebbe insomma questa immoralità: che coloro i quali sono, in parte maggiore o minore, colpevoli dello stato di guerra determinatosi avrebbero la facoltà di prolungare i loro poteri per continuare a commettere gli errori che hanno portato alla guerra. Ciò è immorale e debbo dire, per quanto mi riguarda, che voterò contro qualsiasi proroga. (Approvazioni a sinistra).
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Sono dolente di non poter concordare con l’amico Giannini, perché la sua osservazione sarebbe giustissima se si potessero sciogliere tutti i Parlamenti del mondo, perché, com’è evidente, una guerra non è fatta da un Paese solo ma almeno da due Paesi ed oggi da tutti. Molto spesso, anzi, le guerre si subiscono e i Parlamenti non sono colpevoli delle guerre imposte dalle circostanze. Qui si tratta di un problema di vita pratica. In certi Paesi, come abbiamo visto, in piena guerra si sono fatte le elezioni. Vuol dire che si trattava di Paesi che si trovavano nella possibilità di farle. Ma ciò si verifica soltanto raramente. Quindi la possibilità di prorogare le legislature della Camera e del Senato ci deve essere, ma solo in caso di guerra. Non posso quindi accettare l’emendamento Mortati. Se si prevedono altri casi di proroga, se si dà alle Camere la prerogativa di inventare i motivi per prorogarsi, esse tenderanno sempre a prorogarsi, così come si è prorogata questa nostra Assemblea. (Commenti). Dobbiamo avere il coraggio di dirlo. Quindi solo in caso di guerra può essere prorogata la legislatura. «Può», non «deve», sicché la proroga non sarebbe obbligatoria. Io chiederei, signor Presidente, che fossero mantenuti la parola «solo» nel testo iniziale e l’emendamento che l’onorevole Targetti ha conservato all’ultimo comma, emendamento che chiarisce e definisce questo concetto.
BENEDETTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BENEDETTINI. Signor Presidente, riferendomi a quanto ha accennato l’onorevole Giannini, io penso che quel che ha detto l’onorevole Nitti circa l’opportunità di non parlare affatto della possibilità di proroga è giusto, anche perché è stato già approvato un articolo il quale dice che l’Italia rinuncia alla guerra, per cui la guerra in questa Costituzione è completamente messa al bando. (Commenti). Quindi io proporrei di non parlare affatto della proroga.
SERENI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SERENI. Il Gruppo comunista è contrario a che in caso di guerra siano sospese le garanzie costituzionali. È evidente che, come diceva d’altronde l’onorevole Giannini, esiste una responsabilità del Parlamento e del Governo nel caso che il Paese sia trascinato, sia pure senza sua diretta responsabilità, in una guerra. Possono esservi casi di aggressioni internazionali in cui il Paese sia trascinato anche malgrado una politica giusta fatta dal Governo. Può esservi però l’ipotesi contraria: in questo caso occorre che il popolo non sia privato del diritto di sostituire le Camere e il Governo che lo hanno trascinato in una guerra ingiusta. (Approvazioni a sinistra).
MORTATI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORTATI. Ritiro il mio emendamento, non senza fare osservare, che esso era stato suggerito dalla considerazione dell’opportunità della equiparazione di situazioni che, facendo sorgere le medesime esigenze, dovrebbero dare luogo agli stessi provvedimenti.
Osservo ora che se veramente si vuole limitare, come diceva l’onorevole Lucifero, il caso della proroga solo ad eventi che non siano suscettibili di valutazioni discrezionali da parte dell’Assemblea che decide la proroga stessa, bisognerebbe conseguentemente modificare anche il testo del progetto, sopprimendo la frase «o di imminente pericolo di guerra», poiché è evidente che l’accertamento di tale circostanza si presta ad apprezzamenti senza carattere di certezza obiettiva.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo alla votazione. Poiché l’onorevole Mortati ritira il suo emendamento, resta soltanto il testo della Commissione. Ma poiché l’onorevole Mortati ha accennato all’idea che la seconda parte del testo della Commissione abbia un carattere a sé stante e pertanto richieda forse una votazione particolare, se nessuno si oppone, pongo in votazione per divisione il testo della Commissione, e precisamente: «La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso». Poi, voteremo: «o di imminente pericolo di guerra».
CORBINO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Io trovo che, essendosi variati i periodi di durata delle due Camere, la facoltà di proroga dovrebbe essere riferita all’ultimo comma dell’articolo 58, dove si dice: «Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti». Siccome noi avremo sempre una Camera in vita, data la diversa durata di ciascuna delle due, è a questa eventualità che ci si deve riferire per la proroga, non alla legislatura.
PRESIDENTE. Onorevole Corbino, per adesso votiamo sul testo della Commissione, la quale poi coordinerà la norma con quelle precedentemente approvate.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Nell’osservazione dell’onorevole Corbino c’è un concetto costituzionale molto giusto. Qui si tratta non di prorogare la legislatura ma di far funzionare l’istituto della prorogatio fino al termine dello stato di guerra; cioè la legislatura si scioglie di diritto, ma i 70 giorni si prolungano a tempo indefinito. (Commenti). Sta proprio in ciò la questione. Quindi si dovrebbe, con l’emendamento Targetti, sopprimere il terzo comma e dire semplicemente: «Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti, tranne che sia dichiarato lo stato di guerra». In tal modo le Camere continuerebbero a funzionare per prorogatio fino al termine dello stato di guerra.
PRESIDENTE. L’onorevole Giannini ha presentato il seguente emendamento sostitutivo del terzo comma: «In nessun caso la legislatura può essere prorogata».
Faccio notare, per evitare obiezioni, che non si tratta di un emendamento soppressivo (ed in tal caso non lo metteremmo in votazione). Si tratta di un emendamento che afferma un principio, un divieto, e che pertanto ha la precedenza sul testo della Commissione.
MORTATI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORTATI. Non mi pare che una formulazione del genere di quella proposta dall’onorevole Giannini possa essere accolta. Poiché, come è stato or ora esattamente osservato dall’onorevole Fabbri, la nostra Costituzione è rigida, essendovi una disposizione costituzionale secondo cui le Camere sono elette per 5 anni, basta tacere circa la possibilità di proroga perché questa sia esclusa. Con la formula Giannini si potrebbe perfino ritenere che la prorogabilità della legislatura sia da escludere anche in sede di revisione costituzionale.
PRESIDENTE. L’onorevole Giannini è del parere che occorra porre nel testo costituzionale un divieto esplicito.
Pongo pertanto ai voti l’emendamento Giannini:
«In nessun caso la legislatura può essere prorogata».
(Non è approvato).
Pongo allora in votazione la prima parte del terzo comma nel testo del progetto: «La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso».
(È approvata).
Pongo in votazione la seconda parte: «o di imminente pericolo di guerra».
(Non è approvata).
Passiamo all’ultimo comma.
BOSCO LUCARELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOSCO LUCARELLI. Ritiro il mio emendamento all’ultimo comma.
PRESIDENTE. Pongo ai voti il primo periodo dell’ultimo comma:
«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti».
(È approvato).
Ricordo che al secondo periodo di questo comma: «Il provvedimento che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni» è stato proposto dall’onorevole Perassi un emendamento inteso a sostituire le parole: «Il provvedimento» con le seguenti: «Il decreto del Presidente della Repubblica».
LUCIFERO. Chiedo di parlare:
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Non possiamo trascurare il caso previsto nell’emendamento dell’onorevole Targetti, al quale mi sono già richiamato, tendente ad inserire, dopo le parole: «hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti», le altre: «tranne che sia dichiarato lo stato di guerra». L’onorevole Targetti prevede l’ipotesi che lo stato di guerra sopravvenga nelle more tra la fine della legislatura e le elezioni. Quindi io insisterei perché l’emendamento dell’onorevole Targetti fosse mantenuto e messo ai voti, altrimenti avremmo votato la possibilità di proroga prima della fine della legislatura e resterebbe in sospeso l’altra eventualità.
PRESIDENTE. Onorevole Targetti, conserva il suo emendamento?
TARGETTI. Lo conservo.
MORTATI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORTATI. Vorrei pregare l’onorevole Targetti di spiegarci il significato di questo suo emendamento, perché non appare chiaro. Noi abbiamo stabilito che in caso di guerra dichiarata può aver luogo, con legge, la proroga della legislatura. Ora, i casi sono due: o questa proroga è già stata stabilita ed allora non c’è bisogno, naturalmente, di aggiungere l’inciso proposto dall’onorevole Targetti, perché si intuisce che nel caso di proroga non si procede alle nuove elezioni. Se poi la proroga non ci fosse, allora non si intende come si possano sospendere le elezioni già indette. Vorrei quindi pregare l’onorevole Targetti di spiegare la ragione del suo emendamento e la possibilità che vi è di inserirlo nell’insieme delle disposizioni relative alla proroga in caso di guerra.
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. L’emendamento mi sembra molto chiaro e di una portata molto limitata: si riferisce ad un caso che sarà rarissimo, eccezionale, ma che può verificarsi: che cioè lo stato di guerra sia dichiarato dopo che la legislatura ha finito il suo compito e prima che sia stata eletta la nuova Camera. Non c’è stato modo di prorogare la legislatura perché lo stato di guerra ancora non si era verificato; si è verificato in quell’intervallo, ed allora non vale più la regola del termine fisso determinato per le nuove elezioni.
BOZZI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOZZI. L’ipotesi che ha prospettato l’onorevole Targetti in realtà si può verificare. Ma già nel testo che abbiamo approvato c’è la possibilità costituzionale di porvi rimedio. Ed è il secondo comma, in base al quale le Camere prorogano i loro poteri sino alla riunione delle nuove. Ora, se interviene l’evento al quale faceva riferimento l’onorevole Targetti, le Camere si riconvocheranno di diritto e potranno prorogare la loro durata.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. C’è un errore, perché le Camere si possono prorogare, possono cioè prendere il provvedimento legislativo di prorogarsi finché non sono state sciolte. Ma quando funzionano per prorogatio, cioè sono già sciolte, questo provvedimento di legge non lo possono più prendere. Ecco perché devono essere autorizzate, secondo quanto stabilisce l’emendamento dell’onorevole Targetti.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho dichiarato che il caso sollevato dall’onorevole Targetti è eccezionalissimo e potrà, se l’Assemblea vuole, prevedersi nel testo. Occorrerà in ogni modo precisare, in relazione al punto prospettato dall’onorevole Lucifero di una proroga, votata da una Camera già sciolta. Questa revisione potrà farsi nel coordinamento finale.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Targetti, che propone di aggiungere alla fine del primo periodo del quarto comma già approvato le seguenti parole: «tranne che sia dichiarato lo stato di guerra».
(È approvato).
Pongo in votazione il secondo periodo dell’ultimo comma con l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi e accettato dalla Commissione:
«Il decreto del Presidente della Repubblica che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni».
(È approvato).
Abbiamo così esaurito l’articolo 58. Ne do lettura nel testo approvato, salvo il coordinamento:
«La Camera dei Deputati è eletta per cinque anni; il Senato della Repubblica è eletto per sei anni.
«I loro poteri sono tuttavia prorogati fino alla riunione delle nuove Camere.
«La legislatura può essere prorogata con legge solo nel caso di guerra in corso.
«Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti, tranne che sia dichiarato lo stato di guerra. Il decreto del Presidente della Repubblica che le indice fissa la prima riunione delle Camere non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni».
Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
RICCIO, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti abbia preso in conseguenza dell’atto proditorio compiuto giorni or sono contro la sede della sezione comunista di Montalto Pavese; e per conoscere, altresì, quali direttive intenda impartire alle forze di polizia per impedire l’eventuale ripetersi di tale atto, in una zona tranquilla, nella quale tali violenze contro i partiti democratici genererebbero una giusta reazione tra i partigiani e il popolo.
«Mezzadra».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere lo stato di esecuzione del decreto legislativo 30 giugno 1947, n. 783, riguardante rimpianto e l’estensione di reti telefoniche urbane e i collegamenti interurbani nei comuni dell’Italia meridionale, della Sicilia e della Sardegna.
«L’interrogante chiede all’onorevole Ministro se non ritenga opportuno che il decreto abbia sollecita applicazione, sia per la sua pratica utilità, sia per non aggiungere nuove prove che convalidino la convinzione, diffusa nelle popolazioni meridionali, che i provvedimenti in suo favore trovino intralcio nella burocrazia.
«Galati».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere per quali ragioni non è ancora stato provveduto a definire la posizione dei diplomati degli Istituti tecnici industriali e per geometri, nel senso della loro ammissione alle facoltà tecniche universitarie; e se è vero che l’onorevole Ministro ebbe ad assicurare detta ammissione per l’anno accademico 1947-48, con sua dichiarazione ufficiale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Preti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quali provvedimenti intenda prendere per la sistemazione della Facoltà di medicina della Università di Genova, il cui corpo insegnante, a causa dell’assoluta deficienza di locali e di mezzi, specie per quanto riguarda la clinica ostetrica, la clinica chirurgica e l’istituto di patologia chirurgica, si è trovato costretto a sospendere ogni attività didattica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Guerrieri Filippo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere per quali ragioni il Molise – regione provata come poche altre dal flagello della guerra – è trascurato in modo così inverosimile ed incredibile nei suoi servizi ferroviari, come è stato già in precedenza segnalato al Ministro.
«Sulla linea Campobasso-Termoli e su quella Campobasso-Benevento il servizio viaggiatori è disimpegnato solo da vecchie vetture di terza classe, mal ridotte ed indecenti. Spesso anche queste mancano ed a disposizione dei viaggiatori sono soltanto carri bestiame, ove occorre stare in piedi per ore ed ore, con gravissimo disagio.
«Tale mortificante stato di cose è offensivo per una regione, che è fra le prime di Italia per alto senso di civismo e per dedizione alla Patria in ogni tempo.
«Per tale insopportabile situazione, giorni or sono, il Vescovo di Campobasso, in partenza sul treno per Termoli, fu, in segno di doveroso omaggio, invitato a salire nel bagagliaio, come il posto più decente; ma fu, poi, invitato a discendere subito, adducendosi inopportunamente motivi regolamentari, in modo che il Vescovo fu costretto, fra l’indignazione dei presenti, a viaggiare in carro bestiame, (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Camposarcuno».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, sui provvedimenti che intenda prendere per risolvere al più presto il grave problema della sistemazione economica degli agenti di custodia.
«In particolare l’interrogante osserva che il Corpo degli agenti di custodia, fin da quando l’Amministrazione carceraria dipendeva dal Ministero dell’interno, è stato sempre equiparato, per quanto si riferisce al trattamento economico, al Corpo degli agenti di pubblica sicurezza. E ciò fu confermato anche col passaggio dell’Amministrazione carceraria dal Ministero dell’interno a quello della giustizia, avvenuto il 1° luglio 1925.
«Il regolamento per il Corpo degli agenti di custodia 30 dicembre 1937, n. 2584, mantiene inalterato tale concetto, come pure il recente decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508, con l’articolo 15 non solo ribadisce quanto sopra, ma addirittura equipara il trattamento economico degli agenti di custodia a quello dei carabinieri.
«L’interrogante rileva che con lo stesso decreto all’articolo 12 l’indennità di pubblica sicurezza è stata estesa anche agli agenti di custodia sotto la denominazione di «indennità carceraria».
«Non vi è dubbio dunque che gli agenti di custodia abbiano diritto al medesimo trattamento economico concesso agli altri appartenenti ai Corpi di pubblica sicurezza. E ciò è tassativamente sancito dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 5 agosto 1947, n. 778, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 190 del 21 agosto 1947.
«Tale decreto, con la tabella n. 4, non fa distinzione alcuna fra i Corpi di pubblica sicurezza, comprendendo espressamente il Corpo degli agenti di custodia delle carceri fra i carabinieri, la guardia di finanza e il Corpo delle guardie di pubblica sicurezza.
«Infine si fa presente che dal 1° gennaio 1947 a tutti gli appartenenti ai Corpi armati dello Stato è stato concesso il beneficio della razione viveri in natura, a titolo di retribuzione. Non v’ha dubbio che tale beneficio debba estendersi anche al Corpo degli agenti di custodia delle carceri, con la medesima decorrenza, in quanto il suddetto Corpo con decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508, è entrato a far parte integrale delle Forze armate dello Stato con disciplina militare e con l’obbligo dell’uso delle stellette sulla divisa.
«Pertanto dal 1° gennaio 1947 venga fatto il conguaglio fra il valore della razione viveri in natura non goduta e l’indennità di caro-vita corrisposta, o quanto meno venga corrisposta una indennità compensativa mensile di lire 5000, che rappresenta la differenza tra il valore della razione viveri in natura e la diminuzione dei caro-viveri, che ne sarebbe scaturita se il personale avesse goduto del beneficio della razione viveri in natura.
«Da quanto viene riferito, pare che il Ministero del tesoro abbia già approvato in linea di massima l’estensione della razione viveri in natura anche a favore del Corpo degli agenti di custodia. Non dovrebbe essere difficile avere l’approvazione del Consiglio dei Ministri.
«La soluzione di questa pratica sta molto a cuore al personale di custodia, che si sente assai avvilito di fronte agli appartenenti agli altri Corpi armati di polizia, ed è fonte di vivo malumore tra essi e questi ultimi, con evidente pregiudizio per il delicato servizio a cui devono attendere, perché oltre a soffrire la palese ingiustizia, ne risentono fortemente le loro già precarie condizioni economiche.
«I 14.000 componenti il Corpo degli agenti di custodia, stanchi delle lusinghevoli promesse che si sono avvicendate per circa 10 mesi, senza mai avere ottenuto nulla di concreto, attendono con ansia la soluzione della lunga attesa pratica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bastianetto».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se – in analogia a quanto è stato sancito a favore dei provveditori agli studi reggenti – non ritenga equo stabilire un punteggio di valutazione del servizio di reggenza prestato dai direttori didattici nei posti di ispettore e dagli insegnanti elementari nei posti di direttore, per effetto degli incarichi loro affidati dagli Alleati, nel periodo di emergenza, e dai provveditori a norma del regio decreto-legge 4 giugno 1944, n. 158. Tale punteggio dovrebbe avere effetto nello scrutinio di promozione al grado superiore per i direttori e nel concorso direttivo per i maestri. In prossimità degli scrutini di promozione e dei concorsi, il provvedimento richiesto ha carattere di urgenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Galati».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere se non ritengano equo ed opportuno elevare la somma assicurata in lire 5000 ai combattenti dallo Stato nel 1918, mediante il rilascio delle polizze gratuite, in misura tale da consentire se non un integrale adeguamento del valore della moneta dal 1918 al 1948, almeno un riconoscimento coerente al significato morale ed al valore materiale dell’impegno dello Stato, commisurando in lire 50.000 le lire 5000 del 1918. E ciò, in considerazione che per i decreti luogotenenziali 7 marzo 1918, n. 874; 10 dicembre 1917, n. 1970; 30 dicembre 1917, n. 2047; 19 maggio 1918, n. 769; 8 dicembre 1918, n. 1953, concernenti il rilascio delle polizze gratuite ai combattenti ed ai loro superstiti, veniva il premio di assicurazione fissato in lire 5000 e lire 1500; che tale premio viene a maturare, per i superstiti, dopo 30 anni, nel 1948; che per il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 7 aprile 1947, n. 397, i combattenti della guerra 1915-18, assicurati con le polizze miste con scadenza 1° gennaio 1948, possono chiedere il pagamento delle polizze stesse, presentando domanda all’Istituto nazionale delle assicurazioni; ed in considerazione, infine, che la somma di lire 5000, così come nel 1918 rappresentava apprezzabile premio a coloro che avevano bene meritato, conquistando alla Patria con il loro assai duro e sanguinoso sacrifizio, le terre irredente ed i naturali confini, oggi suona irrisorio quanto umiliante compenso ai combattenti superstiti della grande guerra 1915-18. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Mastrojanni».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testò lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte ai loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 20.15.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 11 e alle ore 16:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.