Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 14 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 14 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Congedo:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Mortati

Fabbri

Fuschini

Lucifero

Conti

Lussu

Tonello

Persico

Colitto

Tosato

Stampacchia

Nitti

Bozzi

Targetti

Gullo Fausto

Codacci Pisanelli

La seduta comincia alle 11.30.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Turco.

(È concesso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Onorevoli colleghi, rammento che nell’ultima seduta abbiamo approvato l’articolo 66, relativo alla corresponsione di una indennità ai membri del Parlamento. Dovremmo adesso esaminare i seguenti due articoli aggiuntivi presentati dagli onorevoli Mortati e Crispo e un ordine del giorno dell’onorevole Mortati:

Art. …

«Possono essere eleggibili al Parlamento gli italiani che non siano cittadini della Repubblica».

Mortati.

Art. …

«L’esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinata dal tempo o dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato di assedio. Nei casi suddetti, le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato di assedio e i provvedimenti relativi».

Crispo.

Ordine del giorno

«L’Assemblea Costituente ritiene che, ove si creda di adottare il giuramento per il Presidente della Repubblica e per i Ministri, anche i membri delle due Camere, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, debbano prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione».

Mortati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo confessare, onorevole Presidente, che per l’orario dei lavori che non ci lascia momento di respiro non siamo ancora riusciti, in Comitato, ad occuparci dell’articolo aggiuntivo dell’onorevole Mortati, perché, tra l’altro, questa mattina abbiamo cominciato a discutere in Commissione dei settantacinque i disegni di leggi sulla difesa della Repubblica. Quindi, la pregherei di attendere qualche giorno ancora.

Quanto all’articolo aggiuntivo dell’onorevole Crispo, che il Comitato si era impegnato di prendere in esame, sembra al Comitato che debba essere trattato dopo l’articolo 74, come 74-bis, perché, mentre l’articolo 74 comprende le deleghe legislative, si può nel 74-bis collocare la materia dei decreti legge di urgenza ai quali in sostanza la proposta Crispo si riferisce. Sarà un brevissimo rinvio. E si completerà allora la triade: 1°) formazione delle leggi, come funzione normale del Parlamento; 2°) delega legislativa; 3°) decreti legge; che si deve svolgere logicamente in questo ordine.

Quanto all’ordine del giorno dell’onorevole Mortati, la questione risollevata dall’onorevole Mortati è stata discussa largamente a proposito dell’articolo 51. La prima Sottocommissione aveva richiesto il giuramento dei deputati; la seconda no; nel qual senso sì era pronunciata la Commissione plenaria dei settantacinque. Ripresa la discussione qui in Assemblea, mi sembra, se ben ricordo, che la questione sia stata risoluta ancora in senso negativo.

MORTATI. È stata rinviata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma allora, se è stata rinviata, nulla vieta che possa essere affrontata e decisa ora, senza un altro rinvio, come propone nel suo ordine del giorno l’onorevole Mortati.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Mortati di esprimere il suo parere.

MORTATI. Io ho un ricordo alquanto diverso da quello del Presidente, perché mi pare che l’articolo relativo al giuramento degli organi costituzionali sia stato rinviato. Si è cioè deciso di riservare alle norme che saranno dettate in occasione della determinazione della posizione giuridica del Capo dello Stato e dei membri del Governo la decisione della questione circa l’obbligo ed eventualmente le forme di giuramento dei medesimi. Con l’articolo 48 fu stabilito tale obbligo, o meglio, la possibilità che la legge sancisca tale obbligo, solo per i titolari dei vari uffici pubblici.

Se questa è la situazione, penso sia opportuno fare, in questa sede, in cui si precisa la figura dei membri del Parlamento, una riserva, nel senso che la questione del giuramento sia esaminata e decisa con criteri unitari sia nei confronti di tali membri, sia in quelli degli altri organi costituzionali, perché mi pare che non ci sia ragione di differenziazione di trattamento in ordine a tale punto. Il mio ordine del giorno vuole appunto avere il significato e la portata di una riserva.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati fa presente che, secondo quanto gli suggerisce la memoria, il problema non è stato ancora proposto e non è stata neanche trovata una soluzione di orientamento nella sede accennata dall’onorevole Ruini e conclude che il suo ordine del giorno ancora in questo momento è una riserva, perché subordina l’accettazione o meno del giuramento da parte dei membri delle due Camere a quanto verrà deciso in relazione al giuramento del Presidente della Repubblica e dei Ministri. E poiché il tema non è stato ancora abbordato, anche una decisione presa in questo momento non pregiudicherebbe nulla.

Dal resoconto stenografico della seduta in cui venne in discussione l’argomento, risulta che l’Assemblea ha stabilito che singolarmente, per ogni organo considerato dalla Costituzione, sarà deciso in merito al giuramento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Resta dunque fermo che la deliberazione dell’Assemblea è stata non nel senso di respingere l’idea del giuramento per i membri dell’Assemblea, ma di rinviare l’argomento a quando si sarebbe trattato di ogni istituto.

L’ordine del giorno Mortati fa un altro rinvio, e subordina la prescrizione del giuramento dei membri del Parlamento a quando sia adottato il giuramento anche per il Presidente della Repubblica e per i Ministri. Ma una connessione logica e necessaria non c’è; questi casi non sono inscindibili fra loro; tant’è che nelle lunghe e ripetute discussioni sull’argomento fu manifestata e sembrò prevalere l’opinione che il giuramento fosse da richiedersi al Presidente della Repubblica, non ai membri del Parlamento. Non entro nel merito della questione, osservo soltanto che è meglio decidere subito, per quel che concerne i membri del Parlamento. Prego l’onorevole Mortati o di ritirare l’ordine del giorno, o di trasformare in articolo aggiuntivo la sua proposta di giuramento dei membri del Parlamento.

FABBRI. L’articolo 51, relativo al giuramento di fedeltà alla Costituzione ed alle leggi della Repubblica, è già stato approvato.

PRESIDENTE. È stato soppresso. D’altra parte, faccio presente che l’articolo 48, approvato, dice al secondo comma: «I cittadini hanno il dovere di adempiere alle funzioni loro affidate con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».

È certo che l’articolo 48 non voleva riferirsi agli investiti di autorità per elezione; si riferiva invece a coloro che ricevessero per altra via una certa funzione, il dovere di assolvere a certi compiti, a certi uffici come funzione permanente. Ma se ricordiamo che il giuramento per i deputati era precedentemente previsto nella legge speciale elettorale, si potrebbe pensare che la stessa disposizione dell’articolo 48 – che si riferisce alla prestazione del giuramento da parte dei cittadini cui vengono affidate pubbliche funzioni – comprenda anche, in analogia alla precedente legge elettorale, la disposizione per i deputati.

Comunque, io concordo con quanto ha detto l’onorevole Ruini. Se si vuol porre la questione del giuramento per i membri del Parlamento, è bene porla in maniera esplicita e risolverla senz’altro, senza subordinarla alle decisioni che venissero prese per il giuramento del Presidente della Repubblica, giuramento che evidentemente risponderebbe ad altri motivi e necessità che non il giuramento dei membri del Parlamento. Per queste ragioni pregherei l’onorevole Mortati, se intende che l’Assemblea risolva la questione, di proporla in modo formale.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Quanto ho detto circa il carattere di riserva che desideravo conferire al mio ordine del giorno trova il suo fondamento nella convinzione che non si possa risolvere il problema frammentariamente. Ove esso si affrontasse in modo globale si potrebbe anche giungere alla conclusione dell’inopportunità di assoggettare a giuramento i titolari di organi costituzionali, secondo è disposto in alcune Costituzioni, e come si potrebbe anche razionalmente sostenere. Ma se si andasse su contrario avviso, ugualmente sussisterebbe l’esigenza di un analogo trattamento, non essendovi nessuna ragione, né logica, né politica, né giuridica di escludere dal giuramento certi organi costituzionali e di imporlo per altri. La tesi contraria, enunciata in sede di commissione dall’onorevole Conti, si basa sulla vecchia concezione giusnaturalistica, che considerava i rappresentanti del popolo sottratti ad ogni legge: che è assurdo, perché in un ordinamento costituzionale non vi può essere nessun organo, anche supremo, che possa non essere vincolato all’osservanza della Costituzione. La formula di giuramento da me proposta implica questo solo impegno: di osservare in tutte le attività affidate ai membri del Parlamento le forme prescritte dalla Costituzione. Limitato in questo senso il contenuto del giuramento, nessuna obiezione seria può essere sollevata, non essendo dubbio che anche i deputati sono soggetti alla Costituzione. Lo stesso popolo, che è l’organo sovrano, in quanto sia parte di uno Stato già costituito non può agire legalmente se non nelle forme della Costituzione, quindi attraverso il referendum, i voti, le elezioni.

È vero che il popolo può fare la rivoluzione, ma questo non è un diritto che sorge dalla Costituzione; è un diritto extra costituzionale, che può dar luogo ad una situazione di fatto.

Posta la questione in questi termini, e messo in chiaro che il giuramento non comporta nessuna restrizione alla libertà delle opinioni e dei voti dei deputati, credo che la mia proposta non debba incontrare opposizione. Perciò insisto in essa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Mortati, in sostanza, sia pure in via subordinata, ha acceduto alla tesi che si discuta subito la questione del giuramento dei membri del Parlamento.

FUSCHINI. È questione tanto semplice, che è meglio affrontarla subito.

PRESIDENTE. Io sono di questo avviso, e poiché anche l’onorevole Presidente della Commissione e l’onorevole Fuschini sostengono questa proposta, possiamo senz’altro affrontare la questione, non sulla base dell’ordine del giorno Mortati, che pone la decisione in forma subordinata, ma in prima istanza, riservandoci di esaminare dopo il problema per il Presidente della Repubblica e per i Ministri.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Desidero sapere se l’onorevole Mortati, in sostituzione del suo ordine del giorno, ha precisato in un testo la deliberazione, perché noi dovremmo deliberare sopra un testo.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha facoltà di rispondere.

MORTATI. Il testo si può desumere dallo stesso ordine del giorno. Basta dire:

«I membri delle due Camere, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, devono prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione».

PRESIDENTE. Assumiamo questa formulazione come testo-base della discussione.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Io sono contrario a questo ttesto, appunto perché sono stato vittima durante la dominazione monarchica di una imposizione che non ammetto possa essere fatta dalla Repubblica ai rappresentanti del popolo.

La posizione è del tutto diversa, quando si tratti di deputati o quando si tratta di Presidente della Repubblica o quando si tratti di magistrati, di forze armate e di altri organi dello Stato.

Sarebbe inconcepibile che la polizia non fosse chiamata a giurare; sarebbe inconcepibile che la magistratura fosse esonerata dal giuramento; come sarebbe inconcepibile che altri organi dello Stato, come il Presidente soprattutto, fossero esonerati dall’obbligo del giuramento.

Io non do – lo dico subito – importanza alcuna – è mia convinzione – al giuramento. Credo che non si debba giurare mai. Quanto ai deputati, in particolar modo non concepisco che possa essere imposto un giuramento. Il pensiero è libero: deve esser libero. Non debbono esserci limitazioni di sorta e poiché dal pensiero derivano le azioni, gli atteggiamenti e gli atti dei singoli, io ritengo che colui il quale deve svolgere la sua attività e deve rispondere del mandato che gli elettori gli hanno dato, deve essere assolutamente svincolato da qualsiasi obbligo.

Nessun vincolo, dunque. I rappresentanti del popolo rappresentano correnti politiche, vale a dire pensieri propri dell’opinione pubblica, pensieri che il popolo ha fatto proprî: questi pensieri hanno diritto di farsi valere. La fede politica deve essere rispettata nel modo più assoluto e nel modo più ampio.

Non, dunque, giuramento. L’obbligo di osservare la Costituzione è tra i primari doveri che i deputati debbono osservare. La Repubblica può anche essere discussa, pur non potendo essere attaccata. La Repubblica non può essere colpita da atteggiamenti ostili, dei quali del resto il deputato risponde come ogni altro cittadino: né il giuramento potrebbe salvaguardarla. Confermo l’opinione già espressa davanti alla seconda Sottocommissione quando venne discusso questo problema: sono contrario al giuramento dei deputati.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Su codesta questione del giuramento io debbo confessare la mia perplessità di fronte alla tesi così recisa di quanti pensano che il giuramento sia non utile, non necessario ed addirittura irrazionale. Sarà perché provengo da origini quasi patriarcali, ma io considero, ed ho sempre considerato, il giuramento una cosa estremamente seria e mi pare che per dare un contenuto di maggiore serietà alla lealtà repubblicana e all’istituto repubblicano, il giuramento dovrebbe essere considerato così. Ciò non toglie evidentemente che un ostinato monarchico possa ribellarsi al giuramento. Io mi permetterei di consigliare, data la mia maggiore età, al collega onorevole Lucifero, lo stesso sistema dietro al quale io ripiegavo quando, in quest’Aula, ero costretto a prestare giuramento di fedeltà alla monarchia…

LUCIFERO. Io sono sempre pronto a prestare giuramento di fedeltà alle leggi del mio Paese!

LUSSU. …e dicevo sempre: «non giuro» mentre tutti dicevano: «giuro» e la cosa passava inosservata. (Si ride). Però a me pare che quanti in quest’Aula credono alla serietà di un impegno di onore, ed aggiungerei – per quanto io sia un laico profano – alla santità del giuramento, io credo che quanti concepiscono il giuramento come una cosa estremamente seria che aggiunge alla serietà del carattere del cittadino qualcosa di rilevante, credo che tutti costoro dovrebbero essere per la forma del giuramento che è un simbolo ed è una sintesi di un impegno morale, di un’azione politica, e di un complesso di atteggiamenti dello spirito nell’azione pratica, che sono una cosa estremamente seria.

TONELLO Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Onorevoli colleghi, io non posso nascondere la mia istintiva avversione all’istituto del giuramento. Io nelle scuole insegnai sempre a non abusare dei giuramenti, perché i bambini hanno il vizio di giurare, anche quando dicono delle bugie. Ora, i giuramenti dei bambini non fanno né bene né male, anche se poi non sono mantenuti, ma quelli degli uomini possono fare del male, molto male alla società. Unica garanzia che noi possiamo avere in un uomo è la sua parola d’onore.

Il giuramento non aggiunge garanzia. Il giuramento di fedeltà nel matrimonio che molti fanno all’altare, non è garanzia sufficiente se non c’è nella coscienza degli sposi la volontà precisa di uniformarvisi. Quindi, niente giuramento nella vita pubblica. Nella vita pubblica il cittadino, a fronte alta, deve dire che cosa pensa e che cosa è, e non trovare nessun ostacolo nelle formalità dello Stato. Un uomo che è di convinzioni monarchiche può trovare la scusa di giurare fedeltà alle leggi, ma, in fondo in fondo, colui che è monarchico non può giurare lealmente con animo tranquillo fedeltà all’istituto repubblicano. Ed altrettanto si dica dei repubblicani. Tutti siamo fedeli, nella vita comune, alle cose che facciamo e diciamo, e così facciamo nella vita pubblica. Questo giuramento è una formalità stupida, perché non impegna realmente. Forse, sul campo di battaglia, il giuramento di vincere o di morire può avere il suo risultato, può avere una certa influenza; ma nella vita pubblica i giuramenti non giovano, ed io ho osservato che quelli che giurano di più sono quelli che sono più bugiardi. I ragazzi più bugiardi sono quelli che giurano di più. Ma, per i ragazzi, è una cosa infantile. Per gli uomini, bisogna che noi diffidiamo. Solo quando essi danno la loro parola d’onore l’impegno diventa realmente sacro, perché si fonda sulla dignità umana.

Abbiamo il giuramento. Non manteniamo in vita questa anticaglia delle monarchie e delle chiese. Nessun giuramento, ma soltanto l’onore di cittadini, soltanto la loro parola d’onore può valere a creare veramente uno Stato il quale sia formato da galantuomini, anziché da gesuiti che giurano col proposito di tradire. (Commenti al centro). E sì, perché c’è anche un giuramento falso, c’è anche chi giura una cosa e ne pensa un’altra. Noi vogliamo invece uomini che abbiano il coraggio di dire quello che pensano e quello che è, senza bisogno di fare giuramenti.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io non avevo nessuna intenzione di parlare, ma poiché l’onorevole Lussu mi ha chiamato in causa, vorrei chiarire il mio pensiero. Il mio pensiero, onorevole Lussu, di monarchico, ma il mio pensiero, soprattutto, di cittadino monarchico dello Stato italiano. L’onorevole Lussu ha detto una cosa nella quale sono perfettamente d’accordo con lui e cioè che i giuramenti sono una cosa molto seria. Ed è vero. Però mi ha dato un consiglio che indubbiamente fa pensare che questa opinione nell’onorevole Lussu sia molto meno radicata che in me, perché, dopo avermi detto che il giuramento è una cosa molto seria, aggiunge: tu giura pure con un piede alzato, come ho fatto io, tanto non conta niente. Il che fa supporre che il giuramento per l’onorevole Lussu sia una cosa molto meno seria di quanto sia per me. (Interruzione dell’onorevole Lussu). Questa è polemica.

Onorevole Lussu, io invece, giurerei; e le dico anche perché giurerò se la formula sarà approvata.

Io sono contrario ai giuramenti in generale per le ragioni che hanno detto l’onorevole Tonello, l’onorevole Conti e che ha esemplificato l’onorevole Lussu. Però, ove si entrasse nell’ordine di idee di proporre ai deputati questo giuramento al quale io sono contrario, ritengo che la formula dell’onorevole Mortati sia una formula onesta che può benissimo votarsi ed accettarsi; e caso mai sarebbe una cosa inutile, perché non capisco perché un cittadino debba giurare di mantenere fede alle leggi del suo Paese. E la prima legge del suo paese è la Costituzione. Non è necessario nessun giuramento, perché sono obbligato a farlo, ma posso assicurare l’onorevole Lussu che se un giorno io fossi chiamato o come soldato o come deputato o in qualunque altra qualità a giurare fede a quelle che sono le leggi del mio Paese, cioè ad accettare quelle leggi e le forme che vi sono per modificare quelle leggi, io non avrei proprio nessuna difficoltà, non con un piede alzato, ma con tutti e due i piedi in terra ed in piena coscienza, a fare questo giuramento.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Onorevoli colleghi, a me sembra che la questione, sorta così all’improvviso abbia una importanza veramente capitale, perché la formula proposta dall’onorevole Mortati parla di giuramento di fedeltà alla Costituzione. Ora, l’articolo 131 della Costituzione, non ancora approvato, ma nel progetto, stabilisce che la forma repubblicana è definitiva per l’Italia e non può essere oggetto di revisione costituzionale. Quindi, giurando fedeltà alla Costituzione, si giura anche di riconoscere che la forma repubblicana è definitiva, non soggetta a revisione di sorta. Ed allora sorgerebbe il dubbio anche nell’amico Lucifero se egli che è pronto a giurare fedeltà alle leggi dello Stato…

LUCIFERO. Nelle forme costituzionali posso proporne la modifica o soppressione.

PERSICO. Non è possibile, perché l’articolo 131 non ammette la revisione costituzionale.

RUSSO PEREZ. Non sarà approvato.

PERSICO. Lo vedremo se sarà approvato e io ritengo che sarà approvato. Comunque è una questione dubbia. Tutto questo per dire che io sono contrario al giuramento. Il giuramento avrebbe efficacia quando ad esso fosse connessa una sanzione, come per il giuramento che si pronunzia dinanzi all’autorità giudiziaria, di dire la verità e null’altro che la verità, che, se violato, porta al reato di falso giuramento ed alle pene conseguenti. Ma quando il giuramento è una pura formula, che non ha nessuna conseguenza, la cosa è diversa. Del resto, noi abbiamo l’esempio classico dell’onorevole Cavallotti, che disse: giuro, e domandò la parola, per spiegare subito che il giuramento non aveva alcun valore cogente. In questo caso diventa una formalità inutile e vana; salvo in casi come quello del deputato Falleroni, per il quale si fece una legge speciale per escluderlo dalla Camera, avendo egli deciso di non giurare.

Quindi, siamo logici; i deputati vengono qui con idee diverse, ognuno in rappresentanza di una certa corrente di pensiero. Queste correnti possono essere dissimili, contrarie, secondo i momenti storici, secondo le opportunità politiche, secondo le ondate di simpatia che una certa idea può raccogliere in un determinato momento nel Paese. Perché vogliamo vincolarli ad una formalità bugiarda, che deve essere spesso bugiarda necessariamente, in quanto li obblighiamo a giurare cosa che non potrebbero giurare, e se lo fanno, lo fanno solamente per entrare in quest’Aula e per manifestare il loro pensiero contrario? Quindi a me pare perfettamente inutile il giuramento.

Sono convinto che abbia ragione l’onorevole Conti, quando dice che la magistratura, l’esercito, gli alti funzionari dello Stato, il Presidente della Repubblica e i membri dui Governo devono prestare il giuramento, perché si tratta di funzioni che richiedono il giuramento e se la sanzione non è il reato di falso giuramento, sussiste il reato di perduellione per avere tradita la fede politica cui dovevano dare la loro opera e la loro fedeltà; c’è il reato di tradimento, che è assai più grave del reato di falso giuramento.

Quando, quindi, manca una sanzione – e nel caso dei deputati la sanzione dovrebbe essere l’espulsione dall’Aula, il che è assurdo – quando manca una sanzione, non è possibile pensare ad un giuramento di fedeltà alle istituzioni nel momento attuale.

Sono quindi contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Mortati.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Io penso che non vi sia alcun dubbio che colui il quale entrerà in una delle future Assemblee legislative, vi entrerà col proposito sincero, col proposito leale di rispettare le leggi del proprio Paese e, soprattutto, la Costituzione.

Ora a meno che non vi si entri con un proposito diverso, ciascuno di noi dovrebbe essere lieto di dichiarare di essere pronto a giurare, cioè pronto a chiamare Iddio a testimonio della sua lealtà. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione per la Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non è legato a precedenti decisioni di Sottocommissioni o della Commissione dei Settantacinque che furono, come ho ricordato, in senso contrastante. La questione è ancora aperta. Farò ora alcune brevi osservazioni.

Non mi sembra, anzitutto, potersi affermate che il giuramento debba escludersi senz’altro, perché non è una cosa seria. Lo abbiamo considerato cosa seria, quando all’articolo 48 abbiamo previsto che la legge lo possa prescrivere per chi adempie uffici pubblici. Sta davanti a noi, fra i progetti di cui ha cominciato stamane ad occuparsi la Commissione dei Settantacinque, un disegno che punisce gli impiegati che non mantengono il giuramento prestato. Si può bensì osservare che altro è il caso degli impiegati, e che per essi vi sono sanzioni che mancano pei membri del Parlamento; ma insomma l’istituto del giuramento è nel quadro delle nostre leggi. E se ha una base più profonda nel costume di altri paesi più che nel nostro, anche da noi ha un significato etico-politico, che non conviene dileggiare ed evadere, perché non deporrebbe bene pel carattere nazionale

Per quanto riguarda i deputati e senatori, non sarebbe neppur concepibile che essi disconoscessero la Costituzione, cui debbono fedeltà tutti i cittadini. Questo deve essere un punto ben acquisito nella nostra coscienza civile e giuridica; l’accettare, il rispettare, il difendere la Costituzione è obbligo indiscusso ed indiscutibile pei membri del Parlamento; né ad essi, e soprattutto ad essi, è dato prescinderne. Si tratta di vedere se tale dovere deve tradursi e trovar espressione nell’atto formale del giuramento.

Io personalmente non trovo nessuna difficoltà al riguardo. Vi sono scrupoli e dubbi in alcuni di quest’Assemblea, nei quali s’attarda il ricordo di pochissimi uomini del Risorgimento e dell’estrema sinistra, che non giurarono o non diedero valore al giuramento. Gli scrupoli non reggono: coloro che giurarono, pur conservando le loro idee politiche, furono perfettamente fedeli alle istituzioni d’allora. Oggi, – a prescindere che, una volta avanzata questa proposta di giuramento, il suo rigetto potrebbe apparire inesattamente abbandono della difesa della Repubblica – sta ben chiaro che i membri del Parlamento non rinunciano alle loro idee, anche non repubblicane, se accettano di rispettare e difendere la Costituzione.

Nulla vieta che si stabilisca il giuramento pei membri del Parlamento. L’Assemblea Costituente deciderà, ora come crede. Ma io sento il dovere di ripetere nettamente ed esplicitamente, a nome del Comitato, che – siavi o no l’atto formale del giuramento – chi entra in quest’Aula deve esser fedele alla Costituzione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Io credo che l’esigenza che emerge dall’ordine del giorno che era stato presentato dall’onorevole Mortati sia ben fondata. Bisogna infatti tener presente innanzi tutto qual è l’oggetto del giuramento che si richiede: questo giuramento ha per oggetto la fedeltà non ad una persona, ma alla Costituzione dello Stato. Ora, non c’è alcuna ragione, a me pare, di esonerare dal giuramento taluni organi, ed essenzialissimi quale il Parlamento, quando altri organi invece vi sono sottoposti.

Non si tratta, onorevoli colleghi, di obbligare al giuramento i cittadini: si tratta di impegnare alla fedeltà verso la Costituzione gli organi costituzionali dello Stato, gli organi ai quali la vita e l’attuazione della Costituzione è in particolar modo affidi ridata.

PERSICO. Il Parlamento è un potere dello Stato, non è un organo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma è lo stesso.

TOSATO. Osservo poi che il giuramento non impedisce la piena libertà di opinione politica dei deputati; è infatti evidente che gli obblighi derivanti dal giuramento non possono non essere compatibili con la natura e funzione del mandato parlamentare. In altre parole, il giuramento significa soltanto che il deputato, che i membri delle Camere, nonostante l’assoluta libertà di opinione e di iniziativa, dovranno seguire in ogni caso le vie tracciate dalla Costituzione, ed agire, in ogni caso, per il trionfo delle loro idee, secondo le norme fissate dalla Costituzione.

Il giuramento quindi non implica che una esigenza di diritto costituzionale, quella cioè che tutto si svolga costituzionalmente. Per queste ragioni noi siamo favorevoli all’adozione del giuramento anche per i membri delle Camere.

STAMPACCHIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STAMPACCHIA. Debbo dichiarare che sono – per antica convinzione – assolutamente contrario al giuramento dei deputati. Tale dichiarazione è pure conforme al pensiero del Gruppo cui appartengo. In materia non si deve far confusione fra magistrature e funzionari in genere, che esercitano uffici e mansioni statali conferite loro dallo Stato; cittadini che adempiono doveri imposti dalle leggi; e il deputato, il quale deriva il suo mandato direttamente dal popolo e che può essere repubblicano, ma può anche essere monarchico.

In altri tempi la democrazia ha costantemente combattuto per l’abolizione del giuramento dei deputati. Ciò – mi pare – l’onorevole Persico ha dianzi ricordato. È vivo infatti il ricordo di Felice Cavallotti, il bardo della democrazia dei suoi tempi, il quale, entrando per la prima volta alla Camera, giurò – perché diversamente non avrebbe potuto prendere parte ai lavori parlamentari – ma subito chiese la parola e pronunciò un memorabile discorso contro il giuramento che lo Statuto albertino imponeva ai deputati.

Ora la democrazia tornerebbe indietro e rinnegherebbe se stessa, le sue tradizioni, se oggi sostenesse il giuramento dei deputati, quando agli altri tempi lo ha combattuto sempre e vivacemente con argomenti che l’avvento della Repubblica non sminuisce e non può farci obliare. Mentre tutti stiamo insistendo sulla necessità che dalla Costituzione, che si viene da noi elaborando, risulti una Repubblica democratica, dobbiamo tener presente che la democrazia si serve col mantenere fede ai principî che si sono sostenuti quando si era, ieri, in minoranza.

I deputati repubblicani entreranno alla Camera e, pur senza giurare, manterranno fede alla Repubblica, indubbiamente; ma quanto a coloro che repubblicani non sono e vengono invece alla Camera con veste di sovvertitori dei tempi nuovi, noi – i sovversivi degli oscuri passati regimi – non poniamo ostacoli a che essi, i nuovi sovversivi, abbiano la libertà di entrare alla Camera e possano prendere parte ai lavori della stessa. Sarebbe – a mio avviso – atto di intolleranza da parte nostra il pretendere che i deputati non repubblicani debbano prestar giuramento contro la loro fede e la loro coscienza…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E perché?

STAMPACCHIA. …perché sarebbe un giuramento – qualcuno mi pare lo ha detto – con restrizioni mentali. Le restrizioni mentali evitiamole, per carità, perché esse non sono né di buon gusto, né di buona coscienza; né atte a conferire dignità al Parlamento della Repubblica.

Io quindi voterò contro la proposta di giuramento dei deputati. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula dell’onorevole Mortati:

«I membri delle due Camere, prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni, devono prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione».

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Dichiaro che mi asterrò in questa votazione.

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

PRESIDENTE. Passiamo all’esame della Sezione II: «la formazione delle leggi». Si dia lettura dell’articolo 67.

AMADEI, Segretario, legge: «La funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere».

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi ha presentato il seguente emendamento.

«Sostituirlo con il seguente:

«La funzione legislativa è collettivamente esercitata dal Presidente della Repubblica e dalle due Camere».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

BOZZI. Onorevoli colleghi, il mio emendamento – sulla cui redazione formale non insisto perché richiamo la vostra attenzione sulla sostanza – concerne un problema che, per me, ha un notevole rilievo.

Questo progetto di Costituzione esclude completamente il Presidente della Repubblica dalla funzione legislativa, perché affida al Capo dello Stato soltanto il potere di promulgare le leggi.

Io non voglio in questo momento addentrarmi in una discussione teorica, per vedere in che l’atto giuridico «promulgazione» differisca dall’atto «sanzione», ma è certo che la promulgazione non è un’attività che incida nel processo di formazione delle leggi, ma è un atto – dirò così – di accertamento sul piano esecutivo, con il quale il Capo dello Stato documenta che la legge si è formata e dà regolarmente ordine che la legge abbia esecutorietà.

Porta la legge – dirò così – dal piano interno al piano esterno, verso i soggetti destinatari della norma.

In seno alla Sottocommissione si discusse molto se il Capo dello Stato dovesse avere potestà di intervento nel processo di formazione della legge, e ricordo il progetto dell’onorevole Conti, che dava al Presidente della Repubblica il potere di intervenire mediante la sanzione. Nella stesura definitiva il Capo dello Stato è mantenuto fuori. Secondo me questo è un errore.

Il progetto affida al Capo dello Stato soltanto la potestà di intervenire nel caso in cui, per dissidio fra la volontà di una Camera e la volontà dell’altra, non si sia potuta formare quell’atto complesso che è la legge. In questo caso (articolo 70 del progetto) il Presidente della Repubblica ha il potere di indire il referendum.

Ora, se il Presidente della Repubblica deve essere – come dovrebbe essere – a capo di tutti i poteri, colui che impersona lo Stato nei tre poteri, nelle sue tre funzioni fondamentali, io non vedo perché il Presidente della Repubblica debba essere tenuto estraneo alla formazione del più importante atto della vita di uno Stato: la legge.

Egli, secondo il progetto, esprime la volontà dello Stato come potere esecutivo, anche nei confronti dei paesi stranieri; non è estraneo nemmeno alla funzione giudiziaria, perché con un suo atto, la grazia o l’indulto, può modificare una sentenza irrevocabile.

Si dice che in un regime veramente democratico la legge deve essere l’espressione delle Camere che sono le depositarie della volontà popolare. Io credo che questo concetto è indiscutibilmente esatto, ma tuttavia non può portare alla conseguenza di escludere il Presidente della Repubblica da una qualsiasi forma di intervento nella formazione della legge.

Per esempio, la Costituzione di Weimar, che pure non dà al Presidente del Reich il potere di sanzione, tuttavia gli conferisce il potere di intervenire, sia pure ab extra, in quanto egli può arrestare il procedimento di perfezionamento della legge; e dice l’articolo 73 della Costituzione di Weimar che le leggi votate dal Reichstag devono essere prima della pubblicazione sottoposte a referendum, se così decide nel termine di un mese il Presidente del Reich. Ciò significa che il Capo dello Stato ha un potere di intervento che si esplica sia pure in una forma negativa.

E la stessa Costituzione francese, nel testo, che diversifica dal progetto, all’articolo 36 dice che, nel termine fissato per la promulgazione, il Presidente della Repubblica può domandare alle due Camere una nuova deliberazione che non può essere rifiutata.

Tutta questa varietà di forme dimostra una cosa che sta alla base di questo mio intervento, che noi non possiamo escludere radicalmente il Presidente della Repubblica da questo atto importantissimo, che è la formazione della legge. Vogliamo dare a lui il potere di sanzione, che è un modo diretto di partecipare? Vogliamo dargli invece la possibilità di richiamare l’attenzione delle due Assemblee, secondo lo schema francese? Ovvero la potestà di esprimere un veto? Comunque io credo che il Capo dello Stato non possa essere mantenuto estraneo alla formazione della legge.

Si è detto che nel regime parlamentare, poiché le manifestazioni di volontà di un Capo dello Stato comportano la responsabilità governativa, è impossibile che si determini un conflitto fra Capo dello Stato e Camera, perché se il Governo deve essere appoggiato dalla fiducia parlamentare, è impossibile che si determini un conflitto per cui il Capo dello Stato neghi la sanzione. Io voglio richiamare la vostra attenzione sul fatto che questo problema da me prospettato ha due rilievi: uno di carattere formale (in questa materia la forma è anche sostanza), perché mantenere estraneo il Presidente della Repubblica da questo atto fondamentale che è la legge, è una diminuzione, secondo me, del prestigio stesso del Presidente della Repubblica; un altro sostanziale, perché nel sistema del progetto all’articolo 72, che dovremo prendere in esame e che è molto delicato, affidiamo al popolo, che consideriamo esattamente come un organo costituzionale, il potere di arrestare l’entrata in vigore di una legge votata dal Parlamento.

Quindi riconosciamo che, sebbene una legge sia votata regolarmente dall’una e dall’altra Camera, il popolo possa in una certa misura intervenire e arrestare effettivamente questa legge. Ora domando perché questo potere di arresto non lo dobbiamo riconoscere al Presidente della Repubblica, che noi dobbiamo configurare come l’organo supremo che, per la sua eminente posizione, può sentire le correnti del Paese, che possono rivelarsi in contrasto con l’interpretazione che ne ha dato il Parlamento.

Può essere un caso limite: comunque la stessa Costituzione lo prevede, perché ammette che una legge votata dal Parlamento possa essere arrestata da una manifestazione della volontà popolare. Infine se noi diamo al Capo dello Stato la possibilità di sciogliere le Camere, considerandolo moderatore ed arbitro della soluzione di conflitti tra Paese e Parlamento, possiamo ammettere che nello spazio di un mese può esservi tale mutamento, per cui una legge votata dal Parlamento stesso non incontra l’approvazione popolare, e il Capo dello Stato possa rendersi interprete delle correnti popolari e richiamare su di esse la volontà del Parlamento perché rimediti sul problema.

Io vorrei che su questo tema, che mi sembra molto delicato e che è connesso con una certa configurazione che si vorrà dare al Capo dello Stato (sarà eletto dalle due Camere o dal popolo?), si concentrasse l’attenzione dell’Assemblea. Non so se dobbiamo tenerlo accantonato per rimeditarlo quando avremo dinanzi la figura del Capo dello Stato in tutta la sua interezza, o se vogliamo affrontarlo adesso.

Comunque, insisto perché il mio emendamento sia preso in esame.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Bozzi ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea sopra un problema che non fu posto (almeno nei termini in cui egli lo ha posto ora) nei lavori della Commissione, di cui egli faceva parte. L’avrebbe potuto sollevare allora.

LAMI STARNUTI. Fu posto e respinto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ad ogni modo non in questa forma. Io credo (l’avevo già accennato in un mio precedente intervento e vi tornerò sopra in seguito) che possa considerarsi il riconoscimento di qualche maggior potere del Capo dello Stato di fronte alle leggi, ma non posso accettare la formula che ha steso l’onorevole Bozzi e che è una riproduzione dell’articolo 3 dello Statuto albertino: «Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e dalle due Camere». Questo risponde a tutta una concezione che abbiamo superata. Quando uno dei piloni della Costituzione era il re, la Corona, si comprendeva la sua partecipazione come terzo ramo del Parlamento alla funzione legislativa. Ciò risaliva alla concezione inglese; ma anche là ormai certe frasi hanno un sapore, oserei dire, letterario più che giuridico; lo ammette anche il Dicey, uno dei maggiori studiosi della Costituzione inglese. Se oggi, anche col re, nella classica Inghilterra, non si può dire esattamente che la funzione legislativa è esercitata collettivamente, e per così dire alla pari, fra lui ed il Parlamento, si può tanto meno dirlo in una Repubblica, per il Capo dello Stato.

La formula dell’onorevole Bozzi, che sembra ormai inesatta ed arcaica, fa intervenire il Capo dello Stato come partecipe, allo stesso modo del Parlamento, alla funzione legislativa, che egli, il Capo dello Stato, può soltanto regolare e frenare. Non partecipa alla formazione delle leggi chi non la vieta. Oso dire che – anche dando al Capo dello Stato la sanzione delle leggi – ciò non implicherebbe la necessità di riesumare la impostazione dello Statuto albertino.

Il nostro progetto di Costituzione si è limitato a dare al Presidente della Repubblica la promulgazione delle leggi. Sanzione e promulgazione sono due istituti giuridici diversi fra loro, ma non così estremamente diversi, da non potere trovare un punto comune, per così dire, intermedio che sia strettamente, correttamente giuridico, e consenta al Capo dello Stato un intervento notevole e giusto di fronte alla funzione legislativa, intervento dall’esterno, non dall’interno della funzione stessa che spetta al Parlamento; intervento che può spettare al Capo dello Stato come supremo regolatore ed equilibratore dei poteri.

Mi sia consentito ricordare ciò che dicevo il 19 settembre all’Assemblea: «L’istituto della sanzione si comprendeva meglio, quando il re era considerato come il terzo ramo del Parlamento. È meno ammissibile ora; e del resto – se si crede di concedere al Capo dello Stato, nel caso di suo dissenso con le Camere sopra una legge, la facoltà di chiederne il riesame ed eventualmente di ricorrere al referendum – facoltà che gli è riconosciuta in caso di dissenso legislativo fra le due Camere – ciò si potrebbe fare, anche attenendosi al solo compito della promulgazione».

Mi sembra, da alcuni punti del suo discorso, che l’onorevole Bozzi si possa accontentare di qualcosa di simile; ed in ciò può aver ragione ed essere utile il suo richiamo; ma lo prego di rinunciare alla sua formula. Delibereremo a suo tempo meditatamente e tranquillamente. E potremo trovare soluzioni, che ammettendo un suo intervento di fronte alle leggi, non siano in contrasto con la figura del Capo dello Stato, in uno Stato parlamentare, e con la più corretta concezione repubblicana e democratica, che anima il nostro progetto.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. All’inizio del mio intervento avevo detto che non insistevo sulla redazione formale, ma che facevo una questione di sostanza, che si riassumeva in ciò: la necessità che il Presidente della Repubblica non sia del tutto estraneo all’esercizio della funzione legislativa.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non deve partecipare alla formazione.

BOZZI. Il problema politico e costituzionale è questo: il progetto di Costituzione tiene il Capo dello Stato fuori del processo che conduce alla formazione della legge.

Questo è un errore. Bisogna trovare una forma di intervento del Capo dello Stato.

Io avevo detto inizialmente che non facevo questione di sanzione. Posso aderire all’idea dell’onorevole Ruini, purché il problema venga ripreso in esame.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Il problema posto dall’onorevole Bozzi è veramente molto grave. Il progetto di Costituzione tiene il Capo dello Stato fuori del processo di formazione della legge, tanto che l’articolo 83 del progetto dice soltanto che il Presidente promulga le leggi, e niente altro. Mettendo la figura di Presidente tra i tre poteri che formano le leggi – cioè le due Camere ed il Presidente – noi diamo al Presidente della Repubblica una facoltà, che egli non deve avere.

Basti pensare a questo: se la facoltà sanzionatoria non fosse esercitata, cioè il Presidente della Repubblica si rifiutasse di sanzionare una legge, nascerebbe un conflitto costituzionale fra le due Camere ed il Presidente della Repubblica. Ora, non è previsto nessun organo che sciolga questo conflitto. La Corte costituzionale prevista dal progetto ha altri compiti, non questo.

Quindi, noi veniamo a scardinare tutta la formazione della Costituzione, la quale, come Costituzione repubblicana, ha messo il Capo dello Stato in una funzione particolare, altissima, ma non tale da formare quella terza Camera cui ha accennato l’onorevole Ruini. Io sono contrario. Unico dubbio è questo: se convenga seguire l’esempio della Costituzione francese, che all’articolo 36 non dà un diritto né di sanzione, né di veto assoluto, ma che dice: «Il Presidente della Repubblica può, con un messaggio motivato, domandare alle due Camere una nuova deliberazione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Persico, è il veto sospensivo. La classica dottrina francese lo configura appunto come un veto sospensivo.

PERSICO. Sì, veto sospensivo, che però dopo la seconda deliberazione si annulla.

Questa idea di chiedere il parere alla Camera per una seconda volta può essere esaminata a suo tempo. Ricordo che, per quanto riguarda l’articolo 70, io ho creduto opportuno – e questo conferma che sono della stessa opinione dell’onorevole Ruini – di togliere il potere al Presidente della Repubblica di indire referendum popolari sui disegni non approvati, perché questo potere darebbe al Capo dello Stato una facoltà legislativa, facoltà che il Capo dello Stato non deve avere. Per questo sono contrario all’emendamento dell’onorevole Bozzi.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Senza entrare per ora nel merito della questione, mi permetto di richiamare l’attenzione dell’Assemblea su questa circostanza: l’onorevole Bozzi, nell’illustrare il suo emendamento, è stato necessariamente costretto a riferirsi agli altri poteri e facoltà che il progetto di Costituzione attribuisce al Capo dello Stato. Questa necessità in cui l’onorevole Bozzi si è trovato è una conferma dello stretto legame che unisce la sua proposta con le facoltà che la Costituzione intende attribuire al Capo dello Stato. A seconda che il Capo dello Stato noi arriveremo a configurarlo in un modo o in un altro, la questione posta dall’onorevole Bozzi potrà avere un aspetto od un altro e potrà avere o no accoglimento. Io proporrei che si rinviasse l’esame di questa proposta…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, onorevole Targetti!

TARGETTI. Lo so, onorevole Ruini, che qui ci si oppone la questione che per gli emendamenti non può valere la sospensiva.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è per questo, onorevole Targetti. Se permette, ripeto il mio pensiero. Si tratta di respingere il principio di una partecipazione come terzo ramo del Parlamento. Noi non possiamo accogliere questo concetto. Se l’onorevole Bozzi lo mantiene, noi voteremo contro; se viceversa lo ritira, ci riserviamo di esaminare a suo tempo la questione, non sotto l’aspetto posto dall’emendamento, ma sotto l’aspetto che ci sembrerà opportuno, quale la possibilità di un voto sospensivo. Viceversa lei, onorevole Targetti, diceva di rimandare l’emendamento dell’onorevole Bozzi, così com’è ora formulato, in quella sede.

TARGETTI. Le posso assicurare che avevo capito con grande esattezza il concetto espresso dall’onorevole Bozzi, nel senso che egli intende costituire quella che, con ardita analogia, si chiama terza Camera, perché raffigurate nella forma di una Camera…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il caput Parlamenti: è la vecchia concezione della dottrina inglese.

TARGETTI. La mia proposta è questa: se alla sospensiva della discussione di un emendamento fa ostacolo una norma regolamentare, l’onorevole Bozzi potrebbe – se fosse persuaso delle mie osservazioni – ritirare in questa sede il suo emendamento, salvo a ripresentarlo quando si venga a discutere della questione del Capo dello Stato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Targetti, avevo pregato il collega Bozzi di ritirare il suo emendamento, salvo ad esaminare la questione a suo luogo, nella forma che sembrerà più opportuna, ma non mi sono affatto impegnato a riprendere allora in esame la sua proposta secondo la dizione attuale. Questo, onorevole Targetti, lei non aveva compreso.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE Ne ha facoltà.

BOZZI. Volevo dire questo: non ho difficoltà a ritirare il mio emendamento. Non vorrei, però, che il problema fosse pregiudicato; perché se oggi si approva l’articolo 67 del testo del progetto, potrebbe domani dirsi che il problema è pregiudicato. Allora, siccome l’articolo 67 non è necessariamente collegato con quello che segue, ne potremmo rinviare l’esame.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Il Gruppo in nome del quale parlo è contrario all’emendamento Bozzi, per le ragioni già dette sia dall’onorevole Ruini sia dall’onorevole Persico. Rivivrebbe una norma dello Statuto albertino la quale in realtà costituiva anch’essa una transazione tra la «grazia di Dio e la volontà della Nazione», che dovevano camminare insieme; ma ora non è ammissibile che, nella Costituzione di una Repubblica parlamentare, il Capo dello Stato partecipi direttamente alla formazione delle leggi.

BOZZI. Perché può sciogliere le Camere?

GULLO FAUSTO. Lasciamo stare. Noi parliamo della formazione delle leggi, che giustamente l’onorevole Bozzi dice essere la manifestazione più essenziale della sovranità.

Ricordo però all’Assemblea che all’articolo 70 del progetto c’è qualcosa. Esso dice:

«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno».

Un intervento di questo genere può considerarsi opportuno appunto perché è pienamente giustificato da un contrasto che può nascere fra le due Camere. L’onorevole Persico ha detto una cosa molto sensata quando ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea sull’eventualità di un altro contrasto che potrebbe sorgere. Che un contrasto sorga fra le due Camere è una cosa inevitabile, perché sono entrambe investite del potere di fare le leggi; ma creare la possibilità che sorga fra le due Camere ed il Capo dello Stato, conferendo al Capo dello Stato il potere di concorrere alla formazione delle leggi, significa creare la possibilità di un conflitto costituzionale, di cui bisogna senz’altro, fin da questo momento, calcolare la portata e l’importanza. Chi verrebbe a dirimere questo conflitto che può sorgere?

Ora, basterebbe solo questa considerazione, anche a prescindere per poco da quello che è l’aspetto centrale della questione. Noi siamo di fronte ad una Repubblica parlamentare, in cui la sovranità è rappresentata dalle due Camere cd alle due Camere spetta soltanto la potestà di fare le leggi. L’onorevole Bozzi si richiamava al fatto che noi riconosciamo al popolo il diritto di annullare la deliberazione delle due Camere; ma l’onorevole Bozzi dimenticava una cosa essenziale: la Costituzione parte dal principio che la sovranità risiede nel popolo, ed esclusivamente nel popolo. Che possa il popolo annullare, con un referendum, la deliberazione delle due Camere è una cosa che si spiega (vedremo poi in seguito se sia prudente ed opportuno sancire ciò nella Costituzione); non si contravviene al principio generale che è quello che la sovranità risiede nel popolo. Non mi spiegherei che questo potere dato al popolo possa essere dato anche al Presidente della Repubblica, che è eletto dalle Camere. In lui non risiede la sovranità, così come risiede nel popolo. Per queste ragioni siamo assolutamente contrari all’emendamento dell’onorevole Bozzi, così come siamo contrari a quello che diceva poco fa l’onorevole Targetti, cioè di rimandare la questione a quando si discuterà dei poteri da conferire al Capo dello Stato. Quali che siano questi poteri, qui è intanto da affermare un principio: che la potestà di fare le leggi risiede nelle Camere ed esclusivamente nelle Camere. Non è il caso di rinviare al momento in cui si discuterà dei poteri del Capo dello Stato. Al Capo dello Stato si potranno dare tutti i poteri che vorremo, tranne questo. Quindi un rinvio motivato, così come l’ha motivato l’onorevole Targetti, non si spiega. Lo spiegherei nel senso esposto dall’onorevole Ruini. L’onorevole Ruini, infatti, premette che debba essere affermato questo principio: che la facoltà di fare leggi risiede nelle Camere. Si vedrà dopo se è il caso di accettare un intervento di natura diversa da parte del Capo dello Stato. Chiediamo quindi che si respinga l’emendamento dell’onorevole Bozzi e si approvi la dizione del progetto così come è.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Vorrei fare presente che aderisco anch’io alla proposta del rinvio sulla questione di principio, perché non vorrei che si ragionasse in odio di questa o quella Costituzione.

Noi facciamo questo ragionamento: siccome nella Costituzione precedente era prevista la partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativa, qui dobbiamo escluderla.

È importante viceversa questo rinvio senza pregiudicare la questione, perché se escludessimo completamente il Capo dello Stato dalla funzione legislativa avremmo due conseguenze: la prima è che lo ridurremmo a semplice capo del potere esecutivo, contrariamente alle nostre intenzioni, perché vogliamo che sia il Capo dello Stato. E non è male, per evitare che si riduca a semplice capo del potere esecutivo, ammettere la sua partecipazione alla funzione legislativa.

Altra conseguenza è questa: che noi non potremmo mai evitare, secondo me e secondo molti studiosi, questa partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativa. Non potremmo evitarla, perché nessuno ha messo in dubbio la necessità di attribuire al Capo dello Stato la facoltà di promulgazione.

Si è molto discusso, e ritornerò sull’argomento fra poco, circa la natura della promulgazione.

Alcuni hanno sostenuto che si tratti di un atto amministrativo, ma molti hanno invece pensato e ritengono che si tratti di un atto legislativo. In altri termini, promulgare significa partecipare all’esercizio della funzione legislativa. E credo che tale tesi sia da accettare, perché occorre distinguere lo statuire dal documentare; statuire cioè fissare il contenuto della norma; documentare, ossia offrire un mezzo materiale da cui possa desumersi con certezza che cosa ha stabilito il legislatore.

Quindi la facoltà di promulgare, in realtà, implica una partecipazione all’esercizio della funzione legislativa, sia pure ad una attività meno elevata di quella del legislatore che statuisce. Ma ritengo, e ritengono molti, che si tratti anche qui di partecipazione alla funzione legislativa.

Penso, pertanto, che non manchino le ragioni per differire la questione, così da esaminarla allorché ci occuperemo dei poteri da attribuire al Capo dello Stato e della struttura da attribuire a tale organo nella nostra Costituzione. Altrimenti, come ripeto, da una parte, ridurremmo il Capo dello Stato a capo del potere esecutivo, contrariamente ai principî relativi al sistema parlamentare cui ha accennato l’oratore che mi ha preceduto, e, d’altro lato, escluderemmo la partecipazione del Capo dello Stato a quella attività legislativa meno elevata, ma sempre d’indole legislativa, che consiste nel promulgare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi sembrava che l’onorevole Bozzi non fosse contrario ad aderire alla mia preghiera e cioè di rimandare la questione di questo intervento del Capo dello Stato, ma non accettasse la formulazione del progetto. L’amico Targetti è intervenuto a fine di bene; ma ha mosso nuovamente le acque; e la questione è ancora in alto mare…

TARGETTI. No no, lei questo se lo immagina: riveda il testo stenografico: io non ho fatto nessuna proposta di rimandare!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Targetti, lei ha proposto di rimandare l’emendamento Bozzi. Al che io non posso consentire. Rimandare l’emendamento Bozzi significherebbe rimandare anche tutto l’articolo che deve essere invece approvato nella forma proposta; il che non pregiudica – se non nei riguardi della sanzione vera e propria; ed anche per questo la formulazione Bozzi è eccessiva – l’adozione di quelle forme di intervento del Capo dello Stato, a cui ho già accennato.

Votiamo dunque l’articolo, mentre l’onorevole Bozzi potrà prendere atto dell’affidamento che gli do – e che tutta l’Assemblea condivide – che riprenderemo in esame questo punto, sempre tenendo fermo che la formazione delle leggi appartiene soltanto alle due Camere.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Desidero ripetere che non vorrei che votando oggi l’articolo 67 si producesse una specie di preclusione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Dopo quanto è stato detto sull’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi, credo che non si possa fare altro se non rinviare la decisione e che non si possa accettare la proposta formulata or ora dall’onorevole Ruini, perché, accettandola, la questione sarebbe, almeno in parte, senza dubbio pregiudicata, nel senso che, se non si prevede una partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio della funzione legislativo, resta ex adverso fissato senz’altro il principio che tale esercizio spetta soltanto alle Camere, rimanendo esclusa una partecipazione attiva del Capo dello Stato.

L’onorevole Ruini ha detto che la possibilità di questo intervento non rimarrebbe esclusa.

Ma bisogna intenderci su questo punto, perché fissare ora il principio che il potere legislativo spetta alle due Camere vuol dire, anzitutto, che non si potrà mai più parlare di un potere di sanzione del Capo dello Stato, che il Capo dello Stato è fuori del potere legislativo e che potrà avere invece, se mai, solo un potere di opposizione, di veto, da manifestarsi in vari modi.

Ora a me sembra che su tale questione, che investe così profondamente quella dei poteri da attribuirsi al Capo dello Stato – e in modo particolare e specifico del potere di sanzione – non si possa prendere attualmente posizione se non ci si mette d’accordo prima sulla figura generale del Capo dello Stato, quale sarà delineata nel Titolo II della Parte II.

Secondo l’onorevole Gullo la questione riguarderebbe non la figura del Capo dello Stato ma l’essenza della Repubblica parlamentare. Non condivido questo punto di vista: la Repubblica parlamentare non implica infatti l’esistenza di due soli organi costituzionali, le assemblee legislative, né tanto meno che le Camere siano i soli organi sovrani. Anche il Presidente della Repubblica è evidentemente un organo costituzionale, e nulla impedisce che la Costituzione attribuisca al Presidente poteri costituzionali anche nel quadro del potere legislativo. In tal caso i principî della Repubblica parlamentare non sarebbero affatto violati. Non è esatto parlare di sovranità delle Camere. Qui si tratta di vedere se sia opportuno o meno un intervento in forma diretta del Capo dello Stato nella funzione legislativa.

Per risolvere la questione bisogna accordarsi prima sulla figura da dare al Capo dello Stato. Se prevarrà la concezione formalistica, che tende a limitare i poteri del Capo dello Stato, è evidente che sarà difficile attribuire al Presidente della Repubblica una partecipazione attiva alla funzione legislativa; se invece noi decideremo di fare del Capo dello Stato non una figura solo simbolica, ma un organo dotato di effettivi sostanziali poteri, potremo facilmente attribuirgli anche quello di partecipazione all’esercizio della funzione legislativa.

D’altra parte, la questione è collegata non soltanto con quella della figura e dei poteri del Capo dello Stato ma anche con l’altra della forma di elezione del Capo dello Stato stesso. È evidente infatti che, se noi vogliamo dare, ad esempio, un potere di sanzione al Capo dello Stato, bisognerà che esso sia di elezione popolare, perché non vedo altrimenti come egli potrebbe opporsi ad un voto delle Camere, che sono di elezione popolare.

Per tutte queste ragioni, ritengo opportuno il rinvio dell’esame e della votazione sull’articolo 67.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi sono dunque varie proposte. Vi è quella dell’onorevole Ruini, il quale chiede che si proceda per intanto all’approvazione dell’articolo 67, salvo esaminare il contenuto dell’emendamento dell’onorevole Bozzi in successione di tempo, quando cioè si dovranno stabilire i poteri del Capo dello Stato. Vi è poi la proposta dell’onorevole Tosato, nel senso di rinviare invece senz’altro l’esame dello stesso articolo 67, e conseguentemente dell’emendamento Bozzi.

Invito, il Presidente della Commissione a dichiarare se insiste nella richiesta di procedere alla votazione dell’articolo 67.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che la proposta di votare l’articolo 67, senza rimandarlo, sia perfettamente logica. Non così il rinviarlo. Ad ogni modo la questione ha più che altro un senso di tecnica formale. Anche se dovesse venire approvato il rinvio, resta fermo che non potremo mai ammettere, a suo tempo, una formula arcaica e superata come quella che era stata proposta dall’onorevole Bozzi, e consentire al Capo dello Stato interventi che ne facciano un partecipe del Parlamento.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Prego l’Assemblea di voler accogliere la proposta di sospensiva dell’onorevole Tosato. Una volta che la questione è venuta in discussione, essa è troppo grave perché possa essere risolta seduta stante; ed è risolta, se noi approviamo l’articolo 67 così come viene proposto. Credo anche che la questione sia talmente grave e delicata da richiedere la presenza di un numero di deputati maggiore di quello attuale.

PRESIDENTE. Ricordo che le proposte di sospensiva hanno la precedenza nelle votazioni. Pongo pertanto ai voti la proposta dell’onorevole Tosato di sospendere l’esame e la votazione dell’articolo 67.

(Dopo prova e controprova, con votazione per divisione, è approvata).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 17.

La seduta termina alle 13.20.