Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLIX.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDI

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Mozione della Camera dei deputati della Repubblica Argentina:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente .

Lucifero

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Targetti

Benvenuti

Tosato

Rodi

Gullo Fausto

Codacci Pisanelli

Nobile

Uberti

Mortati

Arcangeli

Persico

Colitto

Carpano Maglioli

Lami Starnuti

Preti

Perassi

Fuschini

Fabbri

Bozzi

Bertone

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in relazione al mandato conferitomi, ho chiamato a far parte della Commissione speciale per l’esame del disegno di legge sulla soppressione del Senato gli onorevoli Bonomi Ivanoe, Bozzi, Cifaldi, Clerici, Colitto, Costa, Giolitti, Gullo Fausto, Mortati, Nasi, Perassi, Rodinò Ugo, Rossi Paolo, Tosato, Valiani.

La Commissione è convocata per domani, giovedì, alle ore 15, nella sala della Commissione per i Trattati internazionali, per procedere alla propria costituzione e iniziare l’esame del provvedimento.

Mozione della Camera dei deputati della Repubblica Argentina.

PRESIDENTE. Comunico, che, in seguito al messaggio da me rivolto a nome dell’Assemblea Costituente, la Camera dei deputati della Repubblica Argentina ha votato all’unanimità la seguente mozione, alla quale avevano aderito tutti i partiti:

«La Camera dei deputati della Repubblica Argentina vedrebbe con soddisfazione la revisione delle clausole del Trattato col quale le Nazioni Unite hanno concluso la pace con la Repubblica Italiana e così pure che detta Repubblica sia ammessa quanto prima possibile nella Società delle Nazioni unite». (Vivi, generali applausi).

Questa risoluzione acquista il suo particolare significato per il fatto che essa è stata votata all’unanimità dalla Camera dei deputati della Repubblica Argentina, nella quale esiste tuttavia una forte opposizione contro il Governo ma che, nel caso specifico, ha fuso i suoi voti e le sue affermazioni con quelli delle altre forze rappresentate in quella Camera. Credo di interpretare il pensiero di tutti i colleghi esprimendo la nostra viva sodisfazione per l’accoglimento che il nostro messaggio ha ricevuto da parte della Camera rappresentativa della Repubblica Argentina. (Vivi generali applausi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

Stamane abbiamo approvato il primo comma dell’articolo 69 nel testo del progetto. L’Assemblea ha poi respinto l’emendamento aggiuntivo presentato dagli onorevoli Grieco e Laconi.

Passiamo ora alla votazione del secondo comma, nel nuovo testo proposto dalla Commissione:

«Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza».

(È approvato).

Passiamo alla votazione del terzo comma, così come è risultato nella elaborazione alla quale stamattina ha proceduto il Comitato di redazione, in base alle proposte di emendamento che ieri sono state svolte:

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione dei disegni di legge siano deferiti a Commissioni anche permanenti, costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari. Sarà sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione di opporsi a tale procedimento o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera. Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Chiedo scusa. Non ho il testo, ma se ho ben compreso dalla lettura che lei ne ha data, onorevole Presidente, il progetto di legge potrebbe essere approvato da queste Commissioni, emanazione della Camera, a meno che non fossero di opposto parere un decimo dei membri dell’Assemblea o un quinto dei membri della Commissione; dopo di che è detto che in tal caso la legge potrebbe andare all’approvazione dalla Camera senza discussione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è così.

LUCIFERO. Vorrei far osservare che vi sono due punti delicati: prima di tutto, il fatto nuovo delle Commissioni che possono deliberare, e questo, del resto, è stato già trattato; ma l’altro punto è questo: un certo numero di membri della Camera o della Commissione possono richiedere che l’approvazione della legge vada alla Camera, invece di essere deliberata in sede di Commissione, nel qual caso – dice la disposizione statutaria proposta – si tratterebbe di approvazione senza discussione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È detto «o».

LUCIFERO. Non è chiaro. Il guaio è che noi lavoriamo su un testo, che non abbiamo sott’occhio, cioè lavoriamo ad orecchio.

Io ho compreso questo, anche dalla seconda lettura fatta dal Presidente: che, a richiesta di una minoranza qualificata, l’approvazione della legge va alle Camere. Ora, se va alle Camere, la legge va per essere discussa. Questo non mi pare chiaro nel testo. Se non è chiaro nel testo, tengo di più a sottolineare il fatto, perché è evidente che, quando una minoranza qualificata chiede che una legge venga sottoposta alla Camera, lo chiede perché venga discussa.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il testo è stato concordato stamane. Il contenuto, che potrà essere chiarito nella forma, è che, quando in virtù del regolamento un disegno di legge dovrebbe andare alle Commissioni per l’esame e l’approvazione, allora o il Governo o un decimo della Camera o un quinto della Commissione possono chiedere: o che il disegno di legge vada tanto all’esame quanto all’approvazione della Camera o soltanto all’approvazione, ma senza discussione, della Camera stessa.

La minoranza qualificata può scegliere una delle due vie.

Quindi, è perfettamente garantito il diritto che non solo l’approvazione, ma anche l’esame vada alle Camere.

Riconosco che la forma potrebbe essere chiarita, nell’ultimo testo che i presentatori di emendamenti hanno concordato fra loro, rapidamente mentre io presiedevo la Commissione dei Settantacinque. Si vuol dire che è diritto del Governo o di un decimo della Camera o di un quinto del gruppo di chiedere che l’esame e l’approvazione siano attribuiti alla Camera o che a questa sia attribuita soltanto l’approvazione, senza discussione.

Questo è il concetto.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Questo concetto non è chiaro, mi lascia ancora perplesso.

Sono due tempi diversi; perché può accadere questo: o vi è la richiesta preventiva che si discuta alla Camera; ed allora si discute e si approva; oppure, nelle more, può succedere che il disegno di legge vada senza nessuna opposizione, alla Commissione competente; durante la discussione alla Commissione (ed è proprio il caso soprattutto dei membri della Commissione) o una minoranza qualificata dei membri della Commissione o una minoranza qualificata dei membri della Camera chiede che la competenza sia devoluta alla Camera. Allora, io non capisco questo voto senza discussione.

La prima ipotesi si riferisce ad un caso diverso, cioè che il Governo o questo certo numero di deputati non voglia adire quella tale procedura. Abbiamo due possibilità: quella di adire la procedura e quella di non adire quella procedura speciale. Così, almeno, risulta dalla prima alternativa. La seconda alternativa non specifica molto bene che cosa voglia; non è chiaro, perché può succedere che si deliberi di adire la procedura della Commissione speciale e successivamente, per ragioni sopravvenute, si voglia tornare alla Camera; ed allora si torna alla Camera evidentemente per la discussione.

Chiedo semplicemente che si adotti un testo, per il quale non possa succedere quello che tante volte succede: cioè che ci si abbandoni a certe sottilizzazioni bizantine su testi poco chiari, le quali tendono a falsare la volontà del legislatore. Perciò mi pare che non si possa acconsentire a questa formula.

PRESIDENTE. Ritengo che comunque questa redazione dovrebbe essere modificata, se in realtà essa, come ha riconosciuto l’onorevole Ruini, può dar luogo ad equivoci nell’interpretazione nell’ultima parte del testo.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Mi associo alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Lucifero e ritengo necessaria una maggiore chiarezza nel tenore della disposizione. Vorrei fare un’obiezione: quando si dice «senza discussione», si intende dire anche senza dichiarazioni di voto? È una cosa molto diversa, si capisce. Deve essere una scena muta o deve essere permesso di fare dichiarazioni di voto, cioè spiegare perché si vota sì o perché si vota no? Inoltre questa disposizione importa evidentemente una delega di poteri alle Commissioni. Io mi chiedo: questa delega si può fare per qualsiasi disegno di legge, per esempio, anche per il bilancio?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, perché c’è l’ultimo comma il quale resta in piedi.

TARGETTI. Allora restiamo d’accordo che conserviamo l’ultimo comma. Bisogna dirlo.

PRESIDENTE. Vediamo se l’interpretazione data dall’onorevole Lucifero è possibile, considerato il testo proposto, che rileggo: «Sarà sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione di opporsi a tale procedimento (cioè al procedimento per cui l’esame e l’approvazione sia deferita alle Commissioni) o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera». Mi pare che, stando a questo testo, l’interpretazione data dall’onorevole Lucifero sia giustificata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non avevo visto il testo che, con un po’ di buona volontà, si può chiarire e credo che il dubbio dell’onorevole Lucifero si possa superare, sostituendo alla parola «opporsi» le altre parole che ho testé accennate. L’«opposta richiesta» può farsi, sia prima che il progetto vada alla Commissione, sia nel corso dei suoi lavori. Potrebbe intendersi che ciò sia implicito. Se si crede opportuno dirlo, mi impegno pel Comitato, onorevole Lucifero, a stendere in tal senso l’aggiunta all’articolo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Sono perfettamente d’accordo con lei, onorevole Ruini; quello che non è d’accordo con noi due è questo testo. Bisogna chiarirlo. Abbiamo già avuto eleganti accademie in materia regolamentare e potrebbe darsi che avessimo eleganti accademie in materia costituzionale, e potremmo sentir dire che, visto che un progetto di legge è stato devoluto alla Commissione speciale, la Camera se ne è spogliata. Io non sono affatto contrario al concetto di un decentramento legislativo, che ritengo indispensabile e che per primo ho sostenuto in quest’Aula, ma voglio che esso sia regolato in modo da garantire il funzionamento delle Assemblee ed i diritti delle minoranze.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della. Commissione per la Costituzione. Io credo che il testo si può intendere con una logica molto semplice. Si può aggiungere: «prima o durante i lavori della Commissione»; sarebbe questa una frase di indiscutibile chiarezza.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Volevo chiedere questo al Presidente della Commissione: a me sembra che sarebbe indispensabile stabilire un termine preciso e perentorio, sino alla scadenza del quale può esser chiesta la discussione in Assemblea. Ed a me sembra che tale termine dovrebbe scadere successivamente al deposito del disegno di legge approvato dalla Commissione. Infatti è soltanto dopo che la Commissione avrà discusso ed approvato il disegno di legge, è da quel momento in poi che potrà interessare di richiamare su di esso l’esame dell’Assemblea, perché essa abbia a decidere pro o contro.

Chiedo che il testo sia chiarito in questo senso.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Io ieri sera avevo presentato un emendamento che era sostitutivo dell’intero articolo 69.

Per quanto mi riguarda personalmente, io debbo dichiarare che non rinuncio all’emendamento presentato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dichiarare all’onorevole Benvenuti che quello che egli chiede è tema di Regolamento. Noi siamo arrivati a mettere già troppe questioni di dettaglio nella Carta costituzionale, e l’abbiamo fatto per chiarire tutti i dubbi. Ma si dovrebbe trattare soltanto di principî generali. La disposizione che ora si invoca è qualcosa di così particolare che deve essere messo, indubbiamente, nel Regolamento e non nella Costituzione.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Stando al testo Lucifero, soltanto durante la discussione si può adire la procedura eccezionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche «prima».

BENVENUTI. Quindi non successivamente all’approvazione da parte della Commissione. Qui sta il punto del netto dissenso; che è sostanziale, non regolamentare.

Affermo cioè che proprio sul testo definitivo deve sempre poter pronunciarsi il potere sovrano dell’Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io vorrei pregare l’onorevole Benvenuti di non insistere, se no dovrei chiedere all’Assemblea di respingere la sua proposta, che potrà invece essere stabilita nel Regolamento.

Prendo atto di quanto ha detto l’onorevole Tosato, ma egli deve tener conto che anche gli amici della sua parte si sono impegnati a votare il nuovo testo, e prego l’onorevole Dominedò, che gli è vicino, di volerglielo dire.

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, la sua dichiarazione giunge un po’ tardi, perché è chiaro che, dopo che abbiamo votato il secondo comma, così come risulta dal testo originale della Commissione, il suo emendamento non ha più possibilità di essere messo ai voti. Noi abbiamo votato la seguente disposizione:

«Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza».

La sua proposta è la seguente: «Il Regolamento di ciascuna Camera disciplina i procedimenti ordinari e abbreviati per l’esame e l’approvazione dei disegni di legge».

Vi si parla, dunque, di procedimenti abbreviati come nel comma già approvato si parla delle disposizioni delle quali sia dichiarata l’urgenza.

TOSATO. Volevo soltanto dire che non avevo rinunciato.

PRESIDENTE. Sta bene.

Comunico che l’onorevole Lucifero, ha proposto la seguente dizione della seconda parte del comma in esame, in quanto la prima parte non ha dato luogo a discussioni. La dizione è accettata, nella sostanza, dalla Commissione, salvo eventuali modificazioni di forma:

«Sarà sempre consentito al Governo o ad un decimo dei membri della Camera o a un quinto dei membri della Commissione, in qualunque momento fino all’approvazione definitiva del testo di legge, di richiedere che si ritorni al normale procedi mento o di richiedere che il voto finale sull disegno sia dato senza discussione della Camera».

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Credo che sia superflua l’ultima parte del comma, perché l’Assemblea stessa dovrà decidere se deve ancora discutere sulla legge o se deve approvare senza discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Rodi, nel testo proposto si vuole affermare che l’Assemblea in quel momento non possa più decidere di seguire una via o l’altra, ma debba votare senza discussione.

RODI. Chiedo che il comma sia votato per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la prima parte:

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione di leggi siano deferiti a Commissioni anche permanenti, costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari».

(È approvata).

Pongo in votazione la seconda parte nel testo proposto dall’onorevole Lucifero così divisa:

«Sarà sempre consentito al Governo o ad un decimo dei membri della Camera o a un quinto dei membri della Commissione, in qualunque momento fino all’approvazione definitiva del testo di legge, di richiedere che si ritorni al procedimento normale».

(È approvata).

Passiamo all’ultima espressione della seconda parte:

«o di richiedere che il voto finale sul disegno sia dato senza discussione dalla Camera».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io voterò a favore del mantenimento di questa espressione, perché si riferisce a un caso specifico: cioè al caso in cui la Commissione, pur essendo arrivata fino all’ultima elaborazione del progetto di legge, ritenga che esso abbia importanza tale da dovergli dare il crisma dell’Assemblea. Una maggioranza uguale potrà sempre chiedere la discussione perché il testo definitivo, in base a quanto abbiamo deliberato nella parte precedente, non è stato fatto. Quindi sarà bene mantenerla perché può essere una procedura intermedia fra la rielaborazione ed una accettazione più vasta da parte dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Sta bene. La pongo in votazione.

(È approvata).

Pongo in votazione l’ultima parte del terzo comma:

«Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni».

(È approvata).

Passiamo all’ultimo comma dell’articolo 69 nel testo dell’emendamento Perassi, accettato dalla Commissione:

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei pregare di aggiungere le leggi elettorali; perché le leggi elettorali, anche nell’ultima legge del 1946, non sono considerate leggi costituzionali. Secondo me, lo sono; ma questa è una questione dottrinaria. Visto che non sono considerate leggi costituzionali da tutti, non rientrerebbero in nessuna di queste categorie.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accettiamo.

PRESIDENTE. Allora si aggiunge: «…in materia costituzionale ed elettorale».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Vorrei sapere per quale ragione si dice: «materia costituzionale». Non intendo il significato di questo termine, dato anche che l’elaborazione delle modifiche alla Costituzione deve seguire una procedura speciale.

PRESIDENTE. Forse, ci si vuole riferire a certe leggi previste dallo stesso testo della Costituzione, il quale stabilisce appunto che esse dovranno avere un valore costituzionale. Non le elaborerà certamente l’Assemblea Costituente; ma quelle leggi, che le future Assemblee legislative approveranno dietro mandato dell’Assemblea Costituente, sono leggi costituzionali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Gullo, per la questione delle cosiddette leggi costituzionali, abbiamo detto più volte che si sarebbe veduta e decisa alla fine, nel Titolo sulle garanzie costituzionali. Nel nostro progetto contempliamo più casi, ad esempio, l’ordinamento giudiziario: in cui la legge regolatrice deve essere votata con un certo quorum, e ciò perché il tema ha importanza costituzionale. Si chiamano «leggi costituzionali» quelle che, pur non essendo parte della Costituzione, attengono a particolari materie, di una tale importanza, che devono essere votate con certe garanzie costituzionali. Nella famosa scala di tutte le norme a cui abbiamo più volte accennato nel corso dei nostri lavori, vi è per prima la Costituzione, poi le leggi costituzionali, poi le leggi ordinarie e così via. Si tratterà, ripeto, a suo luogo di definire meglio cos’è legge costituzionale.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Desidererei ulteriormente chiarire questo punto. Vorrei, cioè, far rilevare che, oltre a queste leggi di natura costituzionale cui si è ora accennato, ve ne sono altre, quelle che concernono eventuali modifiche della Costituzione, giacché noi abbiamo previsto, attraverso un procedimento particolare, la possibilità di modifiche alla Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene, anche quelle.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei che venisse precisata questa delegazione di poteri legislativi. Ho voluto interpellare al riguardo anche autorevoli membri della Commissione ed essi pure si sono mostrati del mio avviso. È bensì vero che c’è l’articolo 74; ma io penso che un richiamo ad esso sia necessario, se non nell’articolo, almeno nella discussione.

E questo perché noi abbiamo ripreso una vecchia formula classica della delegazione dei poteri, come quella, per esempio, usata per la compilazione dei Codici; ma nel frattempo è venuta la nuova pratica del potere legislativo al Governo, instaurata con la legge del 1944, cosicché il termine ha assunto un nuovo significato e una nuova prassi.

Ritengo quindi che un richiamo in questa sede sia necessario, perché queste deleghe di poteri legislativi sdrucciolano facilmente nei pieni poteri e si sa poi dove si va a finire.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere al riguardo il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non esageriamo. Le citazioni ed i richiami di altri articoli e commi di articolo finirebbero con il rendere la Costituzione un po’ come un regolamento municipale. A me pare che basti la dichiarazione che queste deleghe di potere legislativo restano contenute nei limiti dell’articolo 74.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei domandare, per mia soddisfazione, se non sia il caso di aggiungere che non si può derogare dal procedimento ordinario anche per le materie di cui è aggetto l’articolo 75.

Nell’articolo 75 si parla di entrata in guerra, amnistia e indulto; ora, a me pare che anche per questi casi non si possa derogare dal procedimento ordinario.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini a esprimere anche a questo riguardo il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Osservo innanzitutto all’onorevole Nobile che questa è materia dell’Assemblea Nazionale, al cui esame non siamo ancora pervenuti; osservo, in secondo luogo, che si tratta di leggi speciali che dovranno essere votate articolo per articolo. Posso quindi dare all’onorevole Nobile l’assicurazione desiderata.

UBERTI. E le leggi tributarie?

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuol rispondere per la Commissione anche a questa obiezione dell’onorevole Uberti?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Uberti, noi non abbiamo ammesso le leggi tributarie perché esse inferiscono in un campo così vasto, così complesso, che l’escludere per esse sempre la procedura delle Commissioni potrebbe portare a ritardi che invece conviene evitare.

Si vedrà, secondo la diversa importanza che le leggi tributarie possono rivestire, se esse andranno trattate in un modo o nell’altro. Vi sono infatti delle leggi tributarie che hanno un’importanza così piccola, minima, che il Regolamento può deferirle all’apposita Commissione, salva sempre la facoltà del Governo o di una piccola parte dei membri delle Camere di far riserbare anche queste leggi, caso per caso, alla Camera tutt’intera

Mi pare che con questo chiarimento possa essere tranquillo.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Propongo che almeno si sancisca il divieto di deroga per le leggi che impongono nuovi tributi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nuovi tributi? E quando si modificano in senso profondo e sostanziale vecchi tributi? Non può essere più importante che lo stabilire tributi nuovi?

PRESIDENTE. Mi pare che ci si dimentichi la possibilità lasciata aperta dal comma precedente, per la quale qualunque disegno di legge, su qualunque materia, può essere sottratto a questa procedura di carattere, direi, eccezionale, e rimesso nel ciclo della procedura ordinaria.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Una sola parola all’onorevole Tosato. Il Regolamento stabilirà i casi in cui le leggi tributarie dovranno essere sempre riservate alla Camera e i casi in cui potranno invece essere deferite alle Commissioni, salvo sempre, anche per tali ultimi casi, la facoltà di seguire la prima via.

Imposizioni tributarie e leggi tributarie sono concetti molto elastici; si vedrà in sede di Regolamento quale determinazione potrà farsi per questa distinzione.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Chiedo anzitutto che il comma si voti per divisione. A proposito poi della questione sollevata dall’onorevole Gullo, a me sembra che i chiarimenti dati dall’onorevole Ruini non siano troppo persuasivi. Perciò, per risolvere la questione nel modo migliore, ai fini dell’interpretazione della norma, io direi, invece di «disegni di legge in materia costituzionale» – che è molto equivoco – «disegni di legge per i quali è prescritta una maggioranza speciale».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, non è possibile.

MORTATI. La sua tesi non è esatta, onorevole Ruini, perché non può chiamarsi materia costituzionale quella per la cui disciplina occorre solo una maggioranza qualificata, e non la revisione costituzionale. Materia costituzionale significa quella per la quale il mutamento può avvenire con mutamento della Costituzione. Ad ogni modo, è una proposta.

PRESIDENTE. Lei la propone formalmente, come emendamento?

MORTATI. Sì, come emendamento. Oppure, la cosa migliore sarebbe sopprimere le parole «materia costituzionale», perché è ovvio che si tratti di materia non delegabile, in quanto segue una procedura speciale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne abbiamo parlato più volte, e l’onorevole Mortati sa che ci siamo sempre riservati di rivedere la questione in linea definitiva. Anzi, avevo pregato anche lui di studiarla. Ad ogni modo non possiamo stabilire il concetto della maggioranza speciale, della maggioranza qualificata, per il caso che egli propone.

PRESIDENTE. Sta bene. Procediamo alla votazione per divisione. La proposta soppressiva dell’onorevole Mortati si farà valere in tanto, in quanto si voterà contro questa formula.

Pongo in votazione la prima parte del comma:

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale».

(È approvata).

Pongo in votazione le parole: «ed elettorale».

(Sono approvate).

Passiamo alla votazione delle parole: «e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi».

LUCIFERO. Chiedo se si tratta di bilanci consuntivi soltanto o anche di quelli preventivi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’intitolazione dei disegni di legge sui bilanci preventivi è «Stato di previsione». Si parla genericamente di bilancio, ma bilancio significa tanto preventivo quanto consuntivo.

ARCANGELI. Mi dispiace che questo lo dica l’onorevole Ruini, ma non è così. Tecnicamente i bilanci sono di diversa natura.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole collega, si potrebbe benissimo mettere «bilanci» in forma sintetica, e sarebbe la cosa più semplice. Così avevo proposto io. Ma siccome in Commissione fu proposto di distinguere in qualche modo, si disse: bilanci e consuntivi. Non si può essere dubbio sostanziale. Volete mettere invece: «stato di previsione e conti consuntivi?». O metter soltanto «bilanci?»?

ARCANGELI. È molto più comprensivo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costruzione. Nella revisione finale si potranno veder meglio queste forme. Quello che importa, e che l’onorevole Lucifero teneva a rilevare, è che qui si intendono i bilanci nei due momenti della previsione e del consuntivo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole: «e quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

(Sono approvate).

Do lettura dell’intero testo approvato (salvo coordinamento) dell’articolo 69:

«Ogni disegno di legge deve essere previamente esaminato da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del rispettivo Regolamento; e deve essere approvato dalle Camere, articolo per articolo e con votazione finale.

«Il Regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per l’esame e l’approvazione di disegni di legge, dei quali sia dichiarata l’urgenza.

«Il Regolamento può altresì stabilire i casi e le forme in cui l’esame e l’approvazione di disegni di legge siano deferiti a Commissioni anche permanenti costituite in modo da rispettare la proporzione dei Gruppi parlamentari. Sarà sempre consentito al Governo o a un decimo dei membri della Camera o ad un quinto dei membri della Commissione in qualunque momento fino all’approvazione definitiva del testo di legge di richiedere che si ritorni al normale procedimento o di richiedere che il voto finale sul disegno di legge sia dato senza discussione dalla Camera. Il Regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.

«Il procedimento preveduto dal primo comma non può essere derogato per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli concernenti l’approvazione di bilanci e di rendiconti consuntivi, l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali e la delegazione di poteri legislativi al Governo».

Passiamo all’articolo 70. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra, che deve pronunciarsi entro tre mesi dal giorno che li ha ricevuti. Il termine può essere variato per accordo delle Camere.

«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno. Se non si pronuncia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra, che deve pronunciarsi entro tre mesi dal giorno in cui li ha ricevuti, o nel termine diverso stabilito dalla Camera che ha approvato il disegno di legge.

«Il disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, sul quale il Senato non si sia pronunciato nel termine stabilito, è promulgato quale legge se la Camera dei deputati lo approvi una seconda volta.

«Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sia respinto o modificato dal Senato, è promulgato come legge se la Camera dei deputati lo approva nuovamente a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

«Quando la Camera dei deputati non si pronunci o rigetti o modifichi un disegno di legge approvato dal Senato e questo rinnovi la sua approvazione, il disegno è promulgato come legge nel testo approvato dal Senato, salvo che entro tre mesi la Camera dei deputati non deliberi nuovamente, a maggioranza assoluta dei suoi membri, nel qual caso il disegno è definitivamente respinto o viene promulgato nel testo approvato dalla Camera dei deputati».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

PERSICO. Onorevoli colleghi, l’articolo 70 ha, secondo me, una portata di grande rilievo, perché è diretto a dirimere e a risolvere tutti quei conflitti che possono nascere fra i deliberati contrastanti delle due Camere; e, nel testo proposto dal progetto della Commissione dei settantacinque, interferisce in questa soluzione anche l’attività specifica del Presidente della Repubblica.

Ho creduto col mio emendamento di seguire un sistema totalmente diverso; e quindi richiamo molto brevemente l’attenzione dei colleghi sulla portata di questo emendamento sostitutivo.

Le parti dell’articolo 70 sono due. Gioverà esaminarle separatamente.

Sulla prima mi sono limitato ad un piccolo ritocco che ho ritenuto necessario per la chiarezza.

Dice il testo: «I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra, che deve pronunciarsi entro tre mesi dal giorno che li ha ricevuti». E fin qui siamo d’accordo.

Poi c’è un’aggiunta: «Il termine può essere variato per accordo delle Camere».

Ecco il punto che io ho creduto di modificare in questo senso: o nei tre mesi, o nel termine diverso stabilito dalla Camera che ha approvato il disegno di legge. Perché sarebbe strano che, per arrivare ad un termine più lungo dei tre mesi, si dovessero riunire le due Camere per mettersi d’accordo (e non so come si dovrebbe fare, se con due votazioni distinte sommando le votazioni, o riunendo l’Assemblea Nazionale).

Poiché la variazione di questo termine può essere di quattro, di cinque, di sei mesi, mi sembra più logico che il ramo del Parlamento che ha approvato il disegno di legge se, per la speciale complessità della materia, o per indagini che importino accertamenti statistici od economici, di situazioni locali e simili, per i quali sia necessario un maggior lasso di tempo, ritiene che i tre mesi non siano sufficienti perché l’altro ramo del Parlamento possa votare con completa cognizione di causa debba esso stesso stabilire quel termine diverso che ritenga necessario.

Non capisco come si possa complicare questa situazione pratica con una pronunzia che dovrebbero fare d’accordo le due Camere: o, ripeto, sommando i voti, o incomodando l’Assemblea Nazionale per tanto poca cosa.

Quindi mi sembra più logico dire: o tre mesi, o il termine diverso proposto dalla Camera che ha approvato il disegno di legge.

E su questo punto mi auguro che non ci sia discussione.

Più grave è la modifica alla seconda parlo dell’articolo 70, anche perché si tratta di una procedura molto complicata.

Io ho diviso questo secondo capoverso del progetto nel mio emendamento in tre capoversi distinti, contemplando tutte le ipotesi possibili. Invece, nel testo, riunendole tutte in un unico capoverso, si finisce per fare una certa confusione, per lo meno apparente, perché si dice:

«Quando una Camera non si pronunzia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra» – prima ipotesi «o quando lo rigetta» – seconda ipotesi – «il Presidente della Repubblica può» – quindi si tratta di una facoltà che egli potrebbe anche non esercitare – «chiedere che la Camera stessa» (cioè una delle due Camere, o la Camera dei Deputati o il Senato) «si pronunci o riesamini il disegno». Si pronunci, se non si è pronunziata; riesamini, se ha già esaminato.

Poi continua: «Se non si pronunzia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente» – quindi si fa il caso che quel dato ramo del Parlamento seguiti a non pronunziarsi, nonostante che il Capo dello Stato l’abbia invitato a pronunziarsi; oppure che confermi la sua precedente deliberazione – «il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

Il Presidente della Repubblica ha facoltà: è dunque una potestà, una facoltà che egli può anche non esercitare, e, se non l’esercita, evidentemente rimane tutto sospeso.

Basta questa semplice lettura per far comprendere la complicazione di questo meccanismo che io non vedo come praticamente possa funzionare. Intanto è tutto facoltativo: «può», «ha facoltà», ccc., ecc. Si fa intervenire come organo di formazione della legge il Presidente della Repubblica che ieri la maggioranza dei colleghi riteneva che fosse meglio lasciare fuori dagli organi legislativi.

L’onorevole Bozzi ha proposto che il Presidente della Repubblica divenga invece quello che gli inglesi dicono, la terza Camera»; ma a me sembra che la maggioranza dei colleghi, per quanto abbia approvato la sospensiva, che lascia quindi ancora aperta un’eventuale diversa decisione sulla questione, sia contraria all’emendamento Bozzi. Comunque, io ho sostenuto che il Presidente della Repubblica non deve essere uno degli organi che formano la legge. Deve essere l’organo che la promulga e che le dà il crisma dell’applicabilità.

Ma questa è una questione che non entra direttamente nella presente discussione. Però se approvassimo il testo dell’articolo 70, decideremmo senz’altro che il Presidente della Repubblica entra nella formazione delle leggi ed implicitamente approveremmo l’emendamento Bozzi. Quindi verremmo ad approvare oggi quello che ieri sembrava non volessimo approvare, e che all’ultimo momento abbiamo accantonato per meglio studiare la questione. Conseguentemente ho creduto opportuno sostituire al difficile meccanismo del progetto un meccanismo assai più semplice, che aderisce alla realtà e rende più facile la formazione delle leggi; se no, avremmo una quantità di leggi arenate, insabbiate. Ho creduto molto più semplice dividere i casi che si possono presentare in tre ipotesi, e quindi ho formulato tre capoversi:

Prima ipotesi. Un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, sul quale il Senato non si è pronunciato nel termine stabilito, cioè non ha voluto esercitare la sua facoltà di riesaminare la legge, è promulgato se la Camera dei deputati l’approva una seconda volta. Due volte la Camera dei deputati ha approvato, e quindi la legge è approvata senz’altro. In questa ipotesi noi avremmo sanato il conflitto latente fra Camera e Senato, «latente» perché non si è esplicato. Il Senato non ha usato la sua facoltà di riesame, ma la Camera approva la seconda volta e quindi si sostituisce al Senato. Invece di aversi una legge approvata dalla Camera e dal Senato, si avrà una legge approvata due volte dalla Camera.

Seconda ipotesi. Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati è respinto o modificato dal Senato (questi sono gli altri due casi), allora, senza incomodare il Presidente della Repubblica o altre autorità dello Stato, il disegno stesso è promulgato come legge se la Camera dei Deputati lo approva nuovamente a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Nel primo caso non c’è stata la pronuncia del Senato, e quindi basta che la Camera l’approvi una seconda volta; in questo secondo caso, quando il Senato ha respinto o ha modificato, bisogna che la Camera dei Deputati approvi a maggioranza assoluta, cioè con una maggioranza qualificata, anzi direi qualificatissima, perché avere la maggioranza assoluta dei deputati in una seduta della Camera è cosa molto difficile. Bisognerà convocarla con uno speciale avvertimento perché si possa avere la maggioranza assoluta. Se la Camera aveva approvato, il Senato aveva modificato o respinto, e la Camera non approva, è evidente che si convince che è meglio non dar corso al disegno di legge; e questo decade.

Terza ipotesi, ultima e più complicata: «Quando la Camera dei deputati non si pronunci o rigetti o modifichi un disegno di legge approvato dal Senato (quindi è il caso inverso di quelli prima esaminati) e questo rinnovi la sua approvazione, il disegno di legge è promulgato come legge nel testo approvato dal Senato, salvo che, entro tre mesi, la Camera dei deputati non deliberi nuovamente, a maggioranza assoluta dei suoi membri, nel qual caso il disegno è definitivamente respinto o viene promulgato nel testo approvato dalla Camera dei deputati.

A me sembra, onorevoli colleghi, che la costruzione del mio emendamento può apparire complicata, mentre in pratica è semplicissima, perché aderente alla realtà. Non fa intervenire il Presidente della Repubblica, né fa indire un referendum popolare e risolve tutti i conflitti nell’ambito delle due Camere.

In questo vicendevole scambio di approvazioni o di rigetti di disegni di legge sì viene a formare la prevalenza o della Camera o del Senato. È un sistema totalmente diverso da quello dell’articolo 70 del progetto. Quindi, io richiamo l’attenzione dei colleghi perché vogliano esaminare attentamente la mia proposta.

Secondo me, essa rende rapida la soluzione degli eventuali conflitti fra i due rami del Parlamento, elimina l’intervento del Presidente della Repubblica, che potrebbe anche diminuirne l’altissimo prestigio, in quanto sarebbe spesso necessario chiamarlo ad intervenire; elimina il referendum popolare, che è un’altra complicazione, per cui noi avremmo, oltre le leggi che dovranno necessariamente essere portate al referendum, una quantità di altre leggi minori per risolvere i casi di conflitti; e ci troveremmo nella situazione della Svizzera, che quasi ogni due domeniche svolge un referendum popolare. La Svizzera è un paese piccolo, abituato a questo sistema; ma immaginate se in Italia avessimo un referendum popolare, per esempio, sulla legge dei bachi da seta, o su quella delle cartine per sigarette! È assurdo.

Quindi richiamo la benevola attenzione dei colleghi su questo articolo sostitutivo che, secondo me, risolve tutte le questioni, e le risolve nel modo più semplice, senza complicarle, rendendo facile, agevole e rapido il lavoro legislativo. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Colitto, del seguente tenore:

«Sostituire, nel primo rigo, alla parola: approvati, le parole: esaminati e votati».

L’onorevole Colitto ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Dirò molto brevemente le ragioni alle quali è affidata la difesa del mio breve emendamento. L’articolo 70 del progetto dispone che i disegni di legge devono essere trasmessi per il necessario esame e l’eventuale approvazione da una Camera all’altra. Si afferma, però, in questo articolo che l’una Camera deve trasmetterli all’altra soltanto quando dalla prima siano stati approvati.

L’articolo 70 è, infatti, redatto cosi: «I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra».

Che accadrà, io mi domando, nel caso in cui una Camera non li abbia approvati?

Stando alla dizione del progetto, i disegni di legge non dovrebbero essere trasmessi all’altra Camera.

Io penso, invece, che il disegno di legge, anche se non approvato, debba essere ugualmente trasmesso; perché, disapprovato dalla prima Camera, potrebbe essere approvato dalla seconda; a seguito di che il Capo dello Stato potrebbe esercitare la facoltà indicata nel primo capoverso dell’articolo 70, cioè chiedere che la prima Camera riesamini il disegno di legge, e, nel caso in cui la prima Camera confermi la precedente deliberazione, indire il referendum popolare sul disegno di legge non approvato.

A mio avviso, insomma, è necessario che il Capo dello Stato, perché possa o esortare una Camera al riesame del progetto o indire il referendum, si trovi di fronte al risultato dell’esame del progetto compiuto da entrambe le Camere.

Ma ciò non sarà possibile, ove resti fermo il testo del progetto, perché, secondo il progetto, i disegni di legge sarebbero trasmessi dall’una all’altra Camera solo se dalla prima approvati.

Non comprendo come mai il capoverso dell’articolo 70 dovrebbe essere applicato quando un disegno di legge è approvato dalla prima Camera e rigettato dalla seconda, e non quando sia rigettato dalla prima e approvato dalla seconda.

Il capoverso dell’articolo 70 è redatto così:

«Quando una Camera non si pronuncia entro il termine stabilito sopra un disegno di legge approvato dall’altra, o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunci o riesamini il disegno. Se non si pronuncia o se con la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

Ora io mi domando: perché mai il Presidente della Repubblica può chiedere il riesame, quando la prima Camera approvi e la seconda rigetti, e non quando la prima rigetti e la seconda approvi?

GULLO FAUSTO. Non si è manifestato il contrasto. Il Senato, se vuol discutere il disegno di legge, se ne fa iniziatore.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È una rivoluzione la sua, onorevole Colitto.

COLITTO. Sarà. Ma io insisto. È perciò che io penso che alla parola «approvati» si debbano sostituire le altre «esaminati e votati», così come è stato da me proposto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Targetti, Carpano Maglioli, Priolo, Costa, Vernocchi, Nobili Tito Oro e Cosattini, hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: da una Camera, sostituire: dalla Camera dei Deputati».

«Dopo la parola: altra, aggiungere: Camera».

«Sostituire il secondo comma con i seguenti:

«Un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sul quale il Senato della Repubblica non si sia pronunciato nel termine stabilito è promulgato quale legge se la Camera dei deputati lo approvi con una seconda votazione.

«Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sia respinto o modificato dal Senato della Repubblica, viene ugualmente promulgato come legge, qualora la Camera dei deputati, dopo aver preso conoscenza dell’avviso del Senato, lo abbia nuovamente approvato a maggioranza dei suoi membri».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerli.

CARPANO MAGLIOLI. Onorevoli colleghi. Il nostro emendamento, che ha molta analogia con quello svolto testé dal collega onorevole Persico, si presenta così lineare e semplice da non richiedere ampiezza di trattazione e di chiarimento. Il nostro emendamento, anzi i nostri due emendamenti ai due commi tendono essenzialmente a questo scopo: regolare i rapporti tra la Camera e il Senato in modo obiettivo, sì da impedire gare, rivalità e contrasti, segnando limiti precisi in modo da avere il massimo rendimento dell’istituto parlamentare col fissare i singoli rapporti di interdipendenza fra le attività delle due Camere.

Con il primo emendamento noi proponiamo che alle parole: «I disegni di legge approvati da una Camera» si sostituiscano le parole: «…approvati dalla Camera dei deputati». Infine, dopo la parola: «altra», si aggiunga la parola «Camera». Lo scopo di questo nostro emendamento è chiaro. Con il progetto della Commissione vi è una contemporaneità di iniziative tra la Camera ed il Senato, con la possibilità di gare e di contrasti. Con il nostro emendamento noi tendiamo a superare questi contrasti ed a superare altresì il concetto della contemporaneità delle due funzioni, indicando una procedura lineare e semplice. Ogni disegno di legge naturalmente passerà poi al Senato ed avrà il vaglio di questa seconda Camera, con tutte le garanzie necessarie perché effettivamente il Senato porti il suo contributo alla più razionale formazione delle leggi.

Più importante e più complesso è l’emendamento che riflette il secondo comma. Esso tende a regolare l’eventualità di conflitti fra la Camera ed il Senato, siano essi positivi come negativi.

Secondo il progetto, quando una Camera non si pronunzia entro il termine stabilito su un disegno di legge approvato dall’altra o quando lo rigetta, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera stessa si pronunzi o riesamini il disegno non approvato. Quindi arbitro di ogni contrasto è in definitiva, il Presidente della Repubblica.

Secondo il progetto sia nell’eventualità di contrasto negativo – una Camera non si pronunzia nel termine stabilito – sia nel caso di contrasto positivo, rigetto, vi è la facoltà costante del Presidente di sollecitare dall’altra Camera pronunzia o riesame; se non si pronunzia o se conferma la precedente deliberazione, il Presidente della Repubblica può indire il referendum sul disegno non approvato.

Il nostro emendamento offre soluzione semplice, facile e lineare, sia nei riflessi di conflitto negativo che nei riflessi di conflitto positivo.

Dice l’emendamento: «Un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, sul quale il Senato della Repubblica non si sia pronunciato nel termine stabilito, è promulgato quale legge se la Camera dei deputati lo approvi con una seconda votazione». Sostanzialmente, decorso infruttuosamente il termine stabilito per l’esame del Senato, vi è decadenza da parte del Senato. Con questo la legge non è ancora promulgata, ma è necessaria, per la sua promulgazione, una seconda approvazione da parte della Camera dei deputati, la quale, indubbiamente, non potrà non tener conto del contegno del Senato. È chiaro come questa soluzione superi incertezze, contrasti e dubbi. Nell’eventualità di conflitto positivo, cioè che il Senato respinga o modifichi un disegno di legge trasmesso dalla Camera dei deputati, secondo il nostro emendamento la soluzione proposta appare logica, razionale, accettabile. Infatti, dice il nostro emendamento: «Ove un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sia respinto o modificato dal Senato della Repubblica, viene ugualmente promulgato come legge, qualora» – ecco la condizione che subordina, ecco la garanzia – «la Camera dei deputati, dopo aver preso conoscenza dell’avviso del Senato, lo abbia nuovamente approvato a maggioranza dei suoi membri». Sostanzialmente, sia respinto che modificato, il disegno di legge ritorna alla Camera e tale disegno diventa esecutivo solo mercé una nuova approvazione, approvazione che in tal caso è sottoposta a particolare condizione, e cioè è necessaria la maggioranza dei membri.

Sia consentita ora una breve analisi critica del sistema proposto dal progetto. Il sistema proposto dal progetto, come dianzi ho accennato, si affida al giudizio arbitrale del Presidente della Repubblica, dimenticando, potrebbe osservare un pessimista, che gli arbitri hanno sempre torto, per lo meno… nelle partite di calcio. Con questa soluzione non vi è dubbio però che vi è possibilità di attrito fra le due Camere e il Presidente della Repubblica – e questo indubbiamente porterebbe un grave pericolo al suo prestigio. Ma oltre tale possibilità vi è la certezza che l’intervento di un terzo potere sostanzialmente si traduce in una diminutio dei poteri della Camera, e quindi viene svalutata la sovranità popolare. Né vale, secondo me e secondo il contenuto del nostro emendamento, il ricorso al referendum, perché, innanzi tutto, esso è facoltativo, e poi, come giustamente osservava l’onorevole Persico, le esercitazioni di referendum in un grande paese come l’Italia non sono né comode né facili. Il referendum è istituto molto complesso, utile in date circostanze; ma il suo uso è delicato e si deve fare ricorso ad esso, secondo noi, solo in determinati casi, quando trattasi di leggi di speciale importanza per la vita della Nazione. Quindi, pare che non possa la soluzione del referendum, rimessa alla potestà del Presidente della Repubblica, risolvere questo conflitto. Senza dire, che le spese per il referendum sono ingentissime, e perciò anche per questo motivo il Presidente della Repubblica non potrebbe agevolmente far ricorso al referendum.

Chiarite le manchevolezze del progetto, cerchiamo di fissare quali siano i vantaggi contenuti nel sistema proposto dal nostro emendamento. Prima di tutto si tratta di norme obiettive che non consentono pericolo di difformi interpretazioni, pericoli di interpretazioni soggettive. Esso poi, evita l’intervento di un terzo potere legislativo assiso nella scomoda e difficile posizione di arbitro e tiene invece nella sua giusta considerazione il Senato; non sminuisce i poteri della Camera dei deputati, che, indubbiamente, rappresenta ed è l’espressione più genuina, diretta e tradizionale della volontà popolare. La nostra soluzione appare a noi la migliore. Io penso, che problemi complessi impongono – ove possibile – soluzioni semplici. Dicevo, il nostro emendamento ha molte analogie con l’emendamento svolto dall’onorevole Persico. Pare a noi però, che il nostro emendamento proponga soluzioni più semplici che non lasciano incertezze sì da evitare il sorgere di pericoli di turbamenti nell’attività legislativa o peggio pericoli di contrasto, d rivalità, di gare, indubbiamente pregiudizievoli non solo per l’attività parlamentare, ma pregiudizievoli, secondo noi, per gli ordinamenti democratici. Né si obietti che attraverso questa nostra soluzione affiori in forma indiretta un richiamo nostalgico al sistema monocamerale attraverso l’attenuazione dei poteri del Senato. La soluzione che noi proponiamo non tocca la bicameralità, ma indica una soluzione tale da non consentire incertezze e dubbi, e soluzione semplice, lineare: si evitano perdite di tempo, si impedisce che un disegno di legge resti a causa del contrasto inoperante; si stabilisce in sostanza una gerarchia atta a precisare le facoltà della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica sia nell’eventualità di conflitto positivo come di conflitto negativo.

Noi confidiamo che questo emendamento, proposto unicamente allo scopo di tendere alla soluzione migliore di questo gravissimo ed importantissimo problema, che riflette l’attività delle due Camere, possa avere l’onore dell’accoglimento da parte dell’Assemblea stessa. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Codacci Pisanelli, Numeroso, Zotta, Bastianetto, Marconi, Guerrieri Emanuele, Uberti, Giacchero, Arcangeli, Ferrarese hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il secondo comma».

«Subordinatamente:

«Sostituire il secondo periodo col seguente:

«Se non si pronunzia entro un mese, o se conferma la precedente deliberazione, il Presidente della Repubblica ha facoltà di sottoporre a referendum popolare il disegno di legge che sia stato approvato dall’altra Camera con una maggioranza di almeno due terzi dei votanti».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l’emendamento da noi presentato esprime il nostro punto di vista circa il problema, veramente interessante, del conflitto tra le due Assemblee legislative, problema che preoccupa tutte le più moderne Costituzioni e merita di essere da noi affrontato. Quanto al metodo seguito per la risoluzione noi abbiamo espresso, però, il nostro dissenso. Il problema si presentava anche in passato in tutti i sistemi bicamerali, ma non è stata sentita la necessità di risolverlo, appunto perché vigeva un principio di correttezza costituzionale secondo il quale il Senato doveva mostrarsi più remissivo nei confronti delle decisioni della prima Camera. Ho detto che si trattava di una norma di correttezza costituzionale e non di una norma giuridica. Questo precedente potrà farci riflettere, perché nel tentativo di risolvere l’eventuale conflitto stiamo arrivando ad una conclusione che sembra quasi coattiva, perché finiamo per concludere che ad ogni costo debba giungersi in tali ipotesi a una conclusione. Sembra che ad ogni costo, quando un progetto approvato da una Camera sia respinto dall’altra, si debba giungere al suo accoglimento. È da prevedere, viceversa, che le Assemblee legislative lavorino, di regola, con la massima tranquillità. Il significato della mancata approvazione da parte di una delle Assemblee è che il progetto deve intendersi respinto. Abbiamo tanti precedenti e l’esperienza dimostra come il rigetto di progetti di legge avvenuto in tal maniera non sia stato affatto uno svantaggio.

Delle soluzioni proposte noi non possiamo approvare quella che è accolta dal progetto di Costituzione. Nel progetto si parla del potere del Capo dello Stato di indire il referendum in caso di conflitto tra le due Assemblee.

Altri emendamenti sono stati proposti dai vari colleghi e questi emendamenti possono ridursi a due categorie: l’una accoglie il principio della soluzione dei conflitti tra le Assemblee legislative attraverso il sistema del referendum, sia pure in maniera diversa da come è previsto nel progetto di Costituzione. Mentre l’altra categoria di emendamenti attribuisce, in fondo, alla Camera dei deputati una prevalenza, stabilita nella stessa Costituzione.

Quanto al primo sistema, quello del referendum, esso è – in sostanza – lo stesso sistema, sia pure modificato, del progetto e di esso parlerò in seguito.

Quanto all’altro sistema della prevalenza attribuita costituzionalmente alla Camera dei deputati, noi non possiamo essere favorevoli; appunto perché in base al principio della bicameralità, potremmo ammettere che una norma di correttezza costituzionale consigli al Senato – formato dalle persone più anziane e perciò più disposte, in fondo, a venire incontro alle esigenze di coloro i quali ragionano con maggiore ardore – di seguire le deliberazioni della Camera. Ma preferiamo che non sia sancita costituzionalmente una così decisa inferiorità della seconda Camera rispetto alla prima.

Questa è la ragione per cui non accogliamo il sistema di dichiarare ufficialmente che la soluzione dei conflitti tra le due Assemblee debba necessariamente avvenire, rimettendola alla Camera dei deputati, anche se – come dirò in seguito – non escludiamo che possa trovare ancora applicazione quell’antica norma di correttezza costituzionale che ha consigliato al Senato una maggiore remissività nei confronti della prima Camera.

Quanto al sistema adottato nel progetto di Costituzione, ci sembra che gli inconvenienti da noi rilevati non siano di lieve importanza. Tra questi inconvenienti ricordo, anzitutto, quello che non tiene conto del normale significato della disapprovazione di una legge.

Quando una Camera disapprova una legge, in genere, almeno secondo il sistema parlamentare passato, ciò significa sfiducia verso il Governo.

Nel nuovo sistema da noi elaborato la sfiducia al Governo non potrà manifestarsi – lo so – se non seguendo una particolare procedura. Ma sono certo che quando un Governo, presentando un progetto di sua iniziativa, lo vede respinto da una delle Assemblee, nonostante che secondo una vecchia prassi il Senato non potesse provocare crisi (prassi che troverebbe applicazione in un sistema in cui il Senato aveva ben diversa origine), nonostante questo, ritengo che un Governo difficilmente potrebbe rimanere al potere; anche se stabiliamo un congegno particolare per le crisi di Governo, tuttavia, ritengo che in una simile ipotesi la posizione del Governo sarebbe talmente scossa che difficilmente esso potrebbe esimersi dal presentare le dimissioni.

Mi si risponderà che vi sono anche leggi di iniziativa parlamentare e, per quanto riguarda queste leggi, non possiamo lamentare tale inconveniente. Ma vi è l’altro inconveniente: quello del normale significato che deve attribuirsi al rigetto di un progetto di legge da parte di un’Assemblea, cioè alla mancanza di un presupposto perché il progetto si trasformi in legge.

Non è indispensabile che, di fronte a simile conflitto, si arrivi ad una soluzione qualsiasi.

D’altra parte, il sapere che vi è una possibilità di intervento da parte del Capo dello Stato per risolvere gli eventuali conflitti, può indurre le Assemblee legislative ad irrigidirsi nelle loro posizioni, a non cercare nemmeno una conciliazione, ad evitare, insomma, qualunque arrendevolezza che – in fondo – è desiderabile quando si verifichi un conflitto tra organi politici, quell’arrendevolezza che, invece, quando non vi fosse questa possibilità costituzionale di soluzione dei conflitti, deriverebbe necessariamente dai principi generali. E ciò perché, come dicevo, non è per niente da escludere che il Senato possa riferirsi a quel principio di correttezza che ho dianzi richiamato, secondo cui, in caso di contrasto con la prima Camera, è conveniente per essa esporre le ragioni per cui la seconda Camera non ha approvato o non vorrebbe approvare la legge, mentre poi, in ultima analisi, finisce per cedere.

Finalmente, gli inconvenienti del sistema proposto dal progetto derivano anche dal fatto che il risultato del referendum sarebbe quello di provocare le dimissioni di una Camera, almeno a mio avviso. Questo risultato si avrebbe perché il referendum sconfesserebbe almeno una delle due Camere, la quale avrebbe dimostrato di non sapere esprimere l’opinione degli elettori.

Praticamente, quindi, siccome alla stessa guisa che deve dimettersi il Governo il quale non riscuota la fiducia delle Assemblee legislative, dovrebbe, come ho ora spiegato, dimettersi anche quella Assemblea legislativa la quale non riscuotesse più la fiducia degli elettori, ne deriva che noi in fondo la soluzione l’abbiamo già nei principî sanciti dalla Costituzione. Sarà sempre, infatti, possibile la soluzione del conflitto sotto questo aspetto perché il Capo dello Stato ha il potere di scioglimento di una delle Camere legislative.

Noi quindi non intendiamo che il conflitto debba venir risolto con il ricorso ai sistemi indicati nel nostro progetto. Meglio anzi sarebbe, secondo noi, che non fosse nel nostro testo costituzionale neppure contemplata l’eventualità dei conflitti stessi. Ove comunque essi dovessero manifestarsi, si risolveranno, come ho già detto, inducendo il Capo dello Stato a far uso del mezzo straordinario in suo potere dello scioglimento.

In fondo, poi, è da osservarsi che le stesse costruzioni, gli stessi edifici finiscono per esercitare un certo influsso su coloro i quali li vanno ad abitare o vi vanno a compiere i loro lavori. È così che, mantenendosi il principio della bicameralità, ed evitando nel tempo stesso che l’inferiorità del Senato sia costituzionalmente sancita, noi desideriamo che tale maggiore remissività della seconda Camera non resti se non una di quelle norme di correttezza che sono e saranno per noi un retaggio della vecchia prassi parlamentare.

Se poi tale principio non dovesse venire accolto, noi siamo allora per la modifica dell’articolo che prevede la facoltà di indire il referendum, giacché è evidente che il Capo dello Stato non dovrà ricorrere a tale estremo divisamente se non quando la legge approvata da una delle due Camere e respinta dall’altra rivesta carattere di particolare importanza.

PRESIDENTE. L’onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma con il seguente:

«Quando una Camera non si pronuncia, entro il termine stabilito, sopra un disegno di legge approvato dall’altra o quando lo rigetta o lo modifica, l’altra Camera può richiedere che la questione sia rimessa all’Assemblea Nazionale o sottoposta a referendum».

Ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Onorevoli colleghi, ho creduto opportuno presentare all’esame dell’Assemblea, come emendamento, una proposta che in materia di conflitti fra i due rami del Parlamento già avevo fatto in seno alla Commissione; e ciò affinché l’Assemblea avesse davanti a sé tutte le varie possibilità, che si presentano per la soluzione di questo problema, che è, a mio giudizio, fondamentale nel nostro sistema.

Se noi non troviamo il modo di risolvere logicamente gli eventuali conflitti tra Camera e Senato, noi andremo a turbare gravemente e profondamente i lavori legislativi di domani.

Quando io presentai alla Commissione per la Costituzione la mia proposta, essa si era già pronunciata per la parità dei poteri tra la Camera ed il Senato, di modo che una proposta di risoluzione dei conflitti non poteva, in quel momento, che tenere conto dei voti già avvenuti in seno alla Commissione medesima.

Davanti all’Assemblea, poiché la questione della parità dei poteri viene riproposta ex novo con gli emendamenti dell’onorevole Persico, Preti e Carpano Maglioli, il mio emendamento di necessità viene ad avere carattere e valore subordinati, in quanto ritengo anch’io, in via principale, che nel conflitto di poteri tra la Camera ed il Senato, debba avere prevalenza il voto e l’autorità della Camera dei deputati.

UBERTI. Perché? Dove sarà più la bicameralità, allora?

LAMI STARNUTI. Onorevole Uberti, potremmo anche ricominciare qui la discussione che abbiamo fatta altrove, se il tempo lo consentisse.

All’onorevole Uberti io richiamo l’emendamento di un suo compagno di Gruppo, l’onorevole Fuschini, il quale propone, con determinate cautele, che nel conflitto tra la Camera ed il Senato prevalga, se non si ricorre all’istituto e allo strumento del referendum, il voto della Camera dei deputati.

Io voterò, quindi, in via principale, uno degli emendamenti che sostengono e affermano la prevalenza sul Senato della Camera dei deputati, e considererò il mio emendamento come una proposta subordinata all’esito della votazione principale.

Onorevoli colleghi, io desidererei che l’Assemblea esaminasse a fondo questa parte del nostro progetto; perché non si tratta di un semplice meccanismo, da considerare migliore di un altro, ma di vedere sul terreno politico quale è il modo migliore per uscire da una situazione di gravità che eventualmente potesse presentarsi a causa di un conflitto tra la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica.

L’onorevole Codacci Pisanelli – che ha parlato, se io non erro, a nome del Gruppo democristiano – desidererebbe senz’altro che la seconda parte dell’articolo 70 venisse soppressa e che la nostra Costituzione non contenesse alcuna norma, alcun principio per la risoluzione degli eventuali conflitti, lasciando la risoluzione medesima alle trattative amichevoli, ai buoni rapporti fra le due Camere e senza dubbio, agli alti uffici delle più alte autorità costituite della Repubblica.

Questo criterio non può essere accettato, anche perché vi sono precedenti nella vita politica di un vicino Stato, la Repubblica francese, in cui l’impossibilità di risolvere il conflitto fra la Camera ed il Senato portò a gravissime conseguenze politiche, e fu occasione della caduta del Governo di Blum, della caduta del primo Governo ad indirizzo socialista.

Se il conflitto tra i due rami del Parlamento dovesse accadere, noi desideriamo che vi sia un mezzo giuridico e politico per la risoluzione di questo conflitto.

Il progetto della Commissione, nella seconda parte dell’articolo 70, dice che, sorto il conflitto, il Presidente della Repubblica può chiedere che la Camera, la prima Camera, si pronunci o riesamini il disegno; e, se nel riesame conferma la votazione precedente, il Presidente della Repubblica ha facoltà di indire il referendum popolare sul disegno non approvato.

Con questa norma noi portiamo la persona e l’autorità del Presidente della Repubblica nel contrasto vivo tra i due rami del Parlamento; noi rendiamo il Presidente della Repubblica arbitro del conflitto e oggetto, quindi, delle recriminazioni, delle disapprovazioni, degli attacchi di una parte del mondo politico italiano.

Il Presidente della Repubblica, avendo facoltà di sottoporre la legge al referendum popolare, potrebbe non esercitare la facoltà, e – come dicevo poc’anzi – rendersi quindi, responsabile della decisione che distrugge la proposta di legge.

Ma se anche il Presidente si volesse mostrare in ogni caso imparziale tra i due rami del Parlamento e assumere a regola costante della sua condotta il ricorso al referendum popolare affinché la volontà della Nazione fosse essa la risolutrice del conflitto tra la Camera e il Senato, vi sarebbero casi – e casi gravi di conflitto – in cui il ricorso al referendum non sarebbe giuridicamente possibile.

Alla Commissione per la Costituzione, redigendo l’articolo 70, è sfuggita probabilmente la norma contenuta nell’ultima parte dell’articolo 72, per la quale non può farsi ricorso al referendum, quando la legge è legge di carattere tributario.

Ora, onorevoli colleghi, molti conflitti fra il Senato e la Camera dei deputati potrebbero sorgere appunto in occasione delle leggi tributarie. Quando un ramo del Parlamento approvasse leggi come quelle approvate recentemente dall’Assemblea Costituente, e l’altro ramo le respingesse, il Presidente della Repubblica non potrebbe fare uso della facoltà di ricorso al referendum. Né l’Assemblea Costituente potrebbe rendere possibile in ogni caso il referendum popolare modificando l’ultima parte dell’articolo 72, perché in materia di leggi tributarie il referendum non è umanamente e politicamente possibile; se le autorità dello Stato sottoponessero al voto dei contribuenti gli oneri maggiori richiesti da superiori necessità nazionali, quelle leggi sarebbero certo sistematicamente respinte.

Vi sono adunque dei casi in cui il Presidente della Repubblica non potrebbe far uso della sua facoltà. Vi sarebbero dunque dei casi destinati aprioristicamente a rimanere insoluti e sarebbero casi di grande importanza nell’interesse della Nazione perché potrebbero rappresentare un lodevole tentativo di mitigare la disparità dell’onere finanziario tra le varie classi sociali, di creare una maggiore e più alta giustizia sociale.

E allora questo sistema non può raccomandarsi al voto e all’approvazione dell’Assemblea Costituente. Se noi vogliamo trovare il mezzo giuridico di risolvere il conflitto, non possiamo che dare la prevalenza al voto della Camera dei deputati, oppure accogliere la mia proposta, portare il conflitto in seno all’Assemblea Nazionale.

Mi si dirà che il meccanismo dell’Assemblea Nazionale non è semplice, che l’Assemblea Nazionale, per il numero dei suoi componenti, può diventare tarda, pigra, farraginosa nell’espletamento del suo mandato.

Mi si dirà che in questo modo costituiamo veramente una terza Camera; ma io ritorco l’obiezione e dico agli avversari che bisogna scegliere fra le due vie: o l’Assemblea Nazionale o la prevalenza al voto e alle deliberazioni della Camera dei deputati. Il sistema scelto dalla Commissione per la Costituzione è gravemente difettoso. Il sistema proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli è pieno di pericoli.

Veda l’Assemblea Costituente quale dei vari sistemi preferisce. Io rivolgo preghiera all’Assemblea di non trascinare nel conflitto fra la Camera ed il Senato la figura ed il nome del Presidente della Repubblica. Tanto minori saranno i poteri legali del Presidente, tanto più alti saranno la sua autorità ed il suo prestigio.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Preti, Binni, Zanardi, Grilli, Treves, Longhena, Nasi, Lussu, Villani, Cianca, Cairo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Se non si pronuncia sul disegno di legge, lo modifica o lo rigetta, e se un Comitato composto di membri di entrambe le Camere, stabilito dalla legge, non riesce a raggiungere un accordo, la decisione della Camera dei deputati varrà come decisione del Parlamento».

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Dico subito che, di massima, potrei aderire agli emendamenti dell’onorevole Carpano Maglioli e dell’onorevole Persico. Se mantengo, anche dopo la loro lucida esposizione, il mio emendamento, è solo perché credo che in questa sede costituisca anch’esso un utile tentativo per trovare eventualmente una formula che possa sodisfare l’una e l’altra parte della Camera. Ora, con l’emendamento mio, come con quelli dell’onorevole Persico e dell’onorevole Carpano, ci si propone, di fronte al possibile conflitto fra le due Camere, di risolvere il problema sanzionando il primato della Camera dei deputati; primato che, di fatto, esisteva anche in regime di Statuto albertino.

Del resto, io credo che nessuno qui si illuda che domani il Senato, qualunque sia per essere il testo della Costituzione, possa avere di fatto gli stessi poteri della Camera dei deputati. Lo stesso onorevole Codacci Pisanelli è convinto che, almeno in linea di fatto, il Senato domani sarà subordinato alla Camera.

Voci. No, no!

PRETI. L’onorevole Codacci Pisanelli ha detto precisamente che la subordinazione del Senato dovrà domani divenire una consuetudine di correttezza costituzionale. (Interruzione dell’onorevole Clerici).

Lei si richiama all’America, onorevole Clerici; ma là vige un regime presidenziale che non ha niente a che fare col regime parlamentare. (Commenti). È un confronto che non si può fare.

Per tornare all’argomento, dirò che mi sono proposto di rispettare il più possibile l’autorità della Camera alta; e sostanzialmente non vi è gran differenza tra il mio emendamento e quello dell’onorevole Fuschini, il quale è pure di parte democristiana…

SCOCA. Che vuol dire questo? Che c’entra la politica?

PRETI. Io propongo che, quando le due Camere non si trovino d’accordo, la decisione sia deferita ad un Comitato misto costituito da membri di entrambe. Solo quando l’accordo non venga trovato, la decisione definitiva della Camera dei Deputati finirà per avere la prevalenza. Perciò, se, in ordine agli emendamenti dell’onorevole Persico e dell’onorevole Carpano Maglioli, si poteva lamentare che il Senato, dopo essersi pronunciato una sola volta, venisse senz’altro estromesso dalla seconda decisione della Camera, a norma del mio emendamento questo non accade più.

Inviterei pertanto, anche l’onorevole Fuschini, il quale analogamente a me propone il ricorso a Commissioni miste, a porsi sul mio piano per quel che concerne la decisione finale del contrasto. Infatti, riconoscere, come egli fa, al Presidente della Repubblica il potere di indire il referendum, nel caso in cui non si trovi l’accordo in sede di Commissione, mi sembra non sia molto in armonia con i canoni di una democrazia parlamentare, quale la nostra vuole essere. Sostanzialmente qui si vorrebbero dare al Presidente della Repubblica italiana dei poteri che il Re non ha mai avuto.

Per concludere poi, vorrei fare all’onorevole Uberti, che si è richiamato tanto, durante le sue frequenti interruzioni, al principio del bicameralismo, una osservazione, a sfondo politico più che giuridico, per fargli intendere come, quando si parla del principio della bicameralità, si corra assai sovente dietro a un nome vano.

Chi sono i soggetti della vita parlamentare? Senz’altro i gruppi parlamentari, e attraverso di essi i partiti. In ciascuna Camera i deputati votano in una certa maniera, perché così ha stabilito il loro partito. Almeno quando si tratta di decisioni che abbiano una certa rilevanza politica!

Di guisa che io non posso concepire come domani, quando vi saranno entrambe le Camere, il partito democristiano o quello comunista o qualsiasi altro possa essere di un avviso alla Camera dei deputati e di un altro al Senato. Ripeto che questo non è possibile, perché vi saranno, senza dubbio, delle direttive di carattere politico, alle quali i deputati si atterranno.

UBERTI. Allora non vi saranno conflitti.

PRETI. Vi potranno essere dei conflitti di carattere tecnico, nel senso che i rappresentanti di un partito al Senato, su una specifica questione tecnica, possono pensarla diversamente dai rappresentanti di quello stesso partito alla Camera dei deputati.

Ma, quando si tratta di conflitti di carattere tecnico, è chiaro che si troverà sempre un amichevole accordo, anche se è sancito, in linea di diritto, il primato della Camera dei deputati.

Io capisco che i conservatori, i quali pensavano ad un Senato che non fosse espressione del suffragio universale, tenessero ad attribuirgli poteri pari a quelli della Camera dei deputati, per sabotare l’azione progressista di quest’ultima. Ma oggi questo intestardirsi sulla parità del Senato non ha ragion d’essere, posto che entrambe le Camere sono espressione della volontà popolare. A meno che… non si intenda giocare sul fatto che la Camera dei deputati dovrebbe essere eletta con la proporzionale ed il Senato col collegio uninominale; di maniera che, mentre alla Camera dei deputati saranno rappresentate veramente tutte le forze politiche, e cioè anche quei partiti, che hanno un modesto seguito, al Senato saranno per contro rappresentati quasi esclusivamente i grandi partiti. Anzi, vorrei dire che, se le elezioni prossime dovessero profilarsi alla stregua delle elezioni amministrative di Roma, in Senato non vi sarebbero più che comunisti e democristiani. (Commenti).

Ma allora è il caso di dire all’onorevole Uberti, all’onorevole Tosato e ai loro amici – che hanno votato contro il collegio uninominale – che non dovrebbero approfittare di questo deprecabile squilibrio, e dovrebbero per ciò riconoscere a quella Camera dei deputati in cui sono rappresentate tutte le forze politiche, il diritto di decidere in un’ultima istanza. Perché, quando una divergenza politica vi fosse tra Senato e Camera dei deputati, la causa risiederebbe nel fatto che il Senato, essendo stato eletto col collegio uninominale, non rappresenterebbe veramente la volontà popolare, almeno dal punto di vista della democrazia moderna.

UBERTI. Lei ci dà ragione: anche noi siamo contro il sistema uninominale.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha proposto di sostituire il secondo periodo del secondo comma col seguente:

«Se non si pronuncia entro un mese o se conferma la precedente deliberazione, il Presidente della Repubblica ha facoltà di sottoporre a referendum popolare il disegno di legge approvato dall’altra Camera».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere l’emendamento.

PERASSI. Il mio emendamento non tocca la sostanza del sistema previsto dal progetto costituzionale; propone soltanto una formulazione, che a me sembra più corretta; per conseguenza non occorre nessuna illustrazione.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire il secondo periodo col seguente:

«Se non si pronuncia o se la nuova deliberazione conferma la precedente, il Presidente della Repubblica può invitare le Camere a riesaminare, a mezzo delle loro Commissioni competenti, il disegno di legge. Se non si addivenga ad un accordo sui punti controversi, avrà la prevalenza la decisione della Camera dei deputati, qualora il Presidente della Repubblica ritenga di non indire il referendum popolare sul disegno non approvato».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Onorevoli colleghi! Io mi sono permesso di presentare questo emendamento perché ritengo che il problema dei conflitti tra le due Camere possa sorgere specialmente nella discussione dei disegni di legge. Dal punto di vista politico bisogna premettere che vi è parità tra la Camera ed il Senato; perché a mio avviso, se non si mantiene o si sopprime in parte l’Assemblea Nazionale, ogni voto politico di una delle Camere è sufficiente per imporre al Governo le conseguenti decisioni. Un voto di sfiducia, sia esso dato dal Senato o dalla Camera, dove far dimettere il Governo. Quindi, parità tra Camera e Senato dal punto di vista politico deve esistere e dovrà essere sancita nell’articolo 87.

Ma quando siamo in tema di carattere legislativo vero e proprio, di discussione cioè sui disegni di legge o di formazione delle leggi, come dice il titolo del progetto della Costituzione che stiamo ora discutendo, io ritengo che sia un semplicismo troppo evidente quello di ridurre l’articolo 70 alla affermazione che un disegno di legge, una volta approvato da una Camera, deve essere trasmesso all’altra. Sarebbe questo un articolo che non avrebbe bisogno di essere inserito nella Costituzione, perché se è vero che le due Camere debbono collettivamente attendere alla formazione della legge, è evidente che una volta che una legge sia approvata da una Camera, deve essere trasmessa all’altra, e secondo me, l’articolo 70, formulato così come propone l’onorevole Mortati, sarebbe un pleonasmo. (Interruzione del deputato Uberti). Allora, amico Uberti, si dovrebbero sopprimere molte cose che sono nella Costituzione; ma noi abbiamo imparato in Sottocommissione ad occuparci delle più minute cose, che forse non erano necessarie, e le abbiamo volute, dirò così, costituzionalizzare, ed abbiamo voluto prevedere quasi tutto nella Costituzione, in modo da non lasciare molto alla prassi, alla consuetudine e, dirò così, ai rapporti di buona collaborazione che sempre sono esistiti, e speriamo, sempre esistano, fra le due Camere, perché questa dell’andar d’accordo è una necessità di vita.

Siccome i nostri maestri, che sono presenti, ci hanno insegnato che bisogna inserire e risolvere nella Costituzione ogni prevedibile ipotesi, così dobbiamo ora prevedere che dalla discussione delle leggi possano sorgere conflitti tra la prima e la seconda Camera, e perciò è stato formulato l’articolo 70. Ciò premesso, io ho ritenuto di proporre di sostituire al secondo comma una nuova dizione.

Il primo comma è peraltro esso pure importante, perché indica i termini dell’esame del disegno di legge. Infatti in esso è stabilito il termine di tre mesi entro il quale una Camera deve pronunciarsi sui disegni di legge che ha ricevuti dall’altra Camera, e fra le due Camere tale termine potrà essere concordemente modificato.

Mi si permetta a questo proposito di fare un rilievo. Nell’emendamento dei colleghi onorevoli Targetti e Carpano si fa accenno alla Camera dei deputati in maniera tale per cui sembra che i disegni di legge debbano essere presentati in precedenza sempre alla Camera dei deputati.

Ora, a me sembra che debba rimanere ben chiaro che la presentazione dei disegni di legge da parte del Governo deve essere libera, e cioè possono essere presentati o alla Camera dei deputati o al Senato. Quindi, le modifiche che sono state proposte, sia al primo che al secondo comma, dagli onorevoli colleghi socialisti, mi pare abbiano un presupposto, e cioè che i disegni di legge debbono essere presentati inizialmente alla Camera dei deputati.

Questo, secondo me, va eliminato, perché è un errore nel quale non bisogna cadere; noi riteniamo che, anche in campo legislativo, il Senato deve essere tenuto nello stesso conto da parte del Governo, come è tenuta la Camera dei deputati.

Tornando al mio emendamento rilevo che è inesatto sostenere che esso offenda il principio della bicameralità. Si dice che si offende la bicameralità dando la prevalenza alle deliberazioni della Camera dei deputati.

Il mio emendamento riconosce che un conflitto fra le due Camere può sorgere, e siccome si vuole che questa Costituzione sia rigida e regoli tutto, allora io ripeto, regoliamo anche questa materia. Quando la Costituzione non era rigida, ma flessibile, molte cose erano lasciate alla consuetudine. Lo Statuto albertino, almeno dal punto di vista legislativo e formale, non ci ha retto male, ma ci ha guidati per quasi cento anni, indipendentemente da tutte le affermazioni che fanno al riguardo i dottrinari. La consuetudine poteva continuare ad aver valore in alcuni casi. Egregi colleghi, io ho partecipato per molti anni come funzionario ai lavori della Camera dei deputati e non mi sono mai accorto, lavorando come lavorano gli egregi cari colleghi che stanno in questa Aula al banco della Presidenza come funzionari, che un disegno di legge sia tornato la quarta volta alla Camera, dopo essere stato esaminato ed approvato dal Senato.

Quindi, io credo che in ultima analisi noi qui regoliamo una eventualità che sarà oltremodo rara, e si potrebbe anche omettere questo regolamento. Ma, come ho detto, è bene regolarla, perché abbiamo voluto questo genere di Costituzione alla quale nulla deve sfuggire e che tutto deve regolare, perché non si ha da molti una grande fiducia nei futuri Parlamenti.

Io ho preso nota della proposta della Commissione, e mi sono limitato ad inserirvi semplicemente un accorgimento nuovo. Avendo presente che i disegni di legge sono esaminati da speciali Commissioni propongo che, nei casi di conflitto e quando non si riesca a dirimerli, il Presidente della Repubblica possa invitare le Camere a fare riesaminare il disegno di legge da dette Commissioni. L’altro giorno l’onorevole Bozzi sosteneva che il Presidente della Repubblica doveva anche lui partecipare alla formazione della legge. Credo anch’io che il Presidente della Repubblica non si possa estraniare dalla iniziativa e formazione della legge, e domando: credete che il Governo possa presentare i disegni di legge alla Camera o al Senato senza informarne il Presidente della Repubblica? Nel passato vi era una forma di informazione del Capo dello Stato che consisteva nel sottoporgli la firma di un decreto autorizzante la presentazione di un disegno di legge al Parlamento. Voi potrete eliminare questa formalità ma non potrete impedire che il Governo informi il Capo dello Stato della presentazione di leggi specialmente se importanti, che costituiranno materia di discussione ed eventualmente di conflitto di carattere politico in seno al Parlamento. Ora, credo che non si degraderà dal suo alto seggio il Presidente della Repubblica (che certamente sarà un uomo che seguirà i lavori delle Camere, e non perderà il suo tempo nel cerimoniale) se in un determinato momento, quando sorga un conflitto insanabile perché le due Camere resistono sui loro punti di vista, si stabilirà che il Presidente della Repubblica possa invitare, attraverso i Presidenti, le due Camere a riunire le due Commissioni esaminatrici del disegno di legge a cercare insieme di superare il conflitto in una discussione amichevole e cordiale. Mi sembra che ciò non sia abbassare l’autorità del Presidente, ma attribuirgli compiti concreti che possano elevarne il prestigio.

Ora, io sono contrario invece alla proposta dell’onorevole Preti, che vorrebbe che fosse stabilito per legge un apposito Comitato. Per quale ragione formare un Comitato speciale quando vi sono, nelle due Assemblee, Commissioni che hanno esaminato e riesaminato lo stesso disegno di legge? Sono queste due Commissioni che possono essere chiamate a risolvere, se è possibile, il conflitto. Ed io credo, onorevoli colleghi, che da un esame ponderato da parte dei responsabili dei rappresentanti delle due Assemblee possano sortire dei buoni effetti. Se poi, per avventura, il conflitto non si riuscisse a comporlo, il Presidente della Repubblica, secondo la mia proposta, darà corso al disegno di legge come è stato approvato dalla Camera dei deputati o indirà il referendum. Perché, si domanderà, dare alla Camera dei deputati la prevalenza? Qui mi si consenta di rivolgermi in modo speciale ai cari colleghi democristiani, per far loro presente che la Camera dei deputati, secondo il sistema che è stato elaborato, è una Camera che ha per lo meno una prevalenza indiscutibile, quella numerica, che, consideratela pure come vorrete, avrà sempre ragione, specie quando metterete insieme Camera e Senato nell’Assemblea Nazionale. Avrei desiderato che il Senato fosse stato nominato, non col sistema del suffragio universale diretto, ma col sistema del suffragio universale indiretto, perché credo che col sistema del suffragio indiretto sarebbe stata possibile una migliore selezione di uomini adatti a studiare e discutere le leggi, e quindi ad interessarsi dei problemi legislativi in una maniera più realistica di quella che non possono fare gli elementi che formeranno la Camera dei deputati, che sono prevalentemente elementi politici, più adatti alla sintesi, mentre sono più idonei all’analisi quegli altri, con la visione più diretta degli interessi locali e di categoria.

Ma io dico ai miei amici: non vi dovete preoccupare se vi sarà la prevalenza della Camera dei deputati, che rappresenta il maggiore consesso sul quale la Repubblica deve fondare le sue speranze e il suo consolidamento, e deve costituire un valido strumento per educare, attraverso il suo lavoro ed il suo comportamento, la popolazione del nostro Paese. Né si deve dire che si offende la parità del Senato, nei confronti della Camera, perché la parità politica rimane assolutamente ferma e perché la parità legislativa è semplicemente una eccezione di indole tecnica che si inserisce nell’attività delle due Camere, solo quando queste non siano riuscite ad andare d’accordo.

L’onorevole Lami Starnuti ha fatto une osservazione acuta rilevando che l’articolo 72, ultimo comma, stabilisce che non è possibile ammettere il referendum per le leggi finanziarie, per cui nell’ipotesi che sorga il conflitto su una legge finanziaria non sarebbe possibile far ricorso al referendum per risolvere il conflitto stesso. Orbene io osservo che se il conflitto avverrà su una legge finanziaria, vorrà dire prima di tutto che il Governo sarà carente nei suoi compiti. Noi dimentichiamo che nell’esercizio dell’attività legislativa non partecipano soltanto le Camere legislative, ma vi prende parte anche il Governo. Ci siamo abituati, in questa Assemblea Costituente, a non sentire mai l’influenza del Governo sull’Assemblea stessa. Ma quando in quel banco vi sarà un Governo responsabile, il quale vorrà che un determinato disegno di legge raggiunga l’approvazione delle Camere, il Governo stesso metterà in moto tutta la sua forza – e se è un Governo forza ne deve avere, altrimenti dovrebbe considerarsi un Governo fantasma – adoprerà cioè la maggioranza parlamentare che lo sostiene, affinché una legge, ad esempio finanziaria, sia approvata dalla prima e anche dalla seconda Camera.

Non dimentichiamo mai questo intervento del Governo, che può determinare ed eliminare le ragioni di conflitto che possono sorgere tra le due Assemblee. Ma se, per ipotesi, anche l’influenza del Governo non potesse essere così concludente, non si offende certo la dignità del Presidente della Repubblica se lo si chiama a decidere e a risolvere il conflitto, non mediante il referendum, ma per mezzo del più grande appello al Paese sciogliendo le Camere.

Confido di avere abbastanza spiegato le ragioni che appoggiano il mio emendamento, è perciò mi lusingo che almeno i miei amici politici non mi lasceranno solo, e mi useranno la cortesia di approvare il mio emendamento. (Applausi).

PRESIDENTE. È stato presentato ora un emendamento a firma degli onorevoli Mortati, Uberti, Dominedò ed altri del seguente tenore:

«Limitare l’articolo alle seguenti parole del primo comma: i disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Il nostro emendamento deriva dall’insoddisfazione delle varie soluzioni che sono state prospettate sia nel progetto sia negli emendamenti proposti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Lei, onorevole Mortati, ha il diritto di mutare opinione, ma anch’io ho il diritto di ricordare che in Commissione fu proprio lei a proporre quanto poi noi abbiamo deciso: noi dunque non abbiamo fatto che approvare una sua proposta.

MORTATI. Faccio osservare all’onorevole Ruini che la proposta era stata formulata quando non era ancora configurato l’assetto definitivo ed il modo di formazione delle Camere. In ogni caso non mi pare sia inibita una migliore riflessione su argomenti di tanta importanza.

Tornando all’emendamento, mi pare necessario illustrare brevemente le ragioni di debolezza dei vari sistemi suggeriti per giungere alla risoluzione dei conflitti fra le Camere. La prima proposta, la più importante, quella intorno a cui vi è raccolto il maggior numero di emendamenti, trova la soluzione affermando la supremazia di una Camera nei confronti dell’altra, dando la prevalenza all’opinione dell’una, e precisamente a quella della Camera dei deputati.

Ora, io osservo pregiudizialmente che una soluzione di questo genere non potrebbe esser presa così a sé stante, avulsa da tutto il resto, giacché questo problema è intimamente connesso con tutta l’architettonica, diremo così, del progetto e quindi anche con quello della posizione delle Camere nell’attività politica di conferimento della fiducia al Governo. Non sarebbe infatti giustificato ammettere che una Camera possa far cadere il Governo con il suo voto di sfiducia e non possa invece arrestare una proposta che abbia riportato il consenso dell’altra Camera.

Sembra pertanto che il principio della supremazia di una Camera sull’altra, non potrebbe ammettersi, se non allargando la discussione per comprendervi altresì gli altri casi in cui le due Camere debbono agire di conserva.

Non si riesce poi a comprendere per quali motivi noi dovremmo pregiudicare fin da ora la questione della posizione giuridica delle due Camere, quando non abbiamo ancora alcun elemento di giudizio sul quale fondare la preminenza di una sull’altra, e quando quindi tutto consiglia di affidare allo svolgimento avvenire delle istituzioni, alla formazione di quelle convinzioni, formate in base alla considerazione del prestigio ottenuto, dell’attività svolta, delle prove di capacità fornite, del seguito conseguito nel Paese, la determinazione del rispettivo peso politico di ciascuna delle due Assemblee.

Tutte le considerazioni addotte qui, per dimostrare che una Camera debba, a priori, avere una preminenza sull’altra, a mio avviso, non hanno consistenza.

Si è da alcuni giustificata tale opinione invocando il fatto che una delle due Camere è eletta col sistema della proporzionale e l’altra col collegio uninominale. Ma, a parte ogni indagine sul punto se la rappresentanza attraverso il collegio uninominale sia più o meno efficiente di quella ottenuta con la proporzionale, è da osservare che, secondo una decisione già presa dall’Assemblea, i procedimenti elettorali per la formazione della Camera non sono materia costituzionale, essendo da regolare con leggi semplici. Essi quindi sono soggetti a dei mutamenti, che potranno anche essere frequenti e condurre ad uno spostamento della base elettorale delle due Camere. Sicché, seguendo l’opinione confutata, noi stabiliremmo nella Costituzione una disposizione che statuisce la disparità fra le due Camere, fondandola su qualche cosa del tutto contingente, quindi legheremmo una situazione di carattere costituzionale con un evento che non ha carattere costituzionale. Questo mi pare così grave da non potere essere accettato.

Così neanche mi pare sia decisiva l’osservazione dell’onorevole Fuschini, secondo cui il numero diverso dei componenti le due Camere determini una maggiore rappresentatività di quella più numerosa rispetto all’altra. Potrebbe essere, invece, proprio quella di minor numero, che col suo lavoro più ponderato, più efficiente, riesca a riscuotere una maggiore fiducia nel popolo, e quindi ad acquistare quel prestigio, da cui solamente può argomentarsi una preminenza.

Perché, che nel sistema bicamerale una preminenza di una Camera sull’altra finisca per determinarsi, possiamo anche ammetterlo; ma non possiamo ammettere che questa preminenza non si lasci al fatto, ma si consacri espressamente, ed a priori, quando, per di più, come ho detto, non abbiamo alcun elemento per poter giungere a questa differenziazione. Io avrei ancora capito la soluzione che ci si propone se una delle Camere fosse stata eletta con suffragio indiretto e l’altra col suffragio diretto: allora si sarebbe forse potuto argomentare – per me inesattamente – per una minore rappresentatività, per una minore forza politica della prima rispetto all’altra. Ma siccome si è deciso che tutte e due vengano elette col suffragio universale diretto, mi pare che non abbiamo elementi di giudizio per una condanna preventiva, per stabilire a priori l’inferiorità dell’una rispetto all’altra, e che anzi sia utile, sia opportuno non pregiudicare quelli che potranno essere gli svolgimenti avvenire per imporre fin d’ora una disparità.

Giudizio ugualmente negativo si deve dare, a mio avviso, alla proposta di deferire la soluzione delle controversie fra le due Camere all’Assemblea Nazionale. A parte che l’accoglimento di questo punto di vista sarebbe da rinviare a quando fosse deciso sulla figura di tale organo, su cui tante controversie ancora ci sono, è da osservare che affidare tale soluzione all’Assemblea Nazionale significherebbe deformare la fisionomia che abbiamo voluto dare ad essa, che dovrebbe avere compiti limitati alla sfera dell’azione di direzione politica, in senso stretto, e non estesi all’attività legislativa. Osservo poi un’altra cosa: che, in sostanza, adottando questa soluzione, si viene a sboccare in quella precedente, della supremazia della prima Camera sulla seconda. Infatti le decisioni recentemente prese hanno condotto ad affermare una differenziazione numerica così sensibile fra le due Camere, da far quasi scomparire il peso del Senato di fronte a quello della Camera, in un’Assemblea che riunisse insieme i due corpi.

Rimane l’altra soluzione: quella del referendum. Ma anche questa mi pare sia da scartare. Ci sono anzitutto delle difficoltà pratiche – su cui ha richiamato acutamente l’attenzione l’onorevole Lami Starnuti; e ciò per l’esistenza di materie, come quella finanziaria, per la quale non è consentito ricorrere al referendum, sicché se un conflitto scoppiasse in ordine ad esse non si potrebbe far luogo al rimedio. Affermare poi la superiorità della Camera dei deputati in ordine ai tributi significherebbe riferirsi ad una situazione omissibile solo quando il Senato era non elettivo.

Ma, a parte questo, c’è una considerazione ancora più importante: che il referendum in caso di conflitto non serve a risolvere il conflitto stesso, ma ad aggravarlo, perché la soluzione prescelta dal popolo porta a screditare la Camera condannata da questo verdetto popolare, e pertanto la successiva attività di questa Camera viene ad essere inficiata, così che se si vuole mantenere ancora nella sua efficienza il principio bicamerale bisogna per forza che prima o poi si giunga allo scioglimento di questa Camera.

E allora tanto vale che si rinunci all’espediente del referendum e si ricorra diretta mente al rimedio dello scioglimento.

Accertata così la insoddisfazione delle varie soluzioni proposte, a che cosa affidare la soluzione di questi conflitti? Noi non dobbiamo dimenticare che stiamo creando un regime parlamentare che importa precisamente questo: un rapporto costante di fiducia tra il Governo e le due Camere. Quando noi stabiliamo che il Governo ha bisogno della fiducia delle due Camere per mantenersi in vita, fiducia espressa con apposito voto (e su questo mi pare siamo tutti d’accordo) la conseguenza è che su questa relazione di fiducia fra le Camere ed il Governo bisogna trovare l’elemento equilibratore e di conciliazione.

Non dobbiamo dimenticare che in regime parlamentare l’arbitro e disciplinatore della attività legislativa è il Governo, ed è esso che, dovendo curare il costante mantenimento della fiducia da cui deriva la sua investitura, troverà di volta in volta il mezzo più adatto per la soluzione delle divergenze.

I dissidi possono sorgere su questioni secondarie, ed allora il Governo lascerà cadere, almeno pel momento, il progetto su cui si manifesta l’opposizione di una Camera. Ma se il progetto è essenziale alla realizzazione della politica governativa, allora il Governo porrà su di esso la questione di fiducia. La sfiducia importerà una crisi che dovrà risolversi o con le dimissioni del Governo o con lo scioglimento di una o di entrambe le Camere.

È quindi in questo meccanismo parlamentare che noi possiamo trovare la sola soluzione sodisfacente.

Affidare tale soluzione ad una meccanica rigida di interventi quale prevista dall’articolo 70 e dai vari emendamenti, mi pare significhi trascuranza della sostanziale natura dei rapporti fra gli organi costituzionali in regime parlamentare e significa mettersi su una via che finirebbe per compromettere il sistema costituzionale che vogliamo fondare.

La soluzione da me proposta è più radicale di quella dell’onorevole Codacci Pisanelli, che vorrebbe sopprimere solo l’ultima parte dell’articolo 70, lasciando la parte che deferisce al Presidente della Repubblica la richiesta alla Camera ricalcitrante di procedere al riesame del disegno. Non mi pare opportuno conferire tale facoltà senza prevedere le ulteriori conseguenze per un eventuale conferma del precedente atteggiamento della Camera. Se noi facciamo muovere un personaggio così importante, come il Presidente della Repubblica, dobbiamo concludere che, se il passo da lui compiuto non desse nessun risultato, non si potrebbe far cadere nel nulla la sua iniziativa, ma bisognerebbe completare questo procedimento, e ammettere che in caso di persistenza del conflitto si ricorra ad altri mezzi di soluzione.

Io invece propongo di eliminare ogni accenno all’ipotesi di contrasti e di lasciare solo l’inciso che si riferisce alla trasmissione all’altra Camera dei progetti approvati dalla prima. L’onorevole Fuschini osservava che quest’inciso si potrebbe eliminare; forse è utile conservarlo, intendendo la prescrizione come diretta a sancire l’obbligo della prosecuzione del procedimento e quindi il principio della necessità del passaggio all’altra Camera del progetto già approvato.

Per queste ragioni io prego l’Assemblea di approvare il mio emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo articolo del progetto contempla due punti: il primo è quello della trasmissione di un disegno di legge approvato da una Camera all’altra Camera; il secondo la questione, molto più grave, della divergenza, del conflitto tra le due Camere.

Quanto al primo punto io consento con quello che ha osservato l’onorevole Fuschini. Se si trattasse di dire che quando una Camera ha approvato un progetto lo trasmette all’altra, la disposizione evidentemente non sarebbe tale da doversi mettere nella Costituzione. Non si può perciò ridurre tutto ad una piccola frase, che ha valore di regolamento, e forse meno che di regolamento. L’intento dell’onorevole Mortati è evidentemente di sopprimere l’altra parte dell’articolo; ma allora bisogna anche sopprimere la prima disposizione che non dice nulla.

Discuterò dopo la parte più importante.

Sopra il primo comma vi sono tre emendamenti. Il primo è quello dell’onorevole Persico. Il progetto della Commissione diceva che i disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra per l’approvazione entro tre mesi, oppure entro un diverso termine da concordare fra le due Camere. L’onorevole Persico propone di dire senz’altro: nel termine che la Camera che ha approvato il disegno di legge intima all’altra. Ma questo è contro ogni tradizione di cortesia e riguardo parlamentare. Una Camera non può imporre un termine all’altra. Se si devia dal termine fisso di tre mesi, vi dovrà pure essere un accordo. E non mi sembra che questo accordo sia difficile: basterebbe anche un’intesa fra i Presidenti delle due Camere, e l’approvazione rapida di queste.

Non potrei dunque accettare l’emendamento dell’onorevole Persico.

Vi è poi un emendamento dell’onorevole Colitto, che vorrebbe sostituire alla parola «approvati» le parole «esaminati e votati». Noti, l’onorevole Colitto, che votati significa approvati e quindi non si raggiungerebbe l’effetto che egli vuole raggiungere; e cioè che quando un disegno sia respinto da una Camera si debba tuttavia trasmetterlo all’altra. Ma un progetto respinto non esiste. Andiamo contro una norma elementare ed io non potrei accettare, tanto più che, come ha osservato L’onorevole Gullo, il rimedio c’è, ed è che l’altra Camera può far suo il progetto e votarlo. Quindi, proprio per queste considerazioni, non potrei accettare. E credo che nella sua finezza letteraria e giuridica, l’onorevole Colitto comprenderà il valore di queste mie obiezioni.

In ultimo viene un emendamento Targetti, svolto dall’onorevole Carpano, sempre sul primo comma. Noi dicevamo nel nostro progetto che quando una Camera approva un disegno di legge, lo trasmette all’altra. Invece l’onorevole Carpano dice: «Soltanto la Camera dei deputati lo trasmette all’altra Camera», perché vuole con ciò evidentemente affermare una priorità della Camera dei deputati. A prescindere che, se si può capire e sostenere questa priorità in caso di conflitto fra le due Camere essa non ha nessun senso per la trasmissione dei progetti, sta il fatto che con l’emendamento Targetti verrebbe fuori una lacuna curiosa; quando il Senato ha approvato un progetto, potrebbe non trasmetterlo alla Camera. Io non faccio argomentazioni molto elevate, ma mi pare che non è proprio il caso di insistere e che bisogna proprio lasciare il testo come è.

Esaminato così (e mi pare che abbia esposto delle ragioni abbastanza convincenti) il primo comma, veniamo al secondo, che riguarda il caso di divergenza fra le due Camere. Un disegno di legge, approvato da una Camera, non è approvato dall’altra. Anche qui io mi fermerò per fare delle osservazioni molto pratiche, che sono quelle a cui dobbiamo attenerci. È molto facile fare della dottrina; vediamo invece di fare della realtà concreta per poter arrivare ad un risultato.

Io non credo che si debba proprio drammatizzare, e fare della divergenza tra le due Camere un vero conflitto. Più spesso – qui riconosco che l’onorevole Fuschini ha detto il vero – le due Camere finivano attraverso il riesame dei disegni di legge per mettersi d’accordo. Anche se ciò non avverrà, non sarà gran male se parecchi disegni di legge andranno a finire in quello che è il cimitero dei disegni di legge, qui all’archivio di Montecitorio. L’onorevole Fuschini ha detto di non conoscere un caso in cui Camera e Senato non abbiano finito per accordarsi. Mi dispiace, ma molti disegni di legge non sono riusciti ad arrivare in porto e sono caduti nel famoso cimitero.

UBERTI. Vuol dire che non meritavano.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Risponderò alla sua osservazione. Che possano esser stati non buoni, va bene, ma il criterio meccanico che non meritavano di essere approvati non regge. Non si può dire a priori che ciò che non è stato approvato o neppure esaminato da un ramo del Parlamento sia tutto stoppa. Io che ho una certa esperienza della vita amministrativa conosco Ministeri e Servizi che non sono riusciti a varare dei disegni di legge che erano utili e talvolta necessari per il buon funzionamento della loro amministrazione. E del resto il fatto dell’arenamento di disegni di legge perché una Camera non se ne è occupata ha dato talora luogo a quella fioritura di decreti-legge di cui si è parlato poco fa, specialmente dall’onorevole Clerici.

Tutto considerato – che le iniziali divergenze vanno spesso a posto e che non bisogna sempre rammaricarsi se parecchi e svariati disegni di legge si perdono per strada – non si può però dimenticare che in alcuni casi la divergente valutazione delle due Camere può avere un rilievo tale che non è da trascurare, e che può diventare veramente conflitto, quando si tratta di disegni di legge essenziali. Vi sono dei casi, saranno pochissimi, in cui è necessario dirimere questi conflitti delle Camere. Questo è stato il concetto base da cui è partita la Commissione.

La Commissione ha adottato un sistema che era stato proposto dall’onorevole Mortati, a cui non faccio torto di aver mutato la sua opinione. Avrei gradito però che lo avesse esposto in Comitato, quando ha cambiato idea. Il sistema si basa su due concetti. Il primo è la parità piena e completa fra le due Camere. Secondo: quando il conflitto è tale che deve essere risoluto, si ricorre al giudizio del popolo per mezzo di referendum. Ed è il Capo dello Stato che, nella sua funzione di arbitro supremo, di moderatore, di equilibratore dei poteri dello Stato, giudica se il conflitto è così importante da richiedere che venga superato per mezzo di referendum.

È un sistema perfettissimamente democratico, che si inquadra ineccepibilmente nel sistema della nostra Costituzione. Sono state fatte critiche ed obiezioni all’intervento del Capo dello Stato. Una d’ordine piuttosto teorico, è dell’onorevole Persico. Egli dice: «Badate, con ciò venite ad ammettere la partecipazione del Capo dello Stato alla funzione legislativa come terza Camera». Evidentemente, no: questo è un intervento non ab intra, come terza Camera, ma ab extra, come regolatore supremo, dal di fuori del processo legislativo.

Vi è una serie di obiezioni dell’onorevole Carpano, il quale trova che l’intervento del Capo dello Stato è arbitrio e che si viene a ridurre la sovranità popolare. Gli rispondo che spetta proprio al Capo dello Stato di moderare e regolare i conflitti fra gli altri organi e poteri dello Stato, e che del resto egli non è il vero arbitro, ma promuove, ove lo ritenga indispensabile, l’arbitrato. Il vero arbitro è il popolo; e non si offende il principio della sua sovranità, ricorrendo proprio ad esso.

Vi sono poi le complesse obiezioni dell’onorevole Codacci Pisanelli, che ha dipinto un quadro di dimissioni del Governo, di scioglimenti delle Camere, di turbamento e rovesciamento che verrebbero dal ricorso e dall’esito del referendum. Tutte queste vicende sono più possibili se non si dirime il conflitto, che se si ricorre al popolo.

Anche l’onorevole Mortati parla di scredito della Camera che ha votato un progetto di legge contro cui si pronunci il popolo. Ciò non avviene altrove. Io non dico che dobbiamo applicare il sistema svizzero nella sua pienezza: ma dobbiamo tener presente ciò che avviene in quel paese, dove così spesso il popolo si pronunzia in senso diverso dal Parlamento, e per ciò il mondo non cade. Se vogliamo aprire anche noi le porte al referendum, dobbiamo abituarci alla possibilità che il popolo decida in modo diverso dal Governo e dal Parlamento, senza che ciò debba inevitabilmente produrre profonde crisi.

Vi sono infine le obbiezioni dell’onorevole Lami Starnuti che vede un grave inconveniente nel fatto che il Capo dello Stato scenderebbe in lizza, in mezzo al giuoco delle parti. Ma qui il Presidente non fa altro che essere un regolatore, un giudice che dice: «Mi pare che la questione sia talmente importante che debba essere decisa dal Paese» e non si pronuncia né per l’uno né per l’altro senso.

In complesso tutte queste obiezioni non reggono.

Vediamo le soluzioni che sono state proposte.

L’onorevole Mortati – a parte il rilievo che lasciare le due prime parole dell’articolo non avrebbe significato – dice: lasciamo andare le cose per il loro corso; bisogna che confidiamo sull’azione del Governo, che sarà decisiva, e porterà in definitiva alla risoluzione del conflitto. L’osservazione è acuta; e certo il Governo, per mezzo della sua maggioranza, potrà influire a dirimere, in una via o nell’altra, il conflitto. Ma se non riesce? Potrà trovarsi allora nella necessità di dimettersi; oppure promuove lo scioglimento delle due Camere; che sono fatti di importanza molto più grave di quello che sia un referendum. Non sono d’accordo con l’onorevole Mortati, quando egli sostiene che, abbandonando le cose al loro corso, tutto vada a posto come nel migliore dei modi possibili. Non si creda che tutto possa essere risolto automaticamente, non facendo nulla. Vi sono dei casi – pochissimi casi – di conflitti gravi, i quali è molto meglio risolvere immediatamente col referendum, piuttosto che aspettare un giuoco di Governi, di loro mutamenti, e di rinnovazione delle Camere. Un atto di decisione del popolo tronca ogni incertezza.

Veniamo alle altre soluzioni. L’onorevole Codacci Pisanelli si accosta in parte all’onorevole Mortati, perché propone in linea principale la soppressione. Le ragioni esposte per l’onorevole Mortati valgono anche per lui. In linea subordinata, propone una limitazione al Capo dello Stato nell’indire il referendum. Egli dice che il Capo dello Stato potrà farlo soltanto quando la Camera, che è in questione, perché l’altra non ha approvato il suo progetto, abbia votato a maggioranza di due terzi. È una maggioranza molto notevole e pesante. Si tratta di una fortissima limitazione. Se mettiamo una limitazione di questo genere, rendiamo difficilissimo il caso in cui si possa applicare la soluzione proposta. Mi pare che questa limitazione ferisca veramente la facoltà di referendum; allora sarebbe meglio eliminare il referendum.

Veniamo alle altre proposte: si possono raccogliere in due gruppi.

Quelle dell’onorevole Fuschini e dell’onorevole Lami Starnuti, pur modificando il testo della Commissione, restano attaccate almeno in parte all’idea del referendum.

L’onorevole Lami Starnuti ammette la parità piena fra le due Camere; la .sua proposta non cade nel gruppo di quelle che impugnano tale parità. Egli consente il referendum, ma dice che sia la Camera stessa a chiederlo, ove non chieda invece di deferire la questione al l’Assemblea Nazionale. Dell’Assemblea Nazionale non ci possiamo occupare, perché abbiamo rinviato la questione. Riguardo al referendum, veda, onorevole Lami Starnuti, ho dei dubbi su questo suo sistema. Il concetto fondamentale della disposizione era che il Capo dello Stato giudicasse della opportunità di ricorrere al referendum, tenendo presente che i casi di tale ricorso possono essere molto rari. Ma se diamo alle Camere la facoltà di promuovere esse, senz’altro, il referendum, si incoraggia la loro tendenza a non mettersi spontaneamente d’accordo; si incoraggia la possibilità che si abbandonino ad ostinazioni e ripicchi, al volere che trionfi la loro opinione. È molto meglio che la facoltà di promuovere il referendum spetti alla imparzialità del Capo dello Stato.

Vi è poi la proposta dell’onorevole Fuschini, che ammette due concetti nuovi. Egli, in fondo, è fedele al progetto della Commissione, ma fa una piccola modifica con il tentativo di conciliazione per mezzo delle Commissioni parlamentari, tentativo di riesame che c’è anche nel progetto formulato dalla Commissione, perché esso dice che il Capo dello Stato invita la Camera ad un riesame e ad una nuova decisione. La sua modifica è in questo, che le Commissioni parlamentari debbono tentare esse l’opera di conciliazione. Occorre proprio dirlo nel testo della Costituzione? Nulla, ad ogni modo, di opposizione alla sua idea.

Inoltre l’onorevole Fuschini aggiunge: se il Capo dello Stato non crede di ricorrere al referendum, allora prevale la Camera dei deputati sull’altra Camera. Quegli comincia ad entrare con un piede cauto nella zona delle proposte che ammettono la prevalenza di una Camera sull’altra. Penetriamo anche noi, nel vasto esame in questa zona.

Vi sono tre proposte, se ben ricordo: quella dell’onorevole Preti, degli onorevoli Targetti-Carpano e dell’onorevole Persico.

Cominciamo a vedere il problema in sé. Cose notevoli ha detto l’onorevole Mortati, il quale ha criticato il concetto che non sia da vulnerare la parità assoluta tra le due Camere e che si possa, invece, ammettere la prevalenza di una Camera sull’altra.

Onorevoli colleghi! Io debbo difendere il testo formulato a maggioranza, a suo tempo, dalla Commissione, ma riconosco che contro il criterio di prevalenza d’una Camera sull’altra, in limiti e forme ben definite, non vi può essere un diniego assoluto. Né in sede teorica, né in sede di realtà e di fatto nelle Costituzioni. Non è vero, come ha detto l’onorevole Fuschini, che tale criterio sia così eretico, come ad alcuni appare. Non vi è bisogno che io ricordi ad uno studioso come l’onorevole Mortati che in dottrina vi è una corrente che sostiene come la prevalenza di una Camera sull’altra non intacchi e neghi il principio di bicameralità, ma rientri nel sistema di freni ed equilibri, che è a base della vita dello Stato moderno. Di fatti, in quasi tutti i Paesi è ammessa la prevalenza di una Camera sull’altra, basti pensare all’Inghilterra ed alla famosa legge del 1911 di Lloyd George. Né vale l’obiezione che ivi si tratta di una seconda Camera composta di membri ereditari per nomina del Capo dello Stato e quindi non elettivi. In altre costituzioni noi vediamo che i membri delle due Camere sono elettivi, ma una Camera prevale sull’altra. Io non credo che questa sia una eresia tale che debba essere senz’altro scomunicata. È un sistema che può essere adottato. Si tratta di scegliere.

Abbiamo da una parte il sistema del referendum, dall’altra quello del Capo dello Stato prevalenza della Camera dei deputati. Voi siete padroni di scegliere.

Le proposte concrete pel secondo sistema sono quelle degli onorevoli Preti, Carpano e Persico.

Preti si accosta indirettamente, per un punto, alla proposta dell’onorevole Fuschini, mettendo in azione un comitato misto che dovrebbe cercare l’accordo. Se non riesce, allora prevale senz’altro la deliberazione della Camera dei deputati. Ma l’onorevole Preti aggiunge, ed è un po’ grave, ammettere che prevale la Camera dei deputati, senza che essa abbia da rinnovare la sua deliberazione, mentre noi osserviamo che in tutti i sistemi nei quali la Camera dei deputati prevale, occorre una reiterata deliberazione e in certi casi – come in Inghilterra – addirittura tre. Se l’idea del comitato d’accordo potrebbe essere accolta, l’altra (della prevalenza della Camera dei deputati senza bisogno di rinnovare la sua deliberazione) deve essere assolutamente respinta.

Le proposte degli onorevoli Carpano e Persico sono in gran parte identiche, ma si differenziano perché la proposta dell’onorevole Carpano contempla due casi, mentre quella dell’onorevole Persico tre, e sotto questo punto di vista mi pare la più completa.

Io debbo disporvi queste cose che potete non aver capito fra tanta ressa di discorsi. Quali sono le ipotesi che si avanzano? La prima è che la Camera dei deputati si pronunci, cioè approvi una legge ed il Senato taccia, non si pronunci nel tempo determinato, cioè vi sia il silenzio. Allora, gli onorevoli Persico c Carpano, in questo caso che cosa propongono? Che occorre una nuova deliberazione della Camera, e quando c’è questa nuova deliberazione della Camera il progetto di legge diventa legge.

Questa è la prima ipotesi.

La seconda ipotesi è che la Camera approva un disegno di legge ed il Senato lo respinge o lo modifica. In tal caso, dicono gli onorevoli proponenti, bisogna che la Camera si pronunci, riapprovi a maggioranza assoluta, e solo in questo caso il disegno di legge diventa legge.

L’onorevole Persico aggiunge una terza ipotesi: il Senato approva un disegno di legge, la Camera o tace o lo respinge o lo modifica, ed il Senato lo riapprova. Ed allora, per un certo senso di riguardo al Senato, l’onorevole Persico fa questo ragionamento: siccome il Senato l’ha approvato due volte, il disegno di legge diventa legge nel testo deliberato dal Senato, a meno che la Camera non ritorni in un dato termine, che egli propone di un mese, a riapprovarlo con una maggioranza qualificata. Allora riprende vigore il principio della prevalenza della Camera.

Le cose sembrano abbastanza complicate, ma se vedeste che complicazioni sono nelle altre leggi e negli altri paesi! Comunque, il sistema Persico mi pare che sia il più completò perché considera tutti e tre i casi. Non credo che l’onorevole Carpano dovrebbe avere difficoltà ad accettare anche questo terzo caso.

Allora, noi siamo di fronte a tre proposte: vi è quella Mortati, che lascia aperta la questione del conflitto, confidando sul giuoco spontaneo del regime parlamentare; «lasciate fare, lasciate andare» le cose andranno a posto da sé; il che solleva forti dubbi.

Il secondo sistema è di tener ferma la parità delle due Camere, e di dar facoltà al Capo dello Stato di riconoscere in certi casi la necessità di ricorrere alla sovranità popolare col referendum; è proposto, come ho mostrato, perfettamente in armonia col sistema democratico.

La terza proposta è degli onorevoli colleghi che sostengono la prevalenza di una Camera: la Camera dei deputati. Anche questo sistema non contrasta col sistema democratico dello Stato. Si può, secondo i proponenti, vedere nella terza soluzione oltre ad una accentuazione più democratica (ove si consideri tale la prevalenza della Camera dei deputati) un procedimento che richiede, per dirimere i conflitti, meno scosse ed atti straordinari. Senza dubbio il progetto più completo è quello Persico, al quale si accosta molto l’onorevole Carpano.

Ora, io dico: se voi volete rimanere fermi, come io debbo proporvi perché la Commissione ha deliberato così e non si sente di cambiare opinione, se credete di tener fermo il sistema del referendum, allora votate il testo della Commissione, se no, se entrate nel terreno della prevalenza di una Camera sull’altra, il progetto che vi si presenta più completo è quello dell’onorevole Persico.

Non ho altro da dire. Desidero che questa votazione sia molto meditata. Non è colpa mia se alcune proposte vengono all’ultima ora, come quella Mortati, ed io non posso sentire il Comitato. Ho espresso quindi un’opinione obiettivissima come notaio delle deliberazioni delle Commissioni, ed ho fatto delle osservazioni, come avete sentito, di ordine soprattutto pratico, concreto, non teorico, non dottrinale, appunto, perché credo che la nostra Assemblea deve ispirarsi soprattutto a questi criteri.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori degli emendamenti se li mantengono.

Onorevole Persico?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Targetti, mantiene i due emendamenti?

TARGETTI. Anche a nome degli altri firmatari, ritiro i due emendamenti associandomi a quello dell’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

CODACCI PISANELLI. Subordinatamente all’emendamento proposto dall’onorevole Mortati, mantengo il mio emendamento. Naturalmente, siccome quello dell’onorevole Mortati è più radicale, ritengo opportuno che sia votato prima.

PRESIDENTE. Onorevole Lami Stormiti, mantiene il suo emendamento?

LAMI STARNUTI. Mantengo il mio emendamento subordinandolo a quello dell’onorevole Persico, al quale aderisco in via principale.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, mantiene il suo emendamento?

PRETI. Aderisco all’emendamento dell’onorevole Persico, mantenendo però, in via subordinata, il mio.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, mantiene il suo emendamento?

PERASSI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene il suo emendamento?

MORTATI. Mantengo il mio emendamento.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Io voterò a favore della soppressione completa dell’articolo 70 e quindi in sostanza aderisco all’emendamento dell’onorevole Mortati, poiché ritengo che le prime parole del primo comma che egli manterrebbe costituiscano in qualche modo un pleonasmo, una frase irrilevante; dunque nella sostanza sono d’accordo con lui. Mi vorrei in proposito permettere di ricordare all’Assemblea che nella nuova Costituzione noi abbiamo soppresso un importante istituto che esisteva nella precedente, cioè il decreto di chiusura della sessione, il quale aveva questa caratteristica particolare: di far cadere i progetti di legge che non fossero stati durante una legislatura definitivamente approvati. Questo istituto, che ha nel passato funzionato, dimostra che politicamente è utilissimo che possa verificarsi, da parte del Governo e della maggioranza parlamentare che vi consente, l’abbandono di un progetto di legge anche quando sia stato già approvato da uno dei due rami del Parlamento. Tutta, invece, la stesura dell’arti colo 70 e tutte le discussioni che abbiamo sentito fare partono dal concetto che il Paese sia in qualunque momento, in qualunque caso, assetato di leggi e che quando un ramo del Parlamento ha approvato una proposta di legge, sia una catastrofe nazionale il fatto che l’altro ramo del Parlamento non consenta o taccia, la quale seconda ipotesi equivale a un non consenso. Ora, nell’istituto del Parlamento bicamerale, dal momento che per la formazione della legge occorrono due dichiarazioni di volontà perfettamente conformi, se queste non si formano o se una delle due dichiarazioni di volontà non interviene, la proposta di legge cade. Questo significa che il Governo non ha ragione di insistere per questa approvazione e se c’è un ramo del Parlamento il quale sia in assoluto dissenso da questo punto di vista, ha la facile soluzione di porre la questione di fiducia e di creare una crisi. D’altra parte, i due rami del Parlamento sono assolutamente sovrani. La pretesa di regolare con minute disposizioni la risoluzione di conflitti fra organi costituzionali supremi e sovrani è chiaro che non può sempre essere raggiunta e quindi ritengo che sia utilissimo lasciare al costume politico il regolamento di questi rapporti fra organi sovrani e ritengo che l’ipotesi della caduta di un progetto di legge, per il fatto che è stato approvato da un solo e unico ramo del Parlamento, sia un fenomeno che può anche essere utilissimo e che nel caso particolare equivarrebbe a quello che nel passato regime era l’effetto normale del decreto reale di chiusura della sessione, che noi abbiamo soppresso, in quanto è stato soppresso l’organo da cui dipendeva questo decreto. Nella realtà tuttavia e, sostanzialmente, nel regime monarchico parlamentare la facoltà di ricorrere al decreto di chiusura della sessione concerneva il Governo. Per questo voterò contro il mantenimento, in tutto o in parte, del contenuto dell’articolo 70.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, io concordo con l’ordine di idee espresso dall’onorevole Mortati, ma non concordo con la proposta formale da lui fatta per mantenere l’articolo 70 soltanto in questa dicitura:

«I disegni di legge approvati da una Camera sono trasmessi all’altra».

Questo non ha significato, perché ci possiamo domandare: sono trasmessi all’altra, a che titolo? Perché ne prenda atto, perché li registri? Si vuole dire tutt’altra cosa, si vuol dire cioè quello che è stato già detto nell’articolo 67, che la legge è un atto complesso, che a formare la legge devono concorrere le volontà dell’una Camera e dell’altra Camera.

Quindi, credo che si potrebbe sopprimere completamente l’articolo 70.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Aderisco alla proposta dell’onorevole Bozzi e quindi trasformo il mio emendamento nel senso di proporre la soppressione di tutto l’articolo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei dire due parole a conforto della tesi sostenuta dall’onorevole Fabbri e che ha incontrato anche l’adesione di altri colleghi.

Ho seguito con molta attenzione e con molta curiosità questa discussione e mi sono posto una domanda: ma è possibile che tanta gente pensi ancora – e potrei aggiungere un «purtroppo non è così» – che ci sia la Monarchia?

Si continua a discutere dei rapporti tra le due Camere come se fossero le due Camere di allora, come se fossero elette coi criteri di allora, come se l’una fosse di nomina popolare e l’altra di investitura regia, come se una trasformazione di tutto il sistema non fosse avvenuta. E quindi la preoccupazione che la Camera di investitura regia non possa prevalere su quella di investitura popolare, e quindi la preoccupazione di conflitti fra questi due organi che invece, oggi, sorgono entrambi da una investitura popolare. Il Senato è elettivo come elettiva è la Camera dei deputati: ci sarà una diversità di sistema di elezione; ma sono scomparse anche quelle che potevano essere le ragioni di preoccupazione per alcuni colleghi, o per alcuni settori dell’Assemblea, cioè la nomina con un criterio regionalistico, e la nomina con un sistema indiretto di elezione.

Tutto questo è cessato. Ed allora veramente ci si domanda perché noi vogliamo interferire a priori in questi rapporti tra due pari, tra due organi che sono entrambi strumenti della sovranità popolare; perché noi vogliamo stabilire questi rapporti con dei criteri che non hanno un fondamento sostanziale, come quando qualcuno si preoccupa che una Camera, quando un suo progetto di legge sia stato ripudiato dall’opinione pubblica, perda di prestigio. Ma quando mai uno di noi, anche dei più autorevoli, ha perso prestigio in questa Assemblea perché una sua proposta non è stata accolta?

Io ho la sensazione di assistere ad una discussione anacronistica e appunto per questo penso che cosa migliore sia di lasciare alla prassi di formare le regole che dovranno far funzionare gli istituti, così come fu per il passato, perché questo referendum, che può essere e può non essere indetto dal Capo dello Stato (il che significa praticamente che sarà sempre indetto perché un povero Capo dello Stato non troverà certo altra soluzione) non potrà che complicare maggiormente le cose.

Altrimenti questo Capo dello Stato finirà con l’essere estromesso da tutto, questo Capo dello Stato non avrà che l’autorità dell’impotenza, per completare l’espressione del collega Lami Starnuti.

Io credo quindi che la cosa migliore sia dì sopprimere l’articolo 70; in tal modo noi affideremo alla prassi la soluzione della questione e d’altronde l’esperienza insegna che non v’è se non un unico modo per costringere gli organismi a fare il loro dovere: quello di renderli veramente responsabili delle loro azioni.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, dobbiamo ora passare alla votazione e ritengo che la proposta soppressiva dell’onorevole Mortati debba avere la precedenza. Invero, noi abbiamo normalmente adottato sempre il criterio che gli emendamenti soppressivi non siano votati in sé, potendosi raggiungere il fine della soppressione votando contro una disposizione. Nel caso particolare, però, non si tratta di una proposta di soppressione di un inciso, ma di un intero articolo ai cui numerosi commi sono stati proposti numerosi emendamenti.

Se noi applicassimo però in questo contesto la consuetudine di appoggiare la proposta di soppressione votando contro la formula positiva, ne deriverebbe che i colleghi, i quali intendono sia soppresso l’intero articolo 70, dovrebbero votare sempre contro nei confronti di una lunga serie di emendamenti, e non già per opposizione al contenuto dei singoli emendamenti stessi, ma per una ragione di opposizione verso l’intero articolo 70.

Ove non dovesse prevalere la tesi della soppressione dell’intero articolo, passeremo alla votazione dei vari emendamenti presentati al testo della Commissione.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Onorevole Presidente, lei dunque mette in votazione prima l’emendamento soppressivo: ma guardi, a me pare di dover fare questa osservazione, che c’è chi è contrario al testo della Commissione, ma è favorevole all’emendamento dell’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, coloro che sono favorevoli alla proposta dell’onorevole Persico sono, per ciò stesso, favorevoli al mantenimento dell’articolo 70.

GULLO FAUSTO. No, perché se l’emendamento Persico dovesse essere poi non approvato, io, fra l’articolo 70 e la soppressione, voterei per la soppressione; ma, se lei mi mette nella condizione di dover votare prima la soppressione, io non so come dovrei risolvere questo stato di coscienza.

Perciò dico: votiamo prima o la proposta dell’onorevole Persico o il testo della Commissione; scartati i quali, si potrebbe porre in votazione la soppressione.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare che la questione si prospetti in questi termini: si ritiene che, di fronte alla ipotesi di conflitti fra le due Camere, la Costituzione debba indicare i mezzi per risolverli, oppure non debba dare disposizioni, lasciando che la prassi – come è stato detto da molti colleghi – finisca con l’indicare le vie per la loro soluzione?

Questo è il problema principale. Successivamente, in caso di sua risoluzione in senso positivo, occorrerà stabilire quale dovrà essere il metodo per risolvere i conflitti fra i due rami del Parlamento.

Comunque, se l’Assemblea ritiene che in questo caso specifico non si debba mutare la consuetudine procedendo alla votazione dell’emendamento soppressivo, ma si debba votare successivamente sugli emendamenti e sul testo, io non mi oppongo.

FABBRI. Quest’ultimo metodo di votazione sarebbe inorganico.

PRESIDENTE. Comunque, poiché l’onorevole Gullo ha proposto la questione, vorrei che chi ha opinioni a questo proposito le esprimesse.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Onorevoli colleghi, l’articolo 67 dispone che la funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere. Per quanto non ancora approvato, esso tende a stabilire un principio sul quale non vi sarà dissenso: quello della collaborazione fra le Camere. L’articolo 70, di cui discutiamo ora, tende appunto a regolare in qualche modo questo lavoro coordinato delle Camere; e pertanto la sua soppressione potrebbe portare nocive imprevedibili conseguenze.

PRESIDENTE. Il suo intervento onorevole Bertone – mi perdoni – è una specie di dichiarazione di voto; non si riferisce alla questione di procedura intorno alla quale si discuteva.

BERTONE. Ho voluto fare questa dichiarazione, perché l’emendamento Mortati, che propone la soppressione dell’articolo 70, non mi pare sia da approvare; almeno io non mi sentirei di approvarlo.

PRESIDENTE. Sta bene; se sarà posto in votazione, lei potrà votare contro.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. A me pare che il dubbio molto giusto sollevato dall’onorevole Gullo si possa risolvere in un modo molto semplice: mettendo in votazione prima l’emendamento Persico e poi quello soppressivo dell’onorevole Mortati. Tanto più che, a mio giudizio, l’emendamento Persico è quello che più si allontana dal testo della Commissione. (Commenti a destra).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Anch’io mi sono trovato qualche volta nella perplessità in cui ora si trova l’onorevole Gullo, ossia di preferire alla non approvazione di un emendamento che non mi piace la soppressione di un testo che disapprovo.

Effettivamente, seguire la graduazione del Regolamento, cominciando a votare l’emendamento più lontano fino a quello più vicino al testo della Commissione e poi passando a votare il testo stesso significa, normalmente, seguire un criterio logico. Ma nel caso in esame vi è una progressione logica per cui occorre innanzitutto risolvere la questione di principio, e cioè il mantenimento o la soppressione del criterio cui è ispirato l’articolo 70.

Mi dite voi come mi troverei io o qualche altro collega che è favorevole alla soppressione dell’articolo se deve prima votare una serie di emendamenti che si intersecano fra loro, proposti ad un testo che potrebbe, in un secondo tempo, essere interamente soppresso? Come si può votare sugli emendamenti con questa arrière pensée?

Noi dobbiamo, quindi, prima di tutto deliberare la soppressione, perché così vuole la logica. Chi è contrario al testo perché lo ritiene nocivo agli interessi del Paese voterà per la soppressione. La quale, poi, costituisce comunque l’emendamento più lontano dal testo originario.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Ritengo che la proposta soppressiva debba avere la precedenza, come quella che risolve una questione di principio nei confronti di una serie di diverse e concrete proposte tendenti, invece, alla conservazione, proposte nei cui confronti non si può logicamente scendere a rispettivo esame se non dopo avere risolto la questione preliminare sulla conservazione o meno della norma.

Quindi, nel rito, io sono dello stesso avviso del Presidente. Nel merito dichiaro, anche a nome dei colleghi di Gruppo, che, valutate le varie ragioni che sorreggerebbero i criteri proposti per l’ipotesi di conservazione della norma, criteri che singolarmente considerati non sembrano mai rispondere a una valutazione sodisfacente, noi pensiamo che l’articolo proposto possa essere senza danno depennato dal testo della Costituzione. E ciò dicasi anzitutto dal punto di vista giuridico, perché in tal modo non si ferisce il concetto che, trattandosi della formazione di un atto complesso come è quello legislativo, esso non risulta perfetto se non col concorso della volontà delle due Camere e fino a quel momento manca l’atto stesso, cosicché non si potrebbe nemmeno parlare tecnicamente di conflitto. Mentre, dal punto di vista politico, potranno sempre operare i mezzi a cui hanno fatto cenno parecchi oratori e che vanno dal giuoco dei rapporti che normalmente corrono fra il Governo e le Camere fino all’ipotesi estrema, che è rappresentata dalla facoltà di scioglimento della Camera spettante al Capo dello Stato. In tal modo, mentre la sola prospettiva dello scioglimento è già il più efficace motivo di remora, resta fermo che se si presentasse un conflitto politico di tale gravità da determinare quella sanzione, opererebbe sempre un provvedimento estremo, atto a fronteggiare la situazione e perciò rispondente ad una esigenza che può essere nella coscienza comune.

Sotto questo aspetto, ritenendo che la materia in discussione non resti scoperta ed insoluta, bensì che essa possa essere soddisfacentemente disciplinata secondo le norme della prassi costituzionale e il giuoco delle forze politiche in atto, noi voteremo a favore dell’emendamento soppressivo.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Sull’emendamento soppressivo dell’articolo 70 proposto dall’onorevole Mortati gli onorevoli Moro, Rodinò Ugo, Numeroso, Salvatore, Castelli Avolio, Guerrieri Emanuele, Angelucci, Vigo, Baracco, Bosco Lucarelli, De Palma, Ferrarese, Scoca, Morelli Renato e Carratelli hanno chiesto la votazione per appello nominale; mentre gli onorevoli Laconi, Grieco, Maltagliati, Gervasi, Lombardi Carlo, Montagnana Rita, Bei Adele, Fedeli Armando, Spano, Barontini Anelito, Bardini, Allegato, Giolitti, Corbi, Pastore Raffaele, Minio, Farini, Bernamonti, Storchi e Fausto Gullo hanno chiesto quella a scrutinio segreto. Quest’ultimo metodo di votazione ha la precedenza a norma dell’articolo 77 del Regolamento.

Indico pertanto la votazione segreta.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     293

Maggioranza           147

Voti favorevoli        177

Voti contrari            116

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bergamini – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi.

Cacciatore – Cairo – Caldera – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Carpano Maglioli – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatriani – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese – Cosattini – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Giovanni – Dominedò – D’Onofrio.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giannini – Giolitti – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Lazzati – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Lucifero – Luisetti – Lussu.

Magnani – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marconi – Mariani Francesco – Marina Mario – Marinaro – Martino Enrico – Massini – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Matteo – Mazza – Meda Luigi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Montagnana Rita – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati.

Nasi – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Recca – Restagno – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Roveda – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Scalfaro – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Segni – Spallicci.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Villani.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi.

Sono in congedo:

Alberti.

Bonino.

Caporali – Carmagnola – Caso.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Roselli.

Sapienza – Sardiello.

Turco.

Il seguito della discussione è rinviato a domani, avvertendo che vi saranno due sedute: alle 11 e alle 16.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non intenda ripristinare, per il trasporto dei vini dalla Sicilia, la tariffa ferroviaria 907, che, con la riduzione del 50 per cento, allieverebbe la crisi che si profila nel settore vitivinicolo, aggravata per i produttori siciliani dalla maggiore distanza dai mercati di consumo.

«Mattarella».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere in quale misura intende agevolare l’E.C.A. di Venezia, costretto dal deficit, dovuto incontrare, a ricorrere alla Direzione generale dell’Amministrazione civile, perché siano concesse agli Istituti assistenziali dell’E.C.A., elencati nella richiesta ufficialmente trasmessa, le indispensabili sovvenzioni straordinarie per evitare il ricorso all’inumano e praticamente inattuabile provvedimento della dimissione di centinaia e centinaia di vecchi inabili al lavoro e minori abbandonati o appartenenti a famiglie estremamente bisognose; tenendo presente l’urgenza dell’intervento sollecitato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere se non ritenga opportuno, quanto urgente:

1°) autorizzare la Sepral alla tempestiva distribuzione dei generi razionati – con particolare riguardo ai generi da minestra – entro i primi giorni del mese, dovendosi lamentare che la popolazione della provincia di Treviso ottiene normalmente l’assegnazione dei generi razionati verso la fine del mese, con il gravissimo disagio che questo fatto comporta per la grande massa delle famiglie meno abbienti, impossibilitate di altrimenti approvvigionarsi;

2°) disporre l’assegnazione dei 100 grammi di zucchero, rimasta arretrata nel mese di luglio per tutta la popolazione, in seguito a disposizione dell’Alto Commissariato per l’alimentazione;

3°) disporre la fornitura dei generi necessari per la distribuzione del pacco AVISS, rimasta incompleta nella stessa prima distribuzione, che è doveroso invece continuare giusta gli impegni assunti;

4°) provvedere, infine, all’assegnazione straordinaria di generi contingentati per le distribuzioni a carattere differenziato alle classi meno abbienti della provincia di Treviso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quali provvedimenti siano stati presi contro il vandalismo commesso a Francofonte (Siracusa) da parecchie centinaia di persone che hanno danneggiato per molti milioni l’acquedotto, che doveva portare l’acqua al paese di Sortino.

«L’interrogante chiede che i lavori siano ripresi e con più sollecitudine per calmare l’agitazione esistente in questo paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere quali provvedimenti intende adottare per incoraggiare l’allevamento del baco da seta, ritenendo che, se i bozzoli non verranno pagati quel minimo che compensi almeno la mano d’opera necessaria, sarà inevitabile l’abbattimento dei gelsi, come già è stato fatto in alcune zone. Notevoli quantità di bozzoli, raccolti dalle cooperative fra produttori, sono stati essiccati ed oggi sono minacciati dal tarlo, per cui si rende urgente la loro utilizzazione o permettendone l’esportazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chieda di interrogare i Ministri della difesa, dell’agricoltura e foreste e del tesoro, per conoscere quale è d’attuale estensione dei campi tuttora minati e quali provvedimenti intendono finalmente adottare per la sollecita restituzione alla produzione agricola delle terre cosparse di ordigni esplosivi, risultando che numerosi operai specializzati nel rastrellamento di mine sono da vari mesi disoccupati. Nei comandi militari addetti a tale rastrellamento si nota una viva preoccupazione per la fine dei lavori, perché determinerebbe il licenziamento di varie centinaia di impiegati, mentre è urgente che considerevoli estensioni della pianura padana ritornino al più presto alla coltivazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, in base alla nuova disciplina dell’olio d’oliva, non ritenga opportuno oltre che conveniente lasciare libero il commercio delle sanse, in quanto l’ammasso di tale sottoprodotto impone agli agricoltori maggiori spese per la conservazione, nuovi esasperanti controlli ed esige altresì il mantenimento del Consorzio per la distribuzione delle sanse ammassate, per cui i costi della produzione risultano gravati da notevoli ed evitabili spese, che in ogni caso superano quelle derivanti dal maggiore prezzo che verrebbe pagato ai produttori agricoli. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Scotti Alessandro, Caroleo».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere i motivi che indussero alla circolare del 31 luglio 1947, numero di protocollo 6079/56, diramata dalla Direzione generale della istruzione elementare, con la quale, negli incarichi delle direzioni didattiche, venne data preferenza ai titoli e alle idoneità conseguite nei precedenti concorsi (l’ultimo è del 1942) nei quali era obbligatorio, per l’ammissione, il certificato di iscrizione al partito fascista.

«E se non ritenga di poter revocare tale circolare, apparendo essa in contrasto con i decreti emanati a favore dei reduci e dei danneggiati politici, nonché rappresentando un evidente danno per coloro che non furono iscritti al regime e perciò esclusi dai concorsi e dagli esami per il conseguimento del titolo.

«Diversamente rimarrebbero valorizzate e ratificate in piena democrazia, quelle arbitrarie situazioni di privilegio elargite nel ventennio agli aderenti alla dittatura in danno di coloro che si sacrificarono per un ideale di libertà e di patria. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«De Caro Raffaele, Cifaldi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere in quali condizioni di vita e di lavoro si trovino i profughi di Pola trasferitisi a Fertilia presso Alghero in Sardegna, e quale attualmente sia il numero di essi. Notizie pervenute all’interrogante e altre pubblicate dalla stampa (Giornale d’Italia numeri 154, 180, 187 e 188 di luglio ed agosto 1947) dichiarano che le abitazioni non sono state sistemate, che la disoccupazione è pressoché generale, la mancanza di mezzi, di indumenti e di alimenti grave e penosa (mai avvenuta la promessa distribuzione dei pacchi U.N.R.R.A.); mentre le masserizie dei singoli, depositate nei vari magazzini del continente, non ancora sono state portate alla definitiva destinazione degli interessati. Lente ed estenuanti risultano, specialmente, la deliberazione e la esecuzione dei provvedimenti necessari perché la sistemazione dei profughi in quella regione sia possibile e adeguata, talché molti di essi, esasperati da tale doloroso stato di cose, richiedono di abbandonare la zona, dove una solerte ed efficace opera di assistenza e di organizzazione potrebbe creare notevoli opportunità di lavoro e favorevoli condizioni di vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Corsi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni per le quali non sono stati ancora distribuiti alle Intendenze di finanza i prontuari necessari per il pagamento delle provvidenze concesse dal Governo ai pensionati. Per tale inesplicabile ritardo burocratico i pensionati, le cui gravissime condizioni di disagio meriterebbero la più vigile e tempestiva considerazione da parte delle autorità, non hanno potuto ancora percepire i modesti beneficî loro concessi, che possono appena alleviare quello stato di quasi miseria in cui versano, dopo aver speso tutta una vita al servizio del Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, perché consideri se non sia il caso di provvedere in qualche modo alla sistemazione degli istruttori di ruolo di quarta classe e dei collegi della disciolta GIL, gruppo B, grado 8°, che hanno perduto tale qualifica (e di conseguenza l’impiego) in data 14 dicembre 1943 per soppressione del ruolo.

«Essi, tutti abilitati all’insegnamento elementare, frequentavano un corso di 12 mesi, dopo il quale furono destinati nei vari collegi per l’insegnamento dell’educazione fisica. Frequentavano, inoltre, in Torino il corso di perfezionamento per insegnanti incaricati di educazione fisica nelle scuole dell’ordine medio.

«Il Commissario nazionale della gioventù italiana, professor Mario Tortonese, ha diramato di recente una circolare ai dipendenti Commissari provinciali, e per conoscenza ai provveditori agli studi, nella quale, fra l’altro, rende noto che sono in corso provvedimenti da parte del Ministero della pubblica istruzione per la sistemazione degli ex-accademisti di Roma e di Orvieto e dei collegi e degli educatori.

«Sembra, dunque, all’interrogante che sia profondamente equo prendere in considerazione anche la situazione dei pochi istitutori (circa un centinaio), di cui innanzi, sistemandoli nei collegi e negli educatori, oppure ammettendoli a frequentare i corsi accelerati di educazione fisica, alla pari degli ex-accademisti del primo anno. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, perché consideri se non ritenga necessario intervenire per risolvere, con la sua autorità, il conflitto insorto fra gli armentari del comune di Capracotta (Molise), che si apprestano a discendere con i loro greggi dal monte alla pianura pugliese, ed i proprietari dei terreni, ove negli scorsi anni è stato effettuato il pascolo.

Il conflitto è insorto, avendo i proprietari predetti chiesto agli armentari ben 500.000 lire – da pagarsi anticipatamente – per ogni carro di pascolo (un carro equivale a 80 tomoli di terreno), mentre nello scorso anno agrario furono pagate – non anticipatamente, ma a maggio – 150.000 lire per carro. Se detto fieno dovesse essere pagato così come si chiede, la ricotta dovrebbe essere venduta a non meno di 1000 lire al chilogrammo ed il formaggio a non meno di 3000 lire il chilogrammo. Ma, a parte ciò, è da prevedere che, non potendo gli armentari disporre delle somme occorrenti, si troveranno nella necessità di vendere gli ovini, con gravissime conseguenze facili a prevedere per l’agricoltura molisana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere le ragioni per le quali ha creduto di dovere all’Ospedale civile Cardarelli di Campobasso assegnare un materiale sanitario inferiore di molto, sia a quello richiesto, sia a quello assegnato agli Ospedali delle provincie limitrofe, il che non si sarebbe dovuto verificare, ove si fossero tenuti ben presenti gli urgenti bisogni e le gravi carenze presidiarie dell’ospedale suddetto, notoriamente disastrato dalla guerra e destinato, altresì, per la sua stessa posizione, a servire la più estesa e importante zona di tutta la regione molisana. E per conoscere altresì se non creda, in conseguenza, di provvedere ad una assegnazione suppletiva, in cui venga compresa una stufa di disinfezione, della quale l’Ospedale è completamente sfornito e che non può acquistare per assoluta deficienza di mezzi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri degli affari esteri e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se siano a conoscenza dei gravi inconvenienti a cui dà luogo l’attuale organizzazione (o disorganizzazione) della visita sanitaria e della doccia, al passaggio di frontiera di Briga.

Risulta all’interrogante in modo certo e in base a numerose testimonianze scritte, che ogni giorno in detta località di frontiera giovani donne, provenienti dall’Italia e dirette in Svizzera con regolare contratto di lavoro, dopo la visita doganale, vengono fatte spogliare in una baracca (per la disinfezione degli indumenti personali), indi rinchiuse, in attesa del turno per la doccia, munite di una sola coperta da campo, in locale intercomunicante con altro locale destinato a raccogliere gli emigranti di sesso maschile: la parete divisoria in legno non arriva al soffitto ed è, come la porta interna, crivellata di fori.

«Ultimata la doccia, i nostri emigranti hanno a disposizione pochissimi asciugatoi di formato ridotto: sono spesso costretti a servirsi della coperta e debbono perciò attendere, senza alcun riparo, talvolta per parecchie ore, l’arrivo del sanitario per la visita prescritta.

«L’interrogante desidera conoscere quali passi presso il Governo svizzero intendano compiere i competenti Dicasteri, per la salvaguardia della dignità delle nostre donne emigranti e per la tutela della integrità fisica dei nostri emigranti, donne e uomini. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Belotti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali ostacoli si oppongono al rimpatrio degli operai militarizzati alle dipendenze dell’arsenale militare marittimo di La Spezia, fatti prigionieri in Africa Orientale e non ancora rimpatriati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Barontini Anelito».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se, in relazione al preoccupante incremento dei casi di intossicazione, verificantisi nelle maestranze delle industrie chimiche, o comunque costrette all’impiego di materiali tossici, non intenda predisporre una norma di legge che impegni in modo categorico i datori di lavoro ad avvicendamenti periodici tra le maestranze specializzate, tali da evitare al fisico dei lavoratori menomazioni durature e forme patologiche inguaribili.

«Rileva l’interrogante che le provvidenze attuali sono, in proposito, assolutamente inadeguate, come insufficiente è la distribuzione di latte supplementare a scopo disintossicativo, in epoca caratterizzata dalla minore resistenza fisica dei lavoratori, conseguenza dei disagi subiti e della difettosa nutrizione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Belotti».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.