ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCL.
SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 8 OTTOBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Congedo:
Presidente
Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):
Presidente
Mortati
Lussu
Laconi
Moro
Nobile
Bordon
Corbino
Lucifero
Fabbri
Bozzi
Costantini
Rubilli
Dominedò
Nobili Tito Oro
Lami Starnuti
Targetti
Reale Vito
Gronchi
Codacci Pisanelli
Dossetti
Togliatti
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Perassi
Badini Confalonieri
Alberti
Nitti
Clerici
Nenni
Priolo
Uberti
Condorelli
Rodi
Votazione segreta:
Presidente
Risultato della votazione segreta:
Presidente
Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri
Leone Giovanni
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Congedo.
PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Caporali.
(È concesso).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ricordo che stamane abbiamo approvato il primo comma dell’emendamento sostitutivo dell’articolo 55, proposto dall’onorevole Mortati.
Il secondo comma dell’articolo 55 nel testo della Commissione pone, anzitutto, il problema dell’assegnazione di un numero fisso di senatori ad ogni Regione.
In secondo luogo, stabilisce il quoziente per l’elezione dei senatori, senza indicare se questo quoziente debba intervenire o meno nella determinazione del modo di elezione del numero fisso di senatori di cui al primo comma.
Il problema è ripreso anche nell’emendamento dell’onorevole Mortati, il quale però trasforma il numero fisso in un minimo di senatori per ogni Regione.
Sono due diversi modi di presentazione di un problema.
A proposito del numero fisso dei senatori, quasi tutti gli emendamenti proposti, oltre a quello dell’onorevole Mortati sono contrari. Così gli emendamenti presentati dagli onorevoli Lami Starnuti, Preti, Targetti, Laconi, Caronia. Invece, l’emendamento dell’onorevole Nitti propone per l’appunto che ogni Regione abbia un numero fisso di senatori, oltre a quelli che devono esserle riconosciuti a seconda del quoziente.
Vi sono, dunque, tre possibilità: assegnare alla Regione null’altro che il numero di senatori discendente dal rapporto tra il quoziente e gli abitanti; oppure un numero di senatori minimo, assicurato indipendentemente dal rapporto tra quoziente e numero degli abitanti; e infine, vi è la terza possibilità, di assegnare ad ogni Regione un numero fisso di senatori, un numero base, al quale si aggiungerà quell’altro numero variabile che discende dal solito rapporto tra il quoziente e il numero degli abitanti. Tre possibilità, dunque, due delle quali si diversificano dalle proposte contenute nell’articolo della Commissione; per l’appunto quella che trasforma il numero fisso in numero minimo e quella che esclude sia il numero fisso che il numero minimo.
Quali di queste due proposte si allontani di più di testo della Commissione è un po’ difficile determinare. Comunque, le porremo alla prova della votazione, poiché essendo gli emendamenti già stati svolti, in questo momento non si tratta d’altro che di decidere. Anche nelle discussioni che si sono svolte ieri e questa mattina è del resto stata trattata questa questione, per cui credo che essa possa considerarsi matura conclusione.
Se, tuttavia, qualche onorevole collega desiderasse ancora prendere la parola su questo argomento, noi lo ascolteremo. Ciò però che più importa mi pare sia il tener presenti le conseguenze delle votazioni che ci apprestiamo a fare. E certamente la principale sarà che, ammettendo sia un numero minimo che un numero fisso base a cui vengano poi ad aggiungersi gli eletti nel numero stabilito dal rapporto tra il quoziente e la popolazione, i senatori verrebbero a rappresentare masse diverse di popolazione dall’una e all’altra Regione.
L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgere la seconda parte del suo emendamento presentato stamane:
«Il numero dei senatori è determinato in ragione di uno ogni 250 mila abitanti, attribuendosi però a ciascuna Regione un numero minimo di sei senatori».
MORTATI. Il mio emendamento riguarda due punti; il primo è quello della percentuale di senatori a seconda della popolazione, la quale percentuale propongo sia elevata da 200 a 250 mila abitanti e ciò per fare del Senato un organo che meglio si differenzi dalla Camera dei deputati. Se di questa, con l’aumento del numero dei membri, rispetto a quanto era stato proposto dal progetto, si è voluto fare una espressione analitica della volontà popolare, appare opportuno che invece il Senato adempia alla funzione di una rappresentanza più sintetica di grandi nuclei regionali.
La proposta, quindi, relativa all’elevazione del numero dei senatori si basa su questa prima considerazione. Ma se ne può aggiungere una seconda, quella cioè desumibile dall’esigenza di fare del Senato un corpo che sia il più possibile selezionato qualitativamente, soprattutto ai fini di una migliorie elaborazione delle leggi; al che può giovare il non elevarne eccessivamente il numero, così come gioverà il limitare la scelta degli eleggibili in determinate categorie, secondo una proposta che dovrà essere discussa in seguito.
Si può trovare conforto nella tesi sostenuta nell’esempio offerto dalle Costituzioni di non poche fra le maggiori altre Nazioni, le quali appunto presentano una tendenza alla riduzione del numero dei membri del Senato, della seconda Camera rispetto a quello dei membri della Camera dei deputati. Si può in proposito ricordare che il Senato degli Stati Uniti è composto di appena 96 membri su 130 milioni di abitanti; la seconda Camera russa conta 570 membri su ben 170 milioni di abitanti; la Camera alta del Brasile, risulta composta di appena 42 membri su 44 milioni di abitanti; così ancora l’Australia, la quale non ha anch’essa che 30 senatori su 12 milioni di abitanti. Ma v’è poi l’altro punto, quello cioè che si riferisce alla sostituzione del limite minimo al posto del numero fisso.
I due sistemi pur differendo fra loro, hanno una radice comune, nella comune finalità di rafforzare il peso politico delle piccole Regioni di fronte alle grandi.
Sono state fatte delle obiezioni al riguardo. Si è detto che questo premio dato alle piccole Regioni potrebbe essere un incitamento alla moltiplicazione delle stesse, e quindi potrebbe portare al sorgere artificioso di movimenti regionali, diretti alla costituzione di nuove piccole Regioni, allo scopo appunto di aumentare il peso della loro rappresentanza politica al Senato. Si può, però, osservare che la formazione delle nuove Regioni secondo il progetto in esame non è sottoposta all’arbitrio delle popolazioni interessate, ma alla legge costituzionale; e quindi vi è la garanzia, data dall’intervento di tutte le forze politiche dello Stato, che possono neutralizzare le tendenze particolari delle Regioni che aspirino ad un ampliamento artificioso del numero dei rappresentanti al Senato.
Quindi, non mi pare che vi siano obiezioni serie, dal punto di vista pratico, all’accoglimento del principio di attenuare il criterio della determinazione del numero dei senatori in modo rigidamente proporzionale alla popolazione.
D’altra parte, faccio osservare che le proposte di modificare questa proporzione sono contenute in limiti così modesti, che portano a spostamenti minimi. Per esempio, della mia proposta di dare un numero mimmo di sei senatori per ogni Regione – tenuto conto delle Regioni storiche e del Friuli (la cui costituzione come Regione autonoma è stata decisa) – verrebbero, in sostanza, a beneficiare cinque Regioni e la composizione totale del Senato verrebbe aumentata solo di poche unità. Il che non mi pare determini un turbamento notevole nella composizione politica del Senato, mentre, d’altra parte, rappresenta un riconoscimento di quella che può essere l’esigenza delle piccole Regioni, e specialmente delle piccole Regioni del Sud, ad avere un potenziamento, sia pure modesto e più simbolico che sostanziale, della loro influenza politica in questo Senato che, per quanto ridotto nel suo aspetto regionalistico, pur tuttavia conserva un legame con la struttura regionale, e quindi è il rappresentante di questo nuovo ente che abbiamo costituito.
A me pare, perciò, che sia l’una che l’altra proposta meritino di essere accolte.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo alla votazione. Mi pare, che, essendo la questione ripresa da numerosi emendamenti, sia pure in vari contesti, la miglior cosa sia di votare la questione in sé, e cioè: deve darsi un numero minimo di senatori per ogni Regione? A risposta affermativa, voteremo poi se debbano essere i sei proposti dall’onorevole Mortati e dagli altri colleghi, oppure in altro numero.
Non passando invece la proposta di principio, voteremo se si debba dare un numero di senatori fisso di base, al quale si aggiungano poi i senatori eletti in rapporto al quoziente della popolazione. Questa mi pare debba essere la successione dei voti. Importante per ora non è la formulazione letteraria, ma il quesito in sé.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. Noi stessi, che abbiamo lungamente discusso questo problema nella seconda Sottocommissione, abbiamo una certa perplessità e penso che, a maggior ragione, i colleghi che devono adesso affrontare la votazione abbiano bisogno di essere maggiormente illuminati.
Qual è lo scopo di questa proposta per cui si è fissato un numero minimo di senatori per ogni Regione? Evidentemente per avvantaggiare alcune Regioni. Quali Regioni?
PRESIDENTE. L’ha detto d’onorevole Mortati proprio adesso.
LUSSU. Ma quali sono? Sono parecchie? Sono quattro?
PRESIDENTE. Onorevole Mortati, le precisi lei che ha esposto il concetto.
MORTATI. Venezia Tridentina, Friuli, Lucania, Umbria e Sardegna.
Poiché ho la parola, vorrei pregare di tener presente che nel mio emendamento è stato omesso, per un errore materiale, di tener conto delle frazioni, ma è implicito che le frazioni di 125 mila abitanti dovevano essere incluse.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Mi parrebbe logico che noi alterassimo un po’ l’ordine di votazione che la Presidenza ha proposto in questo momento, e cioè che votassimo prima il quoziente e poi eventualmente il numero fisso, in modo che l’Assemblea si possa render conto del beneficio che dà a determinate Regioni.
PRESIDENTE. Io sono tenuto a seguire l’ordine della materia come risulta dal testo della Commissione. Qualche collega può comunque parlare ed esporci in forma di esemplificazione quali sarebbero le conseguenze del voto, a seconda che l’Assemblea accetti l’uno o l’altro dei quozienti proposti. I quozienti sono quelli di 200 mila da parte della Commissione, di 120 mila da parte dell’onorevole Lami Starnuti, di 150 mila da parte dell’onorevole Targetti, di 250 mila da parte dell’onorevole Mortati.
LACONI. Permetta, signor Presidente, mi sembra logico che l’Assemblea debba far dipendere la sua votazione sul numero fisso da quella sul quoziente e non viceversa, e cioè che possano variare le opinioni sul numero minimo fisso in relazione alla decisione che sarà presa per il quoziente.
PRESIDENTE. Io non contesto questa sua tesi, ma ho detto che lei potrà renderla evidente esponendo quali sarebbero i risultati a seconda dei quozienti che si accettano. D’altra parte, ieri, attraverso gli interventi di vari colleghi, abbiamo appreso che questa affermazione del numero minimo o del numero fisso ha uno scopo che valica – direi – il dato quantitativo dei senatori che verrebbero eletti, ma mira ad affermare, attraverso un certo accorgimento, il carattere regionale del Senato. Comunque, ho dinanzi a me il testo della Commissione, che dice:
«A ciascuna Regione è attribuito, oltre ad un numero fisso di cinque senatori, un senatore per 200 mila abitanti o per frazione superiore a centomila».
Esso quindi propone prima questo problema.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Il numero fisso previsto nel progetto era un’altra cosa. La Commissione non faceva cenno di un numero minimo fisso, ma parlava di un numero fisso aggiuntivo. Comprendo le difficoltà procedurali dinanzi alle quali si trova il Presidente in questo momento, ma penso che, se i diversi Gruppi dell’Assemblea non hanno difficoltà, si può procedere a stabilire il quoziente.
PRESIDENTE. I colleghi hanno udito la proposta dell’onorevole Laconi. Se non si presentano argomentazioni contrarie, posso aderirvi. Perché tutti abbiamo in mente già quello che intendiamo fare e qual è il modo in cui desideriamo sia risolto il problema, non muteremo il nostro atteggiamento solo perché muta l’ordine della votazione.
MORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Noi non abbiamo obiezioni da fare, quindi accettiamo la proposta dell’onorevole Laconi.
PRESIDENTE. Sta bene. E allora per prima cosa votiamo sul quoziente che deve regolare il rapporto fra la popolazione e il numero dei senatori eletti.
Vi è la proposta della Commissione, che il quoziente sia stabilito in 200 mila abitanti. E poi vi sono le proposte: dell’onorevole Lami Starnuti per un quoziente di 120 mila; dell’onorevole Targetti per un quoziente di 150 mila e dell’onorevole Mortati per un quoziente di 250 mila.
Quella che si allontana di più dal testo della Commissione è la proposta dell’onorevole Lami Starnuti per un quoziente di 120 mila. La pongo in votazione per prima.
(Non è approvala).
Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Targetti per il quoziente di 150 mila abitanti.
(Dopo prova e controprova, la proposta non è approvata).
Ora dovrei porre in votazione la proposta dell’onorevole Mortati.
MORTATI. Ritiro la proposta di 250.000 ed accetto quella della Commissione.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione che il quoziente sia fissato nella cifra di 200.000 abitanti o per frazione superiore a centomila.
(È approvata).
Onorevole Laconi, abbiamo risolto la questione pregiudiziale. Si tratta adesso di passare alla seconda questione, quella del numero fisso o del numero minimo. La Commissione propone il numero fisso, l’emendamento dell’onorevole Mortati propone il numero minimo. Voteremo quindi sull’emendamento dell’onorevole Mortati. La proposta dell’onorevole Mortati è di attribuire a ciascuna Regione un numero minimo di sei senatori.
NOBILE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILE. Io vorrei conoscere quali siano i motivi che inducono a favorire le piccole Regioni, perché realmente io non mi spiego perché si voglia fare questo trattamento particolare e favorire così il frazionamento del nostro Paese.
BORDON. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BORDON. Questa mattina io ho fatto un’aggiunta all’emendamento dell’onorevole Mortati e desidero quindi che esso sia riportato nella sua completezza.
PRESIDENTE. Onorevole Bordon, non c’è un deputato nell’Assemblea, per quanto appassionato per le Regioni, che intenda dare sei senatori alla Val d’Aosta.
BORDON. Non sappiamo cosa farcene.
PRESIDENTE. Non c’è infatti nessun emendamento in tal senso al testo della Commissione che propone un senatore. È sufficiente.
CORBINO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Vorrei domandare al collega Mortati se egli si è basato, nel determinare il numero minimo, sul quoziente di 250.000 e quali variazioni porta all’elenco delle Regioni, che ha già comunicato, l’avere abbassato il quoziente a 200.000.
MORTATI. Nessuna.
PRESIDENTE. L’onorevole Conti ha proposto di modificare l’emendamento principale dell’onorevole Mortati, nel senso di attribuire ad ogni Regione un numero minimo di quattro senatori. Pongo in votazione la proposta.
(Non è approvata).
Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Mortati, che ad ogni Regione si attribuisca un numero minimo di sei senatori.
(È approvata).
È stato dunque stabilito fino ad ora che il quoziente per l’elezione dei senatori sia di 200 mila e che ogni Regione abbia assicurato un minimo di sei senatori. Resta adesso a decidere ancora, sempre in tema di articolo 55, che la Val d’Aosta abbia un solo Senatore.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. È bene che sia chiarito, visto che abbiamo votato il testo dell’articolo, che l’onorevole Mortati ha fatto presente che aveva dimenticato di mettere la frazione di 200 mila, altrimenti si potrebbero domani sollevare obiezioni.
PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha detto di accettare la proposta della Commissione in cui si dice: «un senatore per duecento mila abitanti o per frazione superiore a centomila». Pongo ora in votazione la seguente proposizione:
«La Valle d’Aosta ha un solo senatore».
(È approvata).
Passiamo ora all’ultimo periodo del secondo comma del testo della Commissione:
«Nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda all’altra Camera».
Vi è un emendamento di carattere formale, presentato dall’onorevole Colitto, il quale propone di togliere l’ultimo inciso «che manda all’altra Camera».
Gli onorevoli Mortati, Fuschini, Ferrarese, De Palma, Sullo, Dominedò, Carignani, Bubbio, Balduzzi, Salizzoni, Viale, propongono la soppressione di questo periodo.
Ma questo emendamento opera, in quanto, posta in votazione la formulazione, questa venga respinta.
MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Dichiaro che noi voteremo contro questa parte dell’articolo essendo favorevoli alla soppressione proposta dall’onorevole Mortati.
LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Ritengo che, nella nuova composizione del Senato, questo articolo non abbia ragion d’essere, perché abbiamo creato un sistema autolimitato. Quella aggiunta valeva, quando il sistema era organizzato diversamente. Oggi sarebbe in contradizione col sistema. Quindi, io voterò contro.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. A me pare che questo sistema sia irrazionale. Si pongono i deputati, in certe Regioni, quasi in uno stato di inferiorità, come espressione di sovranità popolare, di fronte ai senatori.
Io trovo che il ragionamento logico, conclusivo delle premesse della discussione nostra era questo emendamento presentato dall’onorevole Mortati. Non capisco perché adesso, all’ultimo momento, quell’emendamento sia ritirato, quando tutti eravamo d’accordo.
Pertanto, io prego che sia ripresentato l’emendamento il quale è stato riconosciuto come un’esigenza di rappresentanza politica.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Vorrei far notare all’Assemblea quale efficacia può avere oggi, la clausola introdotta dall’onorevole Lussu a suo tempo. Influirebbe soltanto sulla rappresentanza di una regione, il Molise, la cui costituzione è ancora incerta; in quanto verrebbe a limitare la rappresentanza dei senatori soltanto per quelle regioni, che abbiano una popolazione inferiore ai 480.000 abitanti.
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Desidero osservare che ormai, stabilito che si avrà un deputato per ogni ottantamila abitanti, e un senatore ogni duecentomila, non sussiste più la possibilità di un numero di senatori superiore a quello dei deputati per ogni Regione.
PRESIDENTE. Mi pare che, a questo proposito, questa norma, se sarà approvata, gioverà a tutte le Regioni, le quali abbiano meno di 600.000 abitanti.
Comunque, l’Assemblea deciderà. Pongo in votazione la formulazione:
«Nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda all’altra Camera», con l’emendamento formale proposto dall’onorevole Colitto, cioè di sopprimere l’inciso «che manda all’altra Camera».
(Non è approvata).
Dobbiamo ora passare all’ultimo comma dell’articolo 55:
«I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».
L’Assemblea ha votato un ordine del giorno del quale occorre riprendere le affermazioni in relazione al contenuto appunto di questo articolo. Noi abbiamo già votato un articolo, il 53, nel quale vengono indicati gli elementi principali del modo di elezione dei deputati. È evidente che occorre qualcosa di analogo per il Senato. Tuttavia, poiché è stato già approvato in proposito un ordine del giorno, ritengo che non sia più necessario ripetere la votazione: l’ordine del giorno impegna l’Assemblea. Basterà dare incarico al Comitato di redazione di mutare il terzo comma dell’articolo 55, sostituendo alle affermazioni od alle proposte in esso contenute, le proposte che l’Assemblea ha già accettato votando l’ordine del giorno a tutti noto. Resta così inteso.
MORTATI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORTATI. Desidero ricordare che, a proposito della Camera dei deputati, si è ritenuto, di comune accordo, che l’affermazione circa il modo di composizione non fosse materia costituzionale e si è appunto a questo scopo trasformato l’emendamento Giolitti, circa la composizione proporzionale della Camera stessa, in ordine del giorno, ritenendosi che l’affermazione concreta del principio ed i modi specifici dei suo svolgimento dovessero trovare il loro luogo più proprio nella legge elettorale. A me pare che lo stesso orientamento debba farsi valere per il Senato e che per tanto la sua composizione, per quanto riguarda il metodo di elezione, non debba essere oggetto di statuizione costituzionale, bensì di regolamentazione per opera della legge elettorale. L’affermazione pertanto contenuta nell’ordine del giorno approvato può valere come indicazione del proposito dell’Assemblea, che sarà tenuto presente in sede di elaborazione della legge elettorale da parte dell’Assemblea stessa. Così decidendo, l’ultimo comma dell’articolo 55 potrebbe essere soppresso, o, al massimo, sempre per analogia con il criterio adottato nell’articolo 53, dedicato alla Camera dei deputati, potrebbe limitarsi a disporre che l’elezione del Senato debba avvenire con suffragio universale e diretto.
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. A me pare che le osservazioni fatte dall’onorevole Mortati vadano un po’ in là nella loro portata, anche perché, mentre l’ordine del giorno dell’onorevole Giolitti fu votato a conclusione di una discussione, l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti è stato invece votato come pregiudiziale ad una discussione. Ad ogni modo, nell’ultimo capoverso dell’articolo 55 vi sono due parti: una cade automaticamente ed è quella relativa alla parte eletta dai membri del Consiglio regionale, perché l’ordine del giorno approvato lo esclude; resta però la questione degli elettori, cioè della loro età. Io penso che è su questo punto che noi dobbiamo deliberare. L’altra è caduta automaticamente. Non possiamo accettare il concetto dell’onorevole Mortati, che l’ordine del giorno che abbiamo votato come pregiudiziale a tutta la nostra discussione sia come una specie di raccomandazione. È invece una chiara deliberazione delle nostre intenzioni in campo costituzionale, cioè del modo con il quale vogliamo differenziare le due Camere. Una delle ragioni per cui abbiamo votato un sistema contrario all’altro è proprio questo, che noi vogliamo stabilire il criterio con il quale intendiamo differenziare una Camera rispetto all’altra.
MORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Vorrei osservare, intorno al dissidio manifestatosi tra le posizioni dell’onorevole Mortati e dell’onorevole Lucifero, che veramente è questo un punto da considerare con attenzione. Non ini sembra che le ragioni addotte dall’onorevole Lucifero provino la necessità che la norma, la quale stabilisce che il Senato debba essere eletto col sistema uninominale, faccia parte integrante della Costituzione.
Se si ritiene che sia il sistema elettorale che serva a differenziare una Camera dall’altra, è evidente che non si può fare un diverso trattamento tra Senato e Camera dei deputati. Bisogna cioè che per l’una e per l’altra Camera sia indicato nella Costituzione quell’elemento differenziale che serva per distinguere l’una Camera dall’altra. Se invece si segue un diverso avviso e si ritiene che attraverso l’indicazione generica dell’ordine del giorno le due Camere siano sufficientemente differenziate, ancora una volta non si può fare un trattamento diverso e l’ordine del giorno che è stato votato ieri da questa Assemblea non può restare, come l’ordine del giorno Giolitti, se non come un’indicazione generica.
Non vale che sia stato votato quest’ordine del giorno prima o dopo la discussione, perché la sostanza delle cose è identica nell’un caso e nell’altro.
Ma mi sembra che vi sia una questione pregiudiziale, di fronte alla quale questo dibattito può essere accantonato, ed è il problema nato dalle affermazioni dell’onorevole Presidente che io, in verità, non mi sento di condividere. L’ordine del giorno che è stato votato ieri dall’Assemblea, è un’indicazione di carattere generale, non è una norma di legge. Esso deve essere completato attraverso una precisa votazione, alla stessa stregua di tutte le altre disposizioni che nella giornata di oggi noi abbiamo votato, allo scopo di determinare altri caratteri propri del Senato. Quindi, a me sembra indispensabile che si proceda ad una nuova votazione. (Commenti a sinistra).
Né può chiedere a noi di mutare opinione e di votare a favore.
BOZZI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOZZI. Onorevoli colleghi, mi sembra che noi stiamo per riprendere quella discussione che ieri sera sembrava conclusa, specialmente dopo le affermazioni dell’onorevole Mortati, che oggi sono state sostanzialmente contraddette dal collega onorevole Moro.
In sostanza, la votazione dell’ordine del giorno Nitti e la votazione dell’ordine deb giorno Perassi, ognuna per il significato che ha, hanno escluso che abbia più valore l’ultimo comma dell’articolo 55. II che significa che indubbiamente l’ultimo comma dell’articolo 55 è stato respinto dall’Assemblea.
PERASSI. Non è esatto.
BOZZI. C’è un’altra questione: il valore da attribuire agli ordini del giorno votati dall’Assemblea Costituente.
È una questione, onorevoli colleghi, sulla quale io richiamo tutta la vostra attenzione. Non è soltanto l’ordine del giorno che riguarda il senato o la Camera dei deputati, ma possono essere tutti gli altri ordini del giorno che l’Assemblea Costituente voterà.
Io mi domando: quale valore giuridico essi hanno nella gerarchia dei valori da attribuire alle norme, tanto per esprimermi con un’espressione tecnica? Io penso che l’ordine del giorno, anche se non si trasforma in una norma che si inserisca nel testo costituzionale, ha valore costituzionale, cioè l’Assemblea per ragioni di opportunità, più o meno apprezzabili, ritiene che un principio non debba essere inserito come articolo, come norma del testo costituzionale, ma lo consacra tuttavia e questo principio ha valore costituzionale, nel senso che esso non solo vincolerà l’Assemblea stessa quando, nella specie, essa dovrà fare la legge elettorale tanto per la Camera, quanto per il Senato, ma vincola anche la futura Camera legislativa ordinaria, qualora il compito di fare queste leggi dovesse essere per avventura ad essa affidato. In altri termini non sarà mai possibile che una Camera legislativa futura ordinaria possa violare con una normale maggioranza un ordine del giorno votato dall’Assemblea Costituente.
Io penso che questo abbia un valore costituzionale e per cambiarlo bisognerà addivenire ad una votazione con quelle particolari forme con cui si procederà alla revisione costituzionale.
Questo, onorevoli colleghi, è un problema di importanza fondamentale, altrimenti votiamo degli ordini del giorno che non hanno nessun valore.
COSTANTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COSTANTINI. Sono perfettamente dell’opinione del collega che mi ha preceduto, onorevole Bozzi. Io mi devo chiedere se le deliberazioni dell’Assemblea, che sono intervenute a seguito di votazione, abbiano o non abbiano valore vincolante. L’Assemblea è sovrana e come tale pronunzia le sue decisioni. Si è detto all’inizio che non era materia da inserirsi nella Costituzione il sistema di votazione della Camera dei deputati e quindi successivamente di quella dei senatori. Ed allora si è trovato che con un ordine del giorno sarebbe stato opportuno indicare, per le Assemblee legislative, quale sarebbe stato il metodo di elezione dei deputati, e l’Assemblea ha votato l’ordine del giorno del collega Giolitti, se non erro. Adesso, superata la questione della nomina indiretta dei senatori attraverso il rigetto dell’ordine del giorno Perassi e l’approvazione dell’ordine del giorno Nitti, si ripresenta il problema per l’elezione della seconda Camera. Allora, viene fatto di chiederci se le deliberazioni che abbiamo preso a mezzo di ordini del giorno, abbiano valore indicativo o di norme veramente costituzionali, da considerare inserite, cioè, nella Costituzione, per le Assemblee future. Perché da questo dipende tutto lo svolgersi della procedura attraverso la quale il Paese nominerà i suoi rappresentanti. Ed allora se l’ordine del giorno ha un valore semplicemente platonico, era inutile intrattenere l’Assemblea con discussioni e votazioni.
Io penso che l’ordine del giorno, pur essendo fuori, per una ragione formale più che sostanziale, dal testo della Costituzione, deve ritenersi vincolante per le Assemblee legislative future. Se invece si volesse, con un gioco di formalismo, annullare la sostanza delle nostre deliberazioni, allora è doveroso assumere la responsabilità di inserire specificatamente nel testo costituzionale che la Camera dei Deputati deve essere nominata col sistema proporzionale, e che il Senato dovrà essere nominato col sistema del collegio uninominale. È un dovere di lealtà di fronte agli altri ed a noi stessi, perché, diciamolo pure francamente, è difficile che qualcuno, qui dentro, possa nascondere la verità ad un altro. Quindi esprimiamo il nostro pensiero, avendo il coraggio della franchezza affermandolo apertamente, senza ritenere che qualcuno cada in quei tranelli che sono fatti in altri ambienti. Questo almeno io mi auguro. (Applausi).
RUBILLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUBILLI. Chiedo che la proposta inoltrata dal collega non sia posta in votazione, perché assolutamente contraria ad ogni norma regolamentare.
Una voce. Quale?
RUBILLI. La proposta fatta che l’Assemblea deliberi che l’ordine del giorno votato ieri valga come una semplice raccomandazione.
Io chiedo che se si domanda su questo una votazione non sia in alcun modo consentita. Noi siamo in Assemblea Costituente ed io faccio appello alle guarentigie costituzionali.
Quello che si è votato e deliberato non si può distruggere ad un tratto con un colpo di maggioranza. (Applausi a sinistra). Se ammettiamo questo criterio che annulla completamente la democrazia, e sarei per dire che offende persino la civiltà, la libertà, la giustizia (Commenti al centro), se ammettiamo che con un colpo di maggioranza si può fare qualunque cosa, anche l’assurdo, l’illogico, l’inverosimile, si legalizza la più esosa e ripugnante sopraffazione.
Ora, dobbiamo credere che il collega Moro abbia equivocato nel tempo, perché ha confuso l’Assemblea Costituente con la Consulta Nazionale e crede di essere ancora in tempo di Consulta. Noi invece non siamo qui riuniti in Assemblea per formulare dei voti, per dare delle indicazioni, dei pareri che possono essere, o meno, accolti. Noi siamo qui per fare la legge e quello che abbiamo deliberato, dopo la deliberazione, è legge. Non c’è dubbio su questo, dal punto di vista costituzionale e giuridico.
Ora, che cosa avverrebbe? Che mentre noi abbiamo deliberato e votato ed abbiamo fatta la legge per la parte che è stata decisa, domani viene una Commissione, vengono altri e diranno: «Vi ringraziamo delle vostre indicazioni; siete stati troppo buoni; vi siamo obbligati, ma non rispettiamo nulla di quello che avete detto o fatto»; così il collegio uninominale sfuma, e la deliberazione di ieri è completamente distrutta.
Questa allora non sarebbe più Costituente! Non si può ragionare in questo modo.
Io dico che il Presidente deve garantire i nostri diritti: faccio appello a lui perché dica quello che si può fare e quello che non si può fare. (Applausi a sinistra).
Diversamente si dovrebbe persino ammettere che si potesse tornar indietro a votare gli articoli precedenti, l’articolo 7 e tutti gli altri, compresa la riforma regionale.
DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMINEDÒ. Mi consenta l’Assemblea di soggiungere una precisazione, inclusa del resto, a mio avviso, anche nelle osservazioni precedentemente fatte. E ciò allo scopo di diradare questa singolare atmosfera, per cui si può essere determinata l’impressione, non fondata, di una evasione alle risultanze di una deliberazione dell’Assemblea stessa, (Interruzione del deputato Togliatti). Mi consenta, onorevole Togliatti. Ella conosce la mia correttezza ed il mio senso di rispetto della legge e, a maggior ragione, della Costituzione: ho il diritto di chiederle che mi ascolti con obiettività e serenità.
Ora, la votazione che ha fatto l’Assemblea ieri, si riferisce ad un ordine del giorno. L’ordine del giorno non ha contenuto normativo, in senso stretto; non è norma, né proposta di norma. Laddove avessimo voluto articolare una norma o una proposta di norma, evidentemente avremmo dovuto proporre, in luogo dell’ordine del giorno, un emendamento. E se io mi permetto di insistere su questa differenza formale, è appunto per il rispetto intrinseco dell’ordine costituzionale, esigenza che mi ispira al pari dell’onorevole Rubilli.
Orbene, se è stato votato un ordine del giorno, la conseguenza logica è che, al pari di ogni altro ordine del giorno (e mi permetto di ripetere l’analogia con la votazione presa per la Camera, la quale fa stretto pendant con l’attuale), al pari di ogni altro ordine del giorno, dicevo, noi abbiamo determinato quelle conseguenze di orientamento, per cui l’ordine del giorno ispirerà il futuro legislatore, o vincolerà il costituente, in sede di legge elettorale; ma ancora non può dirsi che sia nata la norma. E allora il quesito che resta aperto, lo spiraglio che tuttora dobbiamo colmare, è questo: vogliamo noi oggi tradurre questo ordine del giorno in articolo normativo? In questo caso, delibereremo in tal senso. Oppure: vogliamo mantenerlo sul terreno dell’ordine del giorno orientativo? E allora delibereremo in questo secondo senso.
Ecco, onorevoli colleghi, il dilemma ancora aperto, sul quale non si può pronunciare che la volontà sovrana dell’Assemblea. (Applausi al centro).
MORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Poche parole soltanto, onorevoli colleghi, per dissipare un equivoco che è sorto intorno al mio pensiero. Su questo punto, che cioè un ordine del giorno non possa costituire una norma di legge, una norma costituzionale, non mi pare ci possa esser dubbio, e mi meraviglio che l’onorevole Rubilli possa averne avanzato e anzi – quel che è peggio – possa avere addirittura parlato di violazione delle garanzie costituzionali.
Si potrà quindi, ritenere che, per quanto riguarda la determinazione del sistema elettorale, si tenga per il Senato lo stesso atteggiamento che si è tenuto a proposito della Camera dei Deputati. Al sistema elettorale si farà allora richiamo soltanto in un ordine del giorno, il quale non dovrà essere di necessità tradotto in una norma di legge.
Ma v’è, invece, un’altra parte dell’ordine del giorno che deve essere, di necessità, tradotta in una norma di legge. Essa è costituita da quello schema di formazione del Senato che si trovava nel progetto di Costituzione e che deve essere ripetuto ora.
A me sembra quindi, che da parte dell’Assemblea si debba scegliere soltanto in questo senso: o si vota semplicemente questa cornice, questo schema formale, rinunziando a inserire in questa sede il sistema elettorale adottato per il Senato, e allora le cose andranno bene in questo modo; o si intende invece di consacrare nella Costituzione il sistema elettorale del Senato e allora si solleva necessariamente la questione dell’inserimento del sistema elettorale della Camera nell’ambito della stessa Costituzione.
Non v’è quindi alcun dubbio che ad una votazione si debba pervenire, circa le conseguenze che sorgono nei riguardi del sistema elettorale deliberato per la Camera dei deputati.
LUSSU. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUSSU. A mio nome, a titolo cioè puramente personale, debbo dire che mi pare doveroso esprimere su questa questione il mio pensiero. Quando l’Assemblea ha votato l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, io ho inghiottito un rospo: però, in coscienza, sento che non c’è niente da fare. Ora, è chiaro che, se noi giudichiamo con criteri rigorosamente giuridici, dobbiamo concludere che questo non è un articolo costituzionale e, quindi, non è nemmeno una vera affermazione a carattere normativo; tuttavia serve a dirigere i nostri lavori. In coscienza sento che mi farebbe piacere se si potesse, in modo serio e coerente, buttare per aria il collegio uninominale, ma riconosco che l’ordine del giorno Nitti ci obbliga ad inserire il collegio uninominale nell’articolo 55.
Avendo noi votato che ogni duecentomila elettori eleggeranno un senatore, ciò significa che vi saranno tante circoscrizioni elettorali senatoriali quanto volte i duecentomila abitanti sono inseribili in una Regione.
Questo a me pare che si debba lealmente riconoscere.
Quindi, è una questione di dizione, di redazione; è una raccomandazione al Comitato di redazione, perché trovi il modo migliore di inserire nell’articolo 55 il collegio uninominale. Ma è chiaro che noi, una volta approvato l’ordine del giorno Nitti, non possiamo più discutere del collegio uninominale. (Applausi a sinistra).
LUCIFERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Signor Presidente, qui si riprende un nostro colloquio: lei mi ha rimproverato due volte perché io insistevo che si votasse su norme di legge, e non su quesiti o su formule di indirizzo. Ed io ho insistito sempre su questa mia idea ed ho insistito ieri, motivandola molto chiaramente, perché mi sembrava non ci si attenesse alle regole del gioco.
Ora, è bene che si dica una parola chiara.
La parola chiara l’ha detta l’onorevole Lussu: noi siamo vincolati in sede costituzionale a quanto abbiamo deliberato. (Approvazioni a sinistra). E l’onorevole Moro deve riconoscere che egli può votare a favore o contro una o un’altra formulazione che codifichi le deliberazioni già prese, ma non può, con un voto contro qualche formulazione che codifichi quelle deliberazioni, mandare per aria le deliberazioni stesse.
MORO. Certo!
LUCIFERO. Io sono lieto di questo «certo», perché l’onorevole Moro nel suo primo intervento – me lo sono appuntato – ha fatto una dichiarazione di voto preventiva ed ha concluso: «Noi voteremo contro, come abbiamo votato contro ieri».
Una voce al centro. Era un’ipotesi.
LUCIFERO. Il che dava almeno la sensazione di scoprire un recondito pensiero. (Commenti al centro).
Ora, l’onorevole Moro mi dice che questo recondito pensiero non c’è, ed io ne sono lieto.
Ad ogni modo, mi pare che la discussione sia perfettamente inutile. Qui si tratta di decidere una cosa sola: come trasformare in una norma di legge quanto noi abbiamo già deciso come principio di massima. Quindi si tratta unicamente di una questione di forma. Sulla formula si potrà discutere – perché fui io stesso a dichiarare che in una formula giuridica una parola messa in un modo o in un altro, può avere un significato diverso – ma sulla questione di principio non vi è più ormai da discutere. Noi sappiamo benissimo quello che la maggioranza ha voluto fare; e noi tutti siamo, come democratici, impegnati dal voto della maggioranza. Abbiamo una sola cosa da fare: collaborare tutti perché la formula sia buona, chiara, esplicita, e vincoli almeno gli altri al rispetto delle regole del giuoco. (Applausi a sinistra).
NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NOBILI TITO ORO. Bisogna riconoscere onestamente che questa discussione sta diventando mortificante (Approvazioni a sinistra).
Io ebbi occasione di esprimere ieri il mio pensiero sulle preclusioni che investono ormai le varie parti dell’articolo 55 e quando la seduta si sciolse, l’onorevole Presidente aveva già prese e comunicate le risoluzioni di sua competenza. Come è possibile ritornarvi sopra?
L’Assemblea ha votato l’ordine del giorno Nitti in forma deliberativa e perentoria…
MORO. Che cosa vuol dire?
NOBILI TITO ORO. …non ha espresso una opinione, una raccomandazione, un votò, ma ha affermata solennemente una volontà recisa, ha statuito affermando che «il Senato sarà eletto a suffragio universale e diretto, col sistema del collegio uninominale».
Eccolo il sostitutivo del terzo comma dell’articolo 55 che affida l’elezione di una parte dei senatori ai Consigli regionali! E pertanto l’onorevole Presidente, quando, procedendo al completamento dell’esame dell’articolo, incontrerà questo terzo comma, che ha una portata completamente diversa e contrastante coll’ordine del giorno Nitti votato ieri, non dovrà fare altro che riconoscere e dare atto che il terzo comma è completamente assorbito e sostituito dalla formula chiara e precisa già votata con quell’ordine del giorno; formula che non dobbiamo compilare o ricostruire noi, ma è già nell’ordine del giorno Nitti dal quale può essere qui trasferita di peso: «Il Senato sarà eletto a suffragio universale e diretto, col sistema del collegio uninominale».
Questo dissi, questo giustificai, questo posso ripetere, perché non è stato ragionevolmente confutato da alcuno. Che cosa può prestarsi ancora a discussione del terzo comma? Solo un punto: quello relativo all’età degli elettori del Senato.
L’onorevole Nitti stamane faceva intendere che egli stesso è in dubbio se l’affermazione del suffragio universale non escluda anche questa limitazione del voto in relazione all’età degli elettori. Perché questa restrizione verrebbe a portare una limitazione del corpo elettorale chiamato all’elezione dei senatori: tutti gli elettori dal 21° anno di età al 25° non compiuto sarebbero esclusi. E ciò si risolverebbe in limitazione del suffragio universale, in dissonanza col voto già emesso.
A rigore di logica il ragionamento è esatto; ma io ammetto che possano onestamente manifestarsi in proposito dispareri, da giustificare che questo punto formi ancora oggetto non precluso della discussione. In altri termini, se, di tutto il comma, un campo può restare ancora aperto alla discussione, esso è soltanto quello relativo all’età degli elettori e non altro. L’esame dell’articolo 55, onorevole Presidente, eccezion fatta per questo punto, è dunque completamente esaurito, e nessun voto è più possibile sul sistema delle elezioni senatoriali.
LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LAMI STARNUTI. Io ho votato contro l’ordine del giorno Nitti. Ciononostante credo di poter dire anch’io – come ha detto per sé l’amico onorevole Lussu – una parola obiettiva, quantunque le mie conclusioni siano diverse da quelle a cui è giunto l’onorevole Lussu.
Io vorrei richiamare all’attenzione dei colleghi, specialmente dei compagni di questa parte della Camera, i precedenti della nostra discussione e delle nostre decisioni.
Quando cominciammo a discutere l’articolo 55 ed io svolsi il mio emendamento in favore del sistema proporzionale, dichiarai subito che avrei trasformato l’emendamento in ordine del giorno perché, a somiglianza di quanto era stato fatto per la Camera dei Deputati, a somiglianza di quanto era stato proposto dall’onorevole Giolitti con suo ordino del giorno, ritenevo acquisito che nella Costituzione non dovesse trovar luogo…
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Benissimo!
LAMI STARNUTI. …il sistema elettorale di formazione delle Assemblee legislative.
Tanto queste mie osservazioni parvero esatte che, dietro di me, gli altri presentatori di emendamenti si affrettarono a trasformare subito i loro emendamenti in ordini del giorno. L’onorevole Nitti, che aveva presentato un emendamento per il collegio uninominale, propose allora il suo ordine del giorno; e la stessa cosa fece l’onorevole Perassi trasformando anch’egli in ordine del giorno il suo emendamento, che non era né per il collegio uninominale, né per la rappresentanza proporzionale, ma per una elezione di secondo grado.
Tutto questo concorso di attività e di idee confermava quello che era stato detto all’inizio della discussione, cioè che l’Assemblea non intendeva porre tra le norme costituzionali il modo di elezione della seconda Camera.
E allora, se questi sono i precedenti, perché si dice, come fanno gli onorevoli Bozzi, Rubilli, Costantini, Nobili, che l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti votato ieri vincola in sede costituzionale l’Assemblea?
RUBILLI. Già è stato dimezzato!
LAMI STARNUTI. Che cosa è stato dimezzato? Il concetto dell’onorevole Nitti è l’affermazione del collegio uninominale. Se noi mettessimo il principio del collegio uninominale nella Carta costituzionale, andremmo incontro a quegli inconvenienti lamentati fin da quando discutemmo la formazione della Camera dei Deputati, cioè, innanzi tutto, l’inconveniente di non poter eventualmente modificare con legge normale un determinato sistema elettorale quando la pratica avesse dimostrato gli inconvenienti o gli errori di quel sistema.
E allora, a mio avviso, l’ordine del giorno ha un valore che non è normativo. Tanto meno ha un valore costituzionale. (interruzioni – Commenti).
Ha un valore politico, un valore impegnativo, ma in sede di legge elettorale, non in sede di formazione delle norme costituzionali.
Nella Costituzione, a mio giudizio, deve essere posto soltanto il principio prevalso nell’Assemblea, che l’elezione del Senato avverrà non in forma indiretta, ma col suffragio universale diretto e segreto.
Vi è una parte degli emendamenti (Interruzioni) e cioè l’emendamento nostro, e quello degli onorevoli Targetti, Amadei ed altri, i quali nella loro prima parte suonano in modo identico dicendo che il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto.
Questa parte delle proposte fatte all’Assemblea può essere trasferita nella Carta costituzionale. Ma, ripeto, sarebbe a mio giudizio un eccesso se andassimo oltre e se ritenessimo senz’altro che l’ordine del giorno Nitti ha il valore di norma costituzionale e come tale debba essere inserito nella nostra Carta, fondamentale. (Applausi al centro).
TARGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TARGETTI. Ho domandato la parola per muovere due sole obiezioni agli egregi colleghi Dominedò e Lami Starnuti.
Si è detto dall’onorevole Dominedò che qui siamo in un caso perfettamente analogo a quello nel quale ci trovammo a proposito del sistema elettorale della prima Camera.
Là si ebbe un ordine del giorno dell’onorevole Giolitti, qui abbiamo un ordine del giorno dell’onorevole Nitti.
Mi permetto di richiamare l’attenzione della Camera sul tenore sostanzialmente diverso e, per dir meglio, sulla portata sostanzialmente diversa dei due ordini del giorno. Io non mi imbarcherò – perché farei certamente naufragio – in una discussione di diritto costituzionale, ma mi limiterò a ricordare all’Assemblea che mentre l’ordine del giorno Giolitti, relativo al sistema col quale deve essere eletta la prima Camera, diceva: «L’Assemblea Costituente ritiene che l’elezione dei membri della prima Camera debba avvenire col sistema proporzionale» (è inutile mettere in rilievo il significato della parola «ritiene»), l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, invece, è imperativo: «L’Assemblea Costituente «afferma» che il Senato sarà eletto con suffragio universale diretto e col sistema del collegio uninominale».
L’Assemblea Costituente ha deciso che una cosa avverrà. E qual è la cosa che avverrà? L’elezione del Senato con suffragio universale diretto e con collegio uninominale. Che m’importa (siamo nel campo politico) di fare una discussione sul valore normativo e non normativo dell’ordine del giorno? La maggioranza ha deliberato che il Senato sarà eletto con un determinato sistema elettorale. Io domando, onorevoli colleghi, di fronte a questa affermazione perentoria di volontà da parte dell’Assemblea Costituente, come potrebbe il nostro amatissimo Presidente (e vengo al secondo ed ultimo punto della mia breve osservazione) mettere in votazione il testo del progetto di Costituzione che su questo argomento dice: «I senatori sono eletti per un terzo, ecc.»?
Una voce al centro. Nessuno lo chiede.
TARGETTI. Il Presidente sarebbe nell’impossibilità di porre in votazione qualsiasi proposta che contrastasse col contenuto e la portata del voto dell’Assemblea. Allora, come può il Presidente invitare a votare quando si sa che una votazione non può avere per oggetto che delle proposte che siano intonate all’ordine del giorno approvato dall’Assemblea?
Infine qui si tratta di una modalità di elezione. Ma, badate, ad essere sinceri come tutti noi cerchiamo di essere, qui siamo in una ipotesi nella quale il sistema elettorale ha un’importanza che non si può paragonare a quella che ha per l’elezione della prima Camera.
UBERTI. Perché? È la stessa cosa.
TARGETTI. Il perché l’avrei detto senza la sua sollecitazione, onorevole Uberti. Il perché è questo: che la composizione, la finalità, la funzione della prima Camera è la stessa qualunque sia il sistema col quale viene eletta.
Invece per la seconda Camera, fino dal periodo di elaborazione del progetto, la fatica a cui tutti i costituenti sono stati sottoposti è stata quella di trovare una differenziazione fra le due Camere, ammesso il principio della bicameralità. Trovare il modo di differenziare una Camera dall’altra per evitare che la seconda fosse un duplicato della prima. Ora, il sistema migliore, la via più diritta e più sicura per ottenere questa differenziazione molti di noi l’hanno ravvisata nel sistema di elezione della stessa Camera.
Tutti quelli che, come noi, sono decisamente contrari a quel catalogo di condizioni per l’eleggibilità dei senatori, condizioni che oltre a tutto mettono i componenti della prima Camera in una condizione di inferiorità perché vogliono dire: «Badate, chi appartiene a queste categorie può avere l’onore di far parte del Senato della Repubblica; chi non vi appartiene faccia pur parte della prima Camera»; tutti quelli che sono anche per altre ragioni contrari a subordinare a determinate condizioni, che non siano quelle dell’età, l’eleggibilità dei senatori, trovano in questo diverso modo di elezione la caratteristica differenziale della composizione delle due Camere. Ecco perché, proprio per l’elezione del Senato della Repubblica riteniamo che il sistema elettorale faccia parte integrante della sua costituzione.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Ho l’impressione che ci sia in questo momento un’atmosfera di sospetto forse ingiustificata. Penso che possiamo parlare con una certa serenità e che in tutti gli interventi vi siano elementi ragionevoli che devono essere presi in considerazione.
Mi pare anche, che vi sia un punto sul quale tutti dobbiamo essere d’accordo: il fatto che l’Assemblea ha già preso una decisione. Il fatto poi che essa abbia adottato una procedura, invece che un’altra, per deliberare, non comporta una menomazione dell’atto di volontà dell’Assemblea, che è arbitra di decidere che una deliberazione figuri o meno nella Carta costituzionale senza pregiudicare il valore che deriva ai suoi atti dal potere costituente di cui le è rimesso l’esercizio.
Indubbiamente, ammesso questo, sorge la questione: è opportuno o no inserire questa deliberazione nella Costituzione? C’è un precedente, ed è il precedente che richiamava poco fa l’onorevole Lami Starnuti. Per quanto riguardava il sistema proporzionale l’Assemblea non ha creduto inserirlo nella Costituzione. Questo precedente vale anche oggi? Io credo che questo sia discutibile. Oggi il sistema di elezione, come giustamente rilevava l’onorevole Targetti poco fa, è diventato qualche cosa di diverso, e cioè è diventato un criterio di differenziazione fra le due Camere. Quindi la questione che indubbiamente non aveva un rilievo costituzionale nel primo caso, lo ha forse acquistato nel secondo.
Comunque, è una cosa evidente che su questo punto l’Assemblea non ha preso una deliberazione; mentre è evidente che nella sostanza l’Assemblea ha deliberato, è evidente che non ha deliberato sull’inserimento o meno nella Costituzione, inserimento o meno che è soltanto una questione di opportunità. Perché il fatto che l’Assemblea abbia deliberato, attraverso l’una o l’altra forma, non muta il valore dell’atto dell’Assemblea. Quindi, in sostanza, l’inserimento o meno nella Carta costituzionale significa soltanto scegliere l’uno o l’altro sistema per formulare la norma, ma non cambia niente. (Commenti al centro).
Ritengo che, in sostanza, si tratti unicamente di una questione di opportunità. Chi deve valutare questa opportunità? Io credo che sarebbe inutile e forse dannoso, se fossimo noi, in questo momento, a valutare questa opportunità. Noi abbiamo creato un Comitato di coordinamento, col compito di risolvere queste questioni, di valutare queste opportunità. Per quale ragione non ci rimettiamo al Comitato di coordinamento? Esso può meglio valutare la questione nel suo complesso; perché è evidente che, se si ritiene di dover introdurre il collegio uninominale per la seconda Camera, si dovrà indubbiamente reintrodurre anche il criterio della proporzionale per la prima, in modo che la differenziazione abbia rilievo e risulti dalla Carta costituzionale.
Ma noi non possiamo ora, riprendere in esame la questione del sistema proporzionale e discuterne l’inserimento o meno in relazione a questo secondo sistema. Mi pare, pertanto, che, dato che si tratta solo di questione di opportunità, potremmo rimetterla al Comitato.
So che osterà contro questa proposta la convinzione di un certo numero di colleghi, da una parte e dall’altra, che la questione in discussione possa avere rilievo sostanziale; cioè, che, attraverso un espediente di procedura, si possa rimettere in discussione la sostanza di quello che l’Assemblea ha votato. Vorrei che tanto da una parte che dall’altra ci si persuadesse che questo sospetto è infondato, in quanto che la deliberazione presa dall’Assemblea, sia pure attraverso un ordine del giorno, è deliberazione di un’Assemblea che esercita il potere costituente e come tale ha sempre valore costituzionale.
REALE VITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
REALE VITO. Vorrei chiarire questa situazione. Noi siamo al punto di sapere se l’ultimo comma dell’articolo 55 debba o non debba essere votato.
In materia è stato già deciso con due ordini del giorno: quello dell’onorevole Perassi e quello dell’onorevole Nitti.
L’Assemblea ha respinto l’ordine del giorno Perassi, che si presentava in forma negativa, ed ha confermato, invece, i principî opposti, cioè in forma positiva, contenuti nell’ordine del giorno Nitti.
Possiamo noi riesaminare l’ultimo comma dell’articolo 55? A questo punto, il Presidente può mettere in votazione qualsiasi parte dell’ultimo comma dell’articolo 55?
Questo è l’unico quesito, che non l’Assemblea, ma il Presidente deve risolvere.
Ora, l’ultimo comma dice: «I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale…», questo principio è stato due volte bocciato e non è possibile rimetterlo in votazione, «e per due terzi a suffragio universale diretto». Anche questa parte di questo comma non può essere messa in votazione, perché è stata esplicitamente, per ben due volte, respinta dalla Assemblea.
Si tratta adesso di sapere se l’articolo 55 debba essere sostituito con l’ordine del giorno Nitti, il quale contiene tutte le condizioni per sostituire questo comma. Ed in effetti, a chi lo avesse dimenticato giova ricordare che l’ordine del giorno Nitti è del seguente tenore: «Il Senato sarà eletto con suffragio universale e diretto, con il sistema del collegio uninominale». Questa è norma costituzionale.
GRONCHI. Neanche per sogno!
REALE VITO. Quando, con tanta esattezza sia in forma diretta che in forma indiretta si è votato dall’Assemblea, è evidente che non è possibile che il contrario possa essere rimesso in votazione. Resta – e in questo sono d’accordo con l’onorevole Laconi – una questione di opportunità: se completare, con queste precise affermazioni dell’Assemblea, l’articolo 55, o lasciarlo semplicemente come una norma precisa ed inderogabile da essere applicata in sede di legge elettorale. Questa è l’unica questione che si può presentare; ma presentare il quesito che l’ultimo comma dell’articolo 55 possa essere oggetto di una nuova votazione, quando così esplicitamente e categoricamente è stato rigettato, mi pare questione fuor d’opera che tocca soprattutto la dignità dell’Assemblea. (Approvazioni a sinistra).
GRONCHI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Qualche volta pare impossibile che questioni le quali sono sufficientemente chiare per se stesse, durante una discussione arrivino invece che ad un chiarimento progressivo, ad una involuzione. Di che si tratta? Si tratta di stabilire se una norma che definisce il sistema elettorale possa diventare, anzi sia utile che diventi, una norma costituzionale, cioè vincolativa, non solo per questa Assemblea, ma anche per le successive, pena una revisione della Costituzione; oppure se convenga per il sistema elettorale, adottare una norma che sia vincolativa per noi, ma che possa essere modificata dalle Camere legislative successive senza incomodare la Costituzione, il che esige una procedura di molto maggiore complicatezza e difficoltà.
Quelli che, come noi, pensano che gli ordini del giorno Nitti e Giolitti siano vincolativi soltanto per questa Assemblea, e cioè che le elezioni, rispettivamente per la Camera dei Deputati e per la Camera dei Senatori, debbano avvenire l’una col sistema proporzionale, l’altra col sistema uninominale, sostengono il principio che non sia utile includere né l’una norma del sistema proporzionale né l’altra del sistema uninominale nella Costituzione. Gli altri che sostengono di introdurre nella Costituzione le due norme, pensano che si debba costringere le future Camere ad una revisione della Costituzione in sede di pura e semplice discussione della legge elettorale. La questione è così: non ci sono né truffe, né retropensieri, né altre diavolerie che durante la discussione sono apparse come fantasmi contro cui si combatte con la stessa illusione con la quale Don Chisciotte combatteva contro i molini a vento. Questa è la questione, la quale andrebbe mantenuta puramente e semplicemente nei suoi termini che sono così chiari. (Approvazioni al centro).
FABBRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABBRI. Volevo fare una proposta che avevo pensato potesse risultare estremamente conciliativa, ma purtroppo le ultime conclusioni dell’onorevole Gronchi mi tolgono questa illusione e mi fanno vedere che forse la mia proposta è soltanto del tutto ingenua. In ogni modo confesso questa ingenuità e chiarisco il mio pensiero. Dal momento che tutti dichiarano di ritenere che sia reciprocamente vincolativo l’uno e l’altro ordine del giorno, quello del sistema proporzionale per la Camera dei Deputati e quello del sistema a scrutinio uninominale per il Senato, poteva essere opportuno autorizzare il Comitato di coordinamento a inserire nel testo di Costituzione un articolo aggiuntivo a contenuto puramente dichiarativo. Non pensavo di richiedere di mettere senz’altro in votazione un testo formulato ex novo, ma di richiedere, se vi era la unanimità dei consensi, un’autorizzazione pel Comitato di redazione che facesse sparire questa differenza di indole puramente tecnica onde relativamente al sistema elettorale della Camera dei Deputati non si è inserita l’enunciazione del sistema di elezione nella Costituzione, mentre adesso appariva opportuno inserirlo per il Senato della Repubblica. Con questa doppia enunciazione di contenuto puramente dichiarativo di fronte ad una situazione che lealmente e moralmente io ritenevo vincolante e pacifica per tutti, la soluzione da me vagheggiata poteva rimettere tutto a posto, in modo che non se ne parlasse più.
Ma, certamente, le dichiarazioni finali fatte dall’onorevole Gronchi possono creare una difficoltà all’adesione a questa mia proposta che, come dico, escludeva una votazione a contenuto di merito, ma tendeva a provocare soltanto, secondo la mia illusione, una dichiarazione spontanea e sincera che i due ordini del giorno avevano lo stesso valore e che erano stati votati sul serio, non per perdere tempo o suscitare delle riprese di discussioni di merito su questioni superate.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare che tutta la discussione non si sarebbe fatta se la proposta iniziale dell’onorevole Moro fosse stata del tenore delle ultime considerazioni dell’onorevole Gronchi. Ma, a quanto mi è parso di sentire, l’onorevole Moro aveva invece fatto la proposta che si rivotasse sopra le affermazioni singole contenute nell’ordine del giorno Nitti. Ed è attorno a questa proposta Moro, che era stata già accompagnata da una espressa dichiarazione di voto, che si è venuta sviluppando tutta la discussione. È evidente che se non si fosse così messa in dubbio la validità della decisione presa dall’Assemblea Costituente con la votazione dell’ordine del giorno Nitti, nessuno avrebbe parlato; solo la preoccupazione che si pensasse, forse da parte di ciascuno, di rimettere in votazione cose che non possono essere più votate, ha portato innanzi tutta questa discussione.
Onorevoli colleghi, l’ordine del giorno che cosa è? È evidente che non è affermazione che vincola i terzi al di fuori di questa Assemblea, non è una legge, nel senso giuridico del termine, che è fatta dal Parlamento per tutti i cittadini; ma gli ordini del giorno, mi pare, sono leggi che l’Assemblea dà a sé stessa, oppure un ordine – mi si consenta la parola – che l’Assemblea dà al Governo, che trae dall’Assemblea stessa i propri poteri.
In questo senso mi pare che gli ordini del giorno, che noi siamo venuti votando, hanno avuto questo doppio valore: hanno significato l’impegno dell’Assemblea di attenersi ad una certa decisione ed hanno significato l’ordine – ripeto la parola al Governo, perché, nei limiti nei quali esso deve tradurre in atto una decisione dell’Assemblea, in quel senso si muova e non in altro senso.
Così, per le leggi elettorali: quando l’Assemblea ha votato che la prima Camera dovrà essere eletta sulla base della proporzionale, ciò ha semplicemente significato che il Ministro dell’interno, competente a redigere il progetto di legge che dev’essere presentato a questa Assemblea, deve redigerlo sul sistema della proporzionale, e che l’Assemblea stessa, per quanto possa modificare i particolari del progetto presentato, non può modificarlo in tal modo da mutare il sistema proporzionale nel sistema uninominale.
La stessa considerazione vale per l’ordine del giorno votato in rapporto al Senato della Repubblica.
Non per polemizzare, onorevoli colleghi, ma io penso che non dovremmo creare degli ostacoli nuovi ad un più rapido ritmo dei nostri lavori, dimenticando come si è giunti a votare l’ordine del giorno Nitti e cosa significassero gli altri ordini del giorno che insieme a quello Nitti sono stati presentati al voto e respinti.
Io la pregherei, onorevole Moro, di dirmi schiettamente: se fosse stato approvato l’ordine del giorno Perassi, forse che non si sarebbe ritenuto da tutti e anche da lei senza altro acquisito al testo costituzionale il suo contenuto concreto?
MORO. È arbitrario.
PRESIDENTE. Permetta, sarebbe stata sì o no acquisita al testo costituzionale la disposizione a tenore della quale i senatori avrebbero dovuto essere eletti nel numero di 3 per ogni Regione dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale, ecc.?
Io almeno, nella mia semplicità, penso che se si fosse approvato quell’ordine del giorno queste due norme sarebbero entrate nella Costituzione. Comunque ho fatto questa ipotesi, soltanto per trarne la considerazione che occorre tenere presente non semplicemente i risultati alcune volte non graditi delle votazioni; ma anche il modo col quale vi ci si è giunti. Ogni votazione comporta due possibilità: la prescelta da ogni votante e la decisa dalla maggioranza. Se si era pronti ad accettare la prima; evidentemente si doveva essere pronti ad accettare anche la seconda. Ad ogni modo credo che la questione si possa risolvere in questi termini: nell’ordine del giorno Nitti si afferma che il Senato sarà eletto col suffragio universale diretto e col sistema del collegio uninominale. Analogamente a quanto abbiamo fatto per l’elezione della Camera, porremo però nell’articolo costituzionale soltanto l’affermazione che il Senato sarà eletto col suffragio universale diretto, mentre invece continueremo a considerare ordine del giorno a sé stante l’affermazione che impegna a valersi del collegio uninominale, ordine del giorno nel senso che indicavo prima, cioè che la legge che verrà depositata in questa Assemblea per l’elezione del Senato della Repubblica, deve essere una legge basata sul sistema del collegio uninominale.
Ora, mi pareva, che l’onorevole Moro chiedesse che si ripetesse la votazione sia sul carattere universale come sul carattere diretto del suffragio richiesto per l’elezione del Senato e poi anche sopra la questione del collegio uninominale. Non si rifarà nessuna di queste votazioni. Ma ciò che nell’ordine del giorno Nitti è simile alle proposte dell’articolo 55, verrà incluso nel testo definitivo dell’articolo stesso; mentre non vi includeremo ciò che non vi trova rispondenza, analogamente alla procedura seguita nel rapporto fra l’ordine del giorno Giolitti e l’articolo 53. Onorevoli colleghi, dovrebbe essere chiaro che le votazioni che si fanno hanno un valore definitivo. Ma per quanto si riferisce alla loro materia, il modo di disporla è sempre una cosa lasciata al criterio di opportunità, a cui si richiamava anche l’onorevole Laconi, e direi anche, alle esigenze di simmetria del testo costituzionale.
CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CODACCI PISANELLI. Vorrà scusarmi, signor Presidente, se intrattengo l’Assemblea su questo problema che mi sembra però di tale importanza da non dovere essere risolto così rapidamente.
PRESIDENTE. Rapidamente, veramente no, onorevole Codacci Pisanelli!
CODACCI PISANELLI. Ci si domanda quando è che una deliberazione dell’Assemblea diventa definitiva, cioè in qual momento l’Assemblea non possa più tornare su di essa. (Commenti a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevole Codacci, consideri, la prego, che la discussione è stata già ampia: perciò nel suo intervento resti al nocciolo del problema e tenga conto che qui siamo in una Assemblea politica.
CODACCI PISANELLI. L’ordine del giorno, domando, vincola di già l’Assemblea in modo definitivo, o può l’Assemblea tornare eventualmente sull’ordine del giorno?
Una voce a sinistra. No, no!
CODACCI PISANELLI. Pongo soltanto un problema. Non esamino se si possa votare un articolo in contrasto con l’articolo precedente, ma domando se, approvato un ordine del giorno, questo sia vincolante.
Io ritengo che la deliberazione dell’Assemblea divenga definitiva soltanto quando sia stata tradotta in un preciso dispositivo di articolo, cioè quando sia stata articolata. Fino a quel momento ritengo che l’ordine del giorno non impegni in modo definitivo l’Assemblea.
PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, io ho cercato di ricostruire il processo che ha portato alla presentazione di questi ordini del giorno. È vero che un ordine del giorno resta sempre un ordine del giorno; ma centomila ordini del giorno non sono soltanto centomila ripetizioni di uno stesso ordine del giorno. Coloro che li redigono, discutono ed approvano, sanno che non c’è uno che abbia la stessa importanza di un altro.
Ma tutti gli ordini del giorno qui discussi e votati hanno un eguale valore impegnativo: e come impegno io li interpreto, onorevole Codacci Pisanelli.
MORO. Chiedo di parlare.
RESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Solo per un chiarimento, onorevole Presidente.
Se è vero che nell’atto di porre questa questione che stiamo dibattendo c’è in me lo stato d’animo di colui che ha vista sopraffatta una tesi che gli era cara, io dichiaro con la più grande sincerità che questa questione è stata sollevata per una ragione di principio.
Noi siamo stati battuti nell’Assemblea Costituente un’altra volta, su un punto che era estremamente importante per noi, quello della indissolubilità del matrimonio. Ebbene, nessuno di noi ha sollevato, in quel caso, delle obiezioni.
Se obiezioni sono state sollevate in questa sede, è perché veramente noi riteniamo che la soluzione che si cerca di dare a questo problema non è una soluzione esatta, corrispondente alle norme di Regolamento e alle norme di legge.
Io sin da principio ho dichiarato che, a mio parere e a parere dei miei amici – e su questo punto credo che prenderà la parola, con la competenza tecnica che lo distingue, l’onorevole Mortati – l’ordine del giorno che è stato votato è un ordine del giorno che non sostituisce una norma di legge: è un ordine del giorno che vincola l’Assemblea, ma non supplisce le necessarie formali votazioni, attraverso le quali si crea una norma di legge.
Ora, il punto delicato di tale controversia era costituito dalla eventuale votazione da ripetere sul sistema elettorale, sul collegio uninominale. Ma poiché su questo punto io mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Gronchi, e prendo atto con soddisfazione che l’onorevole Presidente ha creduto anch’egli di accedere alla tesi di fare uguale trattamento all’indicazione dei sistemi elettorali, sia per la Camera dei deputati, sia per il Senato, evidentemente il punto politicamente più delicato è fuori discussione. Se dunque non si torna a votare sul sistema di elezione, possiamo serenamente riaffermare i principî i quali impongono, senza alcun pericolo di ordine politico, che si voti sulla struttura del Senato con l’indicazione della espressione «a suffragio universale diretto e segreto».
E, su questo punto, per una ragione di principio, insisto nel chiedere la votazione, alla quale spero non vogliano contrastare coloro i quali vedono che il collegio uninominale è in tal modo sottratto ad una nuova decisione.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, cerchiamo dunque di concludere su questo punto. L’onorevole Moro ha fatto richiamo ad una questione di principio. Ma, onorevole Moro, il Regolamento ella lo ha sottomano, suppongo; e vi può leggere l’articolo 87 che dice che gli ordini del giorno determinano o modificano il contenuto della legge. (Approvazioni a sinistra). Non ho bisogno di queste approvazioni, egregi colleghi,.
Una voce a sinistra. Ma vengono spontanee.
PRESIDENTE. L’attuale Regolamento riprende in questa forma il concetto che era espresso nel Regolamentò precedente, nell’affermazione che gli ordini del giorno erano equiparati agli emendamenti. È chiaro quindi che, un ordine del giorno votato dell’Assemblea, ha il potere di modificare la legge ed esso, in quanto tale, serve di istruzione alla Commissione, la quale – anche questo dice il Regolamento – deve trasferire nella legge il contenuto dello stesso ordine del giorno.
UBERTI. No, no.
PRESIDENTE. Onorevole Uberti, legga l’articolo 87 del Regolamento, la prego.
La questione di principio non nasce in questo momento: esisteva già ed è stata risolta dal nostro Regolamento.
Credo pertanto di poter concludere così, come prima: che, per quanto si riferisce all’ultimo comma dell’articolo 55, l’Assemblea ha già deliberato, decidendo che il Senato sia eletto mediante suffragio diretto ed universale; mentre non si includerà nel testo costituzionale la parte dell’ordine del giorno che si riferisce al sistema del collegio uninominale, in armonia a quanto l’Assemblea ha fatto per il sistema di elezione della Camera.
Resta quindi soltanto da deliberare in merito al limite di età per gli elettori del Senato. Io non credo, a questo riguardo, come sostiene l’onorevole Oro Nobili, che dire «suffragio universale» significhi senz’altro che tutti i cittadini hanno diritto al voto quando abbiano raggiunto il ventunesimo anno di età.
Tutti i colleghi i quali nel corso della discussione relativa alla prima parte del progetto di Costituzione, hanno proposto che il diritto elettorale attivo spettasse a tutti gli italiani dai 18 anni in su, a buon diritto dal loro punto di vista, possono considerare l’attuale suffragio, che fissa a ventun anni il diritto elettorale, come suffragio non universale. Ma invece la dizione stessa del testo costituzionale dichiara che si tratta di suffragio universale.
L’universalità del suffragio, mi pare, si riferisce a tutte le condizioni per l’elettorato attivo, salvo, per l’appunto, quella dell’età che non è un elemento predeterminato per natura e neanche da una certa struttura politica e di organizzazione dello Stato.
Per queste ragioni io credo che con la votazione già avvenuta non si sia risolto il problema relativo al limite di età, ed è a questo dunque che ora passeremo per concludere questa abbastanza faticosa votazione dell’articolo 55.
DOSSETTI. Chiedo di parlare. (Commenti a sinistra).
PRESIDENTE. Su quale argomento, onorevole Dossetti?
DOSSETTI. Chiedo di parlare a proposito dell’interpretazione da lei data all’articolo 87 del Regolamento, che per la prima volta viene in esame nella discussione di questa sera. Credo, quindi, di aver diritto – senza stancare l’Assemblea con la ripetizione di argomenti già svolti – di chiedere di parlare su un argomento nuovo, invocato dal Presidente.
PRESIDENTE. Non ho nulla in contrario a concederle la parola, ma mi permetto di rammentarle che, per ciò che si riferisce al valore delle votazioni avvenute, ho già espresso il mio avviso, e cioè ho stabilito – e questo rientra nella mia facoltà di Presidente – in quale modo esse debbano essere assunte nel risultato dei nostri lavori. (Approvazioni a sinistra). Se ella ritiene di doverci, ciò non ostante, esporre l’interpretazione ch’ella dà all’articolo 87, noi siamo lieti di ascoltarla.
DOSSETTI. Onorevole Presidente, non credo di poter convenire sulle ultime parole da lei formulate, perché, appunto, la sua interpretazione si fonda su un argomento nuovo, da lei escogitato in base all’articolo 87.
PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, non mi faccia dire quello che non ho detto. Consideri che, in quanto a precisione le mie parole, lo tenga presente, non possono costituire un elemento di polemica nel corso delle discussioni dell’Assemblea.
Io non ho invocato l’argomento nuovo dell’articolo 87 per suffragare la mia-interpretazione; tanto è vero che ho fatto il richiamo solo dopo aver enunciato la mia decisione. È stato un soprappiù: tutti hanno detto tante cose che non entravano affatto nella materia della nostra discussione, ed anch’io mi sono permesso un fronzolo. La mia interpretazione, anzi la mia decisione, è stata presa in base a quanto è avvenuto e si è detto in quest’Aula da tre giorni a questa parte.
È per ciò che, dandole la facoltà di parlare, perché lei possa esporci il suo punto di vista sull’articolo 87, ritengo necessario avvertirla ancora una volta che ciò non può avere relazione né influenza con la decisione che ho presa e comunicata nel pieno esercizio dei poteri che l’Assemblea mi riconosce.
DOSSETTI. Prendo atto di quanto lei ha dichiarato, onorevole Presidente. Questo conferma che la sua conclusione – sulla quale non discuto – è indipendente dall’argomento ricavabile dall’articolo 87.
Però è per me importante – e credo lo sia anche per i colleghi – fare una riserva, in merito a quella che è la particolare interpretazione data dell’articolo 87, in quanto si è creduto di ricavare dall’articolo 87 la determinazione della funzione degli ordini del giorno, mentre per chi rilegga l’articolo 87 e veda che i verbi, da cui si è ricavata la determinazione di questa funzione, sono messi evidentemente al congiuntivo, in forma ipotetica, risulta evidente che la determinazione della funzione dell’ordine del giorno è qui ipotetica.
Dice infatti l’articolo 87: (Interruzioni a sinistra) «Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni». (Interruzione dell’onorevole Laconi).
PRESIDENTE. Non interrompa, onorevole Laconi!
DOSSETTI. Mi pare che ci sia differenza fra questa proposizione ed un’altra, che sia enunciata all’indicativo, e cioè che l’ordine del giorno determina o modifica o serve di istruzione alle Commissioni.
In questo caso la norma avrebbe carattere imperativo generale; mentre qui è semplicemente indicala una funzione eventuale di alcuni ordini del giorno. (Interruzioni).
Ma io non insisto perché mi basta la dichiarazione dell’onorevole Presidente, che ha sganciato la conclusione a cui egli è pervenuto dall’articolo 87, per cui era opportuno che noi facessimo una necessaria riserva, anche per evitare il ripetersi della questione, per eventuali successive altre interpretazioni.
Vorrei soltanto dire che l’argomentazione da me svolta risulta all’evidenza confermata dall’ultimo comma dell’articolo 89, che dice: «Non si potranno riprodurre sotto forma di emendamenti o di articoli aggiuntivi gli ordini del giorno respinti nella discussione generale, nel qual caso può sempre essere opposta la pregiudiziale».
PRESIDENTE. Questo previene l’eventuale sua intenzione di ripresentare ordini del giorno.
DOSSETTI. Non avevamo affatto questa intenzione. Comunque, dichiaro che questa intenzione non era la mia e non era quella dei miei colleghi.
Risulta però confermato da questo comma che si possono dare degli emendamenti che ripropongono quanto era dichiarato in ordini del giorno, ed è espressamente distinto qui il valore formale di atti diversi; cioè, l’ordine del giorno, che ha un carattere programmatico indicativo generale per i lavori dell’Assemblea, e l’articolo o emendamento che è la vera norma alla quale solo ci si deve ricondurre per stabilire quale sia la determinazione terminale dell’Assemblea stessa. Perché evidentemente, con una interpretazione che parificasse la decisione d’un ordine del giorno a quella di un testo giuridico, avremmo questa conseguenza paradossale: che il futuro interprete e il futuro legislatore dovrebbero consultare sempre, non con valore interpretativa generico, ma specifico di norma giuridica, tutti gli atti successivi attraverso i quali la norma è pervenuta. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, mi perdoni, ma per quanto non voglia che i colleghi possano pensare che io mi conceda ciò che molte volte ho rimproverato ad altri – di trasformare cioè in sede di discussioni astratte queste nostre laboriose sedute – sento la necessità di farle osservare che quel tale congiuntivo, dal quale ella crede di potere dedurre certe conseguenze, è congiuntivo per necessità del concetto che esso esprime. Infatti un ordine del giorno presentato, può ancora sempre essere respinto; è a questo stadio che l’articolo 87 lo considera, poiché afferma solo il diritto dei deputati a presentarlo. Ma in questo momento manca la certezza dell’accoglimento delle proposte contenute nell’ordine del giorno, le quali non possono quindi richiamarsi alla forma indicativa, positiva del verbo. È chiaro che se l’ordine del giorno sarà poi approvato, la modificazione ch’esso propone si trasfonde nel progetto; esso non è più soltanto una possibilità, ma una realtà; verrà espresso non più col congiuntivo ma coll’indicativo. (Applausi a sinistra).
TOGLIATTI. Chiedo di parlare sulla questione sollevata dall’onorevole Dossetti.
PRESIDENTE. La prego, onorevole Togliatti, tenga presente che questa non è la sede per una discussione in tema di grammatica; e chiedo anzi scusa di avervi io stesso dato l’avvio.
TOGLIATTI. Lo dico, in due parole: prego l’onorevole Dossetti di tener presente che nella corretta lingua italiana, in casi come questo, il «che» preceduto dal verbo potere, regge sempre il congiuntivo. Spero che il Gruppo democristiano non pretenderà di farci cambiare la grammatica italiana col peso dei suoi 207 voti. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’ultimo quesito proposto sull’articolo 55, quello che si riferisce all’età degli elettori del Senato.
Vi è a questo proposito un emendamento presentato dall’onorevole Conti, il quale ha proposto che invece di 25 anni di età si dica «21 anni di età».
Pongo quindi in votazione questo emendamento.
(Dopo prova e controprova, l’emendamento non è approvato).
Pongo in votazione, il testo della Commissione: «I senatori sono eletti a suffragio universale diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».
(È approvato).
L’articolo 55 risulta, nel suo complesso, così approvato:
«Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.
«Il numero dei senatori è determinato in ragione di uno ogni 200 mila abitanti, o frazione superiore ai 100 mila, attribuendosi però a ciascuna Regione un numero minimo di sei senatori.
«La Valle d’Aosta ha un solo senatore.
«I senatori sono eletti a suffragio universale diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione: Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non sono mai intervenuto perché nella sostanza delle questioni il Comitato è in disaccordo interno, ed è una vera disgrazia. Ma osservo che, come pura forma, sarebbe opportuno dare un’altra espressione.
PRESIDENTE. Io ho riletto il testo risultante dalle varie votazioni perché tutti i colleghi conoscano con precisione il frutto del lavoro di questi giorni. Non la forma, ma il contenuto è necessario richiamare ora alla mente. Il Comitato di redazione, da parte sua, darà poi la forma che riterrà più adeguata.
PERASSI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. Se non erro, per quanto riguarda questo secondo comma, l’onorevole Presidente ha sottoposto successivamente le questioni di principio, e si sono votate successivamente le diverse proposte; ma non è stato mai letto un testo completo del secondo comma. Ora, faccio presente che il testo della Commissione è formulato un po’ diversamente da come è stato letto ultimamente.
PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha sollevato l’obiezione che il testo del quale ho dato lettura, dopo di aver ricucito accuratamente assieme tutte le votazioni che abbiamo eseguito, non corrisponderebbe alle votazioni stesse. Desidero far osservare all’onorevole Perassi che l’Assemblea non ha votato sul testo della Commissione, ma sugli emendamenti, ed è cosa abbastanza elementare che nel testo che io ho letto abbia ripresi letteralmente gli emendamenti votati.
Onorevole Perassi, nell’emendamento dell’onorevole Mortati, attorno al quale si è svolta tutta la discussione, si dice appunto «attribuendosi a ciascuna regione un numero minimo di sei senatori». Lei ha rilevato che nel testo definitivo non avrei ripresa l’espressione. Ma il testo che ho letto dice così: «attribuendosi però a ciascuna regione un numero minimo di sei senatori».
Sarei veramente curioso di sapere in che cosa il testo che ho letto differisce dal testo votato e il testo votato da quello proposto dall’onorevole Mortati.
Prego i colleghi prima di sollevare questioni, di essere sicuri di quello che dicono.
Dobbiamo ora esaminare le seguenti proposte aggiuntive:
«Aggiungere il seguente comma:
«Cinque senatori sono nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni, nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario, hanno illustrata la Patria.
«Alberti».
«Art. 55-bis.
«Sono senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti della Repubblica.
«Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative, i quali abbiano coperto la carica almeno per un anno anche se non continuativamente.
«A tale diritto si può rinunziare, purché la rinunzia sia fatta prima della firma del decreto di nomina da parte del Capo dello Stato.
«Alberti».
«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori di diritto con decreto del Capo dello Stato: i deputati dell’Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato, o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea, o che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente.
«A tale diritto si può rinunciare, ma la rinuncia deve essere fatta prima della firma del decreto di nomina.
«Leone Giovanni, Avanzini, Rossi Paolo, Pignatari, Cifaldi, Villabruna, Candela, Alberti, Preziosi, Corbino, Condorelli, Costantini, Martinelli, Arcaini, Castelli Avolio, Adonnino».
«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori con decreto del Capo dello Stato:
а) i deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del 9 novembre 1926 e quelli che non furono dichiarati decaduti, ma esercitarono la funzione di oppositori nell’Aula;
- b) i deputati dell’Assemblea Costituente che sono stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea;
- c) coloro che siano stati membri del disciolto Senato ed abbiano mantenuto atteggiamento di costante opposizione al regime fascista dopo il 3 gennaio 1925.
«Martino Gaetano, Morelli Renato, Vlllabruna, Cifaldi, Bonino, Colitto, Perrone Capano, Condorelli, Colonna, Mazza, Rodinò Mario».
«Sono senatori di diritto, durante l’esercizio del loro ufficio, il Primo Presidente della Corte di cassazione, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti, l’Avvocato generale dello Stato, il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, il Capo di Stato Maggiore generale.
«Clerici, Montini, Raimondi, Morelli Luigi, Cotellessa, Marconi, Adonnino, Carboni Enrico, Ponti, Sampietro».
Queste proposte considerano due questioni: la prima è quella dell’immissione nel Senato sia di senatori non eletti, ma nominati dal Capo dello Stato per meriti insigni, sia di senatori che tali divengono per la carica che essi ricoprono. La seconda si riferisce a una norma transitoria, a tenore della quale del primo Senato dovrebbero far parte di diritto alcuni cittadini a causa di cariche che ricoprono o hanno ricoperto.
In relazione alla prima questione, relativa all’esistenza di senatori che non ripetano dal suffragio universale diretto il loro potere, ritengo che la votazione già eseguita dall’Assemblea impedisca di prenderla in considerazione. Il Senato, infatti, è costituito sulla base del suffragio universale e diretto: mi pare pacifico che non possa accogliere in sé persone che da questo suffragio non ripetano la carica. Resta sempre aperta invece, come norma transitoria, la proposta che prevede la immissione nel primo Senato, cioè nel Senato alla sua prima formazione, di certe persone che ricoprono o hanno ricoperto certe particolari dignità pubbliche o politiche. Pertanto ritengo che non sia più da porsi in votazione la prima proposta dell’onorevole Alberti.
Ritengo che ugualmente non possa essere messa in votazione la proposta dell’onorevole Alberti a tenore della quale sono senatori di diritto a vita gli ex Presidenti della Repubblica, ecc.
Quindi decade anche la votazione sull’ultimo comma, che stabiliva la possibilità di rinuncia da parte degli interessati a questa nomina automatica.
Resta invece da porre in votazione la proposta dell’onorevole Leone Giovanni, relativa alla prima elezione del Senato.
Le altre proposte dell’onorevole Martino Gaetano e dell’onorevole Clerici sono analoghe.
BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BADINI CONFALONIERI. Quando c’è stata una lunga discussione sul valore dell’ordine del giorno, ho taciuto; ma vedo che purtroppo la questione torna in argomento in questo momento, e che dobbiamo tornare a discuterla, tenendo conto di quanto prima si è detto e cercando di non ripeterci.
Non c’è dubbio, per quella interpretazione che lei signor Presidente ha già dato, che quando si vota un ordine del giorno si delibera qualche cosa, si fissa un principio; e poiché siamo Assemblea Costituente, si fissa un principio di carattere costituzionale.
A questo proposito credo, anche se l’onorevole Perassi non è d’accordo, che la maggioranza di noi convenga. Però, ci deve essere un motivo differenziatore, perché talora si presenti un emendamento e talaltra un ordine del giorno; altrimenti, non si comprende perché talora si userebbe una forma e talaltra forma diversa.
La differenza mi pare sia questa: con l’ordine del giorno si vuole fissare un principio, ma il principio consente delle eccezioni, in casi particolari; con l’emendamento, invece, si vuole inserire una determinata testuale disposizione di legge, che resta immutabilmente quella e non può essere modificata, non consente eccezioni.
Questo, per concludere che con la votazione dell’ordine del giorno Nitti noi abbiamo fissato il principio che «il Senato deve essere di carattere elettivo»; tuttavia non ci siamo preclusa la strada a che alcuni membri del Senato possano non avere questo carattere elettivo.
Il principio è stato fissato e non possiamo rimetterlo in discussione; ma, naturalmente, non si tratta di una norma di legge precisa e specifica, e quindi le eccezioni sono consentite.
Su queste eccezioni l’Assemblea è chiamata a discutere ed a votare.
ALBERTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ALBERTI. L’ordine del giorno Nitti, approvato dall’Assemblea, afferma che il Senato sarà eletto col suffragio universale diretto col sistema del collegio uninominale. Però, a me non sembra che questo precluda all’Assemblea la possibilità di stabilire che possa venire aggiunta, con altro metodo, qualche altra categoria di senatori, precisamente quella cui ho fatto cenno nel primo e nel secondo emendamento.
Questa – se mi permette l’allusione e non la interpreta come una indiscrezione – credo sia anche l’opinione dello stesso onorevole Nitti, il quale aveva, con altro ordine del giorno, proposto che alcuni senatori fossero indicati dai Consigli delle Università fra i professori di Università.
C’è un ordine del giorno, nel quale è detto precisamente: «Fanno parte del Senato: il Presidente della Corte di cassazione di Roma, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e sei professori di Università, designati per elezione dal Consiglio superiore della pubblica istruzione».
Mi pare, quindi, che, se nello stesso pensiero del proponente dell’ordine del giorno, che abbiamo votato, c’è questa possibilità, noi possiamo insistere perché cinque senatori siano nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni nel campo sociale, scientifico, artistico-letterario hanno illustrato la Patria; e che possa essere votato l’articolo 55-bis, il quale indica, fra coloro che hanno diritto a sedere in Senato, gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio e delle Assemblee legislative i quali abbiano ricoperto la carica per qualche tempo.
NITTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NITTI. Io avevo presentato una serie di proposte in questa materia e prego il Presidente di avere un po’ di tolleranza se mi permetto di divagare.
Non c’è nessun Senato che possa essere sciolto. Questa non è materia di discussione: la Camera si scioglie; il Senato non si scioglie. In nessun paese il Senato si scioglie: così è in America e così era in Francia. Il Senato dunque ha una sua speciale funzione: la continuità. Il Senato rappresenta non soltanto l’impressione di un momento, come l’elezione a suffragio universale in una data situazione o in una certa circostanza. Il Senato permane anche se non funziona legislativamente, anche quando non funziona la Camera. Le Camere debbono essere collegate, e non vi è nulla di più pericoloso del considerarle due cose troppo distinte. In America vi è questa strana Costituzione: chi è Presidente del Senato non è senatore; Presidente del Senato è il Vice Presidente della Repubblica, che rappresenta dunque la stessa ondata popolare che ha portato alla Presidenza della Repubblica colui che comanda. Quindi cosa fa il Vice Presidente del Senato? Poiché non è senatore non vota, ma dirige i lavori e mantiene la continuità. Ecco la spiegazione delle mie proposte che possono parere strane. In Francia cosa c’era? Vi era un Senato che durava troppo a lungo, vi era un Senato non conveniente: lo dicevano gli stessi senatori, i quali duravano in carica ben nove anni. Inoltre il Senato si rinnovava ogni tre anni per un terzo. Cosa vuol dire il Senato? Il Senato vuol dire la continuità, e vuole dire una scelta di persone od una designazione di persone che rappresentino tendenze, direi, permanenti. Il Senato dunque da noi non può essere troppo differente. Quando io ho letto il progetto di Costituzione: la Camera dura cinque anni; il Senato dura cinque anni, non ho compreso più nulla. Io non conosco funzioni legislative di questa natura. Il Senato non si scioglie, deve durare. Da noi facciamo che duri sei anni e che si rinnovi ogni due anni per un terzo, come accade in America, dove si rinnova ogni due anni, mentre in Francia si rinnova ogni tre anni, pure per un terzo.
Il Senato vuol dire la permanenza di qualche cosa. Nelle nuove istituzioni bisogna conservare sempre qualcosa delle antiche, perché abbiano attrazione sulle masse umane. Io mi sono ribellato prima di tutto all’idea che si chiami «Camera dei senatori». Si chiami Senato! Dobbiamo avere qualcosa che indica la continuità: per questo mi sono permesso di indicare alcune categorie. Prima di tutto quella che sembra ad alcuni tanto strana: ex Presidenti della Repubblica ed ex Presidenti delle Camere legislative, perché ho visto da vicino cosa significa la mancanza di qualcosa che possa in Senato ricordare la spiegazione di avvenimenti che, cinque o sei anni dopo, non si spiegano più dalla maggioranza. Lasciamo dunque che vi siano gli ex Presidenti del Consiglio e, credetemi, non l’ho fatto per causa mia, perché non ho proprio il desiderio di essere senatore. Che vi siano poi gli ex Presidenti della Repubblica è normale. Sapete cosa ha significato in Francia la mancanza di questa disposizione? Gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti della Repubblica appena cadevano, avevano bisogno di affrontare la lotta elettorale. Poincaré, appena caduto da Presidente della Repubblica, è andato a presentarsi agli elettori come candidato al Senato. Briand ha fatto la stessa cosa. È una necessità, e bisogna trovare il modo di ovviare a questo, per l’esperienza di quello che avviene in altri paesi. Solo Clemenceau ha sbagliato, perché quando non fu eletto Presidente della Repubblica, fu talmente crucciato che non volle essere più nulla. Quando ebbe il più lungo colloquio della sua vita, durato cinque ore (racconterò questo grande avvenimento, ho preso l’impegno di pubblicarlo), passò in rassegna la vita pubblica francese. Non volle essere più nulla e morì crucciato.
Gli ex Presidenti della repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio possono far parte del Senato. È una cosa che non offende il suffragio universale, perché rappresenta una necessità contingente chi, con l’esperienza del passato, si rende ancora più evidente. Vi avevo chiesto, quindi, in quelle proposizioni che avevo fatto, che insieme agli ex Presidenti della Repubblica e agli ex Presidenti del Consiglio venissero alcune categorie di uomini che, per la prima ed unica volta, rappresentavano la transazione fra il vecchio e il nuovo, e la creazione di qualcosa che desse la sensazione della continuità.
Dunque, in quanto alla proposta di designare cittadini di alto valore scientifico, per il decoro stesso del Senato (benché il Senato non sia un’Accademia) io riconosco questo, ma bisogna metter fuori il Presidente della Repubblica, che non deve far parte direttamente del Senato. Questa disposizione non vi è in nessuna Repubblica. Il Senato deve vivere della sua vita, deve vivere del suffragio universale. Può avere alcune categorie designate nella legge, transitoriamente, ma non può in nessuna guisa il Presidente della Repubblica entrare in questa materia.
Permettete, signori, io sono l’uomo che ha nominato più Senatori, l’unico credo che ha avuto il coraggio di fare in una sola lista 96 Senatori. È un fatto di orgoglio. Tutti i Presidenti del Consiglio che non hanno coraggio, non fanno Senatori. I tre Presidenti del Consiglio degli ultimi anni della monarchia che hanno nominato Senatori sono stati Giolitti, Salandra ed io, perché ne assumevamo la responsabilità. I Presidenti del Consiglio che esitavano, non facevano Senatori, perché promettevano a tutti il Senato e facevano tante promesse che poi non potevano mantenere. La prima condizione per mantenerle era quella di non farne. Ho avuto una grande soddisfazione: l’unico Presidente del Consiglio che negli ultimi trent’anni ha nominato Senatori. Giolitti vide respinte buona parte delle sue nomine e lo stesso Mussolini, nella sua onnipotenza, in certi momenti ha visto nomine di Senatori respinte. Io ho fatto il più gran numero di Senatori, e mai alcuna mia nomina è stata respinta dal Senato.
Io so quindi la delicatezza di questo argomento. Bisogna dare al Senato il carattere di rispettabilità. Bisogna metterlo, soprattutto per quanto riguarda la sua origine, al di fuori del sospetto, e però io non accetto alcuna cosa che conferisca al Presidente della Repubblica il diritto di nominare Senatori. I Senatori non possono essere nominati che per suffragio universale o per designazione indicata da una legge, che disponga vi siano Senatori di alcune categorie per breve tempo o a lungo o indeterminatamente, quando la loro partecipazione sia creduta necessaria. E questa non è una deroga al suffragio universale; questa non è una mancanza ai principî generali; questa è una necessità contingente, soprattutto perché noi formiamo un Senato interamente ex novo in un Paese che per un quarto di secolo si trova sbattuto da tante correnti politiche. Ora, che vi siano alcuni Senatori che non siano di nomina popolare, per suffragio universale, è perfettamente logico e spiegabile. Ma questo deve essere limitato, ed è perciò che io ho proposto che i Senatori siano nominati anche fra ex deputati che abbiano un certo numero di legislature, in modo che possano dare prova di competenza. Quindi io pregherei di entrare in questa decisione: di designare alcune categorie di cittadini, non per elezione, non a suffragio universale, ma per legge, di tal che essi non debbono premere sull’Assemblea, ma siano di utile consiglio e di utile collaborazione. Quindi limito la mia proposta a questo, pregando di tenere fuori il Presidente della Repubblica, perché egli non può agire senza i suoi Ministri né contro i suoi Ministri. Egli non può dar corso a nomine che abbiano carattere politico di parte, e quindi significa metterlo in imbarazzo affidare a lui personalmente la scelta dei Senatori.
Io dunque prego l’Assemblea di consentire che vi siano alcune categorie al di fuori del suffragio universale, ciò che non è deroga, ma è completamento. Sono a disposizione dell’Assemblea se essa vorrà chiedere chiarimento su altre questioni.
ALBERTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ALBERTI. Quando ho svolto gli emendamenti, ho indicato le ragioni per le quali ritenevo che la nomina dei cinque Senatori a vita potesse essere fatta dal Capo dello Stato, e non ritengo di dover ritornale.su quell’argomento. Ma se ora l’onorevole Nitti pensa che questa nomina da parte del Capo dello Stato possa essere pericolosa, io vorrei chiedere all’Assemblea se non ritiene che questa designazione possa essere fatta eventualmente dallo stesso Senato, perché la designazione di alcuni uomini illustri da parte delle Università, del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione e la nomina di 6 professori di Università, non mi pare corrispondano al concetto che io avevo inteso di racchiudere in questa proposta.
L’ambiente universitario, rispettabilissimo e che tutti noi veneriamo, non esaurisce, mi pare, nel suo campo le illustrazioni nazionali. Se queste illustrazioni nazionali dovessero essere designate fra i professori di Università, dai Consigli superiori delle Università stesse, molti uomini illustri rimarrebbero esclusi. (Interruzione del deputato Nitti).
L’onorevole Nitti dice ora che intende che siano soltanto designati. Diversamente, pensavo che, ad esempio, il nostro collega Benedetto Croce non avrebbe potuto essere compreso fra le illustrazioni nazionali.
CLERICI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CLERICI. L’emendamento, che ho avuto l’onore di presentare insieme ad altri colleghi e che credo debba essere messo in votazione per le stesse ragioni che sono già state esposte precedentemente per analoghi emendamenti da altri colleghi – e alle quali ragioni mi associo –, ha valore di emendamento del penultimo comma dell’emendamento del Presidente Nitti, in quanto l’onorevole Nitti nel penultimo comma del suo emendamento dice: «Fanno parte del Senato il Presidente della Corte di cassazione di Roma (debbo rilevare che da tempo una sola è la Corte di cassazione), il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e sei professori nominati dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione»; mentre il mio emendamento suona così: «Sono senatori di diritto durante l’esercizio del loro ufficio (tale limitazione è un concetto che completa la proposta, e che forse è implicito, ma comunque è bene che sia esplicito, in quella del Presidente Nitti) il Primo Presidente della Corte di cassazione, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, il Presidente della Corte dei Conti, l’Avvocato Generale dello Stato, il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, il Presidente dell’Accademia dei Lincei, il Capo di Stato Maggiore generale».
Ben poco ho da dire per spiegare il mio emendamento: le più alte cariche amministrative dello Stato – alcune neanche in senso proprio, perché l’Accademia dei Lincei è fuori dell’ambito delle Amministrazioni dello Stato – avrebbero, in tal modo, nella seconda Camera una voce, la voce della competenza e della autorevolezza, sia pure ridotta al minimo possibile. Ma queste sette voci, per le ragioni che sono state dette dai colleghi che mi hanno preceduto, devono a mio parere, stare nel Senato, senza che si turbi con ciò il principio generale che, per la massima parte, il Senato è eletto a suffragio universale.
Ricordo un solo esempio analogico: nella Camera dei Comuni inglese, come tutti i colleghi sanno e mi insegnano, accanto agli eletti dei borghi e delle contee, hanno sempre seduto i rappresentanti delle dieci o dodici Università del Regno Unito.
PAJETTA GIAN CARLO. Erano due le Università.
CLERICI. No: sono esattamente dodici quei deputati. Ora per quanto si sia, attraverso i secoli, modificato il sistema elettorale inglese, partendo dai borghi putridi per arrivare attraverso la legge del 1832 ed a quelle del 1867 e del 1884 fino al suffragio universale il più esteso, della legge 1918, completata nel 1928, malgrado questa vasta evoluzione, nessuno – che io sappia – ha mai contrastata e, comunque, è rimasta sempre ferma nella Camera dei Comuni inglese, la rappresentanza delle Università. Il che vuol dire che quel popolo, nel quale sempre è fiorita la libertà e in cui man mano si è fondata, estesa e consolidata la più autentica democrazia, non ha mai ritenuto che avesse carattere eterogeneo la rappresentanza di tali ambasciatori del pensiero, della cultura, dell’alta amministrazione della cosa pubblica entro il Parlamento, anzi proprio entro la Camera elettiva, popolare per eccellenza.
Per questa ragione, credo non costituisca una anomalia quanto io propongo.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Presento all’Assemblea il seguente emendamento aggiuntivo firmato anche dai colleghi La Rocca, Togliatti, Moranino, Dozza, Nenni, Minella Angiola, Mattei Teresa, Iotti Leonilde e Montagnana Rita:
«I deputati alla Costituente che abbiano sofferto almeno cinque anni di carcere per una condanna del tribunale speciale per motivi politici sono senatori di diritto del primo Senato della Repubblica». (Commenti).
PRESIDENTE. Facciano silenzio, onorevoli colleghi.
LACONI. Non credo vi sia motivo che io illustri il mio emendamento. Diceva poco fa l’onorevole Clerici, a proposito di un suo emendamento, che esso si illustrava da sé: si trattava della nomina nel primo Senato della Repubblica del Presidente dell’Accademia dei Lincei, di magistrati e di generali. Tanto meno quindi reputo sia necessario illustrare un emendamento il quale chiama a far parte del primo Senato della Repubblica quegli uomini che, unici forse, hanno acquistato diritto a farne parte, dopo avere sofferto per la difesa della democrazia e delle libertà popolari.
Voglio anche far notare che nel mio emendamento si riconosce questo diritto soltanto a coloro i quali, ritrovandosi nella condizione su accennata, siano stati nel tempo stesso membri di questa Assemblea, che abbiano cioè anche avuto una investitura popolare. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi pare, dagli intervenuti che abbiamo ascoltato, che, in linea generale, prevalga nell’Assemblea il criterio che, fermo restando il carattere elettivo fondamentale del Senato, esso non si opponga all’inclusione nel Senato stesso di senatori i quali ripetano altrimenti la loro autorità e la loro nomina.
Abbiamo sentito parecchi oratori in proposito; ed io penso che, di fronte a questa manifestazione di volontà diffusa, sebbene non abbracciante proprio tutti i settori dell’Assemblea, si possa a buon diritto considerare che il silenzio dei pochi non abbia tale peso da farci ritenere senz’altro respinto questo criterio.
E, pertanto, possiamo mettere in votazione la serie di proposte che sono state avanzate in ordine all’immissione nel Senato di un certo numero di senatori che non ripetano dall’elezione la propria nomina considerandole partitamente. Si tratta degli emendamenti presentati, e questa sera sviluppati, dagli onorevoli Alberti, Clerici, Nitti e Laconi.
Se pertanto non vi sono obiezioni da fare al riguardo o altre considerazioni da svolgere, esaminiamo senz’altro allora le singole categorie proposte per quest’ammissione di diritto al Senato.
DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMINEDÒ. Si tratta di due distinte questioni: quella del diritto a vita e quella dell’ammissione al primo Senato della Repubblica.
PRESIDENTE. È esatto, si tratta di due questioni diverse: quella che contempla la norma permanente e quella dell’ammissione valida soltanto per la prima costituzione del Senato. Bisognerà poi vedere ancora se questa immissione è a vita o soltanto per il periodo di mandato del primo Senato della Repubblica.
A questo proposito, vi sono delle proposte formulate dall’onorevole Nitti, dall’onorevole Alberti, dall’onorevole Clerici e dall’onorevole Laconi.
Propone l’onorevole Nitti – e assieme a lui anche l’onorevole Alberti – che facciano sempre parte di diritto del Senato gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio. Aggiunge l’onorevole Alberti anche gli ex Presidenti delle Assemblee legislative. L’onorevole Alberti pone tuttavia una condizione per i Presidenti del Consiglio e i Presidenti delle Assemblee legislative, e cioè che essi abbiano ricoperto la carica, sia pure non in forma continuativa, almeno per un anno. L’onorevole Nitti a questo proposito non pone condizioni.
Si tratta di votare innanzitutto su questo quesito: se gli ex Presidenti della Repubblica debbano far parte di diritto del Senato.
E mi pare implicito, che, per queste persone, l’ammissione al Senato sia ammissione di carattere permanente, a vita, e non soltanto temporanea. Ed è per questa ragione che questa norma deve essere inclusa nel testo della Costituzione, e non fra le norme transitorie. Mentre ritengo che le disposizioni relative al primo Senato della Repubblica debbano essere inserite fra le norme transitorie.
Pongo in votazione, quindi, la proposta che gli ex Presidenti della Repubblica facciano parte di diritto del Senato.
(È approvata).
Ed ora, onorevoli colleghi, pongo in votazione la proposta che gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative – e qui entra in funzione l’emendamento-condizione Alberti, per cui è richiesto che abbiano ricoperto la carica almeno per un anno, anche se non continuativamente – debbano far parte del Senato.
L’onorevole Nitti non pone tale condizione. Ritengo che occorra dapprima votare l’emendamento dell’onorevole Alberti. È d’accordo l’onorevole Nitti?
NITTI. Sì, sono d’accordo.
NENNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NENNI. Posso chiedere, per cortesia, una spiegazione?
PRESIDENTE. Dica, onorevole Nenni.
NENNI. Desidero sapere se si tratta dei Presidenti del Consiglio dopo la proclamazione della Repubblica o anche prima della proclamazione della Repubblica.
PRESIDENTE. Chiedo ai proponenti di voler specificare, rispondendo al quesito posto dall’onorevole Nenni. Ha facoltà di parlare l’onorevole Alberti.
ALBERTI. A partire dalla proclamazione della Repubblica: questa è una proposta la quale dovrebbe essere integrata con l’altra proposta, di carattere transitorio, che riguarda gli ex Presidenti del Consiglio in passato. Questa dovrebbe riguardare la norma per l’avvenire, da inserire nella Costituzione. Per quel che riguarda gli ex Presidenti del Consiglio nel passato, v’è la norma transitoria, che sarà proposta dopo, e che riguarda anche i deputati con tre legislature. In quel provvedimento sono compresi gli ex Presidenti del Consiglio che fanno parte della Costituente. Questa riguarda gli ex Presidenti del Consiglio per l’avvenire.
PRESIDENTE. L’onorevole Nitti ha facoltà di rispondere al quesito posto dall’onorevole Nenni.
NITTI. Ex Presidenti del Consiglio vuol dire uomini che hanno occupato questo posto prima e dopo, perché non si può ammettere che – come Orlando ed io, per esempio, che siamo stati Presidenti del Consiglio prima e non dopo – questi uomini, dicevo, non abbiano il diritto di entrare in Senato, quando la designazione degli ex Presidenti del Consiglio è fatta proprio per esprimere quella continuità e per avere fonti di informazione e fonti di illustrazione di avvenimenti da coloro che ne furono i principali responsabili.
Quindi, quando io parlo di ex Presidenti del Consiglio, voglio dire prima e dopo; naturalmente, escludendo quelli che furono Presidenti del Consiglio durante un regime eccezionale. Di quelli non si discute.
Se volete aggiungere «che facciano parte dell’Assemblea Costituente» non è necessario. Ma può sembrare anche, se si fa questa indicazione, una specie di privilegio, una specie di onore fatto a quelli che sono nella Costituente.
In quanto alla indicazione chiesta dall’onorevole Laconi, ne parleremo dopo. Non credo che essa sia necessaria. Si può essere un eroe, si possono aver resi grandi servizi alla Patria, si può essere anche disposti a renderne ancora, ma si può essere anche incompetentissimi. Qui dobbiamo invece fare un Senato di uomini competenti e capaci.
Quindi, io credo che, per quanto riguarda i Presidenti del Consiglio, debba trattarsi di una nomina permanente, e non per la prima legislatura, perché ritengo che gli ex Presidenti della Repubblica come gli ex Presidenti del Consiglio, appunto per una ragione di capacità personale e come fonte di informazione e di illustrazione, debbano essere chiamati permanentemente a far parte del Senato. Sono così pochi che non rappresentano certo dei concorrenti.
PRIOLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PRIOLO. Io comprendo le preoccupazioni dei colleghi: si teme, e fondatamente, che, usando una dizione generica, diventerebbero senatori di diritto anche persone che noi tutti vogliamo e dobbiamo escludere, ed i cui nomi non faccio perché abbastanza noti.
Ritengo perciò che sarebbe sufficiente inserire nel testo della norma transitoria le seguenti parole «e che abbiano fatto parte dell’Assemblea Costituente».
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Ho chiesto di parlare soltanto per un chiarimento. All’onorevole Nitti io vorrei precisare che dal mio ordine del giorno sono avvantaggiati soltanto quegli ex condannati politici che facciano già parte di questa Assemblea. Quindi la questione di competenza non si pone.
UBERTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UBERTI. Osservo che è estremamente delicato discutere di membri di questa Assemblea i quali avrebbero immediatamente il diritto di essere senatori senza essere eletti. Ora, come quando si tratta di questioni di persone, io credo che noi non possiamo in nessun modo votare per alzata e seduta, ma solamente a scrutinio segreto. (Approvazioni).
BOZZI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOZZI. Mi riferisco alla proposta aggiuntiva fatta dall’onorevole Priolo, e capisco la ragion d’essere che la promuove. Però essa presenta un inconveniente: i futuri Presidenti del Consiglio, che naturalmente non avranno fatto parte dell’Assemblea Costituente, non saranno così senatori.
PRIOLO. Si può fare una norma transitoria.
PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, v’è la possibilità di risolvere la questione.
Poiché tutti condividono le ragioni che suggeriscono la ricerca di una formulazione che ponga al riparo il futuro Senato dall’obbligo di accogliere elementi non desiderati, non si tratta più qui di discutere sul merito, ma sulla formula da adoperare. Credo che la questione si possa risolvere ponendo nel testo della Costituzione la disposizione per cui i Presidenti della Repubblica e i Presidenti del Consiglio, che di diritto fanno parte del Senato, siano quelli che hanno ricoperto queste cariche dopo la proclamazione della Repubblica: questo dovrebbe essere stabilito in una norma permanente. Nelle norme transitorie dovrebbe poi mettersi una disposizione per la quale facciano parte di diritto del Senato i Presidenti del Consiglio che sono stati anche membri dell’Assemblea Costituente. E questi sono per l’appunto quelli che tutti pensano debbano essere inclusi nel Senato; mentre gli altri che tutti pensano che debbano essere esclusi…
CONDORELLI. Onorevole Presidente, non dica che tutti pensano che debbano essere esclusi. (Commenti – Interruzioni).
PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, prendo senz’altro atto della sua eccezione. Comunque, per le ragioni dette, penso che una formula come quella da me proposta possa risolvere la questione.
Onorevoli colleghi, tengano presente che vi è anche la limitazione posta dall’onorevole Alberti, il quale propone che il Presidente del Consiglio ed i Presidenti delle Assemblee legislative facciano parte del Senato quando abbiano ricoperto almeno per un anno, seppure non continuativamente, la carica.
ALBERTI. Rinuncio a questa condizione.
PRESIDENTE. Sta bene. Allora la formula da porre in votazione sarebbe la seguente:
«… gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative che abbiano ricoperto la carica dopo la proclamazione della Repubblica».
Poi si dovrebbe votare la norma transitoria.
BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BADINI CONFALONIERI. Sono perfettamente d’accordo nella sostanza, ma per la forma, anziché dire «dopo la proclamazione della Repubblica» basterebbe dire «saranno pure senatori, ecc…».
RODI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RODI. Io credo che nell’articolo costituzionale bisogna fissare soltanto il principio di coloro che devono far parte di diritto del Senato, e solo nelle norme transitorie tratteremo tutti questi particolari che sono ora in discussione. Quindi io penso che nell’articolo costituzionale si debba fissare soltanto e semplicemente il principio.
PRESIDENTE. Questa inclusione degli ex Presidenti del Consiglio e degli ex Presidenti delle Assemblee legislative non può essere considerata una disposizione transitoria. Se viene accettata, infatti, varrà non solo per gli attuali Presidenti ma anche per i futuri.
RODI. Appunto per questo. Nell’articolo costituzionale si dirà: gli ex Presidenti della Repubblica, gli ex Presidenti del Consiglio, gli ex Presidenti dell’Assemblee legislative fanno parte di diritto del Senato.
Nelle norme transitorie tratteremo questi argomenti particolari.
PRESIDENTE. Anche questa può essere una soluzione. Del resto, nel concetto si è concordi. Bisogna adesso passare alla votazione.
CIBERTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UBERTI. Io faccio fin d’ora riserva sopra queste votazioni perché noi in realtà votiamo per delle persone. (Interruzioni – Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Uberti insiste nella sua richiesta che si proceda alla votazione a scrutinio segreto per tutte quelle categorie di membri di diritto del Senato i quali facciano parte di questa Assemblea.
CORBINO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. L’osservazione dell’onorevole Uberti può essere considerata come fondata per quel che concerne le categorie che verranno dopo; ma per quel che concerne gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti di Assemblea non credo che la votazione per scrutinio segreto possa essere influenzata dal fatto che, mettendoceli tutti, non ci sono che quattro persone in questa situazione. Perciò l’importante è di accettare il principio dell’onorevole Uberti per le successive votazioni; ma per gli ex Presidenti di Assemblea e gli ex Presidenti del Consiglio possiamo votare tranquillamente.
PRESIDENTE. L’onorevole Perassi propone che si dica: «Gli ex Presidenti dei Consigli dei Ministri e delle Assemblee legislative della Repubblica», lasciando alle norme transitorie tutte le altre specificazioni.
LACONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Penso che le nostre decisioni, se procederemo in questo modo affrettato e caotico, non potranno rispondere a nessuna concezione armonica ed a nessuna esigenza logica. Proporrei, poiché siamo giunti alle sette e mezzo, che la seduta venisse sospesa in modo che domani mattina le diverse correnti e i diversi presentatori di ordini del giorno, dopo essersi accordati, possano presentare proposte concrete.
PRESIDENTE. Onorevole Laconi, non per l’argomentazione un poco strana dell’onorevole Moro, ma perché non vedo una giustificazione valida della sua proposta, non ritengo di poterla accettare. Abbiamo sotto gli occhi tutti gli emendamenti. Si tratta di coordinare le varie proposte e di riunirle in pochi gruppi, che si possono successivamente votare.
La proposta di scrutinio segreto dell’onorevole Uberti si riferisce soltanto a quelle categorie nelle quali siano compresi membri di questa Assemblea. Le altre proposte possono rientrare in una norma transitoria; e avremo quattro o cinque proposte diverse su cui votare. Penso che possiamo questa sera concludere le votazioni sulle categorie di coloro per i quali si propone, per la loro carica, un diritto permanente ad appartenere al Senato; mentre domattina potremo procedere alla votazione per le categorie di coloro che avranno il diritto di partecipare al primo Senato, per le quali l’onorevole Uberti ha chiesto la votazione a scrutinio segreto e delle quali forse il Comitato di redazione potrà domani presentare un elenco più ordinato.
UBERTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UBERTI. Mi sembra che il Presidente abbia limitato alle proposte relative alle norme transitorie le votazioni per scrutinio segreto.
Ritengo, invece, che, ogniqualvolta vi sia la possibilità per un membro di questa Assemblea di essere incluso in quelle categorie, perché gli altri membri abbiano piena libertà di votare, si debba votare a scrutinio segreto. (Commenti a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevole Uberti, io sonò sicuro che lei ha letto attentamente tutti gli emendamenti; ed allora le sarei grato se mi indicasse una delle categorie proposte per l’appartenenza permanente al Senato, i cui componenti si trovano in questa Assemblea.
UBERTI. Il Presidente del Consiglio, per esempio.
PRESIDENTE. Ma abbiamo trovato una formula di carattere generale.
UBERTI. È lo stesso. L’onorevole De Gasperi sarebbe senatore di diritto; anche lei, come Presidente dell’Assemblea, sarebbe senatore di diritto.
PRESIDENTE. Sta bene. Dunque, lei desidera la votazione a scrutinio segreto? Ma lei sa come la deve richiedere.
UBERTI. C’è la domanda.
PRESIDENTE. Le faccio osservare che la domanda si deve presentare partitamente ad ogni votazione che viene indetta e che non si può presentare una domanda permanente e globale per tutta una serie di votazioni a scrutinio segreto.
UBERTI. Allora, quella domanda vale per la prima votazione. La presenterò per le altre.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Uberti; ma certi atti procedurali non si dovrebbero compiere in forma così familiare.
Onorevoli colleghi, passiamo alla votazione.
Gli onorevoli Uberti, Gronchi, Fantuzzi, Moro, Turco, Cappi, Castelli, Bianchini Laura, Salizzoni, De Unterrichter Maria, Lazzati, Fabriani, Dossetti, Ferrarese, Delli Castelli Filomena, Nicotra Maria, Cimenti, De Palma, Bastianetto e Colombo, hanno chiesto lo scrutinio segreto per la votazione della seguente formula:
«Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica».
Faccio presente ai colleghi, perché possano valutare il loro voto, che vi è poi da votare un comma il quale dice: «A tale diritto si può rinunciare, purché la rinuncia sia fatta ecc.».
CLERICI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CLERICI. Non si può fare un’unica votazione aggiungendo alla prima formula le parole: «salvo rinuncia»?
ALBERTI. Accetto.
PRESIDENTE. Si può infatti votare in un unico contesto. Onorevoli colleghi, su proposta dell’onorevole Clerici, la votazione avverrà su questa formula: «Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative della Repubblica, salvo rinuncia».
La legge dovrà poi stabilire come e quando la rinuncia deve essere manifestata.
Votazione segreta.
PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.
(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).
Risultato della votazione segreta.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:
Presenti e votanti 376
Maggioranza 189
Voti favorevoli 167
Voti contrari 209
(L’Assemblea non approva).
Hanno preso parte alla votazione:
Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Ambrpsini – Amendola – Andreotti – Arata – Arcangeli – Assennato – Azzi.
Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura –Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bulloni Pietro – Burato.
Cacciatore – Caccuri – Calamandrei – Camposarcuno – Candela – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Chatrian – Chiarini – Chieffi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.
D’Amico – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Vittorio – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti – Dozza.
Ermini.
Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Froggio – Fuschini.
Galati – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchiero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gonella – Gorreri – Gotelli Angela – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.
Imperiale – Iotti Leonilde.
Jacometti – Jervolino.
Labriola – Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Li Causi – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Lucifero – Lussu.
Maffi – Magnani – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Manzini – Marazza – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia – Musolino.
Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.
Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paratore – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patricolo – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci.
Quarello – Quintieri Adolfo.
Raimondi – Rapelli – Ravagnan – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restagno – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.
Saccenti – Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Sereni – Siles – Silipo – Silone – Simonini – Spallicci – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella.
Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Turco.
Uberti.
Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Villabruna – Villani.
Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.
Sono in congedo:
Angelini.
Cairo – Carmagnola – Caroleo – Cevelotto.
De Vita – Dugoni.
Jacini.
Mannironi – Martino Enrico – Martino Gaetano.
Perrone Capano – Porzio.
Russo Perez.
Il seguito della discussione è rinviato a domani.
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza alcune interrogazioni con richiesta d’urgenza.
La prima è dell’onorevole Caronia:
«Al Ministro dei trasporti, per conoscere se sia esatta la notizia pubblicata dall’agenzia ARI circa il blocco operato a Napoli da parte degli operai degli stabilimenti Avis dei vagoni ferroviari carichi di prodotti ortofrutticoli di primissima scelta e di altri generi deperibili, che in conseguenza sono andati perduti. Il sistema di risolvere questioni di lavoro particolari con azioni tali da produrre danno ad intere popolazioni, oltre a produrre un danno notevole all’economia generale, mette i siciliani nella dolorosa condizione di non poter fare affidamento nei mezzi legali per azionare i loro traffici con il Nord Italia».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ne darò notizia al Ministro competente.
PRESIDENTE. E stata presentata la seguente altra interrogazione:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere i motivi per cui si è rifiutata all’amministrazione del Pio Istituto Santo Spirito ed Ospedali riuniti di Roma l’autorizzazione a contrarre con la Cassa depositi e prestiti un mutuo di lire 400.000.000 per completare e mettere in efficienza l’Ospedale sanatoriale Monte Mario, ospedale di urgente necessità per sgombrare i congestionati ospedali di Roma delle molte centinaia di ammalati di tubercolosi, che limitano la disponibilità dei posti-letto per le malattie per cui si richiede più immediata assistenza, e costituiscono un pericolo per gli altri infermi.
«Caronia, Dominedò, Di Fausto, Angelucci, Giordani, Orlando Camillo, Corsanego, Guidi Cingolani Angela, De Palma, Bonomi Paolo».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere a questa interrogazione.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non ne riconosco l’urgenza.
PRESIDENTE. L’interrogazione sarà allora iscritta all’ordine del giorno e svolta a suo turno.
Segue una interrogazione dell’onorevole Benedettini:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati presi contro quel gruppo di 30 comunisti, che martedì 7 ottobre, in Roma, alla fine di un comizio monarchico, hanno aggredito 5 studenti, producendo ai giovani Ponzani Umberto, di 17 anni, e Spica Giacomo, di 21, iscritti all’Unione monarchica italiana, ferite lacero-contuse e contusioni multiple, e per conoscere inoltre quali preventive precauzioni intenda adottare per garantire le libertà democratiche e le manifestazioni politiche contro i metodi dell’azione diretta».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Qualora risultassero completate le indagini, il Governo risponderà nella seduta pomeridiana di domani.
PRESIDENTE. Segue la seguente altra interrogazione:
«Al Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se intenda provvedere alla proroga del decreto legislativo luogotenenziale 10 agosto 1944, n. 194 (che cesserà di avere vigore il 15 ottobre 1947), particolarmente per la parte concernente la scarcerazione per perenzione dell’arresto, ripristinata in ossequio ai principî democratici della giustizia penale.
«Per conoscere, inoltre, se intenda, nel provvedimento legislativo di proroga, disporre che le ordinanze in tema di scarcerazione automatica siano suscettibili di ricorso per Cassazione, in ossequio al principio (d’imminente consacrazione costituzionale) dell’indefettibilità del sindacato della Corte di cassazione su tutti i provvedimenti giurisdizionali.
«Leone Giovanni, Mastino Gesumino, Numeroso, Scoca, Notarianni, De Martino, Bettiol, Federici Maria, Condorelli, Riccio Stefano, Persico, Gasparotto, Arata, Rossi Paolo, Carboni Angelo, Targetti, Patricolo».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere a questa interrogazione.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non ne riconosco l’urgenza.
LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LEONE GIOVANNI. Vi è una data, quella del 15 ottobre, alla quale cessa di aver vigore il decreto legislativo del quale si chiede la proroga.
PRESIDENTE. Comunicherò l’interrogazione al Ministro competente.
Do, infine, lettura della seguente altra interrogazione:
«Al Ministro dell’interno, sulle violenze commesse durante la campagna elettorale in Roma contro candidati del P.S.L.I. e in particolare modo sull’aggressione organizzata contro un membro dell’Assemblea Costituente, l’onorevole Matteotti; e per sapere quali urgenti disposizioni intenda prendere per assicurare le libertà di riunione, di parola e di voto.
«Rossi Paolo, Lami Starnuti, Segala, Mazzoni, Carboni Angelo, Persico».
Chiedo al Governo quando intenda rispondere.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Anche per questa interrogazione, il Governo risponderà nella seduta pomeridiana di domani qualora al Ministero competente risultassero completate le indagini.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
SCHIRATTI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, per conoscere come e quando intendano sodisfare le legittime ed urgenti aspirazioni delle popolazioni calabresi, sempre neglette ed abbandonate, della zona compresa tra Soverato, Gioiosa Ionica, Vibo Valentia e Francavilla Angitola, che, da decenni, reclamano il congiungimento del versante tirrenico con quello ionico, mediante la costruzione di opportuni tronchi ferroviari a scartamento ridotto, e l’allacciamento tra di loro dei molti comuni della zona, mediante tronchi stradali, onde assicurare le condizioni essenziali per il loro sicuro sviluppo agricolo, industriale, minerario e turistico, che toglierà quelle nobili popolazioni dalle odierne deplorevoli condizioni sociali.
«Mancini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per conoscere quali urgenti provvedimenti intendano adottare per eliminare l’arbitraria azione dell’Azienda autonoma acquedotto di San Remo che, attualmente, esegue lavori di escavazione di pozzi sulla sinistra del torrente Argentina in Riva Ligure (Imperia), tendenti all’accaparramento delle acque del sottosuolo, che su tale lato appartengono esclusivamente alla popolazione del comune di Riva Ligure, costituita nella maggior parte di piccoli coltivatori di fiori, ed utilizzate come materia prima ed insostituibile di tale industria, da oltre quaranta anni, con piena soddisfazione di tutti, mediante un triplice complesso di opere consistente nell’acquedotto consorziale di Riva, nell’acquedotto Gazzano e nei numerosissimi pozzi privati muniti di impianto irriguo proprio, i quali ultimi, in dipendenza di detti lavori, si sono completamente essiccati con l’immenso e comprensibile danno alle coltivazioni esistenti.
«Si richiama particolarmente l’attenzione sulla improrogabile necessità che venga posto fine ad un tale stato di cose che, manifestandosi deleterio agli interessi di un intero paese, reca vivo malcontento verso le autorità competenti in tutta la popolazione della zona. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rodinò Mario».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga necessario promuovere un provvedimento legislativo che assicuri l’allontanamento di obiettivi di carattere militare da complessi monumentali di interesse artistico e storico.
«La guerra recente ha dimostrato le irrimediabili conseguenze di una promiscuità perniciosa, anche in tempo di pace, alla conservazione ed alla sicurezza del patrimonio artistico nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Di Fausto».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e della pubblica istruzione, per sapere se, in attesa di un auspicato provvedimento di carattere generale, non ritengano opportuna la completa dismissione della caserma adiacente alla insigne Basilica di Santa Giustina in Padova, col ritorno del residuo edificio al demanio che potrebbe procedere all’eventuale restituzione ai monaci, in vista della necessità di dare adeguata sistemazione ai numerosi studenti universitari rifugiati in Padova, in conseguenza della guerra.
«Il complesso della Basilica, del Monastero, e dell’adiacente zona archeologica romana-paleo-cristiana, tutelato dalla dichiarazione di monumento nazionale, non consente una ulteriore promiscuità di uso, anche per la necessità evidente di allontanare definitivamente obiettivi di carattere militare, da monumenti di importanza artistica e storica. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Di Fausto».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritenga opportuna l’emanazione di un provvedimento, che conceda, sia pure con le cautele del caso, la sanatoria ai mutilati ed invalidi di guerra, i quali, in seguito alla particolare ed eccezionale situazione determinatasi nel territorio dello Stato durante e dopo il conflitto, non hanno presentato, od hanno tardivamente presentato, il ricorso entro i prescritti novanta giorni dalla notifica del decreto negativo o inadeguato, oppure non hanno chiesto, od hanno tardivamente chiesto, la fissazione di udienza entro un anno dalla notifica delle conclusioni da parte del procuratore generale.
«L’interrogante considera atto di doverosa clemenza della Patria, verso chi per essa ha versato generosamente il sangue ed ha sacrificato la salute, l’offerta della possibilità di rientrare nei termini lasciati infruttuosamente scadere o per materiale impossibilità da parte degli interessati di provvedere in tempo alla tutela dei loro interessi o per comprensibile ignoranza delle disposizioni di legge. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Pat».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e di grazia e giustizia, per conoscere le ragioni della non ancora avvenuta emanazione del provvedimento legislativo di estensione agli appartenenti al Corpo degli agenti di custodia – per recente disposizione di legge chiamati a far parte delle Forze armate dello Stato – dei beneficî che loro competono, a mente di quanto stabilito dall’articolo 2, terzo capoverso, del decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722, tenuto presente il delicato servizio loro affidato e le condizioni di grave disagio morale ed economico in cui si trovano a vivere attualmente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ghidetti».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 20.20.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 11 e alle ore 16:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.