Come nasce la Costituzione

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LUNEDÌ 13 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 13 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

INDICE

Congedi:

Presidente

 

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

 

Interrogazioni (Svolgimento):

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Benedettini

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Franceschini

Corbellini, Ministro dei trasporti

Di Fausto

Morelli Luigi

Cavalli, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa

Costa

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Di Giovanni

Ronchi, Alto Commissario per l’alimentazione

Riccio

Mazza

Geuna

De Martino

 

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Svolgimento):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

Cianca

 

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Scelba, Ministro dell’interno

 

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Alberti, Bertone, Bonino, Mastino Gesumino e Roselli.

(Sono concessi).

Domande di autorizzazione a procedere.

PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso due domande di autorizzazione a procedere in giudizio rispettivamente contro i deputati Ezio Villani e Franco Moranino, per il reato di cui all’articolo 595, in relazione all’articolo 57, n. 1, del Codice penale.

Saranno inviate alla Commissione competente.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella dell’onorevole Benedettini, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti sono stati presi contro quel gruppo di 30 comunisti, che martedì 7 ottobre, in Roma, alla fine di un comizio monarchico, hanno aggredito 5 studenti, producendo ai giovani Ponzani Umberto, di 17 anni, e Spica Giacomo, di 21, iscritti all’Unione monarchica italiana, ferite lacerocontuse e contusioni multiple, e per conoscere, inoltre, quali preventive precauzioni intende adottare per garantire le libertà democratiche e le manifestazioni politiche contro i metodi dell’azione diretta».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Avvenimenti successivi ben più gravi hanno tolto anche a questa interrogazione gran parte della sua importanza.

Comunque, i fatti che vi hanno dato luogo sono i seguenti: la sera del 7 corrente in piazza della Pilotta è stato tenuto un comizio indetto dal Partito monarchico; il comizio si è svolto in relativa tranquillità. Alla fine, un gruppo di comizianti si è indirizzato verso la sede del Partito monarchico in Via Quattro Fontane. Durante il percorso, il gruppo – composto di cinque giovani – venne aggredito da una trentina di individui che ne ferivano due in modo non grave, ma pur sempre tale da richiederne il ricovero in ospedale.

La pubblica sicurezza, che aveva assistito al comizio, intervenne prontamente e l’ordine fu ristabilito. Non fu tuttavia possibile identificare i responsabili, i quali si dileguarono approfittando della confusione del momento.

Posso assicurare che da parte della pubblica sicurezza si proseguono attivamente le indagini per scoprire e raggiungere i colpevoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Benedettini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

BENEDETTINI. Ringrazio il signor Sottosegretario per l’interno della buona intenzione che ha dimostrato di volere rintracciare i colpevoli, i quali però, malgrado la stessa buona intenzione, non sono stati ancora identificati, come non furono rintracciati coloro che vennero ad assalire, durante l’assemblea dell’Unione monarchica italiana, una riunione alla quale ero presente io stesso e dei quali, dopo vari mesi, benché fossero oltre 400 persone, non ne è stato identificato neanche uno.

Questo significa che i sistemi adottati da alcuni partiti, ed in particolare dal Partito comunista, hanno buon giuoco.

Voglio rettificare alcune cose che il signor Sottosegretario ha comunicato riguardo a questo incidente. Non è avvenuto il conflitto sul posto, come ha detto lei, ma i 30 comunisti hanno aspettato che quel gruppo di 12 studenti, partito da piazza della Pilotta, risalisse via Nazionale, si sciogliesse in piazza del Quirinale e, quando hanno visto che dei giovani ne erano rimasti 4 soltanto, all’altezza di via XX Settembre li hanno aggrediti, in 30 contro 4, spaccando la testa ad uno e riducendo un altro in cattive condizioni.

Questi sono i sistemi dell’azione diretta, ed io domando e dico se è permesso agire in tal modo, specialmente durante una campagna elettorale.

Non siamo certo noi ad adottare questi sistemi: noi, che rispettiamo le libertà democratiche, non permettiamo a nessuno dei nostri di agire e neppure di inveire a parole contro altri partiti.

Qui invece i trenta comunisti che hanno aggredito, hanno detto a questi giovani: «Imparerete a gridare viva il re e viva la monarchia», e con questi sistemi li hanno messi in condizione di non parlare più. Questa, per me, è, oltre tutto, vigliaccheria. Se un partito ritiene doveroso ricorrere a questi sistemi, significa che non ha altri mezzi per imporre le proprie idee.

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini, la prego di limitarsi a dire se è sodisfatto o no.

BENEDETTINI. Non posso essere sodisfatto, perché dei trenta comunisti non ce c’è uno che sia stato fermato, messo dentro e reso responsabile del reato compiuto. Io non faccio colpa alla polizia, perché effettivamente risulta che durante il comizio aveva fatto del suo meglio. Ad ogni modo mi domando quali sono i provvedimenti che il Governo vuole prendere per evitare che questi continui, ripetuti e disgraziatamente anche ingranditi effetti di sistemi dell’azione diretta continuino. Abbiamo avuto occasione proprio ieri stesso di constatare un più grave caso durante la campagna elettorale e cioè l’assassinio da parte dei comunisti di un povero giovane, proprio per lo stesso motivo dell’azione diretta.

Chiedo se questi sistemi non debbano cessare e se il Governo non debba prendere qualche provvedimento preventivo, onde impedire a questi partiti che adottano tale azione diretta, di realizzarla, come è stato minacciato anche in quest’Aula dall’onorevole Togliatti.

La sera di venerdì l’Assemblea si è ribellata contro la manifestazione del M.S.I. in piazza Colonna, ed i comunisti vollero far vedere che si protestava contro un sistema che voleva farsi passare per monarchico e non lo era, e questi stessi signori hanno minacciato di voler prendere loro chissà quale difesa di Montecitorio. Questi sistemi portati qui dentro dall’onorevole Togliatti devono essere ufficialmente dal Governo deprecati. Azione diretta non ce ne deve essere. Se ci sono idee da far valere devono essere fatte valere col convincimento; in tal modo solamente si potrà arrivare ad una chiarificazione. Noi in tutti i nostri comizi predichiamo l’amore e l’accordo, ma vediamo che dall’altra parte ci si risponde con provocazioni, insulti e con azioni tali da produrre effetti che non sono certo quelli che vogliamo ottenere. Pertanto chiedo che il Governo voglia senz’altro approfondire, se è possibile, questa inchiesta, cercare di colpire i responsabili e laddove non può riuscire a colpire i responsabili, disporre perché un partito che adopera questi mezzi sia sciolto. (Proteste all’estrema sinistra).

È stato chiesto venerdì scorso in questa Aula dai comunisti lo scioglimento del M.S.I. perché è un partito che ricorre, secondo loro, alla violenza (e finora effetti diretti di questa violenza non ne abbiamo veduti); c’è una legge che vieta la rinascita del partito fascista perché anch’esso partito che avrebbe usato mezzi di violenza; per questi stessi motivi e per le stesse ragioni chiediamo che sia sciolto il Partito comunista, che è un partito che solamente sulla violenza e sulla azione diretta (i cui frutti abbiamo dolorosamente ripetutamente constatato) si basa e si potenzia. (Proteste all’estrema sinistra – Scambio di apostrofi tra il deputato Benedettini e il deputato Bardini).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Mentasti, Lizier, Bastianetto, Ponti, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali misure siano state prese dall’autorità politica in occasione di comizi, tenuti senza l’osservanza delle relative norme di legge, e della spedizione punitiva organizzata la sera del 20 luglio dall’onorevole Giovanni Tonetti contro la pacifica popolazione di Caorle (Venezia), e quali provvedimenti si intendano assumere per impedire il ripetersi di simili episodi, che – turbando l’ordine pubblico – feriscono i più elementari principî delle libertà democratiche e rinnovano sistemi universalmente condannati e detestati».

Non essendo presente nessuno degli onorevoli interroganti, s’intende che vi abbiamo rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Cremaschi Carlo, al Governo, «per conoscere cosa risulti allo stesso circa il ferimento di giovani democristiani a Genzano, in seguito ad aggressione avvenuta nel pomeriggio di domenica 5 ottobre 1947».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, s’intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione gli onorevoli Franceschini, Bellato, Gortani, Lizier, Morelli Luigi, Pastore Giulio, ai Ministri del bilancio e del tesoro, «per conoscere se non ritengano rispondente a giustizia e umanità disporre che gli impiegati e i salariati statali, di tutte le categorie, che cessano dal servizio per quiescenza, anziché dover attendere dolorosamente per anni interi la liquidazione dei loro assegni di pensione, possano fruire, dal momento stesso del congedo – senza soluzione di continuità – di un assegno mensile provvisorio, corrisposto dalle Amministrazioni medesime presso cui prestarono servizio, pari all’ammontare dei quattro quinti almeno del rateo di pensione presumibilmente loro spettante, salvo successivo conguaglio. Le condizioni veramente tragiche di migliaia e migliaia di pensionati in eterna attesa della corresponsione dei loro sacrosanti diritti, rendono indispensabile il richiesto provvedimento per debito di elementare equità».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il servizio della liquidazione delle pensioni ordinarie è, fin dal 1933, decentrato fra le varie Amministrazioni centrali dello Stato ed attribuito ai singoli uffici che amministrano il personale dei rispettivi servizi.

Risulta a questo Ministero che tale servizio funziona in modo sodisfacente presso alcune Amministrazioni, ma con notevoli ritardi presso altre.

Non sembra, peraltro, necessario emanare un provvedimento legislativo per imporre alle Amministrazioni una maggiore sollecitudine nella liquidazione delle pensioni: a ciò si può provvedere con circolare a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e che è in corso di elaborazione. In tale circolare, oltre a richiamare le Amministrazioni all’osservanza delle disposizioni in vigore, potranno anche suggerirsi tutti i possibili accorgimenti atti ad evitare che si verifichino soluzioni di continuità fra il trattamento di attività e quello di quiescenza.

Occorre infatti tener presente che la procedura di liquidazione prevista dalle disposizioni in vigore deve esser circondata da opportune cautele, trattandosi della concessione di un trattamento vitalizio, che presuppone successivamente un giudizio sulla esistenza del diritto a pensione e un calcolo sull’ammontare della medesima.

È ovvio che, una volta accertati tali elementi, l’Amministrazione, anziché accordare un’anticipazione, può procedere senz’altro ad una liquidazione, sia pure provvisoria, del trattamento di quiescenza. Le disposizioni in vigore consentono infatti la liquidazione provvisoria in base ai servizi accertati, ogni qualvolta il decreto di liquidazione definitiva non possa, per qualsiasi ragione, aver corso immediato; nulla vieta alle Amministrazioni di far ricorso con frequenza alla liquidazione provvisoria che può attuarsi con la massima speditezza non essendo per essa richiesta alcuna particolare documentazione, né il riscontro preventivo della Corte dei conti.

Comunque non si mancherà di rivolgere premure a tutte le Amministrazioni, affinché seguano con maggiore attenzione tale importante servizio, dando loro le opportune istruzioni atte ad evitare i lamentati inconvenienti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

FRANCESCHINI. Sono lieto che finalmente il Governo si sia cominciato a preoccupare di una così benemerita e sofferente classe di lavoratori, quale è quella dei pensionati. Ma, onorevole Sottosegretario, si sa come vanno queste cose! La Presidenza impartisce disposizioni più o meno severe; gli uffici centro-periferici ne prendono buona nota… e le cose restano come prima.

Ora, si tratta di decine e decine di migliaia di lavoratori che, andando in pensione, si trovano da un giorno all’altro nella condizione tragica di morti civili: sul lastrico, senza un soldo per mesi e mesi, per anni! E spesso molti, moltissimi di questi lavoratori in pensione hanno ancora le famiglie a carico. Onorevole Sottosegretario, io mi compiaccio delle misure che si sono cominciate a prendere – ripeto – ma non si tratta qui di migliorare, sebbene di mutare completamente sistema.

È necessario infatti introdurre un sistema nuovo e, una volta per sempre, un sistema semplice.

Si noti, io non chiedo un favore per la categoria dei pensionati di tutte le Amministrazioni dello Stato; reclamo un sacrosanto diritto. Vorrei prospettare all’onorevole Sottosegretario, alla sua illuminata e consumata esperienza, una analogia. Quando un impiegato dello Stato entra in servizio, viene disposto subito il pagamento dei suoi assegni, in via provvisoria, sui fondi a disposizione. Molto prima che sia spiccata dall’Amministrazione centrale la sua nota nominativa, egli riceve presso a poco i nove decimi del suo regolare stipendio a titolo di acconto; successivamente si fa il conguaglio, e l’impiegato riceve in base ad esso la normale retribuzione. Perché non si deve adottare la stessa misura per l’impiegato che esce dai ruoli, tanto più benemerito in quanto per 30-40 anni ed anche più ha lavorato ed ha servito fedelmente lo Stato? Non può forse l’Amministrazione, da cui l’impiegato dipendeva sino al momento del collocamento in pensione, corrispondergli sui propri fondi a disposizione, per il periodo intercorrente fino al conguaglio, gli otto o i nove decimi, pur con tutte le cautele necessarie? Del resto, non c’è categoria sulla quale il Tesoro può risarcirsi con. maggior tranquillità come su quella dei pensionati! Si è verificato invece che, per la decorrenza di un anno e più il pensionato è stato letteralmente truffato sul valore della lira: ha percepito un anno di arretrati, presso a poco bastevole alla sua vita di un mese. Questo non dovrebbe accadere, per debito di elementare equità ed umanità.

Perciò io insisto nel suggerimento dato, ed invito il Governo a prendere la misura da noi richiesta a sollievo di questa categoria così benemerita e così sfruttata di lavoratori, che hanno magramente vissuto e che si vedono anche condannati, in pratica, a morire di fame. L’attuale resistenza di molti impiegati ad andare in pensione è dovuta anche al timore di non avere più un soldo all’atto della loro entrata in quiescenza.

Ovviamo, onorevole Sottosegretario, a questo gravissimo inconveniente! Poniamo subito allo studio un provvedimento giusto e semplice, quale è quello di far pagare il pensionato, fino ad avvenuto conguaglio della sua pensione, senza soluzione di continuità, dall’Amministrazione stessa da cui dipende.

Non credo di chiedere molto, ma qualcosa dì giusto; tanto poco che si può ridurre, veramente, al solo pane quotidiano. (Applausi).

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Non credo che l’espediente suggerito dall’onorevole interrogante possa, per ragioni tecniche, trovare applicazione generale; e l’applicazione non potrebbe essere che generale, per determinare una conseguenza di giustizia, uguale per tutti gli interessati.

Credo, invece, che bisognerebbe mettere effettivamente in atto le istruzioni già mandate alle varie Amministrazioni nell’anno decorso. Come ho detto, sin dal 1933 è stata affidata alle singole amministrazioni la liquidazione delle pensioni. Il decentramento dei servizi ha avuto per scopo quello di accelerare la liquidazione delle pensioni. Contemporaneamente si è fatto presente alle amministrazioni la necessità che per ogni suo singolo dipendente si apra un quaderno in cui siano annotati i servizi di ciascun funzionario dal giorno in cui viene assunto dall’Amministrazione, cioè il curriculum di ciascun dipendente dello Stato, con le variazioni degli emolumenti fino al giorno in cui egli va a riposo. Si è fatto obbligo anche alle Amministrazioni che, in previsione di un imminente collocamento a riposo, questo quaderno sia chiuso in modo che il provvedimento di liquidazione della pensione sia emesso in via provvisoria, ma nella misura del cento per cento e poi in via definitiva, con tutte le formalità della Corte dei conti che possono seguire in breve tempo. Io sono convinto che, se le singole Amministrazioni si rendono conto della necessità e del dovere di adempiere a queste incombenze, e vi adempiono, si andrà più in là di quel che auspica l’onorevole interrogante. Anche perché non tutte le Amministrazioni dispongono dei cosiddetti «fondi a disposizione». Penso che sia agevole trovare una soluzione di questo problema, della cui importanza e della necessità di una risoluzione mi rendo ben conto, come Sottosegretario e come funzionario.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione all’onorevole Di Fausto, al Ministro dei trasporti, «per chiedere se, dinanzi alla persistente campagna avversa alle nuove direttive per un più razionale ed aggiornato completamento della stazione di Roma, non ravvisi l’opportunità di riesumare le molteplici responsabilità legate al progetto iniziale e sommerse nella catastrofe della Nazione. Quel progetto, non movendo da presupposti essenzialmente tecnici e logici, non poteva non riassumersi che in un orrore architettonico ed in un errore funzionale. E se il recente intervento di organi responsabili migliorerà la situazione, non risanerà però l’enorme danno finanziario, la cui responsabilità deve essere individuata per l’evidente colposo consenso portato ad una realizzazione, nella quale la tecnica ha sistematicamente ceduto a pretese direttive politiche (se tali possono chiamarsi la megalomania ed il cafonismo veramente tipici in quell’opera) dietro le quali, comunque, agiva quella organizzazione di interessi, che trova ancora eco nella stampa».

L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere.

CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Debbo ringraziare l’onorevole interrogante, onorevole Di Fausto, di avermi dato occasione, con la sua interrogazione, di riassumere brevemente la questione della stazione di Roma Termini. Essa è indubbiamente una questione importante che si ricollega in via generale a tutto il piano regolatore dei servizi ferroviari della capitale. Ma io qui debbo per brevità limitarmi all’esame delle caratteristiche funzionali della sola stazione Termini e non di tutto il complesso dei servizi ferroviari della capitale.

La stazione per viaggiatori di Roma Termini è sorta dalla vecchia stazione pontificia, che poi è stata ingrandita con la caratteristica tettoia in ferro progettata dall’ingegner Bianchi ed ultimata nel 1871; da quell’epoca è stata continuamente martoriata.

Già nel 1911 la stazione era incapace di poter assolvere al traffico sempre crescente della Capitale; cosicché all’epoca dell’esposizione è stato al rettamente costruito quel capannone di legno per le partenze lato via Marsala, che era un’ignominia intollerabile per l’estetica e per la comodità dei servizi. Successivamente nel 1914, poco prima della guerra, fu necessario togliere il deposito locomotive a vapore che era dentro la stazione e che affumicava i palazzi vicini situati sulla via Principessa Margherita (ora via Giolitti). Cosicché fu costruito un nuovo e moderno deposito per locomotive a San Lorenzo e la stazione fu ulteriormente modificata ed allargata. Successivamente essa fu ancora ampliata nel 1923 e nel 1924, allungando il piazzale e dotando gli scambi degli apparati centrali che erano richiesti dalla necessità di rendere più sollecito l’arrivo e la partenza dei treni, e più sicuri i movimenti delle manovre.

Non insisto su altri particolari tecnici, soltanto faccio rilevare che la stazione di una grande città in continuo sviluppo è anch’essa necessariamente un impianto tecnico in continuo sviluppo; perciò una stazione moderna non sta mai ferma nelle sue strutture e nei suoi servizi.

Nel 1936 si riconobbe nuovamente la necessità dell’ampliamento della stazione di Roma Termini: non fu esaminato che in via generica il problema di costruirla altrove e fu senza altro deciso di ricostruirla nello stesso posto. Non discuto tutti i problemi che furono posti in pro e in contro allo spostamento di questa stazione perché andrei oltre il tema dell’interrogazione.

Era necessario che essa dovesse ingrandirsi, ma a ciò ostacolava una condizione caratteristica locale che è molto importante.

La stazione è costruita sull’Esquilino ed i binari delle linee principali scendono in tre direzioni sulle strade che vanno verso Firenze, a Portonaccio (ora Tiburtina) e verso il Tevere per la linea della Maremma; scende al bivio Casilino per andare verso Napoli. Per questo, se si prolungasse il piazzale orizzontale della stazione verso Santa Bibbiana, le pendenze delle linee di corsa aumenterebbero con la conseguenza di rendere sempre più difficile e costoso il servizio ferroviario.

Questa caratteristica era nota anche ai nostri vecchi ferrovieri delle reti private. Però la situazione si è sempre aggravata con il continuo ampliarsi della vecchia stazione verso Santa Bibbiana. Quando furono aperte all’esercizio le due direttissime Bologna-Firenze e Roma-Napoli, abbiamo dovuto subire l’anomalia tecnica molto importante che da Milano a Napoli il punto peggiore di tutta la linea risulta esattamente quello che da Tiburtina sale a Roma Termini, con una curva molto stretta e con la più elevata pendenza esistente sull’intero percorso di ben 800 chilometri, così che il peso dei treni doveva limitarsi a quello trainabile su questo breve tratto, oppure i treni dovevano fermarsi per venire trainati con due locomotive.

Quando, nell’epoca euforica dell’imminenza dell’esposizione E.42, si riconobbe l’urgenza di fare una nuova stazione a Roma, i tecnici hanno ribadito questo concetto, e fra i tecnici vi ero anche io, che, insieme al mio collega del Servizio Movimento, eravamo entrambi responsabili dell’esercizio razionale ed economico dei treni. Mi hanno risposto secco: «Voi tecnici dovete stare zitti». E quei due tecnici furono messi da parte.

La nuova stazione doveva assolutamente avere una caratteristica monumentale. La relazione fatta a quell’epoca al Consiglio di amministrazione delle ferrovie per chiedere il finanziamento dei lavori è tutta euforica e basterebbe solo questa frase per dimostrare a che punto era arrivata l’esaltazione dei fautori dell’opera monumentale: «Ma intanto gli eventi precipitano. Il traffico seguita ad aumentare, la conquista dell’Etiopia dà all’Italia un impero, l’esposizione mondiale si avvicina, e non è più possibile procrastinare la situazione degli impianti ferroviari, per cui il duce indica la soluzione da risolvere ed ordina una pronta realizzazione, dando il primo colpo di piccone il 16 febbraio 1938».

Così è incominciata la demolizione della stazione ottocentesca, e vi confermo che allora c’è stato un vero impegno per fare un’opera monumentale là dove opere monumentali non erano assolutamente indicate né richieste. Furono stanziati per il lavoro un certo numero di milioni. Vi fu una polemica in quell’epoca fra la direzione dei tecnici delle ferrovie ed i fautori dell’opera monumentale. Il direttore generale delle Ferrovie dello Stato richiese al Ministro Benni che le spese necessarie per la parte monumentale non fossero sostenute dalle Ferrovie, poiché nulla avevano a che vedere con i propri servizi. E fu per questo intervento che lo Stato autorizzò il Tesoro a versare una volta tanto un certo numero di milioni (mi sembra 300), per dare la caratteristica di monumentalità a questa stazione e nel tempo stesso non far gravare le spese, per il servizio dei capitali necessari, sul bilancio ferroviario.

Quindi debbo confermare che il problema della monumentalità della stazione era rimasto controverso. Si criticò anche il fatto che in quell’epoca fu dato l’incarico del progetto ad un solo architetto funzionario ferroviario, mentre invece, quando si tratta di opere che interessano l’intera Nazione, a mio avviso, devono essere banditi pubblici concorsi, chiamando a raccolta l’ingegno ed il pensiero di tutti gli ingegneri ed architetti italiani. Non si volle fare il concorso nazionale come precedentemente si era fatto per la stazione di Firenze e ciò per evitare critiche e discussioni sulle direttive artistiche poste dall’alto.

In queste condizioni è sorto il progetto della stazione di Roma, con quelle caratteristiche monumentali di cui vi faccio grazia, perché dal solo esame sommario si riconoscono tutte le incongruenze. La spesa prevista di circa 600 milioni dell’epoca, corrisponde a circa 30 miliardi di lire odierne. Furono portate a Roma delle decorazioni, dei materiali dalle più lontane parti d’Italia e con le più strane applicazioni. Scelgo a caso dall’elenco dei materiali previsti. Vi dico, per esempio, che si è preso del porfido violaceo di Predazzo, per cosa farne? Per fare semplice– mente il cordonato dei marciapiedi sotto l’atrio, come se a Roma non si potessero fare cordonati in altra pietra senza usare il porfido che viene da 800 chilometri lontano.

Furono fatte decorazioni e modelli al vero di statue in gesso, ordinandole ad oltre 24 artisti per poter poi scegliere; furono ordinati modelli di capitelli, di colonne, di bozzetti in gesso, ecc., senza una loro precisa destinazione, quasi come per farne una ostentazione di mecenatismo dei tempi antichi. Tutto questo costò milioni. Ho qui un elenco che è molto edificante e del quale vi faccio grazia per carità di patria.

Era necessario cambiare strada, e allora il Ministro Ferrari di quell’epoca vide, attraverso noi tecnici, che gliela abbiamo fatta presente, l’assurdità della cosa, e disse: «Ritorniamoci sopra; la stazione deve essere un’opera degna della capitale, ma non un monumento. Chiamiamo tutti gli architetti ed ingegneri d’Italia ad un concorso nazionale per fare una stazione razionale e tecnica che risponda ai requisiti funzionali che deve avere».

Ora, per quello che vi ho detto prima, dovevamo prolungare la stazione (e qui è bene chiarire, perché i giornali hanno detto cose di molto inesatte). Oggi dobbiamo prevedere dei treni con carrozze che hanno un peso di 30 tonnellate e sono lunghe circa 24 metri; possiamo fare treni con 20 carrozze, cioè convogli lunghi 480-500 metri. Non potendo allungare la stazione prolungando il piazzale verso Santa Bibbiana, non c’era altro mezzo che farla venire un po’ più avanti verso piazza dei Cinquecento. Occorreva quindi modificare sostanzialmente l’arcata monumentale della galleria delle carrozze e fare un fabbricato più avanzato, nel quale potevano utilizzarsi le aree anche per gli uffici.

Non mi si ripeta che i treni avvenire non dovranno essere più lunghi degli attuali, perché nel campo internazionale europeo è ormai tecnicamente riconosciuto che dovremo prevedere treni di venti carrozze. Quindi non c’è nulla da discutere al riguardo. Le norme, accettate anche da noi, per i servizi internazionali europei ci impongono degli obblighi tecnici che dobbiamo rispettare.

Poi dovevamo vedere un poco come la stazione dovesse funzionare. Non entro nel merito, nei dettagli, per non andare alle lunghe, ma è certo che se si esamina il progetto precedente, si trovano delle anomalie e caratteristiche di applicazione, degli spazi molto dispendiosi e assolutamente irrazionali. Impianti sotterranei con luce artificiale, servizi non razionalmente distribuiti, deficienza di impianti tecnici e di controllo, sono i difetti più salienti che mi limito solo ad accennare.

Quindi, per concludere: si è ritenuto opportuno di studiare tecnicamente meglio il progetto primitivo tenendo conto di quelle parti già eseguite.

Fu bandito un concorso nazionale nel gennaio di quest’anno. Questo concorso ha portato alla presentazione di 40-42 progetti che sono stati esaminati da una apposita Commissione.

Io sono intervenuto appena assunto al Governo e ho disposto per la nomina di una Commissione che fosse la più imparziale possibile. Ho detto: essa non deve essere costituita da uomini scelti direttamente dal Ministero dei trasporti, ma da uomini che per la loro funzione tecnica ed artistica diano il massimo affidamento possibile per poter essere giudici seri ed imparziali di questo importante problema. Ed allora si sono presi 5 ferrovieri specialisti nel campo tecnico; ad essi si sono aggiunti 6 estranei. Tra essi si è scelto, per esempio, il rappresentante dei lavori pubblici, che è stato designato dal Ministro competente nel Presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Si è chiesto al Ministro della istruzione: dateci due tecnici tra i professori; uno che sia titolare della cattedra di architettura in una facoltà di architettura ed uno che sia titolare di una cattedra di architettura in una facoltà di ingegneria. Si è chiesto all’Associazione nazionale degli ingegneri e architetti italiani: dateci due vostri soci; uno sia un ingegnere e l’altro architetto. Fu chiesto al Comune di Roma di darci il capo dei servizi urbanistici ed edilizi della capitale e così fu fatto. Questa Commissione che si è riunita più volte ed ha lavorato attivamente con serenità e zelo, sta per emettere il verdetto ed io credo che questo verdetto sarà certamente ispirato alla massima serietà ed obiettività per la scelta del progetto da seguire. Posso assicurarvi che la importante decisione verrà presa ad unanimità di tutti i componenti.

Ora c’è altri che dice: vi sono stati molti sprechi, perché non saranno utilizzati tutti i materiali pregiati già acquistati, decorativi e costruttivi e che già sono accumulati a Roma.

Io vi dico che se avessi i magazzini pieni di pietre pregiate che vengono da lontano e dicessi al Ministero di venderle, sono sicuro che ai prezzi di oggi, rispetto a quello che furono pagate, si farebbe un ottimo affare. Quel materiale, in quanto non possa venire utilizzato per la stazione, sarà sempre impiegabile nella costruzione nella edilizia privata di Roma: nessuna preoccupazione quindi di sperpero o di spese inutili.

Credo di poter concludere che, senza andare a rivangare, come dice l’architetto Di Fausto – tutte le responsabilità passate svaniscono, tolta la responsabilità principale diretta, alla quale ho fatto cenno in principio – la cosa migliore sia di presentarci nel 1950 – anno in cui ci sarà certamente una grande affluenza di turisti per l’Anno Santo – con una stazione che risponda tecnicamente ed esteticamente a tutti i requisiti di una grande stazione ferroviaria della capitale di uno Stato. E sono convinto della necessità che questa stazione debba essere fatta in modo che i tecnici nostri successori, da qui a 15 o 20 anni, non abbiano lo scrupolo di poterci mettere nuovamente mano per modificarla, così come tutti i tecnici passati hanno messo mano non solo alla stazione di Roma-Termini, ma a tutte le grandi stazioni d’Italia e del mondo.

Tanto per citarvi l’ultimo caso, vi dirò che un mio collega, costruttore ferroviario americano, mi ha mandato giorni or sono l’illustrazione del progetto di una grande stazione di New York, in cui si prevede che le pensiline siano tutte chiuse, in modo da costituire un piano superiore destinato a diventare un aeroporto. Sotto l’aeroporto arrivano i treni e sotto il piano dei treni corrono le metropolitane. Ho qui tutti i disegni e tutti gli studi che potrete esaminare in questo libro (A railroad for tomorrow, stazione di Grand Central West). Vi è dunque oggi la possibilità di costituire un centro importante che riassuma in sé tutte le caratteristiche dei vari sistemi di trasporto tra di loro collegati; aerei e stradali. La modesta economia italiana di oggi non ci consente di fare questo subito nelle nostre grandi stazioni, ma noi dovremo essere liberi di poterle ritoccare entro un breve volgere di anni, in modo da non avere scrupolo di demolire colonne monumentali come quelle che erano previste dal precedente progetto. Questo mi riconferma nella convinzione che una stazione non deve essere un monumento, ma un’opera destinata ad essere continuamente rimodernata. Quindi, la stazione di Roma Termini sarà decorosa, degna della Capitale, e sarà una stazione funzionale, perfettamente intonata all’ambiente architettonico ed urbanistico del luogo dove essa è sorta.

Come spesa? Tanto per chiarirvi l’entità di essa vi dico che se avessimo dovuto ultimare il progetto Mazzoni avremmo speso sicuramente ancora almeno tre miliardi e mezzo. Non so cosa si potrà spendere col nuovo progetto perché esso ancora non è stato scelto, non so se ci saranno delle varianti e quanto esse verranno a costare. Ma, grosso modo, date le cubature che si prevedono, penso che la spesa ci consentirà di risparmiare forse più di un miliardo e mezzo rispetto al primitivo progetto. Quindi riuniremo ad una costruzione più razionale e tecnicamente moderna anche una netta economia di valore, certamente non trascurabile.

In ogni modo, per concludere, assicuro l’onorevole interrogante che l’economia non sarà solo ottenuta nella costruzione, ma anche nell’esercizio della stazione, dove la sorveglianza e l’impiego del personale sono stati accuratamente studiati, anzi posso dire che è un compito specifico di tutti i tecnici ferroviari quello di fare i propri progetti tecnicamente ineccepibili, senza sperperi di sorta e con giusto decoro, in modo da ottenere con essi anche un esercizio economico.

Di questo prego l’onorevole interrogante di voler prendere atto, anche a nome di tutti i miei collaboratori.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Fausto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI FAUSTO. I chiarimenti tecnici dati dal Ministro dei trasporti troncano ogni polemica che non voglia essere tendenziosa.

Vorrei aggiungere qualche delucidazione sul progetto di origine.

In quel progetto è caratteristica l’assenza del rapporto di proporzione fra l’opera e l’uomo: ogni cosa è vista con un occhio che non è il nostro, ogni cosa tende al grandioso, senza raggiungerlo. L’elefantiasi, evidente nei due edifici già costruiti, avrebbe dovuto trovare la sua massima espressione nel grande edificio frontale, non ancora costruito.

Premetto che dalle comunicazioni del Ministro si desume che nulla sarà demolito di quel che è stato fatto, di modo che il nuovo orientamento sarà quello di evitare uno sperpero del pubblico denaro, riconducendo il tutto alla effettiva funzione. Darò ora qualche elemento relativo a quell’edificio rimasto sulla carta. Questo edificio copre 12 mila metri quadrati, cioè 1 ettaro e 2 mila metri quadrati. Prego gli onorevoli colleghi di fare attenzione a queste cifre: immaginatevi 12 aule come questa, comprese le tribune, che costituiscono il corpo frontale, il quale doveva permettere il passaggio delle carrozze e il transito dei passeggeri. Questo edificio di 12 mila metri quadrati ha un fronte porticato con colonne grandi quanto quelle di San Pietro. La copertura di questo edificio, che per fortuna non è stato realizzato, avrebbe richiesto 15.000 metri cubi di calcestruzzo e 1400 tonnellate di ferro. Io debbo dire a questo punto che non ancora è stata affrontata la ricostruzione di tre ponti sul Tevere a nord di Roma per mancanza di materiale.

Un cenno merita anche il padiglione cosiddetto imperiale e reale aggregato all’edificio di sinistra, su Via Marsala. Per completare questo padiglione, occorrerebbero oggi circa 120 milioni ed il completamento impegna la demolizione della caserma Ferdinando di Savoia, la cui ricostruzione importa 200 milioni di spesa.

Sussisteva poi, una distribuzione illogica dei servizi sui corpi laterali ed erano previste, per consentire l’afflusso e il deflusso della folla, demolizioni cospicue sul viale Giolitti. Un centinaio di edifici, 1800 appartamenti, 12.000 vani, 350 botteghe, che interessano la vita di 15.000 persone abitanti nella zona, con una spesa complessiva, prevista dal 1939 in 400 milioni, e che sarebbe oggi di 20 miliardi.

Nella mia pratica di architetto non conosco sistemazioni urbanistiche del genere che, più propriamente, si potrebbero chiamare sistemazioni telluriche.

E finalmente, accennando all’architettura e alle decorazioni, dichiaro che infastidisce anche l’ostentazione di mezzi illimitati che si rileva nell’uso più illogico ed improprio di pietre, marmi, mosaici, metalli e legni pregiati, profusi a piene mani, ovunque: c’è un preannunzio del secolo della borsa nera, così come il Rinascimento fu a suo tempo annunziato dalla delicatezza di forme semplici o schiette, spesso anzi modestissime.

Nessuna aderenza al tema, nessuna sincerità di mezzi struttivi, nessuna razionalità: colonne di sette metri di circonferenza, alte venti, grosse più di quelle di San Pietro, che non sostengono nulla, neppure se stesse, in quanto sorrette dalle strutture di cemento armato occultate; soffitti orizzontali di marmo con lastre e masselli ancorati in bronzo alle travi di cemento e gravitanti sul vuoto a venti metri di altezza; costruzioni sotterranee a tre piani, sprofondate in corrispondenza del grande edificio frontale, per sistemarvi fuori posto servizi essenziali e per accogliervi, in curiosa promiscuità, un albergo diurno, un cinematografo, una chiesa sotterranea.

In piena guerra, dal dicembre 1941 al maggio 1943, tutto è stato ordinato per opere di decorazione e di addobbo per una chiesa e per dei saloni che non erano ancora sulla carta: mosaici, marmi, colonne, statue di santi, acquasantiere, porte artistiche, ecc.

Onorevoli colleghi, nelle more della guerra, questo modo di condurre un’opera pubblica ha tutta l’aria di un tragico scherzo che si vorrebbe continuare ancora e che merita, a mio avviso, l’onore di una inchiesta parlamentare la quale riaffermi, attraverso precisa, solenne condanna, la suprema esigenza del rispetto del pubblico denaro.

Concludendo, io chieggo: primo, che il Governo non defletta dalla linea tecnica ed economica affermata col concorso; secondo, che sia riaperta subito al traffico l’importante Via Marsala; terzo, che si liberino dal vincolo di demolizione gli edifici popolari di via Giolitti e che immediatamente – a concorso giudicato – si dia mano ai lavori, perché possa essere rimosso al più presto lo sconcio caravanserraglio che si accampa nella zona e che vive ai suoi margini, degradando il nostro prestigio civile proprio in un ambiente ove le vestigia dell’aggere di Servio Tullio, di cui l’Urbe si cinse negli albori del suo Impero, attestano al mondo, da 2800 anni, il destino imperituro di Roma.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Morelli Luigi e Arcaini, al Ministro del tesoro, «per conoscere le ragioni per le quali, contrariamente alle assicurazioni date alle organizzazioni sindacali dei dipendenti dello Stato ed agli interroganti, di estendere il trattamento dell’indennità di caro-viveri concesso al personale residente nei centri capoluoghi di provincia a tutto il personale residente nella provincia, si sia disposto, col decreto legislativo n. 778 del 5 agosto 1947, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21 agosto 1947, n. 190, all’articolo 14, di estendere tale indennità solo ai dipendenti aventi sede di servizio nei comuni della provincia che non siano distanti più di 30 chilometri dal capoluogo su via ordinaria fra le rispettive sedi comunali».

L’onorevole Sottosegretario per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Principio informatore per l’attribuzione dell’indennità di carovita in diverse aliquote è stato sempre quello che nei singoli comuni il costo della vita sia in stretta correlazione, in genere, all’entità della popolazione.

A tale criterio discriminatore è stata, del resto, sempre informata la concessione degli assegni accessori del trattamento economico dei dipendenti statali (indennità di caroviveri, aggiunta di famiglia, aumento della integrazione temporanea, indennità di disagiatissima residenza, assegno di razione viveri e ora indennità di carovita).

Né a tale criterio si è voluto innovare con il decreto legislativo 25 ottobre 1946, n. 263, sostituendo ad esso quello che l’indennità di carovita debba essere uguale per tutti i comuni di una stessa provincia, in quanto l’articolo 2 del citato decreto si è limitato a sopprimere le aliquote di riduzione dell’indennità stessa, previste dalle precedenti disposizioni per i personali con sede di servizio nei comuni con popolazione inferiore ai 200.000 abitanti, mantenendo, invece, fermi gli aumenti del 20 per cento, 10 per cento e 5 per cento, rispetto alla base 100, previsti per i personali con sede di servizio nei comuni rispettivamente con almeno 800 mila abitanti, 700 mila abitanti e 600 mila abitanti, e confermando così l’elemento popolazione quale criterio discriminatore per la corresponsione della indennità di carovita.

Ne è, sì, derivato che praticamente nelle provincie diverse da quelle di Roma, Milano, Napoli, Torino e Genova l’indennità in parola viene corrisposta nella misura del 100 per cento per tutti i personali con sede di servizio nei diversi comuni appartenenti alla stessa provincia, ma con ciò non si è inteso abbandonare il cennato criterio; si è soltanto limitata la discriminazione in parola ai quattro scaglioni di popolazione, tenuto conto che solo per i grandi centri influiscono sul costo della vita i più alti prezzi degli alloggi, dei trasporti, ed, in genere, delle necessità minime di vita.

Considerato tale criterio discriminatore, è evidente come sia possibile derogare da esso a favore dei personali con sede di servizio in un determinato comune minore soltanto quando sia dimostrato che tale comune costituisce un unico centro economico col comune maggiore, e non già per il solo fatto, della appartenenza alla stessa provincia.

Sulla questione di cui trattasi, il Ministro del tesoro ebbe a dichiararsi in un primo tempo non del tutto contrario all’accoglimento delle richieste degli interessati perché l’indennità di carovita fosse attribuita secondo una differenziazione provinciale anziché, come attualmente, secondo l’entità numerica della popolazione residente nel comune sede normale di servizio; senonché il Consiglio dei Ministri, esaminata la richiesta e considerati gli inconvenienti cui il suo accoglimento avrebbe dato luogo, ha ritenuto opportuno confermare il criterio dell’unicità del centro economico di cui al decreto n. 488 del 1946 (che è quello che più di ogni altro risponde alla realtà della situazione in cui si trovano i diversi comuni rispetto al costo della vita), limitando la facoltà di estensione dell’indennità di carovita, nella aliquota prevista per il comune maggiore, ai soli personali con sede di servizio nei comuni della provincia che non siano distanti più di 30 chilometri dal capoluogo.

L’inconveniente maggiore che deriverebbe dall’accoglimento di un criterio basato esclusivamente sull’appartenenza di un comune ad una data provincia, sarebbe quello che il personale con sede di servizio nei comuni più piccoli delle provincie di Roma, Milano e Napoli (compresi i piccoli paesi con economia squisitamente agricola e quindi con basso costo della vita) verrebbe a percepire un trattamento per indennità di carovita di gran lunga superiore a quello del personale in servizio nei comuni delle restanti provincie (ad esempio a Torino, a Genova, a Bologna, a Firenze, a Palermo, ecc., dove è noto che il costo della vita per vitto, alloggio e mezzi di trasporto è particolarmente elevato), con la conseguente difficoltà a resistere ad eventuali richieste da parte di quest’ultimo, intese ad ottenere l’elevazione dell’aliquota dell’indennità di carovita al 120 per cento per tutti i comuni, elevazione che recherebbe al bilancio statale un onere di oltre 15 miliardi annui.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORELLI LUIGI. Sono spiacente di aver dovuto presentare questa interrogazione, nonostante le comunicazioni fattemi dall’onorevole Petrilli.

Ho dovuto ubbidire non solo al dovere di difendere quel che io ritengo il diritto di giustizia dei lavoratori, ma anche la mia dignità di organizzatore sindacale.

Diritto di giustizia, perché le condizioni già grame degli insegnanti elementari in particolare, e dei dipendenti statali in genere, non possono tollerare che si aggiungano delle sperequazioni nel trattamento di caroviveri fra capoluogo e centri minori, quando siamo tutti ormai persuasi che il costo della vita, se non è superiore, non è certamente inferiore nei piccoli centri di quello dei capoluoghi provinciali.

Difesa della dignità di organizzatore sindacale, in quanto gli insegnanti elementari della provincia di Milano il 16 giugno 1947 hanno cessato lo sciopero, iniziato il 4 giugno 1947, per ottenere la estensione del caro-viveri del capoluogo della provincia a tutte le località della provincia, solo perché io e gli altri membri della delegazione, che con me avevano partecipato alle discussioni coi Ministri interessati, abbiamo loro assicurato – in base alle dichiarazioni del Ministro Del Vecchio e particolarmente del Sottosegretario Petrilli – che il Governo aveva accettato la loro richiesta e che nel decreto di prossima pubblicazione, riguardante aumenti ai dipendenti statali, ecc., sarebbero state comprese le disposizioni relative.

L’onorevole Arcaini, che ha partecipato alle discussioni, perché sollecitato dai dipendenti statali di Lodi, può farne fede.

Se questa assicurazione il Ministro non ci avesse dato, l’agitazione dei dipendenti avrebbe continuato fino ad una logica soluzione.

Non ritengo qui opportuno rifare tutta la storia della vertenza e delle ragioni che l’hanno determinata.

Non posso però dimenticare due momenti particolari di questa vertenza per richiamare il Ministro all’opportunità che, nella compilazione dei decreti che riguardano specialmente questioni economiche, vengano evitate queste ingiuste sperequazioni le quali – senza un concreto risparmio per lo Stato – determinano seri malcontenti, agitazioni e scioperi che turbano anche i rapporti di collaborazione che fra i dipendenti e lo Stato non dovrebbero mai cessare.

La prima agitazione è stata quella contro il decreto legge n. 722 del 21 novembre 1945. Con questo decreto che concedeva l’indennità caroviveri e le quote complementari, si stabiliva che il cento per cento, concesso ai grandi centri di almeno 500.000 abitanti fosse ridotto di una percentuale che andava dal 2 per cento per il personale con sede normale di servizio nei comuni di almeno 400.000 abitanti, fino al 25 per cento nei comuni aventi meno di 5.000 abitanti, e aumentato del 5 per cento per i comuni fino a 699.999 abitanti, del 10 per cento per i comuni fino a 799.999 abitanti, del 20 per cento per i comuni superiori a 800.000 abitanti.

Come era da attendersi, è sorto un vivissimo malcontento fra i dipendenti, non solo per il fatto che il costo della vita era presso a poco alla stessa misura in tutti i grandi centri indipendentemente dalla loro popolazione, ma anche perché praticamente fra piccoli centri e capoluogo di provincia non esistevano differenziazioni di sorta.

L’organizzazione dei dipendenti statali fece presente l’ingiustizia del provvedimento e, dopo una serie di agitazioni ed anche di scioperi, ottenne gradualmente che la sperequazione fra centri minori e capoluogo di provincia venisse eliminata, e tutti potessero avere il 100 per cento del caroviveri e delle indennità complementari nella stessa misura.

Restava ancora una grave ingiustizia da eliminare; quella di parificare il caroviveri dei centri minori a quello dei capoluoghi delle provincie di Torino e Genova che avevano una maggiorazione del 5 per cento ed a quelle di Milano, Roma e Napoli che avevano avuto una maggiorazione del 20 per cento, per le particolari condizioni del caroviveri.

Fecero presente i dipendenti dello Stato che – per esempio nella provincia di Milano – una differenza fra Sesto San Giovanni, Monza, Legnano, Lodi, ecc., che sono cittadine collegate con Milano, che vivono della stessa vita, che avevano ed hanno tutt’ora un costo della vita forse superiore a quello di Milano, era assolutamente inammissibile. Ne nacque una nuova agitazione, e fu con agitazioni e scioperi che si riuscì ad indurre il Governo a disporre con altro provvedimento che l’indennità del capoluogo (per queste cinque città) venisse estesa anche ai comuni che si trovavano nel raggio di 20 chilometri dalla città capoluogo. Beneficiarono di questo provvedimento alcuni dei più importanti comuni, ma altri, come Lodi, furono nuovamente esclusi. Così il problema non poteva ritenersi risolto. Nella provincia di Milano – come ritengo nelle altre località – non esiste praticamente alcuna differenza fra capoluogo e centri minori. Il costo della vita è alto nella stessa misura, tanto più che oggi la retribuzione serve ed anche insufficientemente, al puro acquisto dei generi alimentari necessari per vivere. Gli altri generi di abbigliamento, calzature, ecc., costano di più nei centri minori che nel capoluogo, senza contare che nei centri minori vi sono altre spese più gravi per i servizi ospitalieri, per l’istruzione dei figli, ecc.

Da questa incongruenza e da questa ingiustizia è nata l’agitazione degli insegnanti elementari milanesi i quali – dopo aver tentato con ogni mezzo di persuadere i Ministri interessati – furono costretti, contro la loro stessa volontà, a proclamare il 4 giugno 1947 lo sciopero ad oltranza.

Incaricato dalla Camera del lavoro di Milano, unitamente al professore Durante – Segretario nazionale del Sindacato insegnanti – accompagnato da una delegazione di maestri milanesi e colla collaborazione anche dell’onorevole Arcaini, di Lodi, incaricato dai dipendenti statali di quella città, ho avuto una serie di colloqui sia col Ministro Del Vecchio, sia col Sottosegretario Petrilli, il quale, sentite le ragioni dei lavoratori, fatti i conti col bilancio ed avuto conferma dal Ministro Del Vecchio, mi assicurò che avrebbe provveduto ad estendere il caro-viveri e le indennità complementari concesse ai dipendenti in servizio nel capoluogo, a tutto il territorio della provincia.

In base a queste assicurazioni io mi recai a Milano e dopo una lunga discussione nell’Assemblea degli insegnanti – nonostante l’opposizione di molti che pretendevano una assicurazione scritta dai Ministri per evitare di riprendere un’altra volta l’agitazione se la promessa non fosse stata mantenuta – riuscii ad indurre gli insegnanti a cessare lo sciopero ed a riprendere il loro posto di lavoro, fiducioso nell’impegno assunto dai Ministri responsabili.

Senonché, il 21 agosto 1947 la Gazzetta Ufficiale n. 190 pubblicò il decreto n. 788 del 5 agosto 1947, col quale si estendono i benefici del caro-viveri concesso ai comuni capoluoghi quali Milano, Roma, Napoli, Torino e Genova, solo a quei comuni che si trovano nel raggio di 30 chilometri misurati su via ordinaria fra le rispettive sedi comunali.

Questo decreto legislativo 788 ha provocato un legittimo e grave risentimento, contro di me e contro i rappresentanti sindacali colpevoli di aver creduto ai Ministri, di non aver preteso una assicurazione scritta, di aver fatto cessare una agitazione senza aver ottenute tutte le garanzie, e contro il Governo che, non si sa per quali ragioni, si ostina a mantenere in atto una così evidente sperequazione.

Data la brevità del tempo concessomi non voglio qui prolungare oltre il mio intervento per dimostrare le ragioni obiettive che militano a favore degli insegnanti e dei dipendenti statali tutti.

Esse possono essere però così riassunte:

  1. a) l’indennità caro-viveri (chiamata contingenza) per l’industria per il commercio, ecc., è uguale per tutti i centri della provincia;
  2. b) il costo della vita, dei generi di vestiario, calzature, ecc. in molti centri minori è superiore a quello della città;
  3. c) la maggior parte degli insegnanti vive in città e si reca in treno, tram, ecc., alle scuole dei centri minori, con spese, ecc.;
  4. d) nei centri minori, le spese di istruzione dei figli, le spese mediche, ecc., sono superiori a quelle dei grandi centri;
  5. e) gli insegnanti residenti in centri minori hanno a loro carico altre spese per comunicazioni coi centri provinciali, molte volte sono a pensione in albergo o a casa di privati, debbono sopportare disagi per l’abitazione, ecc.;
  6. f) infine, non esistono ragioni che giustificano questo trattamento differenziato.

Ma esistono poi incongruenze che dimostrano l’ingiustizia del provvedimento: un maestro che abita a Milano e insegna a Lodi, non percepisce l’indennità di caroviveri di Milano; un maestro che abita a Lodi e insegna a Milano, sì!

Bisogna assolutamente, che questa ingiustizia venga eliminata; bisogna che anche a questi poveri e tanto benemeriti lavoratori che compiono con tanto zelo il loro dovere e che affrontano anche notevoli disagi, per restare in piccoli comuni pur di assolvere la loro missione, venga riconosciuto il diritto ad una giusta remunerazione.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Vorrei replicare a quanto detto dall’onorevole interrogante che ha fatto, in sostanza, un addebito al Ministro ed al Sottosegretario per il tesoro per aver essi garantito che nel decreto legislativo che sarebbe stato emanato dal Consiglio dei Ministri si sarebbe accolta la richiesta delle categorie che venivano patrocinate dagli onorevoli Morelli e Arcaini. Ora io credo che, tanto l’onorevole Morelli quanto l’onorevole Arcaini, avranno potuto rendersi conto che non garanzie potevano dare il Ministro ed il Sottosegretario per il tesoro, ma affidamento di proporre in Consiglio dei Ministri la richiesta che veniva fatta dalle categorie attraverso i due deputati, con il patere favorevole del Ministro. Senonché gli onorevoli interroganti sanno pure che il Consiglio dei Ministri è quello che deve deliberare sui provvedimenti specifici, e quindi, credo che siano andati un po’ al di là di quello che poteva essere il risultato della loro richiesta, in quanto è chiaro che il Ministro proponente non poteva dare o non dare la garanzia che il provvedimento sarebbe stato accolto dal Consiglio dei Ministri.

Quindi, egli ha potuto, come certamente ha fatto, assicurare che avrebbe presentato con parere favorevole al Consiglio dei Ministri il provvedimento desiderato dalle categorie. Non oltre questo si poteva garantire; non oltre questo ha garantito il Ministro e, con il Ministro, il Sottosegretario.

Quanto poi al merito della questione, desidero far osservare agli onorevoli interroganti che non si può abbandonare il criterio della popolazione senza giungere ad altre conclusioni che già l’onorevole interrogante conosce, conclusioni che avrebbero apportato un aggravio veramente eccezionale al bilancio dello Stato: aggravio che il bilancio in questo momento non può sopportare.

Si è detto: «estendete a tutti i comuni di una provincia la aliquota dell’indennità di caro-vita che è applicata nel capoluogo della provincia stessa; fate per le provincie di Genova, Torino, Milano, Roma, Napoli quello che avete fatto con il decreto 263 del 1946 per le altre provincie della Repubblica». Ora, come ho accennato precedentemente, il Governo ha ritenuto che il creare molti scaglioni di città con riferimento alla popolazione non fosse opportuno, e che bastasse differenziare soltanto i comuni capoluoghi di provincia che avessero una popolazione superiore ai 600 mila abitanti; e per tutto il resto invece, stabilire un’aliquota d’indennità di caro-vita comune sia per il capoluogo che per altri centri della provincia, perché non esiste una gran differenza fra la popolazione del comune capoluogo e la popolazione degli altri centri della provincia.

Ma, per Genova, Torino, Milano, Roma e Napoli si determinava una enorme differenza fra centri di poche migliaia di abitanti e le popolazioni dei capoluoghi che hanno la massima popolazione fra i centri maggiori di tutto il territorio della Repubblica.

Si sarebbe verificato questo inconveniente – e ciò ha trattenuto il Consiglio dei Ministri dall’aderire alla proposta fatta dal Ministro del tesoro – che un comunello agricolo, poniamo della Sabina, o un comune della provincia di Napoli, per esempio vesuviano, comuni agricoli nei quali il caro-vita fa sentire il suo peso molto meno che nei grandi centri, avrebbero avuto l’aliquota di 120 mentre le città di Bologna, Firenze e Palermo, dove indubbiamente il caro-vita è più alto, avrebbero avuto una aliquota inferiore.

Perciò era assolutamente impossibile, e ingiusto – così ha ritenuto il Consiglio dei Ministri – estendere a tutti i comuni delle province di Milano, Torino, Genova, Roma, Napoli le aliquote stabilite nei capoluoghi; ed ha limitato invece, questo adeguamento di aliquota, esclusivamente a quei comuni che compresi nel raggio di 30 chilometri dal capoluogo formassero, come effettivamente formano, con il capoluogo un unico centro economico.

Ma l’accoglimento della richiesta delle categorie rappresentate e patrocinate qui dai due onorevoli interroganti avrebbe portato certamente a due altre conseguenze: la prima, che già gli onorevoli interroganti conoscono, è quella della richiesta da provincia a provincia di adeguamento dell’aliquota del caro-vita. L’onorevole Morelli sa che la provincia di Varese ha chiesto in blocco l’aliquota del caro-vita della città di Milano; e con Varese l’hanno chiesta altre provincie. Finalmente avrebbe portato alla conseguenza di un’aliquota nazionale la quale avrebbe significato per il bilancio dello Stato una spesa di 15 miliardi.

Ora, il bilancio dello Stato non è oggi in condizione di poter sopportare un onere così grave. Del resto, basta considerare che anche nel settore privato non si è stabilito questo indice unico nazionale per la indennità di contingenza; e quindi non credo che lo Stato debba affrontare a cuor leggero una spesa così grave e precorrere risoluzioni, che nel settore privato non sono state neppure prospettate.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Fausto, ai Ministri dell’industria e commercio, di grazia e giustizia e dell’interno, «per chiedere che l’Assemblea Costituente sia – appena possibile – ampiamente informata delle direttive e delle conclusioni della inchiesta relativa allo scandalo delle gomme, in quanto la criminale speculazione investe con l’A.T.A.C. uno dei più vitali servizi della Capitale. La pubblica opinione, stanca della sistematica impunità e delle risibili penalità generalmente inflitte per reati contro l’interesse generale, esige sanzioni esemplari pronte ed adeguate».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria e commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI, Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. Con domanda presentata e firmata dal suo Presidente, ingegner Poinelli Mario, l’A.T.A.C. chiedeva, in data 12 ottobre 1946, al Ministero del commercio estero una licenza di importazione «franco valuta» per tonnellate 500 di copertoni e tonnellate 50 di camere d’aria, rappresentando le particolari difficoltà in cui si dibatteva l’Azienda nell’approvvigionamento dei pneumatici, difficoltà che avrebbe costretto la stessa a ridurre e, successivamente, addirittura a sospendere il servizio autofiloviario, nonché a licenziare le migliaia di persone addette al servizio stesso, tra cui molte assunte di recente, in dipendenza della loro qualifica di reduci ed ex combattenti.

Il Ministero del commercio con l’estero, in vista delle necessità rappresentate, concedeva sollecitamente l’autorizzazione, limitatamente a tonnellate 300 di copertoni e tonnellate 50 di camere d’aria, ed il Ministero delle finanze emetteva la relativa licenza n. 13033 del 26 ottobre 1946 intestata all’A.T.A.C.

In conseguenza della predetta situazione, la Giunta Municipale di Roma, nella sua seduta del 4 novembre 1946, nell’esaminare una proposta presentata all’A.T.A.C. dalla Ditta Tassi e Rivola, diretta a fornire alla prima, franco dogana Roma, con licenza intestata alla stessa A.T.A.C. n. 1.700 copertoni di misura diversa, deliberava di autorizzare l’acquisto limitatamente a n. 600 copertoni (di cui n. 400 sezione 11,00 X 20 e n. 12,00 X 20, ai prezzi rispettivamente di lire 55.000 e lire 65.000 l’uno), nonché a n. 900 camere d’aria, per un prezzo massimo di lire 4.000 l’una, per un totale complessivo di lire 40.500.000.

In contrasto con la suddetta deliberazione, l’A.T.A.C. stipulava, in data 31 gennaio 1947, una convenzione con la Ditta Tassi e Rivola e con l’U.T.R.E.N. (Ufficio Tecnico Rappresentanze Estere e Nazionali) di Genova nella quale stabiliva che:

l’U.T.R.E.N. ed il Rivola si impegnavano ad importare tutto il materiale della licenza A.T.A.C. ed a finanziare completamente l’operazione sia all’estero che nell’interno;

l’A.T.A.C. si riservava il diritto di prelevare il 60 per cento dei copertoni e delle camere d’aria importate con diritto di scelta, al prezzo di listino Pirelli 1946 (poi modificato in quello corrente nell’epoca del ritiro), diminuito dello sconto del 10 per cento;

l’U.T.R.E.N. ed il Rivola si riservavano, a loro volta, il diritto di vendere a proprio piacimento, sul libero mercato, il rimanente 40 per cento, nonché quella parte della suindicata aliquota del 60 per cento che non fosse stata ritirata dall’A.T.A.C. entro il termine di 40 giorni dall’arrivo della merce.

La convenzione di cui sopra, firmata dall’ingegnere Poinelli, non veniva portata a conoscenza della Giunta Municipale e, come è evidente, modificava sostanzialmente i termini dell’autorizzazione stessa.

Durante lo svolgimento delle trattative in argomento dirette a concludere l’importante affare, la licenza concessa dai competenti Ministeri venne però a scadere. L’ingegnere Poinelli rivolse allora una nuova domanda al Ministero Commercio Estero, nella quale richiamando l’attenzione di tale Dicastero sulle ben note necessità che l’A.T.A.C. aveva di mettere in circolazione nella città di Roma nuovi autobus e filobus per incrementare maggiormente la rete autofiloviaria, chiedeva il rinnovo della licenza. Tale rinnovo venne ottenuto con nota n. 35688 del 22 maggio 1947 del Ministero del commercio estero e nota n. 313423 del 27 maggio 1947 del Ministero delle finanze.

In seguito a ciò il Rivola procedette all’importazione di tutta la partita di merce in argomento, presso le Dogane di Roma, Genova e Napoli, che depositò in parte nei propri magazzini di Roma, ed in parte in quelli doganali delle città suindicate, iniziando nel luglio ultimo scorso la consegna del materiale dell’A.T.A.C., nonché la libera vendita di quella parte lasciata a sua disposizione, questa ultima a prezzi speculativi.

In base a rilevazioni fatte dal Ministero dell’industria e commercio nella sua opera di controllo sull’osservanza delle norme relative ai consumi ed ai prezzi, venne dato incarico al Comando del nucleo della guardia di finanza a disposizione del Ministero stesso di accertare come si erano svolti i fatti.

Da tali accertamenti risulta che:

  1. 3.133 copertoni e n. 353 camere d’aria erano stati liberamente venduti dal Rivola per la somma complessiva di lire 81.244.590, fatturandoli soltanto per lire 27.719.905, con un’omessa fatturazione o con una fatturazione inferiore al reale, corrispondente a lire 53.524.685, in guisa da occultare i lucri di speculazione conseguiti ed evadere l’imposta sull’entrata per lire 1.605.740 (i copertoni nuovi per jeeps, venduti a circa lire 30.000 l’uno, venivano fatturati a circa lire 5.000 l’uno);

solo n. 575 copertoni in tutto erano stati consegnati all’A.T.A.C. ed altre Aziende municipalizzate della Repubblica (consociate nel C.A.M.A.U. di cui l’ingegnere Poinelli è vicepresidente), dei quali soltanto n. 139 erano stati ritirati in proprio dall’A.T.A.C. Essendo il peso dei copertoni ritirati dall’A.T.A.C. di sole circa 7 tonnellate, ed essendo pressoché terminati i ritiri della stessa, è evidente che della licenza di 300 tonnellate una parte ben esigua sarebbe andata a benefìcio dell’Azienda;

  1. 13.138 copertoni e n. 12.000 camere d’aria si trovavano ancora giacenti nei magazzini doganali di Napoli e Genova, nonché nei magazzini del Rivola a Roma. Da notare che di tale quantitativo n. 11.391 copertoni sono di piccola sezione (6,00 x 16 e 5,50 x 15), cioè non idonei alle necessità dell’A.T.A.C. e quindi presumibilmente destinati alla vendita in proprio da parte del Rivola.

Poiché dei n. 3.133 copertoni venduti liberamente dal Rivola, di cui più sopra, n. 2.826 erano pure di piccole dimensioni, ne consegue che con la licenza A.T.A.C. furono importati ben n. 14.217 copertoni per autovetture (e cioè non idonei ai bisogni dell’A.T.A.C.), in confronto a soli n. 2.629 di grosse dimensioni (idonei per l’A.T.A.C.).

In conseguenza di quanto precede sono stati adottati i seguenti provvedimenti:

1°) Denuncia alla Procura della Repubblica da parte del Nucleo Guardia di Finanza addetto al Ministero dell’industria, con rapporto in data 4 agosto 1947, di Rivola Giuseppe e Poinelli Mario, nonché con suppletivo rapporto in data 26 agosto 1947 di Borrelli Ernesto (amministratore dell’U.T.R.E.N.) e Bornigia Renato.

I suddetti sono stati indicati quali responsabili di sottrazione al normale consumo di tonnellate 300 di copertoni e tonnellate 50 di camere d’aria (il Bornigia di soli 300 copertoni) e di infrazioni ai prezzi (quest’ultime per un importo di lire 26.197.608, rispetto ai listini ufficiali, alla quale cifra ascende anche la relativa sanzione pecuniaria) in considerazione del fatto che la licenza A.T.A.C. era stata concessa in vista della sua qualità di diretta consumatrice dei copertoni e tenuto conto del provvedimento di blocco ministeriale – decreto ministeriale 12 aprile 1946 – relativo ai pneumatici di qualsiasi specie.

Per quanto concerne l’ingegnere Poinelli è stato messo in luce l’operato da questi esplicato con la vendita in proprio di 16 copertoni con un utile di circa mezzo milione, richiamando l’attenzione dell’Autorità giudiziaria sulla possibilità che tale operato possa configurare i reati comuni di peculato o corruzione o interesse privato in atti di ufficio, in relazione anche al fatto che il Poinelli è andato molto al di là delle facoltà concessegli con la nota deliberazione della Giunta municipale.

2°) Sequestro di tutti i copertoni e camere d’aria ancora invenduti (e cioè la più gran parte della merce importata) nella quantità rispettiva di n. 13.138 copertoni e n. 12.000 camere d’aria.

3°) Segnalazione all’Autorità giudiziaria delle Banche presso le quali trovansi depositate le somme incassate con l’operazione in argomento (dedotte le spese finora sostenute) ed il cui ammontare si presume aggirarsi attualmente sulle lire 60.000.000, allo scopo di effettuarne il sequestro, quali somme pertinenti al reato, a mezzo del giudice competente, come prescritto dall’articolo 340 del Codice di procedura penale.

4°) Denuncia all’intendenza di finanza del Rivola e del Borrelli per le evasioni d’imposta sull’entrata relative alle false od omesse fatturazioni concernenti i copertoni venduti, per un complesso di lire 1.605.740 d’imposta evasa: lire 1.217.877 di sovratassa e lire 4.429.357 di pene minime e lire 14.063.797 di pene massime. Totale responsabilità minime lire 7.252.974; totale responsabilità massime lire 16.887.414.

5°) Segnalazione all’ufficio distrettuale delle imposte dirette ai fini dei lucri di speculazione conseguiti, sia per quanto concerne l’attività svolta in precedenza dal Rivola, con altre due licenze d’importazione di copertoni esteri a lui direttamente intestate, sia per quanto riguarda l’attuale licenza A.T.A.C.

6°) Allo scopo poi di restituire al normale consumo tale ingente quantitativo di pneumatici, il Ministero dell’industria e del commercio ha ottenuto dall’Autorità giudiziaria inquirente un provvedimento inteso a consentire, nel rispetto delle necessarie cautele, l’assegnazione a prezzo di normale listino e tramite gli organi competenti, di tutto il suddetto quantitativo ai normali consumatori.

PRESIDENTE. L’onorevole Di Fausto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI FAUSTO. L’episodio portato all’ordine del giorno dell’Assemblea dalla mia interrogazione non mi interessa per il caso specifico. Io sono così lontano ed estraneo al mondo degli affari, delle speculazioni e dei traffici che riconosco subito tutta la mia incompetenza in materia. Io ho inteso segnalare uno degli innumerevoli episodi delittuosi che minacciano di soffocare la vita della Nazione per richiamare su questo settore della malavita nazionale l’attenzione dell’Assemblea e la vigilanza dei Governo, esortando a colpire inesorabilmente e sollecitamente perché la pubblica opinione reagisca allo scetticismo pernicioso ingenerato dalla sistematica evasione dei colpevoli alla azione della giustizia.

Io ho inteso anche provocare in seno a questa Assemblea una parola di apprezzamento per quella vasta massa del popolo italiano che compie in silenzio, senza minaccia, il proprio dovere, spesso nella indigenza più inverosimile, tenendo fede a quel principio di onore per il quale la vita può essere e deve anche essere data.

I nostri fratelli, i nostri figli, professori di università, direttori generali nelle pubbliche amministrazioni, medici nei sanatori, artisti, sacerdoti, insegnanti, ecc. tutto insomma il ceto, medio, sappia che non si irriderà impunemente alla loro sofferenza, da parte di avventurieri criminali, con la estorsione di milioni e di miliardi che grondano lacrime e sangue dal comune soffrire.

Riconosco ed apprezzo il pronto intervento dei Ministeri tecnici. Esorto però il Ministero della giustizia alla conclusione più rapida dell’inchiesta giudiziaria per l’adozione di provvedimenti che debbono discendere di conseguenza.

Mi auguro infine che per l’intervento del Governo l’A.T.A.C., questa importantissima branca dei pubblici servizi, trovi l’assetto integrale e radicale che esigono le necessità della capitale, specialmente in vista dell’Anno Santo, e che invocano tutte le categorie dei lavoratori, la cui sorte è minacciata dal malgoverno dei capi.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Costa, ai Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se ritengano opportuno di promuovere un provvedimento legislativo sulle retrocessioni di immobili, «per i quali sia stata sospesa l’espropriazione per pubblica utilità dopo l’occupazione di urgenza oppure sia avvenuta requisizione di uso, in modo che, se siano state eseguite dallo Stato costruzioni in riferimento alle necessità militari, sia obbligatorio pagare il valore attuale dei miglioramenti, togliendosi la possibilità del privato arricchimento derivante dall’esercizio della facoltà di semplicemente rimborsare le spese di costruzione, attribuita dalla legislazione vigente».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Già da tempo l’Amministrazione della difesa aveva portato la sua particolare attenzione sulla applicazione veramente onerosa per l’Erario delle norme della legislazione vigente, la quale legislazione vigente in materia di cessione ai privati di costruzioni eseguite dall’Amministrazione su terreni occupati, ma non espropriati perché non più necessari per gli usi militari, pretende il pagamento del minor valore fra la spesa ed il migliorato. Ne è derivato un esame approfondito della questione di intesa anche con l’amministrazione finanziaria e con l’organo legale dello Stato, al fine della promulgazione di un provvedimento legislativo che orientasse la materia in modo diverso, precisamente nel senso di tener conto, ai fini della cessione, del valore attuale delle costruzioni. All’emanazione di questo decreto si farà luogo non appena espletato l’esame dello schema in corso presso i vari organi competenti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTA. Posso anche dichiararmi sodisfatto data la risposta favorevole alla mia richiesta. Certo che la questione sollevata è di notevole importanza per l’Erario, perché si tratta di evitare tutte quelle locupletazioni che potrebbero realizzare i privati per retrocessione da parte dell’Erario di aree per le quali era in corso una procedura di espropriazione rimasta ferma all’occupazione d’urgenza. L’onorevole Sottosegretario di Stato mi dà soddisfazione dicendo che su questo argomento si sta provvedendo in via legislativa. Quindi la mia raccomandazione si riduce a questo: di ottenere l’affidamento che, medio tempore, non si faccia luogo a nessuna retrocessione; si tengano sospese tutte le pratiche in corso e non si aspetti a sprangare la stalla quando siano scappati i buoi.

PRESIDENTE. Segue una seconda interrogazione dell’onorevole Costa ai Ministri del bilancio e del tesoro, «per sapere se riconoscano la convenienza di promuovere la modifica dell’articolo 16 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 37, sulla costituzione e sul funzionamento dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche, per armonizzarlo con l’articolo 36 del decreto legislativo di pari data, n. 38, sulla Azienda nazionale autonoma delle strade statali, in maniera che anche per il Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Venezia l’ufficio distaccato della Corte dei conti eserciti il riscontro soltanto successivo delle spese, limitando il controllo preventivo agli atti del magistrato».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Su questa interrogazione la Presidenza del Consiglio aveva fatto sapere che trattandosi di materia che tocca il funzionamento della Corte dei Conti, la Presidenza avrebbe risposto direttamente alla interrogazione stessa, anche in base agli elementi forniti dal Ministero del tesoro.

Ma gli elementi forniti dal Ministero riguardavano semplicemente la dichiarazione dei motivi della propria incompetenza in materia. Quindi, deve esservi stato un disguido amministrativo.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTA. Devo dichiarare che non sono affatto sodisfatto e desidero chiarire la questione ricollegantesi ad un problema che merita di essere considerato.

Nella stessa data del 27 giugno 1946 con i numeri 37 e 38 sono stati emanati due provvedimenti: uno relativo all’ordinamento dell’Azienda della strada, un altro relativo alla istituzione dei Provveditorati per le opere pubbliche.

Provvedimenti emanati nello stesso giorno con inspiegabile diversità di disposizioni in rapporto ai controlli.

Dice il decreto riguardante l’Azienda della strada: «La Corte dei Conti vigila sulle entrate, fa il riscontro consuntivo delle spese dell’Azienda» e basta.

La Corte dei conti – dunque – quando si tratta della Azienda della strada non fa più di così: «vigila sulle entrate e fa il riscontro consuntivo delle spese».

Viceversa il provvedimento che riguarda i Provveditorati per le opere pubbliche – pur emanato nello stesso giorno – dice: «L’Ufficio distaccato (siccome in ogni Provveditorato c’è un Ufficio distaccato della Corte dei conti) a termini del decreto, ecc., ecc., eserciterà anche le funzioni di riscontro preventivo e successivo sulle spese e di controllo preventivo sugli atti del magistrato».

Ora domando io al Ministero del tesoro (perché la Corte dei conti è un Istituto che ha rapporti col Ministero del tesoro) e se non sarà il Ministero del tesoro altri si assuma la competenza a rispondere e risponda: ritiene o non ritiene il Governo che sia il caso, per semplificare le formalità di questi controlli, di uniformare la legislazione relativa ai Provveditorati per le opere pubbliche a quella sull’Azienda della strada, in maniera che, quando si tratti di spese, sia sufficiente il controllo consuntivo e non si aggiunga anche un controllo preventivo?

Si badi che la differenza è enorme, perché il controllo preventivo sulle spese, dopo che le spese sono state già autorizzate con decreto del Provveditorato alle opere pubbliche – soggetto al controllo della Corte dei conti anche questo – significa che, dopo emanato il decreto del Provveditorato alle opere pubbliche e sottoposto al controllo della Corte dei conti, bisogna mandare all’ufficio staccato della Corte stessa tutto un fascio enorme di fatture riferentisi ad innumerevoli lavori. I Provveditorati per le opere pubbliche hanno lavori per centinaia di milioni e sono in quantità enorme i lavori in corso; e le fatture che si devono mandare sono dei pacchi spaventevoli che fanno perdere una quantità di tempo all’Ufficio del controllo.

E allora, se si vuole il controllo preventivo sulle fatture, perché prescrivere anche il controllo consuntivo sulle stesse fatture, che sono liquidate solo quando si conosce il preciso ammontare? A che cosa giova questa complicazione?

È difficile rendersi ragione della diversità di trattamento tra i due istituti (Azienda della strada e Provveditorato opere pubbliche) in maniera che per l’uno basti solo il controllo consuntivo della Corte dei Conti e non basti per l’altro. E le conseguenze sono queste: che passa un tempo ragguardevole per i pagamenti di queste fatture, in quanto si attende il controllo preventivo, per necessità di cose molto ritardato.

Non mi preoccupo dei grandi appaltatori che, se anche aspettano, possono avere pazienza. Mi preoccupo dei piccoli e soprattutto delle cooperative. Quando una cooperativa attende il pagamento dell’importo liquidato per lavori eseguiti – e si ritarda questo pagamento per la necessità di adempiere tutte le ricordate formalità, una delle quali è evidentemente superflua – è costretta a pagare degli interessi in misura notevole sui suoi finanziamenti. Il che porta come conseguenza che, quando c’è la necessità di sopportare interessi bancari per attendere il pagamento di fatture liquidate, all’atto in cui vi saranno successivi appalti, i prezzi saranno superiori, cioè maggiorati di quel tanto che gli interessati sanno rappresentare l’onere degli interessi fino al momento del pagamento.

Mi pare di avere sufficientemente chiarito questa contradizione. È assurdo che tutto ciò possa sussistere e vorrei chiudere con una considerazione: basterebbe che gli egregi rappresentanti del Governo pensassero quello che era stato fatto dopo l’altra guerra per le terre liberate. Per queste c’era una legislazione speciale che sarebbe ovvio fosse richiamata in vigore, perché questo dopoguerra somiglia moltissimo a quello precedente. Penserei quindi che quei provvedimenti si potrebbero adottare anche ora. Questa sarebbe la mia idea preferita; quanto meno è necessario adottare una uniformità di indirizzo nei confronti delle norme contabili in vigore per l’Azienda della strada e per i Provveditorati alle opere pubbliche.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Desidererei rimandare questa interrogazione a lunedì prossimo, onde poter sentire il Ministero che è più competente, che ritengo sia il Ministero dei lavori pubblici.

PRESIDENTE. Resta così stabilito.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, al Ministro dell’interno, «per conoscere se rispondano a verità le notizie diffuse negli ambienti popolari ed impiegatizi di Siracusa sull’accertamento di gravi irregolarità nell’Ufficio alimentazione e razionamento di Siracusa, per ammanchi o sottrazioni di notevoli quantità di farina, col peggioramento della confezione del pane, irregolarità che avrebbero determinato la nomina di un commissario prefettizio; e se e quali provvedimenti siano stati o si intendano adottare contro i responsabili di imperdonabili malefatte, in un momento così delicato ed in materia così sensibile, date le gravi deficienze del grano».

L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Nel giugno scorso il direttore della Sepral di Siracusa informava il prefetto di avere motivo di dubitare della regolarità del funzionamento dell’Ufficio razionamento del comune capoluogo di quella provincia.

Il prefetto diede allora allo stesso direttore l’incarico di esperire subito riservate e accurate indagini, e, in base alle prime risultanze – dalle quali apparivano sensibili discordanze fra il carico e il discarico della farina assegnata al comune – procedette, in data 5 luglio, alla nomina del dottor Salvatore Cavarra, capo ufficio statistico, col compito di approfondire le indagini iniziate dal direttore e di promuovere i provvedimenti opportuni per la riorganizzazione dell’ufficio.

Responsabili delle irregolarità apparvero subito il capo Ufficio razionamento ragioniere Agliano e l’impiegato Gastaldo Pasquale.

La Giunta comunale frattanto, con deliberazione del 7 luglio, stabiliva di sospendere i predetti dall’impiego e di denunziarli all’autorità giudiziaria.

Dagli accertamenti effettuali in seguito è risultato che gli scarichi in più avvenivano mediante alterazione dei relativi moduli, eseguita materialmente dall’impiegato Gastaldo.

Con tale sistema vennero sottratti, durante i mesi dal gennaio all’aprile del corrente anno, quintali 1937 di farina, la cui disponibilità veniva fatta figurare maggiorando nei modelli di prenotazione i dati relativi alle previsioni.

Complici del Gastaldo sono risultati altri quattro impiegati.

L’autorità giudiziaria ha spiccato mandato di cattura contro gli impiegati, nonché contro due carrettieri.

Si presume che la farina distratta sia stata indebitamente ceduta ad alcuni panificatori, la cui responsabilità è tuttora in corso di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria. Indipendentemente da tale accertamento, il commissario Cavarra ha contestato agli stessi panificatori le giacenze contabili di farina, ed essi si sono dato carico di quintali 1040 di giacenza, che devono considerarsi come effettivo quantitativo di farina recuperata a fronte dei complessivi quintali 1937 distratti.

Si sta ora procedendo alla revisione della contabilità relativa alla pasta, ma dai primi sommari accertamenti, sembra che al riguardo si possano escludere delle irregolarità.

Le irregolarità riscontrate non hanno però avuto influenza sulla cattiva qualità del pane lamentata nel giugno scorso a Siracusa, dovuta invece alla scadente qualità del grano sbarcato dal piroscafo Quinterno e distribuito nell’epoca, mentre il pane successivamente distribuito è di pieno gradimento della popolazione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI GIOVANNI. Sono grato all’onorevole Sottosegretario di Stato delle cortesi ed esaurienti informazioni. Certo è impressionante il fatto che si siano potuti sottrarre dall’ufficio alimentazione ben 1.900 e più quintali di farina; e non si intende come gli organi destinati alla vigilanza non si siano mai accorti di queste sottrazioni, tanto che sia stato possibile, in breve volgere di tempo; raggiungere quantità così rilevanti.

Verrebbe fatto di domandare, non solo come sia stato possibile consumare così gravi reati in danno dell’ufficio di alimentazione, senza che fosse tempestivamente intervenuta una doverosa difesa preventiva degli interessi della collettività, ma anche come si sia agito nell’esplicazione dell’attività repressiva, in quanto sembra che taluno dei responsabili, quale esecutore materiale, abbia avuto il tempo di prendere il largo e sia uccel di bosco, ed altri restino ai margini tuttora indisturbati. Certo che le indagini vanno anche dirette verso i favoreggiatori ed i ricettatori, che non sono meno responsabili degli esecutori materiali dei reati; perché è chiaro che ci deve essere, e c’è indubbiamente, una larga rete di intrighi e d’interessi ed una vera associazione delittuosa; ed io voglio raccomandare all’onorevole Sottosegretario di Stato di invitare i poteri responsabili alla vigile, sollecita, severa esplicazione della loro azione, di fare che i cent’occhi d’Argo degli ufficiali della polizia giudiziaria e della stessa magistratura siano bene aperti, perché i responsabili siano tutti assicurati alla giustizia, sicché l’esempio sia salutare e di ammonimento agli altri.

Sarebbe legata questa mia interrogazione a quella che viene immediatamente dopo; ed il legame non è puramente occasionale, perché, mentre da un canto si distraevano quantità così notevoli di farina all’Ufficio di alimentazione, e quindi ai bisogni del popolo, si provvedeva da parte dell’Ufficio alla confezione ed alla distribuzione del pane utilizzando detriti, miscelando farina di granturco, ed altre farine non commestibili, producendo quei danni alla salute pubblica, che dettero luogo alla mia seconda interrogazione sulla cattiva confezione del pane e sulle conseguenze in materia di igiene e sanità.

Anche su questo argomento, mentre sono grato dell’assicurazione che mi viene dall’onorevole Sottosegretario di Stato, desidererei raccomandare la più stretta, continua ed oculata vigilanza.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, all’Alto Commissario per l’alimentazione, «sulla pessima qualità del pane che viene distribuito alla popolazione della città e della provincia di Siracusa, con evidente grave nocumento della salute dei cittadini, specialmente delle classi lavoratrici, costrette a comprare il pane della tessera ed impossibilitate a sostituirlo con quello proveniente dal mercato nero. La confezione del pane tesserato è quanto di più deplorevole ed antigienico possa immaginarsi: le miscele di farina di grano turco e di altre non commestibili lo rendono esiziale per la salute pubblica, specie nel periodo del caldo estivo. Sono quindi a deplorare non pochi casi di enterite, principalmente fra i bambini, e taluni di infezione tifica serpeggiante fra le classi povere. L’interrogante invoca immediate disposizioni ai competenti uffici onde ovviare al gravissimo inconveniente».

L’Alto Commissario per l’alimentazione ha facoltà di rispondere.

RONCHI, Alto Commissario per l’alimentazione. Dagli accertamenti compiuti nei primi di luglio presso le Autorità e gli organi locali responsabili, risultò che le lamentele e gli inconvenienti segnalati, circa la cattiva confezione del pane in provincia di Siracusa nel corso dell’ultima decade di giugno, furono causati:

1°) dalla non gradita miscela di farina di granoturco con farina di grano;

2°) dall’impiego di farina di qualità molto scadente, che proveniva da una partita di grano di importazione argentina.

Per quanto riguarda il punto primo si fa presente che l’adozione di detta miscela è stata una necessità assoluta, conseguente alla carenza di grano di fronte alla rilevante disponibilità di granoturco, e la miscela è stata applicata in tutte le provincie. Però in quelle siciliane l’impiego della farina di grano turco fu limitatissimo. Comunque non possono certo essere imputati a detta miscela i casi di enterite verificatisi nella popolazione infantile e denunciati dall’onorevole interrogante.

In merito al secondo punto, e cioè la scadente qualità del grano argentino, confermo gli inconvenienti del grano argentino, ma non risulta che abbiano avuto conseguenze agli effetti della salute pubblica. D’altra parte si deve rilevare che con il carico dello stesso piroscafo di grano argentino furono approvvigionate anche altre provincie, che per altro non dettero luogo a rilievi di sorta.

Comunque l’inconveniente ebbe un carattere del tutto temporaneo e venne superato con l’esaurirsi del grano in questione.

In quell’epoca poi, recatomi in Sicilia, concordai con le autorità del Governo regionale la distribuzione della razione di 200 grammi di pane confezionato con sola farina di grano nazionale, abburattata all’85 per cento, se di grano tenero, e al 90 per cento se di grano duro; oppure confezionata con farina bianca di importazione, escludendo la miscela col granoturco ed adottando eventualmente quella con orzo e segale.

Da allora la qualità del pane dev’essere notevolmente migliorata, poiché non ho avuto altre segnalazioni di ulteriori inconvenienti.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DI GIOVANNI. Come accennavo, questa interrogazione è legata a quella precedente.

Sostanzialmente, si sottraeva la farina buona e, per la panificazione, bisognava, ricorrere a degli espedienti, pure ammettendo il fatto che da un piroscafo proveniente dall’Argentina sia stato sbarcato del grano di pessima qualità.

È ben vero che le ripercussioni sulla salute pubblica furono temporanee e non gravi, come è stato accennato dall’Alto Commissario per l’alimentazione, ma ci furono e non trascurabili, specialmente fra i bambini che risentirono più direttamente e più facilmente le conseguenze della cattiva qualità del pane distribuito alla popolazione.

È da augurare che il fatto deplorevole non si ripeta, perché, come ho accennato, mentre la farina bianca andava a finire presso i fornai, che poi la mettevano in vendita o la panificavano per il mercato nero, il pane per il popolo costituiva un vero attentato alla salute pubblica. Il che ancora sta a confermare quanto sia difficile modificare in meglio la situazione descritta e deplorata dal buon papà Manzoni, a proposito dei fornai che né «gride» né «bandi» erano riusciti a correggere.

Occorre seriamente provvedere perché il pane – alimento essenziale e forse unico per alcuni strati della popolazione, e soprattutto per le classi operaie e meno abbienti – risponda almeno alle più elementari esigenze dell’alimentazione e dell’igiene.

PRESIDENTE. Segua l’interrogazione dell’onorevole Riccio, ai Ministri dell’interno e della marina mercantile, «per conoscere quali provvedimenti sono stati presi in rapporto all’arbitrario atto del sindaco di Pozzuoli, il quale emetteva una illegittima ordinanza di sospensione dei lavori di allargamento di una chiesa, prendendo a pretesto l’occupazione di pochi metri di banchina, e si ribellava apertamente ad una decisione del prefetto di Napoli».

L’onorevole Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Ministro della marina mercantile, rispondendo recentemente ad analoga interrogazione dell’onorevole Sansone, ha rilevato che tutte le autorità e tutti gli uffici locali espressero parere favore all’accoglimento della domanda del parroco della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli per l’acquisto di suolo demaniale marittimo situato sulla banchina di quel porto.

Infatti, trattandosi di demanio marittimo, il sindaco non era competente ad emettere ordinanze concernenti la disposizione di quel suolo, che era stato concesso con le debite forme. Ma il sindaco di Pozzuoli non si è limitato ad ordinare la sospensione dei lavori. Nonostante i precedenti chiarimenti datigli dalla Prefettura prima e dall’Avvocatura dello Stato poi, ha inviato sul posto il comandante dei vigili urbani con una decina di uomini a sospendere i lavori, e solo l’atteggiamento del comandante del porto ha potuto evitare, con l’allontanamento dei vigili, spiacevoli incidenti.

Per quanto riguarda più specificamente il Ministero dell’interno dirò che tale operato del sindaco di Pozzuoli ha formato oggetto di una inchiesta testé eseguita a carico dell’amministrazione comunale di Pozzuoli, le cui complesse conclusioni sono attualmente in corso di esame.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dire se sia sodisfatto.

RICCIO Io non posso che dichiararmi sodisfatto delle comunicazioni che vengono dal Ministro dell’interno. Vorrei soltanto dire al Ministro dell’interno – perché al Ministro della marina mercantile non devo dire niente, visto che quanto è stato dichiarato in risposta all’interrogazione dell’onorevole Sansone risponde pienamente a verità – che se, come dalle sue stesse dichiarazioni risulta, un reato è stato commesso, esso va denunziato. Vi fu l’intervento violento di vigili mandati dal sindaco e vi fu anche la distruzione di opere già costruite. Ciò integra un reato. A me sembra doveroso che il Ministro rimetta all’autorità giudiziaria l’incarto e chiedo che si proceda a carico di questo sindaco.

PRESIDENTE. Seguono le interrogazioni dell’onorevole Mazza, al Ministro del tesoro, «per conoscere i motivi dell’ostinazione con la quale si escludono, dai decreti di equiparazione del caro-vita dei comuni viciniori di Napoli, quelli della penisola sorrentina, compresi in un raggio di 25 chilometri e legati al centro da molteplici mezzi di trasporto marittimi e terrestri», e dell’onorevole Riccio, al Ministro del tesoro, «per conoscere se intenda concedere l’adeguamento carovita, a norma dell’articolo 14 del decreto legislativo presidenziale 5 agosto 1947, a Gragnano, ai comuni della penisola sorrentina, delle isole di Capri e di Ischia, trattandosi dei paesi della provincia di Napoli in cui più costa la vita e che più sono legati economicamente al capoluogo, superando una interpretazione restrittiva dell’espressione: «via ordinaria»; o, se comunque intenda procedere ad una modifica della disposizione.

Trattandosi di materia analoga, esse possono essere trattate congiuntamente.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. In merito si precisa anzitutto che la concessione invocata, di ottenere per i dipendenti statali con sede di servizio nei comuni di Gragnano, Capri, Ischia, nonché in quelli della penisola Sorrentina, la indennità carovita nella misura del 120 per cento prevista per i dipendenti con sede di servizio a Napoli, è subordinata, oltreché al sussistere della condizione di prossimità col centro maggiore (in questo caso Napoli), che, con l’articolo 14 del decreto legislativo 5 agosto 1947, n. 778, è stata interpretata nel senso che i comuni minori non devono distare da quello maggiore più di 30 chilometri misurati su via ordinaria tra le rispettive sedi comunali, alle due seguenti condizioni:

1°) unicità di centro economico del comune minore con quello maggiore, condizione questa esistente principalmente quando i comuni stessi siano collegati con mezzi di comunicazione intensissimi e frequentissimi;

2°) particolare elevatezza del costo dell’alimentazione nel comune minore. L’accertamento del sussistere delle cennate condizioni, nonché di quelle della distanza, rientra anche nella competenza del Ministero dell’interno, il quale, esaminate le concrete proposte delle Prefetture interessate, esprime il proprio parere al Ministero del tesoro col concerto del quale va disposta la concessione dell’elevazione dell’indennità caro-vita.

Ciò premesso, e poiché non sono ancora pervenute al Ministero dell’interno concrete proposte in merito all’elevazione dell’indennità carovita per i cennati comuni della provincia di Napoli, il Ministero del tesoro potrà rispondere alla questione in esame solo quando verrà in possesso di tutti quegli elementi atti a valutare il sussistere o meno delle condizioni prescritte ai sensi delle vigenti disposizioni. Peraltro, per quanto concerne in particolare la locuzione «via ordinaria», contenuta nell’articolo 14 del citato decreto n. 778, che gli onorevoli interroganti vorrebbero fosse interpretato non in senso restrittivo, si precisa che, con la locuzione stessa, il legislatore ha inteso riferirsi alla via che, per frequenza e intensità dei traffici, è ordinariamente seguita per lo svolgimento delle attività di ogni genere, che interferiscono fra i due comuni viciniori, e cioè alla via terra.

Ora, se per i comuni quali quello di Capri, che sono collegati unicamente per via mare, è ovvio che questa sia la via ordinaria, non sembra altrettanto possa affermarsi sempre per quei comuni che siano raggiungibili ugualmente per via mare e per via terra, in quanto è questa ultima che dovrebbe ritenersi ordinariamente usata per i traffici fra un comune e l’altro. Ed è quindi per via terra che andrebbe calcolata la distanza esistente fra i due comuni ai fini dell’applicazione della norma di cui all’articolo 1, penultimo comma, del decreto legislativo 29 maggio 1947, n. 488, e successive modificazioni. Comunque, anche su questo punto gli elementi di giudizio che potrà fornire il Ministero dell’interno saranno esaminati dal Tesoro con la maggiore comprensione.

Soggiungo ad ogni modo, a chiarimento e conferma di quanto già detto agli onorevoli interroganti, che al Ministero del tesoro non è pervenuta alcuna proposta per l’attribuzione ai comuni, dei quali gli onorevoli interroganti si interessano, di elevazione dell’aliquota del caro-vita e per l’adeguamento a quello che vige nel capoluogo della provincia di Napoli.

PRESIDENTE. L’onorevole Mazza ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MAZZA. L’onorevole Sottosegretario, dopo aver affermato che la pratica per l’elevazione del caro-vita non è ancora pervenuta al Ministero del tesoro, ha affrontato la questione.

Per quanto riguarda il ritardo dell’arrivo, io chiederò alla buona volontà dell’onorevole Petrilli se è vero che di questa questione stiamo parlando da circa un anno. Mi permetterò di far notare che da molti mesi la pratica è al Ministero dell’interno, esattamente alla Direzione generale degli affari civili, dal dottor Fortini; forse nessuno la vuole trovare. Per quanto riguarda l’esame dettagliato che l’onorevole Petrilli ha voluto fare, in attesa che la pratica arrivi al Tesoro e che l’Amministrazione del Tesoro prenda le sue decisioni, io mi permetto di far notare che la via marittima è la via ordinaria, perché è la più breve, la più rapida, la più economica, perché lo Stato sovvenziona le linee di trasporto marittimo.

Mi permetto di far notare che i paesi della penisola sorrentina sono in condizione peggiore di uno stesso centro economico, in quanto il costo della vita non è uguale a Napoli, ma è maggiore, poiché essi sono paesi turistici. Io chiedo alla buona volontà del Sottosegretario al tesoro di tornare a Sorrento qualche volta con il suo pensiero. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Riccio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RICCIO. Vorrei rettificare soltanto un’affermazione dell’onorevole Petrilli. Non è esatto che la pratica non sia al suo Ministero. In data 10 settembre è stata spedita dalla Prefettura di Napoli un’ampia relazione relativa ai paesi della penisola sorrentina; e di questa relazione si propone che sia ritenuta, anche per i paesi della penisola sorrentina, ordinaria la via marittima, che è brevissima. Si suggeriva anche di considerare la situazione topografica del porto di Napoli.

Da Napoli a Sorrento, in linea diretta, sono 20 chilometri; mentre la via che segue la costa è lunga, sino Massalubrense, quaranta. Non perché vi è il mare e vi è una via che segue le tortuosità della natura, Sorrento si sposta. È sempre là. Non mi pare perciò che il ragionamento del Ministro possa essere approvato.

Qual è lo spirito della legge, al quale dobbiamo riportarci?

Noi, che conosciamo i paesi della provincia di Napoli, possiamo dire che si verifica un grave assurdo. Paesi, i quali hanno un costo di vita molto più basso di quello di Napoli, hanno avuto l’adeguamento del caro-vita; mentre i paesi, tutti i paesi – che hanno un costo di vita molto più alto di quello di Napoli – come Capri, Ischia, Sorrento ed anche Gragnano – per una interpretazione restrittiva della legge verrebbero ad essere privati di questo beneficio.

Si tendeva ad alleviare il costo della vita in quei paesi, che costituiscono una unità economica con i grandi centri. Ebbene Capri, Ischia, Sorrento e Gragnano sono economicamente inscindibili da Napoli.

Prego l’onorevole Sottosegretario per il tesoro, che ha dato prove di larga comprensione, in rapporto ai paesi della nostra provincia, che ancora una volta voglia rendersi conto di queste gravi esigenze e trovare la via per risolvere favorevolmente la questione posta. Sarà anche esatta applicazione dell’articolo 14, in rapporto a quello che è lo spirito della legge, e non miopia formalistica e burocratica. Comunque, si potrebbe agevolmente modificare, se necessario, l’articolo 14 surrichiamato, adeguandolo a questi bisogni di giustizia sociali ulteriormente emersi.

Mi auguro di avere al più presto una risposta di accettazione delle richieste formulate. Sin d’ora ne ringrazio l’onorevole Petrilli.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Miccolis, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano Il Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi. Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatori, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini. Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione di prezzi».

Siccome il Ministro Segni è fuori Roma per ragioni di ufficio, devo annunziare all’onorevole Miccolis che lo svolgimento della sua interrogazione è rinviato.

MICCOLIS. Non ho difficoltà.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Bastianetto, Giacchero, Carignani, Russo Perez, ai Ministri dell’interno e della pubblica istruzione, «per sapere come intendano provvedere al ricovero ed all’educazione professionale dei minori infortunati civili, per cui in atto viene provveduto sporadicamente senza alcuna organicità e coordinamento; e se conoscono che di oltre 10 mila minori, i ricoverati non assommano che a poche centinaia. Per conoscere, inoltre, se intendono superare le difficoltà che si frappongono acché i collegi dell’ex G.I.L. vengano ceduti all’Opera nazionale per gli invalidi di guerra, che è l’Ente preposto per legge all’assistenza dei minori invalidi di guerra, e le ragioni per cui non è stato ancora assegnato alla predetta Opera l’ex collegio di Monte Mario in Roma».

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Su richiesta dell’onorevole Bastianetto, la risposta a questa interrogazione è stata tramutata in risposta scritta.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Tozzi Condivi, al Ministro dell’industria e commercio, «per conoscere perché alla flottiglia motopeschereccia dell’importante porto di San Benedetto del Tronto vengono assegnate mensilmente quantità di gasolio appena sufficienti per 6 giorni e 21 ore di moto in modo da danneggiare gravemente quella fiorente attività. Questo – mentre ad altre flottiglie di altri porti – quale ad esempio quella di Anzio – si fanno assegnazioni esuberanti, per modo che non vengono neppure ritirate».

Non essendo presente l’interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Geuna, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’industria e commercio, «per conoscere se e quali provvedimenti intendano adottare per eliminare l’attuale inconveniente derivante all’industria torinese in particolare e piemontese in genere, dal fatto che il Comitato centrale per la ripartizione dei prodotti destinati all’industria, con sede in Milano, favorisce naturalmente l’industria lombarda».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio ha facoltà di rispondere.

CAVALLI. Sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio. La Commissione centrale dell’industria assegna alle varie sottocommissioni di Milano, Roma, Napoli e Palermo i quantitativi globali di merci per i fabbisogni delle loro rispettive circoscrizioni.

La ripartizione delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti alle singole aziende è effettuata dalle Sottocommissioni interregionali, ciascuno per il territorio della propria circoscrizione e sulla base delle richieste delle singole aziende, debitamente controllate, in relazione alla capacità produttiva, al numero degli operai ed a tutti gli altri elementi, che concorrono a determinare il fabbisogno effettivo delle aziende stesse.

La Sottocommissione industria per l’Italia settentrionale provvede alla ripartizione delle merci predette, sia per il Piemonte e la Lombardia che per l’Emilia, il Veneto e la Venezia Giulia.

Finora non è pervenuta alcuna comunicazione al Ministero che detta Sottocommissione dia la preferenza, nella ripartizione, all’industria lombarda, con pregiudizio di quella del Piemonte.

Allo scopo di avere elementi esatti di giudizio, sarebbe necessario che fossero precisati circostanze e fatti concreti, sui quali il Ministero potrà disporre immediatamente accertamenti, per eliminare gli inconvenienti lamentati.

Comunque, informo che è allo studio la riforma di questi organi sorti per sopperire a situazioni di emergenza.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GEUNA. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario delle spiegazioni che ha dato alla mia interrogazione, e mi permetto di far osservare che potrò presentare elementi precisi a giustificazione della mia osservazione. È una situazione generale che si determina ed è dovuta a questi fenomeni.

In primo luogo, dispersione di materie prime, inevitabile, che avviene all’arrivo ai porti, non per colpa degli organi governativi, ma per ragioni di contingenza, dovute all’ingerenza della borsa nera e comunque non facilmente controllabili.

Dopo questa prima dispersione si arriva alla ripartizione dei buoni da parte del Comitato residente a Milano, nella cui ripartizione giuoca l’ambiente regionale, per cui ditte o localmente rappresentate o localmente con sedi in Milano hanno possibilità (per ragioni di conoscenze e di contatti quotidiani) ben maggiori di quelle ditte periferiche o dislocate in regioni lontane. Questo fenomeno, che non è notevolissimo per le grandi industrie – le quali hanno generalmente loro rappresentanti con sede in Milano – è penosissimo per le piccole e le medie industrie, che si trovano già in condizioni inferiori di capacità e di potenzialità economica in lotta contro gli organismi più grandi, ed escono assolutamente danneggiate, quando debbono, ad ogni richiesta e ad ogni questione di necessità di materie prime, mandare delle persone da Torino a Milano, oggi che le condizioni di trasporti non sono ancora agevoli, e per di più inviandole in qualità di forestieri, che sottraggono qualcosa agli interessi locali, e che perciò sono considerati come nemici. Tutto questo genera un senso di sfiducia, di scoramento, di stanchezza e, possiamo anche dirlo, di disagio economico, e fa sì che si determini uno stato di minorazione delle industrie piemontesi piccole e medie, ciò che ha determinato questa nostra richiesta.

Prendo atto delle dichiarazioni e delle promesse dell’onorevole Sottosegretario, cioè che è allo studio una revisione di questo sistema; ma, se mi fosse permesso, vorrei chiedere con quale indirizzo si intende modificare questo sistema, vale a dire se il Comitato di ripartizione (che oggi si riduce a sole quattro sedi per l’Italia settentrionale, centrale, meridionale ed insulare) si intenda portarlo sul piano regionale, il che porterebbe ad altri inconvenienti. Pur affermando che la questione va risolta, chiediamo nello stesso tempo sotto quale aspetto è stata considerata la modifica della nuova struttura. Quando il Ministero avrà fatto presente come intende sopperire alle esigenze che gravano sulla industria piemontese piccola e media in ispecie, allora presenteremo all’esame le nostre proposte.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Geuna e Giacchero, al Ministro del bilancio, «per conoscere se non intenda favorire la istituzione di un ente bancario piemontese, con sede in Torino, per evitare che i risparmi assorbiti in Piemonte vengano per la maggior parte destinati a finanziare iniziative di altre regioni, dato che le sedi principali delle banche sono a Roma e a Milano».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Gli interroganti partono dalla premessa che sia necessario istituire in Torino un ente bancario piemontese, allo scopo di evitare che i risparmi assorbiti in Piemonte vengano per la maggior parte destinati a finanziare le iniziative di altre regioni, dato che le sedi principali delle banche sono a Roma ed a Milano.

Le critiche mosse dagli interroganti al sistema bancario italiano sono comuni ai rappresentanti di tutte le regioni italiane, ognuna delle quali lamenta che i risparmi locali siano trasportati altrove e destinati ad aiutare iniziative di altre regioni, sicché le lagnanze paiono a priori escludersi a vicenda.

Per quanto riguarda il Piemonte giova notare che questo possiede tre grandi istituzioni bancarie: la Banca popolare di Novara, che disponeva, al 30 giugno 1947, di 42 miliardi e 600 milioni di depositi e conti correnti, con 223 sportelli; l’Istituto San Paolo di Torino, con 16 miliardi e 100 milioni di depositi e 129 sportelli, e la Cassa di risparmio di Torino, con 11 miliardi e 700 milioni di depositi e 127 sportelli.

Questi tre Istituti raccoglievano dunque da soli 70 miliardi e 400 milioni di depositi e conti correnti su un totale di 868 miliardi e 800 milioni in tutto lo Stato, ossia l’8,1 per cento del totale dei depositi italiani. Se si pensa che, tenuto conto dei depositi e conti correnti di tutte le banche nazionali e locali operanti in Piemonte, esse raccoglievano nel 1946 l’11,7 per cento dei depositi di tutto lo Stato, si può ritenere fondamentalmente che il risparmio raccolto dalle tre Banche sopra ricordate, più quello messo insieme dalle minori Casse di risparmio e dalle non poche banche cooperative popolari e private operanti nel Piemonte, equivalgono al totale del risparmio raccolto in Piemonte. Se una parte di questo è messo a disposizione di banche aventi sede fuori del Piemonte, d’altro canto le banche piemontesi ricevono cospicui depositi da altre parti dello Stato, cosicché si può ritenere esservi compensazione fra le somme che le banche piemontesi raccolgono fuori del Piemonte e quelle che le banche forestiere raccolgono nel territorio subalpino.

Non si vede in che modo l’istituzione di un nuovo grande ente bancario possa ovviare ad un inconveniente, il quale, d’altra parte, non pare sussistere. Né sarebbe consigliabile d’altro canto la fusione dei tre maggiori enti sopra ricordati in un ente unico: ognuno di essi ha una storia, tradizione, consuetudine di lavoro, clientela propria, sicché la fusione mentre non aggiungerebbe nulla alla fiducia della quale i tre Istituti meritatamente godono, sminuirebbe la loro capacità di lavoro e di adattamento alle esigenze della clientela diversa per ognuno di essi.

Neppure si vede la convenienza di fondare, accanto ad essi, un nuovo Istituto, il quale male potrebbe vivere, ove non intenda privare gli altri del loro lavoro antico, solo creando nuovi risparmi e nuovo clientele.

Non si esclude che col rifiorire delle industrie ciò possa in avvenire accadere, ma il momento presente non appare singolarmente propizio all’iniziativa.

Sin qui, soprattutto per quanto si riferisce alla raccolta dei depositi.

Per ciò che invece riguarda l’impiego dei depositi, punto a cui soprattutto pongono mente gli interroganti, giova riportare alcune cifre relative alle varie regioni italiane. Se noi collochiamo queste in ordine decrescente, rispetto al rapporto percentuale che nel 1946 si verificò tra impieghi e depositi, otteniamo il seguente risultato. Si ricordano i dati del 1938 che si riferiscono ad una certa normalità anteriore alla guerra, e quelli del 1946, in cui si riflette l’inizio del ritorno alla normalità medesima. Nell’anno 1938 avevamo per le Marche 84,6 per cento, nel 1946 il 93,7 per cento; nella Umbria 84,2 per cento nel 1938 e l’85,4 per cento nel 1946; negli Abruzzi e Molise il 91,3 per cento nel 1938, il 79,2 per cento nel 1946; nella Liguria il 61,5 per cento e poi il 77,7 per cento; nella Sardegna il 185,3 per cento e poi il 75,9 per cento; nell’Emilia il 78,5 per cento e poi il 72,8 per cento; in Toscana il 67,6 per cento e poi il 71,2 per cento; nel Veneto il 75,3 per cento e poi il 57,7 per cento; nella Sicilia il 68,8 per cento e poi il 57,1 per cento; nella Calabria il 101,1 per cento e poi il 54,4 per cento.

La media dello Stato era nel 1938 il 64,2 e nel 1946 il 54,9.

Per tutte queste regioni è ovvio, è facile osservare che esse si trovano al di sopra della media dello Stato. Seguono ora le regioni che si trovano al disotto della media dello Stato.

Il Piemonte nel 1938 aveva il 45,2, ora è risalito al 51,6; la Lombardia dal 57,3 è scesa a 50,30; la Campania dal 56 è scesa al 49,7; il Lazio dal 51,2 al 42,3; le Puglie dal 92,2 al 41,3; la Venezia Tridentina dal 56,3 al 30; la Venezia Giulia e Zara dal 55,4 al 29,7; la Lucania dal 133,1 al 23,7.

Le cifre significano che nelle Marche, ad esempio, il 93,7 per cento dei depositi ricevuti localmente dalle banche, anche quelle aventi sede altrove, a Milano, a Roma, fu impiegato localmente. I dati su riportati si presterebbero a molte considerazioni, fra le quali bastano due generalissime: in primo luogo risulta non essere corrispondente al vero il rimprovero che le banche impiegano sempre i risparmi del Sud per trasportarli al Nord; che sono numerose anche le regioni meridionali che stanno al di sopra della linea media dello Stato. Ciò vuol dire che le banche impiegano in loco nel Sud una proporzione maggiore dei depositi ricevuti in loco di quelli che loro derivano dalla media del territorio italiano. In secondo luogo, risulta non corrispondente al vero il rimprovero parimenti fatto al sistema bancario italiano, di favorire più le città che le campagne, poiché sono, per l’appunto, ad eccezione della Liguria, le regioni agricole le quali sono massimamente favorite dall’impiego dei depositi locali.

Quanto al Piemonte, esso si trova, è vero, al di sotto della linea media dello Stato, ma esso si trova immediatamente al disotto di tale linea ed inoltre la sua posizione è notevolmente migliorata rispetto al 1938; dal 45,2 è passato al 51,5 nell’impiego dei depositi in loco. Essa è anche migliore di quella della Lombardia ritenuta per lo più in Piemonte ed anche, a quanto pare, dagli onorevoli interroganti, la maggiore responsabile del pompamento dei risparmi piemontesi. E la Lombardia è anche sotto questo rispetto peggiorata in confronto al 1938.

La verità è che tutte queste accuse reciproche fra regione e regione sono sostanzialmente ed ugualmente infondate. Innanzi tutto non si può immaginare che nessuna banca impieghi tutti i propri depositi. Essa sarebbe, così facendo, imprudentissima e si scaverebbe da sé la tomba con rovina dei depositanti e del Paese. Tutte le banche devono tenere un margine di liquidità, ossia impieghi di depositi in denaro contante, in buoni del tesoro a breve scadenza e in depositi realizzabili a vista presso l’Istituto di emissione:

Si può riconoscere che la percentuale media dal 54,9 relativa al 31 dicembre 1946 era bassa e poteva salire, ma essa è già salita, e al 31 luglio 1947 giungeva al 72 per cento, proporzione non ancora pericolosa, ma vicina al punto di pericolo, talché il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio ha dovuto il 2 agosto, non appena costituito, intervenire non a frenare il già fatto, ma a limitare per l’avvenire l’avanzamento su una via, che era stata pericolosa, a passo accelerato nei mesi decorsi dal 31 maggio 1946 in qua.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

GEUNA. Mi permetta l’onorevole Sottosegretario: non sono un tecnico e non posso quindi iniziare una discussione in materia. Mi permetto osservare che i tre Istituti bancari di più notevole entità che operano in Piemonte non sarebbero sufficienti a superare le attuali difficoltà.

Le Casse di risparmio non possono consentire una immediata e pronta sovvenzione; l’Istituto di San Paolo ha caratteristiche tutte sue particolari, e non può rispondere come una banca normale; la Banca di Novara sarebbe l’ente più attrezzato, ma il suo lavoro si svolge con maggior preponderanza nella zona lombarda, ed ecco come il nostro atteggiamento, che può sembrare campanilistico, trova giustificazione.

Entrando nell’esame della potenzialità ed efficienza degli istituti piemontesi nei confronti di quelli lombardi, il Sottosegretario potrà comprendere lo spirito della mia interrogazione.

Ma per dare una spiegazione un po’ più chiara a questo riguardo, mi permetto senz’altro di esporre alcuni elementi, che potranno dare un’idea precisa del pensiero determinante della nostra richiesta: si tratta di elementi che ho voluto appuntare per maggiore esattezza e mi si consenta la breve lettura; ometterò le tabelle in rapporto al limitato tempo consentitomi.

Quando si parla di problemi, di difficoltà o di crisi dell’economia piemontese, il pensiero corre istintivamente e come su una via obbligata all’immediato raffronto con l’adiacente e per tanti riguardi simile economia lombarda, a rilevare vecchie e nuove inferiorità rispetto ad un organismo ritenuto più completo e soprattutto più fortunato: infatti, se lo strumento produttivo industriale della vicina regione può definirsi un solido edificio appoggiato a due basi larghe e fondate, credito e commercio, il complesso torinese viene sovente paragonato al classico colosso dai piedi di creta, con deficienze più sentite e appariscenti proprio nella sua attrezzatura bancaria.

Tuttavia il Piemonte seppe per primo, grazie all’impulso di un Governo addestrato e al fiorente spirito di libertà, svincolarsi dai pregiudizi ed inoltrarsi sul terreno delle imprese mobiliari, donde derivano talune sue presenti inferiorità.

Lo squilibrio di distribuzione del nuovo capitale tra gli impieghi diretti di carattere industriale per lo più largamente immobilizzati, e gli accantonamenti monetari liquidi presso un gruppo di banche genuinamente e sensibilmente locali, a costituire in appoggio degli impieghi diretti una massa di manovra pronta con rapida circolazione a fronteggiare i rischi di crisi nei settori di volta in volta minacciati, venne a definirsi non senza episodiche manifestazioni negative nel primo decennio del nuovo secolo; si accentuò negli anni della prima guerra europea sotto l’influsso del «boom» bellico; si esasperò nell’euforia inflazionista e speculativa dell’immediato dopo guerra. Infatti, il periodo 1914-17 segnò 300 milioni di aumento nei capitali delle anonime, ma il 1920 denunciò ben 600 milioni di incremento, al netto dei disinvestimenti: per contro si ebbero solo modesti progressi di vecchi istituti creditizi locali, pressoché estranei al campo produttivo, e l’affermazione della Popolare di Novara, banca piemontese di sede e di nome.

Conseguenze di questa situazione furono senza dubbio le altre non meno cocenti disavventure del risparmio piemontese. Dalla mancanza di una intermediazione da parte di una solida e responsabile rete creditizia locale e del suo controllo sul mercato finanziario e sui molteplici rapporti tra pubblico e iniziative di impresa, dalla diretta e invigilata immissione dei privati investitori nel cerchio della grossa speculazione, derivarono le gravose perdite dei risparmiatori piemontesi nelle ben note avventure di talune maggiori società azionarie negli anni dell’azione fascista. Dall’assenza di orientamento, di autonomia, di informazione ebbero origine per il risparmio monetario quelle altre falcidie subite nella catastrofe della Banca Italiana di Sconto, i cui creditori piemontesi figurano per ben 517 milioni di lire, ossia poco meno del 15 per cento del totale.

Il progressivo paternalismo instaurato dal regime fascista nel campo bancario, se accollava allo Stato le perdite incontrate da talune maggiori banche in una politica speculativa e ben poco ortodossa alla luce delle esperienze e dei canoni tradizionali, non recò alcun correttivo alle deficienze della situazione piemontese: invece il conseguente graduale burocratizzarsi dei grandi istituti nazionali, rendendo meno vivi e sensibili lo spirito di iniziativa e la ricerca degli impieghi più redditizi, e mettendo in prima linea il fattore di personale responsabilità dei dirigenti periferici, non fece ovviamente che accrescere le difficoltà di incontro delle esigenze regionali con la politica creditizia di direzioni generali eccentriche e preoccupate soprattutto di corrispondere a direttive superiori, di prevalente carattere politico e comunque subordinate in via assoluta a considerazioni di finanza pubblica e di prestigio monetario.

Occorre però subito dichiarare che da questo complesso di inconvenienti di metodo e di procedura, incidenti in modo pressoché uniforme sull’istruzione e sugli esiti delle pratiche di finanziamento, non è derivata necessariamente una sostanziale e apprezzabile distrazione di risparmio piemontese, almeno nel senso comunemente inteso di storno in favore di determinate regioni vicine o lontane, e in proposito vogliamo richiamare il confronto delle cifre e la loro quasi esauriente dimostrazione.

Dobbiamo ancora precisare che l’ipotesi di distrazione va considerata soltanto in senso relativo, ossia in termini di confronto tra le singole regioni e non sotto il profilo di un utilizzo integrale in loco del risparmio raccolto, che non risulta realizzato neppure per le banche di genuino carattere locale rispetto alle loro ristrette zone di lavoro.

Vi sono infatti operazioni che sono svolte unicamente dalle centrali, con obiettivi e per iniziative di carattere generale e nazionale, utilizzando i fondi raccolti in tutte le zone di lavoro: sottoscrizioni in proprio a prestiti pubblici, ed emissioni obbligazionarie, partecipazioni in enti di struttura e azione nazionale, impiego di eccedenze magari rilevantissime in buoni ordinari o in conto corrente del Tesoro. Queste forme di «reimpiego nazionale», che non possono ovviamente essere imputate alla regione sede della centrale operante, tendono ad assorbire una quota sempre più preponderante della massa dei capitali amministrati, per effetto della politica finanziaria governativa dall’anteguerra e anche delle particolari esigenze di congiuntura nel dopoguerra, e dal fenomeno non risultano neppure sottratte, come già è stato accennato, le minori banche locali.

A noi compete nella fattispecie di osservare se il Piemonte, avendo una prevalente attrezzatura bancaria con centro giuridico o di fatto in Lombardia, non riceva eventualmente un trattamento di impieghi diretti residuali (dedotti i cosiddetti «reimpieghi nazionali») inferiore a quello della Regione vicina.

Dai dati risulta che col 1944 gli indici di reimpiego diventano più favorevoli per il Piemonte, e il margine positivo si accentua nel confronto degli indici delle due provincie capoluogo, ciò che si giustifica ricordando come sia maggiore a Torino, in confronto di Milano, l’accentramento industriale nel quadro delle rispettive regioni.

Dai dati elaborati risultano al disotto dell’indice medio regionale di impiego le Banche di interesse nazionale (in misura più accentuata proprio in Lombardia, loro zona centrale giuridica o di fatto) e le Casse di risparmio e Monti di prima categoria: evidentemente per motivi pressoché opposti. Per le Casse di risparmio la ragione discende dalla scarsa gamma delle operazioni loro consentite, che le orienta fatalmente verso i «reimpieghi nazionali» (titoli pubblici, ecc.); per le banche di interesse nazionale vale invece appunto la varietà ed elasticità dei settori nei quali operano e la loro estensione nazionale.

Un dubbio permane pur sempre sulla precisa delimitazione di molti reimpieghi nazionali e sulla loro genuina e oggettiva neutralità ed estraneità rispetto alla zona della direzione centrale, il che potrebbe ovviamente infirmare in parte il valore della dimostrazione data. Ci pare comunque di avere meglio e più esattamente configurato il problema, spostando i termini di esso dalla ipotizzata distrazione interregionale alla crescente o generale distrazione verso i reimpieghi nazionali, conseguenza in buona parte della politica governativa degli ultimi anni, di accaparramento con tutti i mezzi giuridici o pratici dei risparmi liquidi confluenti sul mercato, a favore del Tesoro e a danno dei settori produttivi: politica sulla quale molto resta da dire e dalla quale il Piemonte, in ragione della sua più elevata concentrazione industriale e conseguente esigenza di credito, proprio in regime di più limitata autonomia bancaria, ha sofferto in massima misura.

Per concludere, mi limito a precisare che la nostra interpellanza, più che fissare la creazione di un nuovo Ente bancario come soluzione unica e migliore della questione in parola, tendeva e tende a far rilevare lo stato di fatto che lamentiamo, e suggerire, o meglio, porre il problema della sua soluzione.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici».

Non essendo presente l’onorevole Ministro dell’agricoltura e delle foreste, l’interrogazione è rinviata.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere il suo interessamento per combattere l’analfabetismo, che è sempre in aumento nell’Italia meridionale, e per impedire la mancanza di stabilità degli insegnanti, i quali in questo loro servizio ambulante, spesso a causa della pioggia, della neve, del freddo, disertano le scuole e con la loro assenza favoriscono la negligenza degli alunni».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Tumminelli al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere: 1°) se il Commissariato nazionale della G.I. (Gioventù Italiana), creato con decreto del 2 agosto 1943 con il compito di reperire il patrimonio della ex GIL e di predisporre i lavori di una Commissione interministeriale per decidere sulla destinazione di quel patrimonio, abbia espletato il suo compito e con quali conclusioni; 2°) se non si ritiene improrogabile imporre a partiti politici e ad enti l’immediata restituzione allo Stato degli immobili e delle attività tutte della ex GIL, di cui sono in illegittimo possesso o fanno arbitrario uso; 3°) se non sembra opportuno ed urgente che l’intero patrimonio della ex GIL venga conferito all’Ente dei patronati scolastici, tenendo presente che solo con questa destinazione quel cospicuo patrimonio del popolo italiano può considerarsi restituito al legittimo uso, fuori di ogni passione politica».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli De Martino, Giordani e Rodinò Ugo, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere:

1°) se, in previsione dell’Anno Santo 1950 – avvenimento che si annunzia di particolare importanza e significazione, e per cui un elevato numero di pellegrini, da ogni parte del mondo cattolico, affluirà in Italia – non ritenga di redigere un concreto piano, elaborato nei suoi dettagli organizzativi e tecnici, per mettere «a punto» l’attrezzatura turistica e ricettiva italiana e adeguarla alla eccezionale esigenza;

2°) se non reputi doveroso, da parte del Governo italiano, in omaggio alla portata universale della fausta e sacra ricorrenza – e congiuntamente nell’interesse della Nazione, che potrà ricevere dall’afflusso cospicuo di visitatori stranieri un benefico e provvidenziale apporto di valuta pregiata – di stabilire le indispensabili premesse, e provvedere gli stanziamenti finanziari occorrenti, perché l’Italia possa offrire ai pellegrini dell’Anno Santo 1950 il massimo desiderabile di conforto, col rendere efficiente l’attrezzatura alberghiera non soltanto della Capitale – dove convergeranno essenzialmente le folle – ma anche nelle zone a spiccato carattere turistico di cui la Penisola è doviziosamente ricca. Il patrimonio d’arte e di archeologia; la incomparabile e prestigiosa bellezza delle riviere, delle pianure e dei monti; i ricordi recenti – come i luoghi dello sbarco alleato, i campi di battaglia ed i Cimiteri di guerra – costituiscono un irresistibile richiamo di amore e di nostalgia;

3°) se non ritenga essenziale armonizzare l’attuazione del programma di opere pubbliche per la ricostruzione ed a sollievo della disoccupazione, alle esigenze relative al miglioramento della rete stradale e delle comunicazioni che si rende necessario realizzare per consentire un ordinato e soddisfacente movimento turistico;

4°) se non giudichi conveniente dar sollecito inizio ad una perfetta, moderna propaganda dei luoghi considerati nel paragrafo 2° attraverso la pubblicazione di opuscoli editi con serietà di propositi e dignità di forma nelle varie lingue e da diffondersi nei vari paesi del mondo; con la ripresa di documentari cinematografici; con radiotrasmissioni nelle varie lingue, anche in collegamento con stazioni estere, perché si formi, intorno all’avvenimento dell’Anno Santo 1950, una fervida atmosfera di interesse e di attesa;

5°) se non creda di dover, tra l’altro – direttamente il Governo o attraverso organi, ed enti che più si riterranno competenti ed idonei – predisporre la organizzazione di veri e propri peripli turistici attraverso i luoghi che offrano al forestiero motivi, risorse e conforti di maggiore attrattiva, fissando persino il costo di essi, comprensivo dal momento dello sbarco dall’arrivo sul suolo italiano, di viaggi, albergo, vitto, tasse di soggiorno e di ogni altra eventuale prestazione, allo scopo di incoraggiare con opportuna tempestività, coloro i quali, per avventura, intendessero rinunciare al viaggio in Italia per non correre l’alea dell’imprevisto, nei riguardi della spesa;

6°) se non ritenga di suscitare, con proficue iniziative, negli italiani che dovranno aver comunque contatti con gli ospiti – funzionari, pubblici ufficiali, agenti, personale alberghiero e dei pubblici esercizi, guide e cittadini tutti – una fervida gara di cortesia dignitosa ed accogliente, perché la tradizionale gentilezza italica superi la aspettativa e si affermi come non ultima e non trascurabile espressione di civiltà e di consapevolezza;

7°) se non ravvisi, infine, l’opportunità di demandare ad una Commissione parlamentare di studio il compito di coordinare le varie iniziative in un piano unico da attuarsi con gradualità e che, fin d’ora, impegni la Nazione e la prepari materialmente e spiritualmente all’importante avvenimento».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’onorevole De Martino ha tracciato un vero e proprio piano di preparazione per l’Anno Santo.

Io cercherò di limitare i termini della risposta, per controbilanciare la lunghezza dell’interrogazione.

Il Governo è naturalmente d’accordo nel riconoscere l’importanza, oltre che sul piano religioso e ideale, anche sul piano civile nazionale, della manifestazione che avrà luogo nel 1950 per l’Anno Santo; la quale, se non sono errate le nostre informazioni, comincerà nella Pentecoste del 1949. Quindi, tanto più urgente è predisporre questo programma governativo, perché sia, entro i limiti delle possibilità attuali e delle prevedibili possibilità dell’anno venturo, degnamente preparato quanto è necessario per l’Anno Santo.

Naturalmente, il piano specifico per l’Anno Santo si inquadra nel piano di ricostruzione dell’Italia, specialmente di tutte le attrezzature turistiche, le quali non soltanto debbono essere riportate al livello precedente la guerra, ma anzi devono essere aumentate e modernizzate, conformemente alle nuove esigenze.

Come è noto all’onorevole interrogante, forse si è discusso troppo su come dovranno organizzarsi le strutture centrali del turismo e si potrà magari con una disciplina legislativa non ancora perfetta, dar mano al più presto ad una realizzazione di iniziative.

Sta di fatto che il decreto sulla istituzione dell’Alto Commissariato per il turismo, dopo molte vicissitudini in seno al Governo ed in seno all’Assemblea, è stato da poche settimane pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale; e spero che tra breve si possa far luogo alla nomina del Comitato centrale per il turismo, al quale spetta il compito – inquadrato in tutte le altre mete assegnategli – di organizzare anche la preparazione specifica per l’Anno Santo. Questa preparazione si deve svolgere su diversi settori: prima di tutto, sul settore alberghiero, dove si risentono fortemente gli effetti distruttivi dei bombardamenti e quelli del deterioramento progressivo per opera dell’occupazione degli alberghi prima da parte delle truppe tedesche e poi da parte delle truppe alleate di ogni genere.

La derequisizione del patrimonio alberghiero è stata ottenuta nei limiti delle possibilità. Per il Trattato di pace, col 15 ottobre dovrebbe aversi la restituzione piena alla attività privata della attrezzatura alberghiera in Italia. Perché, però, sia possibile ricostruire gli alberghi distrutti e costruirne di nuovi, è stato predisposto un sistema di finanziamento che – debbo riconoscerlo – finora si è dimostrato non del tutto sufficiente, anzi direi, in proporzione, forse irrisorio per quel che riguarda una ricostruzione a tappe accelerate degli alberghi. Credo che in seno al Governo e, eventualmente fosse necessario, in seno alle Commissioni o in seno all’Assemblea, sia opportuno discutere tra breve sul problema del credito alberghiero, che è la base necessaria per una ricostruzione e una costruzione, degne di questi nomi, dei nostri alberghi.

C’è poi un problema collaterale che a Roma è stato in qualche modo affrontato ed in un certo senso risolto: il problema della ricostruzione dei cosiddetti alberghi di massa. Qui, dopo molte trattative in cui non è stato facile vincere le normali resistenze dell’autorità militare onde liberare le attrezzature militare di Pietralata, queste attrezzature sono state, per parte militare, liberate e se, come credo, anche il demanio non opporrà difficoltà, si potrà costruire in Pietralata un primo grande albergo di massa che rappresenterà non naturalmente la soluzione del problema alberghiero di Roma ma un avviamento ed un indice di effettiva ripresa.

Accanto al problema della ricostruzione alberghiera vi è quello, accennato nell’interrogazione dell’onorevole De Martino, della ripresa della propaganda turistica. Questo è un problema veramente importante e che con una certa leggerezza è stato negli anni passati accantonato, forse per il preconcetto che, prima, esso rientrava nell’ambito del Ministero della cultura popolare.

È invece interesse primario del Governo italiano e della economia del nostro Paese che si faccia a cura di appositi organi una razionale propaganda per il turismo in Italia, anche perché – basta leggere un qualsiasi giornale – si hanno notizie che anche da parte della Francia e di altre Nazioni questa propaganda è in pieno atto e viene fatta con una abilità ed una imponenza di mezzi che devono preoccupare, in considerazione di una concorrenza che potrebbe danneggiare il nostro Paese. Anche questo sarà uno dei primi compiti del Comitato centrale del turismo; per parte del Governo, è già stata fatta richiesta al Tesoro di uno stanziamento di fondi necessari per l’Ente del turismo il quale, avendo una certa tradizione e vari beni nelle principali capitali straniere, può, senza dispendio eccessivo di mezzi, riprendere la propaganda e riprenderla in tempo utile, non solo per il 1949 e il 1950, ma anche per la stagione prossima, per il 1948.

Occorre poi affrontare tutta una serie di problemi, per poter aprire al traffico internazionale il nostro Paese, che vanno dallo sveltimento delle pratiche alla frontiera alle risoluzioni delle questioni valutarie e dei traffici transoceanici inerenti al nostro turismo.

Per quanto riguarda in particolare la preparazione specifica per l’Anno Santo, poiché questa deve essere coordinata con la serie di manifestazioni religiose che saranno tenute in quella circostanza, è stato già costituito un Comitato misto con rappresentanti di organi ministeriali, delle associazioni interessate e anche di quella istituzione della Peregrinatio Romana de Petri Sede che è un po’ l’organo tecnico che agisce in questo campo per quanto riguarda le manifestazioni religiose. Debbo confessare che con mia sorpresa ho constatato che fino ad ora non è stato fatto molto da questo Comitato. Mi impegno a che prestissimo il Comitato si metta seriamente al lavoro perché non può naturalmente essere fatto un programma serio da parte nostra se non è coordinato a quello che è il calendario delle manifestazioni per l’Anno Santo.

Infine, l’onorevole De Martino chiede che sia nominata una Commissione parlamentare per lo studio di questo problema. Il Governo non sarebbe d’accordo in questo senso. A parte il fatto che la Commissione dovrebbe essere nominata ora, in una fase di grande lavoro per la Costituente, difficilmente in due mesi tale Commissione potrebbe predisporre un vero e proprio programma, dato che la Costituente fra due mesi dovrà terminare i suoi lavori. Ritengo che sia meglio chiamare a far parte del Comitato centrale presso la Presidenza del Consiglio per la preparazione dell’Anno Santo anche alcuni deputati particolarmente competenti in questo campo. Credo che l’onorevole De Martino sarà d’accordo con me nel ritenere che in genere forse il peggior modo per risolvere un problema sia quello di nominare una Commissione. È un sistema questo molto comodo da parte del Governo per eludere le proprie responsabilità. Ma non è a questo fine che vanno la volontà e gli sforzi dell’onorevole De Martino e degli altri colleghi che hanno sottoposto al Governo questo problema, così come la volontà e gli sforzi del Governo stesso.

PRESIDENTE. L’onorevole De Martino ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

DE MARTINO. Ringrazio il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per aver studiato abbastanza profondamente il problema che è stato al Presidente del Consiglio ed a lui sottoposto.

Faccio presente che sottoscrivo pienamente quanto il Sottosegretario di Stato si è compiaciuto di affermare, e cioè che si è discusso troppo. Io aggiungerei che si è combinato poco. Spero che per l’avvenire si possa discutere di meno e fare di più.

Siccome però il tempo stringe e vi sono molte cose da fare, è opportuno che questo Comitato (non insisto sul fatto che debba essere parlamentare, anzi sono d’accordo senz’altro col Sottosegretario) incominci a studiare il problema con molta celerità.

Ha parlato l’onorevole Sottosegretario del problema alberghiero ed ha detto che, con tutta probabilità, fra non molto, gli alberghi saranno restituiti all’industria alberghiera italiana. Gli alberghi italiani tutti, a quanto pare, hanno una capacità ricettizia inferiore alla capacità ricettizia della sola Parigi; cioè noi non arriviamo a poter ospitare, come si dovrebbe, 30 mila persone.

Io penso che l’Anno Santo, se ci saremo organizzati bene, darà la possibilità a molti stranieri di venire da noi, non soltanto per inginocchiarsi dinanzi alla Cattedra di San Pietro, ma anche per visitare, per esempio, le salme dei loro caduti. In tutta Italia c’è qualcosa come circa 40 mila inglesi e circa 35 mila americani sepolti nei cimiteri di guerra. Io non dispero che se riusciamo ad organizzarci bene potremo avere un afflusso giornaliero di 25 mila persone, con una media di permanenza di dieci giorni, il che praticamente si risolverà in una permanenza di 250 mila persone. Siccome è esatto quello che l’onorevole Sottosegretario ha dichiarato, che cioè l’Anno Santo avrà inizio nell’aprile del 1949, ne consegue che noi potremo ricevere ed ospitare questi stranieri per ben 600 giorni. Il che porta il calcolo (250 mila per 6 giorni) a 150 milioni di giornate di presenza che darebbero la possibilità a noi, Nazione italiana, di incassare qualche cosa come 500 e forse anche più di 500 miliardi. Come vedete, onorevole Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il problema, qui, non si risolve col chiedere al Ministro del tesoro pochi milioni da stanziare a favore del Commissariato del turismo, ma è qualche cosa di molto, più importante. Noi dovremmo affrontare, per esempio, il problema della costruzione alberghiera, il problema della costruzione di 40, 50, 60 mila vani che, aggiunti poi agli alberghi di massa e alla possibilità che hanno gli istituti religiosi di ospitare i pellegrini, porterebbero alla cifra di cui ho fatto cenno. Per costruire questi alberghi occorre del denaro; e il denaro che è stato stanziato attraverso la legge per agevolare la costruzione e la ricostruzione di alberghi non è sufficiente. Lo ha dichiarato lo stesso Sottosegretario.

Per esempio, si potrebbe anche studiare la possibilità da parte del Ministero dei lavori pubblici di costruire. Io non sono d’accordo, intendiamoci bene, su questa evenienza; ma al non far niente è preferibile che il Ministero dei lavori pubblici faccia qualche cosa.

Io dirò che, per poter approntare 60 mila vani, cioè 120 mila letti, ammettendo per ogni camera di albergo due letti, occorre qualche cosa come 60 miliardi; ma, come si vede, i 60 miliardi rispetto ai 500 o ai 600 che verrebbero ad essere incassati per l’Anno Santo costituiscono una cifra che potrebbe essere ammortizzata ad usura durante il periodo stesso. Che cosa si potrà fare di questi vani poi? Prima di tutto siamo sicuri che in Italia gli stranieri, quando sarà ristabilito un clima di tranquillità, di serietà, così auspicato ed auspicabile, potranno ritornare come e più di prima; ma pur fermandoci all’ipotesi peggiore, cioè che questi stranieri dopo l’Anno Santo non ritornino, noi ci troveremo ad aver costruito circa 4 milioni di vani che potranno essere destinati ai senza tetto. Costruiamone subito una certa porzione ed intanto potremo sfruttarli per l’Anno Santo ed avremo l’ammortamento di questa spesa e poi, se volete, li destineremo ai senza tetto. Avremo fatto così due cose buone. Ed ecco la conclusione: mi dichiaro sodisfatto ma contemporaneamente esprimo il desiderio che la Presidenza del Consiglio non sottovaluti questa proposta, la, quale mentre può essere considerata non tempestiva, è invece appena appena tempestiva, perché soltanto se cominciamo da oggi potremo riuscire nell’intento di far sì che l’Anno Santo possa dare all’Italia un rinsanguamento economico e quel prestigio che tutti quanti auspichiamo. (Applausi).

PRESIDENTE. Poiché i Ministri dei lavori pubblici e dell’industria e commercio sono assenti, rinvio la trattazione delle altre interrogazioni iscritte all’ordine del giorno.

Svolgimento di interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro dell’interno mi ha fatto sapere di essere disposto a rispondere subito alla seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti abbiano preso e intendano prendere in seguito alla scandalosa provocazione fascista e antirepubblicana della sera di venerdì 10 ottobre in Piazza Colonna.

«Cianca, Lussu, Schiavetti, Morandi, Lombardi Riccardo, Foa».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Per quanto riguarda lo svolgimento dei fatti, come è noto agli onorevoli interroganti, il Movimento sociale italiano ha presentato per le elezioni di Roma una lista. Di conseguenza aveva il diritto di tenere comizi di propaganda elettorale.

In base all’articolo 18 della legge di pubblica sicurezza, le disposizioni riguardanti la autorizzazione per i comizi non si applicano durante il periodo elettorale.

Durante il periodo elettorale, tutti i partiti hanno il diritto di tenere i comizi senza necessità di preventiva autorizzazione della pubblica sicurezza, come possono affiggere manifesti elettorali senza nessuna autorizzazione.

Quindi anche il Movimento sociale, essendo uno dei concorrenti al Campidoglio, ha esercitato in questo il suo diritto.

Esisteva una disposizione di carattere generale impartita dal Ministero dell’interno che, a tutela della libertà del Capo dello Stato, dell’Assemblea Costituente e del Governo, stabiliva che nei pressi della residenza del Capo dello Stato, dell’Assemblea Costituente e del Governo non si dovessero tenere comizi, riunioni o assembramenti di nessun genere.

A questa disposizione le autorità di pubblica sicurezza hanno ritenuto di poter derogare appunto in base all’articolo 18 della legge di pubblica sicurezza, trattandosi di periodo elettorale.

Informato che un comizio politico si svolgeva nei pressi del Parlamento e indipendentemente dal contenuto della manifestazione, io ho impartito disposizioni al questore di Roma perché si procedesse allo scioglimento del comizio, appunto in applicazione di quella disposizione che vuol far salva all’Assemblea Costituente la sua piena libertà di azione, disposizione che si applica in tutti i momenti, e a cui neppure in periodo elettorale è lecito derogare.

Sicché i comizi possono tenersi liberamente in tutta Roma, salvo che nelle piazze che sono presso le sedi del Governo, del Parlamento o del Capo dello Stato.

L’intervento della polizia è stato immediato, e si è proceduto allo scioglimento.

Per quanto riguarda quindi le responsabilità circa questo comizio, non ho trovato nulla da osservare, nel senso che non v’era colpa da parte dell’autorità di pubblica sicurezza per essere venuta meno ad una disposizione di legge. Anzi quell’autorità ha ritenuto di non poter vietare – non dico autorizzare, perché non esisteva la possibilità di nessuna autorizzazione in quanto non era stata richiesta – il comizio in quanto v’era una tassativa disposizione di legge che l’autorizzava.

Quanto allo svolgimento del comizio, le informazioni che sono pervenute, a seguito di una inchiesta svolta, accennano che da parte di alcuni individui fra la folla si è emesso qualche grido che si può considerare sedizioso, visto che esiste una legge che vieta le manifestazioni fasciste.

Naturalmente in manifestazioni di questo genere non è facile rendersi conto subito di ciò che avviene nella folla, e la pubblica sicurezza, che in genere non si trova in mezzo alla gente, ma sta ai margini, non è in grado di intervenire concretamente. Perché – è bene ripetere – non si è trattato di manifestazioni di, folla, ma di grida isolate.

Peraltro, la stessa manifestazione si sarebbe ridotta a ben poca cosa, come tutte le altre manifestazioni del M.S.I. durante la campagna elettorale, se non si fosse fatto molto chiasso intorno al Movimento stesso.

Io ho seguito attentamente questo Movimento e le sue manifestazioni oratorie durante la campagna elettorale.

I partecipanti alle riunioni si aggiravano fra le cinquanta e le cento persone al massimo. Se c’è stato in un comizio un numero superiore alle cento persone, è stato forse a Piazza Colonna, dove si calcola che gli attivisti, cioè gli iscritti al movimento, non fossero tuttavia più di centocinquanta. Ma Piazza Colonna è un luogo così centrale che è facile a chiunque si metta a parlare di racimolare una folla di qualche centinaio di curiosi.

Da parte degli oratori non sono state pronunciate espressioni dirette, esplicite di esaltazione del regime fascista, ma fatte in forma negativa, cioè di critica all’antifascismo.

In quanto ai canti che sarebbero stati intonati è stato cantato (mi pare fosse un disco) l’inno a Roma, e, dopo lo scioglimento da parte della pubblica sicurezza, è stato cantato anche da un gruppo di dimostranti l’inno degli arditi.

Questa è la ricostruzione degli avvenimenti. Ma, ripeto, la manifestazione di Piazza Colonna non sarebbe andata al di là di altre manifestazioni se non si fosse svolta proprio nei pressi del Parlamento e sotto gli occhi di una folla numerosa che ha potuto assistere, giustamente indignata, a manifestazioni, sia pure isolate, di esaltazione di uomini e cose del passato regime.

In questa materia, e per quel che riguarda la politica del Governo rispetto al neo-fascismo e al M.S.I., il Presidente dei Consiglio ha già risposto per suo conto ed io avrei ben poco da aggiungere.

Desidero solo dire che sono state adottate delle misure, che sono in corso, che faranno riflettere – immagino – i nostalgici del passato regime; perché una cosa è certa, onorevoli colleghi, nella volontà del Governo e degli uomini che hanno la responsabilità della politica interna: che noi non siamo disposti a deflettere dalla linea politica di pacificazione, di larga pacificazione verso i fascisti come individui, ma che da parte nostra si troverà la più decisa e recisa opposizione ad ogni tentativo di rinascita, sotto qualunque forma, del fascismo.

La politica di tolleranza verso gli individui non può essere politica di tolleranza verso un sistema, verso un metodo, verso un movimento che tanta distruzione ha portato al nostro Paese; ed il Governo è deciso a difendere, reprimendo tali manifestazioni, la libertà e la democrazia, perché il fascismo rappresenta appunto, la negazione della libertà e della democrazia, e nella difesa della libertà e della democrazia il Governo è deciso a compiere tutto il suo dovere. (Approvazioni al centro).

Un’altra dichiarazione intendo fare: quella che, di fronte a questa volontà precisa del Governo, di fronte a questo impegno di difesa della democrazia, superando ogni equivoca manifestazione che possa apparire tolleranza, ma non è tolleranza; che, di fronte a questa recisa volontà del Governo di tutelare in Italia le libertà democratiche, il Governo stesso rivendica l’onere e l’onore di difendere con le proprie forze e coi propri mezzi tali libertà in Italia, intendendo con questo di reprimere ogni e qualsiasi manifestazione che potesse significare ritorno a mezzi che sono in contrasto con un regime libero, con un regime politico: di libertà e di democrazia.

Non possiamo ammettere – e non consentiremo – le manifestazioni fasciste, né i tentativi di ricorso e di mobilitazione della piazza contro le manifestazioni fasciste, perché il Governo – ripeto – è deciso a stroncare ogni rinascente forma di fascismo, ma, nello stesso tempo, a garantire la libertà coi propri mezzi, che il Governo ritiene di possedere; mezzi sufficienti a tutelare la libertà e la democrazia in Italia.

Se i mezzi legali attualmente a disposizione non fossero sufficienti, potrà chiederne altri al Parlamento, ma riteniamo che allo stato delle cose il Governo sia in grado di controllare e controlla (posso dare questa assicurazione all’Assemblea) attentamente le manifestazioni neo-fasciste, benché ne conosca la portata limitata – anche se rumorosa – delle manifestazioni esteriori, ed è deciso, ripeto, a compiere tutto il proprio dovere perché ogni rinascente fascismo trovi la repressione legale attraverso la legge e la forza dello Stato. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Cianca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CIANCA. La nostra interrogazione ha dato modo al Governo di sciogliere la riserva che l’onorevole De Gasperi aveva formulata venerdì sera quando promise all’onorevole Lussu che si proponeva di dare all’Assemblea più ampi particolari.

La risposta del Ministro dell’interno si divide in due parti.. Per quanto riguarda l’episodio di Piazza Colonna, io devo rilevare che egli ha rettificato un’affermazione fatta venerdì sera dal Presidente del Consiglio, il quale aveva dichiarato che il comizio non era stato autorizzato. Devo rilevare, altresì, che le autorità di pubblica sicurezza sono state di una generosità strana nel consentire ai rappresentanti di questo Movimento sociale italiano di tenere un comizio nelle vicinanze immediate di Montecitorio, in deroga ad una norma vigente. Io mi domando quale sia stata l’ispirazione che ha condotto le autorità di pubblica sicurezza a dare questa autorizzazione.

Ha detto il Ministro dell’interno che durante il comizio sono state emesse da qualcuno delle grida, ma che non c’è stata una vera e propria esaltazione del fascismo e di Mussolini.

La verità, secondo le testimonianze che noi abbiamo raccolte da coloro che erano presenti a quella manifestazione, è che non soltanto furono emesse da gruppi numerosi delle grida in favore del fascismo, ma che il discorso pronunciato dall’oratore ufficiale era non una implicita, ma una esplicita esaltazione del regime fascista e della guerra fascista.

Ora, non mi sembra esatto che le autorità di pubblica sicurezza siano esenti da qualunque responsabilità, sol perché ad un determinato momento hanno sospeso il comizio. La verità è che il comizio ha proceduto per un lungo periodo di tempo e che è stato necessario l’intervento di alcuni rappresentanti della nostra Assemblea perché le autorità di pubblica sicurezza fossero richiamate a meditare sullo scandalo di questa provocazione che si compiva a pochi passi dal Parlamento.

Io devo ricordare che l’onorevole Amendola si rivolse al vicequestore, il quale dirigeva il servizio d’ordine, e gli disse che era assolutamente necessario sospendere il comizio. Il vicequestore dichiarò che non poteva sospenderlo in quanto non aveva ordini in questo senso il che vuol dire che le autorità di pubblica sicurezza, anche quando si sono trovate di fronte alla flagranza di un reato, ossia alla esaltazione del regime fascista, fatta nelle vicinanze del Palazzo della Costituente, hanno creduto che la legge non dovesse essere applicata. Se, dopo tutto questo, il Ministro dell’interno pensa che le autorità di pubblica sicurezza siano esenti da qualunque responsabilità, egli deve riconoscerci il diritto di affermare che ha torto perché le responsabilità della pubblica sicurezza derivano in modo chiaro dall’atteggiamento che le autorità di polizia tennero durante il comizio.

Poi c’è la seconda parte delle dichiarazioni fatte dal Ministro dell’interno.

Qui il problema sale su un piano generale, e si può sintetizzare in una domanda precisa che noi rivolgiamo al rappresentante del Governo. Un movimento, il quale ha le caratteristiche del M.S.I., ha esso diritto di libera cittadinanza nella vita politica italiana? Il quesito è questo. Io ho inteso le promesse che nella parte finale del suo discorso il Ministro dell’interno ha formulato. Egli ha detto che il Governo si propone di prendere misure le quali faranno riflettere i nostalgici del fascismo. Ora, mi sembra – se il Ministro dell’interno lo consente – che ci sia una sproporzione fra la gravità dei fatti dinanzi ai quali ci troviamo e queste assicurazioni generiche per l’avvenire. La verità è che noi siamo di fronte ad una sistematica provocazione fascista e antirepubblicana la quale impone degli obblighi precisi al Governo ed impone a noi, che abbiamo lottato contro il fascismo, di richiamare il Governo al senso preciso del proprio dovere. Non si tratta di prendere misure generiche: si tratta di stabilire se questo movimento possa essere inserito nei quadri della legalità repubblicana. V’è un contrasto di carattere fondamentale che voi dovete risolvere, e che non potete risolvere che in una sola direzione. Io facevo parte del Governo insieme con l’onorevole Ministro dell’interne quando fu decretata l’amnistia. L’amnistia poteva essere un atto di forza generosa, se fosse stata seguita da una politica di fermezza, capace di stroncare ogni velleità di rinascita fascista, di rinascita antirepubblicana. Io devo dire all’onorevole Scelba che l’azione svolta dal Governo e da lui personalmente non mi tranquillizza in questo senso. Purtroppo, senza drammatizzare e senza formulare dei giudizi sommari, devo dire che ho l’impressione che questa gente, nostalgica del fascismo, ha la sensazione di poter osare sotto questo Governo quello che non avrebbe osato sotto altri Governi più sicuramente solleciti degli interessi della Repubblica e della democrazia. Ripeto, qui si tratta di un problema di carattere generale; e noi ci riserviamo di discuterlo in questa Assemblea, in quanto ci proponiamo di presentare un’apposita interpellanza. (Applausi a sinistra).

Annunzio di interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i risultati definitivi delle indagini sul bestiale assassinio dello studente Gervasio Federici, ed i provvedimenti che il Governo intende adottare, affinché la lotta politica non vada progressivamente degenerando in guerra civile, come vari recenti episodi fanno temere.

«Gronchi, Uberti, Angelucci, Moro, Piccioni, Guidi Cingolani Angela, Giordani, Taviani, Di Fausto, Bonomi Paolo, Orlando Camillo, De Palma, Corsanego, Coccia, Dominedò, Caronia».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati presi, a carico dei responsabili diretti ed indiretti della devastazione della tipografia del Corriere del Giorno di Taranto e per impedire il ripetersi di nuovi attentati alla libertà di stampa.

«Lucifero».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati presi per scoprire i responsabili della distruzione della tipografia del giornale Il Corriere del Giorno premeditatamente perpetrata in Taranto nelle prime ore del pomeriggio di sabato, 11 ottobre, da una schiera di partecipanti alla manifestazione organizzata principalmente per iniziativa del Partito comunista; e per conoscere se non intenda promuovere un provvedimento legislativo che integri il progetto di legge per la difesa delle istituzioni, stabilendo e precisando la responsabilità dei partiti, le cui manifestazioni si risolvono in simili atti di vandalico terrorismo squadrista, che sopprimono praticamente ogni libertà e consentono ai mandanti e agli esecutori di trincerarsi dietro l’estrema difficoltà di indagini, caratteristica dei delitti di folla.

«Codacci Pisanelli».

Chiedo al Ministro dell’interno, di comunicare quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Se gli onorevoli interroganti non hanno nulla in contrario, nella seduta antimeridiana di mercoledì prossimo risponderò a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. Sta bene.

Ricordo che la Commissione per la Costituzione è convocata per domani alle 9 in adunanza plenaria e avverto che l’Assemblea domani terrà sedute alle 11,30 e alle 17.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non ritenga opportuno chiarire con circolare ad hoc la portata dell’articolo 8 del decreto legislativo 5 agosto 1947, n. 778, nel senso che, per le speciali categorie di funzionari elencate in detto articolo, i miglioramenti del trattamento economico, in seguito alla revisione da farsi nel termine di tre mesi dalla pubblicazione del decreto (avvenuta nella Gazzetta Ufficiale del 21 agosto 1947), avrà la stessa data di decorrenza stabilita per tutte le altre categorie di funzionari ed i miglioramenti stessi dovranno non superare, ma neanche essere inferiori, a quanto stabilito per i funzionari delle altre Amministrazioni dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri del tesoro e delle poste e telecomunicazioni, per conoscere per quali motivi non è stata data finora applicazione, nei confronti del personale delle poste e telecomunicazioni, alla circolare n. 3837-2296 della Ragioneria generale dello Stato, la quale dispone inequivocabilmente la corresponsione delle competenze arretrate in favore degli impiegati che si sottrassero al trasferimento al Nord, passando conseguentemente in aspettativa.

«La cosa sembra inspiegabile anche perché risulta che detta circolare ha già trovato facile ed immediata applicazione in tutti gli altri Dicasteri. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per conoscere le ragioni per le quali ai produttori dello zucchero non viene accordata la facoltà di disporre liberamente della eventuale eccedenza che dovesse risultare dopo accantonata o dedotta la quota riservata col tesseramento ai consumatori.

«La produzione dello zucchero, attualmente ha raggiunto circa i nove decimi del fabbisogno nazionale prebellico, e perciò non può non riuscire strano che per tale prodotto non siasi ancora pensato di abolire tutti i vincolismi istituiti in occasione della guerra, mentre per altri prodotti si è già provveduto ad acconsentire che una quota possa essere immessa al libero commercio, sebbene si sappia che per gli stessi neppure nel prossimo anno, potrà essere raggiunta la detta percentuale di produzione.

«Accordandosi ai produttori dello zucchero la facoltà di disporre liberamente di detta eventuale eccedenza, oltre ad agevolare la possibilità che la produzione abbia ad essere elevata, nel 1948, allo stesso quantitativo prebellico, si verrebbe, intanto, non solo a riconoscersi così concretamente le benemerenze di una categoria di industriali che tra i primi, e senza alcun concorso dello Stato, hanno saputo riattivare gli stabilimenti in gran parte distrutti dalla guerra, ma altresì a favorire gli interessi dei consumatori, i quali potrebbero, in tal modo, concorrere all’acquisto di detta eccedenza ad un prezzo notevolmente inferiore a quello che essi debbono, corrispondere alla borsa nera, alla quale l’eccedenza stessa viene ceduta dai pochi privilegiati ai quali viene assegnata.

«È noto infatti che alla borsa nera si può oggi acquistare quanto zucchero si vuole, per cui devesi logicamente ritenere che essa viene alimentata esclusivamente dai vari beneficiari delle assegnazioni ordinarie e politiche, i quali così senza alcuna fatica, ed anzi per il solo vantaggio delle assegnazioni ottenute, vengono a realizzare ingenti guadagni, mentre ai produttori non si è avuto il coraggio di riconoscere neppure il diritto ad un compenso equamente adeguato al costo di produzione.

«L’abolizione, in tali condizioni, di ogni vincolismo sullo zucchero si impone pertanto come una necessità inderogabile per eliminare una buona volta il legittimo sospetto di favoritismi, o peggio ancora, di corruzioni, nelle assegnazioni per scopi, in taluni casi, anche politici ed elettoralistici ed a tutto danno dei consumatori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede di interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica ed il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se sono a conoscenza che le acque di scarico del sanatorio di Paluzza (Udine) sono immesse – senza alcuna sterilizzazione – nel torrente Bût, con grave e continuo pericolo per la salute della popolazione a valle e per sapere quali provvedimenti di urgenza intendono prendere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni per le quali non sia stato ancora deliberato il provvedimento, più volte annunciato, nelle dichiarazioni programmatiche del Governo, che dovrebbe porre definitivamente riparo alle ingiuste applicazioni delle leggi sull’epurazione, causa non ultima del perdurante grave disordine nelle pubbliche Amministrazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle finanze e del tesoro, per conoscere e di urgenza quali provvedimenti intendano adottare per rendere possibile il ritorno alla vita civile dei moltissimi reduci dai campi di internamento, già affetti da tubercolosi, clinicamente guariti.

«Si impone:

  1. a) il disbrigo sollecito delle pratiche medico-legali e conseguente liquidazione delle pensioni, istituendo magari degli uffici regionali deliberanti;
  2. b) la revisione del sistema degli aiuti economici, elevando l’ammontare degli anticipi sulle pensioni; le attuali 1500-2000 lire mensili a chi va assegnato alla prima categoria si dimostrano insufficienti, inadeguate alle prime necessità della vita;
  3. c) la revisione e conseguente aumento degli aiuti da parte dei Consorzi antitubercolari (attualmente sono di lire 200 giornaliere).

«Detta categoria di reduci merita la particolare attenzione del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.15.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11.30 e alle ore 17.

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.